1
LA MONA NOVELLA
Si dislribuisce ogni Venerdì. — Per cadnn Numero centesimi 40. — Per cadnna linea d’inserzione cenlesimi 20.
Condizioni d’Associazione i
PerToKlNO — Un Anno L. S. — Adomicilio L. • •
Sei mesi • B. — ■ S M
Tre mesi • a. — > S
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— . « SO.
, Per Francia e STiizera fraoco a destinazione, e per l’Inghilterra franco al conflne lire »
¿er «i anno, e lire * per sei mesi.
Le Associaiioni ii.ricevoiio : in Tmixo all'Uflliil« d«t| «¿■•raal«,Tiiile dei Re, num. II.
— A Genova, alla CapprII* Vaidniir, mura di S. Cliiars.
Nelle provincie, pressa tutti gli Vffini postati per mezzodì Vaglia, che dovranno exsere inviaci
franco al Diretlore della Biom* Nuvkll« e uon altrimenti.
All'estero, ai seguenti indirizzi : L.<ixd«a, dai sigg. Nissliett e C. librai, ‘il Beniers-strext;
Pabici, daltaUbreriaC. Mejrucis, rue Troncliot, 2; Ndikv dal sig. Peyrnt-TincI libraio; 1,1*.»;
dai sigg. Dcnis et Petit Pierre librai, rue Meuve, li; Gin&vka, dal sig. E. Heroud libraio
LotAHMA, dal sig. Delafontaine libraio.
Sommarlo.
A jipendice: Cenni storici sulla Riforma in Italia nel secolo XVI.—Arnaldo da Brescia, II. — Annunzio
di nn’apologia delle presenti condizioni italiane. — Qual è il popolo pin felice del mondo?
— Notisie: Svizzera - Gitievra - Lione - Turchia.
ARNALDO DA BRESCIA
il.
In quanto agli errori di dottrina, l’unico rimprovero che sia fatto ad Arnaldo dallo storico
Ottone Fresingario, si è che egli aveva voco
di non sentire rettamente — vale a dire canonicamente — intorno al sacramento deH’altare
ed al battesimo dei bambini. De satìramenio altariset baptismo parvulwum non reetf. dicituh
sensisse (1). L'abate Fleury dice poi, che Arnaldo attingeva nelle Sante Scritture gli argomenti do’ discorsi che predicava al popolo .
Non è dunque improbabile che 1 suoi orrori
suirEucaristiai consistessero net riguardale questo sacramento nel vero senso scritturale, che
(1) Otto Fresino. De reè. gesUt Frid., pag. 461
— Napoli.
(2) Hist. Ecclet. , tom. XIV , pag. 500. — Paris noi,
APPENDICE
CENNI ST0Ì\ICI
DELLA BIFORMA IN ITALIA
KBL SECÒtO XVI.
r4.
XXXl.
processtìré é i giudizii del tribunale inquisitorio avean luogo privatamente; per cui nessuna guarentigia rinrtanévà ai prevenuti contro
riilegalità delle formé é contro l’arbitrio dei
magistrati; le suggestioni e le violenze colle
quali i testimonii e gli accusati eran raggirati o
costretti a dire ciò che non pensavano, e gli
altri malvagi espedienti usati per trovare, se
non il vero, la reità degli accusati, restavano
sepolte nel buio di quelle sale misteriose, cui per
¡scherno davasi il titolo di tribunali.
L’unica volta che il tribunale dell'iaquisiziune
di Roma si raunasse pubblicamente, fu in settembre 1554, per giudicare il monaco Giovanni
è evidentemente opposto alla doltrina della transustanziazione, la quale cominciava a prender
piede in quei tempi, ma che non fu sanzionata
che dal III Concilio di Laterano, Cioè sessant’anni dopo il martirio di Arnaldo.
Abbandonate dunque questo accuse, che sono
contraddette da fatti così notorii, e scartale le
suggestioni ingiurio.se al carattere di Arnaldo,
perchè sono smentite dai .suoi stessi nemici, ci
rimangono a considerare i principii e le opinioni che egli realmente professava , princi()ii
ed opinioni per le quali solamente noi possiamo chiamarlo in giudizio, e di cui può dirsi
veramente responsabile. Eccole in poche parole. Appoggiandosi sul passo scritturale che
abbiamo citato di sopra, egli asseriva che il
reguo di Cristo non essendo di queslo mondo ,
la spada e lo scettro appartenevano ai magistrati civili; e che per conseguenca i papi ed i
véscovi dovevano rinunciare affatto alle pompe
ed agli sfarzi mondani. Il Gunter» Ligurino ci
fa sapere che egli ebba il coraggio d’inveire
perfino contro il papa, e di dire che il clero
rièiri doveva posseder nulla in proprio ; che ai
fiali non eran permesse le vigne ed i poderi ;
che la Scrittura non autorizzava il papa a levar
balzelli; che gli abbati non dovevano corteggiare
ii favore popolare. Sosteneva che le faccende
temporali dovevano esser condotte dai principi
tèrreni, e che i preti dovevan contentarsi delle
primizie e delle decime offerte loro voldntaria
Mollio, che avea grandemente contribuito a diffondere la Riforma in Bologha. Ma quello anziché vero giudizio, fu una commedia concertata
nel solo oggetto di indurre il celebre teologo a
disdire le nuove credenze e fare un certo effetto sul pubblico e su quanli inclinavano alle
dottrine evangeliche. Infatti, perchè la commedia
riuscisse più imponente, furono scélti, fra gli
innumerevoli prigionieri, quindici sciagurati, i
quali, 0 inquisiti per falsi sospetti, o stanchi del
lungo soffrire, eran disposti a far pubblica ritrattazione.
llsolenne giudizio ebbeluogo in ampia sàia,capace di circa mille spettatori. Vedevasiin mezzo,
addossato al fondo della parete, il trono pontifìcio;
non giù perchè il papa volesse intervenire al
giudizio, ma per semplice forma, essendo egli
il presidente onorario del tribunale. Ai lali del
trono sorgevano due banchi a tre gradini, ricoperti di damasco violaceo e destinati ai dodici
cardinali, grandi inquisitori. A’ piedi del medesimo Irono eran due sgabelli coperti di setino
violaceo con avanti due piccoli tavolini, uno a
destra pel reverendo padre Commissario e l’altro
mente dal popolo, senza cercare di soddisfare
la lussuria, i piaceri della carne, la ghiottoneria, gli addobbi, le baldorie smoderate cd i
piaceri lascivi. Condannava poi assolutamente
le sontuosità episcopali, la morale rilassata degli abbati, e la superbia de'monaci. Diceva insomnia molte verilà, ma i tempi non volevano
comportare quelle fedeli ammonizioni. Come
queste belle parole del Ligurino sono cosi maravigliosamente appropriabili anche ai tempi
nostri, noi le trascriviamo tali quali [ler la odi*
fìcazione de’nostri lettori:
NU proprium cleri, fundos et preedia nullo
Jùrt st4¡ui nwnuckot, nulli fitcalia jura
Pontifteum; nuUi cura popularit htimrem
Abboium, tacrat referee concedere Ufjr».
Omnia principibut terreni* lubditn,
Commitlenda viris popularibut atgae regenda,
lUit primitiai, et q%tm devotio plehit.
Afferai, et décimas cattai in corpori» uttu.
No» ad luxuriam siue oblectaimnfi carni»
Concedens, moUesijue cibos, cuUusque »itorm.
ÌHicitosque jocos, lascivaque gaudia cleri, - •,
Pontifteum fastus, abbatum deuique lalus
Damnaìbat penitus moret, monachosijue superbos.
Veràque multa quidem, niti tempora nostra fideUn
Retpuertnt monitus, faltù admixta iocébat (l)'.'
Par dunque certoche tali fossero i veri sen-*
(1) LiouR.,opu(iNaÉ. Alex. Hist. Ecc., tom. XIII
pag. 175 — Paris 1744.
a sinistra per monsignor Assessore. In mezza
della sala vedevasi un tavolino parato di lana
nera, e su di esso un crocifìsso di metallo
nero ed un cartello bianco óve leggevansi »
primi quallordici versetti del Vangelo di saa
Giovanni. A’ consultori ed a’ qualificateri del
tribunale erano assegnati due lunghi banchi a
un solo gradino e parati di lana violacea, un»
a destra e l’altro a sinistra; ai loro piedi
ve n’erano coperti di lana nera, destinati ai notai
ed altri impiegali del Santo Uffìzio. Chiudeva il
quadro il banco de’testimoni, dielro ai quali
stavano gli accusali ch’erano chiamati uno per
volla, e sedevano sopra una ruvida panchetta.
Un cancello custodito dalle guardie svizzere impediva l'entrata nel quadrato a chiunquu non avevi
ufiizio nel tribunale. Una galleria die circondav
la sala eia destinala alla aristocrazia romana
il rimanente spazio al pubblico.
La sala era gremita di popolo: tutti erano in
aspettazione, aliurcliè si senti da lungi, sotto la
vòlta dei lunghi corridoi, echeggiare un canto
lugubre; erano le rauche voci de’ frati di Guzman
che cantavano alternativamente il salmo Miserere
2
limenti di Adnaldo da Brescia ; almeno per
uanto possiamo giudicarne, da quanto di lui
ci tramandarono degli scrittori imparziali. Che
tali opinioni poi dovessero esser condannate
dai clericali di quei tempi, corrotti com’erano
nella mente, e dissoluti nei costumi è facile a
capirsi. Anche adesso i preti si scagliano conro chiunque osa sostenere sifTatte dottrine, e
potremmo aggiungere numerosissimi esempi
recenti, a provare come la odierna corte di Roma
quanto l’antica, respinga e scomunichi senza
misesicordia chi vorrebbe, per esser fedele a
Dio, ricondurla alla purità e semplicità della
dottrina di Cristo. — Ma lo svolgere questo
argomento ci farebbe di troppo oltrepassare i
limiti di un articolo da giornale, ed è già tempo
che concludiamo la storia di frate Arnaldo.
Il quale, dopo aver soggiornato per varii
anni nella Svizzera, morto che fu Innocenzo III,
rilornò in Italia, spintovi forse dal desiderio di
rivedere la patria sua. Egli era protetto, anzi
può quasi dirsi che fosse invitato dal popolo
romano. La sua eloquenza, che avevagià tanlo
allettato i Bresciani, risuonò adesso, potente ed
ammirata nella citlà dei sette colli. Arnaldo praticava studiosamente le dottrine che aveva insegnate e predicato da tanti anni, e nelle quali si
era confermalo ed assodato durante un lungo
esilio. Esortava dunque i Romani che esercitassero coraggiosamente i loro inalienabili diritti
di uomini e di cristiani ; dicendo loro che il
lempo era venuto in cui essi dovevano scuotere il giogo vergognoso a cui per tanti anni
erano siati assoggettati dai papi, i quali essi
dovevano richiamare al loro ufficio spirituale
di pastori del gregge di Cristo.
Il papa, s’intende, non voleva sentir parlare
di cedere la benché minima attribuzione della
sua autorità temporale, sebbene fosse contraria
alle Scritture ed a quanto praticarono ed insegnarono gli Apostoli ed i primitivi cristiani,
di cui poco si curava. Ma nonostante la resi.stenza papale, prevalse il partilo d’Arnaldo e
— atroce insulto alla divinità, invocare la infinita misericordia di Dio nell’atto che in suo
nome si esercitavano i più orribili falli.
Frattanto il funebre corteggio si avanzava.
Precedevano quattro carnefici coperti d'un
sacco ñero a cappuccio: indi seguivano sedici
accusali, con in mano una candela gialla accesa.
Pallidi, macilenti, storpiati dalle torture e carichi
di catene, quei miseri si reggevano a stento sulle
gambe; li accompagnavano parecchi frati e li
segavano allri carnefici. Venivan poscia i notai
f gli altri impiegali del tribunale; in seguito i
rjverendissimi qualificatori e i consultori, ai quali
tenevan dietro il commissario e l’assessore e
ñnalmente i dodici cardinali.
Il giudizio fu aperto con una preghiera indiizzila a Dio dui cardinal decano. Quattordici
prsvenuti chiamati un dopo l’altro, e invitati a
scolparsi de’ rispettivi gravami, anziché difendersi, risposero confessando i loro peccati, ri
I rallando i loro errori, invocando In misericordia
del tribunale e dichiarando;di voler tornare nel
grembo della maiire Chiesa. Allora il cardinale
decano, aiTettando contento per la conversione
de’ suoi partigiani, sebbene cotesta riforma non
potesse eiTeltuarsi senza qualche disordine. 11
regno del Riformatore — quando pure così
possa chiamarsi Arnaldo — durò piìi che dieci
anni, durante i quali i papi Innocenzo III ed
Anastasio IV, rimasero nel Vaticano, o, come
esiliati, ramingarono da una città all’altra dei
loro Stati. Nicola Breakspeare — il solo inglese
che abbia mai seduto sulla così detta cattedra
di san Pietro — Adriano IV, era un uomo di
carattere vigoroso e risoluto, e non perse tempo
a prendere delle severe ed e efficaci misure
contro Arnaldo ed i suoi fautori. La capitale
della Cristianità fu messa, perla prima volta,
sotto interdetto dal suo pastore medesimo, e
fu privata, dal Natale fino a Pasqua, di ogni
culto religioso, non già per essersi resa sostenitrice di nuove ed erronee dottrine, ma per
aver resistilo al potere temporale del papa. Alla
fine i Romani si arresero, quantunque lo facessero con gran ripugnanza ; ed avendo cacciato Arnaldo ed i suoi partigiani, al papa di
nuovo si assoggettarono. Arnaldo si rifugiò ad
Otricoli, in Toscana. Pare che quest’uomo straordinario avesse l’arte di cattivarsi la benevolenza di tutti quelli che lo avvicinavano ; perchè come a Brescia, a Zurigo ed a Roma egli
era stato l’idolo del popolo, così fu ricevuto con
grandissimo affetto dagli abitanti d’Otricoli,
che lo riputavano un profeta e come tale lo
veneravano.
Ma la carriera di Arnaldo toccava adesso al
suo termine. La vendetta di papa Adriano IV
non poleva accontentarsi colla cacciata da Roma,
e molte insidie di pi^^enti nemici furon tese da
ogni parte al monaco Riformatore. Per un azzardo, che non sapremmo spiegare, egli cadde
nelle mani di Gerardo, Cardinal decano di san
Nicola; ma fu riscattato dalle carceri di costui
dai Visconti di Campagna.
In questo frattempo, l’imperatore Federigo
Barbarossa scendeva in Italia per farsi incoronare dal papa, che non si lasciò sfuggire una
di codesti peccatori, ordinava si togliessero loro
le catene.
Ma con Giovanni Mollio la bisogna procedette
diversamente. Comechè non ignorasse la vanità
della sua difesa e la certezza della condanna,
volle giustificare le dottrine che professava, e
parlare agli inquisitori il libero linguaggio della
verità. < Io sono Luterano, disse, come lo era
san Paolo; imperocché non credo e non insegno
che la stessa doltrina che il grande apostolo credeva ed insegnava». E dopo avere dimostrato coll’autorità della Bibbia la dollrina della giustificazione per grazia, dei sacramenti, dell’unico
sacrifizio di Cristo, ecc., conchiuse: « In quanto
a voi, 0 cardinali, vescovi e preti, se io fossi
persuaso che avete realmente ricevulo da Dio
quel potere che vi atlribuite, o se foste ove siete
a cagione della vostra virtù, e non piuttosto a
cagione de’vostri vizi, io non avrei a dir nulla
contro di voi ; ma poiché so che voi avete dichiarata aperta guerra alla religione cd alla virtù,
cosi non posso risparmiarvi, ma sono obbligato
a dirvi che il vostro potere, anziché venire da
Dio, viene dal diavolo. Se fosse apostolico il
così favorevole opportunità per disfarsi di un
nemico da lui temuto insieme ed odiato. Adriano
mandò dunque incontro aU’imperatore due cardinali ambasciatori, missione principale dei
quali era di domandargli che Arnaldo fosse
consegnato al papa ondo potesse disporne s
sua volontà.
Federigo, cho grandemente stimolava il de«
siderio della corona imperiale, annuì sollecitamente alla domanda; chè nella bilancia
dell’ambizione non hanno peso la vita e l’innocenza di un individuo. Il papa, avendo scaltramente coperta la feroce vendetta che si proponeva di pigliare contro di Arnaldo, col promettere a Federigo il trastullo della corona di
cui tanto si struggeva, questi toltolo ai Visconti
di Campagna, che amorevolmente lo proteggevano, lo abbandonò agli ambasciatori pontificii, che menatolo a Roma, lo consegnarono al
prefetto della città, che era un cagnotto deJ
papa. Allorché la sentenza è prestabilita dal
giudice, il processo di un reo è presto fatto.
Arnaldo non poteva sperar pietà dal suo inesorabile nemico, che, non contentandosi del
genere ordinario di supplizio allora in uso, lo
condannò ad esser crocifisso e bruciato vivo,
che sono i tormenti i più crudeli e dolorosi che
si possono infliggere a una creatura umana.
Egli fu dunque legato ad una croce ed arso,
e le sue ceneri furon gettate nel Tevere, afflnchò, dice il Baronio, il popolo romano, che pur
lo amava nel cuor suo, non ne venerasse le
reliquie, come quelle di un martire.
Judicio cleri nostro sub principe victut
Appensusque cruci, flanmague cremanti tolutus
In ciñeres Tiberine tuas est tparsut in undat,
Ne stolida plebis quem fecerat improbut error
Martyris ossa novo cinerent fovertt ¡umore (1)
Adesso i nostri lettori potranno capire perchè anche Pio IX abbia in fastidio la memoria
(1) Baronius, A. D. 1155, tom. XII, pag. 383.
Ant. 1629.
vostro potere, siccome voi pretendete, la vostr»
dollrina e la vostra condotta sarebbero dottrina
e condotta apostolica. Voi siete assetali del
sangue de’ santi. Voi non siete i successori
degli apostoli; imperocché dispregiate il Crislo
e la sua opera... Voi perseguitale i servi di Dio
e tiranneggiate le coscienze. Appello dunque dalla
vostra sentenza al tribunale del signor nostro
Gesù Crislo; è là che vi attendo, là ove le vostre
mitre, i vostri pastorali, le vostre porpore noa
impongono più a veruno; e per segno della sfida
prendete.....». — Così dicendo lanciò la sua
candela in mezzo della sala.
Queste eloquenti e coraggiose parole furono
accolte dalla folla con plausi cosi spontanei ed
unanimi, che sorpresi ed atterriti per poco ne
furono gli inquisitori. — L’indomani Giovanni
•Mollio e Tisserando da Perugia, che avevane seguito il coraggioso esempio, furon gettati vivi nelle
fiamme; prima del supplizio la loro lingua era
stata trapassala tre volte con ferro rovente, per
impedire che aringassero la moltitudine.
3
di Arnaldo da Brescia; e perchò gli metta per
il capo delle idee poco allegre a seltecenl'anni
di distanza. Sebbene i nemici di Arnaldo prendessero laute precauzioni per fare sparire dal
mondo il nomo di quell’uomo, che avevano così
orribilmente ucciso ; sebbene ne avessero bruciato il corpo e sparse al vento le ceneri, pure
il rimorso di quei sangue innocente passa in
eredità dal cuore di un papa all'altro, e disturba i beati sonni anche al possessore attuale
della tiara pontificale, che n'ò rimasta eternamente macchiata.
Pio IX fu anch’egli cacciato da Roma dai
proprii suoi sudditi, e , come il suo predecessore Eugenio III, ha assaporate le amarezze
dell’esilio; nò può ignorare che senza il puntello delle baionette Trance^ ^d austriache , il
suo trono non reggerebbe un’ora sola. Nelle
ultime Conferenze di Parigi si trattò della secolarizzazione de’ suoi dominii ; e si dice che
la maggioranza dei diplomatici colà riuniti opinassero indispensabili de' cambiamenti radicali
nello Stato ecclesiastico. Noi ci rallegreremo
sinceramente se la luce della verità evangelica
potrà spuntare una volta in quelle belle contrade , ed illuminerà le menti di quel nobile
popolo, che geme da secoli sotto il giogo di
ima sfrenata tirannia. Se sotto gli occhi dol
papa uno scrittore italiano ha osato chiamar
Arnaldo da Brescia, noi registriamo
queslo fatto come un buon augurio pe’ futuri
destini della nazione, che paga ai suoi grandi
antenati quel tributo di gloria e di onoranza
che concedono i tempi pur tuttavia sfortunati,
è vero, ma non avversi alTatto a speranze migliori, in un avvenire non troppo rimoto.
Avvertiremo concludendo, che la memoria di
Arnaldo da Brescia, in epoche diverse della
storia, fu molto diversamente ricordata. Ora
bassamente calunniata, ora splendidamente encomiata. Noi ci studiammo di evitare i due
estremi. A noi non conveniva di portar giudizio sopra i suoi titoli alla politica celebrità
che va congiunta al suo nome ; ma per le controversie da lui coraggiosamente sostenute contro la corte papale, a noi sembra che egli possa
annoverarsi fra quei sinceri ma poco acuti Riformatori , che scagliandosi, in tempi non anco
maturi, contro abusi profondamente radicati,
produssero pochi cambiamenti, pochi immediati effetti, da quello infuori della loro rovina,
la quale rimane sempre come uno splendido
esempio della loro sincera divozione alla verità,
alle successive generazioni. Gli uomini dunque
della tempra di un Arnaldo da Brescia sono a
giusto titolo celebrati come i kartiri dei migliori principii umanitari; e le loro intemperanze medesime si devono condonare all’esuberanza del loro zelo per la giustizia e per la
virtù. La traccia luminosa che lasciavano dietro
a sè, sarà veduta ed ammirata da tutte le generazioni avvenire, che li saluteranno sempre
quai benefattori del genere umano, e che mai
lascieranno volontariamente morire i loro nomi
sopra la terra.
(Dal Catholic LaymanJ.
ANNUNZIO ÜI UN’APOLOGIA
delle presenti condizioni italiane
L'Opinione del 9 corrente riferisce un articolo del Morning Post, steso dietro l'annunzio
che il signor di Montalembert voglia scrivere
un opuscolo intorno alla questione italiana. Noi
riproduciamo quella parte dell’arlicolo in cui
si parla del papa, del suo governo e de’ suoi
sudditi.
« Lo scrittore sempre pronto, il signor de Montalembert, è stato, dicesi, particolarmente incaricato dal papa di fare l’apologia della presente
condizioue dell’Italia. Possiamo quindi attenderci
fra poco alla pubblicazione di un opuscolo nel
quale la degradata condizione della più bella
parte dell'Europa meridionale sarà giustificata
con istudio e pretensione.
« Il colpo è certamente ardito ; e basta ad accennarne l’idea per far nascere in ognuno strane
supposizioni sulla nozione che S. S. si è formata
dell'opinione pubblica in Europa, e specialmente
neirOccidente. Separato dalle comunicazioni col
resto del mondo, il vescovo di Roma sembra vivere in una regione tutta propria, e non saper
nulla, non veder nulla di quello che sa e vede
l'altra gente.
« Se si potesse indurlo a leggere con attenzione
qualche giornale quotidiano di Londra vi sarebbe
speranza di farne qualche cosa. Se avesse veduto
Regent tireet, lo ttrand, i docks di Londra, Liverpool, Birmingham, o Manchester; se avesse
viaggiato con treno separato da Londra a Edimburg, e traversato il golfo di Biscaja in un vapore
a elice, vi sarebbe qu»lche •probabillà che egli
imparasse a conoscere di che si tratti in questo
mondo. Qualche moto a cavallo, una cavalcata a
traverso il paese, un salutare impulso alla sua
circonferenza gli risparmierebbe di farsi ridicolo
agli occhi della cristianità. Ma un gentiluomo di
età avanzata, circoscritto ne' suoi esercizi fisici,
morali ed intellettuali, come il santo padre entro
una limitata sfera di osservazione, con opinioni
che sovvertono le migliori lezioni dell’esperienza,
deve presto rimanere in arretrato in confronto
dei suoi tempi, e immaginarsi che tutto il mondo
rassomigli a ciò che lo circonda immediatamente;
appunto come i cinque piselli nel loro guscio
credevano che al mondo non vi fossero che piselli, verdi com’essi da tutte le parti, e al pari
di loro in fila.
« Quale concetto deve avere S. S. dell'opinione
pubblica in Europa se intende di sfidarla col
mezzo del jiù abile scrittore oltramontano tìvente? Questo divisamente sembra un tale indizio di fatuità, che sarebbe atfatto inesplicabile
se non lo si supponesse proveniente da una assoluta ignoranza delle cose del mondo, dello
stato d’Italia e delle condizioni delrestod’Europa.
È del pari da stupirsi che si trovi un Francese di
larghe vedute e di grande esperienza che voglia
assumersi quell’impresa. Non deve quindi far
meraviglia se noi attendiamo con una buona dose
di scettica impazienza di vedere come il compito scrittore di opuscoli saprà sviluppare la
sua tesi.
« Consideriamo alcuni dei fatti. Incominciamo
con Roma e gli Stati pontificii. Quivi il signor
di Montalembert vedrà un generoso popolo, che
si vanta delle più gloriose tradizioni in tutta la
cristianità, ma degradato di mente, corpo e condizione quanto lo può essere un popolo che è
stato cosi grande una volta. Egli vedrà le istituzioni del governo civile assorbite dalle ecclesiastiche, le funzioni naturali del potere secolare
impantanate dalle pretensioni spirituali, e ogni
specie di dignità e potere laico fatta monopolio
di preti e di ordini religiosi. Quivi egli vedrà il
capo di questo popolo perduto talmente alienato
all'amore ed alla riverenza de' suoi sudditi, cbe
egli non sa a chi affidarsi, e vive ogni giorno in
timore di essere spacciaio col veleno. Egli vedrà
un governo così corrotto che è divenuto l’ol>biette costante dell'esecrazione popolare per le
sue imposte oi)pressive, le sue manifeste frodi,
la sua continua ostilità al progresso del popolo
e al germogliar della libertà. A Roma pure, i)
quartier generale del papato si troverà al più
basso livello della moralità pubblica e privata.
In nessun luogo, eccettuata forse qualche parte
della Spagna, il clero cattolico è cosi immorale
come nella città eterna. In nessun luogo vi è
maggior ozio, inerzia e ignoranza, vi sono più
cattive abitudini, mancanza di pulizia personale
e tanta mendicità incorreggibile fra i poveri, o
tale indifferenza ai più volgari doveri e interessi
fra le classi più agiate. La conseguenza naturale
si che la città eterna non può far senza delle
truppe francesi.
« Come può essere diversamente, se i canoni
ecclesiastici prendono il posto delle leggi municipali? se il vescovo assorbe il re? se cardinali
intriganti sono i ministri dello Stato? se preti di
rilassati costumi servono di esempio alla morale
pubblica? se i ricchi vivono per le loro ricchezze,
e i poveri sono immersi nell’ignoranza, nel vizio,
e nel sucidume? Attendiamo con molta curiosità
di sapere ciò che il signor di Montalembert potrà
dire in difesa di queste cose *.
Qual è il popolo più felice del mondo?
Il vescovo d’Arras che pone questa domanda
in una circolare a’ suoi diocesani, ne dà pure in
essa la risposta. Udite o lettori :
« Il popolo di Roma è certamente uno de' piii feti Ufi del mondo intero : Sotto la mano calma e
t dolce di un governo, cui non si potrebbe rim« proverare che d/essere troppo paterno, mentre
I dovunque gli spiriti s’abbassano e si materia« lizzano, Roma continua a coltivare le lettere,
« le scienze e le arti con una serenità, un’ appli« cazione e un successo impossibile ad ottenersi
« senza il ben’essere di ognuno e la sicurezza di
« tutti ». E qui, tracciando uu quadro magnifico,
incantevole, poetico della florida condizione dei
sudditi di Pio IX, il vescovo, nel bollore della
sua fantasia, non dimentica il grande concorso
di mendici che sono, egli dice, onoratitsimi, nè
le pompe delle chiese e il lusso dei cardiaalL,
imperciocché la pietà del popolo romano, degno
degli antichi tempi, fa si che ei trova la di lui
felicità nella ricchezzza e magnificenza spiegate
dalla Chiesa.
Davvero che a dirle grosse in questa maniera
è l’unico mezzo per fare che altri si tenga nel
silenzio, ma stia sicuro il signor vescovo d’Arras che le di lui parole, in chi le legge, produrranno buonissimi effetti. I giornali però non
hanno potuto starsene tranquilli e vorrebbero
già sapere daU’illustrissimo prelato, per quale
specie d’anomalia, un paese così felice come le
Romagne, governato in modo cosi paterno, abbia bisogno d’essere puntellato colle baionette
straniere. Fra gli altri, il Journal des Débatt
esclama : « Un’armata al papa e ai cardinali !
4
Perchè? per regnare sui cuori, per reguare sovra
iin popolo che è beato de' palagi de’ suoi principi, degli equipaggi de’suoi cardinali, che ama
meglio riscaldarsi al sole, che di crearsi delle
false necessità, il di cui resto d’orgoglio pagano
ò modificato dalla dolcezza del Vangelo, e le
à'aute preoccupazioni dell’eterna salvezza? « Ah !
il signor vescovo d’Arras non troverà certo di
àua convenienza di raccogliere queste ed altre
tnolte obbiezioni da cui dee vedersi circondato,
Se non è del tutto cieco o se........e quindi
lascierà cadere la questione.
Svizzera. — Sinodo della Chiesa libera Vodese.
— 11 Sinodo della Chiesa libera del Cantone di
Vaud ha tenuto l’annuale sua sessione negli ultimi giorni del maggio scorso, sotto la presidenza del Sig. Troyon, conosciuto per molti e
dotti lavori sulle antichità della sua patria. Indipendenza, larghezza di vedute, ricerca sincera del
bene, tali pare siano stati i caratteri distintivi
delle deliberazioni di quell’assemblea, fra le quali
ci piace notare quella concai viene abolito l’uso
della confermazione in massa dei catecumeni
di ambo i sessi, perchè giunti ad una data
età, e più o meno istruiti nelle verilà del cristianesimo. A quattro giovani candidati al sacro mitfisteriovenne, nella stessa occasione, confería la
imposizione delle mani.
Decesso del sig. F. Bridel. — La Chiesa libera
V odese ha fatto testé una perdita assai sensibile
nella persona del Rev. Sig. F. Bridel, uno dei
pastori di essa, resosi defunto il giorno 11 del
p. p. giugno, dopo una malattia piuttosto lunga,
durante la quale egli non cessò mai di rendere la
più bella e fedele testimonianza alle verità, che
con molto talento ed ardore egli avea bandito dal
palpito, durante un ministerio di circa 4-1 anni.
Ginevra. — Assemblee annuali delle Società
religiose. — Il sig. Pilatte , pastore, si recò in
tale circostanza a Ginevra come rappresentante
della Chiesa evangelica del Piemonte. In un suo
discorso egli combattè valorosamente l’opinione
di coloro che stimarne la Chiesa de’Valdesi non
idonea per evangelizzare l’Italia, stanle che idi
lei membri non sono italiani che per la posizione loro geografica e le condizioni politiche,
e non dal lato storico, dell’educazione e dei costumi. Senza diminuire minimamente il merito
al signor Pilatte pel suo lagionamento in proposito, diremo tuttavia ch’egli aveva tra mani
buona causa da trattare ; intanto la posizione
geografica e le condizioni politiche ci sembrano
già due elementi importanti per una nazionalità;
in quanto alla storia del popolo valdese, ella
è parte integrante e luminosa della storia piemontese la più antica, e la storia piemontese
legasi còlle storie delle altre provincie italiane;
circa poi all'educazione, ai costumi, ed aggiungasi pure, aila lingua, il popolo delle Valli non
A in queslo diverso dai rimanenti popoli della
penisola, i quali, siccome fino ad ora non hanno
potuto formare una vera unità nazionale, così
ognuno ha conservato certe particolari caratteristiche e dialetti differenti, ma che hanno fra
loro strettissime analogie; ese il popolo valdese
allontanasi dagli altri popoli italiani in qualclic
parte che si riferisce alla morale, ciò si deve
attribuire al privilegio ch'egli ebbe di conser
vare il sacro deposito della Parola di Dio, ch'è
appunto quel privilegio che ora non solamente
10 fa idoneo ad evangelizzare i fratelli d'Italia,
ma gli trasmette un obbligo tale da cui non
può esimersi , e che niun altro è al caso di
adempiere fra noi meglio dei Valdesi medesimi,
precisamente per le accennate ragioni deilla
posizione geografica , delle condiiioìii politiche ,
tradizioni storiche, educazione e linguaggio, poiché in ultima analisi nelle Valli si parla comunemente un italico dialetto, s’intende altresì
11 puro idioma nazionale, senza dire che le persone colte eziandio lo parlano bene.
Inoltrili sig. Pilatte respinse l’accusa di spi
I rito gretto ecclesiastico, attribuito alla Chiesa
ch'egli rappresenta: dichiarò che la Chiesa evangelica delle Valli lascia alle congregazioni, che
desiderano associarsi a lei, piena larghezza di
organizzarsi, in quanto alla forma di goTerno,
com’esse desiderano, ed aggiunse ch’egli, dopo
che si è posto al servizio della Chiesa de’ Vaidesi, si trova uon altrimenti libero di quando
lavorava sotto la direzione della Società evangelica di Parigi.
Lionb. — Motto spiritoso. — Il rev. pastore
sig. Descombaz riferì in una seduta delle assemblee religiose iu Ginevra la seguente risposta di un membro della Chiesa evangelica di
Lione. Questi entrò in discussione con un curato che gli chiese perchè nessuno de’ suoi si
confessasse. Ma il nostro amico alla sua volta
domandò al prete; « A chi si confessauo i parrochi? » — « Al vescovo », gli fu fu risposto —
« E a chi si confessano i vescovi? » — « Agli
arcivescovi ». — «£ a chi si confessano gii arcivescovi? » — « Al papa » — « E a chi si confessa
il papa? » — A Dio ». — « Ah ! concluse il nostro fratello in G. C., se è dunque vero che il
papa si confessa a Dio , egli è protestante ».
Cotesta finale imprevista sconcertò affatto l'interlocutore.
Tprchia.—Influenza eTangeliea. —Un libraio
turco si offerse ai missionari di Costantinopoli
per la vendita di quante Bibbie volessero confidargli. Essi temevano di cagionare de’dispiàceri a
quest’uomo ; ma egli rispose loro : « Io non temo;
il tempo è giunto. Lessi cotesto libro e potrei
dire che vale tant’oro quanto pesa ». —a Non ancora, amico mio, soggiunsero i missionari ; noi
temiamo che sia ancor troppo presto, e che vi
esponiate alla persecuzione ». Non passa giorno,
si può dire , che essi non sieno sollecitaii dal
Turco. « Voi avete torto; il tempo è giunto (^éi
ripete), lo non ho alcuna paura; datemi quahti
libri volete, e verrò ben presto a chiedervene ancora. Noi siamo stanchi del Corano, che non dà,
come il vostro libro, un cibo alle anime nostre ».
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