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ECO
DELLE WII VALDESI
BIBLIOTECA VALDESE
10066 TORRE PEIL ICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 109 - Num. 19 ARRDMAMFMTI ^9 L. 3.500 per Finterno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 TORBE PELLICE - 12 Maggio 1972
Una copia Lire 90 ’ 7 L. 4.500 per l’estero Cambio di indirizzo Lire 100 Amm.: Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
agli uomini assetati di libertà Gesù propone
Nel quarto anniversario della morte di M.L. King
Fra i simboli, più o meno fantasiosi
e seducenti, dei manifesti elettorali,
non compare di certo un giogo, e sicuramente a nessun oratore politico verrebbe in mente, sollecitando l’adesione
al programma del suo partito, di chiederci di accollarci il suo giogo; sono
cose che in politica, se mai, si fanno,
ma non si dicono!
Gesù invece, chiamandoci a sé, ci
chiede esattamente questo. Lo fa pubblicamente, in una situazione più vicina a quella di un comizio che alla penombra raccolta dei nostri luoghi di
culto. Senza inzuccherare o indorare le
cose, dice recisamente che il discepolato cristiano implica che ci si accolli
il suo
______giogo. Difficile immaginare qualcosa di più ostico per gli uomini. Discorso oggi particolarmente stonato,
assetati come siamo tutti — a livello
di sessi, di generazioni, di razze, di classi, di nazioni — di autonomia, in rivolta contro ogni tipo di alienazione,
contro ogni specie di condizionamento
esterno. Tanto è vero che la giusta e
salutare riscoperta del fatto che la salvezza e la liberazione promesse e concesse da Dio non sono spiritualizzate,
nella Bibbia, ma hanno una realtà e
una dimensione storiche indiscutibili
e meravigliose, la riscoperta di questo
fatto troppo dimenticato nella storia
recente della chiesa lascia oggi singolarmente in sordina, o tace del tutto
parole come quello che ascoltiamo.
Eppure proprio la storia d’Israele,
nata nel segno dello spezzarsi del giogo
egiziano e nell’esperienza fondamentale dell’Esodo, è, nella lettura che ne fa
la Bibiba, la storia della grande alternativa fra due signorie: quando il popolo « dal collo duro », recalcitrante a
vivere fino in fondo la sua vocazione
stupenda e difficile, si sottrae al giogo
del suo Signore, al « giogo della Torà »,
della Legge come lo chiameranno i rabbini, allora presto o tardi qualche
Herrenvolk, qualche popolo imperialista gli impone il suo giogo (e si ricordi
che Dio chiama TAssiria «verga della
mia ira»!)i e anche quando perdura
l’indipendenza nazionale, il potere dispotico dell’istituzione regale, l’oppressione e lo sfruttamento della classe dominante aggravano la vita del popolo.
Nella misura in cui ci si svincola, di
fatto, dal Patto, c’è asservimento di
molti o di tutti, in Israele. Dove non
domina Dio, domina l’uomo, e i frutti
sono quelli che sono.
Rivolgendo l’appello: « Accollatevi il
mio giogo », Gesù fa dunque un’affermazione implicitamente ma nettamente messianica; soltanto Dio può imporre validamente il suo giogo; rnentre
Mosè lo imponeva da parte di Dio,
Gesù lo impone in proprio, una contrapposizione che ritroviamo nel Sermone sul monte. ^
Qual è questo giogo del quale Gesù
dice: il « mio » giogo? È certamente la
croce (cfr. Marco 8, 27-38): la sua croce, che diventa nostra. Non che ognuno si porti la propria, egli la sua e noi,
dietro a lui, la nostra. La croce che i
cristiani devono caricarsi non è dostituita da quelle che essi spesso chiamano le loro ’’croci”, ma dalla sua,
cioè dal fatto che sono discepoli e_ servi
di un Signore che è stato crocifisso.
Questa croce sulla quale è stato inchiodato, non è stata un penoso incidente
storico, ma il motivo teologico profondo della sua venuta fra noi: non è rnorto accidentalmente, ma doveva morire,
e di questa morte infamante e maledetta agli occhi dei pagani e dei creden*!
Essa determina tutta l’opera di Gesù
e inizia ben prima che scocchi l’ora
nona, sul Golgota. In termini correnti,
la croce è — realtà, non simbolo — il
fallimento umano, storico di Gesù di
Nazareth, a tutti i livelli: religioso, economico, sociale, politico, fino a rinunciare alla pura e semplice sopravvivenza fisica.
Per tornare allo spunto iniziale, la
bandiera intorno alla quale il nostro
Capo ci chiama a raccolta, il manifesto, il programma al quale ci chiede di
aderire, vivendolo e diffondendolo, è un
giogo; assumersi questo giogo vuol dire
accettare la croce; non quella blasfema
di qualche scudo crociato vecchio o
nuovo, ma la forca sulla quale il potere politico e religioso, con il favore
della piazza (meglio Gesù Barabba che
Gesù detto Cristo!) e con il tradimento, il rinnegamento o la fuga dei discepoli, ha creduto di soffocare la esigenza di Dio e la sua opera. Fallimento:
il sogno è svanito, tutto resta come
prima.
Gesù -— e in lui il Padre — ha accettato questo fallimento. È stato mansueto,
non debole però; umile davanti a Dio,
non pavido davanti agli uomini. Ha imposto il suo regno, la sua legge non
con la forza brutale delle armi, non
con quella sottile della diplomazia, non
con le prevaricazioni di una giustizia
ad uso del potere, non con pressioni di
carattere economico, bensì con la sua
il SUO giogo mtfliüHONi nbh hioienta
sola presenza, sovrana ma inerme, con
la sua nuda parola disarmata. Mansueto (non è una connotazione caratteriale, è la fiduciosa remissione al Padre),
ma re: regalmente è vissuto, regalmente ha prolungato la sua legge, ci ha imposto il suo « giogo » che consiste nell’accettarlo così com’è e non come lo
vorremmo, con tutto ciò che questo
comporta, servirlo come ci chiede di
essere servito, seguirlo sulla via sulla
quale ci ha preceduti, memori della sua
promessa; i mansueti crederanno la
terra.
I mansueti: non i pavidi, i pigri, i
disimpegnati che si illudono di poter
eludere i duri confronti con i poteri:
“Venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo.
Prendete su voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e
umile di cuore, e voi troverete riposo
alle anime vostre; poiché il mio giogo
è dolce e il mio carico è leggero".
(Matteo 11: 28-29)
quelli umani, e quelli demoniaci che
stanno alle loro spalle, nella sfibrante
e rischiosa ricerca della giustizia del
Regno, di cui essere testimoni.
I mansueti: non i violenti, che finiscono per credere nella forza degli uomini più che nella forza di Dio, la forza
misteriosa e segreta nascosta neH’abbassamento di Cristo, la carica dinamica e rinnovatrice racchiusa — come Pasqua ha rivelato e l’Avvento manifesterà — nella debolezza e nel fallimento
della croce.
Si tratta di una mansuetudine vigorosa, che non accetta la situazione di fatto (tenuto contro che, a differenza di
Gesù Cristo, siamo corresponsabili del
peccato del mondo) e non viene a patti
con essa, mai: neppure contrastandola
sul suo stesso piano e con le sue stesse
armi. Questo il giogo regale che il Signore ci chiede di accollarci, andandogli dietro nelle situazioni effettive che
dobbiamo affrontare nella totalità della nostra vita personale e pubblica (non
è sempre facile distinguerle). Ci chiede
che la croce, la sua croce diventi per
noi, com’è stata per lui, l’ottica, il movimento secondo cui si muove la vita
intera.
Agli affamati di libertà, dunque, ancora e sempre un giogo. Ma un giogo
nuovo, come tutto quello che ci dà Dio
e, a caro prezzo, ci ha acquistato Gesù.
Un giogo di cui egli può dire che è
« dolce », piacevole, un peso di cui può
dire che è « leggero », agevole poiché
10 ha portato e continua a portarlo,
portandoci: siamo infatti noi stessi
parte integrante del peso che si è sobbarcato, del giogo cui si è asservito
(Isaia 53, Filippesi 2). Ed è piacevole e
agevole perché Gesù Cristo ci dice, con
l’autorità sovrana che gli riconosciamo, che non sarà sempre il tempo di
curvarsi sotto il suo giogo e di portare
11 peso della sua umanità e della sua
croce, della sua inefficienza storica, di
credere contro ogni apparenza alla sua
sovranità, di sperare contro speranza,
nel passare dei secoli, che il suo regno
venga, di perseverare nello sforzo delle
nostre mani senza riuscire a costruire
nulla di per sé valido e stabile; viene
il tempo del « riposo », deH’adempimento, della visione, della risposta, della
manifestazione di ciò che lungamente
matura nel segreto di Dio. In quest’attesa di fede — che è certezza di cose
che si sperano, ma anche manifestazione di cose che non si vedono
(Ebrei 11; 1) — il cristiano, chiamato
alla sfibrante lotta quotidiana per vivere nella realtà ’’profana” la volontà
del suo Signore, già, paradossalmente,
« riposa » in lui. Gli è affidata la fatica
della seminagione, secondo i criteri del
padroni del campo e secondo le leggi
della semente; ma chi fa crescere e
maturare è Dio: e lo fa, Pasqua già lo
attesta.
Gesù, crocifissi, è il Signore: irrecuperabile alla conservazione e alla riv(>
lozione, vuole ricuperarci alla libata
del suo servizio, senza altri signori di
qualunque tipo non solo in antitesi con
lui (questo vale per i pagani e gl’increduli) ma accanto a lui, e questo vale
per noi cristiani, senza eccezioni.
Gino Conte
(da una predicazione tenuta a Roma, Piazza Cavour e a Torino, Via Nomaglio le domeniche 30 aprile e 7 maggio).
Kiuniti in conferenza mondiale a Uriebergen, in Ulanda, dal
4 all’8 aprile, i rappresentanti dei movimenti non violenti
Il vero titolo della conferenza era
« La violence des pacifiques » però esso, per riconoscimento generale, era
equivoco ed interpretabile nelle maniere più diverse. La conferenza era
stata promossa da un uomo carismatico, universalmente conosciuto, Dom
Helder Camara, arcivescovo di Recife
fBrasile) ed indetta dalla Pax Christi
Internazionale, dalla Fondazione M.L.
King, dalla Fondazione Visser’t Hooft
e dall’Istituto Kerk en Wereld. Avrebbe dovuto esserci presente anche il
successore di Martin Luther King, Dr.
Albernathy, che però non potè venire.
La conferenza era indetta nel quarto
anniversario dell’assassinio di King.
Solo alcune sedute erano aperte alla stampa per ovvi motivi, data la
rappresentanza anche di paesi sotto
dittature di vari colori; il maggior lavoro comunque è stato fatto per commissioni, mentre le sedute plenarie
avevano carattere conclusivo. La conferenza è stata un primo incontro, inizio di un inizio, come diceva Camara,
che voleva essere una spinta in vista
di un collegamento ed unità di azione per la pace e la giustizia dei movimenti non-violenti che sono in eccezionale crescita ovunque, oggi.
Non è facile riassumere i cinque
giorni di discussione, tanto per la
complessità dei temi trattati che per
i differenti orientamenti, in più non si
è mai considerato il soggetto astrattamente ma sempre in riferimento ad
un mutamento totale delle strutture
omicide di oggi, a una rivoluzione radicale di tutto il sistema di vita mondiale. La conferenza aveva fra i suoi
membri oltreché dei non-violenti radicali anche di quelli che pensano di
poter ricorrere alla violenza solo in
extremis; non v’erano, però, dei riformisti perché tutti eravamo d’accordo
che a questo vecchio mondo non si
posson più mettere delle toppe. Un
relatore solo, esterno, era riformista,
il presidente della commissione economica delle Nazioni Unite, ma la sua
esposizione non era condivisa dagli
llllllltlllllllllllllllll|lllllllllllllllllllllllMlllllllllllllllimillllllllllllllllllllllllllllMllllllllllMllllllllllllllllllllll!!lllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll>llllllll"!'l>l'"l'l'"""ll
Il prof. André Biéler, l’ispiratore della "Dichiarazione di Berna’’ in solidarietà con il III Mondo, ha visitato la Sicilia
Verso una nuova economia?
La iansiona fra oansarvatorip rifcrmistl a rivoluzionarip nalla
Ghfasa tfl fari a tà! aggi, rifletta resigenza a ,la tUfflealtà d!
interpretare H massaggia evangelica nella situazione attuale
Come già precedentemente annunziato, il prof. André Biéler, docente di sociologia nelle Facoltà teologiche protestanti di Losanna e Ginevra, ha trascorso, insieme a sua moglie, la settimana di Pasqua in Sicilia. Ha tenuto
conferenze a Catania, Riesi e Palerrno,
ha predicato a Catania la domenica
delle Palme, ad Agrigento e Grotte il
venerdì santo, a Riesi la domenica di
Pasqua. Ha visitato il villaggio Speranza a Vita, ha avuto contatti con Danilo
Dolci e coi gruppi di Servizio Cristiano
a Palermo e a Riesi. Ecco un modo
estremamente interessante, nuovo e
produttivo di, spendere la propria vacanza pasquale!
I lettori dell’« Eco-Luce » conoscono
il prof. Biéler da quando fu pubblicato il suo rapporto al Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti svizzere, rapporto nel quale proponeva a
tutte le nazioni soprasviluppate di versare in una Banca mondiale controllata
dalle Nazioni Unite, per 10 anni consecutivi, il 3% del reddito nazionale allo
scopo di mettere il Terzo Mondo in condizione di crearsi le infrastrutture e
gli impianti industriali che gli sono necessari per uscire dalla condizione di
estrema povertà in cui si trova.
Conosciamo ormai l’iter della sua
proposta. Il Vaticano rispose con l’enciclica « populorum progressio », dicendo che le somme per aiutare il Terzo
mondo bisogna prelevarle dai fondi che
le sono destinati agli armamenti (si
noti che il Vaticano è l’unico stato che
non ha spese per armamenti!). La Conferenza « Chiesa e Società » tenuta a
Ginevra nel 1966, accolse la proposta,
precisando che l’impegno delle nazioni
ricche non dev’essere obbligatorio e
può essere ridotto alla percentuale delri-2 per cento.
Per niente scoraggiato, il Biéler propose una sottoscrizione popolare (Dichiarazione di Berna), per far pressione sulle autorità civili e religiose del
suo paese e sensibilizzare l’opinione
pubblica svizzera in favore del Terzo
Mondo. Gli attuali metodi di aiuto al
Terzo mondo sono dati in base ad un
meccanismo che favorisce il progressivo arricchimento dei paesi ricchi e il
progressivo impoverimento dei paesi
poveri. Bisogna operare in modo che
il Terzo mondo diventi entro 10 anni, e
al massimo entro 20 anni un concorrente valido dei paesi ricchi, su di un
piano di parità.
Nel 1970 la casa editrice protestante
di Ginevra « Labor et Fides » e la casa
editrice cattolica di Parigi « Le Centurion » hanno pubblicato in coedizione il
suo libro « Politique de l’ésperance ».
Speriamo di veder questo libro al più
presto in traduzione italiana.
VERSO
UNA NUOVA ECONOMIA
A Catania, la conferenza del prof.
Biéler, sul tema « Verso una nuova
economia » è stata tenuta nel salone di
Palazzo Bruca, davanti ad un pubblico
assai numeroso e qualificato. L’oratore
ha preferito mettere un interrogativo
al titolo della sua conferenza. Si è
quindi domandato se i cristiani hanno da dire oggi qualcosa di specifico
in campo socio-politico. Dopo aver
precisato che dire qualcosa di specifico significa reinterpretare la Parola
di Dio nella situazione concreta del
nostro tempo, ha proseguito con una
lunga carrellata storica che prende le
mosse da Gesù Cristo.
Gesù Cristo non parlava come gli
scribi e i dottori della legge. Per lui, in
terpretare l’A.T. non significava sedersi
in cattedra per far da maestro, ma ubbidire ai comandamenti che impongono a lui come Messia Tadempimento
delle profezie. Di conseguenza, non si
può dire che Gesù cambiò l’antica Parola di Dio. Egli non cambiò l’antica
Parola di Dio, ma l’adempì e, adeinpiendola, la interpretò in modo definitivo, rendendola nuova.
Gli apostoli e gli evangelisti non si
posero davanti a Gesù come i rabbini
davanti a Mosè. Basta leggere il N. T.
per rendersi conto che ci troviamo di
fronte a varie interpretazioni del messaggio cristiano. Non si tratta di interpretazioni arbitrarie, ma dell’opera
dello Spirito Santo che opera nella
predicazione, per impedire che anch’essa diventi lettera che uccide, ma
sia spirito vivificante. La parola di
Gesù è, dunque, reinterpretata nella situazione concreta in cui si trovano i predicatori e gli uditori. Matteo,
Giovanni, Paolo non predicano vangeli
diversi, ma lo stesso vangelo reinterpretato in situazioni concrete diverse.
L’esperienza della comunità di Gerusalemme, di cui si parla nei primi capitoli degli Atti, non è normativa per tutta la cristianità. Neppure tutti i membri della stessa comunità di Gerusalemme sono obbligati a mettere i loro beni in comune. La maggioranza di questa comunità ha tuttavia reinteipretato il vangelo nel senso che i limiti tradizionali della famiglia sono superati.
Ora, per i credenti, la famiglia è la comunità e, nella famiglia dei credenti, i
beni sono in comune.
Nel caso dell’epistola a Filemone, si
Samuele Giambarresi
{continua a pag. 3)
altri. Con lui ha fortemente polemizzato l’economista francese François
Perroux il quale del resto afferma che
il sistema economico attuale non è affatto scientifico perché trascura l’elemento essenziale dell’economia, che è
l’uomo e le sue energie non utilizzate.
Tutti riconoscevamo che il sistema
attuale è un sistema di violenza in
tutti i settori della vita umana (economici, politici, sociali ed anche ecclesiastici) perché non a servizio dell’uomo ma del reddito. Se violenza è « violare » la dignità dell’uomo non vi è
nulla di peggio della violenza istituzionalizzata e perciò protetta e giustificata dalle leggi come necessaria agli
uomini. Quindi occorre identificare il
vero nemico, il sistema, non l’uomo
che ne è schiavo. Ma di fronte a questo fatto il male maggiore, sì, la maggior violenza, è l’indifferenza dei più,
perché lascia andare le cose, le permette per ignavia e pigrizia mentale
e morale, ed è colpevole perciò di
« violare » la dignità e la vita del maggior numero degli uomini.
Vi è chi sostiene che in. certi casi
nella lotta contro la violenza istituzionalizzata occorre ricorrere alla violenza perché è quella che crea il maggior
numero di vittime (pensiamo solo ai
milioni di morti di fame ed ai miliardi di sottonutriti); però si deve
pur riconoscere che la violenza distrugge i valori umani anche se vuol
promuovere un mondo fraterno e
l’azione rivoluzionaria violenta porta
già in sé i germi di una nuova oppressione; ed inoltre se con la violenza, a
volte si son liberati degli uomini, questa liberazione è avvenuta ad un prezzo così alto di vite sacrificate (morti,
« scandalizzati », nuove ingiustizie)
che si può metterne in dubbio le capacità e l’efficienza. Questa necessaria
constatazione non esprime alcun giudizio su uomini, come C. Torres, che
per amore degli oppressi sono ricorsi
a mezzi violenti e, per di più, vi hanno lasciato la vita.
Poiché tutta la storia degli uomini
è fatta di violenza — e siamo a questo
punto! — bisogna avviarci per una
strada diversa, ricorrere ad altro metodo, creare modelli diversi, affinché
sia evidente l’aspetto costruttivo della non-violenza per lo sviluppo del
mondo. Ë chiaro, infatti, che non basta denunziare le ingiustizie e le violenze, ma occorre che la nostra « nonviolenza » sia una forza reale che costringa l’oppressore a mollare la preda, Sì, anche questa costrizione può
essere, in qualche modo, considerata
una forma di violenza, ed in questo
è difficile teorizzare, (del resto anche
la stessa parola « non-violenza » è insufficente e sempre discussa) ma se ci
si rifà a degli esempi concreti (per
es. Gandhi, M. L. King, ecc.) si vede
che questa forza di costrizione in difesa degli oppressi e contro gli oppressori si rivela liberatrice anche per
questi ultimi. La non-violenza, infatti,
è prima di tutto uno stile di vita, non
un atto sporadico. Non è posizione
negativa ma potenza di amore. Non
è autodifesa ma dinamica di vita. Gandhi dice che il modo efficace di opporsi a qualcosa in maniera non-violenta
è soffrire, poiché l’amore non brucia
gli altri, ma se stesso. Vi era qualcuno che insisteva sull’aspetto individuale della questione, sulla « conversione » personale, così un delegato polacco ed un buddista vietnamita, ma
l’azione non violenta, se ha per supporto individui, è e deve essere anche
azione di massa, per esser efficace, e
richiede la creazione di un vasto movimento d’opinione pubblica. Ed anche qui mi pare che abbia ragione
Gandhi quando dice, in perfetta connessione con l’Evangelo, che essendo
la non-violenza (l’amore, dunque) la
legge della nostra specie essa è possibile per tutti... e aggiunge che è un
potere che può esser usato indistintamente da tutti, purché abbiano una
fede vivente nel Dio d’amore ed abbiano perciò un uguale amore per la
umanità.
Quel che importa di più, in questi
Tullio Vinay
{continua a pag. 6)
IIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIlllllillllllllllllillMII
Daremo nel prossimo numero
una nostra valutazione dei risultati
delle elezioni politiche nostrane.
red.
2
pag. 2
N. 19 — 12 maggio 1972
« PAROLA DI DIO
PAROLE DELL’UOMO *
Antico e Nuovo Testamento testimoni di Cristo » Prima di essere scritto l'Evangelo fu trasmesso a voce Farsi deboli coi
deboli: cosa significa - La Bibbia, il libro della speranza di Dio - La Chiesa è ancora il posto in cui si incontro Dio?
Capire rAntico Testamento: Annuncio e testimunianza
Nessuno di noi ha trovato la Bibbia
per la strada^ s’è messo a leggerla,
s’è convertito: l'abbiamo ricevuta o attraverso l’insegnamento religioso, se
siamo andati ad una scuola domenicale e abbiamo seguito un catechismo;
ovvero attraverso la testimonianza di
chi ci ha avvicinati, parlandoci delle
Scritture e mettendoci nelle mani
quella che forse era la prima Bibbia
che vedevamo in vita nostra. Oggi si
può ben dire che la situazione è notevolmente progredita: anche in ambienti cattolici, spesso più che da noi, sono nati e funzionano attivamente
gruppi biblici di base, in un ambiente dunque che prima era ostinatamente chiuso ad ogni forma di studio popolare delle Scritture. Oggi più che a
cavallo della seconda guerra mondiale
è dunque frequente incontrare lettori
assidui della Bibbia, specialmente fra
i giovani. Il fenomeno si è, anzi, notevolmente ampliato: persino in gruppi
marxisti d’avanguardia l’interesse per
la Bibbia e per i problemi che pone
s’è notevolmente ridestato, una cosa
certamente impensabile ancora pochi
anni addietro. In ogni caso è certo
che nessuno di noi ha scoperto la Bibbia da sé: gli è stata trasmessa da altri, da chi la conosceva prima. Del resto anche Paolo poteva scrivere: « Io
ho ricevuto dal Signore quello che vi
ho trasmesso... » I Cor. 11: 23, soltanto che l’Apostolo riceve dal Signore,
noi riceviamo invece attraverso una
catena ininterrotta di testimoni.
Nella tesimonianza resa alle Scritture l’elemento umano ha quindi una
parte rilevante. Si tratta, cioè, di una
testimonianza necessariamente condizionata da fattori ambientali, cultur
rali, personali, che col messaggio evangelico non hanno nulla a che fare; ne
costituiscono l’impalcatura, non la sostanza. Noi abbiamo ricevuto la Bibbia, cercando poi di adattarne il messaggio ad altri ambienti, quelli nei
quali noi viviamo e ci muoviamo.
Quest’opera di adattamento, che, come dicevo la volta passata, ogni generazione deve fare di nuovo, è tutt’altro che facile. Guardiamo ad es.
cosa ci è stato detto dell’Antico Testamento.
Chi non ha udito presentare l’Antico
Testamento come duro e crudele contrapposto ad un Nuovo Testamento
soave e mite? o come legalista, le cui
norme giuridiche si contrappongono
ad un Nuovo Testamento nel quale regna la libertà? o come limitato ad un
popolo, mentre il N. T. è universalista,
cioè si rivolge non ad un popolo sol
iiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiimimiiiiiiii!:iiiiiiiiiiiiiiiimiiiimiiiiii
tanto, ma a quanti sono disposti ad
accettarlo ed a convertirsi? o che nell’A. T. vige la legge cerimoniale, mentre nel Nuovo la legge morale? Se
queste contrapposizioni fossero vere,
l’unica conclusione possibile sarebbe
quella di eliminare dalla Chiesa VA. T.
o almeno mantenerne solo una minima parte! Ma un esame approfondito
o piuttosto meno superficiale del problema ci mostra immediatámente qual’è la realtà. Giovanni Battista e Gesù
non sono certamente sempre miti o
dolci nel loro linguaggio, mentre buttare i mercanti fuori dal Tempio a
staffilate può difficilmente essere preso come un’azione non violenta; d’altra parte sappiamo anche che le violenze riportate dall’A. T. sono in gran
parte programmatiche, non vennero
mai applicate concretamente e avevano lo scopo di lottare contro l’idolatria. Dopo tutto, il « grande comandamento » di Gesù (Mat. 22: 37-40) è
preso letteralmente dall’A. T. Per il
preteso legalismo dell’A. T., quando
Gesù afferma: « Avete udito che fu
detto..., ma io vi dico...» (Mat. 5: 43)
o quando Paolo contrappone la legge
alla libertà evangelica e alla grazia,
essi non intendono col aire VA. T., ma
l’interpretazione che di esso davano
alcuni rabbini (non tutti) dei loro
tempi. Né si può affermare che VA. T.
sia limitato ad un popolo: Israele viene eletto in maniera puramente fun
zionale (cfr. Gen. 12: 3) affinché in
lui i popoli siano benedetti. Israele è
stato del resto sempre (oggi ancora)
una comunità aperta, alla quale si poteva accedere per conversione, come
dimostra il rimprovero rivolto da Gesù ai Farisei (Mat. 23: 15), rimprovero che difficilmente farebbe a noi, purtroppo! E se VA. T. ci dà una serie di
regole cerimoniali, bisogna anche ricordare che nessuno ha mai contestato il culto come i suoi Profeti, mentre
gli studi compiuti dal prof. Cullmann
da alcuni decenni a questa parte hanno mostrato senz’ombra di dubbio che
parecchio materiale neotestamentario
proviene dalle antiche liturgie della
Chiesa primitiva...
Respingiamo dunque le false fratture, per affermare: una frattura c’è stata, ma una sola. Si tratta dell’avvento
di Gesù Cristo, annunziato dalVA. T.,
testimoniato e proclamato dal N. T.;
la testimonianza non avrebbe senso
senza l’annuncio, ma l’annuncio griderebbe nel vuoto, senza la testimonianza che ne verifica la validità. I rapporti tra Antico e Nuovo Testamento
non sono dunque di superiorità del
secondo sul prin-io, ma di una duplice testimonianza, ciascuno nel proprio
camvo, avente per tema un unico fine: Gesù il Cristo.
In tutto ciò vi sono delle implicazioni estremamente concrete che esamineremo una delle prossime volte.
Alberto Soggin
Una proposta: la teologia della speranza - 2
Chi spera non è conformista
Molti critici, parlando della teologia
della speranza, sono stati indotti a considerarla come una « nouvelle vague »
teologica; ne hanno parlato come di
una teologia alla moda che « adatta la
fede cristiana. allo spirito dei nostri
tempi ».
Se così fosse, la teologia della speranza non ci interesserebbe: il ruolo
della teologia cristiana non è quello di
essere succube dello spirito di un’epoca e di conformarvisi, ma è quello di
vagliare in modo critico il nostro tempo ponendolo a confronto con le istanze deH’Evangelo. Una teologia che si
preoccupa soltanto di adattarsi ai tempi assomiglia a un camaleonte che
prende sempre il colore dell’ambiente
circostante. Il camaleonte fa così per
nascondersi. Ma la teologia cristiana
non deve uniformarsi ai tempi per nascondersi: il suo compito è di interpretare i tempi — e quindi aggiornarsi —
e, ogni volta che questo è necessario,
prendere una posizione di conflitto con
il proprio tempo.
Di fatto, la teologia della speranza
interpella la nostra generazione in nome della speranza cristiana. Questo è
tanto più necessario in quanto la chiesa di oggi ha in gran parte perso lo spi
La lettera e lo Spirito I" Corinzi 9, 19-23 di Claudio Tron
L'identità di una chiesa che dice
«Guai a me se non evangelizzo! », è
di non avere alcuna identità, cioè di essere capace, come Paolo, di farsi tutto a
tutti. Libero, mi son fatto schiavo, secondo l'ordine di Gesù: «Chiunque vorrà
essere grande fra voi, sarà vostro servitore » (Matt. 20; 26); giudeo coi giudei ; Paolo ha usato durante il ;>uo ministero questo criterio facendo circoncìdere Timoteo (Atti 16: 3) e associandosi
alla purificazione dei giudei di Gerusalemme (Atti 21: 20-26) ; senza legge
coi senza legge : persino a Pietro ha resistito, quando questi voleva praticare la
legge coi senza legge ( Galati 2 : 11-14);
debole coi deboli : c'è qui tutta la delicatezza dei riguardi da usarsi coi deboli
nella fede (I Cor. 8:7; Rom. 14; Rom.
15 ecc. ).
Per evangelizzare, dunque, la chiesa
non deve avere nulla di fisso, nessuno
schema, essere una realtà senza identità.
Fino a che punto? L'unica cosa che non
può essere cambiata è l'Evangelo, che ò
lo scopo degli altri cambiamenti. L'Evangelo è il messaggio della salvezza per
grazia, mediante la fede; della sola scrittura, che crea la comunità raccolta intorno
ad essa e che vive la sua comunione nel
Battesimo e nella S. Cena. Ma tutto il
resto : forma del culto, organizzazione
ecclesiastica, calendario ecclesiastico, tipi
di attività, può essere cambiato e deve
essere fatto tutto a tutti. Però la parola
di Paolo deve essere intesa in modo più
rigoroso.
Innanzitutto, egli dice: mi sono fatto
tutto a tutti. Non ha solo cambiato le cose, non ha solo messo a disposizione la
tradizione dì Israele, le istituzioni, ma
se stesso. Dobbiamo essere disponibili
noi.
In secondo hiogo, Paolo dice che sì è
fatto schiavo, debole, ma non dice di
essersi fatto forte coi forti, anzi, proprio
a Corinto ha predicato la debolezza della
croce, (f Cor. 1 : 26; 2: 1-2).
La direzione di questi cambiamenti è
anche una delle cose che non z\ possono
mutare, né, tanto meno, capovolgere
Dobbiamo, quindi, anche noi, farci de
boli coi deboli del nostro tempo. Possia
mo, quindi, chiederci se dobbiamo far
ci, per esempio in campo politico, comu
nisti coi comunisti, democristiani coi democristiani, liberali coi liberali, fascisti
coi fascisti. Il limite degli adattamenti
possibili, non superabile, è quello del
campo dei deboli. Una parte della chiesa
ha identificato questi deboli e schiavi coi
lavoratori in lotta per i loro diritti o col
sottoproletariato delle città o con le razze
discriminate. Un'altra parte non condivìde
queste scelte. Libero ognuno dì farlo. Però non senza dire, contemporaneamente,
quali sono, allora, i deboli e gli schiavi
con cui è necessario farsi deboli e lìchiavi, cioè costruire, o meglio, lasciar costruire dall'Evangelo, la vera identità
della chiesa.
Capire il Nuovo Testamento: Gli aitili OSCUrÌ di GOSD Ricerca della Chiesa: la Comunità Cristiana
Quasi dieci anni fa è apparso un
libro di Robert Aron intitolato « Gli
anni oscuri di Gesù ». L'autore si propone di gettare un po’ di luce sul periodo della vita di Gesù di cui i vangeli non ci parlano: dal ritorno dall’Egitto fino all’incontro con Giovanni
Battista. L’opera può essere utile per
conoscere meglio l’ambiente religioso
e la pietà giudaica del I secolo, mentre è discutibile l’idea di seguire (o
di immaginare) l’evoluzione spirituale di Gesù che è fuori della prospettiva del Nuovo Testamento.
La vita della prima comunità cristiana ha una certa analogia con quella di Gesù: il suo sviluppo infatti passa anche attraverso un periodo di
« anni oscuri », per il quale non sappiamo se non indirettamente come si
testimoniò di Gesù: il primo testimone del quale possediamo uno scritto
è l’apostolo Paolo, e la sua più antica
lettera è la I ai Tessalonicesi, scritta
verso Tanno 50 d. C. Tutti gli altri libri del Nuovo Testamento sono stati
scritti dopo. Eppure è certo che nei
vent’anni che separano la I lettera ai
Tessalonicesi dall’attività di Gesù, egli
non è rimasto senza testimoni, e testimoni anche molto efficaci se la
espansione missionaria aveva già raggiunto la Siria, l’Asia Minore, la Macedonia e forse Roma!
Qualcuno potrebbe dire che non sono poi anni tanto oscuri, dal momento che gli Atti degli Apostoli se ne occupano per ben sedici capitoli. Ma le
testimonianze più importanti sono le
testimonianze dirette, e gli Atti degli
Apostoli, scritti alcuni decenni più
tardi (sicuramente dopo l’arrivo di
Paolo a Roma, narrato nel cap. 28, e
probabilmente negli « anni ottanta »
del primo secolo) ci dicono solo di seconda o di terza mano come la comunità dei discepoli mosse i primi passi sulla via della testimonianza negli
« anni trenta ».
Gli studiosi del Nuovo Testamento
hanno cercato di fare sui testi un la-'
voro simile a quello degli archeologi
che, scavando nel sottosuolo di città
conosciute da secoli o millenni, hanno trovato in profondità gli strati più
antichi, coi resti delle case e delle
strade, della vita privata e della vita
pubblica delle antiche popolazioni.
Esaminando con attenzione il Nuovo
Testamento, hanno trovato ogni tanto qualche vestigio della testimonian
za che veniva resa a Gesù nel periodo anteriore ai più antichi scritti.
Qualche volta, queste testimonianze
antiche incorporate negli scritti apostolici si riconoscono facilmente, perché sono presentate proprio così, come qualcosa che viene da un tempo
passato, dai credenti che sono stati
prima. Una di queste è nella I lettera
ai Corinzi, 15: 3-5, dove Paolo ricorda
a quella comunità quale è stato il caposaldo della sua predicazione: « Lo
v’ho prima di tutto trasmesso, come
l'ho ricevuto anch’io, che Cristo è
morto per i nostri peccati, secondo le
Scritture; che fu seppellito; che risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture; che apparve a Cefa, poi ai Dodici... ». La parte centrale del « Credo » è chiaramente modellata su questo passo, quando dice: « . .patì sotto
Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì, fu
sepolto; discese nel soggiorno dei
morti; il terzo dì risuscitò... ». Qra, il
passo di I Cor. 15: 3-5 è qualcosa che
Paolo ha ricevuto, che gli è stato trasmesso, cioè insegnato. Lo conferma
Tanalisi delle espressioni usate nei tre
versetti: molte di esse non sono
espressioni abituali di Paolo (« per i
nostri peccati »; « secondo le scritture »; « apparve », « risuscitò »; « i Dodici »). È dunque molto probabile che
ci troviamo davanti a un testo che è
stato insegnato a Paolo dalla comunità primitiva, che con quelle parole
confessava la sua fede e testimoniava
l’efficacia della croce, e il fondamento
biblico della morte e della risurrezione di Gesù.
Bruno Corsani
iiMiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiimiimiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiMiii
Fugate le ultime nubi?
Offerta (del papa
in favore (di
«Fe(de e Or(dinamento)>
Il papa Paolo VI ha fatto pervenire alla
Commissione Fede e Ordinamento (la commissione teologica) del Consiglio ecumenico delle
Chiese un dono di 40.000 franchi svìzzeri (circa 6 milioni di lire), esprìmendo la speranza
“c/ie questo gesto fughi anche le ultime nubi
che ancora oscuravano { nostri rapporti con il
Consiglio ecumenico delle Chiese”.
è "il posto che Dìo occupa nel mondo
Una delle domande più frequenti
della fede (e anche dell’incredulità)
del nostro tempo è la seguente: Dove
si può incontrare Dio? L’antico problema se Dio ci sia ha ceduto il posto
a quest’altro: dove Egli sia. Ci si chiede dove sia possibile, oggi, fare l’esperienza di Dio, se COSI si può dire.
La risposta comune a questa domanda è: Dio è dappertutto, lo si può
incontrare dovunque. Questa risposta,
trivttn n-!yia da risultare banale, non è
certo la migliore che si possa dare;
anzi, per la sua ambiguità, è forse la
peggiore. Per molti, dire che Dio è
dappertutto è come dire che non è da
nessuna parte. Così, mentre la superstizione romana crede in un Dio localizzato nei santuari e in particolare
nell’ostia dinanzi alla quale tuttora ci
si inginocchia come davanti al Signore, la religiosità generica crede in un
Dio senza luogo, dichiarato onnipresente ma trattato come assente.
La risposta biblica alla domanda:
Dov’è Dio? è la seguente: Dio è in Cristo, nel quale ha abitato la pienezza
della divinità, e Cristo è nella chiesa,
secondo la sua promessa di essere là
dove due o tre son radunati nel suo
nome. Dio è dunque nella chiesa. Paolo è convinto che Dio sia presente anche nella chiesa di Corinto, tutt’altro
che esemplare: secondo l’apostolo, un
pagano che entrasse in quella comunità durante il culto, dovrebbe accorgersi che « Dio è veramente fra voi »
(I Corinzi 14: 25). Come facendo eco a
questo testo Bonhoeffer scriveva: « La
chiesa di Cristo è il luogo in cui Dio
si rivela. È questo che ci è chiesto di
riconoscere... La chiesa è il luogo in
cui Dio parla, il luogo in cui Dio è
presente per noi. Chi passa accanto
alla chiesa, passa accanto a Dio. Qra
è questo che non possiamo fare. Non
possiamo fare altro che opporci a Dio.
Ma su questo punto la chiesa attuale
non si prende sul serio ».
E un discorso insolito, questo, per
noi. Siamo abituati a pensare a D o e
alla chiesa come a realtà molto distanti tra loro, che forse hanno poco in
comune. Ci sembra alquanto esagerata l’affermazione che chi passa accanto alla chiesa passa accanto a Dio.
Dubitiamo che la chiesa realizzi o almeno favorisca l’incontro con Dio;
piuttosto pensiamo il contrario. Se
credessimo davvero che la chiesa è il
li •
luogo in cui Dio parla, la frequenteremmo probabilmente di più; se credessimo che lì Dio è presente, saremmo noi pure presenti. Certo, Bonhoeffer nel brano citato parla della « Chiesa di Cristo » e non di una chiesa storica particolare (luterana, romana o
valdese che sia). Ogni chiesa però tende a porsi come chiesa di Cristo, e
quindi a essere effettivamente il luogo
in cui Dio parla ed è presente. E se
è vero che occorre guardarsi daU’istituire — sovente lo si fa inconsciamente — una equivalenza tra la chiesa
concreta cui apparteniamo e la chiesa di Gesù Cristo, come se coincidessero, d’altra parte è anche vero che
siamo inclini a trascurare o misconoscere le promesse di Dio per la chiesa
più che a sopravvalutarle.
Dal punto di vista della testimonianza biblica è perfettamente sostenibile l’affermazione di Bonhoeffer secondo cui la chiesa è « il posto che
Dio occupa nel mondo ». Bisognerà
soltanto precisare di quale chiesa qui
si sta parlando. Perché dev’essere
chiaro a tutti che non qualunque chiesa è « il posto che Dio occupa nel
mondo ». Può persino accadere che
una certa chiesa, in certe circostanze
o momenti storici, sia proprio il posto che Dio non occupa nel mondo!
Non basta porsi come chiesa per esserlo! Ma soprattutto bisogna ribadire che non è la chiesa che rende Dio
presente, è la presenza di Dio che costituisce la chiesa. La nostra certezza
è in Dio, non nella chiesa. Non fondiamo sulla chiesa la nostra appartenenza a Dio, ma fondiamo in Dio la
nostra appartenenza alla chiesa.
Israele, ai tempi del profeta Geremia, poneva la sua fiducia in parole
fallaci dicendo: ’Questo è il tempio
dell’Eterno, il tempio dell’Eterno, il
tempio dell’Eterno!’ (Geremia 7: 4).
Non dovremmo cadere nella stessa illusione a proposito della chiesa. Non
basta che la chiesa esista e funzioni
perché sia ’il tempio dell’Eterno’. Per
esserlo, bisogna che la parola di Dio
vi sia annunciata, creduta e vissuta.
Allora la chiesa sarà quello che è chiamata a essere: il ’tempio dell’Eterno’,
’il posto che Dio occupa nel mondo’,
lo spazio della parola di Dio fra gli
uomini.
Paolo Ricca
rito messianico e di speranza tipico del
cristianesimo primitivo e si è fatta un
posticino nella società, dove poter stare senza prendere alcuna posizione critica. La teologia della speranza diventa allbra un'indicazione importante che
aiuta la chiesa a riscoprire il senso della sua missione.
La .teologia della speranza ha la s-ua
origine nella Bibbia. L’indicazione fondamentale che essa dà alla chiesa come primo passo verso il suo rinnovamento è proprio quella di rileggere la
Bibbia per comprenderla come la storia del popolo di Israele e della chiesa
che vive nella speranza e nella promessa d' Dio che viene.
La Bibbia, dunque, qualora non venga fraintesa e letta come Legge a cui
bisogna conformarsi, è la testimonianza delle promesse di Dio che prendono
forma nella storia della promessa del
popolo di Israele e in quella di Gesù
di Nazaret; è la storia della speranza
di Dio, il cui compimento è voluto per
il mondo intero. La Bibbia non la racconta come se fosse una favola: « c’era
una volta... », e neppure come se fosse
un trattato di storia che vuole sapere
per filo e per segno ciò che è accaduto.
Essa racconta il passato come se un
nuovo avvenire e una nuova libertà si
debbano dischiudere davanti a colui
che ascolta. Rivela il futuro di Dio e
intanto rende attuale la speranza in
Lui, parlando della storia di Israele e
di Gesù non come una storia che si
chiude su se stessa ma apre nuovi orizzonti.
Una teologia che ha per suo fondamento la speranza, è di conseguenza
una interpretazione della storia biblica
della promessa. Inoltre la speranza non
si oppone al ricordo di ciò che è stato-;
anzi, esiste una « memoria pericolosa e
liberatrice » che scuote il nostro presente e lo mette in discussione, perché
ci esorta a immaginare un avvenire che
ancora non è stato e ci impedisce di
conformarci, soddisfatti e contenti o
disperati e rassegnati, alTautorità dello
statu quo.
Verrà un giorno in cui non si dirà,
più « sta scritto » riferendoci alla promessa di Dio, ma si dirà « è accaduto »,
« è diventata realtà ». In quel giorno la
natura, la società, la storia confermeranno ciò che è stato promesso. Un
giorno, promessa e realtà, speranza ed
esperienza dell’ uomo coincideranno.
Ma finché quel momento non sarà ancora giunto, dovremo attenerci a « ciò
che è scritto », cioè alla promessa e dovremo tendere più al compimento della speranza che non alla realtà che ci
circonda.
Solo quando la chiesa comincerà a
leggere la Bibbia come il libro della
speranza di Dio, sarà possibile scoprire
fino a qual punto la Bibbia sia un libro rivoluzionario e sovversivo. La speranza di cui si parla riguarda coloro
che a viste umane non hanno speranza:
riguarda i disperati non gli ottimisti;
ha senso per i poveri non per i ricchi;
ha valore per gli umili e le vittime dell’ingiustizia al fine che si risollevino,
oggi, sulla terra.
Così facendo, il libro della promessa
di Dio, la Bibbia, non è il documento
di una religione antica, ma aiuta .a scoprire la storia della speranza che noi
oggi viviamo.
La teologia cristiana della speranza
non si propone di dare una interpretazione religiosa delle diverse speranze
umane del nostro tempo, non intende
cioè cristianizzare il perenne fenomeno
umano della speranza. La teologia della speranza parla di una speranza diversa, che non si nasconde nel cuore
dell’uomo ma nella proinessa di Dio;
mira sempre a qulcosa di nuovo, a un
avvenire che trascende il nostro presente.
Andrea Ribet
iiiiiiiiiiiimiiiiiiiiMiiiiiiiiiimiiiiimMiiiiimiMiiiiMiiiiiii
Nella Germania Est
le Chiese unificano
la formazione teologica
L’Unione delle Chiese Evangeliche della
DDK vuole unificare il lavoro teologico degli
studi e delle ricerche sotto una « sezione teologica » delVUnioiie delle Chiese e non lasciarlo
alle varie opere ed istituzioni. È stata incaricata una Commissione per pianificare il lavoro e per avanzare delle proposte concrete.
Questa « sezione teologica » ha il compilo
di orientare il lavoro teologico in modo più
razionale e con un orientamento preciso.
Soprattutto dovrà collegare il lavoro con un
programma di formazione teologica per pastori in servizio. Saranno compresi in questo lavoro gli istituti ecumenici con sede in Berlijio-Est, il Gruppo di lavoro per le questioni
confessionali. VJstituto Johann Gerhardt di
Potsdam e la Società di lavoro per sociologia
e teologia.
Per il futuro è in programma di trasformare il Seminario catechetico di Potsdam in un
Centro di formazione catechetica per tutte le
Chiese regionali nella DDR. sotto la responsabilità delVUnione delle Chiese.
3
12 maggio 1972 — N. 19
pag. 3
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
La visita del prof. Biéler a chiese e opere della Sicilia
Verso una nuova economia?
Il programma antirazzista del C.E.G.
e I movimenti di iiberazione africani
(Segue da pag. 1)
rimprovera a S. Paolo di non aver saputo affrontare già nel primo secolo il
problema della schiavitù. Questo rimprovero è ingeneroso, almeno per due
motivi: Primo, perché non si può chiedere ad un uomo di 20 secoli fa di parlare con la maturità sociale, politica ed
economica che abbiamo raggiunto noi.
Secondo, perché S. Paolo, a modo suo,
affronto e risolve il problema della
schiavitù. Lo schiavo Onesimo deve,
infatti, essere ricevuto come fosse lo
stesso apostolo Paolo e come fratello!
La Chiesa dei secoli successivi è chiamata ad essere fedele non alle interpretazioni particolari del passato, ma
a Cristo e al suo vangelo. Ogni generazione si è trovata davanti al problema
della reinterpretazione del vangelo nella situazione concreta del suo tempo.
Fino al secolo scorso, non esiste progresso sociale, politico ed economico
che non sia in qualche modo legato a
questi sforzi di reinterpretazione del
messaggio cristiano. Ad ogni tentativo
di reinterpretazione, nella Chiesa si sono costituite almeno tre correnti: conservatori, riformisti, rivoluzionari. I
conservatori confondono il Vangelo con
l’interpretazione che di esso è stata
data nel passato. I riformisti riconoscono che bisogna ubbidire allo Spirito Santo che ci spinge a reinterpretare
il messaggio cristiano per l'uomo di
oggi, ma vogliono andare avanti troppo lentamente, con operazioni che non
comportino tagli, rinunce, trasformazioni troppo dolorose. Essi hanno la
funzione di ricordarci che il rinnovamento della Chiesa e della sua predicazione va fatto nell’unità e nella carità
di Cristo. Ma, per amore di unità e di
carità, sacrificano la verità e ritardano
l’azione rinnovatrice dello Spirito Santo. I rivoluzionari vogliono che si pratichi un taglio netto col passato e che si
raggiungano subito le nuove posizioni.
Essi hanno la funzione di ricordarci
che bisogna far presto se non vogliamo che il vangelo diventi sale insipido
e lettera che uccide. Ma, spesso, fanno
tutto questo a spese dell’unità della
Chiesa e della carità di Cristo. Con la
loro fretta e con la loro azione violenta rischiano di provocare delle reazioni
conservatrici così forti che possono fermare, anche per lungo tempo, il processo di reinterpretazione del messaggio cristiano per l’uomo di oggi.
In questa situazione di lotta tra conservatori,' riformisti e' rivoluzionari
ogni generazione cristiana si è posto il
problema della reinterpretazione del
vangelo per il suo tempo. Ma nessuna
delle reinterpretazioni che conosciamo
si presenta come definitiva.
Per esempio, nel Medio Evo, era fortemente sentito il bisogno della preghiera, della fratellanza e della povertà
evangelica. Si pensava che il vero ideale di vita cristiana fosse raggiungibile
soltanto nella vita monastica. Ma c’erano dei limiti in questa interpretazione.
Tra l’altro, è vero che vivere in povertà
significa risparmiare sui consumi e tanto più il monaco viveva personalmente in povertà tanto più il convento si
arricchiva.
Al tempo della Riforma protestante,
l’ideale di vita monastica fu fortemente criticato. Più tardi, i Puritani scoprirono che per vivere la preghiera, la
povertà e la fratellanza evangelica non
occorre andare in convento. Riscoprirono la dignità del lavoro umano. L’uomo creato a immagine di Dio è un uomo che lavora come Dio lavora. La più
grande umiliazione della dignità umana consiste nella disoccupazione e nell’ozio. Ai poveri non bisogna dare elemosine ma lavoro. La famiglia puritana risparmia enormemente sui consumi e si arricchisce. Si pone il problema
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiii.iiiimimiiiiiimiii'
I vescovi cileni
e il governo Allende
Santiago del Cile - Contrariamente all’atteggiamento della democrazia cristiana cilena, che
appare definitivamente confnsa con l’estremismo anti-Allende, i vescovi cileni hanno assunto una ben diversa posizione nei riguardi dell’attuale situazione politica.
Infatti, in occasione dell’assemblea plenaria,
è stato stilato un messaggio vescovile che fra
l’altro afferma :
« L’odierna giustizia è sviluppo, partecipazione e uguaglianza e non possiamo se non
rallegrarci dei grandi passi che ha fatto e che
sta facendo il paese in questo senso. Comprendiamo che il processo di cambio, che molti
chiamano rivoluzionario, non si possa fare senza il sacrificio dei privilegiati di ieri e di oggi... ».
Il messaggio prosegue : « Ci rallegriamo che
si sia preservata in Cile — malgrado le difficoltà, tensioni, e incidenti — la libertà necessaria alla espressione del pensiero, alla critica e
al dissenso e specialmente la libertà di seguire la propria coscienza e di vivere e dare te
stimonianza ciascuno della propria fede ».
Il documento termina con queste parole
« Non affondiamo nel caos, nell’odio e nella
miseria. -L’ora è grave, e non può essere tirato
molto il filo che ancora unisce le due parti
del paese, senza conseguenze irrimediabili.
Gli occhi del mondo sono volti al nostro piccolo paese. Apriamo un cammino di speranza
e, di allegrezza, non solo per noi, ma per molti
altri. Inventiamo tutti uniti una via cilena
alla felicità ».
delle ricchezze accumulate. Il ricco
non è proprietario delle sue ricchezze,
ma semplice amministratore di Dio.
Alla fine, come i servitori nella parabola dei talenti, i ricchi dovranno rendere conto a Dio della loro amministrazione. Questo porta la famiglia puritana ad investire i suoi capitali in modo
che producano lavoro e ricchezza.
Ma anche in questa interpretazione
puritana ci sono dei limiti. Poco alla
volta, il ricco, che doveva essere amministratore di Dio, è diventato amministratore del capitale; il lavoro, che doveva esprimere la dignità dell’uomo, è
divenuto alienante; è sorto il proletariato, sono sorti gli squilibri fra zone
sviluppate e sottosviluppate.
Nel sècolo scorso, la Chiesa avrebbe
dovuto procedere ad una nuova interpretazione -del messaggio cristiano che
consentisse il superamento di questi limiti. Questo non è accaduto ed è il grave peccato di cui ancora piangiamo le
conseguenze.
Oggi si cerca di affrontare il problema della reinterpretazione del messaggio cristiano con cento anni di ritardo.
Come nel passato, nella Chiesa ci sono
conservatori, riformisti e rivoluzionari.
Ma, a -distanza del passato, c’è una
nuova difficoltà. La società -secolarizzata è diffidente nei confronti della Chiesa. Si teme che la Chiesa si agiti al solo
scopo di riconquistare le posizioni di
privilegio e di potere che ha perduto.
Come sarà il futuro? A giudizio del
Prof. Biéler, il futuro sarà ecumenico.
Il problema di dire qualcosa di specifico nel campo socio- economico e politico si pone per l’ecumene cristiana e
le Chiese sono chiamate dal Signore ad
affrontarlo insieme. Inoltre, il futuro
sarà comunitario. È assurdo aspettare
il sorgere di qualche uomo della Provvidenza che da solo affronti e risolva un
problema così complesso. Ci vogliono
molte competenze e specializzazioni. Il
problema si dovrà, pertanto, affrontare
in gruppi comunitari. Il futuro sarà
anche universale. La situazione è tale,
infatti, che non ci si può salvare o perdere da soli. Ciò che si risolve in un luogo, si risolve per tutti i luoghi e non si
può lavorare tenendo presenti soltanto
i problemi che si pongono in determinate regioni, ignorando come gli stessi
problemi si pongono altrove in tutto il
mondo.
A chi gli chiedeva se non sia più giusto che la Chiesa accolga le soluzioni
scientifiche proposte dal marxismo, il
prof. Biéler ha risposto che « scientifico » non significa definitivo. La stessa
scienza non presenta mai come definitive le sue scoperte. Inoltre, va diventando sempre più chiaro per tutti che
le soluzioni marxiste sono parziali e la
Chiesa deve ricercare delle soluzioni
globali che riguardano tutte le dimensioni deH’uomo e non solo di dimensione socio-economica.
Samuele Giambarresi
JiiiiiiiiiiiiiiiiuiniiiiiiiiiiiiniiiiiiimiimiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimKiiiiiiiMmiuiiiiiiiniiiim'miii iiiiimiiiimimMiiii
AL COLLEGIO^ VAUÌESE DI TORRE PELLIGE
Le attività degli studenti
del Ginnasio-Liceo
In una assemblea con i professori,
nel mese di novembre dello scorso anno, emersero alcune proposte che tendevano, pur nelle diverse formulazioni,
ad una unica finalità: alla creazione,
cioè, di gruppi studenteschi autonomi
che, a seconda delle vocazioni, delle tendenze e delle possibilità, svolgessero liberamente un determinato numero di
attività pratiche per rompere l’isolamento tipico degli studenti, sovente afflitti da quella tradiaionale routine scolastica che emargina dalla vita pratica,
dalla realtà sociale, civile, economica e
religiosa che ci circonda.
Nacque così, pur con diverse prospettive, tutta una serie di proposte; alcune
di esse si sono concretizzate, trovando
il loro momento di organizzazione e
preparazione nelle ore di doposcuola,
quest’anno organizzato specialmente
per la IV ginnasio — già dall’anno scorso è in funzi' quello per tutte le classi della Scuola Media — ma di cui tutte
le altre classi hanno potuto fruire nella fase di preparazione delle loro attività: gli insegnanti e gli animatori del
doposcuola hanno collaborato con noi
su un piano di assoluta parità: pensiamo di aver realizzato insieme un certo
lavoro di gruppo, non certo facile, (tot
capita, tot sententiael) ma educativo,
atto cioè a promuovere in noi il senso
di collaborazione e lo spirito del lavoro
in comune, al di là dei nostri tipici egocentrismi, del nostro spirito di competizione che purtroppo spesso alirnenta
il nostro egoismo. Ed ora esaminiamo
quali sono state le attività che siamo
riusciti a realizzare: è chiaro che, anche se nate in un istituto valdese e rivolte prevalentemente al mondo valdedese, hanno visto la collaborazione di
cattolici e valdesi, che, al di là delle divisioni dottrinali, possono e debbono
trovare l’unione nel momento del lavoro comunitario.
RIUNIONI QUARTIERALI
Nel lontano 1883 veniva costituita da
alcuni studenti del Collegio Valdese
una società, la Fra del Torno, il cui
scopo era di far conoscere al pubblico
delle Valli l’opera missionaria e le necessità di essa, e di raccogliere fondi
per questa. Così, per lunghi anni, gli
studenti del Collegio hanno visitato i
quartieri delle Valli, presiedendo riunioni e raccogliendo fondi che, al termine dell’anno sociale, venivano generalmente inviati alla Società delle Missioni di Parigi. La Fra del Torno è morta,
alcuni anni fa, nel disinteresse generale. Quest’anno noi abbiamo ripreso, sulla falsariga della vecchia società, l’attività presso i quartieri delle Valli Valdesi; non abbiamo però parlato delle Missioni: non conosciamo nulla di esse,
non è troppo facile documentarsi e, forse, non ci interessano molto, per il momento almeno.
Abbiamo preferito parlare di fatti
che conosciamo meglio, che abbiamo
approfondito in classe attraverso le nostre discussioni: così abbiamo parlato
del Vietnam e dell’Irlanda, dell’India e
del Pakistan, di Martin Luther King e
della Cina di Mao; certamente possiamo ben poco di fronte ai grandi problemi che travagliano il mondo; siamo
impotenti, sovente, di fronte all’umanità che soffre, ma come cristiani dobbiamo, se non altro, conoscere e prender
coscienza di ciò che succede, dell’uomo
che soffre, che muore di fame, che è
sfruttato, che cade in una guerra assurda. Così abbiamo pensato di approfondire le nostre conoscenze e la nostra
riflessione sui grandi problemi della
umanità, e di diffondere tale conoscenza, di promuovere un dibattito attraverso le riunioni quartierali che abbiamo
tenuto nelle zone di Prarostino, di San
Secondo, di Villar Pellice e di Bobbio
Pellice (una quindicina in totale).
Ma la validità di queste riimioni non
è stata solo, secondo noi, nel dibattito
che siamo riusciti a promuovere, o nel
servizio di informazione che abbiamo
potuto realizzare, ma anche nella fraternità di quegli incontri che ci hanno
posto in contatto con un mondo a noi
sconosciuto; un mondo generalmente
contadino, per lo più formato di persone anziane, ma estremamente vive ed
interessate a tutto ciò che succede nel
mondo; persone di cui ci ha colpito il
profondo senso religioso della vita ed il
costante richiamo al testo biblico che
molti conoscono a fondo. E stato estremamente Utile e formativo, per noi studenti, visitare un mondo diverso dal
nostro, ma ricco di valori e di ammonimenti: se pensiamo di aver pur dato
qualcosa a coloro che abbiamo visitato, molto di più abbiamo ricevuto.
Come la Pra del Torno, abbiamo raccolto, con le collette al termine delle
riunioni, dei fondi che abbiamo deciso
di dedicare, per quest’anno, al Convitto
Femminile Valdese di Torre Pellice e
all’Uliveto. Tutto ciò non significa naturalmente che, nel corso del prossimo
anno, i fondi raccolti non potranno essere destinati, come un tempo, all’opera delle Missioni: se l’attività futura
sarà, come ci auguriamo, più intensa
e proficua, potremo stabilire di inviare
il denaro raccolto ad un centro missionario di cui potessimo conoscere a fondo i problemi e le esigenze: in questo
senso abbiamo intenzione di porci in
contatto con dei missionari per ottenere indicazioni ed, eventualmente, materiale di studio per le nostre relazioni.
In sostanza non abbiamo affatto intenzione di tradire lo spirito della vecchia
Pra del Torno e le sue finalità. Abbiamo
semplicemente voluto allargare il campo d’azione, ampliarne gli obbiettivi, seguendo spontaneamente quelli che erano i nostri proponimenti: a questo
punto potremmo sembrare un po’ immodesti: no, ciò che abbiamo fatto è
ben poca cosa: abbiamo semplicemente
tradotto in prassi alcuni nostri pensieri,' abbiamo voluto smettere di parlare
e discutere fra noi; per trasmettere ad
altri, nei limiti delle nostre possibilità,
il frutto dei nostri studi, delle nostre
ricerche, delle nostre riflessioni. Per
concludere'dobbiamo ancora aggiungere che, a differenza della vecchia Pra
del Torno, anche il gentil sesso un tempo escluso, ha partecipato attivamente,
presiedendo la buona metà delle riunio(continua a pag. 5)
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiilifliiiiimiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiimii
ERRATA CQRRIGE
Nella rubrica curata da Roberto
Peyrot, « Uomini, fatti, situazioni » il
secondo articolo del n. 18 del 5 maggio doveva leggersi: « Fra scarcerazioni e incriminazioni » e non « sublimazioni » (che in questo caso non c’entravano proprio per nulla!).
Un lettore, da Torino:
Caro direttore,
quanto scrivo prende lo spunto dal suo « parere personale » sul progetto della diga sul
Cunene (Angola) e, più in generale, sul programma della lotta contro il razzismo promosso dal Consiglio Ecumenico delle Chiese
(CEC) (vedi n. 17 del 28 aprile u. s.). Beninteso le mie osservazioni non sono particolarmente rivolte a lei, ma a quanti condividono
le sue idee; e questo per non cadere nei famigerati personalismi!
Sono anch’io, come lei, convinto che il programma di lotta contro il razzismo è stato, da
parte del CEC, una decisione basata anche su
una scelta politica. Uomini credenti, in posti
di responsabilità, quali sono quelli che dirigono il CEC, erano probabilmente stanchi di
apparire soprattutto degli organizzatori e consiglieri di chiese per lo più apparentemente
soddisfatte e tacitamente compromesse con sistemi economico-politici nei quali l’abuso del
potere era sempre più evidente. Il CEC ha
perciò voluto proporre un esempio di preciso
impegno politico anche se consapevole probabilmente del rischio di sbagliare. Di fronte
alla situazione di lotta, estesa in tutto il mondo, tra chi detiene il potere e chi ne deve subire l’abuso, lotta di classi, lotta tra colonialisti e colonizzati, lotta di imperialismo per
imporre i propri mercati ai popoli sconfitti, di
fronte a questa situazione il CEC ha ritenuto
che non poteva evitare di prendere posizione,
solidarizzando con tutti coloro che, non accettando l’egemonia del potere lottano per una
loro liberazione.
Era inevitabile che questa presa di posizione
del CEC creasse una frattura nel mondo ecumenico (come del resto è avvenuto anche all’interno delle singole chiese) fra quelli che
nascondono le loro idee politiche sotto il
manto della cosidetta mentalità politica e dell’interclassismo delle chiese, e quelli che apertamente si impegnano a lottare contro la violenza del potere, solidarizzando con quei popoli (Angola) che lo devono fare con armi alla
mano.
D’accordo dunque che, anche se l’aiuto finanziario dato dal CEC non è destinato all’acquisto di armi per quelli che lottano per la
liberazione contro il razzismo ma invece al miglioramento di infrastrutture (scuole, ospedali,
assistenza ai profughi, ecc.), ciò rappresenta
tuttavia un preciso impegno di solidarietà
politica.
Ora perché allora fare una sottile distinzione tra questo aiuto finanziario e un aiuto invece portato più indirettamente e rappresentato dal sabotaggio di quei governi, imprese,
banche ecc. cooperanti nello sfruttamento e
nell’oppressione, in questo caso specifico, degli angolesi? Non sono forse, tutti questi,
mezzi che, più o meno direttamente e efficacemente, sono rivolti allo stesso fine, quello
cioè di aiutare i movimenti di liberazione?
Non comprendo inoltre perché, fra tutti
questi mezzi di aiuto, quello finanziario sia
(Í un gesto non precisamente fantasioso né
particolarmente qualificante in senso evangelico ». Insomma, il denaro è qualificante in
senso evangelico quando viene sollecitato per
il Biafra o il Pakistan, o i terremotati, ma
non lo è quando lo si dà per il Vietcong o i
partigiani dell’Angola. Mi viene anche il dubbio che l’offerta per il Collegio Valdese di Torre Pellice sia più qualificante di quella ad
esempio per cc Nuovi Tempi »!
Eppure l’offerta finanziaria è sempre molto apprezzata nelle nostre comunità che conoscono benissimo l’uso del danaro; le contribuzioni rappresentano un indice importante della partecipazione del credente alla vita della
chiesa. Anche se poi non sempre queste offerte vengono impiegate in maniera qualificante in senso evangelico.
Sono infine d’accordo che « dovremmo noi
cristiani trovare il modo di chiamare il mondi a ravvedimento, di convincere individui e
organismi e gruppi, di peccato politico, con
parole e con gesti che non siano semplicemente quelli del mondo ».
Ma, ahimè, quanto debole e sovente equivoca è questa nostra chiamata; e come equivoco è anche il nostro ravvedimento! perché
il vero ravvedimento impegna ad una precisa
scelta anche politiea. E non dovremmo avere
paura di sporearci le mani con gesti e azioni
troppo umane.
Daniele Rochat
Probabilmente mi sono espresso confusamente, ma nel mio modesto « parere personale » lamentavo semplicemente che nel Programma di lotta contro il razzismo lanciato
dal CEC fosse incluso, come parte integrante
di esso anche se modesta, il finanziamento ai
movimenti di liberazione armati africani antiportoghesi; lo lamentavo perché mentre vorrei dare il mio piccolo appoggio al Programma. non riesco a convincermi che questa frazione del medesimo rientri in un compito
cristiano. Dovrebbe dunque essere chiaro che
non sono affatto contro un’azione politica: un
programma come questo deve essere politico.
Mi chiedo invece seriamente se quello che, come cristiani, abbiamo da fare perché gli africani dei territori ancora “portoghesi" (e vari
altri) siano nella loro terra liberi della libertà
relativa umanamente raggiungibile, sia proprio
di dar loro un po’ di denaro perché conducano,
in un’usura di anni e forse decenni, una guerra di liberazione. A mio modesto avviso c è
qui un “salto" qualitativo, fra il resto del Programma e questa parte; forse lo può veramente
valutare soltanto chi personalmente si trova
nella situazione di ammazzare e di essere ammazzato. Politica, dunque, certo. Ma c’è politica e politica. E se per gli africani in questione la lotta armata può essere i’extrema ratio,
lo è anche per noi, che “lottiamo" attraverso
la loro pelle (oltre che a quella di figli di
mamma portoghesi)? C’è stato un qualche gesto cristiano, uno solo, che abbia tentato e indicato una via diversa? Lungi da me — co
sciente come sono della mia confusione .2 inefficienza evangelica — l’impancarmi a maestro di altri, a Ginevra o altrove; ma finché
non sia convinto da piu solide ragioni rivendico il diritto di ritenere, senza per questo essere
reso più di altri corresponsabile delle colpe occidentali e cristiane, che una presa di posizione come questa non ha autorità evangelica e
non è una testimonianza a Cristo.
Forse, quanto scrivo in prima pagina può
contribuire a spiegare indirettamente, se non
a rendere convincente, quel che penso riguardo
a questa intricata e ardua questione. Devo convertirmi a Cristo, non ai programmi del CEC;
nella fattispecie non mi pare che le due cose
coincidano.
Gino Conte
iiiiimiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Le spazio tiranno ci costringe a
rinviare al numero prossimo vari
scritti, e fra questi diverse lettere:
lettori e corrispondenti vogliano scusarci. red.
iiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiinimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiMiiiiii
Precisazione
Il numero della scorsa settimana è
stato curato, in mia assenza, da altri
due redattori. Mentre li ringrazio di
cuore per il loro servizio, devo però
dire, altrettanto schiettamente, che
deploro la pubblicazione, nella pagina
della « Cronaca delle Valli », dell’articolo Concimi e propaganda elettorale
firmato da Mauro Gardiol, articolo
che non avrei pubblicato, almeno sotto la forma in cui è comparso. Non
entro nel merito dell’argomentazione
politica, che può essere discussa, ma
che ha pure le sue ragioni. Quel che
è in questione è l’attacco personale a
Loris Beìn. Al riguardo noto che:
1) L’attacco personale personalizza e immiserisce questioni che sono
ben più ampie.
2) La cosa fosse voluta o no, l’attacco è stato pubblicato alla vigilia
delle elezioni, senza dare più materialmente modo all’attaccato di rispondere, sulle nostre colonne, prima della consultazione elettorale. Il diritto
di difesa va difeso sempre per tutti.
3) Dire che Loris Bein « ha l’appoggio di alcuni pastori valdesi e di
grossi dirigenti industriali e bancari »
è un’affermazione pesante e insieme
ambigua.
Che dei pastori valdesi appoggino
in un modo o nell’altro questo o quel
partito, questo o quel candidato, non
è un fatto né nuovo né unico né scandaloso. Ignoro se Mauro Gardiol si riferisse a pressioni esercitate da qualcuno facendo leva sul proprio ministero pastorale: soltanto in questo caso si potrebbe parlare di « una politica che si serve della chiesa per carpire i voti » e lo si dovrebbe nettamente deplorare e denunciare, tenendo
per altro conto del fatto che non viviamo in un tempo in cui i pastori
evangelici sono tutti particolarmente
sensibili allo scrupolo di tenere ben
distinto il loro ministero dalla lizza
(non dico dalla problematica) politica
(e nelle piccole località questi problemi acquistano una inevitabile e marcata dimensione personale).
4) Quanto all’appoggio di grossi
, dirigenti industriali e bancari, salve
le debite proporzioni, bisogna dire di
quale appoggio si parla: se di un appoggio di pensiero e di parola, nulla
di più lecito: la gente ascolta, vede,
pensa e valuta con il suo cervello; nella formulazione dell’articolo restava
però la possibilità di un accenno velaio a un appoggio più consistente:
cose di questo genere, su un giornale,
se si dicono vanno dette esplicitamente e documentate.
Gino Conte
iiiiiimiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiniiiimiKiMiiiiiiiiiii
PERSONAUA
Lina e Piero Santoro hanno avuto la loro
primogenita, Daniela. Il più fraterno augurio
a questa famiglia pastorale.
Silvia e Mario Miegge hanno avuto la loro
secondogenita, Giovanna. Anche a loro il nostro augurio fraterno e vivi rallegramenti alla
nostra collaboratrice Inda Ade- nuovamente
nonna.
IMIIIIIMIimillllllMIIIIIIIIIIIIIIIIIKIIIIIIIffIffffiIflffiffffffi
SIM PATI A
Una famìglia pastorale è nella gioia e nel
dolore al tempo stesso : domenica scorsa si sono sposati a Frali Bruno Rostagno e Kalharina Stahli. il giorno prima era mancalo il padre
dei due pastori Rostagno, improvvisamente.
Pensiamo con vivo affetto a questi fratelli e
a queste sorelle, in modo particolare alla compagna dello scomparso, con Taugurio più fraterno per la giovane coppia pastorale che inizia in un momento così doloroso il proprio
cammino comune e sperimenta subito la forza
del reciproco sostegno.
La comunità di Agape è doppiamente in
lutto: Ciro Di Gennaro, che ne ha fatto parte
per diciassette anni, fin da quelli della costruzione, si è spento dopo lungo travaglio in piena maturità; era da alcuni anni membro apprezzato del Concistoro di Frali. Ai suoi, soprattutto alla sua compagna, diciamo la nostra
simpatia fraterna, ricca soltanto della promessa di Cristo.
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pag. 4
N. 19 — 12 maggio 1972
Torre Pellice
Cronaca delle Valli
La Chiesa cerca se stessa
Sabato 6 maggio si è svolto a Torre Pellice un interessante incontro di
chiesa sulla situazione della Chiesa
Valdese alle Valli. L’incontro ha avuto lo spunto da una inchiesta condotta da un settimanale cattolico che
aveva intervistato alcuni dei nostri
fratelli.
Nella Sala delle Attività gremita di
membri di chiesa, i fratelli Augusto
Armand Hugon, Ermanno Genre, Franco Girardet e Giorgio Tourn hanno
riassunto le loro impressioni sulla inchiesta e precisato il significato di ciò
che essi avevano detto. Per i fratelli
E. Genre e F .Girardet si trattava soprattutto di far delle precisazioni, perché la rivista aveva presentato come
loro parole frasi da loro non dette o
almeno non dette in quella forma. Il
discorso più importante era condotto
dai fratelli A. Armand Hugon e G.
Tourn, perché il loro pensiero rappresenta, in qualche modo, le due linee
di ricerca che si confrontano e talvolta si scontrano all'interno della nostra
chiesa.
In apertura avevamo espressa la nostra impressione che tutta l’inchiesta
svolta dalla rivista cattolica volesse
mettere in luce le tensioni che si manifestano parallelamente in Italia sia
nella chiesa cattolica che nelle chiese
evangeliche e, in particolare, in quella
valdese. Era tuttavia necessario chiarire in partenza la diversità fondamentale tra la crisi del cattolicesimo
italiano e quella del protestantesimo.
Mentre nella chiesa cattolica i fenomeni di base urtano contro una struttura rigida che rivendica per sé tutto
il potere spirituale e politico, nelle
chiese protestanti le tensioni sono
sempre tensioni di base; infatti la
chiesa esiste soltanto perché gruppi
di credenti accettano di mantenere la
comunione nella fede proprio nella diversità dei modi di interpretare la loro fedeltà al Signore. Questo è possibile perché nelle chiese protestanti
tutti ammettono per principio che la
sola norma è la Parola di Dio, dinanzi
la quale tutte le diverse posizioni sanno di doversi confrontare. Perciò, mentre all’interno del cattolicesimo l’attuale dibattito è una cosa nuova che
provoca la reazione, talvolta violenta
talvolta segreta, della gerarchia, nelle
chiese protestanti il dibattito è la vita stessa della chiesa, e — nella misura in cui ci si sa liberare dai personalismi e dagli irrigidimenti — costituisce un reciproco arricchimento nella
ricerca della volontà del Signore.
Su queste premesse si è svolto il
confronto tra le due posizioni. Il prof.
A. Armand Hugon ha illustrato il suo
convincimento che la vita della chiesa
valdese si è svolta e deve svolgersi
anche oggi, nella « coralità ». Nella
chiesa ci sono sempre state delle élites che hanno portato avanti linee
nuove di azione, ma queste stesse élites hanno potuto svolgere un’azione
costruttiva nella misura in cui hanno
mantenuto il contatto con la base della chiesa e, in qualche modo, ne hanno saputo interpretare la sensibilità o
le convinzioni profonde. Ne deriva la
necessità di curare e sviluppare la
realtà ecclesiastico-sociale delle Valli,
Se non si vuole che la chiesa valdese
si riduca a piccoli gruppi, destinati poi
a diluirsi e sparire.
Il past. G. Touin ha sviluppato
un’altra serie di considerazioni. Egli è
partito dalla constatazione del radicale mutamento delle Valli Valdesi negli ultimi anni. Mentre prima (almeno fino al 1945, ma forse anche dopo)
le Valli erano in realtà un avamposto
del protestantesimo europeo in Italia
e i valdesi, pur sentendosi italiani,
avevano piuttosto una mentalità più
plasmata sul modello del protestantesimo europeo, attualmente i valdesi
specialmente i giovani, si inseriscono
sempre più nella realtà sociale del
Piemonte e, in particolare del Pinerolese. I loro problemi sono sempre più
quelli della popolazione circostante.
Nell’animo dei valdesi ha sempre minore peso l’influsso della tradizione
culturale valdese, mentre si fa sempre
più urgente la necessità di sapere bene che cosa 4a chiesa crede. Il past.
Tourn concorda con il prof. Armand
Hugon sulla necessità che la ricerca
avvenga a livello di base e che interessi il popolo valdese nel suo insieme;
si tratta di sapere come ciò possa essere realizzato. Secondo il past. Tourn
è proprio su questo punto che ci si
trova divisi. Mentre la corrente che
— a suo modo di vedere — è espressa
dal prof. Armand Hugon, pensa di poter far leva sulle forme tradizionali
che caratterizzavano la vita della chiesa alle Valli fino a un decennio fa, la
corrente neo-riformata ritiene che
debba essere ripresentato il problema della fede, nel contesto della situazione attuale. Non si tratta di assecondare la « religiosità » valdese, ma
di ricevere dalla Parola di Dio la norma della propria azione.
Le giovani coppie che lasciano le
Valli e si trovano sommerse in un ambiente del tutto diverso devono aver
chiaro che cosa promette e richiede
l’Evangelo, se non si vuole che vengano assimilati dall’ambiente. Ciò vàie
anche per i valdesi che rimangono alle Valli, ma che sono continuamente
a contatto con gente di diversa formazione. La maggioranza dei nostri
giovani hanno le loro amicizie e i loro
interessi di studio o di lavoro al di
fuori dell’ambiente valdese. La testimonianza della chiesa deve aiutarli a
comprendere la ragione della loro scelta di fede e ciò non può avvenire se
la parte impegnata delle comunità (le
cosidette élites) non rivolge i suoi
sforzi a comprendere e a indicare il
significato della vocazione cristiana
nel mondo nel quale viviamo.
Per questa ragione il past. Tourn
ritiene che la chiesa valdese alle Valli
debba vedersi in funzione del mondo
pinerolese, perché in questo mondo
vivono e operano i valdesi delle Valli.
Non si tratta di accettare la prospettiva cattolica della diocesi di Pinerolo,
la quale vorrebbe che la funzione dei
valdesi si riducesse a stimolo per la
chiesa cattolica pinerolese. Al contrario, si tratta di indicare proprio a questo mondo cattolico — come pure al
mondo secolarizzato — il significato
della propria scelta evangelica.
L’impressione ricavata dal dibattito
è che le due posizioni, almeno in linea
di principio, possano confrontarsi positivamente. In concreto si tratta di
agire coerentemente.
Concludendo il dibattito, prospettavamo due possibili linee di azione immediata. Anzitutto continuare e sviluppare gli incontri comunitari (studi biblici - culti con meditazione comunitaria - incontri di famiglie) per approfondire ciò che la Parola di Dio ci dice e ci chiede nel momento presente o,
in altre parole, cosa significa oggi essere cristiani. Inoltre si dovreb& cercare di mantenere contatti vivi con i
membri di chiesa che lasciano le Valli, affinché la nostra ricerca sia utile
per loro.
Se la frequenza alle attività sopra
elencate fosse sempre numerosa come al dibattito di sabato, ci sarebbe
veramente da sperare in una vigorosa
ripresa della vocazione evangelizzatrice della chiesa. Molti dei presenti hanno dato l’impressione di aver compreso l’importanza del confronto che era
avvenuto e l’esigenza di camminare insieme; e questa è una buona speranza.
Alfredo Sonelli
Incontro giovanile al CASTAGNETO
Ore 9,30: arrivo. Breve culto.
Ore 10 : presentazione dei gruppi. Introduzione al tema dell’inoontro.
Relazioni delle discussioni avvenute nei vari gruppi, sui 9 punti del documento FGEI-chiese.
Ore 12,15: Pranzo. Tempo libero fino alle 15.
Ore 15 : Discussione sulla proposta federativa; collegamenti e coordina
mento del lavoro fra i gruppi.
Ore 18 : Partenza.
NB. Questo Convegno è la continuazione della discussione- e delle proposte emerse a Vallecrosia il 23-25 aprile. #*
Il documento FGEI-chiese che è stato inviato ai gruppi, dovrà essere
studiato insieme prima del 28 maggio, in modo che al Castagneto si possa
procedere ad una valutazione conclusiva senza dover discutere punto per
punto. Poiché il tempo a disposizione è scarso, è indispensabile che questo
studio sia fatto con serietà in sede locale dai vari gruppi.
I gruppi sono anche invitati a leggere lo Statuto della Federazione giovanile evangelica italiana, il documento finale del II Congresso (S. Severa,
1971) e le mozioni finali approvate, rispettivamente sul n. 2 e sul n. 15 di
Gioventù evangelica.
I partecipanti al Convegno sono pregati di iscriversi entro e non oltre
il 21 maggio presso: Aldo Ferrerò, Agape, 10060 Frali, tei. 8514; Ermanno
Genre, Via W. Jervis 5, 10066 Torre Pellice, tei. 91476; Franco Giampiccoli,
Via Pio V, 10125 Torino, tei. 710831; Adriano Longo, Via Aldisio 1, 10015
Ivrea, tei. 46154; Luca Zarotti, C.so Peschiera 327, 10141 Torino, tei. 719831.
Domenica 28 maggio alle ore 16 avrà luogo presso il Convitto femminile di Torre Pellice un’esposizione di disegni realizzati dalle
ragazze. Agli intervenuti sarà offerta una tazza di té, con proventi a favore dell’Istituto
stesso. La popolazione è caldamente invitata
per dimostrare in concreto la simpatia e la solidarietà con il nostro Istituto.
La prossima riunione del Centro Diaconale è fissata per il 18 maggio alle ore 21
presso il Convitto femminile di Torre Pellice.
La Prof. Giuliana Cabrini continua ad
essere perseguitata. Dopo essere stata trasferita
in via amministrativa a Pinerolo a motivo dei
suoi nuovi metodi d'insegnamento, è stata denunciata dalla procura della repubblica di Novara per atti contrari alla decenza (si fa dare
del tu dagli alunni) e turpiloquio.
L’onorevole Riccardo Lombardi, del PSI
è intervenuto a favore degli obiettori di coscienza. In un telegramma inviato al ministro
della difesa ba denunciato « l’intollerabile situazione che si è determinata nelle carceri di
Peschiera e di Cagliari », chiedendo di far cessare « il clima di ve.ssazione e di provocazione
cui sono sottoposti i giovani detenuti per obiezione di coscienza ».
Le dispense di teologia sull’Antico Testamento del pastore Giorgio Tourn sono ancora
a disposizione a quanti ne faranno richiesta
presso la librerira Claudiana di Torre Pellice
al prezzo di 250 lire.
« Servite TEternq con gioia, venite
al suo cospetto coi canti! » (Salmo
100: 2).
L’appuntamento annuale delle nostre Corali ha avuto luogo a Luserna S. Giovanni il 30 aprile u. s., nella consueta atmosfera di raccolta attenzione ed emozione spirituale, oltre al piacere di ritrovare volti amici e sorrisi
fraterni. Erano presenti le Corali di
S. Giovanni, Angrogna, Rorà-Prarostino, Villar Pellice (con elementi di Bobbio) e, graditissima ospite, la Corale
di Pomaretto, quest’anno fra noi per
un contrattempo che potremmo definire « felice ». L’impossibilità di partecipazione della Corale di Torre Pellice (a causa dello spostamento della
data della festa, a sua volta determinato dall’anticipo delle elezioni politiche) ha infatti quest’anno costretto
gli organizzatori ad uno scambio di
Corali; quello che poteva apparire a
prima vista un accidente ha invece
consentito la rottura del consuetudirio isolamento delle due Valli, e di ciò
si è giustamente rallegrato il Presidente della Commissione del canto sacro past. Aime, preannunciando la
partecipazione della Corale di Torre
Pellice alla festa di S. Germano del
14 maggio.
Il past. Taccia ha fatto gli onori di
casa con una stimolante presentazione, non priva del suo consueto « humour ». Ha fatto pure notare come la
domenica 30 aprile, secondo la liturgia della Chiesa primitiva ripresa dalla Chiesa luterana che attribuisce ad
ogni domenica la dedica di un Salmo,
sia contrassegnata, per fortunata singolare coincidenza, dal Salmo 98:
« Cantate all’Eterno un cantico nuovo... ».
Ha preso poi il via la prima parte
della festa, quella relativa agl’inni di
innario. Abbiamo udito dall’innario
italiano i nn. 219 (eseguito dalle Corali di Rorà e Prarostino. riunite sotto la direzione del sig. Albarin), 225
(Corale di Angrogna, diretta dalla signora Rivoira: siamo stati impressio
Incontro ecumenico
Anche quest’anno in occasione della Pentecoste invitiamo i membri
delle comunità cattoliche e valdesi di Pinerolo e delle Valli per la comune lode al Signore e per una ricerca fatta insieme.
Vogliamo verificare il posto che ha
LA BIBBIA NELLE NOSTRE COMUNITÀ’
Ecco il programma dell’incontro:
Inizio alle ore 15 di domenica 21 maggio.
— Breve culto o liturgia;
— Tavola rotonda sul tema: «La Bibbia nelle nostre comunità» (Interventi del past. Giorgio Tourn e di don Vittorio Morero in prospettiva storica; e alcune testimonianze di gruppi);
— Divisione in gruppi (I gruppi possono lavorare sui temi eventuali
posti dalla tavola rotonda; Bibbia e riforma delle comunità, Bibbia
e Liturgia, Bibbia e impegno politico, la diffusione della Bibbia, ecc.);
— Relazione dei gruppi in assemblea,
recita del « Padre nostro » e inno al Signore.
(Si prevede di terminare per le ore 18).
(Juest’anno l’incontro si tiene in sede cattolica, presso la casa dei
Padri Cappuccini a PINEROLO, la domenica di Pentecoste 21 maggio.
N.B. La casa dei Padri Cappuccini a Pinerolo si trova sulla strada per
raggiungere S. Maurizio. Partendo da piazza Cavour, si passa davanti alla chiesa di San Rocco, si percorre Via Trieste e poi si sale verso S. Maurizio; a metà salita, nella grande curva, dopo il monumento
c’è il convento. Si può salire in macchina, ma anche a piedi; ci sono
pochi minuti di cammino.
Un cordiale Arrivederci.
Testa di canto della VAL PTLLICE
nati dalla fusione e dalla precisione
nelle esecuzioni di questo piccolo coro), 180 (Corale di Pomaretto diretta
dal past. Aime), 269 (Corale di Villar
Pellice diretta dalla sig.ra Ciesch), 2
(Corale di S. Giovanni diretta dal m*>
RivoirX
Dopo un interludio organistico del
m» Rivoir, che ha eseguito il suo interessante « Adagio in la min. », ha
avuto inizio la seconda parte, dedicata ai « cori » liberi. La Corale di RoràPrarostino ha fatto ascoltare un antico canto popolare gallese, al quale per
l’occasione erano state adattate le parole dell’inno 141 I.C. Il titolo originale di questa melodia è « Cwm Hhondda » (dal nome di una cittadina del
Galles meridionale), si era trovato nella colonna sonora di un film di successo ed era già stato utilizzato con
parole appropriate per fini religiosi (è
infatti inserito nel « Tune hook » salutista inglese; aveva già avuto altre
parole italiane). La Corale di Angrogna eseguiva il n. 232 I.C., la Corale
di Pomaretto un « lied » di Bach: « Auprès de Toi »; la Corale di Villar uno
« spiritual »; « Qualcuno bussa al tuo
cuore »; la Corale di S. Giovanni infine il notissimo « Ave verum » ^ di Mbzart, con accompagnamento d’organo.
Speciale emozione destavano le esecuzioni degl’inni d’insieme, diretti dal
m» Ferruccio Corsani o dal past. Aime
(nn. 42, 212, 262 dall’I.C. e n. 154 da
« Psaumes et Cantiques », n. 142 I.C. 135 P.C.). Segnaliamo in particolare
quest’ultimo, il «Forte Rocca» di Lutero, eseguito nella doppia versione
italiana e francese, finalmente con il
ritmo originale.
La bella riunione si concludeva con
la preghiera. Successivamente la comunità di S. Giovanni ospitava i coralisti nella Sala Albarin, per un gioioso trattenimento ove alle tazze di thè
si alternavano le vivaci conversazioni
e ancora tanti canti, in fraterna libertà.
A. Domini
Un membro della comunità di Agape
CIRO ci ha lasciati
La zona dei vecchi chalets, all’estremità meridionale del complesso di
Agape, costituisce quella che potremmo definire la « vecchia » o la « prirna Agape ». È quanto sopravvive dell'opera alle sue origini, quella che fu
vissuta nel clima ancor patriarcale e
arcaico di una Frali contadina anteriore al boom turistico, in un mondo
che si poteva pensare di rinnovare
con una nuova predicazione. E qui infatti che venne vissuta, nel dopo guerra, la prima esperienza comunitaria
della nostra chiesa valdese, la prima
ricerca di problematica evangelica inserita in un contesto nuovo. Esperienza provvisoria, limitata nel tempo,
forse troppo rapidamente interrotta
da vicende esterne e da urgenze immediate e dal grande complesso dei
campi, da quello che è diventata in
seguito l’Agape che conosciamo.
^ Quel piccolo angolo tranquillo, all’ombra degli alberi, cresciuti nel frattempo, vive ornai la sua vita serena
in un elima di ricordi, come quel periodo lontano della prima Agape. È
qui che Ciro visse é' lavorò per anni,
portando con sé l’esperienza viva di
quel tempo, qui stava il suo laboratorio, il luogo dove esprimeva cotidianamente nel lavoro preciso, e compiuto con amore, un senso vocazionale
che andava ben oltre quello del buon
artigiano, che si radicava nell’esperienza delle origini stesse di Agape.
Ed ora al termine di questo lungo
ed implacabile inverno il suo chalet
e la sua vita ci stanno dinanzi schiantati da una sorda ed opprimente violenza. Come la neve ha annientato il
luogo del suo lavoro, la malattia ha
distrutto la sua vita; frammenti, rottami dell’uno, ricordi, spezzoni di conversazioni, qualche fotografia dell’altra. Tutto questo si potrà ricostruire,
ricomporre in una nuova realtà: si rimuoveranno le vecchie assi del suo laboratorio ed i suoi amici riordineranno i pensieri ed i ricordi di lui, un angolo della « vecchia Agape » non sarà
però più ricostruibile, appartiene ormai al passato. Per questo la scom-^
parsa di Ciro significa per molti di*
noi più che la scomparsa di un amico e di un fratello, la mancanza di
una persona con cui intessere conversazioni e ricordi, significa una frattura nella trama della vita cotidiana.
Come se improvvisamente il corso della nostra esistenza cotidiana fosse
stato rescisso: una parte del passato
di molti di noi è improvvisamente diventato « storia », vicenda di ieri. Abbiamo improvvisamente preso coscienza del fatto che quelle lontane
esperienze, vicende, ricerche compiute insieme fanno parte di un ieri che
è già del passato.
Quando si scriverà la storia di quegli anni si potranno illustrare ai più
giovani fratelli molte cose, precisare
non pochi problemi ma non si dovrà
dimenticare una cosa: a livello di
« base », lungo le strade della vai Germanasca e di Frali, a contatto con
quella che molti giovani moderni amano chiamare « la gente », Ciro è stato
per lunghi anni l’espressione di Agape assai più che i programmi dei campi, i torpedoni di campisti e le mozioni votate. Detto questo però, scritta e
narrata la vicenda, si avrà solo una
pallida ombra di quello che fu la realtà, avremo una pagina stampata, nulla più. Il resto di quel nostro passato, di quello che egli visse con noi, è
come tutto il passato, incomunicabile, è diventato intima realtà e la por
tiamo ormai dentro di noi.
G. Tourn
iMiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiimiiiiiiMiiiiiiiimiimiiiiiiiiiiiiii
Pomaretto
La visita della Corale di Luserna San Giovanni fissata per sabato 13 è stata rinviata.
Festa di canto delle
SCUOLE DOMENICALI
La festa di Canto per le Scuole Domenicali della Val Pellice viene organizzata, secondo l’usanza di questi ultimi anni, a Bobbio, Domenica, 21
maggio alle ore 15. Nella ricerca di
una nuova strutturazione da dare a
questa manifestazione e nell’intento
di renderla più viva e interessante per
i bambini, le Scuole Domenicali di Angrogna, Luserna San Giovanni e Torre
Pellice centro, in via sperimentale, si
recheranno, il medesimo giorno, ad
Angrogna, fin dal mattino, ove parteciperanno al culto di quella Comunità
cantando alcuni degli inni previsti dalla Comm. del canto sacro. Merenda
al sacco e, nel pomeriggio, saranno
organizzati ancora giochi e canti. Secondo questo schema ci pare si realizzi maggiormente l’incontro dei bambini con una comunità definita, la fraternizzazione dei bambini tra di loro,
l’aspetto del servizio e della testimonianza, inserendo il canto in un culto.
Se l’esperimento verrà accolto, ogni
anno si pot’rà attuare un turno diverso
di visite nelle Comunità e una diversa
composizione delle Scuole Domenicali
che vi partecipano.
« La mia grazia ti basta »
(II Corinzi 12; 9)
Il 6 maggio ha chiuso serenamente
la sua lunga giornata terrena
Alice Tourn Piazza
Lo annunciano i figli: Gustavo, con
la moglie Nella Vitturi, Flora, Eline
Quattrini; la nuora Claire Tourn Hugon (Uruguay), i nipoti e pronipoti
Gatti, Geymonat, Quattrini, Tourn,
Empson, Piazza, Colombano, Zoppi e
l’affezionata Ida Carignano.
La famiglia ringrazia tutte le care
persone che l’hanno circondata e
aiutata durante la malattia della loro cara, in particolare il Dottor De
Bettini e il pastore Sonelli e quanti
le hanno manifestato la loro simpatia in occasione della sua dipartita.
Torre Pellice, 8 maggio 1972.
La famiglia del
Geom. Emilio Rostagno
ringrazia tutti gli amici e conoscenti
che le sono vicini nel lutto che l’ha
colpita.
Ferrerò, 8 maggio 1972.
———M—mi Ululili III la^—a——
RINGRAZIAMENTO
Le famiglie Peyrot e Beìn, non potendolo fare singolarmente, ringraziano tutte le gentili persone che
hanno voluto partecipare al loro lutto per la scomparsa dell’
Avv. Stefano Peyrot
In particolare ringraziano il Dottor
De Bettini, la signorina Giorda, i Pastori Sonelli e Micci.
Torre Pellice, 8 maggio 1972.
« Sii fedele fino alla morte,
e io ti darò la corona della
vita» (Apoc. 2: 10).
Ciro
Ci ha lasciato. Il Signore l’ha richiamato a sé a soli 46 anni. Lo annunciano con profondo dolore, ma con
serena fiducia nelle promesse dell’Eterno, la moglie Anna Di Gennaro
Celli, il figlio Daniele, i genitori, i fratelli, i cognati e tutti i parenti.
La famiglia ringrazia tutti gli amici che si sono tanto prodigati in quoti ultimi tempi.
« L’Eterno ha dato,
l’Eterno ha tolto,
sia benedetto il nome dell'Eterno» (Giobbe 1; 21).
Frali, 7 maggio 1972.
5
12 maggio 1972 — N. 19
pag.
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
Consacrazione di pastori metodisti
e valdesi al prossimo Sinodo
Un intervento del Moderatore Giampiccoli a nome della Tavola
ATTESA PER UN CONCERTO NEL TEMPIO DI TORRE
La Società di Canto Sacro di Ginevra
L’articolo del prof. Valdo Vinay dal
titolo Consacrazione di pastori metodisti e valdesi al prossimo Sinodo
<« Eco-Luce» del 10 marzo) ha aperto
la discussione su un problema proposto all’attenzione del corpo pastorale,
senza che i léttori, che ' ovviamente
non conoscono la circolare del moderatore messa in discussione, possano
conoscere esattamente i termini del
problema. Poiché la discussione è continuata con l’articolo del prof. Giorgio Peyrot (Partecipazione valdese alla consacrazione di pastori metodisti « Eco-Luce » del 21 aprile), articolo
che fa riferimento a testi non noti integralmente o dimenticati, la Tavola
ha ritenuto opportuno portare a conoscenza dei lettori alcuni testi che potranno servire ad evitare confusioni o
giudizi superficiali e a situare esattamente il problema, se problema vi è.
Il Sinodo del 1957 approvò il seguente ordine del giorno (art. 10), proposto da una commissione mista di
studio (Neri Giampiccoli, Giorgio Peyrot, Mario Sbaffi, Giorgio Spini);
« Il Sinodo, udite le relazioni della
Tavola e della Commissione d’esame
sul progetto di collaborazione nella
cura pastorale e nell’evangelizzazione
con la Chiesa Evangelica Metodista
d'Italia, rallegrandosi per le notevoli
possibilità di collaborazione e di testimonianza che il progetto prevede,
riconosce la comunione di fede esistente tra la Chiesa Valdese e la Chiesa Metodista d’Italia, nonché la validità del ministero pastorale e dell’amministrazione dei sacramenti da parte
dei pastori dell’una e dell’altra denominazione; dà mandato alla Tavola di
continuare lo studio del progetto d’intesa con il Comitato Permanente della Chiesa Metodista, dandovi pratica
■attuazione e proseguendo in tal modo l’opera iniziata ».
Nella relazione presentata al Sinodo 1957, si legge tra l’altro: « La fondamentale questione di principio coinvolta nel progetto è relativa al riconoscimento della validità del ministero pastorale nelle due Chiese. È necessario che i due Sinodi riconoscano
tale validità, fondata su una comunione di fede e di azione. A visibile suggello di tale riconoscimento sarà opportuno che i pastori metodisti presenti al Sinodo Valdese (e viceversa)
si associno alla imposizione delle mani nell’atto della consacrazione dei
■candidati al ministero. La formazione
■comune, presso la nostra Facoltà di
teologia, di tali candidati, è un elemento in più per confermare tale riconoscimento ».
Dal resoconto a stampa della discussione seguita nel Sinodo 1957 non sembra che siano state mosse obiezioni
sul tema della imposizione delle mani L’ordine del giorno risulta approvato all’unanimità.
Venendo ai più recenti sviluppi, nella seduta comune tra la Tavola e il
Comitato Permanente Metodista, tenutasi a Roma il 6 gennaio, si è affrontato il problema del culto di apertura in comune in occasione della sessione congiunta del Sinodo e della
.......... ...................................... ................
Ancora sulla consacrazione pastorale
Conferenza e delle consacrazioni. La
Tavola ha ritenuto opportuno consultare in merito il corpo pastorale, chiedendo che in riunioni regionali o distrettuali esso esprimesse il suo parere per quanto di sua competenza;
di questa procedura si è fatto cenno
nella circolare ai pastori, anziani e
diaconi del 18 gennaio.
Il moderatore ha quindi provveduto a diramare una circolare ai pastori; per un errore in indirizzo, la circolare risulta inviata anche aW sei
persone iscritte nel ruolo diaconale.
Esse peraltro non sono state convocate agli incontri pastorali né hanno
partecipato alle deliberazioni. Pertanto la critica mossa dal prof. Vinay
nel suo articolo non ha validità all’atto pratico.
Il testo della circolare inviata ai pastori è il seguente:
I - Culto di apertura del Sinodo e della Conferenza - La Conferenza Metodista terrà la sua
sessione ordinaria in agosto, anziché in maggio.
Appare dunque opportuno che il culto di apertura sia tenuto insieme : i metodisti sono d’accordo, anche se la loro prassi era normalmente
diversa.
II Sinodo 1971/A ha designato come predicatore d’ufficio Davide Cielo (supplente Edoardo Aime): non vi potrà essere dunque alcun
mutamento in proposito, con il consenso dei
metodisti. La predicazione rimane affidata a
Cielo. Si ritiene invece opportuno che il presidente Mario Sbaffi collabori nella liturgia del
culto comune, presiedendone la prima parte
fino alla predicazione, secondo lo schenia della
liturgia valdese per il culto di apertura del
Sinodo.
II - Consacrazioni - Non si può dar per certo quante e quali consacrazioni al ministero
pastorale vi saranno; ma si può prevedere che
da parte valdese vi sia la consacrazione del
cand. Ermanno Genre; da parte metodista dei
cand. Renato di Lorenzo e Gianmaria Grimaldi. Inoltre da parte metodista si prevede la
consacrazione di un pastore locale, il dottor
Franco Becchino.
Attiro dunque la vostra attenzione sui seguenti problemi :
a) liturgia della consacrazione - L’esame
delle liturgie delle due chiese ha rivelato che
vi sono talune differenze, anche se la linea di
fondo appare abbastanza simile. Si è dato quindi incarico a Giorgio Bouchard e Aurelio Sbaffi
di elaborare uno schema di liturgia, che probabilmente non si discosterà molto da quello
predisposto l’anno scorso dalla commissione
Colucci-Santini-Sommani e che Santini ha
adoperato nel culto di apertura del Sinodo
1971, senza osservazioni da parte del corpo
pastorale o del Sinodo. È ovvio però che tale
schema, la cui innovazione principale stava
nelle dichiarazioni del candidato, aveva carattere sperimentale.
Non appena gli incaricati avranno elaborato il suddetto schema, ne curerò la ciclostilatura e ve lo invierò.
Chi presiederà la liturgia di consacrazione?
Nella chiesa metodista è prassi che sia il
presidente, mentre presso di noi è il pastore
designato dalla sessione sinodale precedente.
Si ritiene che i due dovrebbero collaborare nella liturgia, che potrebbe esser letta dal presidente metodista, mentre la domanda di rito
e la raccolta degli impegni dei consacrandi verrebbe fatta dal pastore Cielo per i vaidesi e dal presidente Sbaffi per i metodisti.
Spero di essermi espresso con sufficiente
■chiarezza nel mio articolo sulla Consacrazione
di pastori metodisti e valdesi al prossimo sinodo (« L’Eco-La Luce » 10 marzo 1972). Tuttavia, dopo quanto ha scritto Giorgio Peyrot
su questo argomento nel numero del 21 aprile di questo nostro settimanale, devo forse
ancora qualche spiegazione ai lettori.
Peyrot confonde l’atto della consacrazione
col riconoscimento reciproco fra due chiese
del loro ministero pastorale. Quest’ultimo non
è stato da me messo in discussione. Tutte le
Chiese riformate riconoscono reciprocamente
il loro ministero pastorale. Pur non facendo
parte della famiglia delle Chiese riformate, la
Chiesa metodista gode generalmente di questo riconoscimento del suo ministero da parte
di quelle. Per convalidare questa mia affermazione con esempi, ricordo l’assunzione del
pastore metodista Franco Scopacasa e di recente del pastore metodista Ivo Bellacchini da
parte di Chiese riformate della Svizzera italiana, senza alcun bisogno di un atto sinodale
di reciproco riconoscimento dei ministeri.
Questo riconoscimento della validità del ministero pastorale di un’altra chiesa non implica per nulla, come pretende Peyrot, che si
possa partecipare, come chiesa, alla consacrazione di candidati di un’altra chiesa, senza essersi preoccupati di una conoscenza preventiva di essi per mezzo degli organi da noi ritenuti idonei a tale scopo. Nel mio articolo avevo
precisato che il senso riformato di consacrazione è quello di ri-conoscimento della vocazione divina e della adeguata preparazione al
ministero. E questo riconoscimento non si può
fare senza conoscenza.
L’elemento fondamentale dell’acquisita conoscenza del candidato al ministero viene del
tutto negletto da Peyrot, o meglio è da lui lasciato alla chie.sa cui il candidato appartiene.
L’altra chiesa, senza preoccuparsi di questa
conoscenza diretta, si associa alla consacrazione del candidato, e quindi ne assume tutta
la responsabilità.
Con analogo procedimento Peyrot tratta il
caso del « pastore locale », che considera un
« pseudo-problema ». Infatti egli dice che
« nessuno... potrà minimamente dubitare che
il pastore locale metodista sul piano dell’esercizio del suo ministero e quindi del riconoscimento della sua vocazione anche da parte valdese, sia qualcosa di diverso o di meno di un
pastore metodista a pieno tempo ». Se la Chiesa metodista intende così il ministero del pastore locale, è certamente così. Ma la Chiesa
valdese ha sempre richiesto una preparazione
teologica per esercitare il pastorato. Ora ci viene proposto di consacrare un valente magistrato, un fratello desideroso di consacrarsi al
servizio del Signore nella chiesa. Tutto ciò sta
bene, ma se dobbiamo partecipare alla sua consacrazione a pastore, dovremmo prima ehiedere qual’c la sua preparazione teologica (indipendentemente dagli studi fatti o meno in una
Facoltà teologica, perché la preparazione teologica dovrebbe poter avvenire anche nell’ambito della comunità locale). Almeno questo si
deve dire per ciò che si riferisce alla conoscenza del candidato prima della sua consacrazione.
Dopo la consacrazione (poiché non si tratta di un ordine sacro) sia la chiesa nel suo
insieme che la comunità locale devono sempre
cercare di conoscere i pastori, cui affidano il
ministero della Parola. È un principio della Riforma. Lutero già nel 1523 ricordava alle
chiese questo loro diritto e dovere. Anche oggi qualsiasi Chiesa riformata, che assuma un
pastore di altra Chiesa riformata, prima prende
informazioni su di lui, e una comunità lo
vuole sentire predicare prima di eleggerlo. Da
noi, come ho detto nel precedente articolo, le
chiese autonome dopo sette anni dalla elezione
(non so come Peyrot possa contestare questa
affermazione) esprimono, mediante votazione,
il loro giudizio sull’opera del loro pastore.
Spero di avere sufficientemente chiarito il
mio pensiero ai lettori. Quanto agli insulti,
sparsi in tutto l’articolo di Peyrot, ritengo più
conveniente non rispondere.
Valdo Vinay
Seguiranno rispettivamente le dichiarazioni di
chi presiede circa l’entrata a far parte dei due
rispettivi corpi pastorali, ognuno per parte sua.
b) L’imposizione delle mani - È noto che
fin dal 1957 (AS art. 10) è in atto il reciproco
riconoscimento del ministero pastorale nelle
due chiese; i pastori valdesi che prestano servizio in una chiesa metodista o che fanno parte della delegazione valdese hanno in generale, se non erro, partecipato alla consacrazione
di pastori metodisti con l’imposizione delle
mani e viceversa. Non ci sembra dunque che
ci siano difficoltà a che i due corpi pastorali
per intero partecipino all’imposizione delle mani ai candidati dall’altra denominazione. Un
atteggiamento contrario verrebbe a contraddire il riconoscimento reciproco del ministero
pastorale.
c) Consacrazione di un pastore locale - La
Conferenza metodista ha istituito nel 1969 un
secondo ruolo pastorale, con la seguente regolamentazione :
Art. 1 - « La Conferenza può accettare
per il ministerio in un determinato Circuito e
consacrare un membro comunicante di una Comunità metodista che abbia servito nei consigli di chiesa, o nel Comitato Fermamente, o
nel ruolo dei predicatori laici o in altri particolari incarichi che comportino il riconoscimento di speciali attitudini e doni.
I ministri accettati e consacrati a norma del
comma precedente sono denominati pastori locali. Essi prestano gratuitamente il loro ufficio, salvo il rimborso delle spese sostenute, e
possono attendere ad una attività lavorativa
retribuita contemporaneamente all’opera del
ministerio ».
Art. 2 - « La Conferenza fa precedere
alla accettazione e consacrazione di cui al precedente articolo, un periodo di prova durante
il quale il candidato può essere tenuto a seguire e superare un apposito corso di studi ».
Art. 3 - « Ai candidati al pastorato locale ed ai pastori si applicano tutte le norme
del regolamento che riguardano rispettivamente i càndidati al pastorato ed i pastori, in quanto compatibili con le caratteristiche di questo
ministerio e con le norme del presente testo ».
Si è rüevato che il problema del riconoscimento del vicendevole ministero pastorale dovrà essere riveduto in sessione congiunta, poiché dal tempo in cui venne approvato tale
principio le due chiese hanno introdotto elementi nuovi; ministero pastorale femminile
da parte valdese, ministero del pastore locale
da parte metodista.
È noto pure che si sta sperimentando presso di noi il ministero di un « anziano con funzioni pastorali » (denominazione provvisoria),
con il servizio del prof. Claudio Tron a Perrero-Massello-Rodoretto. Siamo però ancora nella fase sperimentale.
Si tratta ora di esaminare se vi sono particolari obiezioni da parte nostra al partecipare
alla consacrazione del pastore locale dott. F.
Becchino, il primo caso che si presenta nella
Chiesa Metodista. Il dott. Becchino’ è un magistrato e presta servizio da oltre tre anni
presso la chiesa di Savona e cura anche, se
sono bene informato, qualche disseminato valdese nella zona di Albenga. È superfluo osservare ehe si parteciperebbe alla consacrazione
di un pastore che farà parte del corpo pastorale della Chiesa Metodista, limitatamente al
luogo ove egli esercita la sua professione
« mondana »; ciò non implica alcun impegno
di inserimento nel nostro corpo pastorale. L’atto di riconoscimento del ministero pastorale
dell’allra Chiesa non ha posto a suo tempo
pregiudiziali circa le condizioni che ognuna
delle due chiese richiede ai propri candidati
per concedere loro la consacrazione.
Per concludere mi sia lecito raccomandare, se la discussione dovesse
proseguire sulla stampa, di attenersi
all’essenziale e di evitare di creare
pseudoproblemi. Se ci sono problemi
di confessione di fede occorre avere
il coraggio di dire no quando va detto no; altrimenti occorre vigilare per
non sollevare problemi che non esistono o che sono stati già affrontati
a tempo debito. In particolare ritengo che vada preso molto sul serio l’atto sinodale del 1957 che ha portato a
risultati positivi sul piano dell’integrazione fra le due chiese e del servizio pastorale reciproco. È sulla base di quella decisione sinodale che
ogni problema successivo va visto e
affrontato.
Neri Giampiccoli
...............................
ASSOCIAZIONE
AMICI DEL COLLEGIO
Ricordo
di Stefano Peyrot
È scomparso in questi giorni, alla
bella età di 95 anni, l’Avv. Stefano
Peyrot, che dalla nostra fondazione
fu sempre vicino ai nostri scopi, alle
nostre speranze, alle nostre battaglie.
Non mancò mai alle nostre riunioni
ed alle nostre sedute, facendo ogni
volta ed in ogni occasione rivivere gli
anni di studi trascorsi prima alla
Scuola Latina di Pomaretto e poi al
Collegio di Torre Pellice. Fu sempre
un Amico generoso, entusiasta e fedele dei nostri due Istituti e lascia un
gran vuoto, ora.
Alla sua memoria mandiamo un saluto reverente ed alla famiglia giunga il nostro sincero cordoglio.
E. G.
Il 20 maggio 1972, alle ore 21, nel
Tempio Valdese di Torre Pellice, la Società di Canto Sacro di Ginevra terrà
un concerto vocale e strumentale. Parteciperà pure al concerto il complesso
strumentale « Camerata Gabrieli » e sarà presente il Signor Gagnebin, autore
di musiche contemporanee. Verranno,
tra l’altro^ eseguiti brani di Schutz, salmi ugonotti di Goudimel e la Cantata
118 di G. S. Bach.
Programmi dettagliati del concerto
saranno a disposizione del pubblico all’ingresso del Tempio.
Riteniamo che Tavvenimento rivesta
un interesse del tutto particolare, trattandosi della numerosa e ben affiatata
Corale della città di Ginevra, conosciuta in Svizzera e all’Estero per i suoi
concerti.
Pensando di fare cosa gradita ai lettori, diamo alcune notizie che riteniamo interessanti, sulla Società di Canto
Sacro, sulla « Camerata Gabrieli » e sugli autori contemporanei.
SOCIETÀ' DI CANTO SACRO
DI GINEVRA
La Società di Canto Sacro di Ginevra
è di tutto rispetto poiché la sua nascita
risale al 1827. Contrariamente alle leggi della natura, malgrado il trascorrere
del tempo, la Società ringiovanisce. La
sua attività è sempre stata vitalissima:
da più di un secolo ha un ruolo di primissimo piano nei cori vocali di oratorio. Il suo repertorio è vasto e si estende da Monteverdi a Frank Martin.
Ogni anno la Società di Canto Sacro
dà un concerto con il concorso dell’orchestra della Svizzera Romanda e di solisti di rinomanza, fatto questo che le
ha dato l’opportunità di far conoscere
al pubblico ginevrino i capolavori di
Bach, Haendel, Mozart, Beethoven,
Schumann, Brahms, Fauré, Strawinsky.
Questo complesso corale ha avuto l’occasione di cantare a Parigi, a Lione, a
Besançon nonché a Valence, a Désaigne
(Ardéche), col complesso « Camerata
Gabrieli ».
Attualmente la Società incontra delle
difficoltà non indifferenti. La concorrenza della radio e del disco, oltre all’evoluzione di determinati interessi
che fanno ricercare passatempi più facili e meno impegnativi, intralciano
spesso il regolare svolgersi della sua attività. Soltanto grazie ad un profondo
amore per la musica essa può continuare a vivere e ad operare.
« CAMERATA GABRIELI »
La « Camerata Gabrieli » di Ginevra
è stata fondata sette anni or sono da
giovani musicisti, col vivo desiderio di
riportare all’attenzione del pubblico
l’interessante repertorio della musica
per ottoni, caduto troppo spesso in un
oblìo immeritato. Grazie a numerosi
concerti offerti principalmente in Svizzera e in Francia, questo complesso ha
avuto Toccasione di far scoprire al
pubblico le attraenti bellezze di questo universo sonoro.
Assumendo il nome di « Camerata
Gabrieli », questo complesso vuol rendere omaggio ai compositori veneti
Andrea e Giovanni Gabrieli e in modo
particolare a quest’ultimo di cui le
composizioni strumentali per ottoni
rappresentano una pietra miliare importante nella storia della musica.
Lieti di partecipare al concerto del
Canto Sacro, i musicisti della « Camerata Gabrieli », sotto la competente direzione del M° Didier Godei, si sforzeranno di rendere partecipe il pubblico
del loro entusiasmo, facendo rivivere
con fedeltà i fasti antichi e moderni
della musica per ottoni.
BREVI CENNI
SUGLI AUTORI CONTEMPORANEI
ENRICO GAGNEBIN
Organista, compositore, pedogogo, musicografo, Enrico Gagnebin ha trascorso la maggior parte deUa sua vita a Ginevra dove diresse per molti anni il Conservatorio di Musica e dove creò i « Concorsi di Esecuzione Musicale ». Compositore classico, ma non accademista, Enrico Gagnebin sa associare la severità del gusto col piacere del naturale.
Egli sarà presente a D. p. al concerto del
20 maggio a Torre Pellice.
BERNARD REICHEL
Nato a Neuchâtel nel 1901, a 17 anni organista, dapprima nel suo Cantone d’origine e
in seguito a Ginevra. Dal 1954 professore al
Conservatorio a Ginevra, compositore di opere
destinate principalmente al culto. Ha scritto
« cantate » e « oratori » per vari cori svizzeri ed esteri.
MICHELE WIBLÉ
Nato a Ginevra nel 1923. Ha suonato nell’orchestra della Svizzera Romanda per 20
anni. Attualmente insegnante di musica nelle
scuole di Ginevra. Consacra tutto il suo tempo libero alla composizione.
* * *
Mentre la Corale Valdese di Torre
Pellice fin d’ora si rallegra per questo
gradito e fraterno incontro, invita caldamente il pubblico a partecipare numeroso a questo concerto che non mancherà certamente di suscitare profondi e sentiti consensi.
MiiiiiiiiimiiiiiiiiiiMimiiiiiimimiiiimiiiiiimmiiiiiMiimimiiiimiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiimiiimiiiii
AL COLLEGIO VALDESE
Le attività degli studenti
del Ginnasio-Liceo
(segue da pag. 3)
ni che abbiamo tenuto, ed infine vogliamo ancora salutare, attraverso le righe
di questo giornale, tutti coloro i quali
ci hanno ascoltato: speriamo di aver
potuto dare loro qualcosa, poiché molto essi hanno dato a noi.
LAVORO PER ANZIANI
PRESSO
LA CASA DELLE DIACONESSE
Un gruppo di noi, particolarmente
sensibile al problema degli anziani, ha
cercato di attuare subito, in atti concreti, la consapevolezza di tale problema. La Casa delle Diaconesse, dove vengono ospitate numerose persone anziane, ci ha offerto una possibilità immediata di lavoro e di servizio: la nostra
attività presso questo Istituto si è concretizzata in due diverse direzioni.
Da una parte abbiamo eseguito tutta
una serie di lavori pratici (spalatura
della neve, giardinaggio, lavoretti domestici, ecc.), dall’altra abbianio_ cercato di svolgere presso gli ospiti della
Casa un’opera più propriamente assistenziale; si trattava di conversazioni e
letture di giornali e libri, alla ricerca
di un dialogo con un mondo così lontano e diverso dal nostro. Il nostro lavoro è stato caratterizzato da una certa
continuità e regolarità; non vorremmo
comunque essere fraintesi: non pensiamo di aver fatto nulla di eccezionale,
speriamo solamente di essere stati di
un qualche aiuto per coloro che abbiamo visitato. È stata per noi un’esperienza utilissima e, crediamo, formativa: abbiamo preso direttamente e praticamente coscienza di un mondo i cui
problemi sono molto lontani e diversi
dai nostri e che conoscevamo solo a livello teorico: vogliamo quindi ringraziare tutte quelle persone che ci hanno
permesso di fare un’esperienza così
utile e preziosa.
Questa relazione è frutto di una Assemblea di studenti, insegnanti ed
animatori del doposcuola.
Seguirà, nel prossimo numero, la
relazione su altre attività: corale, teatrale, lavoro in biblioteca, doposcuola etc.
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6
pag. 6
N. 19 — 12 maggio 1972
1 due imperativi deireducazione in America Latina
Democratizzazione e innovazione
A che punto è l’insegnamento in
America Latina e nella regione dei
Caraibi? Quali sono le sue prospettive nel contesto generale dello sviluppo economico e sociale di queste nar
zioni? Per fare il punto sulla situazione rUNESCO aveva riunito a Caraballeda, nel Venezuela, nel dicembre
1971 i ministri deH’educazione della
regione e i ministri incaricati della
scienza e della tecnologia. Dai loro dibattiti si deduce che durante il decennio 1960-70 gli effettivi, a tutti i gradi
deU'insegnamento, hanno avuto una
crescita esplosiva, che ha compietamente trasformato il panorama culturale della regione. Mentre dieci anni
fa si contavano, nell’insieme dell’America Latina, 30.232.000 allievi e studenti, nel 1970 il loro numero era salito
a 54.205.000, con un tasso d’aumento
due volte più rapido di quello della
popolazione in età scolare. L’espansione più rapida è stata registrata al livello secondario e a quello superiore,
in modo che la piramide scolare si è
allargata al vertice. Le ragazze non
sono state dimenticate in quest’espansione: rappresentano ormai circa la
metà degli effettivi nelle scuole primarie e secondarie, e un terzo negli
istituti superiori.
Uno sforzo senza precedenti
L’Amerjk;a Latina ha fatto un passo
gigantesco: oggi un abitante della regione su cinque è iscritto in un istituto d’istruzione e oltre l’80% della popolazione in età scolare frequenta effettivamente la scuola, un record, se
si tiene conto che due quinti dei Latino-americani hanno meno di quindici anni.
Si sono dxmque bruciate le tappe e
il decennio che si è appena concluso
segnerà senza dubbio un momento capitale nella storia dell’insegnamento
latino-americano. Fra le regioni in fase di sviluppo, l’America Latina è la
sola che è riuscita a ridurre il numero relativo e quello assoluto degli
analfabeti: essi erano 41 milioni nel
1960, su una popolazione globale di
210 milioni di abitanti; nel 1970 non
erano più che 39 milioni su un totale
di 279 milioni.
fn altre parole, 125 niilioni di Latino-americani aventi più di 15 anni sanno oggi leggere e scrivere, mentre nel
1960 erano 83 milioni. Eppure l’America Latina è la parte del mondo in
cui la popolazione è aumentata più
rapidamente: è raddoppiata rispetto
a 25 anni fa e si prevede che sarà ulteriormente raddoppiata entro il 1994.
Due fattori hanno contribuito a questa rapida espansione dell’educazione: da un lato la insaziabile sete di
istruzione della popolazione, dall altra
la priorità assoluta data dai governi
alle spese per l’educazione le quali nel
1969 rappresentavano in media il 21%
dei bilanci nazionali. Il fine che i ministri dell’educazione si erano prefissi, nel 1962, a Santiago del Cile, e cioè
riservare il 4% del reddito nazionale
lordo all’educazione, è stato praticamente raggiunto nella maggioranza
delle nazioni e, in alcune, superato.
Resta però forte lo scarto
fra nazioni ricche e povere
Malgrado questa mobilitazione delle risorse, resta forte lo scarto fra le
somme che le nazioni industrializzate
stanziano per l’educazione, e quelle di
cui dispongono le nazioni in fase di
sviluppo. Nel 1969 le prime avevano
stanziato per l’insegnamento 132 miliardi di dollari, mentre le ultime, con
una popolazione doppia, non avevano
potuto impegnare a tale scopo che 12
miliardi. In altri termini, mentre le
nazioni ricche spendono in media 22
dollari all'anno per l’educazione di
ognimo dei loro cittadini, le nazioni
del terzo mondo non possono spendere che un dollaro.
Ed eccoci al cuore delle preoccupazioni attuali deH’America Latina nel
campo deU’insegnamento: infatti 8 milioni e mezzo di ragazzi fra i 7 e i 12
anni rimangono tutt’ora ai margini
della scuola: occorrerà uno sforzo gigantesco per scolarizzare questi giovani, la maggior parte dei quali si trova nelle zone rurali.
Anche l’educazione degli adulti, per
mancanza di fondi adeguati, non ha
dato tutti i risultati sperati: 39 milioni di uomini e di donne che non
sanno leggere né scrivere costituiscono un problema umano e sociale di
importanza primaria e un ostacolo
molto grave allo sviluppo economico
e sociale della regione.
L'espansione dei bilanci ha dei limiti
È possibile continuare indefinitamente ad aumentare le spese per la
educazione, senza gravare eccessivamente sui bilanci nazionali? Gli specialisti ritengono di no e infatti si de
iiiimiiiiiiiiiiitiiMiimniiiiimiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Il nostro redattore che_ cura, in
particolare, la rubrica «Uomini, fatti,
situazioni », Roberto Peyrot, ha avuto
il dolore di perdere il padre, l’aw.
Stefano Peyrot. Esprimiamo a lui e
a tutta la sua famiglia la nostra affettuosa simpatia fraterna, nella comunione della fede e della speranza.
La rubrica è, per questa settimana,
sospesa.
linea già qualche segno d’ingolfo finanziario. Eppure le scuole latinoamericane si trovano' davanti alla necessità di migliorare la qualità deH’insegnamento, proprio nel momento in
cui aprono le porte a generazioni sempre più numerose di allievi. Entro il
1980 la popolazione del Brasile sarà
passata da 93 a 123 milioni di abitanti, quella della Colombia da 21 a 30
milioni; quanto al Messico, che nel
1970 contava circa 50 milioni di cittadini, ne avrà 71 milioni e mezzo
nel 1980.
Di fronte alla sfida dell’esplosione
demografica, l’America Latina dovrà
orientare la sua politica futura verso
l’innovazione pedagogica e la democratizzazione dell’insegnamento. Se
tutte le nazioni della regione hanno
realizzato progressi considerevoli verso l’obiettivo dell’insegnamento primario per tutti, persistono tuttora squilibri assai gravi quanto alle effettive
possibilità, per tutti, di istruirsi.
L’educazione non è penetrata a sufficienza nelle campagne: un’inchiesta
effettuata in 23 nazioni della regione
indica che fra il 1960 e il 1968 soltanto
sei di queste nazioni potevano segnalare un tasso di scolarità altrettanto
alto in ambiente rurale quanto quello in ambiente cittadino. D’altro lato
il numero rilevante dei ripetenti — in
alcune nazioni oltre la metà degli
alunni sono ripetenti nel corso della
loro istruzione elementare — influisce
negativamente sul livello generale di
istruzione. Ma il problema più serio
rimane quello degli abbandoni durante gli studi, abbandoni dovuti al fatto
che le scuole rurali sono spesso incomplete. Nel 1965 il tasso degli abbandoni era in media del 60% nelle
15 nazioni che contano complessivamente l’85% degli effettivi elementari
della regione latino-americana, e le
proporzioni erano anche più allarmanti in ambiente rurale. Questa maggioranza di alunni che lasciano la scuola
dopo due, tre o quattro anni di studi,
mancano generalmente di formazione
pratica.
Una scuola adattata
alle esigenze dell’economia
Questi squilibri fra città e campagna si ritrovano pure neH’insegnamento secondario e superiore. Molti giovani abbandonano gli studi e entrano
nella vita attiva con una formazione
incompatibile con le esigenze del mercato del lavoro. E infatti paradossale
che in un mondo dominato dalla scienza e dalla tecnologia, queste discipline non siano al cuore dell’insegnamento generale dato a tutti i livelli. Infatti l’avvenire delle nazioni che aspirano a colmare l’abisso che le separa
dalle società ad alta industrializzazione dipende, in ultima analisi, dal loro
sviluppo scientifico e tecnologico.
L’America Latina esige un’educazione liberatrice, rinnovata, arricchita da
una formazione moderna che risponda alle esigenze reali dell’economia.
Per raggiungere tale scopo i governi
e gli educatori dovranno dar prova di
prodigi di immaginazione, ricorrere a
metodi nuovi, più razionali, tali da
permettere l’utilizzazione ottimale delle risorse disponibili. In quest’ottica è
essenziale creare i mezzi di ricerca capaci di ispirare le decisioni politiche
in fatto di pianificazione dell’educazione. Sarà necessario consacrare l’uno
per cento del bilancio dell’insegnamento a operazioni sistematiche di
ricerca? L’interrogativo resta aperto.
Antonio de Gamarra
Informations UNESCO»)
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
UNA LETTERA
DEL SENATORE ANTONICELLI
È Stata inviata a Ferruccio Farri
e porta la data: Torino, 17.4.’72. Eccone il testo integrale.
« Almeno tu, caro Farri, alta e veramente sincera coscienza democratica, accanto agli esponenti della Sinistra Unita, della Sinistra di Opposizione, e nel silenzio o nel responsabile clamore di quei partiti che vanno
formando tutto un arco di destra, almeno tu alza una voce vibrante per
dire al Paese che tutto questo affannato cercare, nella polvere delle soffitte e delle cantine o fra le carte ingiustamente frugate di avvocati patrocinatori, prove di un sovversivismo di
sinistra, è una manovra indegna e persino aggravata da qualche illegalità,
non soltanto per coinvolgere nell’accusa e nell’odio dei cosiddetti benpensanti i partiti dei lavoratori, ma anche per denigrare quelle forze autenticamente antifasciste e quelle associazioni partigiane da cui è stata conquistata quell’unica libertà di cui riesce ancora a vivere l’Italia.
Si alzi ben forte la tua voce per dire ai ministri dell’Interno e della Giustizia che l’opinione pubblica sa far
differenza fra le bombe di Milano che
sono scoppiate ed hanno ucciso, e il
traliccio di Segrate che non è saltato
(c’intendiamo!), cioè che, nonostante
gli sforzi di certa propaganda ignobilmente interessata, noi non crediamo
al trucco degli opposti estremismi;
che i veri antifascisti dubitano di quella vocazione antifascista che si risveglia soltanto nei giorni delle elezioni,
e che, ben più delle minacce del Movimento Sociale, essi temono quelle,
così poco velate, del partito che dichiara di non voler riconoscere la
eventuale sconfitta del 1 maggio (che
di cuore gli auguriamo); che nessuno
ha dimenticato che l’attuale Presidente del Consiglio (sia pure di uno strano Ministero senza la fiducia parlamentare) scrisse un giorno di rifiutarsi di accettare il risultato elettorale ove le sinistre conquistassero il
51% dei voti.
Infine, caro Farri, di’ alto e forte
che queste azioni congiunte di magistratura e di polizia, rivolte a cercare
a tutti i costi responsabilità dei partiti di sinistra, sono esattamente quelle che procurano non l’ordine invocato, ma il disordine, non la pace sociale, ma la confusione, la inquietudine
e lo sdegno, non la garanzia democratica, ma la consunzione dello stato di
democrazia. Uno Stato dove è ancora
perseguito il reato d’opinione è uno
Stato già sull’orlo del fascismo.
Ahimè, caro Farri, il conclamato andreottiano "ritorno a De Gasperi" risuona purtroppo come l’appello di allora alla rottura dell’unità sindacale,
alla rottura dell’unità della Resistenza, ai propositi della legge truffa, alle
tentazioni borboniche dello scelbismo.
Mentre un ex presidente della Repubblica, che pur lottò contro il fascismo, e tanti ex ministri, che antifascisti si proclamano, tacciono di
queste cose abbandonando il Paese al
ludibrio della verità e a quella che
sembra essere una vendetta del glorioso 1960 di Genova e dell’Italia antifascista, di’ tu questa parola che richiami tutti alla difesa della giustizia
anziché al vantaggio d’interessi faziosi.
Il tuo aff.mo
Franco Antonicelli ».
Avremmo volentieri fatto conoscere
ai nostri lettori questa bella lettera
ancor prima delle elezioni del 7-8 corr.,
ma « il ritardo con cui è uscito “L’Astrolabio” n. 3 del marzo u. s., ritardo
dovuto a motivi tecnici e a diverse ragioni connesse con la situazione elettorale » (dice la fascetta), ce l’ha purtroppo impedito.
® Il tempo e Tuomo
Luigi Boussenard, un felice scrittore francese di libri per l’infanzia, che
i ragazzi italiani di quarant’anni fa
hanno letto nelle edizioni a dispense
dell’editore Sonzogno, ha scritto un
romanzo, forse oggi introvabile anche
in Francia, dal titolo (se ben ricordo):
« Diecimile anni sotto i ghiacci ». Per
effetto della ibernazione, un uomo rimane vivo sotto i ghiacci polari per
alcuni millenni. Possiamo figurarci,
anche se non abbiamo letto il romanzo del Boussenard o se lo abbiamo
dimenticato, la sorpresa di quest’uomo nel ritrovarsi in un mondo tanto
diverso da quello che aveva conosciuto.
L’idea di immaginare il ritorno di
un uomo alla vita terrestre dopo molti anni di assenza ha ispirato molti
scrittori, anche di teatro, suggerendo
anche comiche situazioni. Si è cercato così di vedere, seriamente o umoristicamente, il mondo attuale con occhi diversi da quelli di noi contemporanei. Inversamente (ma è in fondo
10 stesso processo) vogliamo fare per
11 passato, cercando cioè di vederlo
non con i nostri occhi, ma con quelli
dei contemporanei dei vari avvenimenti storici che si vogliono descrivere. L’editore Denoel ha così ideato
un giornale, che avrebbe iniziato le
sue pubblicazioni al sorgere della storia dell’umanità, con immaginari giornalisti delle varie epoche.
Anche per la storia della Chiesa è
stato fatto qualcosa di simile: un
giornale illustrato il cui primo numero reca la data dell’anno di Grazia 32
e l’ultimo numero la data del 1946 (la
edizione è nella realtà del 1958, qualche anno prima quindi del Concilio
Vaticano II).
Sotto la testata de « Le Journal du
Monde » di Denoel è riportato il giudizio di Albert Camus, secondo il quale « il giornalista è lo storico del momento »; ma il metodo con cui le due
opere da me citate sono state redatte
è quello dei giornalisti d’oggi, la mentalità degli autori dei singoli articoli
è la mentalità degli uomini d’oggi. La
finzione non è che formale. Perché
l’uomo cammina male lungo la strada
del tempo. L’Uomo, nel tempo, è molto più limitato di quanto non lo sia
nello spazio, anche se non sia di tutti
saper viaggiare.
Pensiamo tuttavia che anche uno
scrittore protestante avrebbe potuto
scrivere un libro sul tipo di quello del
Boussenard, immaginando che un luterane dell’epoca della Dieta d’Augsburg, o un Ugonotto del periodo del
soltanto un contemporaneo dei Riformatori o comunque un protestante
dei primi tempi successivi alla Riforma, ma anche un protestante della fine del secolo scorso.
Che cosa egli noterebbe? Innanzi
tutto, io credo, l’assenza di un sentimento fortemente anticattolico, ¿’avvicinamento di cattolici e protestanfi
è un fatto innegabile. Possiamo discutere sull’Ecumenismo, ma non possiamo negare che qualcosa di nuovo sia
maturato in questo senso.
Sono certo che noterebbe anche una
diminuita pietà religiosa. Il mondoreclama sempre più la sua parte, gli
avvenimenti del giorno interessano'
sempre più, un nuovo spirito critico
serpeggia tra le fila dei credenti di
oggi. Possiamo dire che la religiosità
dei protestanti di oggi sia la stessa
degli Ugonotti delle Cevennes e dei
Valdesi delle Alpi dei tempi passati?
Come un qualsiasi uomo, vissuto in
altre epoche, non si raccapezzerebbe
più nel mondo attuale, e non soltanto perché oggi le strade sono ingombre di automobili o per gli altri effetti del progresso tecnico, ma perché
Deserto, o un Valdese di un periodoanteriore alla Emancipazione, ritorni
oggi al mondo. Quali impressioni questi riporterebbe delle attuali condizioni del Protestantesimo? È forse difficile poter dare una risposta, così come è difficile poter dire se il giudizio
che costui esprimerebbe sul Protestantesimo di oggi, molto probabilmente negativo, sarebbe un giudiziogiusto e fondato oppure privo di obiettività. Quello che è certo è che la situazione odierna del Protestantesimo
non mancherebbe di sorprendere, non
troverebbe nel mondo una nuova mentalità, un nuovo modo di vivere, urt
nuovo linguaggio; così certamente un
protestante che ritornasse dal tempopassato non ritroverebbe più, nella
sua Comunità, né lo spirito, né la
mentalità, nè il comune linguaggioche vi aveva lasciati.
La fantasia dì un rbmànziere potrebbe quindi sbizzarrirsi anche in
questo campo. Sarebbe un semplice
divertimento, o potrebbe essere un lavoro utile, che ci farebbe riflettere.
Eros Vicari
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
RIVOLUZIONE NON VIOLENTA
(segue da pag. 1)
LA FINE D’UN MITO
■¡fc- « Soltanto due mesi fa l’esercito
di Saigon era presentato da Washington come uno dei primi del mondo, e
la “vietnamizzazione” come un successo trionfale. Il governo del Vietnam
del sud affermava che solo un’infima
minoranza della popolazione a sud del
17» parallelo sfuggiva al suo controllo. Brutalmente si diceva che 13 o 14
milioni di tonnellate di bombe e di
munizioni varie, il trattamento d’un
settimo del territorio del sud coi prodotti chimici, la repressione delle opposizioni legali, avevano avuto finalmente ragione del “comunismo". La
tesi dei “due Vietnam" trovava finalmente la sua giustificazione ».
Questa era la traduzione, in termini
di politica intemazionale, d’una civiltà tecnicizzata al più alto grado e idolatra del denaro, insensibile ed infantile, come quella americana delle ultime generazioni.
« Ed ecco che è bastata un’offensiva
d’un mese, per distruggere quel mito.
Da un lato non si può far altro che
ammirare, una volta di più, la tenacia
dei combattenti nord-vietnamiti (ma
anche di quelli del Fronte Nazionale
di Liberazione del Sud) i quali, sotto
il più grande diluvio di bombe della
storia, sono riusciti a scatenare una
offensiva senza precedenti ed a mettere in iscacco i loro avversari. D’altro lato il “formidabile" esercito sudvietnamita, nonostante il suo milione
di uomini, ha finito per rivelare le
proprie debolezze: infatti, a parte una
resistenza meritoria in alcuni punti
come ad An-Loc, la maggior parte delle truppe e degli ufficiali sud-vietnamiti si sono limitati ad assistere passivamente ai bombardamenti americani
sull’avversario, salvo darsela disordinatamente a gambe nell’ora del pericolo.
Servitori d’un regime la cui ragion
d’essere si riduce, in ultima analisi,
alle finalità militari e poliziesche, i
combattenti sud-vietnamiti sembrano
soffrire soprattutto per una carenza
di “motivazioni" » (cioè di giustificazioni morali). « La motivazione anticomunista dei loro superiori non è stata sufficiente a convincerli ad organizzare delle controffensive, e quello
ch’è stato chiamato il "nazionalismo
sudista" non è riuscito a galvanizzarne le energie contro Vinvasore".
La politica della “vietnamizzazione”
non è riuscita a trasformare un mezzo-popolo in una nazione. (...)
Il periodo della “vietnamizzazione”
sembra dunque giunto alla fine. Non
essendo riuscito a “vietnamizzare" la
guerra, e incapace a "vietnamizzare"
la pace, il sig. Nixon, per il momen
inizi di un vasto movimento non violento, è esser pronti a contrastare le
ingiustizie e le oppressioni, più che dedicarci a criticare la violenza di chi
reagisce, esasperato da queste, e ciò
anche se non crediamo che il loro metodo violento porterà i frutti che essi
sperano.
Nell’ultima parte della conferenza
ci si è dedicati a situazioni concrete.
La commissione di lavoro sull’Euroipa
e l’America del Nord ha citato diverse azioni, fra le quali il boicottaggio
in Olanda del caffè dell’Angola, e le ha
studiate. Alla ricerca di una strategia
valida per promuovere un movimento più vasto ho riportato sul tavolo la
mia « ipotesi di lavoro » sul boicottaggio della società di consumi in favore
della rinascita del terzo mondo. L’avevo proposta due anni fa alla tavola rotonda dell’Assemblée Générale du Protestantisme Français, ma questa volta, però, « la medesima tesi è stata
confermata in termini scientifici nel
gruppo di lavoro sull’economia ».
Molto ricca la relazione sull’America Latina dove il divario fra ricchi e
poveri, oppressori ed oppressi è così
spaventosamente grande. Le prospettive di lavoro comune son anche ampie. La relazione sul Vietnam porta la
forte impronta, oltreché di altri, del
pensiero non-violento del Ven. Thich
Naht Hanh, buddista, il quale in altro gruppo mi diceva con dolore che
gli occidentali non comprendevano il
modo di pensare e di esprimersi degli orientali. E questo non è certo un
piccolo problema, adesso che il mondo è un solo « comune » ed ha più che
mai bisogno di dialogo e di ricerca
collettiva.
Il 4 aprile vi è stata nel duomo di
Utrecht la commemorazione della
morte di M. L. King. Il duomo era
gremito all’inverosimile di gente, in
grande maggioranza di giovani seduti in ogni spazio libero fin per terra
sotto il palco degli oratori. Helder
Carnata ha fatto un discorso memorabile. Ha poi parlato una vietnamita
dicendo come un brivido di orrore e
di angoscia è passato da scuola a
scuola, da luogo a luogo alla notizia
dell’assassinio di King: lo chiamavano un loro liberatore! Poi i rilievi come la violenza distrugge non solo le
vite fisiche ma la stessa anima del po
polo. Infine ha parlato « un » capo dei
ribelli del Mozambico. Anche in questa occasione dunque una dialettica
vera di ricerca fra gente impegnata
che a volte non sa più che via prendere, e non sentenze di « dogmatici »
che hanno definitivamente tutto risolto in precetti e definizioni.
Per concludere riferisco la dichiarazione per la stampa fatta da H. Camara, dopo averla discussa con noi:
« Preoccupati per l’aggravarsi delle
ingiustizie che scavano terribili fossati fra gli uomini, le nazioni e gli stessi continenti; convinti che la giustizia
è una condizione che precede una pace autentica, vedendo che vi sono dappertutto dei movimenti e delle organizzazioni che lavorano per la giustizia e la pace in uno spirito non violento, ci siamo riuniti a Driebergen
per cercare di conoscerci reciprocamente, per scambiarci punti di vista
ed esperienze, e per cercare di arrivare a fortificarci nella nostra azione,
pacifica ma valida, per la giustizia e
la pace.
« Convinti delle nostre idee non-violente, abbiamo desiderato avere con
noi qualcuno fra quelli che, di fronte
a circostanze particolarmente pesanti
delle strutture d’oppressione, sono
giunti a disperare della non-violenza.
La loro presenza fra noi ci ha spinti
a riflettere maggiormente sulle nostre
strategie di azione non-violenta perché queste non finiscano per essere
vaghe aspirazioni, pie ma poco efficaci, e nello stesso tempo ci ha confermato nella nostra scelta.
« Sentiamo che v’è un lungo cammino da percorrere. Non ignoriamo che
la non-violenza deve far fronte a delle potenze enormi, nazionali ed internazionali. Ma in nessun modo noi disperiamo.
« Questo primo incontro — inizio di
un inizio — ci ha già aiutati. E abbiamo sentito la necessità che si mantengano in collegamento tutti quelli
che desiderano veramente cambiare,
in maniera pacifica ma effettiva, le
strutture ingiuste, insieme a tutto ciò
che questo comporta di trasformazione profonda dell’uomo.
« Noi studiamo la maniera pratica
di arrivarvi ed abbiamo già l’idea di
ulteriori incontri» (1).
Tullio Vinay
iiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiinimiiiiiiiiiiiiiiimiimiiiiiiiiiiiiiiiii
(1) Probabilmente l’anno prossimo in ocea.sione del 25° anniversario della morte di
Gandhi.
to, con tutti i suoi bei discorsi, “riamericanizza" il conflitto. In effetti egli
tenta di guadagnar tempo.
Riuscirà egli, per questa via, ad evitare agli Stati Uniti la prima disfatta
della loro storia? ».
Direttore responsabile; Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
(Dall’art. di fondo di « Le Monde ;
del 5.5.1972).
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino^