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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
* * *: L' 1 Essenza del Cristianesimo ", secondo
Anno X. - Fasc. IV ROMA - APRILE 1921 Volume XVII. 4
SOMMARIO
T. NEAL: Blondel e il problema religioso 233
C. GRABHER: Un mistico e il suo amore 248
Ebraismo e Cristianesimo (Discussione):
G. RODIO: La negazione dei valori specifici dèi Cristianesimo ...... 254
U. Janni : Il « nuovo » del Vangelo. . 262
Note e commenti :
D. PROVENZAL - G. COSTA : La " Storia di Cristo ■ di G. Rapini....................... 263
E. Buonaiuti ..................268
Rassegne :
R. CORSO: Etnografia e Folk-loie.270
Rivista delle riviste :
Riviste francesi......... . . 281
Fra Chiese e Cenacoli ....... 293
Letture ed appunti ........ 298
Bollettino bibliografico ....... 303
2
BILYCHNIS Rivista mensile di studi religiosi
* VII 1AM « „ „ < FONDATA NEL 1912 * ► > ►
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA, PEDAGOGIA. FILOSOFIA RELIGIOSE MORALE QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO CRONACHE RIVISTA DELLE RIVISTE BIBLIOGRAFIA
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PaSCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WhitTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l’opinione dei loro autori.
I manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d'opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
Abbonamenti 1501 1921
Gli abbonati riceveranno nel 1921:
i 12 fascicoli mensili di “BILYCHNIS”, di pag: 64 l’uno in-8° grande, illustrati, formanti 2 volumi di pag. 384 l’uno;
i 6 fascicoli bimestrali dei Quaderni di Bilychnis, eleganti volumetti in-8® piccolo di pag. 64 (o, se raggruppati, multipli di 64), illustrati, formanti un’insieme di 384 pagine annue.
Gli abbonati potranno inoltre ottenere a prezzo ridotto:
l’abbonamento cumulativo col “TESTIMONIO”, rivista mensile delle chiese battiste italiane;
il bel volume del CHIMINELLI, “ Il Padre nostro „ e il mondo moderno ;
l’interessante opera da noi edita. La Chiesa e i nuovi tempi.
CONDIZIONI :
“ BILYCHNIS ” e i Quaderni . . . L.
“ BILYCHNIS ”, i Quaderni e “ IL TESTIMONIO”........ >
“BILYCHNIS”, Quaderni, “IL TESTIMONIO ” e i due volumi suindicati »
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
IN ITALIA PER 1 ANNO | PER 6 MESI ESTERO PER 1 ANNO
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13,50 10,50 40 —
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CASA EDITRICE “BILYCHNIS” I
ROMA (33) - Via Crescenzio, 2 - ROMA (33)
NOVITÀ
GUGLIELMO QUADROTTA:
LA CHIESA CATTOLICA
NELLA CRISI UNIVERSALE
Con particolare riguardo ai rapporti fra Chiesa e Stato in Italia. - Volume di pag. ci.xxix-178.
Prezzo ir? Italia L. 10 - Estero L. 15
Il volume tratta argomenti di grande importanza, quali : La posizione della Chiesa Cattolica nel mondo e la necessità della revisione dei suoi rapporti con l’Italia - Il Cristianesimo, la Chiesa e la guerra - La neutralità pontifìcia - Da Pio X a Benedetto XV - Chiesa e Stato ih Italia -La politica anti-Itàliana del Pontificato - La Gran Bretagna e la Chiesa cattolica, ecc.
Uno dei pregi del volume è nella ricca raccolta di documenti che esso contiene, che' valgono a mettere in luce l'atteggiamento e l’azione del Papato allo scoppio e durante il lungo periodo della grande guerra.
È un attacco frontale a quella leggerezza italiana che in momenti come l’attuale costituisce un tradimento verso la Nazione;
La conclusione è che questo è il momento storico per affrontare decisamente il grave problema, che finché rimarrà insoluto, sarà causa di profondo turbamento nella vita nazionale.
*
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IL TESTIMONIO
RIVISTA MENSILE DELLE CHIESE BATTISTE - ANNO XXXVIII Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ita’. 15-IV-20 .
Si pubblica in fascicoli di 36 pagine elegantemente fregiate ed illustrate - Pubblica articoli di propaganda e dì informazione sul cristianesimo in genere e sul movimento battista in ¡specie - Rubriche Speciali: Rubrica dello spirito. Vita ecclesiastica. La pagina dei piccoli. Si propone di fornire ai pastori argomenti per meditazioni e sermoni e di essere largo di notizie sulle chiese battiste d’Italia.
:: :: DIREZIONE: ARISTARCO PABULO - Via Cassiodoro. 1 - ROMA 33 AMMINISTRAZIONE: 'BENIAMINO FODERA - Via Crescenzio. 2 - ROMA 33
Abbonamento per l’Italia, annuo L. 5 - Semestrale L. 3 Per F Estero,"L. 10 - Un fascicolo separato L. 0,60
Libreria Editrice B1LYCHNIS - ViaCrescenzio 2 - ROMA, 33
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando il sole 2 —
Burt W.: Sermoni e allocu-' zioni.......... 2 — GRATRY A. : Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 5,40 Monod W.: L’Èva «¿ile du Royaume ....... io— — Délivrances . . . .io — — Il régnera.........io —
— Il vit ........ io — — Silence et prière . . . io — Vienot J. : Paroles françaises
Erononcées a 1’ oratoire du ouvre ...... 3,50
Wagner C.: L’ami . . . 12 — — Justice . . . . . .10 — Rivista Propheia (Unica annata 1914) . . . . . 5 —
FILOSOFIA
BLONDEL M.: “L’Azione”, Saggio di una. critica della vita e di una scienza della pratica (vol. I e II) .28 —
Della Seta U.: G. Mazzini pensatore ...... 15 —
Della Seta U.: Filosofia morale (Voi. lei!).. 15 —
1 Ferretti G.: L’Alfabeto e i fan- ' civili ........ 2-------------Lombardo Radice G.. Clericali ■ e massoni di fronte al prò-1 Ulema della scuoia. . . 2 —
! Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . . . 1 —
I Momigliano F. : Vita delio spi- ■ rito ed eroi dello spirito S —
! Neal IH: Vico e l'immanenza i 1 —
I— Giovanni Vailati.. . . 1—1
I Martinelli: Per la vittoria mo- ; rate ........ 3,501
Rapini G.: Il tragico quoti-1 diano ....... 5,50
— Chiudiamo le scuole 1 ’— | — La Toscana e la filosofia I, italiana ........ 1 —
Rensi G.: Sic et non (meta- • fisica e poesia) . . . 3,50
Scarpa A.: La scuola delle. mummie . . . . . 1 —
ScmpriniG. : La morale mistica dell’imitazione di Cristo
»5 — I Tagliatatela E.: Giovanni Locke ; educatóre, (per la prima vol ta i tradotto in italiano) . . 4 —
Tilgher A.: Filosofi antichi
* IO — !
GUERRA E ATTUALITÀ
Bois H.: La guerre et la bonne conscience . . . . . 0,70 Brauzzi U.: La questione sociale . , ....... 1 — Ciarlantini: Problemi delI’Alto
Adige ....... 3,50 Ghelli S.: La maschera dell’Austria . . . . . 6 — Kolpinska A.: I precursori della rivoluziono russa 6 — Maranelli e Salvemini: La questione dell’Adriatico. 6 — Murri R. : L’anticlericalismo (origini, natura; metodo e scopi pratici) . . . . 1,25 MURRI R. : Guerra e religione, Vol. I. Il sangue el’altare2 — MURRI R.,: Guèrra e religione.
Vol. II. L'imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa .........2 — — Dalla democrazia cristiana al partito popolare ¡tal. 5 — Puccini M.: Come ho visto il
Friuli ....... 5 — Scarfoglio : L’ Italia, la lugosla-viae la questione dalmata '0,2'5 Senizza G.: Storia e diritti di
Fiume italiana . . . 1 — Soffici A.: Kobilek (giornale di battaglia).............3,50
Stapfer: Les leçons de la guerre
6 —
5
— Ill —
Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
Wilson : Un soldat sans peur et sans reproche (en mémoire de
André Cornet-Auquier). 2,30
ZANOTTI-BIANCO e CAFFI A.: La pace di Versailles, note e documenti (con 20 carte etnografiche e politiche)
10 —
La Chiesa e 1 nuovi tempi - 3,50
Raccolta di scrìtti originali di | Giovanni Pioli - Romolo Munì -Giovaci E. Meille - Ugo Ianni - Mario Falchi - Mxrio Rossi - ;
•• Qui Quondam - Antonino j De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
LETTERATURA
' Arcari P.: Amie! .... 2 — I
Brattai U.: I Luciferi . .5—
Bonavia C.: La tenda e la notte...................3.50 i
Chini M. : F. Mlstral . . 2 —
Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nella mente di G. Mazzini,
1.50
Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne ....... 2,50
F. Momigliano: Scintille del
Roveto di Stagliene ._ io — Gallarati Scotti T.: La vita di ;
A. Fogazzaro . . . . . 12 — : Jahier P.: Ragazzo . .. 3,50 Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 — : Papini G.: Esperienza futurista '
3.50.
Papini G. : Cento pagine di i poesia ....... ’. . 5 —
Sheldon : Che farebbe Gesù ? 2 — Soffici A.: Scoperte e mas-.
sacri (Scritti sull’arte) 5 — ì Vitanza C.: Spiriti e. forme del
divino nella poesia di M. Ra-1 pisardi (conferenze). 1,50 I
RELIGIONE E STORIA
Buonaiuti E.: S. Girolamo 2 —
Caracciolo I.: Bagliori di co-| munismo nella Riforma. La ’ guerra dei contadini . 6'—;
Carpenter J. E-: Il posto dell
Cristianesimo fra le religioni | (Traduz one di G. Conte - prefazione di M. Puglisi) 2 — I
CHIMINELLI P. : Gesù di Nazareth 2* Ediz. ... 6 —
— Il Padrenostro e il mondo moderno ....... 3 — | — Bibliografia della Storia della Riforma religiosa in Italia!
Costa G. : Diocleziano . 3 —• | (Profili) Ediz. Formiggini.
— Politica e religione nell’im- j pero romano.............2 — •
Cumont F.: Le religioni orien- ! tali nel paganesimo romano ........ ' 6,50
Di Soragna A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 7.50
Doellinger I. : Il papato dalle origini fino al 1870 . 30 —
Janni U.: Il dogma dell’Eucari-stia e la ragione cristiana 1,25 •
Labanca B.: La riforma deli
sec. XVI ed il celibato chiesastico ................i —
LOISY A.: Mors et vita. 2,25 — La paix des nations . 1,50
Ottolenghi R.: I farisei anti-1 xchi e modèrni . . , . 4 —
PETTAZZONI R. : La religione primitiva in Sardegna 6 — ■ — La Religione di Zarathustra . . . . . . . 15 —
Salvatorelli L.: Introduzione I bibliografica alla scienza del-le Religioni...... 5 — ;
— «La Bibbia »Introduzione al-1 l'Antico e Nuovo Testamen-1
io .......... 20 —
— Il significato di ■ Nazareno » ....... 1,50
TYRREL G. : Autobiografìa e Biografia (per cura di M.
D. Petre) . . . . . . 15 — Tyrrel G. : Lettera confidenziale ad un professore d’antropologia . . . . ... 0,50
Vitanza C.: La leggenda del « Descensus Christi ad inferos » ....... 1,50
Wenck F.: Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75
X. La Bibbia e la Critica. 2 — X. Lettere di un prete mo dernista . . . . . . 3,50
La Bibbia (Vers. Diodati Edizione 1919) ...... 2,50 Nuovo Testamento e Salmi ad uso dei vecchi . . . . . 2 — I Vangeli e gli Atti degli Apostoli (edizione Fides et A mor) . . . . . . . . 1,80 I Salmi (Edizione Fides et
Amor) . . . . . . 1,80 Giobbe, tradotto da G. Luzzi
1,80
Ianni U.: Il culto cristiano ri-• vendicato contro la degenerazione romana . . . . 1 —
Tagliatatela E.: L’educazione nella Chiesa dei primi secoli 3óo
Taylor G. B. : Il Battesimo 0,50
VARIA
Almanacco dei ragazzi . 5,50 Beatrice E. : Origini filosofiche ed economiche dell’attuale letta di classe . . . . 4,80 Bar Jona.: Ite missa est 5 — Cadetti A,: Con quali sentimenti sono tornato, dalla guerra ....... 1,50 Del Vecchio G.: Effetti morali - del terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 — Majer Rizzoli E: Fratelli e sorelle (Libro di guèrra 1915-1918) ......... 4,50
Menano F.: Croci di legno 3,50 Niccolini E.: I contadini e la terra ......... 2,50 Pioli G.: Educhiamo i nòstri padroni...................2.50
Provenzal D. : Carta bollata da due lire ....... 1 —
NOVITÀ
.PAPINI G.
STORIA di CRISTO
680 pagine L. 17 —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20;.
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dcll’Ass. Tip. Llb. Ital. I5-IV-20).
ESTRATTI DELLA RIVISTA “ BILYCHNIS „
Il presente catalogo annulla i precedenti. Esso comprende gli estratti pubblicati dal 1912 sino a .tutto il 191S. C.on l’anno 1919 s’inizia una seconda serie. Nelle ordinazioni indicare sempre il numero d’ordine d'ogni estratto ed aggiungere le spese di raccomandazione.
Inviare cartoline vaglia alla Librerìa Editrice “ BILYCHNIS,, Via Crescenzio, 2-ROMA, 33 .
r Serie
1. Amendola Èva: Il pensiero rc-1 I¡zioso e filosofico di F. Dostoiev-sky (con tavola fuori testo: ritratto del D. disegnato da P. Panchetto). 1917. p. 4.0 . Esaurito '
2. Bernardo (fra) da Quintavalle: L'avvenire secondo l'insegnamon-1 to di Ge< 1917. p. 43........ 0,80
3. Blondolillo Francesco: La religiosità di Toofilo Folengo (con | nn disegno). 1912. p. 12 . 0.40
4. *Biondolilio Francesco: Per la ! religiosità di F. Petrarca (con una tavola). 1913. p. 9 ... 0.40 ।
5. Cappelletti Licurgo: Il conclave dei 1774 c la Satira u Roma. 1918, P- 10 .................... 0,50
6. Conto Vincenzo: Colloquio con | Renato Serra. 1918, p. 11 0,00
7. Chiapponi Alessandro: Contro । l'identificazione della filosofia e ’ della storia o pei diritti della critica. 1918, p. 12............ 0,60
8. Corso Raffaele: Ultimo vestigio : della lapidazione (con 2 disegni i originali di P. Pacchetto). 191.; p. li ................... Esaurito '
9. Corso Raffaele: Lo studio dei I riti nuziali. 1917, p. 9 ... 0,10
10. Corso Raffaele: Deus Piu vinsi (sigilo di mitologia popolare). I 1918, p. 13 ................. 0.75
11. Costa Giovanni: Ln battaglia di Costantino a Ponto Milvioa'(con due | ¿tavole e «lue disegni). 1913, pa-1 ?ginc II ...............\.... 1.50
12. Costa Giovanni:. Critica c tradizione. Osservazioni sulla politica c sulla religione di Costantino. IO» i. P- 23 ................ 1.50
13. Costa Giovanni: Impero romano c vrhtHnoslm? (con due tav.). |
91915, p. 49................ ,2 — 1
11. Casta Giovanni: Il ■ Christus • j Ideila «Cinesi. 1917, p. Il 0,30
15. Crespi Angolo: Il problema del-I educazione (introduzione). 1912, P- li .................... Esaurito j
16. Crespi Angolo: L’evoluzione della religiosità nell'individuo. 1913, P- 14...................... 0.50
,7\ Stefano Antonino: Lo origini dei Frati Gaudenti. 1915. pagine 26...................... 1,50
18. Do Stefano Antonino: I Tedeschi c l'eresia medievale in Italia.
1916. p. 17................ i _
19. De Stefano Antonino: Dello origini, del • poveri lombardi • e di alcuni gruppi valdesi. 1917, pagine 23 ... ..5............. 1 —
20. Fallot T.: Sulla soglia (considerazioni sull’al di là) (con una tavola f. t., disegno di P. l»asohetto).
1916, p. 14 ............... 0,50
21. Fasulo Aristarco: Pel IV centenario dolio Riforma. 1917, pagine 18..................... 0,50
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d'una grande sinfonia (Della Provvidenza). 1918, p. 16........ 0,50
23. Formiohi Cario: Conni sulle più antiche religioni dell'india (con suggerimenti bibliografici). 1917, P- 1« ....................... 1 —
24'. Fornari F.: Inumazione o cremazione ; (Con quattro tavolo).
1912, p. 6 .........., .. Esaurito
25. Gabellini M. A4 Olindo Guor-rinl: l’uomo o l'artista. 1918, pagine 17...................... 0,50
26. Gnmbaro Angolo: Crisi Contemporanea, 1912, p: 7 ....... 0,30
27. Ghlgnoni P. A.: Lettera a R. Murri (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1916, pagine 9
Esaurito
28. giretti Edoardo: Perchè sono ((or la guerra. 1915, pagine 11
Esaurito
29. Giulio-Benso Luisa: « Ln vita è un sogno • di Arturo Farinelli.
1917, p. 16 :.............* 0.50
30. Giullo-Bonso Luisa: Lamonnais c Mizzini (con-una tavola f. t.: ritratto del Lamennals). 1918,.
P? 40,..................... 1,50
31. Giulio-Bonso Luisa: Il sentimento, religioso nell’opera di Alfredo Orinili. 1918, p. 43 . 1.50
32: Lnnzlllo Agostino: Il soldato e l'eroe (Frammenti di psicologia di guerra). 191$. pi 25 Esaurito
33. Lattcs Dante: Il filosofo del ri-nà^cirtiento spirituale ebraico.1918. p. 21. .. .......... 1,25
31. Lonzi Furio: L’autocefalia della Chiosa di Saloni (con undici il-lustrazioni). 1912. p. 16 ... 1 —
35. Lanzi Furio: Di alcune medaglie religiose del rv secolo, (con una tavola o quattro disegni). 1913, P- 21 .................-.. 1,50
1 36. Leopold II.: Le memorie apostoliche a Romaci rcccuti scavi di S. Sebastiano (con una tavola).
1916, p. LI. ... ...... Esaurito
! 37. Lazzi Giovanni: L’opera Spcn-ceriana. 1912, p. 7 ....... 0,30
¡3$. Masini Enrico: La liberazione-di Gerusalemme. Salmo. 1917P- 2 .................... 0.25
' 39. Molile Giovanni E.: I) cristiano nella vita pubblica. 1913, p. 31 iu-32® .....,............ 0,25
; 40. Metile Giovanni c Ada: Giana vello. Scene valdesi in quattro-atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschetto). 1918, p. 67 ... 2,50
11. Mi nocchi Salvatore: I miti babilonesi e io origini' della gnosi, ' 1914, p. 43..............Esaurito■ 12. Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani. 1916, pagine 16 ................... 0.60
43. Müller Alphons Victor: Agostino Favaroni (71143) (generale dell’ordine Agostiniano) e la teologìa di Luterò. 1914, p. 17 0,50
44. Murri Romolo: L’individuo c la storia (A proposito di Cristianesimo e guerra). 19Ì5, p. 12 . 0.50
45. Murri Romolo: La religione nell'insegnamento pubblico.in Italia.
1915, p. 22 ............. 0.75
। 16. Murri Romolo: La «Religione • di Alfredo Loisy. 1918, pagine 16............/......... 1.25
¡47. Murri Romolo: Gl’Italiaui e la libertà religiosa nel secolo xvn. 19ì8,p.l > . . ...... > , >
48. Mattinoli! Ferruccio: Il profilo intellettuale di Sant’Agostino 1017 I». 8 ................... 0,40
49. Nitzzari R.: Le concezioni idealistiche del malo. ' 191$, pagine 16 ............. i —
¡50. N'eal T.: Meine de Biran. 1911.
p. 9 ..............0,50
51. Orano Paolo: La rinascita, dell'anima, 1912, p. 9 ....... 0,50
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita ed un ritratto). .1915, P. 19 ........................ 1 —
53. Orano Paolo : Gesù o la guerra. 1915, p. Il ................ 0.52
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ESTRATTI DEELA RIVISTA “BILYCHNIS
54. Orano Paolo, Il Papa a Congresso. 1916, p. 12............ 0,75
55. Paolo Orano: La nuova coscienza religiosa in Italia. 1917, p. 19 '
Esaurito |
56. Orr James: La Scienza'e la Fede Cristiana (secondo il punto di vista concillatorista). 1912, p. 25 0.25
57: Pascal Arturo: Antonio Caracciolo. Vescovo di Troycs. 1915, P. 39 ........................ i—l
58. Pioli Giovanni: Marcel Hébcrt (con ritratto ed un autografo). 1916, p. 23 .........•.......... 159. Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze c previsioni (con sci tavole). 1917, p. 57 ............ 1,50 .
60. Pioli Giovanni: La fedo c l'immortalità nel < Mora et vita » di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy). 1917. p. 22 .......... 0.60
61. Pioli Giovanni: Morale o religioni ne nelle opere di Shakespeare (con cinque tàvole). 1918, p. 16 ' 2 —
62. Pioli Giovanni: Il cattolicismo [ tedesco oli« centro cattolico ». | 1918. p. 21 .................. • 1,25
63. Pioli Giovanni: Lo spirito della! Riforma c quello della Germania I
• contemporanea. 1918, p. 11 0.50
61. Pons Silvio: La nuova crociata • del bambini. 1911. p. 6 Esaurito ;
65. Pons Silvio: Saggi Pascaliani. 1.1 Il pensiero politico c sociale del Pascal, II. Voltaire giudice dei | « Pensieri dol Pascal». III. Tre fedi 1 (Montaigne, Pascal. Alfred de Vi- ! gny) (con due tàvole fuori testo). ’ 1914. p. 30 .................. 1,50 i
66. Provenza! Dino: Giuoco fatto. I 1917, p. 12................ 0.40 j
67. Provenza! Dino: L'anima religiosa di un eroe. 1918, p* 12 0,75 j
68. Puglie! Mario: il problema morale nelle religioni primitive. 1915, > P. 36 ........................ -1 69. Puglisi Mario: Lo fonti religiose del problema del male. 1917, pagine 97 .................. Esaurito
70. Puglisi Mario: Realtà e idealità religiosa (a proposito di un nuovo ! libro di A. Loisy). 191$. pagi-; no 13 ........................ 1 — .
71. Quadrotta Guglielmo: Religione, : Chiesa.o Stato nel pensiero di Au- ■ tonto. Salan(Ira (con ritratto ci
' una lettera di Antonio Salandra). |
72. Qui Quondam: Visione di Natale. Frammento (con otto disegni di P. Paschetto). 1916, pa-K,nc " ’.................. Esaurito !
73. Qui Quondam: Carducci e II Cristianesimo in .un libro di G. Papini. 1918, p. il......... 0,50
74. Qui Quondam: La Carriola (La bruottc) Dalle Musardiscs di Ros-tànd (con due disegni di Paolo Paschetto). 1918, p. 5....... 0,40
75. Rc-Bartlett: Il Cristianesimo o le chiese, 1918, p. 10 Esaurito :
76. Rendei Harris: I tre « Misteri » cristiani di Woodbrooke (Introduzione c noto- di Mario Rossi) (con un disegno di P. Paschetto).
1911, p. 27, iu-32* ....... 0,50
77. Renai Giuseppe: La ragiono c la guerra. 1917, p. 27....... 0.75
78. Rosa zza Mario: Del metodo nello studio della storia delio religioni. 1912. p. 7 ... Esaurito
79. Rosazza .Mario: La religione del . nulla (Il Buddismo) (con sci disegni). 1913 ............. Esaurito i
' ' -I
80. Rossi Mario: Verso il Conclave. । 1913. p. I................... 0.25
81. Rossi Mario: La chimica del Cristianesimo (conferenza religiosa). 1916, p. 9 .. 0,50
82. Rossi Mario: Esperienze reli-. giosc contemporanee. 1918. pagine 1.3.................. 0.50 I
83. Rossi Mario: La • Cacciata della morte » a mezza quaresima in un sinodo boemo del *300 (Noto folk-loriche). 191S, p. 8......... 0,50
Si. Ro&d Mario: I sofismi sulla guerra c la difesa della nostra latinità (Guerra di religione o guerra economica?). 1918, p. 17 0,50
85. Rostan C.: Lo stato delle animo dopoìa morte secondo il libro XI1 dell’«Odissca ». 1912. p. 8 Esaurito !
S6. Rostan C.: Le Idee religioso di ■ . Pindaro.. 1914. p. 9 Esaurito'
$7. 'Rostan C.: L'oltretomba nel ll? | bro VI doli'« Eneide ». 1916. pagine 15’-................... 0,50
88. Rubbiani Ferruccio: Mazzini o ' Gioberti. 1915. p. 15 .. Esaurito
$9. Rubbiani Ferruccio: Un modernista del Risorgimento (Il mar-1 chesc Carlo Guerrièri Gonzaga).
1917. p. 23 ............. o,60;
90. Rut ili Ernesto: Vitalità e Vita | nel Cattolioismo (I e II). Cronache Cattoliche per gli anni 19121913 ................... Esaurito )
91. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita] nel Cattolicismo (III, IV. V). Cronache cattoliche per gli anni 1913 I c 1911 (tre fascicoli di pagine coih-plcssivo 52) ................ 1,50 I
92 .' Rutili Ernesto: La soppressione del gesuiti nel 1773 nel versi Inediti di uno di essi. 1914, pagi ne 6 ....................... 0,40
93 . Sacchini Giovanni: II Vitalismo-1914, p: 12 ................ 0,50.
91 .. Salatiello Giosuè: Il misticismo di Caterina da Siena (con una tàvola). 1912, p. 10 ....... 0.50
95. Salatiello Giosuè: L’umanesimo di Caterina da Siena. 1912, p. 10..............>......... 0,50
96. Salvatorelli Luigi: La storia del Cristianesimo ed I suoi rapporti con la storia civile. 1913, p. 10 ...........'. Esaurito
97. Scaduto Francesco: Indipendenza dello Stato o libertà della Chiesa. 1913, p. 25 111-32° 0,25
98..' Tagliatatela Alfredo: Fu il Pascoli poeta cristiano? (con ritratto del Pascoli e 4 disegni di 1». Paschetto) 1912. p. Il ......... 0,75
99. Tagliatatela Alfredo: Il Sogno di Venerdì Santo o li sogno di Pasqua (con 4 disegni originali di Pnolq Pacchetto). 1912, p. 8 0,25
100. Tagliatotela Eduardo: Morale u religione. 191G, p. <0 ... 1 —
101. Tagliatatelo Eduardo: L’insegnamento religioso secondo o-diorni pedagogisti italiani. 1916, p. 9 ........................ 0.50
102. Tanfani Livio: Il fine doll’edu-caziono nella scuola dei gesuiti.
1918, p. 27 ................ 0,75
103. Tosatti Quinto: Giordano Bruno (con ritratto del Bruno: disegno di P. Paschetto). 1917, P- 19 .............-. ....... 13104. Triverlo Camillo: La ragiono o la guerra .1917, p. 151...... 0,40
105. Tucci Paolo: La guerra nelle grandi parole di Gesù. 1916. p. 27 ................... i —
106. Tucci Paolo: Il Cristianesimo o la storia (A proposito di Cristianesimo e’ guerra). 1917, pagina 9 ..........-.......... 0,50
107. Vitanza Calogero: Studi Com-modianei,. I. Gli Anticristi o l’Anticristo nel « Carmen apologeti cura • di Commodiano. II. Com-modiano Docetà? 1915, p. 15 0,75
I0S. Vitanza Calogero: L’eresia di Danto. 1915, p. 13. Esaurito
109. Vitanza Calogero: Satana nella dottrina della redenzione. 1916, P- 19 ....................... 1 —
110. Wiglcy Raffaele: I metodi della speranza (Psicologia religiosa). 1913, p. 14 ... Esaurito
111. Wiglcy Raffaele: L'autorità del ^Cristo $(Psicologia religiosa).
Sui prezzi dei presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione déll’Ass. Tip. Lib. Itai. I5-IV-20).
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ESTRATTI DELLA RIVISTA “B1LYCHNIS”
Sui prezzi del présente Catalogo aggiùngere il 10 % per lo aggravate spese generali. (Deliberazione delPAss. Tip. L«b. Ital. 15-1V-20).
— II Serie
1. Fattori Agostino: Pensieri del-1 l’ora (Leggendo il Colloquio con . Renalo Serra di Vincenzo Cento).
1919, p. 13 .........¿*.\. 0.50
2. Di Rubba Domenico: La . fede religiosa di Woodrow Wilson.
1919, p. 29.............. 0,50
3. Fra MassCO da Pratoverdc: Intermezzo sacramentale (A proposito di. Unione delle Chiese Cristiane). 1919, p. 17........ 0,75
4. Dell'Isola M. e Provcnzal Dino: C'è una spiegazione logica della vita» 1919. p. 12......... 0.60 I
5. Bill!« Michelangelo: II. vero uomo. 1919. p- 7 ......... 0.50
6. Rossi Mario: Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento. 1919, p. 13 ... 0,50
7. Cadorna Carla: 1 ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541. 1919, P. 7 ................... 0,50
S. Masini Enrico: Epistola ài fratelli di buona volontà. 1919, pagine Il ............... .. 0.50
9. Marchi Giovanni: Il Confìteor dei giovani. 1919, p. 8..... 0,50 |
10. Qui Quondam: Dopo-guerra nel clero. 1919, p. 14 ......... 0.60 I
11. Tacci Paolo: La guerra e la pace nel pensiero di Luterò. 1919, p. 31 ......./.........1.50 |
12. Pavolini Paolo . Emilio: Poesia i religiosa polacca. 1919, p. 8. 0,50 ;
13. Pioli Giovanni: In memoria del ! P. Pietro Gazzoln. 1919,. pa- | gine 15 .................. 1,50 ।
14. Provcnzal Dino: Ascensione! eroica. 1919. p. 14 ........ 0,80
15- Renai Giuseppe: Metafisica e lirica. 1919, p. 15 ........... 1 —
16. Falchi Mario: C'è una spiega-j zionc logica della vita? 1919. |
P. S ..................... 0,40:1
26. Colonna di Cesari G. A.: La guerra europea dal punto di vista spirituale, 1920, p. 15 .... 1,50
27. Arcar! P.: Atteggiamenti della pittura religiosa di Eugenio Burli» nd. 1920, p. 14 (con tavole) 1.50
2$. Lazzi G.: A uno studente del scc. XX è egli ancora possibile d’essere cristiano? 1920, p. 12.. 1 —
29. Momigliano F.: I momenti ed pensiero italiano (dalla Scolastica alla Rinascenza). 1920, p. 12 1.50
30. Thompson Fr.: Il veltro dei cielo (Versione di M. Praz). 1920, pagine 8 ................ 1,50
31. Tuccl G.: A proposito dei rap--porti fra Cristianesimo e Bud- • disino. 1920, p. 12........ 1.50 I
32. Mueller V. A.: G. Perez di Va- । lenza O. S. A. vescovo di Chryso-1 poli e la teologia di Lutero. 1920.
pagine 15 ,............. 1,50 !
33. Troubetzkoi E.: L'utopia 'bolscèvìca ed il movi mento'religioso : in Russia, 1920. p. 15 .... 1.50
34. Momigliano F.: L’educazione religiosa di G. Mazzini. 1920. p. 10
1.50
35. Fornichi C.: La dottrina 'idealistica delle • Upanishad i. 1920, pagine 16 ..........2 — 1
17. Costa Giovanni: Giove ed Ercole (contributi allo studio dèlia religione romana nell’Impero), con quattro tavole. 1919, pagine 27................. > —
18. (•••) Mancanze di garanzie nello Schema c nel nuòvo Codice di diritto canonico e saggio su le fonti. 1920, p. 52......... 3 —19. Della Seta Ugo: La visiono 1 morale della -vita in Leonardo da Vinci. 1919. p. 31......... 2 —
20. Lese« Giuseppe: Sensi e pensieri religiosi nella poesia di Arturo Gr«f (con duo tavole). 19141919, p. 40 ............. 2 — 1
36. Corso Raffaele: Folklore Biblico. 1920. p. 16......... 2 —
37. Persi Guglielmo: La religione della terra. 1920, p. 11 . . .. 1.50
3S. Arcar! Paolo: Rappresentazioni ed intuii I del divino in G. Pre-vinti. 1920. p. Li (con $ tavole) 2,50
39. Nazzari Rinaldo: L’esistenza: di Dio e il problèma del male. 1920,1 pagine 12 ........... .... 1.50.
40. Giulio Benso Luisa: Sofia Bis! i Albini. 1920, p. 15 (con tav.). ] ,50 ।
41. Soler: Giosuè B.orsi e il Cardinale Malli. 1920. p. 15(Con tav.) 2 -- '
21. Nazzari Rinaldo: Intelletto e ragione. 1919, p.15 ....... 1 —22. Ferretti Gino: Le fedi, le idee e la condotta. 1919, p. 50 ... 2 —
23. Cento Vincenzo: L'Essenza del Modernismo. 1920, p. 52 .. 3 —24. Minocchi Salvatore: Un disinganno della scienza biblica? (7 ' papiri aramaici di Elefantina), 1920, p. 11 .............. 1 —
25. Corso Raffaele: La rinascita della superstizione nell ultima guerra. 1920, p. 20 ........ 1,50
ì 42. Tilgher Adriano: Il tempo e l'eternità. 1920, p. IO .... 1,80
43. Salvatorelli Luigi : XI pensiero del Cristianesimo antico intorno allo Stato, dagli Apologeti ad Ori-gene. 1920, p. 40 ... . . . 3,50
44. Renda Antonio: La teoria psicologica dei valori. 1920, p. 4 3.50
45. Formichl C.: Paul Deussen. 1920, P- >5..........................3 —
! 46. Pugllsi M.: Misteri pagani e mistero cristiano. 1920, p. 19 . . 3;50
47. De Sa rio F.: Ernesto Hacckcl. 1921, p. 14 . . . . . . . . ... 2,50
. 4S. Pioli G-: L'« Et Ica della Simpatia* > nella • Teoria dei sentimenti inorali* di AdamoSmith.1920. p. 73 5—
' 49. Grabhcr C.: Un mistico e il suo amore. 1921, p. 8 ....... 1,50
50. Lattea D.: Cristianesimo* ed Ebraismo. 1921, p. 14. . . .. . 2,50
QUADERNI di BILYCHNIS
Si pubblicheranno entro il j primo semestre 1921 i seguènti | Quaderni.
( 1. D. Provenzali Una vittima del dubbio (Leonida .Andrei« f) con un'appendice bibliografica a cura di E. Lo Gatto ed una traduzione di alcune scene inedite dell’ .-I ¡¡atonia di Andreicf .a cura dello stesso.
. 2. V. A. MUli.er : Una fonte ignota del sistema di Lutero (il beato Fidati da Cascia e e la sua teologia).
3. Agostino Severino: Il sentimento religioso di Fed. Amie!, con una scelta di pensieri sulla religione tratti dal Journal c tradotti per la prima volta in italiano.
Ciascun volumetto in-S° di pag. 70 circa, illusi rato da un ritratto dell’autore studiato, viene inviato gratis agli abbonati di BììyChnis-. per 1 non abbonati alla rivista si vende al prezzo di ...... L. 4 —
Abbonamento annuo alla Rivista e ai Quadèrni di Bily-chnis ner l'Italia ... L. 16*— per l‘Estero . . . . . L. 30—Direzione e Amministrazione: Via Crescenzio, 2 - ROMA, 33
9
Libri raccomandati della Casa Editrice ** BILYCHN1S ” Via Crescenzio, 2 - ROMA, 33
11 “Padrenostro” ed 11 mondo moderno
di PIERO CHIMINELLI
Bel volume di pag. IX-200, <-<m 7 tavole disegnate «lai pittore Paolo Paschetto Per E Italia L. 3,50 :: Per 1* Estero 5
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10
Vili
A tutti i nostri lettori che ci hanno inviato l’importo dell’ abbonamento alla Rivista pel 1921, abbiamo spedito in questi giorni il
1° Quaderno di “Bilychnis”
Dino Provenza!.
UNAVITTIMA DEL DUBBIO: C? LEONIDA ANDRÈIEPN * *
Con un’ APPENDICE di ETTORE LO GATTO : CÈNNI BIO-BIBLIOGRAFICI su L. Andreief e TRADUZIONE italiana DI ALCUNE SCENE DELL ANATEMA dell’Andreief.
Presto inizieremo la spedizione del 2° QUADERNO
UNA FONTE IGNOTA DEL A.V.MULLEI<: SISTEMA DI LUTERO Agli abbonati ancora morosi spediremo i quaderni via via che ci manderanno l’importo del loro abbonamento.
3° QUADERNO (in preparazione):
IL SENTIMENTO RELIGIOSO DI R AMIEL
NB. 11 1° Quaderno è in vendita pei non abbonati al prezzo di L. 4—
: a-- - -•
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Anno X - Fasc. IV
5ILÏCI1NI5
rivista di sTvdi religiosi
EDITA-(XLLA-FACOLTÀ* DELLA SCVOL A SS^kTEOLOGICA- BATTISTA* DI* ROMA
ROMA - APRILE 1921
Vol. XVI. 4
BLONDEL E IL PROBLEMA RELIGIOSO
proposito di una recente edizione italiana del libro di Blondel ci pare non troppo inopportuno toccare brevissimamente alcune delle tante questioni che solleva l’esame di quel libro e di quelle dottrine. L’Azione di Blondel è in fondo, com’è noto, una psicologia volontaristica o, meglio ancora, un’analisi sottile spesso e profonda della psiche dal punto di vista della volontà e dell’azione volontaria e voluta. È comparsa
nel 1893. Si tratta dunque, se guardiamo al passo con cui vanno oggi le cose, di un libro assai vecchio. Ma per quanto sia vecchio, non è troppo invecchiato: conserva anzi spiriti giovanili e freschezza d'ispirazione capace di promuovere e stimolare la vita e la coscienza di molti e molti lettori. D’altra parte, se non fosse questa traduzione italiana apparsa ultimamente, il libro potrebbe dirsi assolutamente introvabile. L'autore non volle mai dar mano a una nuova edizione della sua opera. Egli desiderava e probabilmente ancora desidera far precedere a un rimaneggiamento o a una riedizione del suo libro sull’azione un lavoro sullo spirito cristiano e la democrazia contemporanea che in qualche modo predisponga gli spiriti moderni a ricercare e raccorre con frutto la lezione di ascesi e di perfezione cristiana, contenuta neìV Azione.
E neanche volle mai consentire che si facesse una qualsiasi traduzione in qualsiasi altra lingua del suo libro. A lui pareva probabilmente che la Chiesa- cattolica, almeno nei suoi rappresentanti ufficiali, osteggiasse o mal gradisse lo spirito e il metodo di pratica cristiana da lui caldeggiati. E allora non voleva in nessun
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BI LYCHNIS
modo irritare contro le idee e le pratiche a lui care le autorità chiesastiche, provocare i loro fulmini, la loro condanna. Questo, naturalmente, malgrado la sua somma prudenza e cautela, avvenne lo stesso. Può dirsi, infatti, che la condanna del modernismo lanciata dall’ottimo Pio X coinvolgesse in una certa misura (e sia pur piccolissima) anche la filosofia deir/iz/ewe e il Blondellismo, pur restando salve, s’intende, le intenzioni del suo autore che sono senza contestazione insospettabili e purissime.
Comunque ciò sia, questa traduzione italiana dell'ottimo Codignola è fatta sempre contro l’intenzione e il volere dell’autore, per quanto mi è dato congetturare dalla notizia che ho dell’animo e delle opinioni di Blondel. Non potrei perciò approvare in tutto la licenza che il traduttore si è presa contro il fermo proposito dell'autore, pur facendo i voti più sinceri perchè la sua fatica riesca utile a molti lettori ai quali, son sicuro, quest’opera riuscirà come una rivelazione di dottrine in gran parte inedite e sconosciute per quanto anche si voglian dire prezióse e salutari. Blondel ha avuto sempre questa originalità, ha cercato, vale a dire, per quanto poteva di togliere alla circolazione e alla notizia del pubblicò le sue idee e i suoi scritti. In questa come in molte altre cose egli si stacca simpaticamente dall'uso comune degli autori moderni ai quali pare che i libri loro non abbiano mai bastante diffusione nè sollevino mai bastante rumore.
Cos’è, intanto, quest’azione di Blondel? è, si capisce, innanzi tutto, l’atto volontario, l’atto umano per eccellenza. E Blondel si propone, in sostanza, di descrivere con rigore strettamente scientifico gli stadi successivi, le diverse tappe che il volere umano percorre per arrivare faticosamente (se ci arriva) ad adequare l’intento all’evento, le intenzioni iniziali al finale adempimento.
Giacché far bisogna, decidersi è necessario; dobbiamo per forza navigare anche se vivere non vogliamo. Navigare est necesse, vivere non est necesse. I pessimisti e gli esteti che rinunziano a vivere e a agire perchè la vita li disgusta e l’azione li annoia o li indispone, pretestano un volere di nulla, una nolontà apparente che fa da paravento e nasconde (ma solo in parte) la volontà loro sincera, . genuina e profonda che li porta a sospirare e a gemere su quella pienezza di vita e di felicità che è assente e che non trovano, sopratutto perchè la cercano dove non si può trovar mai. La vita non ce la siamo data noi, il volere non ce lo siamo dati noi, ma volere bisogna, optare bisogna e bisogna perchè vivere (e anche morire) è un'opzióne e una scelta ed un’azione indeclinabile e inevitabile.
E fermarsi è impossibile. Appena là fragile barca della nostra vita ha toccato le prime ondate, è assorbita dal gurgite vasto e dovrà navigare e lottare cóntro venti e marosi sotto pena d'andare a picco e naufragare:
L'homme ria point de pori, le temps ria point de rive.
Preso, insomma, nell’ingranaggio dell’esperienza il volere umano non può arrestarsi a piacere: deve affrontare il problema totale, perchè la vita è un blocco e impone una soluzione integrale. Ogni grado e ogni momento del percorso è inconsistente e non si tiene se non fa corpo con tutti quelli che lo precedono e che
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BLONDEL E IL PROBLEMA RELIGIOSO
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lo seguono. Cominciamo col dato più elementare, colla più povera percezione sensibile. Qualunque dato sensibile contiene più di quel che annunzia a prima vista e per interpretarlo e averne un certo vantaggio occorre integrarlo colla percezione intellettiva, coll’esperienza scientifica e coll’analisi metafisica. Non possiamo quindi fermarcisi. Bisogna procedere all’indagine e alla sistematizzazione organica, all’osservazione comparativa e al calcolo. Il dato scientifico integra il dato elementare della percezione sensile e si viene così a stabilire una specie di fenomenologia universale in cui si cerca di dar fondo a tutto il mondo delle apparente per vedere se potessimo consistere e trovar appoggio nell’esperienza complessiva, visto e considerato che l’esperienza singolare è incapace di fornirci un qualsiasi punto d’appoggio che sia un po’ valido e consistente.
Ma se il fenomeno scientificamente decomposto e riorganizzato offre all’attività umana mezzi d’azione vari e vasti ed efficaci, non ha per nulla la solidità e la pienezza che valgano a riempire il vuoto e a compiere il voto della coscienza umana.
Se, pertanto, la funzione conoscitiva non basta a soddisfare le esigenze del cuore umano, troverà questo il suo appagamento nell’esercizio delle funzioni biologiche e vitali? L’uomo colla conoscenza e col l’esperienza sviluppa il suo organismo, lo rende sempre più atto a venire in contatto col suo ambiente e a trovare tra sè e questo una conformità sempre maggiore e più fruttuosa. In questo conformismo sempre più esatto e complesso tra l’uomo e l’ambiente, l’uomo accaparra e impiega le forze naturali e gli agenti naturali che gli posson servire per estendere e rafforzare il suo dominio sul mondo esterno, facendone dei volontari o involontari collaboratori della sua azione e del suo volere.
Ma non basta la coazione (in senso etimologico e usuale), la sinergia e la collaborazione degli agenti naturali per compire i voti della nostra natura.
Basteranno forse la collaborazione e la sinergia degli elementi della vita e convivenza sociale? può darsi che l’uomo lo speri ma s’illude o s’inganna. Esso si riversa in tutte le varie forme dell’attività sociale, a cominciare dalle relazioni più semplici dell’amicizia o del proselitismo intellettuale e morale fino alle relazioni di famiglia, al connubio in cui l’organismo individuale si moltiplica e si perpetua nella figliolanza e si espande nella posterità più lontana che è come una forma d’accaparramento e di prèsa di possesso dell'avvenire. Ma ciò non basta nè acquieta.
La famiglia è l’unità elementare da cui si forma la civitas e lo stato. Ed ecco un altro campo e molto più vasto, offerto al desiderio inesplebile dell'uomo. Troverà almeno qui di che riempire la sua insaziabile sete d’ignoto e di non più visto? Egli ha un bel riversarsi in tutte le forme della convivenza civile, finisce sempre col trovare, come Alessandro, il mondo troppo angusto per i suoi desideri troppo vasti. Ali-quid swperest: resta sempre una parte del suo volere che non trova impiego negli affetti di famiglia, nelle lotte civili e nelle gare dell’ambizione più vorace e della più tenace avarizia.
L’attività conoscitiva, l’attività biologica e sociale sono bensì necessarie ma sono anche insufficienti per compiere tutto il nostro volere.
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BILYCHNIS
E questo volere non più compirsi, perchè in realtà fin dai primi passi della nostra esperienza intellettuale e morale ci ’ troviamo impegnati nell’infinito. E questo fa presa su di noi nella stessa misura e proporzione in cui noi cerchiamo, conoscendo e volendo, di far presa su di lui.
In cospetto della natura come in mezzo alla convivenza sociale l'uomo si accorge che ogni fenomeno soggettivo ed extra-soggettivo riveste costantemente un carattere di contingenza e di precarietà che fa necessariamente appello a qualcosa di assoluto e d'eterno, di essenziale e d’infinito.
E ci troviamo così davanti al bisogno morale e a quello metafisico. Come diceva Aristotele, anche per non filosofare bisogna filosofare. Anche chi declina la esigenza morale, vi obbedisce e anche chi cansa la metafisica, metafisicheggia. Le necessità morali soggiogano anche quelli che vorrebbero fuggirle e soprastanno a quelli che vi sottostanno volenterosamente come a quelli che vorrebbero sottrar-visi. Ate claudicante finisce bene col raggiungere anche il piè-veloce Achille.
L’uomo, dunque, è un animale industrioso, non solo, ma anche e sopratutto un animale metafisico.
La metafisica è proprio una fase necessaria e un elemento indispensabile dell’attività volontaria. Quando il volere si accampa di fronte al dovere, sorge buon o malgrado, il problema metafisico. L’assoluto del dovere cos’è e donde viene? domandarsi ciò equivale a porre il problema metafisico integrale. L’ideale che è nulla, pone il problema del tutto. Nato da tutte le esigenze della vita intellettuale e morale, il sentimento del dovere, il bisogno di realizzare il suo ideale, la necessità delle sanzioni a garanzia della sua realizzazione mettono radice nell’infinito e nell’assoluto e senza di ciò crollerebbero e cadrebbero nel nulla. Sono alla radice del volere a cui il compimento del dovere appare subito come una tappa inevitabile per il raggiungimento de’ suoi fini.
, Tappa inevitabile ma non finale, non definitiva. La natura è sempre manchevole per qualche lato, la società è sempre incompleta in qualche punto, la morale e la metafisica sono sempre ambigue e deficienti per qualche verso. Checché l’uomo faccia, resta sempre al di sotto del suo ideale. Niuno evento pareggia compieta-mente il suo intento.
E poiché avanza sempre qualcosa al volere umano, poiché questo esige sempre, più di quel che ottiene, poiché l’ideale è sempre troppo in confronto dell’atto che è sempre troppo poco, perciò è avvertita e s’impone la necessità di un supplemento e di un complemento.
A questa necessità l’uomo soddisfa o cerca, per dir meglio, di soddisfare coll’azione superstiziosa in un primo tempo, coll'aspirazione religiosa e colla pietà in un secondò.
Si risale a Dio e si postula l’assoluto perchè l’esperienza delle cose contigenti lascia inappagato e stanco il cuore dell’uomo. Percorrendo queste varie tappe della volontà in cerca di perfezione, l’uomo trova Dio. E così Blondel ripiglia la prova cosmologica .e la contingentia non più, come gli antichi, dal punto di vista in-
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BLONDEL E IL PROBLEMA RELIGIOSO
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tellettuale e conoscitivo ma dal punto di vista volitivo, appetitivo e attivo. Ed è anche questo un punto di vista legittimo purché non se ne faccia, come Blondel è tentato di fare, un punto di vista esclusivo, ma lo si consideri come complementare e integrativo del punto di vista puramente intellettuale.
Le verità sporadiche e relative che l’intelletto rintraccia e raccoglie paziente-mente in tutto il regno della contigenza, hanno il loro sostegno, il principio e il fine, la fonte e la foce nell’assoluto.
Le verità seconde fanno appello per sorreggersi alla verità prima che è Dio, da cui, secondo l’espressione aristotelica, tutto pende.
Da esso pende quindi la morale non meno che la metafisica. È l’essere che fonda il vero e fonda il bene. L’essere appreso e conosciuto é il vero: appetito, voluto,, agito è il bene. I veri e i beni relativi, manchevoli, fugaci della contingenza appellano invicibilmentc al bene assoluto da cui promanano e. discendono e a cui aspirano a ricongiungersi per ritrovare in quello la solidità, la consistenza e la completezza che fanno loro difetto. E questo bene assoluto, di nuovo, è Dio.
Dal punto di vista morale, dal punto di vista dell’azione, la volontà fa come un assaggio di tutti i beni inferiori finché salendo sempre, arriva al bene assoluto nel quale solo riposa: l’amore in questo senso è un mezzo d’indagine metafisica che convalida e perfeziona l'intelletto. L’ideale morale e le sanzioni indispensabili del dovere evincono la necessità di quell’assoluto a cui ci aveva per altre vie condotto la conoscenza dei primi principi del conoscere e del sapere.
A questo punto ci troviamo di fronte a una alternativa e a una opzione indeclinabili. Ed è il trionfo del sacrifizio o dell’egoismo. 0 il volere umano abnega sé stesso e s’abbandona in Dio, piglia la sua croce e lo segue; o tenta invece di assorbire l’infinito e di asservirlo ai supi fini egocentrici. Nel primo caso sceglie la via del sacrifizio e rinnegando sé stesso ritrova il sé stesso migliore, più genuino e più profondo. Nell’apparente privazione di tutti i suoi affetti, nella negazione apparente della sua personalità ritrova il compimento del suo volere iniziale e fondamentale, il possesso e il godimento dell’essere più pieno di cui andava oscuramente e affannosamente in cerca. Morendo a sé, rinasce allá vita vera e immortale in Dio e facendosi schiavo di lui conquista la libertà vera e definitiva. Libertà vo cercando eh'è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta. Si fa cittadino della città di Cristo ch’è edificata sulle rovine della città terrena. È la città di Dio di S. Agostino. « Due città sono costituite da due opposti amori: la terrena, dall’amore di sé, fino al disprezzo di Dio; la celeste, dall’amore di Dio fino al disprezzo di sé».
Nel secondo caso, nel caso del trionfo de’ suoi istinti ego-centrici, il volere umano batte la via della pronta discesa, il facilis descensos Averni; per avidità di tutto lucrare perde tutto e per avidità di vita trova la morte e la bancarotta finale.
Davanti al dilemma di darsi a Dio o d’impossessarsi ego-centricamente di Dio, l’uomo è tentato di dare la preferenza al secondo corno di questo dilemma. I suoi istinti inferiori, la sua naturale depravazione lo portano a ciò con dolce e quasi irresistibile violenza. E siamo nella fase della superstizione, della magia, della teurgia.
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degli incanti e dei sacrifizi propiziatori. L’uomo aspira a rinchiudere nell’idolo, nel feticcio tutta la potenza divina ed accaparrandosi quello aspira ad accaparrarsi anche questa. Aspira a fare del suo Dio un docile e pronto strumento di tutte le sue voglie e di tutti i suoi capricci. Ha fede cupida nel suo Dio e spera d'averlo propizio alle mura della sua città terrena. Le are che fumano dell’incenso e del sangue delle vittime saranno di certo per lui, almeno egli spera, la migliore propiziazióne.
Ma alla città terrena si contrappone, come dicemmo, la città celeste. Chi aspira a edificar questa, apre l’animo e tende il volere verso la vera e la pura aspirazione religiosa. Questa chiede a Dio che sia sempre e in tutto fatto il volere divino E l’uomo che aspira a esser cittadino della città celestè, a esser concittadino del Cristo aspira anche a spogliarsi di tutto il suo essere caduco per rivestire l'immortalità divina. Cupio dissolvi et esse cum Christo.
Blondel percorrendo tutte queste tappe del volere fino all’ultima alternativa e alla necessaria opzione vivificante o mortificante ha tentato di fare una scienza della pratica, di tracciare un esatto determinismo del volere e della libertà, una teoria possibilmente esauriente dell'ascesi e pietà cristiana. Egli ha cercato di mostrare che la volontà e l’azione umana sono apertamente o copertamente sollecitate da un’aspirazione incessante verso il divino. Nè basta. Egli pretende altresì che l’anima naturalmente cristiana postula senz’altro il soprannaturale specificamente cristiano,, l’incarnazione divina, la redenzione operata dal Cristo e la sua grazia operatrice di miracoli. Come Turtulliano, anch’egli ritiene che l’anima in cerca di perfezione morale si trova nella necessità di corrispondere a tutte le esigenze di un cristianesimo integrale e' che questo è nei postulati segreti ma sinceri del suo volere iniziale.
Che vale questo volontarismo blondelliano? ed è esso in tutto coerente ed esauriente?
Non crediamo che sia nè l’uno nè l’altro, pur non cessando di essere, malgrado tutto, assai notevole e interessante.
Che il volere umano nell’ambito delle cose finite non trovi di che chiamarsi pienamente Soddisfatto, è verità antica quanto il primo uomo. Che l’idea e il sentimento del divino siano fatti apposta per procurare all’uomo questo compimento o questa soddisfazione è verità che già da Platone e dagli stoici e dai neoplatonici ha ricevuto piena luce ed espressione e tutto il cristianesimo n’è una conferma e una riprova sperimentale e pratica. Tutti i santi e gli eroi cristiani dicono a una voce con S. Agostino: ci hai fatto per te, o Signore, e inquieto è il cor nostro finché non si ricovrì in te. Che, infine, la legge dell’assoluto governi la povera relatività nostra, che l’uomo rifuggendo da Dio, fugga anche da sè stesso, Platone e i platonici già lo avevan detto e in termini magnifici. Basti ricordare quel di Cicerone: «... unusque erit communis quasi magister et impe-rator omnium deus; ille legis huius inventor... cui qui non parebit, ipse se fugiet ac naturam hominis aspernatus hoc ipso luet maxima poenas, etiam si caetera supplicia quae putantur, effugerit » (Cic. de rep. Ili, 22).
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Il merito insigne di Blondel è d’aver scrutato e investigato questo bisogno spirituale dell’uomo con grande potenza d’analisi filosofica e soprattutto psicologica e d’aver mostrato come da una catena ininterrotta di sintesi eterogenee ma solidali rampolli la necessità della libertà e la necessità dell'esercizio di questa: come questa venga ripresa nell’ingranaggio delle sintesi successive eterogenee ma solidali e come necessariamente metta capo a una alternativa indeclinabile a una opzione vivificante o mortificante.
Necessariamente l’uomo deve optare, deve esercitare il suo libero volere. E qualunque sia l’opzione, le conseguenze della sua azione rientrano nell’ingranaggio di un determinismo inflessibile e come tale rigorosamente scientifico.
E con questo Blondel può dire di avere con sufficiente esattezza costituito una vera teoria della pratica, una vera dinamologia il cui compito è quello di analizzare e sviscerare tutte le esigenze confessate o inconfessate ma sincere del soggetto umano in funzione dell’universo.
Senonchè, a senso nostro, manca a Blondel al principio della sua impresa una buona criteriologia e alla fine, una buona, voglio dire, una freddamente imparziale valutazione del cristianesimo.
E cominciamo dal principio. Il criterio vero della verità non è nel volere .e nelle sue indeclinabili esigenze; è, bensì, nell'evidenza oggettiva della realtà. La percezione sensibile come quella intellettuale ci danno l’evidenza della realtà oggettiva che forma il contenuto dell'ima come dell’altra e questo è il criterio vero perchè è il vero motivo per cui l’uomo giudica e manda, ossia scevera il vero dal falso.
Blondel sostiene invece che finché non si arriva all’alternativa e all’opzione già accennate, il problema ontologico non può nè deve porsi. L’uomo dunque, nell’opinione di Blondel, davanti alla percezione sensibile, all’indagine scientifica, all'attività familiare e sociale, ai problemi morali e metafisici può e deve contentarsi di una pura e semplice fenomenologia. Tutte quelle sintesi sarebbero, insomma, semplicemente fenomeniche nè ci sarebbe luogo a ricercare se esse abbiano o no una corrispondènza, una garanzia e una sanzione nella realtà. Il che è semplicemente assurdo e insostenibile perchè è in contradizione aperta e flagrante con tutta l’esperienza umana di qualsiasi ordine, teorico e pratico, scientifico, metafisico e morale.
Fin dalla prima e più elementare percezione sensile il problema ontologico, checché ne pensi Blondel, è posto necessariamente nella coscienza umana e necessariamente risolto. L’azione umana, la volizione umana non è cieca nè misteriosa. Esse avvengono al lume della coscienza e della conoscenza: nihil volitum itisi praecognitum.
Che l’uomo agisca e voglia più in forza d’idee confuse che d’idee chiare e distinte, è verissimo. Ma queste idee, siano, quanto si vuole, involute, oscure, implicite e confuse, sono sempre conoscenza e formano anzi la somma di gran lunga più importante e più efficace della conoscenza e dell’esperienza umana.
Che, d’altra parte, un lungo seguito d’errori cartesiani e kantiani possano avere influito, magari a sua insaputa e contro il suo volere dichiarato, a impo-
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verire e falsare la epistemologia blondelliana, si capisce e si scusa. Ma non può, con tutto questo, tacersi che l’intero dinamismo volontaristico blondelliano è profondamente infirmato da’ suoi presupposti epistemologici dai quali sembra indotto a ritenere che la volontà e l’azione umane misteriose, ipertrofiche, solitarie possano nutrirsi di loro stesse, farsi, per così dire, autofagiche e pascersi di puri fenomeni soggettivi. Invece è la percezione della realtà, sono le idee raccolte in tutta la più complessa esperienza che alimentano il volere umano e lo portano necessariamente a optare. Le idee raccolte ed elaborate sulla cote della quotidiana esperienza hanno già un carattere emotivo e appetitivo: sono già atte di per sè a muovere il sentimento, il volere e l’attività umana. Sono idee-forze e da esse appunto attinge il volere la sua forza e ricava l’azione la sua direttiva e la sua efficacia. In principio era il Verbo non il fatto. L’azione e il fatto sono frutti tardivi e impoveriti e imbastarditi del Verbo.
E non avendo visto il criterio dell’evidenza dov’è, è naturale che Blondel lo veda dove non è. Forse inconsapevolmente ma senza ambiguità di sorta egli infatti lo vede e crede di trovarlo dove lo vedono e credono di trovarlo tutti gli ontologi e i panteisti, in Dio, nell’assoluto, nell’essere necessario, com’egli lo chiama. Soltanto egli differisce dagli ontologi in ciò, che mentre questi vedono in Dio le idee di tutte le cose, egli vede in Dio l’alternativa inevitabile e l’inevitabile opzione che s’affacciano e s’impongono al nostro volere e alla nostra azione. Il che non migliora affatto la sua situazione. Se avessimo, com’egli dice, la presenza in noi dell’essere necessario, non si vede come il volere umano potrebbe esser libero di sceglierlo o di scartarlo. Il volere nostro è libero ed ha il potere d’opzione davanti ai beni secondari e inferiori, ma davanti al bene supremo perde la libertà di scelta e non può esercitare una qualsiasi opzione.
Questa non ha luogo che per le cose contingenti. La realtà suprema è Dio; sta benissimo. Ma anche le cose contingenti partecipano in maggiore o minor misura della realtà e de’ suoi universali caratteri, della verità, della bontà e della bellezza. E questi caratteri l'uomo li scopre dirèttamente nelle cose e non in Dio. Quelle, è vero, possono essere scala al Fattor, chi ben l’estima. Ma questa scala si fa salendo dal basso fino in cima, non discendendo dalla cima fino in fondo. Tale è la condizione umana. E tali sono le necessità del nostro conoscere e del nostro volere.
Blondel, invece, come gli ontologi, riterrebbe volentieri che l'uomo veda la . verità delle realtà contigenti soltanto in Dio e che solo davanti all'essere necessario possa porsi e proporsi il problema ontologico. Invece il problema dell'assoluto non si pone se non quando è posto e risolto il problema della 'contingenza. Se non conoscessimo prima questa nella realtà sua relativa, l'idea e l'esigenza dell'assoluto stia pur certo Blondel che non si accamperebbero mai davanti alla conoscenza umana e quindi neanche davanti alla volizione umana.
Errerebbe, del resto, chi credesse dopo ciò che Blondel sia tutto imbevuto di fenomenismo e di soggettivismo. Ne ha traccie, come tutti quasi i pensatori moderni, ma traccie e non più. Ed ha anche traccie di fichtismo. Il volere blonde!-
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liano che sembra si crei i mezzi di adeguazione con sè stesso può sembrare un ricalco dell’egoismo fichtiano che crea il mondo per ritrovar sè. Ma sarebbe ingiusto l’insister molto su questo tasto ed esagerar la portata di certe possibili influenze tedesche sul pensiero bloridelliano.
Come ebbe a dirmi una volta lo stesso Blondel, il suo pensiero non deriva propriamente dal kantismo nè dal post-kantismo. Non è neanche l’opposto di quelle speculazioni, perchè l’opposto è l’altro estremo nello stesso genere mentre il pensiero e la speculazione di Blondel sono di tutt’altro genere. Non sono perciò contrari ma differenti in tutto dalla speculazione germanica. Hanno altra origine e tutt’altra portata.
Qual’è dunque veramente la origine o la fonte loro?
Credo senza dubbio che sia l’ascesi o l’esercizio e la pratica cristiana, innanzi tutto. È l’esperienza integrale e globale del cristianesimo che ha suscitato e ali-■ mentato questa speculazione. E volendo poi citare le altre fonti di Blondel credo che converrebbe rammentare in primo luogo Pascal e Maine di Biran e poi tutti i mistici del cattolicismo.
Tra Pascal specialmente e Blondel i punti di contatto sono numerosi ed alcuni almeno, anche essenziali.
L'esigenza del divino è affermata da Pascal e da Blondel quasi nelli stessi termini. «Je sens que je puis-n’avoir point été, car le moi consiste dans ma pensée; donc moi qui pense n’aurais point été si ma mère eût été tuée avant que j’eusse été animé; donc je ne suis pas un être nécessaire. Je ne suis pas aussi eternel ni infini; mais je vois bien qu’il y a dans la nature un être nécessaire, éternel et infini ». (Pascal, Pensées, ed. Blond, p. 102).
E l’impossibilità di trovare in sè e nelle soddisfazioni dell’egoismo il compimento del proprio volere è ugualmente sentita da Pascal come da Blondel: « La volonté propre ne se satisfera jamais, quand elle aurait pouvoir de tout ce qu’.elle veut; mais on est satisfait dès l’instant qu’on y renonce. Sans elle on ne peut être malcontent; par elle on ne peut être content». (Id. ib. p. 103).
Quindi l'opzione inevitabile e la necessità di ricorrere a Dio se l’uomo vuol arrivare al compimento del suo destino: « Connaissez-donc, superbe, quel paradoxe, vous êtes à vous-même. Humiliez-vous, raison impuissante; taisez-vous, nature imbécile; apprenez que l’homme passe infiniment l'homme et entendez de votre maitre votre condition véritable que vous ignorez. Ecoutez Dieu ». (Ib. p. 96).
Conviene dire anche che il disprezzo dell’attività puramente intellettuale e l’esaltazione del buon volere e dell’azione sono, per lo meno, altrettanto pascaliane che blondelliane. È vero che Pascal esalta l’uomo come un roseau pensant; ma guai se fosse tentato d’inorgoglirsene!
Si potrebbero facilmente moltiplicare questi punti di contatto tra i due; ma basti avervi soltanto accennato. Quanto a M. de Biran, egli sente anche quasi più di Blondel quell’infinito che ci circonda, ci assedia e ci sollecita: «Il primo passo che l’uomo fa per uscire dalla sua ignoranza, lo porta nell’infinito e lo mette in presenza dell'assoluto » (Maine de Biran. Œuvres, T. I. p. 223).
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Come tutti i mistici,, poi, anche Blondel vede la perfezione nel conformarsi al divino esemplare. E così, per es., il padre Granata raccomanda come Blondel di rimettersi a Dio, abnegando il proprio volere: procuri sempre l’uomo di negare la propria volontà, rassegnandola in tutto nelle mani di Dio (Granata, Memoriale della vita cristiana, sub fine).
La teoria blondelliana dell’azione può dirsi, dunque, che scaturisca da tutta l’esperienza cristiana della quale sistematizza e organizza in corpo di scienza i resultati essenziali, elevandoli a canone di volontà retta e di vita degna.
E qui mi duole, ma debbo anche toccare di un eccesso di valutazione del cristianesimo che io, come dissi, troverei da rimproverare un poco a Blondel.
Il cristianesimo ha, secondo lui, una posizione unica e privilegiata e sarebbe la religione perfetta e incomparabile. E andrebbe esente altresì da qualunque traccia di superstizione.
Ora, a senso mio, tutte le religioni (più o meno, ben inteso) conservano elementi magici e superstiziosi che interferiscono colla vera aspirazione religiosa e in parte la guastano o la fanno tralignare. A questa regola neanche il cristianesimo fa eccezione. Ammétto che lo spirito del Vangelo potrebbe nettamente staccarsi da qualsiasi rito magico e supertizioso. Ammetto pure che l’istituto cristiano evolvendosi e trasformandosi possa benissimo lasciar cadere molte di queste pratiche rituali che sanno di magia. Ma non credo che nessuna religione e neanche il cristianesimo possa spogliarsene mai interamente. Se la pura aspirazione religiosa può impadronirsi con padronanza esclusiva di qualche anima eccezionale e singolarissima, di qualche gran santo, di qualche eroe della fede, le religioni organizzate e costituite non si rivolgeranno mai a questi esclusivamente ma dovranno servire invece e sopra tutto ai bisogni delle moltitudini in cui l’ispirazione religiosa sarà sempre commista e contaminata con elementi magici e superstiziosi.
Un altro difetto dell’esposizione blondelliana, quello forse che nuoce di più alla limpidità delle conclusioni, è che è fatta in forma, dirò così, rettilinea mentre avrebbe dovuto esser per gruppi o anche globale. Le sintesi successive onde Blondel costituisce il dinamismo dell’azione, sembra che scorrano sopra una linea sola. E questo è atto a produrre una profonda alterazione nell’esperienza effettiva e reale. Nel soggetto umano reale non sorgono l’esperienza sensibile o quella scientifica nè corrono sulla stessa linea in cui successivamente correranno l’esperienza biologica, quella familiare e sociale e poi quella morale, metafisica e religiosa. Tutte queste esperienze interferiscono sempre tra di loro per gruppi o globalmente e nelle rare coscienze complete tutte insieme e con simultaneità e complessità enorme d’influenze. Tutte queste esigenze sorgono di fatto contemporaneamente o a blocchi e domandano, tutte insieme o molte insieme, una soluzione e una soddisfazione. E valgano pure queste soluzioni quel che posson valere. Saranno provvisorie, precarie, inconsistenti quanto volete, però quelle soluzioni serviranno almeno per il momento e ai bisogni immediati, salvo a gittarle quando ne avremo trovate delle migliori. L’averle seriate tutte queste esperienze è fino a un certo punto inevitabile, perchè
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solo così si possono analizzare completamente. Ma dopo tutte le analisi, bisogna affrettarsi a ricostituire la sintesi organica ed effettiva sotto pena di falsare la prospettiva del dinamismo volontario e di perdere di vista quel campo della coscienza nel quale tutti quei gradi simultaneamente cooperano e interferiscono. E forse anche era meglio divider per gruppi queU’esigenze e quell’esperienze singole e singolari che non sono affatto separabili nè isolabili. E si potevan, credo, costituire comodamente tre gruppi: i° gruppo: esperienze biologiche e sociali; 2° esperienze intellettuali e conoscitive; 30 esperienze morali e religiose.
Allora anche Blondel avrebbe probabilmente veduto con più chiarezza le inevitabili interferenze dell'azione morale, superstiziosa e religiosa. Ciascuna di queste tre azioni ha bensì un contenuto proprio, se vogliamo, ma tutte e tre dipendono da un fondo comune di mistero e di soprarrazionale che le coinvolge, le fonde insieme o le confonde.
Dbquesta simultaneità e inseriabilità dell'esperienza umana complessiva non si è, dunque, preoccupato abbastanza Blondel e perciò la sua analisi assume qualche volta un carattere di rigidità e d’artificialità che sembra diminuirne l’efficacia e la portata.
Ma lasciando ora ciò e ammesso pure che il cristianesimo non sia così scevro di qualsiasi elemento inferiore come potrebbe credersi e desiderarsi, resta però sempre una fonte d’ispirazione religiosa altissima.
Per queste moltitudini oppresse dalle cattive abitudini proprie e dai propri vizi anche più che dalle sopraffazioni e dagli abusi delle classi dominanti il Vangelo potrebbe essere ancora una miniera inesauribile di savie direttive e di buoni consigli. Venti secoli di cristianesimo hanno appena scalfito, del resto, l’epidermide degli individui e dei popoli che lo subirono o l'accettarono.
Questa guerra immane da cui siamo appena usciti, seppure ne siamo usciti, deve aver rivelato anche ai più illusi quale profondo strato di barbarie opaca e densa sia sotto quella po’ di vernice cristiana. E per giunta anche questa po’ di vernice in molti casi è scomparsa interamente e la barbarie affiora colla massima evidenza e brutalità.
E il cristianesimo invece di guadagnar terreno, sembra che lo perda. Gli eruditi e i mezzanamente colti tendono a allontanarsi dal Cristo perchè la mitologia, l'escatologia e la teologia cristiane sembrano a loro irreparabilmente invecchiate. Le moltitudini se ne distaccano aneli’esse perchè imitano gli andamenti delle classi un po' più colte e poi perchè i tempi grossolani e materialeschi le fanno molto più desiderose di godimenti corporali che spirituali. I flutti umani si ritireranno dunque dal cristianesimo e lasceranno in secco la sua barca? ovvero è da aspettarsi che qualche , alta marea torni di nuovo a farla galleggiare e la lanci di nuovo in mezzo ai marosi e alle tempeste e a conoscere nuovamente le tristezze e le glorie dei lunghi e perigliosi e fruttuosi viaggi?
È una domanda che probabilmente si sono fatta e si stanno facendo molti cui i corsi e ricorsi storici rendono inclini a congetturare e prognosticare da molto passato un po’ d'avvenire.
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È pertanto oggi il cristianesimo a un bivio fatale per cui debba necessariamente trasformarsi o perire?
C’è dì certo chi si vede già a una di quelle svolte fatali come al tempo di Augusto o di Tiberio quando le vecchie fedi stavano per tramontare, quando il vecchio Pan era vicino a morire od era/già morto e spuntavano un po’ dappertutto fedi nuove o rinnovate e il mitriacismo e il cristianesimo stavano per entrare in lizza e disputarsi i favori delle classi colte e della moltitudine. E anch’oggi c’è chi guarda un po’ dappertutto per vedere se appare qualche nuova stella o qualche nuovo lumicino e cerca e fruga tra le zampe dei tavolini giranti o nella penombra dei templi e degl’ipogei d’oriente e d’occidente. E molti ci sono che aspirano a depositare in qualche nuova fede il pesante fardello delle noie e delle delusioni accumulate in un lungo passato e il fardello molto più leggero delle illusioni e delle speranze onde si configurano un incerto avvenire.
I grandi geni religiosi, i creatori di nuove fedi arrivano (come l’esperienza c’insegna) quando meno si aspettano. Nessuno può dire se verranno e quando verranno.
Ammesso pure, del resto, che sia possibile un avvenimento simile, crederei infinitamente più probabile una riforma e restaurazione cristiana che un’abolizione completa del cristianesimo.
Invece che al tempo di Augusto e di Tiberio, la nostra -ipotesi ci riporta ai tempi della contro-riforma e del concilio di Trento.
È certo che in tutti/ le chiese cristiane e nel cattólicismo più e meglio forse che nelle altre si conservano focolai preziosi e importanti di fede viva e attuosa e di sincera ispirazione religiosa. Cotesti focolai possono senza dubbio alimentare ancora le grandi fiammate dell'apostolato e del proselitismo.
E di lì potranno bene sprigionarsi, come fiammelle infinite, le parole di salute e di redenzione per queste plebi (tutti son plebe) simili all’inferma — che non può trovar posa sulle piume — e con dar volta suo dolore scherma.
Ma tali parole, se han da venire, non saranno certo quelle che piacerebbero ai rigidi razionalisti da un lato nè agli estetizzanti dall’altro, nè, molto meno, ai rigidi avversari della ragione, della speculazione e delle dottrine, come Ritschl e la sua scuola.
Ci sono molte anime molli e dolciastre a cui sorriderebbe una fede, larga e generosa dispensatrice di oppiacei e dormitivi. Per costoro la Chiesa dovrebbe parlare come la faceva a un bel circa parlare Renan: «Figli miei, tutto quaggiù non è altro che simbolo e sogno. Di chiaro in questo mondo non c’è altro che un piccolo raggio di luce azzurrina che traversa le tenebre e sembra proprio il riflesso d'una volontà benevola. Venite al mio seno in cui troverete l’oblio. Per chi vuole dei feticci, io ho dei feticci; ho le opere per chi vuole le opere: ed ho il mio latte per chi vuole inebriarsene... Venite tutti; il tempo delle tristezze dogmatiche è passato. Avrò musica e incenso pei vostri funerali, fiori per le vostre nozze, scampanìi festanti per le vostre nascite ».
Il dogma e la dottrina ridotti all'ultima espressione; il rito fiorente ed esuberante: ecco un ideale che andrebbe bene a molti estetizzanti e anche a qualche
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arcigno razionalista. Ma è troppo poco per una religione vitale. E qualcuno che la pensava a un bel circa come Renan, se n’è accorto in tempo. « Ci si imagina d’aver ogni difficoltà risolta e d’intravedere l’avvenire religioso dell’umanità in una specie di razionalismo cristiano che, senza escludere il fervore, lascerebbe ogni libertà' al pensiero. E non domando di meglio da parte mia: ma mi domando non senza qualche inquietudine se il razionalismo cristiano è una religione. Quello che dopo tutto resta nel crogiuolo, è proprio l’essenza dei dogmi positivi o semplicemente invece un caput mortuum? Il cristianesimo • reso trasparente per lo spirito, conformato alla ragione e alla coscienza, conserva esso ancora grande virtù? non somiglia esso parecchio al deismo e non ne ha forse tutta la magrezza e la sterilità? Il potere delle credenze non sta forse nelle formole dogmatiche e nelle leggende miracolose per lo meno altrettanto che nel loro contenuto propriamente, religioso? Non vi è forse sempre un po’ di superstizione mescolata alla vera pietà e questa può fare a meno di quella brillante mitologia, di quella metafisica popolaresca che si tratta appunto'di eliminare? Gli elementi di cui voi volete sbarazzare la religione, non sono forse la lega senza cui quel metallo prezioso diviene improprio alla rude bisogna del vivere? E finalmente, quando il critico avrà abolito il soprannaturale come inutile e i dogmi come irragionevoli, quando il sentimento religioso da 'un lato e la ragione esigente dall’altro avranno penetrato la credenza e l’avranno trasformata coH’assimilarsela, quando non ci sarà altra autorità che quella della personale coscienza di ognuno, quando l’uomo, insomma, strappati tutti i veli e penetrati tutti i misteri, contemplerà faccia a faccia quel Dio a cui aspira, non scoprirà egli forse che quel Dio non è altro che l'uomo, la coscienza e la ragione umana personificate? E la religione col pretesto di divenire più religiosa non sarà essa venuta a mancare?» (Ed. Scherer, La crise du Protestantismo. R.d. deux Mondes, 15 mai 1861. Cf. Guizot, L’Eglise et la Société chrétiennes, 1861, pp. 13 sgg.).
Non posso, dunque, vedere nell’estetismo o nel razionalismo applicati al cristianesimo una probabile o accettabile soluzione del problema religioso. L’uomo è spirito e corpo; e i dogmi, i riti, le cerimonie e le opere sono elementi indispensabili di qualsiasi credo che sia fatto per l’uomo.
E, d’altra parte, neanche il fideismo puro di Ritschl, di Sabatier e di quella scuola è abbastanza soddisfacente. Separare qualsiasi elemento intellettuale e qualsiasi dato dottrinale dalla fede e dalla pietà, depurare l'aspirazione religiosa da qualsiasi ingrediente eterogeneo è impossibile. L’uomo è un animale razionale e fatelo animale quanto volete, non potrete in tutto spogliarlo di qualsiasi attività conoscitiva e intellettuale. Il proposito di Ritschl è chimerico e anche quello di Blondel, in quanto talora sembra che si avvicini alla tendenza del primo, è completamente irrealizzabile.
È verissimo, e Blondel lo dimostra magnificamente, che l’azione e l’esperienza religiosa e morale servono potentemente per illuminare, fecondare, fortificare l'intelletto e per promovere una più ricca e rigogliosa espansione d'idee e di con-
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cetti. Ed è anche vero che bene spesso l’uomo quasi per disperazione è costretto a gettarsi a corpo morto nella pratica come in un bagno salutifero per cercare in essa quegli alimenti dello spirito che invano avrebbe cercato altrove. Fac et videbis. L’azione è lucifera. Qui fácil veritatem, venil ad lucevi.
Ma con tutto ciò, l’ideale contemplativo è sempre' un ideale. Il platonismo e l’aristotelismo che vede in Dio l’idea dell’idea, e perfino lo stoicismo che vede in Dio la ragione suprema, sono troppo aristocratici e non serviranno mai per le folle. Non credo che queste arriveranno mai a adottare per testo delle loro preghiere l’inno di Cleante. «Tutto questo universo che si rigira nel cielo, va dove tu lo porti, o Giove. La tua mano che tiene la folgore, sottomette tutto, il sommo e l’imo, alla ragione universale. Nulla si fa senza di te, tolto quel che fanno ¡cattivi nella loro follia... »
Però, ammesso pure tutto questo, anche la fede delle moltitudini, per quanto abbia in sómmo pregio e giustamente la pratica e la buona volontà attuosa e feconda, non potrà mai interamente spogliarsi di qualsiasi elemento intellettuale e conoscitivo. Se l’azione, insomma, ha da essere azione umana e non semplicemente meccanica e non puramente automatica, bisognerà sempre che qualche intelligenza e qualche conoscenza la illuminino. Ignoti nulla, cupido. Non si dà esercizio del volere senza un qualche esercizio del l’intendere che lo preceda, gli scopra la via e la meta. Il volere è, se volete, egemonico nel composto umano ma non può essere interamente cieco o privo del lume della ragione a meno di rinnegare e distruggere sè stesso.
Con tutte queste riserve e malgrado tutti i difetti che ci parve di rilevare nell’ottimo libro di Blondel, questo resta sempre un ottimo libro, un libro forse capitale nell’evoluzione del dogma e dell'istituto cristiano. È il succo dell'esperienza cristiana. E perciò solo sarebbe già un gran libro. Ma non è soltanto un estratto e una condensazione potente dèli'esperienza pretergressa, è una preparazione efficace e geniale dell’esperienza futura: contiene i germi, probabilmente, di un lungo e anche magari di un lunghissimo avvenire. Se il cristianesimo non ha detto ancora la sua ultima parola, Blondel potrà in non scarsa misura contribuire a fargliela dire. Il suo libro non è l’uccello di Athena che sorge soltanto nel tramonto dei giorni e delle istituzioni. È anzi il volo e il canto dell’allodola che si leva nel sole nascente e annunzia con gioia ai laboriosi e ai volenterosi una lunga e feconda giornata.
T. Neal.
Nola. — Poche cose ci resta da dire intorno alla traduzione. Da una scorsa molto rapida e sommaria ci è parsa abbastanza felice e fedele : troppo anzi fedele spesso, nel senso che una traduzione soverchiamente letterale tradisce il genio della lingua da cui si traduce e di quella in cui si traduce. Alcune poche sviste dobbiamo rilevare che non danno bene il
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senso dell’originale. Sono insomma sviste assai leggere e di esse credo che il traduttore si sarà già accorto da se stesso. Credo che siano imputabili più che altro alla fretta con cui
egli ha dovuto compiere il suo lavoro.
ERRATA
Voi. I,p. 42 donde
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CORRIGE
onde nella misura in cui padrone cui dolorosa si rivela
impropria
dell’essere nascosto in puro intelligibile dessa
il fatto è acquisito per sempre si occuperà soltanto una fiaccola
segno
con coloro con cui viene in contatto della causa e
se non
completo sviluppo concatenati intaccato e nel vedere
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UN MISTICO E IL SUO AMORE
RA gl* studi su Giovanni Colombini, il più acuto e il più vivo è quello del Misciatelli. Tuttavia ci sono alcuni valori essenziali (( nc^ an’ma Colombini, non ancora notati o non sufficientemente approfonditi. Sono dei valori che ti illuminano la figura del mistico di una luce più viva e più santa.
tutt' ^ragSono or’g*ne da una causa unica: la profonda urna-nità che accompagna questo mistico, nella sua via di santificazione.
C’è nel Colombini, come in San Francesco, un senso di gaudio nell'amore della povertà, un misticismo puro da ogni scoria teologica. Per essi la fede non divien mai teoria e, se pur vogliono spiegarla, lo fanno a colpi di intuizione, per immagini, con immediatezza d’amore.
Ma San Francesco è il sicuro dominatore del suo mondo; senti che la perfetta armonia della sua anima vergine risolve in sè ogni contrasto, con tanta dolcezza, che quasi non ti accorgi del contrasto.
Una serenità senza mutamento s’irradia intorno a S. Francesco.
Il Colombini, che per tanti riguardi gli rassomiglia, si distingue da lui per un dualismo tra mondo e spirito, che non riesce a superare definitivamente. Onde le debolezze passeggere, che fanno sentire, nel mistico, l’uomo nella sua dolorante umanità.
E questa debolezza si manifesta nel dolore, espresso nella lotta, e nei vacillamenti non infrequenti della fede. In S. Francesco hai il mistico, che ha raggiunto la sua perfezione; nel Colombini invece trovi il mistico, che lotta ancora per ragghine gerla; e nella lotta lo senti vacillare talvolta e senti l’umanità incalzarlo da’ vicino, sebbene non riesca mai ad avere il sopravvento. E questo accade perchè il Colombini, quantunque non possa dirsi un asceta, quantunque incominci a sentire, che la fede viva è quella che opera (ed è per questo che non si ritira nella cella, ma predica e converte, per non fare come colui « che di mietitura si fugge e lassa prendere il biado »>) tuttavia non è ancora riuscito a vivere ed attuare il saldo convincimento cateriniano, che cioè il mondo non è un antagonista se non per la fede, che indietreggia di fronte a lui e che la fede sola può vincerlo, affrontandolo c trasformandolo. Non c’è nel Colombini l’attuazione completa di una fede, creatrice nel senso ampio cateriniano; c’è solo il principio. Il Colombini dice: « Se non
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colui che vuole è vinto dal nemico », e poi « Chi ricusa la battaglia è già ¡sconfitto »; parole in cui già senti Caterina. Ma il Colombini in pratica non riesce a investire e a ricreare colla fede tutto sè stesso e tutte le cose; per esempio, l’apparente dualismo tra fede e azione non riesce, come Santa Caterina, a superarlo del tutto. Il Colombini, se affronta il mondo, se predica c converte, non si mescola al mondo sicuramente. Non penetra come Caterina nel gorgo del peccato, tra i violenti e le meretrici, a sconvolgere e a risuscitare. Il mondo ancora lo spaventa. In lui il contemplatore accompagna sempre l’uomo d'azione. Egli va nel mondo, per così dire, cogli occhi chiusi; c’è in lui uno sforzo continuo di astrarsi, anche in mezzo agli uomini, prima ancora di aver penetrato a fondo le anime loro. Cosicché il frutto pratico della sua fede, le conversioni, l’ottiene quasi per un contagio del suo misticismo; l’ottiene più coll’esempio della sua santità, che non con una fede veramente attiva, che vada a frugare e a scardinare. Ed è per questo dualismo non ancora del tutto superato, che i vacillamenti del Colombini sono ancora tanto umani. Anche in Caterina trovi dei tentennamenti, degli smarrimenti improvvisi, come in tutti i mistici veri, per cui la fede non è una passiva e astratta contemplazione, ma superamento continuo di sè stessi, lotta e conquista incessanti. Se-nonchè, in fondo all’anima cateriniana, c’è sempre una volontà vigile e incrollabile, una sicurezza ferrea della vittoria. Mentre nel Colombini questa sicurezza ñon è così forte e vedi d’improvviso il mistico scendere dalla sua perfezione e tornare uomo. Ed è profonda l’umanità del Colombini in questi smarrimenti Così per esempio egli dice: « Io sono assai impensierito, però che io venni qua e tornai con frate Favolo, e stettine non però a mangiare e stettici alquanti dì con tanto tèdio e ciessato da ogni lume e da ogni vedere e quasi io ero mezzo disperato di me medesimo ». E poi: « Si che questo mio Cristo, mia guida io no lo intendo; paura ò forte di non errare... », ed ancora: « Io da una parte veggio l’amore di Cristo e vorrei adoperare per ciento uomini, puoi mi fugge Cristo per la miseria mia e disperomi ». E in questi istanti perde ogni orientamento; si ritrova con un'anima fanciullesca e invoca aiuto e consiglio. Così, per esempio, .scrive all’Abbadessa di Santa Bonda : « Parlate con Giovanni di ciò che vi pare che si convenga e scrivetemi quello che io ò a fare... ». Dov’è quella sicurezza, che si manifesta così piena nella virilità cateriniana o nella serenità di San Francesco?
Ma accanto a questi smarrimenti hai un traboccare di gaudio e d’amore mistico, che talora si espande francescanamente su tutte le cose. E così egli può gridare: «tutto el mondo è mio e posseggolo con grande giocondità», e sentire, nell’estasi mistica, l’anima sua abbracciare « tutta la terra, tutte le bestie, tutte le cose che Dio ha create per lo suo amore». E, in questa sublime elevazione, l’anima « quando si trasforma nelle criature, quando in cose eh'essa desidera ».
Ma in questo squilibrio il Colombini comprende (e già vi senti Caterina) che le tenebre non sono per il mistico meno necessarie dell’estasi. Infatti, rispondendo a Messer Domenico, per confortarlo a non disperare, così gli parla delle estasio degli abbattimenti del mistico: « Puoi dopo questo lume si viene una tenebra .grandissima e oscurissima per la quale pare all’anima in tutto essare abbando-
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nata e derelitta, crede che Dio l’abbia in tutto dimenticata e già più di lei non si ricordi, parie essere per disperare e in tutto viene quasi meno... Ma se essa potesse vedere lo sforgiato guadagno che essa fa, non meno si rallegrerebbe di questo freddo che del primo caldo; però che, come sotto la nieve e sotto e grandi ghiacci le biadora fortemente barbicano, così barba e si fortifica l’anima ».
In queste parole hai un concetto chiaro della fede, intesa come conquista. Tuttavia, mentre il Colombini intuisce la dialetticità della fede, considerane dola non come qualcosa di realizzato, ma come un realizzarsi continuo, mentre sente la bontà e la necessità della lotta, debole si mostra nell’affrontarla. Vedi il Colombini discendere dalle più sublimi altezze dell’esaltazione mistica, in cui l’amore, « è uno notamente del bene nel bene grande », alla disperazione. Quella disperazione, che non trovi in San Francesco, che Santa Caterina riprende come il più grave dei peccati verso Dio appare qualche volta nel Colombini. Anzi egli è così' poco sicuro della sua santità che arriva ad averne paura. Teme di sentirsi un po’ Dio e teme di cadere in peccato. Così dice: «Noi aviamo nome d’essare povari, mo tanta robba ci è mandata che io me ne vergogno è se noi volessimo seguitare le genti, converrebbe« fuggire e dileguare. Tuttavia io pur parlo di Cristo quando mi fa parlare, mo assai mi studio però di fuggire le genti. 0 voglia io o no semo reputati quel che noi non semo. Cristo si abbia la laide (1) di ogni cosa, ma io vivo con paura ».
In questa paura della propria perfezione è sintetizzata la debolezza umana,.' che accompagna il Colombini nella sua via di santificazione; debolezza per cui non riesce al Colombini di raggiungere quella perfetta armonia dell'anima (in cui la onnipresente lotta si risolve) che in San Francesco è serenità e in Santa Caterina sicurezza virile.
Per questo squilibrio, per questo passare dall'estasi alla disperazione, accade talvolta che per una di quelle improvvise reazioni, proprie dei deboli, lo vedi ricorrere a penitenze pazze e clamorose, per le quali parrebbe ricordare il Pazzo in Cristo Jacopone, se non lo distinguesse da lui quel traboccare d’amore per il prossimo, così poco sensibile in Jacopone, il quale si chiudeva piuttosto in un egoistico impazzamento.
Il Colombini, spirito molto meno combattivo di quello cateriniano, invece di affrontare le violente passioni cittadine per santificarle, preferisce predicare nei paesi e nelle campagne, alle anime semplici; ed è lì che trova per sè il terreno buono per seminare. Tuttavia se l’anima di Caterina è più forte, se è più • rigida e precisa (tanto che giunge fino a teorizzare, sia pure in forma ispirata e immaginosa) nei sentimenti, sotto un certo aspetto, è meno ricca e varia di quella del Colombini. Caterina, nella sicurezza della sua forza dominatrice, più difficilmente subisce le cose e il loro influsso emozionale. Il Colombini invece si lascia ancora impressionare dalle cose, e talora vive queste impressioni sentimentalmente. Ed ecco nel Colombini quel bisogno di canto, che gli fa amare il suo laudese poti) lode.
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verello, il Bianco da Siena, e il suo fraticello Barna, di cui dice, con semplice dolcezza: « ...Barna meco, parmi buono; e’ sa molte laide e belle}»; ecco percnè nei suoi smarrimenti le laude di Niccolò valgono a consolarlo. Ed a questo bisogno di canto e di poesia si accompagna talora nel Colombini stesso uno squisito intuito d’artista, che si rivela in certi tratti delle, sue lettere in cui le parole hanno quel ritmo d’anima che è in alcuni Fioretti di San Francesco.
Ora che abbiamo notato questo aspetto umano del Colombini, dobbiamo osservare un fatto, che a questa umanità si ricollega, e che nella sua a. ima ha un valore essenziale. Il Colombini insegna, ed egli stesso lo sente, che la f< *le è immediatezza d’amore; che Dio e l’anima di chi l’adora sono « immediati l’uno e l’altro ». Ma come, pur sentendo tutto il valore della volontà e la necessità della lotta, ed esprimendosi con frasi, che diresti di Caterina, egli non conserva in pratica la perfetta sicurezza della Santa, così pur riconoscendo e sentendo, nei suoi impeti d’amore mistico, l’immediatezza dell’anima con Dio, ha bisogno di un appoggio umano per avviarsi a Dio più sicuramente. Abbiamo nel misticismo del Colombini un fenomeno che, se anche nella sua apparenza esteriore non è assolutamente nuovo (ricorderemo l’amicizia di San Francesco per Santa Chiara e quella di Caterina per gli amici del suo cenacolo) acquista nel Colombini un’importanza speciale. Poiché questo vincolo d’amicizia spirituale in San Francesco 0 in Caterina è qualcosa di accidentale, mentre nel Colombini diventa essenziale. San Francesco e Santa Caterina si levano sempre al disopra di questo sentimento, compieta-mente liberi da ogni vincolo; il Colombini invece (anche se cerca di annegarlo in Dio) ha bisogno di questo vincolo per sentirsi più forte nella lotta. Ed ecco l’amicizia mistica del Colombini per Madonna Paola Foresia, Abbadessa di Santa Bonda. Questa comunione d’anime in Dio, questo mistico amore, puro da qualsiasi macchia terrena, ha un profondissimo valore umano. La donna angelicata di Dante potrebbe ricongiungersi idealmente a Paola Foresia. Senonchè tra le due figure non c'è identità sostanziale. Beatrice come Paola conduce a Dio, è mezzo di salvazione. Ma in Paola Foresia la donna scompare completamente, sia pure come parvenza; mentre Paola come figura umana è più viva di Beatrice, perchè non resta sempre, come questa, un oggetto dell’amore, ma porta nell’amore il fuoco dell'anima sua; perchè, quantunque si tratti d’un amore fondato completamente in Dio, Paola vive questo amore che è lotta.
E per il Colombini/Dio non è un simbolo sovrapposto a Paola (come per Dante in Beatrice) ma è una realtà immanente in lei, conquistata in una lotta, in cui ambedue hanno lasciato brandelli d’anima-, Se poi il Colombini, in questa lotta di fede, cerca un’anima che l’aiuti a salire, la santità della lotta santifica questo mezzo così umano. E nel trionfo del vincolo mistico su di ogni umana apparenza, si dimostra la forza creatrice e trasformatrice dello spirito, nelle anime semplici e pure come quelle del Colombini e di Paola. Senti il Colombini esprimersi colle frasi più affettuose verso Paola e le monache di Santa Bonda, che formano con Paola un solo cenacolo spirituale e sulle quali si riversa tutta la luce, che da quella emana. Vedi il Colombini preoccuparsi perfino della salute di Paola e usare, perchè
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si abbia riguardo, l’autorità del comando spirituale, cosa in lui veramente insolita. Ed ecco il miracolo purificatore della fede: colui che, quasi pauroso dell'antico vincolo carnale, schiva la sua antica consorte, buona e pia donna, si avvicina a Paola, la cerca anzi e si espande con lei senza paura. E in tutta la purezza e l’ingenuità del suo affetto, il Colombini non sente il bisogno di celare nulla del sentimento che ha per la grande anima di Paola. Ed è per questo che un giorno gli uomini piccoli e volgari, dovevano vedere in questa spirituale comunione qualcosa di equivoco se, come riferisce il Beicari, il Beato Giovanni, nel suo testamento, sentiva ancora il bisogno di difendere la purità di Paola e delle monache di Santa Bonda, « imperocché molte volte il bene è invidiato ». Così infatti diceva ai suoi poverelli raccomandando le monache di Santa Bonda: «Nientedimeno con loro non vi dimesticate troppo e con quello e con tutti gli altri monasteri di donne e universalmente con tutte le femmine siate salvatichi e con gran prudenza e discrezione parlate con loro. Non perchè io abbia sospetto nè di voi nè di loro, ma per levar via ogni cagione di male e ogni mormorio. E come io vi dissi, io credo che le monache di Santa Bonda siano tutte sante». Parole in cui il carattere debole del Colombini si rivela ancora una volta, nel dissidio tra il suo convincimento e la preoccupazione della malignità umana, preoccupazione a cui non fu mai soggetta la virile anima di Caterina. Ma se questo amore mistico poteva perfino prestarsi all’equivoco irriverente, esso non fu mai contaminato nella sua purezza, poiché era completamente fondato in Dio. Così dice a Paola il Colombini: « ...io conosco quanto m’amate e quanta più sicurtà prendete, tanto più veggo che voi m’amate e ’1 cuor mio veramente è con voi, sì che, perchè ci separiamo, non si separa l’anima, anco sempre, se piace a Cristo, saremo un cuore per unità e carità et ogni separazione sarà per onore di Cristo e vostro ». E ancora: « E bene v’ò auta ¡stretta nelle braccia del cuor mio, la qual cosa, posto ch’io mi ponga in cuore di tenerla segreta, non posso, anco sono ¡sforzato dallo spirituale amore di Jesù Cristo ». E tanto grande è la fede in Madonna Paola, che di questa il Colombini sembra fare la diretta e quasi esclusiva intermediaria presso Dio. Così infatti scrive a Paola: « ...e io sempre desidero d’esservi Vero ubbidiente, pensando che, s’io mi partissi da voi, sì mi partirei dall' onore di Cristo ». E ancora: « ...e io so che, avegna che indegno, continuo vi so nel cuore, unde Cristo non mi può dimenticare però che in uno ¡stretto luogo mi tenete con lui ». Sembrerebbe che neH’identificare l’amore in Cristo, coll'amore per l'anima di Paola, cioè Cristo colla creatura che l’ama, ci fosse il principio di una pericolosa eresia. Ma i grandi .mistici, che agiscono solo per impulso d'amore, affrontano le situazioni più difficili e le risolvono semplicemente, colla purezza dell'anima loro. E del resto l’amore mistico, quell’amore che supera o abbatte gli ostacoli che spaventano ¡ piccoli mortali, non può fare a meno, nell’arditezza dei suoi superamenti, di urtare contro le rigide barriere dei dogmi e dei ragionamenti. E il Colombini, come tanti altri mistici, fu sospettato d’eresia. Ma come seppe convincere del suo candore il dogmatismo di Urbano V, così, con parole chiare e semplici, fa dileguare ogni dubbio sulla perfetta santità del suo mistico amore. Così
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scrive a Paola: « Ma pregovi che l’anima vostra sia mezzo da Cristo a me ad aiutarmi a fare la volontà di Cristo ». Parole in cui, ponendo nettamente la posizione di Paola rispetto a se e a Dio, dà implicitamente una prova di umiltà, confessando la sua umana debolezza; e questa umiltà avvolge di una luce santa l’amore in Paola Foresia. E come il Colombini sapesse conservare la sua santità, anche negli istanti in cui la sua anima d’uomo vorrebbe prorompere, lo vediamo in questa delicata situazione: Paola gli ha scritto in grande sconforto (come lo desumiamo dalla risposta del Colombini) in uno di quei momenti in cui la fede che si spegne è tormento per il mistico. Il Colombini in una lettera, nella quale, con parole semplici, raggiunge i profondi abissi dell’anima e i sublimi vertici della fede, così risponde, con un senso di umana simpatia e di profonda comprensione per l’anima dolorante: « Quanto la lettara vostra mi fusse pena della malinconia ch’io vi viddi e vi veggo non ve ’1 potrei dire ». Parole in cui senti la tristezza dèli’ uomo e quasi dell’amante terreno. Senonchè subito dopo augura a Paola non cessazione del dolore, ma fortezza nel sopportare: «Ora, carissima, vi voglio raccresciare e fermare in amore, quando con Cristo vi veggio tributata, c non so tanto pregare Cristo che ve le levi quanto che vi dia fortezza ». Questo del Colombini è amore fondato veramente in Dio, perchè egli non mira alla felicità terrena dell’anima che ama, ma alla sua perfezione mistica, perfezione a cui son necessari la lotta, il dolore. E nella lotta raccomanda a Paola di esser « lieta, gioconda e valente » desiderandole quella letizia, che è serenità nel dolore. Quella letizia, che è la più sublime espressione d’armonia spirituale e che è forse la più bella caratteristica dei grandi mistici italiani. Del Beato Giovanni Colombini, di questo mistico,, che seppe restare così umano, senza contaminare la sua santità, è dolce ricordare uno dei passi più ricchi di poesia, in cui l’uomo, per un istante, prende il sopravvento, ma nella sua forma sentimentale più elevata. Nel lasciare il Convento di Santa Bonda, dove Paola pregava in silenzio e dove egli desiderò di riposare in eterno, così appassionatamente scriveva a Paola: « Oimè, quando fui in parte che io non potevo vedere più Santa Bonda, quante volte mi volsi a dietro, quanto la chiamai quanto la benedissi e pregai Cristo che la benediciesse ».
In queste parole semplici, che vivono d’un accorato ritmo interiore, in queste parole in cui c’è un rimpianto così umano, che l'invocata benedizione di Dio non riesce a dissolvere, il Colombini mostra il suo volto d'uomo nudamente sublime nel dolore. Abbiamo qui non il tipo astratto dell’asceta, che cerca fuori del mondo una assurda perfezione, ma l’uomo che lotta e strappa la sua vittoria a brano a brano.
Questi affioramenti d’umanità nel Colombini sono come la carne viva, che s’apre da una ferita; essi ti fanno sentire quanto grande fosse la lotta e come nella volontà di vincere, anche nelle sconfìtte si realizzasse l’anima del santo.
Carlo Grabber.
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LA NEGAZIONE DEI VALORI SPECIFICI DEL CRISTIANESIMO
Fu desiderato che, su questa Rivista, avvenisse uno scambio d’idee tra israeliti e cristiani, per precisare i valori specifici del Cristianesimo di fronte all’ebraismo, la ragione di essere del Nuovo Patto di fronte al Patto Antico, la linea di demarcazione fra i due sistemi religiosi.
A questo scambio d’idee il signor Dante Lattes ha già portato il suo contributo (i), affermando, che « se il cristianesimo va considerato come la dottrina di Gesù, è un fenomeno puramente ebraico >; quindi« nulla di nuovo contiene per gli ebrei in quanto a sostanza etica e religiosa ». È lo stesso che dire: valori specifici del cristianesimo non ve ne sono, il Nuovo Patto non ha ragione di essere, una linea di demarcazione fra i due sistemi religiosi non si dà e, in conseguenza, uno scambio d’idee su questi argomenti è un vero perditempo.
Queste conclusioni, che troveranno dissenzienti non solo i credenti in Gesù, ma i cultori di quella Scienza delle religioni, che non da oggi nè da ieri ha fissati i valori dell'ebraismo e del cristianesimo, evidentemente derivano dalla supposizione già accennata che, il cristianesimo si riduca a una dottrina e propriamente alla dottrina di Gesù. Il L. elimina dal cristianesimo il dogma, cioè il suo pensiero riflesso ; le sue esperienze caratteristiche, come Giovanni e come Paolo ne discorrono; risale ai Sinottici, dei Sinottici trascura tutto ciò che si rapporta alla coscienza messianica di Gesù e all'opera sua di redenzione, e allora quello che gli rimane, dice lui, è una dottrina, che «per interiorità e forma» è nient’altro che una dottrina ebraica. Sfido io, avrebbe potuto continuare nelle sue eliminazioni e si sarebbe trovato di fronte alle credenze dei prótoplasti, e avrebbe rintracciata la radice della religione primitiva in cui si compendierebbe il cristianesimo.
È strano però, che praticando tali tagli cesarei nel cristianesimo, il L. non li comporta per l'ebraismo. « Israele, egli dice, citando l'Ottolenghi, non si ca(<) Vedi Bilychnis di febbraio 1921. p. 91.
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pisce senza la Bibbia, ma manco è possibile staccato dal Talmud; è il Talmud che allarga, approfondisce, rasserena, innalza il volto severo della legge, perchè l'ebraismo è un corpo vivente, dunque un tutto che evolve rimanendo identico nella sostanza >. Il cristianesimo, invece, non è un tutto ; la dottrina di Gesù è una cosa, il resto delle dottrine sono « mutamenti e supplementi dei tempi e delle chiese, sono interpretazioni posteriori della missione di Gesù». Così, sul terreno dei fatti, sarebbe possibile accertare il legame che unisce il profeta Isaia a R. Akiba; ma tra Gesù e Paolo si aprirebbe un abisso (1).
Ora, come fare per persuadere il sig. L. che, il cristianesimo nel suo pensiero scientifico e nelle sue esperienze spirituali costituisce, meglio dell'ebraismo, un tutto organico, che stsvolge, si espande e si attua appunto attraverso le chiese ed i tempi proseguendo sempre un unico fine, la redenzione del mondo? Dovrei per questo scrivere dei volumi, raccogliendo dati nel campo immenso dell’esegesi, della dom-matica e dell'etica cristiana. E perchè farei ora questo lavoro se è stato già fatto, e le sue conclusioni sono state accettate dalla Scienza delle Religioni, che pur essendo una scienza, non si rifiuta dall'Hegel al Tiele, dal Silbeck allo Hartmann, dal Bousset allo Hauri di riconoscere un’unità organica nel cristianesimo, che lo contraddistingue nella grande famiglia delle religioni? Potrei, dunque, limitarmi a raccomandare ai sig. L., che con tanta diligenza ha studiato il Talmud, di volerne impiegare altrettanta nel prendere conoscenza dello scibile cristiano, prima di procedere a quelle eliminazioni di cui sopra; e così, per mio conto, lo scambio d’idee sarebbe finito.
Ma, non voglio far questo: voglio rinunziare a tutto quello che potrei dire contro la riduzione del fatto complesso del cristianesimo a una dottrina, a una quintessenza dell’Evangelo, e voglio rincantucciarmi col sig. Lattes nell’angolo in cui si è rifugiato. Dunque, sia pure, il cristianesimo è la dottrina di Gesù spoglia di tutto quello che si riferisce al suo messianismo e ridotta a queste due affermazioni: la paternità di Dio e la fratellanza umana. Faccio questo per condiscendenza, ma non senza lamentarmi che là dove il sig. Lattes mi ha trascinato ci sto male. In questo cantuccio sento il puzzo del parrucchino di Voltaire, vedo i sinistri bagliori della follia di Rousseau, avverto ancora una volta l’aridità di d'Alembert e il bigottismo di Robespierre, mi ammorba il tanfo di quel deismo inglese trapiantato in Fran-• -eia, che povero di sentimenti e di esperienze religiose non sapeva affermare se non vagamente la paternità di Dio come presupposto della fratellanza umana (2). Ma,
(1) Come così non sia io ha dimostrato per Paolo il Julicher (Paulus und Jesus, Mohr-Tubingen, 1907, pag. 68-72).
(2) Questa riduzione del cristianesimo alla dottrina della paternità di Dio e alla fratellanza umana non è di origine ebraica c tampoco cristiana, è derivata dal deismo inglese, e il giudaismo moderno se ne serve quando si tratta di valutare il cristianesimo. Poiché, trascurando G. Flavio, non bisogna perder di vista che l’ebraismo più che una fede sarebbe, nella mente dei suoi più illustri rappresentanti, una metafisica, essendo la intellettualità il suo carattere fondamentale (vedi su questo punto M. Mortara, Il pen-siero israelitico, Mantova, 1892, pag. 216).
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nemmeno il sig. Lattes è contento di restar confinato là dove mi ha tratto: anche a lui,, benché non lo dica, pare un po’ pochino il ridurre l’insegnamento di Gesù alla paternità di Dio e alla fratellanza umana, e allora annaspa, per trovar motivo di parlare del Regno di Dio e dell' universalismo religioso. Io vado dove lui va, lo seguo dove mi conduce; mi si permetta solo un’osservazione generale che credo di grande importanza.
Dovendo contrastare all’asserzione che il cristianesimo nei suoi elementi etici e religiosi non sia che un fenomeno puramente ebraico, dovrò mostrare quel che in esso vi è di effettivamente nuovo; ma intendiamoci intorno a questa novità. Nelle religioni, e specialmente nel cristianesimo, il nuovo non va senza il vecchio e il Maestro diceva: « lo Scriba ammaestrato trae fuori dal suo tesoro cose vecchie e cose nuove ». Queste vecchie dottrine o fatti dell’ebraismo non possono mancare nel cristianesimo, perchè se non lo costituiscono, sono sempre le sue promesse necessarie; e questo è il sentimento generale dei cristiani: noi abbiam unito in un sol volume, la Bibbia (parola greca e non ebraica), i libri sacri degli ebrei, l’Antico Testamento e quelli dei cristiani il Nuovo Testamento; e ciò vuol già dire, che per noi quelli sono necessari all’intelligenza di questi. Di più, nella sfera teologica, per un’accurata intelligenza della vita e dell’insegnamento di Gesù, noi abbiamo tenuto conto non solo del Talmud, ma di tutta la letteratura apocalìttica del giudaismo seriore (1); e non da oggi abbiamo riconosciuto che, di questa letteratura» come delle dottrine esseniche e farisaiche vi.son tracce e schemi nell’Evangelo (2). Naturalmente, chi considera il cristianesimo esclusivamente come una dottrina circoscritta e determinata si meraviglierà di quel che affermiamo; ma, chi pensa che il cristianesimo è la religione della Redenzione, e che la redenzione presuppone la conversione, e questa un elevato concetto della legge morale, capirà, come a una certa altezza del divenire etico, Gesù si dovesse incontrare colle più nobili aspirazioni dell’ebraismo non solo, ma del platonismo e del buddismo. Ciò che di pili puro e di più santo l’umanità ha concepito e assimilato Gesù lo accoglie come la necessaria persuasione che prelude al suo Evangelo e lo raccomanda. E del resto, Gesù non pretende di proporre alle coscienze una verità che sia ad esse estranea, ma vuole aiutarle a ritrovare in se stesse e a riconoscere quello che Iddio vi ha inscritto; ed è perciò che Vinet, parlando di Gesù, ne parla come della coscienza della nostra coscienza. Non c'è, dunque, niente che possa turbare il sentimento cristiano nel fatto che l'Evangelo dà asilo a dottrine e precetti derivati da altre
(1) Non è vero che la teologia cristiana, come l’Ottolenghi e il Lattes affermano, ha trascurati i precedenti ebraici delle predicazione di Gesù e ha studiato il cristianesimo rifiutando l’ausilio del Talmud. Senza citare il Baldensperger.il Bousset, il Wcndt, ecc.; ecco un libro, che mi occhieggia dai palchi della mia biblioteca e che porta il titolo: E. Stapfer, La Palestine au temps de J. C. d’après le N. Testament, l'historien Flavius Joseph et les Talmuds.
(2) I più importanti commentari moderni del N. T. tengono conto di queste dottrine; vedi, p. es., Joh. Weiss. Die Schriften des N. Testamento (Gôttingen, 1906), che nel suo libro accoglie tutti i risultati della critica neotestamentaria.
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fonti e patrocinate da Gesù; e ciò sopratutto, perchè l’Evangelo, come si è già detto, non è per se stesso una dottrina ma una comunicazione di forze per tradurre in atto la dottrina. È questa l’essenza sua, della quale ci sentiremmo, come della cosa più importante, indotti a parlare, se non ci corresse l’obbligo di seguire il sig. Lattes sul suo terreno.
* ♦ ♦
Ammesso dunque e non concesso, che il cristianesimo si riduca a una dottrina, e propriamente a quella della paternità di Dio, della fratellanza umana, del Regno dei cieli e dell’universalismo religioso, che cosa vi è di cristiano e che cosa vi è di ebraico in tutto quésto? Tutto è ebràico tranne i seguenti punti.
Nella dottrina della paternità divina, l’adottazione, cioè la paternità considerata non come un fatto statico, ma dinamico, che diviene. La paternità divina, conseguenza dell’atto creativo e dell’assistenza provvidenziale, non è per il cristianesimo che una premessa, una virtualità, la quale diventa una realtà solo quando la barriera, che attualmente separa il padre dal figlio, è abbattuta. Quindi, la paternità di Dio nel cristianesimo, coinè abbiamo detto, ha carattere dinamico; Dio diventa Padre, non in senso metafisico ma morale e religioso. Di qui consegue, che questa dottrina, nel Cristianesimo, riposa su un’esperienza individuale nel % senso stretto della parola. Questo è stato ben compreso nelle recenti dispute sulla Wcscn des Christentums dello Harnack (i) e io lascio giudice il sig. Lattes della fecondità di questa dottrina, così determinata, nel campo del pensiero religioso.
Nella dottrina del Regno il suo inizio, il suo venire imminente (2) distinto da ciò che è il Regno nella sua consumazione. E meglio specificando: quel Regno, che nelle apocalissi giudaiche è un fatto evidentemente escatologico e catastrofico, e nel pensiero israelitico anche moderno, un fatto di carattere sociale, è per Gesù un fatto eminentemente religioso; esso s’inizia col regno o dominio di Dio sui cuori e da quell’inizio muove a determinare la vita tutta quanta e a continuarla al di là.
Nella dottrina della fratellanza umana, la sua derivazione, non da un duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo; ma da un unico dovere nel quale l'elemento religioso e l'elemento morale si fondono; giacché l’importante ed il nuovo nel sommario della legge datoci da Gesù, non sta nel ripetere quello elicerà stato già detto riguardo all’amore di Dio e all'amore del prossimo, ma in queste parole: « Il secondo simile ad esso » (3).
Nell'universalismo religioso, il considerare la professione cristiana, non determinata da leggi preesistenti ; ma da un unico fatto da tutti e per tutti realizzabile ; dalla capacità, cioè, di staccarsi dal mondo per ritornare a Dio; cosicché, cristiani
(1) Walter, Ad. Harnacks Wesen d. Chris/enthutns (Leipzig, 1904), pag. 77-86.
(2) (Mar., I, 15).
(3) Mat., XXII, 37-40.
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possono tutti diventare immediatamente tanto l'europeo quanto l'africano, e quelli che parrebbero dover fare eccezione le meretrici, i pubblicani e i samaritani possono invece andare innanzi agli scribi e ai farisei (i). Veda, dunque, il sig. Lattes che nel cristianesimo non vi è solo la fecola ebraica, ma vi è qualche cosa d’altro; vi è un elemento religioso, che determina nelle coscienze individue il divenire divino, fonde religione e morale in una cosa sola, pone l’inizio del Regno e, della pietà e j dell’esperienza religiosa dèi singoli, fa la religione universale. Si tratta di un elemento religioso, puramente religioso ; ma che perciò non è una bazzecola.
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(X) Quello che noi diciamo dell ‘universalismo cristiano il L. lo dice di un ipotetico universalismo giudaico, con questa accorta riserva: che « il giudaismo non è la religione .. ma la contiene >• Che cosa sia poi quésta religione definitiva -contenuta nell’ebraismo
* il L- spiega, parlandoci della « legge cattolica tenuta in serbo per l'umanità»,
che sarebbe poi il noachismo e il deismo, il quale, secondo Giuseppe Flavio è la dottrina caratteristica degli ebrei. Par di sognare! Una legge, che per la primitiva chiesa di Gerusalemme fu una transazione (Atti, XV, 29), un compromesso pel momento, presto annullato (1 Cor., X, 25); il deismo, cioè una parola vaga, una dottrina che può essere , quella di Socino c di un materialista qualsiasi, un momento del pensiero filosofico superato rappresentano la religione definitiva dell’umanità. In.che misere condizioni dovrà trovarsi l’umanità nell’avvenire per contentarsi di questa religione universale!
Ma tant’è, il L. è persuaso che dell’universalismo religioso gli ebrei hanno in casa le fonti. Non furono forse universalisti i profeti, non lo fu Isaia, non lo fu Zafaniah? Sissignore, e non occorre a citar passi: l’universalismo dei profeti è da un pezzo che lo conosciamo, come pure ci è noto che non poteva essere il vero; poiché, come osserva il Reuss (Hisioire delti théologie chritienne, I voi., pag. 38) des prédictions et les espé-rances des prophètes se rattachent invariablement à l'existence terrestre et politique ' de la nation ».
E nemmeno prova che l’ebraismo sia apportatore al mondo di una religione universale, l’awertire che, in un momento remoto della sua storia, si diede al proselitismo vero, cioè a quel proselitismo, che non cerca di ridurre tutti allo stesso stampo ma vuol solo farli partecipi del suo patrimonio religioso. Poiché, a prescindere dal fatto che con quel proselitismo si voleva realmente giudaizzare il mondo, come Paolo lo voleva cristianizzare (altrimenti che significato avrebbe il gher Zedek proselito di giustizia « sottoposto alla totale osservanza del giudaismo » ?), trascurando il carattere che quel Sroselitismo doveva avere e che doveva essere di cattiva lega, giacché Gesù lo ha con-annato (Mat. XXIII, 15) resta sempre il fatto indiscutibile che, il giudaismo è ancora in vita, ma il suo proselitismo è morto ed è morto perchè non aveva più nulla da dire.
Si osserva invero che si tratta di una morte volontaria, poiché è solo all'apparire del cristianesimo,- nel quale il giudaismo, riconoscendo un alleato capace di transigere col paganesimo e così diffondere una parte almeno di quelle verità che costituiscono il, suo patrimonio ideale, cessò da parte sua di attendere al proselitismo. Ma, è vero tutto questo, è storicamente vero? O non è più tosto certo che il giudaismo ha combattuto il cristianesimo finché ha potuto, come lo prova il Talmud, il quale contro la religione cristiana e la persona del suo fondatore ha accolte le più velenose ed atroci accuse (v. Leíble, Jesus Chrislus in Talmud}, e solo cessò l’opposizione quando il trionfo di Gesù la rese sterile ed inutile?
Ma, quel che c’impedisce di credere alla missione dell’ebraismo nella promulgazione della religione definitiva dell’umanità è sopratutto la precarietà della sua esistenza e la sterilità di ciò che costituisce il fondamento della sua persuasione. L'esistenza dell’ebraismo è precaria, perchè, da una parte ha bisogno di conservare «per vi-9 vere, per non perdersi nel crogiuolo degli altri popoli », i suoi costumi, i suoi riti e le
sue tradizioni (e.d ò giusto: senza quei costumi e quelle tradizioni dell’ebraismo rimarrebbe il solo deismo: vale a dire niente, anzi peggio che niente); dall’altra sono pre-
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Esiste a Genova nella chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni, un’immagine di Gesù, che il professor Rubbiani stima autentica, e così descrive: « Il fondo per così dire della fisionomia ricorda l’aspetto beduino, ma le angolosità facciali vi si attendano; il disegno generale vi si mitiga a curve più dolci, e negli occhi, nei capelli, nella barba appaiono, così trionfalmente, le colorazioni; caratteristiche della varietà Arias, che ne risulta un aspetto eccezionalissimo in mezzo alla razza semitica con una propensione decisa, evidente, al tipo ariano biondo ». (i) Ebbene, sia o no autentica questa immagine, essa è pure una intuizione, una rappresentazione grafica di ciò che il cristianesimo ha sempre sentito di essere: un fondo ebraico, ma con qualche cosa che lo stacca dal fondo.
♦ * *
Che sia poi un'opera disperata voler privare il cristianesimo, anche ridotto nei limiti di quella dottrina che abbiamo indicata, di ogni originalità, (2), lo prova il fatto che il Lattes stesso una qualche novità è obbligato pure a riconoscere in esso, non fosse altro che quella « dolcezza idealistica della morale dell’Evangelo (3) per cui si contrappone alla rigidità dell’antica legge ». È vero che il L. fa ogni sforzo per provare che anche questa dolcezza si trova nella Bibbia e nei dottori; ma alcisamente quelle tradizioni, che giustamente un israelita (Castelli, Il Messia, pag r4 c?"lldera. c?me 01 coi quali sono stati legati all’uomo mani e piedi » e che, aggiuni giamo noi, hanno frustrata l’opera del Mendelsohn, de! Friedlaender e di tanti nobili cuori intesa a far rivivere 1 ebraismo.
Che poi il fondamento su cui posa la religione israelitica è sterile, riesce evidente escare che, quel fondamento è la legge posta come fatto religioso, cioè come espressione della volontà di Dio e che va perciò osservata. Ora, l’umanità si è dichiarata incapace di osservare la legge (le testimonianze abbondano): l'umanità crede nella libertà, ma conosce anche le limitazioni della sua libertà; quindi le rimangono queste
V-‘?' ° 5e<are l'origine divina della legge, come fatto religioso, o sminuirne l’idealità ricucendola al «non fare » o al fare meccanico, rituale, sacerdotale; in entrambi 1.°^! nv?Iazi0.ne della volontà di Dio rimanendo una conoscenza di nessuna utilità Il cristianesimo risolve il problema affermando che il Datore della legge è pur Colui che partecipa le forze per osservarle. L’ebraismo che non si preoccupa di questo problema è perciò, come il nostro Gioberti afferma, una religione non compiuta mentre 11 cristianesimo, che lo pone e lo risolve in una comunicazione di vita, accertata e sperimentata da secoli, è una religione compiuta, cioè, la Religione.
J* 1) tv di Cristo. Bologna, Zanichelli, 1881, pag. 24-20.
I2) , , °8ni originalità vuole il L. spogliato il cristianesimo, perfino dal Padre nostro; ed ha trovato, poggiandosi su Luca XI, 1, che questa preghiera era già in uso nella scuola del Battista?!. Per il riavvicinamento del Pater alle preghiere sinagogali di origine posteriore all’evangelo, vedi le belle osservazioni che fa lo Harnack (W'mìh d. Christentums, p. 41). '
(3) Il L. per parlare della dolcezza della morale evangelica ha dovuto trascurare passi come Luca XII, 51-53 ed ha dovuto ignorare la doppi?, polarizzazione della persona di Cristo e del suo insegnamento rilevata dal Deissman (Evangelium und Urchristentum nelle Beilrae ge zur Weiterentwicklung der Christi. Religion. München 100^ pag. 77).
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l’atto pratico vi riesce egli ? Ecco: nel Deuteronomio sono assicurati beni materiali,, all’israelita che ama e serve il Signore: Gesù parla anche lui della elargizione divina di questi beni, ma non fa menzione dell’amore e sopratutto del servire... Ora, per il Lattes questo è grave; giacché senza l’opera « l’uomo è un inerte spettatore del miracolo... ma non un lavoratore che collabora con Dio alla realizzazione dell'ideale ». I rabbini, e tra i cristiani Giacomo, che afferma la necessità dell’opera, hanno inteso meglio di Gesù la dottrina ebrea; Gesù l’ha esagerata, • negando nel suo discorso delle sollecitudini ansiose la realtà, vagando al disopra della terra, annullando il fatto, addormentando ogni volontà col régno assoluto della grazia »... Ebbene, questo non è vero. Gesù ha tenuto conto dell’opera, che considera frutto necessario dell’albero della vita (Luca XIII, 6-9. Mat. X, 16); e dal discorso citato dal Lattes non si deduce, che il credente debba essere 'spettatore inerte del miracolo della provvidenza divina, ma solo libero dalle sollecitudini ansiose che danneggiano e non giovano all’opera. E molte altre cose potrebbero dirsi del collaborare con Dio, e del vaso di grazia, ecc. Ma, quel che importa al nostro assunto è questo: se il sentimentalismo etico è rifiutato dall’ebraismo, rimane allora caratteristica propria del cristianesimo, e quindi è un'asserzione errata la medesimezza dell'uno coll’altro. I pensatori israelitici hanno spesso considerata la morale cristiana come la morale donna e l'ebraica come la morale uomo, e queste figure, sien pure arbitrarie, confermano quello che abbiamo detto sulla impossibilità d’immedesimare l’una fede coll’altra.
Ma, non possiamo nulla contro la verità, diceva Paolo, e spesso avviene che, quando facciamo ogni sforzo per nasconderla agli occhi nostri, essa improvvisamente balza fuori, si libera da tutte le bende e ci apparisce nella sua nudità. Dico questo, perchè il sig. Lattes, che si è dato una gran fatica per ridurre il cristianesimo ad una dottrina e quella dottrina a un insegnamento di carattere di forma e di contenuto ebraico, è obbligato a riconoscere che, addirittura pel suo carattere generale, e non sólo come dottrina, il cristianesimo è tutt’altra cosa dell’ebraismo. Questo gli avviene per caso, citando il Le Renti, il quale spiega, e il Lattes fa sua la spiegazione, che gli ebrei, appellandosi all’avvenire, « hanno sempre protestato contro il misticismo cristiano ». E questa è la verità: il cristianesimo è misticismo, e perciò non può confóndersi con una religione di precetti legali, ma anzi deve provocare le proteste di questa.
Voglio sperare che il sig. Lattes, il quale non è il primo venuto nello studio delle quistioni religiose, non vorrà disconoscere il valore del misticismo, come hanno fatto tanti che della vita dello spirito non avevano, ci sembra, molta esperienza (1).
(1) Per esempio, il Trotto. che nel suo libro sul Misticismo moderno (Torino, Bocca,-1899), lo concepisce (pag. 105), come una inclinazione a cose e a immagini che non si vedono» e come «una tendenza prodotta" da incanti e malie, verso un campo di arcane cose spirituali ».
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LA NEGAZIONE DEI VALORI SPECIFICI DEL CRISTIANESIMO 2ÓI
In tutti i modi è bene ricordare che, il misticismo è una capacità caratteristica dell’anima umana in virtù della quale essa si appropria qualsiasi manifestazione dell’essere e la rivive. Il misticismo non è essenzialmente religioso, è alla base della famiglia, della patria, dell’arte, ecc., ma nella religione è imperante. Che cosa è di fatti la religione se non il volere quella dipendenza da Dio, di cui nello stato di mera religiosità abbiamo acquistata coscienza? E che cosa è il volere dipendere da Dio, se non un vivere in Lui? Il cristianesimo è, così, necessariamente mistico pel solo fatto che è una religione; e il legalismo, in quanto legalismo, non può essere mistico perchè non è una religione. Resterebbe, dunque, provato, e per bocca del Lattes stesso, l’impossibilità di considerare il cristianesimo, in ciò che gli è essenziale, un semplice prolungamento dell’ebraismo, un fenomeno meramente ebraico; e verrebbe con ciò giustificata la ricerca, che è ancora da farsi, sui valori specifici del cristianesimo, sulla ragione di essere del Nuovo Patto, e sulla linea di demarcazione tra i due sistemi religiosi.
G. Rodio.
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‘ IL “NUOVO,, DEL VANGELO
Ko letto il vibrante articolo del Lattes non soltanto con simpatia ma con viva emozione sia per. lo spirito irenico ond’è animato, sia per la luce che proietta sulle confluenze dell'idea ebrea e cristiana.
Scnonchè dalla realtà di tali confluenze non deriva punto che l’Evangelo sia soltanto il risultato naturale di una evoluzione già in atto. Di nessun risultato dell'evoluzione si può dire che esso sia naturale. \ L’evoluzione è un’ascesa; dunque essa implica una spinta cioè una causa che
agisce come uno sforzo. Alla base di ciascun grado dell'evoluzione vi è uno Sforzo della causa creatrice immanente; il che equivale a dire che ad ogni passo il potere creatore introduce nell’evoluzione nuovi germi, cioè nuovi principa. Più il trapasso è sensibile, più il risultato è grande, e maggiore è lo sforzo che esso attesta, più alto il nuovo principio che la causa creatrice introdusse nei fiume della vita per determinare quel risultato. Noi non siamo dunque nella necessità di scegliere tra il riconoscere il dinamismo della religione d’Israele hcome si svolse nella storia o il riconoscere un nuovo principio nell’evangelo. Le due cose non sono in contrasto: l'evoluzione essendo una continua creazione, il fatto di Cristo, momento culminante dell’evoluzione, segna per ciò stesso la rivelazione di valori nuovi, più profondi, più celesti.
Quali sono? Il dott. Lattes non trova nell’Evangelo il fatto unico, originale, soltanto perchè lo cerca dov’esso non è: vale a dire in precetti, in dottrine eticoreligiose.
Il fatto nuovo, originale, nell'Evangelo è di altra natura. È il perfetto rapporto tra l’uomo e Dio non già formulato in elevate espressioni di idee sublimi, ma vissuto da una .persona vivente. Prima di Gesù, quello che specialmente mancava alla vita divina nel mondo era una personalità compiuta che fosse e si sentisse in rapporto perfetto con Dio. La coscienza religiosa di Gesù: ecco il nuovo, lo specifico, l'unico dell'Evangelo. Il dott. Lattes era sulla via che mena a tale scoperta, ma se ne ritrasse spaventato da una espressione a cui arbitrariamente dà un senso materialistico: « Sentire; Dio in sè, spiritualmente, intimamente, come l'intesero i poeti dei Salmi, ma non fino a farlo discendere nella carne umana ». La verità è che, se Dio non discende, l'uomo non può salire a lui. Sentire Iddio in sè spiritualmente, intimamente come l’intesero i poeti dei Salmi è già una discesa di Dio verso l'uomo. In Gesù la compenetrazione è così piena che in lui ciò che v’è di divino nell’uomo si adegua a ciò che v’è di umano in Dio. Di qui la coscienza religiosa di Gesù, cioè 11 NUOVO dell’Evangelo. Nell’impulso vitale che questa coscienza religiosa comunica sta il segreto per cui l’Evangelo non è una legge tanto più schiacciante quanto più perfetta; ma è, invece, una forza redentrice.
Sanremo.
Ugo Janni.
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LA “ STORIA DI CRISTO ” DI G. PAPINI
Avevo incominciato a leggere questo libro annotando, postillando, come si dice poco elegantemente, spulciando. Trattandosi di un'opera .destinata e per l’argomento e per il nome dell’autore e per il momento in cui esce ad aver larghissima diffusione, credevo (e credo) utile indicare a chi l’ha scritta ogni minima menda in modo ch’egli possa, se vuole, correggere nelle successive ristampe.
Così a p. 23 osservavo che l’autore dicendo « i sepolcri egiziani bianchi e netti di fuori come quelli dei Farisei » doveva essere incorso in una svista ( se pur non era sbaglio tipografico): l'espressione giusta era « come i Farisei ».
Così a p. 38 notavo che non mi sembrava giusta — o almeno mi pareva oscura — l’allusione ad Adamo ed Èva come progenitori d'Israele perchè i Due, nel pensiero semitico, sono gli antenati di tutto il genere umano, non del solo Popolo eletto.
Così a p. 70 pensavo che non molto persuasiva è la giustificazione che il Papini dà del battesimo di Gesù, dell’uomo che visse senza pecca e perciò non aveva bisogno del santo lavacro.
Ma poi ho buttato via la matita e ho letto senza scrivere più nulla, trascinato dal racconto, affascinato dal dramma che l'autore rievocava davanti ai miei occhi.
La Montagna! Dalle pagine del capitolo così è cominciata la trasformazione del critico in lettore, in lettore umile, trepido, che in ogni riga trovava una risposta alle proprie domande, un sorriso consolatore ai dubbi che lo tormentavano.
L’autore che nella prefazione dichiara d’aver voluto (sì, ma riuscirci!) come già
aveva desiderato Bossuet, togliere ogni ornamento per riferire spoglia la parola e nudo il pensiero di Cristo, dovè accingersi con mano tremante a parlar del discorso sulla montagna. E non ne riporta una parola, dapprima; non s’indugia, come farà dopo, sull’analisi delle nove beatitudini promesse ai poveri di spirito, a coloro che piangono, ai mansueti, agli assetati di giustizia, ai misericordiosi, ai puri di cuore, ai pacifici, ai perseguitati. Egli solamente domanda se c’è un uòmo che abbia letto il discorso di Gesù senza sentire un brivido, senza provare un bisogno immediato di operare il bene: se un uomo simile esiste nel mondo « non c’è nessuno più di lui che meriti il nostro amore, perchè tutto l’amore degli uomini non potrà mai ripagarlo, di quel che ha perduto. »
L’autore del Canocchiale aristotelico direbbe che quest’insospettata conclusione è una deceptio, cioè una delle più sottili fra le « argutezze » da lui raccolte e classificate. Ma no, invece: rileggete tutta la pagina, leggete tutto il libro e vedrete che questo libro non polèmico o, Se vogliamo, combattente sì, ma contro lo spirito del male, è animato da un profondo amore per gli uomini e più per coloro che vacillano e brancolano in cerca di verità e di luce.
E' un convertito che sosta un momento nella sua faticosa ascensione per volgersi indietro e tender le mani a chi non ha ancor trovato la « cruna» dantesca, l’angusto sentiero dell’erta.
Fin da quando si parlò di una « conversione » di Giovanni Papini, mille curiosità si accesero e si volle sapere se egli fosse
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diventato cattolico o semplicemente cristiano, se il libro sarebbe stato o no sottoposto &\V imprimatur, se certe spinose questioni teologiche sarebbero state sbrogliate e in qual modo.
Ora il libro è venuto e nelle sue pagine, anche più che nella prefazione, le intenzioni deU’autorc sono esplicite e luminosamente recate in atto. Tutta la vita di pensiero di Giovanni Papini è stata una continua ricerca: ha cercato il bello, leggendo con ansia poeti e prosatori d’ogni tempo c d’ogni paese, ha cercato il vero nella filosofia accostandosi anche, ma tirandosi subito indietro per una repugnanza più forte di lui, alla teosofia: sperò un momento d’aver toccato terra quando vide nel pragmatismo una specie di connubio fra l’utile c la verità. Ma l’irrequietudine gli rimase sempre e si sentì l’anima più amara dopo ogni nuova esperienza: allora svillaneggiò i filosofi giunti secondo lui alla grigia ora del crepuscolo, trattò di buffoni gli artisti che pur gli avevano dato qualche ora lieta, costrinse Dio stesso, in una bizzarra autobiografia, a confessar la propria inesistenza e in capitoletti, ov’è difficile scernere il gioco sofistico dallo sfogo sincero, capovolse massime eterne predicando la ribellione ai genitori, il disprezzo per la donna, l’odio verso il prossimo: e vituperò Cristo attribuendogli tutte le colpe dei moderni farisei.
E dopo tanto urlare e bramire e ingiuriare sputando in terra ed in cielo, gli mancaron la voce e le forze e si sentì veramente un uomo finito.
La guerra ch’egli predicò con ardore fu la sua penultima esperienza: nonostante la vittoria del diritto contro la prepotenza armata, egli raccapricciò per l’orrore del sangue, per le cataste dei cadaveri accumulatesi in cinque anni, per la tempesta d'odio che aveva scagliato uomini contro uomini, a milioni, in una mutua passione di distruggimento.
In questo stato d’animo riaprì gli Evangeli e vi trovò veramente, come il titolo aveva promesso, una lieta novella: ogni parola era consolatrice, lì dentro. Poiché il suo ingegno da tempo era uso a tutte le scaltrezze delia dialettica volle sentir voci disparate e si tuffò nella lettura ascoltando esegeti, critici, apologeti, filologi, ma poi tornò, crollando il capo, ai Vangeli, come chi, dopo aver ammirato il testo critico, impeccabile ed illeggibile, di un poeta antico, riprendesse in mano, con un respiro di liberazione, l’edizione vulgata.
Il risultato della lettura è qui: giacché Cristo è tutto negli Evangeli egli ve l’ha trovato intero e tutto l’ha raccontato agli uomini fratelli, non pentendosi delle opere precedenti perchè l’aver usato per anni ed anni il linguaggio ad esprimere e chiarificare Ogni sfumatura di pensiero gli ha permesso alla fine di narrar la storia di Gesù in una prosa ora ardente come una preghiera, ora triste come una lamentazione, ora vibrante come le sferzate che cacciarono i mercanti dal Tempio, ma sempre energica, lucida, squillante.
La vita di Gesù, raccontata finora da uomini di Chiesa in pagine spiranti odor di muffa e di morte o dà laici in capitoli irti di considerazioni, supposizioni e illazioni, tritume d’ipotesi scientifiche o mucchio di secchi fiori d’altare, è oggi stata scritta da un uomo moderno il (piale ha saputo fondere l’arte e la verità in un’opera magnifica.
I dotti discuteranno, i critici sottilizzeranno, gli uomini che nella religione vedono un legame non per lodare insieme la gloria d’iddio, ma per combattere uomini d’altra fede, affileranno le spade — e gli stiletti — della polemica. Io, con quanti per un momento di pace regalano volentieri tutta una pesante « cioppa» foderata di' sofismi, benedico e ringrazio.
Dino Provenzal.
^Documento di una crisi spirituale che à dato tanto da strologare ai bene e ai malpensanti d’Italia, la Storia di Cristo che Giovanni Papini à pubblicato or sono appena pochi giorni è forse la prima opera scritta sul Cristo che abbia tentato in forme veramente artistiche di renderne viva la sublime figura. Che l’A. vi sia riuscito
non diremo nè noi, nè Io dirà l’A. stesso, consci che la grandezza dell’assunto è tale da non esser forse possibile a mano e mente umana di giungervi. L’opera difatti appare più che là storia di Cristo la storia del messaggio divino, proclamato venti secoli fa sul Giordano e suffragato dal sangue del Giusto che à voluto dare all'umanità.
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NOTE E COMMENTI
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avvolta nella nebbia fitta dell’Effimero, l’unica tavola di certezza che fosse idealmente possibile.
Ma anche intesa così, la Storia di Cristo appare un’opera veramente importante per l’uomo che la concepì in un tragico travaglio dello spirito suo e per il momento che l’accolse in un apocalittico sconvolgimento di uomini e di cose. Riflettendo al quale, nella pessimistica visione che gli uomini fossero giunti ad una svolta della storia tale, da dover piombare nell’abisso, se seguitavano la furia infernale che li travolgeva, Giovanni Papini credè di vedere unicamente nel. messaggio del Cristo la salvezza e stimò opportuno di proclamarlo anche lui di fronte al mondo traviato, rivivendolo e tentando di farlo rivivere. Prono ai ginocchi del Cristo e tormentato «dalla potenza del suo implacabile amore » egli credette necessario rimetterlo in luce per gli uomini che non lo conoscevano o l’avevano dimenticato, e non soloconla penna, ma pur con l’esempio. E fece bene.
Quello che vi è però da considerale in tale atteggiamento è, in via principale, se alla forza di volontà e di carità che à vinto il Papini corrisponda il mezzo adoperato: se, cioè, accettato nella sua forma primitiva e genuina, il messaggio, egli è riuscito sulle orme dello spirito assoluto che non ama se non gli estremi, com’egli dice del Cristo, ad imporlo alla venerazione e più alla applicazione delle folle.
Il grande Capovolgere della natura umana, della società umana, delle concezioni umane — la turavota per il Papini non è giustamente la penitenza, ma il capovolgimento di tutti i valori, il cambiamento intero, la rinnovazione completa dello spirito — à bandito il suo verbo nella semplice forma dell’amore: à fondato su questo la sua paradossale dottrina del-l’antinatura, come dice il Papini, ed à proclamato l’avvento del regno di Dio con l’avvento del dominio dello Spirito sulla Materia. Si è convinti di ciò? si à fede in questo ideale supremo? ebbene, occorre seguirlo ed applicarlo con quel senso di'assolutismo che nell’opera e nello spirito del Cristo è sovrano e sovranamente riconosciuto. Chi traligna, chi accetta compromessi, chi adatta sè ed i suoi principi a forme positive sociali o religiose non è cristiano, non fa parte del Regno di Dio. Se pur un istante voi dubitate che questo sia possibile — chi scrive, nella tragicità
della sua crisi spirituale, è tra costoro, pur convinto che solo dal messaggio del Cristo vi è da sperare salute — se pur un momento voi pensate a transigere, voi siete un Fariseo, voi offendete il Cristo, non siete degno di lui. Meglio vai riconoscersi impotente a seguirne i dettami, meglio vai dichiarare inapplicabile all’umanità ed alle sue debolezze il divino messaggio e chinar le ginocchia della mente all'Uomo che proclamò raggiungibile l’Irragiungi-bile, dichiarandosi indegno di seguirne le orme, piuttosto che accoglierne la dottrina e poi tradirlo.
Ora che cosa à fatto il Papini? Pur con l’anima trasfigurata dal messaggio del Cristo, con lo spirito virilmente per natura e per coltura teso all’Assoluto, con la mente ed il cuore tormentati dalla parola divina del Maestro, à piegato sotto la preoccupazione di un adattamento positivo ed à rovinato così quella sua sublime attitudine di lottatore ad oltranza, che sola poteva accaparrargli le simpatie e gli applausi anche dei non credenti.
Questo atteggiamento di compromesso morale che si risolve in una flagrante concontraddizione artistica da cui è scossa tutta l’operaè il documento più grave che ci offra la Storia di Cristo. Meglio valeva per il Papini porre su altre basi la sua conversione religiosa, accettare la dottrina di un culto positivo, fissare in un credo sociale la sua tendenza religiosa, che impostare sull’assoluto il suo credo religioso e poi adattarlo alle vicissitudini storiche!
Esemplifichiamo: il Cristo è re di Pace, non vuole la guerra, fonda il suo regno sulla pace, non è venuto a portar guerra; chi dice questo lo fraintende e confonde il particolare con l’universale. Questo il Papini lo dice e lo sostiene, come sa lui. Se non che., la guerra è viva intorno, è un’atroce realtà, l’umanità è traviata, le pecore sono lupi... Ecco che il Papini accetta allora un compromesso, ammette la guerra sino a che il messaggio del Cristo non sarà accettato da tutti e il sogno della pace non sarà divenuto realtà. Anche Maometto, allora, è re della Pace, perchè proclama la guerra agl’infedeli necessaria e fatale finché tutti non saranno fedeli: naturalmente dopo...vi sarà pace! No: il cristiano non può ammettere questo che il Papini vuol accettare. Il compromesso à condotto il Cristianesimo alla Chiesa del secolo iv: occorre sia pur col proprio sangue fissare la fine delle guerre. Se nel x9i4.il mondo fosse stato cri[19]
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stiano le armi sarebbero cadute ai piedi degli armati c la società avrebbe affermata alta e sicura la sua fede. Ma il Cristo era lontano da noi e nel 1914 ed ora.
Ancora: il Cristo non vuole forme di governo, non conosce forme sociali, non patrie, non nazioni. La umanità, quando il suo messaggio l’abbia intimamente pervasa e trasmutata, non può essere se non anarchica. Il Cristianesimo non à forme collettive, à forme individuali e gl’individui vivranno come la dottrina di Cristo impone, senza coazioni, nell’amore e nel rispetto reciproco. Questo il Papini ce lo dice, come sa lui. Ma... occorre per ora una forma positiva costituzionale. Pagar con zil proprio sangue la negazione della società, l'unica via per l’avvento del Cristo, sarebbe troppo... cd allora ecco che il Papini ammette il re cd il re per diritto divino! Ahimè, anche questo è un compromesso purtroppo e l’Assoluto deve velarsi la faccia per vedersi così tradito. Chi mai affronterà col propio sangue il pericolo di affermare l’unica Verità ch’egli à proclamata? chi mai porrà contro l’Effimero umano l’E-terno della sua parola?
Ed ecco allora che nella mente del Papini noi non possiamo più vedere la saldezza della convinzione nel divino messaggio: ecco che dobbiamo accettare la sua conversione come cattolicizzazionc non come cristianizzazione.
Chi scrive—giova ripeterlo — non à fatto di sua spontanea e consapevole volontàade-sione a nessuna Chiesa. Convinto che sol dal messaggio divino del Cristo vi è da sperare salute, è altresì convinto che esso non può essere seguito dall’umanità. Tenderne ai dettami è solo quanto può l’uomo, non altro: ma perciò proclamarsi cristiano egli ritiene un errore, anzi una colpa. In queste tragiche condizioni del suo spirito, che lotta per trovare per sè e — quel che è più grave— per coloro cui à dato vita, rubi consistavi della vita, in un’ansiosa lotta per la perfezione, in un assetato bisogno di fede, in uno spasmodico bisogno di azione, chi scrive soffre la sua tragedia come non la soffrono coloro che sonnecchiano nelle loro formolo dottrinarie o come l’addormentano coloro che la soffocano nelle cerimonie non sentite del loro vuoto culto. L’esperienza quindi di quanti si elevano dalla mediocrità lo tormenta e lo attrae co
me ùn abisso dal quale debba venire allo sperduto una voce arcana di salvezza e di certezza.
Il lettore può quindi imaginare con quale ansia io abbia seguito l’esperienza religiosa del Papini e con qual gioia io abbia sperato di vederlo avviarsi verso l’Assoluto nella speranza che la voce uscita dal suo cuore potesse determinare anche me verso la strada diritta, verso l’unica strada sicura !
Invece!....
Questa Storia di Cristo che à tante Sagine sublimi, in cui vive il Papini pare, il . Papini maestro, il Papini convcrtito; questa Storia di Cristo, che approfondisce con così fine psicologia l’anima degli apostoli, sottraendola alle comuni pietistiche brutture che la mettevano in pezzi; questa Storia di Cristo che vive alcuni episodi della vita del Cristo con sincerità d'arte, che rifiuta i luoghi comuni e non approfitta, sdegnosa, dal rettoricu-me che avrebbe potuto ammorbarla, per farsene un’arma da circolo equestre; questa Storia di Cristo che tenta nelle anime, nuove al messaggio, la parola della convinzione traendone gli argomenti dalla storia, dalla comparazione, dall’arte, non mi appare più come .un’opera tutta d’un pezzo, come un masso granitico scagliato contro l’umanità delirante, ma come un insieme di pietre non cementate che si sfaldano quando si tenta scagliarle, che si spuntano e si sminuzzano: telutn imbelle sine ictu....
Ahimè, di fronte ed una costante opposizione all’antichità che a chi scrive parve già il luogo comune di tutte la apologie; ad un costante acre abbassamento non solo di tutte le sue figure storiche e religiose (Augusto, Socrate, p. es.), ad un esplicito mancato riconoscimento dei suoi valori, il Papini non oppone l’affermazione, purtroppo comune, dell’esistenza dell’unico regno, fondato da uomini e perenne, della Chiesa, dimenticando certo volutamente che quel regno non è se non la dimostrazione più ampia e più sicura di quanto quella calunniata antichità valse? quell’antichità che pur dette per la prima, al martirio ed alle confessioni della nuova fede, come il, Papini stesso dice, ¡suoi figliI
Di fronte alla carità sovrana del Cristo, superiore a popoli e a razze, non pone il Papini l’afflato di un antisemitismo di maniera che osa ripetere il vièto luogo comune del primitivo antisemitismo che bollava
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NOTE E COMMENTI
di deicida il popolo ebreo? non fa menzione della misera leggenda dcll’Ebreo errante? non tenta di sollevare lo sdegno contro gli esecutori materiali della volontà divina?
E invece... ecco un feroce capitolo « L’indesiderato » condanna Gerusalemme che uccideva i profeti sol per 1«? sue brame terrene. La città santa « viveva in apparenza per la fede, ma in realtà sulla fede », egli dice, e per quattro pagine ne descive, come egli sa, gli obbrobri della sua massima industria: la religione. Ma quando il Papini colpiva così Gerusalemme nella passione del suo antisemitismo non ricordavà Roma? cristianamente egli avrebbe dovuto tacere della prima o parlare di ambedue.
Il Papini invece non lo fa, egli che tinge sempre nel suo amaro fiele la penna con l’arte che sa le tempeste, egli che non abbandona il suo bello stile ricco di frasi deliziosamente sensuali e di parole molto... espressive neppur quando parla se non di Cristo intorno a Cristo.
Indubbiamente fa velo all’orgoglioso spirito assoluto del Papini la sua predilezione per la Chiesa di Roma, alla cui ferrea autorità, al cui dominio infallibile, al cui tipico imperialismo, residuo del romano, egli si inchina. Ed allora noi dubitiamo anche della cattolicizzazione del Papini.
* * •
E mi spiego subito per non essere frainteso.
Considerando questi lati deboli della storia del messaggio di Cristo scritta dal Papini, riflettendo ad alcune manchevolezze dell’opera, vista sotto questo aspetto — poca vivacità nella spiegazione delle parabole, insufficienza dell’illustrazione del discorso sulla montagna, inferiorità del commento del « padre nostro » — a chi bene esamini viene il dubbio che questa letterariamente mirabile — salvo qualche luogo in cui anche Papini dorme — Storia di Cristo non sia la storia del messaggio del Cristo nei suoi primi istanti di vita suffragata dalla morte, — ma sia il documento della cattolicizzazione del grande scrittore.
Rotti i legami che trattenevano gli uomini nelle loro ipocrisie, spezzate le catene che impedivano alle bestie umane di dilaniarsi tra loro, spazzata dalla grande catastrofe ogni umanità, sconvolti i valori sociali ed affermati e proclamati solo quelli naturali, Giovanni Papini à avuto come tanti di noi il suo rabbrividimento. À vistò allora il Cristo venir nella sua gloria, fulgorante i malnati, ricos ruttore della società e l’à invocato....
Se non che l’amore tra questi disamorati figli d’Adamo è ben poca e piccola cosa e gridarlo dalle torri e diffonderlo nelle piazze e santificarlo col sacrifìcio è vano tra queste belve che si odiano. Occorre la spada ed il fuoco: l’autorità dell’impero, la derivazione divina del potere, la violenza codificata in legge, apparentemente pura. Ecco la Chiesa cattolica, stavo per dire ecco l’impero di Roma. E Giovanni Papini à accolto questa tavola di sicurezza con gioia, come raccolgono ormai tanti altri. Tra tante violenze à scelto quella che à l’aspetto più saldamente immortale.
Se in essa egli trovi la sua pace, io che l’amo sarò lieto: ma temo che al sub spirito, ricco di assolutismo, che vede il pericolo dell’accettazione dei valori sociali c ne diffonde... il bisogno del respingerli in tante belle pagine, non venga meno il lieve filo che lo tiene c non si elevi ancora davanti il cozzo fatale tra il messaggio del Cristo e la vita quale la concepisce il cattolicismo, l’ùnièó che a quel messaggio à reso possibile la vita nella sola forma umanamente accettabile, della concezione pagana.
Allora la cattolicizzazione non resisterà, perchè non prodotto di fede assoluta, ma di fede relativa ed egli ritornerà con coloro che volgono al Cristo gli occhi desiosi, sorridendo di tutti i sedicenti Cristiani che lo tradiscono, e, consci che nessuno potrà mai , ottenerne l’avvento nella divina anarchia del mondo di pace e di fraternità deificato, tentano da lungi seguirne tra mille manchevolezze le pure orme, chiedendo da Lui la Via e la Vita.
Giovanni Costa;
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L’“ESSENZA DEL CBISTIANESIMO” SECONDO E. BUONAIUTI
In due conferenze tenute nella sede del Circolo di studi storico-religiosi E. Buonaiuti à esaminato ed esposto ad un pubblico numeroso quanto scelto, il problema dell’«essenza del Cristianesimo» secondo le sue vedute.
Nella prima conferenza, dopo alcune considerazioni metodologiche, il B. si è proposta la questione da risolvere nel seguente modo: che cosa hanno di comune le diverse e varie manifestazioni dell’esperienza religiosa cristiana per poter tutte egualmente insignirsi del nome di cristiane? In che modo deve definirsi quel Ìuid, grazie al quale, uomini così diversi ra loro come S. Tomaso e S. ¡Francesco, Clemente ed Ignazio, Ireneo ed Eusebio furono c si dissero tutti egualmente cristiani? Due soluzioni affatto opposte fra loro sono state finora proposte.
Harnack riduce l’essenza del cristianesimo ed un fatto di conoscenza. Cristo ha insegnato agli uomini che essi son tutti figli di Dio, che Dio è il loro Padre comune, che il suo Regno consiste nella pratica dell’amore e della giustizia, che esso comincia ad attuarsi nel cuore di chi pratichi giustizia ed amore. In questi semplici lineamenti, secondo Harnack, consiste l’assenza del messaggio cristiano: tutto ciò che la storia del cristianesimo vi ha aggiunto poi in venti secoli di sviluppo non è che deviazione c deformazione del l’esperienza cristiana primitiva. In contrasto con lui, Loisy vede l'essenza del messaggio cristiano nell’annuncio della prossima venuta del Regno di Dio in terra: nella speranza escatologica, quindi, e cioè in un’esperienza sentimentale. Il successivo sviluppo storico del cristianesimo è la neses-saria, legittima, pienamente giustificabile serie degli sforzi con cui la speranza escatologica seppe mantenersi in vita attraverso i secoli. Così, mentre nella storia del Cristianesimo Harnack vede un decadere progressivo dell'essenza primitiva di quello. Loisy vede il propagarsi e crescere continuo c necessario di un primitivo impulso vitale,.
Bonaiuti rigetta tanto l’antistoricismo di Harnack, quanto lo storicismo integrale del primo Lòisy (quello di ¡'Evangelo e la Chiesa) al quale obbietta acutamente, che
riponendo l’essenza del Cristianesimo nella speranza del R.egno, non sa poi spiegare perchè il Cristianesimo continuasse ad esistere anche quando quella speranza venne meno.
Nella seconda conferenza il B. à affrontato direttamente il problema postosi, tentando di risolverlo secondo le proprie idee. Egli à premesso la constatazione del fatto che il messaggio cristiano viene annunciato ad Israele nel momento in cui questo sentiva gravare sul collo più pesante che mai il giogo di Roma e vedeva fallire tutti i tentativi di ribellarglisi armata mano: allora l’anima profonda del popolo ebraico espresse da sè il genio sublime che, contro la potenza armata degli oppressóri, bandì l'inerme rivolta della speranza nel prossimo avvento del Regno. Il messaggio cristiano consiste essenzialmente in un capovolgimento radicale di tutti i valori allora correnti; valori culturali, col dichiarare che nel Regno non entreranno se non coloro che saranno semplici come fanciulli; valori economici, col dichiarare che dal Regno saranno esclusi tutti coloro che a-vranno ricevuto la loro consolazione quaggiù; valori politici, col professare la più assoluta indifferenza e il più radicale disprezzo verso l’organizzazione ed i poteri dello Stato. Questo capovolgimento radicale di tutti i valori è inseparabile dalla speranza escatologica, cioè dalla speranza nella prossima venuta del Regno, nella prossima instaurazione in terra di un perfetto equilibrio di felicità c virtù da attuarsi per intervento soprannaturale di Dio Padre. Il capovolgimento di tutti i valori non è concepibile che in vista del Regno, ed esso stesso è il primo principio della sua attuazione. A sua volta, la speranza nel Regno esige la fede in colui che del Regno è il banditore ed ecco il terzo elemento necessario del primitivo messaggio cristiano, la fede in Cristo concepito prima come Maestro, poi come Signore, poi come Redentore. Transvalutazione di tutti i valori, aspettazione escatologica, fede nell’Annunciatorc del Regno di Dio, che, come tale, avrebbe avuto il primo posto nel Regno stesso, sono i tre elementi caratteristici del messaggio cristiano, il quale polarizza gli spiriti verso il futuro e li accende di una immensa fiam-
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NOTE E COMMENTI
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ma di gioconda fiduciosa aspettazione. A questi tre elementi Paolo aggiunge un quarto ed ultimo non meno essenziale: la concezione della Chiesa come corpo mistico di Cristo, di cui ciascun fedele è un membro vivente.
Costituitasi, la società cristiana si lancia pel mondo a propagarvi la buona novella, staccata dal mondo, in quanto non accetta niuno dei valori in cui il mondo ripone il pregio della vita e, insieme, operante nel mondo, in quanto promuove queirinterna trasmutazione per cui di colpo impallidiscono i valori mondani e risplendono i valori assoluti, trasmutazione che si attua non già con la fuga materiale da) mondo e con il materiale distacco dai suoi valori (come per l'ascetismo pagano), ma con un atto di interiore rinascita. Gli è perciò che il cristianesimo antico non è ascetico; l'ascetismo mira alla rinuncia come ad un ideale e non la rag: giunge che attraverso la lotta più aspra contro i desideri sensibili e la fuga dal mondo, mentre il cristianesimo l’attua di colpo attraverso quell’atto unico di transvalutazione dei valori per cui il mondo scolora agli occhi del fedele che viene introdotto in una cerchia di nuovi e superiori valori. Perciò il cristianesimo prim:t:vo è un messaggio di speranza e di gioia- L’ascetismo s’introduce nella società cristiana quando questa, con Costantino, da società di minoranza divenne società di maggioranza: l'ascetismo fu un rimedio al mondanizzamento della società cristiana. La società moderna ha rimesso in seggio tutti i valori che la società cristiana aveva negati, onde al cristianesimo} non si aprono oggi che due vie di salvezza: o un ritorno di tutte la società cristiane al primitivo messaggio, adulteratosi attraverso i secoli, o. nel seno stesso di essa, alla formazione di nuove sette ascetiche che. resistendo al progressivo mondanizzamento della Chiesa, terranno alti i valori genuinamente cristiani.
• * •
Un interessante profilo del Buonaiuti è stato scritto dal nostro chiaro collaboratore A. Tilgher. nel Tempo del 23 aprile, con molto amore e con l’acume che distingue il colto scrittore. Egli ne ha messo in luce il pensiero con molta evidenza ed ha concluso così: «Combattuto aspramente dalla Chiesa e dai filosofi razionalisti, cui rimprovera di risolvere l’esperienza reli
giosa in un atto di conoscenza dell’individuo finito e di riporre nello stato il termine supremo dell'attività umana, Buonaiuti è oggi in Italia una forza possente, che, pel calore di vita e di fede che spande intorno a sè. ogni giorno più cresce e si afferma ».
ANCORA SULLA LETTERA DI TANCREDI CANONICO Ill.mo Signor Direttore,
Alla Sua ben nota cortesia e scrupolosa imparzialità, affido la pubblicazione di queste poche linee in risposta alla nota alla lettera di Tancredi Canonico (Bilychnis, pag. 122 del fascicolo di febbraio).
Non pongo in dubbio l’autorità del sig- A. Begey, quale interprete del pensiero di Tancredi Canonico; ma la di lui sicurezza mi obbliga a rileggere il periodo della lettera di T. C. così come l’ho trascritto (pag. 27 del fase, di gennaio):
« Vedevi allora tremare tutti i governi d’Europa dinanzi ad un uomo che non era poi, anzi a’Ioro occhi, se non un principotto da nulla, e riconoscevi la potenza invincibile del vero trono di G. C. contro di cui non fanno prova gli sforzi delle potenze terrene».
Si deve leggere « tono », dice il signor Begey: ed io senza difficoltà potrei arrendermi all’autorevole giudizio ; ma voglio dimostrare che « trono » non è un non senso.
« Tono volle dire il Canonico — insiste il sig. Begey — tono di Gesù Cristo, che è il tono d’amore e di sacrifìcio mostrato dal Cristo sopra la terra e che ha vinto il male. Domando: E allora (ah, i non sensi!) che bisogno avevano i governi d’Europa di tremare dinanzi a quell’uomo che rappresentava il tono d’amore e di sacrificio del Cristo? Non vuol dire il Canonico e non dice chiaramente che, in un felice momento, fu dato di riconoscere in quel « principotto da nulla » la potenza del vero trono di Cristo (la Chiesa?)? E gli sforzi delle potenze terrene fanno prova contro il tono di amore e di sacrificio del Cristo o non, piuttosto, contro la Chiesa, trono, dirò così, visibile e materiale del potere del Cristo?
Il pensiero del Canonico procede per analogia e per contrapposizione; e, per le leggi dell’analogia e della contrapposizione, ho creduto e credo che, per Io meno, si possa leggere « trono ». senza cadere in un non senso.
Con ringraziamenti ed ossequi Milano, 30 marzo 1921.
dev.mo
Augusto Vasconi.
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ETNOGRAFIA
Arte popolare. — Vi è, in Italia, un gran risveglio per l’arte popolare. Dopo la circolare di Arduino Colasanti sull’arte paesana, che accolse consensi d’artisti e di archeologi, e sollevò insieme dissensi di c itici, ècco l'invito diramato dalla rivista La Fionda agli studiosi che coltivano l’amore per rumile arte, per questo segno della nostra nobiltà antica. Radunare le forze dei competenti e fermare in una collana di volumi la conoscenza di quanto ha prodotto l’arte del popolo in Italia, far conoscere al paese i suoi antichi valori sperdutiocelati e raccogliere in una « Bottega ■ le più caratteristiche espressioni del genio plebeo: scultura e intagli, merletti e stoffe, monili e stoviglie, mobilio e metalli lavorati, significa promuovere lo sviluppo di quelle produzioni d’arte che meritano di essere messe in valore, salvare Snelle industrie popolari che si vanno perendo, ridare all’arte nazionale motivi di pura bellezza e far conoscere tesori ignoti eh e sono la poesia e la civiltà di nostra gente. Adolfo De Carolis, il maestro della pittura e dell’incisione, che nell’arte luminosa gettò i sogni della sua anima contemplativa, traccia le linee generali del programma di tale lavoro e studio, che raccogliendo i nostri fiori agresti, la bisaccia fiorita, il coltello inciso, lo strumento musicale, i vari segni di amore e di fede dei popolani, dei contadini.dei pastorie degli artigiani, mira a far tornare in onore quell’arte che d’umiltà vesluta, costituisce la nobiltà millenaria delle nostre case (La Fionda, agosto 1920). Ma se Adolfo De Carolis pittore, guarda ¡ piccoli oggetti decorati, scolpiti o colorati da inculte mani plebee con rocchio dell'artista, che cerca nelle figure e nei disegni i riflessi dell’anima ingenua
E FOLK-LORE
che, davanti ai mirabili fenomeni della natura e nelle emozioni del vivere e del convivere, si esalta o s’abbatte ed erompe in molteplici forme di gioia e di dolore, e non indaga d’onde vengono e come si formano * e si svolgono i fregi ornamentali e le figuie simboliche che il pastore incide o abbozza con la punta del coltello o a fuoco, a incavo o a rilievo, sul legno, sul corno, sull’osso, sulla canna, nella creta, per risalire alle origini del fatto artìstico; questo, invece, tenta di fare Piero Jahier nella rivista « Dc-dalo» (anno I, fase. 2“) indugiandosi su alcuni esemplari di « Arte Alpina », che rivelerebbero il duplice carattere dell’arte popolare, e cioè, pratico e religioso. « Pratico: nella montagna le bestie che sono la ricchezza si perdono e si confondono ai pascoli; le case rimangono aperte e vuote intere giornate; il burro si fa in comune. Di qui la necessità di intagliare i collari degli animali, gli arnesi e gli stampi per identificare la roba propria... Religioso: il montanaro vive in mezzo ai pericoli: la valanga, il fulmine, l’inondazione, la cascata di pietre, la montagna tutta quanta Sii mette terrore perchè la crede popolata a spiriti malvagi e inaccessibile ai mortali.
Qual miglior garanzia contro tutti i pericoli che marcare le cose coi segni del più forte c .più buono tra gli spiriti superiori che è il Dio cristiano, compagno dell’uomo ? » A questi due fattori Antonio M araini vorrebbe aggiunto il terzo, quello sociale, come si rileva da un brano della sua relazione sull'arte paesana al Congresso Archeologico {Tribuna, 20 ottobre, 4» edizione n. 252), in quanto, nella campagna, dove è istintivo il sentimento della « solidarietà di razza », ciascuno « tende a ripetere nelle circostanze salienti della propria vita quel
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RASSEGNE
cerimoniale di doni e di costumi già praticato dai padri. Fidanzato, donerà alla promessa una stecca da busto graffita dalle sue mani a ornati che rappresentano pegni di fede nuziale: sposa, indosserà delle acconciature che nell’attesa ignara avrà tessuto o ricamato con le sue dita. E così si perpetuerà nei tempi tutto un ciclo di riti che congiungono Parte ai sacri affetti domestici ». E ovvio dire che questo terzo fattore è compreso negli altri due, in quanto il rito e il costume appartengono alla vita di relazione e a quella religiosa, allà pratica e alla fede.
Non meno importante è la quistione dell’origine dell’arte popolare, che Ugo Oietti cerco di prospettarej in un articolo del Corriere della Sera (L’arte in campagna), e che Piero Jahier riprende, avvalorandola di nuovi dati, e cioè che l’umile arte altro non è che una imitazione e, talvolta, una degenerazione dell’arte colta. Non credo che questa idea sia esatta. « Questo concetto venne suggerito ai critici dell’arte dai critici letterari, i quali nella storia dei canti popolari avevano potuto riportare molte versioni e varianti di canti plebei delle differenti regioni della penisola a pochi tipi aulici di antiche età. Cosicché sulla base dei richiami e dei confronti, fu Sossibile ricostruì’e la genesi d’uno stram-ottood’uno stornello, d’una leggenda poetica o d’un canto; e rintracciare talvolta, persino il primo concetto, la prima forma, il primo autore, cui il popolo nostro attuale sarebbe debitore delle sue melodie. Nonostante ciò rimane sempre la vera poesia plebea, che è opera di folle e d’inculti esseri umani, e che non ha richiami, non confronti aulici, storici, letterari; e che pertanto non deve la sua paternità originaria nè a Ciullo, nèaGuittone, nè a Folgore da S. Ge-mignano. Lo stesso accade nel campo dell’arte grafica dei pastori e dei contadini i quali sono portati talvolta ad imitare qualche figura dell’arte nobile e colta. Questo fatto non può permettere di asserire e di affermare che tutta la varia e complessa arte popolana e campagnnola sia imitazione di quella civile e sacra, delle reggie e delle chiese. Finché non sarà scoperto il modello classico od aulico che il contadino della collina bellunese avrebbe imitato nel costruire il giogo dalle composto forme architettoniche, c quello che avrebbe suggerito al contadino di Mei la scena della fuga in Egitto, che egli scolpì sull’omero di un bue, non possiamo persua
derci dell’osservazione di Piero Jahier sull’influenza educatrice del gusto montanaro venuta su dalla splendida arte colta della piana. Pur volendo imitare le statue e le figure .sacre che gli offrono la chiesa del villaggio e del convento, il pastore si rivela originale e naturale nell’idea, nello stile, nella esecuzione. La Madonna del Rosario incisa sul corno da un bifolco sardo, pur riproducendo il modello iconografico di Ìiualcne tempio cristiano, dimostra la in-antilità dell’artefice, che ha la mano incerta, la linea imprecisa, il tocco grossolano... Il pastore, il contadino, e in genere l’abitatore dei monti e delle valli, nel grande silenzio della natura selvaggia, lavorano seguendo il proprio pensiero e non calcando modelli. Essi portano e trasfondono nell’opera le reminiscenze di ciò che hanno udito, i ricordi di ciò che hanno veduto, trasformati dalla fantasia che li colora e li idealizza» (R. Corso « L’arte dei Pastori » La Fionda, ottobre 1920).
Canti popolari calabresi. — Se le raccolte e gli studi di arte rustica sono nuovi e recenti, quelli di canti popolari sono vecchi, vecchissimi. Non vi è regione che non ne abbia a centinaia, composti con criteri differenti: per vaghezza letteraria o come contributo alla storia dei componimenti letterari, con metodo filologico o con fine psicologico. A quest’ultimo si attiene Stanislao De Chiara nella raccoltina di strambotti calabresi inserita nel suo recente libro di non grossa mole e di non grave erudizione : « La mia Calabria ». (Milano. -Quinticri. 1920). Il titolo è l’espressione più viva del contenuto, e ci dice con quanta tenerezza di figlio devoto lo scrittore si fermi sullo stato della sua regione, sulle ricchezze e sulle bellezze naturali ed etnografiche di quel-paese che dall’altipiano silano si estende alle costiere tirrenica e ionica, formando una delle più leggiadre maraviglie del paesaggio italiano.
A ritrarre l’anima fiera e generosa dei Bruzi o degli attuali nipoti dei Bruzi, il De Chiara si serve di un buon numero di strambotti nella duplice forma d’amore e di sdegno, d'estasi e di gelosia, d’affetto e d’odio. Egli che vari anni fa illustrò figure e paesi della regione calabrese, che compariscono nella Divina Commedia e che mise a contributo il vernacolo di questa estrema parte della penisola a meglio intendere il senso oscuro di alcuni passi del poema, lascia da banda il commento filologico e
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storico, per attenersi a quello psicologico. Se il primo avesse voluto lare, chi sa quanta luce avrebbe apportato all’interpretazione dei canti plebei. Lo fa supporre il raffronto che egli istituisce nel Marzocco (24 ottobre 1920 fra due documenti, uno popolare e l’altro aulico. Come il tenue Catullo invita il suo amico Fabullo a cena, esortandolo a recare una lauta cena e il sale e il vino, cosi l’anonimo popolano di Cosenza invita a pranzo il compare, pregandolo di portare quale contributo il pane, il sale e il vino:
Vieni cumpari, domani li ’mmitu : Pòrtati pani, cà lu miu è mucatu; Pòrtati vinu, cà lu miu è acitu; Pòrtati 'a seggia, cà la min è scacciata; Pòrtati sali, cà lu miu è finitu.
Da tale parallelo qualche critico letterario, di quelli usi a giudicare le cose dall’apparenza e non dalla loro sostanza, potrebbe inferire la derivazione del canto plebeo da quello catulliano. E, secondo me, cadrebbe in errore, perchè l’analogia dei due inviti, quello catulliano e quello popolare, si riduce alla menzione del vino e del sale; ed essa non è tale da dimostrare o far ritenere come sicura la discendenza della versione vernacola da Quella latina. Sostenere questo concetto significa fabbricare sull’arena. E’ da supporre invece, che tanto l’uno,- quanto l’altro carme siano rampollati da una identica condizione di fatto e di costume, e cioè da quella per cui, in vari luoghi, l’amico invitato contribuisce odeve contribuire, per onesta cortesia, con doni e regali di commestibili al pranzo offertogli. In Calabria non mancano gli esempi, e qualche ricordo è nei contratti nuziali antichi della provincia di Cosenza laddove sono registrati i « donora » che parenti ed amici invitati apportano nella casa dello sposo o della sposa. Onde poi, il detto che l’invitato a pranzo, e special-mente al convito nuziale, non debba presentarsi a mani vuote.
Folklore ed archeologia: la vita dei Liguri. — Gli ultimi a riconoscere l’importanza del «folklore» per l’interpretazione dei documenti e dei monumenti antichi e antichissimi sono stati gli archeologi italiani; ed ancora qualcuno tra essi, tenace conservatore, guarda con ironico sorriso al le molte raccolte di arte e di costumanze popolari: quasi che queste appartengano al campo delle curiosità storiche e tra
dizionali e non a quello della scienza, che delle tradizioni volgari si serve per ricostruire e intendere riti, cerimonie, credenze delle gent; ormai tramontate dal regno della storia. Purtuttavia non mancano studiosi che mettono a profitto dell’archeologia storica e preistorica le bricciche folk-loriche o demopsicologiche, che sono in tanto onore in Francia e in Germania, in Inghilterra e in America, nella Scandinavia e perfino nella classicissima Grecia. Il libriccino che Arturo Issel (Tra le nebbie del passalo. Bologna, Zanichelli, 1920) dedica agli antichi laguri ne offre un esempio. Servendosi dei risultati degli scavi, delie oscure leggende conservate dagli scrittori, il benemerito paleontologo espone in forma narrativa la vita di quei popoli che, tardi nipoti dei cavernicoli cacciatori di mammut, occupavano in tempi lontanissimi la riviera di ponente. Rivivono nelle sue pagine alate e colorite le consuetudini di forza, di amore e di fede: la caccia agli orsi e il matrimonio per ratto, la costruzione delle capanne e l’ospitalità, i riti natalizi e gli scongiuri contro i geni del male e le male arti degli stregoni, la lotta fra tribù e tribù, le cerimonie funerarie. Quelle antiche stirpi somigliano nel regime di vita ai selvaggio ai semiselvaggi che nell’epoca nostra si trovano in varie parti dei continenti asiatico, africano, americano e australiano. Esse vanno coperte con le pelli degli animali uccisi, passano a guado tratti di acqua e di mare, servendosi per la navigazione di burchielli e zattere formati da otri; praticano i sacrifici, che rivelano tracce di offerte umane: avviano il traffico mediante permute, cedendo, in cambio di altri oggetti, pani di cera, favi di miele, pelli di animali, e come i montanari liguri attuali, si cibano poi di chirotteri e di piccoli serpenti; e simulano nelle nozze il rapimento della sposa. *
Apparizioni e reliquie di morti in guerra. — Giuseppe Bellucci nel recente studio I vivi ed i morti nell* ultima guerra d’Italia (Perugia, Unione Tipogr. Cooperativa 1920), fa la seguente considerazione: « Il folklore di guerra - egli dice - ci ha insegnato, che sui campi di battaglia possono verificarsi radunate numerosissime di anime di morti, non solo di morti in combattimento, ma di morti lontani, fatte accorrere in soccorso dei combattenti ». Veramente le leggende relative agli eroi risorgenti dai campi di battaglia apparten-
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gono a tutti i tempi e a tutti i luoghi, e formano uno degli elementi più caratteristici e romanzeschi dell’epica dell’umanità antica e presente.
Il folklore della più grande guerra moderna non ci avrebbe pertanto insegnato più di quello che ci avrebbe detto la tradizione delle battaglie e delle imprese dei tempi passati. Ad ogni modo, tali leggende non hanno a che vedere coll’uso dei talismani e degli amuleti; e mi pare sia errore il voler riportare questi e quelle all’idea della risurrezione delle anime dei morti. Questo principio animista, che non è veramente primitivo, ma secondario nello sviluppo della mentalità umana, e che è il fondamento del ciclo leggendario, che immagina un esercito di morti a fianco ad un esercito di vivi nell’ora tragica del combattimento, non può spiegare l'uso degli amuleti formati con reliquie di morti e di morti in guerra. Lo « spirito del defunto » non passa nel vivo per via dell’amuleto; ma questo, secondo il pensiero magico primordiale, ha in sé la forza di neutralizzare l’effetto malefico prodotto da qualsiasi fatto o causa. E ciò in virtù dei principii della contiguità, della analogia e del contrasto, per cui il simile agisce sul simile, attirandolo o respingendolo a seconda dell'intenzione odell'applicazione (rito magico) dell’agente o dell’operatore.
Il concedo che l’esS'nza del ir orto, si chiami spirito o anima, sia inerènte al corpo o persista in tutte le più piccole reliquie scheletriche o organiche, o si annidi in ogni frammento di abito o d’ornamento indossati dall’istinto, è vecchio quanto le teorie • maniste » richiamate in vita da Erberto Spencer a spiegare l’origine del culto dei morti. E per quanto vecchio, esso è inconciliabile col magicismo del Frazer e della sua scuola antropologica, dei principi elementari della quale il Bellucci si mostra appena edotto ed informato.
Psicologia degli antichi Egiziani. — Un importante capitolo sulla psicologia dell’antico Egitto scrive negli Atti della li. Accademia, delle' Scienze di Torino (Voi. LV, 1919-1920), Giovanni MarrO, che fa parte della Missione Archeologica Italiana, diretta da Ernesto Schiaparelli. Esaminando le pitture, le statue, i bassorilievi, egli mette in evidenza le caratteristiche fisiche c psichiche del vecchio popolo del paese nilano; facendo osservare da una parte quanto poco accentuati siano i carattcri differenziali fra lo scheletro fanciullesco, e giovanile e quello dell’adulto, e quanto attenuati siano i caratteri sessuali positivi; e richiamando l’attenzione, dall’altra, sulla credulità e l’immobilità psichica, che sono l’espressione dell’anima infantile. La coincidenza fra l’infantilità somatica e quella psichica dell’uomo egiziano è perfetta. L’abitante delle « Due Terre ■ crede che, secondo le teorie cosmografiche e antropologiche dei suoi tempi, il primo essere umano fosse stàio creato nelle regioni del Nilo, centro del mondo: e crede anche che il «doppio» che dagli artisti è riprodotto nel fiore dell’ età, contenga in sè gli elementi vitali del defunto. Queste due credenze influenzano l’arte, poiché le pitture c le sculture egiziane ritraggono nel tipo locale i caratteri somatici superiori, differenti e distinti da quelli dei popoli inferiori, barbari, vinti o coloni; e ispirandosi poi, ai concetti tradizionali della vita, immobilizzano l’arte grafica e scultorea nel ritratto del defunto e nelle pose ieratiche dei personaggi.
Il modello antropologico dell’Afrodite di Cirene. — A spiegare le forme maschili della Venere cirenaica, che si ammira nel Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano, gli archeologi sono ricorsi a varie ipotesi, tra cui quella della conoscenza del nudo maschile diffusa negli ambienti artistici dell'epoca del monumento. All’archeologia, che tentenna nella scoperta del mistero della statua acefala, viene in sussidio la scienza antropologica, la quale col dottissimo, profondo saggio di Sergio Sergit « L’A f-odi te di Cirene», Riv. di Antropologia, XXIII, 1920) dimostra che l’anonimo artefice, sottraendosi ai dominio dei canoni che s’imponevano nella scultura della sua epoca, prescelse e modellò un tipo locale, una creatura molto giovane, assai precoce nel suo sviluppo, uno di quei tipi di donne libiche bionde che Callimaco ricorda nell’atto di ballare cogli uomini, di alta statura, macrosomatiche, abitanti tuttavia le regioni mediterranee dell’Africa e che si possono osservare nell’Egitto, tra i Fella.
Il pensiero religioso di alcune tribù africane. — Due stu ' osi inglesi, un missionario e un armigero, Ed ovino IF. Smith ed Andrea Murray Date, dopo tredici anni di osservazione e di collaborazione, offrono agli studiosi di etnografia il frutto
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del loro lavoro nel mondo coloniale africano, e precisamente nella Rodesia settentrionale, ove vivono le popolazioni parlanti la lingua Ila. (The Ila Speaking Peo-ples of Northern Rhodesia, i e 2 voi., Macmillan, Londra, 1920).
Secondo una delle varie etimologie proposte, il nome Ila. derivante dal verbo c zhila » che significa tabù, designa non un territorio o una regione, ma un complesso di stirpi e di tribù (Baila, Bambo, Balundua, Bambala, Babula, Batema, Basala, Batua, Balumba) dai vicini dette .dei Basciucu-lompo e Masciucumpo per le acconciature alzate o spinte all’indietro.
La materia trattata dai due osservatori è vasta e molteplice, non evendo trascurato un angolo della vita popolare di quelle genti. Essi seguono nella caccia, nella pesca, nella guerra, nel lavoro agrario e nelle officine gli inculti Ila, dando notizia delle loro attività, dei mestieri, del modo con cui fabbricano armi e arnesi in ferro, in legno, in avorio, in creta, in cuoio; delle prescrizioni e delle pratiche medicinali e chirurgiche, delle nozioni anatomiche e fisiologiche, dei concetti e delle rappresentazioni cosmografiche e cosmogoniche, delle malattie e degli amuleti, ri-ritraendo tipi di stregoni, di indovini, di profeti, di medici. Essi penetrano nelle capanne e nei recinti sacri, scrutando in ogni atto la vita intima, studiando in ogni cerimonia quella ’ religiosa; rivelando riti di iniziazione e di passaggio, e fermandosi Sarticolarmente sull’organizzazione sociale, alla famiglia, a base poliginica con residui poliandrie!, al clan c alla comunità: sulle varie regole riflettenti gli atti illeciti e quelli illegali, le norme di buona creanza e di cortesia; i sistemi processuali e penali-Nulla è omesso di ciò che la società Ila etnograficamente presenta allo sguardo dei due stranieri: come non sfuggono al-, l’indagine dei visitatori le tradizioni, le leggende, i proverbi, gli indovinelli, i canti, i vernacoli di quelle popolazioni del continente nero.
La concezione religiosa degli Jlapoggiasul dinamismo. Secondo lo Smith, questo termine è preferibile ai due comunemente adoperati dai teorici della scienza delle religioni, e cioè a quelli di magia e feticismo, perchè designa e comprende meglio di ogni altro, la credenza in una forza impersonale, misteriosa, che talvolta si personifica, s’incarna, s’individualizza. Tale forza o energia è, per sua natura, neutra: ma
Suò diventare benefica o malefica per opera elio stregone, che la manipola, la produce, la incanala a suo divisamente. L’io, nel pensiero del selvaggio della Rodesia, è complesso, come quello concepito dagli Egiziani antichi. Esso è composto di più elementi, che portano i nomi di « mozo », di « cian-gule >• di « sciu », di « musedi », di « izhina », corrispondenti ai termini egizi cab», «hai-bich », « ba », » ka ». « Ram » Lo spirito o l’essenza vitale che domina il corpo, e segnata -mente alcuni organi (capo, genitali, ecc.) può passare in altri esseri, e mediante l’influenza del mago può anche trasformarsi in demone. L’uomo non muore, sebbene gli sia negata la resurrezione corporale. La morte in origine era sconosciuta.
Questi concetti elementari mentre da una parte ispirano i riti funebri, che sono in correlazione con l’idea dell’al di là, con la sua ubicazione e con la metamorfosi, la metampsicosi e la reincarnazione, dettano i fondamenti della credenza nel divino.
Gli Ila ammettono varie specie di spiriti, che con titolo generico chiamano « basangusci » o popolo trasformato o mutato in virtù della metamorfosi, e che particolarmente prendono i nomi di « muzhi-no » quando hanno la possibilità di trasformarsi in enti divini; di « mazua », « tu-zua », « basciscazua », quando cadono in Sossesso delle streghe; di « tujobela » quan-o si liberano dall'attrazione stregonica; di « tunciainja », quando son cattivi; di « mu-talu » quando son vendicativi; di « besei-tuta », quando vivono nei luoghi silenziosi, e di « malendela » quando- sono coraggiosi.
Il muzhino» che è lo spirito «basangusci» oggetto di adorazione, si presenta in varie forme, che si raggruppano in tre classi di divinità, di cui* una dei geni personali, un’altra dei mani o spiriti aviti e parentali, che tutelano la famiglia; e -la terza degli enti che presiedono alla salute del villaggio. Questi ultimi comprendono insieme coi lari e coi semidei, le grandi divinità, di cui il capo supremo è « Leza », dio del cielo. Dal connubio di questo con « Bulongo », divinità della terra, si generano il grano e le altre cose.
Agli spiriti inferi e supremi, umani e divini, si fanno offerte, omaggi e riverenze; si consacrano luoghi che, coperti con tetti di paglia, assumono forma di tempii; si consacrano altari o « luanga » che servono ad attirare gli spiriti c a propiziarli; si de-
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dicano atrii, specie di recinti arborei, per richiamare e custodire gli dei cui è cara la prosperità del bestiame.
La descrizione dei fatti e dei costumi Ì»articolari non distoglie i due studiosi dal are considerazioni d’indole generale; chè anzi dall’osservazione dei 1 iti speciali nella forma viva e nella funzione sociale, essi traggono interpretazioni che hanno importanza di vere e proprie teorie. Cito un esempio. Contro la spiegazione razionalista o animista, essi notano che l’immolazione di schiavi o animali e la rottura di arnesi c utensili sulla bara o sulla tomba del defunto non hanno valore di offerte allo spirito, che dovrebbe avvalersene nel viaggio ultraterreno, ma servono a dimostrare il dolore dei superstiti, che nella cruda esasperazione, procedono a cerimonie cruente e terribili.
Questo carattere conferisce all’opera dello Smith e del Murray Dale un valore importantissimo nella letteratura etnologica odierna.
I re magi laziali. — Il volume Origines Magiques de la royaute (Parigi, Geutnner, 1920), che il letterato e. poeta. Paolo Giacinto Loyson offre in elegante veste francese, si può dire una parte della grande opera II Ramo d'oro, che diede al Fra ter fama, di teorico insuperabile del folklore. Esso si può dire ci riguardi quasi direttamente perchè discute in piena luce comparativa la vita e la figura religiosa dei re di Roma, portandoci col pensiero e sulla scorta dei documenti leggendari, fino a ieri negletti o vilipesi, nell’età preistoriche laziali. Il « Rex nemorensis » attraverso la successione dei personaggi che lo incarnano, rappresenta Virbio, divinità locale della quercia, sposo o amante di Diana, che presiede al boschetto di Àricia. I due personaggi celebrano annualmente nel silenzio del recinto arboreo le loro nozze al fine di render fertile la terra, di far rifiorire c rigermogliare le piante, e di allegrare i cuori umani nella speranza della nuova genitura. Le vestigia di questa mistica, rituale unione è nei leggendari amori del re sacerdote Ninna con la ninfa della quercia Egeria. I re latini che rappresentano ora il dio delle messi. Saturno, ed ora il dio della quercia, Giove, celebrano cerimonie di carattere magico atte a promuovere la prosperità, a far cadere la pioggia, a provocare tuoni e lampi. Nell'antica Roma il titolo reale è trasmesso per .via
femminile e il potere è conferito all’uomo che riuscito vincitore nell’ordalia atletica, sposa una principessa del sangue. Le traccio di questa ordalia sono nel « Regifu-gium », che sembra essere la sostituzione dell’immolazione annuale del re, come fa supporre la cerimonia dei re dei Saturnali eseguita dai soldati romani che al tempo di Costantino si trovano accampati sulle rive del Danubio. I nomi lupiter e Inno, Djanus e Diana, lanus e lana non sono che duplicati dovuti ài differènti vernacoli delle varie tribù, di Giove e Diana, che hanno per radice Di, ed in Zeus c nella sua antica sposa Diana i corrispondenti. Il re nemorense simboleggiante Giove do< vrebbe essere preceduto dal re saturnale perchè l’uno e l’altro rappresentano con le rispettive cerimonie religiose .due ci-v Ità, quella agricola e quella guerriera, che si sarebbero succedute nelle caligini del tempo preistorico, allorquando 1’ Italia era popolata di boschi e di foreste.
Questa ricostruzione delle istituzioni cerimoniali delle genti italiche primitive, che ebbero sede tra il Tevere e i colli, albani, è fatta non solo sull'interpreta-zioni dei testi antichi, ma anche col sussidio dei documenti comparativi, che portano il Frazer a rintracciare nelle odierne società inculte a semicivili, a tipo uguale a quello laziale antichissimo, istituzioni analoghe, per comporre la figura del monarca, evolventes! dal mago, il quale per le sue attitudini e per la sua attività, esercita nei gruppi umani di basso stadio una grande influenza, che poi diviene supremazia. Il mago predice l’avvenire, interpreta presagi e sogni, prescrive rimedi medicinali e chirurgici, ordina ed esegue cerimonie di pubblica utilità, regola lo stato dell’atmosfera, provoca la pioggia, promuove la fecondità delle piante, sistema è impone le pene. Al tipo primitivo del monarca mago su cede il monarca sacerdote e poi quello ispirato, col consolidarsi delle idee e delle istituzioni religiose. Por il selvaggio le divinità non sono che maghi invisibili, i quali sotto il velo della natura, preparano filtri e incantamenti. E come gli dei si manifestano agli adoratori in forme umane, così i maghi » possiedono dei mezzi atti a conferire loro poteri divini. Onde il principio della deificazione umana altrimenti detto dell’incarnazione di una divinità in spoglie mortali. Il mondo antico con la Grecia e la Germania, quello moderno con la Cina e il Giappone rappre-
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sentano questo tino di re, che più che il rappresentante della divinità, è l’incarnazione dell’essere celeste. Il mago è l’umile crisalide che, al momento opportuno, si apre per rivelare alla luce la fastosa farfalla: il re, il quale per le ricchezze accumulate, aumenta il suo prestigio e la sua forza. E a mano a mano che l’umanità si desta e che i riti magici non l’appagano, il mago lascia il posto al sacerdote, che rinunciando al tentativo di regolare direttamente i fenomeni naturali per il bene umano, cerca di ottenere lo scopo indirettamente, con l’invocazione degli dei. On-d’egli assume la veste d'intermediario fra il ciclo e la terra, fra l’uomo e l'ente divino.
Perchè la prima Roma è sorta sul Palatino? — A questa domanda il più alto rappresentante della paletnologia italiana, Luigi Pigorini, risponde nèìV Archivio storico per la Sicilia Orientale, (anno XVII), col far notare che fin dall’inizio dell’età del ferro, quelle tribù di terramaricoli pro-5rediti che sono i Prisci Latini, inoltran-osi nella valle del Po a sud dell’Appennino e giungendo ai sette colli sulla riva tiberina, pongono la loro sede sul sacro monte. E nel fare ciò, esse non mutano il tipo delle loro capanne, ma mantengono in uso il vecchio sistema delle palafitte, pur essendo venuta meno col passaggio dal piano ai colli la necessità che aveva suggerito loro questa caratteristica forma di abitazione.
Ciò non avviene a caso, ma intenzionalmente, • in ossequio al rito » e all’antico sistema costruttivo, che è inveterato e per ciò, difficile ad essere sradicato dalle abitudini e dalle consuetudini di quelle fami-Slie transalpine, che giungono in Ita-ia nella prima epoca del bronzo. 1 documenti non mancano a sostegno di questa ipotesi: la terramare di Montata dell'Orto nel Comune di Alseno (Piacenza), situata nel punto pianeggiante della cima di un collicello presso il torrente Stirone, conserva le traccie della palafitta, cioè le impronte delle punte dei pali, facendo pensare che VUrbs, d’origine terramaricola, dovette essere fondata con analogo metodo di costruzione. Lo fa supporre l’etimologia del nome Palatino, che secondo il Walde deriverebbe da « palus >, e che secondo il Pigorini allude ai pali ad alle palafitte, gli avanzi eisegj i dei quali è da augurarsi che vengano alla luce in nuovi scavi, che varrebbe la pena di eseguire nel sottosuolo vergine della prima sede della città romulea.
Tradizioni dell'agro vescino. — li popolo che ora vive nella contrada ove un tempo sorse la città di Vescia, alle radici del Massico, conserva secondo Nicola Borre Ili (Storia e Demopsicologia dell’Agro Vescino-Maddaloni, 1919), tutti i caratteri della latinità, che si perpetuano negli usi, nei costumi, nel linguaggio. Penetrando nella casetta della contadina o seguendo il villano nei campi, sentiremo designare con termini latini gli animali, la piante e le cose. Sentiremo appellare « matra » (mastra) la madia. « tiesto ■ (textum) il coperchio della pentola, < astilo » (bastile) l’asta della vanga, •« meta » (meta joer.i ecc.) la bica, « scorbo » (scorbs) la siepe, « stralla » (stra-g illuni ) l’erpice, « lavo » (labes) la macchia lunare, onde l’adagio meteorologico:
Lavo vicina, acqua lontana; Lavo lontana, acqua vicina.
Molte voci che il Borrelli crede esclusive o quasi esclusive della contrada, ch’egli studia non s< -se più da storico o da filologo o da demopsicologo, appartengono al vocabolario comune di altre provincie e contrade, alle quali sono anche comuni quasi tutti i pregiudizi e gli usi ch’egli accenna e tocca, senza fermarvisicovenientcmente. La latinità perciò, non è del contado vescino soltanto: essa è il fondo antico, lo strato sostanziale di tutte le civiltà regionali italiane. Basterebbero a dimostrarlo i numerosi lavori che, come quelli del Dorsa per la Calabria, del Rosa per la Lombardia, del Finamore e del Pan* a p r l’Abruzzo, del Colella per la Puglia, rilevano la continuità delle tradizioni mitiche, religiose, cerimoniali, linguistiche del mondo antico in quello volgare contemporaneo.
Uno sguardo agli studi di questi e di altri dotti, potrebbe far ricredere il Borrello in qualche sua opinione. Per esempio, il pallio ricordato dallo strambotto:
Vui punite lu pallio de le belle Io porto lu stendardo de l'amore!
non è il <■ pa'lium > o mantello di gala che le donne greche e romane indossavano aU’uscirc di casa, ma è il * palio » delle feste popolari che tuttavia ha il persistente esempio nelle celebrate corse senesi. Il pregiudizio della «carne allupata » di origine magica, va spiegato in modo differente da quello esposto dal demopsicologo vescino, che rimando al mio studio • La genesi d’un pregiudizio ■ (Rivista di Antro-
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potoria, XXII); e il rito per cui il poppante affetto da appetito smodato o fame da lupo si passa davanti alla bocca del forno ardente, è enunciato in forma incompleta e frammentaria. Mi spiego ricordando che nella Calabria e precisamente in qualche paese dei dintorni silani, la madre nel passare il bambino avanti la bocca del forno pieno di pane in cottura, dice in tono di scongiurò: « Saziati lupo: il forno è pieno! »
Il Borrelli che ha tante buone attitudini e forte cultura potrebbe rendere un vero ed utile servigio alla demopsicologia dell’agro vescino se, dissertando sui costumi e sugli usi, avesse la pazienza di raccogliere e di esaminare con cura e con acume di osservato; e e di critico, i canti, i proverbi, le leggende, le cerimonie, i molti e molti documenti della tradizione orale, trascrivendoli, in ossequio al precetto mul-leriano, « ipsissimis verbis ».
La leggenda di S. Tommaso Apostolo. — Nella notte dal 6 al 7 settembre del J915 il popolo di Ortona a Mare fu edificato dall’apparizione del « Lume di S. Tommaso ». che nella storia abruzzese ricorre ininterrottamente fin dai secoli xni e xiv. I popolani dicono che il martire apostolo, loro nume tutelare, suole venire in soccorso, allorquando un pericolo sovrasta, sotto forma di meteora luminosa. Ond’è che ora appare sul pinnacolo del campanile della cattedrale, ove si conservano le sue reliquie, ed ora si mostra sulle antenne dei navigli minacciati dalla tempesta. Giovanni Jfyinsa, che ha tanti titoli alla benemerenza della demopsicologia italiana, illustra la credenza popolari ricorrendo alla mitologia comparata e specialmente a quella dell’evo classico per rilevare che in essa sopravvive la fede nelle divinità marine che, come i Dioscuri, erano preposte alla navigazione. (« La leggenda di S. Tommaso Apostolo ad Ortona a Mare e| la tradizione del culto cabirico», Mélanees d’Archeologie et d'Histoire, • t. XXXVIII, 1920. Roma, Impr. Cuggiani, 1920). Ricordate i due astri luminosi seguenti il vascello di Lisandro e le due stelle che apparvero durante la procella minacciante gli Argonauti?
La credenza miracolosa, secondo il Pausa, si connette alla leggenda della traslazione del corpo di S. Tommaso Apostolo dal Co-romandel, luogo del suo martirio, nel-l’Egeo, e poi ad Ortona. Ma anche questa leggenda è d’origine mitica, rampollata
dalle tradizioni antiche, e probabilmente da quelle narranti della traslazione delle ossa di Teseo, di Ettore, di Oreste, di Edipo. Il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, con le continue sostituzioni di divinità a divinità, contribuì anche alla formazione leggendaria della traslazione del corpo deH’Apostolo, o meglio* all' adattamento della leggenda pagana in veste cristiana.
Il problema del totemismo. —Nonostante le molte teorie, una ventina circa, emesse dal 1791 ai 1916, il problema totemico rimane tuttavia insoluto. Qual’è la ragione?
Secondo il Van Gennep, (I.'etat actnel du problènic totimi que: Parigi, Leroux,xq2o. PP-6-393). l’etnografo che a più riprese si occupò con competenza ed acume della quistione, la ragione va cercata nel metodo, per cui’ gli studiosi ora giudicando genericamente, confondono 1 fatti secondarii con quelli primordiali, ed ora attribuiscono importanza ad alcuni speciali elementi, trascurandone altri.
Se il metodo, ossia lo strumento dell’indagine e dell’esame non è perfetto, la teoria non può nascere con salde basi. È un errore credere che il totemismo qual'è oggi nelle società degli incivili, quale è stato osservato dai viaggiatori e dagli interpreti degli anni trascorsi sia un fenomeno primitivo. Esso è invece un fatto evoluto, che ha antiche radici, forme e tradizioni arcaiche. Perciò nella sua valutazione occorre tenere presente l’importanza specifica dei variclementi.distinguendo mediante una vigorosa analisi comparativa, quelli veramente essenziali e primigenii e quelli secondari.
Gli elementi principali o fondamentali del totemismo possono ridursi a due, e cioè: i° l’idea della parentela fra un gruppo umano e una specie: 20 la vita localizzata in un determinato territorio ed ambiente di quel gruppo e di quella specie. La solidarietà umana, per effetto della convivenza continuata nel tempo c sul territorio sfruttato, coltivato ed abitato, assume la forma più ampia di solidarietà fraz l’uomo e la natura; onde il sorgere del-i l’idea, del sentimento, della superstizione x che fra l’essere umano e alcune specie vegetali o animali esista una parentela. Agli elmenenti essenziali, col tempo, si aggiungono altri elementi, altri fatti, che' sembrano a volte sostanziali e sono accessori: che son ritenuti primordiali e sono secondari. L’esogamia, tanto nella forma nega-
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tiva, quanto in quella positiva, erroneamente venne presa dai teorici per un fatto primigenio o naturale del totemismo. Essa è un’istituzione evoluta, che si sovrappone al concetto della parentela totemica, consustanziandosi con essa, per renderla più salda e più forte.
Dall’aver trascurato l’analisi del complesso fenomeno totemico, i varii e successivi teorici hanno formulato delle ipotesi più o meno unilaterali, più o meno comprensive, come quella individualista del Long, del Fletcher, del Hill Tout; quella zoolatria del Mac Leman; quella onomastica dello Spencer, del Lubbock, del Lang; quella magico-economica del Frazer; quella matrimoniale del Boas, ed altreche dimostrano la sagaci tà e l’ingegnosità degli studiosi e degli interpreti deil’etnografia del totem e del totemismo. Le correnti più avvalorate scientificamente in questo campo sono due, quella che nello studio dei fatti totemici prende come punto di partenza l’aspetto religioso, e quella che si ferma a considerarlo sotto l’aspetto sociale. Questa ultima rappresenta la tendenza recente, che ha nel van Gennep un assertore convinto e formidabile, e che parte dal principio che « il totenismo è un modo particolare, nettamente distinto, perfettamente vitale, di combinazione della parentela e della territorialità collettive, istituite e rese compiute al fine di risolvere il problema fondamentale di tutte le società ge-rali (tribù, città, nazione); come di mantenere la coesione e la continuità sociale malgrado il rinnovarsi degli individui, e la tendenza all’autonomia dei gruppi secondarii (famiglia, clan, casta, ecc.) e le crisi interne e le ostilità esteriori ».
Riti magico-religiosi degli Australiani. — La letteratura etnologica australiana è, fra le tante che son venute in fiore ai nostri giorni, veramente suggestiva ed importante. E forse, per questo duplice, carattere essa ha attirato, come attira, l’attenzione degli studiosi di scienze sociologiche, e sopia tutto di scienza delle religioni; i quali credono di scoprire o rintracciare nel suo campo i documenti della primitività umana, in tutte le forme, materiali e intellettuali; come i filosofi della storia del secolo xvm credevano di avere nel mondo dei così detti selvaggi americani l’immagine della innocenza adamitica, del puro essere antropologico, non corrotto dall’influenza della civiltà.
Lo studio accurato delle costumanze e delle istituzioni dei popoli più rozzi e più semplici dell’isola continente, e sopra tutto quello dei documenti mitici e cerimoniali, dimostra che la primitività australiana è una ipotesi; e che i riti e le credenze, gli usi e la cerimonie attualmente praticati hanno una storia. Essi non sono che un patrimonio tradizionale, trasmesso dalle antiche stirpi alle generazioni viventi, le quali talvolta non sanno rendersi e rendere ragione dell'origine e del carattere delle loro consuetudini di vita e della loro liturgia.
11 Loisy è di questa opinione. Esaminando nella Revue d’histoire et de murature religieuses (n. 1-4, marzo-dicembre 1920) la vasta documentazione messa ' insieme da accurati e metodici osservatori delle tribù del centro, del settentrione e del mezzogiorno dell’Australia, come lo Spencer e il Gillen, lo Strehlow e l’Howit, egli tenta di cogliere il significato originario che hanno i varii e molteplici riti riferentisi al totemismo, all’iniziazione sociale, ai morti. La materia è complessa, ed a rendere alquanto chiari i punti oscuri, lo studioso mette a contributo la psicologia comparata e la mitologia. La spiegazione di varii miti australiani, che non sono altro che tradizioni arcaiche, contiene non di rado il significato oscuro di molte costumanze e cerimonie.
I riti totemici sono eseguiti presso VArc-nanua, la caverna sacra che ricetta gii oggetti segreti o ceureunga, pervasi dal-Vtnineeua, o essenza protettrice. Il candi-dato,<Sadorno secondo le prescrizioni sociali, scende nella fossa appositamente scavata, d’onde esce, aiutato da uno degli anziani, che lo prende sulle spalle. A questa cerimonia, che ha tante varianti quante sono le tribù del settentrione e del mezzogiorno si aggiunge quella della « comunione » che consiste nel mangiare qualche parte dell’animale totem. Con tale atto i membri del clan dimostrano la loro partecipazione mistica o magico-religiosa alla natura del totem.
La varietà di questo è rappresentata dalla varietà dei gruppi umani, piccoli e grandi, che si reputano stretti e compatti, ognun per sè, in virtù d’un vincolo mistico, che subordina tutti i membri all’idea protettrice del totem. I riti che tendono a provocare la caduta della pioggia sono anche di natura totemica. Essi sono di competenza del gruppo che ha per totem la pioggia, e si svolgono con un cerimoniale al quale
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prendono parte due schiere, una di giovani e una di vecchi. Mentre questi s’incidono qualche vena per far sprizzare il sangue sul suolo, gli altri, con un grido onomatopeico, riproducente il rumore della Sia, esclamano: nga-nga. I vecchi, be-> a tratti dell’acqua intuonano il carme magico :
Sì, schiuma, diffonditi;
Sì, schiuma, spargiti.
11 Loisy opina che il misterioso e vorrei dire macabro rito del serpente Uollungua, il padre dei rettili, l’unico della sua specie, abbia lo scopo di arrestare il cadere della pioggia. Questa spiegazione pare confortata dai racconti mitologici e dall’esame del cerimoniale praticato dalle tribù Ulnuru e Kingilli, le quali eseguono, nella notte, delle solenni processioni attorno al simulacro del mitico serpente, che è poi con furia calpestato e distrutto.
I riti d’iniziazione non sono meno complessi ed oscuri di quelli totemici.
Essi o preparano dei maghi, ricorrendo all’influenza di spiriti buoni (iruntarinia) o a quella di spiriti cattivi (eringio,)’, o iniziano gli adolescenti alla vita virile, mediante una serie di atti e cerimonie, che si completano con Venguura, che rende agli occhi del gruppo definitivamente perfetto (urliara) l’uomo.
L’tfMguwra, che consiste in una serie di prove e di feste, le quali si possono prolungare per parecchi mesi, è preceduto da altre pratiche, tra cui principali e indispensabili la circoncisione, la subincisione, l’estrazione di un dente, l'offerta del rombo sacro.
La prima, che prende il nome di lartua, è complicata secondo il rituale degli Arunta, tra cui ha luogo dal dodicesimo al venticinquesimo anno e mira a rendere l’uomo più agile ed atto alle funzioni sessuali; la seconda, chiamata arilta, non fa che com-Sletare la circoncisione, mediante l’al-irgamento dell’uretra. L’estrazione del dente è ormai caduta in desuetudine, e rimane nella tribù di Uain, che suole eseguire il rito ora in un luogo sacro, ed ora in un luogo comunb.
La presentazione' del rombo sacro, o strumento celeste dalla voce divina, imitante il rumore del tuono, è l’argomento dell’ultima forma di iniziazione, che si osserva fra i Larakia e i Camilaroi nel settentrione, fra i Cepara nel mezzogiorno.
Gli australiani non hanno un vero e proprio culto dei morti. Essi hanno dei riti, che presentano dei rudimenti, dei principi, degli accenni alla religione dei trapassati; e tali riti consistono o ncll'inumare i morti collocandoli in posizione rannicchiata, come fanno gli Arunta; o nell’esporli sugli alberi, come praticano le tribù Ur.magerae Uarramunga; o nel mangiarli, come usano i Binbinga e gli Anula. Il rapporto fra i superstiti e gli estinti si crede continui fino al giorno della sepoltura definitiva, che ha luogo dopo la decomposizione del cadavere. Il tale epoca rinvolto macabro (cimiurlia-burumburu), contenente qualche reliquia scheletrica dell’estinto si seppellisce solennemente.
Non mancano tribù che offrono ai morti omaggi ed oggetti, come non mancano tri -. bù che concepiscono Fai di là come un'isola, d’onde il defunto tornerà per portare la pioggia; o che credono che lo spirilo vada ad abitare il luogo sacro totemico aspettando il giorno della sua reincarnazione. Ma questo non basta a dimostrare l’esistenza del culto dei morti presso quelle popolazioni, poiché l’insieme di questi riti non costituisce che un umile inizio della religione dei mani.
.Animismo. — La questione se la concezione « animista » dell’universo sia stata precedente a quella « dinamista » o alimenti « naturista », nell’evoluzione della mentalità umana, è una parentesi tuttora aperta nel campo della scienza delle religioni. Il Gilmore col suo volumetto (Animism, in 8° di pp. vin-250, Marshall Jones Co., 1919) ci porta alle origini del dibattito scientifico, tracciando in una lucida esposizione sintetica, il sorgere dell’idea di « anima » nella mente dell’uomo primitivo—■ che non sarebbe altro che l’uomo del periodo neolitico — e le varie rappresentazioni e concezioni che, a poco a poco, nel tempo e nello spazio, dànno impulso e forma alle differenti pratiche del culto dei morti.
•Per poter compiere le imprese che, con caratteri di azioni vere e reali, si svolgono nel sogno, l’anima deve abbandonare tem-Srancamente il corpo per recarsi altrove,
; altri uomini, in altri paesi. Questo ragionamento semplice ed elementare, che costituisce il presupposto di tutta la filosofia animista, contiene il germe della concezione della duplicità — spirito e corpo —della natura umana; onde poi, l’altra con-
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cezione della sopprav vivenza delio spirito alla materia, allorquando per estensione analogica il primitivo perviene ad ammettere che la separazione dell’anima non sia soltanto un fenomeno transitorio che si verifichi durante il sonno, ma un fatto durevole in quell'altra forma di sonno più profondo e indefinito che è la morte.
Perchè l’anima possa vivere ha/bisogno di speciali condizioni. Duplicato ael corpo, anzi miniatura del corpo (l’iconografia cristiana del medioevo presenta questo simbolismo!), essa è un organismo con funzioni, desideri, linguaggio, ed abita una casa e vive in società e gode di un determinato territorio. Di qui lentamente le rappresentazioni dell’altro mondo, che nelle mitologie popolari appare situato ora in un’isola remota ed ora su di una montagna, ora nell’abisso del mare ed ora ne! profondo del cielo; e simultanea
mente la religione dei mani che può avere forma apotropaica, deprecativa, propiziatoria.
Questo non è che un lato, una facies, o per meglio dire, una parte deH'animismo, il quale nella classica concezione del suo primo teorico, il Tylor, è un fenomeno di ordine universale, ” per cui si attribuisce I’« animus » a tutti i fatti e i fattori del creato, agli organismi animali e vegetali, ai corpi ed ai fenomeni naturali del cielo, del mare, della terra. Ma il Gilmore non si ferma più che tanto su questo, interessando a lui la trattazione di un particolare aspetto, d’un episodio della filosofia animista, Ìuello che riguarda l’uomo, e che è il punto ’origine delle idee sulla sopravvivenza dello spirito, fondamento della maggior parte delle religioni degli attuali popoli evoluti.
Raffaele Corso.
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La tradizione mistica nella compagnia di Gesù. — Non è un mistero per nessuno che l’Europa è pervasa da un gran soffio di misticismo: alla conoscenza del quale poiché molti si interessano sarà ben accetto il contributo che porta Henri Bremond con la sua grande Hisloire du sentimcnt religie ux en Franco.
Del volume, che è il più nuovo della serie, si occupa largamente Leonce de Grandmaison in Études del 20 gennaio. Oggetto di esso è la Scuola mistica della Compagnia di Gesù nella Francia del xvn secolo. Questa scuola fu a lungo e quasi ad arte tenuta nell’ombra poiché alla corrente, mistico-contemplativa della prima parte del gran secolo seguì una reazione < ascetica » ed attiva che prése il sopravvento. La sfortuna dei mistici d'altronde è in parte spiegabile perchè i due maggiori di essi: L. Lallemant e J. J. Surin non pubblicarono niente sotto il loro nome. La Doctrine Spirituellc del primo raccolta da due dei suoi uditori e descritta non < rigorosamente » da un terzo può riassumersi — dice l'articolista — in pochi punti essenziali. « Esiste per gli amici di Dio un appello alla perfezione, una seconda conversione, che induce non i peccatori ma i religiosi ferventi, i preti, i fedeli devoti a darsi interamente alla perfezione, a rinunziare una buona volta a tutti i nostri interessi e a tutte le nostre soddisfazioni, a tutti i nostri progetti e a tutte le nostre volontà per non dipendere più d’ora in poi che dal buon piacere di Dio. • Il padre J.J. Surin non modifica il fondo di questa dottrina ma vi aggiunge un non so che di strano c di bizzarro, grazie forse al suo stato patologico. Adolescènte ancora esso fa suo
cibo spirituale S. Teresa, S. Ignazio ch’egli chiama « mio padre e mia madre » ed à per maestro L. Lallemant del quale sarà il più illustre discepolo. Appena ordinato prete, coinvolto nel famoso processò delle ossesse di Loudun, il P. Surin prese la cosa molto.sul serio e volle guarire una delle suore, non con le solite cure del tempo, ma con una cura spirituale. Senonché il gio? vanissimo padre oltrepassò i limiti e tanto pregò con l'ossessa che finì, al dire dei bio-5rati, ad essere anch’egli posseduto dal emone. La sua debole salute non potè resistere c la sua ragione vacillò. Questo stato durò dieci anni, ma poi nel successivo periodo di dodici anni con alternative di demenza e di lucidità, andò migliorando. Negli intervalli che gli lasciava il male egli dettava numerose lettere ed opere considerevoli. « La dottrina scaturiva da lui come un piccolo rivolo di acqua attraverso un torrente di zolfo ». Le sue opere portano qua e là l’impronta del suo stato d’animo, ma neH’insieme sono dei capi-lavori. Ora, lasciando da parte la questione della realtà di questa ossessione che il B. e l’articolista naturalmente ammettono, e interpretando pure razionalmente questi fatti, non si può non trovare importanti le idee del Surin. La dottrina del quale non si allontana è vero molto da quella del suo maestro Lallemant e si appoggia non solo su S. Teresa e su S. Ignazio, ma su S. Bernardo, S. Bonaventura, S. Tomaso, S. Caterina, ecc. < Egli vuole, attraverso la abnegazione più completa, ma progressiva e saviamente temperata, condurre i suoi discepoli sino alla domestichezza con Dio, che è il frutto della contemplazione ». Suggerisce di Tcontcntarsi «d’una vista confusa
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di Dio », e mercè una devota volontà di sprofondarsi in Lui.... «di sacrificarsi al Dio ignoto, più grande del Dio conosciuto, poiché quanto conosciamo di Dio è niente in confronto di quel che ne ignoriamo ».
In uno stile fantastico e ispirato ci descrive l’irrompere della pace nell’anima turbata ed agitata e ne misura le armonie e le dolcezze c la pienezza di gioia che procura e che non fa ostacoli se non a chi si oppone al suo bene....
I Mistici e la Bibbia. — Così s’intitola un interessante articolo di Ch. Dombre nella Revuede Théologiect de Philosophie. edita a Losanna (n. 34, 1920).
L’autore, pur non perdendo di vista i valori specifici della Riforma rispetto alla Bibbia, dimostra come manchi di fondamento l’accusa protestante che i cattolici non abbiano alcuna conoscenza delle Sacre Scritture. La sua dimostrazione si limita al campo del Misticismo.
I Mistici, benché in uh modo parziale e tutto loro particolare, conoscevano la Bibbia. Non sempre, è vero, questa loro conoscenza veniva dalla lettura diretta del Libro sacro; ma allora era l’arte, la liturgia, la tradizione da cui ritraevano il materiale biblico in abbondanza. Alle donne, che un sì grande contingente hanno dato al Misticismo, era d’ostacolo per la comprensione della Bibbia — accessibile soltanto nella Vulgata — la loro imperizia della lingua latina; ma in Italia, in Francia, in Spagna l’affinità del latino con le lingue parlate permetteva di indovinare come attraverso un velo.
Due sono le caratteristiche principali del modo in cui i Mistici usavano dei testi sacri: una grande libertà di fronte alla lettera che li porta alla trasformazione allegorica e artistica del contenuto, ed una inclinazione marcata verso certe parti piuttosto che verso altre, tanto nell'Antico come nel Nuovo Testamento. Trascureranno quasi senza eccezione tutto ciò che è di carattere dottrinale: il dogma, per essi, è d’indiscusso possesso della Chiesa.
Nell’Antico Testamento si fermeranno anzi tutto alle parti liriche, e alla narrazione soltanto laddove trovano dei paralleli con fatti della Redenzione. Nel Nuovo Testamento è il Vangelo che quasi esclusivamente li attira. Perchè, in tutta la loro concezione biblica, è la figura del Salvatore che domina incontrastata. E di lui — sorvolando sulla sua vita di benefat
tore e profeta — esaltano anzi tutto la nascita e la morte. In questi due fatti concentrano tutto quanto il mistero della sua personae della sua opera redentrice. Ne ricevette l’impronta l'arte a loro contemporanca. Ed è qui ove maggiormente lavora la loro fantasia, nel rievocare le scene narrate dagli scrittori sacri con colori e particolari che le trasportano in mezzo alla loro propria vita quotidiana. Saggio più caratteristico: la Passione ricostruita dalla Mistica Anna. Caterina Emmerich, già vicinissima ai tempi nostri.
Il posto che ne) Nuovo Testamento essi danno alla Natività e alla Passione, nel-l’Antico lo danno al Cantico dei Cantici. Si può dire che esso abbia contribuito a dare al Misticismo quel colorito di passionalità religiosa che molti hanno voluto spiegare còme il riflesso della carne repressa. Chi guarda più a fondo riconosce però che' nella infinita maggioranza dei casi, e nei più eletti senza eccezione, non si tratta che di forma e di linguaggio, cui nel Cristianesimo particolarmente si adatta il concetto del Verbo incarnato, e che la sostanza cristiana non perde nulla della sua pura spiritualità.
Nel modo libero di trattare il testo che contemplano tiene primo posto il simbolismo. Vi sottopongono specialmente certe narrazioni dell’A. T. di cui ogni particolare, anche estcriorissimo, diventa rappresentante di una verità Spirituale, vi sono negli scritti di Ruysbroeck e di S, Giovanni della Croce delle pagine d’un simbolismo altamente poetico che porta un soffio di vita nuova nella decadente discendenza degli antichi commentatori. Ma vi era chi si avvedeva come l’interpretazione simbolica riuscisse piuttosto a nascondere che non a svelare. Così S. Teresa esorta ad eccettare con semplicità di cuore r passi biblici senza cercare luce dai commenti ma aspettandola unicamente dalla grazia del Signore a seconda della sua volontà.
Alla scienza biblica—in quei tempi in embrione — i Mistici rimasero quasi estranei. Pur tuttavia incontriamo presso S. Francesco di Sales, Luigi di Leone, S. Teresa delle vere discussioni a proposito di qualche testo.' Ma in linea generale questo genere d’indagine; 'anche se fosse stato comunemente praticato, avrebbe ripugnato allo spirito mistico. Perchè il Misticismo vuol essere un contatto diretto fra l’anima e la verità assoluta. A tale conqui-
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sta gloriosa del mondo ineffabile sembra di ostacolo la faticosa conoscenza delle cose divine attraverso lo studio della parola scritta. E sta in questo la parte più debole del Misticismo di fronte alla Bibbia.
Il Dombre viene nel suo studio a queste conclusioni che ci sembrano importanti: la vita che i Mistici infondono ai testi sacri, riflettendo su di essi tutte le vibrazioni della loro anima devota e delia loro fantasia religiosa, la libertà di spirito con cui superano la lettera, l'assenza di una ingombrante preoccupazione moralista nell'abbreviare là pura essenza dei fatti, possono riuscire di ammaestramento alla nostra generazione e di correttivo allo spirito protestante. Ma la visione simboli-stica e fantastica del contenuto biblico, il concetto spinto all’eccesso d’un contatto immediato con la verità, il livello d’eguaglianza fra i dettami della Chiesa e la Parola divina, mostrano d’altra parte la conoscenza biblica dei Mistici in una penombra. Perchè, vede la Bibbia nella sua vera luce, chi la possiede in tutto il complesso dei suoi intrinseci valori.
E. O.
Il trionfo del Cristianesimo. — G. Ferrerò nella Revue dès deux Mondes del 15 febbraio termina la pubblicazione d’un suo studio sulla rovina della civiltà antica, in cui veramente è molto evidente la fretta della raccolta degli elementi, una poca conoscenza quindi della materia e sopratutto delle ultime conclusioni cui sono giunti gli studiosi specialmente negli ultimi tempi antebellici. Può importare cionondimeno di sapere quel ch’egli pensi sul trionfo del cristianesimo, o, poiché su di ciò le sue pagine sono monche e scialbe, sulla sua storia dei primi tempi, ricca di dibattiti, di lotte, di polemiche che allo spirito latino di allora, come al nostro spirito moderno, appaiono vacue. Egli giudica questi dissensi all’incirca come noi giudichiamo l’attuale stato d’incertezza, di contrasti, di sforzi inani, succeduto anche questo ad un periodo catastrofico di violenze, come quello che caratterizzò il principio dell'era cristiana dopo il 312. Si è cercato allora, come ora, una unità, che si rompeva; si è voluto raggiungere una disciplina intellettuale che sfuggiva, raccogliere, raccomandare, imporre una dottrina di vita che, indiscussa e indiscutibile, resistesse a tutte le scosse delle passioni e degli interessi. Si ricostituiva così l’ordine nel pen
siero, che è il più difficile a stabilirsi sopratutto in epoche d’anarchia politica c sociale.
Così si iniziava per mezzo della costituzione di un dogma, che doveva tenere a freno tutto il caotico M. E., un ristabilimento di quel princìpio di autorità che l’impero aveva indarno con Diocleziano e Costantino tentato di fissare. Senonchè l’Europa a mano a mano eh Esenti e beneficiò di quest'autorità, con inciò a rivoltarsele contro, mentre il y insiero stesso vi si ribellava, in modo che,'attraverso il periodo posteriore al Rinascimento, doveva portarci all’anarchia attuale frutto di una grande potenza materiale accanto ad uña potènza intellettuale e morale basata sul vuoto.
Platone moralista — Secondo M. D. Roland-Gosseline nella Revue des Jepnes del io marzo u. s. l’esperienza religiosa avrebbe condotto Platone a deviare dal' suo rigido idealismo nella formazione di una morale umana e l’avrebbe perciò fatto propendere verso una teoria che pur stabilendo per fondamento alla felicità umana la virtù, non avrebbe posta questa nella contemplazione delle Idee, ma nel contemperamento di essa con il piacere che non può essere dimenticato da chi vuole che la grande massa degli uomini, sopratutto, faccia il bene. La morale platonica perciò consisterebbe in un equilibrio che concilierebbe le opinioni estremiste di Platone, affermate nei dialoghi, che si accettano senza considerarne la connessione con la vita, con le differenti fasi dei suoi scritti e con alcune affermazioni sfuggitegli in opere per dir così di seconda edizione ( Le Leggi sarebbero un rifacimento della Repubblica). E l’equilibrio si fonderebbe sulla fusione della conoscenza suprema dèlie Idee (Dio) con la conoscenza umana (l’esperienza), nell’accogliere le gioie pure dello spirito e tutti i piaceri necessari ed utili fino all’esclusione che ne impone la moderazione, e nel riconoscere il piacere come elemento inferiore del bene che non è completamente la virtù .
[Questa interpretazione dell'etica platonica meriterebbe una migliore e maggiore illustrazione].
Lo spiritismo e Pai di là. — L. Roure in Etudes del 20 febbraio contesta all’opera di sir Oliver J. Lodge {Raymond ou la Vie et la Mori) il carattere che l’A. vuole impri-
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mervi di prova provata dell’esistenza del-l’al di là. Contestando i fatti singoli che sarebbero per lui una prova, il _R. viene alia conclusione con la sua critica che è necessario capovolgere interamente le conclusioni del Lodge. Questi voleva che le comunicazioni del medium, che ci mostrano un al di là simile all’al di quà, fossero le prove della veracità sua, perchè ¡’imagi-nazione subliminale avrebbe dato prodotti ben differenti. Il contrario invece sembra sia da affermarsi e che non si possa in ogni modo stabilire alcuna connessione tra spiritualismo e spiritismo.
Le Confessioni di S. Agostino. — P. Battilo! in un molto chiaro studio nella Revue des Jeunes del 25 gennaio sulle origini letterarie delle Confessioni di S. Agostino, ri-passandoin rivista gli scrittori che primi usarono la forma autobiografica nelle loro opere c notandone lo sviluppo speciale nella letteratura cristiana, conclude dando ragione aH’Harnack nel vedere le origini delle Confessioni in S. Paolo e nei Salmi. In quello cioè per la parte narrativa e psicologica, in questi sopratutto per l’afflato religioso. Cionondimeno crede che questi risultati cui è giunto l’Harnack, che pur riconosce in S. Agostino una notevole originalità, non siano assolutamente profondi, e si propone di mettere quest'ultima in maggior luce in un altro suo studio.^
Il Cattolicismo di Baudelaire — L. de Mondadon in Éludes del 20 febbraio contesta le conclusioni del Reynold sul cattolicismo di B. negando, a ragione, che la sua opera lirica debba simbolicamente esser ritenuta come una Divina Commedia moderna. Egli ritiene che il B. non sia stato cattolico, se mai, che come poeta del male, che abbia avuto il senso dell’infinito, ma per sentirlo nel bisogno romantico della passione, che gli sia mancata l’umiltà, che ci abbia dato la pittura del vizio con le sue miserie, senza intenzione di pentimento. .
II pensiero religioso di Giuseppe de Maistre. — G. Goyau, il noto studioso di politica c pensiero religioso, pubblica nella Revue des deux Mondes del i*> marzo la prima parte di uno studio su G. de Maistre, sul suo pensiero religioso secondo i documenti inediti messi a sua disposizione dal pronipote dello scrittore. Lo studio è interessante perchè forse per la prima volta permctte di veder chiaro nella personalità del de Maistre, la cui azione religiosa è conosciuta, ma del cui sentimento religioso si è tanto discusso. Il problema sulla sua personalità consiste appunto nella domanda s’cgli fosse un vero e sincero cattolico oppure s’egli non fosse un legittimista in cerca d’una filosofìa dell’autorità. Ora all’apparente dottrina contraddittoria nello scrittore recherà un notévole contributo lo studio del suo pensiero nel periodo in cui egli fu massone e cioè dal 210 ai 360 anno di età. Da quel che ne dice con larga documentazione e con molta sagacia il G. appare nel de M. sin da principio una tendenza religiosa naturale, che la scuola dei Gesuiti corroborò in modo che egli portò poi nelle logge uno spirito catechistico che gli fece decantare le glorie c l’importanza del Cristianesimo. Con tutto ciò l’importazione in Savoia delle idee nuove del secolo xviii profilavano nel de M. un Rousseau in 48® ed un Voltaire in 18® che più tardi dovevano apparire nella’ sua opera più naturali in riflessi e ripercussioni non difficili a scoprirsi.
Più tardi egli entrò nella massoneria, dalla quale doveva molto tempo dopo uscire non perchè ìa ritenesse incompatibile con i dettami ecclesiastici, ma perchè i poteri politici ritenevano malfatto l’appartenervi. La cattiva opinione che delle logge à il vescovo di Cliambéry o l’interdizione di cui esse sono oggetto per parte dei papi non lo inquietano: egli dichiara di non averci veduto mai nulla di male.
Difatti, durante la sua attivi tà massonica, quello che più lo preoccupa è la miglior conoscenza delle cose religiose, tanto che il Goyau asserisce che tra lo scolaro dei Gesuiti c l’addetto delle logge, il cattolico e il framassone, non vi sono muri divisori nella coscienza del de M. E per mettere in evidenza ció, egli adopera il memoriale, che lo scrittore rivolse al duca di Brunswick per assecondarlo nei suoi propositi di riordinamento della massoneria. Noi lo vediamo in esso entusiasta del fine massonico, di proporre cioè « a uomini divisi—com-egli dice—-dall'interesse, dalla gelosia nazionale, dai sistemi politici, religiosi e filosofici, di riunirsi, intendersi e stringere un accordo eterno in nome del cielo e dell'umanità ».
Con questo documento alla mano, con le vicende che subiscono le logge massoniche cui egli è ascritto, con 1 contatti con il filosofismo del momento noi possia-
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mo vedere formarsi ed evolversi nel de M. tutto il pensiero che in lui più tardi sboccerà. Una distinzione della fede cristiana da tutte le altre religioni, con una tolleranza però ed un certo senso di benevolenza per esse; una fede nella divinità del Cristo; un gallicanismo che farà più tardi sorgere in lui la necessità del primato pontificio; erano le forme d’un atteggiamento originale che però ci mostrano un intelletto curioso di comprendere l’uomo e Dio.
L-a rivoluzione che fu la distruzione della sua vita, fu pur la fecondatrice del suo spirito^ come ciò sia avvenuto in modo particolare lo apprenderemo dalla seconda parte dell’articolo che il G. ci promette.
Rabindranath Tagore. — Nella Revue mondiale del i® marzo Elena Miropolsky fa un breve profilo di R. Tagore, mostrandone il pensiero religioso che lo anima, inteso però nel senso lato e puro della parola. Figlio di uno dei fondatori del movimento religioso chiamato « Brama Samaj », che non era altro se non un movimento di riforma del Bramanesimo, simile al nostro movimento protestante europeo, egli à professato sempre un culto per la religione dell’azione, della vita, della libertà «Lascia il tuo rosario—à detto nei suoi versi —abbandona il tuo canto ecclesiastico, le tue litanie; chi mai credi di onorare in quell’angolo oscuro e deserto di un tempio chiuso? apri gli occhi e guarda che il tuo Dio non è dinanzi a te; egli è là dove il lavoratore spezza il duro terreno, sul limite della strada, dove fatica il brecciaiuo-lo, egli è con essi nel sole e nella tempesta. La sua veste è coperta di polvere ».
Cionondimeno T. non à dimenticato il fondamentale carattere costitutivo della sua patria, la spiritualità e la meditazione, ed à voluto e vuole trovare perciò tra l’occidente combattivo e costruttore e l’oriente contemplativo e meditativo una via di conciliazione che ridia all’umanità stanca la propria coscienza divina. Senza legami ed impacci di caste, nel mutuo affratellamento e nella quasi infusione del cristianesimo occidentale nel bramanesimo orientale, egli vuole che la società travagliata da guerre e da odi ritrovi la pace e l’amore. .— Per chi vuole maggiori notizie sul Tagore veda ora il volume di E. Engelhardt, Rabindranath Tagore als Mensch, Dichter u. PhilosoPh. Berlin, 1921, di cui ci proponiamo di parlaré.
G. Papi ni e il ritorno al Cristianesimo. -Gerolamo Lazzeri nel Mercure de Franco del marzo in una sua corrispondenza sulla letteratura italiana, scrive su questo interessante argomento le^seguenti osservazioni.
« E’ bastato che Giovanni Rapini avesse un giorno fatto sapere che scriveva una vita di Cristo perché tutto un coro cristiano si alzasse nella penisola. Tutti si son messi a scrivere Dio con un D grande, anche coloro che non vi avevano mai pensato prima. Io non ò il diritto di dubitare della conversione di Papini, ma la sua irre-Iuietczza spirituale di cui le sue opere ri-ettono, da quindici anni in qua, le vicende, può anche autorizzare il dubbio che non si tratti qui che di letteratura, come d’altronde in quasi tutte le manifestazioni neo-cristiane di questi ultimi tempi, poiché la critica, ad onta della sua buona volontà, non à potuto registraré nessuna crisi véra di questo genere. Il cristianesimo non è che una etichetta, una reazione meccanica e letteraria a l'amoralità la quale non è essa pure che un fenomeno letterario. Questo cristianesimo di maniera, volgare e chiassoso, tutto esteriorità non può essere preso sul serio, difetta troppo di ciò che i nostri maestri chiamavano lo spirito di umiltà. Questo fa pensare che tale pretesa reazione potrebbe non essere che l’ultimissimo modello della decadenza stessa.»
Senancour. — Guy de Pourtalès nel Mercure de Franco del 1® marzo pubblica sull’etica e l’estetica, di Senancour un interessantissimo studio mettendo in luce come l’autore di Obermann, non diversa-mente da Amiel, Guerin ed anche Stendhal nelle sue opere meno conosciute offra ai lettori riflessivi i più deliziosi e fini godimenti estetici.
L’articolista così conclude: « La vita di Senancour è utile a meditare, come tutte le vite difficili, offerte ad una idea, e incomplete a causa delle loro stesse esigenze. E una vita nobile, senza concessioni, in cui regna il solo culto del pensiero e il solo timore delle degenerazioni. L’opera, rara per ciò, à un altissimo valore: essa acquista quell'asprezza che la rende talvolta ermetica e volontaria, impopolare ed inapprezzata. Nelle solitudini ove vagava il suo spirito Senancour incontrava le gravi e mitologiche figure che il genio umano à create per esprimere le sue angoscio. Quella di Prometeo doveva colpirlo come
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Suella del dio che, arso delia medesima anima, aveva cercato una risposta -alle medesime incertezze. Ad esso Senancour consacrò una delle sue più belle pagine e vi esalò la sua suprema speranza in un atto di fede, maturato come una preghiera ».
I lettori avranno appreso dai giornali quotidiani la morte di Eugenio Burnand, indubbiamente fatale per l'arte cristiana. Dell'opera sua sopratutto dal punto di vista religio o i nostri lettori ricorderanno che per essi* scritto un interessante articolo il nostre illustre collaboratore Paolo Arcari nel numero d’aprile dell’anno scorso. Non crediamo quindi necessario illustrare un’altra volta l’opera sua; preferiamo ricordarne la morte con poche parole dedicategli da una rivista cattolica — la Revue des Jeunes del 25 febbraio — con uno spirito di larghezza che disgraziatamente non siamo abituati a trovare nella stampa cattolica. André Peraté che ne fa il necrologio accenna dapprima alla profonda disillusione provata dal Burnand all’uscire da un'esposizione d’arte religiosa per l’incredibile vuoto che l’arte stessa presenta ora nei giovani.
L’articolista quindi così prosegue: «Figlio devoto della chiesa protestante il B. aveva allargato i limiti ch’essa assegna all’arte cristiana; non lasciava indovinare l’impronta originale se non con la tendenza sermocinante che non cercava affatto di dissimulare. Arte austera, talvolta un poco dottorale, ma che la sincerità dell'emozione rianimava sempre ed esaltava.
Il sentimento profondo ch’egli aveva della natura alpestre dà alle sue opere un accento ben personale. Avea abbandonato il suo caro cantone di Vaux per Parigi e per le Cevcnnes, ma gli restava fedele. ( Il Peraté ricorda qui le opere più nazionali e regionali del B.) « Durante una gran parte della sua carriera gloriosa il suo più vivo desiderio è stato quello di illustrare l'Evangelo: e !’à compiuto mediante le sue drammatiche pitture della Passione (la Cena, la Vita dolorosa) mediante i disegni del suo libro delle Parabole, mediante la grandiosa vetrata che abbiamo riveduto recentemente. A commentato con una grazia delicatai Fioretti di S. Francescani P. dopo, aver ricordato l’opera guerresca del B. rappresentata da un centinaio di pastelli così conclude:« La sua opera vivrà, la sua memoria sarà religiosamente conservata. Delle dure prove gli furono riservate:
la morte d’un figlio teneramente amato, l'incendio che à divorato il suo studio. Fedele al suo Dio nel dolore come nella gioia questo buon servitore à saputo far valere il tesoro che gli era stato confidato. Felice Burnand d’aver amato, d’aver servito, senza mancanze, ciò in cui consiste la vera bellezza del mondo ».
Main de Biran. — L’Istituto di Francia ha iniziato una edizione completa c definitiva delle opere di questo pensatore, affidandone la cura a Pierre Tisserand, autore <ìc\\' A n tropologie de Maine de, Biran. Il primo dei dodici volumi, nei quali sarà raccolta tutta l’opera del filosofo, è intitolato Le premier Journal (Paris, Alean, 1920) è riproduce una parte del giornale redatto dal Biran verso la fine del 1700 e altre note e riflessioni personali della stessa epoca su avvenimenti privati e nazionali o sulle sue letture. Riservandoci di parlare di questo volume, notiamo intanto che traendo occasione da esso J. Benrubi, nella Revue de Theologie et de philosophie di Losanna (gemi.-marzo 1921), osserva che tra gli influssi che il Biran subì in quell’epoca, quello del Rousseau è certamente il più profondo. Nel 1794 Biran scrive nel suo giornale’. « Rousseau parla al mio cuore, ma talvolta i suoi errori mi affliggono ». Spesso per esprimere taluna delle sue es-Serienze più intime si contenta di citare ei passi tipici delle Confessione e delle Réveries del Rousseau. « Biran come Rousseau è prima di tutto un grande cercatore di felicità ed un entusiasta difensore della virtù e dell'interiorità. È il tema fondamentale di quasi tutti gli scritti contenuti in questo primo volume. Per essere solidamente felice — pensa Biran — bisogna essere convinto che la virtù e la felicità sono insuperabili, o— il che è lo stesso—che non c'è vera felicità senza ricchezza di vita interiore ». « Un’altra caratteristica del pensiero del Biran in quell’epoca — aggiunge il Benrubi — è l'anti-intellettualismo e l’intuizionismo. Ciò che io spinge a criticare i filosofi « discoureurs » del xvih secolo, è. là. Sua avversione pei procèssi dell’intendimento e pel matcmaticismo. Egli è fer- • mámente convinto che nelle questioni centrali della nostra vita, la guida migliore è la luce interiore, il senso intimo...; già a quell’epoca egli critica molto severamente il Condillac, protestando, peres., contro l’abuso del ragionamento e contro la mania di voler spiegare tutto, abbassare tutto al
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livello delle nostre corte vedute. Tra gli altri lati caratteristici del pensiero di Biran a quell’epoca è da segnalarsi finalmente la sua difesa del libero arbitrio, il suo misticismo cristiano, il suo volontarismo, il suo spiritualismo e 'l’ispirazione essenzialmente morale della sua o-pera' ».
Pascal e l’àpologìà cristiana. —All'acuto e profondo lavoro di Arnold Reymond su questo importante argomento è dedicato un intero fascicolo della Revue de Théolo-gie et Philosophie di Losanna (giugno-luglio 1920).
L’autore ci spiega, anzitutto le ragioni per le quali nel momento storico che attraversiamo la figura di Pascal assuma, forse come mai nel passato, contorni marcati e luminosi di vita. È perchè il suo primo apparire avvenne in un periodo assai simile al nostro. Uscita anch’cssa da una grande e sanguinosa guerra, la società che lo circondava si trovava ad una svolta, ove in 4 tutti i campi si andavano,formando valori nuovi che, ancora in flusso, davano l’impressione di disgregamento, di convulsione, di ricerche contrastanti. E allora come oggi sorgeva l’ansiosa domanda: » La religione cristiana è essa veramente capace a creare dei legami sociali durevoli? O bisogna andare in cerca d’un altro ideale, meno sublime ma più adatto per raggiungere lo scopo? >• A questi dubbi, a queste incertezze Pascal ha contrapposto la sua parola d’affermazione.
La risposta di Pascal, genio così universalmente riconosciuto, potrebbe considerarsi decisiva, se la complessità dèlia natura di lui non ci lasciasse incerti sulla posizione che egli occupò di fronte al delicatissimo problema dei rapporti che passano fra valori eterni e universali del Cristianesimo, ed i fatti storici nei quali hanno la loro radice. A ciò si aggiunge,.per rendere incompleta la valutazione e la comprensione dei suoi « Pensieri » che essi non giunsero, in sua vita, ad un ordinamento ultimo e definitivo.
Ma per comprendere il Pascal cristiano, quel che in primo luogo non occorre trascurare è di non disgiungerlo dal Pascal filosofo e scienziato. Era quello il momento in cui stava per affacciarsi la scienza moderna. L’importanza dei/nuovi quesiti che essa poneva non poteva non impressionare una mente come quella di Pascal! Nel •campo della fisica o della matematica, come
in quello del pensiero filosofico religioso e della forma letteraria, egli operava con profonda accuratezza. Il suo sistema era ad un tempo teorico e sperimentale. Genio scientifico precocissimo, dava- prova della più grande versai ità e la sue scoperte furono del genere più svariato. Divenne di speciale importanza per le sue deduzioni filosòfiche la sua introduzione del calcolo delle probabilità. La miscela d'incerto e di certo che la matematica racchiude, egli la. riscontra ovunque, e questa constatazione Io porta a riflettere. Altro fatto che suscita la sua riflessione è la natura dell’infinito, l’incomprensibilità di questo fatto e che tutto quello che è incomprensibilenon cessa per questo di essere. Egli distingue tre generi di realtà matematica, l’indivisibile, il finito e l’infinito che coesistono nella natura e si compenetrano pur rimanendo perfettamente distinti. Tale constatazione lo conduce fino ai pensiero d’un Dio di cui noi non conosciamo nè l’esistenza nè la natura, perchè non ha nè estensione nè limite.
Ma non è soltanto la natura dei fatti stessi, è sopra tutto la natura delle facoltà con cui l’uomo può avvicinarli che lo porta a pensare.
Vi sono dei principii primi che s'impongono, che la ragione non può provare ma che il cuore comprende. Pascal adopera la parola «cuore« per.«ispirazione • o dove altri direbbero « intuizione ».
Il suo sistema scientifico-filosofico pone Pascal fra Montaigne e Descartes. Ora si sente più attratto ver l’uno, ora verno l'al-, tro. Ma non può seguire fino in fondo Montaigne a causa di quello scetticismo che sottomina la coscienza inorale e toglie il terreno alla fede, mentre non si giustifica nemmeno nel campo pratico; c protesta contro Descartes, muovendo da considerazioni matematiche che lo portano a conclusioni completamente diverse. Mentre Descartes nel creare la geometria analitica non prestò nessun’attenzione alia geometria degli indivisibili ed ai problemi che essa poteva sollevare. Pascal fu attratto proprio da quella geometria, che unisce così strettamente il finito coll’infinito, che rende per così dire visibile la presenza dell’infinito. e nel finito. Dove Descartes non vede nessun mistero. Pascal ne scopre dei profondi. E se tutto nella natura è mistero — così conclude — come concepire che i misteri ben più profondi dello spirito possano essere analizzati dalla ragione?
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È trasportandosi sul terreno della fede che Pascal intraprende il suo lavoro apologetico. L'uomo senza Dio è miserabile: ecco il suo punto di partenza. Ma Dio si rivela all'uomo per mezzo dell’esperienza interna c dell’esperienza esterna. Tre sono le vie che conducono alla conoscenza o meglio alla fede: il costume, la ragione e il cuore o l’ispirazione. Il costume è un insieme di norme morali e di credenze ricevute senza controllo dai sensi e colorate a piacimento dall’immaginazione. La ragione, pur rigettando tutto quello che è pregiudizio nella conoscenza basata sui sensi e sulla fantasia, ne ritrae tuttavia alcuni principi primi da cui comincia le sue deduzioni. Ma essa non sa risolvere l’enimma del destino umano; arriva invece fino a supporne delle possibilità. Pascal non si pone come Montaigne davanti all’alternativa: • o escludere la ragione. o non ammettere che lei». Egli gli assegna un valore, tutto suo proprio: l’alta dignità dell’uomo sta nel fatto ch’egli pensa. Ma nemmeno si ferma con Descartes su quest’ultimo concetto, perchè non gli basta il limite ove giunge il pensiero umano. Ove si arresta la ragione, comincia il dominio del cuore. Pascal si serve dell’immagine d’un giuoco d’azzardo per presentare la questione del destino, dell’uomo. Anche se Dio e l’immortalità non esistesse e noi vi avessimo creduto scegliendo la via della morale e del sacrificio la nostra perdita non sarebbe che quella dei piaceri di una vita fugace, mentre nel caso opposto metteremmo in giuoco una felicità senza fine.Perchè dunque l’uomo esita davanti ad una simile alternativa? Perchè la ragione può indicare la via, ma non può creare la volontà per sceglierla e percorrerla. Questo compito invece spetta al cuore che trae la forza dal riconoscimento immediato di principi primi, semplici ed eterni. Solo così l'uomo è condotto alla vita nuova. Quale sarà il punto di partenza per l’uomo ancora non convertito? Pascal lo vede nel sentimento di miseria morale. Vi è un disordine morale in noi e nelia umanità che spiega le contraddizioni dei tre ordini di conoscenza — causa: il peccato originale. Ma come posso essere reso responsabile d’un fatto al quale non ho partecipato? La visione della giustizia essendo offuscata nell'uomo, essa non ha nessuna valutazione esatta della giustizia di Dio. Di fronte a Juest’ultima la ragione deve tacere come avanti al fatto ancora più incomprensibilc della divina misericordia. La Grazia annunciata dal Cristianesimo inverte gli ordini: giustizia e grazia non sono più valutati secondo la ragione. La verità che salva diventa follia in rapporto ai dati fòmiti e dalla ragione e dall’immaginazione.
Ma quest’ordine di verità, solo accessibile al cuore, è esso veramente accessibile ad una parte dell’umanità? Solo la storia della Chiesa, ossia l'azione divina nei credenti, ce ne può fornire la prova. All’esperienza interna corrisponderà così l’esperienza esterna. Tutto, dalla storia d’Israele fino a quella della cristianità contemporanea, attraverso l’adempimento di profezie ed il succedersi di miracoli, ci rivela la continua attività di Dio. Ma soltanto gli eletti ne hanno il vero discernimento. Non è tanto l’esistenza di Dio e la sua attività che preoccupa Pascal nella sua apologetica — perchè, parlando non a increduli ma a credenti la pone come fatto indiscusso—bensì la certezza di appartenere al numero degli eletti.
Riassumendo, l’autore del fascicolo che ci occupa, termina con le seguenti conclusioni: — L’apologetica di Pasca! assume carattere di attualità per i suoi concetti fondamentali. Col rovesciamento dei valori e la parte centrale che dà all’attività che assegna al « cuore », Pascal si avvicina alle tendenze della filosofia moderna e segnatamente al pensiero di Bergson, quantunque secondo questo ultimo l’intuizione è assimilata all'istinto, mentre secondo Pascal l’azione rivelatrice è di natura soprannaturale. Con la sua teoria dei principi primi combina con gli ultimi trovati della scienza a noi contemporanea che è giunta a porre dei punti di partenza convenzionali di cui la. verità non s’impone in modo assoluto. Col suo appello ad una esperienza interna e esterna della verità cri-stana, s’incontra con quanto vi ha di più moderno nel pensiero e nel metodo etico religioso.
Ma se le linee fondamentali dell’apologetica pascaliana rimangono d’un valore durativo, forse ñon potrà dirsi altrettanto di tutti gli argomenti da cui trae le sue dimostrazioni. Il suo punto di partenza nel campo morale è il peccato d’origine, mentre secondo le vedute dei giorni nostri l'uomo è da considerarsi più miseràbile che colpevole. E per quel che riguarda le prove storiche il cambiamento del pensiero dai tempi di Pascal ad oggi è stato an-
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cora più radicale. Ma ecco la conclusione finale cui giunge il Rcymond:
Il Cristianesimo non perisce nell’essenza con le trasformazioni del suo sistema come lo attestano le sue varie fasi storiche, alla condizione però che la Chiesa contenga dei credenti che vivano quella essenza e diano così la prova della sua efficacia durevole. Solo se venisse a cessare questa testimonianza, l’apologetica di Pascal sarebbe diventata il canto del cigno della Religione cristiana.
(E.OJ
La sottomissione di Fenelon secondo la corrispondenza di Bossuet. — Alexandre Bron nelle Etudes dei 20 gennaio u. s. ci mette al corrente della pubblicazione della corrispondenza del Bossuet dal 15 dicembre 1698 al 13 maggio 1699: in tutto 52 lettere che si riferiscono tutte alla condanna del Fenelon.
Esse ci dimostrano una volta di più con quanto accanimento Bossuet abbia combattuto il Quietismo. « La mia inclinazione mi porta, dice egli, a non lasciar mai in pace uno spirito cattivo ».
Anche quando Roma con un «breve» riprova le « Maximes » non perchè il libro possa condurre ad errori già condannati (quelli di Molinos) ma perchè potrebbe indurre in tali errori (induci possenti, Bossuet che avrebbe voluto una Bolla di condanna per eresia non si mostra soddisfatto.
In questa lotta invero i due grandi prelati non fanno troppo bella figura. Il primo continuando a mostrarsi diffidente dell’avversario anche quando questi, almeno apparentemente, sembrò sottomettersi. Il secondo, tentando sotto mano tutti i modi per ottenere da Roma la rettifica della condanna ch’egli in Francia mostrava di accettare umilmente. « Altro non mi resta che sottomettermi, tacere e portare la mia croce in silenzio » (lettera al vescovo d’Arras).
L’Antolnismo. — Secondo L. Roure in Études del 20 gennaio una strana religione sorse nel Belgio alla fine del secolo scorso detta Anloinismo, dal nome del suo fondatore: Louis Antoine, figlio di minatore, minatore egli stesso. L’Antoinismo à parecchi templi ormai: uno a Liegi, uno a Jemappe, uno a Monacocd inoltre una ventina di sale di culto nel Belgio ed in Fran
cia. I principi della sua dottrina si leggono su una parete del tempio di Liegi: fc.. j
« un sol rimedio può guarire l’umanità: la Fede;
dalla Fede nasce l'Amore:
l’Amore che ci mostra Dio stesso nei nostri nemici;
chi non ama i propri nemici non ama Dio, poiché solo l’Amore che abbiamo pei nostri nemici ci fa degni di servirlo, ed è il solo amore che ci fa veramente amare, perchè esso è puro c di verità ».
Ecco riassunti i capisaldi di questa nuova religione: Guarigione mercè la fede. Fu questo il principio della gran voga di Antonio. Il suo insegnamento a questo riguardo non è che una varietà della Christian Science. Egli non dice però: «Siete malati solo perchè lo credete, allontanate questa credenza e guarirete », ma dice « La materia è cattiva, la malattia è un frutto della materia. Ma la materia non esiste realmente; essa è un fantasma creato dalla nostra intelligenza. Credete che la materia non esiste e sarete guarito ».
Morale senza Dio. Dio è estraneo alla morale. « Se avesse stabilito delle leggi per andare a Lui, esse sarebbero un ostacolo al nostro libero arbitrio..... ».
Intelligenza e coscienza. • L’intelligenza è il dubbio, l’errore, la causa di tutte le contrarietà che incontriamo nella vita. Essa ci induce sempre in errore. La coscienza o la fede ci fanno raggiungere la causa ».
La materia non esiste. « Noi diciamo che la materia è opposta a Dio, poiché s’Egli è l’autore di ogni cosa c se essa esiste. Egli deve necessariamente averla creata; come ammettere che possa emanare da Lui una cosa che smentisce le sue virtù? » Dunque essa non esiste.
Nozione di Dio. L’idea di Dio non appare chiara. «... noi tutti siamo degli dei; abbiamo tutti un lato divino che è il nostro vero lato. Quando avremo soprafatto la materia, l’imperfezione, saremo tutti riuniti in un medesimo ambiò puro: formeremo l’unità assoluta dell’insieme, Dio ».
Nihilismo morale, * II male non esiste, ma noi J’imaginiamo... Ciò che noi chiamiamo male non è che un aspetto dell’evoluzione degli esseri. Se comprendessimo bene questa legge evolutiva avremmo gli stessi riguardi per il più cattivo come per il migliore, poiché sapremmo Che tutto quanto accade è bene ».
Occultismo. « Se vi è un buon genio, se
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attribuiamo una bontà infinita a Dio, è perchè vi è anche un altro genio tanto cattivo quanto Iddio è buono: senza questo demone quale sarebbe la causa delle malattie, delle disgrazie, dei grandi flagelli che colpiscono l'umanità? La materia è inerte... Quale azione potrebbe avere su di noi se il demone non vi fosse nascosto c non se ne servisse per farci soccombere ? Se noi diciamo che Iddio è nostro padre, aggiungiamo che il demone è nostra madre che ci nutre e ci è utile. Non appartiene il bambino alia madre per tre quarti? Siamo dunque più figli del demone che figli del Dio.... Se la prova occorre per guarire il male, non dovremo noi adorare il demone così pieno di premure per noi, il cui amore ci offre il mezzo di abbreviare la nostre sofferenze? Lui solo ci toglie dall’abisso di questa valle di lagrime c ci purifica per mezzo della prova».
Ecco dunque il culto di Lucifero —dice l’articolista—espressamente formulato! onde bisogna—egli conclude —restituire Cri-, sto al popolo!
Si assicura che nel Belgio la religione Antoinista avrebbe sino a 18000 ferventi adepti, senza contare coloro che subiscono l’azione dello spirito antoinista.
Esclusivismo ebraico. — G. Batault, di cui abbiamo ricordato nel fascicolo precedente un articolo pubblicato sul Mercuri de France sull’antisemitismo e le sue ripercussione politiche c sociali in questo momento, fa seguire al suo primo studio un altro di carattere storico sotto il titolo sopradetto, nella stessa rivista del 15 febbraio. In esso, sebbene forse con maggiore obbiettivismo che nell’altro articolo, espone il punto di vista più culminante storicamente nella storia ebraica, quello dell’intolleranza, e mette in evidenza alcune delle qualità peculiari della stirpe ebraica e dèlia funzione storica da essa esercitata.
Affermata l’importanza degli Ebrei solo perchè il Cristianesimo se ne è dichiarato successore e negatone ogni valore storico, il B. mette subito ih luce l’unica dote che doveva far attribuire ai Giudei un posto speciale nella civiltà occidentale, una concezione cioè «rigoristica e forte della divinità, una fede orgogliosa indiscutibile e fanatica nell’onnipotenza di un Dio autoritario, esclusivo e geloso ». Per l'appunto ’,n, .<!ucs!:a concezione il punto culminante è l esclusivismo, il quale è tanto più feroce
quanto meno il concetto della divinità si accompagna negli Ebrei all’universalità. Il Dio ebraico cioè è essenzialmente nazionale, e solo dopo ciò può essere universale; ma sempre che sia prima il Dio d'Israele. Quindi il B. nega che gli Ebrei siano i primi e gli unici assertori del monoteismo vero assoluto, universale. Egli ne attribuisce la concezione ai Greci (Anti-stene) c non ai Giudei, appunto per questa loro ristretta idea.
Ciò non impedisce che il giudaismo si lanci alla conquista del mondo perchè appunto come Dio d’Israele Jahvé è il Dio dell’universo e se Israele è il fine ed il centro degli atti di Dio, è suo obbligo di mostrare ai popoli la luce di cui è l’unico depositario. Così Israele non è che un popolo al servizio di una religione, la quale fa di lui però qualche cosa che non si confonde con il resto del mondo, qualche cosa di separato. di distinto. Perciò patriottismo e.reli-gione sono per gli Ebrei una cosa sola. A quest’opera provvede la codificazione del Talmud, che costituisce con l’A. T. la pietra angolare del giudaismo e che a torto si dimentica spesso.
Il B. studia quindi i privilegi di cui godettero i Giudei nell’epoca ellenistica e romana, i quali sono un frutto per l’appunto del loro esclusivismo, grazie al quale i dominatori dovevano dominare gli altri o averli eterni nemici. In tal modo si preparava la strada all’esclusivismo cristiano, e l’impero si scavava la tomba, e si fondava quell’intolleranza cristiana che non trovava certo i precedenti nè in Grecia, nè in Roma.
Con il proselitismo si apre la strada al Cristianesimo, il quale però sotto l'influsso della speculazione greca, dei misteri pagani e delle concezioni giuridiche dei Romani, tende all’internazionalismo religioso e all’universalismo integrale. Cionondimeno, salendo al governo dello stato, il Cristianesimo eredita dal Giudaismo l’intolleranza e la volge proprio contro l’esclusivismo da cui proviene. Questo reagisce con la letteratura talmudica, la quale è la «somma e la fortezza dell'esclusivismo Siudaico ■ e, come disse uno storico ebreo el giudaismo, il Gaetz, « lo stendardo sotto cui si raccolsero gli Ebrei dispersi nei diversi paesi e che permise al giudaismo di conservare là sua unità ».
Il B. fa notare come questa caratteristica del popolo ebraico, da lui messa in luce nel suo primo articolo nell'attualità
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ed in questo nel suo svolgimento storico, è un elemento storico di primo ordine che fece tanto quanto il genio della Grecia e di Roma nella storia e che à influito sul cristianesimo e pùr sull’islamismo.
«La perennità —dice l’A. — dell'esclusivismo giudaico attraverso trenta secoli, la sua dispersione, le sue influenze, le sue deviazioni, le sue restrizioni, poi le sue improvvise esplosioni, poiché il ristretto legalismo sbocciava nel messianismo, i suoi ritorni incessanti, tutta questa palingenesi ànno un’impronta d’inquietudine, di grandezza tesa e di potenza tenace, un aspetto sovrumano, che provocano negli uni l’amore. negli altri lo spavento,- come tutto ciò che sembra indistruttibile ». Comunque, pur sentendosi estraneo a questo spirito, il B. conviene che bisogna fare i conti con esso, perchè il problema giudaico non è problema da poco e non deve dimenticarsi che una tradizione; più volte millenaria lo sostiene, e 30 secoli di storia l’appoggiano.
« Quale spettacolo — dice, infine il B. — quellodiuna nazione costantemente schiacciata e che sempre si rialza c trascina dietro a sè il duplice fardello della patria e della fede, con ribadita al capo una speranza vivace non meno spesso rinascente che delusa ».
[Abbiamo dato un largo riassunto di questo articolo per l’importanza che esso acquista nel- momento in cui noi diamo luogo nelle pagine della rivista ad uno scambio d’idee tra i nostri lettori sul problema delle relazioni tra cristianismo ed ebraismo. AL d. DJ.
A proposito della conoscenza degli scrittori cristiani che il nostro Tagliatatela nel i° fascicolo di quest’anno proclamava come necessaria ed utile, troviamo nella Revue des Jeunes del ro febbraio un buon articolo di M. Jacquin che recensendo la storia della letteratura cristiana del De Labriolle ne approvava le direttive e insiste sulla necessità di non dimenticare gli autori cristiani. « Per quanto essa abbia delle mancanze — dice il De Labriolle — questa viva letteratura cristiana merita di essere studiata meglio che non lo sia comunemente e chi s’interessa alla storia delle idee non si rammaricherà d’aver portato verso questo lato il suo sforzo. Numerosi sono i problemi storici e letterari che non si afferrano nella loro pienezza se non quando se rie son visti costituire gli clementi nel periodo stesso che noi abbiamo finito di percorrere.
Chiesa e Stato. — Sulle memorie recentemente uscite del Cardinal Ferrata, le quali nell’intento di Benedetto XV che ne à approvato la pubblicazione, dovrebbero essere il manuale del perfetto diplomatico ecclesiastico, scrive L. Grégoire nella Revue des deux Mondes del 15 marzo, mettendo in luce le intromissioni del nunzio che, al dir dello scrittore, avrebbero apportato dei reali benefici di pacificazione nella politica interna della Francia mentre nella politica estera avrebbero agevolata l’alleanza con la Russia che avrebbe tratta dall'isolamento. Questi tre volumi di memorie sarebbero quindi un contributo notevole di carattere storico alle relazioni tra la Chiesa e lo Stato in Francia, e spiegherebbero l’importanza è la necessità di una nunziatura. Esse, sarebbero l’ultima sua opera postuma di pacificazione, pacificazione ch’egli volle tra i vescovi, tra i religiosi, tra i partiti, tra gli stati e tra il magistero soprannazionale della Chiesa c quello dei poteri nazionali.
Il movimento religioso in Portogallo— Il lungo studio che dedica J. Bonbée nelle Éludes del 5-20 marzo- al movimento religioso nel Portogallo più che delinaerci l’inquietudine religiosa portoghese ci dimostra quali siano le speranze ed i propositi del cattolicismo francese nella situazione difficile in cui si'trova ora quella nazione. Di essa la Francia tenta di avvalersi nel proprio interesse e servendosi, come spesso avviene anche altrove, della chiesa come mezzo di propaganda c di dominio. Delle confessioni preziose si trovano anche in Suesto senso nello studio, quale quella ella « fede tradizionale » dei Portoghesi, che consiste in fin dei conti, nell'esteriorità e che è fondata sull’ignoranza e sulla coazione (così almeno lo era durante il regime monarchico). L’articolo è completato da alcune indicazioni sulle opere di propaganda cattolica francese che. politica a parte, dovrebbero fare realmente del bene in tanta miseria materiale e morale.
Il cattolicismo tedesco. — Per lo stato d’animo francese di fronte alla Germania è interessante esaminare l’articolo che P. Waline consacra allo studio di qualche aspetto nuovo del cattolicismo tedesco nella Revue des Jeunes del io marzo. Egli crede di vedere nell'atteggiamento dello spirito tedesco attuale una tendenza decisa verso il cattolicismo ed una corrente
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antievangelica, dovuta alle condizioni di fermezza, di unità e di autorità che presenta il cattolicismo o ad alcune mancanze di culti speciali (per l'introduzione di quello della Vergine ci sarebbe stata una proposta del dr. Krebs nella Kölnische Volks-zeitung del 23-24 nov. 1920) nell’evangelismo. Ma in questa corrente cattolica o neocattolica l’articolista si domanda se ci sia una resipiscenza in modo che un tedesco cattolico debba considerarsi meno tedesco, poiché secondo lui, l’avvicinamento al cattolicismo dovrebbe significare allontanamento dal germanesimo. Egli passa quindi in rassegna le opere e le azioni politiche e religiose dei cattolici tedeschi ed i loro atteggiamenti’sociali e ne spia il movimento umanitaristico e quello puramente cristiano per constatare se cambiamento vi sia realmente negli spiriti. Ma il buon francese non può concludere come vorrebbe e confessa che non si potrà intendersela con i tedeschi « fin quando si ostineranno a Monaco ed a Francoforte a gettare un
velo sulle origini c la condotta della guerra».
' « Attaccati più strettamente che mai alle loro piccole patrie, ma pure alla grande Germania, giunti alla direzione degli affari nazionali, i cattolici restano, contro di noi, i difensori del germanesimo. E’ lecito sperare, in ogni modo, che sotto la loro influenza, il governo e l’opinione sfuggiranno alla coazione prussiana c che un spirito nuovo penetrerà a poco a poco questo germanesimo del 1921, maschera abile dell’antico. Fin d’orale correnti che si manifestano nel cattolicismo tedesco sembrano allontanarlo dalle vie che gli rinfacciavamo, durante la guèrra, di aver servilmente seguite. Forse esse lo condurranno su quella sola che potrà, un giorno, vedere un nostro incontro. Al di sopra dell’abisso che separa i due popoli non vi è altro passaggio >.
Indubbiamente- i Francesi prima di essere cattolici sono francesi, e quando divengono cattolici vogliono che gli altri siano, dopo cattolici, francesi!
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FRJV CHigZE E-CENACOU
IV.
i. Ad iniziativa di un gruppo di amici si è costituita in Firenze un’Associazione per il progresso morale e religioso. L'associazione avrebbe lo scopo di destare e alimentare lo spirito religioso e di promuovere, senza preoccupazione di scuole filosofiche e confessioni, studi critici e storici di religione e di etica per diffondere un largo movimento di coscienze, le quali, con cordiale rispetto per ogni fede sincera, vo-S;liano contribuire al progresso morale e re-igioso. I,’Associazione non insegna alcuna dottrina, nè domanda alcun credo e l’appartenere ad essa non limita la libertà individuale in credenze particolari, nè altera le relazioni degli aderenti con altre istituzioni o Chiese. I Soci, come è dettò nello statuto, rimangono altresì liberi di manifestare, pur in seno all’Associazione, il loro particolare atteggiamento di vita religiosa con spirito di reciproca tolleranza. Nella prima riunione il relatore fece notare Futilità di un movimento che non miri al solito alimento intellettuale, spesso arido e infecondo, ma ad un risveglio morale e religioso, fondamento perenne di ogni civiltà. Tutti coloro che s’interessano ai gravi problemi che premono su la coscienza moderna e che riconoscono l’utilità di questo movimento, possono rivolgersi per schiarimenti e per adesioni al Comitato direttivo dell’Associazione stessa in Firenze, Piazza del Duomo 8, presso la Biblioteca Filosofica.
2. Fa riscontro all’Associazione or ora menzionata quella sorta a Charlpttenburg (Bund der Ueberkonfessionellen) che à aperto locali in cui possono convenire appartenenti a diverse religioni e confessioni, allo scopo di coltivare insieme il nu
cleo che tutte le religioni ànno in comune: la religiosità. Quella so ta in Firenze però mostra un programma di lavoro più ricco e più pratico.
3. La Società Srl Bharat Dharma Maha-mandal si è fatta promotrice, nell’india inglese, della fondazione di una Hall of all Religions, che dovrebbe essere la traduzione pratica dei voti espressi nel 1893 da! Parliament of Religions che ebbe luogo a Chicago. Questa Società indiana à inviato una circolare agli uomini più rappresentivi degli studi e dell'azione spirituale nelle varie nazioni col titolo Suggestioni for a Worlhy War Memorial. Essa enumera le forme, i modi e le condizioni del sorgere di questo centro di vita religiosa internazionale che accolga in sè i rappresentanti di tutti i principali culti della terra, concordanti nella venerazione di un potere superiore e nell’amore di una umanità affratellata in quel culto universale.
4. Ci giunge notizia, e se ne è anche occupato A.-Chiappelli, in < Echi e Commenti » (anno I, n. 7) di una grande associazione sorta recentemente in Germania portante il nome di un pensatore ben noto fra noi,. Rudolph Eucken. Questa Società non vuol esser filosofica, ma educatrice spirituale, volendo richiamare la coscienza tedesca a quelle ideali altezze dalle quali è decaduta. Coordinare gli sforzi per una finalità di rigenerazione umana e civile, Sr un’azione spirituale, riparatrice e af-itellatrice, che penetri anche nelle medesime controversie economiche, è lo scopo di essa.
5. Karl Mennicke e Walter Koch proponevano .or non è molto, nel periodoco Neue Werk, la fondazione di un'associazione fraterna fra tutti i popoli, la quale dovrebbe
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opporsi a ogni violenza e lavorare con tutte le sue forze per la ricostruzione della vita interiore c sociale fra tutte le genti.
6. La Chiesa di Stato scozzese (Eetabli-shed Church) à elaborato un nuovp statuto secondo il quale dichiara la sua indipendenza dallo Stato per tutte le questioni che riguardano la sua vita interiore, e vuole, dopo l’approvazione di questo statuto, per mezzo del Parlamento inglese, riunirsi con la United Free Cburcb scozzese.
7. La Chiesa evangelica indipendente in Galizia vorrebbe associarsi alle Chiese Unite dei luterani e riformati polacchi, alla condizione di conservare le sue caratteristiche.
8. Nell’America del Nord è in attività da qualche anno un Interchurch World Mo-vement che intende mettere a disposizione millcsettccento milioni di franchi per migliorare economicamente le chiese ed il personale che vi appartiene sia all’interno che all'estero. • .
9. Il Corriere Warzowsld, grande giornale che si pubblicava in Varsavia, è stato acquistato per tre milioni da un mecenate polacco e trasformato in giornale cattolico.
io. La Chiesa cattolica romana in Australia conta centonovemila quattrocento-sedici anime, e duemila centocinquanta-quattro chiese. Vi sono quattro grandi seminari, sette arcivescovi e sette vicari apostolici.
IX. Indice di nn movimento materialistico nei socialisti di Zurigo, è un opuscolo che riguarda le scuole pubbliche ( Un programmi scoiaire) in cui è sostenuta la tesi che la base dell’insegnamento dev ‘esser la concezione materialistica della storia. Gli autori dell’opuscolo vorrebbero fondare un insegnamento etico obbligatorio distinto da quello religioso facoltativo. Il programma à, in genere, un carattere agres-sivo contro le Cinese ed à destato, secóndo la Semaine Religteuse de Ginève, sgradevole impressione nei circoli cristiani di Zurigo. Questi temono che i poteri pubblici, sotto pretesto di neutralità, profittino della situazione per abbandonare i fanciulli allo spirito materialistico dominante in certe classi sociali.
12. Il papa à offerto cinquantamila lire per la fondazione a Kandy, nell’ Isola di Ceylon di un seminario destinato alla formazione di un clero indigeno.
13. Il recente successo dei candidati cattolici nelle elezioni municipali scozzesi, indica la preponderanza che ivi ànno. A Gla-scow sono stati eletti quattordici consiglieri comunali cattolici: a Edimburg tre, e in altre città molti cattolici sono ¿tati chiamati a prender parte alla vita municipale.
14. Le Cristianismi au XX sièste, riceve la notizia che parecchie centinaia di studenti giapponesi hanno organizzato riunioni in diverse città dcH'Estrcmo Oriente per studiare la dottrina e la vita cattolica.
15. E’ stata tenuta a Londra il io Febbraio u. s. sotto gli auspici di un comitato rappresentante la Church Social ist League, la Fellowship of ReconciUation e la League ofFaitb and Labour una pubblica riunione alla quale furono invitati rappresentanti di tutte le denominazioni. La discussione tendeva a mostrare il punto di vista cristiano riguardo a gravi problemi dell’oggi come quello della disoccupazione e in genere dei difetti dell’organizzazione sociale.
16. Secondo una statistica pubblicata nel 1917 vi sono nel Giappone oltre no mila santuari shlntoisti con 14 mila preti. Vi sono più di 100 mila templi buddisti con oltre 50 mila preti. Il prof. S. Uchigasaki di Toldo, à fatto notare in un articolo su la vita religiosa nell’Estremo Oriente che alcune generazioni or sono, oltre ai santuari, apparvero chiese shintoiste assai diverse da quelli. Di queste chiese se ne contano attualmente di 13 denominazioni, ciascuna delle quali à buon numero di aderenti. Lo stesso scrittore avverte che io spirito del confucianismo è stato generalmente più rispettato e praticato nel Giappone che in Cina, e che il buddismo è stato semplificato nel Giappone e si è diversificato in molte sètte che ànno un concetto ottimistico della vita.
L’unione delle Chiese à trovato una soluzione pratica in un’antica città dell’Inghilterra occidentale dove un pastore, non potendo più.prestar servizio religioso in un ospedale, fece appello ai membri di tutte
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le denominazioni che si trovavano in quella città, invitando pastori della chiesa anglicana, congregazionalista, metodista, battista e unitaria per organizzare un piano secondo il quale tutti potessero prestare il loro ufficio religioso nell’ospedale. L’invito fu accolto ed il progetto ebbe subito esecuzione. Il lavoro continuerà per prova sino ad aprile, e dallo scorso autunno, ossia, dall’inizio del lavoro sin oggi, non è sorto il più piccolo incidente. La direzione dell’òspedalc apprezza molto l’opera di quei pastori dalle diverse confessioni, uniti nel servizio religioso, nella pietosa opera di consolare gli afflitti, dai quali ricevono espressioni di profonda gratitudine.
18. La Società Brahmo Samaj di Londra, à promosso un convegno in memoria del-1’870 anniversario della morte di Rammo-hun Roy. Presiedeva l’adunanza il Sig. Krishna Gupta. Il prof. P. C. Roy ed altri ànno parlato -della vita e delle opere del grande riformatore indiano Rammohun Roy il quale, come si sa, fondò la chiesa teista in India nel 1828, tentò unire spiritualmente l'Oriente all’occidente e dedicò tutta la sua vita ad opere sociali e di educazione religiosa.
19. Da un recente rapporto del lavoro dei liberali cattolici in Inghilterra si nota che mentre essi son riusciti a raccogliere molti elementi venuti da diverse confessioni, non sono però riusciti a superare le difficoltà sorgenti dalle differenti credenze. Guardando al convegno di Birmingham, dice questo rapportò, fa impressione vedere qual lungo cammino devo ancora farsi prima che si giunga alla unione. Profonde differenze sonò tra credenti e increduli, e sembra quasi dover disperare di superarle. Lo stesso rapporto però sostiene che quelle differenze sono in gran parte o-riginate dalla inadeguatezza del linguaggio e che perciò molte divergenze sono più apparenti che reali. I credi, continua il rapporto, dovrebbero porsi alla fine del cammino, non al principio di esso.
—l । ui—axww । ty »resM—
20. Il 23 ottobre u. s. ebbe luogo a Lei-chester un’assemblea di cristiani liberali, laici inglesi con lo scopo di : i° promuovere l’adorazione di Dio e l’amore e l’aiuto reciproco fra gli uomini nello spirito di Gesù; 20 incoraggiare i laici a prender parte più attiva nell’opera delle chiese; 30 formare una vera unione e ottenere una più intima
coopcrazione tra i membri delle varie associazioni; 4° prender contatto coi singoli cristiani liberali che abitano in luoghi dove non esiste alcun gruppo; 50 aiutare la diffusione di giornali, opuscoli, ecc. atti a diffondere l’interesse per la religione liberale; 6° incoraggiare la formazione di gruppi o sezioni. Tutti i laici possono essere membri dell’Associazione pagando annualmente cinque scellini.
21. Per rafforzare il movimento cristiano sociale in Baviera, e più precisamente per illuminare i rapporti teorici e pratici tra cristianesimo e socialismo, si è fondata in Monaco una Biblioteca sociale. Gli abbonamenti annuali costano 35 marchi e si à diritto ad avere in prestito cento volumi all’anno, non più di dieci per volta. Cataloghi e informazioni si dànno gratuitamente dalla libreria Chr. Kayrer, Mùnchen.
Con scopi analoghi l'Associazione della Stampa Renana (Essen-Ruhr, III. Hagen) à messo in attività un’altra Biblioteca cir-. colante (Apologetischen Bùchernversand.
22. Un grande convegno dèlia Società degli Amici (Quacheri) à avuto luogo a Londra. Vi ànno partecipato rappresentanti dei molti gruppi sparsi in tutto il mondo. Solo dagli Stati Uniti sono andati oltre 400 rappresentanti Le missioni di Oriente avevano anche inviato molti membri. L’argomento principale della discussione è stato l’opera di pace fatta dalla Società e le sue applicazioni ai problemi mondiali dell’oggi.
23. Per l’autunno si prepara in Germania una riattivazione della propaganda per il distacco delle Chiese (Austrittsprofa-ganda). In Lipsia essa viene ravvivata dal-l'Associazione dei liberi pensatori proletàri e dal loro organo Volkszeitung. Per ovviare a questo pericolo si vede, nel campo opposto, e specialmente in quello protestante, una notevole attività letteraria. Si è pubblicato recentemente un manuale che deve servire allo scopo della propaganda in favore delle Chiese (Handbuch zum Kirche-naustri/t) e molti altri fogli’volanti, fra cui notiamo: Der Kirchen Austri// ist jetz ganz leicht (vuole disposizioni rigorose per render difficile il distacco delle Chiese); An die aus der Kirche Ausetre/enen (rammenta il danno, sopratutto morale e religioso del movimento antiecclesiastico) ; Hai die Kirche zum Kriege gehetz/ (vuol mostrare
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che la Chiesa non à incoraggiato alla guerra; Stimmen auf die man nicht gehört (richiama alla voce del Vangelo) ; Warum müssen wir aus der Kirche austreten ? (confuta coloro che sostengono i vantaggi del distacco dalla Chiesa). Un altro foglio è pronto, e tutte queste pubblicazioni si possono avere rivolgendosi all'Associazione della stampa Evangelica in Dresda Ferdinandstrasse 16L
24. Buoni risultati contro il movimento antiecclesiastìco à dato in Germania una circolare che il Consiglio ecclesiastico dì Dessau invia a ciascuno appena si distacca dalla Chiesa. Ne traduciamo la fine: Con vivo dolore abbiamo preso conoscenza che Ella per mezzo della Sua dichiarazione fatta all’ufficio Comunale si è staccata dalla Chiesa evangelica, alla quale i Suoi avi da secoli fedelmente ap-appartennero. Con tale atto Ella si è messa fuori dalla- grande comunità della vita cristiana rappresentata dalle Chiese e senza della quale la religione c la morale cadono in rovina. Ella rinuncia a) conforto della Chiesa per i tristi giorni della vita che a nessuno sono risparmiati. Col Suo distacco Ellaà perduto tutti i diritti sinora Sodati qual membro di essa. Ella à per-uto i diritti che si riferiscono all’amministrazione e alle elezioni ecclesiastiche, ai certificati di battesimo, rimane escluso dalla sante céna, ecc... Noi crediamo opportuno richiamare la Sua- attenzione sul fatto che il ritorno alla Chiesa non può aver luogo per la medesima via del distacco, per mezzo cioè dell’ufficio Governativo. Occorre una speciale domanda fatta all’ufficio Ecclesiastico del Comune il quale dovrà decidere se può, o no, .riammetterla fra i membri della Chiesa.
. 25. Nel febbraio del 1919 si costituiva in Germania un’Associazione socialista degli amici della Chiesa (Bund Sozialistischer Kirchen freunde) allo scopo di studiare i metodi di lavoro per un ravvicinamento della Chiesa al socialismo. Il 3 dicembre dello scorso anno, questa Asserzione si riuniva al Bund Religiöser Sozialisten e all'altra più antica Società della Nuova Chiesa (Bund Neue Kirche) formulando il seguente programma: «La lega dei socialisti religiosi accoglie uomini c donne che si professano cristiani socialisti. Essa domanda che venga seriamente applicata l'etica cristiana non solo nella vita privata ma anche in quella pubblica, e combatte per
ciò ogni contraria richiesta che possa provenire dallo Stato. Essa vuol vedere applicati i principi della fraternità nella trasformazione della vita statale, ed economica. Essa considera anche come un imprescindibile comandamento cristiano l’anione in favore della pace fra tutti i popoli. Desidera una Chiesa democraticamente costituita e nella quale i socialisti possano aver riconosciuti i loro diritti ».
Da un canto'questa Associazione tende a potenziare politicamente l’idea cristiana; dall’altro a render religioso l’odierno socialismo avvicinandolo al cristianesimo. I soci pagano 4 marchi all’anno e la sede centrale è in Berlino, Oberseestr.
Una recente lettera di Ernst v. Harnach, pubblicata nel n. 19 della Christliche Welt, invitava la Chiesa a prender contatto col socialismo avendo essa tutto un vasto campo da esplorare tra la cura delle anime e la politica sociale.
26. Una vasta Associazione cattolica del popolo tedesco ( Volksverein fur das Katho-lische Deutschland) si propone uno scopo sociale e religioso insieme, diffondendo l’istruzione cattolica nella borghesia e nelle masse popolari. Il suo ufficio di propaganda è inappuntabile. La propaganda vien fatta sia per promuovere riforme sociali, sia per intensificare la conversione al cat-tolicismo delle masse proletarie. Si è già all'uopo costituita una scuòla di perfezionamento per i cattolici tedeschi, dove vengono impartite lezioni di sociologia e di apologetica. Ogni polemica confessionale viene accuratamente evitata. La sede centrale deH’Associazionc è in Gladbaeh. Ivi risiedono il Presidente generale e due vice presidenti. Nella scuola vengono trattate le questioni agrarie, il lavoro manuale, il commercio, l'educazione, l'apologetica, e tutte da persone competenti. Per ogni disciplina vi è una speciale biblioteca. La sede centrale possiede inoltre una grande biblioteca per scienze sociali e teologiche contenente oltre 38 mila volumi, senza contare gli opuscoli e le riviste. L’Associazione però ha dovuto subire an-ch’essa i danni della guerra e del movimento antiecclesiastico accentuatosi in questi ultimi'tempi, cosicché i suoi membri, che nel 1914 erano 805 mila, sono ora ridotti a poco più di 700 mila. E* questa tuttavia una cifra considerevole che basta a mostrare l'influenza del movimento cattolico in Germania.
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FRA CHIESE E CENACOLI
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27. Nel convegno- dell’Associazione cristiana della gioventù, tedesca sono intervenuti oltre 400 membri come rappresentanti di 36 gruppi esistenti in diverse città della Germania. La maggior parte degli intervenuti erano giovani dai venti a trenta anni, appartenenti a condizioni sociali diverse. Or d un anno fu fondato un ramo operai nell’Associazione. Il recente convegno ebbe carattere un po’ diverso dai precedenti per il fatto che solo i giovani ebbero la parola, volendosi gli altri tenere in disparte:. Paolo Herzog, Segretario Generale dell'Associazione, parlò con successo del movimento giovanile del nostro tempo, e sostenne che esso deve estendersi a tutta la gioventù tedesca.
28. Cessate in Gina le restrizioni contro gli stranieri, in vigore durante la guerra, il palazzo delle Missioni di Tsingtau è stato riadattato al suo ufficio primitivo. Le missioni inglesi sono in grande attività nel Giappone e quelle tedesche fanno ogni sforzo per riacquistare il posto perduto. Dà Berlino sono stati inviati sette missionari in Cina.
. 29. Il governo polacco continua i suoi atti di intolleranza contro gli evangelici. Non solo esso à imposto che il Concistoro evangelico di Posen sia sostituito da uno polacco, ma fa sorvegliare da guardie quasi tutti i predicatori, e ordina che tutte le letture bibliche vengano precedentemente e legalmente annunciate all'autorità. Su le condizioni tutt'altro che buone in cui si trovano attualmente gli evangelici in Polonia e in Lituania, si occupa va recentemente l'organo dell’Associazione Gustavo Adolfo (Monalshefte des Gustav-Adolf-Ve-rein).
30. In Schleswig Holstein le 33 associazioni luterane e cattoliche che ivi esistono si sono unite per difendere i loro comuni in
teressi conservando naturalmente il loro diverso carattere confessionale e la loro indipendenza giuridica e amministrativa. Anche l'Associazione Evangelica all’estero (Deutsch-Evangelischen ini Ausland) l’Associazione per la protezione dei tedeschi (Deut-scher Schutzbund) àn no concluso una convenzione con l'Associazione cattolica (Rei-chsverband fiìr die Katholischen im Ausland) per là formazione di un comitato in difesa degli interessi religiosi della Germania all’estero.
31. Nel convegno annuale delle comunità di liberi religiosi tedeschi fu constatata la formazione di gran numero di nuovi cenacoli, presso i quali però più che un bisogno religioso è notevole uno spirito battagliero contro le Chiese. Una proposta fatta nel convegno per combattere le Chiese e le credenze nella esistenza di un Dio personale fu rigettata.
32. Il Partito Berlinese degli Indipendènti, à posto come condizione, per le elezioni dei suoi candidati, all’amministrazione comunale, che nessuno debba appartenere ad una comunità religiosa. Il maggior organo socialista Vorwàrts, commenta questo fatto dicendo che il principio socialista « la religióne è affare privato » si. è così trasformata in quest’altro « l’areligiosità ò affare di partito ».
33. Il Sinodo generale delle chiese protestanti in Spagna à eletto sin dall’anno scorso una commissióne permanente per la direzione delle chiese evangeliche. Da gualche tempo le chiese protestanti godono ivi di una libertà che prima non avevano. I cinque periodici evangelici: La Luz, El Cristiano, Rivista Cristiana, El Alaya ed El Cristianismo, si sono riuniti per costituire un nuovo periodico che sin dal 29 gennaio dell’anno scorso si pubblica in Madrid cól tìtolo Espana evangèlica.
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La coscienza nazionale. — All’università popolare genovese l’on. Romolo Murri à tenuto il 14 marzo un’interessante conferenza in cui à esaminato la coscienza nazionale nella sua formazione storica e nella ripercussione delle sue forze nell'ora presente, per richiamare energicamente le migliori energie spirituali della nazione al miglioramento ed al perfezionamento della vita collettiva. Presa in esame la dura prova della guerra che veniva a mettere in pericolo l'unità italiana, che era in fin dei conti, una semplice unità politica, l’oratore ha fatto un’interessante revisione storica degli elementi costitutivi della coscienza italiana: la romanità, prima, volontà di conquista e di potenza che tende a farsi diritto e universalità di impero; ma che non riesce a rimuovere l'arbitndT e quindi l’equilibrio profondo onde è materiata la volontà di potenze, e cede il posto ad un altro universalismo, quello della bontà e dell'amore cristiano; il cristianesimo, che vince e annulla le asprezze del diritto nelle predicazioni della fraternità in Dio, ma vagheggiando un compimento ultramondano delle promesse, si estrana poi dalla storia in un ascetismo rigido; sicché è necessario che la tradizione romana di diritto e di organizzazione civile lo pervada, sicchèsorgono il cat-tolicismo e la Roma papale, la quale poi, alla sua volta, accentua il carattere di società politica egemonica e si fa mondanità e dominio; onde, di nuovo, il Rinascimento che comincia come ritorno alle antichità e diviene via via umanesimo, riconquista della coscienza di un divino immanente alla storia, anelito di libertà.
Ma il Rinascimento non riuscì a vincere e risolvere in sé l'organizzazione politica della Chiesa, e vagheggiò, con Macchia velli.
uno Stato che fosse pura potenza; e scisse profondamente la coscienza italiana, che seppe, da allora, esser libera nel foro interno, nella ricerca storica e scientifica, negli ideali di vita, ma soggiacette alla forza politica del papato della controriforma e dei domini stranieri; onde l’ipocrisia e la servitù è l’accademia di due secoli infelici.
Ma rinasce, con il Risorgimento, il senso e la ricerca della libertà, non più solo interiore, ma civile anche; e si aspira, sempre più validamente, all’indipendenza e all’unità politica.
Ma anche questa volta, il pensiero e l’animo italiani non sanno esser tali senza una -profonda sete di universalità; e lo mostrano specialmente Gioberti, col suo primato, e Mazzini con la sua missione d’Italia. Còm-pito del Risorgimento era proclamare ed attirare tutte le libertà umane e innanzi tutto la libertà religiosa» l’autonomia dello spirito; ma esso si arresta dinanzi alla forza della Chiesa e all’universalità storica di questa, divide di nuovo la religione dalla politica, impoverisce lo Stato e le sue scuole e quindi la coscienza civile del paese di ogni contenuto spirituale ed etico e lo immiserisce negli opportunismi di Montecitorio e non ha più norma ed autorità per continuare la violenza irrompente degli interessi e delle agitazioni di classe e di sindacato.
Perciò vizio fondamentale dell'Italia contemporanea è il difetto di unità spirituale e di uno Stato capace di rappresentarla ed attuarla: che i partiti hanno stiracchiata nelle più diverse forme.
La Chiesa cattolica, dando luogo a un partito politico, mentre da una parte mostra di essersi piegata al riconoscimento dell’unità nazionale e dello Stato, dall’altra rischia di diminuire ancora i valori spi-
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rituali e religiosi immischiandoli nelle competizioni politiche e nella lotta di interessi; e la laicità è separazione nociva di competenze più che riconoscimento di valori spirituali e morali immanenti nello Stato.
Le masse popolari, irrompendo con la forza del numero c di cupidigie sfrenate nella vita pubblica, mostrano di dimenticare che l’autogoverno'è capacità spirituale, che esige una laboriosa ed alacre preparazione; e che la varietà delle funzioni sociali non può essere soppressa; e che lo Stato è una poderosa creazione di cultura, frutto di millenni e che è sempre necessario migliorare ma che sarebbe rovinoso distruggere.
L’oratore à concluso con un appello' agli uomini delle varie parti e frazioni perchè, riconoscendo la. necessità di queste contese civili, sappiano rispettarsi a vicenda e, pur nella vivacità della lotta, non perdano di vista la nazione che ci unisce e quel patrimonio spirituale che può far di essa strumento, fra i popoli, dì una più alta civiltà pacificatrice. \
L’essenza dell’anima antica. — Il nostro esimio collaboratore prof. Adriano Tilgher ha tenuto nel Circolo universitario di studi religiosi in Roma, il 24 marzo scorso, una bellissima conferenza sull’«Eterno Ritorno e l’intuizione della vita nell’antichità classica », che è stata una felicissima ricostruzione dell’essenza dell’anima antica. Per i lettori che non hanno assistito alla conferenza, mentre siamo lieti di annunziare che ne prepariamo la pubblicazione in uno dei nostri quaderni del 20 semestre di quest’anno, ne diamo un breve riassunto.
L’« Eterno Ritorno», cioè il ciclico, perenne ripetersi di tutte le cose e di tutti gli eventi, è la fede e il mito del mondo greco-pagano; come il «Progresso.» è la fede e il mito del mondo cristiano e moderno. Esso germoglia dal fondamentale dualismo metafisico in cui la filosofia greca resta impigliata in sul nascere e dentro al quale sembra condannata ad aggirarsi in perpetuo come entro le mura d’una prigione, senza mai uscire, per quanti sforzi fàccia, a trovarsi la via d’uscita. Dualismo di essere reale ed essere apparente, di essere c divenire, di essere e non essere che la stessa filosofia di Plotino, ultimo grande monumento del pensiero pagano greco, riesce ad occultare, non a superare.
Così il mondo della molteplicità e del divenire resta di fronte ab-aeterno al mondo dell’essere e dell’unità. Perennemente tra
vagliato dal conato di congiungersi e dissolversi in questo, il mondo del non-essere o della natura s’innalza fino .all’Assoluto, l’attinge un istante, ma, lungi dal confondersi ed estinguersi in esso, tratto dalla propria insopprimibile corpulenza, ripiomba pesante su sè stesso. Per rialzarsi e per ricadere db-aeterno.
L’Eterno ritorno è l’eterno nascere e svanire dei mondi nello sforzo disperato e perennemente frustato di abolirsi nel-l’Assoluto. Così, impotente a raggiungerlo, il non essere lo imita girando in cerchio e ripassando periodicamente per gli stessi eventi. La ciclica vicenda del tempo, l’E-terno ritorno, non è che il mezzo con cui la materia, condannata alla differenza ed al cambiamento, realizza in sè un'immagine, un’ombra, un sentore dell’immobile eternità cui disperatamente aspira. Se l'essere eterno ed assoluto non fosse, la natura non girerebbe perpetuamente in cerchio su se stessa; e poiché ab-aeterno sono di fronte l’assoluto ed il principio del non esseree della materia, afr-aeterno la ruota della nascita e della morte gira su sé stessa, ab-aeterno il mondo passa e ripassa sempre per i medesimi stati. Il pensiero greco classico appare così come la più radicale negazione della Storia che sia mai stata. Negata dall’eterno ritorno dei cicli universali che si susseguono perennemente identici senz'altro nesso che non sia quello del loro fatale e inconcludente ripetersi; negata nell'interno stesso del di venire ciclico, perchè contingente il suo sorgere, illusorio il suo sviluppo, fittizio il suo estinguersi. Sfiduciato del mondo in preda al cieco fato del suo spegnersi e del suo rinnovarsi, il genio greco rinuncia ad agire, rinuncia a plasmare il mondo della materia e del divenire secondo un ideale che brilli nell’intimità dello spirito, fissandosi nella visione dell’essere.
La morale antica sdegna la pratica e la sacrifica alla contemplazione. Fugge dal mondo e si ritira nella profondità dell'Es-sere assoluto che è nell’uomo, come in tutte le cose, se pure corrotto e contaminato dalla materia in che decadde. Virtù è pel greco allontanamento dall’anima di una ruggine, di un fango che le si è aggiunto dal di fuori e ne ha deturpato, nascosto, ma non distrutto il divino splendore. La perfezione morale per l’anima greca non è conquista perennemente rinnovata, perchè perpetuamente pericolante, come per l’anima moderna; è uno stalo o dato di natura ideal-
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mente antecedente alla corruzione sensibile c che questa non ha la forza di intaccare. Basta rimuovere il fango che la copre, perchè la bellezza dell'anima rifulga in tutta la sua luce. Così la morale greca, in opposizione alla morale moderna, si rivela essenzialmente purificatoria ed ascetica.
La Federazione francese degli studenti cristiani. — La Federazione francese degli studenti cristiani ha tenuto a Lione dal 6 al 9 febbraio il suo XVII Congresso annuale, che riuscì imponente dimostrazione di quanta forza possiede la gioventù cristiana e come in essa si possano fondare le speranze di un vero e sano rinnovamento della società. Con serenità venne svolto un programma vasto, armonico ed interessante. Alla serietà e gravità dei lavori seguivano vivace allegria goliardica, molto brio ed • humour ».
Si precisò il programma di un lavoro religioso rigorosamente cristiano nel senso più largo ed umano della parola e in pro’ dello spirito di solidarietà fra tutti i popoli.
Molto si parlò intorno al carattere, la sua crisi, la sua formazione dal punto di vista cristiano, ecc., corroborando le conversazioni con meditazioni sul carattere di S. Paolo, di S. Giovanni di S.Pietro.
La Federazione italiana degli studenti per la cultura religiosa era stata invitata a mandare i suoi rappresentanti; ricevette tale incarico il segretario avv. Alfredo Grossi che a nome della Federazione italiana invitò l’associazione sorella a prendere parte anch’essa al prossimo congresso nazionale, c tale invito fu accolto ed accettato con entusiasmo.
I Cattòlici e la Società delle Nazioni. — Sotto questo titolo ha tenuto recentemente una conferenza alla « Pro Cultura » di Milano il dott. E.Vercesi. Dopo aver ricordato la necessità di vedere la Lega delle Nazioni dal punto di vista degli interessi della Chiesa, l’oratore à richiamatosi pensiero di Giuseppe Mazzini e il tentativo della Chiesa cattolica d’aggruppare nel medio evo i popoli sotto la bandiera della cristianità; insistette quindi sulla necessità di epurare il concetto di patria da tutto ciò che contrasta col diritto della patria altrui, in modo che i termini di patria e umanità non costituiscano due termini antitetici, ma integrativi. Noi tendiamo indubbiamente verso nuove forme di civiltà e di progresso. Per realizzarle occorrerebbe dar loro un’a
nima cristiana. Purtroppo l’onda materialistica rende di difficile attuazione l’ideale che esce dall’utopia per entrare nella realtà. I cattolici, ha concluso l'oratore, hanno un compito gravissimo al quale non debbono venir meno.
Più che i cattolici, aggiungiamo noi, i cristiani tutti hanno il compito grave che ha loro ben assegnato l’oratore; l’errore dei primi sta appunto in questo voler vedere la gravità delle cose attuali da un punto di vista ristretto e troppo esclusivo.
La religione d’Israele. — Come contributo alle nostre ricerche Sull’Ebraismo c Cristianesimo, provocate dalla lettera della Ohlsen e favorite dall’interessante studio del Lattes venuto alla luce nel fascicolo di febbràio, e ripetuto in forma di conferenza sotto il titolo di «Valori Ebraici e valori Cristiani » in Ferrara il 23 marzo u.s., diamo un sunto della conferenza tenuta in Roma dal nostro* chiaro collaboratore il prof. Levi della Vida al Circolo universitario di studi storico-religiosi, il 14 marzo, su la religione d’Israele, facendovi seguire qualche notevole osservazione di cui, l’argomento stesso, fu oggetto ncll’Zsrad del 7 aprile..
Il conferenziere, premesso che c particolarmente delicato parlare della religione ebraica, disse che tanto il cristianesimo quanto il giudaismo sono concordi nel ritenere sacra l’antica storia del popolo di Israele; notò poi che, mentre per gli ebrei la Legge data dalla Rivelazione è la sola vera ed eterna, essa, secondo i cristiani, è stata compiuta dalla seconda Rivelazione, (il Vangelo); riferì intorno alla credenza cristiana secondo la quale alla venuta di Cristo un velo cadde sugli occhi dei rabbini che impedì loro di vedere la verità, aggiungendo che questa è credenza teologica ma non storica; e finalmente passò a dare un rapido sguardo allo svolgimento storico della religione d’Israele. Il Levi riaffermò l'antichità del decalogo contro ai critici che non la vogliono ammettere, ma ridusse l’applicazione di quei precetti nell’ambito della sola tribù; espose lo stabilirsi del popolo eletto nella Terra promessa in tre secoli di lotte alternate a periodi di convivenza pacifica coi primi occupanti, il sorgere allora del sacerdozio, d’impronta gentile, e della corrente contrària del profetismo. D’importanza fondamentale fu la sua tesi: che genuino e legittimo rappresentante ed erede della primitiva religione
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d’Israele sia il profetismo, di contro al sacerdozio. Notevole pure la rivendicazione all’ebraismo dell’universalismo umanitario, di cui fu il vero fondatore il secondo Isaia, e della così detta paternità di Dio, per la quale tanto sublime e umana pare a molti la religione cristiana. Dati i tempi e le tendenze spirituali odierne, il conferenziere volle poi scendere dai campi sereni della scienza nei problemi della vita ebraica d’oggi; chiestosi se gli ebrei fossero un popolo o una religione, asserì che il giudaismo s’è ormai esaurito nel cristianesimo, il quale da lui ha tratto tutti gli elementi essenziali, togliendo di più al giudaismo il monopolio della religione per mettere tutti gli uomini indiretta comunicazione con Dio.
Quest’ultima affermazione è stata contestata da I. S. nell* ZsroeZ: lo scrittore ha osservato che non era veramente il cristianesimo quello che faceva comunicare direttamente il fedele con Dio. Non vogliamo parlare della gerarchia cattolica, nè della «protesta» dei popoli settentrionali, contro il monopolio di Roma, né ciò che comincia ad essere grave, del controllo sul testo dei libri sacri.
Secondo I. S. invece ogni ebreo è tenuto a vivere c a saper vivere in comunicazione con Dio; ogni ebreo è sacerdote, come sacerdote dovrebbe essere ogni uomo. In questo c’è una differenza tra ebraismo c cristianesimo che va notata ».,
All'asserzione poi del Levi che tutti i moderni ebrei sono in qualche modo cristiani, come tutti i cristiani sono in qualche modo israeliti I. S. risponde: « mentre m’esalto in questo apparire del contributo dato dal nostro popolo al benessere spirituale del mondo; saluto commosso il giorno in cui tale fratellanza si stabilirà veramente, in sincerità di cuore, tra'i seguaci delle due grandi religioni ».Ma non può tuttavia non osservare che per l’idea monoteistica gli ebrei non aderiscono al cristianesimo, in quanto esso ammette la Trinità, che contrasta col monoteismo rigido senza accomodamenti. Quanto al dualismo insanabile insito nel cristianesimo tra materia e idea, tra carne e spirito, egli osserva che la carne è santa come lo spirito, e che pure essendo di carne e di spirito, gli uomini debbono rendersi degni di Dio, lodando Dio non solo e non tanto nelle loro preghiere solitarie, quanto nelle opere, nel fervore della vita, tra i fratelli in Dio Padre.
Omettiamo altre critiche di I.S. alla con-cezioneed all’avvenire del sionismo espresse
dal prof. Levi della Vida, perchè ci sembrano meno importanti per i nostri lettori, sebbene possano in qualche modo contribuire alla conoscenza dell’anima ebraica moderna, il che è soprattutto interessante.
Un librò scientìficò italiano sequestrato in Germania. — Recentemente veniva sequestrato in un deposito librario di Halle per ordine del Procuratore di Stato del primo Tribunale di Berlino, il volume del Prof. Raffaele Corso della R. Università di Roma: La vita sessuale nelle tradizioni popolari italiane.
Questa opera che fa parte della grande collezione etnologica « Anthropophyteia » di Lipsia tratta nella prima parte delle superstizioni che germogliano nel vasto campo della maternità, accompagnando la donna dal talamo alla culla; e nella seconda dell’origine dei canti licenziosi, dei gerghi erotici, dei tatuaggi con carattere osceno e delle sopravvivenze falliche che qua e là rimangono nella memoria e negli usi delle nostre popolazioni. Salutata con vive lodi da insigni studiosi, tra cui il Pi tré, il Krauss, che insegna etnografia a Vienna, il Balducci della Università di Bologna, il Mazzarella deH’Università di Catania c di altri, questa opera è ritenuta un lavoro di prim’ordinc nella letteratura del genere. Noi riteniamo che la magistratura berlinese sia incorsa in equivoco scambiando per erotico un libro di scienza, che gareggia con i trattati del Bartelssulla Donna, del Ploss sul Fanciullo, dell’Ellis sul Pudore, dell’Ivan Blok sulla materia sessuale. Procedendo di questo passo a Berli/io potrà essere ordinata, in nome della inorale, la confisca dei classici, e specialmente del-VArte Amatoria di Ovidio, del Satyricon di Petronio Arbitro, delle Vite dei Cesari di Svetonio, nonché dei manuali di fisiologia, anatomia, psicopatia sessuale. Se non si trattasse di un errore si dovrebbe Sensare ad una rappresaglia organizzata ai anni degli autori italiani, per impedirne la diffusione dei libri sul mercato germanico, rappresaglia che sarebbe mascherata con la veste della morale!
Crisi mondiale.— Sotto questo titolo Adriano Tilgher pubblica pei tipi dello Zanichelli una raccolta di saggi diretti ad esaminare nelle sue manifestazioni più imponenti la grande crisi nella quale ha messo capo la guerra mondiale. Benché vi si parli spesso di politica, non è un libro
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di politica, ma di cultura. Lo sforzo principale dell’autore è diretto alla demolizione di quella che egli chiama la mentalità borghese democratica, mentalità evoluzionista riformista, storicista, progressista, ed a porre in luce le smentite che essa ha ricevuto dalla guerra. Questa mentalità culmina nel mito del Progresso, e l’Autore demolisce questo mito, mostrando com’esso sia storicamente condizionato e connesso allo sviluppo dell’economia capitalista. Chiude il libro un ricco manipolo di studi .diretti a illuminare il pensiero di Marx, dei principali leaders del socialismo e a precisare la posizione delle varie frazioni socialiste di fronte ai problemi spirituali posti dalla crisi mondiale. Libro di passione e di pensiero, insieme, irruente e ragionatore, pessimista ed amaro, che si fa leggere e fa pensare. Ci proponiamo di riparlarne in un prossimo fascicolò.
Raffaele Corso. — Il nostro collaboratore prof. Raffaele Corso, è stato chiamato insieme con Franz Boas dell’università Colombiana di New York, con Sigmund Freud dell’università di Vienna, con Alberto Neis-ser dell’università di Breslavia, con Carlo von den Steinen e Hermann Obst direttore del Museo Etnografico di Berlino, a far parte del Comitato Direttivo della grande rivista e collezione etnografica internazionale Anthropophyleia. Il suo nome, che in ! nella illustre famiglia presieduta dal Dr.
. S. Krauss, insegnante di etnografia in Vienna, rappresenta la scienza etnologica italiana, sostituisce quello del compianto Senatore Giuseppe Pitrè, e noi ci congratuliamo di cuore col nostro amico.
Rinascimento. — Con questo titolo si è pubblicato in Roma il i® marzo sotto la direzione del nostro illustre collaboratore Romolo Murri una nuova rivista trimestrale che intende promuòvere: i® un
chiarimento della coscienza nazionale con lo studio dei valori e del contenuto spirituale della nostra formazione di popolo; 2® una revisione critica, serena e comprensiva, dei nostri istituti sociali e politici: 30 un avvicinamento degli spiriti, nel senso vivo della nostra comune unità spirituale; 4® un’opera individuale e collettiva di educazione, ispirata ad una visione idealistica della realtà e della storia e ad una fede fervida nei valori morali che la personalità umana e la società e lo Stato debbono attuare.
« Noi siamo avidi, dice il programma, di comprensione, allievi di una ferma disciplina interiore di dovere, cercatori di unità, in tutti i campi, verso tutti gli orizzonti del nostro mondo storico. Noi vogliamo comprendere l’Italia, nella continuità della sua ricca tradizione storica, nella molteplicità dei dati attuali onde essa risulta, in una concezione di vita che sia la sua vita reale di domani; vogliamo comprendere la civiltà europea e la crisi di questa civiltà, le energie spirituali onde può venirle la salute; e intendiamo che questo sforzo di comprensione sia anche azione: concretezza di atteggiamenti pratici, unità nazionale ed umana che vada cementandosi ed apparendo,' iniziativa di collaborazioni concrete ». •
Mentre plaudiamo a questi propositi e beneauguriamo alla nuova rivista, che nel suo primo fascicolo à consacrato tutta una rubrica all’interessante problema: Cristianesimo e idealismo, del quale ci proponiamo di parlare nella prossima rivista delle riviste, invitiamo i nostri lettori ad appoggiarne le sorti con la loro collabo-razione spirituale e materiale, tanto più che essa si propone di studiare il problema della religione di fronte all’idealismo in vari articoli, e si propone di seguirlo nelle sue manifestazioni. Direzione ed amministrazione: Roma, Casella postale 109» Abbonamento annuo L. 16.
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J. Marouzean, La linguistiquc ou science du langage. Paris, P. Geuthner, 192 x, p. 189.
Questo trattateli© di linguistica compilato con il modeste» intento di rendere popolare la scienza del linguaggio e le sue leggi principali, à un valore che sorpassa i suoi intendimenti, perchè può rendere reali servigi tanto ai principianti quanto a coloro che per la propria coltura vogliono apprendere gli elementi della linguistica. Chiaro ed esemplificato solo in francese o con qualche lingua moderna più accessibile o con indicazioni facili, verrà accolto dal pubblico con indubitabile favore.
Sergyei Nilus, L’internazionale ebraica. Protocolli dei « Savi Anziani • di Sion. Roma, La vita italiana, X921, p. 192. L. 6.
Di questo volume i lettori conoscono il contenuto dai giornali politici di tutto il mondo ed è presto detto quale sia nella sostanza: un piano nichilista ebraico proposto nel 1905 per dominare il mondo, piano che si attuerebbe ora in Russia e che si tenterebbe con i vari moti comunisti attuare altrove. Noi non amiamo credere, veramente, agli autori anonimi, e nessuno qui conosce l’A.: siamo quindi diffidenti subito per questo pamphlet. Aggiungiamo poi che contro di esso al dire della Revue mondiale (15 marzo) si sarebbero già dichiarati il cardinale Gibbons, testé defunto,. Wilson, Taft, Harding ed altre personalità americane, ed anzi nella rivista stessa la principessa Caterina Radz-will afferma di essere a conoscenza di questa falsificazione, effettuata nel 1905 dagli agenti zelanti • disonesti dello zarismo con intenti non sola
mente antisemitici per odio di razza e di religione, ma pur col proposito infame di rovinarne i maggiori rappresentanti, spogliarli ed impossessarsi delle loro ricchezze. Attendendo quindi che la stessa rivista pubblichi gli altri documenti interessanti che à promesso su questa falsificazione, non comprendiamo perchè anche in Italia se ne sia voluto lanciare una traduzione.
H. Kantorowicz, Einführung in die Teslkrilik. Leipzig, Dieterich'sche Verlagsb., 1921, p. 60. M. 10,50.
M. Ninck, Die Bedeutung des Wassers im Kult und Leben der Alton, Leipzig, Dieterich’sche Verlagsb., 1921, p. 190. M. 24.
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J. H. Rosny Aîné, Torches et lumignons. Paris, ’La force française«, 1921, p. 287. Fis. 7,50.
P. Thureau-Dangin, Pages religieuses. Paris, Bloud et Gay, 1921, p. 270.
Certamente la Francia cattolica conta laici eminenti, nomi ben noti nelle discipline letterarie e religiose. Cosi l'autore di questo volume che raccoglie articoli e studi già pubblicati in giornali e
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BILYCHNIS
riviste. Si legge una prefazione di G. Goyau, il quale vede nell'A. l’esperienza d’uno storico e l'esperienza di un’anima religiosa. Gli argomenti trattati sono vani, come vario pure n’è il valore. Notevole ci sembra quello su Pio IX, del quale è tracciata una breve biografia manifestamente esagerata, cioè secondo la visuale spiccatamente cattolica, per cui la serenità dei giudizi lascia a desiderare. Ad esempio, Roma diventa la «capitale de son spoliateur ». Si parla • des intrigues souteraincs du Piémont ». Sadowa e Sédan sono la ■ conséqucnce naturelle et fatale de Castelli-dardo». L’A. diventa pure un apologista ad oltranza parlando dell’azione religiosa e spirituale di Pio IX. «Egli (il papa) voleva delle scuole, delle università, molta scienza, molti studi, molta luce; voleva dei sinodi, dei concili ». Peccato che l’A. si sia dimenticato di parlare del Sillabo!...
Vi sono altri documenti discussi riguardanti altre questioni religiose, come «la libertà per il concilio (1869) », «la libertà per la Chiesa di Francia dopo la separazione ». Come pure sono descritte altre personalità cattòliche come il conte di ' Montalembert, Mgr. d'Hulst, ecc., ma sempre da un punto di vista molto cattolico. (E. Meynier}.
P. De La Gorge, A travers la France chr¿Henne. Paris, Bloud et Gay, 192, p. 223.
Questo volume, che riunisce scritti già pubblicati altrove c discorsi pubblicati in epoche diverse, ha un valore assai scarso, quantunque la sua pubblicazione, nella mente dell’A., abbia per iscopo di proporre dei salutari esempi alle nuove generazioni, c di contribuire a far conoscere quello'che la Francia, cosi spesso calunniata, nasconda in sè: umili atti di abnegazione, virili tenerezze, eroiche virtù. Lo studio più notevole è quello sul Secondo Impero in relazione con l’esposizione universale del 1867. (E. M.).
F. Momigliano, Vita dello Spirilo ed eroi dello Spirilo. Firenze, L. Battistelli, 1921, p. 329. L. 8.
L. Arréat, A’os poitcs et la pensée de leur temps; de Berenger à Samain. Paris, F. Alcan, 1920, p. iv-148. Frs. 4,20.
M. D’Azeglio, Nel nome d'Italia. Torino, S. Lattes et C., 1921, p. xxvi-384. L. 20.
Antologia dazegliana compilata da M. De Ru-bris. Essa è fatta con amore per l'appunto nel nome d’Italia che al D’Azeglio fu veramente caro e per cui visse, si può dire, in tùtta e con tutta la sua opera. I brani estratti dai lavori del D. sono stati divisi in due parti: Italia del passato e Italia del tempo del D. e frammezzati con aforismi dazegliani molto notevoli. Il De Jtubris à molto opportunamente illustrato la raccolta con X5 riproduzioni di opere pittoriche dazegliane o con fotografie di luoghi o cose del tempo e con note forse non sempre necessarie, anche se il volume dovesse andare in inani giovanili, ciò che è da augurarsi. In complesso quindi ottimo lavoro, alla cui diffusione nuocerà forse l’alto prezzo, sebbene l’edizione tipograficamente sia buonissima.
C. Reynolds Brown, Living again. Cambridge Mass.,_Harward University Press, 1921, p. 58.
L. Graux, Riincarni. Paris, Ed. française illustrée, 1920, p. 275- Frs. 6.
A. Schmieder, Zahl und Zeil, der Kampf zwischen d. vier-und fünfdimensionalcn Weltgefühl. Berlin, Th. Weicher, 1921, p. viii-152. Mk. 12.
S. Zweig, Romain Rolland, der Mann und das Werk, die erste deutsche Rolland- Biographie. Frankfurt a. M., Rütten u. Loening, 1921, p. 266. Mk. 27.
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!.. Spitzer, Italienische Kriegsgefangenenbriefe, Materialien zu einer Charakteristik der volkstümlichen italienischen Korrespondenz. Bonn, P. Hanstein, 192 x, p. 305. Mk 20.
Lutherisches Jahrbuch, I Teil: Kirche und Schule seit d. Umsturz von D. Gerh. Kropaischek; II Teil: Unsere gegenwärtige Kirchliche Lage von D. Jhmels. Die lutherischen Vereine, 1919-20. Dresden, A., C. Ludwig Angclenk, p. 128 c p. 80.
J. Schwertschlager, Philosophie d. Natur, I Abt. Natur u. Körper im allgemeinen, p. 3x7; II Abt. Die einzelnen Klassen d. Körper im besonderen, pagine 276. München, J. Kösel u. Fr. Pustet (B. III u. IV der Philosoph. Handlibibliothek).
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ROCCO POLESE, gerente responsabile.
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NUOVA RIVISTA STORICA
Abbonamento : Itiillii 3 Un anno L. 1 55» —
Estero : „ Fr. 20 —
Direzione: C. BARB3GALLO - G. PORZIO - E. ROTA
MILANO, 8, Santa Lucia -----------La Nuova Rivista Storica è l'unica rivista italiana, che si occupi di storia generale, non limitandosi a una regione sola e a un solo genere di fatti. Essa è inoltre veramente una rivista di sintesi storica, in quanto intende trattare argomenti vasti, dal largo respiro, problemi d’indole teorica e collegare la storia con quelle discipline, che sono le sole che ne formino quasi la sostanza stessa : 1’ economia, il diritto, la religione, la letteratura, la filosofia. Pubblica rassegne di storia della religione, storia economica, filosofia politica, storia dell’arte, della letteratura, ecc.
Conta fra i numerosi suoi collaboratori:
A. ANZILLOTTI - H. BERR - E. BIGNONE - P. BONFANTE - R. CAGGESE - G. A. CESAREO - A. CHIAPPELLI - E. CICCOTTl - G. FERRERÒ - A. GU1LLAND - J. LUCHAIRE - L. LUZZATTI - G. LUZZATTO - C. PASCAL - G. PRATO - G. RENSI - E. ROMAGNOLI - G. SALVEMINI - P. SILVA, Ecc., Ecc.
Chiedere fascicoli di saggiò all’Amministrazione: ROMA, 33, Lungo Tevere Meliini.
Editori: FÉLIX ALCAN, Paris-NICOLA ZANICHELLI, Bologna - WILLIAMS & NORGATE, London - WILIAMS & WILKINSCO, Baltimore - RUIZHERMANOZ, Madrid-THE MARUZEN COMPANY,Tokio.
«CPIUNTIA 99 RIVISTA INTERNAZIONALE DI SINTESI SCIENTIFICA
¿»w.ir.lv | 1/4 *'» pubblica ogni mete (in fate ¡eoli di 100 a ISO pagine ciatcuno).
Direttore: EUGENIO KIGNANO.
1’3 L’UNICA RIVISTA a collaborazione veramente internazionale.
3È L’UNICA RIVISTA a diffusione assolutamente mondiale.
É3 L’UNICA RIVISTA di sintesi e di unificazione del salterò che tratti delle questioni fondamentali di tutte le scienze: storia delle sciènze, matematica, astronomia, geologia, fisica, chimica, biologia, psicologia 0 sociologia.
1*3 L’UNICA RIVISTA che a mezzo d’una inchiesta fra i più eminenti scienziati e scrittori dei paesi alleati e neutrali studi tutte le questioni più importanti — demografiche, etnografiche, economiche, finanziarie, giuridiche, storiche, politiche — sollevate dalla guerra mondiale.
Essa ha pubblicato, fra altri, lavori di:
Abbot - Andrò - Arrhenius - Ashley - Bayliss - Belchman Benes - Bohiin - Bohn - Bonneson - Borel - Bottazzi - Bouty- Bragg - Brillouin -Brun; - Cabrera - Carracido - Carver - Castelnuovo, Caullory - Chamberlin -Charlier ■ Ciamician - Ciaparède - Costantin - Crommelin - Cvljic - Darwin - Delage - Do Martonne - De Vries - Durkheim » Eddington - Edgeworth - Emery - Enriques - Fabry - Findlay - Fisher - Foà - Fowler- Fredericq - Galeotti - Golgi - Gregory - Gulgnebort - Hartog - Heiberg - Hinks. Inigues - Innes- Janot - Jespersen • Kap-teyn - Karpinski - Kaye - Kidd - Knibbs - Langevin - Lebedev/ - Lloyd Morgan - Lodge - Loisy - Lorentz - Loria -Lowell - Matruchot- Maunder - Moillet - Moret - Moreaux - Muir - Naville - Pareto - Peano - Picard - Plans Poincaré - Puisoux - Rabaud - Reuterskidid - Roy Pastor - Righi - Rignano - Rudzki - Russel - Rutherford -Sagnac - Sarton - Sayce - Schiaparelli - Sorgi - Saploy - Sherrington - Smoluchowski - Soddy - Stoianovlch -Struycken - Svodborg- Tannery - Teixeira - Thalbltzer- Turner - Vallaux - Viallèton - Vlnogradof - Volterra -Von Zelpel - Wobb - Weis - Westermarck - Wicksell - Willey • Zeeman - Zeuthen 0 più di cento altri.
« Kclontla » pubblica gli articoli Della lingua dei loro autori, 0 nd ogni fascicolo è unito nn tupplemento con-lenente la traduzione /rancete di tutti gli articoli non /raneeti. Essa è cosi completamente accessibile anche a chi conosca la sola lingua francese. {Chiedere un fatticelo di ¡aggio gratuito al segretario generale di « Scienti« », Milano). ABBONAMENTO : Italia L. 50 - Estero fr. 50 - UFFICI DELLA RIVISTA : 43, Foro Bonaparte MILANO
Segretario Generale : Doti. Paolo Bonetti.
Prezzo dèi presente fascicolo Lire 3.00