1
BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno IV :: Fasc. X. OTTOBRE 1915
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 OTTOBRE - 1915
DAL SOMMARIO : C. ROSTAN : L'oltretomba nel libro VI dell*Ene«/e — S. BriDGET : Per la storia di un terribile dogma — Ivan LlABOOKA : Le origini dei Battisti in Russia — T. FaLLOT : Sulla soglia — PAOLO A. PASCHETTO: A quelli che restano (disegno) — P. CHIM1NELLI : Una santa laica — P. GHIGNONI : Cristianesimo e Guerra (Lettera a R. Munì) — TRA LIBRI E Riviste — La Guerra (Notizie, Voci e Documenti): G. PIOLI : I cleri e la guerra — Resipiscenze tedesche e motivi di sperare, ecc.
3
REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo fi fi
------- Via Crescenzio, 2 - ROMA ----D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per l’Estero ------- Via del Babuino, 107 - ROMA -AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO
Per l’Italia L. 5. Per l’Estero L. 8.
Un fascicolo L. 1.
Si pubblica il 15 di ogni mese in fascicoli di almeno 64 pagine.
(161
4
IL NUOVO
TESTAMENTO
TRADOTTO DAL TESTO ORIGINALE E CORREDATO DI NOTE E PREFAZIONI
FIRENZE
SOCIETÀ < FIDES ET AMOR» EDITRICE Amministrazione: Via S. Caterina, 14 MCMX1V
E in vendita in tutta Italia la ristampa di questa traduzione del N. T. che nella sua prima edizione del 1911 s’ebbe sì lusinghiera accoglienza da tante persone riconoscenti e bene auguranti : Antonio Fogazzaro, Pietro Ragnisco, Paolo Orano, Enrico Caporali, Baldassare Labanca, Luigi Ambrosi, Giacomo Puccini, Alessandro Chiappelli, Guido Mazzoni, Piò Rajna, Paul Sabatier, Nicola Festa.....
Questa nuova edizione, segna un progresso notevole : è stata accuratamente riveduta e qua e là ritoccata e corretta ; stampata presso la Tipografia « L’Arte della Stampa » in nitido elzevir, riesce molto simpatica all’occhio, grazie anche all’artistica copertina.
Sebbene conti oltre 660 pagine, non è voluminosa, essendo tirata su carta finissima.
Il bel volume si vende a L 1.50; ma gli abbonati a “ Bilychnis „ possono averlo inviando UNA LIRA alla nostra Amministrazione insieme con P importo dell’abbonamento.
5
BIEO1NI5
1
RJVlSlÀ DI S1VDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA • DI ROMASOMMARIO:
C. ROSTAN: L'oltretomba nel libro VI dell’« Eneide »................pag. 245
S. BRIDGET: Per la storia di un terribile dogma..................... » 258
Ivan LlABOOKA: Le origini dei Battisti in Russia. . ................ > 262
PER LA CULTURA DELL’ANIMA:
T. Fallot: Sulla soglia. ......... . . . . . , . . . » 268
Paolo A. PASCHETTO : A quelli che restano. Disegno. (Tavola tra le
pagine 272 e 273). .. ,
P. Chiminelli: Una santa laica: Teresma Ravizza ...... » 280
CRISTIANESIMO E GUERRA:
P. GniGNONl: Lettera a R. Murri* ............ »285
TRA LIBRI E RIVISTE:
I libri:
G. A. Borgese: Italia e Germania (F. Rubbiani) ....... ....... » 292
Vincenzo Del Giudice : Le condizioni giuridiche della conciliazione tra lo Stato
è la Chiesa cattolica in Italia (R. M.) ................ » 294
E. Schuré: I grandi Iniziati e Santuari ¿’Oriente (A. Fasulo) . . •. » 295
P. Saintyves : Les responsabililés de VA llemagne dans la guerre de 1914 (A. D. S) » 297 Varia (S. Bridget)...................................' » 297
Le riviste: .
Paul Gaultier : Le origini della barbarie tedesca (R. F.)........... » 300
Varia (S. Bridget)............................................................. 302
LA GUERRA (Notizie, Voci, Documenti):
Giovanni Pioli: I cleri e la guerra (Il curato battagliero - Il clero francese nell’esercito -Un parroco costruttore volontario di bombe - Voti del Congresso diocesano di Londra - Il tragico guaime dopo la falciatura della guerra - L’amore dei nemici - Il clero e ralcoolismo - Il Papa e la guerra - L’unione delle chiese per la pace - L’unità della civiltà occidentale - Appello ai cristiani insoddisfatti -1 Battisti inglesi e la guerra) » 305
Germania :
G. P.: Resipiscenze tedesche e motivi di sperare.............. » 314
Inghilterra :
G. P-: «Quanto è difficile esser Cristiani! » - « Le guerre giuste» . . . . . » 319
Illustrazione: Cappellani militari in Francia (Tavola tra le pag. 3120313).
Cambio colle Riviste . . . . . ................... » 305
Pubblicazioni pervenute alla Redazione ............. » 309
Còse Nostre ............ ..... ............ » 309
Notizie................................................................... » 311
« Il Seminatore » . . ........... ............. » 314
Libreria Editrice « Bilychnis » .................. » 3*9
6
CRISTIANESIMO E GUERRA
Recentissime pubblicazioni in deposito presso la Libreria Ed. “ Bilydmis „
Via Crescenzio, 2 - ROMA.
ALEXANDRE WESTPHAL, Le silence de Dieu (pag. 26) . . L. 0,65
> » Le Dieu des Armées 0,65
GEORGES FuLLIQUET, Dieu et la Guerre.............» 0,65
Henry Barbier, L’Evangile et la Guerre....... > 0,50
E. DoUMERGUE, La Guerre, Dieu, la France. La France peutelle demander a Dieu la victoire? ........ » 0,30
H. BOIS, Patrie et Humanité..................... > 0,75
» > La Guerre et la Donne Conscience ...... » 0,65
Jean Lapon, Evangile et Patrie, Discours religieux. Il 1® vol.
di pag. 210 L. 3.25, il 2® di pag. 360 ....... > 3,75
H. Monnier, W. Monod, C. Wagner, J.-E. Roberty, etc.,
Pendant la Guerre. Discours prononcés à l’Oratoire et au
Foyer de l’âme à Paris. 10 volumetti di 100'pagine. Ciascuno ..................................... » 1,25
PAUL STAPFER, Petits Sermons de Guerre (pag. 100) ...» 1,60 H. Bergner, A. Gampert, G. Fulliquet, E. Secretan,
Paroles d’actualité. Sermons.................> 1,25
LOUIS Trial, Sermons patriotiques prononcés pendant la guerre
1914-1915. (Vol. di pag. 100) ......... > 1,25
P. Batiffol, P. Monceaux, E. Chénon, A. Vanderpol,
L. Rolland, F. Duval, A. Tanqueroy, L’Église et
la Guerre ...... .......... » 4 —
G. QUADROTTA, Il Papa, l’Italia e la Guerra . . .Jÿ. . >2 —
R. MURRI, La Croce e la Spada....................0,95
A. TAGLIATATELA, I Sermoni della Guerra..........» 3,50
7
L’OLTRETOMBA NEL LIBRO VI DELL’“ ENEIDE „
’introduzione di una descrizione del mondo sotterraneo nell’epopea virgiliana poteva sembrar quasi obbligatoria (i) nella celebrazione di peripezie non di rado ben modellate su quelle d'Ulisse, colla vszuca del quale ha strette somiglianze la àe\V Eneide, pur riuscendole inferiore e meno commovente, come quella che trae l’effetto dalla magnifica armonia dei versi e non dal sentimento (2), mancando il brivido di profondo orrore misterioso, il senso intimo dell'al di là, che tutta pervade Y Odissea,
sì che, malgrado le preghiere agli Dei, signori degli estinti, al Caos ed a Flegetonte e l'invocazione della loro benignità (v. 264-266, lib. VI), il timore di profanare i misteri del regno dei morti è più che altro letterario come la divinità che Io ispira.
Ma, oltre il desiderio di ricalcare le orme dell’odissea, non mancava al poeta uno scopo particolare:Jche se nel poema omerico era l'introdurre ¡compagni periti e quelli che diffìcilmente potevano,^come Nestore e Menelao, essere ricordati in altri modi, qui Virgilio voleva magnificarejla Roma del futuro: l’eroe troiano guarda avanti: sono tutti i grandi romanije“li domina quell’altro Enea, che, come il capo della razza combatterà « cum penatibus et magnis dis » (E. Vili, 679; III, 12) (3). Poteva inoltre il poeta manifestare così le sue idee sull’anima e la sua sorte per il pubblico che aveva visto perire la repubblica ed assistito alle proscrizioni e che, partito dall’epi(1) Weil, Etudes sur l’antiquité, Paris, 1900, p. 86.
(2) Girard, Le sentiment religieux en Grèce d’Homère à Eschyle, Paris, 1869, pagine 311, 312. . -(3) Weil, op. cit., p.t 80.
8
246
BILYCHNIS
cureismo, se ne staccava poco a poco: Lucrezio aveva tentato di liberare gli uomini dai vani terrori coll'annullamento assoluto e l’epicureismo desolato era diventato il grande consolatore, ma ormai, avendo Epicuro, al dir di Plutarco, messo soltanto al posto del terrore dell’inferno quello del nulla, molti eran trascinati a ripetere colle Tusculane: «Niente mi toglierà dall’anima la speranza dell'immortalità » (1): ma era anche la poesia per quei lettori raffinati che a Baia vedevano dalle ville le acque del golfo di Napoli ed i boschi del lago Averno, più terribili nelle, tradizioni popolari e nei versi del grande poeta nazionale che nella natura, addolcita dai lavori di Augusto (2). ‘ .
La maggior parte aveva, più che altro, sulla vita futura vaghe speranze: le iscrizioni in parte dicono che tutto finisce colla morte, in parte sperano nell’al di là, ma, mentre alcune affermano che l'anima sola salga in regioni più pure, la maggioranza crede che lo spirito ed il corpo siano legati l'uno all’altro, preoccupandosi di questa condizione, come mostra il desiderio continuo di purificazioni, di sacrifizi, d’onori funebri: si era passati dall’idea che resistenza continuasse oscuramente nella tomba, che l'estinto vi fosse tutto, con bisogni e passioni mitigate, al concetto che restasse un’ombra, un simulacro che andava al centro della terra, poi alla raffigurazione di ombre dei morti (mani) buoni o cattivi: si erano aggiunte le idee greche sul Tartaro e l’Eliso, che, però, colpivano più che altro per certi particolari: la filosofia era venuta a parlare dell’immortalità dell’anima, ma per l’oltretomba l’opinione dominante si contentava di considerarlo come un luogo di punizione.
A queste menti si rivolge Virgilio, senza però dare una soluzione à quei timori, che piuttosto aumenterebbe, servendosi di leggende, come tanti altri filosofi del tempo, per presentar le sue idee: ed in questa mescolanza ha saputo esser originale; non abbandonando le immagini mantenute dalla tradizione popolare e passando con transizione insensibile a pitture a metà ideali (3), dove il pensiero filosofico riveste le forme più attraenti ed espressive, tenendo il lettore sotto l’influenza d’un felice assieme di finzioni o ingegnose o commoventi e di analisi profonde della natura umana: ma tutto il suo sistema si può ridurre ad un principio essenziale: l’uomo è composto di due elementi di genere diverso: il corpo è un principio di decadenza, la sua unione con l’anima è causa di lotte, la separazione un bene: come per Cicerone non è che dopo morti che viviamo veramente: quasi si arriva al grido di Scipione: « Se qui è il soggiorno della vita, che faremo più lungamente in terra? » (4).
Come fonte di Virgilio si è indicato da molti (5), attraverso il libro I delle Antiqui-tates divinae di Vairone, Posidonio di Rodi, che trattò dell’anima e della sua sorte dopo la morte, ma in realtà, come ha ben chiarito il Norden (6), Virgilio è un anello
Boissier, Revue des
(1 Boissier, (2 Girard, <
3
4
. op. cit., p. Girard, op. cit., p.
Boisser, op. cit., p. Pascal, Le credenze
deux Mondes, 105, 1S73, P- 538, 549.
3»43<4564, 565.
d’oltretomba nelle opere letterarie dell’antichità classica.
Catania, 1912, II, p. 154.
(6) Norden, P. Vergilius Maro-Aeneis, VI, Leipzig, 1903, p. 41.
9
L'OLTRETOMBA NEL LIBRO vi DELL’ « ENEIDE »
247
di lunga catena orfico-pitagorica, risalendo le sue teorie ad un complesso di idee, tra cui non mancano neppure oracoli caldaici e di Apollo Didime©, versi delle tavolette di Petelia e di Turii, tanto che non c’è verso di Virgilio che non sia riferibile a qualcuno, pur avendo probabilmente seguito in modo più particolare Posidonio, mettendolo sotto la forma di una poesia di rivelazione.
La d’Enea è descritta nel VI libro l'eroe, approdato a Cuma,
si reca all’antro della Sibilla e, dopo aver compiuto il sacrifizio rituale, consulta l’oracolo d’Apollo, apprende quali pericoli l’attendano e quale sarà l'esito della guerra nel Lazio. Trova sulla spiaggia il cadavere di Miseno, gli rende gli onori funebri ed alza il tumulo del compagno ai piedi del promontorio che ne porterà il nome. Guidato dalle colombe che la madre gli invia, trova il ramo d'oro, dono lustrale per Proserpina, lo coglie, immola agli dei infernali le vittime che lor son dovute e, sotto la guida della Sibilla, penetra nell’inferno (1). Topograficamente, da tutto il contesto, risulta che l’eroe discende sèmpre, per un declivio lento, specialmente nell’antinferno, nè v’è cenno che risalga quando, biforcandosi la via, si dirige agli Elisi: una leggera salita è soltanto quando passa alla verde valletta, dove è Anchise; il vestibolo dell’inferno, il Limbo ed i campi Elisi, quindi, sembrano non essere a gran profondità dalla superficie terrestre: è il Tartaro che si sprofonda; invece, in un abisso senza nome (bis patet in praeceps tantum tenditque sub umbras | quantus ad aetherium caeli suspectus Olympum vv. 578-579), ma Enea lo vede soltanto da lontano. Il mondo sotterraneo non è neppure molto vasto. Anchise conduce il figlio in tutti i posti (per singula: v. 888), quindi all'uscita, dove sono due porte, che, con allegoria presa a prestito da Omero, sono l’una di corno, e per essa vanno in terra i sogni veri, l’altra d’avorio che dà passaggio ai falsi: Enea, passando per quest’ultima, è a così poca distanza dal punto di partenza, che può giungere in breve alle navi: quindi il mondo sotterraneo, escluso il Tartaro, descrive a poca profondità, senza dislivelli notevoli, una ellissi molto allungata; l’entrata e l’uscita sono vicine l’una all'altra.
Riguardo al tempo impiegato si può inferire dal v. 900 (viam secat) che Enea ritorna quando c’è luce: si volle da alcuni (Heyne) che restasse nel mondo sotterraneo il tempo che trascorre tra l’alba ed il giorno pieno, ma, essendo questo spazio di tempo troppo breve, è più probabile che vi rimanga tutto il giorno e la notte seguente (... primi sub lumina solis et ortus, v. 235, cominciando il viaggio; Aurora... | iam medium aetherio cursu traiecerat axem, v. 535-536; nox ruit, v. 539, quando è ancora a metà strada)..
La discesa d’Enea nel regno dei morti è per una spelonca continuante in una specie di cunicolo, rischiarato da una luce scarsa ed incerta (v. 270), che giunge al vestibolo dell’inferno, dove trovansi due categorie di esseri, ossia i mostri mitologici e le divinità allegoriche: queste rappresentano sentimenti ed accidenti che accompagnano ordinariamente la morte, i rimorsi, le malattie, la vecchiaia, la fame, la penuria, la fatica, il sopore, i godimenti colpevoli dell’anima (vv. 273-278). Nel mezzo del ve(1) Benoist, Oeuvres de Virgile, Paris, 1882, pàssim.
10
248 BILYCHNIS
stibolo allarga i suoi rami un olmo, tra le cui foglie sono nascosti i sogni: all’estremità opposta all’ingresso (avderso in limine, v. 679, e quindi il vestibolo è come un grande spazio ellittico), sono personificazioni mitologiche, la Guerra, i giacigli delle Furie (ricordate lì ad incutere maggior timore, poiché in realtà esse sono nel Tartaro) e la Discordia (w. 279-280). I mostri mitologici sono tutt’attorno o agli ingressi. Centauri, Scille, Briareo, l’idra di Lerna, Chimere, Gorgoni, Arpie, Gerioni (vv. 285-290), vane ombre senza corpo, contro cui inutilmente stringe la spada Enea. La via, ormai tra selve (per tacitum nemus, v. 386) conduce al fangoso Acheronte, che si getta in Cocito, di cui Tacque stagnanti s’uniscono alla palude Stige, che altrove è detta circondare per nove volte l’inferno (En.t VI, 489, Geog., IV, 480): tra i vari fiumi si passa per guadi continui, sì che il navalestro Caronte vede dall’onda Stigia avvicinarsi l’eroe alla riva d’Acheronte, alla quale fa approdare la barca (v. 385 e segg.): il nocchiero accetta nella nave la folla dei morti; che affluisce spinta da forza irresistibile (ripae ulterioris amore, v. 314), rifiutando crudamente chiunque non ebbe l’onor del sepolcro: tra questi è il pilota Palinuro, consolato dalla Sibilla colla promessa d'una tomba e della gloria futura. Da Caronte, prima timoroso per aver già dovuto trasportare a forza Ercole una prima volta e poi Teseo e Piritoo, e che quindi vorrebbe rifiutar loro il passaggio, se non fosse acquetato dalla vista del ramoscello d’oro, l’eroe è sbarcato sull’altra riva: le due sponde dell'Acheronte o, per dir meglio, delle acque stagnanti dei tre fiumi sono abbastanza ampie: erra di qua e di là una gran folla d’insepolti (volitantque haec litora circum, v. 329); la riva che porta al mondo superiore, coperta di selve (per tacitum nemus, v. 386) sembra scendere alle acque con lento declivio: quella cui si approda è fangosa e coperta di erbe palustri (informi limo... glaucaque in ulva, v. 416). Qui uno stretto passaggio è guardato da Cerbero: è questo il vero ingresso del mondo sotterraneo: tutto quel che precede non è che il vestibolo nelle sue diverse parti: addormentato il cane infernale con un’offa di papavero e miele, Enea è nell’inferno, e più precisamente nel Limbo, in cui, complessivamente, sono le anime dei morti prima del tempo fatale.
Quindi si avrebbe così lo schema del mondo sotterraneo (1):
I . Al di là dell’Acheronte: ara^ot.
IL Al di qua dell'Acheronte;
A. Tra l’Acheronte e l'Ade:
1. zapo;,
2. ptacoSavaToi.
Cl) 04 (Ì’.Z zptO'.V Tg^YTJzÓTg;,
P) oi aùró^eipe^,
y) oì 5-’ epwroc TsSv/jzÓTec,
3) oì Tr.óXe^ouvTS?.
(1) Norden, op. cit., p. 14.
11
L’OLTRETOMBA NEL LIBRO vi DELL’ « ENEIDE »
249
B. L’Ade.
I. Nel Tartaro: ot waeì ’avià-rw?
2. Nell’Eliso: ól scasi {/.azàpwi.
3. Sulle rive del Lete: oi Tjai.iYysveo««? ’avapwocójASvoi.
Mentre si dovrebbero trovare nel Limbo le anime medie, nè viziose nè virtuose, quelle che vissero senza infamia e senza lode, e quindi quelle della maggior parte degli uomini, vi sono, invece, gli uni vicini agli altri (hos iuxta, v. 430; proxima loca, v. 434; nec procul hinc, v. 440), quelli cui la morte sopraggiunse prima del giorno fatale. Per analogia cogli insepolti (1), le anime degli ««poi e dei (JiacoSavaTOi avrebbero dovuto essere al di là dei fiumi per tutto quel tempo che avrebbero dovuto vivere, mentre soltanto gli insepolti aspettano al di là dell'Acheronte:' non sono ricordati tutti i periti di morte violenta, mancando quelli che furono assassinati, ed i condannati giustamente a morte ed i suicidi che s’uccisero, meritando la loro sorte.
Di tutti si tiene un giudizio da parte di Minosse: è un primo tribunale perchè un secondo si trova nell’Ade, presieduto da Radamanto. Minosse, funzionando da « quae-sitor » rifà il processo (quaestio), tirando a sorte i giudici: il tribunale vale per tutti sebbene ricordato fra i condannati innocenti ed i suicidi: i tre versi in cui è descritto, tra un « hos iuxta » ed un « proxima deinde tenent maesti loca », sono fuori posto ed essendo poi ricordato quello di Radamanto (566-568) doveva Virgilio o sopprimerne uno o determinarne meglio le funzioni, mentre invece ora la forma è differente ma, in sostanza, i giudici ascoltano entrambi la confessione delle colpe (crimina discit, v. 433; auditque dolos subigitque fateri, v. 367) (2). Son quattro le categorie di anime così giudicate. Gli infanti vengono qui espressamente nominati, mentre di Er in Rep. X, 603, viene in genere detto che riferiva sui morti appena nati 0 dopo corta vita, cose poco degne di ricordo: non sono soltanto i nati per aborto, come quelli che ««poi ¿tìxtovto, secondo l’Apocalisse di S. Pietro (1886, Akhumin), ma evidentemente anche i morti in recentissima età e quindi quasi strappati al seno materno (ab ubere raptos, v. 429): di continuo se ne sentono i gemiti ed i pianti (3).
Il secondo gruppo è costituito dai condannati ingiustamente a morte, il terzo dai suicidi che si uccisero non perchè consci di qualche colpa ma per disgusto dèlia vita, e che quindi rimpiangono invano la luce del sole. Tra questi è riservata una sede speciale, i « lugentes campi », vasta pianura con nascosti sentieri e coperta di mirteti (vv. 440, 443) agli amanti infelici: sono quelli di cui la perdita fu causata o da eccesso d’amore, e sono i più numerosi, come Fedra, Procri, Evadile, Laodamia, Pasifae, o da mancanza: solo con quest’ultimo motivo si potrebbe spiegare la presenza di Erifile, traditrice del marito Anfiarao, ragione da alcuni esclusa, accettando l’idea di un amore tra Polinice ed Erifile, quantunque qui la donna non si consumi d'amore, ma sia triste (moestam), mentre in Omero era cTuysp^v, odiosa, e mostri le ferite ricevute
(1) Weil, op. cit., p. 86.
(2) Sabbadini, Studi critici sull’« Eneide », Lonigo, 1889, p. 79.
(3) Pascal, op. Cit., II, 70.
12
250
BILYCHNIS
dal figlio: nè basta il dire che solo la triste morte e l’esser donna l’ha fatta perdere tra le vittime lamentevoli d'amore, essendo il gruppo degli amanti àeW'Eneide modellato sul catalogo delle eroine ùa\V Odissea: quindi anche tra gli amanti infelici abbiamo due gruppi: essi errano pei boschi dei mirti, sacri a Venere.
La quarta categoria è data dai caduti in guerra, che, come i suicidi, sono qui collocati perchè non attesero la 3ij/.ao;zsvo; Sìévxto;, la morte « naturai» et fatalis », come è messa in correlazione ed opposizione alla violenta in Omero (II. Z., v. 487), quando Ettore dichiara che nessuno lo spingerà contro il fato a morte, quella aspettata da Turno (etiam sua Turnum fata vocant | metasque dati pervenit ad aevi, È. X, 471), mentre Elissa « nec fato, merita nec morte peribat » (1).
In questi eroi, tra cui Enea vede i compagni caduti davanti a Troia, fermandosi con Deifobo, mentre le schiere di Agamennone ed i Greci arretrano al suo passaggio, gli ultimi momenti della vita hanno lasciata un’impronta incancellabile (2) ed il ricordo ne è legato alla loro sorte: così Deifobo appare nello stato miserando in cui fu lasciato dai Greci. Si noti che i principi Troiani periti nella difesa di Ilio sono nel Limbo, mentre vedremo i più antichi. Ilo, Assaraco, Dardano, nell’Eliso, perchè « nati me-lioribus annis » (v. 649).
Le quattro categorie sono collegate più che altro dalla tristezza della loro fine: dappertutto regna la medesima melanconia: i « lugentes campi » delle vittime d’amore possono convenire a tutti. Non v’è merito nè demerito che conti; essi sono puniti anche senza colpa, anzi meritevoli, come i caduti in guerra, di cui alcuni sono all'Eliso e senza distinzione tra colpevoli e vittime d’amore, nè del resto, hanno una punizione vera e propria: suicidi ed amanti son tormentati da una confusa angoscia, il rimpianto della vita perduta, il tormento della passione (curae non ipsa in morte reliquunt, v. 444); la folla dei guerrieri o conserva gli atteggiamenti preferiti in vita, come Ideo, o si agita confusamente, vane ombre ancora capaci di un timore irriflessivo: il fatto è che sono in tutto simili alle anime dell’Ade in Omero, su cui tutto il Limbo è modellato: i suicidi rimpiangono la luce del sole, come Achille: Enea, come Ulisse, ritrova i compagni: Deifobo ha in bocca le parole d’Agammennone, allo sdegno pertinace di Aiace corrisponde il silenzio implacato di Ulisse (3).
Dopo il Limbo la via si biforca, secondo un concetto orfico da mettersi in relazione con le due vie da percorrersi in vita, il bivio d’Èrcole: quella a destra conduce, passando presso il palazzo di Ades agli Elisi, quella a sinistra al Tartaro, in cui Enea, come uomo giusto, non entra, contemplandone solo l'esterno, un edificio cinto da triplice muraglia, circondato dal Flegetonte, fiume di fuoco, sia a ricordo della cremazione dei cadaveri, sia per i fiumi di lava vulcanica, sia per le concezioni dell’occidente imporporato dal sole o per la dottrina pitagorica del fuoco centrale (4): alla porta d’acciaio su un’alta torre, sta Tisifone, col doppio ufficio di far giorno e notte la guardia ai
1
2
3
4
Norden, op. cit., p. 12.
Weil, op. cit., p. 89.
Weil, op. cit., p. 90.
Pascal, op. cit., I, p. 73.
13
L’OLTRETOMBA NEL LIBRO VI DELL’ « ENEIDE » 251
dannati (v. 556) e di percuoterli (v. 605), aiutata dalle Furie sorelle, di cui i giacigli sono nel vestibolo. Nel Tartaro, come narra la Sibilla, cui sola dei viventi fu concesso visitarlo, Radamanto, e sarebbe questo il secondo tribunale, fa da giudice, e si può aggiungere, compie le funzioni anche di chi fa eseguire le sentenze, udendo le colpe, castigando e costringendo il reo a confessare. Dopo quella specie di vestibolo in cui siede il tribunale s’apre l’Èrebo, di cui altro custode più interno, oltre Tisifone, è l’idra (non la Lernea che è nel vero vestibolo), che si sprofonda sotto terra il doppio dello spazio che lo sguardo abbraccia nel cielo, affissandosi all’Olimpo.
Tra i dannati van distinte nettamente due categorie, le grandi figure mitologiche della tradizione, nominativamente significate, le grandi folle di puniti di cui vengono solamente indicate le colpe, con una certa corrispondenza nell'avvicendarsi di questi due gruppi, sì che si alternano le enumerazioni dei colpevoli e quelle dei delitti anonimi, quasi che il poeta avesse già voluto stabilire varie classi distinte di puniti, illustrando ognuna con figure tipiche: dei grandi personaggi è ricordata più volte la pena, delle folle anonime in un sol caso: potrebbe anche sembrare che, oltre formare gruppi distinti, volesse Virgilio estendere le pene tradizionali di alcuni personaggi ad intiere categorie, di cui le colpe fossero simili a quelle degli eroi mitologici e che quindi potevano esser puniti in egual modo.
Nella parte più profonda del Tartaro sono i Titani, gli Aloidi Oto ed Efialte, Sal-moneo. Tizio di cui il fegato è roso dagli avvoltoi, i Lapiti Issione e Piritoo, cui, secondo certe edizioni, è inflitta la pena che generalmente si dà a Tantalo: una roccia lor incombe sul capo, mentre sono assisi a mensa, preparata con lusso regale, e la maggior delle Furie lor impedisce di cibarsi. Pel Ribbeck, invece, e molti altri (1), siccome la pena di Issione e di Sisifo è adombrata nei v. 616 (saxum ingens volvunt alii radiisque rotarum 1 districti pendent) lo vogliono riferire a Tantalo con le pene tradizionali ed in più il.supplizio della roccia, imitato da Lucrezio (vv. 980-981) od a Flegias, colla correzione dello Havet (2).
(1) Sabbadini, op. cit., p. 23.
(2) Questi trasporta dopo il v. 620, ossia dopo l’ammonizione di Flegias, i vv. 602-607 che descrivono il supplizio della rupe e del banchetto come applicata ai Lapiti Iasione e Piritoo, riferendola invece a Flegias: ciò, oltre che per ragioni di critica del testo, perchè così sarebbero uniti Teseo e Piritoo: in Stazio, inoltre (Teb. I, 172), la pena della rupe’ minacciante rovina vien data per l’appunto a Flegias: mancando, poi, nel quadrò che ne risulta ogni prospettiva, tutte le figure essendo sul medesimo piano éd essendovi incluso Teseo, che non dovrebbe esserci, in conformità al v. 6x8, e per il colorito pittorico, indugiandosi il poeta a descrivere i fulcri d’oro del letto, le faci, ecc., lo Havet è d’opinione che Virgilio dovesse avere dinanzi agli occhi una pittura (Revue de philologie, 1882, p. 145). Accedendo a questa idea il Martha (Revue de philologie, 1889), è d’opinione che questo nome di Flegias, non sconosciuto sebbene non frequente nella mitologia, sia dovuto ad uno dei tanti sbagli nei quali potevan cadere (e non ne mancano gli esempi) gli artisti nelle pitture, sia murarie che di vasi, o sbagliando le leggende od attribuendo ad un personaggio il nome d’un altro, specialmente nel copiare: così avendo davanti agli occhi una rappresentazione generale del mondo infernale, l’artista avrebbe dato al personaggio il nome di che, in realtà, designava un’aquila od avvoltoio rossiccio, che doveva servire ad identificare l’avvoltoio di Tizio, di cui la pena era raffigurata lì vicinò;
14
252
BILYCHNIS
Segue la prima serie dei peccatori comuni: chi odiò in vita i fratelli, chi colpì il padre (e qui si sente l’influenza romana: qui patrem pulsa verit, manus ei praecidatur, XII Tab.), chi frodò il cliente (Patronus si clienti fraudem faxit, sacer esto); chi non s’occupò che delle ricchezze accumulate, gli adulteri presi in flagrante, chi combattè guerre empie, gli ingrati verso il patrono: di essi espressamente non è detta la pena (Ne quaere doceri | quam poenam .. vv. 614-615). Il v. 616, già ricordato» nel quale molti vogliono soltanto vedere ricordate con un plurale maiestatico la pena del solo Sisifo e quella del solo Issione, potrebbe portare ad ammettere un intiero gruppo di dannati di cui verrebbe uetta espressamente la punizione mentre non è ricordata la colpa, di quelli, cioè, che, dovendo spingere macigni ed essendo legati con le membra stese a ruote, sono colpiti in modo generale colle pene che erano la caratteristica dei due personaggi mitologici, per indicare i quali il singolare per il plurale, usato qui per l’unica volta e senza ragione, può sembrare strano, venendo tanto più dopo un’enumerazione di ordine generale e dopo che la Sibilla, avendo rifiutato di dirne la pena e qual specie di delitto o qual sfortuna ne abbia causata la perdita, sembra quasi volerne dare almeno un breve cenno: Issione inoltre è espressamente ricordato al v. 601.
Si ha quindi un secondo gruppo di personaggi mitologici: Teseo, che siede eternamente; Flegias che a gran voce ammonisce, un po’ tardi, i dannati a seguir la giustizia ed a non disprezzare gli dei: segue, quindi, una seconda serie generale di puniti, chi vendette per denaro la patria o le diede un padrone, chi fabbricò leggi per denaro, chi commise incesti, una folla di colpevoli d’ogni sorta di delitti che sarebbe impossibile ricordare. In conclusione, si hanno alternati, in modo che gli uni sembrano la esemplificazione degli altri, due gruppi di personaggi mitologici e due serie di dannati anonimi, cui forse il poeta voleva estendere, secondo il genere delle colpe, le pene tradizionalmente riservate ad alcuni.
Di queste pene, poi, alcune, e specialmente quella di Salmoneo (1), non si cernii) Di esso è soltanto detto che paga pene crudeli, mentre poi la Sibilla dichiara che lo vide (...vidi, v. 515) imitare la folgore ed il tuono di Zeus, per ¡’Elide, col percuotere del bronzo e lo squassar delle faci, onde il Dio lo colpì col fulmine; ma tale non può essere una pena nell’oltretomba, visto che non si può ripetere continuamente, ma il suo castigo in vita, quale forse Virgilio lo vide raffigurato in una pittura, scuotendo le torcie, sul cocchio, mentre la folgore lo colpisce dal cielo. Nel caso di Deifobo (VI, 494) e di Ettore (II, 270) i morti sono rappresentati quali erano nell’ultimo momento della vita: qui, invece, nell’aspetto che .avevano avuto sulla terra. Riguardo a Salmoneo, sarebbe questo un esempio dei tanti procedimenti di magia simpatica, per l’esistenza di legami tra l’uomo e la natura, che può essere spinta a ciò di cui si dà l’esempio, come ancora nel xix secolo a Dorpat con una caldaia di rame, dei tizzoni accesi, dei rami bagnati, s’imitava il tuono, la folgore, la pioggia, ed anticamente a Crannone, per aver la pioggia, si rotolava un carro con un vaso d’acqua. Da una pittura raffigurante Salmoneo che provocava la pioggia e di conseguenza la folgore, si sarebbe passata ad un’altra, in cui il fùlmine era la punizione mandata dal Dio: ma ciò sempre durante la vita dell'eroe; solo più tardi l’idea orfica della perpetuità della pena sarebbe venuta a sovrapporsi a rappresentazioni popolari di estinti, nei loro aspetti caratteristici o in vita od in morte: un'esegesi a tendenza etica avrebbe trasformati in supplizi, rinnovandoli continuamente, gli atti o gli aspetti dei morti (S. Reinagh, Sisyphe aux enfers et quelques autres datnnés, in Revue d’Archiologie, 1903).
15
L’OLTRETOMBA NEL LIBRO VI dell’ « ENEIDE »
253
prende bene in che cosa consistessero e come potessero venir applicate nell’Ade. Importa far notare che tutte queste pene sono eterne e sono le tradizionali, anche se estese ad intiere categorie: non è però che in questo caso si voglia dire che il poeta intendesse far corrispondere alla colpa la pena, applicando rigorosamente il contrappasso; s’avrebbe solo qui un tentativo d’estendere ad una serie intiera la pena tradizionalmente caratteristica d’un solo.
È anche da mettere in rilievo la base essenzialmente morale: i dannati dell’Ades, oltre i personaggi mitologici, sono colpevoli, come violatori delle leggi divine ed umane, ritenuti tali dalla coscienza universale. Si è quindi lontani dal rimprovero che poteva fare Diogene il Cinico ai misteri di Eieusi, che iniziavan tutti, eccetto gli omicidi, senza indagare nè vita, nè azioni, nè carattere: « il ladro Patekion, perchè iniziato, avrà dopo morte sorte migliore di Agesilao e di Epaminonda »: ormai fra i colpevoli sono tutti quelli che han recato offesa al diritto degli dei, della famiglia, della società (1).
Sin qui le sedi dei puniti. Passando davanti alla soglia del palazzo di Dite, l'eroe troiano depone come offerta il ramo aureo, si asperge, purificandosi, di acqua lustrale, e, procedendo, giunge ai campi Elisi. Accanto alla concezione di un Elisio òceanico, celebrato dall’lMss&i, da Esiodo, da Pindaro, vi è quella di un Elisio sotterraneo. Quest’idea segue Virgilio (2): vasti campi di cui l’aria maggiormente pura offre più largo orizzonte, illuminati dalla magnifica luce di un sole più bello e brillante del nostro e da costellazioni proprie (è da notare che al v. 887 gli Elisi sono detti « aeris campi », avvolti da caligine, forse però volendo mettere il mondo sotterraneo in opposizione a quello che il vostro sole rischiara; per altri, si tratterebbe dei circoli d’aria attorno alla luna, sede dei beati).
La regione non è tutta piana, non mancando i rilievi (vv. 675-676): l’attraversa il fiume Elidano: è ricca di boschetti e di verdi praterie; gli eroi attendono alle occupazioni che avevano in vita, esercitandosi alla lotta sui prati o sulle arene, cantando cori, godendo come un tempo dei cavalli e delle armi, banchettando al canto di lieti peani: sono i guerieri e gli eroi, di cui Orfeo rallegra le danze: v’è chi cadde combattendo per la patria (malgrado il v. 47S e ne fu detta la ragione), i sacerdoti, i vati, i poeti, gli inventori, chi in qualche modo ben meritò degli altri: tra essi, chi si dedicò alle arti della pace ha la fronte cinta di bianca benda. Non è loro assegnato nessun posto fisso, nè vi è tra essi alcuna distinzione (v. 673): errano per i campi, si riposano nei folti bòschi o nei prati verdeggianti lungo i ruscelli. Benché ombre vane, come non han consistenza i carri, le armi e gli oggetti che li attorniano, sì che invano cerca Enea di abbracciare il padre, pure sono ben delineate, come persone normalmente dotate di coscienza e di ragione, avendo, in genere, più consistènza dei relegati nel Limbo.
L'Eliso non è privilegio di pochi, poiché si parla di fòlle (plurima turba, v. 667): niente indica che non sia concesso a tutti l'arrivarvi, ma, tuttavia, anche qui la virtù oscura, gli uomini senza gloria non sono ricordati.
ì) Rohde, Psyche (trad; it.), Bari, 1914, p. 315.
•2) Pascal, op. eit.» I, p. 142.
16
254
BILYCHNIS
Attorno ad Anchise, che il figlio va ad incontrare, sono le anime di coloro che devono rientrare nei corpi, dopo aver bevuto Tacque del Lete; sono numerose ed il loro ronzio rassomiglia a quello delle api attorno ai fiori: sulla reincarnazione Anchise espone una teoria da riconnettere alle idee care ai pensatori opinanti che. massimo piacere fosse per l'uomo lo studio della natura e delle sue leggi (i), quasi in ragione diretta della sua difficoltà, come nel sogno di Scipione chi ha difesa, ingrandita, salvata la patria ha nell'oltretomba felicità eterna, consistente nell’osservare l’universo, ammirarne le bellezze, seguire il movimento degli astri, sentire l’armonia delle sfere, contemplare senza velo quel che solo si intravvede dalla terra.
Interpretando dottrine pitagoriche e platoniche, Virgilio espone che l’universo è animato da una specie di vita interiore (spiritus intus alit, v. 726): un soffio divino passa per tutte le parti e le vivifica; da essa vien tutto ciò che vive e respira, e non solo l’anima umana è una particella della mondiale, ma anche quelle degli esseri diversi, emanate dalla grande anima universale, ne sono come le scintille: la materialità dei corpi appesantisce la loro essenza eterea e di qui le agitazioni e le passioni dell’anima, che vengono unicamente dalla sua unione col corpo, la cui associazione ha fatto perdere al principio divino la sua purezza.
I mali di cui il corpo è causa, passioni, malattie, colpe non finiscono collo staccarsi dell’anima dal corpo: le anime si devono purificare (2): avvenendo, secondo Servio, in genere le purificazioni o con le fiaccole o collo zolfo o con le lustrazioni d’acqua o con l'aria, di cui tipica era quella per il fuoco, le anime in Virgilio si purificano 0 col fuoco o sospese al vento o nei gorghi marini, o, secondo altri, passando in corpi aerei, terrestri (in cui è il fuoco), marini: ognuno soffre, dopo morte, i patimenti che ha meritato (quisque suos patimur manes, v. 743). Dopo che la purificazione è stata compiuta, tutti se ne vanno al vasto Elisio, ma i più non vi restano: solo una piccola parte (pauci, v. 746) rimane, finché, tolta ogni macchia, l’anima sia pura parti-cella dell’etere, e, dopo mille anni, sono spinti dalla divinità al Lete, affinchè, immemori, desiderino ritornare nei nuovi corpi.
Qui ci troviamo di fronte a due Elisi: uno, quello delle leggende popolari, cui i beati pervengono subito: Anchise vi è il primo giorno dopo la morte (3); conservano tutti le loro passioni e non v’è certo traccia di purificazione: come Didone conserva immutato nel Limbo l’odio per l’antico amante,. Anchise mantiene la tenerezza paterna pel figlio. All’altro Eliso sembrerebbe che tutti indistintamente debbono giungere, solo attraverso differenti espiazioni senza vita e senza coscienza: non si mostrano già nclTaspetto che ebbero nei corpi in cui furono, ma in quelli nei quali saranno, od in uno degli atteggiamenti caratteristici della vita futura (sed frons laeta parum et deiecto lumina vultu, v. 862) o con qualche attributo della futura dignità (pura iuvenis qui nititur hasta, v. 760; geminae stant vertice cristae, v. 779).
Queste anime sono ben differenti dalle già ricordate: non hanno nè consistenza, nè occupazione; tutte assieme non fanno più rumore che api ronzanti; vanno a bere
(1) Boissier, op. cit., p. 555.
(2) Pascal, op. cit.. Il, 143'.
(3) Boissier, op. cit., p. 557.
17
L’OLTRETOMBA NEL LIBRO VI DELL’ « ENEIDE »
255
al fiume dell’obblio ma in realtà non sembrano averne bisogno: passano davanti al capo riconoscibile della lor razza, senza alcuna emozione: eppure, han tutti i loro tratti caratteristici, sì che fàcilmente possono esser ravvisati; non sono neppure sicuri di venire alla luce (si qua fata aspera rumpas, v. 882).
Si avrebbero qui come due campi Elisi, coesistenti, di cui a molti non par facile dar una spiegazione o fonderli assieme, malgrado ogni sforzo, per la contraddizione che è nelle cose stesse, sovrapponendosi spesso nelle menti alle vecchie idee dell’infanzia i nuovi concetti filosofici, senza arrivare ad una fusione: così non v’è un luogo nettamente scelto per la purificazione delle anime (1): si tratta sempre di una parte degli Elisi, una verde valle non distante dalle regioni occupate dai beati, separata da lievi alture e bagnata dal Lete, ma non chiaramente distinta dal resto, tanto che è facile e quasi istantaneo il passaggio dall’uno all’altro luogo (hoc superate iugum et facili iam tramite sistam, v. O76): nè si comprende come mai una tal folla d’anime aspetti sulle rive del Lete da secoli e millenni.
Quantunque tutto ciò sia in contraddizione con la disposizione tanto dell’Ade che dell’Eliso e con lo stato delle anime che ivi sono, bisogna pur notare che, da una parte, quel che riguarda concezioni popolari è, più che altro, seducente rappresentazione poetica, destinata ad agire sugli spiriti, e che la metempsicosi, anche tralasciando le idee personali del poeta, era necessaria per fornir l’occasione ad uno sguardo profetico sulla Roma futura, mostrandola veramente destinata, per volere divino, a reggere i popoli: il « tu regere imperio populos. Romane, memento » (v. 851) è in un certo qual modo la sintesi, e, nel medesimo tempo, la ragione d’essere di tutta revocazione della futura gloriadi Roma e di tutta la descrizione del mondo sotterraneo.
D’altra parte, le idee di Virgilio sulla metempsicosi, van viste alla luce delle platoniche, di cui, in molte cose, non sono che un riflesso, per cui le anime si presentano nude, affinchè niente nasconda le loro colpe, ai giudici, che, pronunziata la sentenza, o infliggono la pena od avviano alla dimora dei giusti: alle due sedi si giunge per due diverse vie, di cui l’una conduce in basso, l’altra in alto. I castighi sono gravissimi ed eterni per le grandi colpe, minori e temporanei per gli altri falli, e possono essere diminuiti per mezzo dell’espiazione; ma mentre nella concezione pindarica i giusti si confondono con i grandi ed i potenti della terra, sia pur nobilitati dalla conoscenza della virtù, qui son tali invece le anime purificate dalla filosofia: i potenti, invece, come tiranni, sono tra i tormenti. Oltre i colpevoli ed i beati v’è una terza classe, quella delle anime che espiano: dopo mille anni si ha- una reincarnazione, eccetto per gli eletti giunti alla felicità definitiva ed i grandi colpevoli, che, volendo uscire dal Tartaro, sono trattenuti da un tuono. È lecito alle anime che devono tornare in terra scegliere il corpo nuovo e la futura condizione, la sola successione essendo data dalla sorte, sì che l’araldo può proclamare: « la scelta è libera, non accusate Dio ». Prima di unirsi per la seconda volta al corpo le anime vanno al fiume dell’oblio, a cui i saggi bevono moderatamente, sì da stentare meno a ricordarsi di quel che lor accadde nell’altra vita e perfezionarsi più presto; mentre le altre anime
18
256
BILYGHNIS
tornano alla patria celestre dopo dieci periodi millenari, libere dal ciclo delle migrazioni, delle rinascite e delle pene, i filosofi non attendono la fine del grande anno cosmico e dopo tre periodi risalgono al cielo.
Evidentemente, Virgilio ha attinto da queste idee il concetto dell’espiazione delle anime che fa sì che vi sia una specie di Purgatorio nell’Eliso: l’ha accordato con le altre parti del sistema? Nel Tartaro, i dannati sembrano colpiti da pene eterne, non essendovi nessun accenno ad una liberazione prossima o lontana, che anzi l’eroe troiano parla ed agisce nei divèrsi incontri e nelle varie occasioni, come chi, destinato all’Eliso, non debba più rivedere, nemmeno in altra sede, chi è nell’Ades (me-lioribus utere fatis, v. 546; extremum fato, quod te adloquor, hoc est, v. 466).
Non solo per i puniti del Tartaro ma anche per le anime del Limbo, che, in realtà, non si possono dire di veri colpevoli e per quelle che sono al di là dell'Acheronte, nel vestibolo dell’Ade, si può asserire che nulla debbono sperare e che invano cercano di piegar colle preci il voler degli dei (v. 376). Le pene realmente inflitte nel Tartaro non corrispondono affatto a quelle generiche e con carattere puramente di catarsi delle anime espianti.
Dove vanno i buoni dopo le diverse incarnazioni?: le anime che sono agli Elisi, non dovendo questo essere un luogo di penitenza, dovrebbero godere di felicità perfetta, che, del resto, non consisterebbe in un gran che, trattandosi di piaceri semplici e materiali; ma pure non sembra affatto che i guerrieri, i poeti, i sacerdoti che conservano le occupazioni abituali della vita, il che rivela continuazione di affetti e di simpatie terrene, vi siano giunti per via di purificazione: e nessuna catarsi, nè lunga nè breve, avrebbero potuto subire i figli di Priamo, periti poco prima gli anni infausti della guerra, o lo stesso Anchise, morto da sì poco tempo: nè vale dire che qui sono soltanto gli eletti, i giusti pervenuti subito alla felicità, perchè una qualche sede dovrebbe pur averla ogni anima, dovendosi anche calcolare l’infinita turba di coloro che proprio perfezionandosi giunge alla beatitudine.
D’altra parte gli Elisi, nel loro complesso, non possono essere considerati luogo di penitenza, essendo esplicitamente descritti come la sede dei beati ed essendo tali quelli che vi dimorano e per nulla dediti ad espiazioni; anche dal lato topografico è difficile concepire negli Elisi, luogo di felicità, una regione che, senza differenziazione apprezzabile dal rimanente, ma solo un po’ appartata, serve o di luogo di purgazióne o di punto di riunione delle anime espianti.
Ad eliminare ogni difficoltà si sono considerati gli Elisi come una specie di Paradiso Terrestre (1), di cui, al massimo, la regione delle anime presso al Lete rappresenterebbe il Purgatorio, mentre la sede della felicità perfetta, il terzo regno, sarebbe nell’etere celeste, nel circolo lunare: tutte le anime tornano, all’etere originario, volando esse in alto nel cielo tra i pianeti: se non altro le anime degli eroi e dei grand saggi salirebbero al cielo della beatitudine: come per Platone il soggiorno alle Isole Fortunate era uno stato intermedio, non il grado supremo della felicità {Gorgia, LXXIX, 524 a; LXXXVI, 526 c), le anime beate pervenendo più alto, alle regioni
(1) Pascal, op. cit., II, 120, 147, 202-222.
19
L’OLTRETOMBA NEL LIBRO vi DELL’« ENEIDE»
257
ultra celesti (Fed., LXII; Rep., X, 614 c.» 619 c.; Fed., XXIX, 249 a): così Ennio fa dire a Scipione Maggiore che solo a lui si aprirà la massima porta dei cieli, se pure ad altri sono concesse le regioni degli dei. Più volentieri, abbandonando le concezioni materiali di una partecipazione alla mensa ed alle gioie dei numi, si attribuisce come sede all’eroe un astro, se pure non vorrà mutarsi in costellazione, come Virgilio augura ad Augusto (Georg., I, 31-32 su Plat. Tim. 428; Rep., X, 614 c.).
Neppure, però, in questo modo sono eliminate le varie contradizioni, che anzi non viene nettamente designata la sede ordinaria dei beati comuni, tra i quali, ripetiamo, è lo stesso padre Anchise, cui dovrebbe toccare la sede più elevata. Virgilio avrebbe dovuto qui più che altrove mettere in armonia le esigenze della tradizione, da cui derivava la raffigurazione popolare degli Elisi popolati di beati, guerrieri ed eroi con le dottrine filosofiche cui si riconnetteva la dottrina della metempsicosi, ma non sembra che egli si sia troppo sforzato a farlo.
In realtà, vivono l’uno accanto all’altro due sistemi: per il primo, due sono i regni dell’oltretomba e gli stati delle ànime o dannazione nell’Adeso beatitudine nel-l’Eliso, immediate ed eterne entrambe; per il secondo sono tre, dannazione, purgazione e beatitudine essendoci tra i due ultimi un grado intermedio, una felicità minore, di ordine più materale, quella degli Elisi, considerando inoltre che neppure la dannazione dell’Ades doveva essere eterna, come lo era platonicamente per certe colpe, poiché nulla esclude che tutte le anime dovessero e potessero purificarsi: di queste due concezioni, la filosofica e la tradizionale, che più che fuse sono accostate l’una all’altra, non si sente troppo vivamente il contrasto perchè le leggende popolari ed i concetti tradizionali servono a dar vita, rilievo e consistenza ad un oltretomba, di cui solo alla fine vien data una spiegazione filosofica, ma mirando specialmente a quello scopo che è la ragion d’essere di tutto il libro, la glorificazione di Roma: e questo scopo giustifica e spiega tutte le contraddizioni ed il dualismo continuo delle concezioni. È per questo che le anime purganti sono poche (pauci, v. 744) (1): sono soltanto quelle tante che occuperanno i corpi dei futuri eroi romani e non più; sono un numero determinato: le destinate (quibus altera fato corpora debentur, v. 713-714): per esse solamente e non per tutte le altre il poeta fa valere qui la teoria dell’anima universale: alle altre lascia la condizione tradizionale.
Non v’è, quindi, una descrizione sistematicamente regolata e completa dell’oltretomba e della condizione delle anime, tale da potersi accettare come un dogma, che risponda ad ogni dubbio, ad ogni questione, senza contraddizioni o mancanze : Virgilio non è un rivelatore ma è chi, vivificandole con le tradizioni, ha maggiormente contribuito nella romanità a divulgare quell’insieme di idee spiritualistiche (2) per cui, mentre in Orazio l’al di là è l’«exilium tremens» (Od. 5, 11,3, 27), nel suo poema le anime anelano a purificarsi della « lucis dira cupido » (v. 721).
C. Rostan.
(1) Sabbadini, op. cit., p. 81.
(2) Boissier, La religion romaine d‘Auguste aux Antonins, Paris, 1874, H, P- 349 e passim.
S'
20
PER LA STORIA DI UN TERRIBILE DOGMA
Ha espressione ysswx toù zuoó; (gehenna ignis della Volgata) ricorre una prima volta in Mt., 5, 82 a segnare la misura massima di responsabilità morale e di pena morale accanto alle due altre espressioni scrac zpfeei..... to gvvsSoìw
(FoZg.; reus erit Micio... reus crii concilio).
Col fuoco si espiavano i più gravi delitti (V. Ugolini, Thes. Sacr. Antiq., XXX, 1033) e Gesù adoperando un linguaggio imaginoso, popolare e per nulla affatto teologico, sale dalle minori pene alla massima pena del fuoco evocando la valle di Hinnon, luogo fuori di Gerusalemme, dove ardevano enormi fuochi accesi per consumare i rifiuti della città. La espressione è innegabilmente simbolica come le due precedenti xpioii, e non autorizza menomamente il riferirsi del pensiero del Rabbi
galileo alla realtà d’una gehenna punitrice nella vita futura.
Successivamente, al vers. 29, la medesima espressione torna a significare il massimo grado di responsabilità e di pena a cui l’uomo che trascura di lavorare pazientemente, eroicamente anche se occorre, quaggiù sè stesso dovrà sottostare nella futura vita. Tutta intera la frase è simbolica: «strippati Vecchio e gettalo lungi da te... perchè tutto intero il corpo tuo non abbia a cadere nella gehenna ». I due membri della frase s’equivalgono nel loro significato morale, esattamente, nel campo del più puro simbolismo. Da una parte è indicato un esiguo sforzo morale che può costare relativamente un piccolo dolore, certo minore di quella (necessariamente, logicamente morale) pena che l’uomo restio a scalpellarsi qui, a riformarsi, a lavorarsi troverà poi di là, nello scheol, nelTo&s come spirito disincarnato. L’uomo che non s’abitua qui a vivere la vita dello spirito, qui dov’essa è necessariamente per la gravezza della soma corporea tenue ancora, si troverà fatalmente in un assai penoso stato là dov’essa sarà piena ed unica vita. Ecco che il fuoco torna (Mt., 7, al pensiero di Gesù che adopera una imagine chiaramente parallela all’altra della gehenna: « ogni albero sterile di buon frutto sarà taglialo e gettato neifuoco ». Tra Gesù, l’ideale più puro incarnato in un uomo, e colui che a codesto ideale non avrà, od avrà solo a parole e non a fatti, conformata la propria vita c’è un abisso la cui spaventosa profondità sarà resa evidente quando le realtà vive e distraenti di quaggiù saranno perite... « in quel giorno... io dichiarerò a costoro : ma io non v'ho conosciuti mai!lungi dunque da me! » (Mt., 7, 22- 23).
Più tardi (Mt., 25, *x) le due espressioni equivalenti (cioè simboliche entrambe): il distacco da Gesù ed il fuoco — di scedi te a me... ite in ignem — si troveranno riunite ad esprimere con raddoppiata enfasi quel malessere spirituale che incomberà sopra l’uomo che si troverà impreparato a respirare l’atmosfera dello spirito.
21
PER LA STORIA DI UN TERRIBILE DOGMA
259
a vivere d’un ideale che non è stato affatto, mai, l'ideale suo. Nella concezione drammatica del giudizio severo che si dovrà svolgere effettivamente (sempre allora, in illa die...) nelle profondità turbate dell'umana coscienza, anche la voce che esprime la pena si fa più intensa e non solo vi si parla del fuoco della gehenna 0 della distanza che separa l’uomo,. nella sua vita pratica come s’è passata nel mondo, dall’ideale della bontà suprema che il Cristo gli ha offerto, ma le due frasi s’accoppiano insieme, ed insolitamente aggravate: come il discedite è rinforzato coll’epiteto maledicti così al fuoco della gehenna già sufficientemente dipinto dalla imagine stessa quanto alla intensità, viene anche aggiunto il carattere d’una lunga durata « sì; tò ttjo tò aióvtov ».
Non che l’aggettivo, com’è usato da Gesù, abbia il senso preciso di eterno come lo intendono i teologi. La voce greca aìóvio; non equivale alla voce scolastica aeternus. Certo, se non l’ha deformata la Volgata nel cui linguaggio mistico la parola aeternus può ancora aver conservato il giusto valore delia voce greca, la quale non esprime se non una lunga durata e sarebbe stata meglio tradotta con saecularis, è indubitabile però che la speculazione teologica ha tradita la parola di Gesù accostandosi alla interpretazione che Sant’Agostino (grande filosofo, ma assai mediocre esegeta) ha stranamente salvata, a dispetto dello sforzo vigoroso che procedeva da Origene,, nel naufragio del rigorismo pelagiano.
Forse la frase di Mt., 25, ”, relativa al fuoco « il quale è stalo preparato al diavolo ed agli angeli di lui » (tò nella lezione greca più accettata) o
meglio l’altra « il quale preparò il Padre mio al diavolo ed agli angeli di lui » (0 ¿ToijxaGsv ó jm>5 d’una notevole lezione occidentale) ha potuto favorire una concezione realistica della gehenna a danno del simbolismo evangelico. Ma, l’una 0 l’altra lezione si voglia considerare, la frase è una continuazione viva, un maggior prolungamento della metafora. Tanto più è orribile la pena, tanto maggiormente da evitarsi dall’uomo in quanto ne accomunerà la sorte con quella dei maggiori ministri del male : questo e nulla più la frase enfatica vuol significare.
Ancora in Mt., 13, ”, è accennato ad « una cupa fornace dì fuoco * come alla sorte definitiva degli iniqui contrapposta, imagine ad imagine, al fulgore sidereo di cui si dovranno rivestire i giusti. Così in Le., 16, 2‘, l’arsura del fuoco esprime simbolicamente la pena del ricco gaudente di riscontro ad un’altra imagine, il riposo nel seno di Àbramo, con la quale è indicata la sorte felice del povero che aveva qui le briciole della lauta mensa. Tutto in questo passo impone l’interpretazione metaforica. Dapprima la natura stessa della narrazione, che è una parabola; quindi la vivacità colorita delle imagini di cui è contesta, infine il simbolismo di cui è evidentemente saturo il linguaggio da Gesù attribuito al ricco penante: «manda Lazaro perchè tocchi la punta del dito nell’acqua a fine di umettare la mia lingua ».
Del resto la imagine di cui si serve Gesù per designare la pena morale cui per effetto della riprovazione che emanerà dalla coscienza l’uomo dovrà sottostare, non è sempre codesta della gehenna.
Già in Me., 9, -»3--Ì5, accanto al fuoco inestinto Sg^sgtov, compare coi più chiari caratteri di sinonimia, di raddoppiamento enfatico il verme (oy.v):c£) che non muore.
22
2Ó0 BILYCHNIS
Come mai, posti così come sono sulla medesima linea, dovrebbe essere metaforico il verme che si ritorce perennemente in se stesso e non esserlo più il fuoco che brucia senza consumarsi ? Forse nessun passo scritturale è così decisivo come questo di Marco.
Altre volte l’imagine è radicalmente cambiata. Se la gioia dei buoni è possesso del regno condiviso col Padre, l'ideale più alto di bontà e di giustizia raggiunto, come nella similitudine usata in Mt., 25, 34; il tormento dei riprovati è rimorso che brucia (zvp) e rode ma dove la felicità è espressa invece
come il festoso assidersi a mensa coi grandi Patriarchi del popolo (¿vxzXcvsgOx’., Mt., 8, "), il dolore è raffigurato necessariamente con la imagine contraria: rimaner fuori della sala del banchetto illuminata, riscaldata, risonante di liete voci, fuori nell’oscurità della sera, al freddo della notte orientale, colle lacrime al ciglio e il tremore nelle membra. E ciò sempre che ricorra la medesima metafora del convito, che è identificato col pasto principale della giornata, il pasto serale, la cena (Le., 14, 16) come in Mt., 22, ‘3. Dove a completare il parallelismo tra il premio e la pena secondo il medesimo linguaggio metaforico, allo splendore dell’abito festivo dei buoni è contrapposta pel malvagio l’ignominia dei tristi lacci con cui è legato mani e piedi prima d'essere espulso dal convito.
Così, dove il possesso del regno, la gioia finale dell’ideale raggiunto, è assomigliata (Mt., 25, ’) a quella parte del corteggio nuziale che per effetto dell’attesa vigile, perseverante ha parte nel festino, la pena di quel gruppo che ne è invece escluso è qui, tutta, nel doversene rimanere fuori, nel cuor della notte. Per contro torna spontanea la imagine del fuoco là dove, paragonati i buoni al frumento che viene raccolto nei granai del padre di famiglia, i tristi sono raffigurati nella inutile erbaccia destinata alle fiamme (Mt., 13, 3°; cfr. Le., 3, x7).
Ben chiaro è adunque che della ricca varietà delle imagini che il linguaggio orientale gli consentiva, Gesù s’è servito non per definire precisamente la natura della pena cui sarebbero andati incontro i riprovati, ma unicamente per metterla sott’occhio ai suoi ascoltatori con quella vivezza oggettiva d’espressione che doveva essere naturale in lui e rendere facilmente accessibile agli altri il suo pensiero.
I teologi, intorno ad essa, hanno preteso di farci sapere molto di più di quanto effettivamente ha creduto di dirci il Rabbi. E, come la grande tribolazione con cui nel pensiero di Gesù il mondo sarebbe finito ed attraverso alla quale avrebbero dovuto passare, quasi attraverso ad un fuoco purificante, gli eletti (il carattere metaforico di codesto fuoco è del resto evidentissimo' in Ia Cor., 3, ’3, I» Pietro, 1, ’7) è divenuta, lavorata dalla speculazione teologica, nientemeno che
un nuove, un terzo stato, intermedio, delle anime nella vita futura dove ad un fuoco reale, invece, è assegnata, spostata dal suo primitivo luogo, una funzione purificatrice, il Purgatorio; così una tra le tante, impressionanti, imagini, la più fosca e la più viva, di cui Gesù s’è servito per indicare nel futuro regno dello spirito la posizione dolorosa dei tristi, la gehenna, divenne l’Inferno, con un fuoco sulla cui natura specialissima non si sono accordati ancora, bontà loro, i teologi ma della cui cruciante realtà fisica non è permesso ad alcuno dubitare.
23
PER LA STORIA DI UN TERRIBILE DOGMA 2ÓI
G. Foresti (in Fede e Vita, anno VI, n. 3, pag. 78: « Quello che ancora oggi si pensa dell’inferno») scrive: « È il Medio Evo che canonizza il fuoco dell’Inferno. Da una parte la tendenza scolastica a soffocare teorizzando l’allegorismo, da un’altra la ferocia dell’ambiente in cui i peccatori erano bruciati con tanta facilità sulle piazze, infine il concetto che del fuoco poteva fornire la fisica del tempo ».
Senonchè la concezione medievalistica dell’ Inferno che per poco non ha affermata la realtà, oltre che del fuoco, del verme da cui sono rosi i reprobi, degli staffili e delle catene con cui li straziano i demoni, degli stagni di fuoco liquido e di zolfo bollente in che sono immersi, ossia di altre evidenti imagini di libri apocalittici canonici ed apocrifi nati nell’ambiente medesimo in cui si produssero i sinottici e (rispetto a noi) coevi degli stessi, non ha, a dire esatto, canonizzato il fuoco. Essa ha fatto prevalere la interpretazione realistica sull’allegorismo : questo solo.
Ma la teorica del fuoco metaforico che fu sostenuta da Sant’Ambrogio (in Le., 7, 205. Migne, 15, 1754; in Ps., I, 56, Migne, 14, 952) e che ebbe le simpatie di San Gregorio Nazianzeno (Orat., 40, 36, Migne, 36, 412), che Sant’Agostino stesso, pure sostenendo la eternità della pena, appoggiava volentieri (de Civit., XXI, io, 2, Migne, 41, 725) sulla parabola del ricco epulone, a cui San Gerolamo (in Isai., 66, 24, Migne, 24, 676) non negava la sostenibilità ed il fondamento scritturale rimase ancora per assai lungo tempo accettabile nel cattolicismo anche dopo Pietro Lombardo; vedi il famoso talis lingua, talis ignis di Durando sulla esegesi della parabola del ricco malvagio e la. premura con cui San Bonaventura scagiona la Scrittura dal l’appoggiare la interpretazione realistica (in Sent., 4, 44, p. 2, art. 2, q. 1).
Anche dopo San Tomaso, che pure si sforzò di dare del fuoco materiale la prova decisiva.
Bossuet ha potuto sostenere vibratamente la dottrina del fuoco metaforico senza uscire dalla Chiesa non solo, ma senza provocarne le censure (Sermone sulla gloria di Dio nella conversione degli erranti, parte ia; Sermone sulla necessità della penitenza; Sermone per la Domenica delle Palme). A poca distanza da noi, il Terrone — un eminente teologo romano — è stato libero di scrivere (de Deo creante, c. VI — de futura hominis vita, art. 30) parole come queste : « Omnia quae spectant poenarum naturam de fide non sunt... Nullo ecclesiae decreto ncque ulla in Synodo sancitum est ignem esse corporeum ». Non fu che recentissimamente, proprio sulla fine del secolo decimonono che Roma ha parlato chiaramente: «non sunt dbsol-vendi qui pertinaciter teneant ignem aeternum non esse realem sed metaphoricum (S. Poenitent., 30 aprilis 1890). Ecco la canonizzazione del fuoco reale.
Il Medio Evo l'aveva concepito e spiegato come possibile, ma non aveva rifiutato l’assoluzione a Sant’Ambrogio ed al Nazianzeno. Roma Vaticana, canonizzando la scolastica, legando indissolubilmente alla sua caduca interpretazione la sorte del cristianesimo non poteva essere più anacronisticamente maestra dell’orbe come più ferocemente anticristiana.
S. Bridget.
24
LE ORIGINI DEI BATTISTI IN RUSSIA
uei che sono bene addentro nei problemi religiosi della Russia non ignorano che il lento disfacimento della Chiesa Ortodossa è seguito da un rapido fiorire e svilupparsi delle sette mistiche e razionalistiche. Il protestantesimo che domina sovrano col suo spirito scientifico la scienza teologica ortodossa, che informa le aspirazioni or segrete, or potenti del grande esercito del clero bianco, è penetrato eziandio nelle masse sociali, abbrutite dal l’alcool ismo, schiave di un for
malismo ritualistico, e le ha strappate gradatamente al loro torpore religioso per ¡schiudere ad esse nuovi orizzonti.
I» nostri asserti sono convalidati dall'esplicita testimonianza dei missionari russi, i quali consacrano le loro sterili energie alla lotta contro il rapido progredire dei dissidenti russi. Infatti, i loro resoconti ufficiali attestano che i contadini russi attratti nell’orbita delle sette smettono l’ubbriachezza ed il fumo, si liberano dalla piaga dell'analfabetismo, frequentano con ardore le loro case di preghiera, cantando inni sacri e spiegando il Vangelo, e dànno prova di una morale elevazione che la Chiesa ortodossa è inetta a produrre negli animi dei suoi aderenti. Naturalmente, i missionarii russi si astengono dallo svelare la causa di questo fenomeno. Le sette russe derivate dall’influsso del protestantesimo stanno in più intimo contatto col Vangelo, con la parola vivente del Signore, che fruttifica nelle anime dei loro aderenti, laddove i membri della Chiesa ortodossa non sentono quasi mai questa parola, e limitano la loro vita religiosa ad una inerte assistenza agl'interminabili e pomposi uffici della liturgia greca. Ne segue che il cristianesimo russo, e in generale il cristianesimo ortodosso è una religione di facciata, un formalismo vuoto di contenuto, l’esecuzione materiale di una sublime melodia che il cuore però non comprende, un sepolcro imbiancato che non cela nelle sue latebre la fiammella della vita.
Tra le varie sette russe contro le quali si rivolgono attossicati gli strali dei teologi ortodossi e la severità della polizia russa, la più bersagliata è quella dei Battisti che ai nostri giorni ha preso uno sviluppo considerevole, ed è riguardata dal clero russo ortodosso come il più grave pericolo per .la Chiesa ufficiale. Non sarà quindi discaro riassumere nel presente articolo la storia delle origini e primitivo sviluppo dei Battisti in Russia.
25
LE ORIGINI DEI BATTISTI IN RUSSIA
263
* * ♦
Il movimento Battista in Russia si collega al cosidetto movimento Standista o Stundismo. Le origini tedesche di questo nome sono chiarissime.
Stunde in tedesco significa ora, e gli Standisti derivarono in Russia il loro nome dal fatto che i membri dello Stundismo ad ore fisse si riuniscono nelle loro case di preghiera per cantarvi inni sacri ed ascoltarvi la spiegazione del Vangelo.
Lo Stundismo, preso nel senso più largo, si attribuisce, oltre che ai Battisti, ad altre sette russe svoltesi sotto l’influenza del protestantesimo, quali sarebbero quelle dei Molocani, dei Pascovtzy, ecc. Secondo il Dobroklonskiy, i veri battisti sarebbero designati con l’epiteto dei Vecchi Stundisti (Starostundisti), le cui idee religiose furono importate in Russia da pastori tedeschi. I Vecchi Battisti ripudiano il battesimo dei bambini, e ribattezzano i membri di altre confessioni cristiane che si ascri: vono tra i loro aderenti: i giovani Stundisti, diffusi sovratutto nella provincia di Kiew usano battezzare i fanciulli e jion ribattezzano i convertiti da altre chiese cristiane. Tuttavia, siccome anche in America i Battisti sonò divisi in varii gruppi a seconda della diversità delle loro opinioni teologiche, che si aggirano specialmente sulla natura del battesimo e la sua necessità, così tutti i differenti gruppi di Battisti russi, nonostante le loro divergenze dottrinali, possono classificarsi sotto l'appellativo generale di Stundisti.
♦ ♦ *
Secondo Alessi, vescovo di Vladimir e Suzdal, uno dei più accurati conoscitori della storia dei Battisti Russi, « i Battisti rappresentano in Russia lo svolgimento naturale e le logiche conseguenze delle dottrine introdottevi dal Protestantismo intorno alla possibilità dell’eterna salvezza senza il ministero del sacerdozio, l’inutilità del culto delle sacre immagini, dei digiuni, delle cerimonie liturgiche, la necessità della lettura del santo Vangelo, e di una fede viva in Dio, fede che non deve punto consistere negli atti esterni di pietà ».
A render famigliari i principi del protestantesimo ai contadini russi contribuirono efficacemente, si può dire, esclusivamente i coloni tedeschi che, nella seconda metà del secolo xvm con l’autorizzazione del governo russo si stabilirono nella Russia meridionale. Il manifesto imperiale del 22 luglio 1763, che schiudeva ai coloni tedeschi le frontiere della Russia, vietava loro severamente di turbare la coscienza religiosa dei contadini russi, e di attirarli fuori della Chiesa ortodossa. A questa legge si piegarono i coloni tedeschi, tanto più che in quei tempi vigeva in Russia il sistema del servaggio, e i contadini legati alla gleba erano in piena balìa dei loro padroni, che potevano venderli, fustigarli a sangue e, talfiàta, anche ucciderli. Da una parte quindi i coloni tedeschi astenevansi dall’esercitare una propaganda religiosa tra individui che non avevano il diritto di pensare nè di vivere a loro talento, e dall’altra i contadini russi non poteano prestare ascolto a predicatori stranieri.
—fri—ur ‘--
26
264
BILYCHN'IS
perché l'apostasia dalla Chiesa ortodossa li avrebbe resi invisi al clero ed ai loro padroni, e soggetti a pene gravissime.
Lo sviluppo delle influenze protestanti tra i contadini russi ebbe il suo punto di partenza e il suo rapido slancio nel 1860, quando Alessandro II soppresse il regime di servitù che sopravviveva in Russia come legato infame di barbara età! I contadini divenuti liberi o piccoli proprietari cominciarono a coltivare relazioni amichevoli con gli agiati massai tedeschi, e ben presto ne subirono l’influsso nella loro vita domestica. Dei contadini russi che viveano in prossimità delle colonie tedesche, gli uni lavoravano come manuali, 0 mercenari presso i coloni, gli altri prendevano loro in fitto un ettaro di terra per coltivarlo a lor profitto. Relazioni commerciali stabili vansi eziandio fra coloni e contadini, e questi ultimi cominciarono a vestirsi alla tedesca, rinunziando alle loro larghe casacche russe; a radersi, peccato gravissimo che, secondo l’ultimo patriarca russo, Adriano, non si può cancellare nemmeno col sangue del martirio, e riserba a coloro che lo commettono la vergogna di un volto deforme nel cielo. Le lunghe pipe tedesche furono adottate dai contadini intedescati, i quali imbastardirono eziandio il loro linguaggio con termini tedeschi, ed organizzarono alla tedesca la loro domestica suppellettile. Dal dominio della famiglia l’influenza tedesca passò nel campo delle idee sociali e religiose. Ed infatti tutti i documenti ufficiali, raccolti dal vescovo Alessio nel suo importante volume: Materiali relativi ài movimento religioso e razionalista nella Russia meridionale durante la seconda metà del secolo decimonono (Kazan, 1908), attestano che i pionieri russi dei Battisti, Ratusny, Okissenko, Kapustian, ecc. furono contadini vissuti nell’intimità coi coloni tedeschi, e che le prime comunità di Battisti sorsero in luoghi vicini alle colonie tedesche. In un documento del 14 marzo 1866 inviato dal giudice di pace del distretto di Chersona, al governatore di questa città, si legge: « Le origini dello Stundismo nella nostra provincia sono le seguenti: il villaggio di. Osnova è in prossimità della colonia tedesca di Rohrbach, ed i contadini, trovandosi in continuo contatto coi coloni, e parecchi di essi avendo loro servito per parecchi anni, adottarono a causa della loro semplicità ed ignoranza le usanze tedesche. In seguito, avendo imparato praticamente il tedesco, ed acquistata una certa famigliarità con le idee religiose dei coloni, si convertirono alla fede di questi. Il fondatore della setta in Osnova è Michele Ratusny, un contadino [che prima era stato al servizio dei coloni tedeschi di Rohrbach». Un altro documento di Znacko-Iavorsky, diretto al generale Koceba, e inserito' nella Raccolta del vescovo Alessio, attribuisce ai coloni tedeschi la paternità dei principii comunisti e fatalisti professati dagli Standisti russi. In una lettera del 14 marzo 1873 diretta al governatore di Chersona, Giorgio Kuris, un grande proprietario rurale, dichiara che i coloni tedeschi col fanatismo della loro predicazione e col* miraggio di vantaggi materiali pervertono 1 contadini ortodossi e li attirano alla loro setta. Ed il governatore stesso di Chersona in una relazione del 26 giugno 1870, al Ministro russo dell’interno, dicea che lo sviluppo dello stundismo fra i contadini russi dipendea dall’influsso dei coloni tedeschi luterani, i quali predicando le loro dottrine religiose vi aggiungevano la negazione di parecchi dommi fondamentali della Chiesa ortodossa.
27
LE ORIGINI DEI BATTISTI IR RUSSIA
2Ó5
* « *
I primi predicatori delle dottrine Battiste in Russia vennero dalla Germania, dove nel secondo quarto del secolo xix I. G. Oncken fondò ad Hamburg la prima chiesa battista, .e divenne l'apostolo dei battisti tedeschi. Uno zelante cooperatore dell’Oncken, il Lehman, accordossi con pastori di altre confessioni protestanti. Metodisti, Hutteriti, ecc., e fondò una sezione speciale dell’AHeanzà Evangelica, che nel secolo xix ringagliardì ammirabilmente il protestantesimo tedesco. Da questa sezione, furono inviati in Russia i primi missionari, che predicarono le dottrine protestanti tra i Lituani, i Lettoni ed i Russi, e guadagnaronsi molti proseliti. Tra questi missionari giova menzionare i nomi di F. Bedecker, che visitò parecchie volte la Russia Meridionale.; G. Fast, redattore del Glaubensbote che organizzò in Russia le prime comunità battiste; I. Rock, che nel 1867 si stabilì nella Transcaucasia, ed esercitò un'attiva propaganda. Alla diffusione dello Stundismo contribuirono eziandio parecchi Russi, per es, il barone Korff, M. Kalweith, S. Bagda-sarw, di nazione Armeno, Albert pastore della colonia di Grossliebenthal (provincia di Odessa), l’agente della società biblica in Russia, I. Deliakov, ed altri. Il vescovo Alessio dichiara che i metodi seguiti dai predicatori dello Stundismo, rispondono a quelli tracciati dallo Schaff, nelle Istruzióni ai missionari della Lega Evangelica. Ai contadini russi si mostrava dapprima che vi erano relazioni di fraternità tra i Protestanti e i seguaci di altre Chiese cristiane; in seguito la predicazione si accompagnava ad opere di misericordia corporale ed a benefiche istituzioni.
Nella storia dello Stundismo della Russia meridionale campeggia sovrana la figura di Carlo Bonnekampfer, pastore della summentovata colònia di Rohr-back. Egli è considerato come l’iniziatore del movimento Battista in Russia, come l’apostolo del razionalismo teologico. Il Bonnekampfer era figlio di un pastore della colonia di Rohrbach. Studiò nel primo ginnasio di Kiew, e compì gli studi di teologia negli Stati Uniti. Ritornato in Europa, passò qualche tempo nella Svizzera, e nel 1867 recossi in Russia, e si dedicò a diffondere le sue dottrine religiose tra i contadini Russi.
A Rohrbach, egli cominciò a compiangere l’ignoranza dei contadini Russi, dediti all’ubbriachezza, inetti per la loro disordinata condotta morale ad acquistare quella agiatezza per cui i tedeschi erano loro tanto superiori. Dichiarò quindi che il suo compito era quello di elevarli ad un grado superiore di coltura religiosa, di far di essi dei cristiani convinti ed attivi, non già degli automi destinati a fare i pali nelle funzioni religiose, e a tale scopo volea aggregarli alla confraternita degli amici di Dio istituita da lui. Onde meglio spiegare la sua influenza studiò a perfezione il russo, lesse trattati di teologia ortodossa, comprò un buon numero di versioni russe del Vangelo, e le distribuì tra i contadini che sapeano leggere alquanto, e indirizzò loro delle omilie per ¡spiegare passi evangelici. Per evitarsi poi dei dissapori con le autorità civili, dichiarò loro che la sua missione era semplicemente filantropica, e ch’egli era ben alieno dall’attrarre i Russi nella sua confessione. Sorsero in tal modo confraternite battiste in Odessa, e in vari distretti del governo
28
266
BILYCHNIS
di Chersona. I contadini accorrevano ad iscriversi in queste confraternite pei vantaggi morali e materiali che ne derivavano.
In questo periodo primitivo di organizzazione, il Bonnekàmpfer si aggiunse parecchi soci, in genere contadini di vivace intelligenza, e zelanti propagatori delle sue dottrine. I più noti sono tra altri Michele Ratusny, Gerasimo Balaban, Alessandro Kapustian, Elia Osadcy. Dal villaggio di Osnova, il movimento battista si diffuse a Liubomirka e Karlovka, nel distretto di Elisabetgrad. Balaban predicò la nuova fede nel suo nativo villaggio di Ciaplinka, distretto di Tarassanka, ed in altri villaggi del governo di Kiew. Due discepoli del Balaban predicarono le dottrine battiste a Plosskoe: ì loro nomi • sono Paolo Czybulski e Giuseppe Tysz kiéwicz.
Il clero russo cominciò ad impensierirsi e ad invocare dal governo severi provvedimenti. Secondo varie relazioni al Sinodo, i Battisti Russi negavano le dottrine fondamentali dell’ortodossia russa: ripudiavano la Sacra Scrittura, come fonte della fede (?...), rigettavano il culto delle immagini sacre, della croce, dei santi, delle reliquie. e l’efficacia dei sacramenti. Essi cominciarono a tralasciare la comunione nelle Chiese ortodosse, a non chiamare più i preti ortodossi pel sacramento del-l’Estrema‘Unzione da conferirsi agl’infermi, e non di rado bruciarono le ¡coni così venerate dal popolo russo, oppure le inviarono al prete ortodosso, dicendo che non sapeano che farsene.
Il primo risultato della guerra mossa dal clero ortodosso alla nascente comunità dei Battisti, fu il trasferimento del pastore Bonnekampfer dalla sua parrocchia di Rohrbach a quella di Neudorf, nel distretto di Tyraspol. Gli ostacoli frapposti in seguito dalla polizia russa alla sua propaganda religiosa, lo consigliarono a trovarsi un asilo in più spirabile aere, ed il i° luglio 1876 rinunziò alla sua carica, ed il 7 ottobre del medesimo anno salpò alla volta degli Stati Uniti.
I germi però deposti dai pastori tedeschi nel suolo russo continuarono a svolgersi, ed originarono un vasto movimento religioso che attualmente estende le sue ramificazioni in tutta la Russsia, e desta le più serie preoccupazioni nelle sfere dirigenti dell'ortodossia russa. Basti dire che il famigerato Costantino Pobiedo-noszev, nella sua relazione ufficiale sullo stato della Chiesa Russa durante il 1901, dichiarò che i dissidenti affiliati ai varii gruppi dello stundismo formano le sette russe più pericolose sotto l’aspetto religioso e politico. Le leggi sanzionate dal governo russo contro il Raskol qualificano di estremamente dannose le comunità battiste. Uno dei più violenti e fanatici oppositori del Raskol in Russia, B. Skvorcov, nel periodico intitolato Missionerskoe Obozrienie inveisce contro i battisti chiamandoli nemici della fede e dell'amor patrio: cuori impregnati del veleno del nihilismo e del materialismo.
Le ire dei missionari russi si rivolsero specialmente contro Ratusny, Rabo-sapka, e Balaban.
Ratusny, come ce lo tratteggia Tsakni, era un'anima appassionata nella ricerca della verità, una di quelle anime che frequentemente trovansi nelle file del popolo russo, e che ostacolati nello sviluppo delle loro forze morali dal tradizionalismo della Chiesa ortodossa, diventano fautori di scismi. Negli esordi del suo apostolato.
29
LE ORIGINI DEI BATTISTI IN RUSSIA
267
imitò l’esempio di tutti i cercatori di verità religiosa. Se ne andò ramingo di convento in convento, arrestando i passanti, e domandando loro ciò che bisognerebbe fare per vivere secondo il Vangelo e la verità. Nella città di Kiew s’imbattè in un altro contadino, Ivan Rabosapka, ansioso anch’egli di scoprire il vero. Discussero insieme a lungo su temi di fede e di morale. Infine convennero che era giunto il tempo d’invitare il popolo ad abbracciare una vita più spirituale. Si recarono insieme in una colonia di Battisti tedeschi e vi assimilarono le loro dottrine.
Ratusny divenne il patriarca dei primi Battisti russi. Dapprima egli li riuniva presso di lui per ¡spiegare il Vangelo. In seguito le adunanze divennero pubbliche. Aderendo alle nuove dottrine, i Battisti russi rompevano qualsiasi relazione coi loro sacerdoti ortodossi. Ratusny amministrava il battesimo, presiedeva i servizi religiosi, dirigeva i funerali.
Rabosapka organizzava a sua vòlta le comunità battiste di Karlovka, e Liu-bomirka. Egli distinguevasi per la sua energia. Benché inoltrato negli anni, appli-cossi allo studio del russo letterario e del tedesco, e predicò con grande ardore la nuova sua fede. I contadini che lo ascoltavano s'infervoravano talmente che alle volte bruciavano in pubblica piazza le iconi sacre, attirandosi severe repressioni. La polizia russa finì per arrestarlo e gettarlo in carcere insieme con Ratusny e il fratello di questi.
Uno zelante propagatore delle dottrine battiste fu altresì Gerasimo Balaban, nativo della provincia di Kiew. Egli avea contratto matrimonio con una tedesca, sinceramente devota alla fede battista. Cominciò a diffondere le sue convinzioni religiose nelle osterie, nei caffè, nelle case particolari. Tra i giovani contadini russi sceglieva i più svelti e i più dotati d'intelligenza ed affidava loro l’incarico di aumentare il numero dei proseliti. La polizia russa lo arrestò, ma i suoi seguaci in segno di protesta, processionalmente si recarono a deporre dietro le porte della Chiesa ortodossa le immagini sacre che aveano in casa.
Nel 1870 i Battisti aveano 11 comunità nei distretti di Odessa, Elisabetgrad, e Ananievsky. Il movimento Battista continuò la sua rapida marcia, e' pochi anni dopo troviamo comunità battiste nei governi di Kaluga, Novgorod, Orenburg, Penna, Samara, Saratov, Tambov, Riazan, Smolensk e Mosca.
Allora il clero russo cercò di soffocarlo con l'aiuto della polizia, ed inaugurò quel periodo di persecuzione dei Battisti, del .quale parleremo in un prossimo articolo .
Ivan Liabooka.
30
P
i
PEREGO/RA DELL'ANIMA
SULLA SOGLIA
Dedico queste pagine alla, cara Invisibile nella .comunione della quale sono stale scritte.
ulla soglia, intendo dire: sulla soglia dell’invisibile. La maggior parte degli uomini temono di fermarvisi. Alcuni però, che il dolore ha ferito, si provano a soggiornarvi. Essi soffocano quaggiù, e il pensiero dell’Al di là finisce per possederli.
La questione dell’invisibile si presenta tosto o tardi ad ogni creatura umana. Non soltanto ci sentiamo al ristretto in questo mondo, in cui si piange e si muore; ma la sete di perfezione da cui siamo riarsi non ci permette di credere che
tutto finisca colla tomba.
Alla questione dell’invisibile è strettamente connessa quella degl’invisibili. Che cosa pensare dei nostri Morti? Come figurarci la loro condizione attuale? Possono essi ancora interessarsi ai viventi?
A questo proposito, la pietà di cui si accontentano la maggior parte delle Chiese evangeliche è muta. Si ha un bel interrogarla, essa non risponde nulla, ed essa non risponde nulla perchè non le importa di nulla sapere. Praticamente vi è poca differenza tra il materialista il quale dice: « dall’altro Iato non c’è nulla », e il protestante il quale afferma che vi è di certo qualcosa, ma che non si può dire che cosa vi sia. Io conosco numerosi credenti sinceri, nella vita dei quali i Morti non tengono alcun posto.
Due fatti spiegano questa povertà di cui soffriamo.
In primo luogo, non bisogna mai dimenticare le circostanze in mezzo alle quali si è elaborata la dottrina evangelica. Essa è stata foggiata da uomini ai quali occorreva un’arma di guerra. Preoccupati anzitutto di atterrare l’avversario, a loro premeva di colpire forte più che di prendere bene la mira.
Per tagliar corto a tutte le esagerazioni a cui il bisogno di sentirsi in comunione
31
SULLA SOGLIA
269
coi Morti aveva dato luogo, essi hanno soppresso tanto l’uso legittimo quanto l’abuso; hanno purificato la tradizione, ma l’hanno anche notevolmente impoverita.
Il secondo fatto è questo: allorquando studiamo il Nuovo Testamento, siamo stupiti di trovarvi così poche informazioni precise sulla condizione dei Morti, e poiché tacciono i nostri libri sacri, ci pare che non possiamo far meglio che imitarli. Dimentichiamo, ragionando in questo modo, che l’attitudine dei primi cristiani era determinata dalla convinzione del ritorno imminente del Cristo. Essi camminavano cogli occhi volti al cielo senza pensare ad altro che al prossimo trionfo. Da quel tempo 19 secoli sono trascorsi, il Cristo non è tornato e la morte non ha smesso l’opera sua. Non abbiamo dunque più il diritto di pensare come si pensava allora.
Non impunemente la pietà s’imprigiona negli orizzonti terrestri. Non appena essa perde il senso dell’invisibile, svolazza rasente il suolo e decade. Essa diventa la pietà che teorizza p che s’agita senza resultato decisivo.
Ma s’ha un bel fare: la questione di cui si pensava essersi sbarazzati sorge all’ improvviso e l’anima angosciata pretende una risposta. Ho conosciuto degli evangelici i quali, turbati in quell’ora dal silenzio nel quale s’ostinava la loro Chiesa, le hanno voltato le spalle e si son buttati in funeste avventure. Volevano ad ogni costo trovare la soluzione e, siccome la chiedevano invano alla pietà tradizionale, sono andati a cercarla altrove (1).
Dio mi guardi dall’esagerare. Io caratterizzo in questo momento la tendenza generale del protestantesimo, ma non ignoro che esistono terre protestanti le quali sono rimaste al riparo da tanta aridità e dove scaturiscono fonti vivificanti: così la mia terra natale del Ban de la Roche in Alsazia. Oberlin or sono cent’anni, Cristoforo Dieter-ben or sono quarant’anni, hanno professato, riguardo ai Morti, tutt’altra cosa che il nihilismo a cui ci s’è assuefatti altrove. Non sono dunque in alcun modo un novatore allorquando affermo l’importanza che deve acquistare il pensiero del mondo invisibile. Ciò facendo, rimango fedele alle tradizioni della mia gioventù, e non faccio altro che ripetere a mio modo gl’insegnamenti dei grandi servitori di Dio sotto l’influenza dei quali mi sono sviluppato.
I.
Le affermazioni della Bibbia.
Constatavo più sopra che il Nuovo Testamento ci aveva lasciato pochissimi ragguagli diretti sulla condizione dei Morti. Esso contiene, d’altra parte, numerose affermazioni dalle quali è facile trarre, sotto forma di conseguenze, quanto c’importa di sapere.
1. Formulo la prima di quelle affermazioni fondamentali servendomi della parola che Gesù, poco prima della morte, rivolse ai suoi discepoli: Perchè io vivo, pure voi VIVRETE (Giov., 14-19).
(1) L’autore allude alle pratiche spiritiche e alle teorie teosofiche. Vedi una sua lunga noia più avanti. N. d.‘ T.
32
27O
BILYCHNIS
Si possono a questa parola riavvicinare molte altre simili (Giov., 6-48: Io sono il pane di vita; Giov., 15-5: Io sono la vite, voi siete i tralci; Fil.» 1-21: Il Cristo è la mia vita e la morte è per me un guadagno, ecc....) e si giunge a questa doppia conclusione:
ti) Il Cristo è il Vivente dei viventi. A lui s’applica la parola del poeta:
Ei vive, vive, vive; vive perdutamente (1).
b) Avendo la sua sede nel centro stesso della vita, il Cristo dispone a suo piacere di essa a favore dei suoi discepoli. Tra la vita che è quella del Cristo e la vita alla quale sono chiamati i credenti non v’è diversità di natura. È una sola e medesima vita.
2. Ecco la seconda affermazione della S. Scrittura: Il grande Vivente manifesta la pienezza di vita, di cui possiede il secreto, mediante una pienezza di azione.
Mio Padre, diceva Gesù, opera del continuo e anch’io opero (Giov., 5-17).
In lui s’incarna l’azione divina nella sua intensità. « Ogni potere, diceva egli, mi è dato nei cieli e sulla terra ». Non,vi è dunque concetto più errato di quello che immobilizza il Cristo nella sua gloria. La gloria di Cristo consiste nello splendore d’un’tmcw che nulla esaurisce e nulla delimita.
D’altronde, vivere significa agire. È impossibile concepire un modo di vivere che non sia un modo di agire (2).
Per parte mia, non capisco in che modo noi potremmo vivere col Cristo, il quale non cessa di agire, senza agire con lui, e concludo che—se la vita che riempie il cuore dei credenti è la stessa vita del Cristo — essa implica da parte loro un’attività simile a quella del loro Maestro.
3. S. Paolo ci provvede la terza affermazione allorquando esclama:
Ciò che si sarà seminato lo si raccoglierà (Gal., 6-7).
La messe è la conseguenza diretta della seminagione: tal semina, tal raccolto. Se dunque conosciamo la natura della semina, ci è facile prevedere quella della messe. Allorquando semino dell’orzo, io non mi aspetto del grano.
In altri termini, ci basta sapere ciò che Dio brama da noi quaggiù, per intuire l’opera alla quale c’invita nell’Al di là.
Se io esprimo colla parola Azione buona il modo d’essere e di fare ch’è il fine della nostra esistenza terrena, posso dire: Dio vuole che ci esercitiamo sulla terra all’Azione buona affinchè l’adempiamo Lassù in tutta la sua intensità. Davvero, non saremmo stati creati per l’Azione sulla terra, se non fossimo chiamati ad agire un giorno nel cielo.
(1) Victor Hugo dice, parlando di Dio:
Il est, il est, il est; il est éperdùment. N. d. T.
(2) Alcuni filosofi, lo so bene, affermano che la vita perfetta consiste nella contemplazione della perfezione divina. I fautori del pensièro puro esaltano volentieri questo a danno dell’azione; ma la massa non li segue, e, in questo caso, è la massa che ha ra-gjonc- D altronde, la questione di sapere se il pensiero 0 piuttosto l’azione comunica all esistenza il suo più alto valore, questa questione, dico, non può essere risolta col ragionamento. E affare di apprezzamento personale.
33
SULLA SOGLIA
27I
IL
Che cosa ha da intendersi per « Azione buona »?
Rispondo: l’Azione ispirata dallo Spirito del Cristo.
L'Azione che il discepolo compie sulla terra deve riprodurre, nelle sue linee distintive, l’Azione compiuta da Gesù Cristo nei giorni della sua carne. L’Azione buona nel cielo si svolgerà nella comunione del Cristo vivente e all’immagine della sua attività gloriosa.
Non v’è, beninteso, alcuna opposizione tra l’opera che ha segnato il passaggio del Cristo quaggiù e quella di cui egli è presentemente l’artefice; solo che la prima è stata compiuta in pieno abbassamento, la seconda si espande nella gloria.
Quale il Maestro, tale il discepolo. Come l’ho detto, se questi è chiamato ad agire sulla terra, gli è per preparare l’Azione sua nell’Al di là, come succede per la semina di cui la messe costituisce l’unica ragion d’essere. Io medito dunque gli Evangeli per sapere di quale natura è l’Azione buona, poco importa ch’essa si compia quaggiù o Lassù.
Queste a me paiono le sue caratteristiche essenziali, quali il Cristo'ce l’ha rivelate:
1. Essa è armonica, nè intermittente, nè incoerente, nè febbrile, essa coopera col tempo, ogni cosa è fatta nella propria ora.
2. Essa è l'azione integrale. In ogni suo atto il Cristo metteva tutto il suo cuore, tutta l’anima sua e tutto il suo pensiero.
Egli nulla diceva che non fosse fortemente pensato. Allorquando agiva, un sentimento potente lo ispirava, e pur tuttavia l’azione sua era sempre ragionata e ragionevole. Non era nè l'attività a sbalzi dell'impulsivo, nè l’atto meccanico al quale il cuore e il cervello non partecipano in alcun modo;
L’azione di cui il Cristo ci ha dato l’esempio è, in somma, lo sforzo dell’uomo intero il quale prende coscienza di sè stesso e, nello stesso tempo, si rivela ai suoi simili.
3. Quest’Azione'buona è l’Azione solidale. Il Cristo è stato l’uomo solidale, tutto insieme l'Uomo-Dio e l’Uuomo-Umanità, non facente nulla senza suo Padre, nella dipendenza assoluta del quale ei viveva, desideroso altresì di legare a se stesso i propri fratelli col vincolo costituito da una comunanza di sforzi.
Azione nell’umiltà e nella fede, da un lato, e nell’amore dall’altro lato: azione per Dio e per gli uomini, con Dio e con gli uomini, ma sempre in Dio. L’attività feconda sulla terra si chiama cooperazione. S. Paolo ne dà la formola allorquando dichiara: Siamo membri gli uni degli altri (Roin., 12-5).
34
272
BILYCHNIS
4. L’Azione buona è sempre benefica. In un mondo asservito al peccato, il solo beneficio che valga è la liberazione dal male. Buono è l’atto che concorre a questa liberazione, sterile è l’atto non ispirato da alcun pensiero liberatore.
L’Azione buona, quale il Cristo l’ha manifestata sulla croce, è dunque un’Z^zowe redentrice. Quest’azione, ripetendosi nella fede al Cristo Crocifisso, fa del salvato un salvatore. Gli uomini si perdono, bisogna strapparli alla perdizione; soffrono perchè hanno peccato, bisogna abolire il peccato per sopprimere il dolore. Il programma redentore avvolge la terra e i cieli, esso provvede all’Azione buona un campo di lavoro degno di lei.
Si dice spesso: Come si può concepire l’esistenza nel cielo? Chiunque si eleva al-, l’intelligenza dell'Azione buona, quale essa si svolge nel suo splendore, ha risolto il problema. Che cosa sono le potenti armonie che alle volte ci sollevano al disopra di noi stessi se non una debole eco di quelle che accompagnano Lassù l’opera dei beati? (1).
L’Azione traboccante alla quale essi si abbandonano senza mai perdere il pieno possesso di se stessi, è davvero l’Azione integrale. Fanno quel che dicono, e dicono quel che sono. Si sanno interamente solidali con Dio ed è per questo ch’essi vanno di forza in forza. Si sentono solidali coi loro fratelli e in questo consiste la loro gioia. Pur vivendo ognuno della vita che gli è propria, essi vivono nello stesso tempo della vita di tutti. L’isolamento apparisce loro come il maggiore dei peccati e come la peggiore delle disgrazie. L’Azione cooperativa non basta loro più, essi praticano quell’Azione misteriosa, di cui non facciamo quaggiù che presentire la bellezza e che implica la compenetrazione perfetta delle anime in Dio. E la parola che sulla terra si ripete del continuo senza comprenderla diventa Lassù la più gloriosa delle realtà: Uno per tutti, tutti per uno!, uno in tutti, tutti in uno!
Ma insomma, che cosa fanno? mi chiedete voi. Ve lo dico subito: Vivendo della vita del Cristo, associati alla sua attività, essi collaborano alla Redenzione universale.
Vi ricordate i bei versi?
Sono dei re, un dì poveri schiavi Di cui il Cristo infranse le catene. Liberi alfin dai loro ceppi Sull’Universo regneran (2).
Questi versi dicono il vero. Perchè, nell’ordine della perfezione che è l’amore, regnare e salvare sono la stessa cosa.
E questo basta, mi pare. Se volessimo andare più in là, rischieremmo d’andare troppo oltre.
(1) Faccio osservare che, in queste pagine, mi occupo soltanto delja condizione dei beati. Considero le anime le quali lasciai! la terra orientate verso la luce in tal modo che esse, tosto 0 tardi, « saranno col Cristo e là dov’Egli è ». Non è qui il luogo per considerare la situazione, svariatissima e dolorosissima, in cui si 'trovano le altre anime.
(2) Ce soni des rois, jadis pauvres esclaves
Dont Jésus-Christ a fait tomber les fers Libres enfin de leurs entraxes. Ils vont régner sur 1‘Univers.
35
ISAIA.si ia
IOSON QVEL
£HE Vi JCONSO ‘la .
A QUELLI CHE RESTANO
|I9I5-X|
37
SULLA SOGLIA
273
IH.
I nostri invisibili s'interessano a noi.
In fondo, la questione che domina tutte le altre è questa: I nostri invisibili vivono davvero, oppure resistenza loro non è altro che un’apparenza di vita?
Se non s’interessassero più a noi, vuol dire ch’essi non ci amerebbero più, e se non ci amassero più, si condannerebbero a non so qual vita incompleta.
Ora, ho detto e ripetuto che i nostri Morti beati sono per eccellenza dei viventi Mentre noi quaggiù vegetiamo soltanto, essi aspirano a pieni polmoni l’aria delle vette eterne. Ma chi dice pienezza di vita dice pienezza d’amore e per conseguenza pienezza d’azione.
I primi cristiani sapevano ciò che affermavano quando esclamavano: «Credo nella comunione dei santi ». Comunione dei santi, cioè comunione dei credenti: sulla terra e nel cielo. Comunione, presenza, presenza attiva: è una cosa sola allorquando si tratta degli spiriti glorificati pei quali la distanza non esiste.
Noi li rivedremo un giorno, e merita davvero il conto di molto lottare e di molto soffrire per affrettare quel gran giorno. Giammai giorno simile a quello sarà sorto per noi. Giorno di luce penetrante!, non più oscurità, non più ombre. Le piaghe si rimargineranno, i rimpianti, come nebbia dissipata dal sóle, svaniranno. Pace profonda!, gioia che nulla potrà più alterare. Essi verranno, verranno incontro a noi e li ritroveremo, loro, proprio loro, trasfigurati però e liberati da tutte le infermità da cui erano afflitti. Ma ecco, la speranza di quel rivedersi non ci basta. Ci occorre una consolazione immediata, e questa consolazione può solo esserci procurata dalla certezza della loro attuale presenza.
Mi si domanderà forse: in che modo i nostri Invisibili ci fanno sentire la loro influenza? La risposta mi pare facile. I nostri Morti beati vivono nella pienezza dello spirito, è dunque un’azione del tutto spirituale ch’essi esercitano su di noi.
Di solito, quaggiù, gli spiriti comunicano solo per l’intermediario dei corpi. Essi operano dal di fuori, la loro azione è esteriore all’uomo che ne è l'oggetto. Prima che il pensiero rivolto a me dal mio amico possa toccare là mia anima, occorre che prenda per veicolo la sua voce e che venga a colpire il mio orecchiò. Questa regola, però, non è senza eccezioni. Allorquando, in certi casi, l’amore interviene con potenza e ch’egli Stabilisce tra i cuori quel vincolo della perfezione di cui possiede il monopolio, dei fatti completamente nuovi si producono. Un forte affetto crea tra gli uomini un modo di comunicazione che gli spiriti inariditi dall'egoismo non possono nemmeno supporre. Le anime possedute da un grande amore tentano di compenetrarsi l’una l'altra; si comprendono senza parole; talvolta persino lo sguardo diventa superfluo.
Questa è l'azione spirituale che i nostri Invisibili esercitane su di noi. I loro spiriti glorificati comunicano direttamente col nostro. Essi non fanno subire alcuna pressione all’uomo esteriore; ma agiscono esclusivamente sull'uomo interiore e sulle molle nascoste che in lui si trovano. La loro presenza non s'annunzia a nói come
38
274
BILYCHNIS
quella d’un padrone che comanda, ma come quella d’un amico che suggerisce e che consiglia.
I nostri Immortali procedono per ispirazione e questa, lungi dal violentare la libertà nostra, la provoca e l’aiuta a prendere il suo pieno slancio.
Allorquando un problema vi ossessiona e il timore di non trovare la risposta vi tormenta, non perdete coraggio, ma gridate a Dio, e Questi, all'ora stabilita dalla Sua sapienza, farà la luce sulla vostra via. Non dispone egli, per questo scopo, di mille mezzi? Chissà? la soluzione sorgerà forse sul vostro orizzonte sotto forma di una subitanea intuizione; un pensiero improvviso illuminerà la vostra mente, e, per poco che voi comprendiate come funziona l'azione dall’Alto, sentirete che l’intervento degl’invisibili non è estraneo ai risultati ottenuti.
Alle volte tutto va male. Le corde della nostra volontà stanno rallentandosi; diventiamo lo zimbello dei nostri impulsi. Ad un tratto, un’impressione affatto diversa da quella che ci ossessionava, penetra l’anima nostra; la vivifica, la tonifica. Riprendiamo coscienza di noi stessi, ci scuotiamo, ci rialziamo e, umiliati ma riconoscenti, riprendiamo il nostro cammino. Siate pur certi: uno dei nostri cari Invisibili ha traversato il campo dei nostri pensieri.
Ma come — verrà obbiettato — voi andate sino al punto da attribuire all’Azione degl’ Invisibili ciò ch’è il fatto dell’Azione divina ? Ma voi togliete a Dio la gloria che a Lui è dovuta per darla alla creatura ; badate di non diventare un idolatra.
Dio mi guardi dal togliergli la gloria che a Lui è dovuta. Il solo pensiero di ciò mi fa orrore. Quel che fanno gl’invisibili, essi possono farlo, sappiatelo bene, solo perchè vivono in Dio e agiscono al suo servizio e nell’atmosfera della sua potenza.
Ma, se Dio rimane l’autore di quei benefici, a che prò fare intervenire degli intermediari ?
Perchè appunto piace a Dio di non far nulla direttamente. Finche non si è afferrata codesta legge fondamentale degli intermediari non si può capir nulla del piano divino. Studiate l’opera di Dio sulla terra e vedrete che sempre per mezzo degli uomini Dio agisce sopra gli uomini. Mettereste in dubbio, per caso, la potenza di Dio allorquando ricercate i consigli d’un amico più sperimentato di voi? Rinunciereste a far appello alla misericordia divina allorquando andate ad attingere forza e coraggio nella comunione dei vostri simili?
Ripeto ciò che dicevo più sopra: La terra è il luogo della semina. Le medesime leggi governano la semina quaggiù e la mietitura Lassù. La morte accelera lo sbocciare dei germi; essa non ne modifica la natura. Se la legge degl’intermediari regge il lavoro divino quaggiù, essa opera nello stesso modo Lassù.
«Gli Angeli, ci dice l’Epistola agli Ebrei, non sono dessi tutti degli spiriti al servizio di Dio e mandati per causa di coloro che devono ereditare la salvezza? » (Eb., 1-14).
Se Dio associa all'opera redentrice gli spiriti angelici, perchè si priverebbe Egli del concorso dei nostri beati?
Gesù afferma d'altronde che un giorno noi saremo simili agli angeli. Se diventeremo simili ad essi, sarà di certo per agire anche nel modo in cui essi agiscono. In quel giorno, noi aiuteremo coloro che devono ereditare la salvezza: tutti gli uomini ed in special modo i nostri congiunti.
39
SULLA SOGLIA
275
IV.
Che cosa fare per riavvicinarci ai nostri Morti?
Una sola via ci conduce verso di loro: quella della fede.
L'Apostolo diceva: « Non camminiamo per la vista ma per la fede » (II, Cor., 5-7).
Qui, difatti, bisogna rinunziare a vedere.
Dio ci ha detto: « Per un po’ di tempo non li vedrete più, per un po’ di tempo non li udrete più. Li chiamerete e non vi risponderanno; li cercherete e non li tro verete ».
Guai a noi se ci ribellassimo contro la volontà divina, e se tentassimo d’entrare in relazione coi nostri Invisibili mediante ogni sorta di mezzi dubbi !
Non v’è che il sentiero della fede che porti in luogo sicuro; tutti gli altri conducono in qualche palude (1).
La fede è lo sforzo dell’anima verso la perfezione. Il fondo dell’anima è costituito dalla fame e dalla sete di ciò che è perfetto.
Ora, non vi è nulla di perfetto nel mondo dei corpi. Tutto ciò che nasce, tutto ciò che si sviluppa, tutto ciò che muore è governato dalla legge dell’imperfezione.
(1) Alludo alle pratiche a cui si abbandonano gli Spiritisti per evocare i morti. Pigliando di fronte allo Spiritismo l’atteggiamento del silenzio o del disprezzo, si è battuto una falsa strada perchè lo Spiritismo guadagna del continuo aderenti nelle nostre grandi città e nelle nostre più remote campagne. Gli Spiritisti non sono affatto dei ciarlatani, come pensa taluno; vi sono invece fra di essi persone sincere, intelligentissime e degne del massimo rispetto.
Invece di volgere in ridicolo la religione spiritica (perchè si tratta d’una vera e propria religione nuova) si farebbe meglio di confutare con solidi argomenti le sue affermazioni. Questi non mancheranno a chi si dia la briga di riflettere seriamente sulla questione. Mi limito a indicarne tre che mi paiono d’importanza decisiva.
i° L’argomento religioso. Lfho esposto pur ora. Se è piaciuto a Dio di toglierci, per atto perentorio della sua volontà, ogni mezzo sensibile di comunicare coi nostri Morti, gli disobbediamo, e l'offendiamo allorquando pretendiamo ugualmente di parlare con essi adoperando procedimenti materiali.
20 ‘L’argomento tratto dalla natura dell’anima umana. Gli spiritisti posseggono una conoscenza incompleta dell’uomo. L’uomo è qualcosa di molto complesso, a doppio e a triplo fondo. Egli di solito non si rende conto delle facoltà misteriose che sonnecchiano nelle regioni oscure dèi suo essere. Alle volte gli sembra che qualcuno gli parli. Egli esclama: « E uno spìrito ». Lo crede in piena buona fede, senza sospettare che in questo non c’è altro, insomma, che uno sdoppiamento della propria personalità, e che, in quanto a dialoghi, non ve n’è altro se non quello che si svolge tra sè stesso e sè stesso.
3® L’argomento tratto dall'esperienza. Ho visto molte persone avviarsi per la via pericolosa; ho constatato a parecchie riprese i risultati deplorevoli prodotti dalla disarticolazione interna alla quale si sottoponevano e dalle vane immaginazioni delle quali si pascevano. Esse consumavano le loro energie nel correr dietro a fuochi fatui, con loro proprio danno e senza utilità pei loro simili.
Soggiungo questo. I Profeti, questi educatori di aita razza, sapevano quello che si facevano allorquando si accanivano a distogliere il popolo d'Israele dall’evocazione dei morti. Essi miravano semplicemente a pieservare l'integrità della sua ragione e della sua coscienza.
40
276
BILYCHNIS
La perfezione resta il segno distintivo dello spirito e delle sue opere. Dio che è spirito è perfetto; le anime che sono spiriti sono chiamate a diventar perfette.
Il mondo dello spirito, che è quello della perfezione, rimane invisibile agli occhi della carne. Che significa ciò se non che la fede sola può penetrarvi e impadronirsene ?
La fede è dunque, insomma, tre cose:
Essa è il senso della perfezione;
Essa è il senso delle realtà spirituali;
Essa è il senso dell’invisibile.
D’altra parte, che cosa sono i nostri Morti beati? Sono gli aspiranti alla perfezione. Di quale vita vivono essi se non della vita traboccante delloS pirito? Dove risiedono essi se non nelle regioni luminose che fanno parte del mondo invisibile? Per conseguenza la fede sola può farci prender contatto con essi, la fede sola ci pone nel raggio della loro influenza, la fede sola finisce per stabilire tra loro e noi una corrispondenza misteriosa.
V.
Alcune regole d’igiene spirituale da seguire per realizzare fortemente la comunione dei beati.
In primo luogo, non lasciarci trascinare da tutti gli esempi che ci hanno lasciati. Mentre passavano quaggiù, essi hanno fatto del bene ed hanno fatto del male. Imitiamo il bene, ma guardiamoci dal crederci vincolati dal male. A questo riguardo dobbiamo accettare la successione loro solo « con beneficio d’inventario ».
Di solito si fa l’opposto. Ci s’immagina dover onorare i Morti adottando di fronte ad essi un’attitudine servile.
« Mio padre pensava in questo modo, dice uno; il rispetto che devo alla sua memoria m’impedisce di pensare altrimenti ». « Fare un favore a quella persona? Nemmeno per sogno; dice un altro, mia moglie non poteva patirla... ».
In questo modo i Morti continuano a dominare sui viventi e le colpe e i pregiudizi dei primi pesano sui secondi. Il culto dei Morti ha reso a poco a poco i Cinesi refrattari ad ogni progresso.
Del resto non v’è mezzo più sicuro per offendere i nostri Invisibili, che di divinizzare i loro ricordi. Senza dubbio, per molti di loro, questo è l’inizio del castigo!...
No davvero, ciò eh'essi facevano nei giorni della loro infermità non deve servirci di regola di condotta. Se vogliamo dimostrar loro il nostro affetto, sforziamoci piuttosto di agire nel modo in cui essi lo desiderano ora che si esercitano a considerare ogni cosa alla luce della santità divina.
Essi condannano i loro errori di una volta, ci scongiurano di condannarli insieme ad essi e di distogliercene. Anzi; essi s’aspettano da noi che facciamo quanto ci sarà possibile per riparare le loro colpe.
Evitiamo dunque di tributar loro un culto inintelligente. Lungi dall’avvicinarci ad essi, noi scaveremmo tra loro e noi un fosso pròfondo.
41
SULLA SOGLIA
277
In quanto alle regole da seguirsi, esse devono tendere a sviluppare in noi il senso dell’Invisibile. È per mezzo della fede che ci avviciniamo ai nostri Morti, è diventando forti nella fede che ci consolideremo nella loro intimità; la fede e il senso dell’invisibile sono una sola e medesima cosa.
A questo riguardo è per noi indispensabile un triplice sfòrzo.
1. Anzitutto, uno sforzo di rinunziamento.
L’uomo il quale mira anzitutto a insediarsi «confortabilmente» quaggiù; a soddisfare largamente tutti i suoi bisogni ed a procurarsi il maggior numero possibile di godimenti, quell’uomo soffoca in sè il senso del divino. Il pensiero dell’Al di là e di coloro che lo hanno preceduto lo turba ed egli non pensa che a scartarlo.
Del tutto diverso è l’atteggiamento dei credente il quale accetta di passare quaggiù come un forestiero e come un viaggiatore. Più egli avanza sulla via stretta, più s’accende nell’anima sua la nostalgia di quella patria migliore che è la celeste.
L’apostolo Paolo riassume volentieri le sue esortazioni ai cristiani dicendo loro: Spogliatevi, rivestitevi. Spogliate il vecchio uomo che vien dalla terra e che in essa soltanto prende piacere. Rivestite l’uomo nuovo che, sin da quaggiù, opera e pensa come un cittadino dei cieli.
Lo stesso apostolo descrive anche il corso normale dell’esistenza terrena come una lenta distruzione dell’uomo esteriore la quale va di pari passo collo sbocciare dell’uomo interiore e che vi concorre.
« Noi non perdiamo coraggio perchè, se l’uomo nostro esteriore si distrugge, l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno... Non guardiamo alle cose visibili ma alle invisibili, perchè le cose visibili non sono che per un tempo mentre le invisibili sono eterne». (II, Cor., V, 16, 17, 18).
Bisogna scegliere: la preoccupazione dell'Invisibile s’accresce nella misura in cui decresce l’ansietà pel visibile.
Spesso è attraverso le lacrime Che s’intravedono le consolazioni eterne.
2. Il nostro secondo sforzo deve mirare alla purificazione della nostra anima. Questa purificazione opera la guarigione dell’occhio interiore: « Beati i puri di cuore perchè vedranno Dio » (Matt., V, 8). Solo la purezza assicura la visione del divino
L’anima nostra è chiamata a diventare lo specchio nel quale si riflette la gloria del mondo spirituale; ma basta che la concupiscenza ci sfiori perchè lo specchio diventi opaco e quindi improprio al suo scopo. L’apostolo Pietro non sbagliava allorquando esclamava: « Astenetevi dalle concupiscenze della carne che fanno la guerra all'anima ». (I, Pietro, II, ir).
V’è opposizione radicale tra i desideri della carne e quelli dello spirito. La carne è avviata verso la corruzione, lo spirito invoca e intuisce l’incorruttibilità.
Ho conosciuto a Parigi certi gruppi in cui, pur invocando i Morti, ci si abbandonava a disordini di vario genere. Ignoro se quella gente prendeva davvero contatto con degli spiriti; ma se vi riusciva, ciò non poteva essere di certo che con demoni.
3. Alla pratica giornaliera del rinunziamento e della purezza bisogna aggiungere quella della bontà.
42
278
BILYCHNIS
Il cielo è il luogo della bontà ed ognuno si sforza di vivere in esso della vita di tutti. La sola lingua parlata da ora innanzi dai nostri Immortali è quella dell’Amore. Se dunque non ci .esercitiamo a perdonare ed a rendere il bene pel male, non possiamo nè comprendere i nostri Morti beati nè farci capire da essi.
Le povere anime che si ostinano nell’odio scavano un abisso tra loro e quelli ch'esse amano Lassù.
Se vogliamo ricercare la loro società, ci occorre imparare a combattere accanita-mente il nostro egoismo ed a diventar buoni ad ogni costo.
La fede suppone un oggetto. Gl’Invisibili non sono questo oggetto. Dal giorno in cùi noi ci attenteremmo di credere in loro, diventeremmo degli idolatri.
La fede del cristiano non può avere altro oggetto che il Cristo nella persona del quale Dio si manifesta ad ogni uomo che lo cerca. Il Cristo ci rivela Dio e ce lo dona. Noi afferriamo Dio nel Cristo e ce ne cibiamo.
Ecco perchè il grande Apostolo esclama: « Il Cristo è la mia vita »; e perchè il Cristo è la sua vita, la morte, che deve introdurlo nell’intimità di Cristo, gli appare come un guadagno.
Là dove si trova il- Cristo trabocca la vita nella sua pienezza: là e non altrove. « Vi prenderò con me», dic’egli ai suoi discepoli, « a ffinchè là dove io sono siale anche voi ». Nel suo ultimo discorso, egli torna ad insistere sul medesimo argomento: « Padre, io desidero che là dove io sono, siano meco anche coloro che tu mi hai dati affinché vivano della mia gloria, la gloria che tu mi hai data» (S. Giov., XVII, 24).
Il Sole costituisce il centro dal quale la vita irradia sul mondo dei corpi. Il Cristo è il Sole del mondo delle anime, e la vita di cui vivono i nostri Morti è tanto più intensa quanto è maggiore l’intimità che li unisce al Principe della vita.
La voce dice al Veggente dell’Apocalisse: « Ecco, io sono vivente nei secoli e tengo le chiavi della morte e dell’inferno »: dell’inferno, cioè, in stile biblico, di tutte le regioni, luminose o tenebrose, del mondo invisibile.
Il grande Vivente tiene le chiavi: non solo egli procura l'accesso della vita perfetta, ma ne procura l’intelligenza.
Possiamo dunque avvicinarci ai nostri Immortali alla condizione soltanto di avvicinarci alla persóna stessa del Cristo. Possiamo comprenderli alla condizione soltanto di comprendere il pensiero del Cristo, ,e i nostri cuori battono all’unisono del loro solo in quanto ci applichiamo a fare la volontà del Cristo. Tutto ciò che ci separa da Lui ci separa da loro, tutto ciò che ci avvicina a Lui ci avvicina a loro.
Io dico adunque: Per costituirci fortemente nell’intimità dei nostri Morti beati bisogna esercitarci a credere con tutta l’anima nostra, e bisogna esercitarci ad amare con tutto il nostro cuore Gesù Cristo.
Osservazione che si farà bene di meditare.
Terminando, mi preme ripetere quanto ho già detto più sopra. Nelle pagine che precedono mi sono occupato dei Morti beati soltanto.
Vi sonò diversi gradi di felicità, dimodoché bisogna rappresentarsi là vita dei
43
SULLA SOGLIA 279
beati come un’ascensione che s’inizia in un chiarore crepuscolare per terminare nella luce traboccante del sole nel pieno meriggio.
Mi sono qui occupato solo dei Morti i quali compiono questa gloriosa ascensione. In quanto agli altri, il loro destino solleva numerosi e dolorosi problemi che non ho voluto toccare.
Del resto è molto difficile di penetrare col pensiero in quel mondo di sofferenze e di castighi in cui tutto è tenebre e dissonanza acuta. Ma io sarei infedele alle mie convinzioni più incrollabili se mi provassi a porre dei limiti all’Azione redentrice. Gli uomini che proibiscono alla Misericordia eterna di oltrepassare gli stretti limiti dell’esistenza terrena e di agire altrove che sull’isolotto perduto nell’oceano dello spazio che si chiama la sfera terrestre, costoro mi spaventano per la loro audacia. Non invano Gesù Cristo tiene le chiavi dell'inferno, e il poeta che ha descrittola Città dolorosa ha commesso un grave errore allorquando ha esclamato:
« Lasciate ogni speranza voi che entrate ».
Fintantoché Dio resta Dio, io affermo che il più colpevole dei colpevoli, il quale si penta, conserva il diritto di fare appello alla Bontà sovrana.
T. Fallot.
(Trad. G. A.)
44
UNA SANTA LAICA: TERESINA RAVIZZA
Spesso si parla della necessità di formare un nuovo tipo di donna. Discussioni infinite si sono latte al riguardo ma, fra mezzo a tutto questo ardore di dibattito, non risultò ancora nettamente delineata l’identificazione di quella che fu anche chiamata « la donna moderna », quel tipo di donna che non possiamo ancora ravvisare nè in un’esile, diafana figurina sognatrice e sentimentale e nemmeno nella virago dinamitarda o petroliera che si deturpa mascolinizzandosi in un inestetico pugilato col policeman o in una gara affrettata per emulare il vandalo che distrugge i capolavori della nostra arte.
Ma tra questi due estremi — dove soltanto un impeto di opposta reazione può averci spinto — c’è il tipo integrale ed armonioso della donna che sa tutte le tenerezze della maternità, tutti i fascini dell’eterno femminino, tutte le possibilità di conservazione dei fuochi sacri come antica vestale, c’è in una parola quella che fu definita « la donna forte ».
Di quando in quando il mondo si accorge di essere rimasto privo di qualcuna di queste preziose donne e crede giustamente di essere diminuito nel suo valore. È come un lutto allora, è.comc lo spegnersi d’una luce, è come il dipartirsi di un angelo dalla terra ch’egli à imparadisata. Alessandrina Ra-vizza fu l’ultima di queste donne forti, a dipartirsi.
Stupenda coincidenza! Mentre Ella era in vita non si poteva parlare di opere di amore e di filantropia, senza che la mente non corresse a Lei... Da Napoli, facendo uno di quei suoi profondi studi d’indagine, fra la caotica ed indisciplinata carità napoletana, Rossana volava col pensiero a Milano e si posava su « quella santa donna che risponde al nome di Alessandrina Ravizza la quale non fa mai la carità d’un soldo, ma accoglie tutti ».
E come da Napoli ripensava all’angelo di Milano Rossana, còsi da Zurigo anche la
fervida poetessa Ada Negri alla grande amica di Milano si riportava: « Seminascosta nel mio cantuccio della società zurighese di beneficenza — mentre sfilavano a una a una le umili vittime e i senza lavoro — io mi abbandonavo a poco a poco a una specie di allucinazione. Tornavo indietro di quattro mesi, tornavo a rivivere l’ultima settimana del torrido agosto, in Milano... Era il vasto studio a terreno della « Casa di Lavoro », in via della Pace. Alla scrivania enorme, ingombra d’un caos di carte, sedeva Alessandrina Ravizza, col suo viso pacato e luminoso, coi suoi chiari occhi costantemente fissi su una visione che non è di questo mondo. E la porta si apriva e la miseria passava la soglia, la miseria che dappertutto ha lo stesso viso e la stessa veste, che dappertutto ha, implorando, lo stesso accento di umiliazione repressa... » (i).
Due parole intorno alla donna.
Alessandrina Ravizza era nata nel 1846 in Russia, a Gatskina, presso la Pietroburgo di allora, da madre slava e da padre italiano, un Mazzini che si era rifugiato in Russia durante l’epopea napoleonica. Nei primi quindici anni della sua vita. Ella attinse nell’ambiente circostante quello spirito di consacrazione alle grandi idee che è tanto sviluppato nella mistica e sognatrice civiltà slava. Quindicenne, col padre e la sorella si stabili a Bruxelles dove rimase due anni. Nel 1863 venne in Italia e si stabilì in Milano che in quell’epoca era nel fervore di quel risveglio che la doveva rendere la capitale morale del nuovo regno unificato. In Milano il mondo femminile d’allora gravitava attorno ad un astro di primaria grandezza, a Laura Solerà Man-tegazza, che la mente ebbe pari a! grande
(1) Ada Negri, nel giornale II Secolo, 31 dicembre 19x4.
45
UNA SANTA LAICA: TERESINA RAVIZZA
281
cuore. È inutile dire come la giovane Alessandrina Ravizza aderisse subito al vasto programma della Mantegazza e ne diventasse la più intelligente collaboratrice in varie opere di previdenza, specialmente nell’istituzione della celebre scuola professionale femminile. Quando la Mantegazza moriva poteva ben riguardare con fiducia alla sua opera superstite poiché, simile al classico cursore della vita, lasciava affidata a ben salde mani la sua fiaccola luminosa...
1865-1915: queste due brevi date, che includono un cinquantennio di santa operosità, sono la cifra d’oro che fregia il volume della sua vita e del suo intenso apostolato di amore. Durante questo mezzo secolo non ci fu milanese che non abbia sentito parlare di Lei; non ci fu umile strada della metropoli lombarda che non l’abbia vista aggirarsi fra le sue angustie, raggiante di signorile ed evangelica bontà; non ci fu casa di dubbia fama, sala d’ospedale, luogo sacro per ignorati dolori dove non abbia profuso le munificenze del suo cuore, il profumo della sua schietta bontà. E così sempre, sempre, ininterrottamente, per cinquant’anni...
Ecco come, con mano delicata di donna. Sibilla Aleramo, descrive la fine di questa vita: « Da qualche anno, ad intervalli, scriveva a me: « Sono preparata, sono pronta ». La guerra quest’estate, con le orde dei profughi, fu l’ultima sua fatica. La sentì insieme sfacelo d’ogni puntello di civiltà, d’ogni sistema di perfezione. Una suprema volta Ella si sdoppiò, fu tutta pietà tutta sdegno, come se il fenomeno dolore, se il fenomeno ingiustizia non mai prima avessero ombrato la terra. Le dissi una sera, improvvisa: «Tu! E non hai visto mille mostri maggiori della guerra, tu?... ». Madre! Qualcosa come un rossore ti corse il viso... Volto che la sorte non volle mostrarmi attanagliato dall'agonia rapida e — mi dicono — ignara. E un sabato sera — l’ultimo della sua vita — ella passando davanti alla mia porta vi lasciò un biglietto, l’ultimo scritto di suo pugno al tavolo della • Casa del Lavoro »: « Sto male, ho avuto oggi un accesso di tosse che m’ha spezzata: vado a casa, non mi par vero domani di riposare... Oggi la giornata mi pesa... ».
Il suo stato era invero molto grave/ Sabato sedici gennaio si mise a letto: pochi seppero in questi giorni la gravità del suo vecchio male — un aggravamento di asma cronica complicata con arteriosclerosi. Trattandosi della propria vita e non dell’altrui.
la grande ignota fece silenzio attorno al suo dolore. Coloro che in quei cinque giorni non la videro, col suo mantelletto stinto, col suo boa spelacchiato intorno al còllo, col suo passo pesante ma frettoloso, ignoravano che, mentre la natura piangeva il suo candido pianto nivale, nella grande città lombarda, la santa dei poveri finiva. Infatti dopo quei cinque giorni non era più. Chi vide la cara estinta, potè fissare così le sue impressioni: « Era bella, se sono belle le cime ghiacciate dei miei monti... Non vedrà più la primavera. Che piega profonda attorno alla sua bocca, dura, d’una che è sola e lontana e non sa e non chiede. Che linee radianti, infinite della sua fronte, bella, di condottiera, bella come quella delle più sacre maschere... • (1).
Strano il destino di questa donna! Anche nella sua morte il pensiero non corre a Lei, ma ad altri, a quelli per i quali Ella visse, ai quali si donò inesauribilmente... Che diranno i poveri, i suoi figli, ora che la loro madre è morta? «Che dirà il piccolo tignoso, chiede Renato Simoni (2), Ch’Ella si raccolse in casa una volta e che con la testa appoggiata sulle sue ginocchia sognava un grande ospizio che accogliesse tutti i bambini poveri e disgraziati come lui? che diranno i ladri ai quali Ella insegnò il piacere di essere stimati? le donne perdute ch’ella redense? ».
Che diranno? Essi non potranno esprimere se non un sentimento della loro anima in ¡schianto... «non doveva morire!». E glielo disse il suo inutile vóto disperato, passando davanti alla rigida salma, la folla: «non doveva morire! ».
Tale, in sobrie linee, la vita della Ravizza.
E il programma di questa vita?
11 suo programma si compendia tutto, come quello d’un cristiano antico, in un canto di amore: e se questo canto lo si vuole sviluppare in tutta l’ampiezza delle sue strofe, si può dire che la Ravizza amò con un amore largo, pratico, personale e religioso.
Con un amore largo.
Disinteressata, non era inceppata da pregiudizi di partito o di confessionalità: intelligente, superava tutti gli ostacoli:
(1) Sibilla Aleramo, in Marneeo, gennaio 1915.
(2) Corriere della Sera. 22 gennaio «915.
46
282
BILYCHNIS
semplificatrice della vita, abbatteva nel suo ideale e nella sua pratica ogni forma di Serarchia burocratica che paralizza l’ar-ore dello spirito. Sentite Una istantanea fissata da una sua ammiratrice, la Rossana. Essa raccoglie un frammento di dialogo spirante poesia francescana.
— Voi che sapete fare?
— Il falegname.
— Bene, ecco un biglietto, andate giù al laboratorio falegnami, datelo al capomastro: egli vi darà lavoro: a sera avrete la ricompensa. Cosi per venti giorni: nei venti giorni poi vi troveremo una occupazione in qualche laboratorio...
— Voi, cara donnina, di dove venite?
— Torno dalla Francia, rimpatriata... — Che sapete fare?
— Ma... non so...
— Non sapete cucire, fare calze? stirare? fare la cucina... No?...
— ... ero insegnante...
— Ebbene, mandatemi la direttrice delle professionali, ecco una buona occasione per avere venti lezioni di francese parlato.
— Voi cosa siete?
— Segretario comunale...
— E voi?
— Maestro elementare...
- Per intanto lavorerete qui di copiatura, poi vi troverete, cercherete, Milano è grande, si vedrà... » (1).
E così dieci e cento: tutti i giorni: tutte le settimane. Non si va lontani dal vero se si afferma che non ci fu categoria di persone restate fuori dal raggio della sua attività. « Dal liberato dal carcere alla perduta incontrata all’ospedale, dal delinquente precoce al vecchio bisognoso, dal giovane che chiedeva denaro per proseguire gli studi, al pittore disgraziato e valente, che aveva un quadro da vendere, dal comico in cerca di scrittura, al disoccupato che reclamava un posto, dal principiante che voleva farsi largo, al canuto che chiedeva un po’ di riposo, ella prendeva su di sé tutte le necessità, tutte le responsabilità di vita degl’infiniti e pensava a tutti insieme e pensava a ciascuno. E non solo per i bisogni imminenti, non solo per placare il breve morso attuale della fame, ma per tutta resistenza. Era una edificatrice di vite. Dove c’era una rovina, Ella voleva restaurare. Restaurava i corpi e le anime. Non
fu lei che fondò la cucina degli ammalati B>veri con un fondo iniziale di venti franchi?
on fu lei che volle che al Sifilicomio sorgesse per le traviate, redentrice, la scuola? Non fu lei che istituì la « Casa del Lavoro • per i disoccupati e vi gettò dentro tutto, i suoi pochi quattrini, la sua attività, la sua fede?... » Così Renato Simoni (1).
Il suo genio amoroso la portava diretta-mente là dove generalmente nessuno arriva, fino al dolore ignorato, vergognoso... e qui più specialmente esauriva le sue infinite risorse. Odiava sopra tutto quelle opere di beneficenza destinate al sollievo di una determinata categoria di bisognosi. Essa che i bisognosi li aveva tutti veduti resi sacri dall’unico dolore, a tutti concesse gl’istessi diritti alla sua assistenza c per essi fu sempre in lotta contro qualsiasi burocrazia nella beneficenza, e, secondo una sua definizione, fu in ciò un’anarchica, ma un’anarchica per la ricostruzione...
Di qui si comprende come il suo fosse un amore veramente pratico. Nelle ripetute indagini Ch’Ella aveva fatto, la Ravizza aveva dovuto notare mille volte le lacune di certa beneficienza. Il calvario dei poveri, la loro odissea per le varie sedi della beneficenza, il loro ripetuto presentarsi alla congregazione di carità, grinutili su e giù per gli scaloni dell’annerito palazzo, il volto burocraticamente arcigno d’un impiegato di turno.che prima d’ogni altra cosa pretende una carta bollata per prendere in considerazione l’istanza e infine una risposta suppergiù su questo tono: il sussidio vi è stato negato... non c’è nulla per questo anno... è finito il tempo previsto per le istanze..., ecc. ecc...
Come bene sapeva tutto questo martirio... di qui il suo tormentarsi per essere pratica nello spontaneo apostolato di amore per cui avea assunto come suo motto: Amor omnia vincit. E infatti il suo pratico intelletto d’amore trionfò sempre in tutta una fioritura di opere.
Istituì la cucina per gli ammalati poveri, come dicemmo, poi, durante un’invernata di disoccupazione, la cucina economica. Più tardi, unita a dei volenterosi, Setto le basi della fortunata istituzione elle Università popolari. Nel 1898, l’anno della rivoluzione per il pane, mentre le carceri erano gremite di detenuti politici, la Ravizza si appellò alle donne italiane e
(x) Il Mattino, 6-7 dicembre 19x4.
(x) Corriere della Sera, 22 gennaio 191$.
47
UNA SANTA LAICA : TERESINA RAVIZZA
aprì una sottoscrizione per mezzo della Ìuale potè migliorare il cibo dei carcerati.
ualche anno più tardi, per mezzo dell’ono-revole Turati, riuscì ad avere dal Governo una indennità di 73.000 lire per i ferrovieri licenziati. Fondò in seguito nell’ospedale sifiliatrico la scuola-laboratorio per le donne perdute e per i bambini infetti e infine, coronamento di tutto, quella • Casa del Lavoro » che fu la più brillante vittoria del suo apostolato di amore.
E il segreto per attuare tutto questo vasto piano di beneficenza, specialmente per trovarne le somme adatte, era una sua ri sorsa esclusiva. Tutti dicevano: « Per il denaro ci vuole la Ravizza ». È vero che per trovarlo inventava l’inaudito, ma è ancora più vero che per trovarlo non risparmiava se stessa: avesse anche dovuto andare dal re o dal papa, ci sarebbe andata e fiera e franca, non come chi va a supplicare un favore ma a far trionfare un diritto. Allora il suo non era più il cuore sentimentale, che si commoveva a ogni sventura, ma un forte, un severo, un immenso cuore. Talvolta, ai ricchi, essa — la dolce suora dei poveri — dovette sembrare un po’ come una giustiziera turbatrice. Come allorquando, incalzandoli, scandiva a loro le sue ammonitrici parole: « Voi non potrete godere le vostre ricchezze finché ci saranno dei sofferenti...! » E alla sua passione veemente gli ostacoli cedevano... 1 cuori s’intenerivano...
Questi mirabili risultati trovano la loro migliore spiegazione nel fatto che il suo amore era personale. Emettere dei sospiri di commozione è facile; dare del denaro, quando se ne possiede, è facile, ma le grandi opere non si stabiliscono se non c’è una volontà ed una vita che si immola tutta per la causa. Precisamente perchè pagò di persona. Alessandrina Ravizza, vide coronati sempre i santi suoi voti. Come appare veneranda questa donna che accelera la sua morte per l’immane lavoro cui si è sobbarcata, quando è costretta di tanto in tanto a rompere la sua attività per placare l’affanno del respiro che la coglie avanti al tavolo del suo lavoro. « Se ne vada, si ri-£>si un poco », le dicevano gli amici. Ed Ila « no » con quella dura fermezza che le era propria, con quel vasto crollare del suo capo grigio e forte...
« No ». E rimase e lottò fino a soccombere. La sua vita per quella degli altri: tale il suo programma. Sentite un episodio riferito dalla poetessa Ada Negri: « Vi fu finalmente un momento di tregua nel suo
lavoro. Allora la Santa di Milano mi chiamò a sè con un gesto stanco e mi strinse contro di lei. E parlò e tutta la tristezza del mondo era nelle sue parole. « È inutile. Domani non avremo piu un soldo per questa povera gente. E questa povera gente non domanda che di lavorare... Sapete, Ada, che cosa farò?... Mi farò mettere un tavolino e una sedia dinanzi all’Arco della Galleria. E porterò con me tutti i documenti di spaventosa miseria collettiva che ho fra le mani e chiamerò i passanti e mostrerò loro le carte che non mentono e dirò tanto che li moverò a compassione. Credete voi che li moverò a compassione?... Credete voi che se io dirò: « Sono Alessandrina Ravizza » mi ascolteranno?... (1).
A questo episodio come segue bene l’appellativo con cui la canonizza Ada Negri: « Madre, madonna dei poveri; santa di Milano »!
C’era del religioso nel suo amore.
Parlando della Ravizza, bisogna intendersi quanto alla sua religione. C’è una du-Slice linea religiosa: c’è la religione del ogma autoritario, con riti precisati, e con tutta una rigida tradizione; c’è poi la religione dell’ortodossia della vita, della pratica di tutte le ore per cui tutta la vita viene ad assumere un aspetto religioso e diventa sacra. In questo secondo senso Alessandrina Ravizza fu una sublime credente. Ella> non s’inginocchiò davanti ad altari, non seguì dogmi o formule, non pra-ricò funzioni, non aiutò i derelitti per meritarsi un premio o per condurli alla chiesa, no... ma il divino lo comprese e lo rivisse nel gesto di chi si offre, nell’autoimmolazione per redimere il mondo dal dolore. Aveva bene afferrato lo spirito cristiano ma più per affinità di sentimento e per bisogno di assimilarlo che non per iniziazione rituale, o per intellettualismo sterile. Del cristianesimo la Ravizza ebbe la duplice rivelazione: quella dell’amore e quella del dolore. Del Cristo non ne vide che due momenti: quello in cui Egli — il Divino — fa bene a tutti con squisitezza di donna e con affettuosità di madre e l’altro quando solidale con gli uomini, s’indentifìca con i più miseri e monta il calvario dei loro dolori. Di questa religione del dolore e dell’amore essa divenne urta sacer\x) Spreto, 31 dicembre 1914.
48
284
BILYCHNIS
dotessa dal gesto semplice e della solennità di questo rito s’inghirlandò nella sua vita benedetta. Dotata di penetrazione finissima, la Ravizza si volse di preferenza ai dolori anonimi, alla grigia folla ignota, ai cenci della strada, risentendo in sé ogni loro dolore, Niobe, Antigone, Madonna dei poveri.
Che atto più religioso, più umanamente religioso, di quello compiuto un giorno da lei, quando vide passare per via un carro funebre che, senza accompagnatori, por-, tava un oscuro morto al cimitero.
« Nessuno lo seguiva. E allora Ella si pose dietro al carro e accompagnò quell’ignoto all’ultima dimora, come avrebbe preso per
mano un bimbo sperduto e piangente che avesse trovato in mezzo alla via. Così il morto derelitto entrando in camposanto non si vergognò davanti alle tombe dei ricchi. Non lo accompagnava che una donna dal martelletto succinto ma quella donna era tutta la poesia ».
Ecco per sommi capi delineata la vita e l’azione di questa*^ donna angelicata, di questa ultima nostra santa laica, passata fra noi, col cuore in alto diffondendo calore, diffondendo amore.
Piero Chiminellt.
49
CRISTIANESIMO E GUERRA
LETTERA A R. MURRI*
discussione sull’argomento Cristianesimo e guerra tu l’hai detta impostata ira due schiere di contendenti, delle quali la prima dice: i divieti del Vangelo sono assoluti; ira questi c’è quello che riguarda l’uccisione e la guerra; dunque è inutile distinguere e suddistinguere: noi accettiamo il Vangelo e per conseguenza non accettiamo la guerra. La seconda schiera dice: noi accettiamo il Vangelo, ma proprio per questo accettiamo anche la guerra, oggi che la guerra è, e che solo mediante la guerra si difendono le libertà, si ricupera ciò che fu
usurpato, si aiutano i popoli lottanti per una causa giusta e si prepara l’avvento del diritto, soppressa la ragion della spada. Cioè, in sostanza la prima schiera dice: i precetti del Cristo sono l’assoluto; la seconda: sono il relativo; questa seconda: sono la storia; la prima: il soprastorico.
Se mi permettessi, giacché mi hai tirato in ballo a proposito di alcune mie parole apparse in BUychnis (i), osserverei che ti sei scordato non appartenere io nè all’una nè all’altra di tali schiere,. Certo tu potevi trascurarmi affatto; ma allora non mi dovevi neppur menzionare; non trascurandomi, devi tener conto della mia idea, che rompe l’euritmia delle due schiere da te divisate, ma, tant’è, ci conta per qualche cosà. Io — e se tu mi avessi letto con un po’ d’attenzione, lo avresti rilevato di certo — ho detto e ripetuto, non solo che la discussione non può approdare a niente di buono, perchè fondata sulle ragioni di due mezze verità, ma che è una discussione radicalmente nulla, perchè impostata radicalmente male.
Noi ci siamo messi in testa che il Cristianesimo possa risolvere questo o quel caso, dirimere questa o quella contesa, rispondere a questo o quel dubbio, e sopra tutto riuscire a questa o quella trasformazione, in materia sociale, mentre la società è tuttavia pagana, interamente, ostinatamente pagana, e cioè mentre il Cristianesimo ha ancora da ottenere il più elementare, il primo, e — siamo d'accordo — il più importante dei suoi trionfi, trasformare il vecchio tipo sociale-bestiale nel nuovo tipo umano. Ci siamo messi in testa l’impossibile per la contraddizion che noi consente.
• A proposito dell'articolo di R. Murri: « L’individuo e la stòria », [pubblicato in Bilychnis, agosto 1915, P- 85. — Questa lettera non fu mai spedita. La dobbiamo ad un amico che si assume la responsabilità dell'indiscrezione. Red.
(1) Fascicolo dì maggio 1915» P- 4°4-
50
286
BILYCHNIS
Quindi io ho detto e ripetuto: lasciamo gli inutili sforzi logici e sofistici per un lato, e pratici per l’altro. Logicamente non tentiamo di dimostrare l’indimostrabile, e dei temi come l’ultimo tuo — Il Cristianesimo e la guerra — non ne parliamo più: che non -ci sia proprio altro da occupare l’attività delle nostre nobili penne? Quanto al pratico: se c’è qualcuno che creda ancora al Vangelo e lo ami e ami di farsene o restarne apostolo, intenda quanto può e sa a compenetrarne il mondo, il piccolo mondo a cui può giungere la propria azione di propaganda, smettendo le furberiole, .gli agili compromessi, le dissimulazioni morbide e le reticenze retorico-utilitarie, avviandolo così cotesto vecchio mondo, non a buttar giù tutte le baracche di burattini — che implicherebbe violenza, quella violenza che il Vangelo non sa — tutte le baracche di burattini, onde si puntella, si sostiene e si adorna, ma a lasciarle finir di tarlarsi e sgretolarsi, riservandosi magari di dar loro un ultimo spintone, pour la botine bouche, ma senza fretta, senza badare nè al figurino corrente, nè all’applauso del loggione, nè all'inevitabile prolissità del gran dramma. Pour la bonne bouche del resto, così, per dire, perchè in realtà a chi fa luogo al Vangelo puro è riservata la gioia di sentire che il terreno si scalza lentamente ma inesorabilmente sotto una quantità di coteste baracche, come a chi semina la verità è data la gioia di veder disseccarsi qualche cantuccio almeno delle gramignaie e degli spineti dell'errore fatale e delle stilizzate bugie. Ad ogni modo, seminiamo la pura essenza evangelica, i due piccoli precetti che la compongono, due precetti soli! che ci vuole? qualche secolo, un giorno, e la guerra non la faremo sparire, perchè sarà sparita da sè.
Così ho detto e ripetuto io, insistendo anche a dire è a ripetere: tutto il resto è divagazione e diversione dallo scopo, o quanto meno, minio e cipria di carnevale, perditempo e inganno.
Tu non mi hai inteso o voluto intendere, e sei andato a cercare il mezzotermine per la conciliazione, l’addizione e il reciproco completamento delle due schiere schierate da te militarmente di qua e di là, una a destra, l’altra a sinistra del famoso tema: Cristianesimo e guerra, lo sei andato a cercare cotesto mezzotermine nell’inserzione del Cristianesimo nella storia o della storia nel Cristianesimo. Fatica buttata, assurdo di buona volontà.
Uno, due, tre Er Papa min è Re Er Re nun è Papa e La coccia nun è lumaca La lumaca nun è coccia
col resto che cantano a Roma li regazzini che la sanno lunga più di noi grandi. Fra i quali tuttavia ce n’è alcuno qualche volta che s’accosta alla sapienza de li regazzini: Dante Alighieri, mettiamo, che scrisse nel suo... libretto:
... nella chiesa Coi santi ed in taverna coi ghiottoni.
Perchè quest’atroce antitesi? Perchè la chiesa non è taverna, e la taverna non è chiesa; e tanto stanno male in chiesa i ghiottoni, quanto in taverna i santi. È chiaro?
Credi che scherzi? No; pensa che tu e chi s’industria e s'adopera come te, pie-
51
CRISTIANESIMO E GUERRA
287
tendete comporre un dissidio incomponibile. La guerra è per le belve che si trovano di fronte altre belve, 0 anche per gli uomini che si trovano (adottiamo le parole civili) in un ambiente di belve, e sia pure con gli unghioni di ferrò e le zanne d'acciaio temprato. Che pensano questi ultimi, che possono, forse che devono fare? Fabbricarsi anche loro unghioni e zanne congeneri? S’arrangino; tanto, non dubitare, nessuno aspetta il nostro permesso o bada ai nostri divieti: si tratta di gente pratica e positiva. Ma noi, noi che siamo persone teoriche e astratte, — anche tu, benedett’uomo, che forse t’immagini d’essere praticissimo, — siamo noi che andiamo fuori di carreggiata. Ossia, siete voi, che vorreste mettere Cristo o San Francesco nelle trincee a ordinare: fuoco! Precisamente i santi in taverna. Dante grida il suo velo, e gli fanno eco il buon senso dei fanciulli e il Vangelo, in cui è scritto: non mettete il vino nuovo nell’otre vecchia, buttate via il coccio fesso, e comprate un’otre nuova; gli fanno eco l’anno 33 e l’eternità della logica.
Ma si tratta della patria, della nazione, della giustizia da far trionfare, della barbarie da reprimere, e tante e tante altre bellissime faccende.
Già, tutti ripetono le stesse frasi, e con la medesima persuasione, con la identica, identicissima compunzione. Ma lasciamo andare: l’ambiente non si cambia con le frasi, e l’ambiente è quello che ho detto.
Vuoi star nel sodo? Ripeti con me: arrangiatevi; e se ti chiamano sotto le armi sostituisci: arrangiamoci. Oggi la partita si svolge in un ambiente belluino: il cristianesimo è per... un altro giorno.
Tu invece ti sfiati a dire: inseriamo. Ma che ti vuoi inserire!? Come pretendere che in una società, la quale nella sua costituzione essenziale è in contrapposto assoluto con l'ideale essenziale del Vangelo, possa vedersi trasformato in cristiano ciò che germoglia in lei proprio perchè pagana, supponi la guerra?
Dubiteresti del contrapposto che io dico? Ma pensa: che sono i popoli? Che cos’è l’autorità? A che punto siamo con l’autonomia e la libertà individuale? Dov’è la coscienziosità spontanea? Da quanti si avverte che nella umanità la società va guardata a traverso la persona? Come nascono è si propagano i moti nazionali? Come le questioni internazionali? Chi le risolve? Perchè si possono comporre gli eserciti? Come si muovono e perchè.? A che si riduce in tutto questo il valore dell’individuo, àtAVanima, che, se il Vangelo è Vangelo, non è nè può divenir molecola e atomo sociale, se non è un tutto in sè, un microcosmo divino autonomo e intangibile? Pensa e risponditi sincero, e poi dimmi che c'è di cristiano nella costituzione sociale.
Come vedi, io non accenno precisamente che all’essenziale: poco m'importerebbe magari l’iniquità dominante in ogni ceto; sarebbe un accessorio, e non dovrebbe impensierirci. Ma è l’essenziale che manca, e tra essenza ed essenza l’antitesi è diametrale: una essenza esige la pace, l’altra essenza produce la guerra. Tu dici: inseriamo:
Uno, due, tre Er Papa nun è Re...
Sai che prova l'antitesi? Un’impressione: Quando voi parlate di guerra in brutto italiano del secolo xx, mi par di leggere — indovina! — un melodioso Canto d’Omero. C’è di che lusingar l'amor proprio!
52
' 288
BILYCHNIS
Ma no, tu soggiungi — e me l’aspettavo, sei troppo d’ingegno — non è che si pretenda far entrare la guerra nei quadri cristiani, è la motivazione della guerra che la rende cristiana: « Appuntò perchè sono, e non da òggi, e non insinceramente seguace d’una dottrina religiosa che vieta la guerra e la violenza, e vuole la f raternità e l'amore, e l’ho fatta mia, e con essa ho foggiato il mondo delle mie previsioni e delle mie aspirazioni, appunto per questo io voglio la guerra », così tu ti esprimi a un certo passo, e più avanti: « La guerra europea ci si delinea cosi: dall’una parte si lotta per tutti quei valori ideali che il Cristianesimo ha espresso dalla storia ed ha raffigurato ed educa nelle coscienze (... su per giù si capisce); dall'altra per il ritorno al culto della forza e del dominio duro ed alla schiavitù (... così! un pezzo di qua e un pezzo di là; gesta Dei, gesta diaboli; bèlla cosa la precisione!). « Nè noi italiani potevamo essere praticamente cristiani altro che alleandoci con i primi e cercando di conseguire tutti quei vantaggi di ordine morale che la guerra ci proponeva'». In una parola: noi siamo cristiani volendo la guerra, perchè con la guerra vogliamo vincere la guerra, distruggendone la radice.
Bravo! Fa finire la guerra che distrugge la guerra, e me ne saprai riparlare; ma io non ci voglio pensare, ti concedo, ti ammetto ogni cosa, ma è quest’affare del vincere la guerra con la guerra, supposto divenuto assioma, che non passa. Mi ricorda un articolo di Prezzolini, intitolato, press’a poco: Date al diavolo quel che è del diavolo, in cui si sosteneva che per educare i giovani alla castità il rimedio migliore è lasciarli sfogare come le loro passioni suggeriscono; che equivale a dire: volete educar dei casti? fateli diventar porci. La faccenda è analoga.
E poi, te l’ho a dire? Io ho sorriso al tuo parlare e riparlare di Italiani e di Europei: gli Italiani han detto, gli Italiani han fatto, gli Europei han deciso... consolandoti con i valori ideali e cristiani assunti come divisa e bandiera dalla parte nostra. Ma, scusa, quanto tempo è che tu hai declamato con fiere parole contro la mancanza di spirito cristiano in mezzo al mondo e specialmente fra noi? Ricordi, per richiamarne una, quando tu gettasti la tua invettiva contro questa fradicia anima religiosa italiana, e mi tacciasti d’ingenuo, per aver io voluto eccettuare e salvare dal tuo universale diluvio un certo numero di anime schiettamente buone, perchè profondamente cristiane? Beato lui!, scrivesti di me, noi non abbiamo di queste illusioni. Se le tue valutazioni e svalutazioni non hanno cambiato in pochi mesi, non ti punge nessun'ombra di dubbio che tu regali un po’ troppo generosamente del tuo agli altri? Come vuoi che gl’italiani abbiano praticato tante iniezioni di ideali e di valori cristiani nelle vene della guerra, se loro ne mancava la materia prima?
È vero tuttavia che, dal maggio in poi, un profondo sconvolgimento ideale è avvenuto in Italia. Basta riflettere che è diventato liberale, credo, anche Monsignor Scotton, e anche Turati va a sentir, credo, la predica e la messa del campo!
Sarà per questo che, dopo avere spiegato l'enigma: perchè, seguace del Cristianesimo che vieta la guerra, tu oggi ammetta la guerra, soggiungi subito: «E se voi insistete che questo è assurdo, e venite a turbare l’analisi del mio spirito e della mia volontà, per cercar di mostrarmi, 0 che questa si è fatta sotto altre influenze e non fu cristiana nemmeno ieri, 0 che si lascia trascinare e travolgere da altro spirito e da altre correnti, io vi dirò che la mia e la vostra volontà, la mia e la vostra coscienza sono in-
53
CRISTIANESIMO E GUERRA
289
commensurabili, ma che ad ogni modo, fra il mio e il vostro cristianesimo c’è questa differenza, che il vostro appartiene talmente a voi, ai vostri sogni, alle vostre meditazioni, da non avere con quello del Cristo altro che un fantastico legame di meditazione e di sogno, il mio mi è garantito da tutta questa Europa lottante e dolorante per una nuova storia di giustizia e di pace nel diritto ». Sarà per questo, ma tant’è, io ho sorriso, esclamando nei sospiri: Beato lui! noi non abbiamo di siffatte garanzie, ce ne manca la fede; e per consolarcene seguitiamo a sognare e a meditare: infelici!
Così ho sorriso (peccato non poter dir tutto!) del tuo Cristianesimo respirato nella storia. Cristianesimo contemporaneo e geografico, italiano, europeo... e l'enumerazione potrebbe seguitare. E nota, che io vedo bene come tu parli neH’interesse dei Cristianesimo. Infatti seguiti a ripetere che il Cristianesimo è nulla, un’astrazione di spiriti poveri e rarefatti, se non è storico, se non entra, elemento vivo, nel folto, nell’impetuoso della vita contemporanea — « idee vive, tu scrivi, sono quelle che sorgono sul terreno delle realtà contemporanee »; eppure — vedi se son perverso! — ho sorriso del tuo equivoco. Equivoco sì, perchè ogni idea grande, e grandissima è quella cristiana, va sì vissuta nel flusso della vita contemporanea, a patto però che essa non si mescoli e si alteri e si sciolga nella corrente comune dei pensieri, delle passioni, delle confusioni di moda, delle pervicacie che cristallizzano il passato, delle avventure che violentano l’avvenire; a patto che tutta questa roba non faccia a pugni con essa.
È evidente che ogni idea grande, e massime l’idea cristiana, allora andrebbe rarefacendosi e svaporandosi, quando si riducesse qua italiana, là francese, inglese e che so io — l’esperienza ce ne può dir qualche cosa. Per me è evidente che l’idea cristiana allora è e si dimostra presente nella storia e cioè nel nostro vivere contemporaneo quando noi vediamo convenire nostri pensieri, propositi, condotta coi principi cristiani, e sentiamo da cotesta idea cristiana venirci approvazioni e conferme; ma anche quando disconviene con noi, e inflessibile e inattaccabile, rimane alta e solitaria a contraddire e a condannare. Per me è evidente cioè che l'idea grande, e in particolare l'idea cristiana, si dimostra sì storica quando è storica, ma più ancora quando è superstorica, perchè allora, apparendoci indipendente dalle nostre anguste circoscrizioni e dalle misere vicenduole dei nostri fuggevoli evi, ci si fa sentire con più vittoriosa gagliardia come l’essere occulto che determina il palese divenire, il termine che dirige i passi dell’umanità e li corregge e li ravvia, e anche non riuscendovi subito, cioè sollecitamente, rimane a indicare per dove s’ascende; e derisa forse, odiata forse, contraddetta da storie lunghe e che vogliono aver ragione di lei, seguita a ripetere: No. Se fosse mai sorta sul terreno delle realtà contemporanee, sarebbero state cristiane la Gesta di Carlo Magno e la Santa Inquisizióne, le guerre contro gli Albigesi e la Notte di San Bartolomeo; cose tutti, le quali — e tu me lo insegni, — appassionarono al loro tempo l'intera Europa e vennero giustificate dai contemporanei con le motivazioni le più luminosamente e inconfutabilmente cristiane.
E se mi domandassi: sdegnando il controllo delle correnti con temporanee, a chi e a che cosa appellarsi per sapere* dove l’idea cristiana secondi e dove contraddica idee, uomini e fatti? Risponderei: — Alla meditazione austera e solitaria intorno ad essa, a quella meditazione che tu dispregi con così sconsigliate parole. Siamo dunque
54
290
BH.YCHNIS
ai poli opposti: tu hai paura della segregazione e della solitudine, io la ritengo in moltissime cose la condizione indispensabile per ¡scoprire la verità. Il frastuono ci assorda e le correnti comuni rapiscono il meglio di noi a noi stessi e insieme la verità.
Chi ha ragione?
Te lo dica un controllo — giacché vai in traccia di controlli — ma un controllo d’inestimabile valore, a petto a cui le tue correnti contemporanee sono nella relazione su per giù del figurino di Parigi coll’istinto superiore dell’arte; il controllo di quanti la pensarono come io dico, e furono tutti, senza eccezione, gli spiriti più veggenti, non solo d’Italia e d’Europa, ma del mondo. Le grandi voci dei profeti d’ogni tempo risuonarono dal deserto — tu hai scherzato su quest’affare del deserto, e me ne è dispiaciuto per te; mi è parso che divenissi superficiale e te ne compiacessi, male su male, — e noi medesimi, se mai riuscimmo a dar qualche forma ai nostri pensieri, fu sottraendoci quanto ci fu possibile al solito bagarinaggio della piazza, dove il prezzo delle idee, dei criteri, della giustizia, della gloria, del bene e del male viene apposto come ai broccoli e alle patate; noi stessi, se mai traemmo alla superficie alcune voci oscillanti nel più profondo di noi, trovando in esse le rivelazioni che più ci valsero nella vita, e che il memore ultimo dì non muterà, lo dovemmo alla solitudine; nè certo di qualche grotta d’anacoreti, ma alla solitudine di chi sdegna contatti volgari e deformatori, avendo assaggiato l’onda di vanità che circola per il mondo affollato.
Se mai in questo occorse un difetto, fu nel non averli schivati abbastanza. Se persino i più profondi spiriti fra quelli che consentirono fra loro uscendo e segregandosi dalla folla, spesso dovettero sentir salire dal loro nudo cuore le amare paròle:
E quel che più ti graverà le spalle Sarà la compagnia malvagia e scempia Con la qual tu cadrai in questa valle.
0 soli, o vani: ecco il dilemma.
Non bestemmiare dunque contro la voluta superba solitudine di chi va contro acqua — le correnti volgono all’ingiù; — per la verità si risale: non giudicare della efficacia viva di certe idee dal parer morire esse con chi le lancia nel mondo degli spiriti; le vie della verità, più che quelle della vittoria, son seminate di vittime: ma ogni vittima è un seme. Colui che più seppe Io spasimo agonico dell’insuccesso e delle smentite, la pronunziò questa parola: Se il grano di frumento non morrà, cadendo fra la terra, rimarrà sterile; ma se morrà, arrecherà gran frutto, e se ne appellò ai secoli. Parola lanciata all’avvenire, contro ogni lieto presagio, è sublime.
E io ti sto esortando a non bestemmiare contro la solitudine delle anime sdegnose e contro gli insuccessi, ma non è fuor di luogo la mia esortazione? Se nello scritto, a cui mi riferisco qui, sembri l’uomo più partigiano dei risultati immediati e più ostile alle solitarie visioni, in altri scritti il tuo lamento più ripetuto è sempre questo: « son lasciato solo e nessuno mi ascolta », e tuttavia seguiti. Per usare una terminologia tua, che cos’è questo? Un cullarti in placido sogno o un ostinarti in desolata tenacia.?
55
CRISTIANESIMO E GUERRA 29I
Conchiudendo: se a diffidar della guerra come distruggitrice della guerra, a non credere un’acca della guerra cristiana e del combattere e dell’uccidere cristianamente, s’è in pochi, s’è soli, tanto meglio! Quanto s’è in più pochi, quanto s’è più soli, tanto più s’è sicuri d’aver ragione.
Per il da fare, è chiaro: o s’è radicali, o nulla. Pezzi di Vangelo non servono, e per prenderlo tutto è necessario rifarsi ab itnis fundamentis, mutare con la più semplice essenza evangelica il serraglio delle belve incivilite in adunanza d’uomini, radunanza d’uomini in fraternità di famiglia: elemento trasformante l’amore.
— Ma questo è V Eldorado, V Utopia, o la Città del Sole!
— No, questo è semplicemente il Vangelo.
Non siamo noi gli utopisti del Cristianesimo, ma quanti credono si possa inserirlo nella società cominciando dalle fronde; ma quanti s’immaginano potervi modellar su e trasformare una cosa o l’altra, mentre tutta l’impalcatura sociale è e si pretende far rimanere pagana.
Così s’è fatto sin qui: non potrebbe bastare?
Immaginarsi, per esempio, di trasfigurar la guerra con le motivazioni, o distruggerla con le applicazioni omeopatiche, ecco un episodio assurdo dell’assurdo sistema: è come voler render morali gli uomini senza formarne'la coscienza, immunizzarli dal contagio morale coi consigli del farmacista.
Giù, giù, alla radice, buona gente!
Per ¿veder soppressa la guerra ?
Per non dare, come cristiani, un calcio alla logica delle ragioni e delle cose.
P. Ghignoni.
56
I LIBRI
UHM E GERMANIA
G. A. BORGESE, Italia e Germania, Milano, Treves, 1915.
Dei libri provocati dalla guerra europea del 1914 molti sono quelli che avranno la vita effimera dell’ora: libri che non valgono più di un articolo di rivista di varietà ed esauriscono gli ozi di chi fa della lettura un divertimento c non li assiste il pensiero della possibile partecipazione diretta alla guerra con le conseguenti responsabilità; pochi quelli che avendo un indiscusso valore intrinseco resteranno come documenti di pensiero e sussidio all'opera investigatrice di chi verrà poi. Perchè se noi che abbiamo vissuto la stessa vita e siamo tormentati dalle stesse ansie riusciamo appena e con difficoltà ad orientarci nella massa di questioni ideali che alla guerra attuale sono connesse, lo storico futuro non potrà sbarazzarsi di loro con un semplicismo primitivo. La storia di questa guerra non sarà dal punto di vista della intima interpretazione delle sue cause molto facile nè dovrà essere molto sbrigativa. Perciò libri come questo del Borgese si presidiano contro il tempo e la dimenticanza per la sostanza di pensiero e la vivacità di investigazione. Di più per un senso di misura intellettuale che è pur necessario desiderare nei libri destinati più che a suscitare passioni, —il Borgese ebbe la sua parte nelle preparazione della nostra guerra e c’è una parte del volume, la terza, che è tutta una giustificazione politica ed ideale del nostro intervento, ma di questa non posso qui occu>armi, — a dare la lucida visione di un proteina e prospettarne sotto una particolare uce di cultura, la soluzione.
Il problema è nella sua posizione semplicissimo. Perchè la Germania ha fatto la guerra? Chi lo pone in tal modo afferma che essa non solo l’ha voluta ma doveva volerla e non c’è nella domanda nè la giustifi cazione nè la condanna. Altri si chiedono: Perchè la Germania ha accettata la guerra ? ed è evidente che il motivo iniziale della ricerca allora è un altro. Chi si domanda questo ha in pronto — anche se non rafferma — la giustificazione dal punto di vista tedesco dell’attuale guerra. Ma c’è un modo per il ricercatore di porsi al disopra di queste due tendenze. Può dire: ci sono degli elementi di verità, dei valori presso ogni popolo che maturano e a lungo andare si schiudono: vediamo di coglierli e di interpretarli, senza preoccupazione di parte. L’interpretazione sarà nostra, ma la conclusione l’avranno posta essi stessi. Il Borgese dice in una delle prime pagine della introduzione: « Dall'epoca di Federico II all’epoca di Guglielmo II il germanesimo è stato idealmente e politicamente, il pernio della storia. Anche politicamente: si chiamasse Prussia, o Austria, una volontà tedesca fu sempre, salvo brevi interruzioni in cima all’Europa. In questo tempo da Klopstock a Treitske, con una incessante, collaborazione di poeti, di storici, di filosofi, di guerrieri, di politici, la Germania s’è foggiata, com’era necessario, la coscienza del suo primato. La storiografia tedesca ha dato un validissimo, decisivo contributo a
57
TRA LIBRI E RIVISTE
293
questa orgogliosa esplorazione interiore, a Suesto celebratorio nosce le ipsam della ermania » Si tratterà dunque di svalutare questa interpretazione della storia la quale è consistita nel « deprimere il valore ideale e pratico della romanità, sia per ciò che riguarda lo stato antico come per ciò che riguarda la chiesa medievale e moderna, nell’attribuire la rinnovazione dell’Europa agli elementi germanici che nei primi secoli dell’Era volgare si diffusero nel Mezzogiorno e nell’occidente, nell’interpretare tutti i fatti fondamentali della storia moderna come una realizzazione della riforma religiosa tedesca? Il Borgese risponde: « Fra le sintesi successive in cui l’umanità è andata raccogliendo la sua auto-coscienza, nessuno vuol negare che una fra le più potenti sia quella in cui è protagonista lo spirito tedesco. Naturalmente anch'essa era caduca e doveva grado a grado manifestare la sua insufficienza ». Secondo il Nostro, dunque, il punto di vista tedesco è insufficiente a spiegare la storia. Giustamente e felicemente egli racchiude la verità delle sue affermazioni cosi: la battaglia di Lipsia fu vinta dai tedeschi per l'umanità, la battaglia di Sedan fu vinta dai tedeschi per la Germania; la guerra del 1914 sarebbe vinta dai tedeschi contro l’umanità ». Ammessa la insufficienza del punto di vista tedesco « diveniva urgente la revisione delle verità su cui era tessuta la trama della storiografia tedesca e, per conseguenza, europea: non una negazione di esse, ma uno spostamento del loro valore prospettico. E si apriva la possibilità, anzi la necessità della messa in valore di altri popoli e di altre mentalità nella nuova costruzione storica ». Prescindiamo dal fatto quali popoli siansi o possano mettersi in valore, è una ricerca che potremo completare dopo la guerra nella quale siamo entrati anche noi; è certa la equità della posizione assunta qui dal Borgese. Impostato così, il libro non poteva non riuscire.
Vi sono dunque secondo l’A. dei valori positivi e negativi nel Germanismo che bisogna tener presenti per giudicare saggiamente dì essi. Vediamo gli uni e gli altri. Innanzi tutto conviene liberare la mente da un pregiudizio, che non vi sia altro in Germania che un pangermanismo geografico e un pangermanismo pseudo-scientifico. « È impossibile che sia così: un popolo non diventa l'idolo e il terrore del mondo, nè aspira all’impero universale, se la sua invadenza non sia sostenuta da qualità posi
tive ». Come si giustifica dunque il primato germanico? Secondo alcuni con le qualità ordinatrici della mente tedesca: metodo, organizzazione, disciplina: secondo altri con la fedeltà e la libertà, con la pertinacia nordica, con la coincidenza di germanesimo e lavoro, con lo spirito di lavoro e di dovere.
Ma di queste definizioni alcune peccano Ser eccesso, altre per difetto. Perchè se si ice che essere tedesco vale quanto aver carattere si prende la parte per il tutto, la Germania per l’umanità; se si dice che Germania è organizzazione sociale, metodo, disciplina si dice cosa soddisfacente per spiriti grossolani e superficiali. Forse si avvicinano di più al vero quelli che chiamano lo spirito tedesco pertinacia o carattere o fedeltà. poiché è messa in luce la verità che la disciplina sociale, la subordinazione del singolo alla totalità della vita, è tutt’altro che un elemento originario e permanente dell’anima tedesca. In fondo la loro caratteristica più essenziale e più costante consiste in ciò che in qualunque cosa si mettano i tedeschi vanno più a fondo di ogni altro popolo: Faust insegni. Dunque si potrebbe così grossolanamente e come spie-!'azione più facilmente ritenere che il va-ore positivo del germanesimo stia nella disciplina. Ma è anche, qui, uno dèi valori negativi, nel modo come è intesa e praticata. Essa è una forza, ma è anche uno sforzo della Germania moderna, c’è nella sua pratica la foga lirica e non l’equilibrio architettonico; l’entusiasmo, a volte perfino maniaco e forsennato, e non il prosaico se// governement, creatore di nuovi mondi. Non è quindi in nome di tale disciplina che il germanesimo può aspirare a un effettivo Srimato fra le nazioni. Perchè se essi non ifettano di quella politica che è mediocre abilità, mancano di quella saggezza superiore senza di cui la forza non è che una torbida esplosione vulcanica, un frenetico titanismo che, come già insegnava Orazio, precipita per la stessa sua smisuratezza, mancando di quell'ordine mentale e morale che predisponga con riflessività l’azione, non susciti più nemici degli indispensabili, non ottenebri l’atmosfera in cui vive e si svolge un popolo coi vapori di un orgiastico lirismo.
Che avverrebbe quindi se la Germania per ipotesi, vincesse totalmente questa guerra? Per rispondere conviene tener presente che la forza della Germania è superficiale e perennemente minacciata da un intimo disordine, come ha dimostrato per
58
294
BILYCHNIS
Suanto riguarda la vita economica tedesca iuseppe Prato, e come dimostra per la vita politica il Borgese, cosicché è lecito domandarsi quale idea di stato, quale nuovo ritmo conduttore abbia in sé il germanesimo da imprimere al mondo che non siano già quelli consacrati dalla storia cioè il feudalismo. In altre parole una negazione dell’idea di Stato. Ber ciò pure ammettendo che la Germania debba vivere è indispensabile che esca dal conflitto doma. Tale la conclusione del Borgese che non è dettata così rigidamente come può apparire dal mio schematico riassunto, ma attraverso alle considerazioni di tutti gli elementi morali e politici che sotto il rumore dell’armi possono rintracciarsi. Al Borgese fervido e acuto critico, esperto conoscitore della vita e della letteratura tedesca non potevano sfuggire. Nella abbondanza signorile con la quale egli infonde il suo spirito critico qualche affermazione potrà trovarsi nella quale non accordare, ma ci sono delle interpretazioni veramente superbe. Per questa guerra — egli nota giustamente — si innalza tra le figure dei regnanti l’Impe-’ ratore dei Tedeschi. Abbia voluto questi personalmente la guerra in una sua esaltazione di grandezza o l’abbia accettata come imposizione degli ambienti di corte non può interessare solo relativamente lo studioso. Posto che egli domina nettamente la vita della Germania degli ultimi cinquant’anni, non c’è stata questione nella quale non abbia preteso far sentire il peso della sua autorità, nè discussione di letteratura o d’arte, di scienza o filosofia, di morale o di religione, di critica biblica o di teologia nella quale non abbia voluto interloquire, andava spiegata in ogni modo o la sua esaltazione o la sua debolezza. Bisognava che la sua figura fosse illuminata diversamente che dalla luce proveniente dagli studi del Lamprecht e del Rake. È quello che ha fatto il Borgese con uno scorcio di biografìa che a me pare davvero un ottimo capitolo di sintesi e di interpretazione storica. Ma mi piace nel finire segnalare al lettore le pagine su la pastorale del card. Mercier e un asterisco dove è detto: «Far volontaria rinunzia alla propria personalità, superare la propria individualità per morire sentendosi nell’attimo della morte, immortali in un’idea, in una patria, in una religione; consacrare ogni bene egoistico all’universale e ogni fortuna momentanea al futuro: questa è la guerra. Vale a dire che è la più evidente e persuasiva realizzazione di
un’etica altruistica... E le guerre potranno finire, sì, il giorno in cui si sarà trovato un cimento di eguale grandiosità e certezza per ricordare agli uomini di tanto in tanto che l'individuo non è se non è una molecola dell’universale, e che la vita in tanto ha valore in quanto è santificata nella morte... Perciò il progresso non può arrivare fino alla abolizione della guerra, come la scienza non può arrivare fino all'abolizione della morte. E, se v’è qualche cosa di veramente abietto e animalesco, questo è il così detto « culto della vita ».
F. RUBBIANL
STATÒ E CHIESA
VINCENZO DEL GIUDICE, Le condizioni giuridiche della conciliazione ira lo Sialo e la Chiesa cattolica in Italia. 2* ediz. Roma, Tip. dell’unione Editrice, Via Federico Cesi, 45, 1915 (L. 5).
Questo breve e lucido trattati no, corredato di abbondante bibliografia e di molte notizie storiche, può esser considerato come l’ultimo capitolo di una annosa questione, che finisce per esaurimento.
Il Del Giudice mostra con grande chiarezza la impossibilità di una conciliazione formale, consegnata cioè in formule giuridiche, fra lo .Stato italiano e la Chiesa; mentre quello si ispira al principio fondamentale della libertà religiosa e della propria laicità e questa, anche nella dottrina più recente, che è quella esposta da Leone XIII nella enciclica Immortale Dei, esige che lo Stato, e in particolar modo lo Stato italiano, sia cristiano, accetti cioè il principio della autonomia giuridico-politica delia Chiesa e del doveroso concorso dello Stato nel prestarle i mezzi e riconoscerle i presidii civili dei quali èssa crede di aver bisogno per il raggiungimento dei suoi fini corporativi.
Ed anche per l’altra questione déll’indi-pendenza territoriale dei papi non c’è via possibile all’accordo; nemmeno quella della internazionalizzazione della legge delle guarentigie, o di una qualsiasi altra legge avente lo stesso scopo; che sarebbe un assurdo giuridico e una violazione della Sovranità dello Stato.
Il conciliatorismo, così fiorente in Italia, specie fra gli anni 1878 0,1887. aveva le sue basi storiche nel desiderio ardente di
59
TRA LIBRI E RIVISTE
295
molti cattolici italiani che paventavano ¡’acuirsi della lotta fra Chiesa e Stato e si aspettavano invece dall’accordo meravigliosi vantaggi, come già il conte di Cavour; e nelle difficoltà della situazione internazionale, che permettevano al Vaticano di tener vive diplomaticamente le sue proteste e di speculare sull’avvenire. Un poco alla volta, queste due basi vennero a mancare; e, in luogo delia conciliazione giuridica, si andò stabilendo una serie di taciti accordi, spesso fra i commissarii di Borgo e qualche monsignore di fiducia, per i quali governi e papato poterono coesistere tranquillamente in Roma e talora anche — di questo il Del Giudice non si occupa—fare una concorde p.olitica, mirante a successi parlamentari. '
Anche la recente proposta della internazionalizzazione è caduta adunque nel vuoto; e poco tempo addietro, il card. Gasparri, nella interpretazione ufficiale della celebre intervista I.atapie, ripetendo una formula usata già nel 1887 da Leone XIII e dal card. Rampolla e che invece parve nuovissima e meravigliosa agli scrittori del-VI dea nazionale, dichiarava che il papato attende dal senso di giustizia degli italiani stessi la sistemazione dello stato (s piccola) del papà in Roma.
Questo espone, con molta perspicuità di visione e precisione di parole, il Del Giudice; lasciando al lettore i suoi dubbi intorno a più vasti e gravi argomenti. Poiché il problema, che non può ormai più presentarsi come problema di rapporti fra due istituti giuridici, ciascuno dei quali proclama e reclama la sua sovranità, che è supremazia e,1 in una sfera più o meno vasta, esclusione e negazione dell’avversario, si ripresenterà invece ineluttabilmente come Sroblema politico di libertà religiosa e di iritto ecclesiastico; a proposito, ad es., di quel riordinamento del patrimonio ecclesiastico che la stessa legge delle guarentigie annunziava.
Poiché è certo che lo Stato italiano ha fatto in questo campo « meno di quello che doveva », dati i principi! sui quali si regge; ha sacrificato cioè una parte della sua sovranità ai bisogni pratici —, così come gli uomini di governo. li sentivano — della >ace con la Chiesa, che è ancora, e sempre >iù tende ad essere, un formidabile potere xjlitico, il quale si giova, nella lotta e per ini politici, della posizione fatta al clero in Italia, la quale, per una distinzione che il Del Giudice ripete ma che è incompren
sibile a noi, è dichiarata di specialità non di privilegio.
A parer nostro, per intendere pienamente il conciliatorismo e ogni altra questione di rapporti fra Chiesa e Stato, è necessario superare questa antitesi, per sé irresolubile, che pone di fronte i due istituti; e considerare, storicamente, il processo per il quale lo spirito, atto e creazione e fluire eterno, va affermando il proprio dominio su tutte le contingenti e mutevoli forme storiche nelle quali esso si esprime.
Ed allora apparisce una differenza fondamentale fra lo Stato laico e la Chiesa. Mentre il primo ha accettato il principio di questa sovranità dello spirito, poveramente espressa nella formula della sovranità popolare, la Chieda lo rinnega, rifacendosi alla investitura di un Dio esterno alla storia; sicché il problema, oggi, nei suoi termini ideali, è di democratizzazione della Chiesa e di uso dello Stato e della sua forza, come di strumento, in questa lotta contro superstiti forme di eteronomia e di servitù spirituale e civile.
R. M
SANTUARI D’ORIENTE
E. SCHURÉ, I Grandi Iniziali, versione italiana di A. Cervesato. Seconda edizione, 1915. Bari, Gius. Laterza e figli. L. 4.
E. SCHURÉ, Santuari d’Orienle, versione italiana di Olga Fiano. Bari, Gius. La-terza e figli, 1915- L. 3,50.
I Grandi Iniziati dello Schuré non hanno bisogno di presentazione, avendo avuto una fortunata diffusione in Italia in questi ultimi anni di crisi spirituale che ha fatto accogliere con larga benevolenza ogni tentativo ehe sembrasse atto ad appagare le nuove esigenze dell’anima. Basterà ricordare che ne I Grandi Iniziati l’autore si propose, /Studiando le dottrine delle massime guide religiose dell’universo, di mettere in vista l’identica essenza fondamentale di tutte le religioni. I criteri non strettamente scientifici de I Grandi Iniziati e l’amore dell’autore per la propria tesi han fatto sì che quest’opera sia risultata più adatta al salotto che allo studio. Ad ogni modo è una lettura interessante e siamo sicuri che la seconda edizione di questo libro avrà la fortuna della prima.
60
BILYCHNIS
I Santuari d’Oriente sono il corollario dell’opera precedente. Lo Schuré aveva vissuto a lungo col pensiero negli antichi focolari della più profonda religiosità umana, meditando con amore e ricostruendo talvolta con elementi al tutto soggettivi le figure e le dottrine dei grandi fondatori di religioni, tracciatori delle eterne vie maestre dello spirito; in questa seconda opera lo ritroviamo in mistico pellegrinaggio attraverso quelle antiche regioni ch’egli aveva già percorse in ispirilo. E un viaggio pieno d’interesse,com’e facile imaginare,descritto con vivacità ed arte, arricchito da suggestive evocazioni di uomini e di azioni, vivificato dalle frequenti interpretazioni delle dottrine e dei simboli provenienti dalle più lontane antichità.
Il viaggio s’inizia in Egitto e naturalmente le sue prime impressioni riguardano l’Egitto moderno, mussulmano: i vicoli arabi del Cairo, il piccolo commercio basato principalmente sull’industria del forestiero, i caffè frequentati dagli arabi che assistono gravemente alla danse ati ventre, o da tipi singolari di ebrei sordidi e ieratici, ci son messi innanzi con fare movimentato ed attraente. Ma, a mano a mano che l’autore si addentra nell’Egitto misterioso, sente di entrare nel suo vero campo e la sua tesi, già ampiamente enunciata ne I Grandi Iniziati, risorge: « l’Egitto è il santuario delle Cause prime, che racchiude l’arca delle Idee-Madri e dei Simboli Generatori. Salutiamo in esso il venerabile avolo sia del monoteismo giudaico che del politeismo greco » (pag. 48). Comincia il viaggio, non più dello straniero in cerca di nuove emozioni, ma dell’iniziato pio e raccolto : le Piramidi, simbolo del Dio imperscrutabile, la Sfinge, suo Verbo vivente, la Fenice, imagine dell’anima immortale prendono vita nuova e impongono un mistico rispetto che vi accompagna durante il resto del viaggio attraverso le rovine di Menti, quelle del vetusto tempio di Abido — tomba di Osiride, il Santo Sepolcro dell’Egitto — e si accentua nella visita a Tebe che dà all’autore lo spunto per riandare succintamente nei secoli la storia dell’Egitto e la sua caduta per opera di Cambise, figlio di Ciro. Una fermata all’isola di File sul Nilo, già mèta di pellegrinaggio pei greci ed i romanichevisitavano l’Egitto chiudequesta prima parte del libro e dà all’autore occasione di ricordare la leggenda sacra di Osiride, lo spirito divino, di Iside, l’anima universale sua consorte, e di Oro, il verbo di Osiride.
L’A. passa quindi in Grecia; tocca Corfù, si ferma in Olimpia ammirandone e facendone ammirare i capolavori dell’architettura e della scultura classica, in gran parte questi ultimi racchiusi nel museo ; rianima lo stadio popolandolo con l’imaginazione dell’antica attività fatta di forza e di bellezza; sale Sull’Acropoli, entra affascinato nel Partenone. Chiude questa seconda parte in modo assai ardito ricostruendo dal suo Sunto di vista esoterico il dramma sacro i Eieusi: Persefone, l'Anima umana, cede alle attrattive di Plutone, la materia bassa, e ne diviene sposa; ma, attraverso una lunga esperienza dolorosa, riacquista coscienza di sè e tende con tutte le sue forze alla propria rigenerazione, cercando di svincolarsi dai ceppi che la legano alla materia S«er ricongiungersi — mediante l’aiuto del rateilo Dioniso, la parte dell’anima rimasta incorrotta — alla madre Demeter, la luce celeste. Tale ricostruzione teosofica dei misteri eleusini riesce assai interessante, anche se non ci si senta di seguire la calda imaginazione dell’autore in tutti i suoi
asi
■petti. » .
L’ultima parte del volume ci da le impressioni dell'A. sulla Terra Santa. Gerusalemme, coi suoi tre quartieri nettamente separati degli ebrei, dei mussulmani e dei cristiani, gl’ infonde innanzi tutto tristezza: contiene i rappresentanti di tre mondi non solo diversi, ma anche assolutamente incapaci di comprendersi vicendevolmente: il giudaismo è rivolto verso il passato e sogna una restaurazione della sua grandezza nazionale; l’islamismo resta immobile nella
sua fede fanatica; il cristianesimo, guardando verso l’avvenire, tende al rinnovamento del mondo. Conviene anche aggiungere che i tre nuclei che popolano oggi Gerusalemme costituiscono lo scarto delle tre diverse civiltà e perciò, a volere fare una scelta, si rimarrebbe perplessi non sapendo a chi dare la preferenza ! Basta pensare che il cristianesimo a Gerusalemme è rappresentato da quel gran numero di frati e preti biliosi, di ogni nazionalità, rito e co ore, viventi in eterno antagonismo per le reciproche basse gelosie riguardanti la custodia del supposto Santo Sepolcro: ond’è che, ad assicurare una relativa pace nel Sepolcro, è stato necessario mettere a guardia di esso dei soldati.. . turchi ! Infatti la prima impressione che il nostro A. ricevette entrando nel Sepolcro, gli fu data da o un largo divano rosso dall’apparenza di trono molto logoro di sultano leggen-
61
TRA LIBRI E RIVISTE
daño. Tre soldati turchi vi sono coricati: due di essi dormono, l’altro fuma indolentemente il suo cibuc. Sono i custodi d’ob-bligo del S. Sepolcro... ».
Già. per assicurare un po’ di pace al sepolcro del Principe della Pace, occorre la presenza di un corpo di guardia turco: prova tangibile dei perniciosi effetti prodotti dall’aver materializzato il culto alla persona del Cristo.
La visita al tempio di Gerusalemme, trasformato in moschea d’Omar, conduce naturalmente l’autore a parlare di Gesù e. altrettanto naturalmente, a ricostituirne la figura e la dottrina dal punto di vista della propria tesi, come già aveva fatto, in modo assai interessante, del dramma sacro di Eieusi e dei misteri egiziani. Egli riprende la teoria già nota — sostenuta in Italia con molta abilità in un’opera dimenticata del rabbino Benamozegh nella sua Storia degli Esseni —che fa di Gesù un Essena, aggiungendovi per conto suo l’affermazione che tra gli esseni Gesù sarebbe stato iniziato ai misteri egiziani trapiantati in Palestina da Mosè. Va da sè che tale interpretazione non è corroborata da nessun argomento convincente. Ma, a prescinderà dalla tesi esoterica dell’A-, anche quest’ultima parte de 1 Santuari d'Orienle offre pagine interessanti e considerazioni degne di attenzione.
Aristarco Fasulo.
LA RESPONSABILITÀ DELLA GERMANIA
P. SAINTYVES, Les responsabiliUs de VAl-lemagne, dans la. guerre de 1914. Librairie Emile Nourry, 62, rué des Ecoles, Paris. V”. 1 voi. in-18 di pagg. 550. Prezzo L. 4.
In tanti capitoli separati l’illustre scrittore francese, studia, col presente volume: lo sforzo germanico per l’egemonia dal 1871 al 1913; le responsabilità della Triplice Alleanza: l’Italia, l’Austria e la Germania; le responsabilità degli Alleati: Serbia, Russia, Francia, Inghilterra; la violazione della neutralità; e infine le barbarie sistematica nella pratica della guerra.
L’autore, che ha pazientemente e diligentemente fatto lo spoglio di tutti i documenti e rapporti ufficiali, libri diplomatici, convenzioni internazionali, conforta con abbondanti prove tutte le sue affermazioni.
Ereoccupato sopratutto di non offendere ; verità pur servendo la patria. Ne risulta un libro che è una requisitoria tanto più formidabile contro gli Imperi Centrali in quanto essa è materiata di fatti e pervasa di lealtà. Ed è senza dubbio uno dei più pregevoli contributi apportati all’intelligenza delle cause e dei metodi dell’ immane guerra attuale.
Nel definire le responsabilità della Triplice Alleanza, il Saintyves è naturalmente portato a giudicare l’attitudine dell’Italia In un’epoca, in cui l’intervento italiano appariva ai più ancora molto problematico, l’autore vede chiaramente nell’attitudine diplomatica dell’Italia una categorica denunzia degli autori responsabili della guerra. Questo capitolo, in cui il Saintyves analizza le vicissitudini dell’alleanza dell’Ita-lia con gli Imperi Centrali, il compito dellTtalia nei negoziati che precedettero la guerra, il valore politico della sua dichiarazione di neutralità, merita di essere letto da tutti gl’italiani. L’autore, già parecchi mesi or sono, era in grado, dall'esame dei fatti e dei documenti, di giudicare l’attitudine dellTtalia « perfettamente logica e rigorosamente onesta ».
Il volume è corredato di un grandissimo numero di documenti {pièces justificatives) che accrescono il suo valore storico e ne rendono più che mai utile la lettura.
A. D. S.
0
VARIA
HALL CAINE, La Donna che tu m’hai data, Milano, Treves, 1915. Nuova traduzione italiana.
Il romanzo delinea ottimamente nella protagonista Mary O’ Neill quante povere vittime femminili vengono sacrificate prima dalla educazione conventuale e quindi dall’istituto matrimoniale, specialmente nella sua orribile concezione cattolica.
Ottima la traduzione italiana.
Avv. ATTILIO BEGEY, La- Polonia nella Storia, Torino, V. Bona, ed., 1915.
Magnifica conferenza tenuta al Comitato Torinese prò Polonia dall’egregio, infaticabile Begey, anima sempre aperta a tutte le vibrazioni entusiastiche d’ogni più eletta idealità.
62
BILYCHNIS
P. GIOVANNI GIOVANNOZZI, La Creazione, Firenze, Scuola Tipogr. Calasan-ziana, 1915.
— L’Umanità ed il primo peccato, ibidem.
Due volumi che contengono una serie di Letture per un Corso di coltura religiosa.
Peccato che il P. Giovannozzi, che è un uomo di ingegno, abbia voluto assicurarsi con un tale lavoro alte benemerenze da parte della Superiore Autorità Ecclesiastica dimenticando che la Revue Pralique d’Apologélique ha potuto coraggiosamente e senz’essere disturbata pubblicare per opera del Lesétre, sacerdote cattolico parigino in cura d'anime, una lunga serie di articoli « Les récits de V Histoire Sainte » nei quali si faceva larga parte alla inter-Èrotazione allegorica dei primi capitoli del cnesi con molto buon senso e... con indiscutibile vantaggio delle anime. Ma il P. Giovannozzi avra ricordato che le disgrazie del Minocchi con la Curia arcivescovile di Firenze, imperante un Mistrangelo che si avrebbe a male di rimanere senza la Porpora, cominciarono appunto da una innocentissima conferenza nella quale il colto Srofessore aveva ricercato a proposito del el Vecchio Testamento delle opinioni di parecchi Padri della Chiesa informate ad una interpretazione allegorica di certi passi. E memìnisse..... avrà giovato'.
• • *
Il P. GENOCCHI accompagna con una sua prefazione una Piccola Vita di Gesù B;i soldati, edita a cura della Società della ioventù Cattolica Italiana.
Poiché si dava al popolo il mezzo di udire la parola viva del Maestro era forse megli«» lasciar da parte Maestro Tomaso e la favoletta pia della Somma di lui messa a pari della S. Scrittura nelle assemblee del Tridentino... Meglio fare a meno di una piccola Vita e dare a dirittura ai soldati il Vangelo che non è poi un libro molto grosso... Ma cbe sarebbe il Vangelo senza la Somma?
DORA MELEGARI, Il destarsi delle anime, Milano, Treves, 1915.
Ecco un libro di cui non sappiamo dire tutto il bene che merita ! Auguriamo ad esso la diffusione più larga tra gli Italiani
persuasi che esso possa contribuire a quel rinnovamento spirituale che è nel desiderio dì quanti amano al di sopra degli interessi delle Chiese, la vita intensa delle anime, le quali si pascono, meglio che di puntigli dogmatici e confessionisti, di ideali vivi incarnati, come già il Cristo, in questa povera e grande umanità.
♦ • ♦
Ancora un libro dell’ineffabile P. RINIERI! Il trasformismo e l'embriologia secondo la scienza e secondo la Genesi, Asti, 1915.
Il titolo è pieno di solenne gravità... il libro è un zibaldone di melensaggini e di invettive scagliate, queste, a piene mani perfino contro quell’innocentissima idilliaca cosa che è il trasformismo moderato di parecchi tra i cattolici.
♦ • •
Ci chiede un amico notizia d’un libro già vecchio ma che potrebbe tornare utilmente di moda. Si tratta del romanzo di Luigi Capranica, I Moderni Farisei. Romanzo storico, anzi, si potrebbe, dire storia vera tanto non solo il fondo ma i particolari tutti sono copiati dal vero in questo libro dove la vita di Roma pontificia, i sistemi di governo da essa usati, la pittura dei dignitari ecclesiastici e sópratutto... la povertà del vero sentimento religioso allato alla ricchezza sovrabbondante delle apparenze sono resi non solo come furono all’epoca dell’autore del libro ma come purtroppo dovranno rimanere... usque quo? Ce n’è una edizione economica (L. 1.00) del Treves di Milano cui l’amico ed i lettori nostri possono rivolgersi.
D. MARSIGLIA, Il martirio cristiano, Roma, F. Ferrari, 1914.
Il cortese amico che c’invia, desiderandone una recensione, questo libro di cui dice d’aver udito un gran bene, ci perdoni se francamente lo disilludiamo. Il tema Srandioso e degno di poema anche più che i storia è miseramente svolto in pagine dedicate a volgere la testimonianza data a Gesù a profitto-delia Roma vaticana, quando si tratta di martiri autentici; ed a seppellire la storia vera del martirio sotto un cumulo di stupide leggende e di ridicole sopraffazioni..... Povero Delehaye quanto poco avete fatto scuola in Italia!
63
TRA LIBRI E RIVISTE
299
Mons. C. CARBONE; Perchè il primato della filosofia tomistica, Macerata, Tipo- ' grafia Vose., 1915.
Conferenza tenuta dal Reverendissimo Carbone ad edificazione cristiana degli uditori e dei lettori anche più che a gloria della Scolastica. Gli oppositori di essa sono qualificati cosi ; schiere ignobili, nemici della virtù, esseri spregevoli... o perché non raccoglierne una buona lista denunziandoli al procuratore del Re ?
• • •
HELEN KELLER, Mon Univers. Le monde d’une sourde-muette aveugle. Trad. de l’anglais. Paris, F. Aican, 1915.
L’autrice, una giovine americana nata sordo-muta e cieca, giunta per forza di volontà ad un grado di coltura non comune, mostra praticamente col suo libro, che è interessantissimo non solo come una biografia sui generis ma è bellissimo per pregi letterari, quale sacra cosa sia la vita e com’essa meriti d’esser vissuta anche dn chi non l’ebbe da natura accompagnata da molti doni. E l’opera sua, destinata indubbiamente a scuotere molte e molte ener-S'e in anime pigre e fiacche, è un capitolo sana filosofia, di quella che non s’indugia a discutere che cosa è l’anima ma prende l’uomo com'è e ne vede il valore nella partecipazione che esso ha alla grande imperitura vita che è diffusa nel cosmo: omnis laus vitae in actione.
♦ * ♦
WILLIAM MACKENZIE, Il significalo bio-filosofico della guerra,Genova, A. F. For-miggini, 1915.
Il dott. Mackenzie, italiano per dimora c per affetto, noto, egualmente a Genova per altezza di sapere e per generosa bontà, esamina il fenomeno della guerra dal punto di vista naturalistico, deterministico, cioè dal solo punto di vista scientifico possibile all’indagine filosofica. Non che egli neghi i valori ideali che colorano di calda luce policroma l’umana vita, ma egli li studia a loro posto. Il dott. Mackenzie che è poi un uomo ricco di sentimento quanto lo possono essere i cosiddetti filosofi spiritualistici, che è un patriota illuminato e sincero (pochi come lui hanno offerto al paese la propria casa) sa che la scienza non può avere altro ideale che il risultato purissi
mo della propria indagine. Che quindi gli ideali che fanno bella la nostra vita ñon possono essere gli ideali di lei che è una fredda, impassibile indagatrice la quale non si commuove ai fenomeni della vita che penetra e scruta.
Il monista idealista (cristiano pensiamo noi) che parrebbe a molti un ibridismo ideologico è una realtà viva nel Mackenzie al cui nome rendiamo un caldo omaggio, ai cui scritti auguriamo larga diffusione e simpatia.
♦ * ♦
L. TOLSTOI, Guerra e Pace, traduzione ital. di Fed. Verdinois con prefazione di Alessandro Chiappelli. Volumi 4, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 19x5.
Il romanzo del grande mistico riporta i lettori ai tempi in cui colui che aveva sognato di essere il padrone dell’Europa e il despota dell’umanità civile vide infranta la sua ferrea potenza dinanzi a forze di cui non s’era reso conto nella sua alterezza superba, avvezza a tutto credere possibile alle sue baionette. Oggi è un altro fiero, superbo nemico che tocca al suolo sacro della Russia, che sembra dover spezzare il suo pazzo sogno d’orgoglio di fronte ad incalcolate, forse incalcolabili, resistenze. Ancora oggi, come parve allora al mistico russo, è la causa della terra, della razza, dell’umanità di fronte all’impeto travolgente della forza.
Molto bene ha fatto l’istituto editore a volgarizzare il lavoro del Tolstoi nell'ora presente, che è l’ora delle affermazioni sacre del diritto, l’ora, forse suprema, della lotta della civiltà contro la barbarie. Lo rileviamo con piacere sperando che altre ed altre opere esso ci dia del grande che, avendo superato non solo le chiese ma il mondo, cioè tutto quello che l'uomo ha saputo creare di ufficiale e di convenzionale, ha toccato il pensiero del Cristo genuino, che più umano del Nietzsche e, del Sorel coi quali ha dei contatti, ha veduto nel cristianesimo vergine, in quello che hi creduto an ti-sociale, l'ideale migliore della umanità, che ha lavorato pieno di fede a penetrarne come di un lievito fecondo di sacre energie le masse umane.
• • *
VINDEX, La Basilique devaslée, Paris, Bloud et C., 1915.
Il libro di Vindex, condotto su inoppugnabili fonti, principalmente sulla base del
64
300
i mi u. i" «
BILYCHNIS
rapporto ufficiale del famoso Clemen, ispettore di Belle Arti germanico, dà l’ultimo colpo a quegli illusi, che ancora ix>ssonq dubitare della barbarie tedesca. E opera di civiltà diffonderne la lettura.
E. LUGARO, prof. ord. di psichiatria alla Università di Torino, Pazzia d'Imperatore 0 abnegazione nazionale? Roma, A. Da-maso, editore, 1915.
Lo studio del prof. Lugaro, comparve per la prima volta in Rivista di patologia nervosa e mentale accessibile solo ai pochi cui è nota e per cui è reperibile la predetta Rivista. Opportunamente viene ora pubblicato in separato opuscolo. Purtroppo non sono scomparsi tra noi i bigotti del germa-ncsimo che si compiacciono secondo le occasioni a coprire di lodi ora il sapere, ora lo spirito, ora la potenza d’organizzazione della Germania, ed è bene che la logica serrata e sopratutto la documentazione di cui si serve il Lugaro dimostri invece, come dimostra, che i tedeschi sono dei barbari.
S. Brjdget.
♦ • *
PAUL VAN HOUTTE, Le crime de Guillaume II et la Belgique. Récits d’un té-moin oculaire. Paris, Picard, 1915, un volume in-8 di pagg. 254.
I delitti, la cui responsabilità risale a Guglielmo II, sono: la violazione della neutralità belga, la dichiarazione di guerra al Belgio dopo il rifiuto di questo a cedere di fronte alla violenza germanica, il massacro degli abitanti e la devastazione dei territori nemici. L’autore, che è un testimonio oculare, si limita ad affermare solo quello che può provare e di cui possiede la certezza assoluta, schivando ogni errore ed ogni esagerazione che potrebbero compromettere l’autorità del suo volume. Il racconto delle barbare gesta dei tedeschi in un paese laborioso, tranquillo, innocente, non può non commuovere profondamente il lettore e suscitare nel suo animo quanta pietà verso le povere vittime tanta indignazione verso i discendenti degli Unni.
Numerosi ed interessanti documenti chiudono questo libro, di dolore e di sangue, che rimane come una requisitoria terribile ed eterna. ■ A. D. S.
LE RIVISTE
LE ORIGINI DELLA BARBARIE TEDESCA
È interessante seguire la determinazione di tali origini che fa Paul Gaultier su la Revue des deux mondes, quantunque le sue conclusioni vadano — a mio credere — oltre il segno. Forse è troppo semplicista sostenere che i filosofi tedeschi siano direttamente responsabili delle atrocità presenti ed incolparne Lutero e Kant. Il Gaultier lo riconosce, ma afferma che la filosofia tedesca ha, coscientemente o no, contribuito a liberare, poi a legittimare tutti gli istinti, senza eccettuarne i meno nobili. Applicando alla filosofia tedesca una logica che è d’altronde desunta si può arrivare certo a dargli ragione, ma con tale metodo è difficile evitare il pericolo di volgere ad un significato meno genuino gli elementi di cultura e non del pensiero te
desco soltanto. Il Gaultier ha visto il pericolo, da buon studioso ha tentato di additarlo, poi è ricaduto nella sua tesi che le atrocità tedesche se hanno la loro determinante immediata nell’indole di questo popolo che attraverso agli apparenti raffina^ menti di cultura non ha saputo spogliarsi dei suoi sentimenti di primitiva ferinità, risalgono come a causa concomitante alla cultura tedesca, la quale non è stata senza influenza sul movimento degli spiriti che doveva avere come conclusione il traboccare della barbarie sistematica alla quale noi assistiamo, specialmente perchè, a partire dalla fine del secolo xviu, la filosofia à lavorato, con la sua opera esclusivamente critica a rovinare la morale e, per conseguenza, a liberare le passioni da ogni regola, a dispetto d’un moralismo che, ad onta della forma, dell’imperativo categorico, non era meno fragile. Il che è ricadere.
65
TRA LIBRI E RIVISTE
301
mi pare, nel semplicismo che si voleva evitare, giacché alla stregua di tali giudizi noi dovremmo rigettare in Kant quell'elemento critico che per essere sorto in Germania, non ha meno servito anche a noi per districare il pensiero dagli elementi tradizionali che l’impacciavano e magari ricostruire, per nostro contro una vita più libera di pensiero. Colpa dunque di Kant tedesco in caso, non di Kant filosofo se dal suo criticismo non à tratto nessuna ricostruzione e colpa del popolo tedesco, se non ha saputo superare, integrandola, la sua filosofia: non di questa, che gli elementi, da noi utilizzati, aveva offerti anche agli altri. Ma, dice il Gaultier, è certo che il carattere germanico ha ispirato, in parte, la filosofìa tedesca. Allora la questione muta un po’ e si tratta di vedere quanto c’è di sano che non sìa tedesco, opera eminentemente di filosofia e di cultura tra le deprecazioni che necessariamente provocano le degenerazioni di umanità, cui ogni animo ben nato si oppone.
L’opera di Kant ha — secondo il Gaul-tier¿— il suo principio nel movimento di critica religiosa che nacque in Germania, con Lutero. Il fondatore del protestantesimo per ricondurre la religione allo sforzo mistico dell’anima illuminata da Dio separò radicalmente la fede dalla ragione. Ora, rifiutare l’intervento della ragione in materia di fede poteva condurre al misticismo, ma conduceva anche al razionalismo più temerario. Cosi poiché Lessing rovinò la teoria tradizionale della ispirazione verbale delle’scritture, l’esegesi biblica rigettò lafcnozione del sovranaturale e ridusse le origini cristiane al racconto poetico delle esperienze religiose dei primi fedeli, la religione fu ridotta quindi a un sentimento vuoto di valore obbiettivo e la questione di¿vero o di falso non potè più porsi in materia religiosa. Si arrivò cosi a Schleier-macher il quale separò definitivamente, verso la fine del secolo xvm, la morale dalla religione, ritenendo questa incapace di fare alcuna regola alla nostra condotta; Kant tentò di arrestare la morale su la china nella quale s’era condotta fondando il dovere su la coscienza individuale, alla quale s’impone sotto il titolo di imperativo categorico, proclama il primato della ragione pratica su la teorica, dimostra che l’esistenza a* una legge da realizzare dentro di noi Sostala resistenza di Dio e l’immortalità ell’anima. Invano; chè la légge morale di Kant, non impostaci da alcuna autorità
esteriore e data da noi a noi stessi finisce con l’essere relativa a ciascuno di noi e con aprire la via alle aberrazioni individuali e collettive, che il senso proprio può produrre. Fichte aiutò più in là. Ponendo deliberata-mente l’identità tra io e non io toglie di mezzo anche quel fantasma d’esistenza esteriore all’uomo che Kant aveva lasciato sussistere. Contemporaneamente, per via di conseguenza e di reazione ad un tempo, parecchi scrittori si posero a riabilitare la natura in quello che ha di più profondo, di più forte, ma anche di più terribile : i suoi istinti. Imbart de la Tour nel terzo volume delle sue Origini della Riforma disse essere questo una conseguenza del fideismo di Lutero. Questa tendenza, che coronò la dottrina della grazia, doveva incitare Herder, Jacobi, Goethe stesso e tutti i romantici, compreso Novalis, ad inclinarsi davanti al « senso creatore della natura », facendo dei nostri istinti, che ne costituiscono l’immediata manifestazione come una rivelazione progressiva della quale l’uomo sarebbe il Messia predestinato. Onde sembra che Heine avesse ragione quando scriveva: «Se la mano del Kantista batte forte e colpisce sicuro, perchè il suo cuore non è commosso da alcun rispetto tradizionale, se il fichtiano disprezza arditamente tutti i danni perchè non esistono per lui nella realtà, il filosofo della natura sarà terribile, in quanto mette in quanto si mette in comunicazione coi poteri originali della terra, scongiura le forze nascoste della tradizione, può evocare quelle di tutto il panteismo germanico e sveglia in lui quell’ardore di combatti mento che troviamo presso gli antichi tedeschi e che vuol combattere non per distruggere e nemmeno per vincere, ma solo per combattere ».
Il panteismo di Schelling sboccò di fatto nella divinazione dell’istinto, che Schopenhauer considerava per sua parte, sotto il nome di voler vivere come la causa dell’universo. Finalmente venne Hegel il quale conferì all’istinto i suoi titoli di ragione. Affermando che tutto ciò che è razionale è reale e che tutto ciò che è reale è razionale, o più esattamente che tutto ciò che diviene è ragione, ne segue che basta una cosa si realizzi, che un atto si compia perchè sia tosto giudicato conforme alla ragione, la quale, identica a Dio, prende nell’uomo una coscienza progressiva di sè stessa, per cui il successo appare come l’unica misura del valore logico e morale ad un tempo, dei nostri atti. Si comprende
66
302
BILYCHNIS
come, in tali condizioni, la metafìsica di Hegel abbia potuto dar vita al materialismo. Questo non contribuì mediocremente ad aprire l’orizzonte umano alla soddisfazione degli appetiti più grossolani che esso circondò, secondo il costume tedesco, di una specie di nimbo mistico atto ad aumentarne l’attrattiva. « La materia è eterna, essa è l’assoluto della natura » scrisse Steffens. Vogt, Moleschott, Buchner e Czoller, aprirono la via al materialismo storico di Carlo Marx e Haeckel, dopo il 1870, intensificò l’opera di tutti loro. Finché venne Nietzche a rovesciare le tavole dei valori...
E presso a poco questa —secondo il Gaultier — la via che seguì lo spirito tedesco per giustificare, diciamo così, intellettualmente, le barbarie dei suoi uomini di azione e dei suoi eserciti
R. F.
VARIA
Scientia, la poderosa Rivista edita dallo Zanichelli a Bologna ha nel suo fascicolo apparso in luglio (contrassegnato I, Vili, 915) uno studio di Charles Guignebert • L’Eglise Romaine dans le conflit euro-péen » nel quale il valoroso professore della Sorbona rileva con acuta analisi l’autoevi-razione che il papato ha saputo perpetrare ai suoi danni per mezzo dei tentennamenti diplomatici di Benedetto XV.
Consigliamo la lettura attenta del robusto articolo del Guignebert che è un critico sereno ed onesto quanto acuto e valente, anzi ci permettiamo suggerire a Scientia di curare la divulgazione dello scritto tirandone a parte un certo numero di copie sia nell’originale francese, sia nella traduzione italiana.
« • •
Coenobium, nel suo doppio fascicolo di agosto ha un notevolissimo scritto del Padre Alessandro Ghignoni «Il cristianesimo e la guerra». A non parlare del fatto che ciascuno dei due imperatori tedeschi ha saputo atrocemente bestemmiare il nome santo di Dio, è noto che Iddio lo si invoca un po’ da tutti in ogni campo e ciascuno, naturalmente lo invoca per sè, a danno altrui. Ci furono poi delle riviste cattoliche che andarono a parlare nientemeno che di un Codice cristiano della guerra che desumevano con agile disinvoltura acrobatica dal Vangelo. .
Ebbene, il fiero Barnabita tuona dalla sua solitudine contro i profanatori del Verbo di Cristo conscii od inconsci ch’essi sieno e dimostra quanto miseramente, anemicamente cristiani noi siamo, a venti secoli di distanza da Gesù, tutti quanti noi; cattolici ortodossi, anglicani, evangelici d’ogni sorta... !
Speriamo che il trionfo della civiltà latina e degli ideali democratici serva almeno a dare all’Europa qualchecosa del cristianesimo di Gesù ; non tutto certo, ma assai, assai più di quanto le hanno saputo dare fin qui le chiese organizzate... di qualsivoglia nome. La guerra attuale è proprio la dimostrazione negativa dei valori meschini cristiani e religiosi della teocrazia e come è santo morire per l’ascen-zione della umanità sul campo è dolce, è cristiano auspicare, scrivendo, al trionfo delle armi che prima la Francia ha impugnate per i diritti sacrosanti dell’uomo.
Un amico del Kaiser è certamente senza alcun dubbio, il nunzio apostolico nel Belgio mons. Tacci, almeno a quanto ne scrive R. O. nel Secolo XIX di Genova (Numero del 26 agosto 1915).
L’articolo molto bene scritto e documentato (La paurosa germanofilia del nunzio a Bruxelles) figurerebbe assai bene in una rivista meglio che in un quotidiano. Noi ce ne felicitiamo col valoroso giornale di Genova che ò da tempo all’avanguardia del movimento democratico delle idee nella città di Mazzini,
Nella Rassegna Nazionale del 15 settembre u. s., il dott. prof. Giovanni Pioli chiude una serie di articoli su Mazzini e la Letteratura inglese.
Lo studio completissimo e condotto con l’acutezza e la precisione che sono nel Pioli una seconda natura, merita d’essere rilevato da noi Italiani, in quest’ora in cui più e meglio che le aspirazioni territoriali nostre (d’altra parte santissime e giustissime) stanno maturando i destini incomparabilmente più alti d’una Italia definitivamente staccata dal passato che le fu largo di schiavitù e di ceppi d’ogni genere ed orientata per sempre verso la luce crescente del progresso umano. Dalla reverenza con che gli Inglesi attorniarono l’esule pensatore italiano (e ne sono mirabile compendio le parole ispirate del funebre elogio
67
TRA LIBRI E RIVISTE
303
Sronunziato dal Conway nella Cappella di outh Place) alla pia memoria, all’alacre studio con che F Italia nuova vorrà onorare la mente e la dottrina del Grande figlio che precorse col pensiero la sua grandezza di domani, speriamo sia lecito auspicare.
L’Azione, quotidiano di Cremona, nel suo numero del 2 settembre ha pubblicato (purtroppo inosservato dai giornali) un discorso del P. Semeria da lui tenuto a Tre-viglio in occasione d’una mostra di beneficenza.
La parola del noto Barnabita, rileva opportunamente il valore ideale della lotta che 1 figli d’Italia combattono a fianco del-F Intesa contro ogni vestigio di feudalismo e di tirannide per un avvenire migliore della razza e della umanità.
Consigliamo ai lettori nostri (e crediamo che Bilychnis ne fornirà loro l’acquisto) di procurarsi le belle parole del Semeria.
La Revue Bleue (Paris, 4 sept.) ha un lungo studio di Pierre Lasserre: Le GermaniSmo e VEsprit humain.
Il magnifico studio che ha in epigrafe le le note parole di Renan : « Chaque victoire de Rome a été une victoire de la raison », illustra il valore ideale, religioso della guerra che la Francia combatte e mostra chiaro che se è da ammettersi un pacifismo sincero, buono, mosso dal terrore del sangue in certe nature... miti, è però da osservare che esiste un pacifismo di men pura lega da parte di chi ha o tutto o qualche cosa da temere dal trionfo completo della Intesa e dalla radicale distruzione della egemonia teutonica in Europa... non tocchiamo, neppur noi, questo o quel perso-90, questo o quell’istituto più o meno ire; concordiamo pienamente coi fratelli Francesi nel ritenere che sia un delitto di lesa umanità, un attentato contro la civiltà ed il progresso umano parlare di pace. La pace è una dolce parola come lina santa cosa, ma c’è una parola più umana e più cristiana che serve a designare un ideale incomparabilmente più alto, divino... Giustizia!
La Rivista di psicologia che si pubblica ad Imola sotto la direzione del prof. Fer
rari ha nel suo fascicolo di gennaio-febbraio 1915 uno scritto dovuto al Porti-gliotti: « L’erotismo di Papa Alessandro VI ».
Con sicurezza di metodo critico, con fine senso storico e con pari acume di psicologo il eh. A. abbozza con la maggior dignità possibile di linguaggio (usando preferibilmente il latino delle fonti) la figura di quel «dolce Cristo in terra» che fu Rodrigo Borgia al cui paragone la spessa coorte dei papi crapuloni e dissoluti, i medesimi Sisto IV pederasta famoso ed Innocenzo Vili che amò perfino il proprio figlio meriterebbero l’onore degli altari.
Ai signori clericali italiani che si sbracciano contro le cosiddette pubblicazioni immorali esibite dai chioschi dei giornali sarebbe da dedicarsi, estratto dalla rivista e magari qua e là (p. es. nel celebre gioco delle castagne} illustrato, questo bel saggio di sacra pornografia vaticana che è stona a confessione medesima del sig. prof. Ludwig von Pastor commendatore di S. Gregorio Magno e storiografo pontificio.
• ♦ *
Fede e Vita, il simpatico periodico della Federazione studenti per la coltura religiosa ha opportunamente soppresso quest’anno il suo consueto riposo estivo per uscire dedicato interamente all’opera santa di annodare, tra i giovani che servono in armi la patria e le famiglie e gli amici loro, il vincolo spirituale degli affetti e dei conforti.
Il merito e la fatica della pubblicazione sono dell’egregio prof. Mario Falchi presso del quale (Torre Pellice prov. di Torino viale Dante, 8} è l’indirizzo del periodico interessantissimo.
• * •
Un cenno e un plauso merita il Dovere Democratico che si pubblica da due anni a Gualdo (prov. di Macerata) diretto dal-l’on. Romolo Murri. Contiene densi articoli dedicati allo studio de’ problemi spirituali e politici che nessuno in Italia dovrebbe dimenticare... e che si dimenticano invece pur troppo. Il numero dei collaboratori è piuttosto ristretto ma sono degli uomini che hanno un bell’ingegno ed una forte fede.
Il periodico, che è bimensile, merita di essere incoraggiato e sostenuto non solo com’è ma avviato a diventare qualchecosa di più. (Abb. annuo L. 2.00. Sostenitore L. 5.00).
68
304
BILYCHNIS
Di Adriano Tilgher già abbiamo segnalato qualche cosa parlando della nota rivista di studi filosofici e storici: Il Conciliatore. Diamo ora notizia di due ottimi lavori, per quanto piccoli di mole. Il diritto come prodotto dell'auto-coscienza e Le antinomie della filosofia del diritto. In essi il Tilgher si rileva meglio forte pensatore e scrittore geniale. Da notarsi la libertà con la quale egli sa ribellarsi rigorosamente a giudizi e pregiudizi anche quando vengono e si afforzano dalla autorità di uomini che ebbero, non si sa come, una riputazione colossale bella e fatta. (Ed. Coenobtum, L. 0.40 e 0.50).
Scientia, nel suo fascicolo d’ottobre (1 ottobre 1915) ha un interessantissimo articolo di C. Lloyd Morgan « Mind and body in their relations lo each other and to external things». Il vecchio dualismo umano, anima e corpo, così esiziale al cristianesimo vero ed autentico come gli è estraneo, è dal chiaro A. escluso perentoriamente dal dominio del pensiero scientifico. L’uomo è anima e corpo. E, quand’anche riescissimo a capire che cosa sia l'anima separata dal corpo, essa non sarebbe più 1* uomo, ma solo guai-checosa di lui che sopravviverebbe a quella che veramente è la morte di esso. Sta bene che aver vissuto sia vivere sempre. Questo pensiero così bello di uno scrittore moderno (non ne ricordo ora precisamente il nome) è cristiano. È anzi tutto il pensiero cristiano nei rapporti tra la vita eia morte: come l’avevano avuto i saggi prima del Cristo: non omnis moriar. E dunque poiché cristiano e umano, vero. Ma più in là, dove cominciano le costruzioni così dette filosofiche (peggio teologiche) della scuola, non sono che fantasticherie indegne del Vangelo e nocive alla comprensione della sua vera ed eterna bellezza.
• ♦ ♦
Dallo scritto sopra ricordato al bell’articolo di Charles Richet « L'idée de la mori et le prix de la vie » comparso nella Revue des deux mondes del 15 settembre se. è agevole il passaggio. Rileva il Richet come naturalmente e spontaneamente nessuna delle religioni del mondo circondi di cupi terrori la morte. Ci sarebbe solo il cristianesimo: ma, è a osservare, quella degene
razione del cristianesimo che furono la vita e il pensiero medievale, che soia è responsabile di tutte le bestemmie che furono proferite in nome o contro del Cristo. 11 cristianesimo invece, è bene gridarlo alto di fronte al medievalismo fosco che ancor oggi l'attosca, ha un pensiero più dolce e più umano: morte è un sonno «.non est rnorlua puella sed dormii».
* • ♦
Nella Revue du Mois (Janvier 1915) scrive il Tibal intorno a « La situalion polilique du cathohcisme allemand »'. Se in Francia ci fu recentemente un Vescovo, anzi un Cardinale di S. R. C. il quale ebbe la franchezza di far comprendere al Papa che al suo inno della pace non avrebbe risposto _ il coro dei cattolici francesi i quali avevano ' il diritto, anzi il dovere, di essere tutt’uno colla patria nel proseguire nella lotosa nta guerra, è da ricordare come non molto addietro i cattolici tedeschi ebbero il coraggio di far rimangiare a Pio X il suo famoso giuramento antimodernista. Ed è precisamente la specialissima indipendenza di che i cattolici della Germania sono, avvezzi a godere di fronte a Roma pontificia in tutto quello che non è dogma, ciò Che l’A. illustra nel suo scritto. Il quale non c’invoglia certo alla te-descofilia ma ci fa pensare al servilismo gretto e nauseante della Chiesa italiana che è schiava di Roma e non sempre per violenza e tirannia del padrone (che in questo caso ci sarebbe da sperare... qualche cosa) ma per auto abdicazione o peggio per mancanza di coscienza propria. C’è ancora in Italia un Vescovo capace di pensare, di scrivere, di parlare come un uomo e come un Vescovo?
« • •
Nella Civiltà Cattolica del 16 ottobre un anonimo scrittore disserendo delle « Finalità educative della pedagogia positivista » se la piglia con quei benemeriti educatori che sono il De Dominicis e la Ciulli-Para-tore derivandone il pensiero modesto costantemente indirizzato al bene della scuola popolare in Italia nientemeno che da Comte e da Spencer! Ed ha il bel coraggio di chiamare quella sciatta esercitazione retto-rica che è il « Saggio teorico di diritto naturale» del Caparrili una delle più grandi opere nel secolo passalo !
S. Bridget.
69
Cambio colle Riviste
I CLERI E LA GUERRA
Il curato battagliero.
Da un articolo del New Staiesman (presumibilmente di Bernard Shaw) dal titolo: « Il curato battagliero », desumiamo alcuni passi:
... Mentre la Chiesa Inglese, per bocca del suo Primate, sembra disapprovare l’arruolamento del clero nell’esercito,... il malcontento del giovane clero per le disposizioni pacifiste dei loro vescovi si rivela in una lettera, citata giorni sono, dal Daily News, di uno di loro: « Io mi sento una stanchezza e una vergogna indicibile, di dovere continuare a far genuflessioni e riverenze in sottana, mentre quei bravi giovani stanno dando la loro vita per la patria, e per noi che non sap-Fiamo far nulla... » ... Il rev. Paterson, professore del-Università di Edimburgh, dichiara che egli ed altri suoi colleghi nel sacerdozio sono orgogliósi di quei loro confratelli che « hanno sentito come un dovere di unirsi ai combattenti »: e cita con la più viva adesione il precetto di Gesù agli Apostoli: « Colui che non ha una spada, venda il suo mantello e ne compri una». Molti ministri di « Chiese libere » inglesi, nonché della Chiesa Presbiteriana Scozzese, hanno adottato la stessa interpretazione dei loro doveri... Certo, sarebbe cosa strana che in una razza si combattiva quale è il clero, molti individui non si ribellassero ad una consuetudine che interdice loro l’uso delle armi. Già Car-lomagno aveva trovato necessario di emanare decreti proibitivi e minaccianti la degradazione di ogni vescovo, prete, diacono o suddiacono, che indossasse le armi... Molti vescovi presero parte nelle Crociate, ritornando, alcuni di essi, «carichi di gloria, danaro e reliquie».
Nel secolo xm i vescovi erano tenuti, al pari dell’aristocrazia, a servire in guerra. Uno di essi, uomo pacifico e amante di letteratura, protesta in una patetica lettera al re di Francia: « Io non m’intendo affatto del mestiere delle armi: io mi sono votato alla religione, ciò che non è precisamente la stessa cosa che la vita
Psiche, Rivista di stùdi psicologici, Firenze, n. 3, luglio-settembre 1915. - F. De Sarlo: « I metodi della psicologia: III. Il metodo storico ». - E. Morselli: « Psicometria e psipato-logia ». - G. Stepanow: « Sogni indotti ». - E. Bonaventura : « Ricerche sperimentali sulle illusioni dell’introspezione ».
Rivista di Filosofia, Torino, luglio-settembre 1915. - G. Tarozzi: « L’etica induttiva e la scienza ». - G. Fano: « Sui fondamenti della geometria ». -G. Maggiore: « La religione di Fichte ». - M. Maresca: « Genesi e dissoluzione logica della Pedagogia scientifica ». - F. Albeggiane « Il sistema filosofico di C. Guastella ».
La cultura filosofica, Firenze, luglio-ottobre 1915. - E. P. La-manna* « La funzione del sentimento nella morale critici-stica: II. La ragion pura pratica e la bellezza dell’anima ». -G. Capone-Braga: « La logica di A. Geulinx ». - A. Lantrua: «Sul rapporto tra giudizio e concetto ».
Conferenze e prolusioni, Roma, 16 ottobre 1915. - Prof. Cosimo Bertacchi: « La giovinezza di Federico Garlanda ». - Professore R. Alessandri: ’« Principi generali di chirurgia di guerra ».
— i° Novembre 1915.- Avvocato A. Mariani: « Là guerra e il destino mediterraneo dell’Italia ». - P. Romano: « La nostra guerra e il nostro dovere ». - O. Raimondo: « I peccati della Germania ». - Padre Semeria: « Verso la vittoria ». - E. Cozzani: « I vaticinii di Giovanni Pascoli ».
Vita e Pensiero, Milano, 20 ottobre 1915. - M. Sturzo: « Crisantemi bellici ». - M. Bru-sadclii: « Torniamo a N. Tom-
70
3<X>
BJLYCHNIS
maseo ». - A. Gemelli: « La filosofìa del cannone ». - Viator: « Dalle guerre balcaniche all’ultimo piano germanico ». -Giuseppe Pascoli: «Le flotte militari delle potenze belligeranti ». - E. Gilardi: « La mamma del soldato ». - F. Olgiati: « Le consolazioni della scienza atea ». - A. Gemelli: « I problemi scientifici della guerra: 2® I pidocchi e la guerra ». -A. Cantono: « I problemi eco-nomico-sociali della guerra ».
La riforma italiana, Firenze, 15 ottobre 1915. - R. Murò: « Albori » - Sen. prof. A.Chiap-Ìelli: «La nostra inchiesta »-. V.: « L’evoluzione religiosa del popolo ebreo » - R. Otto-lenghi: « Ebraismo, Cristianesimo, Unità Religiosa » - C. Bianchi: ■ La nascita della moderna democrazia » - L’opera fiorentina del " pane quotidiano ” - L. Giulio Benso: • Corriere femminile ».
La nostra scuola, Milano, anno III, n. 1, 15 ottobre 1915. - Appello ai padri: V. Cento: « La scuola nazionale » -B. C.: « Storia che si fa e scuola che rinnova » - B. C.: « Sommo danno è quando l’opinione avanza l’opera » - Didattica: « In margine ai programmi » -A. Faria De Vasconcellos: • I fanciulli e la guerra » - G. Gabrieli: « I *' Giovani Esploratori ” d'Italia » - Dott. <5. Mo-dugno: « Per la riforma del Corso magistrale: V. Il nuovo istituto magistrale ».
Luce e ombra, Roma, 30 settembre 1915. - Dott. G. Fiocca-Novi: « L’energia pensiero » -A. Bruers: « Celebri processi di stregoneria » (cont. e fine) -Prof. A. Santoliquido: « Plutarco » (cont.) - V. Cavalli: «Scienza perduta?!»- Nigro Licò: ■ Profeti e profezie ».
— 31 Ottobre 1915. - P. Ra-veggi: « I fenomeni metapsichici e la psicologia introspettiva » - V. Cavalli: « Ottimismo
militare... » I monaci, di regola, sembra siano stati esseri pacifici. Essi accompagnavano le armate in gran numero, per vedere d’indurre i belligeranti a venire a Satti: se non riuscivano, restavano a prestare il servizio el trasporto dei feriti, della sepoltura dei morti, e di simili uffici. Il monaco sarebbe stato il pioniere della Croce Rossa. Però non fu sempre cosi: e spesso i monaci parteciparono a guerre, come in quelle fra Inghilterra e Scozia: e si ricorda il motto di un re di Scozia: « In Inghilterra, i guerrieri sono tutti chierici, buoni soltanto a spruzzare acqua santa: penseremo noi a trasformare questi " confessori ” in “ martiri ” ». Ma il cronista inglese del tempo, commenta: «Questi ‘'confessori”, questi “spruzzatori di acqua santa” disbrigarono la “confessione” dei loro schernitori così bene, coi loro randelli di quercia, che in penitenza dei loro peccati imposero loro di rimanere distesi al suolo ».
Nè la pugnacità del clero è confinata al Medioevo. In tutte le guerre esso ha preso una parte prominente, per lo meno ricordando ai loro fedeli che : « Il Signore è il Dio della guerra» e trasformandosi in agenti di reclutamento... È difficile comprendere la ragione per cui, tuttavia, la tradizione che il clero non debba combattere si è perpetuata in una società che rigetta gli ideali pacifisti, e che, quasi invariabilmente, crede che ogni guerra che combatte sia una « guerra santa *>. Alle origini del Cristianesimo, era comune credenza che nessun cristiano dovesse prestare servizio militare: ed era questo che particolarmente irritava i reggitori dello Stato, contro i cristiani. Oggi, abbandonato questo argomento, la difesa dell’immunità del clero è basata sulla teoria della natura internazionale della Chiesa Cristiana. Ma questo argomento sarebbe più convincente, se il clero non prendesse già una parte prominente nei conflitti nazionali, in tutte le forme che non siano di lotta cruenta... Quanto ai parroci in partico; lare, molte persone vedono con piacere un tantino di spirito bellicoso nel loro parroco... Forse è che il pubblico, essendo inclinato a considerare ogni ecclesiastico come qualche cosa di effeminato,... resta trasecolato alla scoperta di un « clergyman » dal cuore animoso, e dai muscoli superiori ai più gradassi del villaggio. Il « clergyman » che sa gonfiare gli occhi a un maniscalco che percuote la propria moglie, diviene l’eroe leggendario di tutto il paese... D’altra parte, vi è sempre il rischiò che il clero, abbandonando la sua posizione di autorità sovra-umana, per scambiarla con il prestigio della spada, venga a perdere molto della sua influenza. Che volete? In fondo al cuore dell’uomo sopravvive sempre il sospetto, che nelle guerre il Cielo resti neutrale. E molti preferiscono concepire il clero come profeta di questa potenza neutrale, piuttosto che ammirare in esso qualità combattive, che possono benissimo riscontrare nei loro figli e in se stessi. La Chiesa resta, Ser essi, come una specie di corte di appello dalle con-anne e dai giudizi del mondo. Ma se il curato stesso impara a tirar fucilate come una persona qualunque, il Cielo tace e resta il Mondo solo... ».
71
LA GUERRA
[Cambio] 307
Il clero francese nell'esercito.
Un luogotenente dell’esercito inglese scriveva al The Times nel mese di marzo, la seguente lettera: «... Più che 20.000 preti, religiosi e seminaristi, prestano al presente servizio nell’armata francese. Tra essi vi sono tre vescovi: Mons. Ruch, coadiutore di Nancy, che serve da « brancardier » nel trasporto dei feriti: il suo sangue freddo sotto il fuoco è magnifico. Gli altri due son venuti da lontano: l’uno, Mons. Perros, vicario apostolico del Siam, è sottotenente in un reggimento di fanteria; l’altro, Mons. Mourey, vescovo della Costa d’oro, non è che un semplice soldato. Mons. Mourey, essendo nato a Le Puy nel 1873, sarebbe stato esente dal servizio militare, ma la sua rettitudine (!!) di coscienza lo costrinse a prestare il servizio.
Queste cifre non han che fare con quelle dei cappellani militari francesi, che sono nominati ufficialmente, e la cui missione è ardua sempre, e spesso pericolosa. Essi sono di età superiori ai 48 anni, e perciò dispensati dal servizio attivo, e il loro compito è puramente ecclesiastico... Mi sia permesso suggerire, che se per un « clergyman » protestante è sconveniente prendere le armi per la sua patria, noi non dobbiamo più oltre accusare i sacerdoti cattolici di un’intolleranza e grettezza superiore a quella del clero protestante... »
Un parroco costruttore volontario di bombe.
All’appello fatto in Glascow, in Scozia, per avere un maggior numero di apprendisti per la manifattura di bombe, di cui vi è gran bisogno, ha risposto, fra altri, un parroco, il Rev. Stuart Robertson. Alto, di conformazione atletica, egli lavora a tale costruzione dalle sei del mattino alle cinque di sera, in un grande stabilimento di industrie belliche, e poi la sera ritorna parroco, e compie i suoi doveri religiosi.
• Egli sembra non avvertire alcuna contradizione fra i due mestieri, giacché è suo il bon mot: * Mi sembra che la distribuzione del lavoro sia equa. Io lavoro durante la settimana per preparare bombe contro i prussiani, e la domenica per preparare bombe contro il Demonio ».
Voti del Congresso diocesano di Londra.
Lo stesso vescovo (anglicano) di Londra, nel discorso di apertura del Congresso Diocesano da lui presieduto in Westminster in questo mese ha, fra altro, trattato la questione generale della guerra ponendosi le due domande: «Può la guerra essere mai giusta?» e «Non deve la vendetta essere lasciata al Signore ». La sua risposta fu: ■ Nello svolgimento della storia umana, il Signore si è, praticamente, sempre servito degli uomini come strumenti delle sue vendette. Vi è un’enorme differenza fra l’ammettere un Dio « dalla tribù », inglese o prussiana, e credere umilmente, che coloro che combattono per la libertà, la verità, l’onore, la fedeltà ai trattati
razionale alla riscossa » - G. Fiocca-Novi: « L’energia pensiero (cont.) » - N. Lieo: « La sopravvivenza » - A. Santoli-quido: « Plutarco » (fine) - P. Bornia: « La Porta Magica di Roma • (cont. e fine).
Bollettino della Società teosofica italiana, Genova, settembre-ottobre 1915- - «Di qua dal velo » - C. Finaràia-dàsa: ■ Il potere dell’intuizione » - G. Gasco: « L’imperialismo e il nazionalismo dal punto di vista teosofico » - Ivan Lia-booka: « Messianismo e religiosità in Russia nelle loro relazioni con la guerra odierna » (da Bilychnis) — E. Ravia: « Fra miti e favole ».
Revue Chrétienne, Paris, octobre 19x5. - J. Viénot: «La propagande allemande et la " Union Sacrée ” en France » — E. Monod: « Lettres de jeunesse d’Ed. de Pressensé » - E. Soulier: « Une française. Mme Armand Lods de Wegmann » -A. Jalaguier: « Notes du temps de la guerre » (suite) - L. Emery: « A propos de neutralité » -J. E. Necl: • Lettre ouverte aux affligés » - « Autour de la guerre » - A. Mailhet: « Nos sol dats et la croix huguenote »
Revue de Théologie et des questions Religieuses, Mon tau ban. n. 1, gennqio-luglio 1915. -E. Doumergue: « La guerre, Dieu, la France » - H. Bois: «La guerre et la bonne conscience » - L. Maury: « L’invisible » - E. Bruston: « L’attente silencieuse de la France » -H. Bois: « La guerre et les historiens de l’Allemagne ».
Foi et vie, Cahiers A, Paris, iCT octobre 1915. - •** : « Journal de la vie en territoire oc cupè » — L. Hugouneuq: « Lé-cole professionnelle des blessés à Lyon » - E. Doumergue: « Propos de guerre » - A. Weiss: « Allocution aux jeunes gens des Unions chrétiennes ».
72
3o8
BILYCHNIS
— 16 Octobre 1915. - P. Dou-mergue: « Au pays de la discussion » - •** : « Journal de la vie en territoire occupé (fin): Les « évacués » - E. Dou-mergue: « Le colonel F. Fey-ler » - L. Maury: « Pour la défense de la race. Le train des enfants ».
Foi cl Vie, Cahiers B, Paris, iw octobre 1915.- E. Denis: « La Roumanie ».
— 16 Octobre 1915. - E. Denis: « La Roumanie » (fin).
The Bible Magazine, New York, October 1915.- Editorial: 0 As to Culture » - • To Interest many, or to bring a few to act» - « A Notable Tribute to the Missionary » -Francis J. McConnel : « Sermons that respond to needs » -George Hanson: « The Witness of Christ’s enemies » - Homer C. Stuntz: «South American students and missionary strategy » - Georg Richter: « Concerning the Hebrew text of the old Testament and the Maso-retic text tradition » - Lais Matthews Sweet: « Collateral Readings on the International Sunday School Lessons » - Wilbert W. White: «A Key to the Bible ».
The Modern Churchmann, ot-tobre-novembre 1915, Vol V, n. 7-8. - Presidential Address (Percy Gardner); The Old Testament in Pulpit and Parish (Rev. A. Fawkes); The Old Testament Secondary in Schools (Canon Glazebrook); The New Testament in the Pulpit (Rev. J. Gamble); The New Testament in Public Schools (The Headmatter of Sherborne); The Creeds and their Teaching (The Headmatter of Bristol Grammar Schools); The Teaching of the Creed (Prof. Alban G. Widgery); The Church and Nonconformity (Rev. T. F. Royds): Towards Unitv (Rev. J. M. Jeakes).
internazionali e i principi di morale cristiana incorporati,' ad es., nella Convenzione dell’Aia, combattono ' dalla parte di Dio: giacché, « Non sarà il Dio della Terra un Dìo giusto? •
Riferendosi all’allettativo delle bevande alcooliche, egli disse, che se fosse vero che centinaia di figli illegittimi stanno per venire alla luce in conseguenza dell’alloggio dei soldati presso famiglie durante il periodo d’istruzione — ciò che egli può appena credere possibile, dopo avere verificato il contegno eccellente della milizia territoriale di Londra — sarebbe stato recato al prestigio nazionale un colpo maggiore che ogni indie-treggia mento dell’esercito della nazione. Ebbe anche forti parole riguardo alla scarsità di munizioni, altra conseguenza dell’eccesso di bere degli operai, e concluse proponendo il voto che la Chiesa ispiri la nazione a concentrare tutta la sua volontà e le sue risorse verso il successo completo della lotta.
Il tragico guaime dopo la falciatura della guerra.
Grande fermento e non lieve indignazione fu causata dal discorso tenuto nello scorso mese nella Chiesa di Santa Margherita, in Westminster, considerata come la cappella del Parlamento inglese, dal dott. Lyttelton, direttore del famoso colleggio di Eton, in cui il fiore dell’aristocrazia inglese compie i suoi Studi secondari. Nel corso del suo discorso, egli si fece eco dei sentimenti propugnati, nel campo politico, da numerose associazioni, specie dalla « Unione per il controllo democratico ».
« Se noi volessimo agire da nazione cristiana » — egli disse — « noi dovremmo applicare i principi della carità cristiana in un grado tale, al quale non siamo ancora mai assorti. È necessario agire in modo, da permettere a sessanta milioni di persone di salvarsi dal loro stesso spirito di vendetta. Nessun’altra questione è paragonabile a questa, per importanza. I Tedeschi son persuasi, che noi parliamo sempre di moralità senza mai praticarla: che mentre parliamo di rapporti disinteressati fra le nazioni, di altruismo e simili, costruiamo poi il nostro potere, dappertutto, con successi meravigliosi, gettando polvere negli occhi, ad un popolo appresso all’altro, con l’altezza delle nostre pretese. Di Suesto, tutti i Tedeschi fino all’ultimo sono persuasi.
d ecco il problema che ci tocca di risolvere: In qual modo salvare sessanta milioni di persone, prossimo nostro, dalla sciagura di un avvelenamento mentale? Può ben essere che noi combattiamo per resistenza stessa del nostro impero, ma da qualunque punto di vista si riguardi lo scopo finale della guerra, certo bisogna riconoscere, come nazione cristiana, che se il suo risultato dovesse essere quello, che sessanta milioni di persone ci abbiano da odiare come mai ci hanno odiato in passato, esso sarebbe stato un fallimento completo... Nessuna cosa che noi potessimo fare per stabilire in Europa la pace avrebbe il minimo valore, se non dimostrassimo la nostra determinazione di agire conforme
73
LA GUERRA
[Pubblicazioni] 309
al principio, che ogni nazione deve poter avere piena fiducia in ogni altra nazione: e che ogni nazione deve poter riguardare ad un tempo, in cui le sarà permesso di vivere e svilupparsi a suo piacimento. E se questo bisogno di agire in piena lealtà, allo scopo che altri comprendano quello che questo significhi, è un bisogno sentito, non vi è, per fermo, nazione alcuna che sia chiamata a dare questo esempio, quanto l’Inghilterra. A meno che l’Inghilterra si faccia avanti, e proponga di rinunziare a qualche cosa per una causa che essa vuole Ì>ersuadere agli altri, essa sarebbe accusata, e con peretta ragione, della più consumata ipocrisia. Persone di autorità hanno proposto, che la nostra richiesta di internazionalizzare il canale di Kiel sia accoppiata con la promessa nostra di internazionalizzare lo stretto di Gibilterra. Io ho presentata questa proposta a persone influenti e dotte, e la risposta è stata, che sarebbe chiedere troppo il pretendere che la nazione inglese indebolisca talmente la posizione dell’Impero Britannico. E può bastare questo? Se nostra intenzione è di tenerci stretta ogni cosa che abbiamo guadagnato in passato, — ed alcuni di questi possedimenti sono il frutto di una politica abbastanza discutibile, — e protestiamo di non voler cedere un solo pollice di terreno od un solo privilegio, tutto ciò che io posso dire si è, che noi ci allontaniamo dai principi del Cristianesimo, e ci basiamo, ancora una volta, sui principi della concorrenza. Noi ci lasciamo guidare da principi cosi nebulosi, che riusciamo a professare di seguirne uno, mentre in realtà ne seguiamo un altro, senza ncppur sapere ciò che facciamo. È questa la nostra colpa nazionale... •
Alle proteste veementi suscitate dalle cristiane e leali parole del Rev. Lyttelton, egli ha risposto con una lettera a) The Times, che terminava: «Non è nulla più che una ragionevole prudenza spirituale, che ci deve Sersuadere a cercare di sradicare dalla mentalità te-esca un insensato antagonismo: e il modo migliore di ottenerlo è di mostrare che non pretendiamo di chiedere alla Germania di esser buona per forza, riservandoci noi il privilegio di esser cattivi per elezione. E ciò sarebbe perfettamente stupido •.
L’amore dei nemici.
Lo stesso dottor Lyttelton predicando nel giorno di Venerdì Santo nella cattedrale di Southwark in Londra, interpretò, quale commento alle parole di Gesù sulla Croce, il precetto dell’amore dei nemici. « L’amore mostrato da Gesù pei nemici » — egli disse — « fu un desiderio tenero e costante di aiutarli a rettificare i loro rapporti con Dio. Non fu quel sentimento emozionale che noi generalmente intendiamo con la parola amore, ma fu, tuttavia, assai più difficile, più elevato, e radicato in un concetto più giusto della nostra relazione con Dio: un desiderio ardente di aiutare a riconciliarsi con Dio, coloro che ci hanno offeso. Noi dobbiamo sforzarci di credere che nessuna offesa mai
Pubblicazioni pervenute alla Redazione
Estratti, Opuscoli, Libri.
Luigi Asioli: Vita di Gesù. Ed. u. Hoepli, Milano, 1916. Voi. rilegato, di pag. 252, L. 2.50.
Prof. G. M. Zampini:. San Paolo. Epistole. Ed. U. Hoepli, Milano, 1916. Voi. rilegato di pag. 405, L. 4Il ritardo nella pubblicazione della Rivista è dovuto unicamente alle speciali circostanze di famiglia che non hanno permesso al nostro f direttore di attendere come avrebbe voluto al lavoro di Redazione. Non si dia il minimo peso a ciò che si susurra tra coloro che seguono lo sviluppo di quest’opera con mal celata ostilità.
La Rivista non ha nessuna intenzione di morire.
Sono in preparazione i fascicoli di Novembre e Dicembre.
a a a
Stimiamo opportuno ricordare che siamo decisi a conservare per lo scambio di idee intorno al soggetto «Cristianesimo e guerra » la più completa libertà ai nostri collaboratori, mentre ripetiamo l’avvertimento che nelle pagine rosa dedicate alla guerra non esprimiamo il no-
74
310
BJLYCHNIS
stro pensiero, bensì abbiamo cura di raccogliere obbiettivamente quanto si dice e si scrive in Italia e all’estero circa quel medesimo argomento.
& A &
Non vogliamo tardare oltre ad esprimere il nostro vivo compiacimento per lo splendido successo ottenuto da un bravo giovane Battista, il nostro amico dott. Edoardo Ghiera, nel campo dell'assiriologia. Ottenuto il dottorato, dopo un corso di studi compiuto con lode, è stato nominato professore di assiriologia nella Università di Pennsylvania (Filadelfia, Stati Uniti). Il Ghiera ha già dato un notevole saggio della sua scienza nella pubblicazione: Legai and ad mini strati ve docutnents from Nippur, chiefly from thè Dynasties of Isin and Larsa, in cui trascrive e in parte traduce 102 tavolette, scritte in lingua sumeriana. La sezione babilonese del ricco museo archeologico dell’università di Pennsylvania possiede un abbondante materiale inedito... ed il nostro amico, ne siamo certi, non tarderà a darci nuovi saggi della sua valentia.
Ci felicitiamo vivamente con lui e ci auguriamo che egli voglia mantenere, nell’ interesse della nostra Rivista, una sua vecchia promessa...
A A A
l NUÒVI abbonati per il 1916 che ci manderanno subito l’ìm-5>orto del loro 'abbonamento
L. 5 per l’Italia e L. 8 per l'estero) riceveranno gratis i numeri di Novembre e Dicembre 1915 e i due volumi in dono: • Verso la fede» e «Z Ballisti».
A A A
Quelli fra i nostri abbonati, che non hanno mai ricevuto in dono i due volumi « Verso la fede » e « I Ballisti », ce ne informino e noi ne affretteremo la spedizione.
recata ad uomo è paiagonabile a quella che Gesù soffriva nel momento in cui pronunziava le imperiture e prodigiosamente potenti parole di amore: “ Padre, perdonali, perchè non sanno quel che si fanno ” »
Altri oratori sacri appresero, e riferirono, dalla Croce, parole di elevata superiorità sull’odio e sulla vendetta: mentre, per altri, il messaggio del Crocifisso fu un grido di guerra. Di questi, fu rappresentativo il discorso del Canonico Carnegie, che nella chiesa di Santa Margherita di Westminster, disse fra altro: «Sembra inutile parlare di amore e di pace, e di gentilezza e di perdono, in un tempo quale il presente. Le persone che pur solo nominano queste parole, ci irritano. Ci sembra come se esse si prendessero gioco di noi, cianciando delle sciocchezze. A che serve, diciamo, parlare di pace mentre siamo impegnati in un conflitto di vita e di morte per ogni cosa che dà valore alla nostra vita? A che giova parlare di amore e di perdono, quando noi siamo alle prese con l’inferno scatenato? E, venuto il tempo di metter da parte tutti questi sentimenti, e di chiamare in aiuto della nostra virilità quelle forze appunto di odio, d’ira, di spietata ferocia contro le quali combattiamo. Non è un messaggio pacifista quello che la Croce c’invia: non è solo un amabile sentimentalista colui che vediamo lì soffrire e morire. Egli è uno che venne a combattere e a vincere. Ma la forza con cui egli combattè fu il potere dell’amore; e la causa per cui egli combattè fu la causa dell’amore ».
Il clero e l’alcoolismo.
In seguito allo splendido esempio dato da Sua Maestà il re d’Inghilterra, col proibire l’uso di liquori, vino e birra, in tutte le sue case « in modo che su tal punto non vi sia differenza di trattamento, per quanto ri-Ìuarda Sua Maestà, fra ricchi e poveri », l’Arcivescovo i Canterbury, l’Arcivéscovo di York, il Cardinale Bourne, e il Presidente della Federazione delle Chiese libere, concordarono la seguente circolare al clero e al popolo di tutte le Chiese cristiane inglesi: « In considerazione degli eventi, e seguendo l’esempio senza precedenti di Sua Maestà il Re, è nostro desiderio di richiamare vivamente al pensiero di tutti coloro su cui possiamo esercitare qualche influenza, il dovere e il Srivilegio di partecipare volontariamente all’incremento ella disciplina e dell’abnegazione della nazione, con l’astenersi da tutte le bevande alcooliche durante la guerra. Noi tutti siamo debitori di qualche decisione pratica, in tale riguardo, verso i nostri coraggiosi soldati, verso tutta la nazione, e verso Dio ».
L’invito non è stato vano. Il clero ha cominciato col dare l’esempio esso stesso, sopprimendo o moderando l’uso delle bevande alcooliche, e conducendo una campagna contro il nemico, di cui Lloyd George ha detto: « Noi combattiamo la Germania, l’Austria e l’abuso del bere e di questi mortali nemici, il peggiore è il bere ». Le riviste inglesi e i giornali hanno gareggiato
75
LA GUERRA
[Notizie]
coi pulpiti nella crociata. Molteplici iniziative sono state intraprese a tale riguardo.
E da notare che, secondo la Deputazione dei costruttori navali che proposero, primi, a Lloyd George la sospensione totale della vendita dei liquori, circa l'8o % del tempo sprecato dagli operai nell’orario di lavoro e dovuto al bere; e che il danaro speso in tali bevande ammonta a circa 40 miliardi annui, quanto cioè basterebbe da solo a coprire tutte le spese di un anno di guerra.
Il Papa e la guerra.
Una strana polemica è stata dibattuta sullo Sbec-tator nel mese di aprile, sul contegno del Papa nella presente guerra, in rapporto con l'esercizio della reclamata prerogativa delrinfallibilità. «Benché il Papa proclami ad alta voce » — scrive un collaboratore ______
« la sua infallibilità, e vanti la grande fortuna che hanno 1 fedeli che appartengono ad una Chiesa che possiede un tribunale infallibile per dirimere tutte le controversie, pure egli agisce come colui che è pienamente consapevole, che tale tribunale non esiste... e che i Cattolici preferirebbero d’incorrere in tutti gli scismi piuttosto che sottomettersi alla autorità della sua pretesa infallibile decisione, se essa fosse contraria alle loro opinioni personali. La difficoltà che il Papa prova, a intervenire in controversie che sorgono nell’interno della sua stessa Chiesa fa parte di un sistema. L’ “ autorità infallibile” ha una paura matta di impegnarsi irrevocabilmente in una decisione, senza lasciare un pertugio aperto, per cui ritirarsi in caso di bisogno... »
L’editore chiudeva la polemica, facendo le seguenti domande: « Non potrebbe il Papa pronunziare il suo giudizio, almeno sui seguenti punti astratti: È, o no, contrario alla sana morale: 1® Di considerare un Trattato come qualche cosa che si può gettar via come un pezzo di carta qualunque; 2® Di violare impegni solenni, come quelli presi al congresso dell’Aia; 3® Fucilare gli ostaggi? »
L’unione delle Chiese per la pace.
L’« Unione delle Chiese per la pace » di cui è fondatore Andrea Carnegie ha diramato a tutti i ministri delle chiese negli Stati Uniti, un questionario, che mostra quanto vivamente i «leaders» religiosi di quella nazione s’interessino al problema della pace: ed insieme, quanto ancora manchi alla coscienza cristiana per raggiungere una chiara visione e una determinazione definita dei suoi doveri.
La prima questione alla quale il clero americano è invitato a rispondere è, per esempio: « Quale dovrebbe essere, secondo voi. l’insegnamento delia Chiesa Cristiana. riguardo alla guerra, come mezzo di risolvere le questioni internazionali? Alla luce della dottrina di Cristo, fino a dove, credete, una nazione cristiana dovrebbe giungere, nella sua posizione in favore o
NOTIZIE
Un’allocuzione di S. Santità
Il 21 novembre S. Santità ha ricevuto in solenne udienza i componenti 1’ « Opera della preservazione della Fede». Dopo aver ascoltato, seduto in Trono, un indirizzo lettogli dal presidente dell’Opera, il Santo Padre rispondeva con un discorso, del quale riproduciamo qui, a titolo di documento, la parte centrale, seguendo il testo dato da\V Osservatore Romano del 22 novembre 1915.
« ...Ma noi vorremmo sopratutto che il vostro proposito di adoperarvi più efficacemente a favore dell’ « Opera della Preservazione della Fede in Roma» si traducesse in una cura più costante di far conoscere ad altri il gran pregio di questa Opera. Basterebbe all’uopo che a quanti parenti ed amici vi fosse dato avvicinare, voi domandaste animosi, se vedendo un fratello assalito da masnadieri, improvvisamente sbucati dalle foreste, lascerebbero derubare quel povero fratello di ogni suo prezioso avere. No, mille volte no, risponderebbero quei parenti e quegli amici, memori dei precetti deila carità e della giustizia. E allora perchè non incalzereste voi col mostrare i fratelli di Roma esposti agli assalti di ladri peggiori che i ladri usciti dalie foreste? Vi faremmo torto, o figliuoli se non vi supponessimo consapevoli che la fede è un tesoro di gran lunga più prezioso di tutti i beni della terra, perchè « radice e fondamento » di tutta la vita cristiana, perchè senza di essa il cristiano « non può piacere a Dio », anzi viene ad essere una contradizione con se stesso in quanto die un fedele senza fede non si concepisce. Egli è perciò superfluo l’insistere nel dimostrare che a chi ruba la fede deve darsi il nome di ladro. Ma che cosa
76
312
BILYCHNIS
fanno cotesti emissari di Satana che in mezzo alla città santa innalzano templi ove a Dio si nega il vero culto, che erigono cattedre pestilenziali per diffondere errori in mezzo al popolo, eh e spargono a piene mani la menzogna e la calunnia contro la religione cattolica e i suoi ministri ? Queste arti diaboliche sono altrettanti assalti alla fede dei figli di Roma, e sono assalti tanto più pericolosi quanto più frequenti, e quanto più insidiosi perchè accompagnati troppo spesso dall’allettamento di vantaggi tem-Erali ! Oh ! poveri padri di niglia, ai quali è offerta la gratuita educazione dei figli a prezzo dei loro allontanamento dalla Chiesa! poveri figli, ai quali è promesso un aiuto per la cadente età dei genitori, se genitori e figliuoli daranno il loro nome alla setta evangelica!
Non fa mestieri insistere più oltre nel descrivere il pericolo che minaccia la fede dei figli di Roma: basta percorrere le vie di quest’alma città per conoscere le arti molteplici onde la fede cattolica è assalita in questa naturale sua sede. Nè fa duopo spendere molte parole per mettere in rilievo la maggiore iniquità dell’assalto, appunto perchè mosso contro il centro della cattolica religione. Oh ! non vi è punto a temere che le porte dell’inferno possano aver prevalenza: ma nondimeno chi non vorrà lamentare, prima il danno che ne verrebbe a questa santa città e poi lo scandalo che ne avrebbe il mondo cattolico, se Lutero e Calvino giungessero a piantare stabilmente le loro tende nella città dei Papi ? Voi sopratutto lo lamentereste, o diletti figli che avete la sorte di apprezzare nel suo giusto valore il tesoro della fede, voi che a ragione deplorate con noi quell’indifferentismo religioso che è il primo effetto deicontro alla guerra? » Altra questione connessa è quella: « Fino a che punto la dottrina e la pratica di '* non resistenza ’’^insegnata da Cristo si può applicare ad una nazione? E èssa un insegnamento pratico? »
Nel questionario appare anche il dubbio se la Chiesa abbia fatto tutto quello che avrebbe potuto fare in via di protesta contro la guerra: e la domanda, che cosa le Chiese potranno fare per garantire all’Europa una pace duratura. Un’altra domanda è questa: « Dovrà l’America imitare l’Europa o dovremo noi trovare qualche nuova via e additarla alle nazioni ? «
L’unità della civiltà occidentale.
Abbiamo altra volta accennato all’attività dei « Friends » (fautori del principio della non resistenza) e al « Settlcment » di Woodbrooke, presso Birmingham, in cui da dodici anni convengono uomini e donne di tutte le nazioni, a prepararsi nell’atmosfera di « Amici », impregnata del più squisito spirito cristiano, a missioni diverse, di missionari, di operai del servizio sociale, di insegnanti delle « scuole domenicali »; o anche semplicemente, a ritrovare se stessi, e dare la « chance » alla voce di Dio, di risuonare, nella quiete della natura, e nel « silenzio dell’eternità interpretato dall’amore». Nel mese di agosto si tenne nel detto « Settlement » un corso di studi concordato fra parecchi eminenti professori universitari, dal titolo: «L’Unità della civiltà occidentale ». Esso si propose di mostrare, che nella civiltà occidentale moderna, come nella antica, dominano alcuni principi attivi e unificatori, che però tendono ad oscurarsi al prevalere delle cause e delle manifestazioni dei conflitti nazionali. E lo scopo di tale analisi òdi preparare, sulla guida di una visione chiara dell’anima Occidentale, la ricostruzione di una società internazionale europea.
Tra gli argomenti che vennero trattati, sono: «L'unità nel periodo preistorico »; • Il mondo antico»: «Gli ideail comuni delle riforme sociali»; «La legislazione industrialeinternazionale»; «Gl’ideali internazionali». Il diritto, la politica, la scienza, la filosofia, il commercio, la letteratura, l’arte, la religione , portarono il contributo nel lauto « symposium ».
Ricordiamo che il direttore degli studi è il dott. Rendei Harris, noto ai nostri lettori; e facciamo notare, quale esempio tipico della larghezza ed affinità di spirito dei Friends (Quakers) e dei Battisti, che il direttore di questo « Settlement » di Friends è appunto un Battista, il prof. J. Wood.
Appello ai cristiani insoddisfatti.
In seguito al Congresso di Cambridge, del quale parlammo in un numero precedente, enei quale convennero uomini e donne, specialmente ministri di diverse Chiese, « profondamente insoddisfatti della confusione di concetti nelle Chiese cristiane, riguardo alla guerra
77
PRETE CATTOLICO PASTORE
RABBINO
CAPPELLANI MILITARI IN FRANCIA
(1 Un primo e lieto risultato di questa guerra è stalo di mettere improvvisamente fine alle divisioni confessionali*, con pari zelo i ministri delle varie religioni si sono volti con premura verso il loro dovere e quelli che non sono stati compresi nella mobilitazione hanno insistito per essere ammessi negli eserciti come cappellani o come portaferiti ; questa fotografia è una prova eloquente dell’unione avvenuta all’ombra della bandiera nazionale". (DaWllluslratfon di Parigi)].
[1915-X]
79
LA GUERRA
[Notizie]
313
in generale e alla presente guerra in particolare » è stato emanato un appello allo scopo di « introdurre un nuovo ordine di vita, nel quale i principii cristiani siano riconosciuti e accettati come base della condotta individuale, nazionale e internazionale.
I punti in cui i congressisti convennero sono:
i° L’amore, in quanto rivelato e interpretato dalla vita e morte di Gesù Cristo, implica assai più di quanto nói abbiamo finora veduto: ed esso è la sola forza la Iuale può superare il male, e la sola base sufficiente ella società umana.
2° Allo scopo di costruire un mondo basato sull'amore, è indispensabile che tutti quelli che ammettono questo principio lo accettino nella sua pienezza, sia per sè che nei loro rapporti con gli altri; e assumano i rischi che la loi;o azione implica, in un mondo che ancora non li accetta.
3° A noi, come cristiani, è proibito l’uso delle armi, e la nostra fedeltà alla nostra patria, all’umanità, alla Chiesa Universale, e a Gesù nostro Signore e Maestro, c’impone, invece, una vita di « servizio » per il trionfo dell’amore, nei rapporti personali, sociali, commerciali e nazionali.
4° La Potenza, la Sapienza, l’Amore di Dio si estendono assai al di là dei limiti della nostra esperienza presente, e non vogliono che irrompere più abbondantemente nella vita umana.
I Battisti inglesi e la guerra.
Nella adunanza primaverile «dell’unione delle Chiese Battiste Inglesi », che ebbe luogo negli ultimi giorni del mese scorso in Londra, il Rev. Rushbrooke, ministro della cappella del « Suburbio-Giardino » di Hampstead, in Londra, Che si trovò in Germania nei Sri mi quattro mesi della guerra, parlò sugli « Effetti ella guerra sul movimento Battista in Europa », e ne prese occasione per proclamare che: « I Battisti tedeschi hanno reso alla causa Evangelica i più grandi servigi » e per assicurare quei suoi confratelli, che ■ qualunque possa essere la discordanza di opinioni politiche che li divide dai Battisti inglesi, essi non potevano neppure immaginare la possibilità che tali divergenze potessero spezzare l’intima armonia nella stessa legge morale, nella stessa fede, nello stesso battesimo, nello stesso Dio e Padre di tutti e di tutto ».
Anche notevole fu il discorso del nuovo presidente della federazione dei Battisti inglesi, Rev. Forbes, dal titolo: ■ Solidarietà e ciò che essa implica », di cui ecco la conclusione: « Di pari passo con l’avanzata verso la vittoria, noi dobbiamo aspirare alla vittoria morale dei grandi principii per cui combattiamo. Ma qualunque sia il nostro progresso verso una più larga unità dei popoli... si intende bene che essa non dovrà mai essere una uniformità: essa non dovrà mai schiacciare ma consacrare, i doni che le nazioni apporteranno. Noi combattiamo gli ostacoli alla vera “ solidarietà ”, delle classi come delle nazioni ». G. Pioli.
l’atmosfera malsana in cui sono costretti a vivere i giovani dell'epoca nostra. Ma che gioverebbe là tardiva lagnanza? E uopo preservare la fede di questi nostri poveri fratelli, è d’uopo impedire che ai loro danni si compia l’esecrabile furto. Non ci sembra, o figliuoli carissimi il nostro linguaggio possa essere tacciato di esagerazione, se « opera di veri ladri » chiamiamo l’insieme degli assalti mossi contro la fede dei figli di Roma. Ma la congiura di questi ladri dev’ essere distrutta da una forte organizzazione di difensori della fede, e questa voi l’avete nell’ « opera della preservazione della fede in Roma ».
La Presidenza dei Rappresentanti di Chiese ed Opere evangeliche in Roma c’invia il seguente ordine del giorno, con preghiera di pubblicazione:
I sottoscritti, rappresentanti di Chiese e di Opere evangeliche in Roma:
presa nota di un’allocuzione pronunciata dal Capo della Chiesa cattolica romana a loro riguardo;
considerato che sarebbe antipatriottico assecondare qualsiasi polemica di natura tale da turbare la concordia degli animi nell’ora storica e solenne in cui i figli d’Italia, senza distinzione di fede, danno il loro sangue e la loro vita per una Patria più grande;ritengono non essere dignitoso rispondere e passano all’ordine del giorno.
Roma, 26 novembre 191$.
Firmati: Vincenzo C. Nitri, pubblicista, direttore <\c\\’Evangelista - Lodovico Paschetto, Ìubblicista e per la Scuola eologica Battista - Ernesto Filippini, pubblicista, direttore della « Scuola Domenicale » - Paolo Coisson, segretario dell’Assoeiaz. Cristiana della gioventù - Aristarco
80
314
BILYCHNIS
Fasulo, pastore e direttore del Testimonio - Amedeo Auto Ili, direttore del Collegio Metodista Giuseppe Nagni, 5astore Battista - Alessandro etocchi, pastore Battista -Ricordano Bottazzi, pastore Battista - Riccardo Borsari, pastore Wesleyano - Guglielmo Nesi, direttore dellaScuo-la Metodista di Teologia -Alfredo Tagliatatela, pastore Metodista.
¡LAMINATORE
È un foglietto di quattro pagine a tre colonnine che si pub->lica ogni quindici giorni. Abbandonata ogni }x>lemica e controversia e qualsiasi accenno confessionale, continua a portare un’eco della parola e dello spirito di Cristo nelle anime aperte, negli spiriti ardenti dei nostri soldati.
Diamo il sommario dei numeri sin qui pubblicati col nuovo indirizzo:
N. n (16-20 ziugno 1915): La nostra fede e la Patria - La preghiera della madre - Guerra alla guerra - La bontà cavalleresca dei nostri soldati - Soldato d’Italia! lettera di Italo Cristiano).
N. 12 (1-15 luglio) : L’idealismo della nostra guerra - La pagina del Vangelo - La fede di un poeta trentino - Le donne italiane ai soldati d’Italia - GiuGERMANIA
Resipiscenze tedesche e motivi di sperare.
Coloro che, pur in mezzo alia follìa suicida c omicida che ha invaso da più di un anno il fiore del genere umano, non hanno perso la fiducia nell’elemento divino che sta a fondo allo spirito dell’uomo, e nella prevalenza finale delle forze buone e dei sentimenti nobili sugli egoismi brutali e i sentimenti disumani, possono trovare nuovi motivi di sperare in alcuni sintomi di resi-Siscenza morale, che si intensificano e tendono a prenere il sopravvento anche nella nazione in cui il culto della forza e l’idolatria della patria sembravano aver detronizzato il Dio della giustizia e dell’umanità. Come protesta e contro-petizione ad un memoriale presentato al Cancelliere tedesco da sei delle maggiori e più potenti organizzazioni economiche della Germania, in cui si domandava esplicitamente l’annessione del Belgio e di una porzione della Francia, è stato presentato al Cancelliere nel mese di agosto un altro memoriale firmato da 82 eminenti personalità, i cui rapporti Eersonali con il Kaiser, con il Cancelliere Bethmann-iollweg e con Herr Von Jagow dànno fondamento a credere che la petizione rispecchi i sentimenti prevalenti nelle più alte sfere della politica tedesca.
Eccone il testo significativo:
« La Germania non imprese la presente guerra per mira alcuna di conquista, ma solo allo scopo di difendere la propria esistenza minacciata da una coalizione ostile, che attentava alla sua unità nazionale e al suo sviluppo progressivo. Nella conclusione della pace, la Germania non potrà proporsi alcuno scopo che non sia rivolto a questi oggetti. Noi consideriamo quindi esser nostro dovere, in vista di alcune petizioni presentate all’Eccellenza Vostra, e che si oppongono al conseguimento di questi obbiettivi, di ostacolare con tutta l’energia di cui siamo capaci questi sforzi, e di dichiarare con tutta franchezza, che noi considereremmo il loro successo quale un errore politico gravido di conseguenze, e causa di un fatale indebolimento dell’impero tedesco anziché di un aumento della sua potenza.
«Da un punto di vista pratico, è giuocoforza riconoscere il principio, che l’incorporazione o l’annessione di nazioni politicamente indipendenti, abituate a governarsi da sé, è un atto pericoloso. L’Impero tedesco è sorto e si è sviluppato dall’idea di unità nazionale e di omogeneità nazionale. Esso non ha assimilato l'elemento straniero che assai lentamente, e non ancora in modo completo, e noi non vogliamo lasciarci trascinare dal corso degli eventi, da persone, o da sentimenti popolari facili a maturarsi, ad abbandonare o a snaturare le fondamenta su cui l’impero fu costruito, o a distruggere il carattere della nostra nazione.
«Noi non possiamo ammettere (tra i mezzi di legittima prevenzione per l’avvenire) alcun piano, tale da
81
LA GUERRA
[Il Seminatore] 315
condurci in ultimo, per vie oblique, ad annessione di territori. Noi siamo fermamente convinti .. della piena e completa vittoria della Germania... Ma il premio più alto della vittoria consisterà sempre nella gloriosa certezza che la Germania non ha da temere neppure un mondo di nemici... Noi nutriamo fiducia che l’Eccellenza Vostra riuscirà a raggiungere a suo tempo una pace tale, da soddisfare alle esigenze strategiche e di bisogni economici e politici dei paese, e da permetterle l’uso senza ostacoli, delle sue energie ed imprese per terra e per il libero mare, senza lasciarsi lusingare ad abbandonare la via giusta ».
La petizione, conosciuta sotto il nome di memoriale Delbrück-Dernburg-Wolf, dai nomi dei tre redattori di essa, è rappresentativa dell’elemento più assennato, più influente, più moderato. Delbrück che ne fu l’ispiratore subito dopo il suo ritorno da una visita al quartiere generale sul fronte orientale, è uno dei più noti intellettuali del liberalismo tedesco e uno dei più eminenti scrittori di storia politica, legato strettamente al Governo, benché di spirito indipendente. L’ex-ministro Dernburg è specialmente in condizione di conoscere i sentimenti dell'America e di tutte le nazioni neutrali, e i suoi intimi rapporti col Governo non lasciano dubbio che la sua partecipazione nel memoriale non deve essere stata osteggiata dal Cancelliere. Egualmente i rapporti amichevoli del prof. Harnack, altro signatario, col Kaiser, dànno motivo di pensare che egli conosca qualche cosa delle vedute deir imperatore in materia. Il vecchio Principe Donnersmarck, emulo dell’imperatore nel primato dei miliardi, e primo governatore dell’Alsazia-Lorena, è un fervente oppositore della politica di annessione, della quale conosce per esperienza le difficoltà e gli inconvenienti. Il Wolf è l’editore dell’influentissimo Berline? Tageblalt; lo Stein è intimo del Ministero degli Esteri, e la sua firma rappresenta le vedute della potente Gazzella di Francoforte; il conte Monts, già ambasciatore a Roma, è fervido anti-annessionista; e l'ammiraglio Von Truppel protestò recentemente contro la tendenza a romperla con gli .Stati Uniti in occasione del caso « Lusitania ».
Evidentemente, Von Bernhardi e Treitschkc, Harden e Von Disfurth non possono pretendere di rappresentare l’anima della Germania, e nemmeno le vedute prevalenti nelle alte sfere della politica.
Anche più esplicita, benché sempre animata da uno spirito di sano e moderato nazionalismo, è la replica contrapposta al suaccennato manifesto annessionista, che esprime le vedute della « Nuova Società Patria », e che ha avuto una grande diffusione. Ecco i suoi punti principali: «L’idea di ridurre i nostri principali avversari, rlnghilterra e la Russia, alla condizione di una completa prostrazione per lungo tempo avvenire, od anche di distruggerli interamente, è così ingenuo da non meritare di esser presa in considerazione... Il pretendere di assicurare una pace duratura col metodo del dissanguamento mortale è assolutamente assurdo:
stizia prima e poi pace - I pensieri della vetta - L’idolo -Guerra e alcoolismo.
N. 13 (16-31 luglio): Fiamma purificatrice - Al di sopra delle frontiere - La pagina del Vangelo - I pensieri della vetta -L’ora della preghiera - Le lettere dei nostri soldati.
N. 14 (r-15 agosto): Dall’egoismo alla solidarietà nella prova suprema - C’è posto nell’ora attuale ? - La fonte del corag-E'o - I pensieri della vetta -a stampa oscena - Solo una cosa domando (poesia) - La pagina del Vangelo -11 monito dei feriti.
N. 15 (16-31 agosto): Perché siamo ottimisti - Soldati che hanno fede in Dio - Il libro santo-Vi mostrerò chi dovete temere - Preghiera.
N. 16 (1-15 settembre): Il vigliacco - Il soldato dell’epoca nuova - La pagina del Vangelo - Un solo talento - Dio nelle lettere dei nostri soldati - Le due rovine - Preghiera.
N. 17 (16-30 settembre) : Eterna fonte di vita - La pagina del Vangelo - Gl’Italiani possono pregare - Per chi è rimasto a casa - Preghiera del soldato - Preghiera della sera -Preghiera del mattino-Se Dio è per noi, chi mai sarà contro di noi? - Il macigno sulla strada - Per chi è sul campo - Dio nelle lettere dei nostri soldati.
N. 18 (1-15 ottobre): Dopo... (ai nostri soldati al fronte) -I pensieri della vetta - La pagina del Vangelo - Insegnaci a pregare - La preghiera più bella - Dio nelle lettere dei nostri soldati - Al limitare di una grande rivoluzione - Soldato italiano!
N. 19 (16-31 ottobre): Una lettera per te - La missione dell’ora presente - Quelli che restano - Preparazione - Volontà di giovani - Sacrificio -La pagina del Vangelo - La disciplina - Dio nelle lettere dei nostri soldati-Spirito novo.
N. 20 (1-30 novembre): De-
82
3*6
BILYCHNIS
profundis - Il maestro prega - I pensieri della vetta - Miss Cavell - Verso la vittoria! - Il mio grido - Le lettere dei nostri soldati - La pagina del Vangelo - L’ora della preghiera: Amor di patria - Pensando alla famiglia.
■ Il Seminatore » di Natale. L’ultimo numero di quest’anno sarà doppio, riccamente illustrato e dedicato alla festa di Natale. Verrà spedito in dono ai moltissimi indirizzi di soldati che ci sono stati fin qui comunicati e a tutti quei nuovi che ci verranno trasmessi non più tardi del 18 dicembre prossimo venturo.
Consigliamo i nostri amici di aiutarci a fare una larghissima distribuzione di questo numero specialissimo, inviandoci:
i. Indirizzi di soldati cui noi spediremo gratis il giornaletto;
2. Ordinazioni di copie col relativo importo (in ragione di 2 centesimi la copia);
3. Qualche contribuzione per le spese della distribuzione gratuita tra i soldati al fronte.
Inviare indirizzi, ordinazioni e contribuzioni all’Amministrazione del Seminatore, Piazza in Lucina, 35, Roma.
Per tutto quello che riguarda la Redazione, rivolgersi al professor L. Paschetto, Via Crescenzio, 2, Roma.
LIBRERIA EDITRICE “BILYCHNS”
Via Crescenzio 2, ROMA
Strenne per Natale e Capo d’anno.
Abbiamo in deposito alcuni libri adatti per strenne natalizie e di Capo d’anno:
Il Nuovo Testamento della a Fides et Amor ». . . L. 1.50
(I nostri abbonati hanno diritto ad una sola copia al prezzo ridotto di L. 1).
e il voler combattere per ottenere questo successo militare irraggiungibile è pura follia... Il programma annessionista è in diretta opposizione coi dettami della saggezza: giacché, se eseguito, invece di separare i nostri avversari sì da rendere impossibile in avvenire una coalizione quale la presente, li stringerebbe insieme nel futuro contro di noi. Nulla potrebbe essere più insensato, e nocivo agli interessi della Germania ». Rievocato il ricordo delropposizione di Bismarck ad ogni annessione di territorio austriaco nel ’67, e poi anche all’annessione dell’Alsazia-Lorena, il manifesto esclude qualunque forma larvata di annessione, e prosegue: « È evidente che l’Inghilterra non potrebbe tollerare di vedere porti francesi e belgi, nel canale della Manica, in mano di Tedeschi, e che noi, occupandoli, non faremmo che forzarla a prepararsi per una guerra di vendetta, trascinando in essa i suoi alleati. Annettendo il Belgio, la Germania si renderebbe ostile per un tempo indefinito quasi il mondo intero, compresi gli Stati ora neutrali o ben disposti verso di noi, quali l'Olanda, la Svizzera, gli Stati Scandinavi, ecc. Inoltre, l’annessione creerebbe una condizione di cose dalla Suale dovrebbero sorgere continuamente nuovi conitti. Le popolazioni delle terre annesse si darebbero cura di riempire il mondo di lamentele e di proteste, fino al giorno della guerra di rivendicazione in cui ci troveremmo contro una nuova e formidabile coalizione, in un mondo pieno di nemici ».
Il manifesto chiude col voto che, appena si affac-cerà la prospettiva di conchiudere una pace che garantisca gl’interessi della Germania, il Cancelliere non sagrifichi gl’interessi dell’intiera nazione a quelli particolari di piccole cricche e di classi privilegiate.
Chi ha seguito fin dallo scoppio della guerra le successive manifestazioni dello spiritò predominante in Francia e in Inghilterra, chi ricorda le ripetute dichiarazioni del Primo Ministro Asquith, il programma di associazioni private quali la « Union of Democratic Control » e dei diversi partiti, eccetto tenui frazioni di imperialisti e di mestieranti del militarismo, noterà come i sentimenti che ora prendono consistenza e assurgono a movimenti aperti di opposizione allo spirito che dominò durante il primo anno di guerra in Germania, non differiscono nella sostanza da quelli che presiedettero all’apertura delle ostilità nelle altre nazioni, benché siano meno di quelli ispirati da sentimenti di giustizia sociale, di rispetto ai diritti nazionali e ai diritti umanitari. Il punto di vista è ancora tedesco e utilitario, ma è noto che un sano utilitarismo, un utilitarismo che contempli anche gl’interessi spirituali di una nazione che deve e vuole restare in comunione con la anima della civiltà europea e mondiale, pur se non parta dall’intuizione altruistica-umanitaria, è destinato a incontrarsi con essa, e a riconoscere che il benessere individuale e nazionale é legato .e solidale con quello dell’umanità, e parte di un piano universale da cui non può separarsi. Un sano utilitarismo é il principio della sapienza.
83
LA GUERRA
l Libreria]
317
Non meno sintomatico di una resipiscenza morale iniziale dello spirito germanico è stata la ritrattazione del noto Herr Lissauer, che ha fatto le sue scuse per il famoso « Inno dell’odio », saturo di un odio che voleva essere implacabile, contro l'Inghilterra e gl’inglesi. « L'Inno dell’Odio », — egli ha dichiarato — « fu scritto sotto l’azione di un’eccitazione passionale, nelle prime settimane della guerra, quando l’impressione creata dalla dichiarazione di guerra dell’Inghilterra era ancora fresca ». Egli ha soggiunto che l'inno non era stato affatto concepito per uso della gioventù e che egli si era opposto sempre alla sua inserzione nei manuali scolastici. « L’Inno dell’odio », — egli ha detto, — «è un poema politico, indirizzato non contro gl’inglesi in quanto persone individue, ma contro l’Inghilterra come potenza politica, e contro l’intenzione inglese di distruzione, che ora minaccia la Germania. Durante l’eccitazione di quei giorni, i miei sentimenti furono profondamente scossi da questi motivi. Ma è un’altra questione quella di sapere, se quei sentimenti hanno ragione di continuare sotto la fredda considerazione di una politica pratica ».
Il New Statesman commenta al proposito: «Quello che più ci soddisfa in questa ritrattazione di Herr Lissauer, è che essa mostra come anche in Germania si può ancora rinvenire campioni di natura umana, quale noi la conoscevamo. I Tedeschi hanno talmente oltraggiato i concetti moderni di civiltà e di umanità, che molte ottime persone si sono rifugiate, nel loro sbalordimento, nella conclusione che essi costituiscono non già una razza di esseri umani ma di demoni... Quanto a noi, noi abbiamo sempre considerato, che il credere che una qualunque razza di esseri in sembianze umane, anzi, si dice, fatti ad immagine di Dio, potesse esser costituita da figli di Mefistofele cosi per intiero come sono rappresentati quei Tedeschi dei quali leggiamo sulle " brochures ” d’attualità, non sia altro che una specie di professione d’ateismo... Gli Evangelisti descrivono talvolta l’anima dell’uomo come un palcoscenico sul quale Dio e il demonio stanno continuamente lottando. 1 Tedeschi non possono sfuggire alle punture della virtù più che i loro onesti avversari possano sfuggir agli assalti del vizio... Dopo la guerra, la Germania sarà ancora abitata da un certo numero di milioni di uomini e donne di tipo comune, altrettanto suscettibili di virtù e di vizio quanto noi... L’odio, come l’amore, può essere considerato come una follìa di breve durata, come un attacco, come un’ossessione demoniaca. Che Herr Lissauer se ne sia liberato, è di buon augurio per la civiltà europea.
• La sua ritrattazione costituisce uno dei più patetici aisodi nella storia della letteratura, dal giorno in cui taucer, sul suo letto di morte, ordinava che i suoi " Canterbury Tales ” fossero distrutti perchè immorali ».
• • •
Cosi, le disposizioni della Germania dopo più di un anno di guerra sembrano avvicinarsi, nel suo elemento
Carlo M. Sheldon: Crocifisso!. romanzo cristiano sociale, K230..................L. 2 —
. Sheldon: Che farebbe Gesù ? Romanzo cristiano sociale, p. 285 . . . . L, 2 — Paul Seippel: Adèle Kamm (io0 migliaio), pagg. 249, con ritratto dell’eroina . . L. 3,75 Kanso Outchimoura: La crise d’âme d’un Japcmais.ow Comment je suis devenu chrétien ? pagg. 220 .... L. 3,25 Ernest Rostan: Les Paradoxes de Jésus. Esquisses de morale évangélique, pagg. 270. L. 3,25 Primo fascicolo d’arie di « Bi-lychnis»: Il nuovo Tempio Valdese in Roma. Molte tavole di cui alcune a colori (tricromia). Prezzo ridotto pei nostri abbonali in Italia L. 1,30 (invece di L. 2) all’Estero L. 1,50 (invece di L. 2,50).
A A &
[Novità], Pendant la guerre. Discours prononcés à l’Ora-toire et au Nouveau Temple de Lyon.
Volumetto 5°, contenente queste prediche: La Prière qui rend vainqueur, di E. Gonnelle; Comment durer, di W. Monod; Devan l’avenir, di H. Monrìier; Les « bons français », di J. Viénot; Garde-moi! di A. w. d’Aygalliers; L’invisible, di L. Maury.
Volumetto 6°: La Parole de Vérité, di J.-E. Roberty; Vers la Démocratie, di W. Monod; La Guerre est-elle un châtiment de Dieu? di H. Barbier; L’Allemagne et le Protestantisme, di J. Viénot; L’Appel aux Moissonneurs, di W. Monod; Heureux les Morts, di J.-E. Roberty.
Volumetto 70: En rançon pour plusieurs (C.-E. Babut) -• Il faut opiniâtrer » (John Viénot) - La guerre et la bonne conscience (H. Bois) - Le courage qui ne se perd pas (H.
84
BILYCHNIS
Barbier) - Source au désert (Ch. Wagner).
Volumetto 8°: Où est ton Dieu ? (G. Boissonnas) - Le rameau (Ch. Wagner) - La France d’hier et celle de demain (Ch. Vernes) - La carde du coeur (Frank Puaux) - Le Monde vaincu (W. Monod) - Pour la théologie (J.-E. Roberty).
Volumetto 9®: Les deux paix (H. Barbier) - Le désir de mourir (J.-E. Roberty) - La branche d’amandier (Ch. Wagner) -L’homme mort revivra-t-il ? (J. Viénot) - Lumière de Pâques (Ch. Wagner) - Pas de Saix hors de la Justice (E.
oulier).
Ogni volumetto di pag. 100: L. 1.25.
A & &
Jean Lafon, Evangile et Patrie. Discours religieux (2 aout-25 décembre 1914). Pagine 210, L. 3,25.
Sommario. — 1. Notre forteresse - 2. Patriotisme chrétien - 3. Aux femmes - 4. Royaume et Justice de Dieu-5. L’attitude de Jésus devant la doleur - 6. Le but de la vie -7. Temple en ruines et Temple Eternel - 8. La jeunesse de demain - 9. Foi et délivrance -10. Nos morts-11. Comment Erier?-i2. Pourquoi célébrer . fête de Noël?
A A A
(Novità) Jean Lafon : Evangile et Patrie. Discours religieux. (20 volume). Pag. 360. L. 3.75.
Sommario : 1. Renouvellement - 2. Maîtrise de soi -3. L’héritage des Pères - 4. Ce que Dieu vent - 5. Aux affligés - 6. La tentation des représailles - 7. Un bon soldat - 8. Les armes du soldat - 9. La défaite - 10. La victoire - xi. Le doute d’un prisonnier - 12. La grâce qui suffit - 13. En avant!
più illuminato, a quelle di cui un opuscolo di Norman Angeli si faceva eco al principio della guerra stessa, in Inghilterra. Eccone alcuni punti salienti:
« Il " Prussianismo” non potrà mai essere distrutto dalla sola vittoria militare di un gruppo su di un altro. Il risultato della disfatta finale delle armate tedesche e delia sottomissione della Germania non potrà essere che o il trasferimento del Prussianismo militarista da Berlino alle altre capitali dell’Intesa; o la creazione di una situazione tale, nella quale la lotta per il predominio militare della Germania ricominccrà più tardi in una forma o nell’altra: cioè, insomma, di ravvivare le ambizioni militari della Francia, stimolare quella della Russia, e gettare di nuovo nella fornace quelle della Germania per prepararsi ad una nuova esplosione in avvenire. L'illusione di poter curare i Tedeschi del loro “Prussianismo” semplicemente schiacciando le loro armi e invadendo le loro terre, non è solo anti-filosofico ma è sopratutto del “ Prussianismo” puro e semplice... Il "Prussianismo” — cioè la credenza nel valore della forza militare e il desiderio di dominazione politica — non è confinato nel Nord della Germania, ma infetta, in grado maggiore o minore, tutte le grandi Potenze europee. Il’ sorgere di un’Europa migliore, non dipende soltanto, e forse neppure principalmente, dalla disfatta militare di una nazione, ma dalla persuasione generale che il conflitto per l’egemonia politica è sterile e dannoso: che tale egemonia, anche se raggiunta, nulla aggiunge al benessere morale e materiale di coloro che la possiedono; e che se l’Europa sarà mai veramente civile, lo sarà solo se noi abbandoneremo onestamente e sinceramente questa idea di egemonia politica, e tutti i falsi concetti di orgoglio, di gloria e di patriottismo con cui essa è collegata, sostituendovi la cooperazione di tutti per la sicurezza ed il benessere di tutti.
« ... L’Europa non avrà pace, fino a che i Tedeschi non saranno convinti che la Russia, la Frància, l’Inghilterra, non hanno alcuna intenzione di usurpare i diritti della loro nazione. Il problema è: Come convincerli di ciò? Alcuni dicono: "Smembrando il territorio della loro patria ”. Ma sono proprio certi costoro, che Juesto solo li convincerà che nessuno li minaccia, e che ebbono rinunziare a qualunque idea di rivincita e di armamenti?... Non sarà questo invece il mezzo più efficace di convertire, anche quei milioni di Tedeschi che detestavano il Prussianismo, al più ardente militarismo, e di fare dir loro: " Dopo tutto, forse i Prussiani avevano ragione a star sempre pronti con un esercito sì enorme e agguerrito ” ?... Noi dobbiamo, sì, mostrare ai Tedeschi che non abbiamo alcuna intenzione di sottostare al loro dominio o di sentirci imporre i loro ideali, ma fatto ciò, gli Alleati debbono alla lor volta mostrare che non hanno alcuna intenzione d’imporre i loro ideali o il loro dominio sui popoli tedeschi, ma solo di divenire loro soci e cooperatori in una Europa di cui tutti parteciperanno senza che alcuno la domini (Norman Angell, Questa guerra porrà fine al militarismo tedesco?). G. Pioli.
85
LA GUERRA
[Libreria]
319
INGHILTERRA
«Quanto è difficile esser Cristiani!»
esclama, con le parole di Browning, la rivista inglese < The Commonwealth •: e termina cosi le sue riflessioni: « Una difficoltà particolare presenta in questo momento l’esser cristiani, mentre lo spirito di odio e di guerra è nell’aria e ciò che avviene sui campi di battaglia reagisce anche sui pacifici cittadini. Chi può leggere il racconto degli orrori e delle carneficine senza sentire sorgere <lal fondo del suo essere tutte le passioni? E quanto è diffìcile a coloro i cui più cari sono stati sgozzati o affogati come bruti, di conservare incontaminata la fede cristiana della benevolenza. Eccola la Croce di Cristo. Ed ecco la pietra di paragone del nostro cristianesimo. L’animale in noi si leva tutto passione e sete di vendetta, e il suo impulso naturale è di dare sfogo anzitutto ai risentimenti personali. Quanto, quanto è difficile a una madre che ha perso il figlio, o a cui è stato strappato il bambino da uomini che si dànno per « soldati » e campioni della civiltà, di provare sentimenti cristiani! Quanto è difficile a noi tutti, quando leggiamo il resoconto di atrocità sì disumane, quali il torpedinamento del Lusitania, di controllarci, e di impedire che una giusta indignazione degeneri appunto in quello stesso spirito infernale dal quale sgorgarono atti sì infami! Ma è appunto in queste circostanze che il vero Cristianesimo trova l’occasione di apprendere la padronanza dello spirito e la disciplina, la lotta e la vittoria, e di porre le fondamenta sitile quali il vero regno dell’uomo potrà essere costruito, sia nell’individuo sia nella società che si chiama a Mondo ».
« Le guerre giuste ».
Durante la guerra civile americana (1861-64) per l’abolizione della schiavitù; il deputato inglese Henry Richards, scrivendo ad un amico, membro della società dei « Friends », nell’occasione che perfino i grandi pacifisti John Candler e John Bright avevano creduto di scusare l’azione del governo degli Stati Uniti a motivo della grande causa umanitaria che ne era l’oggetto, così diceva:
« Se dovessimo astenerci dall’opporci a questa guerra micidiale e a coloro che la favoreggiano, basandoci sul motivo che Dio stesso l’ha voluta per distruggere la schiavitù, l’unica cosa che mi resterebbe a dire si è che tanto vale dire addio per sempre alla causa della Pace, e lasciare che il mondo vada alla malora, senza muovere un dito per arrestarne od ostacolarne la rovina. Giacché questo motivo è appunto quello che in ogni genere di guerra viene ripetuto, ora da questo ora da quel fautore della pace in astratto. Che cosa dissero il Dr. Cumming e i suoi partigiani in occasione della
& A A
H. Bois, Patrie et humanité. Conférence. Volumetto di pagine 73. L. 0,75 (A bénéficié delle vittime délia guerra).
L'Eglise et la guerre par Mgr. Batiffol, MM. P. Monceau, E. Chenon, A. Vanderpol, L. Rolland, ecc. L. 4. Ecco i soggetti di alcuni capitoli: Les premiers chrétiens et la guerre. Saint Augustin et la guerre. Saint Thomas d’Aquin et la guerre. Les applications pratiques de la doctrine de l’Eglise sur la guerre. Synthèse de la doctrine théologique sur le droit de la guerre, ecc.
& & &
Guglielmo Quadrotta. Il Papa l’Italia eia Guerra. Con prefazione di Francesco »caduto. Milano, 1915. Voi. di pag. 175. L. 2. Estero L. 2,25.
Sommario: La chiesa romana alla morte di Pio X -Il conclave di Benedetto XV -La figura del Papa e la sua preparazione politica - La caduta del potere temporale e la politica ecclesiastica del nuovo regno - La legge delle Guarentigie ' e il suo valore - Il Vaticano e la partecipazione dell’Italia alla guerra delle nazioni - Benedetto XV e l’Italia - Il papato in Europa -Documenti.
A A A
Louis Trial: Sermons patriotiques prononcés pendant la guerre 1914-1915. Volume di pag. 100. L. 1.25. (A beneficio dei feriti).
Sommario: Motifs d’éspéran-ce - «Consolez, consolez mon Seuple» - «Demeurons fermes ans la profession de notre foi » - La patrie - Exaltation du patriotisme.
86
320
BILYCHNIS
a a &
[ Novità] J eanne de Vietinghoff, L’intelligence du bien. Pagi ne 220. L. 2.75.
Sommario : Préface - Le Bien - La Transgression - Les Circonstances-L’Action de l’homme- Le Miracle de Dieu - Jours de disette - Aux vaincus - Le Courage du doute - L’Espérance - Nos Déceptions - La Fraude - Les Exceptions - La Patience qui supporte - Le Respect de l’amour - La Grâce et ^Inspiration - Le Détachement - La Force tranquille -La Certitude.
a a a
Introduction à l’Ancien! Testament par Lucien Gautier de l’Université de Genève. Seconde édition revue. Lausanne, 1914. Due grossi volumi in-8° di oltre 500 pa-gine ciascuno. Prezzo dei due voli, a Roma L. 22,75; in Italia L. 23,25.
guerra di Crimea? Appunto che Dio voleva risolvere la questione Orientale, e che avrebbe sistemato tutto per il meglio, cioè secondo le loro sagge previsioni e teorie. E quando scoppiò la guerra dell’Unità d’Italia, gli Evangelici antipapali dissero che era Dio che l'ayeva voluta per mettere a posto il Papa. E quando noi Inglesi movemmo guerra alla Cina, non furono il dottor vaughan e molti altri missionari a vedervi il dito di Dio, che apriva per nostro mezzo la Cina al Vangelo.... e al commercio dell’oppio? Io non ho mai cessato in tutta la mia vita dal combattere questa specie di, fatalismo cristiano, profano insieme e immorale. E una bella trovata, non c’è dubbio, per riconciliarsi con atti che la loro coscienza non può approvare, questa di gettarne la responsabilità Sull’Ente Supremo. A me sembra piuttosto, che considerando tutti gli aspetti morali di questa guerra, si dovrebbe dire che è il Diavolo, e non Dio che ne è responsabile: e che essa è uno splendido saggio della sua abilità e capacità quando ci si mette di proposito.
« Il principio fondamentale della Società delia Pace, è che tutte le guerre sono contrarie allo spirito del Cristianesimo ed ai veri interessi dell’umanità. Se dovessimo ora fare un’eccezione per questa guerra perchè si propone di abolire la schiavitù, e dire che questa al meno è giusta e cristiana e non deve esser combattuta, tanto varrebbe toglier via la chiave dell’arco dal tempio della Pace. Dopo le guerre religiose, le peggiori guerre sono appunto quelle che si propongono scopi umanitari... ».
G. P.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma. Tipografia dell* Unione Editrice, via Federico Cesi, 45
88
Prezzo del fascicolo Lire 1 —