1
ocumenti
lOCUMENTO
SULL'ECUMENISMO
Approvato dal Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste — agosto 1982
fr*
1, Le chiese valdesi e
metodiste hanno ripetutamente affermato la loro volontà ecumenica, esprimendola sia con l’adesione al
Consiglio Ecumenico delle
Chiese, alla Conferenza delle Chiese Europee e ad altri organismi interconfessionali, sia con la partecipazione a varie iniziative
ecumeniche a livello nazionale e internazionale.
Questa volontà ecumenica, ribadita in varie occasioni — benché la sua pratica non sia stata priva di
ritardi, incoerenze, esitazioni e timori — viene oggi
riaffermata dalle nostre
chiese.
2.1. L’obiettivo fondamentale del movimento ecumenico è il ravvedimento delle chiese e il rinnovamento della loro testimonianza nel mondo. In questo processo di ravvedimento e rinnovamento si
situa anche la ricerca dell’unità della chiesa. Ravvedimento, rinnovamento e
unità sono tutti doni dello
Spirito (Ezech. 36: 24-27;
Tito 3:5-7; Efes. 4: 3-6).
Il confronto interconfessionale non deve mai perdere di vista il fatto che
nei rapporti ecumenici il
problema principale non è
che cosa ci divide gli uni
dagli altri, ma piuttosto
che cosa ci divide gli uni
e gli altri dalla vera chiesa di Gesù Cristo.
Il movimento ecumenico
non coincide con il Consiglio Ecumenico delle Chiese; questo resta però lo
strumento più idoneo a
raccogliere le istanze ecumeniche delle chiese e a
promuoverne la comunione.
2.2. Sorto in ambito
protestante per impulsi e
sollecitazioni provenienti
principalmente dal campo
delle missioni (quella che
si è soliti indicare come
la prima grande assemblea
ecumenica del secolo e una
tappa fondamentale di
tutto il movimento fu appunto una conferenza missionaria: la Conferenza Universale delle Missioni,
Edimburgo 1910) il movimento ecumenico interessa e coinvolge la grande
maggioranza delle confessioni cristiane.
Il movimento ecumenico
e il Consiglio (che ne è la
più importante espressione istituzionale) si propongono un unico obiettivo
— l’unità nel rinnovamento — e lo perseguono ormai da molti decenni lungo due direttrici principali: quella del confronto e
dialogo teologico in vista
di convergenze dottrinali e
di un futuro consenso di
fede, e quella dell’impegno
e del servizio cristiano in
campo sociale e politico.
2.2.1. Il metodo del confronto dottrinale, praticato
da un numero crescente di
chiese e confessioni, ha dato luogo a innumerevoli
dialoghi bilaterali e multilaterali, i cui frutti sono
stati raccolti in un gran
numero di documenti teologici tendenti alla formulazione comune di aspetti
importanti della dottrina e
della vita cristiana, quali
ad esempio, la presenza di
Cristo nella chiesa e nel
mondo (elaborato da un
« gruppo misto » cattolicoriformato), battesimo - eucarestia - ministeri (è il cosiddetto «documento di Lima » prodotto dalla Commissione « Fede e Costituzione » del Consiglio Ecumenico), la questione dei
matrimoni misti (dichiarazione comune cattolica, riformata, luterana), e così
via.
Questo lavoro prolungato e paziente di riflessione
teologica comune presenta
senz’altro aspetti positivi,
tra i quali ricordiamo: il
superamento di deformazioni polemiche, di valutazioni faziose o di veri e
propri fraintendimenti delle altrui posizioni dottrinali; l’individuazione dei cosiddetti fattori non teologici delle divisioni; la ricerca di una comprensione
aggiornata della teologia
professata oggi dalle varie
confessioni, con i motivi di
permanente contrasto o divisione ma anche con lo
sforzo congiunto nel far
valere appieno il comune
fondamento apostolico della fede; la ricerca, infine,
di un nuovo linguaggio teologico che non solo unifichi — fin dove è possibile
— il discorso cristiano ma
soprattutto lo esprima in
termini significativi e rilevanti per il mondo contemporaneo.
Il grande rischio, però,
che incombe su tutta questa impresa e che potrebbe vanificarne gli effetti
benefici, è che nel dialogo
le domande radicali non
vengano più poste. L’attività ecumenica sembra essere intesa, in misura crescente, come riconoscimento reciproco dei « valori »
presenti (o latenti) nelle
diverse confessioni. Ciascuna confessione si accredita presso le altre come
fondamentalmente cristiana e viener ricevuta come
tale dalle altre. Nel dialogo, il riferimento alla Scrittura è sempre presente,
tuttavia non sempre è decisivo. Si comincia con la
Scrittura e si finisce con
la tradizione. La Scrittura
è una indicazione importante ma non risolutiva
come dovrebbe essere. La
tradizione ecclesiastica afi ferma i suoi diritti e il riI saltato è che la chiesa, così
come si è venuta configurando nei secoli e com’è
oggi, nelle sue varie articolazioni confessionali che
si riconoscono a vicenda in
virtù del proprio (più o
2
I
meno cospicuo ) « patrimonio cristiano », non si sente più messa seriamente in
questione.
Il rischio — in sostanza
— è che l’ecumenismo sfoci in una grande riaffermazione della chiesa, anziché
in una vittoria dell’Evangelo, e che il giudizio di
Dio, sotto il quale tutti
stiamo, venga eluso e sostituito dal nostro. In tal
caso non avremmo il ravvedimento delle chiese ma
solo un loro riassestamento.
L’ecumenismo nel quale
ci sentiamo impegnati tende a ben altro che a uno
scambio di patenti di cristianesimo e a un riconoscimento reciproco di patrimoni confessionali posseduti. In un certo senso
tende all’opposto, e cioè al
riconoscimento comune
non dei nostri « valori »
ma della nostra povertà di
cristianesimo vissuto e alla ricerca comime di una
chiesa cristiana degna di
questo nome, cioè del nome di Gesù Cristo.
2.2.2. La seconda manifestazione fondamentale
del movimento ecumenico
e del Consiglio è stata ed
è l’azione sociale (aiuto alle chiese, assistenza ai profughi e in occasione di calamità, ecc.), e politica (libertà religiosa; programma di lotta al razzismo; iniziative antimilitariste e
per la pace, ecologia, ecc.).
In questo ultimo decennio
il programma di lotta al
razzismo, con le sue inevitabili implicazioni nelle
lotte di liberazione in taluni paesi del Terzo Mondo,
è stato e continua ad essere motivo di dissensi e
controversie in seno al
Consiglio Ecumenico, al
quale del resto alcuni gruppi cristiani rimproverano
un impegno politico-sociale comunque eccessivo e
per di più partigiano.
Noi riteniamo che l’impegno politico-sociale —
nelle forme che gli sono
proprie secondo l’Evangelo, unica norma della fede
e della vita — faccia parte
integrante della vocazione
cristiana ed ecumenica della chiesa, anche e proprio
quando comporta scelte rischiose e quindi controverse. La via dell’ubbidienza cristiana è sempre stretta. Il movimento e il Consiglio ecumenico hanno reso in questo campo un servizio importante alle chiese, tenendo viva o svegliai
do in loro la coscienza della loro responsabilità politico-sociale, alla luce del
l’Evangelo e al servizio dell’uomo.
Piuttosto si può rilevare
— come è già stato fatto
a più riprese — che l’opinione corrente secondo cui
« la dottrina divide. Fazione unisce » è stata smentita: l’azione può dividere
tanto quanto, se non più,
della dottrina — nell’ambito del movimento ecumenico stesso. Le tensioni che
hanno accompagnato certe
iniziative del Consiglio Ecumenico non sono però
negative. Esse attestano
che l’unità cristiana è complessa, articolata, ricca di
movimento e anche di contrasti, e soprattutto che
non è a buon mercato.
Unità in Cristo
3.1. L’unità in Cristo
appare, nel Nuovo Testamento, come una diversità o molteplicità. Non è
la diversità o molteplicità
delle chiese che deve preoccupare, ma la loro divisione. Lo Spirito Santo ama
la diversità (e la produce:
I Cor. 10), ma non la divisione. Il problema è come
salvaguardare la possibilità di essere e rimanere diversi senza dividersi, come
cioè ricondurre la diversità in un contesto di unità
anziché di divisione.
3.2. L’unità della chiesa
è innanzitutto unità in Cristo con Dio (Giov. 17: 21).
Questa unità non è ñne a
se stessa, ma è in vista della fede del mondo (Giov.
17: 23). Il mondo, con le
sue attese, le sue sffde, i
suoi problemi, non è semplice spettatore degli sforzi unitari dei cristiani, ma
il loro diretto interlocutore. Una unità cristiana che
non sia signiffcativa per il
mondo non merita di essere perseguita. Si può essere uniti anche senza o contro il Signore: è accaduto
molte volte nella storia del
suo popolo. Non basta che
la chiesa sia unita per essere una presenza cristiana
signiffcativa. Bisogna vedere come essa è unita, su
quali basi, e quali divisioni
essa supera e vince. Solo
un’unità della chiesa come quella descritta in Galati 3: 28 (e passi analoghi)
in cui vengono abbattute
le barriere fondamentali
che separano gli esseri umani tra loro (barriere di
razza, sesso, classe, cultura, ecc.) può essere signiffcativa per il mondo e invitarlo alla fede.
3.3. Anche la cristianità
apostolica ebbe il suo pro
blema « ecumenico ». Esso
non fu però costituito dai
rapporti più o meno armonici tra i vari tipi di comunità cristiana che coesistevano nel primo secolo: secondo il Nuovo Testamento la coesistenza non
fu sempre pacifica ma fu
sempre reale, profonda. Il
problema «ecumenico» del
primo secolo fu costituito
dal rapporto tra la chiesa
nel suo insieme e il popolo di Israele. La « divisione » fondamentale che la
coscienza cristiana neotestamentaria dovette affrontare fu la frattura interna
(!’« induramento parziale »
di cui parla l’apostolo Paolo in Romani 11: 25 definendolo un « mistero ») prodottasi in Israele di fronte
alla persona e, in particolare, alla croce e risurrezione di Cristo — una
frattura interna al popolo
di Dio, dolorosa e drammatica (« ho una grande
tristezza e un continuo dolore nel cuor mio...»; «...vorrei io stesso essere anatema, separato da Cristo...»,
Rom. 9: 2-3) e allo stesso
tempo immensamente feconda («...se la loro caduta
è la ricchezza del mondo
e la loro diminuzione la
ricchezza dei Gentili, quanto più lo sarà la loro pienezza»; «...tutto Israele sarà salvato», Rom. 11: 12,
26).
Molto presto nella chiesa
si è perso coscienza del fatto che un aspetto essenziale dell’unità del popolo di
Dio è l’unità tra chiesa e
sinagoga. La storia dei rapporti tra cristiani ed ebrei
nei venti secoli che stanno
alle nostre spalle è quanto mai dolente, con colpe
enormi da parte dei cristiani che — forse — contro nessun popolo hanno
peccato tanto quanto contro gli ebrei.
Sarà necessaria una svolta non piccola nella coscienza cristiana contemporanea per comprendere
che Israele come comunità di fede è parte integrante della questione ecumenica. Le nostre chiese dovranno diventare sensibili
al messaggio — sin qui negletto — dei capitoli 9, 10
e 11 della Lettera ai Romani, ricuperando questa «dimensione perduta» della
loro vita e testimonianza:
il rapporto con la comunità ebraica.
3.4. In anni recenti l’orizzonte del movimento ecumenico si è ampliato fino a includere il problema
dei rapporti fra fede cristiana e altre grandi religioni (definite nell’ambito
del Consiglio Ecumenico
«fedi viventi») operanti nel
mondo di oggi. Le nostre
chiese sono, in generale,
impreparate a questo nuovo genere di rapporti. Si
può per altro prevedere
che le occasioni di incontro e confronto con credenti di altre fedi aumenteranno nel prossimo futuro.
Le nostre chiese sono invitate a porsi in atteggiamento di apertura fraterna
e cordiale, nella certezza
che Cristo è il « Salvatore
del mondo » (Giov. 4: 42),
che « lo Spirito soffia dove
vuole » (Giov. 3: 8) e che
Dio, Padre di tutti gli uomini, opera anche fuori dèi
confini visibili della Chiesa.
4. In Italia l’ecumenismo impegna attualmente
le nostre chiese in due direzioni principali: quella
dei rapporti con le altre
chiese evangeliche e quella
dei rapporti con il cattolicesimo romano.
5. Mentre i rapporti con
le chiese aderenti alla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia sono
costanti e organici, i rapporti con le altre chiese
evangeliche non sono ancora sufficientemente intensi. Ci troviamo ancora in
Italia nella situazione di
un mondo evangelico fortemente minoritario e, nello stesso tempo, estremamente frazionato. Questo
frazionamento non impedisce tuttavia la fraternità e
il senso comune di appartenenza tra chiese che si richiamano all’unica autorità della Sacra Scrittura e
all’unica signoria di Gesù
Cristo.
In questi ultimi anni si
registra una maggiore volontà di dialogo, d’incontro
e di confronto tra le chiese evangeliche, consolidata da battaglie comuni (ad
es. quella per la libertà religiosa, quella contro la superstizione e l’alienazione
religiosa, ecc.). Tale fraternità si traduce sul piano
teologico nella comune affermazione della salvezza
per grazia mediante la fede
e si esprime in incontri di
base tra singoli e talora
tra comunità. Tuttavia, va
riconosciuto che un vero
dialogo ecumenico tra le
chiese evangeliche è ancora discontinuo e limitato
ad alcune aree denominazionali.
Le ragioni di questo stato di cose sono molteplici;
spesso vi sono alla base
pregiudizi e una scarsa conoscenza reciproca. Tre
questioni in particolare dovrebbero essere studiate e
chiarite:
le:
'atti
'ini
a) Fari ,
fettj !
tra\ 56
che;
b) i noi 1
T.eoloà l
i.ie o c,
un carni
c) i punti* ¿gii
sione (’ feni
teolog.’
Ci si pie
interi sifìca
accordo la
ne delle (5 ' ____
in It ilia,cc Jiasic
contro SE' 'U ti
le dtmoni !\i e
che non-, iiti :
derazionsi. ,.
^eri
. ricf
_ Fei
■¿vai
Cattois imi
Protest tesi
6.1. Cacv
testi; nteà
mandosr ^
re, i.mno''.
di il.'tende
stianesiml t^.-erc
dialogo ft tife
ha sinanttf «'.vari
dizi e cot nc
ignoranzail . itoci
do atteggi^ .,i m
balmenteS .j/i c
verso glii (/.na
potuto ri»ie|re il
centrale (disse:
modo divi ^i c(
la presenzi iÌ)io i
do, e CUI .'n
modo dRVfc , .hit
ste divefe'iíc';¿ío
apparire ¿lice
protestante b c
ternativi en Icoir
tari. D’altpiarte,
fessioni me
( grazie anf®- ' 1 rr
to ecume» 'e ii
condizioni Cjgna
di assoluta-',e «
che stannd'-®tro
pesi 3: 13; *'npr
in esse ane_(« qr
stanno da' i ».
invece esZ ; ap<
cose nuovei Dio
Ma quest(E.hegi
di aperturiut.! pi
tare una 'ùipHc
messa suUkiro.
ranza nonV-'nde
ma neppuL ech
6.2. IIÍO
II ha induli^ner
to nel moiO catt
processo £ ’inno
di vaste pffnrzic
questo ff'T'nien
sembra
te comerellin
dopo-concPi nía
vivo. E VI* non
nel «cattoKinio
o del «dissnio», r
in ampi se^d-i de
cesimo dpi^ «i
É vivo naP oos(
molti cattáiü --
3
t -------------------
A , (senso ef-t| ) ¡¿esistente
i ^ se lÌevangeli
e; \
loà 1 ''attori non
Dloà'l la divisioo c, Jnuncia a
. cam( ¿nitario;
ìunti '^ ¿giore ten)ne (
3lOg.'
>i pie
siflca
do la
Ile fe •
ilia.cc
^enziazione
Íüertanto di
ricerca, in
Federazio^vangeliche
iasioni d’in
itesi
Losi*.
)no .
ende
3SÍHÍ
o SB" temi con
noni lù evangeìilon-. iti alla t'’eionat ..
tols imo e
ìe9t|esimo
Cacv %imo e proj^ur richia^sso Signoiodi diversi
ivere il crir /ero che il
jo fc S-ifessionale
nantc %ari pregiue cot non poca
anzaiì ^ca, creanteggir .-,1 meno gloente3 <i/i degli uni
glii (ima non ha
o riuscire il motivo
ale (dissenso: mi
► divi ^i concepire
3sena I^io nel mon3 oui 'n diverso
) dF'ffc . niesa. Queivefì>Ì^!|,jiiro ancora
rire ilicesimo e
stanPi come aitivi en IcomplemenD’altpfcirte, le con)ni movimento
ie anf®- 1 movimenumetf ‘e in queste
zionid )gna evitare
ssoluta'iB « le cose
;tanni'-®tro » (Pilip3; 13) "'nprigionare
se aiie (:< quelle che
lO da' 1 ». Occorre
e esa aperti alle
nuove' Dio suscita.
juest(Ei •'■eggiamento
erturiS.-! può divenuna 'hiplice scoma suUWiro. La spe, noii'''nde confusi
leppuL echi.
Il Oitì io Vaticano
induti*'iuente avviali moio cattolico un
■sso t ’ innovamento
,ste pipnrzioni. Oggi
,0 niente non
ra piin-'Sì dirompen;ome nell’immediato
concPi *ha è ancora
£ vfi non soltanto
lattolidinio di base»
«dissnio», ma anche
ipi se'Q'i del cattoli10 df*-' « ufficiale ».
/o neP coscienze di
cattd’-’i « laici »
teologi, sacerdoti, talvolta
vescovi — nei quali non
solo si è venuta formando
una maggiore consapevolezza critica nei confronti
della propria realtà, ma
anche soprattutto, ha avuto luogo un vero e proprio
risveglio di energie cristiane e di esigenze evangeliche autentiche. Ne è conseguita una diffusa volontà
di rinnovamento a vari livelli (liturgico, biblico, ecumenico, ecc.), una capacità d’inventiva e di iniziativa cristiana in rapporto,
ad esempio, a nuove forme
di vita comunitaria e di
servizio al prossimo, un
coraggio nuovo di testimonianza e di impegno in
molte situazioni critiche
del nostro tempo.
6.3. Proprio per questo
motivo le osservazioni critiche che seguono non intendono in alcun modo
promuovere o incrementare nelle nostre chiese una
fatua buona coscienza confessionale, propria di credenti soddisfatti di sé e
convinti — più o meno segretamente — di essere i
veri cristiani, o quanto meno i cristiani migliori.
La qualità piuttosto modesta, per non dire mediocre,
della nostra esistenza cristiana globalmente considerata ripropone l’esigenza
ancora elusa di riforma
delle nostre stesse chiese,
prima di chiederla o proporla alle altre.
6.4. Una nuova fase dei
rapporti tra cattolici ed
evangelici in Italia è iniziata soltanto poco più di
vent’anni fa, perché è col
Concilio Vaticano II che
nel nostro paese il cattolicesimo ha avviato (non
senza resistenze, ritardi e
controtendenze) un rapporto nuovo con l’ecumenismo. Considerando la
brevità dei tempi può stupire la quantità (e talora
la qualità) dei risultati sin
qui raggiunti, anche se l’iniziativa ecumenica è ancora,
nelle chiese, opera di minoranze. Comunque, una riflessione teorica sui rapporti tra evangelici e cattolici in Italia non può prescindere da una serie di
fatti concreti: i numerosi
contatti e incontri ecumenici organizzati da comunità locali un po’ dappertutto, in occasioni e con
modalità diverse, e in particolare per lo studio comune della Bibbia; la traduzione interconfessionale
della Bibbia in lingua corrente (TILO e la sua diffusione; la collana di testi
ecumenici pubblicata in
coedizione dalla Claudiana (evangelica) e dalia
LDC (cattolica); l’équipe
redazionale di « COM-Nuovi Tempi », settimanale interconfessionale fin dalla
fondazione e quella — pure interconfessionale —
della rivista IDOC Internazionale; il notevole lavoro
di promozione, animazione e formazione ecumenica svolto dal Segretariato
Attività Ecumeniche (SAE)
a livello locale e nazionale;
lo scambio interconfessionale ormai permanente sul
piano della discussione e
produzione scientifica nelle
varie discipline in cui si
articola la teologia cristiana.
Altri aspetti del lavoro
ecumenico in Italia potrebbero essere menzionati, ma
i pochi accenni ora fatti
basteranno a evocare una
realtà di ecumenismo vissuto che, pur nella modestia delle sue proporzioni,
deve essere tenuta presente.
6.5. La realtà delle « comunità di base » meriterebbe un discorso a parte, che
qui può essere solo abboz
zato. È evidente che il «cattolicesimo di base » rappresenta su vari punti un superamento in direzione evangelica di certe posizioni tradizionali. Per questo
i rapporti tra chiese evangeliche e cattolici « di base » sono stati fin dall’inizio e restano oggi ancora
particolarmente significativi. Rimangono, naturalmente, delle differenze (anche di natura teologica) e
forse anche delle reciproche diffidenze. Comunque,
le comunità di base introducono una nuova e inedita
articolazione nel panorama
ecumenico italiano: esse
non possono essere assimilate né al cattolicesimo
né ai protestantesimo tradizionali. Le comunità cattoliche « di base » sono un
partner ecumenico a sé,
che dovrebbe essere sempre presente nel cammino
ecumenico.
6.6. La straordinaria
complessità del cattolicesimo rende arduo ogni tentativo di individuarne i tratti
essenziali e costitutivi. Ogni valutazione rischia di
essere o di venir giudicata
parziale. In generale, valutando un’altra confessione
o denominazione è sempre
bene chiedersi se dietro
una dottrina, una norma,
una struttura, ecc. è riconoscibile una esigenza evangelica a cui quella dottrina, norma, struttura, eccetera cercano di rispon
dere (e se quindi è riconoscibile una esigenza evangelica in coloro che la accettano e praticano) oppure no. Vi sono infatti nelle
chiese e nelle confessioni
risposte sbagliate (o inadeguate) a esigenze giuste.
Le risposte vanno modificate, le esigenze vanno
mantenute.
La differenza
di fondo
6.7. La differenza di fondo tra cattolicesimo e protestantesimo può essere espressa in molti modi, ma
nessuno è esauriente. Al di
là delle schematizzazioni,
è necessario cercare di individuare il nodo del dissenso cattolico-protestante,
che finora è il più profondo tra quelli verificatisi in
venti secoli di storia cristiana.
L’ambito in cui questo
dissenso appare con maggiore evidenza è nella dottrina della chiesa, che per
altro affonda le sue radici
in un modo diverso di intendere e vivere il rapporto tra Dio e l’uomo. La
chiesa cattolica si propone,
in riferimento a Cristo, come compagine sacerdotale
e gerarchica, agisce in rappresentanza vicaria di Cristo per la salvezza del mondo, assumendo così una posizione centrale e diventando il perno del rapporto
tra Dio e il mondo.
Espressione di questa
centralità della chiesa è il
culto di Maria oggi vigorosamente rilanciato, che distoglie la pietà e la speranza dei credenti dalTunico
centro della fede, Gesù Cristo.
6.8. Il protestantesimo
esprime in modo diverso
la propria esperienza di fede in rapporto a Dio e di
servizio in rapporto al
mondo. Eccone alcuni aspetti:
a) La santità di Dio,
che non cede la sua gloria
ad altri.
Anche e proprio nel dono
incondizionato di sé egli
resta il Signore e come tale vuole essere annunciato,
attestato, creduto e ricevuto. Non lo possiamo raffigurare né oggettivare, né
nella chiesa né altrove.
Non ha vicari né rappresentanti. Ha dei testimoni. Nessuno tiene Dio nelle
sue mani («consacrate» o
no). Ciascuno è nelle mani
di Dio.
b) Il primato dell’E
vangelo, cioè del messaggio biblico intorno a Cri
sto, alfa e omega della nostra fede. L’Evangelo è
Lui. Il primato dell’Evam
gelo, attestato nell’Antico
e nel Nuovo Testamento,
sottopone la chiesa all’autorità della Sacra Scrittura, letta e ubbidita nella
comunione della chiesa, assistita dallo Spirito Santo.
Nessuna autorità, ecclesiastica o laica, può eguagliare o superare l’autorità
della Scrittura.
c) La chiesa come comunità di graziati, cioè di
persone che hanno ricevuto e ricevono nell’annuncio
evangelico il perdono gratuito dei peccati e con esso la riconciliazione con
Dio e con il prossimo, e il'
dono della vita nuova. La
chiesa non trasmette la
grazia, la riceve; non ne
dispone, l’annuncia.
d) La sovranità della
Parola di Dio, che si esprime anche nella libertà di
riformare la chiesa. La
chiesa deve favorire (o
quanto meno non bloccare) la libertà di riforma
nel suo seno, deve cioè organizzare e condurre la sua
vita comunitaria in modo
da non « incatenare » essa
stessa la parola di Dio
(cfr. 2 Timoteo 2: 9).
e) La libertà e dignità
incomparabile del cristiano
« laico », fondata sul sacerdozio universale dei credenti (I Pietro 2: 9). Una
differenza di « natura » tra
« clero » e « laicato » è inammissibile.
Ogni cristiano, uomo o
donna che sia, può accedere a tutti i ministeri, se vi
si sente chiamato e la chiesa lo riconosce.
f) L’assemblea dei credenti (ai vari livelli in cui
essa si esprime), e non il
ministero, come perno istituzionale della chiesa. I ministeri ne costituiscono la
articolazione, non la matrice. Si promuove quindi
una ecclesiologia di assemblee e non di ministri.
g) La chiesa vive nel
mondo al servizio di Dio e
del prossimo. Essa rispetta, anzi promuove, la laicità delle strutture pubbliche.
La sua testimonianza avviene con la parola e con
la vita. Resta esclusa per
la chiesa qualunque posizione di dominio, di privilegio, di potere politico o
economico, che in qualche
modo coarti la libertà della
persona e imponga direttamente o indirettamente
il cristianesimo, trasformando l’Evangelo in Legge.
6.9. Notevoli differenze
tra cattolicesimo romano
e protestantesimo esistono
4
sul piano dell’etica. Esse
riguardano non soltanto la
diversità delle indicazioni
date sui temi dell’etica sessuale, coniugale e familiare e di quelle relative all’etica sociale, politica e
professionale, ma gli stessi criteri in base ai quali
il cristiano giunge alla scelta etica.
Mentre l’etica cattolica è
fondamentalmente un’etica
della ubbidienza alle indicazioni del magistero che
interpreta una legge immutabile iscritta nella natura e nel dogma, quella
protestante è fondamentalmente un’etica della libertà
nella responsabilità, nel
quadro della chiamata a
tradurre nell’oggi l’appello
evangelico alla vita nuova.
Tali orientamenti di fondo non esauriscono tuttavia la complessità dell’attuale situazione etica nelle
diverse confessioni, tanto
più che i vari contesti sociali e culturali in cui tutte le chiese si trovano ad
operare e il loro diverso
rapporto con la società civile condizionano in misura talvolta rilevante i loro
comportamenti concreti.
A questo proposito va rilevato come in larghi settori del cristianesimo contemporaneo regni da un lato un diffuso conformismo
e, dall’altro — specialmente nelle generazioni più giovani — una perdita di punti di riferimento e di criteri orientativi delle scelte
etiche. Ne consegue l’urgenza, largamente condivisa di rifondare il discorso
etico cristiano nelle sue
premesse e nei suoi contenuti.
Si può infine constatare
che in anni recenti si sono
verificate nella riflessione
etica convergenze significative, sia sul piano dell’etica
personale, sia nel modo di
affrontare problemi di interesse generale come quello della pace, della corsa
agli armamenti, dei rapporti tra paesi industrializzati e paesi cosiddetti « in
via di sviluppo ».
Permane tuttavia una divergenza di fondo: la fonte
L’Eco delie Valli
Valdesi-La Luce
Settimanale delle Chiese valdesi e metodiste
Redazione e amministrazione: via Pio V, 15
10125 Torino - tei. 011/
655.278.
immediata della norma etica per il cattolico rimane
sempre il magistero della
chiesa, pur con i suoi adattamenti storici, mentre per
il protestante tale fonte è
TEvangelo della grazia che
illumina la coscienza.
6.10. Un motivo di divergenza, che non è strettamente teologico ma ha
rilevanza teologica, è costituito in Italia da quel complesso intreccio di fattori
di varia natura (religiosi,
tradizionali, politici e culturali) che si suole indicare
con l’espressione « cultura
cattolica ». Questa realtà,
che pesa fortemente sulla
vita del nostro paese, si
contrappone a una visione
laica della società civile,
propria del protestantesimo, e mantiene in vita
quell’insieme di rapporti
tra Chiesa e Stato che si
esprime nel sistema concordatario.
6.11. L’ecumenismo cattolico uificiale si è mosso
in questi ultimi decenni su
due direttrici: a) la politica ecumenica vaticana ha
privilegiato i rapporti bilaterali con le singole chiese; b) il pontefice romano
si è riproposto come « pastore ecumenico » in vista
di una unità di tutte le
chiese imperniata su Roma. La prima tende ad assumere come misura del
dialogo ecumenico la distanza da Roma delle singole confessioni, introducendo un criterio estraneo alla coscienza che le
chiese hanno della propria
identità, e ignorando la comunione di fede che tali
chiese hanno stabilito nel
movimento ecumenico e
nel Consiglio Ecumenico
delle Chiese.
La seconda, gioca sull’equivoco — non sempre
chiaramente riconosciuto
— tra l’esigenza di una rappresentanza simbolica visibile dell’unione tra le chiese, e la concezione di un
papato come esercizio di
un potere reale di giurisdizione su tutta la chiesa (e
in prospettiva sulla futura
chiesa unita), come è stato chiaramente riaffermato di recente dalla Sacra
Congregazione per la -Dottrina della Fede, a commento del documento della
commissione mista Cattolici-Anglicani (ARCIC).
Finché questa volontà egemonica di Roma non sarà superata, la coscienza
unitaria fra le chiese potrà
ben difficilmente progredire e l’ecumenismo con la
chiesa cattolica romana resterà come paralizzato.
Quanto a noi, continuiamo a ritenere che il papato,
chiunque lo eserciti, rimanga un ostacolo insormontabile sulla via dell’unità cristiana, in quanto è la chiave di volta di una concezione gerarchica e piramidale della chiesa che a noi
pare in contrasto palese
con le indicazioni che l’Evangelo dà sulla chiesa: una assemblea di credenti
in cui i ministeri non creano gerarchie ma le smantellano e la signoria di Cristo non suscita primati ma
solo fraternità.
6.12. Vi sono nei rapporti tra le chiese alcuni nodi
che rivelano più e meglio
di altri qual è il livello di
ecumenismo raggiunto nei
rapporti reciproci. Uno di
questi test è la questione
dei matrimoni interconfessionali. La legislazione canonica cattolica, tuttora vigente nel nostro paese, oltre a imporre molti pesi alla coscienza della parte cattolica, continua a negare
valore a un matrimonio interconfessionale contratto
davanti a un ministro evangelico o in sede civile,
e a ritenere sempre obbligatoria la dispensa del vescovo. Finché la chiesa cattolica continuerà a considerare la fede evangelica
come un « impedimento »
al legittimo costituirsi di
un matrimonio fra cristiani, la sua credibilità ecumenica rimarrà fortemente discutibile. Consideriamo la questione dei matrimoni misti come un test
fondamentale: se non si
riesce a impostare ecumenicamente questa questione, non se ne potranno risolvere ecumenicamente altre.
6.13. Considerando la
situazione minoritaria del
protestantesimo in Italia, è
stata posta la questione se
esso non debba storicamente considerarsi come
un fenomeno di « dissenso » del cattolicesimo italiano.
Malgrado la nostra esiguità numerica e, soprattutto, le difficoltà che incontriamo a realizzare con
piena fedeltà la nostra vocazione, riteniamo che, come nei secoli passati, anche
oggi Dio ci chiami a essere e presentarci come chiesa — sia pure in forma di
diaspora, come lo era del
resto la cristianità primitiva — con tutto il peso storico, teologico e vocazionale che questo termine
implica; e cioè come una
delle espressioni della chiesa di Dio nel mondo, quin
di come una Sua comunità, della cui esistenza dobbiamo rendere conto a Lui,
prima che ad altri o a noi
stessi.
Soltanto in questo modo
potremo servire in qualche
misura al rinnovamento
della testimonianza cristiana in mezzo al nostro popolo.
L’obiettivo
ecumenico
7. L’obiettivo che le
chiese si sono prefisse con
il dibattito sulTecumenismo e sui rapporti con il
cattolicesimo romano è
quello di ridefinire la loro
linea ecumenica, dato che
Tecumenismo costituisce
senza dubbio un aspetto
importante della loro vocazione nel tempo presente.
7.1. Il problema ecumenico di fondo è sapere se
le differenze esistenti oggi
fra le diverse confessioni
e denominazioni cristiane
possono essere non già appianate del tutto, ma almeno ricondotte alle proporzioni di un dissenso
compatibile con una coscienza unitaria ecumenica
che tragga dall’Evangelo la
sua ispirazione e la sua
norma, e conduca a una
presa di coscienza rinnovata, anche se differenziata,
della responsabilità comune di aimuncio e di servizio nel mondo e per il
mondo. Si potrebbe così
giungere a una situazione
ecumenica analoga a quella documentata nel Nuovo
Testamento, in cui differenze anche profonde non
sembrano avere impedito
alle diverse componenti
della prima chiesa cristiana (o ai diversi tipi di
cristianesimo che si rispecchiano nel Nuovo Testamento) di darsi la « mano
fraterna di associazione»
(Gal. 2: 9). A questo proposito, sarà bene ricordare
che la coscienza unitaria
nel cristianesimo apostolico potè essere mantenuta
perché non v’era allora un
potere centrale che si ponesse come perno istituzionale e dottrinale dell’unità.
7.2. Lo Spirito soffia dove vuole e TEvangelo non
è incatenato: esso è realmente all’opera in tutte le
confessioni (ed anche fuori). Questo dato di fatto,
elementare ma fondamentale, rende il dialogo ecumenico non solo possibile
ma necessario, ed è la ragione vera della speranza
ecumenica.