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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno IX. - Fasc. VII
ROMA - LUGLIO 1920
Volume XVI. i
SOMMARIO
C. FORMICHI : La dottrina idealistica delle
“ Upanishad ................pag. I
F. MOMIGLIANO : L'educazione religiosa di
G. Mazzini.......................15
R. CORSO: Folclore biblico . ... . 23
D. PROVENZAL: Gocce d’un mare ignoto 38
Per la cultura dell’anima :
W. RAUSCHENBUSCH: La preghiera d’amore di
S. Paolo ............ 44
C. VAGNER : Chi vi ascolta, mi ascolta . . . . 45
Note e commenti:
V. MARCISSI : Mattia Piaccio (Un Istriano campione
della Riforma)................................50
A. CERVESATO: Roosevelt e l'Italia . . . . 52
V. CENTO: Per l'educazione nazionale . . . . 55
Cronache:
Q. TOSATI! : Politica vaticana e azione cattolica 60 Rassegne :
M. PUGUSI: Storia e psicologia religiosa (VII) . . 67
Letture ed appunti - Nuove riviste . . . 75
Recensioni : . . -. . . . . 80
G. Ferretti, C. Jalla, a. T., G. Costa, c. G. C.
Nuove pubblicazioni ........ 84
2
BILYCHNIS rivista mensile di-studi religiosi
CRITICA BIBLICA ^STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA ^ PEDAGOGIA FILOSOFIA RELIGIOSA ~ MORALE > QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO - ¿4 nrx religiosa in Italia e all' estero - - - - - - - - - - REDAZIONE: Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma. D. G. WHITT1NGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero: Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l'Italia, L. 10; Per l’Estero, L. 15; Un fascicolo, L. 1,50
[Per gli Stali Uniti e per il Canada è autorizzato ad esigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica, B. D. Pasto«, 1414 Castle Ave. Phlladclphla, Pa. (U. S. A.)J. ■
Abbonamento annuo cumulativo col Testimonio, rivista mensile delle chiese battiste italiane, L. 13,50.
Id. con Fede e Vito, rivista della federazione studenti perla cultura religiosa, L. 12,50
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d'indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gii articoli firmati vincolano unicamente ¡opinione dei loro autori.
I manoscritti non si restituiscono.
1 collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
Nel prossimi numeri pubblicheremo:
P. E. Pavolini, La religione degli antichi Finni.
F. De Sarlo, L'opera filosofica e scientifica di E. Haeckel (con ritratto).
E. TROILO, La filosofia di Giorgio Politeo (con ritratto).
G. Lesca, Filosofia e religione nella poesia di G. Pascoli.
M. Rossi, Lutero.
A. De Stefano, La riforma religiosa di Arnaldo da Brescia.
Fr. Giulio, La filosofia di Benedetto Croce
A. Renda, Incompetenza della psicologia nello studio dei valori.
A. Renda. Le riduzioni dei valori.
A. Chiappelli, La critica dèi Nuovo Testamento nel XX secolo.
C. FORNICHI, PaulDeussen nella vita e nelle opere.
L. Salvatorelli, Lo Stato nel pensiero cristiano del II e III secolo.
G. Pioli, Uomini e cose d'Inghilterra (note). L'unità nelle scienze, in filosofia morale e religione.
P. Orano, I cattolici in Parlamento.
Il problema della scuola.
G. Costa, Il valore storico della « passio S. Fe-liciani ».
G. Rensi, Il Lavoro.
La Storia.
M. PuGLlSI. Franz Brentano (con ritratto).
— I misteri pagani e il mistero cristiano.
U. Della Seta, Un riformatore: Senofane di Colofone.
A. Vasconi, Una lettera inedita di Tancredi Canonico.
R. PettaZZONI, Il problema del zoroastrismoG. Levi della Vida, Recenti studi su Maometto e sulle origini del!Islam.
F. Bridel. Vinci, profeta della libertà.
Ci ànno pur assicurato il loro contributo i proff. A. Calderini, Adriano Tilgher, Dino Provenzal, A. Tagliatatela. Per la caltvra dell’anima ci ànno promesso il loro concorso Fra Masseo da Pratoverde, G. Luzzi, A. Tagliatotela ed altri.
.L'Amministrazione ricerca copie del Fascicolo del febbraio 1919 che contraccambierà con pubblicazioni di sua edizione del valore di L. 2.
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Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - ROMA, 33
RII VrHMIQ RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI -DI L-4 I 1 1 1 ’l IO fondata nel 1912 - Pubblica scritti originali di critica, storia e filosofia religiose — Accurate relazioni sui più notevoli movimenti religiosi contemporanei in Italia e all'Estero —Notizie delle più importanti pubblicazioni e dei .più recenti risultati delle ricerche scientifiche nel campo della critica biblica, della storia del Cristianesimo e storia delle religioni — Inchieste sulla variazione dell'esperienza religiósa contemporanea — Tratta con larghezza di vedute questioni vive. — Pagine per la cultura dell'anima (sermoni, preghiere, spigolature) ; Cronache di Politica vaticana ed azione cattòlica, di Vita e pensiero ebraico ; Rassegne bibliografiche di Critica biblica. Filosofia religiosa. Psicologia e storia religiosa, Religioni classiche. Religioni primitive ed etnografia religiosa, ecc., oltre un ricco Notiziario ed un accurato spoglio della Stampa Italiana.
112 fascicoli dell'anno compongono due grosssi volumi di circa 400 pagine ciascuno.
Abbonamento per l'Italia: annuo L. 10; semestr. L. 5,50; per l'Estero: L. 15 Direzione e Amministrazione: 2, Via- Crescenzio - ROMA 33
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PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
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CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando il sole
2 -ABurt W. : Sermoni e allocuzioni .......... 2.—
GRATRY A. : Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 5,40
Monod W.: L’Evangile du Royaume ....... 6,50
— Délivrances . . . . 6,50
— Il régnera........6 —
— Il vît . . . . . , . ,. 6 — — Silence et prière . . . 6 — Vienot J. : Paroles françaises prononcées a 1’ oratoire du Louvre ...............2,50
Wagner C.: L’ami . . . 7 — — Justice ...... 6 —
FILOSOFIA
Della Seta U. : G. Mazzini pensatóre ...... io —
Della Seta U.: Filosofia morale (Voi. I e II). . 15 —
Ferretti G.: Il numero e i fanciulli, capitolo d’una didattica dell’inventività. 2 —
Ferretti G.: L’Alfabèto e i fanciulli ......... 2 —
Von Hügel F.: Religione, ed illusione ...... i —Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . . . 1 —
Rapini G.: Il tragico quotidiano . . . . . . 1. - 5,50
— Crepuscolo dei filosofi 3,50
Rensi G.: Sic et non (metafisici e poesia) . . . 3,50
Tagliatatela E.: Giovanni Lo-. cke educatore. Studio critico seguito dà 2 opuscoli pedagogici del Locke (per la prima volta tradótto in italiano) ;. . ; . . .' . . . 4 — I
GUERRA E ATTUALITÀ
Andreief L.: Sotto il giogo della guerra . . . . 3,50
Boia H.: La guerre et la bonne conscience.............0,70
Ciarlantini: Problemi dell’Alto Adige ....... 3,50
Ghetti S.: La maschera dell’Austria ..... 6 —
Kolpinska A.: I precursori della rivoluzione russa 6 —
L’A. stessa à dichiarato il metodo del suo lavoro, metodo di antologia o di mosaico e à con ■ ciò tributato a sè stessa la maggior lode. Piuttosto che un’opera di storico assimilatore, essa à fatto opera di espositore coscienzioso di quanti ne’ due ultimi secoli segnarono le -tappe essenziali dello sviluppo della Russia. Gl’Italiani leggano e meditino le pagine della K.; ciò li esimerà forse dai vaniloqui retorici degli estremisti di tutti i partiti.
Maranelli e Salvemini: La questione dell'Adriatico. 6 —
Murri R. : L'anticlericalismo (origini, natura, metodo e Scopi pratici) . . . . 1,25
MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. Il sangue e l’altare
MURRI R. : Guerra e religione.
Vol. II. L’imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa ........ 2 —
Puccini M.: Come ho visto iì
Friuli ....... 5 — Scai foglio: L’Italia, la Iugoslavia e la questione dalmata
0.25
Senizza G.: Storia e diritti di Fiume italiana . . . 1 —
Soffici A.: Kobilek (giornale di battaglia) . . . . . 3,50
Stapfer: Les leçons de la guerre
Wilson: La nuova libertà. 4 —
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Wilson : Un soldat sans peur et j p--sans reproche (en mémoire'’ ” de André CometrAuqùién). Agréstî A;
RELIGIONE E STORIA
Ai Lincoln . ¿-I
x»3° Bfiònaiuti E.: S. Agostino 2 ZANOTTI-BIANCO e CAFFI
Wenck F.: .Spirito—e—spiriti nel Nuoyo Testamento. 0,75
SL ¡La Bibbia e #a Critica; 2 —
A, : La pace di Versailles, |
»; S. Girolamo 2
.Lèttere di un. prète modernista 1 $,5Ò
Cappelletti : La Riforma 6— Nuovo TeètamcAtd, tradotto fe
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notee documenti (con20 car-[ te etnografiche e politiche) CHIMINELLI P. : Gesù di Naio. r- zareth . ... (in ristampa),
corredato di note e di'
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La Chiesa è i nuovi tempi 3,50 i
Raccolta di scritti originali dii. Giovanni .Pioli - Romolo Murri - j Giovanni E. Metile - Ugo.. Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi II Padrenostro Gii mondo nio derno
3 —
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Qui Quòndam
Antonino
De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
LETTERATURA
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Arcari P. : A miei . . . . 2 —
Chini M.: F. Mistral . .• 2 — Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nella mente di G. Mazzini.
1.50
Dell’Isola M.: Etudes sur MonCosta G.: Politica- e religione neri’impero romano. . 2
Cumont FI: Le religioni orientali nél paganesimo romano . • • . . . . .. 6.50.
Di Soragna A.: ? Profezie di. Isaia, figlio di Amos?’ 7,50 Gautier- L. : La Loi dans l’ancienne alliance ; . .' 2725
zioni dal prof. G. Lugzi LS» Nuovo testamento, e Salmi (èdizjone, Fides, et Amor) 3 -L I Vangèli e gii Atti degli Apòstoli (edizione Fides et A mor) . . . . . . . t.So
I Salmi (Edizione Fides et
. Amor) ' ,.
' i.8b
Giobbe, tradq.ttp da G. Luzzi x,8b
Ianni U.: Il cullò'cristiano rivendicato-contro -la degenerazione romana . . . . i — .Tagliatatela E.: L'educazione * nella Chiesa dei primi secoli 3,5<>
Janni U.: Il dogma dèil’Eucari-stia e la ragione cristiana 1,25 — Le origini del potere tem-T 1 ■ « v papi ’ .A” Ta^Iw G- 11 Basirne 0,50 LOISY A.: Jesus et là tradition
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Gallarati Scotti T.: La vita di A. Fogazzaro . . . . . io —
Jahier P.: Ragazzo . . 3,50
Brevi, ma vive pagine di vita vissuta. Scritte in uno stile che à i tratti duri, ma incisivi di alcune xilografie o che par più che- dipingere trarre da! marmè‘'dcl-' l’esposizione, fredda U vitalità I delia .statua.. È tutto perfugo di una spiritualità, gemente e d’tma poesia dolorosa' che in una prosa tutta speciale è più espressiva talvolta «Iella stessa pofesìà. '
Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 — ' Fanzini A.: Il libro di 'lettera | per le scuole popolari'. 2 —- !
Papini G.: Parole e sangue. ; . 3/5® i
Sheldon C.: Crocifisso! ro-; manzo religioso sociale tra-, dotto da E.Taglialatela. 2 —
Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 —
évangélique. . «— La Religion. — Mors et vita .
4 —
5'-^2,25
—- Epitre aux .Galates,. 3,60 — La palx des nations . 1,50 Ottolenghi R.: I farisei antichi e moderni.... 4 — PETTAZZONI R>: La; religione primitiva in Sardegna 6 —
Salvatorelli' L.: Introduzione bibliografica alla scienzadelle Religioni..... . 5'— —«LaBibbia» Introduzione al-l'Antico e Nuovo TestamenVARIA
Carletti A. : Con quali sentimenti sono tornato dalia
guerra .
1.50
Dèi Vecchio G.: Effetti n «orafi del terremotò;in Calabria sett condo F. M. Pagano . 2 — Lombardo Radice G.\ì Clericali , e massoni di fronte ai problema della scuoia. . . 2 — Martinelli: Per la vittoria morale . .
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12,50
. Il significa^ di , ■ Nazareno ■
1,50.
TYRREL G.: Autobiografía e Biografia (per cura di M.
D. Petre) ...... 15 —
Ai. nòstri abbonati nonjno-rosi L. 10,50 franco di -pòrto.
Tyrrel G.ì-'Lèttera confidèn'Majer Rizzoli E: Fratelli e sorelle (Libro di guerra 1915-1918) 4,50
Merlano F. : Croci'di légno 3,50
Niccólini E.: I contadini e la '''terra ; ; . 2,50
Papini G.: Esperiènza futurista
Vitanza C.: Spiriti e forme del ; divino nella poesia di M. Ra-1 pisardi (conferenze). j
ziale ad un professore d’antropologia ... . . . 0,50
del
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1,50
Vitanza C.: La leggenda xva- i « Descensus Christi ad 1,501 feros a.......
— Le memorie d'iddio
— Chiudiamq 1$ .seriole Pioli G.: Educhiamo i
padroni: .......
3.50
• 3 —
nostri
2.50
Provenzal D. : Carta bollata da
due lire
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Scarpa A.: La scuola delle mummie. i —
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ESTRATTI DELLA RIVISTA “ BILŸCHNIS „
(. Amendola Èva: Il pensiero religioso e filosofico di i’\; DostOievsky (con tavola inori testo: ritratto del D. disegnato , da P.. .Paschetto).
1’917, p. 40 . 2.—
2, Bernardo (fra) da Quin-tavallc: L’avvenire 1 secón • db Tinsegnàménto. di Gesù.
19'17, P- 43.-1 ■ • 0,80'
3; : Biondolillo* Francesco: La religiosità di J Teofilo. Folengo (con,i disegno). 1912, ,r.: 1.2,. i . .... .. . 0,40
4. Biondolillo Francesco:.Per la religiosità di F. Petrarca ' (con una tavola); 1913, pagine 9 . . .. . . . . 0,40
5. Cappelletti Licurgo:: Il Conclave dei 1774 e.laiSatira a Roma. 1918, p. io. 0,50
6. Cento Vincenzo: Colloquio con Renato Serra. 1918, p. 11 . . . 0,60
7- Chiappelli Alessandro: Con tro l’identificazione della fi- j lospfia e della storia e *pei. diritti della critica. 1918, p. 12 . . . . . . . 0.60
8. Corso Raffaele: Ultime vestigia della lapidazione ;fcon 2 disegni ’originali di
P. Paschetto). 1917? pagine ii .’ . . (esaurito) 9. Corso Raffaele: Lò studiq dei riti nuziali. 1917;. par: gine 9 . . . . . . 0,40
io.. Corso Raffaele:^ Deus Plu-yius .(saggio di mitologia popolare). 1918, p. 13. 0.75 il.. Costa Giovanni: La battaglia di Costantino a. Ponte Milviò (con due tàvole é due disegni). 1913, p. 14. 1,50 12. Còsta Giovanni: Critica e tradizióne. Osservazioni stilla politica e sulla religione di Costantino.: 1914, pagine 23 . .... . . .. 1,50 13. Costa Giovanni: Impero romano e cristianesimo'(cpn duetayl). 1915, p. 49. 2 —
14., Còsta Giovanni: Il < Chri-stus » della « Cinès ». 1917, p. 11 . • • i .• ■ 0,30
15. Créspi Angeld: II pròblema ’dell’educazione (introduzione). 1912, p. il. (esaurito)
= I Serie =
16.. Crespi Angelo: L’evolu-! "¿iòne della; religiosità nell'individuo; 1913,'p. 14. 0,50
17. De" Stefano Antonino: -Le origini dei Frati Gaudenti.
-I9®5. P- 26 % ; . . . i,5Q;
18. ' De Stefano Antonino: I Tedeschi ,e l’eresia. medievale, in Italia.- 1916, pagine 17 . . , ‘1
19. De Stefano Antonino: Delle . origini dei « poveri lombardi » e di alcuni gruppi valdesi. 1917, pi 23. 1—20. Fallot T.: Sulla soglia (considerazioni sull’«/ di là} (con1 una tàvola f. t., dise-gno'di Pi Paschetto). 1916, p. 14 . ... . . 0,50
21. Fasulo Aristarco: Pel IV centenario della Riforma.
1917, p. 18 . . . . . 0,50
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d’una grande sinfonia (Della Provvidenza). 1918; p. 16 . . . . 0,50
23. Formichi Carlo: Cerini sulle più antiche religióni dell'india (con suggerimenti bibliografici)1. '¡. 1917; ' pagine 15 <. . . . . i 1 —
24. Pomari Fi: Inumazione e cremazione (con quattro tavole). .19.12, p. .6 . . •. 1 —
25. Gabèl lini M. A.: Olindò Guerrini: l’uomo e l'artista.
1918, p. 17 . ... . 0,50
26. Gambàro Angelo: Crisi i Contemporanea. 1912Ì pagine 7 . ? .. . . . . ,.0,30
27. Ghignóni P. A.: Lettera a ' R. Murri (A propòsito di Cristianesimo e guerra}. 1910, p. 9.'. . .; . (esaurito)
28. Giretti Edoardo: Perchè sono per la guerra. 1915. p.„ 11 . . . . . . . 0,50
29., . Giulio-Ben so Luisa: « La vita è un sogno », di Arturo Farinelli. 1’917, p. 16. 0,50
30., Giulio-Benso Luisa: Lamennais é Mazzini (con una tavola f. t.: ritratto del Lamennais). 1918, p. 40. 1,50
31. Giuliò-Benso Luisa: Il sentiménto religioso nell’opera di Alfredo- Oriani. 1918, P- 43 ....... 1,50
32. Lanzillo Agostino: Il sol;
-dato e l’eroe (Frammenti di psicologia di guerra).
1918, p. 25 . . . (esaurito).
33. Lat.tes : Dante: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico. 19.18, p. 21. 1,25
34. Lonzi Furio: L’autocefalia della Chiesa di Salona (con undici illustrazioni).
1912, p. 16 .... . 1 —'
35. Lonzi Furio: Di alcune medaglie religiose del iv secolo (con una ¿avola e quattro disegni). 1913, pagine 21 ...... . 1.50
36. LcopOid H.: Le memorie apostoliche a Roma e i re-centi scavi di S. Sebastiano (con una tavola). 1916, pagine 14 ..... ’. 0,40
37. Luzzi Giovanni: L’opera Spenccriana. 1912, pagine 7 . . . . . . . . 0,30
38. Masini Enrico: La liberazione di Gerusalemme. Salmo. 1917, p. ’2'-: . 0,25
39. Melile Giovanni E.: Il cristiano nella, vita; pubblica. 19x3,. p. 31 in-320.. . 0,25
40. Meille Giovanni e Ada: Gianavcllo. Scene valdesi in quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Pacchetto), 1918, p. 67. 2,50
41. Minocchi Salvatore: I miti babilonesi e le origini della gnosi. 1914, p. 43 . . 1,50
42. Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani.
1916, p. 16 . . . . . 0,60
4 }. Müller Alphöris Victor: A-gostino Favaroni (f 1443) (generale dell’ordine Agostiniano) e la teologia di Lutero. 1914, P- *7 ■ 0.50
41. Murri Romolo: L'individuo e la storia (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1915, p. 12 ...... 0,50
45. Murri Romolo: La reli-Sione nell’insegnamento pub
lico in Italia. 1915, pagine 22 . . .... 0,75
46. Murri Romolo: La « Religione » di Alfredo Loisy. 1918, p. 16 . . . . . 1,25
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-1V-20)....
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell'Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
47. Murri Romolo: Gl'Italiani e la libertà religiosa nel. secolo xviì. 1918, p. io- 0,50
48. Muttinclli Ferruccio: 11 profilo intellettuale di San Agostino. 1917., p. 8. 0,40
49. Nazzari R.: Le concezioni idealistiche del male. 1918, p. 16 . ...... 1 —
50. Neal T.: Maine de Biran.
1914. p. 9 • • • • • 0,50
51. Orano Paolo: La rinascita dell’anima. 1912. p. 9. 0,50
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita ed un ritratto). 1915, p. 19. . 1 —
53. Orano Paolo: Gesù e la Guerra. 1915, p. x’x. 0,50
54. Orano Paolo: Il Papa a Congresso. 1916, p. 12 0,75
55. Orano Paolo: La nuova coscienza religiosa in Italia.
1917, p. 19 . . . . 0,50
56. Orr James: La Scienza e la Fede Cristiana (secondo il punto di vista conciliato-rista). 1912, p. 25 . . 0,25
57. Pascal Arturo: Antonio Caracciolo: Vescovo di Troyes.
1915. P- 39 • • •• ■ • 1 —
58. Pioli Giovanni: Marcel Hé-bert (con ritratto ed un autografo). 1916, p. 23. 1 —
59. Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze e previsioni (con sei tàvole), 1917, p. 57 1,50
60. Pioli Giovanni: La fede e l’immortalità nel « Mors et vita » di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy). 1917, p. 22 . . . . . 0,60
61. Pioli Giovanni: Morale e religione nelle opere di Shakespeare (con cinque tavole) 1918, p. 46............2 —
62. Pioli Giovanni: Il catto-licismp tedesco e il « centro cattolico ». 1918, p. 21 1,25
63. Pioli Giovanni: Lo spirito della Riforma e quello della Germania contemporanea.
1918, p. 11 . . . . . 0,50
64. Pqns Silvio: La nuova crociata dei bambini. 1914) p- 6..............(esaurito.
65. Pqns Silvio: Saggi Pa-scaliani. I. Il pensiero politico e sociale del Pascal. II. Voltaire giudice de
« Pensieri del Pascal ■ IH. Tre fedi (Montaigne, Pascal, Al-; fred de Vigny) (con due tavole fuori testo). 1914, pàgine 30 ...... 1,50 66. Provenzal Dino: Giuoco fatto. 1917, p. 12 . .' 0,40 67. Provenzal Dino: L’anima religiosa di un eroe. 1918, p. 12 . . . . . . . 0,75 68. Puglisi Mario: Il problema morale nelle religioni primitive. 1915, p. 36 . . . 1 — 69. Puglisi Mario: Le fonti religiose del problema del male. 1917, p. 97 . . 2 — 70. Puglisi Mario: Realtà e idealità religiosa (a proposito di un nuovo libro di A. Loisy). 1918, p. 13 1 — 71 Quadrotta Guglielmo: Religione Chiesa e Stato nel pensiero: di Antonio Calandra (con ritratto e una lettera di Antonio Salan-dra). 1916, p. .31 . . 1 — 72. Qui Quondam: Visione di
Natale. Frammento (con otto disegni di P. Paschetto) 1916, p. 7.:. . . . . -0,50 73. Qui Quondam: Carducci e
il Cristianesimo in ùn libro di G. Papini. 19x8, par gine li .... . . .0,50 74. Qui Quondam: La Carriola (La bruette) Dalle Mu-sardises di Rostand (con due disegni di Paolo Paschetto). 1918, p. 5 . 0,40 75. Re-Bar.tlett: IL Cristianésimo e le chiese. 1918, pagine io ... ' (esaurito)
76. Rèndei Harris: I tre «Misteri » cristiani di Wood-brooke (Introduzione e note di.Mario Rossi) (con un disegno di P. Paschetto). 195x4 p. 27, in-320 .... 0,50
77. Rensi Giuseppe: La ragione e la guerra. 19x7, pagine 27 ... . . . 0,75
78. Rosazza Mario: Del metodo nello studio della storia delle religioni. 1912, pagine 7. . . . . ’ (esaurito)
79. Rosazza Mario: La reli-Sione del nulla (Il Bud-ismo) (con sei disegni).
1913 . . . . . (esaurito) 80. Rossi Mario: Verso il Conclave. 1913, p. 4 . . . 0,25
81. Rossi Mario: La chimica del Cristianesimo (conferenza religiosa). • 1916Ì pagine 9 ....... 0,50
82. Rossi Mario: Esperienze religiose contemporanee. 1918, p. 13 . . . . . 0,50
83. Rossi Mario: La « Cacciata della morte » a mezza quaresima in un sinodo boemo del ’300 (Note folkloriche). 1918. p. 8 . . . . . 0,50
84. Rossi Mario: I sofismi sulla guerra e la difesa della nostra latinità (Guerra di religione o guerra economica?). 1918, p. 17 . . . 0,50
85. Rostan C.: Lo stato delle anime dopo la morte secondo il libro XI dell’Odis-sea, 1912, p. 8 . (esaurito)
86. Rostan C.: Le idee religiose di Pindaro, 1914, pagine 9. .... (esaurito)
87. Rostan C.: L’oltretomba nel libro VI dell’« Eneide ».
1916, p. 15 . . . . . 0,50
88. Rubbiani Ferruccio: Mazzini e Gioberti. 1915, pagine 15 ... . (esaurito)
89. Rubbiani Ferruccio: Un modernista del Risorgimento (Il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga). 1917, pagine 23 ..................0,60
90. Rutili. Ernesto: Vitalità e Vita, nel Cattolicismo (I e II).. Cronache Cattoliche per gli anni 1912-1913 (esaurito)
91. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo (III, IV, V). Cronache cattoliche per gli anni 1913 e 1914 (tre ‘fascicoli di pagine complessive 52) ...... 1,50
92. Rutili Ernesto: La soppressione dei gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi..: 1914, pagine 6. . . . . .. . . 0,40
93. Sacchini Giovanni: Il Vitalismo. 1914, p. 12 0,50
94. Salatiel.lo Giosuè : Il misticismo di Caterina da Siena (con una tavola).
1912, p. IO............0,50
95. Salatici lo Giosuè:. L’umanesimo di Caterina da Siena. X914. P- 10............. 0,50
7
V —
96. Salvatorelli Luigi: La storia del Cristianesimo ed i suoi rappòrti- con la storia civile. 1913, p. io . . 0,50
97. Scaduto Francesco: Indipendenza dello Stato e libertà delia Chiesa. 1913, p. 25 in-32®. . ; . . 0,25
98. Tagliatatela Alfredo: Fu il Pascoli poeta cristiano? (con ritratto del Pascoli e 4 disegni di P. Paschetto). 1912, p. 11............0,75
99. Tagliatatela Alfredo: II sógno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 4 disegni originali di Paolo Pa-scnetto). i9i2,kp, 8 . .0,25 roo. Tagliatatela EduaVdo: Morale e religione. 1916, p. 40 1 1. Fattori Agostino : Pensieri dell’ora (Leggendo il « Colloquio con Renato Serra » di Vincenzo Cento). 1919, pagine 13. . . ... . . 0,50
2. Di Rubba Domenico: La fede religiosa di Woodrow Wilson. 1919, p. 29 . . ; 0,50
3. Fra Masseo da Pratoverde : Intermezzo sacramentale (A proposito di Unione delle Chiese Cristiane). 1919, pagine 17 . . . . . . 0,75
4. Dell’Isola M. è Provenzal Dino: C’è una spiegazione logica della vita? 1919, p. 12 0,60.
5. Billia Michelangelo: Il vero uomo. 1919, p. 7 . . 0,50
6. Rossi Mario: Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento. 1919, pagine 13 .... . . . 0,50
7. Cadorna Carla: I ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541.
1919. P- 7...........0.50
8. Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà. 1919. p. il . . . . . . . 0,50
9. Marchi Giovanni: Il « Confiteor » dei giovani. 1919, p. 8 ........ 0,50
io. Qui Quondam: Dopo-guerra nel clero. 1919. P- >4- 0,60
11. Tucci Paolo: La guerra eia pace nel pensiero di Lutero. 1919» P- 3* • • 1.50
101. Tagliatatela Eduardo: Lo insegnamento . religioso _■ se-;’coniò odièrni pedagogisti italiani. 1916, p. 9 . . 0,50
IQ2.. Tanfani ,Liv*o: Il .fine dell’educazione nella scuota dei gesuiti. 1918, p. 27 0,75
103. Tosatti Quinto: Giordano Bruno (con' ritratto del Bru -no: disegno di P. Paschetto). 1917- P- 19 • • • • • I—
104. Trivero Camillo: La ragióne e la guerra. 1917, p.150,40
105. Tucci Paolo: La guerra nelle grandi parole di Gesù.
1916, p. 27 . .... 1 —
106. Tucci Paolo: Il Cristianesimo e la storia (A proposito di Cristianesimo e guèrra). 1917, p. 9 . 0,50
===== II Serio =
12. Pavolini Paolo Emilio: Poesia religiosa polacca, 1919, pagine 8 ...... 0,50
13. Pioli Giovanni: In memoria del P. Pietro Gazzola. 1919, P- *5 ...... 1,50
14. Provenzal Dino: Ascensione eroica. 1919, p. 14. 0,80
15. Rensi Giuseppe: Metafisica c lirica. 1919, p. 15 . . 1 —
16. Falchi Mano: C’è una spiegazione logica delta vita? 1919
p. 8 ....... . 0,40
17. Costa Giovanni : Giove ed Ercole (contributi alio studio della religióne romana nell'impero), cón quattro tavole. 1919, p. 27 . . 2 —
18. (***) Mancanze di garanzìe nello Schema e nel nuovo Codice di diritto canonico e saggio su le fonti. 1920
P- 52..................3 —
19. Delta Seta Ugo: La visione morale della vita in Leonardo. da Vinci. 1919, pa, gine 31 ...... 2 —
20. Lesca Giuseppe: Sensi e pensieri religiosi nella poesia
di Arturo Graf (con due tàvole). 1914-1919, pagine 40
2 —
21. Nazzari Rinaldo: Intelletto e ragione. 1919, p. 15. 1 —
22. Ferretti Gino: Le fedi, le idee e la condotta. 1919, pagine 50..................2 —
107. Vitanza Calogero: Studi Commodianei. Ir. Gli Anticristi e l’Anticristo nel « Carmen apologetici! m » di Com-modiano. II. Commodiano Doceta? 1915. p. 15 . . 0,75
108. Vitanza Calogero: L'eresia di Dante. 1915, pagine 13 ... . . . O,6o
109. Vitanza Calogero: Sàtana nella dottrina delta Redenzione. 1916, p/19 1 —
no. Wigley Raffaele: I metodi della speranza (Psico-. logia religiosa). 1913, pagine 14 . . . . (esaurito)
in. Wigley Raffaele: L’autorità dèi Cristo (Psicologia religiósa). 1915, p. 39 . 1 —
23. Cento Vincenzo : L’Essenza del Modernismo . . 3 —
24, Minocchi Salvatore : Un disingannò della scienza biblica ? (I papiri aramaici di Elefantina). .'..... 1 —
25. Corso Raffaele: La rinascita della superstizione nell’ultima guerra .... 1.50
26. Colonna di Ceserò G. A. : La guerra europea dal punto di vista spirituale . . 1,50
27. Arcari P.: Atteggiamenti della pittura-religiosa-di Eugenio Burnand . . . . 1,50 ¡28. Luzzi G.: A uno studente del sec. XX è egli ancora possibile d’essere cristiano?
1 —
29. Momigliano F.: I momenti del pensiero italiano (dalla scolastica alla rinascenza)
1.50
30. Thompson Fr.: Il veltro del cielo (Versione di M. Praz) 1-50
31. Tucci G.: A proposito dei rapporti fra Cristianesimo e Buddhismo ...... 1,50
32. Mueller V. A. : G. Perez di Valenza O. S. A. vescovo di Chrysopoli e la teologia di Lutero 1,50
33. Troubetzkoi E.: L’utopia bolscevica ed il movimento religioso in Russia. . . 1,50
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali? (Deliberazione dell’Ass. Tip.;Lib. Itat. 1>1V-2O).
The University of Chicago Press - Chicago (Illinois)
ESTRATTO DEL CATALOGO
AVVERTENZA. Le opere qui segnate non si trovano in deposito presso di noie ! gli . acquirenti ricordino quindi che occorre farle venire e tengano contò. delle condi-■' zioni attuali delle, .comunicazioni per rattesa. .- I prezzi: sono in dollari e frazioni* di. i dollaro: per averli, in lire, italiane Occorre tener, .conto dei cambio ed, aggiungervi le spese di posta. - Il catalogo,óriginale viene spedito gratis richiesta. ■ .
FILOSOFIA
The Imagination in Spinoza and I heme. By Willard Clark Gore.. ’ 78 pages, royal 8®, paper,.n.ei doll. 0,35
The Relation of John.Locke to English > Deism. By Samuel G. Hefel-bower. viii-188 pages, 12° cloth . 1 —
The Necessary and the Contingent in the Aristotelian System. By William Arthur Heidel. 46 pages, royal 8®, paper, net .■ . . . . . 0,35
A Study in the Psychology, of Ritualism. By Frederick' Goodrich Henke, viii-96 pages; royal 8®. paper . . ? . . ’..?;, . . .. 1 —
I William Janies and. Henri Bergson.. By Horace M. KalleN. xu-248 pages, 12®, cloth: . .7 .... 1.50
The Psychology of Child Development.
By Irving King, xxn-266 pages, 12®, cloth . . . . . . .... . 1 — | the Significance of the Mathematical
Element in the Philosophy of Plato.. , By Irving Elga? Miller. 96 pages, royal 8®, paper . ; . . . 0,75
| Existence, Meaning', and Reality .in i Locke’s Essay dnd in Present Epi-.
stemology. By Addison W. Moore
26 pages, 4®, paper . . . . . .... 0.25 The Functional versus the Represen- <
tat ion al Theories of Kno.wledege in Locke’s Essay. By Addison W.
j Moore. 68 pages, royal 8® paper . 0,35 The Theory of Education in the " Republic » of Plato. By R.' L. Nettleship. vi-144 pages, small 8®, paper . . . . .... . •. . • 0,50 The Conception of a Kingdom of Ends
in Augustine, Aquinas, and Leib- .. niz. By Ella Harrison Stokes. iv-130 pages, 8®,< paper.........0,75
. The Individual and His Relation-to Society, as Reflected in British Ethics: Part. I. The Individual in Relation to Law and Institutions. 0,35 Part. II. The Individual in Social and Economic Relations. By James Hayden Tufts. 54 pag. and iv-58 pages, royal 8®, paper . . . 0,35
Some Types of Modern Educational Theory, By Ella Flagg Young. ; 70‘pages, 12®, paper . . . . j . 0:125
FILOLOGIA CLASSICA
The Deification of Abstract Ideas in"' Roman Literature and Inscriptions. By. H. L. Axtell. 102 pages, ro. yal 8®, paper .... .... . . . 0,75 Syntax of the Moods and Tenses in
New Testament Greek. By Ernest f D. Burton, xxn-216 ¡pages',--12®, . Cloth7 ,.ii ■: '. . - . I.5O
A Study of the Sepulchral Inscriptions in- Buecheler’s "Cafmina Epigra-ihica Latina ”. By Judson Allen olman, Jr. X7120 pages, .royal 8® paper . . . . . . . . . .... .. .0.7.5
SEMrricA
The Samas Religious Teiits. VVith 20 plates of texts. By Clifton D. Gray. 24 pag., royal 8®, paper doll. 1 00
The Code of Hammurabi, King, of. Babylon. Edited by Robert Fran-1. ¿cis Harper. Second edition, xvi-19? pages, and 103 plates, large 8®, r , .cloth . . . . ......... 4.00
Old Testament and Semitic Studies in
Memory of William Raindy Har-t • ‘per. Edited by Robert Francis’
Harper, Francis Brown, and George Foot Moore. 2 vols., xi-838 pages, royal 8®, cloth........io:oo
The Structure'of the Text of the Book ' of Arnds: By William Rainey Harper. 38 pages, 4®, paper . . . 1.00
The Structure of- the Text of the Book of Hosea. By William Rainey Harper. 52 pages,':4®; paper . . . 1.00
The Utterances of Amos Arranged Strophically. By William Rainey Harper. 20 pages, royal, 8® paper o, 15 I The Book of Esther. Critical Edition of the Hebrew Text. By Paul Haupt. 90 pages, royal 8°, paper .t 1,00 | The Book of Micah. A New Metrical Translation with Restoration of the Hebrew Text. By Paul Haupt.
254 pages, royal 8®, paper . . . . 1,00
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--- VII T—
A rlaxerxes III Ochus and His Reign, ■ with Special Consideration of the Old Testament Sources Bearing upon the Period. By Noah Calvin 111 rschy. wi-86. pages, royal 8®. paper • • • •• • • • • • ■ • • 0-75 Ezra Studies. By Charles C. Torrey.. xvj-346,pages, royal 8®, cloth 1,50
STORIA
The Progress of Hellenism in Alexander’s Empire. By John P. Mahaffy vi-154 pages, 12®, cloth ... . . i.oo
Thp Silver Age of the Greek World. By John P. Mahaffy. vm-482 pages, small 8®, cloth ....... 1,50
Studies Concerning Adrian IV. By Oliver J. Thatcher. 88 pages.
4«, paper . . , . , . . . ... . 1.00 The Wars of Religion in France (1559
-1576). The Huguenots, Catherine de Medici, and Philip II. By James Westfall Thompson, xvr-636 pages; 8®, cloth ...... 5,00
RELIGIONE
The New Orthodoxy. By Edward Scribner Ames', x-128 pages, 16®,
cloth . .......' . - . . ... 1,00 The Elements of Chrysostom’s Power
as a Preacher. By Galusha Anderson. 16 pages, 4®, paper'. . . 0,25
A Handbook of the Life of the Apostle
Paul. By Ernest D. Burton, ioo pages,»i2®,'paper . . . 0,50
A Short Introduction to the Gospels. ■
By Ernest D.- Burton, vm-144 pages. 12®, cloth ... .. . . . . 1,00
Some Principles of Literary Criticism and Their Application to the Synoptic Problem. By* Ernest D. Bur--ton. 72 pages, 4®, paper . t - A . :. i.oo
A Harmony of the Synoptic Gospels in Greek. By Ernest D. Burton and Edgar Goodspeed.. (Im.preparation^ i. . i........3,00
Principles and Ideals for the Sunday
SchooL An Essay in. Religious Pedagogy. By Ernest D. Burton-and Shailer Mathews. vuir2o8 pages, crown 8®, clpth . ..... 1,00
Biblical Ideas of Atonement: Their History and Significance. By Ernest p. Burton, John M. P.
Smith, and.Gerald B. Smith, vhi336 pages, 12®, cloth . . . . ¿.00
The Evolution of Early Christianity.
By Shirley Jackson Case, x-386 pages, 12®, cloth 7 . . . . . . . .2,25
The Historicity of Jesus. By Shirley Jackson CASE.viii-352 pages 12®. cloth , . . ...... 1,50
The Millennial Höbe: A Phase of War-Time Thinking. By Shirley Jackson Case, x-254 pages. 12®, cjoth., . ..........................1,25
Matthew’s Sayings of Jesus. By George D. Castor, x-250 pages, 120, cloth . - . . . . . /j ,1,. . .. 1,25
What is Christianity? By George Cross, x-214 pages, 12®, cloth .. . T,oo
The Gospel in the Light of the Great War. By Ozora S. Davis, vm-220 pages, 12®, cloth ... . . . . .. 1.25
The Child and His Religion. By GeorGe E. Dawson, x-124 pages, 12®, cloth . . . . . . . . . 0,75
The Finality of the Christian Religion.
By George Burman Foster. xvi-518 pages, 8®, cloth . . . . . 2.50 The Function of Death in Human
Experience, By George Burman Foster. 18 pages, 8®, paper . ,. . 0,25 The Function of Religion in Man’s
Struggle for Existence. By George Burman Foster., xn-294 pages, 16®, cloth ... . . . . .' .. . . 1,00
Martin Luther and the Morning Hour in Europe. By Franck W. Gun-saulus. 50 pages, 8®, paper . 0,25
Religion and the Higher Life. By William R. Harper, x-184 pages 12®, cloth-.. . . . ... •. . . . 1,00
The English Reformation and Puritanism, with Other Lectures and Addresses. By Eri B. Hulbert, vi 11-484 pages, 8®, cloth . .... 2,50 j
The Source of " Jerusalem the Golden ”. Together« with Other Pieces Attributed to Bernard of Cluny. By Samuel Macauley Jackson, vm-208 pages. 8®. cloth 1,25
Have We the Likeness of Christi With
16 half - tone illustrations. By Franklin Johnson. 24 .pages, 4®, paper . . ■.■■. ... % . . . . . 0,50
An Introduction to Protestant Dogmatics. By Dr. P. Lôbstein. Translated from the French by Arthur ■ Maxson1 'Smith; xxïi-2761 pages,'''
12®, cloth ? . <'■*. ?•’< . . Î . . 1.50 The Religious Attitude and Life in
Islam. By Duncan Black Mac-;
donald. xviir-318*pages,i 2®, cloth 1.75 Studies in Galilee. By Ernest W.
Gurney Masterman. xvi-154 pages, 8®, cloth. .. . . ... . . 1,00
The Messianic Hope in the New Testament, By Shailer Mathews. xx-338 pages. 8®. cloth ...’.. 2,50
Scientific Management in the Churches; By Shailer Mathews, vi-66 pages, 12®, cloth.................... 0,50
Jerusalem in Bible Times: An Ar-chaelogical Handbook for Travelers and Students. By Lewis Bayles Paton. Illustrated, xn-17° pages, 12®, flexible covers . . 1,00
An Outline of a Bible-School Curriculum., By George W. Pease, xiiSui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Hai. I5-IV-20).
418 pages, 12®. cloth . . . . . .. 1,50 >
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Delibcnizione dell’Am. Tip. Lib. Hai. 15-IV-20).
The Idea of God in Relation to Theology. By Eliphalet Allison Read. 68 pages, royal 8®, paper .. . 0.75
The New Appreciation of the Bible:
A Study of the Spiritual Outcome of Biblical Criticism. By Willard C. Selleck. 424 pages, 12®, cldth . 1,50
The Teaching of Jesus about the Future, According to the Synoptic Gospels. By Henry Burton Sharman, xiv-382 pages, 8°, cloth . . . 3,00 The Sources of Tyndale's Version of the Pentateuch. By John Rothwell Slater. 56 pages, 8°, paper . 0,50
A Guide to the Study of the Christian Religion. Edited'by Gerald Birney Smith, x-760 pages, 8®, cloth 3,00
Books for Old Testament Study. By John Merlin Powis Smith. 70
^js, 8°, paper ........ 0,50 ay of Yahweh. By John M. P.
Smith. 32 pages, royal 8®, . . . . 6,35
The Contest for Liberty of Conscience in England. By Wallace St.
John. 154 pages, royal <», paper . ‘ 0,50
The Christology in the Apostolic Fathers. By Alonzo Rosecrans Stark. xii-60 pages, 8®, paper . . 0,50
Fragments'from Graeco-Jewish Writers. By Wallace Nelson Stearns x-126 pages, 12®, cloth ..... 0,75
Books for New Testament Study. Prepared by Clyde Weber Votaw.
64 pages, royal 8®, paper......0,50
Egoism: A Study in the Social Premises of Religion. By Lours Wallis. xiv- 122 pages, 16®, cloth . . . 1,00
Sociological Study of the Bible’ By Louis. Wallis: xxxv-308 pages, 8®, cloth ....... 1,50
The World-View of the Fourth Gospel. By Thomas Wearing, vi-74 pages, royal, 8®, paper ..... 0,75
Historical and linguistic studies in literature related to the hew testament.
First Series: Texts
Vol. I, Ethiopia Texts. Part 1. The Book of Thekla. By Edgar J. Goodspeed. 36 pages, royal 8®, paper
0.25
Part 2. The Martyrdom of Cyprian and Justa. By Edgar J. Godspeed. 22 pages, royal 8®, paper . 0,25 Vol. II, Greek Gospel Texts in America. By Edgar J. Goodspeed. 196 pages, royal 8®. cloth ...... 1,50 Second Series: Linguistic and Exegetlcal Studies. Vol. I, Part 1. The Virgin Birth. By Allan Hoben. (Out of print.). ‘
Part 2. The Kingdom of God in the Writings of the Fathers. By Henry Martyn Herrick. 118 pages, royal 8®, paper ....... • 0,50
Part 3. The Diatesseron of'Ta-■ ■ ■• tian and the Synoptic Problem. By
A. Augustus Hobson. 82 pages, royal 8®, paper .......- . . 0,50
Part 4. The Infinitive in Polybius Compared with the Infinitive in Biblical Greek. By 'Hamilton Ford Allen. 60 pages, royal 8®, paper . . . . . V . . . . . . 0,5c
Part 5. METANOEQ and METa-MEAE1 in Greek Literature until 100 A. D.. Including Discussion of Their Cognates and of Their Hebrew Equivalents. By Effie Freeman Thompson. 30' pages, royal 8®, paper . . . . . . 0,25
Part 6; A Lexicographical and Historical Study Of A1A6HKH from the Earliest Times to the End of the Classical Period. By Frederick Owen Norton. 72 pages, royal 8®,
paper ........... 0,75 ParKt 7. The Irenaeus Testimony
to the Fourth Gospel. By Frank Grant Lewis. 64 pages, royal 8®, paper ‘. .’ . . ...... . 0,50
Part 8. The Idea of< the Resurrection in.the Ante-Nicene Period. By Calvin Klopp Staudt. .90 pages, royal 8®, paper. . . . . . . ‘. . 0.50 Vol. II, Parti. Outline of New Testament Christology. By John Cowper Granbery. 128 pages, royal 8®, paper . . .. . . . . . ... 0,50
Part 2. The Sources of Luke’s Percan Section. By Dean Rooke-well Wickes. 88 pages, royal 8®, paper . . . . . . 0,50
Part 3. The Legal Terms Common to the Macedonian Greek Inscriptions and the New Testament, with a Complete Index Of. the Macedonian Inscriptions. By William D. Ferguson, iio pages, royal 8®, paper . . . . . . . . . . . . 0,75
Part ,4. The Christology of the Epistle to the Hebrews. By Harris L. MacNbill. 148 pages, royal 8®, paper ... . . . -. ,. . . . . . . 0,75
Part 5. Syntax of the Participle in the Apostolic Fathers. By Henry B. Robison. 46 pages, royal 8®, paper ....... 0,50
Part 6. A Historical Examination of Some Non-Markan Elements in Luke. By Ernest W. Parsons. 80 pages, royal 8®, paper 0,50
Vol. Ill, Spirit, Soul, and Flesh. By Ernest D. Burton.’214 pages, royal 8®, paper .......... 2,00
Vol. IV, Part 1. Qualitative Nouns in the Pauline Epistles and Their Translation in the Revised Version. By A. Wakefield Slaten. vin-70 pages, royal 8®, paper ...... 0,50
(Continud).
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Anno IX - Fasc. VII.
BILYCMNI5
RIVISTA di sTvdi religiosi
EDITA DALL A-FACOLTÀ-DELLASCVOL A Js» ZSÈSSSfikTEOLOGICA - BATTISTA-DI-ROM A
ROMA - LUGLIO 1920
Vol. XVI. i
LA DOTTRINA IDEALISTICA DELLE “ UPANISHAD „
gnu no di noi prima della guerra, per quanto si sforzasse a rinnegare la realtà del mondo circostante, era tuttavia costretto dall'ambiente in mezzo al quale viveva, ad accogliere nell’anima una buona e fòrte dose di materialismo, tanto stabili e reali sembravano gli uomini e le cose di questo móndo. Il riassorbimento in Brahma o il nirv&na buddhistico poteva entusiasmarci come concezione originale d'un grande e intelligentissimo popolo dell’antico Oriente, ma restava sempre per noi qualche cosa
di strano, di fantastico, di ripugnante alla nostra mentalità. Ma oggi, oggi che camminiamo sulle tombe, che siamo avvezzi a veder mietere dalla falce della morte le esistenze che ci sembravano le più salde e sicure e consideriamo noi stessi còme avanzi miracolosamente scampati da un naufragio uni versale,, oggi la vita ci appare in tutta la sua instabilità e possiamo renderci conto della profonda sentenza di Kàlidàsa: « la morte è lo stato normale e la vita lo stato eccezionale delle creature, talché l'essere che riesce a respirare sia pure un sol’momento, può ben dire d'aver fatto un guadagno » (i).
Ma efìmera ai nostri occhi non è diventata soltanto la vita. Abbiamo assistito al crollo d’imperi granitici, al precipizio di edilìzi politici fondati sulle basi che reputavamo le pili salde e cementati dal cemento che consideravamo il più tenace e duraturo. La nostra fede in quello che possono la scienza positiva, il coraggio fisico, la disciplina, il lavoro, è rimasta scossa. Dopo questa immane guèrra i cosiddetti valori imponderabili sono cresciuti, si sono affermati, hanno preso il sopravvento.
(i) Raghuvamfa. canto Vili, v. 86.
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BILYCHNIS
Sentiamo parlare e parliamo noi stessi di errori psicologici che hanno causato il fal-limento della forza superbamente organizzata e dei calcoli più esatti e precisi. La sapienza umana, che si credeva onnipotente, ha dovuto riconoscere che ci sono altre potenze nel mondo, arcane e mistiche, le quali sfuggono segnatamente ai superbi, s’intuiscono appena dagli umili e dai buoni e presiedono agli eventi e al governo del mondo. Chi, chi di noi non tocca oggi con mano che transitoria è la potenza e la gloria in questo mondo? Chi di noi oggi vorrà più veder la meta d’ogni sua aspirazione, d’ogni sua idealità in quella scienza fatta di calcoli e d’esperienze, capace di prostituirsi all’ambizione umana e di delinquere inventando i mezzi più crudelmente raffinati di distruzione, di massacro, di tortura? Che diremo poi di questa ondata di odio di classe che s’è abbattuta sull’umanità, che dell’atroce minaccia che ne incombe di sfasciamento della compagine sociale, che dell’aberrazione di volere invertire i valori sociali, esigere che lo stagno valga più dell'argento, l’ottone dell’oro, il vetro del diamante? Pare davvero di sognare: le cose più certe, stabili, indubitate sembra vogliano uscire dai loro cardini, diventar materia di dubbio e discussione, sovvertirsi. L’instabilità, la precarietà del mondo reale è oggi tale che le anime nostre avide di vero e sitibonde d’eternità, da quello quasi accasciate e nauseate si ritraggono, per cercar rifugio, nella sfera dell’ideale, nei campi sconfinati e sereni del pensiero.
Non credo ci sia una condizione psicologica che più della nostra possa essere favorevole e adatta a capire e pregiare l’idealismo filosofico delle Upanishad. Nè mi si venga a dire che si tratta d’una fase del pensièro ormai superata e che il suo valore può, tutt’al più, essere storico. Il pensiero umano ha nel passato raggiunto certe vette che non saranno mai superate. Eticamente non si potrà mai andar più oltre del Buddha e di Gesù e così pure nello slancio dello spirito verso una verità eterna, nella quale esso compenetrandosi trovi l'affannoso enigma dell’esistenza risolto e la fonte d’ogni letizia, i filosofi delle Upanishad non temono rivali. Piuttosto mi preoccupo d’un altro vero scoglio: come sarà possibile in sole poche pagine condensare tanta materia e riprodurre fedelmente il pensiero dei mirabili veggenti dell’india antica? Molto dovrà necessariamente tacersi, saranno tracciate solo le grandi linee, ma qualunque cosa esporremo avrà il suo richiamo e la sua documentazione nei testi: ciò a prevenire e ad diminare il legittimo ed arguto sospetto che molte volte noi altri indianisti soverchiamente innamorati dei nostri studi facciamo dire agli antichi indiani più di quanto essi abbiano realmente voluto dire, e prestiamo loro idee, ragionamenti e acutezze nostre.
La fase del pensiero speculativo che mette capo alle Upanishad è anteriore al Buddhismo. Dobbiamo dunque risalire a sei secoli avanti Cristo. E per capire quello che le Upanishad hanno di veramente nuovo e vitale, per capire la loro ragion di essere, è necessàrio gettare uno sguardo alle condizioni intellettuali e sociali che immediatamente le precedettero, è necessario cioè lumeggiare quel periodo storico durante il quale fiorisce la letteratura dei Bràhmana, ossia dei libri teològici e liturgici, dell’india antica. Per parecchi secoli un popolo dotato di energie spirituali di primis-
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simo ordine si lasciò persuadere da una casta sacerdotale onnipotente che le pratiche sacrificali e liturgiche ad essa affidate fossero il fulcro sul quale poggiasse non solo il benessere del singolo uomo, ma l’universo intero. Altro di bene pareva non ci fosse fuori della precisa ed esatta esecuzione di questo e queiratto rituale. Ñon. si andrebbe mica molto lontani dalla verità storica se alla domanda; « come passavano il tempo gl’indiani del nono, ottavo, settimo e sesto secolo prima di Cristo? » si rispondesse: « lo passavano assistendo al sacrificio del Soma, a quello del* ?. luna nuova e della luna piena, all’altro delle stagioni, al sacrificio del cavallo o della solenne unzione del re ». Tutti i guadagni di quelli che non erano preti andavano a finire nelle mani dei preti, tutta la scienza consisteva nel prescrivere come dovesse essere costruito e dove, situato l'altare, quante libazioni di burro dovessero farsi e in quali fuochi, su quale specie d’erba e verso quale punto cardinale fosse il sacrificatore tenuto ad assidersi, quali versi dovesse questo e quali quel prete ufficiante recitare, quali fossero le. formole da mormorare e-quali i canti da intonare, e via dicendo. Qualunque grazia dagli dèi si ottiene col sacrificio, qualunque brama si raggiunge col sacrifìcio, e del sacrificio è ministro il prete. Se un re vuol prospero il suo regno, se un privato desidera promuovere il bene della sua famiglia, entrambi debbono largire al prete che possiede la magica potenza di far piegare gli dei alla sua volontà, che è lui veramente il solo e vero dio. Guai a farsi nemico un brahmano! Questi per vendicarsi avrà soltanto da compiere erroneamente un atto del sacrificio, e l'avversario andrà in malora. Una teocrazia più spaventovole e tenebrosa è difficile immaginare, una religione che maggiormente si dissoci dalla morale e si riduca ad un meccanismo liturgico nell'interesse esclusivo d'una casta è forse impossibile trovare nella storia. Gli indiani nel periodo dei Bràhmana erano come affondati fino al mento in un pantano di superstizioni; e con sgomento e pietà pensiamo à quelle generazioni vittime del sentimento più nobile che la natura ha piantato nel cuore dell'uomo, intendo dire del sentimento religioso, del bisogno metafìsico, secondo lo chiama Schopenhauer, e che pure traviato tantum potuti suadere malorum. È malinconico e fa quasi ira e dispetto veder quella enorme mole di scritti liturgici star lì a documentare la morte intellettuale e morale, durata per secoli, d’uno dei popoli più intelligenti del globo; quella meravigliosa lingua sanscrita diventare strumento per un simboleggiare da forsennati, un etimologizzare da dementi; perchè delle identificazioni, dei simbolismi e delle etimologie più bizzarre erano ghiotti quei malaugurati brahmani.
Come fare ad uscire da quell’ ambiente paludoso e caliginoso? Noi oggi soffriamo della soverchia instabilità delle cose, soffriamo, e siamo spaventati dalla precipitazione degli eventi ai quali quasi non possiamo più tener dietro. Vediamo sotto i nostri occhi compiersi in pochi anni, in pochi mesi, in poche settimane la storia che comodamente si potrebbe distribuire in parecchi secoli. Ci domandiamo: dove s’andrà a finire? Gridiamo: per carità, più piano! Gli eventi ci soverchiano, ci trascinano, e nessun grande uomo in tutto il mondo è riuscito o riesce, se non a dominarli, alméno a disciplinarli, a incanalarli. Sgomenti cerchiamo nel pensiero un rifugio, qualche cosa di certo, di stabile, di vero, che la realtà sembra negarci.
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Gl'indiani di quel tempo cercarono anch’essi rifugio nel pensiero, non già perchè fossero come noi atterriti dalla corsa vertiginosa degli avvenimenti storici, ma perchè anzi non creavano storia e si sentivano diventare come acque stagnanti.
D’onde partì la scintilla per richiamare alla vita rigogliosa e audace del pensiero quel popolo malamente assopito nel morboso letargo della superstizione? E con quali mezzi la mente ridesta di quel popolo affrontò i formidabili problemi dell’essere e del divenire, della vita e della morte?
In antichissime traduzioni e leggende sentiamo ancora risuonare l’eco di conflitti e d'un profondo antagonismo tra la casta dei brahmani e quella militare degli ksatriya. Uno dei racconti epici più famosi è quello che ci narra gli sforzi di austerità compiuti dal re Vifvfanitra per togliere al brahmano Vasishlha la miracolosa vacca largitrice d'ogni bene. Tale leggenda parlò alla fantasia di Heine il quale nell'epigramma famoso così cantò:
Den König Wiswamitra
Den treibt’s Ohne Rast und Ruh’.
Er will durch Kampf und Büssung Erwerben Wasischtas Kuh.
O, König Wifvamitra,
O, .welch ein Ochs bist du,
Dass du so viel kämpfest und büssest.
Und alles für eine Kuh! (t)
(Die Heimkehr. 45).
In sànscrito abbiamo da una parte la parola irahmarshi che designa un santo, un veggente appartenente alla casta dei brahmani; dall’altra parte c’è il vocabolo r&jarshi che significa un santo, un veggente della casta militare. Le prove abbondano per documentare che accanto ad un pensiero clericale e teocratico si affermò nell’india antica un pensiero laico e rivoluzionario. E a tale pensierolaico toccò appunto il compito di far giustizia sommaria della liturgia tirannica ed esosa con la quale i brahmani erano riusciti durante dei secoli a soffocare le migliòri energie spirituali del loro paese.
Nella Chàndogyopanishad (V, n-24) si narra che sei dotti brahmani vennero iniziati nei misteri della vera sapienza dal re A^vapati Kaikeya. Nè questo fatto singolare, di vedere cioè dei brahmani trasformati da maestri in discepoli di fronte ad un guerriero, ricorre una volta sola. Nella Brhadàranyakopanishad (II, 1) è la volta, del re Ajàtaoatru che vince in dottrina un famoso brahmano e lo costringe a riconoscere che dei due il re è il maestro e il brahmano lo scolaro. E così pure nella Chàndogyopanishad VII, I, 3 il dio della guerra Sanatkumàra dice al saggio brahmano Nàrada: « tutto quello che tu hai studiato è soltanto nome », e gli rivela quindi l'arcana dottrina capace d'emancipare l’uomo dal dolore. Non vogliamo certo escludere che dei brahmani intelligenti abbiano essi stessi promosso e incoraggiato le nuove teo(1) Il re Vi^vàmitra è incalzato senza posa e interruzione, perchè egli vuole lottando e macerandosi acquistare la vacca di Vasishtha. Oh, re Vicvàmitra, oh, che bue sei tu che tanto lotti e ti maceri per nient’altro che per una vacca.
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rie filosofiche; vogliamo soltanto affermare che queste ultime si fecero strada in un ambiente làico e profondamente diverso da quello in cui tutta la scienza si accentrava nella pratica sacrificale.
Ma con quali mezzi s'accinsero i nuovi filosofi a speculare? Cercarono essi forse nell'osservazione del mondo esterno la chiave dell’enigma? Catalogarono forse sistematicamente come sogliamo fare noi i fenomeni cosmologici, fisici, psicologici ecc.? La loro speculazione potè fondarsi, come la nostra, sulle scienze esatte e positive.? Che cosa erano a quel tempo le Matematiche, la Fisica, la Chimica, la Geologia e via dicendo?
Il sussidio delle scienze positive era presso che nulla, e, anche fosse stato possibile, non avrebbe fatto pro; anzi, sarebbe stato d’impaccio all’audace pensatore. Il metodo di quella giovane speculazione ci viene rivelato in modo mirabile dalla prima strofa del secondo capitolo della Kathopanishad:
« L’Ente increato aprì (nel corpo umano tutti) i fori (in modo che fossero) rivolti verso l’esterno; perciò (l’uomo) guarda all’infuori non già dentro sè stesso: solo qualche saggio, desiderando l’immortalità, e rivoltando l'occhio mirò dall’altra parte l’intimo del suo essere».
Il commento a questa sentenza è assai ovvio: la Natura ha creato i nostri organi sensòri perchè percepissero il mondo esterno; perciò rocchio non è fatto per guardare dentro al nostro corpo ma fuori nell’ambiente, che ci circonda, la cavità dell’orecchio è aperta all'esterno non già all’interno, le narici s’aprono alla base del naso il quale si protende fuori non già dentro di noi, e via dicendo. Sicché, il primo passo da fare è di opporsi a quel che la Natura esigerebbe, è di costringere i nostri organi del senso a rivolgersi verso l’interno, è di tramutare la osservazione in introspezione. Per la introspezione non occórrono biblioteche o laboratori, telescopi microscopi o lambicchi; per là introspezióne è necessaria la serenità dell'anima, l’assenza assoluta d’ogni passione, la solitudine, e soprattutto la disponibilità illimitata del tempo, Yotium ciceroniano.
Un tal programma lascia di botto intravvedere il baratro che separa quell'antica speculazione indiana dalla nostra. In mezzo a noi di continuo assillati dalla mancanza di tempo, febbrilmente incalzati da .questo e quel dovere; in mezzo a noi un filosofo indiano di quei tempi si sentirebbe disperato, come del pari disperato si sente uno scienziato tedesco costretto a tener dietro alle meditazioni d’un antico filosofo indiano. Non saprei citare a tal proposito nulla di più caratteristico delle parole che l’insigne professore Oldenberg ha scritto nella sua opera Die Lehre der Upanishaden und die Anfänge des Buddhismus (i) a pag. 179:
« (Nella prosa delle Upanishad) non si sa che cosa voglia dire raffrettarsi per amore dei lettori e degli uditori, non si conosce l'impazienza di stimolare l’inesorabile lentezza del procedere. Nelle scuole brahmaniche e nelle capanne silvestri illimitato è il tèmpo di cui l’uomo può disporre».
(x) Stampato a Göttingen, Vandenhoeck e Ruprecht, 19x5.
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Nè il dotto professore tedesco parla per invidia, ma è semplicemente scando-lezzato dello sciupio di tempo di cui vede rendersi colpevoli i filosofi delle Upanishad. Eppure non c'è, non può esserci filosofia senza questa dissipazione di tempo. Noi che non abbiamo più tempo per meditare, cerchiamo almeno di conoscere i risultati delle meditazioni diventate impossibili per noi. È qui appunto tutto l’interesse che in noi desta la filosofia indiana; si tratta cioè d’un frutto che il nostro suolo non può produrre. ■
Il risultato più cospicuo della introspezione fu quelle di scoprire in ogni singolo uomo l’universo in miniatura, il microcosmo. L’occhio non è soltanto per immagine il sóle del nostro corpo, ma in realtà quel che nel creato è il sole, è rocchio nel nostro corpo. Dicasi io stesso del fiato, del respiro, eh* in piccolo è il vento; del sangue, della linfa e del seme, che in piccolo sono l’acqua; della carne e dèlie ossa che in pie* colo sono la terra; dei peli, che in piccolo sono l’erba, dei capelli, che in piccolo sono gli alberi (i). L’universo l’abbiamo a portata di mano, è in noi integralmente; e la psicologia è la regina delle scienze. Invero, non soltanto etere, aria, fuoco acqua e terra sono comuni all’universo e a noi, ma se noi viviamo sentiamo, pensiamo anche l'universo deve vivere, sentire, pensare. Tutto è dunque di conoscere che cosa sono i nostri sensi, i nostri pensieri, se c’è o non c’è ih noi un'anima, e il mistero resterà svelato. L’idea madre delle Upanishad è in questa perfetta corrispondenza tra l’io e il mondo, anzi in questa identificazione dell’io e del mondo, intorno a siffatta idea madre s’andarono via via raggruppando poche altre idee; ma e l'una e le altre vennero, per così dire, distillate, esaurite fino all'ultima goccia della loro essenza. E anche a questo punto è impossibile non segnalare una profonda differenza tra la speculazione indiana e la nostra. Il sapere può essere più esteso o più intenso. La mole di fatti e di nozioni che accogliamo noi altri nel nostro cervello è addirittura enorme; ma siamo poi sicuri che da ognuno di quei fatti e di quelle nozioni abbiamo tratto tutto il ’ rendimento di cui è capace? Tornare due sole volte o cento volte sulla stessa cosa non muta-forse il grado di conoscenza che di questa abbiamo? Orbene, quegli indiani antichi ave/ano poche idee nella testa, ma le elaborarono in un modo che noi non ci sognarne nemmeno. Per esempio, noi si sorvola su questa corrispondenza che realmente c'è tra il nostro piccolo io e l’universo infinito, ma il filosofo indiano non la perde più di vista e ci fonda su un intero sistema di filosofia. Certo non ogni idea che altri esaurisca in tutto il suo contenuto può dirsi egualmente remunerativa. Anche fra le idee bisogna distinguere le fertili dalle sterili. È ad ogni modo un fatto che gl’indiani provarono essere fertilissima l'idea, che da noi è rimasta sterile, dell’identità dell’uomo e del mondo. Essa assurge al grado di verità inconcussa, di dogma, sicché, per esempio, un fenomeno fisiologico o psicologico serve a chiarire, commentare e confermare un fenomeno cosmologico e viceversa.
Così nella Ch&ndogyopanishad (VI, 2, 1-4) leggiamo:
«In principio tutto questo mondo esisteva ed era un ente solo senza un secondo. Alcuni tuttavia dicono che non esisteva e che dal non essere si sia originato l'essere.
(1) Bvhadàranyàkopanishad, III, 2, 13.
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Ma come poteva mai essere ciò? Come dal non essere era mai possibile si originasse l'essere? Dunque in principio tutto questo mondo esisteva ed era un ente solo senza un secondo. E .pensò: « voglio differenziarmi, riprodurmi », e creò il fuoco. Il fuoco pensò: «voglio differenziarmi, riprodurmi», e creò le acque. Perciò quando l’uomo arde di dolore o per fatica piange o suda. Le acque pensarono: « vogliamo differenziarci, riprodurci » e crearono il cibo. Perciò dopo la pioggia crescono rigogliose le biade, perchè dalle acque sorge il cibo che mangiamo ».
In questo mito cosmogonico è evidente che nella evoluzione degli elementi il fuoco è fatto nascere prima delle acque sólo perchè c'è il fatto fisiologico che l'umore delle lagrime e quello del sudore seguono non precedono l’ardore psichico o il riscaldamento dell'organismo. Il cibo è creazione delle acque solo perchè dopo la pioggia spunta l’erba. Fenomeni dunque fisiologici, psicologici, fisici s’invocano a sostegno d'una teoria cosmogonica.
In un altro mito tramandatoci nella Brhadàranyakopanishad (I, 4, 1-3) leggiamo:
« In principio questo mondo era soltanto Spirito in forma di un maschio. Egli si guardò intorno e non vide altro fuori di sè. Allora gridò primamente: « sono io » e così sorse la parola io. Perciò anche oggi, se uno si sente chiamare, dice primamente: « sono io » e poi pronunzia l'altro nome che lo contraddistingue...
Allora Egli ebbe paura, e perciò si ha paura quando si è soli...
' Ed Egli non provava nemmeno nessuna gioia, é perciò non si prova nessuna gioia, quando si è soli. Allora bramò un secondo. Egli aveva la dimensione d’una donna e d’un uomo insieme abbracciati. Allora spaccò in due parti sè stesso; e sorsero da una parte il marito, dall'altra la moglie; perciò il marito e la moglie sono ciascuno soltanto una metà... Egli s’accoppiò con lei e s’originò il genere umano ».
Spalanchiamo gli occhi di maraviglia nel vedere dei fatti psicologici insignificanti, come quello di aver paura quando si è soli e di non provar nessun piacere quando non si è in compagnia, di vederli, dico, invocati ad inferire e a testimoniare i primi atti dell’Essere supremo quando in principio creò il mondo. Sono assurdità, ■dirà taluno, e abbiamo da fare con una speculazione bambina che muove i primi passi. Ne convengo, ma mi si conceda almeno che si tratta di bambini intelligenti. E ehi non sa quanto è delizióso intrattenersi coi bambini intelligenti e quanto più s’impara da loro che non dai vecchi pedanti e scimuniti ? Ad ogni modo il principio di far che tutte le scienze convergano a squarciare il mistero dell’essere è già a base di questa giovane speculazione. Tra le scienze non ci sono barriere e dev’essere consentita e incoraggiata la massima audacia nel 1 avvicinare i fenomeni apparentemente più lontani. Col calcolo esatto, con l’esperimento; in una parola, con la nostra disciplina scientifica è impossibile intuire ciò che è trascendente. A mali estremi rimedi estremi, all’estrema tenebra del mistero l'estrema audacia del pensiero.
Ma continuiamo ad enumerare i risultati della introspezione. Questo nostro organismo, secondo la Brhaddranyakopanishad (IV, 4, 5) risulta dei cinque elementi di cui è composta anche la materia cosmica, cioè di terra, acqua, fuoco, aria ed etere.
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La Ch&ndogyopanishad (VI, 5,1 e segg.) prende in considerazione soltanto tre elementi: terra, acqua e fuoco. Questi tre elementi reggono l’organismo in .quanto si rinnovano di continuo mediante la nutrizione. Tutto questo mondo, dice la Brhad&ranyakop. (I, 4, 6), non è altro se non del cibo e chi mangia cibo. Orbene, il cibo ingerito si divide in una parte massiccia che viene espulsa sotto la forma di fecce, in una parte mediana che si trasforma in carne, in una parte attenuata e sottile che dà origine ai fenomeni psichici. Del pari l’acqua ingerita, nella sua parte grossolana si espelle sotto forma di urina, nella sua parte mediana diventa sangue, nella sua parte attenuata e sottile si trasforma in respiro. Finalmente il calore ingerito forma nella sua parte grossolana le ossa, nella sua parte media il midollo, nella sua parte attenuata e sottile la parola.
Se si vuole una prova che i fenòmeni psichici dipendono dal cibo e il respiro dall'acqua, bisogna astenersi dal cibo e bere soltanto acqua. In tal caso si continuerà a respirare, cioè a vivere, ma la memoria sparirà (Ch&nàogyopanishad, VI, 7).
E che cosa sono mai i fenomeni della fame e della sete? L’aver fame dipende dal fatto che l’acqua che è a sostegno del nostro organismo ha.consumato il cibo ingerito, mentre l’aver sete dipende dal fatto che il calore, che è a sostegno del nostro organismo, ha consumato l’acqua ingerita. Questo concetto che il cibo diventi acqua, e l’acqua calore, ricorre, come vedemmo, nella evoluzione cosmica degli elementi. E difatti abbiamo già citato il passo VI, 2 della Chàndogyopanishad nel quale è detto: « L’Ente Supremo pensò: « voglio differenziarmi, riprodurmi », e creò il fuoco. Il fuoco pensò: « voglio differenziarmi, riprodurmi », e creò le acque. Perciò quando l’uomo arde di dolore 0 per fatica piange o suda. Le acque pensarono: « vogliamo differenziarci .riprodurci » e crearono il cibo. Perciò dopo la pioggia crescono rigogliose le biade, perchè dalle acque sorge il cibo che mangiamo». Adunque, quando nella fame e nella sete il cibo diventa acqua, e l’acqua diventa calore, cibo ed acqua non fanno che tornare alla matrice dalla quale si originarono.
A questo punto, alcuno potrà dire: « voi parlate di una dottrina idealistica delle Upanishad, ma in realtà a me pare che ci troviamo di fronte a una teoria profondamente materialistica, in quanto che tutto si riduce a un movimento meccanico, a una trasformazione degli elementi; e perfino i fenomeni psichici sono fatti dipendere dal cibo ingerito nell'organismo. Dov’è dunque l’idealismo di cui parlate? »
Torniamo alla introspezione. Questa scorge che il lavorio degli elementi, che tutti i fenomeni fisiologici e psichici fanno capo a uri principio vitale, ad una energia arcana che sfugge non pure ai sensi, ma alla maggiore acutezza mentale. Questa energia arcana, dice la Kàthopanishàd (I, 2, 23) non può scoprirsi mediante un insegnamento, nè per mezzo di acume mentale o di molta dottrina. Soltanto quegli cui essa elegge può intuirla, a lui solo essa squaderna l’esser suo. Chi sarà dunque il fortunato mortale degno di tanta rivelazione, di tanta grazia?
« Non pensi », continua la Kathop., « di poter essere vasello dell’ambita illuminazione chi non cessa dal far male, chi non è riuscito a spegnere il fuoco delle passioni, chi non è capace di raccogliere la mente, chi non ha raggiunto il pieno dominio dei sensi».
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Vediamo qui delinearsi una delle caratteristiche più nobili della massima parte dei sistemi di filosofia indiana. A base della fortunata speculazione ci dev'essere sempre il fattore morale. La condizione sine qua non dell’indagine speculativa è che chi la imprende abbia l'anima immacolata, i sensi emancipati dagli stimoli e dalle lusinghe del mondo esterno, il cuore mondo d’ogni passione, la mente raccolta. In tal guisa vengono scacciati dal tempio i profani, e ognuno facendo il suo esame di coscienza saprà se può o non può cimentarsi a salire così sublime. Chi disserra in ultima analisi le porte del mistero è l’Etica, e più tardi l’Etica diventerà tutto nel Buddhismo. Il carattere moralmente aristocratico della dottrina upani-shadica è ormai assicurato. Ad essa sono indegni di avvicinarsi malvagi e ambiziosi, gaudenti e mondani. Essa parlerà solo alle menti degli onesti e dei buoni che amano e sanno pensare e meditare.
Che cosa dunque ci dicono questi veggenti, questi santi dell'india antica intorno all'alma forza vitale che in noi si nasconde come il fuoco nel legno, conosciuta la quale resta rivelato Dio e trovano la soluzione tutti i problemi della vita e della morte?
Qvetaketu era figlio di Uddàlaka Aruni e per consiglio del padre andò a studiare scienza sacra presso i brahmani. Dopo dodici anni tornò dal genitore credendosi dotto e pieno di superbia. Il padre allora gli domandò: « 0 Qvetaketu, ti è stato impartito anche l'insegnamento in virtù del quale tutto ciò che non è stato ancora nè udito; nè capito, nè conosciuto, diventa udito, capito e conosciuto? »
E al figlio che confessa d’ignorare un tale insegnamento Uddàlaka Aruni dice : « Così come basta conoscere un pezzo d'argilla per conoscere tutto ciò che è fatto d’argilla, così come basta conoscere un bottone di rame per conóscere tutto ciò che è fatto di rame, così come basta conoscere una forbice per conoscere tutto ciò che è fatto di ferro, del pari, o mio diletto, è l’insegnamento al quale voglio accennare. In tutte le cose fatte o d'argilla, o di rame, o di ferro quel che c’è di reale è l’argilla, il rame, il ferro; ogni differenziazione è soltanto nome, è soltanto forma (i). Nomi e forme soltanto variano nell’universo, ma la sostanza che lo pervade è una sola, è VAtonan. Conosciuto questo in noi lo conosciamo nell’universo intero, così come conosciuto un sólo bottone di rame conosciamo tutto ciò che è fatto di rame».
L’Atman, lo spirito vitale appare come frantumato nel nostro organismo, e perciò appunto è difficile a scoprirsi. In quanto respira, si chiama fiato, in quanto parla si chiama paróla, occhio in quanto vede, orecchio in quanto òde, intelletto in quanto capisce; ma questi non sono che nomi dei suoi effetti. Non è saggio chi venera uno solo di questi ultimi; chè soltanto parzialmente lo spirito vitale dimora nell’uno o nell'altro di essi. Bisogna venerare l’.4/w4n nella sua totalità, perchè neWAtman si unificano tutti quegli effetti.
E VAtman che è in noi deve essere l’orma a scoprire l’universo, perchè in lui si ravvisa l'intero universo. Come a mezzo dell’orma si rintraccia un capo di bestiame
(i) Cfiàndogyof»., VI, 1-5.
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smarrito, del pari mediante X’Atman che è in noi si conosce l’universo. Perciò XAtman è più caro di un figlio, più caro di qualunque ricchezza, di qualunque altra cosa, perchè è l'intimo del nostro essere, è la nostra anima (i).
È impossibile immaginale un linguaggio religioso più suggestivo, alato, poetico, magniloquente di quello creato dai vati delle Upanishad a celebrare l’ineffabile trascendenza dell'Aiwan. Anche se noi restiamo increduli e dubitiamo dell’alma forza animatrice del mondo alla quale sciolgono inni di così fervida fede i santi indiani, siamo tuttavia trascinati dalla sincerità della loro prepotente eloquenza, dalla bellezza e grandiosità delle loro immagini, dal caldo entusiasmo che si sprigiona da ogni loro,« parola. Non si conosce prosa poetica più grandiosa, ritmica, inspirata. Faccio seguire alcuni esempi. « L’Atman è ciò che i saggi chiamano l’indefettibile; esso non è nè grosso nè sottile, nè corto, nè lungo, nè rosso come il fuoco, nè attaccaticelo come l’acqua, non proietta ombra nè è oscuro, non è nè vento nè etere, non si appiccica come la lacca; è senza gusto, senza odore, non ha nè occhi, nè orécchie, nè parola, nè mente, nè vita animale, nè fiato, non ha bocca, non ha misura, nè parte interna, nè parte esterna, non mangia nulla nè è mangiato da chicchessia. Al suo comando stanno separati e distinti il sole e la luna; pel comando di Lui indefettibile stanno separati e distinti il cielo e la terra, i minuti e le ore, i giorni e le notti, le quindicine e i mesi, le stagioni e gli anni; pel comando di Lui indefettibile scorrono dai monti candidi di neve le fiumane, alcune verso oriente, altre verso l’occaso o altro punto cardinale; pel comando di Lui indefettibile si lodano i largitori, gli dèi anelano l’oblatore e i Mani l’offerta funeraria » (2).
« Egli l'indefettibile vede non veduto, ode non udito, comprende non compreso, conosce non conosciuto » (3).
La definizione dell'A tman è un no come risposta a chiunque ne proponga una definizione. No, no è la sua sola possibile definizione. Egli si chiama la realtà della realtà; gli spiriti vitali invero sono la realtà e di questi Egli è la realtà » (4).
L’4fwwn che risiede nell’intimo del nostro cuore è più piccolo d’un chicco di riso o d’un granello d’orzo, o di mostarda o di miglio, o d’un granello di granello di miglio.
L’/Uomm che risiede nell’intimo del nostro cuòre è più grande della terra, più grande dell’atmosfera* più grande del cielo, più grande di tutti questi mondi (5).
Da Lui sorge il sole, in Lui tramonta, è Lui il sostegno degli dèi, nessuno Lo supera. È fiamma scevra di fumo, signore del passato e del futuro, esiste oggi, esisterà domani. Dove è Lui non splende nè il sole, nè la luna, nè le stelle, nè i lampi e tanto meno fuoco terrestre. Lui solo splende, e ogni altra cosa splende del suo splendore; sì, lo splendore dell’universo è solo un riflesso del suo splendore (6).
(1) Brhadàranyakop., I, 4, 7, 8.
(2) Brhadàranyakop., Ili, 8, 8-9.
(3) Ibidem, 11.
(4) Brhadàranyakop., II, 3, 6.
(5) Chànd., Ili, 14, 3.
(6) Kathop., Il, IV valli, 9, 13; Vv., 15.
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LA DOTTRINA IDEALISTICA DELLE «UPANISHAD»
II
Le api formano il miele estraendo il succo da questo e da quel fiore ed unificando le varie essenze. Queste varie essenze diventate miele non serbano più nessuna caratteristica della particolare pianta da cui ciascuna di esse proviene; del pari le creature, ricongiungendosi con l’^wwn, non hanno più coscienza della loro individualità.
Se s’incide un grosso àlbero alla radice, gocciola di linfa perchè, vive; se s’incide nel mezzo gocciola di linfa perchè vive, se s’incide nella cima gócciola di linfa perchè vive: tutto pervaso di Atonan vitale s’erge rigoglioso e giocondo l’albero. Ma se IM/man abbandona un ramo, questo allora si dissecca; se abbandona un secondo ramo, questo si dissecca: se abbandona un terzo ramo, questo si dissecca; se abbandona l'intero albero, l’intero albero si dissecca. Del pari muore questo nostro corpo quando la vita lo abbandona, ma non è già che muoia la, vita. L’universo risulta appunto di questo sottile principio vitale che è l'unica realtà, che è l’anima nostra, che è l'io (i).
E torniamo per l'ultima vòlta alla introspezione. Abbiamo visto quali tesori di meditazione racchiudano per i filosofi delle Upanishad i fenomeni sui quali noi non meditiamo mai e che pure sono tanto misteriosi: intendo dire quelli della nutrizione e della distribuzione del cibo nell’organismo, quelli della fame e della sete, del riscaldarsi e del sudare. Alle cose che a noi sembrano le più banali chiedono gl’indiani la chiave del mistero cosmico. E di un altro fenomeno fisiologico essi indagano la radice e cercano d’interpretare il significato: del sonno c:oè, e delle sue modalità.
Lo spirito vitale, YAtman, incorporandosi si manifesta nello spazio attraverso le funzioni degli organi del nostro corpo cui Egli pervade fino alla punta delle unghie. Così incorporato passa poi nel tempo attraverso tre stati in ciascuno dei quali lascia sempre più a divedere la propria natura metafisica. Questi tre stati sono: la veglia, il sogno, il sonno profondo (2)e
Durante la veglia l’^/wan percepisce gli oggetti del mondo esterno e passa il tempo a fornire opere e a godersi i piaceri dei sensi. Egli è simile ad un uccello che legato mediante un filo ad un bastone va volando qua e là in cerca d'un sostegno che non trova mai. Nello stato di veglia il mondo esterno è lo stesso e quindi comune a tutte le coscienze individuali. Se non che le percezioni che si hanno nella veglia, al pari delle visioni che appaiono nel sogno, non sussistono che nella coscienza di chi veglia. Sicché stretta è la parentela tra veglia e sogno, in quanto che e nell'ima e nell’altro si riflette in noi un mondo molteplice che è una mera illusione, un inganno, ed è reale solo ed esclusivamente nella nostra coscienza. Come la realtà del sogno dilegua e resta confutata appena noi ci destiamo, del pari la realtà della veglia dilegua appena noi si comincia a sognare.
VAtman nello stato di veglia è l’uccello che vola qua e là vanamente cercando un punto d'appoggio. Non trovandolo ritorna giù a posarsi sul bastone cui è legato.
(x) ChAnd. VI, 9, i, 2; 11, 1, 2, 3.
(2) Deussen, Allgemeine Geschichte der Philosophie, Erster Band,. Zwcite Abtei-lung, pag. 267 sgg.
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VAtonan cioè dallo stato di veglia passa a quello di sonno. «Quando Egli s'addormenta,. allora prendendo il materiale dà costruzione da questo mondo che ogni cosa contiene, taglia Egli stesso il legno e_ costruisce in virtù dèi suo proprio splendore, della sua propria luce. Quando Egli dorme così, allora questo Spirito diventa luce a sè stesso. Allora non ci sono più carri, gioghi e strade, ma i carri, i gioghi e le strade lo Spirito li crea a sè stesso; allora non ci sono più pozzi, stagni e fiumi, ma i pozzi, gli stagni e i fiumi lo Spirito li crea a sè stesso; perchè Egli è il creatore » (i).
« Quando e sole e luna sono tramontati, quando spento è ogni fuoco, ogni voce, che cosa fa luce all'uomo? Lo Spirito fa luce all'uomo, perchè al lume del suo spirito egli si siede, cammina, opera, torna a casa» (t).
Gessato il sogno subentra il sonno profondo che così ci viene descritto dalla Brhadàranyakopanishad IV, 3, 19-33:
« Come lassù nell'atmosfera un falco o un'aquila, dopo avere svolazzato qua e là stanco piega le ali e va a rannicchiarsi nel nido, del pari l’anima nostra s'affretta a entrare in quello stato nel quale profondamente addormentata non ha più nessuna brama, non vede più nessun sogno. Come un uomo abbracciato dalla donna amata non ha più coscienza nè del mondo esterno, nè dell'interno, così pure l’anima nostra rientrata in sè stessa e divenuta pura conoscenza non è più cosciente nè del mondo esterno, nè dell’interno. Ogni brama resta allora appagata, l’anima anzi diventa brama di sè stessa e ogni altro desiderio, ogni altra cura sparisce. Cessa allora il padre d'essere padre, d'essere madre la madre, cessan d’essere mondi i mondi, d'essere dèi gli dèi, d'essere Veda i Veda, d’essere ladro il ladro, ecc.; allora non tange più nè il bene, nè il male, perchè l'uomo ha superato tutte le angosce del cuore. Sebbene non veda, tuttavia vede, perchè lo Spirito indefettibile vede senza interruzione, solo che non essendoci altro fuori di Lui e diverso da Lui, Egli non può veder che sè stesso».
Orbene, questa condizione di puro soggetto del conoscere raggiunta dalla nostra anima nel sonno profendo è precisamente quella che si verifica dopo la morte. La perdita della coscienza ci sgomenta, eppure noi non conosciamo delizia maggiore dell'amplesso della donna amata, il quale appunto annienta la coscienza di ciò che succede e fuori e dentro di noi. L'idea di perdere la coscienza ci fa tremare, eppure noi quando diciamo d’aver dormito profondamente, d'aver cioè perduto ogni coscienza, accenniamo a un fatto d’una dolcezza ineffabile. Chi non sa scrutare il mistero del sonno profondo è come chi di continuo cammini sopra un tesoro nascosto senza mai averne sentore.
Vero è che nelle Upanishad seriori e nel sistema filosòfico dello Yoga si parla d'un quarto stato dell'anima che supera in delizia il sonno profondò. Questo quarto Stato è l'estasi del santo e differisce dal sonno profondo in quanto che in quest'ul(1) Brhadàr. IV, 3, 9-10.
(z) Ibidem, IV, 3, 6.
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LA DOTTRINA IDEALISTICA DELLE « UPANISHAD • ìj
timo la cessazione del mondo fenomenico e la unificazione in Brahma costituiscono una delizia della quale non si ha coscienza mentre durano e sólo se ne ha un vago ricordo quando ci svegliamo, mentre nell'estasi siamo coscienti di quella delizia per tutto il tempo che essa si protrae. Ma scarsezza di spazio non mi consente di addentrarmi in un nuovo argomento, anzi mi tocca concludere. Da quel poco che ho potuto dire risulta evidente quale e quanto peso gl’indiani dessero agli studi psicologici. I moderni cultori di tali studi riconoscono unanimi la profondità e genialità delle intuizioni di questi antichi filosofi indiani dei quali ignoriamo perfino i nomi; ed io mi terrò pago se, con la breve esposizione che son venuto facendo di alcune poche delle loro idee', avrò destato in qualcuno la curiosità e il desiderio di procacciarsi una notizia più completa della dottrina delle Upanishad. Non è certo una impresa facile. Per leggere i testi originali bisogna diventare sanscritisti, e per diventare sanscritisti occorre molto tempo, molto lavoro, molto sforzo.- Vero è che ci sono delle traduzioni, ma chi non è un po’ addentro al mondo indiano resta disorientato dalla enorme scoria di simbolismo con la quale i brahmani hanno quasi soffocato le idee veramente vitali delle Upanishad, pur di mantenere in onore il sacrificio. È un vero miracolo se Arturo Schopenhauer riuscì a penetrare nel significato della mistica dottrina indiana attraverso la difettosa traduzione latina di Anquetil Duperron condotta alla sua volta sopra una traduzione persiana. « Sullo scrittoio di Arturo Schopenhauer il volume dell’Oupnek’hat era costantemente aperto ed in esso il grande filosofo compiva le sue devozioni tutte le sere prima d’andare a letto. « Questo libro », egli scrive, « è la lettura più remunerativa ed edificante che sia possibile al mondo; esso è Stato la consolazione della mia vita e sarà quella della mia morte ». « La dottrina delle Upanishad », egli aggiunge, « è stata in tutti i tempi zimbello degli stolti e oggetto di continua meditazione da parte dei. sapienti; la dottrina, cioè, che la molteplicità è soltanto apparente e che in tutti gl’individui, quale che sia il numero enorme nel quale appaiono sulla scena del mondo contemporaneamente e successivamente, si manifesta un solo Essere veramente reale in essi sempre presente e identico» (i).
Ma non tutti sono degli Schopenhauer, e voler conoscere"le Upanishad attraverso la versione latina del Duperron significa volere sprecare tempo e fatica.
Fortunatamente oggi possediamo i monumentali lavori di Paul Deussen che io mi onoro di avere avuto a Maestro e che la morte ha nello scorso luglio rapito alla scienza per sacrarlo all’immortalità. Segnatamente la seconda parte del primo volume della AUgemeine Geschichie dcr Philosophie espone in maniera sistematica e con mirabile precisione e chiarezza il contenuto mistico e filosofico delle Upanishad. Un’altra opera eccellente per permettere ai profani di orientarsi è YHistoire des idées théosophiques dans l’inde di Paul Oltremare, nella quale il dotto e geniale professore di sanscrito dell’università di Ginevra ha sapientemente e con garbo grandissimo reso accessibili a tutti le recondite meditazioni degli antichi sofi dell'india.
Nel 1904 Ludwig Stein pubblicava, e aveva tutte le ragioni di pubblicare, questa sentenza: « La filosofia dell’età nostra è il monismo, vale a dire la interpretazione unifi) Vedi: Wxnternjtz, Geschichte der Indischen Littwatur, Erster Band. Leipzig 1909, pag. 228. r
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taria di ogni divenire cosmico». Cinque anni dopo, e legittimamente, il Winter-nitz (1) aggiungeva: «questa filosofia dell’età nostra è stata già, or fanno tre millenni, la filosofia degl’indiani ».
Ma pure prescindendo dal valore filosofico intrinseco delle Upanishad, a noi deve importare un altro fatto capitale. Le Upanishad sono state e sono tuttora un libro di edificazione e di conforto per milioni e milioni di anime. La visione dell’A Iman trascendente ha avuto il magico potere di rendere beate generazioni e generazioni di uomini. La misura del valore d'ogni filosofìa deve trovarsi nel grado di contentezza che essa procaccia all’uomo. Se dalla meditazione io esco scorato, depresso e infiacchito moralmente, segno è che quella meditazione è vana, malvagia, falsa. L’eroico furore dal quale sembrano invasati i vati upanishadici è prova che la loro mistica visione possiede una elevatezza morale di primissimo ordine, che essa è davvero luce intellettual piena d'amore, amor di vero ben picn di letizia, letizia che trascende ogni dolzore.
E noi ascoltando l’eco, di questo lontano giubilo del pensiero dobbiamo al pensiero chiedere la forza morale e ogni maggiore consolazione. Il pensiero è un mago, e ben dice il divino Shakespeare (2) che nulla v’è di buono o di cattivò che non sia reso tale dal pensiero. La visione superficiale delle cose è sconsolata, nè bastano ricchezze, glorie, piaceri del senso a renderla men triste. Se i nostri predicatori di morale e di religione non sono più ascoltati è perchè non sanno predicare. Le ricchezze vanno e vengono, la gloria è efimera, i piaceri dileguano col passare della gioventù e della esuberanza delle forze. 0 prima o poi ci troviamo di fàccia alla morte che ha già rapito tanti nostri cari, che minaccia di rapircene altri, che sogghigna a noi stessi. Questa morte che ci pare tanto terribile non ha di terribile altro che una maschera. Si tratta solo di strappargliela dal volto, e chi può strappargliela è il pensiero. Nelle serene sfere della meditazione ci sentiremo inoltre capaci di quella bontà di cui oggi il mondo ha tanto bisogno, il mondo che pare non voglia più fare altro che odiare. Nói abbiamo bisogno di pace e di amore, di convincerci che Buddha e Cristo non hanno evangelizzato invano. Il mondo non riacquisterà il suo equilibrio se prima non riprenderanno tutto il loro valore le due massime eterne del Buddha e di Gesù:
«Giammai con la malignità si placa quaggiù la malignità, ma con la benignità; questa è la legge eterna » (3).
« Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate bene a coloro che vi odiano, e pregate per coloro che vi fan torto»(4). Si sa che in morale per aver uno bisogna chiedere mille, e se queste massime evangeliche, non dico, non troveranno la loro applicazione, ma non saranno almeno rimesse in onore, l'odio non può spegnersi, durerà la guerra e prevarrà l’opposto principio: « occhio per occhio e dente per dente » salvo a rimanere tutti senza occhi e senza denti!
Róma, 19 febbraio 1920. Carlo Formichi.
a
Op. cit., ibidem.
Hamlet, II, 255-257.
Dhammapada, I, 5.
S. Matteo, V, 44.
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anto Mazzini quanto Gioberti subirono l'influsso delle dottrine giansenistiche; e per insigni giansenisti professarono ammirazione e sentirono affetto.
Si direbbe che entrambi intuissero fin dai primi anni che ad educare la nuova generazione chiamata, per virtù di prove aspre e di sacrifici, a riconquistare la coscienza e la dignità italiana non bastava potare le ultime propaggini dell'edonismo sensistico del secolo xvm, ma altresì il comodo e l’immorale lassismo
dei gesuiti, che serviva mirabilmente alla conservazione dell’antico regime. Bisognava salvare il cristianesimo dalla falsa interpretazione del vangelo. Entrambi possono ripetere come i solitari di Port-Royal: « No, la via della salute, non è larga no, i vostri meriti non potrebbero bastare a giustificarvi davanti a Dio; no, voi non potete conciliare il vangelo e il mondo più di quello che possiate conciliare la ragione e la fede ».
Poco conta che Gioberti non risparmi le sue critiche al giansenismo: sono confetti se si paragonano alle tremende fustigate con cui colpì la setta che ne rimase immedicabilmente vulnerata: la ciclopica coltura al servizio di un santo sdegno, la potenza incomparabile di genio polemico, furono adoperate per ¡sgominare i gesuiti, alleati dell’Austria e della tirannide. E così poco conta che Mazzini ritenga la sua religiosità indipendente dal cristianesimo; in realtà il cristianesimo o per meglio dire il rigorismo del cristianesimo giansenistico fu norma della sua vita.
La corrispondenza tra Mazzini e la madre è una nuova riconferma dell’ educazione religiosa giansenistica in cui crebbe il giovanetto in seno alla famiglia, comprovata già dalla raccolta di documenti in parte noti per pubblicazioni precedenti.
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L’elemento agostiniano dell’innata tendenza al male dell’uomo, che trova il suo fondamento nei primi capitoli della Genesi, massime nel passo: « Non voglio più maledire la terra a cagione dell’uomo, perchè l'inclinazione del cuore dell’uomo è perversa fin dalla giovinezza» (Vili, 21), ricorre continuamente nelle lettere della madre.
Memoràbili le parole che S. Agostino cita con tanta frequenza: « Quoniam nemo mundus a peccato coram te, nec infans cuius unius diei vita super terram ».
Il diario di Piero Gironi fornendoci l’elenco dèlia biblioteca particolare di lei, enumera oltre i libri classici dell'apologetica cristiana di scrittori francesi del gran secolo, la Bibbia del Diodati, le Lettere spirituali di S. Francesco di Sales, La scienza della salute ovvero Principii solidi sopra i doveri più importanti della religione del mite e candido Nicole, uno dei più avvincenti saggi di morale del fedele amico e collaboratore del Pascal, ed artefice della prima conversione del Lamennais, dal teismo di Gian Giacomo al più rigido ortodossismo.
« Sono libri » Chiosa il buon Ceroni, « che io stesso ho più volte aperto, ed ho sempre riscontrato che alla santità dei principi non accoppiavasi in essi la bigotteria dei libri che d'ordinàrio stanno per le mani al vulgo delle comuni bacchettone».
La corrispondenza materna rivela una personalità a cui la purità della vita, condizione della salvezza dell'anima, è il pensiero dominante.
Ricorrono continuamente i motivi fondamentali della rigida concezione cristiana, che trapassando da S. Paolo a S. Agostino, ai mistici, a Giansen, a Pascal, alla sua scuola, ài grandi francesi del secolo xvin, si afferma nella sua rocciosa imponenza contro il blando ed accomodante lassismo dei gesuiti. La virtù cristiana, di cui il Pascal scriveva è « plus haute que celle des pharisiens et des plus sages du paganisme», è dono largito dall’onnipotente che permette di affrancare l’anima dall’amore del mondo, di staccarla da ciò che essa ha di più caro, di far morire noi stessi e di condurla ed attaccarla unicamente a Dio.
Il peccato originale non pure ha depauperato l'uomo dei dóni soprannaturali, ma l’ha corrotto radicalmente; all’amore infinito di Dio ha sostituito l'amore del suo io effìmero e corrotto (moi haïssable, dirà il Pascal). Il mondo è fondamentalmente guasto, là natura è degradata: nessuna meraviglia che la più parte delle creature non sappia levare lo sguardo in alto ed aborrire il materiale e il mondano.
Pochi eletti benignati del dono della grazia (e tra questi il suo Pippo) debbono scontare il grande e terribile privilegio col sacrificio, affrontando le persecuzioni, le calunnie e, quel che è peggio, l’urto ruvido, l’incomprensione delle anime opache.
L’essenziale è di vivere in Cristo, cioè a dire essere ammessi alla sua gloria, partecipando alle sue sofferenze. Questi postulati religiosi non furono lettera morta, ma atti di vita, il credo che trapassò dall'anima della madre in quella del figlio, che lo arricchì bensì, come vedremo, degli elementi forniti dalla sua mirabile personalità, ma senza sottoporlo a nessuna alterazione. Quanto all'uomo naturale che si travaglia nella miseria del suo stato attuale, non è a stupire, ripeterà la madre, se troppi si abbiettino nelle passioni egoistiche, perchè « considerando l’uomo in genere, sap-
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piamo ch'egli è privo di quelle virtù morali e specialmente di quella tal dovuta forza da cui debbesi attendere il verace bene, passando per le vie del sacrificio ». « Mergi-mur et emergimus ». Cadiamo e ci solleviamo per grazia di Dio che dispensa agli uomini la forza necessaria per agire, per trasformare in oro puro il piombo vile. La religione e l’esperienza immediata di Dio quale è sentita dal cuore. (Dieu sensible au cœur). La grazia è Imperatrice del miracolo e la grazia è la distinzione dell’eletto e del prediletto di Dio. E la madre ritrova la verità della sua credenza nel figlio suo. « Non saprò mai darti torto se non ti trovi che male al contatto degli uomini in genere. Sei tanto e siffattamente differente dà loro in tutto te stesso, che è impossibile vi ti trovi bene»(i).
Si ribella all'idea del figlio che si rimprovera di portare sventura a chiunque raccosti chè anzi il benedetto da Dio rischiara la via a quelli che brancolano nelle tenebre. « Eh, mio caro, le nostre viste sono brevissime allo scrutinio degli immensi disegni di Dio. La tua intemerata condotta quanti e quanti non avrà tratti da errore ! ». In te l'essere del sacrificio ed il conosci in tutte le forme e guise, ma a ciò Dio ti diede sempre eroica forza onde sopportarli con eguale* saggezza ». « Oh, caro mio, l’uomo è di fango e sente del pari: e colui che si sublimi scostandosi dalla sfera comune non è compreso a giusto valore che da quei che sanno che significhi dignità propria... dell’uomo. Lo ripeto, in massa siamo di fango e poi fango. Declamerei tanto su di questo articolo, e quando mi penetro di tale verità, schiaccerei tutto il genere umano. Finisco invece per compiangere la cecità, poiché sono madre di mio figlio, che ama sino al sacrificio il proprio simile... » (2). A proposito del Chatterton dé’ De Vigny, osserva: « Quando ben si addentra in quel dramma, si freme vedendo come il vero merito sia cotanto negletto dalla massa degli uomini. Eppure è il vero ritratto di quanto purtroppo corre e vediamo in giornata. La specie umana è triste assai, ed io guardo i pochi esseri buoni ed onesti come emanazione divina, prescelti dal Creatore ad essere illesi dalla innata corruzione inerente alla natura umana» (3).
L’amore appassionato alla giustizia che è carità in quanto non ammette nulla che possa essere estraneo all’ardenza della vita morale e al di fuori della comprensione della ragion pratica, è veramente eredità della madre, che poteva scrivergli queste parole ingenue e sublimi, candide come i gigli del Vangelo e profonde come un pensiero di Pascal: « Io sono sempre ebbra di gioia udendo il trionfo dell’innocenza oppressa, accadesse anche ciò nella luna » (4).
« Due grandi e rare qualità annidano in te: giustizia e amore verace, perchè scevro di tutte quelle tendenze speciali e d’interesse proprio, movente d’ogni essere dell'umana specie. Chi più chi meno, sotto forme diverse, l’uomo mira a se stesso e suoi vantaggi... Ora quando conosciamo un essere eletto, sgombro dà passioni e
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Lettera del 4 agosto 1837, p. 163.
Lettera dell’n agosto 1836. p. 112.
Lettera dell’8 novembre 1837, p. 159.
Lettera dell’n giugno 1836, p. 104.
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da proprio interesse, agognante e sacrificante soltanto al benessere altrui non dobbiamo noi ammirarlo e venerarlo? Certo sì. È certo che a tali uomini rari Iddio sarà sempre prodigo di sue grazie e benedizioni, dacché non invano li ha suscitati nella terra pel bene, ad esempio dell’umanità » (x).
n.
In una tale concezione del mondo tutta compresa del valore etico dell’esistenza,, la religiosità non è lettera morta, ma palpito di vita. Quale meraviglia se questa fede abbia compenetrato la concezione etica-religiosa di Mazzini, invadendone tutti gli elementi derivati da una cultura piò estesa e più raffinata, ma segnalandoli indelebilmente del suo stampo incancellabile? L’indagine dell’effetto dell’educazione giansenistica nell'animo di Mazzini giovanetto segna la via giusta per la comprensione adeguata della fede religiosa di lui, che è il primum movens del suo apostolato di pensiero e di opera.
Mazzini adolescente e giovanetto crebbe mentre l'Italia e l'Europa come reazione alle « secchissime dottrine » dell’illuminismo, perchè frutto di un’arida ragion ragionante, si inebbriavano al lirismo cristiano e messianico del romanticismo. Mazzini non pure non cercò di sottrarsi a questi influssi, ma li accolse come uno specchio ustorio che attira i raggi e li rimanda più accesi e più fulgenti, appunto perchè l’animo suo era preparato dalla religiosità viva e fervida del focolare domestico e dell’ambiente circostante. Credente in una famiglia credente e sostanzialmente cristiana, il suo spirito ricevette l’impronta giansenistica, oltreché dalla madre, dall’abate Luca Agostino De Scalzi, suo primo maestro, dal De Gregori che gli succedette.
Giansenista era altresì con molta probabilità [l’arciprete di Bavari, dove la famiglia Mazzini possedeva la villa. Tutti costoro ed altri ancora formavano la schiera « de’ santi dottori » al cui giudizio la madre dava molto peso (2).
Sopratutto del De Scalzi conservò grato e rispettoso ricordo, si compiaceva fosse diventato intimo della famiglia e sapesse trovare parole di conforto alla madre dolorante.
Ben si sentiva staccato da lui per alcune idee, e se lo compativa come uomo di credenze corte, ne venerava l’animo schietto perchè « si avverava in lui quell'accordo tra la dottrina e la vita » (3). che è il segno di nobiltà delle creature umane. La madre nomina con compiacenza « il buo istitutore » che reputava degnò di essere a parte della corrispondenza del figlio al quale scriveva, il 5 ottobre 1837: «Ho letto ad esso (al De Scalzi) vari brani di tue lettere ed il santo uomo ne pianse di sodisfazione e conforto; t’ama e porge al cielo le sue preghiere e benedizioni sopra di te ». Della dottrina giansenistica mostra avere conoscenza sicura in vari suoi scritti (4).
(1) Lettera del 31 marzo 1838, p. 177-78.
(2) Lettera del 20 luglio 1838, op. cit., p. 213.
(3) Epistolario (E. N.), v. p. 348-50.
(4) Intorno all’Enciclica di Gregorio XVI papa (E. N.), Politica, II, 143. Toccando dei giansenisti del Settecento li loda in quanto intendevano richiamare l'antica severità del cristianesimo primitivo. Dal Papa al Concilio, in Scritti (E. N.) VII, p. 234.
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Dal giansenismo, che si potrebbe chiamare la forma storica del cristianesimo per la rigidità morale, per la concentrazione interna della buona volontà, per la valutazione dell'elemento intellettivo subordinato all'esercizio della virtù eroica, che non deve chiedere premio terreno, nè soddisfazioni effimere, ma si appaga nella buona disposizione della coscienza a cooperare ai disegni della mente eterna, il giovinetto Mazzini attinse l'avversione all’intellettualismo del secolo xvm, alle complicazioni dogmatiche e alle pratiche materialistiche del cattolicismo gesuitico, nonché la energia incrollabile delle convinzioni. Non c’è nei vari momenti dello svolgimento del pensiero di Mazzini una brusca rottura col passato. Effimera fu Ir. parentesi di incredulità nel periodo in cui fu affigliato alla Carboneria, tra il ’23 e il ’24, che riflette, per usare un’espressione pascaliana, la miseria dell'uomo senza Dio, quando confessava ad Elia Bensa che « nelle prime lotte del suo pensiero negava Dio » (1); al metallo onde si compone l’anima di Mazzini, il dubbio è inattaccabile. Se non merita, non merita il titolo di filosofo che postula la fede come il fondamento della filosofia, Mazzini non è filosofo, e perdono il loro tempo, tanto chi lo esalta come tale, quanto chi lo combatte. La supremazia della religione sulla filosofia, della fede sulla scienza (che lo porterà nell'ulteriore elaborazione del suo pensiero a considerare la filosofia, non come la vetta più eccelsa a cui possa attingere l’uomo, ma come via di comunicazione e di sbocco ad una nuova fède religiosa, a considerare in altri termini le varie filosofie come necessarie, per l’elaborazione di una nuova religione), è credenza comune ai più insigni rappresentanti del giansenismo, a cominciare dal Pascal. Mazzini è e rimane un entusiasta sempre; egli ha un bisogno profondo, incoercibile di certezza assoluta. Quanto più il dubbio cessava di penetrare nel suo spirito, tanto più la fede s'ingrandiva e si rinsaldava dopo ogni assalto. La fede fu anteriore al dubbio, ma ài dubbio, Mazzini non lasciò pace, nè tregua finché non l'ebbe debellato appieno.
Sarebbe interessante sorprendere lo svolgimento che la personalità culturale di Mazzini fa subire alla concezione del mondo morale, cristiano, giansenistico. La indimostrabilità di Dio, ribadita con espressioni lapidarie nei Doveri dell’uomo, richiama alla mente quanto dice il Pascal intorno alle verità che noi conosciamo, non solo colla ragione, ma anche col cuore. Su queste conoscenze del cuore e dell'istinto è d’uopo che S'appoggi la ragione e vi affondi tutto il suo discorso. L’ordine del cuore consiste per Pascal, non come l'ordine che si segue nelle scienze, nel partire da principi astratti, che si risolvono per mezzo di definizioni, nei loro elementi integranti, ma al contrario, poiché si tratta di azione e di volere nel partire dal fine, causa determinante del sentimento e dell'azione. La fede che costituiva la unità del pensiero e dell’azione non è, nè deve essere, giustificata speculativamente. Nè si stanca mai dal ripeterlo: cito fra mille: « La credenza riposa nei secreti di una intuizione inesauribile all’analisi, nella verità dei più singolari presentimenti di una realtà ideale che è primitiva patria dell'anima, in una impreveduta potenza d’azione data all’uomo in alcuni vari momenti d’amore, di fede, di concentramento supremo di tutte le facoltà verso un fine virtuoso dominante ».
(1) Ai membri del Concilio, in Scritti (E. N.), 18. pag. 184
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Il dualismo cristiano della incapacità del mondo a contènere Dio è affermato senza restrizioni, perciò non si può parlare di un Dio immanente nel mondo, nel senso panteistico, ma di una Provvidenza che veglia sul mondo e vigila perchè i valori spirituali si conservino.
« La vita dell’uomo buono », scriveva nel '43, « non è nelle mani dei tristi. Dio provvede finche non abbia fatto la sua missione nella terra. E se talora i buoni muoiono nelle mani dei tristi, dipende dacché alcune cause hanno bisogno di martìri » fi).
Mutatis, mutandis, possono estendersi alla glorificazione che Mazzini fa dei martiri per la liberazione d’Italia le parole di Pascal: « N’appelons mal que ce qui rend la victime de Dieu, victime du diable; mais appelons bien ce qui rend la victime du diable en Adam, victime de Dieu: et sur cette règie examinons la nature de la mort».
La morte cessa così daU'impaurirci; « il morire per vivere » trova la sua consacrazione. « Io veggo una legge delle mie membra che lotta contro la legge della mia carne » scriveva S. Agostino. La legge delle membra è la concupiscenza, la ricerca dèlia voluttà carnale, la gioia ebete di vivere, blandendo la propria individualità effimera e ritraendosi sgomento dal pensiero di annientarla, anche se la negazione dell'/o è condizione perchè duri eternamente nelle forze viventi della storia. Nè Mazzini rifugge da una mistica credenza nei meriti di una chiesa militante di martiri civili, che per virtù del loro sacrificio preparino la redenzione d'Italia « santa di martirio ».
Sostanzialmente mazziniana (di fatti non è che una perifrasi del giuramento degli affigliati alla « Giovane Italia ») è la preghiera degli Spiriti a Dio che chiude la saffica carducciana II Piemonte:
............................Allora venne dall'alto un voi di spirti e cinse Del re la morte. Innanzi a tutti, o nobile Piemonte, Suoi che a Sfacteria dorme e in Alessandria lè a l’aure primo il tricolor, Santorre di Santarosa.
E tutti insieme a Dio scortaron l'alma di Cari'Alberto. Eccoti il re, Signore, che ne disperse, il re che ne percosse.
Ora, o Signore, anch’egli è morto, come noi morimmo, Dio, per l’Italia. Rendine la patria. Ai morti, a i vivi, pe’l fumante sangue da tutti campi, per il dolore che le regge agguaglia a le capanne, per la gloria, Dio, che fu ne gli anni, pe '1 martirio, Dio, che è ne l’óra, a quella polve eroica fremente, a questa angelica esultante, rendi la patria, Dio: rèndi l'Italia a gl'italiani.
(1) Scritti (E. N.) XXIV (P. 243).
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L’EDUCAZIONE RELIGIOSA DI G. MAZZINI
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Nè meno tetragona è la credenza di lui nell’elezione di Dio, motivo ricorrente nelle lettere della madre che conferisce ai pochi e ai buoni l’autorità e il dovere che ne deriva di convertire gli uomini, facendoli cooperatori del progresso morale e civile. Si intende che egli si sente uno di questi figli di Dio, che devono combattere e soffrire per vivere nel piano d’eroismo assegnato dalla Provvidenza. Come il giansenista dice: « È Dio che opera in me », così può ripetere Mazzini, chiamando Dio l’ispiratore di quanto egli sente in sè di più alto e di più puro. L’individualismo è attenuato dal concetto di promuovere il bene, che è istinto occultò talvolta, ma non meno operoso delle folle, che non domandano di meglio che di esprimere il divino che si annida in loro.
L’unica eccezione, e non dico sia di poco rilievo, alla dottrina giansenista, è la protesta di Mazzini al dogma della caduta. Nel male i giansenisti non scorgevano soltanto una moltitudine di fatti isolati, ma un fatto universale, una grande fiumana che travolge la vita; in Adamo tutte le generazioni dell’umanità hanno deviato da Dio e sono cadute in potere del diavolo. In questo stato d’universale corruzione l’individuo è impotente a evitare il peccato per forza propria. Contro questo fatalismo pessimistico Mazzini insorge, tesoreggiando, per quanto riguarda la natura umana, le più rosee illusioni dei filosofi del secolo xvm, ed inneggiando alla predestinazione d’ogni creatura al bene. Non così tuttavia che a quando a quando nelle effusioni confidenziali agl’intimi, quali si possono sorprendere nel suo epistolario, non si sostituisca al volto solare dell’Apostolo fiducioso e incuoratore, il vólto tetro ed accigliato del puritano sgomento dinanzi all’abisso della cattiveria umana e alla scarsità dei mezzi concessi dalla Provvidenza per combatterlo. Ma la visione ottimistica vince. Pel suo attivismo pratico occorreva la fede nella bontà dell’uomo: solo con questa leva poteva combattere con tranquillità di coscienza i governi, i cattivi pastori, causa essenziale del pervertimento dei popoli.
Possiamo dunque affermare che il giansenismo democratico col suo amore pel popolo, con l'aspirazione alla penetrazione nella società dei valori spirituali del cristianesimo, creò in Mazzini una forma mentis che perdurò immutabile anche quando l’apostolo s'illuse d'avere scosso il giogo tirannico dell’ autorità della tradizione cristiana e della riverenza alle antiche tradizioni. Non è il caso di citare il verso di Lucrezio:
Nam cupide conculcatur nimis ante me tre tu m
perchè l’eresia di Mazzini è sempre un’eresia cristiana.
Singolarità di applicazioni, sincretismo arbitrario finché si vuole, ma il fondo cristiano permane.
Si comprende che gli amici — spiriti forti — sburrassero in sordina che Mazzini in fin dei conti fosse in realtà più cristiano e magari più cattolico di quanto egli stesso credesse. Una eco di queste voci sorprendiamo in una lettera a Linton, che pensava « di Gesù in modo reazionario, che sarebbe proprio di coloro i quali sono sotto l'incubo di cadere nel cristianesimo... Senza pretensione di usare diplomazia io
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voglio condurre i miei lettori passo a passo a riconoscere, che la democrazia invece di essere antireligiosa, prende il suo punto di partenza da una religione e conduce,ad un’altra. Vi è più pericolo per noi nel materialismo che nella fede cristiana, e tra l’essere preso a torto per cristiano da alcuni, e Tesser preso per uno che nega tutte le cose invisibili, io preferisco correre quel rischio, anziché questo » (i).
Il Linton era in buona compagnia; anche col fido Lamberti in una lettera del 28 novembre 1842, è costretto di scendere a schiarimenti p,er dissipare ogni dubbia interpretazione: « Ch’io non fossi matèrialista, lo sapevi; ch’io volessi una religione, lo sapevi pure; bensì cerco ora di non provare direttamente, ma di condurre gli altri a capire che religione oggi nòn v’é, che senza religione l’umanità non può vivere’ e che è dunque indispensabile una nuova » (2).
« Il mondo senza religione non può stare » (3), conveniva con la madre; badate non dice senza filosofia.
L'influsso giansenistico ha grande parte nell’ammirazione di Mazzini e della madre pel Lamennais, trasformatosi dopo la rivoluzione del '30 in apostolo del cristianesimo democratico: le dinamiche pagine delle Paroles d’un croyani suggellano il distacco deciso.e definitivo da Roma.
Madre e figlio si ritrovano e si riconoscono in una zona di religiosità intima èd austera il cui rito si compendia per questo, nell'ossequio ad un comandamento di cui si sente sèrvo e strumento, perchè i seguaci abbiano in lui una fede inconcussa; per quella, come dovere di infervorare l’unigenito nella missione che gli cinge il capo di una corona di spine, ma che lo designa come reiètto del Signore"
« Tremino i tuoi persecutori che ben volentieri ricorrerebbero ai più osceni tranelli per ghermirti, dacché il tuo solo nome è un timore terribile per essi. .Checché armeggino, il giorno del redde raiionem si avvicina fatale. Invano essi credono di poter calpestare per sempre l'Italia, questa gemma delle creazioni divine! ».
La fede nella rinascita dell’Italia lega i loro cuori. Non era stato il gesto della madre nell’atto di versare l’obolo a quel cospiratore del ’21, che tendeva il fazzoletto spiegato pei proscritti d’Italia, che aveva folgorato nel cuore del figlio Undicenne il dovere di lottare per la redenzione del suo paese ? (4)
E Maria Mazzini scrive al figlio esule: « L’onnipotenza divina vigila sulle tribolazioni d’Italia; e verrà epoca. Ove ne verrà indennizzata e* confortata, ne son certa come articolo di fede » (5).
Felice Momigliano.
(1 ) U Azione (giornale di Genova, 25-26 gennaio 1920). La citazione è ricavata da una lettera inedita di Mazzini al I.inton. a proposito di fede ed avvenire. La data deve essere verso il 1842.
2) Scritti (E. N.), XXIII. pag. 342.
3) Scritti (E. N.), XXIII. pag. 295.
4) Scritti (E. N.), I. p. 3.
5) Lettera 5 luglio 1836.
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LE ANTICHITÀ EBRAICHE
E IL METODO COMPARATIVO
e moderne indagini etnografiche convergono
ineluttabilmente
verso la conclusione che tutte le stirpi del mondo emergano da un primitivo stato di barbarie, che, non dissimile nell’aspetto generale, da quello che tuttavia attraversano non poche tribù incolte, non scompare col tramonto delle epoche che lo producono e maturano, ma sussiste in parte Oltre il suo tempo, negli usi e nelle opinioni popolari.
Come col mutarsi degli strati geologici, alcune specie diventano fossili, ed altre, superando le contingenze, si adattano, si trasformano e rivivono; così nella stratificazione storica, alcune costumanze muoiono, altre si prolungano
dal vecchio tempo nel nuovo, ove rimangono relitti del passato. Si formano in tal modo quelle che chiamiamo sopravvivenze o superstizioni, di cui sono pieni i monumenti del pensiero umano, i poemi epici, le leggende, le tradizioni.
L’etnografia biblica offre prove meravigliose. Essa mette sott’occhio un insieme di credenze, di cerimonie e di pratiche, le quali, pei caratteri arcaici, risalgono alle lontanissime fasi della vita del popolo eletto, e specialmente a quella che può denominarsi epoca pastorale, anteriore al tempo in cui i Semiti fissano le sedi nella Palestina, e, abbandonando il nomadismo, si dànno all’agricoltura. Il mutamento del regime sociale porta un mutamento nelle istituzioni; sicché quando, più tardi, gli annalisti mettono in iscritto le stòrie del loro popolo, trovano usi e tradizioni che essi non sanno spiegare, sia perchè il loro significato è orinai dimenticato, sia perchè rappresentano assurdità nell'evo novello. S'impone allora il rimaneggiamento,- per cui fatti e memorie'subiscono alterazioni e trasformazioni da par te di chi tenta adattarli alla mentalità dei tempi e degli uomini nuovi. Onde nei testi Sacri quelle varie incongruenze che nel corso dei secoli dànno tanto da fare ai traduttori ed agli inter-
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preti, ai critici ed ai filologi, e che quella giovane disciplina, la quale, più che mezzo secolo fa, cogli accademici all'Ateneo di Londra, prese nome di folklore, attende a spiegare nella loro origine, nella loro forma e nel loro valore.
Veramente questo sistema d’interpretazione non è recente; perchè, in passato, non mancano studiosi che si accingano a tale lavoro, come il pastore francese Samuele Bochart e l’inglese Giovanni Spencer, due eruditi che, nel secolo decimosettimo pongono le basi della scienza comparata delle religioni; (r) nonché l'etnografo William Robertson Smith, (2) che nella seconda metà del decimonono, esamina le istituzioni religiose semitiche illuminando lati oscuri e tentando di risolvere problemi inesplicabili. Ma l’opera fecondamente iniziata non si ferma qui. Giacomo Giorgio Frazer, il più grande folklorista vivente, riprende il vecchio cammino e applicando allo studio delle antichità ebraiche il metodo comparativo, tenta di scoprire nei documenti della verità rivelata la voce dei popoli e dei secoli, e propriamente la voce degli uomini di] quell’età che nell'evoluzione mentale, è caratterizzata dalla concezione magica ed animistica dell'universo (3). A tal fine lo studioso inglese scompone nei loro elementi, come un chimico le molecole, i vari temi presi ad esame; e quindi procede a rintracciare nell’etnografia i loro paralleli; e quindi ancora, i paralleli dèi paralleli; fino a che, spogliati i temi delle molte e varie incrostazioni formatesi nel corse dei tempi, ne presenta il nucleo fondamentale nella forma originaria. Tale nucleo, può considerersi còme documento dell'umanità primitiva, o meglio della mentalità delle più antiche genti, immerse nell’ombra della barbarie.
I risultati ottenuti con tale processo, per quanto non concordemente accettati, meritano di essere ricordati per l'importanza che presentano nel campo della critica, dell'esegesi e della letteratura bibliche.
LE PRIME ETÀ DEL MONDO
Le tradizioni mitologiche dei popoli sull'origine dell'uomo si distribuiscono in due grandi correnti, una delle quali ha per punto di partenza l'idea della creazione per opera d'un artefice divino; l'altra l'idea dell'evoluzione, per la quale l'uomo sarebbe derivato da forme arboree e da specie animali. La leggenda biblica, che si ha nei primi due capitoli del Genesi, appartiene al primo gruppo, sebbene nella doppia versione risaltino elementi contraddittori. E difatti, mentre nel primo capitolo, Dio, dopo aver creato
(ri S. Bochart, Hierozoicon (Laida, 1692); I. Spencer, De legibus hebraicorum ritua-hbus et earum rationibus libri tres (Cantorbery, 1685). L’opera di questo dotto venne preceduta da altre, che meritano di essere ricordate: Cunaeus, De republica haebraeorum libri tres (1617); Leone di Modena, Historia degli rili /¡ebraici (1637); Selden, Uxor /¡ebraica (1646); Fleury, Maurs des Israeliles
(?) W. R. Smith, Religion of thè semites (Londra, 1894).
(3) Frazer, Folk-lore in thè Old Testamenti Studies in comparative religion, legend and law. Londra, Mac Millan, 1919, 3 volumi; Renato Meunier, in un articolo intitolato La bible et la Sociologie Comporle» ( «Scientia» voi. XXVII, S. Il, Anno XIV, 1920, pag. 474 e segg.) riassume fuggevolmente l’opera del Frazer, di cui credo che non abbia penetrato il pensiero. Basti pensare che è erròneo confondere la sociologia comparata col « folklore > che attraverso le tradizioni plebee, rileva la primitività delle istituzioni umane.
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l’universo con le piànte e gli animali, forma l’uomo (maschio e femmina) a sua immagine; nel secondo, dopo aver plasmàto col fango della terra il primo padre, crea gli animali, e successivamente fabbrica la donna con una costola estratta dal torace di Adamo. La contraddizione non sarebbe spiegabile ove non si pensasse che le due versioni datano da tempi differenti, rimontando là prima alla prigionia israelitica; e la seconda, che è quella scherista, a parecchi secoli prima, probabilmente al nono 0 all’ottavo secolo avanti la nostra èra. L'etnografia non può non fermarsi su questa, che nella sua pittoresca bellezza, ha nel patrimonio tradizionale delle genti, molti e rilevanti paralleli, a cominciare da quelli greci (Prometeo), babilonesi (Bel), egiziani (Knumu) per arrivare a quelli offerti dai negri australiani (Dio Pund-jel), dai Maori delia Nuova Zelanda (Tu, Tiki, Tana) dagli isolani di Tahiti (Taero), da quelli dell’Arcipelago Indiano, dai Melanesiani, dai Torasgia di Celebes, dai Daiac-chi di Borneo, dai Bilan delle Filippine, dai Bagobo di Mindanao, dai Karens della Birmania, dai Tartari della Siberia, e da altre popolazioni.
In alcuni di tali documenti, gli episodi della creta e della costola si trovano fusi ; in altri sono distinti; in altri poi si ricorda il colore e la qualità dell'argilla (Scll-luchi del Nilo Bianco, Ève del Togo africano), per spiegare l’origine delle varie specie umane, la colorazione della loro epidermide, la differente indole morale.
L’eco di tali racconti popolari, che rimontano alle epoche più lontane della vita sociale e che continuano a persistere più tardi, come fanno fede le mitologie delle età classiche, si avverte nella genesi adamitica, perchè la voce ebraica « adom » fa supporre che il primo uomo secondo la tradizione fosse fatto con creta rossa.
La leggenda del peccato nella sua forma prima non dovette essere differente da quelle che sul primo fallo umano, corrono nelle società inferiori. L'uomo, al tempo del suo primo soggiorno terreno, avrebbe il dono del perpetuo rinnovarsi della vita, del continuo rifiorire della giovinezza e bellezza; ma tale dono egli perderebbe o per infamia, o per accidente, o per inganno. Nel ciclo semitico l’inganno verrebbe dal serpente, che inviato dal Signore ad avvertire la coppia adamitica, vagante nel giardino paradisiaco, a servirsi dell’albero della vita e a non toccare quello della morte, inverte il messaggio, volendo riservare per sè l’immortalità. Nel paesaggio descritto nel terzo libro del Genesi l'albero della vita non si vede accanto a quello della morte; e il serpente ingannatore non mostra il desiderio d’impossessarsi della pianta che dovrebbe renderlo immortale. A queste lacune supplisce, in parte, la leggenda di Gilgamesc, che, com'è in uno dei monumenti epici anteriori al libro delle Generazioni, narra di Utnapixtim che svela l'esistenza del vegetale rinnovatore della vita all’eroe il quale, dopo averlo scoperto, lo perde per l'opera malvagia del serpente.
Il marchio impresso sulla fronte a Caino, lungi dall’adombrare il concetto morale della punizione pel delitto commesso, e lungi dall’essere un emblema sociale o tribunale, come pretende lo Smith, è uno dei tanti espedienti, cui ricorrono i popoli inculti per rendere irriconoscibile all’inquieto spirito della vittima l’uccisore. Il quale difatti' ora può essere bandito dal consorzio, ora può essere sacrificato, ed ora insieme macchiato sul corpo con terra di color rosso o nero o bianco.
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Il mito diluviano, che, corre in quasi tutto il mondo, eccetto in alcuni punti dell'Asia orientale, centrale e settentrionale, nelle sue molteplici versioni dimostra tale somiglianza di caratteri e di situazioni da far ritenere che esso non sia altro che una reminiscenza vagii e confusa di un remotissimo cataclisma terrestre. Questa opinione, sostenuta da geologi e geografi, da archeologi ed antropologo appare destituita di fondamento óve si tenga presente che il cataclisma mondiale, secondo i recenti risultati della scienza geologica, sarebbe anteriore alla comparsa dell’uomo sulla terra; ed ove si pensi che le differenti versioni offerte dalla letteratura mitologica dei popoli contengono ricordi di scene, fatti ed episodi, che fanno pensare all'origine locale della leggenda. D'altra parte erroneamente si è creduto di riportare i vari tipi leggendari al racconto babilonese da cui sarebbero derivate le tradizioni antiche degli Ebrei, degli Indi e degli Elleni; perchè lo studio comparato se conferma l’ipotesi per quanto riguarda la versione ebraica, la esclude poi per le varianti greca ed indica. Il miracoloso pesce che figura in questa, non ha riscontro nella favola babilonese; e mentre Noè provvede alla conservazione delle specie, Deucalione e Birra in Grecia dovranno ricorrere alla creta per popolare la terra. Pertanto, il Frazer opina che se molte leggende del ciclo diluviano siano dovute alla propagazione di un tipo antico in vari paesi e regioni; molte altre siano formazioni locali indipendenti.
Come quello del Diluvio, anche il racconto della Torre di Babele (G«ì., XI, 2) ha molteplici riscontri e paralleli nell’etnografia, che offre, nel suo immenso campo, tradizioni di uomini e di genti che mediante costruzioni, impalcature ed elevazioni tentano di raggiungere il lontanissimo cielo. L’Africa è un territorio fecondo; come fecondo è il continente americano, sopra tutto nella regione messicana, sebbene talvolta le leggende che corrono in questa risentano l'influenza della propaganda dei missionari. Ma indipendentemente dagli elementi ciclici, al sorgere della leggenda debbono contribuire l’impressione che le torri babilonesi fatte a più piani con terrazze, e specialmente quella templare di Birs-Nimrud presso Borsippa, rimasta incompleta nella sua vetta, esercitano sull'animo dei nomadi Semiti, che, venendo in Babilonia dalla solitudine dei deserti, rimangono confusi per le vie tumultuose'della metropoli, ove affluiscono uomini differenti per origine, linguaggio e costume.
L’ETÀ PATRIARCALE
In quella serie di biografie che, descrivendo gli uomini rappresentativi del popolo d'Israele, concludono la storia primitiva dell'umanità o delle « generazioni ». non sono pochi i documenti riguardanti le credenze e le tradizioni superstiziose dell'epoca patriarcale. Abramo, lasciata Babilonia, nel recarsi a Cana, riceve dal Signore l’assicurazione della grandezza e della gloria future della sua stirpe. Alla parola segue la conferma (Gen., XV), mediante un patto Che il padre celeste consacra passando, neU’ombra della sera, in mezzo agli animali immolati e spaccati in due dal patriarca. Le formalità di tale rito sono quelle in uso fra i pastori biblici, come si rileva da un ricordo di Geremia, e fra altri popoli inculti del mondo antico ed
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attuale, presso cui un patto, un’alleanza, un giuramento non hanno valore ove non vengano accompagnati dal sacrifizio di uno o più animali, e dall'atto di ungersi col sangue di essi, o di passare o di fermarsi in piedi sul corpo delle vittime. Ed è memorabile al riguardo l'esempio dèi Greci che giurano odiò agli abitanti d'ilio, incedendo fra le metà di un cinghiale spaccato.
Quale il significato di queste pratiche? Alcuni, per spiegarlo, ricorrono all’idea che la vittima simboleggi la sorte avvenire di quello fra i contraenti che osi violare il giuramento fatto; altri sostengono che si tratti di una cerimonia di purificazione, in quanto genera un vincolo mistico fra l'uomo e la divinità e preserva gli attori da ogni male. L’etnografia conferma l’ipotesi, che nel primo caso si denomina retributiva; nel secondo «sacramentale».
Questi due fatti non sempre sono distinti, potendo trovarsi insieme, come nel rito celebrato d’Àbramo col padre divino, perchè in esso ricorre tanto l’atto di spaccare la vittima in due parti (simbolo della retribuzione), quanto quello di passare fra le due metà (simbolo della purificazione).
La vita di Giacobbe è più d’ogni altra ricca di tradizioni, perchè piena di casi ed episodi, che richiamano alla mente le figure del mercante semita, astuto e supplichevole. La storiella dell’eredità nasconde un principio di fatto non da tutti veduto e compreso. Dalla vita dì Giuseppe, di Beniamino, Davide e Salomone si arguisce che, presso gli Israeliti vige nell’antichità il diritto di ultimogenitura; e che tale diritto, proprio dell’età pastorale, si tramuta in primogenitura allorquando il popolo di Israele abbandona la vita nomade, e fissate le sue sedi nella Palestina, si volge alle opere dell’agricoltura. E questo perchè il nuovo regime non consente più, come prima, ai figli adulti di abbandonare i genitori per recarsi in altre sedi; ond’è che il patrimonio, prima riservato al figlio minore, che è l'ultimo a lasciare la casa paterna, viene devoluto al maggiore.
Questo fatto, che si osserva fra tribù erranti, deve verificarsi nelle prime epoche bibliche; e quando poi, col volger dei secoli, gli annalisti lo trovano nelle tradizioni, non ne comprendono il significato, e perciò giudicano strano il costume del juniorascato, che spiegano ricorrendo ad una varietà di casi fortuiti, come l’accidente nel parto, la preferenza arbitraria del fratello al fratello, la cupidigia e l’inganno di Rebecca. Perciò la leggenda del Genssi non può essere presa alla lettera. Molto grossolano sarebbe il trucco di presentare al vecchio e cieco Isacco, Giacobbe col collo e le mani avvolti in una pelle di capretto in luogo del fratello Esaù, che dicesi nato con le estremità e la nuca pelose, ove non si pensasse che, come attualmente fra popoli inculti, anche fra i primi Ebrei, nell'adottare o riconoscere come proprio un figliolo, dovette essere consuetudine di avvilupparlo in una pelle di capretto. Fra i Galla, immolata una pecora, si unge col suo sangue la fronte del bambino, coprendogli il collo e le braccia con la pelle dell’animale. E talvolta, tanto la madre, quanto il neonato devono subire tale rito; pnd’è che si dice che la pecora ha partorito l’agnello. Da ciò si arguisce che lo stratagemma, cui ricorre Giacobbe per consiglio materno, al fine d’ingannare il genitore e di usurpare la benedizione e la primogenitura, non è che la remi'-
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niscenza di una arcaica cerimonia giuridica, che il redattore avrebbe mal compreso-o denaturato.
Nel recarsi da Labano, suo zio, in Aran, il fuggitivo figlio di Isacco sosta in una località cinta di pilastri; e poggiato il capo sopra uno di essi, vede in sogno una scala congiungere la terra e il cielo e angeli salire e discendere per essa. Svegliatosi, ed ancora immerso nell’estasi divina, spalma d'olio la pietra, che d’allora chiama Bethel o «casa del Signore». La mirabile visione avuta, dal patriarca rientra nell’ordine delle credenze che le divinità si svelino ai mortali nel sogno, e che vi siano dei luoghi o delle pietre che favoriscano o facilitino le apparizioni degli esseri soprannaturali. Memorabili sono il santuario presso Oropo nell’Attica dell’ indovino An-fiarao; quello di Esculapio presso Epidaura; e gli oracoli di Ino e Pasife in Laconia, dove il paziente o l’invocatore si sdraia sulla pelle dell’ariete immolato, aspettando l’apparizione. Nelle leggende religiose dei popoli, il rapporto fra uomini e dei, fra il mondo celeste e quello terreno, è reso continuo mediante scale ed altri mezzi di ascesa e di discesa. I naturali dell’isola Fernando Po credono che, un tempo, prima che un loro dio indignato la portasse via, vi fosse una scala per accedere alle regioni ultraterrene; e i Toaasgi di Celebes dicono che pl esso loro, in passato, un rampicante sostituisse la scala, prima che Sun, indispettito, lo troncasse; e i Batacchi di Sumatra, poi, affermano l’esistenza di speciali rocce per cui gli uomini privilegiati possono avvicinarsi alle sedi celest*. Le scale immaginarie diventano scale reali allorquando i popoli le costruiscono per facilitare la discesa degli dei sulla terra o per agevolare l’accesso delle anime al cielo. Il primo caso è quello dei nativi di Timor, e dei Torasgia; il secondo è quello dei Manegan di Nepal che provvedono i morti di scalette; quello dei Russi, che depongono simulacri di scale nelle tombe; quello degli Egiziani del tempo delle Piramidi, che costruiscono scale per gli estinti Faraoni che debbono salire nel regno dell'al di là.
La « Casa del Signore » ha nelle mitologie popolari svariati confronti, che attestano il culto delle -pietre sacre; e il nome « Bethel » richiama quello di « Buitylos» o « Baitylion », che i Greci importano dagli Ebrei, applicandolo alle pietre rosse e nere, ricettatrici di uno spirito divino. Ma le pietre dell'antichità greca sono piccole e portatili; mentre quelle ebraiche sono massicce e fisse, e hanno forma di pilastri simili a quelli che si vedono nella Cananea e nella terra d’Israele, e a quelli recentemente scoperti nei santuari di Gezer e Taanach.
La esistenza storica dei patriarchi emerge nella narrazione biblica avvalorata dall'esatta descrizione dei riti e delle istituzioni. Giacobbe quando incontra al pozzo la cugina Rachele e la bacia piangendo, non fa che seguire il costume popolare del saluto, quale era in uso a quei tempi, come risulta da alcuni passi del Genesi (XIV, ecc.), e quale è tuttora fra popoli che attraversano un’analoga fase di civiltà e che considerano il bacio e il pianto come segni di ossequio, di omaggio, di tenerezza. E quando, poi, serve per quattordici anni il suocero, per ottenere come mogli le cugine Lia e Rachele, fa vedere che gli Israeliti del buon tempo antico praticassero l’endogamia, come attualmente la praticano alcune tribù australiane; e molto prima
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dell’età patriarcale, conoscessero il matrimonio comunale, consistente nella relazione sessuale di un gruppo di donne, tutte sorelle, con un gruppo di uomini, tutti fratelli; avanzo di forme poliginiche e poliandriche, da cui trarrebbero origine il « levirato » e il «sororato».
Il matrimonio non corona la felicità dell'amore di Giacobbe per Rachele, che è sterile; mentre Lia, l’altra moglie, dagli occhi cisposi, è feconda. Rachele ne rimane mortificata, finché per caso la mandragora scoperta dal fanciullo Ruben, non la fa diventare madre.
La mandragora per le virtù erotiche e generative, che risiedono nelle radici, nei frutti, nei succhi, è celebrata tanto dai volghi antichi, quanto da quelli contemporanei; ma essa non deve essere estratta dall’uomo, ma invece da un animale, che, secondo Apuleio, può essere il cane, e secondo una variante del racconto biblico, l’asino.
Chi attraversa la regione del Giordano, presso il monte Giled, vede delle tombe simili a quella su cui Labano e Giacobbe si conciliano dopo un litigio, dividendo il pasto. Questi sepolcri agli occhi dei più personificano lo spirito del defunto, chiamato a giudice e testimone degli atti compiuti dagli uomini; ma, giova osservare, che, prima che questo concetto animistico, o mèglio manistico sorgesse, il rito dovette avere altro significato. Questo non potè essere che magico, trovando base e spiegazione in molti documenti che fanno fede della credenza secondo cui la rigidità e la compattezza del sasso possono trasferirsi nell’organismo umano rendendo irremovibile la volontà e saldo il pensiero. Ecco la ragione per cui, tra molte tribù, si giura ponendo il piede su alcune pietre. Da ciò la supposizione che i redattori del Libro delle Genealogie d’Israele, abbiano rimaneggiato i vecchi racconti, per spogliai li degli elementi grotteschi e primitivi. Ma questi, invece, per quanto estirpati, spuntano inaspettati e all’improvviso anche attraverso la rigida opera di selezione, come ciuffi di erba selvatica sui margini dei sassi e negli interstizi di ben connesse pietre.
L’ETÀ DEI GIUDICI E DEI RE
Con la vita dei patriarchi si chiude il primo atto del dramma della umanità primitiva, errante dalle sponde dell’Eufrate a quelle del Nilo, d'onde Mosè la guida, liberata dalla schiavitù egiziana, attraverso i deserti dell’Arabia verso la terra promessa.
Si apre così il secondo atto del gran dramma di Israele, con nuovi colori e nuove luci, che formano lo sfondo della storia dell’eroe, circonfusa dall’elemento miracoloso e maraviglioso, che la distinguono da quella patriarcale, mite, semplice, buona.
Mosè, allevato per tre mesi dalla madre, viene esposto in un canestro di giunchi sulla sponda del gran fiume Nilo, d'onde è tratto in salvo per tenerezza della figlia del Faraone. Il racconto, che è romanzesco, come ogni narrazione dominata dal sentimento nazionale, nella sua prima forma dovette essere differente da quello che si legge nel Libro dei Giudici. Difatti, analizzato al lume della scienza comparata, si presenta come reminiscenza di un'antica ordalia consistente nell’affidare alle acque
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i neonati allorquando sorgeva il dubbio sulla loro legittimità. I bambini illegittimi, secondo la credenza, travolti dall’acqua, annegano; quelli concepiti senza macchia galleggiano. I Cèlti d’un tempo, li abbandonano alla corrente del Renò, come gli odierni Couri dell’Unioro, li affidano alle acque del Nianza. Così nell’età mitologica fanno i Greci, secondo le leggende di Perseo e di Telefo; i Romani, secondo la favola di Romolo e Remo; gli Indi, secondo l’epica del dio Sun; i Babilonesi, secondo la storia del re Sarquan; gli Israeliti, secondo il racconto di Mosè, che si suppone nato dalle nozze incestuose di Amram con la zia. Ma l'eroe è il predestinato alla liberazione e alla redenzione del suo popolo, che conduce verso le paterne sedi. La sua mano stesa sul mar Rosso, apre il varco alle sue genti, che inseguite dalle milizie faraoniche, si trovano senza scampo. Gli studiosi che si sono affaticati a spiegare il miracolo mosaico e a spogliarlo dell’elemento soprannaturale e ridurlo nei suoi caratteri storici ed umani, non si sono accorti che la traversata del Mar Arabico è un mito del genere di quelli che si riferiscono ad altri condottieri. Alessandro, per prendere Faselia nella Licia, passa attraverso il mare che si apre; Scipione il vecchio espugna Nuova Cartagine, nella Spagna, chiusa dal mare, facendo credere che Nettuno gli aveva promesso la vittoria; e, ai nostri giorni, presso il lago Tanganica e nel Congo, alcune tribù narrano che i loro re sono tanto privilegiati da aprirsi la strada fra le acque, mediante cerimonie stregoniche.
Parimenti un mito è il racconto dell’acqua della contesa che Mosè fa scaturire (Es. XVII, 6) dalla roccia di Horeb percotendola con la bacchetta divina. Nelle usanze popolari, gli scopritori delle sorgenti sono armati di verghe magiche, con cui sogliono toccare la terra, come l’antico eroe dei Basi Torasgia di Celebes, a nome Dori, che dona ai suoi fedeli l’acqua e il vino battendo là roccia con la bacchetta.
La interpretazione mitologica che faceva di Sansone il simbolo del sole e spiegava le sue avventure colle fasi solari, è abbandonata dalla critica moderna che rintraccia gli elementi che compongono la saga sansoniana nei racconti e nelle costumanze popolari.
L’indomabile forza del re è nella capigliatura, che forma il suo terribile fascino. Il giorno in cui per tradimento della perfida Dalila egli la perde, cade, vile servo, nelle mani dei Filistei; che lo accecano e lo impiegano a girare la macina. La favola rampolla dal terreno della superstizione volgare, la quale coi nativi di Amboina e di Ceram informa di uomini resistenti alle più dure torture perchè dotati di vigorosa capellatura; e coi teologi medioevali di streghe che nascondono nelle chiome il segreto della loro esistenza e invulnerabilità. Talvolta, come nei racconti dell’isola di Nias, i capelli sono il ricettacolo dell'ànima e della vita. Nelle tradizioni greche è detto che Niso, re di Megara, nasconda le sue forze in un ciuffo di capelli biondi o rossi che porta nel mezzo del capo; e che Pterelao riceva da Poseidone l'immortalità col dono di uno dei suoi capelli d'oro.
La parola della buona Abigail, che rivolta al re Davide, dice: « Se mai venisse alcuno a perseguitarti e per cercare la vita tua, l'ànima del mio signore sarà legata nel fascetto delle anime presso il Signore; ma caccerà poi l'anima dei tuoi
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nemici, come di mezzo del cavo di una frambola » richiama alla memoria la « casa dell'anima », consistente in un amuleto in cui si suppone collocata l’essenza vitale di un uomo o di un gruppo di uomini, simile ai talismani tuttavia in uso fra gli Arunta del centro dell’Australia.
Il grande profeta Isaia (III, 11-24) ricorda le scatole profumate e i bossoli d'odori ed altri amuleti protettivi; ed Ezechiele (XIII, 17-21) informa di varie pratiche adoperate dalle maliarde di quel tempo per dare la caccia alle anime, come se queste fossero uccelli, mediante piumacciuoli cuciti alle ascelle e veli e reticelle apposti sul capo; come attualmente fanno, con reti e trappole, gli abitanti di Figi, i negri dell'Africa occidentale, i Bauli della Costa dell’Avorio, i Torasgia di Celebes, ed altri popoli incivili.
Le altre invettive dei profeti dimostrano quanto potere abbia pel popolo l’arte stregonica, nell’età dei giudici e dei re israeliti. Tra le varie forme in cui essa è praticata, non manca quella necromantica, invocatrice degli spiriti dei morti. Lo attesta la macabra scena del villaggio solitario di Endor (1 Re, XXVIII), ove il fantasma di Samuele, evocato dalla strega, apparisce agli occhi dell'esasperato Saul le per predirgli la sconfitta alla vigilia della battaglia.
Il terrore che i Giudei dell’epoca davidica hanno per il censimento (2 Sam. XXIV: 1 Cron., XVI), che credono susciti l’ira celeste ed apporti la peste fra gli uomini, ap partiene a quel genere di pregiudizi che s’incontrano tuttavia fra i Bacongo del basso Congo, i Masai, gli Ottentotti, e non pochi indiani dell’America ed altri popoli africani, ed asiatici, i quali si astengono dal noverare gli uomini, gli armenti, i frutti per timore degli spiriti malefici. Basti pensare agli Arabi della Siria, tremanti, al pensiero di dover contare o censire le tende, i cavalieri, il bestiame delle loro tribù.
Un folklorista del mondo latino, Varrone, poteva asserire che i limitari erano sacri a Vesta. Tale idea, che si svolge dalla credenza comune che le soglie siano frequentate dagli spiriti, richiama al pensiero le cerimonie che in molti paesi si celebrano per mettere in fuga o anche per propiziarsi i geni invisibili che attendono al varco le persone, nei. punti marginali. Talvolta, come attestano le consuetudini di alcuni popoli, s'incontrano sulle soglie dei guardiani, i quali hanno l'incarico di avvertire i passanti e di istruirli negli atti da compiere per non incorrere nella violazione del « tabù ». Agli esempi di alcune tribù attuali, tra cui quelle dell’isole Figi, si può unire quello dei tre ufficiali, apparentemente sacerdoti, che stanno a guardia del Tempio in Gerusalemme (Ger. XXXV, 5; 2 R. XXV, 18; XII, 5) e che rappresentano un avanzo delle primitive superstizioni popolari concernenti resistenza degli spiriti del limitare.
Le dolci espressioni del Salmo ottantaquattresimo inneggianti al Signore e alla sua casa, allietata dal canto dei passeri e delle rondini, che presso i suoi altari trovano stanza e costruiscono il nido, fanno ritenere che gli uccelli nidificanti nel tempio di Gerusalemme non fossero molestati. Questa usanza rivela una vecchia superstizione, che si osserva presso varie genti, e che nasce dal concetto che tutto ciò che è aderente o inerente alle mura sante, è'cbsa sacra. In forza di tale principio i
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Greci non osano toccare gli uccelli che cercano asilo .nel tempio di Apollo; e gli Ateniesi minacciano di morte chi osi uccidere un passero appartenente alla famiglia del santuario di Esculapio.
Ad un principio di magia simpatica deve essere riportata la leggenda di Elia, che si nasconde presso il torrente Cherit, per sfuggire Ahab, re degli israeliti (i R. XVII) ed è nutrito mattina e sera dai corvi, mandati a lui dal Signore.
Il paese sterile e brullo può in parte fornire elementi per penetrare nel velame leggendario. Il profeta, soggiornando in quel luogo, non ha altro pasto che la carne dei corvi. E ciò senza dire che questi, secondo la vecchia credenza, sono dotati di' poteri maravigliosi, tra cui quelli di imitare la voce umana e di predire avvenimenti. Chi sa che la carne dei corvi non sia servita ad Elia per conferirgli le qualità profetiche, che la tradizione popolare attribuisce ai foschi pennuti?
Questa supposizione è suggerita dal fatto che non pochi incivili mangiano le iene e gli avvoltoi, perchè credono di assimilarsi le qualità di tali animali che si nutrono di cadaveri.
Più frequenti di quelle degli animali, nei vecchi libri sacri, sono le superstizioni riguardanti gli alberi. I profeti che gridano ed imprecano contro le fórme plebee di culto arboreo, contro l'adorazione delle piante, contro le offerte ad esse fatte dagli uomini, contro i reliquiari e gli ex voto, fanno vedere non solo la diffusione di tali superstizióni, ma ajiche le differenti maniere in cui esse .si svolgevano e compivano.
Tra gli altri alberi, due occupano il posto predominante nella religione volgare dell’antichità ebraica: la quercia e il terebinto, che avendo identica denominazione, spesso sono confusi e scambiati. Il culto di queste piante rivela la sua primitività nelle maniere di professarlo: in quanto la tomba dei profeti sotto le querce e là anima dei santi in esse incarnata, accennano alla credenza negli spiriti dei vegetali, dei boschi, delle macchie, delle foreste, propria di tempi remoti, e di cui le tradizioni ricordate dai profeti non sono che sopravvivenze.
Dai libri biblici si desume che i superstiti si impongono parecchie restrizioni in caso di morte d’un membro della famiglia, o per timore dello spirito o per pietà, non volendo molestarlo. Fra le altre è caratteristica quella che può intitolarsi « il silenzio vedovile», è che impone alla moglie di serbare, per un certo periodo di tempo, un assoluto mutismo alla morte del consorte. Là ragione di tale consuetudine, che scaturisce dall’etimologia dell'epiteto dato alla vedova (di cui il nome «Alemanah» è quasi sempre unito all'aggettivo «illem»), è offerta dall'etnografia funeraria comparata, la quale dimostra che prèsso non pochi gruppi di popoli (Congo, Madagascar, California, Columbia, Australia) la donna orbata del maritò, per evitare le molestie dello spirito, non deve pronunziar verbo per giorni, settimane, mesi e perfino per qualche anno; e durante tale periodo, deve portare i capelli scarmigliati e il corpo imbrattato di sostanze disgustanti. Probabilmente, una analoga credenza deve aver portato fra gli Ebrei primordiali la superstizione del silenzio vedovili;
Il mito di Giona, che per ordine divino è ingoiato da un gran pesce, e dopo tre dì e tre notti vomitato sulla riva, ha un riscontro in una leggenda dei nativi della
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costa settentrionale della Nuova Guinea Olandese, dove i Windesi narrano che gli abitanti dell'isola di Jop, un tempo, inghiottiti da una balena insieme col canotto in -cui si trovavano, ne uscirono dopo aver arrostito e mangiato il fegato e le budella del mammifero, al richiamo di un uccelletto che li avvertì di aver vicino la terra.
Quando i coloni assiri si recano a popolare le desolate città di Samaria, vedendosi assaliti dai leoni, si rivolgono al re, dicendo: Le genti che tu hai tramutate e fatte abitare nelle città di Samaria, non sanno le leggi del Dio del paese; onde egli ha mandato contro a loro dei leoni chele uccidono. Allora il re. comanda di far andare in Betel uno dei sacerdoti fatti prigionieri, per insegnare ai coloni il modo di -onorare la divinità locale (2. R., XVII, 24-28).
Questo ricordo fa credere che, nell’antichità semitica, ogni regione o provincia abbia una propria divinità; e che per propiziarsela, giovi rivolgersi agli esperti del luogo. Così fanno tuttavia gli stranieri in Celebes, nel bacino del Niger e nell’india dravidiana, implorando l'aiuto dei sacerdoti e dei maghi indigeni per impedire alle belve di divorarli. Sebbene il testo biblico non informi sulle pratiche eseguite dai sacerdoti ebrei per ammansire e tener lontani i leoni inviati da leova ad uccidere i coloni della Samaria, si può supporre che esse non differiscano da quelle stregoniche adoperate dai sacerdoti Mandla, nell'Asia centrale, per ridurre all'impotenza, con incantamenti, pantomime ed offerte, le tigri antropofaghe.
LA LEGGE
La ricostruzione della forma arcaica del Decalogo fa vedere quale fosse il suo contenuto prima che l'influenza dei profeti avesse fatto tramutare in massime morali le primitive interdizioni magico-religiose. Se, com’è «accertato, la versione rituale del Decalogo è la più antica rispetto a quella morale, per intendere il significato e l'importanza del decimo comandamento (Deut.LXXIV,2i; Es., XXIII, 19, XXXIV, 26), che proibisce di far bollire l'agnello nel latte, occorre riportarsi col pensiero alle oscure età pastorali, allorquando gli Israeliti traggono le loro risorse dall’allevamento del bestiame. Per quanto i critici e gli esegeti abbiano cercato di dare una spiegazione soddisfacente, la più probabile pare, fino al momento, che sia quella che fa del precetto un canone superstizioso. Un anohimo scrittore medioevale, un membro della setta giudaica Karait, afferma che, fatta la raccolta delle mèssi, gli antichi bifolchi solessero far cuocere un agnello nel latte della madre e aspergere con esso i campi e gli alberi, per renderli prosperi e fecondi. L'asserzione è infondata, perchè l'etnografia comparata dimostra il contrario. E difatti, per una consuetudine quasi generale, i popoli pastori, specialmente quelli dell'Africa, si astengono dal bollire il latte delle mucche, per timore che così facendo si arresti la secrezione galattofora delle bestie. Chi viola questa norma, commette un grave delitto. La vacca e il latte sono in diretta simpatia fisica; ond’è che tutto ciò che agisce sul liquido delle sue poppe, agisce simpaticamente anche sull'animale. Analogamente, il latte della pecora bollito e messo a contatto con la carne dell'agnello, può apportare danno alla madre di questo. Ecco perchè i Masai, allevatóri di bestiame.
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non fanno cuocere la carne nel vassoio in cui hanno riposto il latte; ecco perchè presso altri popoli, la carne non si appresta mai col latte, ma fra l’uso dell’ uno e dell'altra si lascia correre un intervallo, che può essere di settimane o di giorni o di ore, come fra i Giudei attuali che fanno decorrere un periodo di astinenza di sei ore.
Tali precauzioni, che sono comuni è rigide fra le genti che ritraggono gli alimenti dall'allevamento del bestiame, sono di carattere magico e non religioso, avendo a fondamento il principio della simpatia naturale, e non già il culto, e riguardando la custodia e la protezione del’ bestiame e non quella del popolo.
Se lo schiavo dopo aver servito sette anni, rifiuti di andar libero, còme la legge divina stabilisce, il padrone ebreo gli fora l'orecchio avvicinandolo alla porta della casa o del tempio (Deut. XV, 12-17; Es- XX, 22; XXIII, 33; XXI, 5 seg.). Così facendo egli è convinto che la divinità della soglia, sulla quale viene sparso il sangue servile, vigili e controlli la condotta del servo. Attualmente, presso alcuni negri dell’Africa, come gli Ève, per impedire che lo schiavo abbandoni il tetto padronale, gli si tagliano le unghie e qualche ciocca di capelli, deponendole a terra unitamente a un feticcio. La pratica nella sua essenza è puramente stregonica, perchè pretende che il « gri-gri », mediante i mezzi ad esso forniti (unghie e capelli), possa impedire allo schiavo di prender la fuga. Se togli la presenza del feticcio, che nel vecchio Testamento è sostituito dal simbolo ideale della divinità, la quale, come la dea latina Vesta, trae origine dalla grossolana credenza negli spiriti del limitare, le due pratiche, quella degli Ève Africani e quella degli Israeliti dèi Deuteuronomio e dello Esodo, concordano nella forma e nell’idea. Nella forma perchè le unghie e i capelli stanno in luogo del sangue, nel rappresentare la persona; nell’idea perchè tanto i popoli africani, quanto quelli d'Israele, son convinti di vincolare in tal modo la libertà dello schiavo.
Non può spiegarsi allo stesso modo l'uso israelita di tagliuzzarsi il corpo, in casi di morte di parenti e di amici (Ger. XVI, 6; XLI, 5). Per quanto lo Smith autorevolmente opini che, spargendo il loro sangue, i superstiti consacrino un’alleanza cogli spiriti, pure la sua opinione non è soddisfacente perchè contempla un fatto solo, quello di ferirsi l’epidermide, non considerando il rito diffusissimo e comune così agli abitanti di Israele, come ai Filistei, ai Moabiti, ai Greci e ai Romani, di strapparsi i capelli e le vesti e di radersi la barba. Per avere una spiegazione alquanto verosimile giova rimontare a Varrone, e col grande scrittore latino ammettere che l’offerta di ciocche di capelli, di peli della barba, di cenci delle vesti e di gocce di sangue sulla sepoltura o sul cataletto, abbia il fine di propiziarsi lo spirito del defunto, mantenendolo grato e benevolo.
La prova dell'acqua amara che gli Ebrei fanno subire alla donna sospetta di adulterio (Numeri, 11-28) è un'ordalia del genere di quelle che si osservano tuttora presso molti e molti popoli non entrati nella via luminosa del progresso, e special-mente presso quelli dell'Africa. Come le tribù del Niger, del Congo, dello Zambesi ed altre credono di poter scoprire il delitto, facendo trangugiare all'imputato una po-
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zione velenosa; così gli Israeliti impongono alla donna, in odore adulterino, di ingoiare l'acqua dell'amarezza (Numeri, 11-28). Questa contiene un pizzico di polvere del pavimento del tabernacolo e, disciolte, le parole del giuramento pronunziate dalla donna sull'ara. Come per gli Africani il veleno è una forza intelligente, che penetrando nell’organismo del colpevole, lo uccide, ed entrando net corpo dell'innocente fuoresce col vomito; così per gli abitanti di Israele l'acqua amara ha il potere di far gonfiare la donna colpevole e di stroncarle una gamba.
Il liquido ordalie© è intensificato nella sua forza dai caratteri sacri del giuramento in esso disciolti. Per questo particolare, la cerimonia biblica trova opportuni riscontri in alcune pratiche arabe e tibetane, per le quali si curano alcuni ammalati, specialmente quelli affetti da dissenteria, somministrando loro delle preghiere nell'acqua.
Un altro documento della primitività delle tradizioni del Vecchio Testamento è offerto dal cap. XXI dell’Esodo (28-29), laddove si dice che « quando un bue avrà cozzato un uomo o una donna sì che ne muoia, quel bue sia lapidato totalmente, e non si mangi la sua carne» (Cfr. Gen., IX, 5 seg.). Questo precetto mentre pòrta la mente ai costumi barbarici che impongono d'infliggere la punizione data agli uomini per delitti, anche alle bestie, alle piante e alle cose, e a quelli analoghi in vigore nel mondo antico, e che nel fiore della sapienza ateniese, venivano raccomandati dal divino Platone nella « Repubblica »; fa supporre che esso rampolli dall'idea che l’uomo primitivo si è formato dell’universo, attribuendo alle cose e agli animali istinti e passioni uguali a quelli umani, e perciò inadatto a distinguere, nel suo impulso, fra esseri animati e inanimati di fronte alla legge e al castigo ordinato dall’onnipotente.
Ed eccoti ora nel tempio, ove il sacerdote incede ammantato di viola con fimbrie adorne di violato, porpora e scarlatto e con. sonagli d'oro. Ed i sonagli egli deve far tinnire sia quando compie gli uffici divini, sia quando esce. « affinchè non muoia » (Es. XXVIII, 31-35). L'uso dei campanelli e dei sonagli, dei bacini di metallo, dei vasi e dei piatti di bronzo e di rame per allontanare e disperdere gli spiriti malefici data dà tempi remoti. Lo praticano molti popoli dell’evo antico, come molte genti dell’epoca contemporanea. E da esso pare derivato quello delle campane che, come fa vedere lo scoliaste cristiano Giovanni Tzetzes, prima di annunziare ai fedeli l'ora, della preghiera, servono a fugare i demoni agitantisi nell’aria e sulla terra. Questa superstizione, che il Longfellow introduce con grande effetto nella sua versione poetica della « Leggenda aurea», dicono, fra l’altro, le iscrizioni che si leggono sulle campane, come queste:
Defunctos ploro!
Pestem fugo!
Festa decoro!
Funera piango, Pulgura frango, Sabbata pango.
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CARATTERE DEL LAVORO DEL FRAZER
Il Vecchio Testamento contiene tra i molti documenti storici e letterari che lo costituiscono tradizioni arcaiche e primitive. Esso può paragonarsi ad una antica pianta gigantesca all’ómbra della quale, in epoche lontane, i nomadi israeliti si raccolgono, riorganizzando le loro istituzioni giuridiche e religiose e fissando definitivamente le loro sedi, già prima instabili nella vicenda del servaggio e della libertà. E l’àlbero, come i pastori affluiscono e ingrossano di numero, cresce continuamente fino ad assumere proporzioni gigantesche e maravigliose. In tale periodo, che. segna una nuova fase della loro vita e della loro storia, i popoli d'Israele abbandonano alcune usanze ed altre rinnovano e rifanno; ond’è che, col succedere delle nuove generazioni a quelle vecchie, non poche consuetudini perdono di significato e valore, e non sono più comprese. Sórge allora la spiegazione miracolosa, per la quale si fanno intervenire nelle azioni umane enti divini e volontà soprannaturali; e spuntano qua e là versioni alterate dei racconti e dei fatti, adattati alle menti ed ai tempi novelli. Ma lo studioso, attraverso il lento lavorio degli annalisti, attraverso l’opera trasformatrice di generazioni e generazioni, attraverso il confronto e la critica dei documenti, riesce a scoprire la forma prima dei costumi mutati e svisati, ed insieme l’origine di tante cerimonie e credenze, che, se per noi sono illogiche e incoerenti, trovano la loro logica spiegazione nella mentalità primordiale, orientata in modo differente dalla nostra e fermata sul concetto che un fluido magico nasca da ogni fenomeno .ed essere ed agisca anche come elemento produttore e distruttore. A tale età, detta del pensiero magico, che alcuni popoli tuttavia attraversano e che deve essere comune a tutte le genti preistoriche dei continenti civili, vanno riportate la leggenda sull'albero dèi peccato; quella sull’eredità di Giacobbe, che avvolti il collo e le mani nella pelle del capretto, si presenta al cieco genitore Isacco per avere con la benedizione la primogenitura in luogo del fratello maggiore; quella del profeta Elia, che più che essere pasciuto dai corvi nel brullo paese di Cherit, deve ' cibarsi della carne di quegli uccelli dotati della virtù della previggenza, per rafforzare le proprie qualità profetiche; quella di Abramo che fa patto coll'onnipotente, mediante l’offerta di alcuni animali immolati; e unitamente alle leggende, vari riti ed usi, che al tempo dei redattori dei testi biblici sono soltanto sopravviventi, e perciò testimoni di un’epoca anteriore di civiltà, quella pastorale.
Accanto agli avanzi del pensiero magico esistono nella-Bibbia quelli del pensiero animista, che popola l’universo di geni e spiriti; e tali documenti attestano il paga-mesimo israelita con le credenze nei demoni delle soglie, chiamati a controllare la condotta dello schiavo, che rinunzia ad andar libero; neutralizzati, sulle porte dei tempi, da tre ufficiali; fugati dai sonagli d’oro del sacerdote durante gli offici divini.
Per quanto magia ad animismo compenetrino le istituzioni bibliche, pur tuttavia l’elemento meraviglioso non manca, sopra tutto laddove le gesta epiche assumono forme soprannaturali per l’intervento divino. Tale elemento può mutare
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fisonomía ai fatti storici, e trarre da essi materia per le leggende; anzi trasformarli in pure leggende fantastiche, sublimi, al di sopra e al di fuori della realtà. La traversata del Mar Rosso basta a dare l’idea del fascino mitico che avvolge i punti principali della storia d’Israele, trasformando in miracolo un fatto strategico.
Queste le linee schematiche della nuova opera frazeriana; la quale, per quanto poderosa, non esaurisce è non pretende di esaurire la ricerca del folklore nell’immenso campo biblico (i), ma offre un saggio, che mettendo a profitto il metodo delle concordanze etniche, tenta scoprire gli elementi primitivi che trovano posto in quell’insieme di tradizioni orali e di istituzioni sociali e religiose, che portano il titolo di Vècchio Testamento.
Raffaele Corso.
■ (i) Il Frazer ha trattato altrove alcuni problemi biblici al lume della scienza comparata, e tra gli altri quelli relativi al sacrifizio del primogenito, all’uso del capro espiatorio, alla teoria della sozzura religiosa.
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el Dottor Antonio di Giovanni Ruffini, un passo ha fermato la mia attenzione.
Lucy, la delicata fanciulla ritratta con tanto amore, contempla il mare, e il dottor Antonio, dopo avere ammirato con lei il meraviglioso spettacolo, osserva che molti poeti hanno cantato il mare, ma nessuno con maggior forza di Davide. E, presa una Bibbia inglese che stava sul tavolino, lesse alcuni versetti. Lucy ne rimane stupita: aveva sempre sentito dire che i cattolici romani non conoscevano la Bibbia!
« Questo — risponde il dottore — è un errore comune dei Protestanti. Se conoscete le cerimonie della nostra Chiesa, saprete che una parte delle Scritture ne forma la sostanza principale; e che son lette e cantate ogni dì nelle nostre chiese, mattina e sera; in latino,-è vero, ma se ne trova una traduzione in tutti i nostri libri di devozione. Infatti la Bibbia tradotta in italiano è a disposizione di tutti i lettori, a due condizioni sole; primo, che sia la traduzione delle Scritture chiamata comunemente la Volgata, comparata e completata da San Girolamo; e secondo, che il testo latino sia stampato a lato dell’italiano. Se la Bibbia non è tanto generalmente diffusa in Italia come potrebbe desiderarsi, credo dipenda in parte da mancanza di istruzione popolare e principalmente dal poco incoraggiamento dato dal clero a quella lettura. Tuttavia posso assicurarvi che molti fra le classi colte, in Italia, conoscono profondamente la Bibbia e la leggono, s5a nelle traduzioni permesse, sia nelle proibite».
Ora, in queste paiole, ci sono affermazioni giuste e affermazioni inesatte: le ultime in maggior numero.
Certo, che i cattolici romani non leggano affatto la Bibbia è un pregiudizio protestante e fin qui ha ragione il dottor Antonio, ma che una parte delle Scritture formi la sostanza principale delle cerimonie della Chiesa, va bene solo a patto che
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si dica « una piccola parte delle Scritture ». Che la Bibbia tradotta in italiano sia a disposizione di tutti i lettori, non si capisce bene quel che veglia dire. Se vuol dire che è a poco prezzo, sbaglia; a poco prezzo, anzi quasi gratuita, si trova la versione del Diodati, cioè quella proibita dalla Chiesa di Roma. Verissimo che la poca diffusione del libro sacro dipende dalla' scarsa istruzione popolare (argomento su cui il Ruffìni che scriveva in lingua straniera per esser letto da stranieri non vuole insister troppo) e dal poco incoraggiamento dato dal clero a quella lettura. Ma che molti in Italia conoscano « profondamente » la Bibbia, non potrebbe affermarsi oggi e credo che nel '55, quando il romanzo fu pubblicato, le cose dovessero andare anche peggio.
Chi volesse cercare i motivi di quest’errore del Ruffìni ne troverebbe più d'uno e tutti, in diversa misura, attendibili. L'autore, che componeva il libro in esilio, non sempre ha la visione esatta dei fatti. E poi egli si proponeva (come si legge in una lettera del '68 alla sua traduttrice, signora Maria Corcano) di « raddrizzare la poco favorevole opinione sul nostro conto, prevalente in Francia e in Inghilterra ». E finalmente, non può essere che il Ruffìni giudicasse gli altri da sé stesso che della Bibbia era lettore assiduo, dimenticando anche in che modo egli avesse acquistato familiarità con le Scritture ? Certo a lui giovò molto, l'essere vissuto a lungo in Inghilterra, fra gente che fa della Bibbia il cibo spirituale quotidiano; ma è probabile che l’impulso a quella lettura gli sia venuto dall’affettuosa consuetudine •col Mazzini.
Già nel ’53» scrivendo il Lorenzo Benoni, il Ruffìni aveva riconosciuto nell’agitatore genovese una guida alla letture forti e un maestro. « Debbo a lui se ho letto e gustato Dante veramente. Più e più volte, prima d'aver fatto la conoscenza di lui, avevo preso la Divina Commedia con la ferma intenzione di leggerla da cima a fondo, ma presto, scoraggiato dalle difficoltà, avevo abbandonato l’impresa, contentandomi solo di leggere quei tratti del Poema che sono più famosi e più popolari. In una parola, avevo cercato in Dante il solo diletto. Egli m’insegnò a cercarvi il modo ¿’istruirmi e di nobilitare le mie facoltà. E io bevvi a larghi sorsi a quella sorgente di profondi pensieri e di generosi sentimenti... Noi leggevamo insieme i passi più oscuri».
Dante. E la Bibbia no? Giuseppe Mazzini, che la conosceva profondamente, che ne trasse pensieri ed immagini in tutti i suoi scritti, che a trent’anni, nell’opuscolo Fede e avvenire, rievocava mirabilmente la missione di Cristo e quasi settuagenario ardiva, ai membri del Concilio Ecumenico riuniti in Roma nel ’70, mostrare, versetto per versetto, il riposto spirito dei Vangeli, Giuseppe Mazzini poteva non aprire davanti al giovane amico il Libro dei libri, non fosse che per indicare la fonte e la chiave, il segreto e l’ispirazione della Divina Commedia?
Ma checché ne dica il Ruffìni, la Bibbia non è stata mai popolare fra noi.
Non so se sia necessario addurre prove per un’affermazione che ognuno, io •credo, troverà giusta, ma se prove occorressero, ricordiamo, osserviamo. Quanti,
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pur fra gli uomini colti, hanno letto per intero l’Antico e il Nuovo Testamento? Inquante case esiste la Bibbia come libro di lettura di tutti, in più copie, non nell’edizione monumentale illustrata dal Dorè, ottima per far figura nel salotto buono, ma. incomodissima a leggersi? Ed ha la Bibbia quel mezzo di diffusione infallibile ch'è l’imposizione obbligatoria nelle scuole, come avviene per Dante? Ed è vero o non è vero che moltissimi non temono di passare per ignoranti confessando di conoscere poco più che di nome le Sacre Scritture?
Quando, in nome del razionalismo, del materialismo e del positivismo si volle combattere il tradizionalismo, il clericalismo e l’oscurantismo, fra tanto battagliare di ismi, il povero Buonsenso, sbalordito, credette opportuno di andarsene. Perciò, non soltanto fu tolto dalle scuole l’insegnamento della dottrina cristiana (e fin qui va bene, perchè la dottrina si può apprendere, e meglio, nelle chiese), ma fu abbandonato quel pò’ di storia sacra che un tempo s’imparava da piccoli. Vedete i ragazzi del liceo: sanno, all'incirca, che visse nella Cina un sapientissimo uomo chiamato Confucio, che nell’india ci fu un maestro sommo, di nome Budda, ma non conoscono quel Salomone che della sapienza tradizionalmente è il simbolo: sentono parlare a lungo delle leggi delle dodici tavole, e nessuno dice loro una parola del trimillenario eppur vivente Decalogo: ricordano, attraverso la lettura d’Ovidio, le. leggende elleniche, ma è loro ignota quella che, con vocabolo caro ai liberi-pensatori, diremo la «mitologia cristiana».
Gente che ha la presunzione di figurare per dotta, legge o per lo meno possiede la Vita di Gesù del Renan (ne esistono traduzioni popolari ed è, per il volgo, un libro ateo), ma non ha letto i Vangeli che della narrazione renaniana sono il fondamento: gente che affetta di sentire il brivido sacro dell’arte accenna con misteriosa compiacenza alla « lirica sublime dei Salmi », al « pessimismo quasi leopardiano .(!) dell’Ecclesiaste », ma forse ha sfogliato appena appena il Cantico dei Cantici, sperando di trovarci qualche sapore di droga erotica.
Potrei osservare, a questo proposito, che in ogni tempo, quelli fra i nostri scrittori che attinsero ispirazione alla gran sorgente biblica, dal Varano al Minzoni, dal Foscolo al Mazzini, dal Manzoni al d’Annunzio del più recente periodo (cito alla rinfusa grandi e mediocri) sembrarono scopritori di nuovi mondi: potrei notare errori inverosimili, per quanto riguarda la Bibbia, sfuggiti ad autori illustri, ma preferisco citar qualche fatto raccolto da me, impressioni fittemisi dentro la mente «con maggior chiovi che d'altrui sermone».
Ebbene, debbo dire che, meno fra gli specialisti, i veri, non dico conoscitori,, ma lettori della Bibbia avvicinati da me si possono contare sulle dita: che i più degl’italiani (ho girato tanto! ne ho conosciuti tanti!) considerano le Scritture un libro da preti: che ci sono anche molti preti i quali non hanno avuto il tempo, o la voglia o la pazienza di percorrere per intero le sacre pagine, dalla Genesi alla Apocalisse. E poiché Dante mi ammonisce che a quel vero che ha faccia di menzogna conviene chiuder le labbra, dirò, a prova dell'ultima affermazione, che proprio durante la lettura della Commedia, quando insegnavo nelle scuole normali, più volte
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ebbi occasione di notare che, fra i miei scolari sacerdoti, parecchi non intendevano i luoghi ove il Poeta si riferisce alla Bibbia.
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Eppure da quel libro ignoto derivano espressioni e parole che scriviamo e diciamo ogni giorno: eppure, tanti detti che si credono usciti dall’officina anonima dei proverbi popolari sono, invece, insegnamenti di Cristo; e a tali massime molti conformano la propria vita, non immaginando qual sia il Maestro a cui ne son debitori.
Lasciando da parte ¡’Antico Testamento di cui raramente vediamo sopravvivere il pensiero e lo spirito, ma si citano spesso nomi e figure (Adamo ed Èva, Noè Mosè, Giosuè, David), limitiamoci, per ora, ai Vangeli.
Durante tre giorni soli ho voluto notare tutte le frasi evangeliche che lessi in giornali quotidiani o udii pronunziare nella conversazione: e le riporto tali e quali le lessi o le udii, in latino o in italiano, intere o frammentarie, esatte o con qualche leggero errore.
« Chi non è con me è contro di me. Non sappia la mano sinistra quel che fa la destra. Colui che è senza peccato scagli la prima pietra. Molti-peccati le sono perdonati perchè molto ha amato. Gli ultimi saranno i primi. Molti sono i chiamati e pochi gli eletti. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. Sinite parvulos venire ad me. Date a Cesare quel ch’è di Cesare. Quello che scrissi, scrissi. Nessuno può servire a due padroni. Beati i poveri di spirito. Sepolcri imbiancati. Non dare perle ai porci. Prudenti come il serpente e semplici come la colomba. Pulsate et aperietur vobis. Porro unum necessarium. L’uomo non vive di solo pane. Transeat a me calix iste. Fiat volunlas tua. Perchè vedi il fuscello nell’occhio del tuo fratello e non vedi la trave nell’occhio tuo? Ecce homo. Consumatum est. Noli me tangere. Non resterà pietra sopra pietra. Crucifige, crucifige! Vox clamantis in deserto. Il bacio di Giuda. Il figliuol prodigo. La pecorella smarrita. Oportel ut scandala eveniant. Non mettere il vino nuovo negli otri vecchi. Hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono ».
• « «
Più d'uno, scorrendo l'elenco, avrà sorriso. Ma perchè? Lo so, lo so che molti di quei detti non s'intendono più nel vero significato o addirittura si pronunziano dando loro un senso opposto a quello che avevano nel testo sacro. « L’uomo non vive di solo pane », non si dice per ammonire che occorre anche nutrirei di cibo spirituale, ma, quasi sempre, per domandare, oltre il necessario alimento, la soddisfazione di vanità mondane. La frase: « Non sappia la mano sinistra, ecc. » l’ho trovata scritta- per ischerzo a proposito di una cattiva pianista: le altre due: « Molti peccati le saranno perdonati... » e « Lo spirito è pronto... » si dicono, per indulgere con molta, con troppa compiacenza alla fragilità femminile e maschile: brutta contaminazione con cui si profanano un alto insegnamento di carità e le parole sublimi ove l’umanità di Cristo manda un gemito di dolore. Così avviene anche che il « Date a Cesare quel ch’è di Cesare » non suona disprezzo della moneta, ma richiesta imperiosa del
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riconoscimento di qualche diritto; e « Gli ultimi saranno i primi » si adopera per invidia o minaccia, non per la speranza dei Regno di Dio; e « i poveri di spirito » sono, nel linguaggio comune, gl’ingenui e gli sciocchi. ,
Ma questo non vuol dir nulla. L'importante è che luci dell antica sapienza, faville dell’amor divino ardano e brinino ancora fra gli uomini. «Parole», voi mi dite? Ma la parola serba sempre in sè la traccia dello spirito che vi fu infuso, come l'anfora conserva a lungo il profumo del liquore che vi fu versato una volta. La parola vive, la parola, mutando e rimutando i propri atteggiamenti, può sempre rivelare, ad un tratto, l’animo di chi primo la disse: e l’uomo che se ne accorge ha, improvvisamente, la gioia e il tremore di una scoperta.
Che cosa avverrà poi quando si tratti di parole eterne? Sentite ciò che dice Rodolfo Steiner dopo avere analizzate ad una ad una le sette preghiere racchiuse nel Pater. .
<■. Si possono studiare tutte le vere preghiere, analizzarle verbo a verbo, e non si troverà mai che siano semplicemente parole infilzate a caso, risultato di un cieco impulso a combinar belle frasi. No: i grandi saggi hanno desunto le formule delle preghiere dalla saggezza stessa. Se ciò non fosse, le preghiere non avrebbero la forza di agire attraverso i secoli. Soltanto ciò che è ordinato in quésto senso ha il potere di agire anche sugli uomini semplici che non comprendono neppure il senso della parola. Un confronto fra ciò che avviene nell’anima umana e ciò che avviene nella natura mostrerà chiaro questo fatto. Osservate una pianta: essa vi piace e non occorre affatto che conosciate le grandi leggi universali che l’hanno prodotta. La pianta vi sta dinanzi e vi esalta con la sua bellezza, ma essa non potrebbe esistere senza l’azione delle leggi eterne, che in lei si concretarono. L’animo semplice non ha bisogno di conoscerle, queste leggi, ma perchè la pianta esista esse son necessarie. Se la preghiera ha da essere efficace, non può essere inventata a capriccio, ma deve, come la pianta, risultare dall’azione delle eterne leggi della saggezza... Per duemila anni il cristiano ha pregato così, come l’uomo semplice osserva la pianta, ma nello avvenire egli riconoscerà il potere della preghiera per quella medesima profonda sapienza da cui la preghiera è scaturita ».
♦ ♦ ♦
E io dico agl’italiani: Ora che la nostra Patria riprende faticosamente il proprio cammino e si misura con le altre nazioni civili e vede in sè stessa lacune intellettuali e morali che si affretterà a colmare, aprite la Bibbia: leggete e meditate le pagine dei profeti e dei poeti, dei monarchi e dei legislatori, degli apostoli e dei martiri. Libri scritti durante più secoli e raccolti in un solo volume senza che la varietà delle forme turbi l’armonia dello spirito unico, contenevano, già prima che noi nascessimo, la storia delle nostre lotte e lo specchio dei nostri dolori: potremo attingerci conforto per ogni sofferenza del corpo e dell’animo, incitamento al bene, lume per comprendere e compatire e aiutare i nostri fratelli erranti.
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Leggete la Bibbia. Chi, deluso per lo scetticismo e l’indifferenza dei propri concittadini, mormora, nell’abbandonare il paese, le amare parole Nemo propheta in patria, vedrà con meraviglia che quelle parole furono già pronunziate, ma con serena pietà, da Gesù Cristo reduce a Nazaret. Chi, in un momento di commozione e di gioia, dirà, con frase ormai comune, che pària e scrive ex abundantia cordis, saprà che proprio così disse il Figlio dell’Uomo: « La bocca parla quando soprabbonda il cuore » (Exabundantia cordis os loquitur). E la folla che marcia sotto le mie finestre intonando inni con accento di sfida, guardando il cielo in aria di minaccia, che dirà, scoprendo che la legge scritta sulla sua bandiera fiammeggiante « Chi non lavora non mangi» fu predicata già dall'Apostolo delle Genti? Anzi, prima che proferite, quelle parole erano state confortate con l'azione e l’esempio: « Non abbiamo mangiato il pane, ricevutolo da alcuno in dono; ma con fatica e travaglio, lavorando notte e giorno, per non gravare alcuno di voi. Non già che non ne abbiamo il potere, ma per darvi noi stessi per esempio, affinchè ci imitiate. Poiché quando eravamo fra voi, vi ordinavamo questo: che Chi non vuol lavorare non mangi ».
Fra le tenebre del caos che abbuiano i primi versetti e le tenebre dell’avvenire che le ultime pagine tentano di squarciare con visioni di paura e di speranza, corrono fiumi di luce. Se i più grandi pensatori e i più nobili artisti di ogni tempo e di tutti i paesi a quella luce si accostarono riverenti, perchè vorremmo noi privarci di tanta gioia?
Seguiamo nei libri dell'antico Patto la storia d'Israele così simile alla storia nostra. Già nel secolo decimosesto il Machiavelli diceva che l'Italia era più schiava che gli Ebrei: e le rimanevano da scontare ancora tre secoli di dolori, secoli nei quali gli oppressi che sospirano e gemono vedono di quando in quando brillare una speranza messianica: vorrà Dio abbandonare quello che parve essere, nei tempi nuovi, il popolo eletto? Dante si era rifiutato di credere che gli occhi del Signore fossero rivolti altrove, e le sventure d’Italia aveva attribuite ad un’arcana preparazione (fi Dio per il nostro bene futuro.
Nella vita di Cristo e nelle lettere dei suoi apostoli impareremo poi l'amore delle gioie semplici, delle pace, del lavoro, della purezza: amore ch’è necessario più che mai a chi esce sconvolto da un turbine di sangue e di morte.
Troveremo lì dentro parole note: e la sensazione sarà doppiamente grata, come quando, andati per la prima volta ad ascoltare una musica, sentiamo che molti dei suoi motivi già da un pezzo ci erano familiari e, senza conoscerne l'origine, li avevamo più volte cantati nelle ore di solitudine o li avevamo uditi sonare per via.
Troveremo anche parecchie frasi che fin allora avevamo pronunziate per ischerzo o attribuendo loro un frivolo significato: e vedendole adoperate in un senso alto e puro, rimarremo turbati , commossi come chi scorge, sopra un viso solitamente lieto, una ruga, una piega dolorosa del labbro, una lagrima.
Dino Provenzal.
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PERI5GO/RA
DELL'ANIMA!
LA PREGHIERA D’AMORE DI S. PAOLO
(Variazioni sociali sopra un »motivo» eterno - I ai Corinzi XIII)
La pagina che segue è lolla da una delle ultime pubblicazioni del '/impianto prof. W. Rauschenbusch, il pensatore americano più persuasivo, più profondo, e anche più mistico del cristianesimo sociale. Tale scritto, intitolato « Dare we be Christians? - Osiamo noi essere Cristiani?», è un mirabile commento della »Preghiera d’amore» di S. Paolo, e. nello stesso tempo, uno studio accurato sulla funzione sociale dell'amore nel mondo dei nostri tempi.
« Ci occorre — dic'egli — un supplemento moderno alla preghiera d'amore di S. Paolo, che sia scritto di fronte ai problemi del giorno, da un punto di vista ven tesimo secolOi ma col medesimo vecchio entusiasmo cristiano per l’amore e colla medesima vecchia fede nella potenza di Gesù Cristo per ispirare l’amore ».
Mentre si scusa di non avere l'intelligenza di Paolo, nè la rigida consistenza del suo ragionamento, nè alcuno dei suoi doni, egli propone qualche tentativo di variazioni sul « motivo » del capo XIII della I lettera ai Corinzi, e si considera a ciò autorizzato dalia dichiarazione di quello Stesso apostolo — dichiarazione ch’ei prende alla lettera: « V'è diversità di doni, ma il medesimo Spirito Santo ».
E appunto una di queste variazioni (la più bella, la più impressionante, a nostro parere) che ci proviamo di volgere pei nostri lettori italiani: trattasi dell’amore nel mondo degli affari moderni.
« Paolo — dice l'autore — ha introdotto in religione l’indispensabile legge dell'amore: la Chiesa cristiana deve introdurre negli affari moderni quella medesima legge ».
Poi, come ispirato, ci traspone l'eterno nel linguaggio economico del nostro tempo...
IF. Rauschenbusch, amico nostro venerato, è morto verso la fine del 1918, oppresso dai dolori morali sofferti a motivo della guerra. In Bilychnis, numero di novembre-dicembre di quell'anno, abbiamo consacrato alcune pagine alla sua nobile memoria (1). L'uomo uccìso dalla mestizia è oggi « nella gioia del Signore ». I suoi libri mirabili, le sue preghiere originali (2), il suo inno sociale all'amore rimarranno è ci guideranno verso VEterna luce*
Se la mia produzione di ricchezza oltrepassa quanto mi sarei sognato nei tempi passati e se non s'accresce nella medesima proporzione il mio amore, l'attività mia altro non è che febbre e il mio successo equivale ad una corsa alla morte.
Quand’anche avessi il genio sufficiente per scoprire le fonti della ricchezza, la potenzialità d’acquisto per impadronirmene, la capacità necessaria per sfruttarle, s’io non guardo l’umanità cogli occhi dell’amore, sono cieco.
(1) Articolo intitolato: « La scomparsa d’un profeta ».
(1 2) Sul volume di preghiere sociali: Per Dio e per il Popolo, vedi un articolo in Buychnts, numero di maggio 1914.
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Quand’anche abbandonassi ai poveri gli utili dei miei affari e facessi principesche donazioni a coloro che per me faticano, s'io non realizzo con essi f umaria società dell’amore, la mia vita è condannata a rimanere sterile.
L’amore è giusto e buono; non è nè avaro, nè cupido. L’amore non sfrutta; non accetta guadagni immeritati; dona più ch’ei riceve. L’amore non distrugge, per arricchirsi, le esistenze altrui; esso produce della ricchezza per edificare la vita di tutti. L'amore mira alla solidarietà; non tollera le divisioni, il sistema da lui preferito è quello dei lavoratori uguali; ei ripartisce i prodotti. L’amore arricchisce tutti gli uomini, educa tutti gli uomini, procaccia la felicità di tutti gli uomini.
I valori creati dall’ amore giammai vengono meno. I privilegi di classe ? Dovunque scompariranno. I milioni accumulati ? Dovunque saranno dispersi. I diritti acquisiti ? Dovunque saranno aboliti. Nel passato i potenti hanno regnato da padroni spietati, tutti i loro sforzi miravano soltanto ad accrescere la loro potenza ed a gonfiare il loro orgoglio: ma quando verrà stabilito l’ordine sociale perfetto, i potenti serviranno il bene comune. Prima che schiarisse l’alba del sole di Cristo, gli uomini erano tra loro in competizione; essi forzavano la debolezza a pagar loro tributo; ma venga la piena luce del meriggio: essi lavoreranno da buoni compagni nell’amore, ciascuno per tutti e tutti per ciascuno. Ora, vediamo nella nebbia dell’egoismo, confusamente; ma allora noi avremo la visione sociale; ora noi vediamo i nostri scopi in modo frammentario, ma allora noi vedremo come Dio li vede i destini della razza.
Ora dunque restano l’onore, la giustizia e l’amore, tre grandi cose: e la più grande è l’amore.
Walter Rauschenbusch.
CHI VI ASCOLTA, MI ASCOLTA
Chi vi ascolta, mi ascolta, e chi vi respinge, mi respinge, e chi mi respinge, respinge Colui che mi ha inviato.
Evangelo di Luca X-i6.
Il principio della solidarietà umana, della coesione dell’umanità in un sol corpo, è stato affermato dal Vangelo così energicamente eh’esso costituisce uno degli elementi della stessa sua ossatura e della sua ispirazione. Questo principio ha valore non solo tra con temporanei, ma fra tutte le epoche della storia. Quando dunque il nostro Signor Gesù Cristo ha detto a Giovanni, a Pietro, a Tommaso e ad altri suoi discepoli, nonché ai settanta ch’orano intorno a lui: « Io vi mando, chi vi ascolta, mi ascolta, e chi vi respinge, mi
respinge », Egli ha detto una parola che. oltrepassando il capo dei suoi uditori immediati, si rivolgeva ai più distanti discepoli dell’epoche più lontane. Ei pronunciava una parola non solo di contemporaneo avente, in mezzo al suo popolo, un posto, un tetto famigliare, delle radici nazionali; ma parlava in qualità di contemporaneo di tutti i sècoli, avendo ricevuto in Lui — da parte di Dio, che lo aveva inviato — qualcosa d’eterno, che non conosce nè mattina, nè sera, nè passato, nè Ssente, ma un elemento permanente.
o, immutabile, sebbene vivo e dotato della facoltà di trasformarsi attraverso i tempi.
Chi vi ascolta, mi ascolta! Ciò non si rivolge soltanto a coloro che hanno la pa-
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rola ufficialmente e per mandato, che si ascoltano pubblicamente, come autorità, col rispetto ,e la deferenza dovuti non alle loro persone — sebbene la loro persona debba sempre essere quanto più rispettabile è possibile — ma. attraverso le loro persone, a Colui di cui sono i rappresentanti. Il Signor Gesù ha voluto designare ugualmente chiunque parla, ispirato dal suo spirito e dallo spirito del Padre che l'ha inviato. Certo, ei diceva: « Chi ascolta il minimo dei miei discepoli, il più umile della famiglia, il più modesto d’infra il popolo Snello mi ascolta », e con ciò Egli rispon-eva ad una aspirazione molto profonda del nostro cuore.
Specialmente nelle circostanze di grande importanza, piace udire una voce che interpreta il dovere, il diritto, che addita la via che apre degli orizzonti; piace udire una simile voce, col desiderio ch’essa sia veramente quella che occorre, ch’essa non sia semplicemente l'espressione d’una buona volontà, d’una benevolenza, d'un sentimento fraterno, ma della stessa autorità di Dio, vibrante attraverso i suoni che fanno muovere l’aria intorno alle orecchie nostre.
Dicendo questa parola: « Chi vi ascolta mi ascolta », il Signore ha dunque sancito fra noi un principio che assai conforta. Ma chi siamo noi per parlare, noi che vi parliamo, insomma, per delega? Chi siamo noi, e chi siete voi per parlare delle grandi verità che dominano il genere umano? Il nostro mandato comune non può provenire che dal nostro accordo colla verità, coi fatti, e collo spirito di Colui che ci manda.
Giammai ho preso la parola davanti agli uomini, senza il pentimento di questa responsabilità tremenda nella quale s'incorre allorquando si scuotono delle anime, allorquando si tocca quel meccanismo sottile e formidabile ch’è l’organismo psicologico d'un essere umano. Giammai ho preso la parola senza un timore, un tremore di far male, di far soffrire di più quelli che soffrono, di opprimere maggiormente ancora quelli che già sono caduti,, di provocare maggiori contraddizioni àncora, negli spiriti in cui già esiste la contraddizione: insomma di turbare e di far del male colla migliore intenzione di voler far del bene.
Allorquando si pensa che non si parla in nome proprio, ma nel nome di Colui che ci ha inviati, e che Colui che ci ha inviati ha detto: « Io sono il Figliuol dell'uomo »,
si diventa una voce che interpreta le cose profonde dell’umanità. Ciò che proclamiamo, non è più allora il nostro sentimento personale e sopratutto non è la nostra fantasia; ma è l'eco prodotto nelle anime nostre sincere dai grandi fatti dell'umanità e dalle grandi realtà. L’anima nostra è un’arpa che vibra sotto le dita dei fatti, e non solo di alcuni fatti materiali, di alcune realtà imperiose, ma di tutti i grandi fatti di cui si compone l’umanità, e quindi l’anima nostra è un’arpa che vibra sotto le dita di Dio stesso.
Qui sta la nostra forza qui sta la nostra consolazione. Infermi, ignoranti, deboli, siamo, invece, forti; sappiamo l’essenziale e disponiamo non più soltanto di quella debole luce ch’è nel nostro sguardo e in quello dei nostri contemporanei, ma di tutta la luce accumulata, attraverso i tempi, dai nostri padri, sotto lo sguardo di Dio e sotto l’ispirazione di Dio.
« Chi vi ascolta, mi ascolta! ». È evidente, fratelli miei, che una parola simile ha delle condizioni; altrimenti, essa è inoperosa, essa funziona male, o in modo opposto alla sua primitiva intenzione.
Allorquando il Nostro Signor Gesù Cristo lia detto: « Chi vi ascolta mi ascolta.», ha egli trattato i suoi discepoli come sem-Elici fonografi, che dovevano percorrere ; vie del mondo, per ripetere indefinitamente le medesime cose? Qual disonore sarebbe stato per essi di sentirsi in tal modo disprezzati da Lui, mentr’cgli intendeva, invece onorarli! Qual disonore avrebbero essi fatto subire a lui stesso supponendo che Colui il quale ha detto: « Le mie parole sono spirito e vita » mandasse nel mondo, per propagare là vita e lo spirito, semplici meccanismi automatici! Ora, che cosa diventa l’uomo, se non un automatico e meno ancora d’un fonografo, allorquando fa di sé stesso il ripetitore servile delle medesime forinole, attraverso tutte le epoche, a favore c contro a tutti?
Dunque, in primo luogo, perchè la parola ¡»ossa davvero verificarsi, occorre che cooro i quali parlano siano anime viventi, indipendenti, rispettate nella loro originalità. Ispirate dal soffio creatore di ogni convinzione vera, sen vanno in seguito, vivendo attraverso questa ispirazione, della propria loro vita. Così, sin dall'inizio, viene affermata la libertà della parola sacra.
In secondo luogo, distrugge le condizioni stesse della sanzione data da Gesù Cristo alle parole dei suoi discepoli allorquando
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dice: Chi vi ascolta, mi ascolta, ne distrugge le stesse condizioni colui il quale vuole erigersi, nel nome del Maestro, a dottore in filosofia, in legge, in scienze, in psicologia c parlarne, non perchè ha imparato qualcosa, ma forse precisamente perchè non ci capisce nulla; parlarne, non in nome d'una paziente investigazione, in nome di ricerche scrupolose, ma in nome di non so quale pretesa d’essere illuminato e istruito ancora prima d’aver fatto il minimo lavoro sperimentale.
Indietro dunque — in nome di colui che insegnava con autorità, rivolgendosi alla coscienza, all’intelligenza e all’esperienza degli uomini — indietro quello spirito oscurantista, il quale vuole opporre la religione di Gesù Cristo, la religione di vita e di libertà alla scienza normale, sincera, ardente, per mezzo della quale l’uomo risale lentamente i gradini della sua ignoranza, per imparare a meglio conoscere il cielo, la terra, e quanto lo circonda, nonché sè stesso, dal punto di vista materiale e spirituale! Il Nostro Signor Gesù non ha mai voluto essere un dottore, nè in scienze naturali, nè in sciènze politiche. Il nòstro Signor Gesù Cristo ha insegnato la grande fiducia in Dio, e l’impiego scrupoloso dei mezzi che Dio ci ha dati, tra i quali vi sono la ragione, il buon senso e la coscienza. Ricordatevi la parabola dei talenti e la .sentenza, sopra colui che aveva sepolto il suo.
Noi?’ avete dunque il diritto di parlare in nome suo allorquando ergete delrc pregiudiziali contro i fatti che sono di tutti i tempi, allorquando dommatizzate in nome d’una specie di scienza infusa, acquistata a priori in opposizione di quella che apre con rispetto, per decifrarlo con pazienza, il grande libro dèlie creazioni in cui il dito di Dio stampò la sua impronta. Chi dicesse « Parlo in nome di Dio ed invoco la Bibbia; dico che la creazione s’è fatta nel modo in cui è descritta dalla Genesi, tutto il resto altro non è se non invenzione umana », sarebbe un impostore, un malfattore. Egli impedirebbe agli uomini di cercare, colla scienza, ciò che Dio stesso, nella lènta evoluzione della natura, ha nascosto nelle viscere della terra, affinchè coloro che ne hanno la curiosità possano, nella continuazione dei Secoli, cercarvela e scoprirla.
Il vero protocollo della creazione non è il primo capitolo della Genesi, sono invece le stesse stigmate della grande evoluzione terrestre del suolo Sul quale siamo. Quando
nella Genesi è detto: «Al principio Dio creò », ecco Vessenziale da ritenersi. Al principio di tutte le cose vi è Dio, e tutte le scienze che impariamo non cambieranno ciò in nulla. Ma questo vuol dire forse: Cessate dal formulare questioni, dal cercare, dall’imparare, dal compitare l’inesauribile libro delle maraviglie, per affermare che la parola « Sia la luce b la luce fu » proclama definitivo e infallibile un vecchio testo veneràbile, che deve essere del continuo completato?
Al principio, vi è Dio, e Dio ci ha dato i mezzi — dandoci una intelligenza e una coscienza — di orientarci da per noi stessi e d'approfondire l’opera sua di generazione in generazione. Tocca a noi di servircene. Così uniremo il rispetto pei Testi sacri scritti colla mano tremante degli uomini e il rispetto pel testo sacro composto da Dio stesso nelle sue opere immortali.
Distrugge le condizioni principali dèlia parola di Gesù Cristo anche colui che vuol erigersi a dominatore, a maestro delle coscienze, tanto che uno solo diriga il movimento e che tutti gli altri camminino esattamente come se fossero delle pedine sopra una scacchiera. L’autoritarismo è la vera e propria negazione dell’autorità spirituale. Quando dunque, nel nome di Nostro Signor Gesù Cristo, si vuole arrestare il cuore, imporre mutilazioni alla natura e intraprendere non più quella lotta leale contro il male che è in noi, ma la soppressione della vita; allorquando si vuol correggere l’opera stessa di Dio, in nome di non so quale ascetismo meschino e malinteso, non si può dire: « Chi vi ascolta mi ascolta ».
D’altra parte, se, dopo esser stato mandato, si arriva lentamente a sostituirsi a colui che manda’e a dire: « Sono io », come un certo re di Francia ha detto: « Lo Stato, sono io », mentre altro non era che il suo delegato; allorquando nel potere civile ci si dichiara insediati per la grazia di Dio. o nel potere spirituale, ci s’intitola investiti di onnipotenza dalla stessa mano divina, come hanno fatto tutti gli autocrati religiosi di tutte le religioni qualunque esse siano, la nostra come quelle più antiche, v’è un caso di usurpazione e, in ultima analisi, d’impostura.
Se colui che pretendesi inviato in tal modo dimentica Colui che l’ha inviato, ei dice: « Dio sono io ». Se toccate le sue affermazioni presuntuose, l’intollerabile impresa d'oppressione ch’ei prosegue, ei vi chiama ribelli. Con che diritto? La libertà
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non è (lessa voluta e rispettata da Dio stesso? Ei ce le ha date: !a libertà di coscienza, la libertà di ricerca; e nessuno, se non vuol rinnegare la nobiltà assegnataci da Dio stesso, ha il diritto di rinunciarvi. Perchè si toccano vecchi abusi, superstizioni malefiche, dannose roulines, errori che ostacolano il progresso, voi dite che si tocca Dio! Credete voi che vi sia lecito coprirvi della santa parola d’ogni autentica missione: Chi vi ascolta, mi ascolta, chi vi respinge mi respinge? No davvéro; anzi le parti sono invertite a tal punto che ascoltandovi Lo si respinge e che respingendovi Lo si ascolta.
Fratelli miei, i veri discepoli di Gesù Cristo sono modesti, giammai si sono prevalsi in modo arrogante del fatto che il Signore ha loro detto: a Chi vi ascolta mi ascolta:». Ei sono andati attraverso il mondo col capo chino, col volto pensieroso picchiandosi il petto, dicendo a sè stessi: « Che poveri discepoli noi siamo, indegni spesso di Colui che ci ha mandati!»
All’opposto, i falsi profeti camminano colla fronte altera, seminando la menzogna. Usurpatori del titolo dello stesso Iddio e del nome di Gesù Cristo, essi hanno in ogni tempo, nel più pretenzioso dei modi, coi più larghi mezzi di pubblicità e di boria, fatto suonare innanzi a loro colla tromba: « Chi vi ascolta mi ascolta ». Sulle loro labbra è la bestemmia.
Su tutti coloro che sfigurano, che snaturano razione sua e quella di Dio sulle coscienze, che riducono l’umanità in servitù, la trattano come un vii gregge, scende come fulmine vendicatore la parola di Gesù: « Indietro, operatori d’iniquità, io non vi conosco! ».
Fratelli, volgiamo il cuore e lo spirito verso considerazioni più confortanti.
Lo scienziato, nella cella dov’era stato rinchiuso, costringendolo a dire contro la sua certezza: « La terra non gira », esclamava battendosi la fronte: Eppur si muove. Anche noi diciamo: « Eppure è vera questa parola. È una parola di luce, una fonte di di verità »! Chi vi ascolta, mi ascolta, e chi mi ascolta, ascolta Colui che mi ha inviato. Sì! chiunque siate, purché siate col cuore e coll’anima presso al Maestro divino, allorquando parlerete al dolore e lo consolerete, non con delle consolazioni mortali ed effimere, ma coll’immortale bontà di Dio, allorquando gli affermerete che tutto fi
nirà bene, nonostante i passi oscuri e i disordini apparenti, ditevelo bene, e che si senta e si sappia: non è più ih nome vostro che parlate, siete troppo piccolo davanti al dolore e alla morte. Uno, più grande del dolore e dèlia morte, vi ha scelto per messaggero.
Colui che consolate in tal modo non è consolato da una parola non duratura; è Dio che, per mezzo vostro, gli parla. Colui che soccorrete nella sua anima o nel suo corpo, non è soccorso da una povera mano d’uomo, — la dolcezza, nella mano che consola, è lo Spirito che agisce per mezzo di quella mano. Nella commovente sua fragilità, èssa è sostenuta dall’Eterno Iddio. L’universo intero, colla sua potenza, la sua forza, la sua organizzazione, e tutta l'energia divina sono dietro a voi.
Allorquando soli, misconosciuti forse, e considerati come uomini senza mandato, vi ergete di fronte al disordine, davanti al delitto, o delle masse o di coloro che sono in alto, e che, a rischio di farvi tappar la bocca, e di farvi distruggere, voi gridate alta e forte la verità, non siete più una povera unità dinnanzi ad una maggioranza schiacciante; no, siete un faro nelle tenebre: Chi vi ascolta, mi ascolta! Attraverso la voce vostra che si vuol soffocare nel sangue, vive e si propaga il suono immortale, che s’è iniziato col primo raggio degli astri e che non cesserà mai. Non parlate come qualcuno che muore, ma come qualcuno che semina la sua vita nei solchi dell’avvenire.
Allorquando istruite la gioventù contro il vizio, lo scetticismo, lo scoramento, la disorganizzazióne della condotta, la sozzura invadente; allorquando istruite la gioventù ed avete la visione dell’anima pura, dell’anima buona che Dio ha messo in ogni uomo, in ogni fanciullo; allorquando parlate a quelle gentili -bambine che. domani, saranno madri di famiglia, che sono liete e piene di speranza, la cui anima si apre all’avvenire in mezzo alle difficoltà presenti; non è in nome vostro che agite. Il sole che sorge, la grande germinazione oscura sotto i solchi, tutto ciò che concorre acchè la speranza non muoia mai, congiura assieme a voi...
Allorquando avete dinnanzi a voi la falange di quella prcadolescenza, di quei giovani le cui ossa non sono ancora compieta-mente consolidate, il cui carattere non è ancora formato, ma che sono come il rampollo di cui parla il vecchio profeta, sorti
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sopra un tronco quasi raso al suolo; allorquando sentite tutta la vecchia e cara patria dell'ideale sussultare in voi per quei fanciulli che sono la semenza dell’avvenire, non parlate loro più soltanto in nome vostro, in nome degli uomini di questo tempo, ma in nome di tutti i morti avvolti nella bandiera, in nome di tutti coloro che sono partiti e che sono più vivi di noi, in nome aell’Eterno Dio ch’è il Dio dei sacrificati, il Dio di tutti coloro che combattono per il diritto, il Dio dell’avvenire.
Dovunque andate, allorquando parlate ai lavoratori, di fronte al caos che ha sostituito la civiltà nei luoghi in cui è passato il carro della guerra; allorquando parlate a coloro che raccattano i pezzi, che ricominciano, a quelli che non sono scoraggiati ma rimettono la mano all’opera; allorquando dite loro: « Coraggio! » allorquando siete con loro di cuore e d’anima, allorquando vi rimboccate le maniche e con essi vi mettete al lavoro, vangando e martellando, allora il Grande Crocifisso, il divino riparatore delle breccie è con voi. Chi vi ascolta, l’ascolta!
Dovunque, nell’oscurità, un essere u-mano non dispera, ma si raccoglie nel lutto, nella desolazione; dovunque qualcuno dice: « Eppure, v’è ancora un avvenire per l’umanità! e io lavoro per quel l’avvenire! » potete esser sicuri Ch’Egli è dietro a voi Colui il quale dice: « Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati! » Se siete nella linea della sua ispirazione; se dimorate in Lui e Lui in voi, è Lni ancora che
sarà ascoltato, quand’anche in tempi nuovi, davanti a circostanza da lui mai conosciute, voi diceste cose ch’egli non ha mai dette. E le sue pecore, attraverso la vostra voce, udranno la sua: « Chi vi ascolta, mi ascolta, chi m’ascolta, ascolta Colui che mi .ha inviato ». S’adempierà la parola: « Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno! ».
Ecco, fratelli miei in che modo bisogna capire la parola divina, specie in questi tempi, in cui si ha bisogno di speranza, di coraggio persistente.
Dietro a tutti gli uomini di buona volontà, dietro chiunque stringe con effusione la mano d’un altro, provando il sentimento d’una profonda fraternità; dietro a chiunque medica una ferita o soccorre un disgraziato; dietro a chiunque si china sulle spoglie dei defunti, sentendo ch’esse non rappresentano la distruzione ed il nulla, ma sono invece semenza d’immortalità; dietro a chiunque vive in questo modo la sua vita — la povera vita dell’umanità, -— in uno spirito vivace, mattutino, raggiante; dietro a tutti costoro s’alza il Cristo e sorge Dio stesso.
L'uomo che parla in nome Suo non sarà come un debitore insolvibile, il quale trae sull'avvenire delle tratte ch’egli giammai potrà pagare. Tutte le sue promesse, qualunque esse siano, resteranno al disotto delle grandi, delle ricche e sublimi realtà, in nome delle quali egli eleva la voce tra i Suoi fratelli.
Carlo Wagner.
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MATTIA FLACIO
(un istriano campione della riforma)
Nell’Istria, ad oriente dell'Arsa, del fiu-micciattolo che Wilson avrebbe voluto sta-. bili re a confine d’Italia, v’è il giacimento carbonifero oggi per noi più importante. E sono precipuamente quelle cave di lignite che fanno conoscere la cittadina di Albona, che vanta d’altronde una tradizione storica, ricca di fervidi esempi di patriottismo, esprimentesi — come un dì nella fedeltà a Venezia — nei tempi più recenti nell’amore all’Italia. Albona nell'irredentismo italico ha un posto eminente, così come lo ha nella cultura nazionale.
Difatti, essa che diede degli apostoli alla causa patria e dei volontari alle nostre guerre di riscossa (l’ultima compresa), con neppure 2000 abitanti enumera oggi quasi un centinaio di laureati e due suoi figli sono attualmente annoverati fra i più illustri insegnanti universitari del regno.
Sembra bene strano che un borgo anche oggi tanto appartato e difficilmente accessibile per quanto riguarda le comunicazioni, abbia avuta onorifica menzione nel movimento intellettuale pur dei secoli passati, e che al grande fatto della Riforma religiosa, che ebbe l’espressione più concreta nel luteranesimo, abbia recato il contributo d’uno dei più tenaci, fattivi e dótti campioni, di un maestro eminente, d’un teologo, storico e filologo insigne, d’un combattente apostolo e soldato inflessibile. Il quale illustro le più rinomate università della Germania, di quella Germania, con cui Albona non ha ora nè tanto meno ebbe allora legame di sorta.
• « «
Mattia Flaeio (Francovich), « uno dei più sapienti teologi della confessione augu-stana » (come lo dice il Bayle) nacque ad Albona d’Istria, — allora fedele terra veneta — il 3 marzo 1520 da Domenico Francovich e da Giacomina Luciani.
Nei primi anni gli fu maestro un suo congiunto pure albonese, appartenente all’ordine francescano, che nelle dispute religiose dell’epoca enunciò dei principi teologici arditi, troppo in contrasto con l’ortodossia praticata dalla Repubblica veneta: Fra Baldo Lupetino, morto difatti martire a Venezia, sotto imputazione d'eresia.
Questo teologo, non apprezzato fino ad oggi abbastanza, influì indubbiamente in modo determinante sul Flaeio. Il quale non ancora ventenne nel 1539 (secondo alcuni già nel 1536, ciò che è improbabile), dopo aver percorso gli studi umanistici a Venezia, abbandonò definitivamente la patria per non ritornarvi più. E non vi ritornò difatti neppure quando trattossi della vendita del patrimonio, che vi possedeva in comunione con una sorella.
Egli, dopo breve permanenza a Basilea e a Tubinga, si stabilisce nel 1541 a Wit-tenberga, prima quale discepolo di Lutero e di Melantone e indi (dal 1544), in grazia loro, poi quale maèstro di ebraico. Era intima l'amicizia fra i tre; ma quella fra il Flaeio e il Melantone nondurò a lungo. Per la diversa indole, intransigente e
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NOTE E COMMENTI
SI
sdegnosa nel primo, mite e placida, forse per influsso d’una cospicua educazione classica nel secondo, essi divennero, in troppo breve tempo da amici avversari.
Ciò avvenne nel 1548, a causa del-l’.«interim> di Ratisbona, seguito, nel 1549, da quello di Lipsia, che doveva essere una pausa di pace nella lotta fino allora asprissima fra cattolici e protestanti.
zelantone s’adattò all’interim pur cercando di alleggerirne l'importanza, a mezzo d’un'interpretazione equivoca (adia-phora-adiaphoristi).
Flacio invece, oltre a gettare sull’tn-terim stesso il disprezzo, iniziò contro colui che gli fu maestro ed amico e contro la di lui scuola una polemica, senza ritegno, scegliendo a propria residenza Magdeburgo la città ribelle all'autorità dell’imperatore cattolico; la città contro cui fu inflitto il bando dall’impero e intrapresa una spedizione punitiva.
• « •
Nella intransigenza quasi cieca e spinta, per così dire, alla cocciutaggine Flacio persistette sino alla morte. E coi criteri da tale intransigenza suggeriti egli trattò in seguito ogni altra questione, affrontò tutte le altre polemiche e sfidò uomini e cose. Gli fu perciò riservata un’esistenza inquieta, piena di vicissitudini e randagia, cui s’attagliava, a perfezione, il detto biblico: « Militia est vita hominis ».
Nel 1557 troviamo il Flacio non più a Magdeburgo, ma professore nell’università, dai rigidi principi protestanti, di Jena.
Nel 1555, dalla pubblicazione dell’opera: «De libero arbitrio» da parte del Pfef-finger, egli aveva tratto motivo per iniziare, insieme a molti suoi seguaci — citeremo fra questi Amsdorf, Musaus e Wie-gand — una polemica, che si protrasse per diversi anni con acredine e con desideri e tenttaivi di vendetta.
Fra i teologi protestanti già prima del 1555 s’erano manifestate delle disparità di vedute, riguardo al principio della grazia, formulato da Lutero in un senso opposto al domina cattolico. Alcuni dei teologi, difatti, si scostavano dallo stesso maestro inchinando alla dottrina — pur senza accettarla — della Chiesa di Roma.
Questi teologi, detti Synergisti, erano anche riusciti a fare accogliere il loro punto di vista nell’iwterim del 1549.
Iniziata nel 1555 la polemica (nomata
da loro synergista), Flacio ebbe già un primo successo appunto con l’essere chiamato a coprire una cattedra, all’università di Jena, donde poteva colpire più terribilmente e efficacemente gli avversari.
Si faceva forte pur dell’appoggio della Corte ducale wittemberghese, che con lui parteggiava, a differenza dei wittenber-gesi stessi.
Per incarico della Corte, egli compilò l’opera: «Sòlida confutatio et condem-natio praecipuarum corrupt 'lanini secta-rum etc...»; opera che doveva confondere ogni suo avversario e che, pubblicata , nel 1559, apparì come il simbolo del protestantesimo incapace a rinuncie e a tem-Seramenti e tutore geloso c scrupoloso ell'integrità della dottrina luterana, mentre l’autore si affermava, come un oracolo.
Altri successi ebbe ancora il Flacio. Divenne soprai ntendente ecclesiastico: e perfino la di lui smania, non scusabile, se pure un po’ comprensibile nel fervore della polemica di assistere alla disgrazia degli avversari, fu appagata.
Per suo desiderio vennero imprigionati due dei più noti synergisti, e precisamente Strigel é Hügel.
Ma la fortuna è volubile e volge le spalle perfino a chi se ne crede più sicuro.
Il favore della Corte ducale cessò ad un tratto per il Flacio, quando egli nelle sue affermazioni sulla grazia giunse nel 1560 al punto di dichiarare il peccato mortale sostanza dell’uomo.
Deposto sotto l’imputazione di mani-^ cheismo nel 1561, per sottrarsi a persecuzioni dovette riparare a Ratisbona.
Contemporaneamente, o poco di poi, venivano deposti pure quaranta predicatori flaciani, mentre Strigel nel 1562 usciva dal carcere.
Non fu lungo il soggiorno dell’inflessibile teologo a Ratisbona, poiché neppure lì soffiavagli vento propizio.
Emigrò quindi successivamente forzato da bandi continui ad Anversa (1566), ove fu consigliere ecclesiastico, a Francoforte sul Meno e a Strassburgo (1567), per ritornare a Francoforte (1573), dove nel 1575 lo colse, in mezzo alle disgrazie, la morte.
Intanto nel 1567 così il suo manicheismo: come il synergismo di Strigel avevano ricevuto il colpo-di grazia per opera del duca Giovanni Guglielmo di Weimar, che aveva favorito la conCretazione di una formula concordataria fra le due parti contendenti. Il Flacio però rimase sempre irremovibile
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BILYCHNIS
nei rigidi principi con le estreme conseguenze, cui vi era giunto.
• • ♦
Del Flacio oltre all’opera già citata ci restano altre opere di non indifferente importanza, quali: « Catalogus testium veri-tatis (Basilea, 1556) e « Clavis scripturae sacrae » (Basilea. 1567).
Ma l’opera che più a’ogni altra lo rende illustre e ne tramanda alla storia il nome è là redazione delle «Centuriae magden-burgenses ». È una dettagliata storia ecclesiastica chiamata centuriae per il rispettivo ordinamento, o meglio divisione fatta per secoli.
In essa l’autore vuole dimostrare il diritto d’esistenza della Chiesa luterana nel passato e farne così la glorificazione.
* * * «
Mattia Flacio fu insieme un eminente teologo storico e filologo (scrisse un latino correttissimo) cd apparve un caposcuola nel più genuino dei significati.
La sua attività si svolse su suolo germanico. ma — a parte i principi da lui sostenuti ed i metodi da lui usati — egli resta qn’illustrazione italica e il vanto costante d’unà cittadina, che venne ridonata all’amplesso della Madre Patria, dopo essere stata la fedelissima di Venezia ed essersi strenuamente difesa per tanti anni — come un dì contro il predone uscoeco — contro il diretto discendente di questo, il croato.
Flacio, pur lontano nel vortice d’una vita agitata cd errabonda, non obliò il paese na
tio. Ed alla Serenissima che lo comprendeva nei propri confini, in ubbidienza al categorico precetto della propria coscienza, inviava due dotte epistole (♦).
In esse il grande maestro si proponeva di persuadere la Repubblica, della quale si dichiarava suddito e devoto, ad abbracciare la Riforma.
Egli vi considerava l’immensa importanza dell’esempio che da uno Stato tanto saggio, quanto potente sarebbe ridondata all’Italia intera e fuori della stessa. E ad intraprendere il tentativo non poteva indurlo più d’ogni considerazione l'amore patrio?
Mà dai supremi moderatori di Venezia, tenacemente attaccati all'ortodossia cattolica. gli scritti del nostro albanese furono giudicati eretici, perversi e maledetti.
• • *
Ho terminato. Solo constatiamo, con orgoglio, come nel grande movimento della Riforma religiosa, e appunto sulla sua scena, principale, il suolo germanico, spicchi per grandezza ed importanza una figura, che appartiene a noi Italiani.
Gorizia, febbraio 1920.
V. Ma russi.
(•) I. 1565 - Christiana adhortado M. FL. Illyrici, ad Serenissimum Principe!» et Inclytuin Scnatum Venetiarum, ad scrutandam inquiren-damque ex coelestibus sacrarum iitcrarum ora-culis veritatem in praesentibus Religionis contro-versiis et Anticbristi revelatione.
II. 1570 - Serenissimo Principi angustiasi moque Senatui Venetiarum, etc.
ROOSEVELT
1.
Si è, di recente, costituito a Roma un Comitato pei onorare la memoria di Teodoro Rooselvelt.
Esso (che fa parte di più ampio Comitato mondiale) è presieduto dal sig. Nelson Gay: il noto insigne storico e studioso americano. uno dei più autorevoli e sicuri amici dell’Italia, benemerito al massimo grado del nostro paese, per quanto egli fece tra noi e per noi, in ogni occasione e special-mente durante la guerra.
Non so se la sottoscrizione alla quale, all infuori e al disopra dei partiti, fa apE L’ITALIA
pello tale Comitato, sia di carattere inter nazionale o limitata ai cittadini americani.
Nel primo caso, non mancherà di farla sua l’iniziando grande istituto italo-ameri-cano — che molto gioverà-al miglior incremento dei rapporti intellettuali tra i due paesi — e del quale è consigliere dele-Sto uno dei migliori ingegni della nuova dia: l’avv. Salvatore Lauro.
Giova partecipare, intanto, idealmente a tali onoranze, ricordando il grande presidente. l'integro pensatore, il fervido ami co dell'Italia che — or è oltre un anno — a Oyster Pay, sulla soglia dell'Atlantico sonante, conchiuse la sua, tutta contesta di energie, sicura e robusta vita militante.
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NOTE E COMMENTI
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Strenuous lifc! Milizia di vita! Quello che a taluno potè parere solo il titolo di un libro, non era il motto del programma di un’intera esistenza, pervasa dà inesausto fervore ?
Perciò questo figlio d’America appare tra i più genuinamente rappresentativi del suo grande Paese; poiché tutta la sua attività — la sua vita stessa — è la espressione di una realizzata armonia tra le due tendenze (e, però, tra le due classi di uomini) onde rUnione risulta: quella degli spiriti avventurosi — dei pionieri delle esplorazioni e delle grandi caccie della rude vita — e quella dei pellegrini dell’ideale, votati all’apostolato del pensiero.
Rappresentativo suo, con alta fierezza io vede òggi — nel simbolo della vita risorta — la grande Unione celebrandolo con tale apoteosi che lo pone tra gli esemplari maestri di energia c civile dignità.
Veramente « he played thè game » ha ben giocato la sua partita » (e più che a tavolino, alla grande aria delle turbinose vicende umane) questo coraggioso pioniere dell’avventura e del dovere. Con la sua vita conchiusa in un estremo rigoglio di virilità, la sua imagine — non tocca dalla vecchiezza — rimane scolpita in un definitivo atteggiamento di forza e nobile veemenza e concitata rettitudine, quale si disegna dal suo ultimo libro I nemici in-terni — il suo testamento — pubblicato poche settimane prima della sua fine.
II.
Nato da un’antica famiglia americana (di quelle di origine puritana, che véramente, come scrisse il Carlyle, recarono, tre secoli or sono, al giovane corpo dell'America la sua anima, cioè i suoi più alti ideali di rettitudine sincèra), egli associò durante i primi quarant’anni di sua fervente esistenza il lavoro politico e di studio a quello della campagna, della rude giornata nell’ampia libertà della prateria: con-senso di totale aspirazione a « tutte le forme » di vita americana.
È della sua giovinezza il saggio contro gli Abusi della ricchezza è della sua giovinezza la Vita di Oliviero Cromwell — è - della sua giovinezza il libro La vita al rancho.
Queste tre manifestazioni di attività dicono tre linee di vita, tre lineò che conversi
gono a un'unica armonia: quelle di un carattere di sana e complessa unità.
Già lo vediamo: questo militante dei-attività fisica non meno che della spirituale può, con uguale genuinità, rappresentare tanto la vecchia America pittoresca dai fortilizi contro gli Indiani, dagli accampamenti dei cacciatori di castori, dalle caccie al bisonte, quanto i suoi avi puritani, esuli della libertà religiosa e morale. Potrà, se voglia, dire come persona di famiglia, tanto l’elogio di Buffalo Bill al cospetto della prateria percorsa dai venti, come quello di Beniamino Franklin nella sala del Giuramento delle tredici Nazioni.
Cosi il «cowboy» infaticato, divenuto nella campagna di Cuba, colonnello di un S¡mento di cavalleria dalle gesta legarie, non tarderà a far visibile a tutti, compagno del suo coraggio militare, qucl-l’altissimo coraggio civile che lo porterà, di lotta in conquista, alla Presidenza della Repubblica.
Tale la vita esterna dell’uomo. Ma essa è anunziatrce di tale vita interna che appare — a chi si indugi a scrutarla — ancora più bella. E chi alla meravigliosa combattività di quest’uomo poteva dare il segnale dell’azione senza posa, chi, se non la volontà del suo animo intrepido? In parecchi suoi libri — come In Ideali americani e la Vita del Governatore Morris — Teodoro Roosevelt aveva dichiarato il suo concetto della vita e della missióne dell’uomo nel mondo: ma a nessuno dei suoi scritti, io credo, affidò così interamente il suo pensiero come a quel volume dei suoi discorsi che. uscito diciotto anni or sono, egli volle presentato da un titolo veramente rappresentativo: Strenuous life: vita militante, vita di lotta.
L’autore di questi appunti fu dei primi a segnalarlo in Italia e a dichiararne il valore.
III.
Sono ‘ discorsi, ho detto, quelli che si trovano raccolti in questo volume che formano una delle più limpide tra le autobiografie morali dell'età nostra.
E già nel primo di essi, tenuto in quella metropoli di Chicago che è come il cuore della vita commerciale dell'immensa nazione, il Roosevelt inizia il suo dire con parole in cui è già tutta la missione di un uomo e della sua eloquenza:
« Indirizzandomi a voi, cittadini della « maggior città dell’occidente, uomini dello
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BILYCHNIS
« Stato che al Paese ha dato Lincoln e « Grant, uomini che in modo distinto ed « elevato incarnate tutto ciò che il carattere « americano ha di più americano, io vorrei «parlarvi non della dottrina dell’ignobile .« ozio, ma di quella della vita in cui si « soffre e si lotta, in cui si fatica e combatte « — vorrei dirvi della più elevata forma « di successo che ottiene non un uomo che « solo desidera la facile quiete, ma colui « che al pericolo, alle difficoltà, all’amara « sofferenza non si sottrae, ma ne fa la base » di uno spie.-.dido trionfo finale ».
E tutta la sua parola non è, per lunghe e lunghe pagine (in cui il pensiero fluttua e freme come metallo in fusione) se non la dichiarazione e la magnificazione dell’alta e ardua vita di lotta e di sforzo che il dovere presente impone ai capaci, delle responsabilità che dobbiamo accogliere, delle iniziative con cui dobbiamo risoluta-mente affermare la nostra individualità e la nostra potenza...
« Vi dico dunque, concittadini, che il nostro Paese non domanda una vita tranquilla, ma una vita di sforzo. Il futuro sorge oscuro davanti a noi, grave dei destini di molte nazioni. Se ci manteniamo indolenti, se cerchiamo solo agi oziosi e una quiete ignobile, noi sfuggiamo alle aspre battaglie nelle quali gli uomini devono trionfare a rischio della vita e di ogni cosa amata,
« Fronteggiamo, dunque, arditamente la vita di lotta, risoluti a compiere bene e fedelmente il nostro dovere, a difendere i! diritto con l’atto e con la parola, ad essere insieme onesti e valorosi, a servire un alto ideale e adoperarci a raggiungerlo con mezzi pratici. E, sopratutto, non titubiamo davanti a nessuna lotta, quando siamo certi che essa sia giusta.
«Se vi.è nell’epoca nostra una tendenza più che ogni altra malsana, è quella che porta a deificare il semplice brio, non accompagnato da un sentimento di responsabilità- morale »....
IV.
e Siamo di fronte al miglior pensiero americano ed umano: quello che protesta contro « l'abbassamento delle bandiere vitali » e si fa campione di tutte le virili virtù.
. L’uomo che lo ha dichiarato e vissuto ha diritto alla riconoscenza di coloro che si
sentono cittadini della migliore città ideale di domani.
E, intanto, non meno che dei suoi, di noi che ci sentiamo e siamo cittadini dell’Italia e di Roma.
Su Roma e l’Italia egli scrisse parole lucide e degne che, in questo momento, in cui dall’Italia parte la voce di un Comitato che lo commemora, dobbiamo ricordare.
« Due volte l’Italia fu a capo della civiltà e del mondo. La prima nei giorni in cui, sotto l’impero di Marc’Aurelio, Roma raggiunse l’apice di sua gloria e di sua potenza: la seconda, quando effettuò la meravigliosa riproduzione della vita antica nei Comuni di Amalfi e Pisa e Firenze e Genova.
_ « Ed ora, in questi ultimi sessant’anni, sin dalla battaglia di Novara, noi abbiamo assistito ad un meraviglioso progresso; il quale ha fatto l’Italia quale è oggi e quale già ci è dato prevedere per l’avvenire.
« Quando i pessimisti affermano che non esiste più civiltà, noi possiamo rivolgerci all’Italia, donde l’Occidente trasse la sua civiltà e dove non sappiamo se meglio ammirare il passato o_ciò che per l'avvenire essa si serba».
E ancora:
« Non solo Roma lasciò un vasto retaggio di letteratura, di giurisprudenza, di coltura, di sapienza politica a tut£oil mondo moderno, ma infuse nelle vene del popolo d’Italia un rigoglioso seme di vitalità perenne.
o Da questo seme germogliarono i Comuni del Medio Evo, quando tutto il resto di Europa era ancóra immerso nell’oscurità del feudalismo, germogliò la luminosa epopea del Rinascimento e finalmente si è schiusa una nuova e meravigliosa vita, quella della terza Italia ».
Queste parole su Roma, a Roma furono scritte, quando Teodoro Roosevelt vi soggiornò in occasione del suo ultimo viaggio in Europa, alla fine del suo periodo presidenziale.
Ringraziamolo di questa fede: fieramente oggi ne possiamo alimentare la nostra. •
La Città che fu maèstra di energia indomabile ravvisa nel nobile figlio d'America — Che oggi coopera ad onorare — uno dei suoi figli ideali.
Arnaldo Cervesato.
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NOTE E COMMENTI
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PER L’EDUCAZIONE NAZIONALE
Il fatto più spiritualmente significativo prodottosi nel campo scolastico in questi ultimi tempi — e fa cui significazione va oltre, appunto, ai confini strettamente scolastici, per involgere tutto il campo della vita nazionale — è la costituzione del Fascio di educazione nazionale, che ha già. raccolto nelle sue file gli elementi più intellettualmente — se non burocraticamente — rappresentativi della scuola e della liberà cultura. L'attività del Fascio è, per gran parte, ancora potenziale; chè difficoltà d’ordine pratico sopratutto vietano di agire con quella risolutezza di programma e immediatezza di resultati, che sarebbe nel desiderio de’ promotori e di ehi simpaticamente li segue.
Un breve sguardo alle sue origini ne -chiarirà i fini e le possibilità di azione.
Da alcuni anni non pochi spiriti che vivevano nella scuola e per la scuola, e soffrivano del suo innegabile decadere, ■andavano ribellandosi alla soffocazione che in essa si compiva di ogni sana energia nazionale, nè stimavano di potervisi proficuamente opporre in quelle organizzazioni, che presumevano di esprimere 1 più squisiti valori spirituali della scuola: e non riuscivano a darci invece, che la più schietta essenza di « classe » quando non servivano a scopi obliquamente politici e settari.
Gli scritti altamente nazionali del Va-risco, chè, pur limitati a una ristretta ■cerchia di conoscitori, ricordavano l’opera di restaurazione compiuta dal Fichte pel suo Paese, avevano avuto il valore di ri-scotere in non pochi spiriti — naviganti in pieno oceano umanitaristico — la sopita coscienza nazionale; di ridestare un senso di italianità vigoroso e concreto, di imporre la considerazione del problema della •educazione nazionale nel significato di una educazione integralmente umana.
Nello stesso tempo segni forieri di nuova vita e di più consapévole coscienza, si manifestavano in tutta l’attività più propriamente politica della Nazione.
Intanto, fin dal 1913, nelle pagine di La nostra Scuola di Milano, si svolgeva
sul problema della scuola nazionale una ampia discussione, che lo scrivente ebbe l’onore di iniziare, e alla quale parteciparono alcune tra le menti più insigni della Nazione (1). E già, fin ¿’allora, intorno alla rivista — che presso che sola vigorosamente combatteva per una concezione idealistica e insieme nazionale della cultura e della scuola — si accentrava un primo nucleo di insegnanti di ogni grado, desiderosi di esplicare la loro attività scolastica ed extra-scolastica al di fuori di ogni schematismo burocratico e di ogni infiltrazione settaria. Conchiudendosi, provvisoriamente, la discussione, si manifestava il proposito di avviare risolutamente la scuola verso una concezione concretamente nazionale — cioè nazionalmente umana —- della scuola, sotto il duplice aspetto di strapparla alla incompetenza burocratica, e al confessionalismo di sette d’ogni colore; e, insieme, si disegnavano le basi di quello che avrebbe dovuto essere il libero ministero della pubblica istruzione.
I consensi che da varie parti giungevano, accompagnati da caldi incitamenti allo agire; il momento che appariva singolarmente favorevole alla rinascita di tutte le energie nazionali — pur traverso agli inevitabili scotimenti e alle deviazioni che il parossismo d’un movimento forse senza pari nella storia, imprimeva al Paese — il felice esperimento dei maestri di Ascoli, spontaneamente costituitisi in magnifica compattezza contro ogni tendènza settaria, e per l'impulso delle idee nella nostra scuola dibattute; la riprova offerta dagli ultimi congressi magistrali e professorali della impossibilità di assurgere ad una visione veramente libera e nazionalmente fattrice della scuola, nell’àmbito degli
(x) La discussione fu poi raccolta in volume col titolo La scuola nazionale, a cura di V. Cento; con scritti di A. Anile, V. Cento, G. Ferretti, G. Modugno, R. Murai, G. Prezzolini, N. Terzaghi, G. Panna, B. Varisco, G. Vidari, G. Vitali, G. Volpe. Società editr. «La Voce», Roma 19x8.
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schemi di « classe » o di parte; tutto ciò insieme al rinnovato fervore di proselitismo che le «; organizzazioni » profondevano nella scuola e tra gli insegnanti, ^ecie elementari, ai fini della più impunte politica di parte — pur sotto le mentite spoglie della non mai abbastanza laudata libertà di insegnamento ; consigliarono i promotori a non protrarre più oltre il proposito di unificare le sparse iniziative e di addivenire alla costituzione di un : Gruppo d’azione per la scuola nazionale, il cui programma veniva pubblicato ne La nostra scuola, del maggio 1919; eccone i capisaldi:
1. Affermazione del concetto di scuola nazionale nel significato di una educazione integralmente umana; la Nazióne e lo Stato nazionale concepiti come il supremo organismo spirituale, nel quale i singoli concretamente e inscindibilmente si associano, e la cui vigoria e la cui libertà, quindi, è supremo interesse di tutti, ciascuno potendovi realizzare il proprio valore, in pienezza di autonomia.
2. Fare della scuòla il massimo istituto costruttore e cementatore della coscienza nazionale, educando nell’uomo il citta dino, e nel cittadino l'uomo.
3. Riconoscendo i valori culturali come la più alta espressione del valore stesso della nazione; constatando, d’altra parte, l’indegna svalutazione che in Italia di essi si compie, è degli uomini che ne sono i rappresentanti, anche i più cospicui; il Gruppo si propone un’intènsa opera di propaganda e di intima comunione per raccogliere e coordinare energie disperse e isolate.
4. Provocare una spietata selezione fra gli elementi della cultura, e una radicale riforma degli istituti di istruzione, a cominciare da quelli universitari, riforma imperniata sul rinnovamento dei concetti direttivi, e di uomini, meglio che di orari e di metodi didattici, intendendo che sia formato il maestro, prima che l’edificio.
5. Esplicare una energica opera di propaganda, interessandone le più-illuminate correnti della vita politica, perchè lo Stato rivolga alla scuola, e agli insegnanti di ogni grado, non il suo astratto interesse ideologico e parolaio; ma una concreta c adeguata disponibilità del bilancio.
6. Far sì che l’organismo culturale e scolastico esprima dal suo seno stesso le leggi del suo sviluppo, e l’autorità che ne regoli il ritmo. A questo scopo, il Gruppo
mira alla costituzione di un libero ministero della cultura nazionale, che valga nella vita della nazione non come un qualsiasi ingranaggio della ruota governativa e burocratica; ma come. il plasma stesso da cui si germoglia il volere e la forza della nazione: come un effettivo determinante della coscienza di Stato, e dei problemi che ne derivano.
7. Compiere opera’ di penetrazione e, insieme, di controllo nella stampa quotidiana e periodica: preparando un nuovo e organico orientamento della' sua costituzione e del suo funzionaìnento.
8. Estendere vigile attenzione a tutte le manifestazioni dell’arte (non escluso il teatro e il cinematografo), adoperandosi perchè nelle- scuole, di ogni grado, alla educazione artistica sia dato un più concreto valore; e perchè nella vita della nazione l'Arte riassuma quel posto che all’Italia permise di nobilmente distinguersi su tutte le altre.
9. Accogliere nella sua attività l’espansione culturale dell’Italia all’estero; sia adoperandosi perchè le nostre scuole all’estero esplichino una più organica e consapevole opera di difesa del carattere italiano nei nostri emigrati; sia perchè, per opera.di istituti e di centri di propaganda, il valore italiano e gli. interessi italiani — a traverso una profonda conoscenza dei valori e degli interessi dell’estero, finora in Italia indegnamente trascurati — trovino una solida base di affermazione e di svi-luppo.
io. Il gruppo non ha carattere di classe; afferma, anzi, che un’attività di uomini di cultura, come tali, non possa in nessun modo agguagliarsi a quella di qualsiasi altra • categoria ». Possono, quindi, appartenervi insegnanti di ogni grado, giornalisti e liberi studiosi; quanti, insomma, si interessino della scuola, siano persuasi che i valori" culturali debbono essere diversa-mente stimati, e assai più vigorosamente imposti nella vita della nazione, e intendano oppórsi a. che la scuola e gli insegnanti siano fatti strumento di sette o di partiti, od anche di particolari interessi.
Per ciò che riguarda il fattore religioso nella scuola, il Gruppo afferma come fondamentali nell'educazione i valori religiosi, quali storica e, insieme, immanente espressione del superiore bisogno della umanità; e si oppone, sia a ehi scioccamente li deprime, pervertendo le coscienze giovanili, sia a chi di essi intenda nella
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NOTE E COMMENTI
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scuola servirsi, per scopi particolarista-mente confessionali o politici.
Le adesioni giunsero, non numerose, ma significative; mentre un nuovo elemento di successo si aggiungeva col diretto confluire di un’altra corrente.
* ♦ ♦
Giuseppe Lombardo Radice ripigliava la sua feconda attività di educatore, che la guerra aveva non interrotta, ma rivolta ad un campo privato e molteplice, e pubblicava L'Educazione nazionale che in sostanza continuava il programma de 1 nuovi doveri, con un più schietto e vigoroso senso di italianità, che l’esperienza della guerra aveva maturato.
Al Lombardo si associava un altro animoso educatore, Ernesto Codignola, che nel congresso di Pisa degli insegnanti medi aveva tenuto testa alla furibonda canizza dei « classisti ».
Il Codignola, aderendo già virtualmente al programma della nostra scuola, aveva voluto tentar l’ultimo esperimento per infondere una nuova anima alla Federazione degli insegnanti medi e trascinarla a una politica di rinnovamento spirituale. Ma, al Congresso di Pisa, appunto, s’ebbe la riprova della inanità del suo sperare, e della necessità di battere altra via. Risolutamente si poneva, quindi, all’opera di organizzazione di un nuovo gruppo, al di fuori c al di sopra di ogni particolarismo di classe. Offriva l'autorità del suo nome quel grande animatore di coscienze ch’è Giovanni Gentile.
Era naturale che il sostanziale coincidere delle due correnti che facevan capo l’una a La nostra scuola e l’altra a L’Educazione nazionale, consigliasse i promotori di addivenire a un accordo per unificare i due movimenti.
Come prima conseguenza dell'accordo intervenuto, si pubblicava un appelloper un saggio di educazione nazionale nel quale si affermava la necessità di riformare per davvero la scuola, rimettendola in grado di poter funzionare normalmente, sfollandola di tutti gli inetti, insegnanti e alunni, e liberandola di tutti gli impacci che la soffocano e la meccanizzano; di rinnovare tutti gli istituti che preparano gli insegnanti.
Il Fascio — continuava l’appello — propugnerà una politica di ampio cd effettivo decentramento scolastico, che ponga ogni istituto in grado di assumcrc una spiccata fisonomía individuale, concedendo larga autonomia, sia dal lato amministrativo che didattico, al consiglio dei professori, con la cooperazione di un ispettorato tecnico scelto con ogni cautela e oculatezza fra i migliori uomini di scuola e di scienza ed assolutamente indipendente da qalsiasi tutela ed ingerenza burocratica. All’Amministrazione centrale, nella quale le funzioni almeno più elevate dovrebbero essere affidate a competenti di grande valore e non a impiegati di carriera, bisogna sottrarre qualsiasi forma di controllo preventivo. Da questo controllo è sempre derivata gran parte dei disordini che si lamentano nel regime vigente. Essa deve puramente attendere alla scrupolosa osservanza della legge da parte dei suoi dipendenti.
All'attuale artificioso affollamento della scuola di Stato, delle scuole medie superiori in particolare modo, bisogna rimediare con ima politica scolastica diametralmente opposta a quella seguita finora. L’istruzione in tutti i suoi gradi è funzione essenziale di Stato, il quale non potrebbe sottrarsi a questo suo dovere senza rinunciare al proprio carattere etico. Ma scuola nazionale o dello Stato non significa scuola governativa. L’attuale scuola governativa è intimamente antinazionale perchè disorganizza e disintegra la personalità anziché formarla, e non prepara nell’alunno il cittadino probo e disciplinato. Lo Stato deve esigere che in tutte le scuole, sue e non sue, s’impartisca ai giovani una cultura seria e organica, deve richiedere dagli ¡«segnanti preparazione adeguata e specchiata moralità, deve tener fermo al diritto di abilitare esso, ed esso solo, alle più importanti funzioni della vita sociale. Non deve confondere la sua altissima funzione educativa col monopolio che impone al pubblico erario un onere insopportabile, sopprime ogni libera c saña iniziativa privata, affolla mostruosamente gli istituti pubblici, scalzando così le basi medesime dell’educazione.
La scuola di Stato potrà risorgere a novella vita, quando escluderà dal suo seno gli inetti e gli immeritévoli e si trasformerà da fucina di diplomi in tempio del sapere. A questo fine dobbiamo propugnare l’abolizione dell’attuale regime di favore per alunni e insegnanti statali e la sostituzione agli esami di promozione e di licenze, ora in vigore, di esami di ammissione a lutti gli ordini di scuola. Bisogna insomma assoggettare tutti gli alunni, da qualsiasi scuola provengano, alle medesime prove ed ai medesimi doveri, se si vuole favorire l’esplicazione di ogni libera e sana iniziativa nella scuola pubblica e privata, ponendo in grado di gareggiare fra di loro con reciproco beneficici se si vuole allontanare dalla scuola pubblica eh vi accorre per ragioni bassamente utilitarie e ridare agli insegnanti quel senso della propria responsabilità e quello stimolo a far bene e a pro-
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grcdire che è venuto ormai a mancare a troppi di essi.
In questo regime di libertà è altresì la soluzione di un problema che l’Italia dovrà tosto affrontare, se vdole intensificare la produzione e liberarsi del vassallaggio straniero: il problema dell'istruzione professionale.
Anche in questo caso il diretto e uniforme intervento statale e l’accentramento burocratico riuscirebbero esiziali. lx> Stato deve aiutare e favorire le iniziative private, non sostituirsi ad esse dove possono fiorire spontanee, e deve affidare questo compito di incoraggiamento a organi tecnici, tratti dalle industrie, dalle officine, dall’agricoltura, non dai soliti vivai di avvocati e di politicanti come condizioni fondamentali di un reale rinvigorimento dell’istruzione pubblica. Ma combatterà tenacemente ogni forma di protezione legale degli inetti e dei disonesti e propugnerà la necessità di una seria e larga epurazione dell’attuale personale insegnante.
Bisogna ottenere inoltre che non sia più ammesso in ruolo nessun insegnante nè primario nè secondario senza concorsi per esami. All’attuale regime di promozioni automàtiche per anzianità non congiunta a demerito occorre sostituire un sistema di promozione che tenga conto sopra ogni altra cosa del merito, e suscitare e alimentare lo spirito di iniziativa con promozioni eccezionali e accelerazioni di carriera per gli insegnanti migliori. Bisogna instaurare finalmente uno schietto sistema di responsabilità dell’insegnante non soltanto verso i suoi superiori gerarchici, ma altresì verso il pubblico.
Finalmente bisogna ridare un’a»:ma alla scuola, ridarle insegnanti colti, illuminati, integri, fe qui il vero segreto di quell’intenore rinnovamento della nostra istruzione, che può rinnovare la coscienza nazionale.
Oggi troppi insegnanti non sanno più dire la parola della vita ai loro alunni per insufficiente cultura e immaturità spirituale.
La crisi della scuola è sopratutto crisi di menti e di coscienze. Non basta riporla in grado di funzionare normalmente, bisogna provvedere a un'adeguata formazione di queste menti e di queste coscienze, c iniziare l’opera di ricostruzione dagli istituti che preparano gli insegnanti, e in particolar modo da quei due vivai di psittacismo, di leggerezza spirituale, di deformazione mentale che sono ora la scuola normale e i magisteri superiori femminili. I quali sopra tutti esigono pronta, immediata, radicale riforma.
Soltanto con siffatto rinnovamento della scuola normale cominceremo a risolvere in modo serio e organico l’assillante problema dell’istruzione popolare. La distribuzione dell’insegnamento primario è ancóra troppo insufficiènte presso di noi.
è cosa risaputa. Non ci dovrebbe essere borgo. d'Italia che non possedesse la sua scuola popolare di almeno sei classi. Ma non si risolve nulla, si aggrava anzi il male, moltiplicando scuole e maestri prima di avere provveduto a un’adeguata formazione spirituale di questi ultimi. Là riforma della coltura magistrale è uno dei più alti problèmi politici della nuòva Italia, giacché nella scuoia primaria si gettano le basi della granitica unità nazionale e della grandezza della patria, o i germi della discordia, del settarismo, della dissoluzióne sociale. Il non averlo mai voluto intendere è forse uno dei più gravi segni dell’insipienza e dell’immaturità politica della nòstra classe dirigente. Per la salute spirituale del nostro popolo bisogna redimere i nostri maestri dalla polimazia, dallo spirito settario, dal culto della superficialità e dalla melensaggine.
Il Fascio propugnerà la trasformazione della scuola normale e del corso magistrale in organico istituto di cultura liberale con a base il latino;
Ottenuta questa riforma, per cui dobbiamo impegnare presentemente tùtte le nòstre forze, ci volgeremo a propugnare un sostanziale rinvigorimento e allargamento della cultura elementare e delle istituzioni sussidiarie e un radicale rinnovamento dell’attuale amministrazióne provinciale scolastica.
Per ragioni analoghe a quelle adottate per la scuola normale, il segreto dèi rifiorire della nostra scuola media è nella trasformazione dei magisteri e delle facoltà universitarie. I magisteri superiori femminili debbono essere aboliti, insieme con gli attuali diplomi di lingue moderne, altra cagione di abbassamento, del livello culturale della scuola media, e, se abolire non si possono, urge trasformarli in organici corsi di cultura supcriore, aprendoli anche ai maestri.
Circa la riforma degli studi superiori propugneremo la riduzione delle università o, per lo meno, la riduzione delle cattedre delle università minori. Le quali dovrebbero limitarsi a impartire la cultura assolutamente indispensabile alla preparazione professionale. Le università maggiori invece dovrebbero essere fornite di numerosi e valenti insegnanti e di larghi sussidi di studio e specializzarsi ciascuna in qualche particolare ramo della scienza. Ne trarrebbero grande incremento ad un tempo la vita scientifica del paese e l'alta preparazione professionale. Anche al metodo didattico si debbono apportare profonde mutazioni. All'attuale lezione cattedrale c manualistica bisogna sostituire un intimo, diurno contatto diretto fra maestro e alunno, che costringa il primo ad ininterrotta attività e consuetudine con gli studi, il secondo ad una diligente frequenza. Bisogna insomma trasformare le attuali nostre cattedre del. tutto inutili in molte università, in operosi seminari scientifici.
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NOTE E COMMENTI
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I due programmi, reciprocamente integrandosi, illustrano, meglio che qualsiasi chiosa, lo spirito che anima il nuovo movimento e le finalità immediate. Si è ancora, come dicevo, nel periodo preparatorio e di organiszazione interna: tuttavia, le adesioni pervengono numerose; alcuni partiti politici, la stampa periodica e, perfino — pare incredibile! — qualche quotidiano, mostrano di accorgersene.
Noi auguriamo che presto l’attività del Fascio diventi fattiva ; e, ponendo sul tappeto politico i più scottanti problemi del suo programma, riesca ad imporne la voluta soluzione. Ma, ci piace metter subito in guardia chi per avventura si lasciasse trasportare da troppo rosee illusioni su impossibili resultati immediati di
codesta attività. Illusioni, invece, non c’è da farsene nessuna. Il Fascio dovrà lavorare in campo irto di sterpi e seminato di ciotoli, laddove non sia addirittura deserto. In una attività prevalentemente culturale i resultati non possono commisurarsi alla stregua dei « successi » dei partiti politici o delle sette. Il Fascio dovrà sopratutto por mano all’opera di restaurazione della coscienza nazionale. Se si comprende che in Italia questo è il porro unum, e che solo la scuola, intesa nel suo più largo significato, può tentare codesta fondamentale restaurazione, si potrà allora valutare con piena consapc /olezza la portata del nuovo rigoglio di forze spirituali, che nell’organizzazione del Fascio si completano e s’inverano.
Vincenzo Cento.
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POLITICA VATICANA
LA REPRISE FRANCO-VATICANA
Il progetto per la ripresa dei rapporti diplomatici tra la Francia e il Vaticano può considerarsi ormai in porto. Approvato dalle Commissioni e presentato alla Camera come questione di fiducia del Governo sarà approvato per quanto possa essere notevole e vivace l’opposizione. Questa anzi si promette di fare prima della sessione autunnale della Camera una vivace campagna contro la ripresa. Ma, nonostante, si può ritenere che il progetto. .passerà, e integralmente; cioè non missione straordinaria, come voleva tra gii altri Briand, ma rappresentanza diplomatica normale con l’Ambasciatore a Roma e il Nunzio apostolico a Parigi.
Il risultato delle trattative che,'come preparazione di questa ripresa, si sono svolte tra Parigi e il Vaticano sono : da parte del Vaticano, il consenso dato alla visita dei sovrani e capi di Stato cattolici a Roma, annunziato con L’Enciclica Precetti Dei del giugno scorso, e la disposizione in massima favorevole a riconoscere le Associazioni cultuali; da parte del Governo francese, il riconoscimento della gerarchia interna della Chiesa, la garanzia che l’attuazione delle Cultuali sarà sempre subordinata alla disciplina ecclesiastica. Speciali accordi interverranno inoltre per la scelta dei soggetti destinati all’episcopato.
Ma se la questione sembra ormai avviata alla soluzione, poche settimane fa si era prodotta una crisi che per poco non compromise ogni cosa.
La crisi ebbe una doppia origine: da un Iato l’opposizione dei radico-socialisti, dall’altro le apprensioni di molti cattolici francesi che la ripresa non dovesse costare troppo cara alla libertà della chiesa in Francia.
E AZIONE CATTOLICA
La Commissione delle finanze della Camera sui primi di giugno, con venti voti contro diciassette, votò il rinvio sine die della discussione del progetto governativo per la ripresa. Sono noti i motivi di politica interna e internazionale per cui i socialisti e i radico-socialisti si sono opposti alla rejtrise riuscendo per un momento a fare arenare i progetti presentati dal governò.
Ma le difficoltà più gravi non sono venute da questo lato, bensì dalla parte da cui il Vaticano non le avrebbe mai attese : e cioè da parte del clero francese.
Dalle indiscrezioni trapelate sulle trattative correnti tra il Governo francese e la Segreteria di Stato nell’inverno scorso, il clero francese si era formato la convinzione che il Vaticano fosse pronto ad accettare, se non a raccomandare, la famosa istituzione delle Associazioni Cultuali.
Il basso clero di Francia, i parroci e i des-servante > si allarmarono profondamente, poiché nelle Associazioni cultuali videro il barbiere, il veterinario, il farmacista del villaggio padroni assoluti della Chiesa e del prete. Questo sentimento di realtà partito dall’umile clero, ha spinto i vescovi, che alla lor volta hanno spinto i lóro cardinali a far presenti al Papa le proprie rimostranze, cosicché il Vaticano in occasione dei pellegrinaggi francesi a Roma per le feste di Giovanna d’Arco, dovette constatare il malumore del clero francese, e fu costretto a ritirarsi bruscamente dalla via in cui si era incamminato.
I politici di Parigi e quelli del Vaticano,, non si erano accorti che le Associazioni cultuali non rappresentano una questione politica da risolvere con eleganti combinazioni diplomatiche, ma una di quelle questioni per le
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quali il vecchio proverbio raccomanda di non fare i conti senza l’oste.
Che veramente ci sia stata una lotta sorda tra il clero francese e il Vaticano a proposito delle Cultuali, lo confessa apertamente La Croix che ha tentato di mettere le cose a posto, con una recente corrispondenza che essendo inviata dal suo corrispondente romano, deve ritenersi lo specchio fedele della situazione, quale essa ..è considerata in Vaticano.
« A voler credere ai corrispondenti di certi giornali — scrive La Croix del 15 luglio — la Santa Sede, cedendo al desiderio immoderato di ravvicinarsi alla Francia, avrebbe ciecamente seguito una politica di rinuncia delle più imprudenti, al pùnto da rinunziare, senza difficoltà, a tutti i principi relativi alle Cultuali.
Al momento della separazione la Santa Sede si trovava di fronte ad un governo nettamente ostile che nella sua politica non si ■dava la pena di mostrare alcuna benevolenza per la Chiesa e che, a più fòrte ragione, non mostrava alcuno spirito di riconciliazione. E’ ben altra cosa ora, col governo attuale, il quale, con correttezza e lealtà perfetta, ha preso l’iniziativa del ravvicinamento. Nulla di straordinario dunque, se la Santa Sede è animata verso di lui da benevole disposizioni.
Quanto alle Cultuali, la Santa Sede non poteva fare a meno di tener conto del cambiamento che si è verificato nella politica generale della Francia, di alcuni fatti nuovi che offrivano nuovi criteri di apprezzamento e del presente atteggiamento del governo francese di fronte alla gerarchia cattolica. Così non ha avuto nessuna difficoltà ad iniziare con esso, su tale delicata questione, una conversazione che non avrebbe certo accettato con un governo meno bene intenzionato. Tuttavia questo scambio di vedute, che è stato caratterizzato dall’uno e dall’altro lato da una evidente buona volontà, non ha condotto, in realtà, ad impegni formali e definitivi, dei quali il governo francese, nell’ipotesi contraria, avrebbe reclamato l’adempimento.
E’ dunque doppiamente ridicolo tanto di lasciar capire che l'episcopato francese ha dovuto salvare la Chiesa di Francia compromessa dall'imprudenza della Santa Sede, quanto di immaginare che questa, ad un certo momento, abbia potuto perder di vista i principi che reggono in Francia, come dovunque, la divina costituzione della Chiesa. E’ forse necessario di affermare che su questi principi non sarebbe neanche concepibile una qualsiasi discordanza tra il Papa e i vescovi francesi! Non è certo un conflitto che, per la canoniz
zazione di Giovanna d’Arco, è sorto dal contatto tra l'episcopato di Francia e il Sommo Pontefice. La loro unione, se era possibile, si è anche più profondamente cementata.
Ciò che è vero si è che le conversazioni si sono svolte nel modo e sul terreno che Pio X aveva precisato nell’Enciclica del io agosto 1906. Quel documento era ben lungi dal rendere impossibile, in un avvenire migliore, qualsiasi discussione sulle associazioni capaci di dare uno statuto legale alla Chiesa di Francia. Pio X, anzi, ad un certo momento, si era chiesto se non convenisse a lui stesso di intraprendere lo studio per il giorno nel quale la Santa Sede avrebbe avuto le garanzie necessarie per ciò che riguarda la gerarchia cattolica.
Gli scambi di vedute che in condizioni particolarmente favorevoli si sono verificati tra la Santa Sede e il governo francese hanno finora raggiunto questo duplice risultato; di manifestare senza contestazioni, la rettitudine, l’equità e la saggezza politica del governo francese; e di fornire a questo una novella prova dello spirito di conciliazione col quale la Santa Sede è disposta a favorire una unione veramente fraterna fra tutti i membri della grande famiglia francese».
L’ALLEANZA TRA IL VATICANO
E IL QUAI D’ORSA Y
Le due diplomazie, la francese e la pontifìcia, che per un momento videro naufragare i loro piani così sapientemente combinati, sono corse ai ripari.
Ed ecco come.
Alla vigilia della riunione della Commissione parlamentare per gli affari esteri per udire la lettura della relazione sui negoziati con la Santa Sede, il Petit Journal ha ritenuto opportuno di conoscere il parere dell'Arcivescovado di Parigi che per ora funziona da rappresentanza ufficiosa della Santa Sede in Francia.
Gli è stato risposto : « Noi riteniamo che la questione della ripresa delle relazioni diplomatiche non abbia nulla a vedere con la questione delle Associazioni Cultuali e che logicamente la soluzione della prima debba precedere lo studio della seconda. Al di fuori di ogni considerazione religiosa, è in giuoco l’interesse nazionale».
La Commissione degli esteri si è riunita il 29 giugno per udire l’esposizione del relatore Colrat sul ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra la Francia e la Santa Sede. Il
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Coirai ha fatto un resoconto particolareggiato dei negoziati intavolati da parecchie settimane dall’inviato ufficioso del governo francese alla corte di Roma. Egli ha latto conoscere che questi negoziati sono terminati e che nulla si oppone a che la discussione possa intavolarsi dinanzi alla Camera. Risulta dalle informazioni che il ministro degli esteri ha fornito al Colrat che i negoziati con la Santa Sede hanno condotto ad un accordo e che essendo stata ottenuta ogni soddisfazione sul terreno politico estero, il solo che convenisse considerare nelle circostanze attuali, si può procedere senza inconvenienti al ristabilimento dell’ambasciata di Francia presso il Vaticano. La questione concernente il funzionamento delle leggi interne della Francia e sopra tutto quelle che riguardano la formazione delle Associazioni Cultuali non sarà sollevata. La legislazione francese continuerà ad essere in vigore e rispettata nella sua integrità. La Santa Sede non interverrà affatto su tale terreno, sul quale la sovranità della Francia è riconosciuta. Perciò la questione del ristabilimento delle relazioni diplomatiche conserva il carattere esclusivo di una questione di politica estera dal punto di vista della soddisfazione degli interessi francesi nel mondo.
Secondo una informazione del Matin avrebbe fatto parte dei negoziati franco-vaticani anche la questione di un eventuale viaggio del Presidente della Repubblica a Roma. Il Papa permetterebbe questo viaggio?
«Su tale punto di vista il cardinale Ga-sparri non volle rispondere personalmente ma volle riferirne al Pontefice. Dopo altri negoziati fu inteso che il Papa accetterebbe che il Presidente della Repubblica rendesse visita al Re d’Italia e che poi si recasse in Vaticano a visitare il Papa, ma partendo dall’Am-basciata di Francia presso il Vaticano».
Per il momento dunque le questioni interne della Chiesa francese non saranno toccate in nessun senso, e la ripresa viene giustificata soltanto con ragioni di politica estera.
La situazione è questa : la Camera è in maggioranza favorevole alla ripresa, il Senato no; ma sebbene la Camera sia in maggioranza favorevole, è anche certo che una discussione sopra un simile argomento sveglierà passioni male assopite è dispute sempre pronte a riaccendersi.
Intanto il Grande Oriente di Francia ha pubblicato una protesta contro il ristabilimento delle relazioni franco-vaticane. Nella sua protesta si afferma che «questo ritorno al passato comprometterà la grande opera di > liberazione intellettuale e morale compiuta
dalla Repubblica dopo un mezzo secolo di sfoizi. Il ristabilimento dell’ambasciata non è che un primo passo, a cui ne seguiranno altri che già sono annunziati e reclamati in virtù di impegni ignorati dal popolo, ma ai quali i rappresentanti della Chiesa non hanno temuto di fare pubblicamente allusione. La legge sulle Congregazioni, già apertamente violata, sarà domani ufficialmente abolita; l’insegnamento laico è minacciato. L’ambasciatore francese presso il Papa negozierà la revisione della legge di separazione secondo gli interessi del Vaticano ; l’istituzione delle Associazioni Cultuali e la nomina dei vescovi saranno gli oggetti immediati di questi accordi.
Questo scrive il Grande Oriente. E dunque evidente che il governo francese dovrà cercare di limitare quanto più è possibile il significato dèlia reprise per risparmiare la suscettibilità e i timori delle sinistre.
L'antico presidente del Consiglio Gastone Doumergue, nel Petit Meridional ha scritto un articolo intitolato Un erreur et une faule nel quale si esamina la consistenza del motivo addotto dal progetto governativo per la ripresa, e cioè la difesa degli interessi esteri della Francia.
« La guerra ha messo sottosopra il mondo e cambiato la situazione dei popoli; la relazione del governo si esprime invece come seta situazione dovesse essere domani quella che fu prima delta guerra, e la Palestina e la Siria dovessero restare turche e la condizione dei cristiani nell’impero turco quella di altri tempi. Tutti questi motivi sono ormai senza valore. Benché il governo protesti che i principi delta laicità e il regime delta separazione non saranno posti in pericolo, il pericolo c’è. In cambio di illusori vantaggi nella politica internazionale, la Santa Sedè domanderà compensi nel campo delta politica interna.
Nulla di più giusto che l’usàre dei riguardi e delta deferenza verso il capo religioso di gran parte dei francesi, ma per ciò non è necessario voler far gravitare intorno a lui tutta la nostra politica estera e chiedergli di mandare a Parigi un nunzio che imbastirà una serie di intrighi e insieme dovrà sorvegliare e vessare l’episcopato e il clero francese. Noi non vogliamo vedere rinascere le lotte religiose, ma temiamo che la pace confessionale sarà gravemente turbata ».
Ci sembra che le apprensioni del Doumergue siano più che fondate. Per quanto il Governo francese tenti di magnificare i vantaggi intemazionali che la Francia si attende dalla amicizia del Vaticano, non si riesce concre-
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tómente a vederli ; invece appare ogni giorno più chiaro l’aiuto reciproco che contano di prestarsi le classi dirigenti e il clero francese per i fini della loro politica interna ed estera nettamente militaristi e reazionari, politica che porterà la Francia al dissanguamento ed all’esaurimento.
Il protettorato francese sui cattolici d’O-riente è ormai definitivamente scomparso. Nel Convegno di Sanremo dell’aprile scorso le tesi britanniche sulla sistemazione della Turchia hanno definitivamente prevalso. Il regime delle capitolazioni in Turchia è abolito. Sotto l’influenza francese non resterà che parte della Siria, mentre la Palestina e la Mesopotamia sono sotto il diretto-controllo inglese.
I famosi vantaggi internazionali si ridurranno quindi a una serie di intrighi, che nei calcoli del Quai d'Orsay la diplomazia pontificia dovrà tessere in tutti i paesi d’Europa per sostenere gli interessi francesi e puntellare la barcollante pace di Versailles. All’interno della Francia poi — e questo naturalmente non lo dice il progetto di legge per la reprise — il Vaticano dovrà rafforzare il blocco nazionale che deve continuare nella pace Vunión sacrée della guerra, questa volta ai fini della reazione sociale contro le minaccio del cosiddetto nemico interno.
I cattolici francesi, è vero, non cessano di rovesciare su Roma l’espressione del loro ossequio mellifluo e della speranza loro imperialistica. I nuovi destini cattolici, essi sembrano dire, non sono intimamente legati alle sorti grandiose della vittoriosa repubblica? Ho sott’occbio l’ultimo fascicolo delle Nou-velles Religieuses, in cui tutto il vecchio fermento politico del cattolicismo gallico fa ogni mese così aperta ostentazione di sé. L’articolo di fondo, dopo essere partito dal presupposto che « tutti i conflitti fra i vàri gruppi di popoli in Europa da un quinquennio a questa parte sono, in sostanza, dei puri e semplici episodi dell’eterna lotta contro il cattolicismo», proclama senza eufemismi che lo interesse della Francia sta nel riprendere « la stia politica tradizionale di prima nazione cattolica, di primogenita nella fede intatta » e che « seguendo una tale politica, essa attirerebbe a sè una quantità di forze sparse » in Belgio, in Spagna, in Portogallo, in Italia, in Baviera, in Irlanda, in America. Che cosa mai significa questo strano, paradossale linguaggio? La Francia s'illude oggi di asservire l’efficienza internazionale della Chiesa romana, alla causa del suo petulante e pericoloso imperialismo? Se nutrisse di .queste fisime, l’attuale tragedia polacca dovrebbe in
durla a riflettere se il vagheggiato programma non superi oggi le capacità di una qualsiasi nazione cattolica, per quanto primogenita e ravveduta!
IL SEPARATISMO TEDESCO
L’antica nunziatura bavarese è divenuta nunziatura per tutto l’impero tedesco, e la sua sede è stata portata a Berlino.
Il malumore e la diffidenza tedesca verso il Vaticano crescono ogni giorno perchè la Segreteria di Stato è accusata di fare una politica che si incontra troppo spesso coi disegni della diplomazia francese. Intanto una crisi interna assai grave travaglia il vecchio partito del Centro cattolico tedesco. Conforme alla moda dei primi giorni della Repubblica tedesca, anche il Centro ritenne opportuno cambiare nome, e si chiamò Partito Popolare cristiano; ma poi ha ripreso l’antico nome di Centro. Però tutti i malcontenti del partito hanno mantenuto il nuovo titolo e hanno fatto scissione, raccogliendo soprattutto i piccoli borghesi e contadini specialmente delle regicni renane e della Vestfalia. Similmente un altro partito si è formato in Baviera, che fa concorrenza al Centro, ed è l’Unione dei contadini. Così la situazione politica e parlamentare dei cattolici tedeschi è particolarmente delicata.
Ma ciò che importa soprattutto di notare è il fatto che come fu già dettagliatamente esposto nel numero di gennaio di quest’anno in questa stessa rubrica di Bilychnis, nella regione renana si è manifestato un movimento separatista se non dall’impero, almeno dalla Prussia, movimento fomentato in ogni modo dalle autorità francesi di occupazione. Il movimento a dir il vero non si è molto esteso, nè sembra più presentare gravi pericoli per l’unità tedesca ; tuttavia la situazione interna tedesca è così delicata, che da un momento all’altro anche il movimento renano potrebbe dar materia di preoccupazione al debole governo dell’impero. Il giornale clericale Kölnische Volkszeitung è l’ispiratore del movimento, che mentre ha trovato seguaci quasi unicamente tra i cattolici, finora è abortito soprattutto per la violenta reazione dei sindacati socialisti.
Una gran parte del mondo politico francese ha più che mai fisso in mente il chiodo della distruzione dell’unità germanica. Codesta aborrita unità la si vuole intaccare e sgretolare da due parti : per il sud, in Baviera, per l’ovest, nelle provincie renane. L’una e le altre dovrebbero staccarsi dalla Germania, o, come si dice a Parigi, dalla Prussia ; e un
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ulteriore disegno vorrebbe poi l’unione dell’Austria alla Baviera per una più grande Confederazióne danubiana.
Ora, i due paesi, su cui si conta in Francia per il dissolvimento dell’unità tedesca, sono cattolici ; e quegli elementi che si sono staccati dal vecchio Centro cattolico guardano, a quanto pare, con simpatia ad un simile movimento. Con il quale sarebbe connesso, nelle provincie renane (o si vorrebbe connettere dai francesi) un risveglio di intellettualità cattolica, enunciato e propugnato dal Barrès, sulle colonne teW’Echo de Paris, per scopi che è facile intendere e che, del resto, egli non si cura punto di dissimulare. Ora, si calcola evidentemente in Francia di ottenere dal Vaticano un qualche aiuto, sia pure indiretto, a simili intrighi, sorprendendo la sua buona fede con lo specioso motivo della difesa e dell’incremento del cattolici-smo contro il protestantesimo del mondo germanico.
Non per nulla, con un procedimento inaudito negli annali diplomatici, la Francia, oltre all’invio di un ambasciatore a' Berlino presso il governo dell’impero, ha inviato a Mònaco di Baviera uno speciale incaricato di affari presso il governo bavarese, accentuando così il significato delle sue aspirazioni e dei suoi sforzi per intaccare definitivamente l’unità germanica.
• ♦ •
LA POLITICA ESTERA DEL PARTITO POPOLARE
La più evidente tra le deficienze politiche del Partito Popolare italiano è stata fin qui la sua assoluta mancanza non soltanto di un programma, ma di orientamento nella politica estera. Su questo punto il Partito ha sempre oscillato tra vaghe aspirazioni di internazionalismo bianco, e la pedissequa e timida acquiescenza alle pretese del nazionalismo italiano.
Di fatto la sua azione autonoma è stata nulla, e il suo atteggiamento determinato soprattutto dal timore di sembrare poco patriottico, timore che spesso gli ha ispirato manifestazioni di zelo nazionalista che avevano tutta la inopportunità e la goffaggine della improvvisazione.
Nella passata legislatura da parte di qualche deputato cattolico ci furono alcune timide riserve circa il trattato di pace di Versailles, che si richiamavano ai principi! del naufragato wilsonismo e della carità cristiana ; ma quelle riserve sono passate agli archivi, e ad
esse più nulla è seguito. Il gruppo parlamentare che si mostra cosi sensibile in questioni come quella della proporzionale nelle elezioni amministrative o del divorzio, non mostra alcuna combattività sul terreno della politica internazionale.
L’unico deputato del gruppo che si interessi di queste questioni è Fon. Ernesto Vassallo, che nessuno prima delle ultime elezioni aveva mai conosciuto come cattolico, e che è ospite del gruppo popolare così come avrebbe potuto esserlo del gruppo nazionalista, o di qualunque altro gruppo della Camera. Suoi atti politici positivi sono stati alcuni discorsi dove ha esposto il programma massimo e le aspirazioni più.... lunari dei dilettanti delle Società coloniali italiane, ed un suo viaggio, sotto colore di fare una inchiesta, a Fiume e in Dalmazia. Il gruppo parlamentare popolare, felice di avere trovato finalmente un Cireneo su cui scaricare l’incarico di parlare nelle grandi occasioni di politica estera, lo ha applaudito senza calore, e tutto è finito.
Sul terreno della politica estera il Vaticano non si scontrerà mai col Partito Popolare ; anzi il Partito sarà sempre un suo docile e subordinato alleato. Tempo fa sul Corriere d'Italia, organo che è forse oggi il più francofilo che sia in Italia, a propòsito della ripresa delle relazioni franco-vaticane si potevano leggere dei periodi come questi :
« Le trattative dunque tra la Francia e il Vaticano sono entrate tn una nuova fase, sempre più soddisfacente al nostro sentimento di cattolici. Lo abbiamo già detto e vogliamo affermarlo ancora una volta. I cattolici italiani salutano con profondo compiacimento la riconciliazione tra il Capo della Chiesa e la nazióne che della Chiesa stessa fu chiamata la figlia primogenita. È un’arma spuntata — e che invano hanno testé cercato di adoperare ancora una volta i massoni dei due paesi — quella di dire che il riavvicinamento tra la Francia e la Santa Sede poteva fare cattiva impressione in Italia.
«Noi vedemmo bensì sul principio del secolo, quando la Francia si andava allontanando dal Vaticano, farsi l’alleanza tra la massoneria nostra e quella d’oltr’Alpe sulla base dell’anticlericalismo e dell’ateismo. Ma oramai quelli, grazie a Dio, sono tempi passati e la Francia, che nel piano settario a-vrebbe dovuto essere di esempio alle nazioni nella politica persecutrice della Chiesa, sente oggi quanto sia impossibile prescindere dalla altissima forza morale di lei. Con questo il piano massonico è fallito. Non potrebbero non
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•esserne profondamente lieti i cattolici italiani. L’occasione è troppo propizia, ora che essi hanno mezzo di esercitare un’influenza decisiva sulla vita del paese, per gettare insieme con i loro fratelli di Francia le basi di una politica concorde e cordiale tra le due nazioni, politica di moderazione, di pace e di ricostruzione, che assicuri ad esse l’influsso salutare dell’idea cristiana ».
Insomma i cattolici italiani aspirano a sostituire la loro influenza alla influenza che essi rimproverano alla massoneria di avere esercitato fino a ieri, nel subordinare la politica italiana ai fini di quella francese, per ragioni di partito.
E che sia cosi’, oltre all’abbandono definitivo delle platoniche riserve sul trattato di Versailles, non mancano infiniti indizi positivi. Fra i tanti ne segnalerò uno solo.
Beissard, deputato della Costa d’Oro, e De Tinguy du Pouet, deputato della Vandea, dopo una loro missione in Italia nella quale hanno stretto rapporti con molte personalità del Partito Popolare italiano, fecero pubblicare questo comunicato dall’-4^«zfiz Havas, agenzia ufficiale del Governo francese:
« Abbiamo conferito con Don Sturzo e ci ha accolti assai cordialmente, benché costretto a rimanere in casa da più di tre giorni a causa di una indisposizione. Egli verrà assai probabilmente in Francia per assistere alla settimana sociale di Caen, è sarà accompagnato da alcuni membri del Partito. Durante le conversazioni che abbiamo potuto avere con alcuni colleghi della Camera italiana, ci siamo trovati d’accordo sui principali punti di un programma che dovrebbe essere comune e la cui realizzazione avrebbe una singolare importanza per la buona intesa e per l’unione dei popoli di razza latina e più particolarmente della Francia e dell’Italia sul campo sociale, su quello intellettuale e su quello politico.
« Ciascuno di questi punti di vista meriterebbe di essere esaminato e trattato a fondo. D’altra parte gli scambi di idee che abbiamo avuto hanno già nel passato una base : le organizzazioni sociali cattoliche italiane, anche prima della guerra, erano entrate in rapporto con le associazionf similari francesi. Questi rapporti dovranno essere ripresi ed estesi.
« Quanto al punto di vista politico abbiamo trovato le migliori disposizioni per intraprendere un’azione nel senso e nell’interesse della latinità. Le forze cattoliche italiane sono, con le forze socialiste, le sole forze realmente e potentemente organizzate. Forse sarà così un
giorno in Francia dove urta democrazia sociale equilibrata e audace nel medesimo tempo dovrebbe contendere le masse agli eccessi di un certo socialismo. La Francia e l’Italia, vicine e rassomigliantisi assai, sono forse destinate a rassomigliarsi ancora mag-. giormente nell’avvenire : vi è dunque per noi un interesse primordiale a seguire molto da vicino la situazione in Italia e le evoluzioni dei partiti per poter cogliere tutte le occasioni di fare qualche cosa di utile per i due paesi ».
* ♦ «
IL CROLLO DI UNA POLITICA
L’avanzata travolgente degli eserciti russi che attraverso la Polonia mirano a raggiungere l’antico confine tedesco-russo, rappresenta il crollo dalle fondamenta di tutto l’edificio eretto dall’Intesa vittoriosa a Versailles.
Quando scrivevamo nel passato numero di Bilychnis che il Vaticano nell’appoggiare incondizionatamente le aspirazioni dell’imperialismo polacco si esponeva a una irrimediabile sconfitta, non pensavamo che i fatti ci avrebbero dato ragione così presto, e così inferamente.
Oggi in Vaticano si segue con terrore l’avanzata russa sul territorio della cattolicissima repubblica polacca, e non solo è il terrore per la vittoria massimalista, ma perchè viene ad essere abbattuto il caposaldo di tutta la diplomazia pontificia in Oriènte.
Notava giustamente il corrispondente vaticano del Resto del Carlino in una sua nota del 16 luglio :
• « Pochi, nel mondo politico e nel mondo giornalistico, hanno convenientemente apprezzato, al chiudersi del conflitto europeo, il nuovo orientamento che la politica ecclesiastica ha assunto nel fascio delle relazioni internazionali create dalla nuova configurazione europea. Mentre prima della guerra i centri polarizzatori della diplomazia pontificia erano Vienna e Monaco, la vittoria dell’Intesa ha immediatamente impresso una nuova inclinazione all’asse di questa diplomazia, che ha subitamente riversato le sue predilezioni e indirizzato i suoi calcoli verso la Senna. Del riavvicinamento franco-vaticano si sono avute negli ultimi tempi manifestazioni clamorose. Ma chi ha rilevato le ripercussioni che simile riavvicinamento ha sortito nello svolgimento dell’opera diplomatica pontificia ad Orienté di Europa? Quando al tramonto del ’16 Austria e Germania ebbero proclamata l’indipendenza polacca, in Vaticano ci si preoccupò
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senza indugio di mandare sul posto un dignitario ecclesiastico, capace in pari tempo di reggere in armonia gli elementi etnici disparati della vecchia terra cattolica, in procinto di risorgere ad autonomia, e di tener bene gii occhi aperti nel maturare degli avveni-■ menti nel contiguo impero czaristico.
Al tempo in cui era governatore della Polonia il generale pomeranese von Beseler, si potè pensare che la missione di mons. Ratti a Varsavia dovesse consistere sopratutto nel tutelare gli interessi dell’Austria in una eventuale assegnazione della Galizia. Ma ad armistizio concluso, le mansioni del Ratti si sono immantinenti ispirate ad un altro presupposto : favorire, per fas cl nefas, la costituzione di quella più vasta Polonia, che è nei sogni dei politicanti parigini. Tutto preso dal miraggio panpolacco, il nunzio a Varsavia non si è guardato a sufficienza dall’insidia dei suoi accorti consiglieri locali, ed ha commesso errori di una grossolanità ragguardevole ».
Come abbiamo scritto nel passato numero di Bilychnis il nunzio non ha esitato di sanzionare, con la sua presenza ufficiale, l’indebita manomissióne che la Polonia aveva com
piuto dell’autonomia lituana, con l’occupazione di Vilna. In Segreteria di Stato sono piovuti i reclami lituano-baltici contro il filò-polonismo esagerato del rappresentante pontificio a Varsavia. Lo stesso invio del P. Ge-nocchi in Ukraina, nel momento in cui Pe-tliura concertava con Pilsudski l’infausta marcia sulla via di Kiew non sembrò, a chi conosceva le mene polacche in Vaticano, una nuova prova degli intrighi vaticani per aiutare i piani imperialistici della repubblica di Paderewski? Oggi, mentre la sorte della Polonia è raccomandata ad una mediazione dell’Intesa e la Lituania stringe pubblicamente i suoi accordi con la Repubblica dei Soviety, appare, in tutta la sua fragilità, l’inconsistenza del grande sogno polacco, intessuto sulla Senna e in Vaticano.
Noi crediamo che la delusione polacca non sia che la prima di una serie di delusioni gravissime che presto dimostreranno al Vaticano come sia stata vana e illusoria la sua corsa dietro effimeri successi diplomatici che egli ha inseguito durante questo periodo transitorio di polverizzazione e decomposizione della vecchia Europa. 3^4
Quinto , Tosato .¿'4
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STORIA E PSICOLOGIA RELIGIOSA
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Religioni primitive. — Sili culto delle pietre scrive un pregevole opuscolo L. Cartière (Croyances et pratiques rcligieuses des Annamites dans les environs de Hué. Les pierres). L’A. è dell’opinione che sotto l’influenza di certi sentimenti e suggestioni le pietre siano state concepite dagli Anna-miti come sedi di potenze soprannaturali. L’origine del culto delle pietre, da osservazioni recenti, si deve, secondo l'A., non a un’unica causa, ma a diverse circostanze.
Cristianesimo primitivo. — Uno dei pochi libri che non invecchiano facilmente, e dei quali è anzi opportuno parlare dopo accurato esame, è Testimonies (Cambridge. University Press, 1916) di Rendei Harris. Esso è stato giudicato quasi rivoluzionario rispetto al problema dei sinottici, ma forse questo giudizio è esagerato. La tesi non nuova, ma ricca di nuovi documenti e dimostrazioni, che sostiene questo piccolo libro (di sole 138 pagine) è che nella. Chiesa primitiva esisteva una collezione di Testimonia della verità cristiana, estratti dal V. T.» commentati a scopo polemico contro gli ebrei. L’insieme costituiva un Vado rnecurn dell'apologista. Sin qui la 3 bestione si ridurrebbe allo accertamento «Inesistenza di un documento che diversi altri avevano supposto. Ma R. Harris vuol dimostrare che da questa fonte, con più o meno leggere modificazioni e aggiunte, secondo richiedevano le circostanze, deriva tutta una letteratura cristiana primitiva. I Dialoghi con l'ebreo Trifone, di Giustino; i Testimonia, di Cipriano; VAd-versus Judeos, di Tertulliano, non sarebbero che delle edizioni corrette e accre
sciute di quella primitiva raccolta. E se si ammette, dice R. Harris, l’esistenza di questa raccolta e la sua persistenza, se si conviene che essa à lasciato tracce indelebili nella letteratura cristiana, non è inverosimile che abbia esercitata la sua influenza su altri scritti c quindi anche sul Nuovo Testamento. L’opinione dell’A. è che gli scrittori neo-testamentari e la patristica abbiano subito l'influenza dell'autorità dei Testimonia e che, dopo aver questo scritto servito a scopi polemici, si adattò a quelli catechistici. Questa tesi è stata recentemente confutata da Ch. Guignebcrt nella Revue de l'Histoire des Religione (janvier-février, 1920). Ma il libro* merita l’attenzione degli studiosi della storia del cristianesimo primitivo ed è per questo che abbiamo voluto qui farne menzione ed esporne in brève la tesi.
Cristianesimo medioevale. — Fr. Over-beck à raccolto in un grosso volume di xn-315 pag. ( Vorgeschichte und Jugend der rmttelalterhchen Scholastik) le lezioni che C. A. Beraoulli tenne dal 1888 al 1893 sui precedenti e la giovinezza della scolastica medioevalc. Comincia l'A. dallo studio dell’atteggiamento della Chiesa di fronte alla filosofia pagana per venire, a traverso il periodo carolingio e le scuole di Fulda, S. Gali, Fleury, Reims, alla scolastica, alla formazione della teologia medioevale. L’A. mostra una profonda conoscenza della storia medioevale, e un pensiero talvolta originale. Vi sono però delle lacune. Gli studiosi possono avvertire la mancanza di fonti di informazioni di studi più recenti che rimasero sconosciuti all'A. e che il suo editore F. R. Overbeck avrebbe potuto colmare.
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Giansenismo. ^Ricercare le cause che ànno dato origine£al giansenismo, determinare le tendenze e specialmente le correnti dottrinali che ne facilitarono l’apparita e contribuirono alla sua diffusione; esporre le prime controversie che à provocato in Francia; seguire a traverso queste lotte l’evoluzione delle dottrine giansenistiche e segnarne il progresso; caratterizzare il metodo teologico dei polemisti e mettere in luce i motivi che li determinarono ad agire; precisare gli atteggiamenti delle due potenze rispetto ad esso: lo Stato e la Chiesa; mostrare da per tutto c sempre l'influenza delle idee su gli uomini e quella degli uomini su le idee; ecco, in poche parole, ciò che A. De Meyer si è proposto in un suo lavoro: Les premières controverses jansénistes en Francò (Louvain, Van Linthout, 1917)- È un’opera che abbraccia un periodo interessante dello svolgimento del pensiero religioso in Francia, fatta con documenti in parte utilizzati per la prima volta. Salvo le riserve che le opinioni dogmatiche dell’A. possono determinare nei suoi lettori, il libro è atto ad appagare le esigenze scientifiche degli studiosi.
Mormonismo. — Una storia breve, concisa e sicura del mormonismo, dalla sua fondazione (1830) ai nostri giorni, à scritto Giorgio Seibel (TAe Mormon Saints -The Story of Joseph Smith, his golden Bible and thè Church he founded. Pittsburg, The Lessing Co., 1919). Questa nuova religione, sorta nel secolo scorso e diffusasi così rapidamente come forse mai nessun'altra (i mormoni che nel 1847 erano solo 2500, salirono nel 1850 a 30.000, superarono nel 1860 il numero di 100.000, e arrivano oggi a mezzo milione) è stata oggetto di critica spesso severa. L’A. di questo libro considera il mormonismo (e in questo mi sembra consista il suo maggior pregio) come documento di psicologia religiosa. Interessanti somiglianze stabilisce l'A. fra islamismo, fratelli moravi e mormoni. Ma, come la maggior parte di coloro che si sono occupati di questa religione, egli ne è avversario deciso e ne spiega la propagazione con la ignoranza dei fedeli, con un argomento cioè poco solido, se si pensa che irai mormoni non sono mancati uomini notevoli come Lorenzo Snow, Brigham Young, Lorin Fari-, Abraham Hatch, Franklin Richards, ecc., L’avversione che desta il mormonismo non è tanto per le sue istituzioni ecclesiastiche, politiche ed
economiche, quanto per l’istituto della poligamia, ora sospeso in diritto ma sempre applicato in fatto. Il lettóre di questa interessante storia del mormonismo, lamenterà però con ragione la mancanza completa di notizie bibliografiche. Per comodità, dei nostri lettori ne riferiamo alcune:
Heyde, Mormonism, its leaders and designs; Ferris, Utah and the Mormons; Green, Mormonism; Stenhouse, Rochy Mountain Saints; Mayhew, The Mormons; Gunnison, Mormons; Hepworth Dixon. Spiritual Wives; Beadle, Life in Utah; Remy, Voyages aux pays des Mormons; Taine, Les Mormons (Nouveau essai de critique et d’hisloire); Burtun, The City of the Sainis; Busch, Geschichte der Mor-monen; Falk, The Mormon Monster; Linn, The Story of the Mormons; Kalb, Kirchen und Sekten der Gegenvart.
Agnosticismo religioso. — Nel secolo scorso e precisamente nella seconda metà di esso, molti lavori apparvero su l’agnosticismo in genere (dacché Huxley aveva creato questo nome) e su quello religioso in ¡specie: L* agnosticismo religieux (Essai sur V antagonismo entro la Science et la Religion dans la pensée moderne. Génève, A. Eggimann, 1918) di P. G. Chappuis vuol essere una giustificazione di questa .corrente di pensiero alla quale lo stesso autore mostra appartenere. Non pensi il lettore di trovare in questo libro la Storia deH’agnosticismo religioso. Nella prima parte di esso si fa solo uno studio storico di alcune personalità agnostiche (Pascal, Kant, Renouvier, Renan, James, Bo-vet, ecc.) non esclusi alcuni letterati. Qualcuno s’impressionerà del fatto che l’A. ponga per es. Emerson fra i letterati agnostici, e più ancora phe escluda dall’agnosticismo ogni positivista e non faccia menzione del famoso teologo Ritschl e della sua scuòla. La nota bibliografica che l’A. aggiunge in fondo al volume risente assai di questa incompletezza. Rammento qui solo alcune delle principali pubblicazioni su l’agnosticismo religioso escluse dall’A.: A. Bodington, Religion, Reason and agnosticismo; P. Carus, Kant and Spencer. A study of the fallacies of agnosticism; C. Caverna, Theistic agnosticism irrational; Christianity and agnosticism; E. G. Y. Lucas, Agnosticism and religion; E. D. Maxon, Religious possibilities of agnosticism; L. Picard, Chrétien ou agnostic; E.
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H. PI umbre, Mouvements in Relifpous Thought; J. G. Schurman, Agnosticism and religion; Ch. B. Upton, The present agnosticism and thè Corning theologie; H. Vaee, Christianily and agnosticismo; J. Ward, Naturalismi and agnosticism (The Gifford Lectures, 1896-1898); M. G. Ti-berghien, Der gegenwärtige agnosticismus in s. Beziehung zur Wissenschaft u. Religion.
Non è una storia dunque, ma una raccolta di saggi su alcune personalità agnostiche che ci offre l’A. nella prima parte del suo lavoro, e forse la ragione per cui egli à escluso molti positivisti dall’agnosticismo si deve alla definizione che egli dà di questa corrente di pensiero, onde per lui agnostici sono coloro che affermano Sua1cosa non inconoscibile, ma sconosciuta.
‘efinizione questa, come ognun vede, poco esatta. Ma da essa vuol dedurre l’A., nella seconda parte del suo libro, il valore morale c religioso dell’agnosticismo. La religione, egli dice, à un elemento mistico: il sentimento di una presenza del divino. Anche l’agnosticismo, egli aggiunge, (pagina 71) à lo stesso sentimento. Da qui il suo valore religioso e morale. Per dimostrare che l’agnosticismo abbia questo sentimento, l’A. rammenta il Cuore di Pascal, V Inconoscibile di Spencer, la Legge morale di Kant, la Libertà di Renouvier, la Volontà di James, il Dio che sì fa di Renan; ma molti dubiteranno, e con ragione, che alcuni almeno di questi autori abbiano inteso la divina presenza nel senso in cui ne parla l’A.
Un difetto grave,' di questo libro, sta nel metodo adottato dall’A.: definire dapprima, provare poi la giustezza della definizione. Questo metodo è assai pericoloso e lo dimostra appunto questo lavoro che pur non manca di alcune interessanti pagine di psicologia religiosa, come quelle su fede e scienza (pag. 177 e segg.), su fede e credenza (pag. 190 e segg.), su dogma e vita religiosa (pag. 201 e segg.).
L’agnosticismo è generalmente ritenuto opposto al dogmatismo e affine allo scetticismo. L’A., volendo risolvere il contrasto tra pirronismo e dogmatismo, viene alla conclusione che illusorio è cercare la verità nell’uno e nell’ altro (pag. 148). Per ovviare al pericolo dell’abbandono puro e semplice della credenza religiosa cadendo nello scetticismo e nell’incredulità, e al pericolo dell’elevazione della credenza medesima allo stato d’idolo, l’A.
vuol ridare a questa credenza il suo giusto posto. Essa, egli dice, non può pretendere di esser la stessa verità, il dogma non può pretendere il posto dell'esperienza, la vita personale e profonda dev'esser perciò rivendicata. All’orgoglioso sistema che pretende dare una risposta per ogni difficoltà, bisogna opporre risolutamente una volontà illuminata ; alla pigrizia del sistema che introduce nel nostro spirito un sistema immutabile, bisogna opporre il germe vivente.del pensiero individuale libero. In questo senso l’agnosticismo è una reazione salutare specialmente contro le esagerazioni del razionalismo e del panlogismo. Ma esso contiene un germe di scetticismo infecondo — l’A. lo coltiva senza avvedersene — e contiene una insanabile con--traddizione se esorbita dalla sua attività reazionaria per affermarsi come una feconda e positiva attuazione di progresso religioso.
Unione di Chiese. — 1. In un libro che à per titolo: Rome, Christendom and a league of Churches (R. T. Washbournc, London, 1919), J. W. Poynter esamina, da un punto di vista cattolico,Ja delicata questione dell’unione delle Chiese, toccando anche altri argomenti di attualità, come quello della sostituibilità della religione per mezzo della filosofia. L’A. ama le posizioni nette e non cerca di attenuare le difficoltà. La unione cristiana, egli dice, non può esser fondata su l’oscurantismo, avvolta- in un nimbo di sentimentalismo, ma su la verità. Guardando le Chiese cristiane, egli vede una confusione grandissima. Se ognuna avesse un particolare colore, egli dice, si potrebbe costruire un mosaico dai colori più vivaci e contrastanti. Quali i rimedi? Quali i mezzi per raggiungere la unione che personalità distinte ànno negli ultimi tempi così eloquentemente sostenuta? La filosofia non offre alcun surrogato e presenta uguali confusioni fra i suoi aderenti; è quindi escluso che essa possa sostituire la religione nell'ufficio della unificazione. La Società delle nazióni e quella delle religioni, osserva l’A., non possono esser fondate su le medesime basi: la prima à basi economiche e umanitarie, la seconda ultramondane. Il Cristianesimo è un Sistema di verità rivelate, un sistema che deve esser conservato intatto. L’A. anzi viene ai particolari e dice che la verità della espiazione e della redenzione deve essere conservata e se cade l'incarna-
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zione cade con essa la redenzione. Lo stesso si dica riguardo alla eucarestia, ecc. Se si dovesse abbandonare un sol punto della dottrina alla unione delle Chiese, egli dice, sarebbe preferibile l’attuale mosaico. Il IV cap. di questo volume è dedicato a dimostrare che una unione di Chiese non è possibile nemmeno fra Chiesa anglicana e Chiese non conformiste. ’ Dove dunque trovare una base per l’unione? L’A. avverte che trattandosi di un messaggio divino, commesso da Gesù ai suoi discepoli, questo non può essere rappresentato da un vago sentimento o da una oscura logica interiore, ma da un definito messaggio, da un corpo di dogmi c dottrine. Queste dottrine, intese dagli uomini secondo le loro diverse attitudini, sono suscettibili di correzioni. Correzioni, non corruzione che rende indecifrabile il messaggio divino. Così si deve concludere che fra le diverse forme di cristianesimo una è la vera e le altre in tanto lo sono in quanto con quella d’accordo. La ipotesi che un fondo di verità divina sia comune a tutte le Chiese le quali poi, per quella imperfezione e limitatezza umana in cui le Chiese visibili possono realizzarsi, devono di conseguenza alterare e deformare quella verità, non è presa dall'autore in alcuna considerazione. Come ognun vede, la tesi sostenuta da J. W. Poynter è destinata ad acuire anziché ad attenuare le differenze tra le diverse denominazioni. Tuttavia il libro è interessante a leggere per coloro che vogliono conoscere ciò che i teologi cattolici pensano dell’unione delle Chiese e quali siano gli argomenti che li tengono ancora lontani da essa.
2. L'unione, o lega delle Chiese, è s'cata argomento di viva discussione in Inghilterra. Alcuni, come Rosslyn Bruce (Daily News, mai 1919), ànno proposto di prendere per punto comune il credo di Nieea c lasciare il resto.
R. J. Campbell (Star, aprii 1919) diceva che la chiesa dovrebbe essere una lega internazionale, ma non chiariva se questa unione dovesse o potesse farsi sulla base delle verità che si accettano.
E. A. Bourroughs (The Times, mai 1919) sosteneva la tesi che l’unione delle Chiese non può farai altrimenti che su la base della morale dissociata dal dogma.
UHibbert Journal (aprile 19x9) à pubblicato quattro notevoli articoli su questa agitata questione. Poster Watson considera la questione da un punto di vista pedago
gico e tratta la nuova educazione come un’opportunità per l’unione delle Chiese, volendo che esse la realizzino e si adattino al contatto delle spirituali implicazioni dell’età presente e alia attività educativa al di fuori della cerchia limitata dalle loro mura, poiché senza associarsi alle energie spirituali ed educative della società esse perdono l'unica opportunità di renderle il essa migliore servigio. In un altro articolo, il vescovo Hamilton Baynes dal fatto che la guerra à mutato molte cose, e dall’altro che noi procediamo verso un mondo nuovo, conclude che ci troviamo in una opportunità unica per l’unione delle Chiese. I nostri tempi ci chiedono fede e coraggio, egli dice, non si può fare un passo così splendido Senz’esser pronti a dare e ricevere, ad accettare ed offrire: da ciò necessariamente la mancanza di perfetta simmetria e di correttezza ortodossa. Il rev. W. R. Thomson, in un altro articolo su l’unióne presbiteriana in Iscozia, mostra. appoggiandosi anche su l'autorità di altre personalità competenti, l’utilità di Ìuesta unione. Il prof. W. M. Flinders etrie s’intrattiene finalmente di alcune differenze non essenziali che sono state poi causa di separazione e di odii e che secondo l’A., possono essere eliminate con vantaggio di tutti.
3, Altra recente pubblicazione in difesa dell’unione delle Chiese cristiane è The Road lo Unity among thè Christian Chur~ ches del prof. Charles W. Eliot. Si tratta di una conferenza tenuta dall’A. nella primavera dello scorso anno, in cui, ritornando egli sul fatto che credi e dogmi ànno sempre mancato di produrre una uniformità e costanza nel pensiero religioso e nella vita, afferma che se le Chiese oggi divise abolissero le loro differenze teoriche, troverebbero la società ben disposta all’unione, nella forinola dell’adorazione di Dio e nell’amore del prossimo.
4. Per una lega non solo delle chiese cristiane ma di tutte, à pubblicato recentemente un piccolo ma interessante libro J. Tyssul Davis (J League of religion, Boock Room, Essex Hall'W. C.). Tratta l’A. in separati capitoli del Zoroastrismo, del Bramanesimo, del Buddismo, del Con-f umanismo, del Maomettanismo e del Cristianesimo (non comprendiamo perchè il giudaismo sia statò omesso) e rileva il fondo comune che ànno queste religioni rappresentando esse gli aspetti diversi in cui le divine verità sono contemplate. Ve-
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rità, queste, che non si distruggono ma. scambievolmente si completano; ed è perciò che in luogo di una dannosa competizione l’A. difende una federazione fra tutte le religioni. Rilevando egli il fatto che tutte le Chiese ànno elementi che le accomunano in maggior numero di quelli che le separano, sostiene quanto sia opportuno porre i primi in maggior luce e accordare ad essi il primo posto. L’A. esorta perciò a coltivare fraterne relazioni con tutte le Chiese, per quanto queste possano apparire diverse, purché cerchino in spirito c in verità l’unico Dio padre di tutte le genti. Le nazioni ànno riconosciuto che solo una federazione potrà permetter loro di conseguire i fini comuni e di interesse vitale per tutte. Lo stesso deve dirsi delle religioni.
Misticismo. — 1. Hebert N. G. Newlin pubblica uno studio sui rapporti che passano tra il mondo mistico e quello sensibile {The Relationship belween thè mystical and thè sensible Worlds, London, G. Alien. 1918). Ritiene l’A. che al di sotto di ogni realtà vi sia un’unica e sola essenza che si manifesta come desiderio divino. Considerato da un punto di vista materialistico questo desiderio è bisogno cosmico. L’evoluzione indica i passi già fatti nella via del comune bisogno. La maggiore beatitudine dell’uomo si ottiene quand’egli si associa al bisogno cosmico che lo ispira: allora egli è in perfetta comunione con la vita invisibile. Considerata superficialmente. l’umana razza sembra domandi soltanto appagamenti e soddisfazióni sociali, miglioramenti economici; ma a guardar bene le sue reali esigenze sono alquanto diverse. L.A. ritiene che le nazioni dopo la dura e lunga guerra sostenuta, dopo tanti colossali sacrifici, non potranno mai trovare un risultato adeguato ai loro sforzi nell’appagamento di un benessere materiale. Il libro, ehe si legge con vivo interesse, conclude con la visione di un avvenire in cui profondi mutamenti faranno il mondo spiritualmente più ricco e più puro. Le teorie mistiche sostenute dall'A. in questo volume possono essere discutibili, ma le nobili esigenze che egli esprime, di una più alta esperienza religiosa, di una più ricca vita spirituale sono commendevoli.
2. H. M. Andrews scrive neWHibbert Journal (IV, 1919) un interessante articolo su Religione come relazione personale. Dopo aver avvertito il difetto della parola
misticismo, che non possiede quei caratteri spirituali implicati dalla parola tao nel pensiero cinese, da karma in quello indiano (la parola misticismo nel nostro linguaggio può essere usata per indicare lo sforzo di attaccarsi allo spirituale con svalutazione del mondo materiale, o per descrivere il tentativo di realizzare nella sua pienezza una visione della potenzialità raggiunta dal sentimento e dal pensiero più puro) viene a considerare brevemente la moderna filosofìa della religione. La quale, elaborata principalmente da psicologi, à condotto a riconoscere l’essenza della religione nella relazione tra l’uomo e Dio, nella preghiera e nei riti per i quali quella relazione si mantiene, e in quel sentimento di dipendenza .associato alla sicurezza di poter pervenire alla salute eterna.
Senonchè, secondo l’A., l’essenza dell’uomo religioso giace al {disotto dello stato psichico, ed è precisamente da questo fondo che si producono le particolari tendenze, qualità e modi di azione ; onde questo religioso (è inesatto parlare del religioso in generale, come fa l’A). non domanda assicurazioni di una rivelazione esteriore o di una tradizione, perchè trova in sè la sicurezza che Dio’è in lui.
Ora la questione, secondo me, non sta nella sicurezza dell’individuo, che non può ragionevolmente mettersi in dubbio; nè può risolversi come vuole E. Boutroux. quando dice che mai una religiosa certezza è completa c soddisfacente se soltanto subiettiva e individuale. La sicurezza può esser completa e soddisfacente, se anche solo subiettiva, e il suo valore pratico è indiscutibile. Ma teoricamente non si può valutarla se non con quei criteri che autorizzano a distinguere la verità dall’errore, la realtà dall’illusione. Nello esame dell’esperienza mistica deve farsi una distinzione fondamentale : tra esperienza come tale, e particolare significato e valore che ad essa si ascrìve. Il mistico dà un significato diverso alla esperienza, secondo la sua cultura e le sue particolari attitudini mentali, e perciò l’esperienza simile riceve, in diversi mistici un significato diverso. L’esperienza. come tale, cade nella categoria degli ordinari fatti della nostra coscienza. Il significato che il mistico dà a questa esperienza però, non è della medesima categoria. Qui non abbiamo più da fare con giudizi esistenziali, ma con giudizi di valore.
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3. Uno dei più apprezzati scrittori inglesi moderni, Francis Grierson, autore di un volume su! misticismo moderno (Modem Myslicism and other essays) del quale Maetcrlinck à detto avrebbe voluto esserne autore, pubblica un saggio sul misticismo pratico di Abramo Lincoln (Abraham Lincoln, thè ^radicai mystic, London, J. Lane, 1920) preceduto da una introduzione del noto J. Drinkwater. Le biografìe e i libri su Abramo Lincoln non si contano più. Questo di F. Grierson à tuttavia particolari pregi e accanto a questi, lo diciamo subito, notevoli difetti. Fra i pregi principali è, secondo me, quello di aver messo in luce, con tratti semplici e netti come pochi ànno fatto, la coscienza religiosa di questo grande uomo di Stato. F. Grierson à il merito di far rivivere, direi quasi, dinanzi ai nostri occhi, la vita interiore più intima c profonda di Lincoln. Ma il suo entusiasmo lo fa eccedere in alcuni giudizi (ecco i difetti ai quali accennavo) e lo fa cadere in una eccessiva credulità, che mette a nudo la sua mancanza di senso critico. Darò qualche esempio. L’A. paragona la lotta che impegnò Lincoln a' suoi tempi contro la schiavitù dei negri, con quella impegnata recentemente dagli anglo-americani (sono essi, notatelo bene, i soli eroi rammentati di questa ultima guerra) per la liberazione della • schiavitù bianca » in Europa. E poiché noi siamo, al dire dell’A., di fronte a un vero e proprio risorgimento anglo-americano verso il quale si orienta la civiltà moderna, d i fronte a un risorgimento mistico rispondente alle esigenze spirituali determinate dalla grande guerra, così le caratteristiche della nuova civiltà non potranno essere che anglo-americane e mistiche. In contemplazione entusiastica di questo risorgimento, l’A. esclama che mai fiamma più viva fu vista riscaldare lo spirito umano dal tempo dei profeti e degli apostoli. Riguardo a Lincoln, l’A. è disposto ad accettare, senz’alcuna critica, tutti i fatti meravigliosi che la fantasia popolare gli à ascritto, come avviene della vita dei grandi uomini particolarmente destinati alla mitificazione. Chiaroveggenze, profezie, sogni straordinari, segni misteriosi del numero sette, esplicazioni astrologiche del destino dei popoli, fanno qui arditamente capolino. Tycho Brahe, il grande astronomo danese, che esaminando la cometa de! 1577 vi leggeva la nascita d’un principe devastatore della
Germania, avrebbe, secondo l’A., prevista Gustavo Adolfo; il pittore Blake che nella sua illustrazione dell'inferno dantesco à disegnato il capo dei diavoli con aspetto simile a quello di Guglielmo II non ancor nato, avrebbe previsto la sua malefica azione nel secolo xx. E basta con questi esempi. Certo è però che con tutti 1 suoi difetti il libro qui esaminato mette in chiaro, come pochi ànno fatto, il grande spirito religioso di Àbramo Lincoln. In questo spirito egli attinse la forza che occorreva per salvare l’America nel periodo forse più difficile della sua storia; e la sua fede nel governo divino del mondo fu per lui non solo fonte di inesauribile energia per l'azione ma anche di luce interiore.
4. G. Heinrici nel suo studio: Die Hermes mystik und das Neue Testament (Arbeiten zur Rcligionsgeschichte des Urchristen-tums, Leipzig, 1918) dà una buona introduzione e un’accurata analisi degli scritti che vanno sotto il nome di Hermes Trisme-gisto, dei quindici trattati che formano la raccolta intitolata Poimandres, dei Frammenti di Stobeo, dell’Asclepias di Apuleio e di altri frammenti. L’A. paragona questa mistica agli elementi simili del cristianesimo primitivo e conclude per la indipendenza e l'Orginalità di quest’ultimo.
Il problema del male. — 1. In una sua pubblicazione su Suffering and Wrong (London, Bell) Francis Wood si propone un duplice scopo: a) mostrare che la responsabilità delle sofferenze e del male nel mondo è esclusivamente dell’uomo; b) che il cristianesimo è incapace di ispirare l'umanità a rimuovere il dolore e a sanare i mali. Secondo l’A. il dolore non è una conseguenza necessaria del processo della creazione, nè il risultato inevitabile dell’ordine dell’esistenza, nè vi è un inesplicabile mistero del dolore. La sua origine è chiara: secondo' l’A. ogni male è dovuto all’azione umana, cioè alla umana ignoranza, all'errore, all’egoismo, al peccato. Vi sOno sei cause del male e di sofferenze: ubriachezza/ schiavitù, degradazione morale, guerra, povertà, sistemi carcerari, cibi carnei.Còn questa classificazione dei mali l’A. si spiana la via per mostrare che il rimedio del male sta in poter nostro. Passando poi a considerare se il cristianesimo abbia giovato al miglioramento umano, l’A. lo nega completamente, ritenendo anzi che esso impedisce e non promuove l’azione
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RASSEGNE
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contro il dolore arrivando persino a dire che il cristianesimo sia l’alleato di tutti i cattivi costumi che stanno alla radice della sofferenza. L’A. conclude perciò esser necessaria una nuova religione che prenda il posto del cristianesimo moribondo. Fra gli insegnamenti di questa nuova religione l’A. pone quello che afferma Dio non esser Dio. Il Dio della nuova religione è l’essere « visto in tutto ciò che noi vediamo, sentiamo e udiamo», in tutto ciò di cui abbiamo coscienza. Adorare quest'essere è il comandamento-della nuova fede. L’A. non si è reso ben conto della natura fisica del male, di quella intellettuale e di quella morale. Egli non poteva quindi spiegare l’origine e la funzione di esso. Quanto alla nuova religione che egli propone, le sue idee sono troppo confuse per poterle esaminare con frutto.
2. Un grosso volume sul problema del male pubblica Emil Lasbax (Le problème du mal, Paris, Alcan, 1919) nel quale, dopo avere esaminata la questione metodologica (spesso trascurata in tali ricerche), esamina non senza prolissità il problema del male nei suoi rapporti con la morte, la malattia, il dualismo fisiologico e psicologico, i rapporti tra vita e materia, il dualismo nella materia vivente e in quella inorganica, il dualismo meccanico, le nuove teorie su gli atomi, l’etere e il movimento, l’estensione e la durata, l’origine doppia degli esseri e il dualismo cosmogonico. Tratta nel capitolo X dell'evoluzione purificatrice, e negli ultimi due capitoli dello sforzo di liberazione e della vittoria sul male. È uno studio minuzioso, ricco di notizie scientifiche, ma come ho detto, prolisso e aggiungo poco conclusivo. L’A. viene in fondo a riconoscere due principi fondamentali, una specie di manicheismo del quale tenta poi, ma invano, staccarsi. Due principi dei quali uno soltanto possederebbe l’esistenza, e poiché esso è espressione integrale della vita, da esso procede tutto quanto nel mondo à essere o realtà. L'altro principio consisterebbe (e in questo l’A. vuole distinguersi dai manichei) in una volontà di odio e di morte, in un infinito negativo, se si vuole, che tuttavia non costituirebbe un principio reale effettivamente realizzato in sé, al di fuori degli esseri creati, A questo punto qualcuno potrebbe domandare se questo principio è una realtà senza un soggetto al quale inerisca. A quanto dice l’A. sembra di sì. Questo
principio non esisterebbe in sé, esisterebbe solo allora per la sua azione nell’universo, per l’odio eterno ch’egli à contro la vita, che con lotta incessante si accanisce a distruggere. Ma allora non si vede prò come si possa parlare di azione o di odio senza "riferirsi a uh soggetto. Da quanto qui accenno si può vedere che l’A., preoccupato di fondare le sue argomentazioni sui dati della scienza positiva (ciò che non è certo spregevole), è caduto in seguito, con un senso critico assai fiacco alla concezione alessandrina della discesa verso la morte e del ritorno alla vita, a una filosofia della natura integrata, o meglio contaminata, dalla filosofia della libertà.
3. Snl problema del male è apparso un articolo di Ruth Manning Gordon nel The Harvard Theological Review (gennaio 1920) dal titolo: Two contrasting altitude stewards Evil. Si tratta dei contrastanti atteggiamenti che prendono di fronte al male l’idealismo da un lato e il realismo dall’altro in Inghilterra c in America. In questo articolo l’A. à occasione di esaminare le teorie di parecchi fra i migliori pensatori inglesi ed americani contemporanei,'come T. H. Green (Prolegomena to Ethics), R. F. A Hoernlé (Neo-realism and religion),VI. James (The Will IO believe), W. E. Hocking (The Meaning of God in Human Experience - Human Nature and its remaking), R. D. Perry (Present Philosophical tenden-ces - The approach to philosophy - The Conflict of Ideals), Josiah Royces (The Religious aspect of philosophy), Dickinson Miller (The Problem of Evil in the Present State of the World), Bernard Bosanquet (The value and destiney of the individual - Some suggestions in Ethics), H. G. Velis (God the invisible King), Bertrand Russel (Mysticisms and Logic).
Per l’idealismo il male è, come si sa, un elemento necessario nella costituzione del mondo, perchè esso, come un tutto, è perfetto e quindi ciò che sembra male- è bene, ed à valore. Per il realismo il mondo è invece perfettibile perciò che il male può esserne completamente eliminato. Qui appaiono ben definiti i due contrastanti atteggiamenti del pensiero filosofico, moderno rispetto al male, ammettendo l’uno che questo sia necessario e quindi inalienabile dal mondo, c ammettendo l’altro il male potersi completamente eliminare dal mondo. Questo mette in chiaro acutamente l’A. Il realismo à ragione d’insi-
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stere nella distinzione del bene e del male e a non volere che si parli del bene in modo equivoco. Esso à ragione quando, pur ammettendo con l’idealismo che il bene può provenire talvolta dal male e viceversa, nega poi recisamente che bene e male siano per necessità indissolubili. Esso à anche ragione quando sostiene che la sola giustificazione della lotta sia il tentativo di migliorare le condizioni del mondo e che al progresso è necessaria la la fede nel miglioramento. Ma al progresso
non è necessaria la fede nella totale eliminazione del male. Questa totale eliminazione del male è una ipotesi che à perduto ogni contatto con la realtà, e conduce alla concezione di una vita ideale al di fuori della sfera umana. La soluzione del problema circa la necessità del male può trovarsi invece in una sintesi superiore che abbracci ciò che di vero contengono idealismo e realismo, ripudiandone le scorie.
Mario Foglisi.
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buona e coraggiosa iniziativa dei collega For-Harward Theological Rcview dell’aprile
1920 pubblica un notevole articolo di Giorgio La Piana, su la Chiesa Romana e la moderna Democrazia italiana. L’A., dopo aver accennato al carattere eminentemente conservatore del Papato ed alla necessità, da esso sempre sentita, di mantenersi in contatto con l’evoluzione del pensiero per mezzo di compromessi; teologici e filosofici nel campo della dottrina, etici, politici e legali, nella pratica, esamina il contegno del Papato verso la Democrazia italiana del ’70 in qua, ih rapporto anche alla politica del Vaticano verso gli altri Stati. Tale esame, a cominciare dalla politica antitaliana di Pio IX e Leone XIII giunge, attraverso le concessioni fatte ai cattolici da Pio X, di partecipare alle elezioni, e la partecipazione di due membri cattolici al gabinetto di guerra italiano, alla costituzione del P. P. I. Tutte queste successive concessioni si sono rese necessarie per combattere il socialismo che, specialmente in Italia, si è manifestato con. tendenze schiettamente antireligiose, affermandosi sempre di più fra le masse.
Il Partito Popolare Italiano, non riconosciuto nè disapprovato dal Papa, è oggetto di uno speciale esame dell’A., che dimostra esser esso strettamente legato al Vaticano. Ciò nondimeno esso cova un interno dissidio onde egli si domanda quale sarebbe il contegno della Chiesa di fronte ad una eventuale prevalenza della sua frazione estremista. Certamente il Papato non potrà più impedire ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana nè mai, qualunque possano essere gli avvenimenti, potrà disinteressarsi della nostra Democrazia, poiché contraria
mente a quanto pensavano alcuni membri stranieri che lavorano ad attizzare il fuoco nella Curia, esso è strettamente legato alla Italia, sua sede naturale; i Papi non hanno certo dimenticato la schiavitù avignonese.
• * •
Nella Rivista italiana di sociologia, fascicolo di luglio-settembre 1919 (pubblicato negli ultimi giorni di maggio) notiamo un articolo di Giovanni Costa su Politica e religione nell'impero romano, che costituisce una specie di complemento agli articoli pubblicati in questa rivista sull’impero e sul cristianesimo e su Giove ed Ercole.
Il Costa mette in evidenza in tale lavoro soprattutto l’elemento psicologico delle lotte religiose e politiche dell’impero e dimostra come la tradizione storica sugli imperatori non sia se non il risultato delle azioni e ragioni politiche delle classi sociali dell’impero, salve sempre le rivoluzioni e controrivoluzioni religiose che hanno avuto un’azione a partei sebbene abbiano affrettato l’evoluzione della monarchia elettiva verso quella assoluta e la formazione di una religione di Stato in luogo dei vari culti tollerati ed ammessi.
Nel convegno degli editori e dei librai ita^’ liani tenutosi in Roma, Angelo Sodini, direttore della Casa Barbèra, ha presentato alla presidenza il seguente ordine del giorno firmato da tutti gli editori e da tutti i librai presenti. Riportandolo per intero crediamo di fare opera doverosa di propaganda di italianità e di spiritualità:
« Il convegno degli editori e dei librai italiani saluta con plauso e con simpatia la
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miggini il quale, con felice intuito e con notevole sacrificio di denaro e della propria attività editoriale, è riuscito a dar vita ad un Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana che in poco tempo, opportunamente sorretto dagli organi statali, si è affermato nel mondo e promette ormai chiaramente di divenire una cospicua forza della editoria nazionale quale nessun’altra nazione possiede ancora.
« il convegno fa voti che sia generalmente apprezzato lo sforzo generoso e sagace del collega Fórmiggini e che sia assecondato in modo che nel più breve tempo possibile esso sia per dare tutti quei buoni frutti di cui si è già chiaramente manifestato capace a vantaggio della editoria, della libreria e della cultura nazionale ».
È sembrato opportuno al Comitato Nazionale della Federazióne Italiana degli Studenti per la Cultura religiosa chiarire, in un documento ufficiale, a quelli che la Federazione non conoscono affatto o non là conoscono quale essa veramente è, le sue origini, le sue finalità, il suo divenire.
A tale bisogno risponde una pubblicazione d’una cinquantina di pagine Che rifacendo tutta la storia della Federazione dalle sue prime origini in forma piana ed affatto polemica ne espone gli scopi, il programma, i mezzi di lavoro senza nulla tacere e nulla sottintendere. Essa, benché redatta da uno dei soci della Federazione, è stata discussa e approvata in ogni sua parte dà tutti i componenti il Comitato Nazionale sì che la pubblicazione è diventata quale in effetti essa vuole essere, un vero documento ufficiale della Federazione, il primo che questa pubblichi sotto tale forma e per tale scopo. E perciò il valore di quanto in essa è detto assume un'importanza decisiva e perentoria. Questo dichiara il segretario nazionale avv. Cesare Gay nella sua prefazione.
In Ultra del febbraio-aprile u. s. leggiamo una speciale traduzione della sinossi vedan-tica di Shankara Achàryà, che espone in breve spazio lo scopo e i propositi della filosofia vedànta Richiamiamo su di essa l’attenzione dei competenti perchè sarebbe la prima... in inglese, dal qual testo (Teosophisí) deriverebbe l’italiano.
Notevole, a parte delle esagerazioni teosofi -stiche, nello stesso fascicolo, uno studio di
Anna Trompeo su Beethoven e la sua crisi psichica.
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II benemerito diffusore della raccolta Stali, di cui diciamo tutto il bene che si deve dirne in altra parte della rivista, Umberto Rastel lini di Torre Pellice, diffonderà tra breve un’edizione speciale del Vangelo della Vita del prof. Forster, aureo libro sull’educazione morale della gioventù ed anche dei grandi. L’opera -si esaurirà indubbiamente in breve tempo : i lettori possono perciò prenotarsi presso di noi o direttamente presso l’editore.
• • •
Il Circolo Artistico di Catania allo scopo di onorare l’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga e per diffonder meglio la conoscenza delle opere dèi grande scrittore, bandisce un concorso per uno studio inedito su Giovanni Verga col premio di L. 2000.
Data di chiusura: 31 ottobre 1920.
I lavori dovranno essere dattilografati. La Commissione esaminatrice è composta da F. De Roberto, Fr. Guglielmino ed A. Momigliano.
Il Circolo Artistico si impegna di dare alle stampe il lavoro premiato.
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Mentre la rivista va in macchina si tiene a Venezia (18-20 luglio) il Xo Congresso nazionale della Federazione nazionale delle Associazioni cristiane della gioventù (A. C. D. G.). È noto che tali associazioni hanno lo scopo di raggruppare i giovani di fede cristiana, secondo i puri principi dell’Evangelo; per sviluppare in loro armoniosamente le facoltà del corpo e dello spirito, e renderli atti, con una profonda e completa educazione ed una salda organizzazione, a cooperare efficacemente al progresso materiale e morale del loro paese.
Esse sono unite in Federazione nazionale, che è un ramo della Alleanza universale delle Associazioni cristiane della gioventù, la quale ha sede in Ginevra, ed è costituita da 47 Federazioni nazionali, con circa 9000 Associazioni e quasi un milione e mezzo di soci. Fra le più potenti Federazioni v’è quella degli Stati Uniti d’America, notissima anche fra noi, per mezzo delle sue iniziali Y. M. C. A. (Young Men Christian Association), che ha svolto in Europa durante la guerra un’opera vastissima e veramente provvidenziale. Tutte le Federazioni sono basate sugli stessi principi, secondo cùi svolgono il loro programma d’azione.
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La Federazione Nazionale Italiana delle A. C. D. G. che dovette sospendere quasi interamente la sua attività durante la guerra, per là chiamata alle armi di quasi tutti i suoi soci, ha ripreso la sua attività nella scorsa stagione invernale.; e si trova in un fervido periodo di riorganizzazione. Essa si compone ora di 40 Associazioni, che già hanno iniziato con entusiasmo e con fede un attivò programma di lavoro.
Il X® Congresso nazionale delle A. C. D. G. deve segnare per loro l’inizio d’un periodo di vita florida e feconda, tracciando un chiaro e completo piano d’azione, e dando l’impulso ad un’opera duratura pel bene d’Italia.
Dei lavori del Congrèsso daremo notizia nel prossimo fascicolo.
La casa Friedrich Andreas Perthes di Gotha ci annuncia la pubblicazione di un libro di P. Eberhardt, Religionskunde, che dovrèbbe essere fondamentale per la conoscenza delle religioni tanto per le persone colte che per i meno informati. Dottrine religiose, storia delle varie religioni, notizie bibliografiche, costituiranno la parte più oggettiva dell’opera, che sarà condotta con tale senso profóndo della religione dà costituire più che un’opera materiale un'opera spirituale. — Sin qui, aU’incirca, l’editore : non appena l’opera ci perverrà ne giudicheremo direttamente e spassionatamente.
Facciamoci conoscere ! è il titolo di un opuscolo che V Istituto per la propaganda della cultura italiana (Roma, Campidoglio, 5) invia dovunque gratis a richiesta.
Contiene il programma nuovo, pratico ed efficace del geniale organismo che si è praticamente affermato soprattutto all’estero. È una specie di « Touring » della cultura destinato sènza dubbio a raggiungere il più largo sviluppo ed a contribuire notevolmente ad
intensificare in Italia e a far nota all’estero la vita intellettuale italiana.
L’editore Battistelli di Firenze pubblicherà tra breve un volume di F. Momigliano dal Ìitolo: « Scintille del Roveto di Stagliene •. ì il terzo volume di argomento mazziniano del nostro illustre collaboratore e comprende i seguenti saggi: « L’arte nella mente di Mazzini - Gli affetti domestici e l’educazione religiosa di Mazzini - La vigilia panteistica e mazziniana di V. Gioberti - L’influsso francese e l’unità germanica secondo G. Mazzini - Mazzini, Marx, e Benedetto Croce».
Il campo estivo organizzato dalle Associazioni Cristiane Evangeliche del Giovani avrà luogo sulla spianata della Vachère (altit. m. 1480 - Valli Valdesi) dal 12 al 18 agósto, con 18 grandi tende di tipo militane. Scopo del campo è d’offrire ai giovani ed anche agli adulti, animati da sentimenti cristiani, un soggiorno in alta montagna, nel quale possano godere sia dèi riposo e di esercitazioni alpinistiche, sia della meditazione e della discussione di soggetti d’attualità in una completa fratellanza spirituale. I pasti saranno semplici, ma sani ed abbondanti. Le mattine saranno dedicate agli studi ed alle discussioni, i pomeriggi alle gite e le sere alle discussioni libere su argomenti vari.
Ecco alcuni soggetti di studio: L’evoluzione del profetismo in Israele (Mario Falchi) -L’eroismo. L’educazione del popolo (Piero Jahier) - Alcune caratteristiche della vita di Gesù (Davide Bosio) - Il mistero della preghiera (Teodoro Longo) - Un artista socialista (G. E. Meille) - L’Evangelo delle catacombe (Lodovico Paschetto) - Un artista mistico del Rinascimento (Attilio Jalla) -L’Evangelo e là folla (Bertinatti) - L’Evangelo e la gioventù (G. Bonnet).
Si farà molto canto. Sarà una bella settimana di meditazióne, di riposo, di gioiosa fraternità.
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NUOVE RIVISTE
Si è pubblicata in New York la Nueva Democracla, rivista mensile di scienze, filosofia, religione, lettere ed arti, organo del Comitato di cooperazione nell’America latina, diretta dal segretario del Comitato stesso, Dr. Samuele G. Inman, professore all’Università di Columbia.
La rivista si propone con grande fede un programma di restaurazione e coesione sociale, imperniato sulla religione in generale, sul cristianesimo in ¡specie, inteso nel senso più puro e più semplice, di scuola etica superiore. Non subordinare i valori della civiltà latino-americana a quelli dell’anglo-sassone, nè viceversa, ma fare collaborare queste due correnti ad una comune òpera di perfezionamento e di complemento : in questo programma la redazione della rivista vede un’opera essenzialmente americana di salvataggio del-l’Europa ormai «in pericolo imminente di completa rovina». Forse con l’alto spirito di fede e di entusiasmo che fa esagerare ai puri idealisti il proprio nobile compito, la Nueva democracia esagera questa visione pessimistica, vedendosi in atto di spingere l’America a salvare la nostra civiltà, minacciata non altrimenti — secondo essa — dell’ impero romano minacciato dai barbari...
Cionondimeno il compito è bello e grandioso, anche se limitato all’America sola ed alla civiltà latino-americana di quel continente e noi plaudiamo al programma dei nostri colleghi, lieti se potremo collaborare con essi ad un’opera di ricostruzione e di coesione sociale in prò dell’ umanità cosi miseramente travolta in questo momento, àd un’opera che tragga i suoi elementi fondamentali dalle radici sempre vigorose e ricche di linfa del cristianesimo.
A ripreso in Napoli le pubblicazioni interrotte la rivista internazionale di filosofia Logos diretta da un Comitato internazionale di redazione, composto di Aliotta, Bonucci, Calò, De Sarlo, Di Carlo, Giardina, Maggiore,
Masson-Oursel, Taylor, Variscoe Woodbridge-Riley. La rivista che sarà redatta in tutte le cinque lingue principali, farà seguire agli articoli non scritti in francese un sunto in questa lingua.
Il programma, per dir cosi, della rivista, sopratutto in relazione al suo titolo , ed alle opere che intende svolgere è spiegato dallo Aliotta in un articolo preliminare che svolge l’argomento de! «carattere nazionale del pensiero» e della «collaborazione intellettuale» sostenendo il principio di una collaborazione intellettuale superiore al di là dell’ individualità degli stati e degli uomini che non debbono perciò perdere i loro caratteri essenziali.
Alla consorella mandiamo i nostri migliori auguri di operosità lunga e feconda.
In Palermo è uscito il primo numero di un’altra nuova rivista che ci auguriamo con piacere possa svolgere il suo programma, La nuova critica, diretta da Francesco Bion-dolillo. Come lo dice il titolo la rivista, che sarà bimestrale, si propone di affermare la sua concezione critica spirituale secondo il pensiero del Gentile, negli studi della letteratura italiana, facendo «opera altamente morale su se stessi e sui lettori », come dichiara il programma. « Poiché solo vivendo come spirito, solo immergendosi nella luce incorruttibile dello spirito, e solo quando saremo diventati signori di noi e del mondo universo in cui vediamo effigiata la potenza della nostra individualità, potremo dire di aver raggiunto tutta la nostra forza per far valere, anche, quella personalità dispensandola in tutta la sua infinità e opponendole con magnanima forza contro ogni brutale tentativo inteso a socializzare, in forme immutabili, lo spirito e rendere meccanica la vita».
* **
Sukura, prima rassegna moderna europea dell’arte e della poesia dell’estremo oriente.
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Dal programma : « Ora noi vogliamo scoprire all* Italia e all’ Europa migliore la grande poesia giapponese; svelare sopratutto, la purità dell’anima nipponica, che è un meraviglioso e commovente fenomeno umano, oggi che il mondo e gli uomini sono un preciso ed uniforme sistema di tavole logaritmiche. Rivelare la poesia ; rivelare gli uomini ». Infine, una nota di più nelle nostre sensazioni spirituali e noi non domandiamo di meglio. In questo primo fascicolo notiamo un interessante articolo "sull’influsso ellenico nelle arti antiche del Giappone dovuto a Koreyoshi Dan ed alcune originali e belle poesie di Yosano Akiko, una donna : « Onde del mare azzurro». Buone le illustrazioni. Il comitato di redazione è composto di giapponesi ed italiani sotto là direzione del prof. Schimoi del-l’istituto di studi orientali di Napoli.
* • •
Il Ccenobium annuncia che tralascerà da ora innanzi di trattare gli argomenti della filosofia religiosa e considererà e studierà sopratutto il rinnovamento politico e sociale che agita e sommuove il mondo. In questo nuovo assunto lo assisteranno anche nuovi Collaboratori specialmente designati dai loro precedenti e dal loro temperamento.
«Viviamo — dice il programma — in uno
dei momenti più lattivi della storia: tutto lo spirito è azione. La contemplazione cenobitica della vita interioré che è uno dei modi eterni dell’attività spirituale riprenderà certo gli uomini che avranno dietro di sé questo tempo di gestazione e vivranno nel mondo nuovo che ne sarà nato. Essi riprenderanno la tradizione in cui finora operammo e che siamo costretti a interrompere. Ma oggi ci parrebbe di metterci fuori della realtà, se non rivivessimo nel pensiero e nel sentimento una crisi la quale investe tutti i valori reali e gli istituti pratici e scrolla le fondamenta della civiltà in cui crescemmo.
«Onde, ripetiamo, il nostro piano di lavoro nell’espl¡care il quale ci lusinghiamo non sia per venirci meno l’appoggio di coloro che finora ci assistettero e che certo piovano al pari di noi il travaglio della storia attuale, la quale impone essa medesima la materia aHa Nuova Serié della nostra Rivista : — crisi dello Stato nazionale, della ideologia democratica e delia economia capitalistica, i tre aspetti della civiltà che con la guerra mondiale-è entrata nel suo declinare.
«La limitazione che c’imponiamo perchè il nostro lavoro sia, per quanto sta alle nostre forze, utile e fecondo, concerne gli argomenti, non la libertà nel trattarli ».
Auguri.
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R5ICO19GIA RELIGIOJA
Jules Sageret, La vague mysttque. pagine 180. Paris, E. Flammarion éditeur, 1920.
L’A. di questo saggio è uno che s’è interessato sempre alia fantasia quale alleata e concorrente della ricerca scientifica. E ha rintracciato già le peripezie de) fantasticato e pensato sistema del mondo dai Caldei a Newton, e ha fatto uno speciale studio del presunto ipotetismo di Poincaré, e ha creduto di trovare per proprio conto un saldo terreno nel biologismo di Le Dantec.
Scienza e fantasia : oggettività e soggettività!
Ed ecco, dove s* insinua la preoccupazione soggettiva ogni definizione è una passione, ne le definizioni diverse de le parole-cima culmina una guerra di valori. E riesce impossibile l’accordo.
L’A. per contosuoè per 1’ «oggettivo» scientificamente inteso. E il suo volume è un invito agli égarés, che si riadducano all’ogget-tivo, che domandino guida ai « fatti» e alle relazioni certe tra i fatti, al relativo, rinunziando alla soggettiva pretesa di assoluto. Egli si fa dunque un concetto ch’io direi strano, se purtroppo non fosse di dominio volgare, del soggettivismo assoluto (qualche cosa come un Don Chisciotte visto da Sancio Panza) e della filosofia in genere, e del misticismo: il quale finisce per divenirgli senz’altro... il soggettivo, il sentimentale, il fantastico in quanto avanzi la pretesa all’oggettività. E mentre gli pare che una
nuova ondata di «misticismo» rischi di travolgere le coscienze, che s’illudono possa trovarsi una verità di là dalla scienza, egli s’adopera a mettere in chiaro che nel più recente movimento scientifico— fìsica energetica... elaborazione critica della logica delle scienze... — non c’è proprio nulla che possa derivarsi a gonfiar quest'ondata ; di 'cui per altro non valgono ad assicurare il moto quelle ch'egli considera le piùjrecenti correnti de la filosofia. — Mentre la storia de la scienza mostra di questa lo Sviluppo necessario, lo sviluppo di »ma progressiva approssimazione nel rendere un permanente « contenuto oggettivo» di fatti e rapporti, la critica che il Poincaré fa dei metodi matematici, strumenti di scienza, più che sciènza essi stessi, non riduce per nulla tutta la scienza a convenzionalismo arbitrario, e lo sapeva il Poincaré stesso, no-, nostante il suo debole per il paradossale.
La Energetica, poi, che il Duhem (in opposizione recisa con ('aspirazióne monistica che la generava nel pensiero dello Ost-wald) cercava di volgere all’appoggio del dualismo scolastico, e però dello spiritualismo cattòlico, è dottrina che dà realtà a semplici astrazioni. E la teoria della libertà del Bergson non esula, in conclusione, dall’orbita del naturalismo, del determinismo scientista ; Le Dantec avrebbe potuto sostanzialmente farla sua, e non mutarle carattere, ponendo al posto del termine «libertà» quello «necessità». E il minimo di dogmi che il Boutroux pone a fondamento della religione —- l’aftermazione, con una esistenza che non si vede se sia simbòlica o concreta, di un Dio... o di un Ideale, e della unione nostra con Dio... cioè della nostra vita per l'ideale, se salva il Boutroux dal venire in opposizione con lo scientismo, non fa ancora religione... I difensori dell'orientamento dogmatico, infine, soprattutto i cattolici, che sempre
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RECENSIONI
Si
han finito per basar la fede sulla esigenza della disciplina sociale (d’una morale sottratta alle critiche individuali e resa a questo modo imperativa per tutti, e fornita, oltre ogni esperienza individuale, di sanzióni assolute e inevitabili) e che sempre han concluso dalla utilità e dalla efficacia pratica delle loro credenze alla realtà dei loro oggetti, si aggrappano al pram-matismo. Ma una dottrina che consideri la verità come una semplice regola d’azione sarà utilissima alle religioni, ed anzi fatta per esse, solo a condizione che esse non insistano, poi, sulla verità dei loro dogmi e non pongano come legittima una autorità unica detentrice della vera interpretazione; a condizione, cioè, che le religioni si faccia« moderniste e, in ultima analisi, si dissolvano' come religioni...
Nonostante l’insufficienza del suo pùnto di vista iniziale, l’A. non manca, in verità, dall’offrire felici spunti di riflessione, e un certo fascino o interesse psicologico pel soggettivo gli consente più d’una volta della finezza, se non giustezza. Égli si rende conto, ad esempio, che la vera intima anima del misticismo è l’esigenza dell’assoluto dover essere di ciò che appare di assoluto valore, e che qui è la radice da cui germinano in forme diverse i fiori de l’immortalità, de la libertà, de la divinità dello spirito, di cui gli uomini ornano gli occhielli dei propri abiti come di vistosi emblemi della loro fede nel senso de la loro 'vita. E perchè la vita morale gli sta a cuore, egli è contro questi emblemi, comodi strumenti, troppo spesso, di pigrizia, di cecità, e segnacoli d’inimicizie insensate.
Ma il suo torto radicale è di non accorgersi, che incorre anch’egli, col suo critico oggettivismo, in una petizion di principio che, forse, soltanto per la stessa... soggettiva forza per cui vive come naturali certi valori, gli rimane celata. Se la vita morale col suo... dover essere, con la sua esigenza d’ideale... cioè d’assoluto... gli sta a cuore, la sua visione definitiva, quella ch’egli vive se ne renda o no conto, supera lo scientismo. E la sua critica sarà della religione positiva, sarà di una certa filosofia, ma non tange per l’appunto quella aspirazione mistica dell’anima a una vita con significato assoluto, la quale trascende le confessioni, e non tange... la filosofia.
« Je cròis, pour ma pari — egli conclude proprio mentre crede avere riaffermata la assoluta validità di nient’alcro che del metodo scientifico — que la morale n’a besoin
d’aucune garantie de la part de gens pourvus d’un certain idéalisme...». Con che lo scientista viene a riconoscersi a suo modo un idealista. Ma il suo modo è poi davvero il più avveduto e coerente ?
Solq se la sua propria ingenua posizione gli fosse divenuta davvero un problema, egli avrebbe forse potuto intendere il misticismo e... penetrare nella filosofia. Ma egli ha presupposta la validità assoluta de la scienza empirica. Così la sua critica è rimasta ignorante del proprio Oggetto, e l’anima idealista del suo scientismo ha misinterpretato se stessa nella lotta col suo presunto avversario: « — ... Là vérité doit se chercher indépendemmenf des attributs dont nous désirons qu’elle soit ornée...». E’ un triste stratagemma « la fabriquer », 1’« inventer d’après nos besoins... • quando invece si deve da essa trar nórma... « Ainsi donc l’univers ne ferait pas son devoir s’il trompait les désirs de l’homme, s’il ne se comportait pas de telle sort que l’homme fût content de lui'... » Quale megalomania, quale orgoglio !... «La discipline que la scienee impose à la raison est (invece) une forme du désintéressement... » è l’amore disinteressato della verità sino al sacrificio di sè... : cosi la virtù rientra, in fondo,-, nel metodo scientifico... —
Ma cosi lo scentismo rientra alla sua volta in un inconsapevole misticismo...
Gino Ferretti.
Giov. Drei, Il Card. Ercole Gonzaga alla presidenza del Concilio di Trento. (Arch. d. R. Soc. Romana di Storia Patria volume XL, fase. 3-4; voi. XLI, fase. 1-4), Roma 1917-18 —.
La Corrispondenza del Card. Ercole Gonzaga, Presidente del Concilio di Trento (1562-63) (Arch. Storico per le Provincie Parmensi, voi. XVII-XVIID, Parma, 1917-18 — Per la storia del Concìlio di Trento. Lettere inedite di C. Olivo segretario di E. Gonzaga (1562) (Arch. Storico Italiano, 1916, disp. 2a). Firenze- 1916.
L’archivista di Stato Giov. Drei ha avuto la mano felice nel ritrovare nell'Archivio
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di Parma il carteggio Gonzaga col nipote Card. Francesco, sfuggito finora a tante attive ricerche, e gli studiosi gli devono essere doppiamente grati per averlo pubblicato con tanta premura e fedeltà, e accompagnato da tante dotte illustrazioni storiche e bibliografiche.
La nuova luce proiettata sulla illibata e simpatica figura del Card. Ercole Gonzaga da questo carteggio famigliare e privato ci mostra la grande superiorità morale ed intellettuale del Presidente dell'ultima convocazione conciliare a Trento. Egli cadde sulla breccia, martire dell’idea riformatrice cattolica, rifiutandosi fino all'ultimo di lasciare libero campo alle idee e metodi del Gesuitismo ormai prevalente e agli interessi ambiziosi della Curia Romana.
Specialmente importanti i nuovi dati ri-«uardanti la disputa sulla residenza dei èscovi, che infiammò siffattamente gli animi a Trento ed a Roma da far temere un vero scisma. L'attitudine leale e generosa del Presidente appare tanto più evidente di fronte alle calunnie degli avversari, troppo favorevolmente accolte dallo stesso papa Pio IV. Notiamo solo nella pubblicazione la più recente (Arch. d. Soc. Romana, 1918) due errori di stampa: (pagina 174) < Arcivescovo di Galerno » per « Salerno », (pag. 181) « Trento, aprile 13 » per « Roma ».
Inoltre, l’affermazione che Ercole Gonzaga « invitò la regina a prendere un atteggiamento decisamente ostile agli eretici », ci pare affermazione che sorpassa la portata della Lettera Mantova a Ferrara (16 marzo, 1562, cfr. pag. 222, nota).
Piccole, mende queste, portate a prova del minuzioso studio a cui sonò stati sottoposti gli scritti del Drei e della sincerità dell'augurio che il dotto e solerte archivista continui a darci frutti sempre più apprezzati del suo soggiorno fra i nostri ine* sauri bili tesori di Archivio.
Corrado Jalla.
fiiqjqfiae REUGIONE
Ernesto Sozzano, Delle apparizioni di definiti al letto di morte (seconda serie). Estratto dalla Rivista Luce e Ombra, Roma, 1920; in-8®, pag. 49.
Ernesto Sozzano è tra i più colti ed operosi studiosi di scienze spiritiche in Italia. Invece di rifriggere per l'ennesima volta i vecchi e rancidi intrugli della metafisica pseudospiritualistica di Alian Kar-dec. egli si è consacrato a lavori di apparenza più modesta, ma di sostanza più utile, e cioè alla compilazione di repertori e raccolte di materiali, il meglio possibile scelti e vagliati, sui più importanti e caratteristici fenomeni supernormali. Ha pubblicato così un volume sui Fenomeni pre-monitorii, un altro sui Fenomeni d'infestazione e molti altri lavori di minor mole, fra cui questo che ora annunciamo. Sono opere che un giorno saranno assai utili al filosofo che si accingerà alla fiera impresa di veder chiaro nel labirinto buio di questi stranissimi fatti. Ma già fin da ora sono stati tesaurizzati dal Maeterlinck nei suoi libri recenti consacrati all'esame delle scienze metapsichiche.
Al Bozzano, purtroppo, mancano la cultura e la preparazione filosofica e psicologica necessarie per esaminare e discutere a fondo e con critico discernimento la materia da lui con tanta diligenza raccolta, ma è un difetto che ha in comune con quasi tutti gli spiritisti italiani e forestieri. Naturalmente, egli accètta come principio di spiegazione l’ipotesi spiritica, ma non vi accede che dopo cautele, le quali dimostrano in lui una mente riflessiva e prudente, onde è tanto più deplorevole la mancanza in lui già accennata di una profonda preparazione di filosofìa e psicopatologia.
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RECENSIONI
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RELIGION E ARTE
A. de Lujan, L'intime parole, poèmes. Paris, G. Grès et C.» 1919, pag. 205, fr. 4,55.
Classicamente parlando se ne dovrebbe dir male, ma classicamente sentendo, in questo momento storico che ci confonde e ci travolge tutti, se non guardiamo alla sostanza ed allo spirito delle cose, non se ne può non dir bene.
Ho parlato di sostanza e di spirito, ma per farmi intendere in modo più preciso ed appropriato dirò che distinguerò tra la sostanza e lo spirito del pensiero e quello della forma. Ora nel pensiero io sono alquanto distante dal poeta e non sento di certo all’ unisono con lui. Vi sono in queste poesie, che giudico pur belle, tante di quelle forme idolatriche e convenzionali che piacciono ai cattolici più ortodossi, che non posso farle e sentirle mie. Ma in nome della poesia che in esse palpita in nome della vitalità possente dello spirito che in esse si manifesta, io m* inchino e salutò il poeta.
Indubbiamente il verso, il ritmo, la rima e le assonanze non sono classiche e l’A. lo sa: avrebbe fatto meglio dire il perchè di questo suo allontanarsi dal filone tradizionale che ai francesi, in generale, non piacerà. Se ne è sbrigato con una breve avvertenza di 6 righe che non soddisferà tutti. Forse questo tra il nuovo e l’antico spirito di poesia aveva bisogno dell’ottonario più che di un altro verso; della rima libera, più che della rima classica; del quaternario più che del martel-liano o dell’endecasillabo; della ripetizione ritmica come nei lai medievali più che della precisione euritmica tradizionale.
Non mancano nell’A. reminiscenze di poeti classici, di V. Hugo, per es., e là dove balza più fulgido il suo senso poetico, come ne’ Rélévements, persino del pauvre Leljan e del maudit Baudelaire. Rileggete:
Après m'être repu d’extermination sous la rage sanglante, abomination, je leve mes regards aux internes abîmes qu'aucune force humaine ici-bas n'élimine!
Ma mi son proposto di non citare nè in bene nè in male per non esser trattò troppo ¡ungo a dire d’un libercolo di cui dovrei dire molto male, in un certo senso (Ah ! quel Fulgurant Michel generalissime!) e molto bene in un altro. E’ vero che questo è quel che che conta di più, perchè in un libro di poesia bisogna al di sopra di tutto ricercare una cosa sola: la poesia! E A. de Lujan è veramente poeta.
Giovanni Costa.
R. Rollano, Les précurseurs, Paris. Ed. de « L’humanité », 142, rue Montmartre, 1920, pag. 330.
Raccolta di articoli pubblicati dal celebre scrittore in vari periodici, tra l’agosto 1914 e l’agosto 1919, dedicata ajean Jaurès, a Lieb-knecht e C., < martiri della nuova fede», e aventi per oggetto la propaganda pacifista fatta dall’A. con la fede che tutti conosciamo e che non venne meno nè prima, nè dopo dell’immane conflitto, al di sopra del quale egli volle porsi.
Sono notevoli specialmente gli articoli sul Fuoco di Barbusseesul simile lavoro dell’ungherese Andrea Latzko : «Menschen in Kriege». Interessante è quello intitolato < Leggendo Augusto Forel». Giustamente spietato ¡’articolò « Ave Caesar, morituri te salutant >• e così via. La raccolta —che fu bene mettere insieme a documento e consolazione — si chiude col noto manifesto teW'Humaniti del 26 giugno 1919, atto di fede nello spirito uno molteplice, eterno. C G C
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NUOVE PUBBLICAZIONI
S. Graziano, l delitti economici, I, I Giornali. Bib. di diritto e politica « La sintesi », n. r. Roma, ed. « La sintesi » 1920, p. 55. L. 4.‘
. C. Bonavia, La tenda e la notte. Palermo, 1920. L. 3,50.
È poesia indubbiamente, anche se non sono versi, vi è molta vigoria, vi è senso di bellezza, vi è sentimento, anche se vi siano stranezze e cose forzate e reminiscenze. Forse dalla spiritualità di questi ritmi balzeranno una prosa ed una poesia più vitali e più sicure. Quod est iti votis.
G. Salvemini, Mazzini. Roma « La Voce », p. 171. L. 6.
A. Fanzini, Il libro di lettura per le scuole popolari. Roma « La Voce »,. p. 43. L. 2.
G. Lombardo-Radice, Clericali e massoni di fronte al problema della scuola. Roma « La Voce », p. 73. L. 2.
G. Cesare Pico, Confidenze. Roma, « La Voce». L. 2.
A. Colombo, Come un maestro vede la scuola. Roma, « La Voce ». L. 2.
G. Ferretti, L'alfabeto e i fanciulli. Roma, « La Voce ». L. 2.
M. Maresca, La lezione. Roma, » La Voce ». L. 4.
G. Prezzo-ini, Vittorio Veneto. Roma, « Là Voce ». L. 3.
Probabilmente il P. à ragione, perche è un freddo ed abile ragionatore. Solamente, ad onta di ciò, à torto per due motivi: i° perchè quando si vuol essere loici ed unicamente loici occorre non affermare, ma dimostrare e documentare e ciò il P. non fa mai; 2» perchè dimentica che la storia non è fatta di fatti e di «verità», ma di leggende, di « falsità », almeno la storia che si vive se non
quella che si scrive! E lo dice chi à sempre fatte più della storia positiva che della storia leggendaria!
Ora quando si deve invece far vivere la storia si à il dovere se non di mentire per lo meno di lasciar mentire.
Ecco perchè P. à torto molto probabilmente anche avendo ragione quando vuol dimostrare che Vittorio Veneto è una passeggiata militare mentre il Piave è una vera vittoria. E quand’anche egli lo affermi con innegabile buona fede e con piacevolezza di stile, il lettore scettico per sistema gli domanderà com’egli documenti le sue affermazioni e dubiterà —- dato il noto jugoslavismo dell'A. — che le cose da lui non sian vedute un po’ troppo dalla parte... avversa!
In ogni modo l’opuscolo è interessante: speriamo non faccia altrettanto male...
Pathways to Christian unity, a free Church View by A. Black, G. E. Darlaston. W. E. Orchand, W. Paton, J. H. Squire, U. Spencer. London, Macmillan et C., 1919. p. 226. Sc. 6.
The Spirit-God and his relation to man considered from the Standpoint of philosophy, psychology and art by a. Seth Pringle-Pattison, H. Dongals, J. Arthur Hadfield, C. A. Anderson Scott, Cyril W. Emmet, A. Glutton-Brock and B. H. Streetes (editor). London, Macmillan et C. 1919. P- 381. Sc. 10, 6.
G. Mackinlay, The literary Marvels of St. Luke. London, Morgan et Scott, 19x9, p. 16. P. 4.
Where is Christ? A question for Christians by an anelican priest in China. London, Constable a. C. 1010. d. 112. Sc. 3/6.
J. A. Godrycz, Greater Extension and Development of Church Influence. Philadelphia, P. A. People’s Friend Publishing. Co, 1919, p. 53.
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NUOVE PUBBLICAZIONI
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P. Arcati, La faccia che non capisce. Milano, F.lli Treves (Le spighe, n. 29), 1920 p. 197. L. 3.
G. Dario Fanfulli, Sul limite dell’ombra, versi. Firenze, R. Bcmporad e f. 1920, p. 80. |L. 3.
II F. è un giovane ed è alle sue prime armi e, diciamo la verità, comincia bene. Egli è indubbiamente sulla strada de' nostri migliori e più semplici poeti che non ànno svenevolezze, che cantano con semplicità e sincerità; sulla via che percorrono con fortuna e con soddisfazione il Moretti, il Chini, lo Zucca. Naturalmente non è ancora alla loro altezza, ma molto già promette. Ha una forza spirituale triste ed amara che potrà produrre dell’ottimo: il suo accorato affetto per la madre, la pia memoria della sua infanzia, il vivo senso della natura c delle lotte della sua anima gli strappano dei versi che non "x>no ancora tutto, ma che sono già molto. Non mi pare invece ch’ei senta altrettanto l’amore, o per lo meno che sappia renderne il sentimento in temo; una delusione artisticamente lo scuoterebbe e forse gli darebbe la gloria. Ma vai questa poi un dolore? Alla vostra serena concezione ed alla vostra accorata anima, poeta, possono soccorrere altre visioni e l’arte vostra può dame a noi il godimento. Auguriamolo!
P. Vergili Maronis, Aeneidos libri X, XI, XII ree. Rem. Sabbadini. Torino, G. B. Paravia, 1920, p. 144. L. 3.
A. Persii Flacci, Satirarum liber ree. Fel. Ramorinus. •Torino, G. B. Paravia, 1920, p. 75. L. 4,50.
M. Tulli Ciceronis, Laclius De Amicilia liber. Torino, G. B. Paravia, 1920, p. 59 L. 5.
Altri 3 numeri di quest’importante collezione: la fine dcll’Eniùte (lib. xo-12) curata egregiamente dal Sabbadini e dotata di un ottimo e molto particolareggiato indice di nomi propri (n. 25); il libro delle Satire di Persio, pubblicato dal Ra-morino con apparato filologico completo (prefazione paleografica, vita di Valerio Probo, testimonianze, indice dei nomi e delle parole, appendice critica)— n . 26 — ; il de amicilia di Cicerone a cura di I. Bassi con non minore bravura e ricchezza di mèzzi scientifici. Il nostro plauso vada al direttore della collezione, al nostro illustre collaboratore prof. Pascal ed ai benemeriti editori.
A. Grilli, Aspetti del passato. Forlì, R. Zanelli, 1920, p. 270. L. 5.
Raccolta di scritti già pubblicati, ma buona e meritevole raccolta, perchè interessante e viva
e ben condotta. La precede una prefazione molto fresca, sebbene un po’ pretensiosa e agghindata.
Non parlerò degli scritti che compongono il volume (12 in tutto), ima prima parte dei quali — polvere della strada — è un risultato del vagabondaggio spirituale e materiale deli’A., mentre una seconda — cenere del focolare — raccoglie usi c tradizioni sempre interessanti a leggersi ed a seguirsi. Mi limiterò a dire che si tratta di un buon libro tra i pochi che in mezzo ai moltissimi di « cose raccolte » si distingue e si raccomanda.
G. Rcnsi, Principi di politica impopolare. Bologna, N. Zanichelli. 1920, p. 174. L. 6.
Œuvres complètes de Bourdaloue par l'abbé E. Griselle. T. I. Sermons poter les grandes fêtes de l'année. Paris, Bloud et Gay, 1919, p. 368.
Si tratta d'una edizione critica delle opere di B., curata dall’abate E. Griselle e fatta col concorso dell'istituto di Francia. Essa tende a dare la lezione più corrispondente al testo primitivo delle opere del celebre predicatore che è nòto esser state corrette e ridotte in alcune edizioni anteriori, contemporanee perfino al B. Il I voi. contiene i sermoni pre le grandi feste dell’anno, arricchito da indici ed appendici che permettono lo studio analitico e scientifico del testo dell'oratore sacro, cosi interessante per lo studio della letteratura, delle credenze è dei costumi dell'epoca sua.
F. Mourret, Le Concile du Vatican d’après des documents inédits. Paris, Bloud et Gay, 1919, p. 342.
R. Murri, Della Democrazia cristiana al parlilo popolare italiano. Firenze, L. Battistelli, 1920, p. 214. L. 5.
Tracts for new Times, n. 1-6: The problème of Nature by the rev. G. F. Wnid-borne - Modern conceptions of the Universe by G. F. C. Searle - The first chapter of Genesis by E. Walter Meunder - Creation or Evolution by Walter Kidd - The bearing of archeological and • historical research upon the New Testament by the rev. Parke P. Flournoy - Indication of a schema in the Universe by the rev. canon R. B. Girlestone and Luminaries and life, in connection with the Genesis account of creation by the rev. A. Irving, published for the Victoria Institute by Morgan et Scott Ltd. Sei volumetti di 16 pag. 1’uno, ciascuno 4 pen.
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Journal of the Transactions of The Victoria Instituts or Philosophical Society of Great Britain. Vol. L. - London, 1918. p. 208.
Almanach Catholique français pour 1920. Paris, Bloud et Gay, 1920, p. 448, Frs. 5.
È una delle ottime pubblicazioni deH’attivissi-ino Comitato cattolico di propaganda francese, ben documentato e molto particolareggiato. Ne trarranno giovamento quanti avranno bisogno di conoscere i grandi mezzi morali e materiali di cui dispone il partito cattolico francese.
R. De Maetzu, La Crisis del Humanisme. Barcellona, Editorial Minerva S. A. 1920, p. 368, Pes. 5.
La Fois et ses victoire, conférences sur les plus illustres convertis de ce siècle par M.r Baunard. Paris, J. De Gigord, 1919, vol. I, p. 441, vol. II, p. 358.
E. Lasbax, Le problème du mal. Paris, Félix Alcan, 1919, p. 451. Frs. 10 [v. p. 73].
T. Caiani, GH Ariani, romanzo ^storico-religioso. Firenze, Lib. ed. Calasanziana, 1919. P- 324. L. 2,50.
G. Goyau, L’église libre dans l’Europe libre. Paris, Perrin et C., 1920, p. 238. Frs. 5.
Ch. Gouthier, Marie et le dogme. Paris, G. Beauchesne, 1920, p. 76.
L. Capelle, Las âmes généreuses, leur rôle, leurs récompenses. Paris, G. Beauchesne, 1920, p. 625. Frs. 12.
E. Ciccotti Griechische Geschichte {Weltgeschichte in gemeinverständlicher Darstellung. II Band). Fr. A. Perthes A. G. Gotha, 1920, p. 223.
E. Paldi, Per l'indipendenza dell’Egitto. Roma, La Speranza, 1920, p. 136. L. 5.
Questo interessante studio offre alla nostra neghittosità politica ampi clementi per uscire dal sarcofago mummiformc in cui sta racchiusa, così come nella bella incisione che il nostro Pa-schetto à dato per la copertina di questo volume l'antico Egitto esce dalla sua tomba per lanciarsi a voli alti ed ampi. Il Paldi che l'à redatto è uu antico conoscitore dell’Egitto, che ama con tenerezza di italiano e di mazziniano. Egli esamina la questione egiziana fondamen taimen te, studia qual fosse il pensiero dei maggiori uomini politici britannici perl’occu-pazioñe inglese,pubblicai documenti della storia dell’Egitto dallo scoppio della guerra mondiale ad oggi ed espone, anche illustrandolo con fotografie, tutto il movimento nazionalista nelle sue linee maggiori e più caratteristiche. Ripetiamo, un ottimo lavorò che apporta un notevole contributo alle manifestazioni per l’indipendenza egiziana che dovrebbe veramente essere da noi un po’ più caldeggiata e favorita. V. C. Nitri à dettato la bella prefazione ricca di idealismo mazziniano e fede nella giustizia della causa del popolo egiziano.
D. J. Kennedy O. P., Si. Thomas Aquinas and medieval philosophy. New-York. The Enciclopedia Press, 1919, p. 135.
Raccolta Stali di opere destinate all’educazione sessuale. Voi. 8. Versione dall’inglese del prof. Pio Foà: 4 voi. per i maschi e 4 per le femmine, i primi a cura di Silvano Stali, i secondi a cura di Maria Wood Alien (2) e di Emma F. A. Drake. S. T. È. N. Torino.
Raccomandiamo vivamente ai nostri lettori quest'ottima pubblicazione che in 8 volumetti, nitidi ed eleganti, offre ad ogni genere di lettori ed a tutte le età... pericolose, dall’adolescenza alla virilità, un viatico materiale e spirituale per indirizzare la propria vita con la serenità e la saggezza che sono necessarie a chi vuole condurre un’esistenza sana e forte nel senso fisiologico e psicologico.,
I giudizi che medici, professori, sacerdoti, avvocati e maestri ànno dato dell’opera c dello benemerenze dell’editore che à curatole traduzioni sono dei più lusinghieri e tali da incoraggiarne anche ai più scettici l’acquisto. Noi ci limitiamo a riportare il più recente di tali giudizi, ancora inedito, e dovuto ad un parroco; «Lo lasci dire • a me sacerdote e parroco, che per debito di mini-estero debbo vivere a contatto diretto con le « anime e riceverne le confidenze. Ogni giorno noi »si tocca con mano le rovine che una cattiva «iniziazione ai misteri della vita produce in troppe «anime; è proprio da quest’epoca — l’epoca del «primo turbamento sessuale — che data, di refi gola, il crollo, talvolta irrimediabile, di tutto c quel bene morale e religioso che faticosamente «si è cercato di edificare in un’anima. Ed allora, a egregio Signore, sia cento volte benedetta «l’opera sua che tende a mettere in mano ai gio-■ vani ed agli educatori una fiaccola di una luce «cosi pura, cosi discreta, cosi cristianamente «onesta c dignitosa quale è la collezione Stali. «Possano essere molte quelle anime che, rischia-• rate dà questa luce, evitino di andare misera-
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« mente a sfasciarsi su una riva inclemente e de-■ sorta. Conforme è suo desiderio, ho parlato del-■ l'opera sua ad alcuni mici colleghi che coi} riconoscenza hanno dichiarato che ne approfitte-• ranno».
D. Provenzal, Le passeggiate di Bardatone, 2a ediz. con raggiunta di Cacnobium. Roma, « La Voce L. 7.
P. Zama, Le istituzioni scolastiche faentine nel M. E. See. XI-XIII. Milano, Lib. Ed. Milanese, 1920, p. 162. L. 4,50.
G. Locke, Epistola su la tolleranza, trad, e studio introduttivo del dr. Francesco A. Ferrari. Lanciano, R. Carabba, 1920, p. 158 (Cultura dell'anima, n. 69). L. 2.
Concerning Prayer its nature, its difficulties and its value by the autor of '■ pro Christo et Ecclesia«, H. Anson, ecc. Lon
don,’ Macmillan and Co, 1918, p. 504. Sc. 10Z6.
Immortality, an essay in discovery coordinating scientific, psychical and biblical research by Burnett H. Streter, ecc. London, Macmillan and Co, 1920, p. 280. Sc. 10Z6.
M. Konopnicka, Italia. Milano, 1919 (Gioielli dell'Eroica, n. 7), p. 61. L. 2,50.
G. D’Annunzio, La Crociata degl'innocenti, mistero in 4 atti. Milano, 1920 (Gioielli dell'Eroica, n. n-12), p. 88. L. 4.
G. Tarantino, La politica e la morale. Pisa, F. Mariotti, 1920, p. 39.
U. Della Seta, Filosofia morale: vol. I: «I primi principi»; vol. II «Morale individuale c sociale ». Roma, La Speranza, 1917-1919. pp. 237 e 318. L. 15.
Il Lettore.
ROCCO POLESE, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell* Unione Editrice - Via Federico Cesi, 45
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sessuale
PIO FOÀ
Versione dall’inglese con prefazione del prof.
PUREZZA e VERITÀ
RACCOLTA STALL di opere destinate all’educazione
Quello che il RAGAZZO DEVE SAPERE ¿Silvano Stali.
. .. Salvare i fanciulli dall’ignoranza, renderli capaci di sfuggire il vizio, liberarli dal pericolo di far del male a sé stéssi ed agli altri.
Quello che il GIOVANOTTO DEVE SAPERE - Silvano Stali.
... È dedicato ai giovani che debbono vivere puri e forti.
Quello che il GIOVANE MARITO DEVE SAPERE - Silvano Stali.
... È dedicato alla santità della casa, alla purezza e alla felicità del marito e della moglie e al benessere delle loro creature.
Quello che l’UOMO DI 45 ANNI DEVE SAPERE - Silvano Stali.
. . . Conoscenze necessarie per questo periodo di trasformazione.
Quello che la FANCIULLA DEVE SAPERE - Maria Wood Alien.
... È giusto ed è possibile impartire un’ istruzione pura, la quale non contamini l’anima infantile, ma anzi le sia preziosa salvaguardia per l’avvenire.
Quello che la GIOVANE DEVE SAPERE - Maria Wood Alien.
.. . Ogni linea è stata scritta dal cuore di una madre che prega in silenzio affinchè questa lettura sia di aiuto, di conforto, di incoraggiamento alle giovani...
Quello che la GIOVANE MOGLIE DEVE SAPERE - Emma F. A. Drake.
Questo libro è dedicato alle giovani mogli che vogliono guidare verso un alto destino sé stessei i loro mariti e le loro creature.
Quello che la DONNA DI 45 ANNI DEVE SAPERE - Emma F. A. Drake.
Insegnarvi il miglior modo di aver cura di voi stesse e facilitarvi ogni cosa durante questo periodo transitorio, è lo scopo di questo libro.
Un’edizione speciale, fuori commercio, di 4000 serie dei suddetti otto volumi, quindi 32.000 volumi in totale, sono pronti presso il
Signor UMBERTO CAMILLO RASTELLINI - Torre Pollice (Pinerolo)
Indirizzare le richieste a! medesimo, inviando una corrispondente offerta volontaria proporzionata ai mezzi di ciascuno (ogni libro ha oggi un valore commerciale di diverse lire), tenendo presente che tutto quanto verrò ricavato servirà per ulteriori pubblicazioni buone che tendano all’elevazione morale e spirituale. Alle richieste unire sempre l’importo per l’invio postale dei libri (cioò, in base alle nuove tariffe postali: L. 0,25 per ciascun volume, ossia L. 2 per serie; desiderando l'invio raccomandato, aggiungere L. 0,30).
Il Signor Umberto Cam Ilo Rastellini sarà gratissimo a chi, apprezzando la bontà e l’utilità dei libri Stali, vorrà contribuire alla"loro diffusione.
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ISTITUTO PER LA PROPAGANDA
-------DELLA CULTURA ITALIANA-------Campidoglio, 5 - ROMA - Telefono 78-47
Presidente Onorario: IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
Consiglio Direttivo
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Commissione di Consulenza: Biagi - Cirincione - Corbino - Croce - Einaudi - Manzini
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