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BILYCHN6
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno V :: Fasc. II. FEBBRAIO 1916
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 29 FEBBRAIO - 1916
DAL SOMMARIO: Mario Rossi: Praga la « città d'oro » all'alba dell'ussitismo—ANTONINO De STEFANO: I Tedeschi nell'opinione pubblica medievale — PAOLO ORANO: Il Papa a congresso — GIOVANNI Costa : L’Austria luterana e la Dalmazia italiana — MARIO ROSSI : Razze, religioni e Stato in Italia secondo un libro tedesco e secondo l’ultimo censimento — LETTERA DI Antonio Salandra (G. Q.) — Paolo Orano : Lutero * ateo e materialista »? —GlOV. PIOLI: Intorno al valore pratico della presenza del Papa al congresso — R. H. GaRDINER: Verso 1 Unione delle chiese — ARNALDO CERVESATO: La Scuola di Pitagora a Crotone — F. RUBBIANl : Religione e guerra — LA GUERRA (notizie, voci, documenti).
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo ------- Zia Crescenzio, 2 - ROMA -D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per l’Estero ------- Zia del Babuino, / 07 - ROM A -—
AMMINISTRAZIONE
Zia Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO Per l’Italia L. 5. Per 1*Estero L. 8. Un fascicolo L. l.j
fi Si pubblica il 15 di ogni mese in fascicoli di almeno 64 pagine, fi
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CRISTIANESIMO E GUERRA
Recentissime pubblicazioni in deposito presso la Libreria Ed. " Bilychnis „ Via Crescenzio, 2 - ROMA.
ALFRED LoiSY, Guerre et religion. Duexième éd. . . . . L. 3 JOHN WlÉNOT, Paroles françaises prononcées à l’Oratoire du
Louvre. Pagine 180..........................* 2,50
Paul STAPFER, Les leçons de la guerre. Pagine 180. . . » 3,50 WlLFRED Monod, Fers rÉvangile sous la nuée de guerre.
Courtes méditations pour commencer chaque semaine. Première et deuxième série. 2 volumi di 200 pp. ciascuno. . > 5,75 ALEXANDRE WESTPHAL, Le silence de Dieu (pag. 26) . . > 0,65 Henry Barbier, L’Evangile et la Guerre..........> 0,50
E. DOUMERGUE, La Guerre, Dieu, la France. La France peutelle demander à Dieu la victoire ? ........ > 0,30 H. BOIS, Patrie et Humanité.....................* MS
» » La Guerre et la Bonne Conscience ...... » 0,65
JEAN LaFON, Evangile et Patrie, Discours religieux. 11 1° vol.
di pag. 210 L. 3.25, il 2° di pag. 360 ...... » 3,75 H. Monnier, W. Monod, C. Wagner, J.-E. Roberty, etc..
Pendant la Guerre. Discours prononcés à l’Oratoire et au
Foyer de l’âme à Paris. 11 volumetti di 100 pagine. Ciascuno . . . . . . . . . . ...... . . » 1,25 LOUIS Trial, Sermons patriotiques prononcés pendant la guerre
1914-1915. (Vol. di pag. 100) ......... » 1,25 P. Batiffol, P. Monceaux, E. Chénon, A. Vanderpol,
L. Rolland, F. Duval, A. Tanqueroy, L’Église et
la Guerre.................................... »4—
G. QUADROTTA, Il Papa, l’Italia e la Guerra . ... . > 2 — R. MURRI, La Croce e la Spada...................» 0,95
A. TaGLIALATELA, / Sermoni della Guerra.........» 3,50
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SOMMARIO:
Mario Rossi: Praga, la «città d’oro », all’alba dell’ussitismo . . . pag. 93 Illustrazioni: Veduta del castello di Hradcany e della Cattedrale La Cattedrale (tavola tra le pagine 96 e 97)1 - La Torre del Ponte Carlo - Dettaglio della Torre - II castello di Carlstein - Tommaso da Modena: Quadro nel castello di Carlstein (tavole tra le pagine 104 e 105) - Il leone di Boemia, pag. 108.
Antonino De Stefano: I Tedeschi nell’opinióne pubblica medievale. > 109 Paolo Orano: Il Papa a congresso ........... »116
Giovanni Costa: L’Austria luterana e la Dalmazia italiana . . . » 126 Mario Rossi: Razze, religioni e Stato in Italia secondo un libro
tedesco e secondo l'ultimo censimento . . ........ » 131
NOTE E COMMENTI:
Lettera di Antonio Salandra (G. Q.)................... » i44
Paolo Orano: Lutero • ateo e materialista » ? - Una risposta........ » 147 Giovanni Pioli : Intorno al valore pratico della presenza del Papa al congresso. » 148 Roberto H. Gardiner: Verso l’unione delle Chiese - Una conferenza mondiale ... ........ . ......... . ........... 3 I49
TRA LIBRI E RIVISTE:
Arnaldo Cervesato : La Scuola di Pitagora a Crotone........... » 152
Ferruccio Rubbiani: Religione e Guerra . ................... » 157
LA GUERRA (Notizie, Voci, Documenti):
Giovanni Pioli: Il Cristianesimo in Germania durante la guerra - Voci umane tedesche - Anima tedesca - La débàcle del Cristianesimo? -La voce incerta e tardiva del Cristianesimo - La guerra, il commerciò e la Croce -Il Cristianesimo di fronte alla guerra - Un soldato cristiano-cattòlico - Paolo Sabatier e la guerra ............ » 161
Cambio colle Riviste ......................... > 161
Pubblicazioni pervenute alla Redazione ............. < 169
Opuscoli estratti da « Bilychnis » ................. » 171
Libreria Editrice « Bilychnis » .................. » 174
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Il fascicolo di Marzo che è in prepa-razione contiene:
Aw. GlOV. E. MEILLE : Lo sterminio di un popolo (Armenia) - con cartina geografica e illustrazioni.
PAOLO TUCCI: La guerra nelle grandi parole di Gesù.
1LLE Ego : Il “ modernismo che non muore „.
Mario Rossi: Dante profeta.
Dr. LeopoLD: Le memorie degli apostoli Pietro e Paolo a Ironia e i recenti scavi di S. Sebastiano (con illustrazioni).
Giovanni Pioli : Un episodio romantico e tragico della “ Repubblica Romana „.
Contiene inoltre numerose recensioni di libri e di articoli di riviste ed un riassunto ampio dei principali scritti pubblicati recentemente prò o contro la partecipazione del Papa al congresso.
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Annunziamo sin d'ora pel ascicelo d’Aprile :
IVAN LlABOOKA: L’adommatismo russo e il rinno-vellamento religioso del Cristianesimo.
Felice Momigliano: II giudaismo di ieri e di domani.
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GIOVANNI HUS, L’EROE DELLA NAZIONE BOEMA
(A proposito del V centenario della sua morte: 1415-1915)
(Continuaxione • Vedi folcitolo di teUembrc 1915)
IV.
Praga la “ città d’oro „ all’alba dell’ussitismo. *
... la terra dove l’acqua nasce
Che Mólta in Albia ed Albia in mar ne porta. (Purgatorio, VII, 98 e 99).
Eodem anno..... Praga more latinorum rivitatum coepit renovari.
(Con. Wiss. Continuano Cosmae).
na delusione attende il viaggiatore moderno che, giunto nell’espansione della vallata della Moldava (la VII ava dei cechi), sulla quale si stende verso oriente la vasta Praga moderna, attraversa i numerosi sobborghi e i nuovi quartieri: la Praga dei ricordi artistici e letterari gli appare come una foresta di neri fumaioli che vomitano sulla città nuvole di fumo giallastro. Le sue vie affollate da gente nervosa e frettolosa sembrano ____________________ darle piuttosto l’aspetto di una metropoli del Nuovo Mondo, che quello di una città ricca di lotte spirituali e di storia, della città medievale dalle « cento torri » e dai tetti dorati, dagli ampi giri di mura fortificate delle cinque città che la costituivano. Bisogna chiudere gli occhi per pensare alla città santa degli ussiti, alla « Ginevra » boema, alla città delle defenestrazioni e del geloso e battagliero nazionalismo ussita, alla città in cui il simbolo eucaristico del calice trionfò pertanto tempo stampato sugli edifici; al centro della spietata reazione cattolica degli Asburgo, in mezzo al rumore ed alla febbre di vita della Praga moderna. A Roma è possibile esteticamente perdersi indisturbati nel senso del passato e sognare; a
* La guerra ha impedito di utilizzare un ricco materiale (incisioni e libri) che degli amici di Praga raccoglievano per questo lavoro.
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Praga la trasformazione non è stata solo profonda nell’edilizia, ma nell’animo dei cittadini, che tendono in un grandioso sforzo ad una duplice vittoria indissolubile nazionale ed economica. La vivacità e l’ostinazione della lunga lotta nazionale-religiosa durata due secoli sembrano rivivere oggi sotto altra forma nel programma della Praga moderna.
Chi riesce più a rievocare nel largo corso moderno — i Boulevards di Praga — nel Graben o Pricop, secondo che vi piaccia chiamarlo alla tedesca o alla boema, la linea delle mura e dei fossati che dividevano la Città Vecchia dalla Carolina? Bisogna allontanarsi dalle lunghe arterie della città moderna e internarsi nelle viuzze verso la città di Giuseppe, l'antico ghetto, o verso il ponte Carlo, nella parte più bassa della Città Vècchia per imbattersi improvvisamente nei suggestivi ricordi della Praga medievale. Per avere la visione del rilievo della città antica bisogna salire lungo le silenziose strade della Mala Strana in un chiaro mattino di primavera — quando una leggera nebbia s’attarda sulle parti più basse della città e vela l’orizzonte al di qua della città industriale — su al castello dello Hradcany, spingersi verso il monastero di Strahov o salire la torre sul colle S. Lorenzo: di fronte ecco profilarsi le linee della storica collina di Ziska, su cui sembrano proiettarsi le alte guglie molteplici della chiesa del Teyn e la mole gotica del municipio della Città Vecchia; più in giù l’alta torre di S. Maria della Neve; a destra seguendo a ritroso il corso della Moldava il massiccio del monastero di Emmaus e più in giù precipitante sulla Moldava il picco di Vysehrad con le alte frecce della antica colleggiata di S. Pietro e Paolo; ai piedi, le forme imponenti della torre quadrata del ponte Carlo e quasi sovrastante ad essa, in fondo al Pricop, la corona della torre gemmella delle Polveri.
Una piena conoscenza del movimento ussita non è possibile aversi disgiunta dalla conoscenza dell'aspetto e delle condizioni della vita pragense nella seconda metà del xiv e nei primi decenni del seguente, perchè, almeno nella sua fase iniziale e nel movimento utraquista, esso è pregno di vita cittadina. Nello sviluppo artistico ed edilizio di Praga nettamente si riflette — come in ogni grande centro di vita nazionale — la storia della nazione. Ma una tale esposizione ha anche un significato speciale perchè, oltre la conoscenza concreta del campo della lotta, fornisce uno degli elementi più importanti per un giudizio sereno sul movimento ussita. La Praga pre-ussita infatti era assurta per lo sforzo di Carlo IV ad importanza internazionale, come sognato centro dell’impero tedesco avviato all’unità nazionale e gravitante intorno alla dinastia dei Lussemburgo. Praga era diventata la « città d’oro », il centro della scienza tedesca, una città santa come Roma e Costantinopoli. Ciò è fuori di discussione. Ma è pur vero che la reazione puritana nazionale e democratica dell’ussitismo ha segnato un lungo arresto dello sviluppo edilizio ed artistico di Praga e la parziale rovina della sua bellezza (i), la perdita del prestigio inferii) Il gusto della rinnovata vita artistica nelle città per opera dell’umanesimo doveva sentirsi offeso dalla desolazione e dalla distruzione provocate dalle lotte ussite. La protesta artistica divenne così uno dei motivi più diffusi di deplorazione dell’ussitismo. Ecco per es. il caratteristico ragionamento di un cardinale legato nel 1471, in una lettera esortatoria ai boemi: « Ricordatevi come la vostra città di Praga è stata fino a poco tempo addietro una città gloriosa quando era fedele al Pontefice: non v’era una
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GIOVANNI HUS, L’ÉRQE DELLA NAZIONE BOEMA
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nazionale politico e culturale, il decadimento come fattore politico di prim’ordine nella storia politica dell’impero e, cosa assai sensibile per il nostro spirito italiano, l’eclissi del sorgente umanesimo. Una tale decadenza è sfruttata ancor oggi con animosità dagli studiosi tedeschi d’arte e di storia boema. Ma si tratta realmente di un immiserimento generale ed evitabile? Ad ogni modo resta sempre da giudicare se la gloria dei monumenti debba anteporsi alla gloria delle creazioni spirituali, anche se queste abbiano bisogno per affermarsi di lotte spesso convulse ed anarchiche; se la Boemia, spezzando le pietre, cacciando i tedeschi ed abbattendo i ricchi conventi, rocche forti del germanesimo, non abbia edificato un edificio più degno della nostra ammirazione: la sua coscienza nazionale. Del restò, i tedeschi della Boemia, che, nel duplice loro amore per la ricca terra natia e per la coltura tedesca e nel rimpianto per l’infranto sogno di Carlo IV, gettano la maledizione su Hus e l’ussitismo, come se questi avessero avulso pazzescamente la Boemia dalla Germania, gettandola sulla via della anarchia e della decadenza, non si domandano se le ribellioni d’ogni genere sotto il regno del successore di Carlo IV, Venceslao IV, non segnino a loro volta anche il parallelo allontanamento della politica e degli interessi tedeschi dalla Boemia. Il sogno di Carlo IV era destinato a svanire, perchè gli interessi tedeschi non potevano allora gravitare intorno alla “Boemia pur tedeschizzata.
« * *
Non l’Elba, il fiume tedesco, malgrado il suo lungo corso iniziale sul territòrio boemo, ma la Moldava è il vero fiume nazionale e direi sacro dei boemi: cantato dai poeti, consacrato dalle antiche leggende nazionali, e il cui fascino ha ispirato allo Smetana una delle sue celebri melodie.
Dopo di aver percorso un lungo e tortuoso cammino nella parte più alta della Boemia, a sud, comincia a diventare navigabile a Budweis, sempre affondato in una valle profonda: solo a poco più di una ventina di miglia da Praga, là dove s’inizia la discesa dell’altipiano boemo, la Moldava comincia a respirare più liberamente. Ivi, in una posizione incantevole dominata da due colline e favorevole agli scambi commerciali, in un’età remota non ancora ben precisata, vennero crescendo di importanza i luoghi intorno a dei mercati probabilmente periodici, fino a che sorsero dei centri abitati e fortificati sulle due colline ergentesi sulle opposte rive. Questa è la vera origine di Praga (Prato in ceco). La sua etimologia poco sicura non ci dà molta luce intorno alle origini della città. L’ipotesi più probabile ne fa derivare il nome dal verbo praziti, bruciare; ricordo forse del duro lavoro di colonizzazione preparato dai vasti incendi delle foreste che dovevano ricoprire la regione. La leggenda conosce naturalmente la sua particolare etimologia, a cui riannoda una leggenda, che 1’« Erodoto» boemo, Cosma, un ecclesiastico della chiesa di Praga (t 1125), narra
città simile a Praga fra tante nazioni: Norimberga, Vienna, Breslavia e la celebre Colonia non le potevano venir messe a confronto. Non sappiamo neppure se Roma, Venezia, Firenze o alcuna altra città sotto il cielo avrebbe potuto esserle messa a confronto ».
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nelle sue Cronache boeme (i). La fondazione di Praga è attribuita così alla leggendaria maga Libussa, figlia del mitico principe Cor e moglie del primo Premyslide (vni secolo).
La Praga primitiva si incentrò sulle due colline fortificate della Moldava, l'una a sud, sulla riva destra, Vysehrad (il centro più antico di Praga, una specie di Palatino pragense), e l’altra, più a nord, sulla riva sinistra, lo Hradcany (2), il Campidoglio di Praga. Di là si mossero col tempo varie colonie che si stabilirono nella pianura, intorno ai mercati (3), protette dalle due fortezze naturali. Intorno a questi nuclei che si stendevano lungo la Moldava al di sopra di Vysehrad vennero a fissarsi numerosi mercanti ed immigranti stranieri: tedeschi, francesi ed ebrei.
Il suo carattere e la sua importanza ci sono rivelate da uno dei primi documenti che possediamo intorno alla Praga primitiva. Un ebreo spagnuolo, Ibrahim ibn lakub (4), che si spingeva per ragioni commerciali al di là delle marche orientali della Germania, ci ha lasciato una caratteristica descrizione della Praga del suo tempo alla metà del x secolo (965?). «La città di Praga — egli dice — è costruita con pietra e calce ed è il più grande mercato del paese della Slavonia. Russi e Slavi (Polacchi?) vi giungono dalla città di Cracovia con le loro merci, e mussulmani giudei e turchi (ungheresi) dalla regione turca (Ungheria) con merci e milhkfil (monete bizantine) e prendono in cambio schiavi e pelli di castoro ed altre pellicce... Nella città di Praga si tanno selle, briglie e scudi, che vengono usati in questi paesi (5)».
(1) « Inter haec primordia legum quadam die praedicta domina, pithone concitata, praesente viro suo Premizl sic est vaticinata:
Urbem conspicio fama quae sidera langet: Est locus in silva, villa qui distai ab tsla Terdenis stadiis, quem Wlitava terminai undis.
Hanc ex parte aquilonali valide munit valle profonda rivulus Brusnica; at australi ex latere mons nimis petrosus, qui a pétris dicitur Pétrin [monte S. Lorenzo] supere-minet loca. Loci autem mons curvatur in modum delphini marini porci, tendens usque in praedictum amnem. Ad quem cum perveneritis, invenietis hominem in media silva limen domus operantem, et quia ad humile limen [prah, soglia, da cui fantasticamente Praha] etiam magni- domini se inclinant, ex eventu rei urbem quam aedificabitis, voca-bitis Pragam...» (CosmaeChronicon Boemorum... I 9 in Pontes Ber. Bohetn. II).
(2) Lo Hradschin dei tedeschi. Si noti che in ceco lo c si pronuncia presso a poco come s.
(3) È il quartiere commerciale del Teyn con la sua dogana: i nomi delle sue strade conservano ancor oggi il ricordo del passato: via delle Tende, del Mercato delle frutta, del Mercato del carbone, del Mercato dei pesci, del Mercato della carne, degli Agnelli. Più tardi, al di là delle mura della Città vecchia, in continuazione del Teyn, si sviluppò il Quartiere tedesco del Poric prevalentemente industriale, intorno alla chiesa nazionale di . Pietro. Ancor oggi alcune vie del Poric portan il nome di via dei Tintori, dei Pannaiuoli, dei Falegnami, ecc.
(4) Abbiamo il compendio delle sue relazioni di viaggio compilato dall’arabo Aby-Obeid-Abdallah-al-Bekri (f 1094) dal titolo « Strade e paesi ». N. : Reisebericht iiber die Slavischen Lânder, pubblicati da E. Westberg, a cura dell’imperiale Accademia di Pie-trogrado (1899).
(5) U Leger {Prague} dopo di aver citato non troppo esattamente il testo di Ibrahim ibn I. osserva: « Ainsi dès le X siècle Prague était... construite en pierre et cette circonstance étonne le voyageur orièntal (?) habitué (?) à voir des cités de bois ou de briques ».
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PRAGA. Veduta del Castello di Hradcany e della Cattedrale.
[1916 - II]
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PRAGA. La Cattedrale.
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GIOVANNI BUS, L’EROE DELLA NAZIONE BOEMA
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Non tenendo conto dei moderni sobborghi industriali della Valle Carolina, di Ziskov, di Vinohrady, di Smichov, di Holesovice-Bubny, incorporati in gran parte alla « più grande Praga » moderna, la Praga storica consta essenzialmente di cinque parti, in origine separate e con privilegi ed amministrazioni particolari. I due poli ed insieme i due centri di espansione di Praga, come abbiamo già accennato, sono costituiti dalle due colline di Hradcany e di Vysehrad, quest’ultima restata per tanti secoli fuori della città propriamente detta. Questa invece s’è sviluppata nella pianura: sulla riva destra da sotto Vysehrad fino al gomito della Moldava, e sulla sinistra, nella striscia di terreno sotto le pendici dello Hradcany e del massiccio del S. Lorenzo: una specie di Trastevere pragense, il suggestivo quartiere della Mala Strana (il 'Piccolo Lato).
La riva destra abbraccia tre quartieri ancor oggi, malgrado le profonde modificazioni dell’edilizia moderna, così diversi: la Vecchia Città, il Campo Marzio, la City pragense; la Nuova Ci/tó, stendentesi oltre e al sud del Pricop, fondata da Carlo IV, e, accantonata nell’angolo che fa la Moldava piegando ad oriente, il vecchio quartiere giudaico, il Zose/or. l;C
Accenniamo brevemente alle caratteristiche di ciascuno di questi storici quartieri. In essi si riflette mirabilmente la storia della città. E prima di tutto al Vysehrad, residenza dei primi principi della casa nazionale dei Premyslidi. Sul ripido declivio che scende a picco sulle acque della Moldava si scorgono tracce di antiche costruzioni, forse avanzi della più antica cinta di Praga anteriore al 1000. La fantasia popolare che ha arricchito di leggende questa acropoli, ama chiamarli i resti dei bagni di Libussa. Carlo IV lo fece fortificare mettendolo sotto il governo di un burgravio. Al 1086 risale l’edificazione della chiesa collegiale di Vysehrad, soggetta direttamente al papa.
Molto più suggestiva per la posizione e per l’importanza degli edifici civili e religiosi che la coronano è la collina opposta dello Hradcany. Un ponte ha unito, fin dai tèmpi più antichi, all’altezza delio Hradcany, le due rive della Moldava; il vecchio ponte di legno, asportato da una grande inondazione, fu sostituito da uno di pietra, il ponte di Giuditta, in onore della regina omonima, nel sec. xn. Il ponte odierno risale a Carlo IV, di cui porta il nome.
« Sulla riva destra si sviluppa la collina su cui fianchi s’arrampicano dei parchi verdeggianti, delle vie pittoresche che salgono al castello reale di Hradcany. Contemplata d'estate la riva destra si mostra tutta rivestita di verde; lungo la collina si stendono immensi giardini, il giardino Kinsky, i parchi del Seminario, quelli del palazzo Lobkoviz e del convento di Strahov; più lontano, il giardino pubblico del principe Rodolfo. La loro vegetazione lussureggiante dà al quartiere della riva sinistra un aspetto ridente e incornicia squisitamente gli edifici colossali che si profilano sulla collina ».
Ma se Ibrahim veniva dalla Spagna ed il centro delle sue peregrinazioni era la Germania meridionale! Il fàcile passaggio, del resto, dalle costruzioni in legno alle costruzioni in pietra trova la sua facile spiegazione nelle vicinanze delle celebri cave di pietra sul colle S. Lorenzo.
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Ai piedi del Hradcany si stende fino alla vicina riva della Moldava il tranquillo quartiere della Mala Strana, dove i nobili boemi han edificato i loro palazzi nel 600 e nel 700 (1), un angolo dell’antica Praga melanconicamente rivissuto nelle novelle del Neruda.
Ottocaro II Premyslide (1253-78) la innalzò a città con governo municipale autonomo e privilegi ed ordinamenti tedeschi. La piazza principale della Mala Strana ebbe il nome di Piazza degli italiani per il gran numero dei mercanti italiani Che vennero a stabilirvisi nel 500. « La piazza detta del Piccolo Lato ha una grande importanza nella storia della città; essa ha veduto passare i cortei reali che salivano al palazzo di Hradcany, è stata testimone di esecuzioni sanguinose, ha visto bruciare per opera del carnefice i libri eretici dei Fratelli Moravi ». È un quartiere interessante per la storia dell'ussitismo: a pochi passi dalla torre del ponte Carlo s’elevava il vecchio palazzo fortificato dell’Arcivescovato, e sulla grande piazza la chiesa di S. Nicola, che ricorda le lotte ussitiche e il culto utraquista (2).
Come Vysehrad è il santuario della storia nazionale, così lo Hradcany è il santuario della fede nazionale boema. Intorno alla fortificata residenza ducale s’elevarono i primi edifici religiosi, a forma rotonda, la cui architettura derivata dalle chiese romane servì lungamente di modello alle chiese di Boemia (3). Così sorsero (nel x secolo), una chiesa dedicata alla Vergine, la chiesa di S. Giorgio, priva di torri, col solo coro ad oriente e senza la navata traversale caratteristica delle chiese germaniche, e il contiguo primo monastero boemo di benedettine edificato dalla pia Mlada, sorella di Boleslao II. Intanto s’era venuta costruendo la primitiva chiesa di S. Vito, cominciata ad edificare dal duca Venceslao (f 925), divenuto il santo protettore della Boemia, in onore di una reliquia di s. Vito, un braccio donatogli da Enrico I di Germania, edificio certamente di stile romanico (4).
Lo Hradcany deve esser caro al nostro cuore di italiani, perchè ivi più forti furono le tracce lasciate dall’influenza civilizzatrice latina ed italiana.
Il primo monastero benedettino di S. Margherita (Brevnov), davanti alle mura di Praga non lungi dal monastero premostratense di Strahov, era stato fondato nel 992 dal secondo vescovo di Praga, Adalberto, con monaci italiani che egli aveva portato con sè dal monastero romano di S. Alessio e Bonifacio.
Pure romanamente fu rinnovata la città nella struttura e negli edifici, come ci ricorda il continuatore di Cosma (5), nel 1135. L’influenza italiana si faceva sen(1) Mi basta ricordare qui, per la sua importanza artistica, benché la menzione ecceda i limiti cronologici di questo lavoro, il palazzo del Wallenstein con la sua celebre Sala terrena, opera d’artisti italiani e principalmente del Marini, che introdusse il Barocco in Boemia.
(2) La Chiesa attuale è stata intieramente rifatta nel 700.
(3) Praga offre tre esempi tipici di questo stile nelle antiche cappelle rotonde di Martino, della metà del xn secolo, della Santa Croce nella Città Vecchia e nella cappella di Longino nei giardini presso S. Stefano nella Città Nuova.
(4) Cosma nella sua Cronaca dice espressamente che essa era « ad similitudinem Romanae ecclesiae rotunda ».
(5) Eodem anno [1135I metrópolis Bohemiae Praga more latinarum civitatum ccepit renovari. (Canonici Wissegradensis Continuati© Cosmae in Fontes Rer. Bohemicarum, II, 222).
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GIOVANNI HUS, L’EROE DELLA NAZIONE BOEMA
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tire a traverso i numerosi mercanti lombardi, veneti, romani (i); per mezzo degli uomini di Chiesa italiani inviati come legati pontifici, dopo la lotta delle Investiture; attraverso gli uomini di legge nella cancelleria reale e gli artisti (architetti, marmorari, pittori...). Nel 300 troviamo a Praga anche dei monetari fiorentini, dei farmacisti e fra questi il celebre Angelo di Firenze, vissuto alla corte di Carlo IV e fondatore del primo orto botanico a Praga. A Crecy il futuro Carlo IV comandava una schiera di fiorentini, venuti in soccorso del re di Francia (2). L’industria del vetro (chi non conosce i cristalli di Boemia?) che forma ancor oggi una delle fonti di ricchezza più cospicue della Boemia fu introdotta da veneziani nel secolo xm, al tempo di Ottocaro II, il più grande re della dinastìa nazionale dei Premyslidi, sotto il cui governo i confini della Boemia scesero fino nell’Alta Italia. Mi basti accennare qui che l’influenza degli architetti italiani fu sensibile in Boemia nel periodo romanico anteriore al trionfo del gotico, in cui, specialmente sotto la dinastia Lussemburghese nel 300 dominò la nuova arte francese e tedesca. Ma la Praga del Rinascimento fu improntata di nuovo dall’arte italiana, la cui influenza continuò attraverso l'età del Barocco, lasciando un'impronta forte e duratura, si dà costituire la fìsonomia della Praga moderna (3).
Sotto Carlo IV pittori italiani lasciavano traccia della loro arte negli affreschi del chiostro di Emmaus; Tommaso da Modena ingentiliva con le sue madonne le cappelle severe del castello di CarìStein e pittori veneziani componevano il mosaico (1370-1371) del nuovo Duomo.
* * *
È per amore della Francia e della civiltà francese che il giovinetto principe Venceslao (Vaclav), il futuro Carlo IV, assunse il nome glorioso del grande Carlo il giorno in cui alla corte francese, dove veniva educato presso suo zio Carlo IV di Francia, ricevette la Cresima. Suo padre, Giovanni di Lussemburgo figlio di Enrico VII, era diventato per ragioni di parentela re di Boemia (1310), dopo che l’ultimo dei Premyslidi, Venceslao III, era caduto, ad Olmuz nel 1306 combattendo contro i polacchi. La politica di Giovanni dai vasti orizzonti ed imperniata sull'alleanza con la Francia e che lo tenne impegnato in continue guerre, non gli permise di occuparsi molto della Boemia, caduta in una profonda anarchia favorita dall’assenza del re. Egli muore a Crecy, nel 1346, combattendo a fianco del re di Francia contro gli inglesi. Sul trono di Boemia sale lo stesso anno il figlio Carlo.
Egli era già statò eletto re dei Romani per un accordo intervenuto fra Suo padre e Clemente VI, contro l’imperatore Luigi IV il Bavero, il grande oppositore di Cieli) Nei documenti compaiono nomi di negozianti romani a Praga fin dal 1174-78.
(2) Vedi G. Villani, Cronache, XII, c. 60.
(3) Anche i nuovi grandi e sontuosi edifici pubblici sono in bel stile italiano del Rinascimento. Cosi, fra l’altro, il Rudolphinum, il Teatro nazionale boemo, il Museo Nazionale, il palazzo delle Assicurazioni, ecc. Del periodo del Rinascimento e del Barocco ricordo solo relegante Belvedere, cominciato da Paolo della Stella nel 1538 e il palazzo del Wallenstein del Marini.
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mente (i). Per questo accordo, egli, il candidato del papa a cui aveva dovuto promettere di non immischiarsi negli affari d'Italia, venne chiamato ironicamente «l’imperatore dei preti», come ci ricorda G. Villani (2). Nel 1354-55 scende in Italia senza esercito e a Milano è incoronato re d’Italia ed imperatore a Roma. Egli di nuovo s’intende col papa rinunziando ai diritti tradizionali dell’impero in Italia. Il Petrarca aveva sperato da lui la pacificazione dell’Italia e la restaurazione dell’antico splendore dell’impero rinnovante le tradizioni gloriose romane (3); ma già l’imprigiona mento di Cola di Rienzo che s'era recato a Praga nel 1350 per guadagnare alle sue idee l’imperatore, e la sua consegna a Clemente VI ad Avignone; poi le delusioni dei fiorentini che invano avevano invocato il suo aiuto e gli accordi col papa avevano mutato i sentimenti del Petrarca, che appena saputo della frettolosa partenza da l’Italia dell’imperatore, il quale vi aveva solo saputo raccogliere danaro in gran copia, scrisse contro di lui una fiera e violenta epistola.
Altrettanto sfortunato fu nella politica tedesca, come imperatore. Massimiliano I dette forse di Carlo IV un giudizio eccellente — s'intende, dal punto di vista tedesco — quando lo chiamò padre della Boemia ma padrigno della Germania.
La spinta verso la concretizzazione nazionale era oramai più forte di tutte le buone volontà e di tutte le vecchie idealità medievali. Carlo IV s’era accinto a risolvere un problema insolubile: dare unità di nazione all'impero, oramai praticamente ristretto ai confini ed agli interessi della Germania, facendo gravitare questa intorno alla casa di Lussemburgo e alla Boemia germanizzata. La sua vasta e complessa opera politica non gli sopravvisse: anzi fu il germe dell’indebolimento politico e della reazione nazionale in Boemia e di un'anarchia più profonda in Germania. Anche il suo tentativo di rinnovamento della vita ecclesiastica non sortì il suo effetto. Solo la sua opera artistica è restata a testimoniare della grandezza delle sue concezioni. Egli fu — mi sia permesso un simile confronto — il Giustiniano della Boemia, a cui solo mancò la gloria delle armi procurategli da generali. Egli volle essere anzitutto un principe della pace e al danaro e alle sottili trame diplomatiche egli affidò il successo dei suoi piani e l’ingrandimento dei possessi della corona. Nella grandezza della Boemia egli non cercò però altro che la grandezza e l’unità dell’impero avviantesi a divenire uno state moderno.
In lui, come in molti dei suoi contemporanei — cito solo qui il Petrarca — gli aspetti iniziali dell’uomo moderno poggiano sul)'idee e sull'eredità spirituale del medio evo.
(1) Per i rapporti fra il francese Clemente VI (1342-52) e Carlo IV, specialmente nei riguardi della politica germanica e francese, vedi sia il Werunsky: Geschichte Kaiser Karls IV, che A. Gottlob: Karls IV private u. poHtische Bezieh. zu Frankreich.
(2) « L’anno 1346 del mese di aprile venne in corte il Papa, Carlo figliuolo del Re Giovanni de Buernme a sommossa del papa e per sudducimento del re di Francia e procaccio d’essere eletto Imperatore per contastare al re Bavero e per avere di lui il re di Francia più stato e favore, però ch’era suo parente [zio|... Il detto Carlo era prò e savio signore... ma per dispetto della detta elezione per lo più si chiama lo ’mperatore de' preti ». (Giov. Villani, Cron. fiorentine, XII, c. 60).
(3) Vedi le sue tre Epistole in prosa latina con cui scongiura Carlo IV a scendere, in Italia. Sui rapporti fra Carlo IV ed il Petrarca rispetto al sorgere dell’umanesimo in Boemia e sulla dubbia andata del Petrarca stesso a Praga parlerò nel cap. IX.
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Egli cercò prima di tutto di rinforzare la posizione della sua casa, portando a compimento con abilità e con tenacia l’opera di pacificazione interna della Boemia, col tenere a bada l’irrequieta e strapotente nobiltà — caratteristico elemento di disgregazione in tutti gli stati slavi — e con l’aumentare, mediante fortunati acquisti, i possessi ereditari in ogni parte della Germania, futuri punti di sostegno della politica dei Lussemburgo: così, con danaro ottenne, nel 1367, il Basso Lansitz (1) e, impor-. tantissimo fra tutti gli acquisti, quella marca di Brandeburgo che doveva passare un secolo dopo agli Hohenzollern; nel 1376, la nomina a re dei Romani per il primogenito Venceslao. Ai beni della corona aggiunse gran parte della Slesia, ottenuta parte per danaro e parte come eredità della sua terza moglie.
Però le gravose contribuzioni imposte alle città dell’impero per tener fronte alle spese favolose necessarie per l’attuazione dei grandiosi progetti e per pagare gli acquisti territoriali a vantaggio dei Lussemburgo, provocarono un forte risentimento in Germania e favorirono, fra l’altro, il sorgere della lega delle città sveve; come, d’altra parte, il grave errore d’aver diviso fra i figli i domini della corona di Boemia, provocando gelosie, ruina va direttamente il suo piano unitario.
Ma è, come dicevo, sul suolo boemo e a Praga principalmente che la sua attività ha lasciato delle tracce durature o almeno dove ha rivelato meglio la sua abilità d’uomo di governo.
Praga era come il punto d'incontro delle grandi strade commerciali dell’Europa del Nord unenti l’Occidente con l’Oriente. L'importanza di Praga era principalmente lì. Perciò una delle più grandi cure di Carlo fu quella di rendere più sicure le strade, arterie del commercio, con un vasto sistema di difesa militare. Volle rialzare l’importanza della Moldava come via di commercio fluviale con il tentativo, mediante canali, di unire la Moldava con il Danubio e mettere così in comunicazione diretta attraverso l'Elba il Mar del Nord con il Mar Nero: progetto che l’Austria moderna sta lentamente attuando oggi e i cui risultati sarebbero semplicemente disastrosi per il nostro avvenire economico (2) nell’Adriatico. Migliorò le finanze nazionali e l’agricoltura; incoraggiò lo sviluppo delle industrie; diede un grande sviluppo alle miniere d’argento da cui ricavava i mezzi per l’attuazione dei suoi piani. Tutto in lui mostra l’acutezza di vedute dell’uomo moderno e la coscienza dell’importanza economica della Boemia, per cui ancor oggi essa è l’oggetto d’ardenti cupidigie. Un altro tentativo grandioso, pur troppo fallito per l’opposizione della nobiltà boema (x355)> fu quello di codificare le leggi e le consuetudini boeme secondo le norme del
(1) Grossa striscia di territorio, in gran parte ora in possesso della Prussia e della Sassonia, al nord della Boemia, fra la provincia di Dresda (Sassonia), il Brandeburgo e la Slesia. La maggioranza degli abitanti, insieme all’alto Lausitz, appartiene ad una razza slava, i Wendi, che parlano appunto un dialetto slavo. I tentativi di germanizzazione per quanto attivi non sono riusciti a soppiantarvi la lingua e l’elemento slavo.
(2) Il progetto moderno appoggiato dalla Germania ha una variante importante, con la direttissima che dal Danubio tenderebbe direttamente a Salonicco. Un gran numero di vapori dall’Elba intanto scende giù fino a tutto il corso medio della Moldava. Il commercio flu viale sulla Moldava in quest’ultimo decennio è straordinariamente aumentato e i lavori di canalizzazione sono attivamente proseguiti in tutte le direzioni.
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diritto romano nella Majestas Carolina; Carlo IV potè solo attuare la codificazione della procedura giudiziaria nell'Onto judicii terrae.
Al re di Boemia egli concedeva in perpetuo, il giorno delle sue incoronazione imperiale a Roma (5 aprile 1155), con la prima Bolla d’oro diritti e privilegi che ne rendevano la posizione superiore a quella di tutti gli altri principi dell’impero con l’intento di facilitare il suo piano di unificazione della Germania. Poneva così il principio della nazione privilegiata ed egemonica che precorreva per altra via il tentativo più fortunato della Prussia. Fra questi privilegi, ricordo il diritto imperiale di protezione degli averi e delle persone dei giudei e lo jus de non evocando et de non appellando, con cui veniva riconosciuta la suprema giurisdizione e l’indipendenza dei tribunali reali boemi dall'imperatore. Ma la violenta opposizione alla dieta di Norimberga l’anno seguente obbligò Carlo con la seconda Bolla d’oro ad estendere tali diritti e privilegi a tutte e sette i nuovi Elettori, ruinando con tale concessione la base stessa della sua politica unificatrice. Questo però dimostra quanto era debole la posizione politica di Carlo IV in mezzo ai contrasti d'interessi in Germania e alla forza della nobiltà feudataria e come il solo metodo di unificazione per superare il punto morto della resistenza, il grande feudalismo, non potesse essere che quello più tardi attuato da Luigi XI e dal Valentino.
* * «
Le linee del programma politico di Carlo IV risaltano meglio nella triplice opera compiuta rispetto a Praga, di cui è stato chiamato a ragione il secondo fondatore, e ch'egli voleva rendere il centro effettivo dell’impero:
i° il rinnovamento artistico-edilizio della città ed il suo ingrandimento;
2° la creazione a Praga di un focolaio di coltura superiore, che rivaleggiasse con Parigi e Bologna;
3° l’aver fatto di Praga un centro di rinnovata vita ecclesiastica, una città santa, il santuario dell'impero, sollevando il prestigio esteriore e morale del clero boemo, su cui si appoggiò per opporsi all’influenza dissolvente ed antidinastica della nobiltà boema.
Della fondazione dell’università e dell’esaltamento del clero iniziato con l’elevamento di Praga ad arcivescovato sarà parlato più innanzi. Qui solo accennerò a qualcuna di quelle opere caroline che fanno ancor oggi di Praga una delle più interessanti città d’arte.
Sullo Hradcany l'antica e modesta reggia dei Premyslidi era stata distrutta dal fuoco nel 1303. Al suo posto, fin da quando era Margravio di Boemia, Carlo IV volle edificare un castello che imitasse l’antico Louvre e ne affidò l’incarico all'architetto Mattia d’Arras (f 1352), che egli aveva conosciuto alla corte dei papi ad Avignone. I lavori furono cominciati nel 1333. Le rivestiture dorate delle due torri d’accesso al castello richiamavano sotto lo splendore del sole l’attenzione di chi saliva dalla vecchia Praga verso la splendida dimora imperiale, in cui risiedevano i grandi organi dell’amministrazione e della giustizia.
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Ma fin dal tempo di Venceslao IV cominciò la decadenza del castello imperiale (1). Riprese parte del suo splendore sotto Vladislao II, di cui resta la grande sala omonima (salvatasi dall'incendio del 1541 che distrusse gran parte del castello e della cattedrale) dalle lunghe nervature di stile gotico tardivo ed edificata dal Rieth.
Il castello di Praga, come il Kremlin di Mosca, racchiude nella sua cinta diversi santuari: la collegiata di Ognissanti, che ha sostituito l’antica cappella reale, ricostruita dal secondo grande architetto di Carlo IV, Pietro Parler (2); la chiesa di S. Giorgio, meravigliosa reliquia di stile romanico (3), e la cattedrale di S. Vito.
Carlo IV era riuscito ad ottenere l’indipendenza della diocesi di Praga col-l’elevarla ad arcivescovato. La fondazione della nuova cattedrale fu come la consacrazione del nuovo lustro a cui doveva salire la Chiesa pragense. L’architetto fu anche qui Mattia d’Arras. La prima pietra fu posta nel 1344. Mattia d’Arras s’è ispirato evidentemente alla cattedrale di Narbonne. Il coro, sul tipo delle cattedrali ogivali francesi, è circondato da un deambulatorio sul quale s’aprono delle cappèlle poligonali (v. figura). L’opera di Mattia venne interrotta dalla morte (1352), quando il coro s’era innalzato appena al Triforio. Pietro Parler prese il suo posto terminando il coro, lungo 50 metri, secondo le ricche forme del gotico tedesco (4) nel 1385. Nel 1392, dopo una lunga sospensione dei lavori, P. Parler incominciò la navata, continuata però da suo figlio Giovanni. Lb scoppio della rivoluzione ussita fece interrompere i lavori, ripresi in parte sotto Vladislao lagellone (1471-1516), di cui il celebre oratorio reale, opera del Rieth (1493), ne attesta l’attività (5).
S. Vito è il Pantheon boemo. Ivi sotto il ricco mausoleo nel coro son sepolti Carlo IV con le sue quattro mogli, Venceslao IV, Giorgio di Podiebrad (t 1491) Ladislao Postumo (f 1458); ivi la tomba di Ottocaro I scolpita da Pietro Parler e quella d’Ottocaro II; ivi le tombe arcaiche di Bratislao I e di Spitiniehv II, di Bra-tislao II, di Borivoy IL In S. Vito si consacravano i re di Boemia. Sotto là cappella di S. Venceslao (edificata fra il 1347 e il I 2 3 4 53^7) e che conserva i resti del duca s. Venceslao ucciso dal fratello ad Alt-Bunzlau (Stara Boleslava), sono custodite nella stanza
(1) L’edificio attuale è opera posteriore e di varie età ed è ben lungi nella sua fredda struttura dal ricordare il magnifico e caratteristico castello carolino, di cui restano solo delle piccole porzioni incastrate nella mole massiccia delle costruzióni posteriori. L’ultimo ingrandimento ebbe luogo secondo i disegni del Bacassy per opera di Anselmo Lu-rago al tempo di Maria Teresa.
(2) Nato a Gmùnd (Svevia) verso il 1333 e morto a Praga il 1399.
(3) L’attuale portale è uno splendido e puro modello d’arte del Rinascimento.
(4) Il gotico penetrò in Boemia durante il regno di Venceslao I, verso la metà del secólo XIII.
Il gotico francese fiorì a Praga solo per un breve periodo, a partire dal 1333 fino al 1350 circa.
(5) Dopo l’incendio del 1541, che rovinò in parte anche il Duomo, furono fatti dei grandi lavori di restauro. L'attuale campanile in stile rinascimento e che stona con il complesso dell'edificio gotico fu fatto innalzare da Ferdinando I (1563). Dal 1863 sono stati ripresi i lavori per portare a compimento la vecchia cattedrale, che sarà fornita di un nuovo campanile in stile gotico.
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della Corona le insegne reali del re di Boemia e fra queste la corona di S. Venceslao, fatta eseguire nel 1347 da Carlo IV. I muri della cappella sono incrostati di pietre preziose boeme e fasciati, in basso, da affreschi detoriati del sec. xiv rappresentanti scene della Passione e, in alto, da affreschi del sec. xvi illustranti la leggenda di s. Venceslao (v. fig.).
Le due parti della città sulle rive del fiume erano unite da un ponte, il ponte di Giuditta. Anche qui Carlo IV lasciò l'impronta delle sue grandiose concezioni, costruendo un nuovo ardito ponte. La bellezza delle rive della Moldava con le sue isole verdeggianti, le due torri che lo chiudono, la teoria pittoresca di statue su le sue due balaustre, la sua lunghezza (500 metri su ben sedici arcate) fanno sì che sia una delle meraviglie ed insieme uno dei luoghi più suggestivi di Praga. L’architetto ne fu Pietro Parler, che incominciò il lavoro nel 1357. L’opera fu compiuta sotto Venceslao IV.
Un gioiello d’arte gotica, per quanto rovinata dal tempo e dalle cannonate degli svedesi, è la torre quadrata (v. fig.) all’estremità del vecchio ponte Carlo e che dà accesso alla Città Vecchia. È posta a cavallo sul ponte, al quale si accede passando sotto il suo alto arco a sesto acuto. I rilievi della parte che prospetta il fiume sono quasi tutti rovinati: resta solo un alcione, motivo decorativo ripetuto su tutte le facce della torre. Sotto la cornice del primo piano, sopra l’estremità dell’arco, si allineano i dieci stemmi dei paesi sui quali Carlo e Venceslao IV regnarono (1). Nel primo piano c’è una decorazione a sesto acuto attraversata da due pinnacoli. Nel mezzo troneggiano le due statue di Carlo e di Venceslao, sulle quali sembra vegliare il patrono s. Vito: preziosi monumenti della scultura boema del 300. Sull’arco acuto poggia il leone boemo. Ai lati gli stemmi dell'impero della Boemia e della Vecchia Città. Al di sopra, al terzo piano, otto finestre ogivali: nel mezzo le due statue di s. Adalberto e di s. Venceslao.
* * *
Con Carlo IV culmina lo sviluppo della città medievale, restata immutata nelle sue linee generali e chiusa nelle sue mura fino al rinnovamento edilizio della città moderna. Praga aveva assunto fin dal principio del xm secolo in armonia con le tendenze generali edilizie del tempo — che spingevano a trasformare i nuovi centri di vita cittadina in grandi fortezze costituite a loro volta da altrettante fortezze quante erano le case dei nobili i conventi e le chiese che chiudevano nella loro cinta — una fisonomía militare. Traccie di questa rapida trasformazione ce ne forniscono ad ogni passo i continuatori della Cronaca di Cosma. Sotto Venceslao I nel 1235 la Vecchia Città vien circondata da mura fortificate e da fossati, abbracciarti anche il quartiere giudaico separato però dal resto della Vecchia Città da porte e da mura. Sotto Ottocaro II. che inizia, in corrispondenza con la sua grande fortunata politica.
(1) Germania (Impero), Boemia, Lussemburgo, Moravia, Silesia, Brandeburgo, Alta e Bassa Lusazia, contea di Glatz (Prussia) e Arlon (attuale Lussemburgo francese).
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PRAGA. La Torre del Ponte Garlo. (Lato Città Vecchia).
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PRAGA. Dettaglio della Torre.
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Il Gastello di Carlstein.
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TOMMASO DA MODENA. Quadro nel Gastello di Carlstein.
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un periodo di attività artistica ed edilizia, viene rinnovato il castello dello Hradcany e fortificato tutto il colle. Nel 1257 anche la Mala Strana vien circondata di mura. Il rinnovamento edilizio di Carlo IV, concepito ancora secondo le esigenze medievali, è nella linea dello sviluppo della città medievale e non ha nulla a che fare con il rinnovamento radicale delle città compiuto dalla Rinascenza. Sicché la medievale fisonomia turrita e militare della Praga del 200 è essenzialmente anche quella della Praga carolina (1).
Il 26 marzo 1348 Carlo IV poneva la prima pietra della Nuova Città che sten-devasi ad arco verso oriente, oltre le mura della Vecchia Città, dal Poric fin sotto il colle di Vysehrad.
Quasi allo ’stesso tempo le « mura della carestia » sul dorso del colle S. Lorenzo si elevavano pittorescamente fino al monastero di Strahov, chiudendo per una più facile difesa la Mala Strana e lo Hradcany.
La Città Nuova è una creazione carolina, una nuova Praga. L’aumento del commercio e dell’industria, l’affluenza di stranieri da tutte le parti dell’impero, la nuova popolazione scolastica dell’università fecero sorgere questo nuovo quartiere che ebbe diritti, privilegi, amministrazione, mura, porte e opere di difesa proprie. Era il quartiere dell’industria.
L’attività edilizia della Nuova Città, diventata un immenso cantiere, non conobbe tregua sotto la spinta ambiziosa di Carlo IV. Gli ordini monastici trovarono nella Nuova Città il terreno più adatto per affermare con la monumentalità degli edifici la loro accresciuta influenza sulla vita del paese sotto il regno protettore di Carlo IV. I benedettini slavi, i carmelitani, i canonici agostiniani, i serviti venuti dall’Italia occuparono via via i punti strategici e più belli della Nuova Città: così sorsero la chiesa ottagonale di S. Carlo al sud e il monastero slavo di Emmaus, due opere d’arte che ricordano più da vicino l’influenza di Carlo IV.
(1) La Rinascenza, in mezzo ai torbidi politici e religiosi, non aveva potuto profondamente rinnovare Praga nel sec. xvi. Così le celebri vedute di Praga disegnate, in nove fogli, dall’incisore fiammingo Egidio Sadeler nel 1606 possono dare anche un’idea approssimativa della Praga del sec. xiv e xv (eccetto forse che per lo Hradcany). Noi non possediamo vedute di Praga anteriori a quelle del Sadeler, vissuto alla splendida corte di Rodolfo 11(1576-1611), che aveva fatto del castello di Hradcany uno dei centri più attivi d'arte e di scienza, contornato com’era da artisti, da astronomi e... da astrologò Il grande astronomo danese, Tycho Brahc morì appunto a Praga nel 1601 ed è sepolto nella chiesa del Teyn. Anche il nostro Bruno fu a Praga nel 1589 (?), attiratovi forse anche dalla fama del Tycho B. di cui era ammiratore e di cui aveva colto a pieno il valore della scoperta sulla natura e sul cammino delle comete, che rovinava le vecchie credenze nelle sfere celesti; di quel « Tycho Danus — com’egli lo chiama — nobilissimus atque princeps astronomorum nostri temporis ». Intorno alla breve dimora del Bruno a Praga sappiamo dalla testimonianza del libraio Battano all’inquisitore di Venezia che il B. aveva stampato a Praga un libro « de lampade combinatoria » e dal Bruno stesso, come egli, allontanatosi da Wittemberg, andasse a Praga, dove « stetti sei mesi et mentre che mi trattenni là feci stampare un libro di geometria, il qual presentai all’imperatore, dal quale hebbi in dono trecento talari e con questi dinari partito di Praga, me trattenni un anno all’Accademia lulia in Bronsavich [ad Helmstedt nel Brunswick] ». (Bérti. Doc. intorno a G. B., pag. 14 e 21).
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S. Carlo, edificata per ricordare il fondatore della Città Nuova, fu consacrata nel 1377 ed apparteneva ai canonici agostiniani. È opera di Pietro Parler; la sua bassa e caratteristica cupola, audace innovazione architettonica per il suo tempo, diede origine a delle leggende sulla fine dell’architetto, che dubitando della sua solidità avrebbe cercato la morte nelle acque della Moldava.
La chiesa e il monastero di Emmaus (in realtà di S. Cosma e Damiano) ci dicono l'interesse di Carlo IV per l'elemento slavo. La chiesa fu consacrata il lunedì di Pasqua del 1372 alla presenza del suo reale fondatore: dal Vangelo del giorno, il popolo diede il nome di Emmaus alla chiesa e al monastero annesso. Il monastero di Emmaus (1) divenne il centro della liturgia e della coltura slava sotto Carlo IV e Venceslao IV ed esercitò un'influenza non insignificante sul risveglio della coscienza e della letteratura nazionale, come dirò meglio in seguito. Decadde però presto dal suo splendore e divenne sede più tardi del concistoro utraquista. La chiesa è ottima opera d’arte gotica ed è apparentata alla chiesa del Teyn. Nel chiostro, come ho già ricordato, si conservano degli affreschi, opera di artisti italiani.
♦ ♦ *
Dove ancor oggi — rinnovato in tutta la sua magnificenza e in un luogo suggestivo in mezzo ai monti, a poche ore ad occidente di Praga in una delle vallati laterali del Beraun, — ci è dato ammirare il Gral dell'impero, la Sancia Sanctorum di Carlo IV, è nel castello di Carlstein (2) (v. fig.): la dimora intima di Carlo IV.
Il palazzo dei papi in Avignone servì probabilmente di modello. È un gioiello d’arte che meriterebbe una lunga descrizione a parte. Carlo IV ne volle fare il santuario dell’impero, per custodirvi le insegne imperiali e le reliquie più preziose raccolte da ogni parte con quella passione con cui i primi umanisti contemporanei si ponevano alla ricerca dei codici dei classici. È una fortezza ed insieme un santuario. Ogni torre ha la sua cappella. Ad accrescere lo splendore del culto, trasportò nel castello una schiera di chierici che dovevano attendere ininterrottamente all'offi-ziatura. Il castello può dividersi in due parti, l’inferiore con gli edifici per il Burgravio addetto alla difesa e al governo del castello (l'edificio centrale è del sec. xv) e la superiore, con il palazzo imperiale a cinque piani con la cappella di S. Nicola e accanto ad esso la dimora dei canonici. Poi la torre di Maria con la chiesa collegiale di S. Maria consacrata nel 1357 con affreschi ora ritoccati di Tommaso da Modena illustranti scene apocalittiche (3), e la cappella di S. Caterina, tutta scintillante di
SOggi è occupato dai benedettini prussiani di Beuron, i quali usano la liturgia slava. E stato restaurato sontuosamente nel 1888-97 dallo Schmidt e dal Mocker, il Viollet-Le-Duc della Boemia.
(3) Di Tommaso da Modena (Thomas a Mulina, come si legge in fondo al suo celebre quadro nella cappella della Crocifissione a Carlstein) sappiamo ben poco. Il suo nome è forse Tommaso Rabisino (nome patronomico?). Nacque a Modena nel 1325-60 morì nel 1379. Probabilmente andò in Boemia al seguito dell’imperatore, al ritorno di questi dal suo primo viaggio in Italia. Il von Schlosser non riconosce la mano di Tom-
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pietre preziose e dove è manifesta l'influenza dell’arte italiana. Sulla parte più alta s’erge sulla roccia l’alta torre della Cittadella (Beffroi) con la splendida cappella della Crocifissione, consacrata nel 1365 e divisa in due parti da una cancellata dorata, ricca di pietre preziose e d’oro, ornata di pitture d’ogni genere. Sulle sue pareti pendevano più di cento tavole dipinte da Maestro Teodorico e le arcate erano ricoperte d’affreschi. Sull’altare maggiore è tornato a troneggiare, dopo un lungo esilio nel Kunsthistorischen Hojmuseum di Vienna, una tavola a fondo d'oro con in mezzo la Madonna e ai lati s. Venceslao e s. Palmazio (v. fig.). In una nicchia dietro l’altare erano custodite le insegne imperiali, portate in Boemia nel 1350 e più tardi le insegne per l'incoronazione del re di Boemia, ora nel Duomo di Praga.
Le reliquie conservate nelle cappelle del santuario-fortezza di Carlstein insieme a quelle raccolte in S. Vito di Praga — e che facevano comparire nella fantasia devota del medio evo Carlo IV come uno degli imperatori più fortunati e più favoriti da Dio — venivano portate una volta all’anno a Praga per venir esposte alle migliaia di pellegrini, che giungevano da ogni parte dell’impero, in una festa solenne celebrata il venerdì dopo la domenica in Albis (1). In mezzo alla vasta piazza della Città Nuova Carlo fece edificare a questo scopo un’alta torre di legno, sostituita nel 1382 da una cappella dedicata al Corpus Domini a forma di stella, nel mezzo della quale s’elevava una torre ottagonale (2). Così Carlo IV sperava di fondere gli animi nel sentimento dell’unità dell’impero, facendoli convergere su Praga,
maso nelle storie dell’Apocalissi, dipinte nella chiesa della Vergine al Carlstein (contro Neuwirth che seguo), le quali rivelerebbero l’influenza della scuola renano-coloniese. Il trittico della cappella della Crocifissione (v. fig.) venne modificato per unirlo alle altre tavole della cappella; le figure furono come ritagliate Sul fondo d’oro stampato a punzoni, con il leone boemo e l’aquila imperiale alternati in tanti rombi. «Tanto nel trittico quanto in altri due frammenti d’una pala d’altare (Madonna ed Ecce homo) pure a Carlstein, Tommaso rivela una natura affine a Vitale da Bologna, e ai miniatori bolognesi del tempo di Niccolò (1350) non indipendenti dalle formo d’arte senese nel tipo e nella ricchezza decorativa ». Noto qui come il Leger ed il Venturi (Storia dell’Arte italiana, V), chiamino erroneamente uno dei personaggi del trittico s. Dalmazio. In realtà si tratta non di un Dalmazio (per ragioni iconografiche ed agiografiche non può trattarsi nò di s. D. archimandrita nè dell’omonimo martire pavese), ma di s. Palmazio. uno dei martiri dioclezianei di Treviri, ricordati dal Martyrologium Romanum il 5 ottobre. Carlo IV nel 1356 volle collocare — possediamo i documenti in proposito — con grandi onori le reliquie del martire regalategli dalla città di Treviri in una cappella del Carlstein. Quindi si spiega la presenza della figura di s. Palmazio in un quadro a Carlstein.
A sua volta Tommaso risentì l’influenza dell’arte fiorente in Boemia con lo strasbur-ghese Nicola Wurmser e con Teodorico da Praga. Quest’influenza è sensibile nelle sue pitture a Treviso: negli affreschi della sala capitolare dei Domenicani presso S. Nicolò e di S. Maria Maggiore e sopratutto nelle celebri storie della leggenda di s. Orsola in S. Margherita (ora al Museo Civico) ricche di figure espressive e di realismo.
(1) Sappiamo p. e. che nel 1359 la grande piazza della Città Nuova non bastò a contenere la folla straordinaria di pellegrini. Più di una volta queste turbe di pellegrini provocarono rincari straordinari nel costo della vita minacciando una breve carestia.
(2) « Sacellum Corporis Cristi... ut taceam subterráneas celias, in quibus olim San-ctorum Reliquias Carlsteinenses asservare solebant veteres iis diebus, quibus e turri sacelli quotannis populo monstrari solebant ». (Balbinus, Mt’sc. hisl. reg. Boh. Dee. I,
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fatta santuario dell’Impero e rivaleggiante nei tesori della, pietà i grandi santuari tradizionali dell'occidente cristiano.
♦ ♦ ♦
Ma tutto questo splendore d'arte e questo fervore d’attività civile, che rinnovarono la capitale boema, tramonta con Carlo IV. L’anno della sua morte, il 1378» segna anche il principio della crisi del papato a cui doveva seguire di lì a poco la rinnovata anarchia dell’impero, malgrado le precauzioni prese da Carlo IV. Lo sforzo abile e tenace di Carlo IV si spezza e la reazione si muove da tutti i campi contro la sua opera. Il decadimento dell'arte sotto Venceslao IV è il riflesso del mutato corso degli eventi (1). Praga non è più il centro dell’impero. Lo spirito nazionale boemo, eccitato inconscientemente dall’opera civile di Carlo IV, reagisce contro l’universalità e l’internazionalismo voluti da Carlo IV. La nobiltà non domata intieramente e il clero, che non vuole perdere il predominio acquistato nei fortunati giorni di Carlo IV, insorgono. Venceslao, personalità non superiore, viene in conflitto con gli uni e con gli altri. La Boemia non può più costituire la base della politica imperiale della casa di Lussemburgo. Praga non è più il soggiorno preferito di Venceslao. I principi dell'impero insorgono contro il piano egemonico tentato da Carlo IV. Venceslao, fatto più volte prigioniero dai nobili boemi e dai principi dell’impero, perde ogni prestigio davanti alla nazione e alla Germania. È l’alba della rivoluzione ussita!
(Contìnua) Rossi.
(1) Sotto il regno di Venceslao infatti vengono principalmente condotte a termine, attraverso lunghe interruzioni, alcune delle più importanti opere cominciate dal padre.
IL LBOXC DI BOKMIA
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I TEDESCHI
NELL’OPINIONE PUBBLICA MEDIEVALE
io intendimento è di raccogliere qui alcune testimonianze di scrittori medievali riflettenti le impressioni che nel loro animo e in quello delle popolazioni latine suscitava il contatto con
1 le persone ed i popoli di razza germanica.
Questa rapida rassegna risulterà necessariamente incompleta e forse anche unilaterale, chè il tema dei rapporti politici e morali tra latini e tedeschi nell’età di mezzo esigerebbe, per essere trattato con sufficiente comprensione ed equanimità
di giudizio, una ben maggiore ampiezza di ricerche e di analisi.
Io sono, tuttavia, persuaso che, nelle loro linee essenziali, le conclusioni cui potremo noi pervenire ne Sarebbero ravvalorate;
Delle qualità dei Teutoni, quella che maggiormente ebbe a colpire l’immaginazione degli Italiani nel medio evo fu, senza dubbio, la loro innata e sfrenata ferocia.
Come tutti sanno, l’irruzione dei Vandali e degli Unni parve tale flagello di' Dio, che imperversasse sull’Italia a compiervi arcane vendette divine, che per esprimere lo scempio consumato sulle cose si disse atto « vandalico » ed « unno » si chiamò colui che sembrasse accogliere nel proprio cuore i più crudeli istinti.
Di tutte le invasioni barbariche, la langobarda fu quella la cui efferatezza provocò la più vivida e vasta ripercussione negli animi italiani.
Già Vellejo Patercolo (II, 106) aveva definito i longobardi: «più feroci della stessa ferocia germanica ». E Procopio (De bello gotico, IV, 33) così ne aveva scritto, tra l'altro: «All’empietà e scelleraggine della loro condotta si aggiungeva anche questo che senza alcun motivo (1) davano fuoco agli edifici, nei quali fossero per avventura condotti; si gettavano sulle donne, anche se fuggite a ripararsi nei sacri tempi, e ne facevano strazio per i loro vizi ».
(1) Quel «senza alcun motivo» di Procopio richiama alla memoria un particolare stigmate della psiche tedesca: il piacere di distruggere per distruggere, la Schaaen Freude.
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L’attitudine dei Langobardi, durante il periodo dell’invasione, fu certamente tale da giustificare la loro triste fama (i).
Dell’impressione generale che la ferocia dei Langobardi, davanti ai quali, come scrisse Machiavelli « gli abitanti fuggivano collo spavento negli occhi » (Storie, I, 3), si rese interprete commosso, nelle sue lettere, nelle sue omelie, nei suoi dialoghi, il papa san Gregorio Magno. Egli lamenta la distruzione delle città, la uccisione degli abitanti, la desolazione delle campagne rese deserte, l’avvilimento di Roma, del suo Senato e del suo popolo che un giorno avevano imperato sul mondo (2).
A Gregorio Magno, testimone di tanti lutti e di tante rovine, sembra di assistere all’irrompere della conflagrazione universale (3).
Egli sente su la sua carne viva le punte aguzze delle spade langobarde. La frase: « fra le spade dei Langobardi », ricorre spesso, come un ritornello angoscioso, attraverso i suoi scritti.
Egli scrive: «Sono ormai ventisette anni che in questa città viviamo fra le spade dei Langobardi » (E/>. V, 39). « Quello che io soffro qui dalle spade dei Langobardi... nè per iscritto nè a voce potrei fare intendere » (EpN, 42). « Sono oppresso da tante tribolazioni e così stretto dalle spade dei Barbari, che appena mi è dato di respirare » (Ep. V, 44). « Non voglio angosciarti raccontandoti ciò che soffro dalle spade dei Langobardi, nei quotidiani saccheggi, ferimenti e uccisioni dei nostri cittadini » (Ep. VI, 58). « Rifuggo dal dire quali mali noi soffriamo dalle spade dei Langobardi » (Ep. Vili, 2). « Non posso fare intendere a parole quello che da trentacinque anni noi soffriamo dalle spade dei Langobardi » (Ep. XIII, 41). (4).
I nefandissimi Langobardi di San Gregorio Magno continuarono ad essere designati, nei secoli posteriori, come una efferatissima gens e tragicamente vivo rimase nella tradizione popolare il ricordo delle loro gesta crudeli (5).
(1) Paolo Diacono ci fa sapere che sette anni dopo la venuta di Alboino, l’Italia era ridotta: « spoliatis ecclesiis, sacerdotibus interfectis, civitatibus subrutis, populis, qui more segetum excreverant, extinctis » (De gesl. Lang. II, 32).
(2) «Quid est, iam rogo, quod libeat in hoc mundo? undique luctus aspiciinus, undique gemitus audimus, destructae urbes, eversa sunt castra, depopulati sunt agri, in solitudinem terra redacta est, nullus in agris incoia, pene nullus in urbibus habitator remansit, ut ipsae parvae generis humani reliquiae adhuc cotidie et sine cessatione fe-riuntur, et finem non habent flagella caelestis justitia, quia nec inter flagella directae sunt actiones culpae. Alios in captivitatem duci, alios detruncari, alios interfici videmus. Quid est ergo, quod in bac vita libeat, fratres mei? Si et talem adhuc mundum diligi-mus, cum iam gaudia, sed vulnera amamus. Ipsa autem, quae aliquando mundi domina esse videbatur, qualis remanserit Roma, conspicitis, immensis doloribus multiplici-ter attrita, desolatione civium, impressione hostium, frequentia ruinarum. Ubi iam se-natus? ubi populus? Omnis saecularium dignatutum ordo extinctus est in ea, et iam vacua ardet Roma». S. Greg. M. Homil. in Ezechielem proph. § 22. Gir. Epist. Ili 29.
(3) « Interitus.omnium rerum». Mor alia, lib. XXV, c. 40.
(4) Cfr. anche Epp. I, 30; V. 43; XII, 16; ecc. Nella già citata Hom. in Ezech. si legge: « E noi pochi che ancor rimaniamo, ogni giorno vediamo appuntate al fianco le spade... ».
(5) Il Duchesne, a questo proposito, osserva: « Les Lombards, il faut bien l’avouer, sont assez mal notés dans l’opinion... Entre tous les barbares établis dans l’ancien empire romain, ce sont eux qui ont laissé la plus fâcheuse réputation. Les Espagnols sont plutôt fiers des Wisigots et les Français des Francs. En Italie il n’en est pas tout à fait de même.
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I TEDESCHI NELL’OPINIÓNE PUBBLICA MEDIEVALE
III
In una lettera, attribuita al papa Stefano II e indirizzata a Carlo Magno, è dato sui Langobardi il seguente virulento giudizio: perfida... ac fetentissima gente, quae in numero gentium nequaquam computatur de cuius nalione et leprosorum genus oriri certum est (V. Cod. Car. Ep. XLV). Lo stesso papa, Stefano II, applica ad Arichi, principe di Benevento l’epiteto gregoriano di nefandissimus (V. Cod. Car. Ep. XIV).
Benedetto, il monaco del Soratte che assistè con terrore al passaggio dei feroci guerrieri degli Ottoni cupidi dei tesori romani, rinnova nel secolo x, i lamenti angosciati di san Gregorio Magno e ci permette di vedere, attraverso il suo ingenuo e sgrammaticato racconto, quali sentimenti di orrore, di sdegno e di disprezzo suscitasse negli animi il non ancor spento ricordo dell’invasione langobarda (i).
Durante i secoli posteriori, i Tedeschi non suscitarono tra noi impressione diversa da quella dei loro predecessori. Al principio del secolo xh, l’autore del Carme De captivitate Paschalis papae — un italiano che scrisse durante la prigionia di questo papa (12 febbraio-12 aprile mi) — enumera le infamie senza nome commesse contro gli Italiani, tanto ecclesiastici che laici, e di cui egli è testimone. Egli inveisce contro questi « diabolici Teutoni », che non perdonano nè a debolezza di sesso, nè a tenerezza di età, nè a prestigio di dignità e che hanno perfino osato mettere le sacrileghe mani sulla persona del papa (2).
On ne semble éprouver aucune satisfaction à se rappeler que l’on fut conquis jadis par Alboin et sa bande. Le sentiment national, qui peut choisir entre beaucoup d’ancêtres illustres, n’insiste pas très volentiers sur ceux-la? » L. Duchesne, Les évêchés d'Italie et l’invasion lombarde (Estratto dalle Mélanges d’Archéologie et ¿'Histoire, t. XXIII, 83-116). Roma, 1903)(1) « Mox efferam Longobardorum gens, de vagina sue habitationis educta, in nostra cervice erassata est. Atque umanum genus, quod in hac terra pre multitudine ni-mia quasi spisse segetis more surrexerat, succinctus aruit. Nam depopulatae hurbes, evarsa castra, concremate ecclesie: Destructe sunt monasteria vi vor um atque f emina-rum, desolata ab omnibus predia, atque ab omni cultore destituta in solitudine vacai terra. Nullus in hac possessor inhabitat; medactum (redactum?) est monasterium mon tis Seraptis in solitudine, et cuncta eins predia destructa. Occupaverunt bestie loca, Sue prius multitude hominum tenebat, et quod in aliis mundi partibus agatur ignoro, .otharius, lubricum suis corporis, et multurn vinolentum, fecit synodum cum episco-pis, et dictis (edictis) legibus Langobardorum composuit, quomodo Langobardorum in Italia cun lege viveret. Sed eorum prisco tempore gentilitatis non deserunt, quo Langobardi more suo immolabant caput capre diabolo in pugnantes hoc ei currentes per circuitum et carmine nefandos decantarci. Et qui hoc non acquiesceret, sine dubio in-terrogationis, capite punirentur... ». Benedict! Chronicon, ap. Per.tz, HI, 699.
(2) «Sacrilegi Teutonici, Homines diabolici, Pium invadunt populum Atque catervam presulum Vulnerant et expoliant Ac verberibus cruciant. Manum mittunt in pueros, Membris, etate teneros, Demudant et paludibus Lincunt tantis frigoribus, Nam hiemis in tempore Hoc sunt abusi sedere. Natos stirpe nobilium
Mon. Germ. Hist. SS., Libelli de liti.
In vinculis custodiunt. Captivi essent proceres Nisi caute aufugerent. Sic papa datur cladibus Cum turbis innocentibus.
Ob captivata pignora Matres dénudant pectora. Plangunt discruptis crinibus Vidue pro criminibus.
Ob multas turpitudines Lamentantur et virgines ».
etc., t. Il, p. 674.
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La « rabbia tedesca » era, come là ferocia, nel medio evo leggendària. Li plus ireux soni en Aletnaigne, diceva un antico, detto francese. Nel poema latino che, sul cadere del secolo xi, Rangerio compose in lode di Anseimo da Baggio, vescovo di Lucca, e che narra le vicende della lotta tra il Sacerdozio e l'impero in quell'epoca, il poeta rileva l'impossibilità di placare la «tedesca rabbia». Sarebbe, afferma egli, fatica erculea come lottare con le fiere, addolcire i leoni e vuotare i laghi lernei (i).
Questa era anche l’opinione di papa Gregorio IX che nel 1233 scriveva: Ecce Alemanni semper crani furiosi et ideo nunc habebant judices furiosios (2).
Il ritratto morale che dei Tedeschi, uno dei più eminenti cronisti del secolo xm, il cardinale Giacomo di Vitry, traccia, parlandone in occasione della crociata in Terra Santa condotta dall’imperatore Enrico VI (1197), contiene appunto tutte quelle note essenziali che nel medio evo, e non nel medio evo soltanto, i popoli latini ebbero a ravvisare nella gente teutónica.
« Sono uomini bellicosi, egli scrive, di crudo ingegno, tanto prodighi nello spendere quanto digiuni di ragione, invincibili nel maneggio delle armi, aventi fiducia soltanto negli individui della propria razza fedelissimi ai loro capi sino alla morte, e che mettono la volontà al posto del diritto» (3).
Voluntalem pro iure habentes! « I Tedeschi, afferma l’autore della Cronaca Urspergense, ogni giustizia odiano e detestano» (4).
Tacito : « Scutum, frameaque pro toga ; ac nihil ñeque publicae ñeque privatae rei, nisi armis ageretur» (De Mor. Germ.) e, più tardi, san Gregorio Magno: «Syn-thiciae eorum spatae sunt », avevano mostrato la refrattarietà giuridica dei popoli germànici a dirimere leggermente le loro controversie e la tendenza ad aver ragione ricorrendo alla forza.
La « fedeltà tedesca », die deulsche Treue, non creava nessun vincolo nel tedesco di fronte allo straniero. Per questo, egli non sente altro legame che quello del proprio tornaconto. Questa è l’opinione del papa Innocenzo III, che afferma: « Il tedesco non è l’amico dell’uomo ma della fortuna, non amicus hominis sed for(1) Teutonicam rabiem si pacificare laboras,
et revocare studes ad pietatis opus, Hic labor est pugnare feris, mollire leones, et quasi lernaeos evacuare lacus.
G. Colucci. Un nuovo poema latino dello XI secolo. Roma, 1895, P- 49(2) V. Huillard-Bréholles, Mister. diplom. Friderici TI, t. IV, p. 651, not. 3.
(3) « Anno domeniche incarnationis MCXCVII, Henrico imperatore procurante. Alemanni in terra promissionis venerunt, homines bellicosi, ingenio crudi, expensarum prodigi, rationis expertes, voluntatem prò iure habentes, invictis ensibus, in nullis nisi suae genti confidentes, ducibus suis fìdelissimi, et in quibus vitam potius quam fidem posses auferre ». Iacobi de Vitriaco, Histeria Orientalis, ap. Martene, Thesaurus, III, 286.
Le popolazioni, dice L. Bréhier (L’Eglise et T Orient au moyen âge. — Les Croisades. Paris, 1907, p. 139) consideravano questi crociati tedeschi «moins comme pèlerins que comme loups ravisseurs».
(4) « Alemanni, qui omnern justiciam detestantur et odio habent ». Chronicon Uspergense.
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I TEDESCHI NELL’OPINIONE PUBBLICA MEDIEVALE
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tunae; come canna al vento, egli si piega agli eventi, si ritrova nei successi e nella sventura vien meno » (1).
Sul tramontare del medio evo (sec. xv), un abate francese, riferendo ad un amico le impressioni di un suo viaggio attraverso la Germania, riproduce ancora quei tenaci e vivi sentimenti di ostilità e di disprezzo che i Latini, fin dai tempi più antichi, avevano provato di fronte ai Tedeschi. A giudicare dalle sue parole, queste impressioni non dovevano differire da quelle raccolte da Giulio Cesare e da San-t’Isidoro, le cui testimonianze egli cita ed approva. Di suo, egli aggiunge un aspro giudizio su l'atra salsa dei Tedeschi e sulle loro adulterazioni culinarie (2).
Di fronte all’ostilità e al disprezzo che, per i Teutoni barbari e feroci, provavano i Latini, gli scrittori e i cronisti tedeschi si sforzarono, a costo di falsare la storia o di contraddirsi apertamente, di creare una loro leggenda di gentilezza di raffinatezza di generosità di civile sapienza e di civiltà, che avrebbe dovuto attirare sulla loro razza le simpatie degli altri. A sentire Paolo Diacono, il dominio langobardo, al tempo di Autari, avrebbe realizzato quei saturnia regna, di cui avevano favoleggiato i poeti latini.
« Era meraviglioso il vedere, egli scrive, come sotto il dominio langobardo, non si commettesse violenza alcuna nè si tramasse alcuna insidia, come nessuno avesse a soffrire sorprusi nè vessazioni, come, al sicuro di ladrocini e di furti, ognuno potesse tranquillamente andare ovunque gli piacesse » (3).
Di un guerriero langobardo, Drettulfo, l’epitaffio, esistente nella chiesa di san Vitale a Ravenna, dice: « L’aspetto era terribile, ma il cuore benigno » (4).
(1) Citato da J. Zeller, Histoire d’AUemagne, t. V. (L’empereur Féderic II), Paris, 1885, p. 71.
Come manifestazione tipica di particolarismo politico-religioso, potrebbe citarsi l’istituzione deìVOrdo Theutonicorum seu Alemannorum, fondato in Terra Santa da tedeschi, composto e amministrato da tedeschi e destinato a venire solo in aiuto dei pellegrini e dei crociati tedeschi.
(2) «Nosti autem in Commentariis Belli Gallici, non sine experientia a Caesare dictum esse, apud Germanos nulla latrocinia habere infamiam, quae extra fines cuju-sque civitatis hunt, atque ea juventutis exercendae causa fieri praedicant. Et cui non minus referendum esse reris, Isidorus eos tibi prome sententia seguenti describit lu-culenta: " Germaniae gentes dictae, quod sint immania corpora, immanesque nationes saevissimis duratae frigoribus, qui moras ex ipso coeli rigore traxerunt, feroces animis et semper indomitis, raptu venatuque viventes. Horum plurima gentes variae armis, discolores habitu, Linguis dissonae, et origine vocabulorum incertae, ut Tolorates, Ani-smari, Quadrungri, Marcomagni, Bruti, Camasi, Blangianae tubantes, quorum imma-, nitas barbarie, etiam in ipsis vocabulis horrorem quemdam significai.”
«Quid? is qui promit et vectari juvat praedas et vivere rapto... De victu quin etiam, cum de atro jure Alamanico et falsis eorum insalsatis, quaque versum proverbium corrai, audire non contèndis». Johannis de Munstersolio, Epistola ad amicum, ap. Martène Veter. Script. et Monum, etc., t. II, coll. 1418-1419.
(3) « Erat sane hoc mirabile in regno Langooardorum, nulla erat violentia, nullae struebantur insidiae; nemo aliquem iniuste angariabat; non erant iurta, non latrocinia» unus quisque quo libebat securus sine timore pergebat ». (Pauli Diaconi, Histor. Langob., Ili, 6).
(4) «Terribilis visu facies, sed mente benignus
I.ongaque robusto pectore barba fuit », ecc.
Muratori, Antiq. II, 297.
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In un componimento poetico, scritto da un contemporaneo, in morte diFederico I, il Barbarossa ci appare come il grande campione della pace, generoso anche coi vinti, pari a Salomone in saggezza, fedele amico del clero, ubbidiente ai monaci, cavaliere eletto da Dio a miraeoi mostrare (i).
Forse, dal loro punto di vista, i Tedeschi medievali credevano di esser nel loro buon diritto, comportandosi come essi hanno fatto; forse, avevano avuto anch’essi « una coscienza pura ». Certo, non sapevano rendersi conto del perchè fossero oggetto di ostilità e di disprezzo.
Walter von der Vogelweide il minnesinger del secolo xm, tradisce tale stato d’animo nella sua canzone ove egli dice:
Tiusche man sint wol gezogen,
Rechte als Engel din Wip gelan...
• Gli uomini tedeschi sono bene educati. Le donne vi sono tutte simili agli angeli; Chi le ingiuria certo s’inganna.
Io non arrivo a capirne il perchè.
Chi vuole vederle
Deve venire in questo nostro paese.
Che pieno di delizie:
Possa io vivervi lungamente! ■ ecc.
Probabilmente, si riferiva a queste autoapologie di marca tedesca, Nicolò di Breva (sec. xm) quando nel suo Carmen saliricum (2), pigliava in giro il tedesco, attribuendogli tutte le virtù:
Vv. 104-5: Est homo Theutonicus, divine legis amator.
Moribus eslque Kalho, perfeclo dogmale Pialo.
Soggetto di scherno fu, sin dai tempi più antichi, la lingua. Certo, l’aspra e difficile favella tedesca non poteva non riuscire sgradita a popoli usati ai dolci, melodiosi e chiari vernacoli, derivati dalla sonante lingua romana.
(1) «Ortu Teutonicus Romanus rex Fridericus,
Augusti nomen pacis possedit omen.
Pollens consilio cessit certamine nullo;
Dissona compegit, dum praelia plura peregit.
Discordes stravit, quia tempora pacis amavit.
Huius honore boni non impar erat Salomoni, Rex felicem plantavit ad astra radicem.
More rose vernans, bene subdita regna gubernans, Largus erat dando, depresses quosque levando, Clerum dilexit, monitis huic optime rexit, O quam dementem monachi sensore parentem! Hunc deus elegit, per eum miranda peregit ».
Pubblicati da Z. Weiland, da un ms. della Bibl. di Stuttgart, nel Neues Archiv., t. XV (1890), p. 394.
(2) Pubblicato da T. Fischer nelle Geschichtsquellen der Provinz Sachsen, v. I, Halle, 1770.
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I TEDESCHI NELL'OPINIONE PUBBLICA MEDIEVALE
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Barbarus sermo fu, nel medio evo, sinonimo, di « lingua tedesca », anche per coloro stessi che la parlavano (1).
Nella tradizione letteraria dei popoli latini, la lingua tedesca viene spesso riservata agli esseri inferiori 0 cattivi. Nelle redazioni latine del fabliau francese Renart, gli animali più nobili, come il leone, portano nomi francesi, mentre agli animali inferiori, come il lupo e l’asino, vengono affibbiati nomi tedeschi.
NeirZsewgnnws, il lupo interpella l’agnello teutonico (2).
La verve latina si esercitava anche largamente sulla goffaggine tedesca.
« La coutume des Allemands, osserva Froissard, et lour courtoisie est mie belle... Allemands de nature sont rude et de gros engin » (3).
Peggio poi era quando i Tedeschi si piccavano di gareggiare in belle maniere coi Francesi. « È cosa da far morire dalle risa », commenta il poeta provenzale, Peire Vidal.
Per questa loro goffàggine e ruvidezza, i Francesi avevano appioppato, nel medio evo, il nomignolo di Thiois, che corrisponde all’odierno boche (4).
Concludendo, i Tedeschi hanno, nel medio evo, ispirato ai Latini sopratutto questi due sentimenti: l'orrore e il disprezzo. L’orrore predomina nell’alto medio evo, quando i barbari invasori, forti della loro organizzazione militare, impongono, col terrore e còl sàngue, la loro dominazione; il disprezzo si va accentuando sempre più a misura che si rafforza la coscienza nazionale e i progressi materiali e politici rendono possibile una resistenza spesso vittoriosa.
Allora quella superiorità civile e intellettuale, che sempre, più o meno, i Latini sentirono di fronte ai barbari, potè liberamente e mordacemente esprimersi.
Allora, nonostante la sua forza brutale ed i successi delle sue armi, il tedesco, per la sua lingua, per la volgarità delle sue maniere, per la pesantezza del suo spirito, per il gretto egoismo e la cieca incomprensione, apparve tanto ridicolo quanto era apparso prima feroce. Apparve di una razza civilmente e umanisticamente inferiore.
All'insolente Liudprando, l'inviato dell'imperatore Ottone, un imperatore greco, Niceforo, dava, come un supremo oltraggio, la risposta: Vos non Romani, sed Langobardi estis.
Antonino De Stefano.
(1) Cfr. la Traslalio S. Liborii (sec. ix), ap. Mon. Germ. Hist. SS. t. IV, p. 151; Brunonis vita S. Adàlberli (see. xr), ibid., p. 597. I Francesi sembra specialmente si dilettassero ad irridere i Tedeschi a causa della loro parlata. « Ut Gallorum moris est, Teutonieam linguam subsannando cum derisione », si legge nella Historia Novientensis Monasterii, ap. Martens, Thesaurus, III, 1127.
(2) Cfr. L. Reynaud, Les origines de l’influence française en Allemagne, Paris, 1913, I. 637(3) Froissard, Cronique, I, 50, 61.
(4) Il poema dei Saisnes li chiama: laide gent, gent daffare, pute gent salvage. Cfr. Gautier, Les Epopées françaises, II, 511.
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IL PAPA A CONGRESSO
Sommario : L’ « escusazione » del Machiavelli e Mamiani — Per un Congresso politico la Chiesa non c’è — La responsabilità degl’irresponsabili — Per rimpicciolir l’Italia — Il Calvario dei cattolici di Francia — Si ritorna alla diffidenza — Si specula sul cattolicismo degli altri — L’anarchismo temporalista di Sorel e dei Soreliani ai danni dell’Italia — L’Italia cattolica è uscita di fanciullezza: prima la nazione, poi il papa — Metà fola, metà follia.
n un articolo sul Giornale d’Italia ho avuto occasione di denunciare il danno che «i più cattolici del papa» arrecano al papato. I più cattolici del papa, appunto perchè tali, invadono il terreno politico e marciando molto in là, troppo in là su questo terreno, finiscono per servirsi del papato come d’un espediente ad una loro qualsiasi impresa d’anarchismo ideologico. Ma tuttavia il papato, costretto a vivere alla ventura in politica e a dissimulare una sua simpatia, se veramente ne ha una, una
preferenza, una necessaria predilezione, e peggio a smentire oggi l’intenzione avuta o che avrebbe dovuto aver ieri o a fingere di averne avuta una che in realtà non ebbe; il papato non smentisce, non fa tacere, non separa la sua responsabilità da quella dei « più cattolici del papa » e non impedisce quindi che a buon diritto si interpreti la sua arte mondana come quella di chi prende su quel po' di bene che viene, come viene, da chi viene, quando viene.
Non dirò che la situazione non sia imbarazzante. In realtà il papato politico è non tanto una entità solida, concreta, costituita con una sua originale ragion d’essere, quanto la risultante d’un giuoco arduo e pericolosissimo di molta gente. Sottoscrivo a ciò che diceva Terenzio Mamiani, il io maggio 1868, in una sua conferenza nel palazzo delle Belle Arti in Firenze, trattando « Del senso' morale degli Italiani « Mi si conceda, o signori — esclamava il Mamiani — d’aggiungere qui Un Capitoletto alle Confessioni d’un metafisico', e intendo che m’è- paruta buona per molti anni la escusazione pensata dal segretario fiorentino: Quando un bel giorno mi venne veduto che per otto parti sopra dieci noi italiani siamo stati fondatori ed architettori della teocrazia papale, massime in ciò che la disgiunse più sempre dalla umiltà evangelica e dalle prische istituzioni apostoliche. Nè può negarsi che i forestieri non v’abbiano ravvisato con malizia e compiacimento le qualità insieme
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IL PAPA A CONGRESSO
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del nostro intelletto e del nostro carattere: orgoglio, prevedimento e simulazione; avarizia ad una e scialacquò; ingegno pratico e fine senso politico; l’amore dell’arti, delle pompe e degli spettacoli, pur troppo anche l'amor dei piaceri e degli ozi eleganti e la disinvolta mescolanza delle cose sacre con le profane ».
Questo esser preso e lasciato dai così mutevoli concorrenti al potere politico non ha mai offeso il papato. Se prevede un vantaggio gli riesce d'esser persino cristianamente utile, così come per conservarsi una situazione nel mondo dei valori reali e cioè politici, non gli resta nè difficile nè spiacevole accomodarsi con l’eterno suo nemico, l'impero ghibellino tedesco diventato all’occasione sui grandi e grossi fogli di Germania tenero del diritto al potere temporale del papa. E nessuno dubita pur un istante che le sfere dominanti, o almeno diplomatico-politiche del Vaticano, non siano state per la Germania, contro l'entrata in guerra dell’Italia, a malgrado — si noti bene — che questa volta quel cattolicesimo di popolo e di nazione, che dobbiamo finire per giudicare essere tutt’altrà cosa dalla Chiesa, si manifestasse così entusiasticamente favorevole a partecipare ad una guèrra insieme di redenzione nazionale e di umana mondiale difesa.
II.
Che il papato sui primi della guerra non potesse avere una sua opinione precisa e recisa, non deve stupire. I dominatori del mondo hanno abitudine d'accorgersi della Chiesa quando l'eccesso delle imprese li ha indeboliti, e delle debolezze dei potenti suole la Chiesa far la sua forza. Ma mi stupisce che coloro medesimi i quali conoscono questo melanconico inevitabile giuoco di eventi, attribuiscano poi importanza e diano tela alla ripresa delle pretese ecclesiastiche in terreno politico internazionale. Si domanda perchè una confessione religiosa, la quale non possiede alcuna autorità e modo per dirigere gli eventi di questo mondo, per impedire il minimo conflitto economico o politico interno e guerresco tra nazione e nazione; una confessione religiosa che s’affretta a dichiarare, quando una guerra si minaccia: — io sono una confessione religiosa e non c'entro e mi taccio e non ci ho colpa e non assumo responsabilità — debba poi essere arbitra d’una situazione creata dalla guerra.
Ogni elemento milita come una ragione poderosa contro l’intervento del rappresentante vaticano in seno ad un futuro congresso per la pace. L’Inghilterra è nazione protestante; nazione protestante imperialmente orientata «contro» il cattolicesimo è la Germania; nazione non cattolica è la Russia; nazione il cui Stato è separato ufficialmente dalla Chiesa è la Francia; nazione retta da principi esclusivamente giuridici ed essenzialmente laico-democratici è l'Italia. Ma poi la considerazione deU’Italia-Stato cresce valore alla impossibilità che si conceda alla Chiesa confessione l'essere rappresentata in un congresso di ex-belligeranti. Ciascuno di noi cittadini non può avere due rappresentanti, l’uno civile, l’altro ecclesiastico; non può sdoppiare la sua delega tra un ministro o un generale e un cardinale. Durante la guerra la confessione religiosa Chiesa-cattolica è un patrimonio d’idee, di sentimenti e di materiali ricchezze amministrate che lo Stato tutela. Il tutelato di oggi può egli
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essere il tutelatole di domani? E perchè? Dovrebbero essere due le opinioni difensive degli interessi italiani e tutt’e due all’unisono? In questo caso, non si capisce perchè io dovrei avere il diritto del doppio dei rappresentanti d’un qualsiasi inglese o francese o russo o turco. Estendendo, come di ragione, questo diritto a tutti gli altri, gl'inglesi, i russi, i francesi, i turchi potrebbero farsi rappresentare anche dai loro pastori, o pope, o ulema, e di questo passo s'arriverebbe a dover riconoscerlo anche ai rappresentanti delle istituzioni teosofiche e massoniche e agli Skopzi russi.
Ma, risponde il clericale del cattolicismo italiano, di Chiesa cattolica ce n’è una sola e sta qui di casa! — Si risponde: — No. Non ce ne dev’essere nemmeno una, nemmeno quella che c’è ci deve essere di fronte ad un'opera di esclusivo, assoluto carattere temporale e politico. Col 1870 il papato ha perduto ogni ragion essere politica. Non può pretendere di riacquistarla nell’anno di grazia 1916 o 1917 o 1920. Non esistono nella storia che si sta facendo interessi cattolici, come non ne esistono di protestanti e di ebraici. Esistono invece esclusivamente interessi italiani, belgi, francesi, inglesi, russi, eccetera, eccetera, la tutela e la soluzione dei quali anzi può determinare persino conflitti tra popoli cattolici, com’è quello tra l’Italia e l’Austria-Ungheria. Diventerebbe autorità politica e militare una confessione che non ha non solo alcuna autorità di fatto, ma nemmeno vi potrebbe aspirare, perchè messa fuori dall’attività segreta, tecnica, severamente silenziosa della guerra. La Chiesa cattolica che risolve problemi di delimitazione di confini, di razze e di Stati, fa ridere e fa più ridere se si pensa che, mentre questa esigenza ella esprime, ella conserva ancora quella di farsi restituire il «suo Stato civile»! Io, insomma, anderei a sedere, con i medesimi diritti, al medesimo tavolo di decisioni a cui siede un tale che mi deve restituire un patrimonio; ed è questione attorno al tavolo di consacrare un più grande patrimonio di cui quel ch'io pretendo costituisce la parte essenziale. Siamo nemici, o meglio io sono suo nemico, e da questa inimicizia io traggo la mia pretesa d’esistenza giuridica; ma pur tuttavia il mio nemico mi deve far posto a quel tavolo e mi ci deve far posto perchè il mio valore viene da quel qualchecosa, che mi fu portato via. La presunzione d’essere svaligiato od espropriato costituirebbe per la vittima la base d'una giuridica e politica assunzione al grado di giudice, possibilmente, presumibilmente del suo svaligiatore od espropriatore.
III.
L’ingenuità smisurata o il calcolo profondo d’una simile pretesa vanno considerati alla stregua del giudizio che le potenze europee farebbero dell'Italia ove l'Italia — che non è il papato — si presentasse al congresso accompagnata, oppure avesse acquistato il diritto a stare al congresso previa divisione in due parti dell’autorità tra lei e il papato e cioè con uno Stato che non fu in guerra perchè non è uno Stato. Non è a dire che il Belgio, ad esempio, favorirebbe l’intervento del papa al congresso. La causa del Belgio è stata sposata dalla democrazia latina, e la medaglia ha un rovescio nel consenso che palesemente le sfere vaticane erano per dare ad una Germania quasi preponderante, per un momento, sulla decisione neutralista del Governo
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italiano, ed al favore che tuttora dànno alla Germania, quantunque la democrazia cattolica ogni giorno vie più dimostri d’aver fatto causa comune con la difesa latina e il programma d'abbattimento degli Imperi centrali.
Le elemosine di parole che il pontefice ha lasciato cadere di quando in quando e molto cantamene e tardi dalla sua mensa epulonicamente ricca di buoni rapporti con la Germania, la fredda carità largita alla Santa Nazione Assassinata, hanno suscitato nel Belgio un tale ravvedimento sulle fedi corse così innanzi un giorno, che ciò che ne ha mostrato il cardinale Mercier non è nulla al confronto di ciò che se ne mostrerà dopo. I Belgi cattolicissimi hanno finalmente capito che il papato deve aspettare il responso della storia, possiamo dire della cronaca e che, poverino, si deve regolare sui bollettini di guerra specie quando si tratti della Germania che, avanti la guerra aveva abituato or con le buone, or con le cattive il papato a non temere e a non avere in pregio che l’eresia scientifica tedesca e la imperiale voracità tedesca. Ma oggi, non potendo non ammettere il papato, a malgrado di sè, che i latini intendono evidentemente di portare a fondo la lor guerra contro il così detto fato della vittoria alemanna, si offre a un tratto, dopo il fallimento della proposta di pace separata al Belgio, a rappresentarlo al congresso. E noi leggiamo che il pontefice romano pronuncia il « se ci si farà l’invito..... » di farci partecipare al congresso « come speriamo », che ricorda un altro meno pio e altrettanto pietoso desiderio di chiamata onorevole e inefficace che creò, or non è molto tempo, l'aureola del ridicolo attorno ad uno dei massimi beneficiati della fortuna politica nostrana.
Certo l’intervento onorario del papa al congresso della pace non riuscirebbe discaro ad alcuno dei popoli e ad alcuna delle diplomazie rappresentate e molto interessate. Il papato continuerebbe a sostenere la causa della Germania, che magari sarà domani «la povera Germania». Il papato, che è sempre rimasto tanto ma tanto fuori ai maneggi diplomatici stranieri in Italia, entrerebbe come paeiaro disinteressato nella questione. E chi ne può dubitare! La religione di Cristo non ha protestato nell’attimo al delitto che si perprètava sulla carne e sull’anima del popolo fedele dall’inimico eretico; ciò non pertanto favorirebbe autorevolmente la pace e le ragioni pacifiche del medesimo nel momento in cui l'eretico inimico avesse veramente bisogno di pace. È naturale: il papato cattolico è per la neutralità anzi per il disarmo d'Italia quando la Germania ha bisogno d’avere un’Italia a sua disposizione, poco importa se per più comodamente schiacciare il cattolico popolo fedele di Fiandra e per distruggere le cattedrali del più antico cattolicesimo francese; ed è per la pace tedesca quando probabilmente le nazioni vincitrici per assicurare la pace, non del papa,, al mondo, hanno bisogno d’imporre un destino definitivo alla Germania medesima.
IV.
Che mai diavolo voglia essere questa comunanza arcana e così intima fra dogma e imperiale eresia tedesca, non si sa. Ma quel che si sa è che il papato vi oblia ogni sua dignità e vi riprende quei sistemi di caccia e d’agguato al profitto politico o comunque fosse temporale che spinse sino un papa sul finire del decimottavo se-
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colo ad abolire la compagnia di Gesù. Caccia ed agguato ad un profitto pur che sia questa vaticana manovra-condotta al solito in modo che la parola, non suoni diretta ed ufficiale, ma possa, all’occasione favorevole, dirsi che sia suonata ufficialmente — perchè non c’è barba d’ingegno in Vaticano e in una qualsiasi delle meno illuminate sfere clericali di questo mondo, a credere possibile la realizzazione d’un tal desiderio, o almeno espresso come tale.
Il papato sa benissimo che la base dell’attuale confermata alleanza latina tra Italia e Francia è il riconoscimento pieno da parte di quest’ultima della italianità laica di Roma capitale, della'sovranità senza smezzamenti della volontà politica degli Italiani in Roma, della nessuna riserva che lo Stato e il Governo e la Dinastia fanno in questa capitale ove l’opera dell’Unità giuridica-storica è arrivata come al suo termine assoluto, anche se resta ancora il debito dèlia riconquista verso regioni confinanti col tradizionale nemico di razza. Il papato sa benissimo che la Francia politica, in via ormai di profondamente accordarsi con l’Italia politica, considera per questo il papato che ha pretese politiche come un nemico per definizione della totale unità dell’Italia. L’Italia del 1916 s’accresce dell'alleanza francese, non soltanto contro i suoi nemici esterni, ma contro i suoi nemici interni e un qualsiasi governo francese non potrà più avere rapporti politici e diplomatici col Vaticano perchè in Italia esso, non riconosce che il legittimo laico e democratico e nazionale governo italiano. E così l'alleanza con la Francia e con l’Inghilterra e con la Russia è la pietra tombale messa sopra ogni serietà di vaticana pretesa. Ragionévolissima, come si vede, da questo punto di vista l’oscura or sì or no visibile intesa del Vaticano e della Germania, perchè essendo la Germania naturale nemica della Francia e amica — ò quasi — d’una Italia francofoba, una tale sua inimicizia cresce di cento doppi per un’alleanza con l’Italia. L’Italia, rafforzandosi, rafforza la Francia nella sua guerra contro la Germania e quel suo rafforzarsi è un più profondo e vasto solidificarsi all’interno. Una Italia guerriera che si espande, tenuta e rispettata nel suo Re, nel suo esèrcito, nella sua fede civile, nella sua certezza nazionale, riduce al nulla le secolari senili pretese d’una curia confessionale, la quale cessa di dominare sulla stessa compagine cattolica, dal momento che il cattolicismo nazionale tiene prima per la grandezza della patria e poi per tutto il resto. Desumete di qui il perchè il papato abbia favorito la Triplice e perchè continui a favorire la Germania. È il solo mezzo, per lui, di tenere a bada l’Italia.
0 almeno di rimpicciolirla. Che altro vorrebbe dire e varrebbe la realizzata pretesa del papa di partecipare al congresso per la pace tra i rappresentanti legittimi delle nazioni? Nel suo primo e maggiore atto di esistenza mondiale, l’Italia, che per farsi ha dovuto abbattere il potere temporale, ne avrebbe a fianco ancora il rappresentante, e cioè lo riconoscerebbe e lo farebbe conoscere di diritto? Perchè, naturalmente, non potendosi credere che la cosa sarebbe di spettanza del governo del cittadino separazionista Briand, o dell’impero non cattolico russo, o del protestante Re d'Inghilterra, o del cattolico Belgio a cui nulla valse Tesser cattolico, e nemmeno potendosi credere che, essendo una tale presenza troppo utile alla Germania ed aH’Austria-Ungheria, le due nazioni oserebbero farne la proposta; naturalmente, dicevo, toccherebbe all'Italia in persona sostenere la causa giuridica o mo-
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tale o militare o diplomatica e magari religiosa del papato, per ottenerne l’intervento. Quale stato del mondo, sapendo di che lagrime grondi questa sopravvivenza del problema cattolico interno per lo Stato italiano, si penserebbe solo di seriamente proporre che la maestà del governo italiano intervenga al congresso accompagnata dal suo confessore?
V.
Ciò dice abbastanza che il papato chiede sapendo di non poter ottenere. L'Italia non può oltrepassare le guarentigie che dette al papato nel 1871 e nell’assunto impegno di rispettarle, come sempre squisitamente ha fatto, è implicito il dovere dinanzi a sè stessa di non permettere che in alcun modo il papa ne possa abusare, il papa che ancora non ne ha fatto la ufficiale accettazione, accettazione che di fronte all’assoluto diritto della legge equivale poi ed è una necessaria ecquiescenza.
Il papato chiede sapendo di non poter ottenere, ma frattanto in questo complesso maneggio conta di raggiungere pur che sia un profitto. La pretesa non è stata unicamente manifestata col mezzo del pontificale monito o della speranza o del desiderio pontificali diremo così patenti, non soltanto a mezzo degli organi della stampa cattolica, ma anche con certi strani fenomeni di pragmatismo e d’intuizionismo ipercattolico che non c'è verso di sapere dove anderanno a parare. È tutto un insieme niente affatto grandioso ed eloquente, che non dispiace ai sostenitori cattolici del germanesimo imperiale ed a quelli tedeschi e razionalisti del papato temporale, ed ha sopratutto lo scopo di mettere nell'imbarazzo i proveri cattolici di Francia i quali s’erano illusi dovesse il loro pastore schierarsi bellicamente contro l’invasore iconoclasta e violentatore a difesa dell’altare e della Vergine fin dal primo momento. Quanto durerà la pazienza dei poveri cattolici di Francia sotto un tale abuso del papato, il quale pare dica: di questa gente qui mi fido e non c’è pericolo alzi la testa e gitti il giogo; quel che occorre è tenerci amica quell’altra che sin qui non ha fatto che insidiarmi e danneggiarmi, e il miglior modo per tenerla amica e provarle Che comunque metto l'Italia in turbamento?
Ora, per quanto nessuno pur dei meno sicuri ed intelligenti tra i nostri uomini politici creda ad una qualsiasi sopravalutazione politica del papato nè in Italia nè fuori « con l’espediente della guerra e della pace », è certo però che una sorda irritazione serpeggia per il Paese dal giorno in cui si sono incominciati a sparare i primi colpi a salva della pretesa, del desiderio, della speranza, del mònito, della minaccia papali. Cattolicismo e papato son due diverse cose in Italia e non facevano uno che per il signor Herbette dell’FcAo de Paris ieri, e non fanno uno che per l'atrabile dell’impero tedesco oggi. Ma, un'altra volta ancora, il nazionale entusiasmo dei cattolici per la guerra di liberazione, per l’alleanza con la Francia e con l’Inghilterra, l'abbandono alla causa generosa d’una storia di popolo che cammina, avevano, sarei per dire, suscitato qualche corrente d'oblio e di benevolenza attorno al papato e lo si diceva tornato italiano, e lo si cominciava a dichiarare, a proclamare restituito ad una fattiva umiltà di cooperatore alla più giusta delle sue origini, quella romano-italiana. Invece, eccolo, di lì a poco e precisamente con questo papa, riassu-
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mere atteggiamenti di potenza che si sente diminuita ed offesa, di Stato che non sì sente sicuro, che ha bisogno d’una maggior dignità e libertà persino postale; ecco il papato tentare uno svincolamento dalla pretesa pressione dell’Italia in nome dei diritti cattolici estranei, naturalmente, a quelli della civiltà e della giustizia delle nazioni cattoliche latine che fanno la guerra in risposta all’aggressione alemanna. Invece, eccolo, il papato, irritato della nessuna importanza che il mondo gli dava durante un esercizio così interiso com’è quello della guerra, reclamare dal buon Governo italiano — di cui non si vide mai il più ossequiosamente benevolo — una riaffermazione delle guarantigie, ed il buon Governo riaffermarla. I cattolici si venivano abituando troppo all’ossequio patriottico, alla devozione nazionale, al rispetto delle leggi e delle istituzioni civili; bisognava si ricordassero anche che c’era l’altra autorità, la diversa, la superiore forse, il papa. E l’inquietudine ricominciava nel cuore dei bravi cattolici italiani soldati, cappellani, ufficiali, comandanti e potrebbe darsi anche uomini di parlamento e di governo. Comunque l’intento era ottenuto con i mezzi medesimi di venti, di cinquanta, di duecento, di quattrocento anni prima con il mezzo più Che altro dell’: io ti tolgo la pace e ti sospendo la minaccia sul capo. Non avrebbe tentato la prova ieri, parecchi mesi fa, quando, l’anima e i tendini protesi, tutta l'Italia si scagliava alla sua lotta. La Chiesa sa togliersi di mezzo, annichilirsi, farsi piccina, farsi un nulla, quando i potenti della terra insorgono sotto l'impeto delle grandi passioni storiche; ma non perde l’occasione di tornare appena l’ordine dei movimenti abbia ricominciato a ricomporsi. E così è stato ed oggi la nostra guerra s’è doppiata d’una sotterranea guerra interiore che probabilmente aggraverà lo sforzo necessario ed uscire dalla profonda trincea sanguinosa di questo cominciamento storico.
VI.
Colui che crede in Dio, deve necessariamente pensare che la Chiesa cattolica sia stata data all'Italia come la croce a Gesù e il Calvario e la crocifissione. Croce, Calvario, crocifissione divengono oggetti di rispetto e magari di devozione per la santità dello scopo che hanno ottenuto e nel rinnovato sacrificio ottengono. Ma in epoca in cui fede ed opinioni sono alla mercè della libera scelta e lo Stato è chiamato a disarmare d’ogni temporalità e fedi ed opinioni, come può pretendere la Chiesa che le riescano le sue manovre politiche come l’altro ieri e come ieri? Ed ancora, nessuno la mette in guardia, di chi l'ama tanto, dal pericolo che trattandosi per lo Stato d'Italia in Roma dogmatica, capitale civile e terra libera ad ogni confessione e fede ed opinione e tendenza, di semplificare in un giro di eventi come questo il meccanismo della sua vita per prima e meglio giungere a render concreti gl’ideali dai quali è partito nel costituirsi, una tale ripresa d’esigenze, prive d’ogni ragione ed incomprensibili per il mondo moderno, non può che rimettere le armi in mano a quanti intendono, non come me di ridurre la Chiesa nell’elemento puro di confessione e consociazione di credenti, il cattolicismo, circondata di rispetto e di benevolenza, ma intendono di darle battaglia anche come nucleo di fedi e di sentimenti religiosi.
Eravamo arrivati in questo ultimo ventennio a correggere l'Italia del suo già-
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cobinismo pregiudizialmente anticlericale e ad avviarla ad una sobria serenità di apprezzamenti a riguardo del cattolicismo. È un ventennio dà quando io scrivevo i primi capitoli dell’« Italia cattolica »; quanto cammino da quel giorno sulla via della misura, dell’obbiettività, della considerazione, della transigenza! Oggi possiamo dire d’aver raggiunto una condizione di spirito sufficiente a non farci chiamare più il nemico o l’esagerato o l’accanito e tanto meno l’ateo e l’irreligioso. Ma mi debbo accorgere a distanza che alcune di quelle mie recise affermazioni d'intransigenza a riguardo della Chiesa cattolica avevano una ragion d’essere e che non l’hanno pe-ranco perduta; m’accorgo che il cattolicismo rischia d’essere implicato nel giudizio che noi non possiamo dismettere a riguardo della Chiesa cattolica politica, se il cattolicismo riprende il tono di fautore delle pretese temporali del papato. Bisogna, se s’ha da vivere in pace, che insomma il cattolicismo riassorba la Chiesa, non che la Chiesa riasservisca ai suoi fini politici e perturbatori il cattolicismo di cui ella è probabilmente il più geniale degli abusi.
VII.
Noi abbiamo già denunciato — vedi: Nd solco ddla guerra, Treves — il fatto della « exploitation » che il papato esercita in questo momento dell’evidente rafforzarsi del senso mistico specialmente in Francia. Negare che la Francia abbia un vasto movimento cattolico sarebbe da sciocchi e non è negando o detraendo o rimpicciolendo che s’istrada e, tanto meno, si vince una buona battaglia d’idee. Un tale movimento cominciò ad intensificarsi sulla zolla arata dalla convulsione così detta dreyfusista. Si credette allora che la fiera tempesta avesse da parte dei drey-fusisti un movente anticattolico ed antireligioso; e certo oggi uno spirito analitico, anche se non arriverà agli estremi a cui arriva Sorel prendendo le mosse dall'opera di Joseph Reinach — Histoire de V affaire Dreyjus — in un suo opuscolo su La Revolution Dreyjusienne, leggerà però in fondo agli eventi lucidamente prospettati una mpresa demagogica che gli uni e gli altri hanno fatto bene a dimenticare per sempre.
Ma anche uscendo dalle moralistiche acredini del Sorel — il quale dovrebbe oggi, io credo, farci sapere se mantiene cotesti suoi apprezzamenti di ieri su uomini che come il Briand riescono tanto utili agl’interessi della Francia per bene e del cattolicismo francese e sanno essere così poco demagoghi e così migliori di quel che sembrava — è certo che non la reazione, ma il contrappeso del movimento critico più austero e del sentimento civico e tradizionale risvegliatosi a tempo, ha giovato alla compagine della vita sociale di Francia e la Francia in questo decennio già trascorso dalla chiusura dell'« affaire » si è — mi si lasci dire — «migliorata in meglio ».
Ma tutti i beni non vengono per giovare; ond'è che la riemersione dello Spirito morale e religioso ha incominciato a servire all’altra impresa, e cioè agli scopi della demagogia nera oggi altrettanto elettoralistica quanto la rossa. Ora i così acerbi censori delle prevaricazioni dell'una riva, avrebbero dovuto, poiché miravano a costituirsi una base di stima obbiettiva, censurare col medesimo grado di
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fervore e di zelo anche le prevaricazioni dell’altra. Perchè l’istesso male è quello che affligge le varie frazioni affini e nemiche della democrazia, e il papa si serve dei mezzi demagogici come e quanto se ne servono i candidati politici o i ministri per guadagnarsi e conservarsi scanno e portafoglio. Sicché la requisitoria contro gli eccessi demagogici della democrazia, dell'anticlericalismo, dello scientifismo, incominciato molto a proposito, s’è però continuata per entro un periodo nel quale il vizio s’era anche attaccato al clericalismo, ch’è poi il cattolicismo in azione diretta elettorale nell’ambito del Comune, della Provincia e dello Stato. E la requisitoria è diventata una cantafera sistematica, un atteggiamento fossilizzato di cervelli inquisitori che finiscono per diventar dogmatici del cattolicismo,, mentre non sono che dogmatici di se stessi. Con una franchezza che andrebbe meglio chiamata impudenza e che si serve del gesto candido dell'ingenuità disinvolta, mentre copre una qualunque delle tante ritornanti furberie del mondo, anche nel momento in cui la scienza più lontana dalla vita diventa azione, questa sorta di critica sovrana, arcana, sovrumana e, perchè tale, sicura di non patire censure d’autorità politiche, continua la sua avanzata libertina di giudizi, vero libertinaggio del pensiero io dico, perchè non sono che poche settimane e noi abbiamo letto in articoli e in libretti i soreliani d’Italia parlare onestamente, ma sopratutto freddamente d'insufficienza di Mazzini e dello Stato, di poca papalità del papa di fronte alla realtà politica, quantunque papa e Vaticano e cattolicesimo siano fuor della storia e, come se non bastasse, abbiamo dovuto meditare i moniti che Maitre Sorel fa all'Italia consigliandole qualche cosa come una restaurazione di tutelate prerogative papali. E non si sa se si tratti di manifestazioni senili e d'aberrazioni giovanili o di partiti presi politici e confessionali che nuderebbero spiegati meglio.
Chi, italiano, ama l'Italia, non può non sentire il tristo odore di questi manicaretti che escono dalla distilleria delle quintessenze dottrinali. L’italiano —italiano della più pura acqua cattolica — ha già risolto nella sua mente il problema. Non esiste più un problema per lui dal momento che l’Italia trova assiomaticamente la ragion d'essere della sua pienezza di vita. La pretesa vaticana era il sintoma d'un eccesso anormale di funzione in una Italia fanciulla. Non ci sarà niente di più normale entro i tessuti della Nazione cresciuta al suo massimo sviluppo della circolazione del più gagliardo sangue cattolico. Ma il cattolico vigore d’Italia non sarà più vantaggioso, come ancora appare sia da qualche segno letterario e non più romoroso del resto, ai settarismi clericali di Francia. Se lo spirito scontento ed ambizioso di Sorel può impunemente, scrivendo anche in Italia del papa e della guerra, abbandonarsi ad enunciazioni che non sono troppo cortesi e nemmeno abbastanza giuste a riguardo dell'Italia, di Roma, dello Stato italiano e della sua sovrana indipendenza, i nazionalisti cattolici militanti antiitaliani ieri, gli scherani francesi del papa hanno dato prova d’aver superato la formula vieta.
Costoro, lo consideri Giorgio Sorel, sono per rendere al papato ed al cattolicesimo, alla pace religiosa, al buon ordine sociale ed alla causa dell’onestà umana, un servizio assai maggiore di quello che si pensano di rendergli coloro che io ho chiamato i « più cattolici del papa » e che ho definito i suoi più grandi nemici. È l’Italia un paese ove oramai la coscienza della nazionalità e dell'unità ha raggiunto
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la fase matura e non è da savi dilettarsi negli abbandoni nostalgici all’esaltazione del papa. Già questo carnevaletto sanfedistico danzato e cantato mezzo all'ombra e mezzo in sordina ha dato il malumore a parecchi tranquilli cattolici e italiani sicuri. I bravi cattolici non credono che si lusinghi invitandoli ad essere più cattolici di quelli che sono, e il papa in cuor suo è convinto che ¡’Osservatore Romano e i suoi ispiratori non tepidi amici della buona fortuna tedesca, non curino troppo i suoi interessi. Andiamo via: c’è chi pensa che « i più cattolici del papa » giuochino intenzionalmente un tiro birbone alla pace cattolica ed alla comodità del pontefice romano. È possibile che il Sorel ignori o dimentichi quanto sia facile oggidì passare per un agente provocatore, quando non si è che un solitario emarginatore di fatti storici e cronistorici astratto dalla vita reale? È possibile che i suoi giovini dismemorati ammiratori non comprendano che certe cose dette, ma sopratutto prese sul serio, sono nè più nè meno attentati di lesa patria e che non vai la pena di scriverle, in certi momenti, se non hanno la forza di balzare sul tavolo del giudice o nell'anima della gente, in cambio di restare come intingoli per stomachini bisognosi d’eccitanti o di saporini velenosi?
Scrivo queste parole perchè vadano a chi debbono andare, con la più fiera certezza che la pretesa, fatta o fatta fare al papa, di partecipare al congresso, sia metà fola e metà follia. Non siamo più in giorni fortunati per gli agguati dei pontefici e il cattolicesimo non ha niente da guadagnare da questi atteggiamenti venturieri del papato.
Il rifiorire del senso religioso ha straordinariamente maturato la dignità della coscienza civile italiana. Di questo — se sarà necessario — daremo una prova patente e non soltanto detta o scritta. E i filosofi non saranno irresponsabili.
13 febbraio 1915.
Paolo Orano.
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L’AUSTRIA LUTERANA
E LÀ
DALMAZIA ITALIANA
EDico queste mie divagazioni statistiche a due classi di persone: ai cattolici ferventi d’Italia che in perfetta buona fede veggono nell’Austria l’unica tavola di salvezza che resti alla Chiesa, ora che la figlia primogenita, la Francia, non è più degna di questo titolo, ed agli spiriti liberi che nel fenomeno religioso considerano un fatto sociale di altissimo valore, con l’aiuto del quäle possono spiegarsi molti avvenimenti politici di vario genere. Agli uni io dedico le mie letture statistiche perchè, possibilmente, si convincano che l’Austria è completamente diversa da quel che essi sognano e dèi come si mostra nella fórma; agli altri io le dedico perchè vedano se anche dal lato del fenomeno religioso non possa perfettamente documentarsi la sovrapposizione germanica in Austria e il completo annichilimento ed asservimento di tutte le razze del variopinto impero sotto l’egemonia dispotica della razza tedesca.
L’Austria — adunque, poiché questo è il nocciolo di quanto documenterò nelle seguenti pagine — si avvia al luteranesimo. E non sono io che lo dico su argomenti e documenti di carattere psicologico o storico e su impressioni demografiche diverse, saggiamente raccolte e più ancor saggiamente disposte: sono gli austriaci stessi, e per essi i dati del censimento ufficiale del 1910 e le relazioni ufficiali che finora ne hanno commentato i risultati che lo affermano.
Esaminiamo, anzitutto, i dati che, ripeto, desumo dalle pubblicazioni ufficiali (Oesterreich. Statistik — Die Ergebnisse der Volkszählung vom 31-12-1910. I Heft, Wien, 1912, p. 56*). Nel quadro a pagina seguente essi sono offerti in cifre relative (per mille abitanti) e confrontati con i precedenti censimenti, a cominciare da quello del 1880.
Come si vede da questo prospetto in 30 anni i cattolici romani hanno perduto in Austria circa l’n %0. Questa perdita ha procurato è vero alle altre confessioni cattoliche (sopratutto ai greci uniti) circa il 6 °/oo, ma ha dato pur agli evangelici un aumento complessivo di circa l’i,8o%o. Ed è interessante notare come questo distacco
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L’AUSTRIA LUTERANA E LA DALMAZIA ITALIANA
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dà Roma e questa tendenza verso il luteranesimo (poiché il calvinismo ha poco progredito) si affermi in modo speciale Dell’ultimo decennio. Osservando difatti come i luterani abbiano progredito trai quattro censimenti rispettivamente del 0,14%<>; del 0,75%® e dell'1,50%0 si nota che tra il 1890 ed il 1900 hanno quintuplicato il progresso compiuto nel decennio 1880-1890, ma nell’ultimo decennio (1900-1910) hanno raddoppiato quello precedente. Viceversa i cattolici che tra il 1880 ed il 1890 avevan perduto il 6,64 °/oo sono riusciti a limitare tra il 1890 ed il 1900 le loro perdite al 2,33 0/00 e tra il 1900 ed il 1910 all’1,51 %o- Ciò non toglie però Che essi non siano in progressiva diminuzione, mentre in progressivo aumento, come vedemmo, sono i luterani.
RELIGIONE ANNO DEL CENSIMENTO
1880 1890 X900 x$xo
Cattòlici romani ....... 799.02 792,38 790,05 788,54
> greci ... . . . . . H4>4O ”7,77 119,86 119,60
Armeni cattolici ....... 0.13 0,11 0,08 0,08
Vecchi cattolici........ — 0,34 o,49 0,75
Greci orientali ........ 22,22 22,80 23,20 23,33
Armeni orientali ....... 0,06 0,05 0,03 0,02
Israeliti 45.40 47,85 46,84 45.98
• t luterani Evangelici ì | riformati . . . . . 13.08 13.22 >3.97 15.55
4.99 5.04 4.92 5,05
Altre confessioni . '...... 0,70 0,44 0,56 X,I0
1000.— 1000.— 1000.— 1000.—
Queste cifre sono anche più istruttive e convincenti se esaminiamo il coefficiente di aumento dei vari culti in relazione al coefficiente di aumento della popolazione. La relazione, stessa, difatti, rileva (p. 26 *-27*) come tra il 1880 e 1890 la popolazione dell’impero abbia avuto un accrescimento del 7,9 %; tra il 1890 ed il 1900 del 9,44 e tra il 1901 ed il 1910 del 9,26. Invece ecco le percentuali d’aumento dei culti principali durante il suddetto trentennio:
Cattolici romani Greci orientali Evangelici
Luterani Riformati
1881-1890 7,oi 10,70 9,28 9.05
1891-1900 9.12 ”,39 15,71 6,67
1901-1910 9.05 9.84 21,58 12,31
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Ed ecco come commentava tali risultati la relazione ufficiale austriaca (p. 56*): « Il molto rapido aumento degli appartenenti a tale confessione (luterana) (i) deve essere attribuito in prima linea alle apostasie (Uebertritte) dalla chiesa cattolica romana che, come è noto, nel decorso decennio ebbero luogo in grande estensione sotto l’influsso di una propaganda tendente appunto a questo scopo (il cosiddetto movimento « Los von Rom »). »
Ed aggiungeva delle interessanti considerazioni sulla distribuzione di tale movimento verso il luteranesimo, nelle varie provincie dell’impero: « Il distacco maggiore tra le due percentuali d’aumento {quello della religione caltolica-romana e quello dell’aumento della popolazione) si riscontra nella Bassa Austria e si deve attribuire al forte aumento degli appartenenti alle confessioni evangelica (luteranesimo) ed israelitica (influsso della città di Vienna) (2). Solamente in tre regioni e cioè in Moravia, Galizia e Bucovina gli appartenenti alla religione cattolica-romana hanno aumentato più che la popolazione, e specialmente nella regione ultima nominata (circa 13,74 ®/<x> contro 9,57).
«Anche la religione greco-cattolica segna nel principale dominio del suo sviluppo, nella Galizia, circa l’i % di aumento meno della popolazione, mentre si nota una contraria tendenza in Bucovina.
« Le maggiori differenze si notano nel luteranesimo. Ad eccezione della Galizia, dove si riscontra un significante regresso negli appartenenti a questo culto (16,99 % contro 9,70 % dell’aumento complessivo della popolazione), l’aumento degli appartenenti a questo culto sorpassa di gran lunga (iìbertrijst... weit) quello dell’intera popolazione; solamente in Bucovina il primo è alquanto minore del secondo. Specialmente grande è il distacco tra le due percentuali nella Stiria (66,37 % contro 6,46) nella Bassa Austria (37,63 contro 13,91) e in Boemia (34,91 contro 7,13). Il regresso del luteranesimo in Galizia potrebbe in modo speciale dipendere dalla continua emigrazione dalla Galizia dell’elemento che parla tedesco».
Come si vede non si può documentare in miglior modo la preponderanza assunta in Austria dai tedeschi. E dire che molti dei nostri uomini politici, sopratutto di parte Clericale e conservatrice, si sono gingillati colla nota perifrasi dell’aforisma volterriano: « Se l’Austria non ci fosse, bisognerebbe inventarla » — credendo che la sua esistenza fosse resa necessaria dal bisogno di conglobare le diverse razze che sembrano cozzare... balcanicamente tra i Balcani, la Germania e la Russia. Le statistiche dimostrano invece che l'Austria diveniva ogni giorno più, preda dei tedeschi, cosa della quale oggi — durando la guerra europea — non dubita ormai più nessuno... salvo ehi vuol ancora far credere di esser convinto del contrario.
Per confortare di un appoggio statistico le cifre testé desunte dalla relazione
(1) Le parole tra parentesi, in corsivo, sono chiarimenti del traduttore o parole del testo originale; quelle in carattere rotondo figurano pure nel testo tedesco.
(2) Si noti che ora in Vienna si costruisce anche una moschea e non in omaggio alla libertà de’ culti, ma per... festeggiare l’alleanza austro-turca.
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E’AUSTRIA LUTERANA E LA DALMAZIA ITALIANA
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ufficiale austriaca sul censimento del 1910, riporto qui sotto il numero complessivo degli abitanti delle regioni ivi citate ed il numero di essi che parlano tedesco:
Bassa Austria: Su 3.264.110 ab., 3.130.536 tedeschi.
Stiria: Su 1.394.699 ab., 983.252 tedeschi.
Boemia: Su 6.712.944 ab., 2.467.724 tedeschi (naturalmente in Boemia il fenomeno religioso non è dovuto alla sola in filtrazione tedesca, ma alle ragioni storiche ed alle tradizioni religiose che tutti conoscono).
Moravia: Su 2.604.857 ab., 719.435 tedeschi (predominano Boemi, Moravi e Slovacchi).
Galizia: Su 7.980.477 ab., 90.114 tedeschi (predominano Polacchi e Ruteni).
Bucovina: Su 794.929 ab., 168.851 tedeschi (predominano Ruteni e Rumeni).
E per ultimo tolgo dalla recentissima pubblicazione, che mi perviene mentre correggo le bozze di stampa di queste note, L'Allemagne et les Alliés devant la conscience chrétienne (Paris, Bloud et Gay, éditeurs, 1916) p. 168, n. 1, le seguenti interessanti rivelazioni che servono di ottima conclusione alla mia esposizione di dati statistici e che sono dovute ad un collaboratore cattolico di quella pubblicazione, il padre Janvier:
« En ce qui concerne l’Autriche, un journal catholique suisse, le Pays de Por-renlruy nous apprend ce qui s’y passe. Là-bas, dit-il, la censure impériale et royale travaille ouvertement à la propagande en faveur du mouvement los von Rom (séparons-nous de Rome). Elle tolère les articles les plus violents contre l'Église sous pretexte que ce sont des provocations contre les alliés protestants. V Osservatore romano, organe officiel du Vatican, est interdit en Autriche, alors que le Simplicissimus, une feuille satirique, qui se croit tout permis à l’égard des catholiques, ne l'est pas.
« La censure va si loin que. le périodique autrichien Katholisches Sonniagsblalt a dû suspendre sa publication, attendu qu’en présence des chicanes de l'autorité, il lui devenait impossible de défendre plus longtemps les principes catholiques. C’est ainsi que la censure voulait l’obliger à publier un article intitulé: Foi allemande, qui émanait évidemment des apôtres de los von Rom. (Cfr. Bulletin de propagande française à V étranger, icr août 1915, p. 37).
« Ces faits n’étonnent point ceux qui savent que le comte Tisza, dont le rôle passe pour prépondérant en Autriche à l’heure présente, est un protestant zélé. Ils étonnent moins encore ceux qui, comme moi, ont entendu l’homme le plus savant peut-être de l’Autriche répéter, il y a une quinzaine d’années: "Si l’on ne prend pas des mesures, l’Autriche sera absorbée et luthéranisée par l’Allemagne” ».
Che ne dicono i cattolici austriacanti d’Italia?
« * *
E poiché siamo tra statistiche mi piace render maggiormente noto un fatto su cui m'intrattenni brevemente in una mia recente conferenza con vivo stupore de’ miei ascoltatori. La cosa è di grande soddisfazione per noi italiani, ed è ignota
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anche a quei gazzettisti italo-slavi che hanno recentemente sprecato tanto inchiostro per difendere la civiltà... slava della Dalmazia.
In Dalmazia la religione preponderante è naturalmente il cattolicesimo romano (863,40 %o), ma dopo di esso i più numerosi sono i greci orientali con il bel numero di 163,14 %o. È la provincia dell’impero che ha, dopo la Bucovina — con 684.42 °/oo greci ortodossi — la maggior quantità di greci scismatici, dei quali in tutto l'impero vi è, come vedemmo, il 23,33 %o.
Ma se da queste cifre passiamo a quelle che più ci interessano perchè attestano la vitalità dell’italianità dalmata, riscontriamo che gl'italiani sono in aumento. Le statistiche (p. 6o*-6i* op. cit.) senza bisogno d'interpretazioni, notate, danno queste cifre assolute per il 1900 ed il 1910:
Serbo-croati Italiani
1900 565-276 15-279
1910 610.669 18.028
ed in percentuali per mille abitanti
Serbo-croati Italiani
1900 966,58 26,11
1910 96l,9I 28,40
E la relazione ufficiale annota (p. 62*) questi risultati con queste testuali parole che riporto nell’originale tedesco che non mi sembra abbisogni di traduzioni di sorta:
« In Dalmatien verzeichnet die serbisch-kroatische Sprache einen Verlust, welcher den übrigen Sprachen, vor allem der italienischen zustellen kommt ».
Dunque i serbo-croati perdono terreno e gl'italiani lo acquistano!
È vero che si parlerà di minoranze, di inesattezza 0 falsificazione dei dati degli italiani che dissero di essere 60.000 circa e via dicendo. Di ciò non posso qui occuparmi però: mi limito da buon dalmata e dà buonissimo italiano a mostrare agl’imbecilli ed ai malevoli che cosa possa l'oppressa italianità, anche se là si consideri solamente alla stregua dei dati ufficiali austriaci. Che cosa non potrebbe e non farebbe se fosse non dirò favorita, ma lasciata libera almeno?
Giovanni Costa.
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RAZZE, RELIGIONI E STATO IN ITALIA
SECONDO UN LIBRO TEDESCO E SECONDO L'ULTIMO CENSIMENTO
evo avuto più volte occasione di consultare YAUas hierar-chicus (i) del tedesco padre C. Streit, uscito nel 1914. V Alias è diviso in due parti: testo, in cinque lingue, e carte. Il volume, pubblicato per espresso desiderio della S. Sede (2) e stampato dalla tipografia vaticana, può considerarsi come una pubblicazione autorizzata della S. Sede Stessa. Si tratta, come dice il sottotitolo, di una descrizione geografica e statistica della Chiesa di Roma al principio del secolo xx e della sua distribuzione ter-ritoriale-gerarchica. Il volume, fatto a spese della Società tedesca di S. Bonifacio e presentato come omaggio del cattolicismo tedesco a Pio X «supremo hierarcho» in occasione del XVI centenario dell’Editto Constantiniano, ha avuto una larga diffusione, anche per l’abile ridarne che ne fu fatta; nessuna, meraviglia quindi il ritrovarlo in quasi tutte le grandi biblioteche, sia ecclesiastiche che civili, in Italia ed all’estero. Non ho qui l’intenzione di recensire l’/4te o solo di metterne in vista i difetti organici, le grandi lacune ed inesattezze, tanto più che l'autore chiede su molti punti un’assoluzione anticipata nella Prefazione. Non avrei quindi sentito alcun bisogno di parlarne, se il caso non mi avesse fatto posare un giorno gli occhi su alcune frasi del testo riguardante l’Italia e che mi colpirono subito per la volgarità dei giudizi che contenevano. Mi decisi così a leggere attentamente i due primi capitoli dedicati rispettivamente a Roma e all'Italia. Come dicevo, il testo originale tedesco è tradotto in colonne laterali in italiano, francese, inglese e spagnuolo. La prima lettura fu fatta naturalmente sul testo italiano. Ma confrontatolo appena
(1) C. Streit, Allas hierarchicus (Descriptio geographica et statistica S. Romanae Ecclesiae. Consilio et hortatu S. Sedis Apostolicae...). Paderbonae, 1913.
(2) Dice infatti l’A. che lo mosse a compilarlo «vor allen der ausgesprochene Wunsch der römischen Kurie > (nella Prefazione).
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BILYCHNIS
col testo tedesco provai più d’una sorpresa. La versione italiana attenuava qua e là l’asprezza dei giudizi del testo originale, altre volte ne aggravava il senso; alle volte inventava di sana pianta. Amor di patria? Un certo senso di onestà o una migliore conoscenza delle cose nostre? Intanto risultava evidente che l’anonimo traduttore non era forte in tedesco e che spesso dipendeva dalle altre traduzioni. Mi basti citare qui un solo esempio della sua abilità di traduttore. A pag. 24 egli traduce Anfänge = principi nel senso di inizi con principi = dottrine, ciò che sconvolge il senso della frase: « Anche in Moravia i principi {Anfänge) del cristianesimo furono diffusi (il tedesco ha gekommen = venuti) ». Ritorniamo al p. Streit. Il suo sviscerato amore per l’Italia, « il paese del papa », lo ha portato a rompere l'armonia del suo lavoro e a dedicare alle cose nostre, passate e recenti, uno spazio che avrebbe potuto certamente impiegar meglio. L’accurato (fino ad un cèrto punto!) ricercatore di dati geografici s'è improvvisato, per questa benedetta Italia, etnografo, storico, sociologo e politico. Non si trattava forse dell’Italia, il paese di una civiltà millenaria e quanto mai ricca e complessa ma del cui passato presente ed avvenire ogni bifolco straniero, quanto più è ignorante, tanto più facilmente si permette di trinciare giudizi e di dare...consigli? Non so: forse perchè i nomi della nostra storia e delle opere dell’arte nostra sono sulla bocca di tutti; forse perchè abbiamo nutrito con la nostra civiltà quel signum contradictionis che è il papato; forse anche perchè l'Italia è un bel paese e noi siamo troppo gentili e compiacenti verso tutti; forse anche per altre ragioni, certo però è che noi dobbiamo sopportare, come nessuna altra nazione tollererebbe, che un gran numero di stranieri si occupino degli affari nostri con quella stolida leggerezza — non sempre disinteressata — che ammiriamo nei vari Baedeker, nei romanzi sentimentali intorno all’«ssoZfl/o paese (1) e hei giornali religiosi stranieri di tutti i colori! Veleno ed amore, briganti e ciociare, bersaglieri e mano nera, gondole e dolce far niente, i misteri... del Vaticano e la luna a Posillipo! Per buona fortuna nostra e degli altri, vi sono anche dei seri e giusti conoscitori di noi e delle cose nostre e che sanno vederci così come realmente siamo, e non attraverso dei pregiudizi e dei sentimentalismi; che studiano seriamente il nostro passato ed il nostro presente con quell’onestà accuratezza ed imparzialità di cui noi sempre abbiamo dato l’esempio classico quando ci siamo dovuti occupare degli altri. • Mi sovviene appunto ora alla mente un giudizio di Gaston Paris sui libri di viaggio degli scrittori italiani, che egli chiama i migliori e i più chiaro veggenti viaggiatori. « Le osservazioni dei tedeschi — egli dice — sono generalmente del tutto teoriche e prive d’interesse; l'inglese, sempre esigente, ci offre l’immagine di quel viaggiatore eternamente scontento, di cui lo Sterne fece fin dal secolo xvm una caricatura restata famosa. L’italiano invece è quasi sempre un eccellente osservatore dei costumi e descrive per se stesso, per ricordare, senza passione e senza pregiudizi ».
Sentite p. es. che cosa dice il p. Streit della nostra razza italiana.
(1) Tanto assolato, che circa metà dell’Italia è per parecchi mesi dell’anno sotto qualche metro di néve e velata dalla nebbia!
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RAZZE, RELIGIONI E STATO IN ITALIA
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Nulla di nuovo del resto, perchè la sua scienza etnografica è una povera eco delle brochures pangermaniste, che hanno l'onesta intenzione di abbassare il valore, la civiltà e V unità della nòstra razza per quei fini che tutti sanno.
Cito secondo il testo italiano, solo notando a fianco le discordanze dal testo originale tedesco:
(Versione italiana)
(dal testo tedesco)
Gli italiani, per quel che riguarda la razza, subirono * l'influsso di diverse razze che si mescolarono ad essi.
Gli innumerevoli schiavi /orniti dai popoli assoggettati dagli antichi romani, * l’invasione di numerose orde barbariche, il sopravvenire dei saraceni e dei normanni contribuirono ad aumentare una tal mescolanza di stirpi.
Oggi si trovano accanto al 99 % di italiani circa * 27 mila sloveni nella provincia di Udine, 135 mila francesi a Torino [sic) (1), 20 mila tedeschi nei « sette e tredici comuni » (sic) della Lombardia e del Veneto.
* il ted. aggiunge: fortemente (stark), avverbio conservatoin tutte le altre versioni.
* il tedesco è più significativo : le inondazioni delle emigrazioni dei popoli, l’irruzione dei saraceni...
* il testo italiano ha tralasciato questa perla di dato statistico: circa 370.000 Friulani» considerati naturalmente come popolazione straniera (2) !
(1) Lo Streit confonde Torino con il Piemonte! Dalle statistiche ultime (1911) non è dato ricavare il numero esatto degli individui parlanti il francese, ma solo quello delle famiglie che parlano francese rispetto al numero delle famiglie nei Comuni in cui si parla francese. Cosi si ha (Ann. Stai. 1914, p. 28):
CIRCONDARI Numero dei Comuni nei quali si parlava il francese Numero complessivo Numero delle famiglie che parlavano il francese
degli abitanti delle famiglie
dimoranti,
nei Comuni ccc.
Saluzzo I I.I24 243 238
Aosta...... . . 66 73-SSo 17.708 I5fi92
Pinerolo . . . . . . 15 13.012 3O6l 1-937
Susa ........ 17 9.927 2.226 1-779
(2) La notizia è naturalmente conservata in tutte le altre tre versioni.
Il p. Streit ha del buon appetito, non so precisamente se... germanico o slavo: ci toglie addirittura un circondario! I friulani, come tutti oggi sanno, sono italiani della più bella acqua.
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BILYCHN'IS
Lo Streit non ha che parole di profonda compassióne per il « povero » popolo italiano, gemente sotto il peso di un governo ateo e massone estraneo allo spirito della nazione!!
ZZ popolo ài questo paese così nobile, così favorito dalla Provvidenza ♦ (!) soffre molto per
il mal governo degli uomini di Stato * e sotto
il peso di gravissime* imposte.**
Più di mezzo milione di italiani lasciano ogni anno la loro patria per cercare altrove un modo migliore onde procacciarsi da vivere *♦* (2).
* il tedesco più modestamente ha: dalla Natura.
* nel ted. si legge: sotto il mal governo nello Staio e nei Comuni.
♦ il ted. enormi.
♦ ♦ il -tedesco aggiungeva : e sotto la manchevole giustizia (i).
♦ ♦♦ il tedesco ha: per fondare altrove una nuova patria {sic) (2).
Il p. Streit, evidentemente poco profondo conoscitore della storia, non riesce a vedere in Italia che il papato e di questo solo il potere temporale, le cui vicende identifica con quelle della storia del popolo italiano. È una storia da apologeta. Risparmio al lettore il suo allegro schizzo della storia del papato in Italia. Ne tolgo, ad edificazione comune, alcune gemme:
Va scritto a sua [del papato] altissima lode, se gli antichi monumenti dell’arte, quasi tutti ci furono conservati; non solo, ma se l’arte stessa trovò in Roma (il tedesco aggiunge: e in Italia] un suolo acconcio dove crescere e prosperare.
Nessuno certo vorrà negare l’importanza del papato nella storia artistica dell'Italia e specialmente l’importanza dei papi del Rinascimento. Ma lungi dall’essere
(1) Perchè mai il traduttore italiano ha sentito il bisogno di toglier via quest’altro complimento? Evidentemente... era troppo grossa!
(2) È enorme! L’emigrazione è un fenomeno complesso, specialmente per l’Italia; la sua estensione è dovuta anche a fattori psicologici, al contagio dell’esempio, ecc. Poi bisogna distinguere per l’Italia l’emigrazione temporanea (maggiore: un semplice spostamento di mercato) da quella a lunga scadenza (rara quella definitiva); fra la continentale e la transoceanica. E poi l’emigrazione un fenomeno solo dell’Italia?
E l’Austria-Ungheria, e la Germania fino a pochi anni fa? Il testo tedesco poi è veramente insultante perchè non ha, come la mitigatrice versione italiana, il punto dopo manchevole giustizia, ma un semplice e, ciò che collega tutto quello che viene dopo con le sofferenze che il popolo italiano riceve dal cattivo governo dello Stato e quindi vuol far credere che l’emigrazione è la conseguenza di tali persecuzioni. Del resto l’emigrazione di lavoro è stata una caratteristica generale dell’economia moderna. Ha permesso di estendere considerevolmente la somma della ricchezza mondiale, mettendo in valore territori sconfinati guadagnati all’industria all’agricoltura e alla vita civile. Ha reso possibili opere gigantesche, arricchendo di uomini i nuovi paesi, favorendo scambi d’idee, diffusioni di religioni (il cattolicismo è quello che vi ha guadagnato di più), scambi di prodotti, ecc... quali mai più s’eran visti dal tempo delle crociate in poi. E poi ci vengono a parlare di vergogna e di malgoverno!
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un fenomeno isolato, è un prodotto esso stesso di un movimento più vasto, quale la Rinascenza.
Accanto a Roma e ai papi, c’era pur Firenze, Siena, Pisa, Napoli, Venezia, Urbino, Ferrara, Mantova, ecc.
A Costantinopoli c’era il papa? A Norimberga c'era il papa? a Praga c'era il papa? E l'influenza della vecchia Civiltà romana e le attitudini artistiche degli italiani dove le mette lo Streit? E il. Comune laico di Roma che nel 200 prende sotto la sua protezione i grandi monumenti romani? Questo voler far credere che quanto di grande e di bello e di buono ha l’Italia è un dono grazioso del papato agli italiani è offensivo per il papato stesso.
L’Italia moderna, liberale, ingrata verso il papato, l'Italia che s'è costituita ad unità e che ha fatto per ragioni storiche e morali altissime Roma simbolo vivente dell'unità e della missione della nuova Italia, non trova grazia « appo » il p. Streit. Il quale, informa così in cinque lingue i suoi lettori intorno alla Nuova Italia'.
« La potenza del pontificato crebbe a mano a mano fino a tal punto che lo stesso Napoleone, avendo catturato Pio VII, dovè finire tuttavia per cedere.
Soltanto al re Vittorio Emanuele (1) di Savoia, indottovi (2) dalla Massoneria, era riserbato di entrare in Roma attraverso la Breccia di Porta Pia... e di abbattere il dominio secolare (3) dei papi ».
Vecchi spunti apologetici di clericalismo acido e che fan sorridere! Senza dubbio; ma intanto noi veniamo calunniati solennemente e in qual modo! Questa è l’interpretazione canonica della nostra storia contemporanea quale è stata imposta a milioni di cattolici esteri, il cui fanatismo è continuamente eccitato ai nostri danni (4).
Dopo di aver parlato delle Guarentigie, così accenna alla onesta e rispettosa politica ecclesiastica del Governo:
« Il nuovo governo si assunse arbitrariamente quei diritti e privilegi che spetta solo
(1) Il traduttore italiano aggiunge al nome di V. E., forse per attenuare l’insolenza dello stile, un pacifico II.
(2) Il tedesco è più forte: al servizio (im Dienste der Loge).
(3) Il tedesco ha: die Wetiliche Machl. Il traduttore forse non ha compreso bene; doveva dire: temporale.
8(4) Il Mosso così descrive una sua curiosa esperienza a Quebec nel Canadà: « Apena dicevo che ero un italiano mi guardavano con diffidenza: alcuni si contentavano i sgranare tanto di occhi; altri più arditi mi chiedevano subito perchè gl’italiani perseguitano il Papa. Da per tutto, nelle vetrine dei libri si vede l’immagine del Pontefice dietro una inferriata: un vero ritratto di Leone XIII sul quale vennero barbaramente disegnate od impresse le sbarre di una prigione ». (Mosso, L’America, pag. 228).
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alla Chiesa di concedere o di accordare (i) ;
così p. es. il diritto di Patronato sopra alcune Diocesi e Prelature che i Governi cessati possedevano. Tutte le altre diocesi e gli altri benèfici (fatta eccezione per Roma e le Sedi Suburbicarie) debbono ESSER CONFERITI a cittadini italiani. lì conferimento di tali benefici è soggetto zìY Exequatur dello Stato, che veramente è stato di rado rifiutato, ma spesso differito di un anno ed anche più.
Così la Chiesa nel suo inviolabile dominio è tenuta come schiava e sempre nuove disposizioni si emanano per restringere ognora più i suoi sacrosanti diritti (pag. io).
La vita religiosa deve soffrire molto per le condizioni predominanti attualmente poco favorevoli al suo sviluppo. Di fatti certi ambienti politici assai si adoperano a svellere la fede dal cuore del popolo col vilipendere la Chiesa e il Papa ed intralciare l’attività del Clero (pag. il).
Il testo tedesco, come abbiamo visto, parte da un altro punto di vista; si comprende come lo Streit intenda accusare di illegalità e di prepotenza gli atti ecclesiastici compiuti dal Governo italiano per la mancanza di un Concordato fra Chiesa e Stato in Italia che legalizzi la trasmissione al Governo italiano delle concessioni e privilegi già riconosciuti dal pontificato ai cessati Governi.
Il traduttore italiano afferma cosa contraria‘a tutto il diritto ecclesiastico, dimentico della storia (e non delle teorie) dei rapporti fra.Stato e Chiesa e special-mente di quelle limitazioni del potere ecclesiastico che sono a base di ogni Concordato. Del resto basta conoscere come in uno dei paesi più cattolici, nell’Austria-Un-gheria, il Governo intervenga gelosamente negli affari ecclesiastici a difesa dei propri diritti, per giudicare debole l’attitudine del Governò italiano, vittima del suo principio d’incompetenza nella vita religiosa ed ecclesiastica del paese (2).
Del resto la nostra legislazione ecclesiastica è quanto mai confusa e contraddittoria, avendo dovuto lo Stato italiano ereditare volta per volta legislazioni
(1) Il tedesco ha: «privilegi, che da parte delia Chiesa precedentemente erano stati concessi ad altri ». Il concetto è del tutto diverso da ciò che arbitrariamente afferma il traduttore.
(2) Poiché ho parlato del Mosso (America), mi sia permesso di citare un altro brano che riguarda l’argomento che trattiamo: «Recentemente chiesi ad un vecchio prelato napoletano quale beneficio avesse recato alla Chiesa la rinuncia della nomina dei vescovi ■per parie del Governo italiano, quando le provincie della Sicilia e di Napoli votarono per (’annessione col Regno d’Italia. — Nessuno, egli rispose, anzi una volta i vescovi erano migliori. — Io compresi l’errore gravissimo che aveva commesso il re Vittorio Emanuele rinunciando al diritto di investitura dei vescovi in una cosi grande parte del Regno » (pag. 225-26).
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ecclesiastiche diverse da Stato a Stato, a mano a mano che venivano aboliti i vecchi Governi, ai quali naturalmente sottentrava così negli oneri come nei diritti. Questo principio ebbe la consacrazione ufficiale a proposito della questione sorta per reiezione a Patriarca di Venezia del card. Sarto, che fu risolta dalla S. Sede nel senso Che si riconoscevano al Governo italiano, come successóre del Governo austriaco, gli stessi privilegi e diritti posseduti da questo in materia ecclesiastica. Non riesco poi a comprendere le ragioni della meraviglia che prova il p. Streit a vedere V arbitrio commesso dal Governo italiano nell’esigere che vescovati e benefici vengano conferiti a cittadini italiani, se non supponendo nel suo cervello il principio indiscutibile che l’Italia non sia una nazione a sé, fatta da italiani e per gli italiani, ma una specie di provincia internazionale della S. Sede! La questione è stata dibattuta troppo recentemente, perchè vi torni sopra. Il caso del vescovo prussiano di Nepi e Sutri, il Doeb-bing, è cosa di ieri. Chi ignora le difficoltà opposte sempre dal Governo prussiano alla nomina dei vescovi di Posen e di Gnesen, perchè non venissero intralciati i suoi piani metodici di soppressione dell’elemento polacco cattolico a vantaggio dell’elemento tedesco? E l’attività diplomatica dell’Austria presso il Vaticano perchè in Albania non venissero mandati vescovi e parroci italiani? E il decreto con cui il Governo portoghese in regime concordatario non riconosceva validi i titoli accademici ottenuti dai suoi preti in Roma per il conseguimento dei benefici ecclesiastici e per l’insegnamento?
Il breve differimento Exequatur è in realtà una piccola misura economica, ed è sempre un meschino compenso per il mancato intervento preventivo nella nomina dei vescovi e beneficiati, che i Governi han sempre rivendicato in regime concordatario per giusti motivi di difesa statale, intervento che ha spesso bisogno di un tempo superiore ai nostri modesti sei mesi di respiro.
Non c'è bisogno di perdere tempo a ribattere l’accusa ridicola di un regime di persecuzione [del clero e della religione in Italia. In nessun paese anzi il clero gode di tanta vera libertà come fra noi. Del resto tutto il mondo è paese: contrasti d’idee e d’interessi, movimenti sociali quali il socialismo, la diffusione della coltura fan passare da per tutto delle serie crisi alle vecchie Chiese. Il cattolicismo in Italia per quali ragioni dovrebbe venirne preservato? Il Governo non c'entra affatto e non potrebbe far nulla, anche se Camera e Ministero finissero col gentilonizzarsi completamente.
L’Italia, — e il p. Streit dovrebbe convincersene — non è un convento nè \x\x‘estensione dei Sacri Palazzi e nessun Governo al mondo potrebbe sottrarla al ritmo della vita moderna europea.
Un’altra accusa lanciata contro il nostro Governo è questa:
L'attuale Governo soppresse anche le facoltà teològiche (1) e tutte le Università (sic) e abolì gran numero di seminari (pag. 12).
(1) Il testo tedesco è più... onesto. Lo Streit dice infatti: « Il Governo soppresse le Facoltà teològiche in tutte le Università ». Ciò ha un senso e. risponde alla verità. In fatti il Governo abolì le facoltà teologiche con legge 26 gennaio 1873.
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Ma se lo fece in omaggio al principio d’incompetenza e di separazione e per vivere in pace con il Vaticano! Abolizione del resto deplorevole e che ha finito di rovinare gli studi religiosi in Italia, mettendoci in questo campo in una posizione d’inferiorità rispetto alle altre nazioni (1).
Il Governo anzi spinse le cose a tal punto da rinunciare perfino ad ogni diritto di sorveglianza sui seminari i quali, almeno per gli studi medi, rientrano nella sfera d’influenza dello Stato. Non è' poi affatto vero che il Governo abbia soppresso dei seminari.
LA RELIGIONE IN ITALIA SECONDO
I DATI DELL’ULTIMO CENSIMENTO
Lo Streit si occupa della religione degli italiani, guidato da quel luminoso principio ermeneutico per comprendere la storia contemporanea italiana che è il fattore... ebreo-massonico!
Credo opportuno di riprodurre per intiero il brano corrispondente:
« Secondo la confessione religiosa gl’italiani sono tulli (2) cattolici romani.
Nel mezzogiorno d’Italia e in Sicilia esistono alcune parrocchie di Greci uniti... (3).
Nelle remote (4) vallate del Piemonte esistono pure alcuni Comuni isolati di Valdesi.
Battisti e Metodisti fanno un’intensa propaganda con tutti i mezzi nelle città (5), ma con assai scarsi risultati.
Vi sono in Italia circa 38 mila ebrei che nelle attuali contingenze hanno però una notevole importanza.
(1) Solo una modesta cattedra all’università di Roma col Labanca volle essere il principio di una sostituzione laica alle soppresse facoltà teologiche. Ma si restò li ed il Governo non sembra disposto ancora a costituire dei gruppi organici di insegnamento delle scienze religiose m tutte le facoltà di filosofia e lettere.
. Í1 2 3 4) I* testo tedesco è però più preciso: «gli Italiani sono quasi intieramente cattolici-romani ».
(3) Il testo tedesco ha un periodo che il traduttore italiano non ha creduto oppor tuno di riprodurre, ma che si ritrova in tutte le altre tre versioni:
« I protestanti di tutte le tendenze sono soltanto circa 40 mila ».
Si noti che il censimento del 1901 dava la cifra di 65.595 individui!
(4) L’aggettivo « remote » è una aggiunta arbitraria del traduttore, il quale evidentemente non conosce le vallate valdesi percorse da linee automobilistiche e allacciate a tonno dalla ferrovia Tonno-Torre Pellice.
3) Questo dettaglio: nelle città è inesatto e tendenzioso. In realtà, come mi risulta in modo indubbio sia dall’Annuario delle Chiese evangeliche italiane che da informazioni assunte in proposito, vi è un grande numero di comunità evangeliche italiane fiorenti nelle campagne, dove 1 progressi dell’evangelismo sono abbastanza sensibili. É da
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Sia permesso ad un antico e modesto cultore di « Statistica Ecclesiastica » di fermarsi a commentare un po’ cifre e giudizi.
Ho sotto gli occhi i risultati (1) dell’ultimo censimento (io giugno 1911) per ciò che riguarda il fenomeno religioso.
Per non allungare troppo l’articolo e perchè il soggetto merita di essere studiato seriamente, rimando ad altra volta l’esame dettagliato del fenomeno religioso in Italia — in gran parte su dati ancora inediti — e dei suoi addentellati con alcuni altri fenomeni demografici, corredandolo di specchietti, di grafici e di carte. Mi limito qui a riferire alcuni dati generali con qualche breve osservazione.
Dirò prima di tutto che gli ebrei erano precisamente al tempo del censimento del 1901, 35.617 e 34.324 a quello del 1911. Esamineremo in un prossimo articolo le cause della diminuzione nel numero degli israeliti.
Il numero degli evangelici e protestanti (la distinzione risponde alla verità) risulta di 123.253 (2) (Censim. 1911) in confronto di 65.595 (cens. 1901).
Il numero di coloro che hanno dichiarato di non appartenere a nessuna religione (s’intende, ad organizzazioni chiesastiche) sale a 874.532 di fronte a 36.092 del censimento del 1901 con un aumento del 24 per mille, aumento davvero considerevole e sintomatico in un paese come l’Italia.
Coloro che hanno creduto opportuno di non dichiarare nulla rispetto alla professione religiosa sono 653.404 su 795.276 del censimento del 1901. La diminuzione è caratteristica e si spiega con il miglioramento del formulario nella scheda di censimento.
Quei che in Italia nel 1911 han dichiarato di appartenere alla Chiesa Cattolica (cattolici latini, greci, armeni, slavi, ecc...) salgono a 32.983.664 (3) su 31.539.863
notare che questi non sono generalmente in rapporto con un maggiore sviluppo dell’emigrazione. Spesso i propagandisti sono umili operai o contadini, che hanno imparato a leggere e ad acquistare un più alto senso di dignità umana dalle pagini della vecchia Bibbia del Diodati e che indipendentemente da qualsiasi influenza e propaganda di gruppi ecclesiastici Organizzano delle vere e proprie comunità, alle quali invitano più tardi a presiedere dei predicatori appartenenti ad una Denominazione. So di comunità in Basilicata che hanno tentato di attuare un regime socialistico-tolstoiano; so di frequenti battesimi in massa di adulti in paesi lontani dalle grandi vie di comunicazione (p. es. 40 catecumeni battezzatesi in una sol volta nell’ottobre scorso in un remoto paese della provincia di Campobasso); di gruppi sempre più numerosi di evangelici che si van costituendo sui monti del Salernitano e che chiedono di mantenere a proprie spese una chiesa ed un predicatore; di forti nuclei di evangelici nell’Italia meridionale che domandano al Governo il possesso della locale chiesa cattolica oramai deserta. Ricordo il giudizio impressionante di un mio amico, fervente cattolico, che aveva avuto agio di studiare profondamente le condizioni sociali della Calabria, dopo il terremoto di Messina. Egli mi diceva: «Se maggiore fosse il numero dei ministri evangelici più attivi e più colti, se sapessero trovare la via per giungere al cuore di queste popolazioni così ricche di entusiasmo religioso, ma stanche del regime ecclesiastico, in pochi anni la Calabria diventerebbe ex-angelica, l'un paese maturo per una radicale trasformazione, come lo è in fondo tutta l’Italia meridionale. Purché non vi arrivi prima il socialismo! »
(1) Annuario Statistico Italiano. Anno 1914, pubblicato dalla Direzione Generale della Statistica e del Lavoro (Roma, 1915).
(2) Di cui stranieri = 16.875 (in confronto di 54.375 stranieri cattolici) e con una eccedenza di maschi — 3467 individui.
(3) Con un’eccedenza di donne sui maschi = 941.558 individui.
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del 1901. L’aumento qui però è solo apparente; perchè costituendo i cattolici la maggioranza della popolazione confessionale in Italia, i progressi non sono corrispondenti al grande aumento generale di popolazione e perchè i guadagni degli altri gruppi sono stati fatti a spese del gruppo principale. Infatti l’aumento dei non cattolici (sensu lato, non: confessionale) è stato di più di quattro sesti, cioè dal 29 per mille (nel 1901) è salito al 49 per mille circa (nel 1911).
Non tenendo conto per ora del gruppo non indifferente di coloro che non hanno fatto nessuna dichiarazione e dell’esiguo gruppo dei greco-scismatici, i gruppi più oaratteristici non cattolici si riducono a tre, cioè: evangelici-protestanti, israeliti e « nessuna religione ». Merita studiare comparativamente questi tre gruppi, sia rispetto alla loro importanza (professioni, età, sesso), sia rispetto alla loro distribuzione territoriale.
Come è noto la proporzione maggiore della popolazione in paesi di stabile vita sociale è data dalle così dette « condizioni non professionali » (donne di casa, bambini e ragazze, vecchi, ecc...); quindi nessuna meraviglia che in tutti e tre i suddetti gruppi il primo posto sia occupato numericamente dagli individui appartenenti a « condizioni non professionali ».
L'Italia è un paese eminentemente agricolo e peschereccio; quindi il secondo posto è occupato, per le due categorie degli evangelici-protestanti e di nessuna religione, da individui dati all’agricoltura, caccia e pesca. Gli israeliti, è evidente, non vi possono comparire che in numero trascurabile (circa 1 migliaio).
Le divergenze fra i tre gruppi cominciano subito nella classificazione dopo questa seconda categoria. Rimandando più in là lo studio dettagliato di questa classificazione, mi limito a notare che il terzo posto per importanza numerica proporzionale rispetto alla categoria delle professioni è dato dalla categoria «amministrazione pubblica e privata, professioni, arti liberali » ed è occupato dagli evangelici e protestanti (8642 adulti, che rappresentano un decimo circa della popolazione totale evangelica adulta).
Come è distribuita per ordine d’importanza numerica nelle diverse regioni d’Italia la popolazione non cattolica? È interessante notare una tale distribuzione, perchè, eccetto per alcune province dove esistono da secoli comunità organizzate sia di protestanti (valdesi) sia di ebrei, per le altre il fenomeno è connesso intimamente con altre e più larghe modificazioni della vita sociale.
Abbiamo così le seguenti classificazioni:
I. Per il protestantismo ed evangelismo, secondo le regioni: 1. Piemonte (specialmente prov. Torino): 25.644 individui in maggioranza valdesi; 2. Sicilia (special-mente prov. di Catania, Caltanisetta, Siracusa): 16.220; 3. Lombardia (spec. Milano, Cremona, Brescia): 14.868; 4. Puglie (special, prov. di Bari e Foggia): 13.550; 5. Toscana (special, prov. di Firenze, Pisa, Livorno): 7947; 6. Campania (special, prov. di Napoli, Salerno, Caserta): 7827; 7. Liguria (Genova): 6558; 8. Emilia (special, provincia di Parma, Reggio) con 5808 individui.
Le altre regioni hanno tutte meno di 5000 individui (il primo posto fra queste è occupato dal Lazio). La Sardegna conta appena 1482 individui (Sassari 810 e Cagliari 672). E da notarsi, a questo proposito, che la provincia di Cagliari, al sud della Sar-
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RAZZE, RELIGIONI E STATO IN ITALIA
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degna, dà la più bassa percentuale proporzionale di prot.-evangelici e di nessuna religione.
II. Per i dichiarantesi di nessuna religione (ciò che non significa affatto che sieno tutti atei o liberi pensatori) abbiamo per regioni: 1. Emilia (specialmente le provincie di Ravenna, Ferrara, Reggio Emilia): 258.289; 2. Lombardia (special-mente provincie di Milano, Mantova e Pavia): 137.471; 3. Toscana (specialmente provincie di Livorno, Firenze e Pisa): 116.390; 4. Piemonte (special, prov. di Novara ed Alessandria): 78.196; Liguria (Genova) 65.908; 6. Puglie (spec. prov. di Foggia e Bari): 42.386; 7. Veneto (special, prov. di Verona, Rovigo e Padova): 37-937: $• Sicilia (special, prov. di Catania e Siracusa): 31.923; ecc...
III. Per gli ebrei abbiamo: 1. Lazio: 7013; 2. Toscana (Firenze, Livorno): 5496; 3. Piemonte (Torino): 4895; 4. Lombardia (Milano, Mantova): 4437; 5. Veneto (Venezia, Padova): 2964; 6. Emilia (Parma e Bologna): 2790; 7. Marche (Ancona): 1436. Le altre regioni danno cifre inferiori; l’Umbria viene ultima con soli 155 ebrei. Rimandando al prossimo articolo lo studio dettagliato dei dati e la loro discussione, mi limito ora a qualche osservazione di carattere comparativo fra i dati dei due ultimi censimenti (1901 e 1911).
Diminuzioni. I Cattolici in io anni, malgrado il Jorle aumento (1.443.801) domilo principalmente alle nascite, hanno avuto una perdita del 20 per 1000.
Così notiamo una diminuzione di più di un sesto per la categoria « religione non dichiarata », diminuzione che non è proporzionale all’aumento verificatosi nella categoria « nessuna religione ».
Aumenti. Il più forte è quello della categoria « nessuna religione », pari al 25 per 1000 (con cinque undicesimi di maggioranza pei maschi).
Segue molto da vicino l’aumentò della categoria « evangelici e protestanti », che sono .quasi raddoppiati.
Quanto alla distribuzione topografica-, lasciando da parte le stabili comunità giudaiche, osserviamo che:
a) per il fenomeno « nessuna religione » vi sono delle larghe zone di quasi immunità, cioè: il Veneto (eccetto la prov. di Padova), ♦ Bergamo (prov.), ♦ Cuneo (prov.), Abruzzo (per intero), Campania (idem), Calabria, Lecce (prov.), Sicilia (prov. Messina, Caltanisetta, Girgenti, Palermo);
b) per l’evangelismo e il protestantesimo si verifica una maggiore diffusione; non si hanno cioè larghe zone di quasi immunità, ma solo delle piazzuole qua e là, come per * Cuneo (prov.), Piacenza (prov.), * Bergamo (prov.), ♦ Veneto (solo prov. di Vicenza, Treviso, Belluno ed Udine).
Il comportamento delle due categorie è in parecchie provincie quasi parallelo.
Così è forte ugualmente nelle provincie di Foggia, Livorno, Isola d’Elba, Novara, Genova.
Così è debole ugualmente per le provincie di Arezzo e Lucca,* Cuneo,* Bergamo,* Veneto (nord-est),* Benevento,* Cagliari,* Siena.
La Sardegna presenta modificazioni minori che la Sicilia e la parte meridionale
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del littorale adriatico (eccetto la provincia di Lecce) è stata modificata più della Calabria.
Così pure i mutamenti di carattere religioso sono stati meno sensibili nel centro montagnoso dell’Italia, l’Appenninia (specialmente nelle provincie di Lucca, Arezzo e Siena, gran parte dell'Umbria e dell’Abruzzo), al nòrd-est della regione veneta (Udine, Belluno, Treviso, Vicenza) e nelle provincie di Cuneo, Bergamo e Sondrio.
Tutto ciò — piccolo indice fra tanti altri — dimostra che nell’ultimo decennio la vita italiana s’è profondamente rinnovata per effetto di nuove idee e di trasformazioni economiche, politiche e sociali. Le masse sono state agitate nella maggior parte d’Italia — ed è caratteristico sotto questo aspetto osservare la carta delle provincie dove il fenomeno religioso, il più caratteristico e centrale della vita morale ed ideologica di un popolo, non presenta modificazioni; — nuovi problemi morali si sono affacciati, nuove alternative sono state aperte. L'antica c tradizionale fisonomia del paese appare così evidentemente sulla via di profonde modificazioni e differenza-zioni (i).
La nuova Italia quanto è dunque diversa dalle convenzionali e settarie figurazioni che hanno trovato fin qui tanto favore all’estero!
Solo dunque come prodotto caratteristico di questa mentalità metteva conto che noi ci occupassimo delle poche e povere pagine che lo Streit ha dedicato alla Italia. Perchè esse — oltre a costituire un'offesa semi-officiale ed autorevole in cinque lingue alla nostra storia moderna, al nostro galantomismo, alla moderazione tradizionale del Governo e del popolo italiano di fronte ad un problema nazionale quanto mai penoso — tendono a ribadire al di là delle Alpi e dei mari la falsa idea che l'Italia sia un povero popolo di fanatici « madonnari » (coltello e rosario!), che gemerebbe sotto la persecuzione di un Governo ateo e massone, e a favorire l’illusione pericolosa che la migliore cosa che « altri » possa farci è di liberare questa nazione di «chitarristi, d’emigranti e di ciociare» con una santa crociata internazionale per restituirci a...« chi di dovere»!
Mario Rossi.
(i) A titolo di semplice documentazione statistica, riproduco alcune righe da una lettera scritta dal fronte dal noto pubblicista napoletano Silvano Fasolo ed apparsa nel Testimonio (a. XXXIII, 10-15 febbraio 1916): ... «È curioso: su quattro sottotenenti, io son di famiglia protestante; Volla è valdese; Morsa è ebreo, e Ranieri è a tendenze evangeliche. E la religione di stato che noi difendiamo è la cattolica! ».
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RAZZE, RELIGIONI E STATO IN ITALIA
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APPENDICE
Popolazione italiana classificata per religioni.
CENSIMENTI RELIGIONI
Cattolica Evangelica e protestante Greco-scisma. tica Israelitica Altro Nessuna non dichiarato
io febbraio i Numero assoluto l degli abitanti 1. 3I-539-863 ^5-595 2.472 35-6x7 338 36.O92 795276
1901 1 Proporzioni per * 1000 971.2 2,0 O.O9 i.x 0,01 LI 24.5
Numero i maschi l6.O2i.O53 68.360 989 I7-958 699 559->77 353-454
io giugno 1911 1 assoluto 1 femmine ' degli ) ( abitanti ' totale 1 16.962.6XI 54-893 389 16.366 123 315-355 299-950
32.983-664 123.253 1-378 34-334 822 874-532 653-4O4
! Proporzioni per 1000 ...... 95L3 3.6 0,04 1,0 0.02 25.2 18,8
(Dall’Jhmvano Statiitico Italiano, 19:4, p. 29).
Classificazione degli stranieri in Italia:
Totale: 79.756 di cui solo 50.333 abituali (dimoranti da tre mesi).
Per ordine d’importanza numerica:
1. Francesi: 15.006.
2. Austro-ungheresi: 11.9x1.
3. Svizzeri: 11.121.
4. Germanici: 10.715.
Gli Stati Uniti d’America occupano il 6° posto con 4963 individui, di cui solo la metà dimoranti in Italia da oltre tre mesi.
Fra le categorie più numerose ed importanti a cui appartengono gli stranieri in Italia, cito:
i. Seminaristi, collegiali, studenti, scolari con un totale di 11.687.
2. Industriali: 7448.
3. Addetti al servizio domestico 4402.
4. Clero regolare, secolare, monache, ecc.: 3420.
Cito queste altre cifre degne di nota:
1. Albergatori e locandieri: 1163; agricoltori e industrie estrattive: 2205; gente di mare: 2708.
2. Amministrazioni pubbliche, esercito e armata: 322: impiegati al servizio privato: 1414; maestre ed istitutrici: 1672 (Leggi il romanzo di M. Prévost: Gli angeli custodi); disoccupati, ricoverati, detenuti, mendicanti, prostitute: 1860. (Manca naturalmente il numero delle spie, quos soltis Deus sciti).
E interessante infine notare che i tedeschi (germanici) si trovano in maggior numero nella Lombardia e nel Lazio e gli austriaci nella Lombardia e nel Veneto.
Nel Lazio, cioè principalmente a Roma, Civitavecchia, Castelli Romani, Tivoli e Civita Castellana si trovavano da più di tre mesi 6966 individui stranieri e 1056 da non oltre tre mesi; di durata non dichiarata 1675, cioè un totale di 9667 stranieri.
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UNA LETTERA DI ANTONIO SALANDRA
Antonio Salandra — forse anche per condiscendere al desiderio del suo devoto amico e collaboratore, il commendatore Piero Baldassarre, capo dell’ufficio stampa al Ministero dell’interno — volle leggere il saggio apparso nel fascicolo di gennaio di Bilychnis intorno al suo pensiero religioso pur’nel gravissimo lavoro che lo preme in ogni istante, e trovò il tempo di scrivermi l’interessantissima lettera che qui appresso, dopo averne ottenuto il consenso, rendo nota.
Ad Antonio Salandra mi sia permesso di esprimere pubblicamente la mia gratitudine, per l’inaspettato e troppo alto compenso del mio lavoro, per l’onore immeritato che ha voluto farmi.
Egli ha trovate rispondenti alla verità alcune mie osservazioni, ha riaffermate alcune sue tendenze intellettuali da me illustrate, ed ha colto inoltre l’occasione per dichiarare di non rispondere — come talvolta deve fare al Parlamento per le interrogazioni dei Deputati — ad una domanda, o meglio, ad un dubbio, che sorge spontaneo in chiunque cerchi di penetrare e approfondire il suo pensiero intorno alle sue credenze, alla sua fede.
Ma, poiché colui che indirettamente si rivolgeva ad Antonio Salandra, non aveva veste politica e non si appellava alla sua alta funzione di capo del Governo d’Italia, bensì alla sua coscienza intellettuale’e morale, egli indirettamente e parzialmente ha risposto, abbastanza per farci intendere — ed era quello che premeva — il suo orientamento religioso. Di più non si poteva attendere da chi ricopre importanti responsabilità politiche in questo momento storico, anche perchè le sue parole avrebbero potuto assumere, nonostante’la loro origine, un valore politico e le sue credenze intime avrebbero potuto essere oggetto di discussione pubblica.
Elevandosi al di sopra delle contingenze politiche, Antonio Salandra ha attinto negli « indimenticabili » pensieri da Goethe messi in bocca a Faust, i segni caratteristici della sua credenza.
« Per niun modo vorrei rimuovere chicchessia da ciò .che a lui par savio di credere », risponde Faust a Margherita che gli chiede quale stima faccia egli della religione; e soggiunge che rispetta i sacramenti. Ma alla domanda: — Credi tu in Dio? — risponde: « Anima mia! chi osa dire: io credo in Dio? domandane ai preti ed ai sapienti e la loro risposta ti parrà una derisione : diresti ch’ei volessero farsi giuoco di te ». — Però tu non ci credi — incalza Margherita. E Faust : — «Non
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NOTE E COMMENTI
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mi fraintendere, mio dolce amore! Chi osa nominar Dio, e dire: Io credo in esso? Echi può.a ver animo che sente, e attentarsi di dire: Io non credo in esso? nel comprenditore e sostentatore di tutte le cose? E non comprende e sostiene egli te, me, sè medesimo? Non s’inarca lassù il cielo? Non si stende quaggiù saldala terra? E non sorgono amicamente arridendoci dall’alto, le stelle immortali? Non raggia il mio occhio nel tuo occhio? Non tutte le cose si traggono verso la tua mente e il tuo cuore, e vivono e si rivolvono in eterno mistero — visibili ed invisibili — intorno a te? E tu riempi di questo ineffabile portento il tuo petto, e se ti senti allora pienamente beata, nominalo come tu vuoi: dillo felicità! dillo cuore! Amore! Dio! Io non ho alcun nome per esso. Sentire è tutto, e non è il nome altro che suono ed ombra che offusca lo splendore che ne viene dal cielo ». — (Traduzione di Giovita Scalvini).
È lo spenceriano che ritrova nelle parole di Faust la teoria sull’Inconoscibile? L’« Essere inscrutabile » è il suo Dio; sue egli ha fatte le parole dei Primi Principii : « Ci accade troppo spesso di dimenticale che non solo v’ è un’anima di bontà nelle cose cattive, ma anche che v’è un’anima di verità nelle cose false».
« Il dover nostro — ha ripetuto Antonio Salandra dal suo Maestro — è di sottometterci umilmente ai limiti della nostra intelligenza e di non rivoltarci contro di essi».
Eppure nonostante il panteismo di Faust, il significato finale del poema — ha scritto G. A. Borgese nel suo mirabile saggio .¿La disfatta di Mefistofele — coincide con l’insegnamento del cattolicesimo. E dell’anima religiosa che spira in esso, egli osserva che si può ripetere quel che a Faust risponde Margherita, nel giardino di Marta, a commento della sua confessione: dice così press’a poco anche il parroco; solo con parole un tantino diverse. Al Borgese sembra non troppo diffìcile rispondere all’appassionata domanda di Carlyle : « Come mai la credenza di un santo s’è unita in questo chiaro e veridico spirito alla chiarezza di uno scettico, come mai l’anima fervente di un Fénelon ha potuto accordarsi, in soave armonia, alla gaiezza, al sarcasmo, alla malizia di un Voltaire?». «Piccole, miserevoli antitesi—egli nota — quando si pensi alla buia immensità del Faust. Visto nel suo complesso, esso dà l’immagine del firmamento quale è nella fantasia degli astronomi: ove anche il sole non è che un punto, e miriadi di stelle roteano in un azzurro, sconfinato tenebrore. I suoi personaggi si chiamano la Natura, Dio, la Storia».
Ciò è sufficiente a spiegare la predilezione di Antonio Salandra per il grande poema moderno; ma non indaghiamo oltre il limite segnato...
Anche occupandosi di problemi religiosi il Salandra non può prescindere dalla politica militante, e quindi non tralascia, scrivendo ad un giornalista che fa parte di un gruppo politico i cui organi hanno mosso critiche vivaci alla sua azione, un accenno ironico sottilmente garbato, che non soltanto non urta la suscettibilità di alcuno, ma termina con un invito che onora.
La lettera breve — che qui appresso appare — di Antonio Salandra è, dunque, significativa e rivelatrice della sua mentalità superiore: lo studioso appassionato non si dimentica, neppure fra le burrasche parlamentari, non perde mai la incorrotta serenità dello spirito. Buon segno, per chi raccoglie nelle sue mani 'i fili conduttori dei destini di una grande nazione, in questa grave ora.
G. Q.
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IL PRESIDENTE
DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI
Roma, 5.3.1916
Egregio Signore,
il comm. Baldassarre mi ha segnalato un Suo articolo che oggi ho letto per procurarmi un momento di tregua intellettuale al continuo pesante compito abituale.
Voglio ringraziarla personalmente. Ella mi ha fatto grande onore dandosi la pena di ricercare con tanto acume il mio pensiero intorno ai problemi attinenti alla religione e alla Chiesa. Come Ella ha esattamente osservato, io non me ne sono mai occupato ex-professo, ma soltanto ho detto, come reputerei dovere di ogni scrittore ed oratore, sinceramente quello che ne pensavo quando mi si è data occasione opportuna di dirlo. E l’occasione è stata politica e storica; poiché politica e storia sono le mie passioni mentali. Alla speculazione — della quale apprezzo altamente l’importanza e il valore — non mi sento tagliato. E se la politica mi lascerà qualche,anno di vita riposata vorrei chiudere la mia carriera con un libro di storia.
Vedo pure che Ella si interessa delle mie credenze personali. Ma io non mi sento tale che possa importare a chicchessia che cosa come e fino a che punto io creda. Ad ogni modo Ella, che è uomo di alta cultura, e non aorà ripudiato Goethe per le cattive azioni dei suoi compatriota, troverà la risposta nelle indimenticabili parole che, nel giardino di Marta, Fausto rispose a Margherita presa da una curiosità Simile alla Sua.
Non appena i Suoi amici politici mi avranno — cóme accennano a volere — procurato un meritato riposo, mi venga a vedere. Mi sarà molto gradito rinnovarle personalmente l’espressione della mia riconoscenza e, se Duole, intrattenermi con Lei anche degli argomenti così nobili, ai quali Ella consacra i Suoi studii.
Frattanto Le stringo cordialmente la mano.
Aff.mo suo
A. SALANDRA.
Chiarissimo
Sig. Guglielmo Quadrotta.
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NOTE E COMMENTI
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LUTERO «ATEO E MATERIALISTA,,?
Una risposta
Il « Lutero che gitta la tonaca per vestire l’ermellino del professore razionalista, e più che altro ateo e materialista » non è il Martino Lutero individuo, sib-bene il luteranesimo che s’è abbandonato ne’ suoi eccessi in Germania ad ogni sorta di travestimenti e di alterazioni; è lo sfrenarsi del « libero esame » che diventa con Kant la negazione d’ogni metafisica, con Fichte la chimera dell’essere, con Hegel una globosa nuvolosità e va a finire nella rabbia di Feuerbach, nella volgarità di Strauss, nella stupidità di Buchner, nel parossismo criminale di Stimer, nell’istigazione apa-chesca di Nietzsche.
C’è una degenerazione filosofica dell’orientazione luterana, come ce n’è una francescana, tutto quell’invigliac-chimento d'orde fratesche conventuali che tramutò in untuosa sensualità, in spirito di routine, in un rituale dolce far niente, lo snello ardore della letizia di Francesco. C’è un intedeschimento rigido, geloso, esclusivo, settario del luteranismo che per troppo voler essere anticattolico, antilatino è arrivato al-l’anticristianesimo, all’antideismo, al vio-lentismo materialista e l'à portato in cattedra. Tutta la storia della filosofia tedesca da dopo Wolf (e cioè da Kant) nasce tutta da quel « libero esame » affermato da Martin Lutero; ma in essa del dio e dell’anima di Lutero c’è rimasto quello che c'è rimasto del dio e dell’idea di Bruno nei bruniani d’oggi che hanno in materia una competenza ben nota.
La mia espressione dice che i tedeschi sono stati e sono soprattutto tedeschi e che la sfrenatezza del loro orgoglio, nota al mondo da Tacito in poi e di cui noi abbiamo portato i segni durante
tutto il medio evo, segni penetranti di spadone imperialesco, à passato semper ogni confine ed ogni misura. Io sono convinto che i tedeschi non siano mai stati cattolici nei mille anni in cui si dice che lo siano stati; potrei anche credere che non siano stati mai luterani e parlo dei filosofi e degli scienziati, bestemmiatori della vita (Schopenhauer), materialisti dell’essere (Buchner, Fech-ner, ecc.), materialisti della critica religiosa (Feuerbach, Strauss) negatori della famiglia e della società (Stirner), materialisti della storia (Marx, Engels, ecc.). E se cerchiamo in fondo al sentimento ed alle opinioni degli eruditi macellai troveremo, purtroppo, che gran parte del valore che questa Germania fisiologista, materialista, atea, negatrice, sovversiva, estrema dà a Lutero, è spiegata più che dall'idealismo religioso e dal fiero misticismo suo, dall’antilatinismo che è implicito nel pensiero del Riformatore.
Si deve avere il coraggio di scendere in fondo a certe questioni, coraggio sereno e responsabile. E il suo antiaristotelismo non dice niente. Aristotele è la bonne-à-tout-faire della Storia. Fa da canevaccio ai ricami del dogma, ma perchè ci tornò dai rabbini e dai sacerdoti d’Arabia e di Persia, fa da legame tra. le correnti ebraiste e la scolastica; sicché oggi — me ne appello a chi sia informato — due ordini di credenti o di seguaci lo difendono: i teologi, perchè Aristotele è sempre Ylpse dixit, i dotti, perchè Aristotele, camminator dell’Asia dietro il Macedone, bevve spiriti d’origine semita. Noi sappiamo poi che l’Aristotele combattuto da Lutero, da Calvino, da Kopernico, da Bruno, è un Aristotele messo su alla peggio, un puddini' d’inesattezze, di tradimenti, d’interpolazioni. L’Aristotele ricostituito, sia pure in minime parti, è un altro. È nientedimeno che un precursore; e siamo
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forse alla vigilia di vedere la sua mecanica trionfare su quella che da trecento anni trionfa. Ringrazio il chiaro pubblicista G. Pioli d’avermi dato modo ad esprimere meglio il mio pensiero su argomenti così importanti per l’anima e per il pensiero.
Paolo Orano.
INTORNO AL VALORE PRATICO DELLA PRESENZA DEL PAPA AL CONGRESSO
Sulla Nuova Antologia di febbraio. Fon. Eduardo Sederini ritorna sul tema della partecipazione del Papa al futuro Congresso della pace, in risposta all’on. Mosca che aveva trattato lo stesso argomento in senso contrario a tale intervento, e all'unisono con ciò che scriveva il Marchese Cri -spolti sul Giornale d'Italia pochi giorni prima.
Gli argomenti su cui ripetutamente insiste l’articolista come « self-evident » sono: « La grande forza morale che alle decisioni del Congresso darebbe la presenza del Papa •: «il bel (per ironia) valore pratico che hanno avuto le decisioni della Conferenza dell’Aja per l'esclusione del Papa, cioè dell’unica autorità morale di carattere inter-, nazionale e con giurisdizione veramente universale che avrebbe potuto richiamare all'osservanza dei patti coloro che, lui presente, li avevano stretti »; « l’interesse grande per l’Italia di avere amico il Papato; e la necessità che la mirabile concordia creata dalla nostra guerra non venga sminuita, ma anzi rafforzata dopo avvenuta la pace... per compiere opera di ricostruzione non solo politica, ma specialmente sociale, alla quale fa mestieri concorrano tutte ¡’energie sane e vitali del paese ».
Senza alcuna pretesa di polemizzare con l’onorevole Soderini, facciamo solo osservare che l’autorità morale e religiosa del Capo del Cattolicismo, quale che sia la valutazione che di essa si voglia fare in un’Europa in cui il numero dei cattolici, quale risulta dalle statistiche, non è in alcun rapporto con la loro influenza, è di un ordine affatto diverso da quello politico, nel quale soltanto deve aggirarsi e muoversi un Congresso per la pace fra Nazioni. Internazionali sono la scienza; l'arte, la Massoneria,
il socialismo, e cento associazioni e movimenti, la cui cooperazione è pure indispensabile per rendere effettive le deliberazioni di un Congresso per la pace, anzi per prepararle, e poi svilupparle e farle agire: ma non è questa ragione per cui esse siano rap-E»rasentate in un Congresso di carattere portico. Più razionale sembrerebbe la proposta, anzi l'appello, già fatto dal rev. Campali, oratore cristiano inglese, perchè il Papa inviti ad un concilio generale tutte e Chiese cristiane, e tenti di stringere almeno fra cristiani quella pace, che le diverse Chiese, a cominciare dalla cattolica, non hanno autorità d’intimare, non solo, in Congressi politici, ma neppure da un umile pulpito, finché esse seguiteranno a dare al mondo lo spettacolo di cristiani belligeranti fra loro, a dispetto di ideali tanto più alti e d’interessi tanto più comuni di quelli delle diverse nazioni.
« Una Chiesa disunita • — ha detto anche recentemente nel Congresso cristiano di Manchester il rev. Shakespeare, Presidente dell’Unione delle Chiese Libere Inglesi — « non può rendere testimonianza di unità dinanzi alle Nazioni ».
Anzi, sviluppando l’argomento e riferendosi alla « forza morale che » — secondo il Soderini — « deriverebbe al Congresso dalla presenza del Papa » si potrebbe contrapporre, che proprio questo antagonismo fra il Cattolicismo e le altre Chiese cristiane E irebbe rendere la partecipazione del apa a un Congresso sorgente di debolezza. Che questo antagonismo sia violento ancora e aggressivo da parte del Papato, ne ha una prova umile, ma a portata di mane chiunque solo legga il resoconto delle invettive pronunziate recentemente da Benedetto XV all’indirizzo delle Chiese cristiane e della loro attività religiosa in Italia, riportato da Bilychnis nel numero di ottobre scorso. L’on. Soderini ha una punta d’ironìa per il « bel valore pratico che hanno avuto le decisioni della Conferenza dell’Aja per l’esclusione del Papa... che avrebbe Sotuto richiamare all’osservanza dei patti ».
i potrebbe domandargli quale valore pratico abbia avuto la partecipazione del Papa a tutti i Congressi della pace a cui il Pa pato fu rappresentato fino alla pace di Westfalia.
Ma con più ragione ed efficacia faremo osservare che un tribunale in permanenza per la pace dovrebbe essere il Cattolicismo stesso, nel quale il Papa ha liberissima azione: ma non pertanto, e non ostante la sua
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NOTE E COMMENTI
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« unica autorità morale di carattere internazionale, e con giurisdizione veramente universale, che avrebbe potuto richiamare all’osservanza dei patti », le nazioni cristiane, su cui, secondo l’articolista, si grande è la sua autorità, l’intervento del Papa in mezzo alle nazioni combattenti non sembra sia riuscito che a creare gravi malumori ogni qualvolta si è manifestato anche nelle forme più mitigate. Quale fondamento vi è per credere che la voce stessa che « grida al deserto » quando parte dalla « Cattedra di Pietro », sarebbe taumaturga quando risuonante fra le pareti di una sala in cui sono riuniti rappresentanti di popoli e non di Chiese; e interessi totali quando sono in gioco, non quelli di particolari forme religiose?
Quanto alla « mirabile concordia creata dalla nostra guerra », che dovrebbe essere continuata, anzi rafforzata, dopo la pace « per compiere opera di ricostruzione... specialmente sociale », mi sia lecito solo dire, che la guerra nulla ha creato: essa ha solo trovato dei cattolici austriacanti che sono rimasti tali, e tutti ne conosciamo, s’intende nei limiti del codice penale; e ha trovato dei cattolici liberali e anti-austriaci, che pure sono rimasti tali: questo è tutto. Al domani della pace, spariranno, come speriamo, le divisioni di favoreggiamento o di opposizione all’Austria, e resteranno i cattolici, non meno di prima distinti dal resto della nazione per diversità di vedute, di morale, di temperamento sociale, di ideali nazionali ed umani. E # l’interesse grande per l’Italia di avere amico il Papato », diverrà sempre più debole a proporzione che tutte le nazioni sentiranno l’interesse supremo di avere amiche tutte le altre nazioni; e di tendere « viribus unitis » verso un ideale più umano e più cristiano.
G. Pioli.
VERSO L’UNIONE DELLE CHIESE
Una conferenza mondiale
L’Europa cristiana, flagellata dall’immane catastrofe di una guerra, che realmente è da considerarsi come la sfida più beffarda alla civiltà, al Vangelo, ai sentimenti più nobili dell’umana natura, sospira la pace, una pace che scongiuri il ripetersi di simili cataclismi, che ristabilisca i diritti violati dei popoli e delle
nazioni, che faccia rifiorire la genuina coltura cristiana, che ripari le ruine accumulate dall’odio. E questa pace, verso la quale aspirano tutte le anime, nonostante le loro divergènze religiose e politiche, non potrà non avere un benefico influsso sulle sorti future del cristianesimo. Sarà una pace, al cui assetto e consolidamento prenderanno parte non solo i diplomatici, ma anche i rappresentanti delle varie confessioni cristiane, animati dal desiderio di comporre o di mitigare il grande dissidio religioso che snerva la vigoria morale del cristianesimo.
Non si può negare infatti che la disunione delle Chiese, che le dissensioni interne della cristianità, hanno contribuito efficacemente allo scoppio della guerra, alla sua quasi universalità, ed ai suoi orrori. Il cristianesimo diviso ha perduto il suo prestigio morale sui popoli, e ve-E;eta fuori dell’orbita di quella politica a quale foggia i destini delle nazioni. Come scrive E. Griffith-Jones, « se prima della guerra il cristianesimo unito in una Chiesa internazionale fosse stato in grado di mobilizzare le sue forze per la propaganda della pace, ed avesse messo in azione le sue congiunte energie per la totale disfatta del militarismo in tutte, le contrade d’Europa, la guerra non sarebbe scoppiata ».
Il militarismo infatti trae la sua ragione di essere dai timori e dagli antagonismi nazionali: esso è la logica conseguenza delle differenze e delle rivalità dei popoli, laddove la religione è banditrice di tutto ciò che unisce le varie razze, e le amalgama. E quando la pace ritornerà a fiorire sulla dissanguata Europa, non vi sarà nulla di mutato tranne una tregua in armi, a meno che i popoli non siano penetrati d'uno spirito nobile nelle loro mutue relazioni, e questo può conseguirsi solamente mediante una più intima unità del genere umano in Cristo.
Le Chiese cristiane non sono riuscite a spegnere il fuoco prima che divampasse. Non potrebbero esse tuttavia, al ritorno della pace, lavorare per totalmente estinguerlo? Non potrebbero esse dimenticare per un istante le loro dissensioni, risvegliare la coscienza della loro comune missione, organizzare insieme tutte le loro ener-E‘e per indurre i popoli aggruppati in una tta ferale e vicendevolmente amarsi, a riguardarsi con mutua fiducia, dominati dal pensiero che essi hanno un solo Dio e
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Padre, un solo sovrano Gesù Cristo, il quale ha diroccato il muro di separazione che li divide? » (1). E come ben dice anche il dott. Newman Smyth « Solo una potenza morale può ridurre al minimo gli armamenti. La pace del mondo potrà essere solamente e decisamente assicurata dalla Cristianità internazionale. Una più perfetta unità della Chiesa sarà la condizione necessaria per raggiungere questo intento » (2).
I mali prodotti dalla scissione dell’unità ecclesiastica sono palesi a tutti ed inutile ci sembra il menzionarli. Il cristianesimo si frantuma in Chiesuole che vivono estranee le une alle altre. Solamente negli Stati Uniti abbiamo duecento Confessioni religiose, ed il loro numero tende ad aumentare. D’altronde, le immani difficoltà che si oppongono al ripristinamento dell’unità religiosa del cristianesimo non sono un mistero per chicchessia. A nulla giovano tuttavia sterili lamenti sui mali prodotti dalle dissensioni religiose, se non ci ado-priamo a tntt’uomo a sradicarli, a cauterizzare le piaghe del corpo mistico di Cristo, q almeno a promuovere quello spirito di solidarietà cristiana, che neutralizza in parte i funesti effetti del frazionamento della cristianità.
Animata da questo spirito di solidarietà, dal desiderio di affratellare e di amicare le diverse confessioni cristiane, la Convenzione Generale della Chiesa Evangelica Americana, tenutasi a Cincinnati nel 1910, approvava la proposta di convocare una conferenza mondiale dei rappresentanti di tutte le Confessioni cristiane che riconoscono e adorano Gesù Cristo come Dio e Redentore dell’uman genere.
Lo scopo della conferenza sarebbe quello di esaminare le questioni concernenti la fede e l’ordinamento della Chiesa. Bellissime sono le parole con le quali il Comitato Sescelto ad attuare la proposta della Con-•enza mondiale esprimeva il suo parere: « Noi crediamo che tutte le confessioni cristiane siano disposte ad eliminare Io spirito di presunzione ed a nutrire quei sentimenti che àrdono nel cuore di Gesù. Con umiltà, e unità d’intendimenti, noi facciamo eco a questa ispirazione di Dio. Noi bra(1) The challenge of Christianity to a world al war. Londra, 1915, pag. 236-239.
(2) Christianity after the war, in The constructive Quarterly. Giugno 1915, pag. 373.
miamo di ricongiungerci ai nostri fratelli cristiani, ponendo mente non solo alle cose nostre, ma eziandio alle altrui, convinti che la nostra sola speranza per giungere ad una comune intesa sia nell’abboccarci personalmente per chiederci mutui consigli nello spirito di carità cristiana e tolleranza. Noi nutriamo ferma fiducia che una conferenza, la quale si proponga di studiare il problema della riunione della cristianità senza arro-Sarsi potere legislativo, o deliberativo, sia
primo passo verso l’unità. Noi esprimiamo il nostro sincero cordoglio per la nostra passata trascuranza, e gli altri falli derivati dal nostro orgoglio e dalla nostra ostinazione, falli che mirano allo scisma: noi promettiamo di condurci lealmente a riguardo della verità come noi ¡’intendiamo, rispettando le altrui convinzioni che non si accordano con le nostre. L’esposizione chiara e la piena considerazione sia di quei punti, sui quali noi dissentiamo, sia di quelli sui quali l’accordo è completo saranno il preludio.dell’unità cristiana ». Un programma sì vasto, e nello stesso tempo sì alieno dallo spirito d’intolleranza e dalla polemica infruttuosa e triviale non poteva non risvegliare simpatie, non poteva non avere un’eco profonda in seno alle varie confessioni cristiane. Tutte le anime che si gloriano di aderire al Cristo sospirano verso l’unità, e l’ap-rllo del Comitato della World Conference
l’espressione di queste ardenti aspirazioni del cristianesimo diviso. Per giungere ad un’intesa, è necessario che i seguaci delle varie confessioni cristiane si conoscano, si apprezzino, mettano in comune le loro esperienze, espongano senza rancori e pregiudizi gli articoli del loro credo dottrinale, tollerino che sia comparato con quello di altre confessioni. Questo studio ed esame comparativo delle varie credenze cristiane, quest’analisi leale e sincera delle divergenze dottrinali tra le varie Chiese contribuirà efficacemente ad eliminare i pregiudizi che rendono più acerbo l’antagonismo tra le varie confessioni, e nello stesso tempo a mettere in più chiara luce la verità storica di una data posizione dottrinale. Certamente la Conferenza mondiale non si lusinga di attuare in poche sedute la riunione della cristianità: ma essa spera di sviluppare lo spirito di fraternità e solidarietà cristiana, e di porre le fondamenta del futuro assetto della cristianità.
All’appello della Conferenza hanno risposto i rappresentanti ufficiali delle Chiese dell’oriente e dell’occidente e la maggior
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parte delle Confessioni protestanti. I cardinali Gibbons e Farley hanno espresso il loro vivo compiacimento per l’opera della Conferenza e promesso il loro appoggio. Moltissimi membri del clero romano cattolico ci hanno inviato lettere di adesione e di plauso, e non è guari, una delle più dotte riviste cattoliche La Ciencia Tomista, in uno splendido articolo, Anhelos di Unidad, Gennaio-Febbraio 1915, 34, pag. 74-85, faceva risaltare l’importanza dell’iniziativa americana, e le augurava il più lieto e pieno successo.
La Chiesa ortodossa russa, così restia dall’entrare in relazioni con le altre Chiese cristiane, ha accolto con viva simpatia e interesse la proposta della Conferenza mondiale. Uno dei più noti teologi russi, Antonio, arivescovo di Charkoft, in due importanti opuscoli discuteva, sotto l'aspetto ortodosso, i propositi della Conferenza mondiale e con fervidi accenti invitava l'episcopato russo a prendervi parte. Il medesimo appello era lanciato nell’organo del Sinodo di Pietrogrado, i Tzcrkovnyia Vie-domosti, da Sergio Troitzky, che in una serie di articoli dimostrava la necessità pel clero ortodosso di coadiuvare i pionieri della futura Conferenza pel conseguimento di uno scopo così nobile, qual’è la riunione della cristianità. Altri articoli favorevolissimi all’iniziativa americana vedevano la luce nel Tzerkovny Viestnik. Uno di essi, sottoscritto dal dott. Nicola Glubokovsky, esalta la futura Conferenza come un’assemblea prescelta ad attuare la pace che viene dall’alto.
Più fruttuosa è stata l’azione della Commissione esecutiva della Conferenza mondiale tra le varie confessioni cristiane che istintivamente sentono il bisogno dell’unità religiosa. Più di cinquanta di esse hanno aderito al programma della medesima, ed hanno istituito Commissioni speciali per prepararle il terreno. Il primo risultato di questo vasto movimento verso l’unione cristiana è stato la federazione delle Chiese di varie Confessioni evangeliche che nelle grandi città hanno collegati i loro sforzi, la
loro attività separata, per meglio compiere le loro missioni. Ed il problema dell’unità religiosa è l’obbietto di studi approfonditi, di discussioni sincere e leali, d’iniziative private, e di un vasto movimento di pre-Shiere che spiritualmente allea tutti i mem-ri separati della grande famiglia cristiana.
Il Comitato esecutivo della World Con-ference ha dato alla luce una quarantina di opuscoli in inglese, nei quali il tema della riunione della cristianità è svolto con irenico stile e dovizia di argomenti da valenti scrittori del clero e del laicato. Tra i medesimi trovansi ancora le relazioni dei lavori, viaggi e intraprese dei membri del Comitato esecutivo per la futura convocazione della World Conference. La raccolta di questi opuscoli è oltremodo interessante per coloro che hanno a cuore il trionfo finale del cristianesimo sulla terra. Essa è mandata gratis a quei che ne fanno richiesta al
Sig. Roberto H. Gardiner
Post Office Box 1153
GARDINER
Maine (Stati Uniti)
Ci conforta la speranza che il nostro appello inserito nel Bilychnis troverà un’eco in quei cuori italiani che pregano pel ritorno dell’unità cristiana. Detto appello è alieno da mire settarie, o da confusionismo dottrinale e si rivolge indistintamente a tutti coloro ai quali è comune laprofessione di fede nella divinità di Gesù Cristo. Certamente non asseriamo che questa professione di fede sia la condizione unica dell’unità religiosa, ma noi la richiediamo perchè la futura Conferenza mondiale possa realmente dirsi cristiana.
gs. Ringraziando la S. V. III.ma della cortese ospitalità che offre al mio appello nelle pagine del Bilychnis, con devoto ossequio mi dichiaro
Dev.mo servo
Roberto H. Gardiner.
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LA SCUOLA DI PITAGORA A CROTONE
I.
È una delle massime glorie dell’antico pensiero italiano la scuola che Pitagora — »artendo da Samo, sua patria, dopo il unghissimo soggiorno in Egitto e a Ba-jilonia — aveva fondato a Crotone, intorno all’anno cinquecento trenta avanti Cristo.
Poche rovine restano, ora, di questa città della Magna Grecia. Crotone era posta all’estremità del golfo di Taranto, vicino al promontorio Lacinio, in faccia all’altro mare. Con Sibari, essa era la città più fiorente dell'Italia meridionale, rinomata per la sua costituzione dorica, i suoi atleti vincitori nei giuochi olimpici, i suoi medici, rivali degli Asclepiadi. I sibariti dovettero la loro immortalità al lusso e alla mollezza, i Crotoniati, invece, così ricchi di virtù, sarebbero forse dimenticati, se non avessero avuto la gloria d’offrire un asilo alla grande scuola di filosofia esoterica, conosciuta sotto il nome di sodalizio pitagorico, che può considerarsi come la madre della scuola platonica e come la prima antenata di tutte le scuole idealiste.
Il luogo era magnifico: un terreno ondulato, dei boschi d’olivi, una cultura lussureggiante, e tutt’intorno, a immenso semicerchio, l’alto mare palpitante, il Jonio, percorso dalle candide triremi.
Pitagora, giunto a Crotone, forse — come nota il prof. A. Gianola in un suo lucido saggio (i) — accompagnato da numerosi di( i ) Prof. Alberto Gianola, Il sodalizio pitagorico di Crotone. Bologna, Nicola Zanichelli, editore.
scepoli che ve lo seguirono da Samo, cominciò a tenere in pubblico discorsi tali da conquistare subito la simpatia degli uditori, accorrenti in gran numero ad ascoltare la sua parola ispirata, che predicava verità non mai udite prima ¿’allora in quella regione e da quegli uomini. Accolto con molta deferenza e dal popolo e dalla parte aristocratica, che allora aveva nelle mani il governo, per l’entusiasmo suscitato dalla sua predicazione, fu eretto dai suoi ammiratori un ampio edificio in marmo bianco — homakocion od uditorio comune — nel quale egli potesse insegnare comodamente le sue dottrine ed essi ridursi a vivere sotto la sua guida. La tradizione, quale la troviamo presso Giamblico e presso Porfirio, aggiunge altri particolari: Pitagora, entrato nel ginnasio, avrebbe parlato ai giovani che vi si trovavano suscitandone l’ammirazione, del che venuti a conoscenza i magistrati e i senatori avrebbero manifestato il desiderio di sentirlo anch’essi; ed egli, venuto dinanzi al Consiglio dei Mille, vi ottenne tale approvazione da essere invitato a rendere pubblico il suo insegnamento, al quale infatti molti accorsero prontamente, mossi dalla fama della grande austerità dell’aspetto, della dolce soavità dell’eloquio, della profonda novità dei ragionamenti del forestiero. Via via, la sua autorità crebbe in modo che egli potè esercitare nella città una vera dittatura morale, poi si allargò, diffondendosi nei paesi vicini della Magra Grecia c nella Sicilia, a Sibari, a Taranto, a Reggio, a Catania, ad Imera, a Girgenti; dalle co-
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Ionie greche come dalle tribù italiche dei Lucani, dei Peucezi, dei Messapii, ed anche dai Romani vennero a lui discepoli di ambo i sessi; e i più celebri legislatori di quelle regioni, Zaleuco, Caronda, Numa ed altri l’avrebbero avuto per maestro, sì che per merito suo si sarebbero ristabiliti dovunque l’ordine, la libertà, i costumi e le leggi. In questo modo, dice il Lenormant, «egli potè giungere a realizzare l’ideale d’una Magna Grecia composta in unione nazionale, sotto l’egemonia di Crotone, non ostante la differenza di razze degli Elleni italioti »; il che peraltro è inesatto, poiché, come vedremo, l’intendimento di Pitagora nella sua azione e nella sua predicazione non fu politico o nazionale, ma essenzialmente umano. Forse, aggiunge un altro scrittore, non fu estranea all’accoglienza avuta dal filosofo ed al successo da lui riportato, una persona con la quale egli doveva essersi trovato in rapporto quand’era a Samo, cioè il celebre medico crotonese Democede. Ma senza dubbio, più che a conoscenze personali, l’approvazione ottenuta da Pitagora in Crotone e l’entusiasmo da lui suscitato in tutta la Magna Grecia furono piuttosto — continua il Gianola — l’effetto da un lato delle virtù intrinseche delle sue dottrine e del suo insegnamento, e dall’altro dalla disposizione e attitudine di quelle genti a intenderlo e ad apprezzarlo. Poiché il misticismo ed ogni moto idealistico trovò sempre fra loro un generale e pronto assenso e un gran numero di seguaci, sia nei tempi più antichi, sia durante il medio évo e nell’età moderna. In queste attitudini dei popoli del mezzogiorno sta la ragione del rapido diffondersi delle dottrine pitagoriche, che furono accettate quasi universalmente; tanto che molti, i migliori per intelligenza e per elevatezza morale, presi d’ammirazione per la profonda scienza del Maestro, si accostarono a lui, e, desiderosi di penetrare più addentro nella conoscenza del suo sistema filosofico, di cui intrawidero ed intuirono la vastità e la comprensione, si ridussero a poco a poco a vivere con lui, attirati nella sua orbita d’azione e di pensiero da quella spontanea simpatia che hanno sempre esercitato sugli altri tutti i grandi apostoli dell’umanità.
Così fu formato il Sodalizio del quale fu poi aperto l’accesso a tutti « i buoni » — uomini e donne —; e alla sua filosofica famiglia il Maestro diede quel medesimo
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ordinamento che aveva visto attuato nelle scuole dell’oriente e dell'Egitto, nelle quali, come s’è accennato, egli aveva preso conoscenza dei Misteri. L’istituto divenne ad un tempo un collegio d’educazione, un’accademia scientifica e una piccola città modello, sotto la direzione d’un grande iniziato. Ed è per mezzo della teoria accompagnata dalla pratica e delle scienze unite alle arti che vi si giungeva lentamente a quella scienza delle scienze, a quell’armonia magica dell’anima e del-l’intellettó con l’universo, che i- pitagorici consideravano come l'arcano della filosofia e della religione. La scuola pitagorica ha per noi un interesse supremo perchè fu il più notevole tentativo d’iniziazione laica: sintesi anticipata dell’ellenismo e del cristianesimo, essa innestò il frutto della scienza sull’albero della vita, e conobbe quindi quell’attuazione interna e viva della verità che sola può dare la fede profonda.
II.
Era una bella, candida dimora (ce lo ripete E. Schuré) quella della scuola di Pitagora.
Essa brillava al sole, sopra una collina,, fra i cipressi e gli olivi; se ne vedevano dal basso, costeggiando la riva del mare, i Sortici, i giardini e il ginnasio: il tempio elle Muse sovrastava alle due ali dell’edi-fizio col suo colonnato rotondo, di un'eleganza aerea. Dalla terrazza dei giardini esterni si dominava la città col suo Pritaneo, il suo porto, il suo foro: nel fondo il golfo si adagiava fra le coste aguzze, come in una coppa d’agata, e il mar Ionio chiudeva l’orizzonte con la sua linea azzurra. Talvolta si vedevano donne vestite di colori diversi uscire dall’ala sinistra e scendere in lunghe file al mare, per il viale dei cipressi: andavano a compiere i loro riti nel tempio di Cerere. Spesso, anche, dall’ala destra, si vedevano uomini in bianche vesti salire al tempio d’Apollo. E non esercitava certo l’attrattiva minore sull’immaginazione indagatrice dei giovani il pensiero che la scuola del’iniziati era posta sotto la protezione di queste due divinità, di cui l’una, la Siide dea, conteneva i misteri profondi la Donna e della Terra, e l’altra, il dio solare, svelava quelli dell'Uomo e del Cielo.
Sorrideva dunque all'esterno e al di-
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sopra della città popolosa la piccola città degli eletti. La sua tranquilla serenità attirava i nobili istruiti della gioventù, ma non si vedeva nulla di ciò che avveniva all'interno e si sapeva che non era facile esservi ammessi. Una semplice siepe viva serviva di difesa ai giardini appartenenti all’istituto di Pitagora e la porta d’ingresso restava aperta di giorno. Ma vicino ad essa era una statua di Ermete, e si leggeva sul suo plinto: Eskato Bebeloi, lungi i profani! E tutti rispettavano questo comandamento dei misteri.
I giovani, che volevano entrare nella società, dovevano subire un tempo di prova e di esperimento. Presentati dai loro genitori o da uno dei maestri, si concedeva subito ad essi di entrare nel ginnasio pitagorico, dove i novizi si abbandonavano ai giuochi della loro età. Alla prima occhiata il giovane notava che quel ginnasio non assomigliava a quello della città: non grida violente, non gruppi rumorosi, non ridicola furfanteria, non la vana mostra di forza degli atleti in erba, che si sfidano a vicenda mettendo a nudo i loro muscoli; ma gruppi di giovani affabili e distinti, che passeggiavano a due a due sotto i portici o si esercitavano nell’arena. Essi l'invitavano con graziosa semplicità a partecipare alla loro conversazione, come se fosse uno dei loro, senza squadrarlo con occhiate sospettose o con maliziosi sorrisi. Nell’arena si esercitavano nella corsa, nel gettare il giavellotto e il disco, si facevano pure finte battaglie sotto forma di danze doriche, ma Pitagora aveva severamente bandito dal suo istituto la lotta corpo a corpo, dicendo che era superfluo ed anche pericoloso sviluppare l’orgoglio e l’odio insieme con la forza e con l’agilità; che gli uomini destinati a praticare le virtù dell’amicizia non dovevano cominciare coll’atterrarsi gli uni cogli altri e rotolarsi nella polvere come bestie feroci; che un vero eroe sapeva combattere con coraggio, ma senza furore; che l’odio ci rende inferiori a qualunque avversario. XI nuovo venuto sentiva queste massime del maestro ripetute dai novizi, ben contenti di comunicargli la loro Erecoce sapienza. Contemporaneamente essi » invitavano ad esprimere le sue opinioni e a contraddirli liberamente. Incoraggiato da questi inviti, l’aspirante ingenuo mostrava subito apertamente la sua vera natura: felice d’essere ascoltato e ammirato perorava e si gonfiava a suo agio, e in
tanto i maestri l’osservavano da vicino senza mai riprenderlo, mentre poi Pitagora veniva all’improvviso a studiarne i gesti e le parole, osservandone con attenzione particolàre il modo di camminare e di ridere. Il riso, egli diceva, manifesta il carattere in modo indubitato e nessuna dissimulazione può rendere bello il sorriso di un cattivo.
III.
Come funzionava esattamente la scuola ?
Nel sodalizio si distinguevano due classi di allievi: quella degli ammessi ad un grado di iniziazione (discepoli genuini o famigliati) e quella dei novizi o semplici uditori (acustici o pitagoristi); ai primi, distinti alla loro volta in varie classi, forse in corrispondenza coi diversi gradi (pitagorici, pitagorei, fisici, sebastici) e discepoli diretti del Maestro, era fatto l’insegnamento esoterico o segreto; gli altri potevano assistere solo alle lezioni esoteriche, di contenuto essenzialmente morale, e non erano ammessi alla presenza di Pitagora, ma, come dice la tradizione, lo udivano, talvolta, parlare da dietro un velario che lo nascondeva ai loro ocelli.
Prima di ottenere l’ammissione non solo ai gradi d’iniziazione, ma anche al noviziato, bisognava subire prove ed esami rigorosissimi poiché, diceva Pitagora, « non ogni legno era adatto per farne un Mercurio »; anzitutto, come ci narra Aulo Gellio un esame fisionomico che attestasse della buona disposizione morale e delle attitudini intellettuali del candidato; se questo esame era favorevole e se le informazioni procurate intorno alla sua moralità e vita anteriore erano soddisfacenti egli era ammesso senz’altro e gli era prescritto un determinato periodo di silenzio (echemylhia), che variava, secondo gli individui, dai due ai cinque anni, durante i quali non gli era lecito che di ascoltare ciò che era detto da altri, senza mai chiedere spiegazioni nè fare osservazioni. In questo, come nel lungo meditare e nella più rigorosa e severa disciplina delle passioni e dei desideri praticata per mezzo di prove assai difficili, prese dall’iniziazione egiziana, consisteva il noviziato (pa-paskeie), a cui erano sottoposti gli acustici. Costoro, appena avevano imparato, col lungo tirocinio, le due cose più difficili, cioè l’ascoltare e il tacere, erano am-
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messi fra i matematici e allora soltanto potevano parlare e domandare, ed anche scrivere su ciò che avevano udito, esprimendo liberamente la loro opinione. Nel tempo stesso che imparavano ad accrescere la potenza delle loro facoltà psichiche, la loro sapienza si faceva a grado a grado più elevata e più vasta, sino a giungere all’intelligenza de\V Essere assoluto, immanente nell’universo e nell’uomo: chi arrivava a questa, che era la più alta cima della. speculazione filosofica, é che segnava la fine di tutto l’insegnamento esoterico, otteneva il titolo corrispondente a questa iniziazione epoptica, cioè il titolo di perfetto (teleios) e di venerabile (sebastikosY oppure chiamavasi per eccellenza Uomo.
La qualità essenziale che si richiedeva negli adepti era quella del silenzio e della segretezza verso gli altri, senza eccezione per parenti o per amici. Tanto che persino i già iniziati, se avessero lasciato trapelare qualche cosa agli estranei, erano espulsi come indegni di appartenere alla Società e considerati come morti dagli altri confratelli, che innalzavano ad essi nell’interno dell’istituto un cenotafio. È famosa e proverbiale quindi la fermezza con la quale i Pitagorici sapevano custodire il segreto su tutto ciò che riguardava la scuola. Allo stesso modo — continua il Gianola nel saggio citato, al quale attingo — era considerato come morto chi, Sur avendo dato buone speranze di sè e ella sua elevatezza spirituale, finiva col mostrarsi inferiore al concetto che aveva fatto nascere della sua capacità.
L'essere stato accolto fra i novizi ed anche la ricevuta iniziazione non obbligava per nulla alla vita cenobitica. Molti anzi, per la loro condizione sociale o perchè non sapessero rinunziare interamente al mondo o per altre ragioni, continuavano la loro vita ordinaria, che naturalmente informavano ai principii morali e alle conoscenze acquisite, diffondendo cosi con la pratica e con la parola il bene a cui l’insegnamento appunto mirava. Erano questi i membri attivi di cui ci parlano alcune testimonianze, gli altri invece, gli speculativi, vivevano sempre nell’istituto, dove in perfetto accordo con tutte le altre pratiche e leggi dell’istituto stesso» le quali miravano sopratutto a far scomparire ogni forma di egoismo e di orgoglio individuale, era pratica un’assoluta comunione di beni. E non è poi così strano
da doversene negare la verità, che uomini dati a speculazioni filosofiche e religiose e a pratiche morali, e che vivevano insieme per uno scopo unico, mettessero in comune i loro beni, per il vantaggio dell’insegnamento e per la diffusione delle loro idee. Che cosa poteva trattenere i discepoli interni, non legati più dai vincoli del mondo, da questa comunione di beni? E quanto agli esterni, non è naturale pensare che, per la virtù della fratellanza e dell’amore acquistata nel comune insegnamento, ciascuno mettesse spontaneamente tutte le sue sostanze, anzi tutto sè medesimo a disposizione dei suoi confratelli? Ed infatti noi sappiamo che i Pitagorici usavano particolari segni di riconoscimento — come il pentagono e lo Gnomone, incisi sulle loro tessere, e la orma caratteristica del saluto — dei quali dovevano servirsi sia per conoscersi ed aiutarsi subito a vicenda nei loro bisogni sia per essere accolti, fuori di Crotone, dagli adepti di altre scuole consimili, numerose così nella Magna Grecia come nella Grecia e nell'oriente.
La vita che si conduceva nell’istituto da quei discepoli che vi rimanevano in permanenza ci è sufficientemente nota nelle narrazioni dei neo-pitagorici e per le no-tozie sparse qua e là nelle opere dei più antichi autori. Tutto era ordinato con norme precise che nessuno trasgrediva mai; il che si intende facilmente se si pensi che ognuna di esse aveva la sua giustificazione razionale e che, salvo alcune rigorosamente prescritte, erano date più in forma di regola o di consiglio» che di vero e proprio comando (Gianola).
Di buon mattino, dopo la levata del sole, i cenobiti si alzavano e passeggiavano per luoghi tranquilli e silenziosi, fra templi e boschetti, senza parlare ad alcuno prima di avere ben disposto il loro animo con la meditazione ed il raccoglimento. Poi si adunavano nei templi o in luoghi simili, ad imparare e ad insegnare — poiché ciascuno era e maestro e discepolo — e praticavano continuamente Sarticolari esercizi per acquistare la pa-ronanza delle passioni e il dominio dei sensi, sviluppando in modo speciale la volontà e la memoria e le facoltà superiori e più riposte dello spirito. Non si trattava, peraltro, nè di mortificazione della carne e di rinunzia forzata ed obbligatoria ai piaceri normali della vita nè di altre simili aberrazioni fratesche e conventuali: Pitagora vo-
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leva soltanto che ognuno si mettesse in grado di assoggettare il corpo allo spirito, per modo che questo fosse libero nelle sue operazioni e nel suo svolgimento interiore; ma il corpo doveva essere mantenuto sano e bello perchè in esso lo spirito avesse uno strumento perfetto quant’era possibile: onde gli esercizi ginnastici d’ogni genere fatti all’aria aperta e le prescrizioni minuziose intorno all’igiene e specialmente ai cibi e alle bevande. In generale, i pasti erano assai parchi, ridotti al puro necessario, eliminando tutto ciò che potesse offuscare la serena funzione dello spirito ed aggravare inutilmente lo stomaco. Pane e miele al mattino, erbe cotte e crude, poca carne e solo di determinate qualità ed animali, raramente il pesce e pochissimo vino la sera, durante il secondo pasto, il quale doveva essere terminato prima del tramonto, ed era preceduto da passeggiate, non più solitarie, ma a gruppi di due o tre, e dal bagno. Terminato il pranzo, i commensali riuniti intorno alle tavole in numero di dieci o meno si trattenevano a discorrere piacevolmente, a leggere ciò che il più anziano prescriveva, di poesia e di prosa, e ad ascoltare della buona musica che ne disponeva gli animi alla gioia e ad una dolce armonia interiore. Poiché « la musica, onde tutte le parti del corpo sono composte a costante unità di vigore, è anche un metodo d’igiene intellettuale e morale, e però compieva i suoi effetti nell’anima perfettamente disciplinata di ciascun pitagorico ». Non mancavano infine, durante la giornata, alcune semplici cerimonie religiose, più precisamente simboliche, che servivano a mantenere sempre vivo e presente in ognuno il culto ed il rispetto di quell’Essenza da cui emanava e a cui doveva tornare — secondo la dottrina mistica del Maestro — il principio animico e sostanziale di ciascun individuo umano (Gianola).
Altre testimonianze ci parlano di astensione dalla caccia, dell’uso di vesti bianche e di capelli lunghi. Quanto all’oòò/igo del celibato di cui parla lo Zeller, non solo non è dato da alcuna testimonianza, ma è contrario anzi a quelle molte che ci parlano di Teano, moglie di Pitagora, dalla quale avrebbe avuto più figli, ed alle altre ove sono determinate le norme riguardo al tempo più opportuno per dedicarsi all’amore; e contrario poi — ciò che è più importante — allo spirito della dottrina del filosofo, per il quale la famiglia era
sacra, e i doveri ad essa inerenti erano indicati con molta precisione ed accuratezza, massime nell’insegnamento fatto alle donne. Anche il celibato insomma non dovette essere che una pratica dei più ferventi discepoli i quali, dediti interamente alle speculazioni filosofiche ed agli studi, credettero forse di trovare nei vincoli di famiglia un ostacolo alla libertà dei loro studi e delle loro meditazioni.
IV.
Tali sono —- conclude il Gianola — le notizie che restano della storia dell’istituto di Pitagora e del suo ordinamento. Per quello che riguarda in particolare l’insegnamento appare che esso era duplice e che per essere ammessi a quello chiuso o segreto era necessario aver dimostrato, con lunghi anni di prova, di esserne degni e di avere tutte le attitudini necessarie a riceverlo. Chi non dava tali garanzie poteva usufruire soltanto dell’insegnamento esoterico o comune, privo di ogni simbolismo e alla portata di tutti, di carattere essenzialmente morale. Abbiamo anche veduto che i discepoli esoterici erano iniziati gradatamente a forme sempre più elevate di conoscenze —- teoriche e pratiche —, nascoste sotto il velo di particolari formule simboliche, facili da ricordare e schematiche, le quali avevano il vantaggio che, conosciute dai profani non rivelavano per nulla il loro senso riposto e metaforico. Con ciò si voleva evitare il Ìiericolo che conoscenze d’ordine superiore ossero date in balia a menti inette a com-! »renderle, le quali, appunto per questo, e divulgassero poi con restrizioni, limitazioni e imperfezioni derivanti dalla loro intelligenza inadeguata, e così nascesse il discredito e il ridicolo sulle dottrine fondamentali e su tutto l’insegnamento. Il criterio usato nell’impartirle era dunque che « non si dovesse dir tutto a tutti » e tale criterio — aristocratico nel senso più ampio e più bello della parola — del prò-Sorzionarc le conoscenze alla capacità in-ividuale non può certo reputarsi illogico o segno di vana superbia e di orgoglio intellettuale: poiché è accaduto in ogni tempo che dottrine intrinsecamente buone abbiano via via perduto, col troppo diffondersi, gran parte della loro perfezione primitiva ed abbiano finito o con l’andare soggette ad ogni sorta di travestimenti
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e di inquinamenti od anche col perdere affatto il loro contenuto sostanziale, pur conservando le manifestazioni esterne, e i segni formali di esso.
Nei rapporti degli adepti fra loro e con gli altri uomini era legge suprema l’amore, e questo infatti regnava sovrano tra quelle anime, avide soltanto di bene e desiderose di attuare quant’è possibile in questa vita quell’ideale di giustizia che è, attraverso i secoli, « la perenne aspirazione di tutti i buoni » (Gianola).
L’Istituto ebbe varie vicende, essendo ancora in vita Pitagora.
Nuove- fazioni politiche formatesi a Crotone, gli furono contrarie; e non poche vicissitudini e persecuzioni, ebbe, nei suoi ultimi anni, a sopportare il Maestro.
Ma il suo esempio sèmpre vive: fra le rovine di Crotone ancora parla una voce solenne che tra le prime insegnò agli uomini il vero senso di queste due grandi parole: religione, fratellanza.
Arnaldo Cervesato.
RELIGIÓNE E GUERRA
ROMOLO MURRI, La Croce c la spada, Firenze. I libri di oggi. Prezzo 0,95. — (In vendita presso la Libreria Bilychnis).
Per tre quarti di coloro che si occupano della guerra attuale — dovrebbero occuparsene tutti e tutti difatti leggono i giornali e attendono con ansietà le notizie dei bollettini, ma non basta questo a costituire l’interessamento come non bastano le chiacchere delle farmacie, dei caffè o di certi giornali — per tre quarti, dico, di quelli che pur se ne interessano seriamente questo ultimo libro del Munì avrà un valore assai relativo. Nei tre quarti oltre ai cosidetti politici realistici, nazionalisti, una parte dei democratici, molti liberali sono compresi evidentemente i cattolici, pei quali esso dovrebbe averne uno massimo, mentre non ne avrà alcuno. Non solo perchè la linea di condotta da essi assunta, mentre vorrebbe persuadere della coscienza che è in loro di mantenersi — in quanto cattolici — al disopra dei singoli interessi delle nazioni tradisce una più terrena preoccupazione di accaparrarsi il loro posto al tepore di un futuro congresso della pace, ma perchè è per essi e per quanti da essi si ispirano pacificamente acquisito, che nessuna esperienza religiosa non ufficialmente consacrata valga anche se si fa forte — come nel Murri — di parecchi anni di lotta e di sacrificio interiore.
Ma il quarto di lettori che gli restano valgono a compensare FA. della sua fatica. Quando il mondo nella sua inaterialità più sfrenata sembra turbare ogni proposito di. raccoglimento profondo, e pare svalutare certi problemi che ci si erano posti con l’intendimento di ritrovare nella loro soluzione Vubi consistavi della nostra vita spirituale, riproporseli con tenacia e con fede immutata, tra il rumore e le diversioni, non è di tutti nè Ìer tutti. E la legittimità non ne è scossa.
n fondo la posizione del problema ha una portata generale che è merito di questa Rivista l’aver messa in vista: dopo le follie materialistiche, il ridestarsi di un senso d’idealismo sereno e confortante se non ha portato a nessuna determinazione particolare religiosa ha sembrato immettere nella vita del nostro spirito un soffiò di religiosità che faceva balenare anche ai dubbiosi la verità dell’eterno. Ci siamo arrestati non più sprezzanti e neppure incerti a chiedere chissà? ma come in un senso di sollievo e come in espansione di gioia abbiamo detto a noi stessi: è. Ebbene, tutta la sicurezza dèlia nostra acquisizione è svanita di fronte alla triste realtà che ci ha posto dinnanzi la guerra? Gli uomini dunque non si sono fatti migliori e il Vangelo va chiuso coi libri di Buddho il grande svegliato? La questione era questa nelle sue linee generali e non era priva di interesse. Per lo meno se c’erano degli uomini i quali credevano ad un salutare risveglio religioso questi avevano tutto il diritto e forse il dovere di chiedersi se non erano degli ingannati o degli illusi.
Accanto alla questione generale ce n’era
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un'altra particolare. Quale era l’atteggiamento che di fronte al fenomeno della guerra avevano assunto le diverse Chiese e confessioni religiose a ciascuna delle quali come a tutte insieme s’era affidato il compito di mantenere vivo il fuoco della religiosità? Una ricerca d'indole storica da servire a completare la visione offerta dal nostro periodo di vita.
Il Murri si è proposta l’una e l’altra questione insistendo di preferenza per quanto riguarda la seconda, nell’esame dell’atteggiamento assunto dalla forma religiosa che interessa maggiormente gli italiani. Il cattolicismo romano.
Vediamo dunque che è religione pel Murri. « Noi intendiamo — egli dice — la religione nelle sue caratteristiche essenziali, come lo sforzo che la coscienza umana fa per vivere consapevolmente la sua vita, per porla storicamente come oggetto e creazione di volontà tenace e deliberata. Quello che negli individui ha appunto questo carattere e significato più alto e veramente quasi divino, di costituire la pressione e come lo sforzo della coscienza singola verso l’assoluta volontà e l’assoluto bene, il tentativo di vivere consciamente la propria vita e darle la pienezza del suo valore, di raccogliere nell’unità interna le diverse tendenze ed atteggiamenti pratici dell’anima, di costruire le sintesi unificatrici e di mettere la propria vita e il proprio mondo in armonia con esse, questo è la religione, e questo è anche, evidentemente, il culmine della personalità umana e il culmine della storia ». Evidentemente tale corruzione della religione sembra fatta apposta per disorientarci riguardo a quanto fin qui si è pensato essere la religione, perchè l’assoluta volontà e l’assoluto bene verso cui s’esercita il nostro sforzo cosciente non pare tengano sufficientemente il posto del Dio che secondo noi è l’elemento principe d’una concezione religiosa. Ma non importa, lo non trovo che si debba chiedere al Murri più di quanto egli vuole darci. Giusta 0 no la sua concezione religiosa da un punto di vista assoluto, a me pare che essa sia la più opportuna per arrivare alle sue conclusioni. Posto che tutta la storia è religione e tutta la storia è guerra, appare evidente che religione e guerra non si escludono. Per opporglisi bisognerebbe provare che nè l’una nè l’altra delle affermazioni è vera. Ma chi si sentirebbe di negare nella storia degli individui e dei
popoli questo sforzo e travaglio continui che li tende ad affermare i grandi ideali di cultura, di giustizia e di bontà e d’altra parte chi vorrebbe chiudere siffattamente S;li occhi da non ammettere che per l’af-ermazione di tali ideali tutta la storia è pervasa da un fremito di lotte e di ribellioni succedenti a momenti di calma apparente, onde tutta la storia assume proprio l’aspetto di guerra?
Dunque lo svolgimento della sua tesi è per parte del Murri logicissimo. Tanto più che egli sa vederne sapientemente 1 raccordi. Questo problema — quello dell’appartenenza dell'individuo alla pro-Sria nazione — può parere a primo aspetto i morale civile, ma esso è essenzialmente religioso, perchè involge il giudizio su tutto il valore della vita. Darsi per la patria non può significare sopprimersi, annullarsi come uomo, anche perchè da se stessi non si esce e nessuna cosa che è Suo aver valore per noi se non in quanto in noi ed è per noi. Bisognava dunque giungere a persuadersi che dando l’opera propria e se stessi per la patria, si compie il proprio ufficio, si raggiunge il proprio fine, si conquista, insomma, e non si perde, la vita. Ma poiché la vita fisica, evidentemente, si perde, bisogna tradurre la vita in qualche cosa di più alto, in un contenuto e progresso spirituale che sia sopra la morte e di là dalla morte, al quale la morte stessa apparisca come un passaggio. Ed ecco l’essenziale problema religioso in tutta la importanza della sua perenne presenza.
Se non che qualcuno può dire, la Croce è il simbolo di una religione determinata e la soluzione dianzi prospettata del problema « Religione e guerra » lascia intatta la posizione del problema leggermente diverso « Cristianesimo e guerra » che pareva accennato dal titolo. Verissimo. Perchè la concezione religiosa del Murri se ha il merito di opporsi alla concezione teologica corrente negli ambienti ortodossi, non si oppone meno al Cristianesimo quale ci è dato desumerlo dai documenti riflettenti l’ambiente delle prime comunità che o videro o sentirono il Cristo o i discepoli immediati di Lui; al cristianesimo cioè dei vangeli e delle lettere e atti apostolici. A pag. 95 egli dice che « un vero seguace del Cristo-Dio, nel senso teologico di questa formula, non può volere la guerra, a nessun costo ». A me pare che non ci sia bisogno di questa
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elaborazione teologica della dottrina cristiana per metterla in apposizione alla Euerra: almeno Leone Tolstoi che ha spinto i logica interna del vangelo fino alle ultime conseguenze non era nè pretendeva di essere teologo. Gli è che la verità è un’altra. Chè della guerra Come fenomeno sociale non si può chiedere nè la giustificazione nè la condanna al Cristianesimo del Vangelo. Per giustificarla bisogna dare di questo la interpretazione del Murri < come l’autorivelazione religiosa di un assoluto immanente nella storia e '^ei quale è la storia», per condannarla bi-sogna trasportare come hanno* fatto ej> roncamente alcuni rigidi cristiani i precetti contro la violenza individuale, in un ambito, dove non hanno più valore perchè la violenza ha un altro significato, nell’ambito cioè delle competizioni internazionali. È evidente che l’individuo può votarsi alla rinunzia nella certezza che anche perdendo la vita terrena la riacquisterà altrove più feconda e splendente, ma le nazioni se rinunziano alla loro vita
storica la perdono per sempre.
Ma allora la neutralità proclamata dal papa è l'unica sua logica posizione? Ed ha ragione Mario Missiroli il quale ha scritto un libro (Il Papa iti guerra) per sostenerlo e quel gazzettiere che ama accoppiarglisi per mettere al sicuro la sua progressiva idiozia? Un momento. L'uno e l’altro dicono! Il papa non può parteggiare per nessuna delle nazioni in guerra, perchè ha una missione spirituale da svolgere presso tutti. Il papa deve essere neutrale perchè il Cristianesimo è neutrale. Ora, perchè questa aspirazione sia vera si richiede, prima, che il papa compia una missione spirituale presso tutti i popoli in quanto è propagatore delle idee cristiane, in secondo luogo si richiede che non soltanto a paro e egli affermi volersi mantenere neutrale per queste ragioni superiori, ma anche che la storia del papato confermi la sua posizione. Diciamo che il cristianesimo non è solo e tutto nel cattolicismo romano del secolo ventesimo e che la storia del papato — ed è proprio quando ricorre agli argomenti storici che cade l’asino specialmente del secondo scrittore — non conferma la purità delle intenzioni della sua missione spirituale, e tutto l’edificio costruito intorno a questa faccenda della neutralità pontificia cade, mentre la questione si presenta sotto una luce ben diversa.
Io dico che la neutralità del papa nella guerra attuale, come in parecchie altre che la storia registra, è una questione essenzialmente politica. Ci vuole una buona dose di inscipienza a non capire che la vera ragione della neutralità fu affermata dal papa stesso quando diede ai cattolici italiani la parola d’ordine di essa, mentre si attendeva che l'Italia si decidesse a prender parte al conflitto. Egli temeva non per la sua missione spirituale, ma per la sua posizione politica.
Il papa non può essere nè con l’Italia nè con la Francia. Non con l’Italia, per il dissidio da lui mantenuto con insistenza — ad onta della forma più o meno chiaramente mutata nelle sue proteste — contro la buona volontà — ahi troppo buona! — di governi accondiscendenti, non con la Francia per la recente separazione che questa gli ha imposto. Potrebbe essere con l’Austria — quindi contro l’Italia — perchè è la nazione che rappresenta più fedelmente nelle sue crepe la debolezza dell’organismo politico ecclesiastico, ma l'Austria nel conflitto attuale ha una parte in secondo ordine ed una posizione così poco chiara che non è da supporsi l’abilita di-ÍSomatica del Vaticano voglia votarsi al allimento con tanta probabilità.
Può essere il papa con la Germania? Manteniamo la questione nei suoi limiti essenzialmente politici. Il papa può volere un contatto con uno Stato non soltanto in quanto si ritiene un potere autonomo di uguale valore politico, ma in Sjanto — è la concezione di Bonifacio Vili le è restata a maturare tutta la storia del papato — crede di avere un elemento che gli permette d’essere anche politica-mente al disopra d’ogni altro Stato. Quello Stato quindi che vuole essere d’accordo con esso deve rinunciare alla sua integrità. Ora là concezione dello Stato che hanno i tedeschi — dico quelli che hanno spinta la Germania in guerra — permette un accordo col potere politico del papato? Apriamo il volume di Enrico von Treit-schkc intitolato Polilik. Lo Stato è aú-ápzT); nel senso che i filosofi greci davano a questa parola; esso deve bastare compieta-mente a se stesso, non ha e non deve avere bisogno che di sè per essere e mantenersi: è assoluto. Fatta unicamente per comandare, la sua volontà non deve ubbidire che a se stesso. «Sopra di me, diceva Gustavo Adolfo, non riconosco nessuno, fuorché Iddio e la spada del vincitore ».
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Queste fiere parole, scrive il Treitschke, s’adattano perfettamente allo Stato. E nell’essenza stessa dello Stato di non ammettere nessuna forza sopra di sè (Das Wesen des Staates besteht darin, dass er Keine höhere Gewalt über sich dulden kann. Politik, I, p. 37). Quali conseguenze debbano derivare da tale idea assolutista dello Stato è facile arguire c la storia di oggi ce l’insegna. Ma ai miei fini basta accennarne alcune con le parole stesse del Treitschke. Der Staat ist Macht: lo Stato è potenza e quelli che non sono potenti, che non si possono difendere e mantenere con le loro forze sole, non sono veri Stati, perchè devono la loro vita alle grandi Potenze che li tollerano e la loro sovranità non è e non può essere che di nome. Sono perciò destinati a sparire. E l’individuo
quali rapporti dovrà mantenere non soltanto verso lo Stato, ma verso se stesso? « L’individuo, ha l’obbligo di sacrificarsi a una delle collettività da cui dipende. Di tutte le collettività umane, lo Stato è la più alta. Non c’è, quindi, per lui il dovere cristiano di sacrificarsi ad un fine più elevato, perchè in tutto il corso della storia universale non si trova niente al disopra dello Stato » {Politik, I, p. 100)'
Dopo queste citazioni io ripresento la domanda: può il papa essere con la Germania? La risposta non è difficile: evidentemente no. Allora?... non credo dover andare più oltre ed esaminare quale potrebbe .essere la sua posizione. Ma la questione dal punto di vista storico, va posta, secondo me, così.
Ferruccio Rubbiani.
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IL CRISTIANESIMO IN GERMANIA DURANTE LA GUERRA
Sotto questo titolo, la « Constructivo Quarterly » ha raccolto brani delle lettere inviate nei primi mesi di quest’anno dal prof. Adolfo Deissmann, dell’università di Berlino, a’ suoi antichi scolari ed amici, nelle quali l’insigne professore di critica biblica ha fornito interessanti ragguagli sui cambiamenti prodotti dalla guerra nella vita religiosa e nello spirito della Germania.
Dalla raccolta stralciamo alcuni brani e giudizi, riassumendo all’occorrenza.
Dopo avere osservato che il risveglio religioso per cui la Germania sta passando è comune anche alla Francia, ed a paesi neutrali come la Svezia e la Svizzera, e dopo aver deplorato « la rottura dei rapporti cristiani fra la Germania e l’Inghilterra, a cui si lavorava da più anni con tanta fiducia», egli fa notare, che « la guerra ha fornito una specie di sostituto a questa perdita dell’armonia fra nazioni, sviluppando maggiormente il senso della fratellanza cristiana fra i membri della nazione stessa; non solo tra i vari corpi delle chiese evangeliche tedesche, ma anche fra Cattolici e Protestanti ». E soggiunge: « Nel suo insieme, la scossa religiosa che la nazione ha provato è forse senza precedenti. Il numero di coloro la cui religiosità ha, individualmente, sofferto dallo spettacolo della guerra non può essere seriamente paragonato al numero stragrande di quelli che dallo stesso spettacolo hanno ricevuto una spinta su in alto. Mai per l'innanzi la pietà individuale aveva dimostrato maggiormente la sua efficacia sociale, nell’armata e nel paese. Noi giamo ora diventati tutta una grande repubblica di anime religiose: sia nelle chiese dei villaggi, dove le masse dei contadini si stringono a pregare pei loro soldati; sia sui campi di battaglia, dove giovani volontari, ex-studenti di teologia predicano a cielo aperto ai loro camerati; sia nel “ Domo ” (a Berlino) dove il prediAthenacum. Studi periodici di letteratura e storia. Pavia, anno IV, fase. I, gennaio 1916. - Carlo Pascal: « Doctus Ca-tullus •- Massimo Lenchantin: « L’epitaffio di Florenzio » -F. C. Wick: « Di un indizio circa la cronologia del Dialogo degli Oratori » - Anna Fumagalli: «L’umanesimo belga»-Arturo Pascal: « Margherita di Foix ed i Valdesi di Paesana » - Ernesto Buonaiuti: « Il culto d’Iside a Roma e la data del-V Ottavio » - Carlo Pascal: « Proposizioni parentetiche» - ecc.
Atene e Roma. Firenze, anno XIX, n. 205-206, gennaio-febbraio 1916. - Vincenzo Us-sani: « Orazio e la filosofia popolare »- Umberto Moricca: « Quinto Orazio Fiacco » - Recensioni - Atti della Società -Libri ricevuti in dono - Necrologio.
Rivista Storica Italiana. Torino, anno XXXIII, 4° s., volume Vili, fase. I, gennaio-marzo 1916. - Recensioni e note bibliografiche - Storia generale - Età preromana e romana - Alto medio evo - Basso medioevo - Tempi moderni - Rivoluzione francese - Risorgimento italiano - Spoglio dei Periodici (51), con riassunto di 360 articoli di Storia Ital. -Elenco di 124 recenti pubblicazioni di storia ital. - Notizie e comunicazioni.
Rivista di Scienza delle Religioni. Roma, anno I, fase, 1, Iennaio-febbraio 1916. - N.
urchi: « La nuova tavola ar-valica » - P. Vannutelli: • I testi greci di Tobia sono versioni dall’ebraico? » - E. Buonaiuti: « Instanzio o Priscilliano? » -B. Motzo: « llrsXjaatz« (per la storia del Canone del V. T.) » -Bollettini: x° R. Pettazzoni: « Scienza^delle Religioni » - 2®
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R. Pettazzoni: « Le Religioni dei popoli primitivi » - Recensioni.
Bessarione. Roma, anno XIX, fase. 133-«341 fase- 3°-40, luglio-dicembre 1915. - Marini Mons. Niccolò: « Il Primato di S. Pietro e de' suoi successori in S. Giovanni Crisostomo ■ - Mercati Mons. Giovanni: « Blemmidea » sulla data delle epitome physica e logica di Niceforo Blemmida » - Festa Prof. Nicola: « Niceta di Maronea - De Spiritus Sancti processione . liber quartus»-Cognasso Prof. Francesco: « Un 3oratore bizantino della de-mza: Isacco II Angelo »-Sfair Pietro Giraud: « Il nome e l’epoca di un antico scrittore siriaco • - Facchini Mons. Domenico: « S. Ignazio Martire. Vita, lettere e atti del martirio » - Pesenti Prof. Giovanni: « I nuovi frammenti della melica lesbica e la lirica latina del secolo aureo » -» Cattan Professore Basilio: « Nell’Arabia Antica: La donna nella famiglia' e nella società » - Giambattista (P.) di S. Lorenzo: «Cronaca levantina » - Idem: « Rivista della stampa ortodossa ■ - Bibliografia - Libri pervenuti alla Direzione.
Nuovo Ballettino di Archeologia Cristiana. Roma, anno XXII, n. 1-2, 1916. - O. Ma-rucchi: « Le recenti scoperte presso la Basilica di S. Sebastiano » - G. Schneider - Graziosi: « Recenti esplorazioni ed indagini in alcuni cimiteri cristiani di Roma » - O. Maruc-chi: « Una singolare scena di simbolismo dommatico sopra un marmo del Cimitero di Do-mitilla » - Notizie.
Rivista Internazionale di Scienze sociali e discipline ausiliario. Roma, anno XXIV, voi. LXX, fase. CCLXXVII, 31 gennaio 1916.- P. C. Ri-naudo: « Il Belgio e un gocatore di Corte, dott. Dryander porta a migliaia di uditori il suo messaggio del Vangelo della Forza e della Fiducia. Di Forza e di Fiducia: le antiche ed eroiche forze latenti della fede cristiana hanno ora irrotto, in cospetto della guerra, attraverso le forme esterne della pietà convenzionale, e sono divenute parte della vita cosciente della chiesa e degli individui credenti. La grande verità, che il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo è non solo il Principe di Pace ma anche la Potenza di Dio, e che egli si sacrificò volenteroso pei suoi fratelli e vittoriosamente vinse la morte, è ora una sorgente di forza per la nazione combattente. La guerra ha non solo suscitato la vita religiosa del paese, ma l’ha fortificata; ha spazzato via le bacchettonerie e i compiacimenti spirituali, e formato uomini di tempre salde, simili ai nostri padri delle età eroiche, che espressero la loro fede in Dio senza convenzionalismi, e nella freschezza di una salda vita interiore, fermamente impiantarono i loro piedi sulla roccia dei secoli ».
E in un’altra lettera: « Il grande risveglio d’interesse religioso causato dalla guerra, fa sì che, come un gran numero dei nostri ministri mi ha confessato, al presente, esercitare l’ufficio di pastore è una vera gioia. Il desiderio ardente di udire la parola di Dio e di sentire il vincolo dell’amore fraterno, ha fatto sorgere un gran numero di nuove organizzazioni nelle nostre congregazioni, e ha dato origine a un nuovo tipo di « servizio religioso », quello delle adunanze di preghiera a favore dei nostri soldati e di tutto il paese. Nelle grandi città come nei distretti rurali, ?! popolo si raccoglie nelle sere dei giorni di lavoro nelle Chiese e in sale pubbliche, e prega, e canta inni e ascolta spesso un breve discorso di occasione. Nelle campagne, queste ore di preghiera e di raccolta pietà hanno luogo spesso al mezzodì; e uomini e donne vengono alla chiesa nei loro abiti di lavoro, ma con non minore devozione, e poi tornano alle loro faccende con forza rinnovata e col nuovo coraggio che viene dall’essersi associati nella preghiera... Anche in Berlino queste ore di preghiera per l’armata e per la nazione hanno una parte importante nella vita cittadina: ed è un fenomeno commovente quello dell’appello profondo di una campana che risuona la sera all’improvviso di mezzo e sopra al trambusto della circolazione di qualche via principale, e attrae una folla sì numerosa, che se si vuole assicurarsi un posto è necessario trovarsi nella chiesa lungo tempo prima ».
Il prof. Deissmann menziona anche associazioni di dame per apportare conforto e sollievo a donne i cui mariti e figli sono alla guerra; e in qualche parrocchia, si ha il caso di intiere comunità che han voluto quotarsi Ser « assicurare » la vita dei loro membri combattenti.
si domanda: « Non è questa una manifestaziane di genuina solidarietà cristiana? È ancora la vecchia « Koi-nonia » (communismo) degli Atti degli Apostoli che in forma ammodernata celebra nuovi trionfi... Altrove, parlando degli scambi di cortesie che anche le nazioni
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belligeranti si rendono in persona dei prigionieri di guerra, egli protesta: « In Germania, noi tendiamo l’orecchio con uno sforzo speciale, pure in mezzo a questa terribile guerra, verso tutto quello che fa vibrare il profondo dell’anima della nazione nostra vicina (la Francia) verso la quale noi, quasi senza eccezione, non proviamo amarezza alcuna... Io stesso lessi recentemente la lettera che la moglie di un pastore francese scriveva a una famiglia di Berlino, al figlio della quale, ferito mortalmente, aveva prodigato la più squisita assistenza spirituale. È un vero documento di sentimenti umani e di amor fraterno cristiano. Ma posso assicurarvi che anche tra noi, i feriti delle nazioni nemiche trovano cure amorevoli e assistenza fedele... La mia esperienza ha rafforzato il mio convincimento che neppure la guerra è riuscita a sradicare tutte le tracce di sentimenti di fratellanza cristiana ».
In altra lettera, il Deissmann parla dell’effetto prodotto dal risveglio religioso delle popolazioni, nella classe dei ministri evangelici, e cita, al proposito, la testimonianza del suo cugino, cappellano volontario nell’armata, il quale « si sente incapace di descrivere le esperienze grandiose e ispiratrici del suo lavoro, e desidera che chiunque, nella Chiesa, si senta penetrare da sentimenti pessimistici, possa metter piede nel suo campo di lavoro, e sentire la riconoscenza con cui i soldati ricambiano qualunque parola di consolazione loro arrecata: ogni pessimismo svanirebbe allora all’istante ». Ed egli commenta: « Certo, non vorrei esagerare, giacché so bene che una gran parte di questa tensione psichica provocata dalla guerra si riassorbirà quando la pace sarà ristabilita. Tuttavia, non posso credere che impressioni sì solennemente radicatesi nell’animo dei nostri pastori e « leaders » religiosi durante la guerra potranno mai svanire: e perciò, io ho la ferma convinzione che i prossimi cinquant’anni mostreranno tracce evidenti di questo innalzamento delle nostre forze spirituali ». In una lettera di febbraio 1915 il Deissmann, dopo avere additato fra i sintomi sensibili dell’ispirazione religiosa suscitata dalla guerra il numero di ben un milione e mezzo di nuovi inni patriottico-religiosi stampati nei soli primi mesi della guerra, e la « mobilitazione della musica, specie sacra », osserva che se è inevitabile che dopo la guerra segua un rilasciamento di tensione, è pur necessario prendere fin da ora tutti i provvedimenti perchè le nuove forze entrate in azione proseguano ad essere attive in regime di pace. E dà notizia di un imponente congresso che ebbe luogo a Berlino nel febbraio 1915, in cui il clero protestante della capitale si propose appunto questo problema, specie riguardo ai nuovi rapporti fra Chiesa e Stato, alla soluzione che la Chiesa dovrà dare alla questione sociale, e all’atteggiamento che la Chiesa dovrà prendere verso il socialismo. ■ Quest’ultima questione è per me la più importante di tutte. La guerra ha dimostrato che anche in mezzo a questa imponente organizzazionepolitica che, in tempo di pace, appariva spesso ostile alla religione, albergano sentimenti insieme di
verno trentennale » - Annibaie Giraldoni: « L’eversione delle Opere Pie Dotali » - Romeo Vuoli: « L'intervento degli enti pubblici nella delimitazione dei prezzi dei generi di prima necessità » - Ugo Guida: • Super-Suadagni differenziali » - Sunto elle Riviste - Esame d’opere - Note bibliografiche - Cronaca sociale - Documenti.
Rivista di Filosofia. Torino, anno Vili, fase. I, gennaio-febbraio 1916. - R. Ardigò: « La filosofia vagabonda »-A. Pastore: « Il compito della Filosofia nel rinnovamento degli ideali della patria » - G. Sal-vadori: « Il valore della vita » -N. Centolani: « Il problema sessuale nell’educazione » - A. Marucci: « L’insegnamento della pedagogia » - M. Maresca: « Per una storia del concetto dell’educazione » - R. Savelli: * Intorno alla positività del diritto » - Necrologio - Recensioni - Notizie, ecc.
La nostra Scuola. Milano, anno III, n. 4, 15 gennaio 1916. - Giulio Vitali: « Scuola e Religione » - Giov. Modugno, N. Terzaghi, V. Cento, a. c.: ’■1 Scuola Nazionale » - Pensieri - Faria del Vasconcellos: « L’insegnamento della geografia in una "Scuola nuova,,»-G. Vitali: < Note sull’educazione morale in Inghilterra » — E. D. M.: ■ La scuola a Trieste » - ecc.
Eco della Cultura. Napoli, anno III, fase. I, 30 gennaio 19x6. - D. Bosurgi: « Studi storici d’arte italiana. Leonardo da Vinci » - N. Busetto: « Sulla soglia di un’epoca nuova » -G. Ravennani: « Passi notturni » - G. Miranda: « Il linguaggio degli animali » - Recensioni - Figure scomparse.
Il Rogo. Rassegna di moralità. Roma, anno XII, n. 8-12, 31 dicembre 1915. - La campagna antipornografica - e. m.r
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« Eugenio Vaina » - E. Vaina: «Il vigliacco »- e, m.: «Mazzini e la pornografia » - E. Vaina: «La messa al campo » -Mario Quercesi: « Spigolando fra le adesioni » - H. Wilson: « Le cause della prostituzione >• - Fatti e commenti.
Fede e Vita. Anno Vili, n. i, gennaio-febbraio 1916. -Mario Falchi: « L’irrevocabile ma non l’irreparabile » - Paul Sabatier: «Lettres d’un Français à un Italien » - L. Giulio Benso: « Due bellissime conferenze » - Il giorno di pre-Shiera della Federazione moniale degli studenti - Vita della Federazione - Levi Tron: « Risposta ad ardui problemi • -M. Falchi: « La sanguinosa gestazione d’una nuova civiltà « - A. H. Fried: « Dodici verità ■ -S. Mastrogiovanni: «L’esitodi un nostro Concorso » - ecc.
Vita e pensiero. Milano, anno II, fase. I, 20 gennaio 1916 -A. Gemelli: ■ Il nostro pro-Sramma e la nostra vita » -[ario Brusadelli: « Paralogismi popolari in tempo di guerra » - F. Meda: « LI divorzio dei ricchi • - A. Cuschieri: « La Rivoluzione Francese e il problema del male nella storia » -E. Vercesi' « La conversione del nipote di Renan »- G. Gron-dona: « Auguste Rodin » (con illustrazioni) - F. Olgiati: « Il card. Mercier e l’Università di Lovanio » - ecc.
La Ritorma Italiana. Firenze, anno V. n. 1, 15 gennaio 1916. - P. Orano: « La Stetra del paragone politico • -:. Murri: •• Ancora dei mistici del neutralismo » - J. E. Car-penter: « La religione comparata e il pensiero moderno » -G. Conte: « La nostra fede » -Monna Lisa: « Idealismo e praticità nella educazione della gioventù » - L. Giulio Benso; « Corriere Femminile » - ecc.
caldo patriottismo e di elevata religiosità... Starà alla Chiesa di prendersi cura materna di questi fedeli cittadini; sia ora sui campi di battaglia, sia dipoi, con la stessa misura di fiducia e di amore che mostra agli altri con nazionali......
Nell’aprile 1915 scriveva con speciale soddisfazióne: « L’effetto conciliativo di questo generale risveglio spirituale sulla situazione interna della Chiesa si è mostrato tangibilmente in un risultato tanto più encomiabile in quanto è avvenuto sul difficile terreno di Berlino stesso ». E il felice risultato non è altro che l'accordo conchiuso fra le tre sezioni del protestantesimo tedesco, di soprassedere per quest’anno e per l’anno seguente tutte le contese e le animosità che generalmente accompagnano le elezioni ecclesiastiche, deferendo qualunque questione che, ciò non ostante potesse sorgere, ad una corte arbitrale nominata a tale scopo. Quindi fa seguire un’altra non meno importante e sintomatica dichiarazione riguardante i rapporti fra Protestanti e Cattolici. « La gran guerra ci ha arrecato la pace fra le diverse denominazioni religiose: e noi la manterremo lealmente, e vigileremo, per il supremo vantaggio della nostra esagitata patria ».
Due lettere di aprile sono importanti per la luce che gettano sullo spirito di « amore pei nemici » che non ha disertato il cristianesimo neppure in Germania.
• Non ostante che i sentimenti dei Tedeschi verso gl’inglesi siano aumentati d’amarezza dal principio della guerra, noi non abbiamo dimenticato, che qualunque sia la terribile asprezza del conflitto che infuria, l’odio non deve prevalere, e già eminenti «leaders» della Germania hanno levato la voce contro questo atteggiamento. In tale riguardo è sommamente interessante il discorso tenuto recentemente dal Soprainten-dente Generale del Sinodo di Berlino, dott. Friedrich Lahusen, sul tema: « La quinta Petizione del Pater Noster, e l’Inghilterra », di cui furono poi vendute più migliaia di copie: una di esse vi invio quale prezioso contributo alio sviluppo di un’intesa più cordiale tra nazioni cristiane in questi giorni di tribolazione ».
« Sembra che l’odio contenga qualche elemento di forza ■ — disse nel suo discorso il Dott. Lahusen — « ma in realtà, esso è pura debolezza... Abbandonandoci all’odio, noi perdiamo Dio; Dio non si trova nell’odio. Non è possibile possedere Dio, se allo stesso tempo manifestate sentimenti farisaici di auto-compiacenza della propria giustizia, gettando la colpa solo sopra il nemico... Odiamo pure le potenze sataniche della su-Serbia e dell'egoismo, del tradimento e della crudeltà, ella falsità e dell’ipocrisia... ma non odiamo l’uomo. Noi combattiamo al servizio di Dio... »
Nella seconda lettera, il Deissmann, rispondendo ad un amico die gli chiedeva con una prova che anche in Germania, come in Inghilterra, sussiste lo spirito di carità e di perdono verso i nemici, cita alcuni punti di un discorso funebre tenuto dal diacono Weyrich sulla tomba di un soldato inglese deceduto all’ospedale militare di Weimar: « L’individuo, a qualunque
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nazione egli appartenga, è nostro amico e fratello in Cristo. Quello che l’odio dell’uomo, c le sue imperfezioni dilacerano, il nostro Dio riunisce di nuovo... Anche a questo nostro fratello cristiano si riferiscono le parole del nostro Maestro: Tutto ciò che il Padre mi affida verrà a me; e colui che a me viene, io non lo rigetterò mai!... colui che impegna la sua vita nel fedele adempimento del suo dovere per servire la sua patria e la sua gente — egli appartiene a Dio... Così un valoroso soldato del campo nemico, che con fedeltà ha sostenuto il cimento, può conquistare il nostro rispetto, e servirci da modello nel nostro viaggio della vita ». E commenta: « E solo questo spirito che contiene la promessa di agire in modo ricostruttivo durante un periodo di sì orribile distruzione ».
Come conclusione delle lettere del. Deissmann si può citare un passo ch’egli stesso riporta dal libro recente di un professore cattolico, il Pfeilschifter, su • Religione e religioni nella presente guerra mondiale ». « Se anche le varie religioni e i diversi credi nei loro rapporti reciproci compiono qualche parte nella guerra presente, sotto nessun riguardo esse hanno fornito i motivi della sua origine. Di nessuna nazione, neppure della Turchia, si può dire che conduca una guerra religiosa. L'uguaglianza di religioni o di credi ha agito tanto poco nel senso di cementare le nazioni, quanto le differenze religiose hanno agito nel senso di separarle. Non si può più parlare di solidarietà delle nazioni cristiane d’Europa, nò contrapporle alle nazioni idolatre dell'Asia e dell’Africa. Dappertutto però, sia presso i soldati sul fronte sia presso i non combattenti nel paese, la religione occupa un posto importante come esperienza interna, nella vita giornaliera.
Dobbiamo però ben guardarci dal trarre conclusioni affrettate, dalle presenti condizioni di cose, e dal parlare di rigenerazione religiósa dell’intiera nazione tedesca. Noi speriamo che ciò avverrà nel futuro, ma per ora non se ne parla ancora. Sarebbe fatale che noi scambiassimo quest'alto livello di straordinario, di eroico, di entusiastico, nella nostra vita religiosa, con una rinascita religiosa. Quest’alta tensione di sentimenti religiosi durante la guerra, non può durare, la nostra vita religiosa tornerà al suo stato normale non appena l’amara lotta verrà a terminare. Prima d’allora, non è possibile sapere quanto noi siamo cresciuti nella vera fede cristiana, e nelle virtù tranquille ma durature della morale cristiana... »
E interessante ravvicinare a questa visione del Cristianesimo in Germania durante la guerra alcune voci, anzi urli, di angoscia e di terrore spirituale che si sollevano dalle trincee tedesche, raccolte da Ro-main Rolland sul «Journal de Genève », sotto il titolo ■ Le Meurtre des élites ».
II poeta luogotenente degli ulani Fritz von Unrich fa così apostrofare un ulano inginocchiato e posseduto
La Nuova Riforma. Napoli-anno IV, fase. I, gennaio-feb, braio 1916. - R. Valerio: « Un colpo inaspettato »- P. Zama: « La donna nella vita » - M. Cesario: « La filosofia religiosa di Carlo Renouvier » - E. Ul-lern: « Alcuni pensieri su la rreghiera » - Pagine scelte -periodici - Note bibliografiche, ecc.
Luce e ombra. Roma, anno XVI, fase. I, 31 gennaio 1916. - F. Zingaropoli: « Disintegrazione della personalità » - G. Morelli: « Lo spirito di Cavour vigila sull’Italia! »-L. Granone: « Spiritismo e Tradizioni iniziatiche » - S. Farina «Misteri di anime »-A. Bo-neschi-Ceccoli: «Telepatia tra viventi » - E. Lucci: « Piccole sedute con Eusapia Palladino, ecc.
Bollettino della Società Teosofica- Italiana. Genova, anno X, fase. I, gennaio 19x6. -Ruth: « La Patria » - W. H. K. « La Fratellanza e la Pace » -A. Besant: « La Fratellanza delle Religioni » - Notizie.
Voci amiche. Milano, anno VI, n. 1, 31 gennaio 1916. -Il dovere della serenità - Primavera 1915 - Parole profonde - Silenzio - Da « La legge » -Con occhi di fede - Pedagogia d'amore - L’autorità dei genitori - Lettere di guerra - Cuori di bimbi - Cuori di soldati -Salviamo il fanciullo - Tra libri e riviste - Conversazione.
Il Nuovo Convito. Roma, anno I, n. 1, gennaio 1916.-Maria del Vasto Celano: « Ai lettori » - G. Sergi: < La Cultura germanica » - Edwin Cerio: « L’Utopia di Roosevelt » -Luisa Minelli: « Vegliando » -Guido Zuffelato: « Hennen An-glada y Camarasa » - Margherita Lupati Manca: « Drammi della vita » - Commenti conviviali - Illustrazioni di: T. Pa-
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tini - G. Speliani - N. Bordi-gnon - C. rollini - V. Alican-dri - A. Rossetti - E. Gignous - V. Bonanni.
Conferenze e Prolusioni. Roma, anno IX, n. i, i° gennaio 1916. - Un’altra affermazione dì Paolo Boselli - Achille Loria: « La scienza delia pietà » -Paolo Boselli: « L’ordine Costantiniano e l’ordine Mauri-ziano»- J-. Siegfried: «La guerra e l’ufficio della donna », ecc.
— N. 2, 16 gennaio 1916. -Giov. Rosadi: « Il doveroso nazionalismo dell’arte ».
Revue de Théologie et de questions religieuses. Montauban, anno XXIV, n. 2, agosto-ottobre 1915. - Henri Bois: • La guerre et les historiens de l’Allemagne » (suite et fin) -E. Doumergue: « L’empire de la Kultur » - L. Maury: • La guerre et l’économie politique».
Revue Chrétienne. Paris, anno LXIII, gennaio-febbraio 1916. - E. Monod: « Lettres del jeunesse d’Ed. de Près-sensé à Jean Monod » - L. Luz-zatti: « La patrie d’abord, l’humanité ensuite » - X: ■ Mémoire sur la situation religieuse en France» - Mlle Dutoit: «Du-panloup éducateur »-U. Draus-sin: «Un chef» - Ch. Brus-ton: « Le sens du ’Faust, de Goethe » - J. Segond: « L’amitié franciscaine et la guerre mondiale » - G. Boutelleau: « Sonnets de guerre » - G. Bo-net-Maury: » Ce qu’ils disent. Un manuel d’exhortation du soldat allemand » - ecc.
Foi et Vie. Paris, anno XIX, n. 1, 1 gennaio 1916.-Cahier A. - P. Doumergue: « Au-dessus de tout ou au-dessous de tout»-D. Parodi: «Le principe des nationalités » - E. Doumergue: «Propos de guerre» - Véga: « L’Allemagne contre l'Europe » - H. Bois: « Le Canada et la guerre ».
dall’orrore, nel mezzo di massacri: O tu che doni la vita e che la togli, come ti riconoscerò io? In queste trincee gremite di cadaveri mutilati, io non ti ritrovo. Il grido straziante di queste migliaia di vittime soffocate dalle strette della morte, non penetra forse fino a te? O esso si perde negli spazi gelidi? Per chi mai rifiorisce la tua primavera? Per chi si prodiga lo splendore dei tuoi soli? Oh! per chi mai, mio Dio? Io te lo domando in nome di tutti quelli a cui il coraggio e la paura chiudono la bocca innanzi agli orrori di queste tenebre... Questo massacro può, esso, essere la tua volontà? È esso la tua volontà? • E nell’epistolario del prof. Albert Klein ucciso in Champagne, leggiamo: .... « Appunto perchè l’eroismo nella vita è si raro, si dispregia fin dai primi anni della scuola una tale rassegna di motivi religiosi, di poesia, di argomenti, per esaltare e cantare la morte per la patria come la sorte più alta che possa toccare all’uomo, fino a che sia raggiunto quel livello di falso eroismo che fa tanto chiasso attorno a noi sui giornali e nei discorsi, e che costa sì poco... — ed anche in alcuni pochi individui, quell’eroismo vero che li fa esporsi e che trascina gli altri... — ah caro amico! Chi si trova qui non può parlare con tanta facilità di morire, di passare all’altra vita, di sacrifizio e di vittorie, come lo fanno coloro che dietro a noi suonano le campane a distesa, declamano i loro discorsi, scrivono articoli sui giornali. Chi si trova qui, si adatta come meglio può all’amara necessità del dolore e della morte, se questa è la sua sorte; ma esso sa bene e vede che nobili sacrifizi, innumerevoli sacrifizi sono già stati compiuti, e che di distruzione se ne è . fatta già abbastanza, da lungo tempo. Quando uno è costretto, come lo sono io, a guardare in" faccia continuamente il dolore, allora si stabilisce un legame che unisce con quelli laggiù, dall’altra parte.... Se ritornerò mai di qui, (e non ne ho quasi più speranza), il mio dovere più caro sarà quello di immergermi nello studio del pensiero di coloro che sono stati nostri nemici... lersera sono rimasto stranamente commosso, dopo aver lungamente conversato con un prigioniero francese, professore di filologia antica. Discutemmo a lungo su di un’opera di Rousseau... Quanto ci rassomigliamo in forza e in valore! Possibile che siamo talmente fatti per essere amici, e che dobbiamo invece essere talmente separati!... Io mi sentii tutto rimescolato: mi sedetti come annichilito, e meditai, e meditai: e con tutti i sofismi, non son riuscito a riconciliarmi con la situazione. Non finirà mai dunque, non finirà mai questa guerra che da tanti mesi inghiottisce nel suo abisso uomini, tesori e felicità? E questo sentimento è lo stesso sia presso noi che presso gli altri... E sempre lo stesso quadro: noi facciamo le stesse cose, noi soffriamo le stesse cose, noi siamo la stessa cosa : ed è appunto per questo che noi siamo sì atroci nemici..»
Gli stessi accenti d’angoscia e di desolazione, ma con spasimi di disperazione che talora bussano alla porta del conforto religioso a invocare dal profondo
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pietà, si ritrovano tra le lettere di un altro soldato tedesco a’ un professore della Svizzera tedesca.
« Tutti noi, anche coloro che furono più entusiasti Ìer la guerra, oggi altro non desiderano che la pace...
la nostra anima che soffre... Non posso dirvi quanto sia enorme quello che soffro... Che cosa sono tutti i disagi della guerra in confronto ai pensieri che ci assediano notte e giorno? Quando mi trovo su di una collina da cui la vista domina tutta la pianura, ecco qual’è l’idea che mi tortura senza tregua: laggiù, nella vallata, la guerra infuria: quelle linee fosche che solcano tutto il paesaggio sono ripiene di uomini che si trovano faccia a faccia in qualità di nemici. E là in alto, sulla collina dirimpetto, vi è forse un altro uomo che come te, sta contemplando i boschi, il cielo azzurro, e che forse sta ruminando le stesse idee che te, suo nemico! Questa continua vicinanza, l’uno di fronte all’altro, è cosa da renderci pazzi. Si è tentati d’invidiare quei nostri camerati che riescono ad ammazzare il tempo dormendo, giocando alle carte... I giornali scrivono che si riesce con difficoltà a temperare l’ardore dei combattenti. Essi mentono, — coscientemente e incoscientemente. I nostri pastori si affaticano, nelle loro prediche, a sfatare la leggenda che pretende che l’ardore bellico è in ribasso, voi non potete immaginare come restiamo indignati di questa gazzarra. Quanto farebbero meglio a starsene zitti, e non parlare di cose di cui non possono saper nulla! O piuttosto, che essi vengano pure avanti, ma non da cappellani che se ne stanno al sicuro, bensì sulla linea del fuoco, con le rmi in mano. Allora forse si accorgeranno della trasformazione interna che si compie in un numero stragrande di soldati... Essi parlano di « guerra santa ». Ma quanto a me, io non conosco guerre sante: una guerra sola conosco, quella che è la somma di tutto ciò che è disumano, empio, bestiale nell’uomo» c che è un castigo di Dio, e un appello alla contrizione per il popolo che vi si getta entro o vi si lascia trascinare. Dio fa passare gli uomini attraverso questo inferno, acciò imparino ad amare il Cielo. Quanto al popolo tedesco, questa guerra mi sembra un castigo, e un appello alla contrizione — in primo luogo per la nostra Chiesa tedesca.
... Alcuni miei amici soffrono di non poter fare cosa alcuna per la patria. Che restino in casa e con la coscienza ben tranquilla. Tutto dipenderà dalla loro opera pacifista. Quanto agli entusiasti per la guerra, cne essi vengano pure qui. Forse, impareranno a tacere.....
Romain Rolland sparge sulle tombe di questi « élites • la parola della speranza... «Noi faremo sì che queste sofferenze mortali non vadano perdute, che la co; scienza dell’umanità ascolti e raccolga questi strazi di anime in pena, di anime nobili costrette a deformarsi, a suicidarsi. Che essa gridi più alto delle vittorie, e che la storia faccia giustizia dei carnefici dei loro popoli ».
—- Cahier B. - Joseph-Barthélémy: « La guerre maritime et le droit des gens »-Ecole pratique de service social.
— N. 2, i6 gennaio 1916. -Cahier A. - P. Doumergue: « Nous nous connaissons mieux nous même » - H. B.: « Soleil d’orient, lumière de Grèce »-Paul Hunziker: « A propos des Alsaciens-Lorrains » - E. Doumergue: « Propos de guerre ».
— Cahier B. - E. Denis: « La Serbie héroïque ».
Record of Christian Work. Northfield, vol. XXXV, n. 1, gennaio 1916. - J. Mc. Dowell: « The Faith for to-day » -F. M. Boyce: « The romance of an industrial mission » -W. C. Allen: «Oriental missions and the war »; ecc.
The Biblical World. Chicago, vol. XLVII, n. 1, gen-gaio 1916. - Editorial: « The glory of the minestry » - T. Gerald Soaeres: «The study of religious education » - Gilbert Reid: « A Christian’s appreciation of Buddism »-George Cross: «The attitude of the modern theologian toward Jesus Christ»-J. Wright Buckham: « Good-will versus non-resistance » - Clyde Weber Vo-taw: «The ethical teaching of Jesus IV » - Herbert L. Willett: « The religious and social ideals of Israel. IV ».
The Princeton Theological Review. Vol. XIV, n. I, gennaio 1916.- Geerhardus Vos: «Hebrews, the Epistle of the Dia-theke» - Robert E. Speer: «Points of contact with Christianity in the heresies of Siamese Buddhism »-Francis L. Patton: « A theological Seminary » - J. Ross Stevenson: « Theological education in the light of present day demands » - W. L. Me Ewan: «The qualifications of a preacer » - J. Ritchie Smith: « The place of homiletics in
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the training of the minister ■ -Reviews of recent literature.
The*** Biblical Review (già The Bible Magazine). New York, vol. I, n. i, gennaio 1916. - Editorial: Introductory - Wilbert W. White: « The most important truth ever uttered upon earth » - L. Matthews Sweet: « Psychological factors in the structure of the Bible » - Robert E. Speer: « The person and the order >1 -Albert Clarke Wyckoff: « The biology of the church » - Richard Roberts: • A study and an application of our Lord’s temptation » - A. H. Tuttle: « The last Adam » - George H. Schodde: « The record and work of conservative Old Testament criticism » - Lonis Matthews Sweet: « Collateral readings on the International Sunday School Lessons » - Literary Reviews.
The American Journal of Theology. Chicago, vol. XX, n. 1, gennaio 1916. - Alfred Bertholet: « The pre-christian belief in the resurrection of the body » - Robert E. Hume: «Hinduism and war »-A. H. Lloyd: « Incarnation: an essay in three parts »-Arthur Clinton: « The logic of religion » -Carl S. Patton: « Miracles and modern preacher» - Recent theological literature: A layman’s commentary - The latest Hebrew dictionary - Recent patristic literature - A new edition of the apologist - Recent theological treatises - The search for salvation-Some problems of the church - Disturbing the church - Ritual and belief - Modern religious movements in India - Buddhistic psychology - Studies in Japanese confucianism - The encyclopaedia of religion and ethics.
The Hibbert Journal. Londra, vol. XIV. n. 2, gennaio
VOCI UMANE TEDESCHE
« I popoli delle nazioni belligeranti iniziarono la guerra presente senza sentimenti di odio » — scrive il Leipzi-ger Tageblall. — « Fu la politica senza scrupoli dei loro Governi che spronò le masse a furia verso là lotta: e fu la licenza della stampa che inondò gli spiriti col veleno di un odio universale e strappò a brandelli tutti i legami della civiltà. Chi può soffrire e pur concepire l’idea terrorizzante, che tutto questo possa continuare, che le nazioni siano guidate e il corso della storia sia determinato dal sentimento dell’odio ? »
E la Nette Freie Presse di Vienna scriveva nello scorso ottobre: « Se il risultato della guerra dovesse essere di produrre un odio inestinguibile, il mondo diverrebbe una bolgia infernale ».
Sulla Nette Zùrcher Zeilung, pure di ottobre, un articolista reduce da una visita alla Germania pure scriveva: « In Germania ho sentito alitare una speranza: la speranza che i vincoli fra nazioni potranno un giorno essere riallacciati, e che, a dispetto di tutte le difficoltà, il ristabilimento di rapporti cordiali avverrà con maggiore facilità e con minore lentezza di quello che noi al presente possiamo appena osare di sperare ».
Ad esse fa eco la voce di Romain Rolland, che in una lettera privata al noto pacifista Moscheles scriveva nello scorso decembre: «In mezzo a un diluvio di odii le anime nostre debbono emergere quali isole di pace, in cui altre anime che si dibattono tra i flutti, possano da ogni nazione venire a rifugiarsi ».
ANIMA TEDESCA
Nulla è più umanamente patetico ed insieme più rivelatore dei genuini sentimenti dei « Democratici Sociali » tedeschi combattenti che la lettera trovata indosso ad un soldato tedesco fatto prigioniero nella Champagne il 30 ottobre 1915, e appartenente al 140 di fanteria. Essa è una vera professione di fede, o piuttosto, di mancanza di fede. La riproduciamo testualmente dal Daily Chronicle del 17 decembre:
« Cari genitori, caro fratello, cara sorella,
« Io sono ancora sano, e spero sia lo stesso di voi. Ma nei giorni prossimi avverranno cose terribili, e chi sa se usciremo da essi sani e salvi ? Qui le cose non andranno mica così liscie come in Russia: lo possiamo di già prevedere. Perciò queste linee sono incaricate di portarvi il mio ultimo addio nel caso che il fato mi sia avverso. Il mio augurio è che voi possiate continuare a vivere per molti anni in buona salute ed in pace. Io non muoio già per quelle idee che eroi in pantofole chiamano amor di Patria: bensì io sarò un’altra vittima di quella deplorevole follia che si è impadronita di tutte le nazioni.
« Quante volte ho io sognato' un nuovo regno in cui
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tutte le nazioni sarebbero unite fraternamente, e non sussisterebbero più differenze di razza, un solo regno e una sola nazione, quale quella a cui i '* Democratici Sociali ” avevano preparato la strada durante la pace, ma che durante la guerra si è addimostrata, purtroppo, non ancora realizzabile!
«,La mia speranza era stata di divenire un « leader », del partito, il direttore di un grande giornale, di contribuire ad associare tutte le nazioni diverse in una comunità ideale. Questa è stata la mia aspirazione fin dalla prima gioventù, ed è in questo senso che io avevo formato la mia educazione. Ma ecco che si è scatenata questa terribile guerra, fomentata da poche persone che inviano i loro sudditi, o piuttosto i loro schiavi, sui campi si battaglia a scannarsi a vicenda come bruti : guerra, che ha subito una mostruosa degenerazione, giacché ora le armi principali nella lotta corpo a corpo sono le granate a mano, le mine» e, quel che è peggiore di tutto, le bombe asfissianti, i gas, la clorina.
« Quanto vorrei io farmi incontro a coloro che chiamano nostri nemici, e dir loro: "Fratelli, combattiamo pure insieme, il nemico è dietro a noi. „ Proprio: da quando ho indossato questa uniforme, non ho provato alcun sentimento di odio verso quelli che si trovano di fronte a noi, ma il mio odio è invece andato crescendo contro quelli che hanno il potere nelle loro mani.
« Noi Tedeschi desideriamo di essere a capo delle nazioni: bene: ma siamo noi più civili di quanto eravamo mille anni fa? Siamo noi che abbiamo inventato le armi più micidiali, siamo stati noi i primi ad iniziarci terribili attacchi per mezzo della clorina. È molto probabile che io non ritornerò dall’attacco imminente; ma tutti quelli che ne ritorneranno dovrebbero considerare come un dovere sacrosanto di vendicarsi sopra quel piccolo numero di persone che hanno sulla loro coscienza il peso di centinaia di vite umane ».
Indosso allo stesso soldato furono trovate due lettere a lui indirizzate l’una dal padre e l’altra da un amico socialista di Berlino. Nella seconda si leggono queste farole: « Per poter approvare il piano gigantesco del-Imperialismo germanico riguardo all’Oriente bisognerebbe esser disposti a suicidarsi allo scopo di raggiungere una vita migliore ».
LA DÉBÀCLE DEL CRISTIANESIMO?
Sull’Heroid ot Peace (VAraldo della Pace) di ottobre leggiamo in un articolo sulla «Débàcle del Cristianesimo»:
«... Noi dobbiamo protestare contro questo recentissimo modernismo che identifica la guerra col Cristianesimo come cosa santa e sacra. " Perchè mi chiamate Signore, Signore, e poi non fate quello che io dico?,. Questo rimprovero va rivolto a tanti che indossano la lorica di Cristo eppure sono arruolati al servizio degli interessi di Cesare. La Chiesa, cioè il Cristianesimo organizzato, si è posta a disposizione della politica in
1916. - Count Goblet D’Al-viella: « On some moral aspects and issues of the present war » - Frederick Pollock: < The " fi-5ht for right,, movement ». W. Diggle: « Against departmental religion » - A. S. Pringle-Pattison: « Mr. Balfour’s "theism and humanism,, »-Ch. A. Mercier: « Vitalism » - George T. Ladd: « The human mind versus the german mind » -M. E. Robinson: « The definite failure of Christianity, and how it might be retrieved » - W. Adams Brown: « Is Christianity practicable ? » - E. Armitage: « The incompetence of the mere scholar to interpret Christianity » - Ch. Hargrove: « The warlike context of the Gospels» - C. R. Ashbee: «Quality versus quantity as the standard of industry and life » -J. Y. Simpson: « Religion in Russia to-day » - R. H. Law: « Nationalism and cosmopolitanism » - Discussions, Surveys, and Signed Reviews.
The Expositor. London, anno XLII, gennaio 1916. - W. A. Curtis: «The new testament and its interpretation for our time: a definition of new testament criticism » Maurice Jones: «Dr. Kirsopp Lake on the 'Stewardship of thé faith, » - J. M. Thompson: «The composition of the fourth Gospel » - A. E. Garvie: «The judgment in the fourth Gospel » - W. Ernest Beet: «The map as an aid to the preaching of the old testament» - W. F. Lofthouse: «The mosaic codes and popular he-brew religion ».
Pubblicazioni pervenute alla Redazione
Opuscoli, Estratti, Libri.
Casa italiana delle Diaconesse in Torino, XIV<> Rapporto annuo, 1914-1915. Con
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WLYCBHIS
ritratto del compianto Direttore della casa: Pastore Davide Peyrot.
& & &
Charles Wagner : Vive la ¡•rance! Paris, Fischbacher, 1916. Pag. 16, cent. 20.
& & A
Charles Wagner : Mon âme a soij de Dieu. Paris, Fischbacher, 1916. Pag. 24, cent. 65.
AAA
John Viénot: Luther et l’Allemagne. Paris, Fischbacher 1916. Pag. 40, cent. 50.
Granduca Costantino Co-stantinowic: Il Re dei Giudei. Dramma in quattro atti e cinque quadri. Traduz. di Speranza Tiesenhausen; versi di Arturo Bonardi. Elegante volume di pag. 208.
A A A
Giovanni Costa: Ancora sulla • laudalio Turiae». Con una tavola (Estratto dal Bull, della Comm. arch. comun., fase. I, anno 1915). Roma, Loescher, 1916.
A A A
Pierre Preda: Quelques proverbes des langues romanes. Simple causerie. Livorno, 1912.
A A A
Pietro Preda: L’idea religiosa e civile di Dante. Milano, 1889.
MemmoCagiati: Supplemento all'opera « Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d’Angiò'a Vitt. Emanuele II». Napoli, X915.
A A A
Raffaele Ottolenghi: / Farisei antichi e moderni. Pubblicato a cura dell'Associazione
tutte le nazioni. Il vescovo Frodsham in un articolo intitolato "Guerrieri cristiani,, riferisce di un giovane minatore che, alle sue esortazioni in un pubblico comizio di reclutamento, rispose che egli non poteva arruolarsi perchè apparteneva a Cristo. La risposta, nella sostanza, era la stessa data da uno dei martiri primitivi. Ma il vescovo gli replicò: " Cristo die’ volentieri la sua vita per salvare gli altri ma voi sembra non siate pronto ad imitarlo,,. Ora può questo vescovo chiedere in buona fede che un uomo intelligente e sincero si persuada veramente, che se un uomo perde la propria vita nel tentativo di uccidere altri uomini, egli non fa che imitare il Cristo? È cosa che suscita l’indignazione. Eppure il vescovo soggiunge: "Colui che pur senza pretendere di essere persona religiosa si arruola, agisce come se appartenesse a Colui che ha detto: “ Non vi è amore maggiore di quello di chi offre la vita per i suoi amici „. E il vescovo Frodsham non è davvero isolato. Noi tutti ricordiamo che uno dei più solenni meetings di reclutamento fu quello tenuto in Ludgate Will dal vescovo di Londra il quale, dopo una processione da Charring Cross, volse un eloquente, forbito e fervidissimo appello all’"Anima dell’Inghilterra,,, che poi ha distribuito... per promuovere il sentimento religioso fra le trincee nelle Fiandre.
... Nelle altre Chiese non nazionali, le cose non vanno molto diversamente. Il Concilio Nazionale delle Chiese Libere era rappresentato, al principio della guerra, da un Presidente il quale, e non è un secreto per alcuno, traeva le sue risorse dalla manifattura delle munizioni, e scriveva articoli sui giornali per giustificare la guerra: mentre i suoi funzionari sono tra i più ardenti agenti di reclutamento. Lo stesso avviene nelle singole comunità cristiane. I pulpiti sono adibiti per la glorificazione della guerra, fino al punto che i fedeli ne restano nauseati e divengono molti di essi impazienti. Quei ministri poi che predicano un vangelo più savio e genuino sono spinti per reazione all’eccesso opposto e sono costretti ad abbandonare il pulpito ».
Il giornale Liverpool Daily Post riferiva testé con evidente rammarico : « I Nonconformisti (le Chiese Libere) erano ritenuti fino ad ora come le organizzazioni cristiane più contrarie al militarismo: ma ora, a !|uel che sembra, le tavole sono capovolte. Recentemente urono fatte delle pratiche per ottenere la collaborazione del clero di Liverpool per la propaganda nella campagna di reclutamento. Il clero cattolico, da quel che ci si dice, si ricusò, per il motivo che le sue funzioni sono puramente spirituali: il clero anglicano invocò dal proprio vescovo una dichiarazione per scongiurare la parteci-Sazione a questa campagna: invece i ministri delle hiese Libere decisero di dare il più cordiale appoggio alla campagna, ed ora sono tra gli oratori più eloquenti e persuasivi...
Il fatto è che l’intiera organizzazione cristiana è andata in sfacelo sotto l’urgente responsabilità che le si è offerta. L’opportunità era splendida; ma è andata perduta, nè vediamo pel momento alcuna via di redimere la situazione.... ».
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LA GUERRA
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LA VOCE INCERTA E TARDIVA DEL CRISTIANESIMO
Sotto questo titolo la rivista Brotherhood (fratellanza) commentando voci di imminenti tentativi ufficiali delle autorità cattoliche per affrettare la pace, esprime queste osservazioni: « Se le guide delle Chiese cristiane d’Inghilterra, di Germania e di altre nazioni nominalmente cristiane, invece di un silenzio acquiescente durante i preparativi militari avessero protestato in modo distinto e persistente contro di essi, come l’espressione di uno spirito assolutamente anti-cristiano, probabilmente non vi sarebbe stata guerra. Ed anche, dopo che la guerra era scoppiata, se queste guide e dirigenti delle Chiese cristiane, invece di schierarsi rispettivamente dalla parte delle loro nazioni per difenderne l’operato e gettare la colpa sugli avversari e pregare inutilmente per la vittoria del proprio esercito, si fossero accordati nel rendere una testimonianza concorde e solenne in nome del maestro comune, contro il delitto della guerra e l’onta di nazioni che si professano cristiane e che non son riuscite a scoprire in tanta luce di scienza e civiltà, altro mezzo più conveniente di risolvere le questioni politiche che scannandosi gli uni gli altri, probabilmente la guerra anziché venir combattuta fino all’ultimo esterminio. sarebbe stata arrestata da un ritorno della ragione. Gli è che il Cristianesimo predicato anche presso di noi, non era in sostanza che un Cristianesimo da Antico Testamento che ha applicato e ridotto a minimi termini l’insegnamento di Gesù di un amore universale e senza restrizione. Quale splendida opportunità non abbiamo noi perduta! (1).
Il Cristianesimo dal terzo secolo in poi non ha mai, in quanto collettività, fatto udire la sua testimonianza esplicita e definitiva su questo riguardo. La gran maggioranza del Cristianesimo è ora macchiata di sangue umano. Il Cattolicismo Romano non ha mai sconfessato autenticamente l’opera di sangue da esso compiuta attraverso i secoli... lo stesso Pontefice attuale ha perso in gran parte il suo prestigio dappertutto — eccetto in Germania e in Austria — per non avere denunziato in modo espresso almeno le brutalità più eccessivamente straordinarie delle quali la Germania si è resa colpevole. Nè il Protestantesimo, nel suo insieme, ha fatto più chiaramente sentire la sua voce relativamente alla guerra, nè il Cristianesimo delle Chiese orientali ha fatto di meglio. Che la nostra fiducia non sia riposta nè in Papi o Cardinali, nè in alcuna fonte di autorità ecclesiastiche, ma solo nello spirito che può salvare le Chiese cristiane dall’apostasia, può soffocare nel cuore dell’uomo le passioni brutali di odio e gelosia, e può ricostruire la società umana sì da renderla l'espressione di un amore universale!-. ».
Italiana dei Liberi Credenti. Firenze. 1916. Voi. di pag. 571, L. 4.
a a &
World's Student Christian Federation: Reports of Students Movements. 1914-19x5
Ambrogio Caracciolo: Il conte Francesco Caracciolo di Tor-chiarolo. Napoli, 1916.
-Auguste Hollard : Le problème du mal vu à travers l’égoisme des Lois de la Nature. Paris, Fischbacher, 19x6. Pagine 64, L. 1,25.
Estratti dalla Rivista “ßilychnis”
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Calogero Vitanza: Studi commodianei (I. Gli anticristi e l’anticristo nel Carmen apologeticum di Commodiano; II. Com(1) Crediamo opportuno avvertire ancora una volta i nostri lettori che in queste pagine ci limitiamo a raccogliere notitie, voci c documenti. La nostra imparzialità nel riferire i giudizi altrui non vuol dire adesione. Red.
modiano doceta ?) . . . 0,30 FurioLenzi: Di alcune medaglie religiose del iv secolo (con 1 tavola 04 disegni) ........ 0,30
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Furio Lenzi : L’autocefalia della Chiesa di Satana (con il illustrazioni) . . 0,50
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C. Rostan : Le idee religiose di Pindaro..............0,30
C. Rostan: Lo stato delle anime dopo la morte, secondo il libro XI del-1'«Odissea».................0,30
C. Rostan : L’oltretomba nel libro VI dell’« Eneide» ........................0,50
Alfredo Tagliatatela : Fu il Pascoli poeta cristiano ? (con ritratto e 4 disegni) ....................0,30
F. Biondolillo: La religiosità di Teofilo Folengo (con un disegno).... 0,30
F. Biondolillo: Per la religiosità di F. Petrarca (con 1 tavola).............0,30
Giosuè Satatiello: Il misticismo di Caterina da Siena \con 1 illustra/..). 0,25
Giosuè Satatiello: L’umanesimo di Caterina da Siena (con 1 illustraz.L 0,30
Calogero Vitanza: L’eresia
di Dante........0,30
Antonino De Stefano: Le origini dei Frati Gaudenti ........ 1 —
A. W. Müller: Agostino Favoroni e la teologia di Lutero........0,30
Arturo Pascal: Antonio Caracciolo, vescovo di Troyes .......... 0,80
Silvio Pons: Saggi Pasca-liani (I. Il pensiero politico e sociale del Pascal: II. Voltaire giudice dei « Pensieri » del Pascal ; III. Tre fedi: Montaigne, Pascal Alfred, di Vigny)
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T. Neal : Maine de Biran, 0,30
F. Rubbiani: Mazzini e
Gioberti ........ 0,50
Paolo Orano: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita
e ritratto) ....... 0,40
LA GUERRA, IL COMMERCIO E LA CROCE
In una predica del famoso oratore Rev. Robertson, dell’xi gennaio 1852, troviamo queste osservazioni ancora d’attualità:
« La società umana ha finora tentato tre vie per costituirsi in una famiglia universale. Prima la spada, seconda il sistema ecclesiastico, terza l’industria e il commercio...
E veniamo al sistema dell’industrialismo e commercia-lismo. Ci promettono, che quei risultati che la cavalleria e il codice dell’onore non potè ottenere — e che il sistema ecclesiastico non potè raggiungere — li otterrà l’interesse personale. L’industrialismo unirà tutti gli uomini in una grande famiglia. Quando gli uomini toccheranno con mano che è loro interesse di unificarsi nell’armonia, essi diverranno tutti fratelli. Fratelli miei, l’edificio costruito sul fondamento dell’egoismo non può sussistere a lungo. Il sistema dell’interesse personale deve frantumarsi e ridursi in atomi. E noi che abbiamo studiato le vie del Signore nel passato siamo in tranquilla attesa di sinistri eventi, con cui egli confonderà anche questo sistema come ha già sconvolto quelli che lo hanno preceduto in passato. La catastrofe avverrà forse tra convulsioni più terribili e sanguinose di quelle di cui il mondo è stato spettatore in passato. Mentre gli uomini parlano di pace, ed esaltano i grandi progressi delta civiltà, già si sente da lontano il frastuono delle armate Che si ordinano ed avanzano. Dall’Oriente e dall’occidente, da Settentrione e da Mezzodì esse si avanzano come valanghe, sprigionando fulmini di guerra universale e di esterminio. L'unico sistema che ancor resta a provare è quello delta Croce di Cristo; sistema non costruito sull’egoismo nè sul sangue, ma solo sull’amore. Amore, non amor proprio; la Croce di Cristo, e non già, l’esecuzione di idee umanitarie... ».
IL CRISTIANESIMO
DI FRONTE ALLA GUERRA
Il Barone Von Hùgel, il noto scrittore modernista cattolico, termina un ampio studio sulla Church Quar-lerly Review dal titolo: Il Cristianesimo di fronte alla guerra: sua forza e sue difficoltà, con queste parole:
« L’individuo cristiano e la Chiesa cristiana dovrebbero strenuamente vivere una vita anfibia: con vivezza e persistenza comprendere, amare e proclamare Dio, il Regno, la vita ultima dell’anima, come ciò che resta di permanente e definitivo: e con prontezza e disinteresse ricercare, incoraggiare e sostenere qualunque progresso per quanto lieve, per quanto difficile, nell’approssimazione di questa vita piena e suprema.
« In proporzione che questi due grandi compiti, am-ambedue essenziali alta posizione cristiana sono perseguiti, appare chiaramente inevitabile un conflitto mar-
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LA GUERRA
[Estratti]
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ginale, espressione e prova del nobile realismo delle vedute e degli ideali cristiani, basati sulla realtà metafisica e la natura di Dio, dell’uomo, e dei loro rapporti. Cosi, specialmente lo Stato terreno, umano, non troverà limiti apposti al suo progresso indefinito: eppure, Suesta speranza sarà esente da ogni taccia di Utopia.
iacchè, il Regno in cui è solo giustizia e amore, e non violenza, è reale ed esistente, ma non quaggiù: e l’opera di approssimazione, per quanto lenta, intermittente, faticosa verso quell’ideale, pud sempre ricominciar da capo, può èssere sempre attuata più ampiamente, perchè quello che è un nostro ideale qui, è di già piena realtà lì. Lì, non vi è guerra: dunque, qui, la guerra può divenire sempre meno frequente, meno,estesa, meno disumana, sempre più ripiena di motivi etici, di giustizia, anzi di amore; valori questi, senza dei quali lo Stato medesimo non può sussistere estendersi e fiorire; valori, anzi, che mai, in nessun luogo, mancano del tutto nella vita e nelle finalità umane ».
Angelo Crespi: L’evoluzione della religiosità . 0,30
Paolo Orano: La rinascita
dell'anima ....... 0,30
Angelo Crespi : Il problema dell’educazione religiosa ^Introduzione) . . . . . 0,30
Angelo Gambaro: Crisi contemporanea..........0,15
Giov. Sacchini: Il Vitalismo .......... 0,30
R. Murri : La religione nell’insegnamento pubblico in Italia........ 0,40
Ed. Tagliartela: Morale e Religione ....... Mario Puglisi: Il problema morale nelle religioni
UN SOLDATO CRISTIANO-CATTOLICO
Il noto romanziere francese René Bazin pubblica sull’EcAo de Paris, un tributo di omaggio' a la memoria di un soldato cristiano morto, dopo undici mesi di combattimento, il 3 luglio, a Bellecourt, sul Passo di Calais. Teofilo Bouchaud, l’eroe di Renato Bazin, era un contadino de la Vandea, appartenente ad una famiglia poverissima, e che da ragazzo aveva fatto il vaccaio. Alcune sue lettere alla moglie ed ai suoi bimbi dal fronte, furono mandate a l’Accademico, ben noto in Inghilterra come il fautore dei « ritiri religiosi per il popolo ».
«I nostri padri leggendo queste lettere avrebbero chiamato l’autore: « amico di Dio », dice il Bazin. « Noto fin dalla sua fanciullezza come un cristiano pronto a sopportare qualunque cosa per la sua fede, il Bouchaud, anche in mezzo alla sua vita affarata a Nantes, ove era divenuto commesso di negozio, dedicava una notte intera, ogni mese, alla preghiera dinanzi all’altare. Ecco come questo valoroso francese dette la sua vita per i suoi compagni. Il 3 di luglio mentre egli era di guardia in una trincea, due camerati stavano andando verso di lui. Al momento in cui quelli si avvicinavano, il Bouchaud senti il sibilo di un proiettile che si avvicinava. Accorgersene e spingere i due compagni in un cavo del muro fatto apposta per due persone, fu un attimo per il nostro eroe che, rimasto a lo scoperto fu ridotto in brandelli da l’esplosione dello « shrapnel ».
Alla moglie che gli domandava, alcuni giorni prima, in una lettera che cosa avrebbe fatto al suo ritorno. Teofilo Bouchaud aveva risposto: « Io voglio che anche dopo la mia morte i miei figli siano perfetti cristiani, e che, in tutta la loro vita abbiano per scopo principale la gloria di Dio e la salvezza delle loro anime: e se dovrò morire in guerra e la divina provvidenza mi
primitive. ....... 0,50
A. Tagliartela: Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 5 disegni di P. Paschetto) . . 0,20
G. Luzzi: L’opera Spence-riana.......... 0,15
M. Rosazza: La religione del Nulla (con 6 disegni). 0,30
R. Wigley : L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa) . . . . . . . . . 0,50 James Orr: La Scienza e
la Fede cristiana. . . . 0,25 T. Fallot: Sulla soglia. (I nostri morti) con una tavola .......... 0,30
G. E. Meille: Il cristiano nella vita pubblica. . . 0,30
F. Scaduto: Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa ......... 0,30
Guglielmo Quadrotta: Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra. (Con ritratto ed una lettera di A. Salandra)......... 1 —
E. Rutili: Vitalità e vita nel Cattolicismo (Cronache: 1912-1913-19x4) 5 fascicoli ......... 1,50
E. Rutili: La soppressione dei Gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi.......... 0,15
Paolo Orano: Gesù’ e la guerra......... 0,30
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Edoardo Giretti: Perchè sono per la guerra. . . 0,20
Romolo Murri: L’individuo e la Storia. (A proposito di cristianesimo e di guerra)..............0,40
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Libro I. — L’Antico Testamento.
Parte I. - Il Pentateuco.
1. Il contenuto del Pentateuco. - 2. Il P. non è di Mosè,
assegnerà un posto in cielo, credo che sarò contento vedendoli seguire la retta via».
Un’altra lettera fu come il suo testamento: in essa lasciava il suo crocifisso alla figlia, e la medaglia del suo santo protettore al figlio. Alla moglie scriveva: « Il tuo compito sarà di vegliare a che i nostri figli crescano con una fede costante nel loro Dio: non par lare mai del loro padre in modo da farli piangere, e fa loro capire, mentre sono ancora piccoli, che due sono i doveri da anteporre a tutti gli altri: il dovere di un cristiano verso il suo Dio, e quello di un francese verso la patria. E che se io, che sono qui per l’adempimento del secondo, spargerò un giorno il mio sangue per la patria, sarà lo stesso che se l’avessi versato per Dio.
« Tu mi dici », continuava, « che offri le tue lagrime a Dio: sì, io sono sicuro che Egli le accetta, ma credo che gli sarebbe più gradito il vederti accettare la croce della separazione per Suo Amore, piuttostochè vedertela trascinare fra le lagrime. Ricorda, che solo a patto di sopportare pazientemente la nostra croce, ci sono aperte le porte del Paradiso.
« Oggi, primo venerdì del mese, mi recherò col pensiero a la chiesa di Bouaine, per assistere con te alla Messa. Non fare in modo che i bambini siano sor-5resi dalla mia mancanza: io, per essi, sarò nascosto ietro una colonna. Falli pregare; tutte queste preghiere non possono rimanere senza risultato, perchè se anche credessimo che tutto è perduto, pur sarebbe nostro dovere di sperare,-sperare sempre ».
René Bazin conclude dicendo: « Che cosa altro ha da desiderare un paese, per la vittoria presente, per la pace e la felicità futura se non uomini come questo soldato di cui abbiamo riportato le parole? ».
PAOLO SABATIER E LA GUERRA
Percy Aldenz per conto del « Christian Commonwealth » ha avuto una intervista con Paolo Sabatier, il noto cultore di studi francescani.
Parlando della situazione delle diverse chiese di fronte alla guerra, egli così si espresse: «Senza tema di esagerazione, io posso affermare, che le chiese non hanno compreso e non si sono messe al livello della situazione in questa grande crisi, e non vedono che in questa occasione vi è stato un grande risveglio religioso. Io sono contadino, e vivo fra i contadini, in mezzo a quelle montagne, da cui gli uomini della Francia partono per la guerra con uno intenso spirito religioso, che io credo sia generale in tutti i soldati. E questo spirito non è stato compreso nè dalla Chiesa cattolica nè da quella protestante. Quest’ultima, per cui io nutro il più profondo rispetto, ha fatto molto bene in Francia, lavorando nobilmente per l’idea del dovere, ma essa è ancora cieca per quel che succede nel mondo. Pel fatto che i giovani che vanno al fronte si rifiutano alle volte di prendere il Nuovo Testamento che vien
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loro offerto, e di ascoltare i sermoni, i pastori credono che essi non amino la religione; ma la verità sta nel fatto, che essi sono troppo religiosi per poter ascoltare e curarsi delle prediche e dei sermoni. I preti cattolici sono ammirevoli per il modo con cui disimpegnano la loro missione, ma la Chiesa Romana Cattolica non è meno cieca a questo riguardo; e la cosa è tanto più triste, in quanto si tratta, dopo tutto, della vecchia fede della Francia, che ha potuto dare a questa nazione la coscienza e la lingua. La Chiesa Cattolica e quella Protestante, non possono immaginare una religione in cui manchi la forma esteriore: mentre un movimento immenso di rinascenza dello spirito si estende dapertutto, e vi partecipano Cattolici, Protestanti, Giudei, Frammassoni, Liberi pensatori: questi ultimi forse in maggior numero, o non escludo però che le chiese organizzate possano in un tempo non lontano aderire a questo movimento ». Alla domanda rivoltagli, quale sia stata, secondo lui, la influenza del pensiero e della filosofia tedesca nella presente guerra, il Sabatier così rispose:
« Ìn riguardo a Kant, niente posso dire, perchè egli era completamente con noi e per la umanità. Ma noi forse esageriamo la influenza di Hegel: egli voleva, sì, che il volere dello Stato fosse la legge suprema, ma non abbassò mai l’idea dello Stato, freitschke e Nie-tschze, invece, hanno indirettamente esercitato una ? rande influenza non solo in Germania ma anche in rancia e in Italia, con la differenza però, che mentre in queste due ultime nazioni la concezione del superuomo è parteggiata solo da una parte della popolazione, in Germania essa ha avvelenato le menti della maggior parte degli abitanti e specialmente quelle della classe dirigente ».
E quale sarà l’avvenire delle nazioni dopo la guerra? Vi sarà un ritorno alle forme di barbarie o ad una nuova civilizzazione? preparazione per guerre ancora pii» grandi, 0 il principio di un’era di pace permanente?
« Io, pur non essendo un profeta, sono però un ottimista, e come tale penso che da questa grande catastrofe verrà fuori un bene ancora più grande: che ci sbarazzeremo di parecchie usanze e tradizioni, e delle scorie della fede. Andremo però verso una nuova civiltà? Non posso dirlo; ma son certo, che il futuro porterà cambiamenti non solo nelle cose materiali, nel commercio e nelle arti, e forse nella guerra stessa, ma modificherà grandemente le relazioni internazionali. E per far che ciò avvenga le diverse nazioni debbono fin da ora unirsi allo scopo comune; noi dovremo riunirci più spesso, scambiare le nostre idee, visitarci scambievolmente, e questo non ufficialmente perchè il mondo ufficiale non è in condizione di poter dare ai popoli delle idee. Quello Che io desidero è, che le democrazie dei vari paesi vengano in contatto fra di loro; e quello che specialmente raccomando è’di non metter fuori da questo movimento l’Italia: molto dovrete scambiare con questa nazione perchè in fondo noi Francesi ed Inglesi abbiamo con essi molti punti di contatto.... •
nè opera di un solo Autore. -3. La formazione della moderna teoria documentaria. -4. Le caratteristiche della moderna teoria documentaria. -4! documenti Jahvistico ed lohistico, il Libro dell’Alleanza e il Decalogo. - 6. Il documento deuteronomista. -7. Il documento sacerdotale. - 8. Brani minori del Pentateuco. - 9. La redazione del P. - io. I risultati della critica e la posizione attuale del problema del P.
Parte II. - I profeti.
I profeti anteriori: 1. 11 libro di Giosuè. - 2. Il libro dei giudici. - 3. I libri di Samuele - 4. I libri dei Re.
I profeti posteriori: 1. I profeti ed i libri profetici in generale. - 2. Il libro di Isaia. -3. Il libro di Geremia. - 4. Il libro di Ezechiele. - 5. Il libro dei dodici profeti.
Parte III. - Gli agiografi.
I. I salmi. - IL I proverbi. -III. Il libro di Giobbe. - IV. Il cantico dei cantici. - V. Il libro di Ruth. - VI. Le lamentazioni di Geremia o Treni. -VII L’Ecclesiaste. - Vili. Il libro di Ester. - IX. Il libro di Daniele. - X. Il libro di Esra-Nehemia e la Cronaca.
Perte IV. - I libri deutero-canonici o apocrifi.
I..I1 libro di Tobia e di Giuditta. - IL La sapienza di Salomone e l'Ecclesiastico. -III. Il libro di Baruch e l’Epi-stola di Geremia. - IV. I libri dei Maccabei. - V. Aggiunte al libro del canone ebraico.
Appendice: Gli pseudo epigrafi.
Parte V. - 11 testo, le versioni e il canone dell’Antico T.
I. Il testo dell’A. T. ebraico.
- II. Le versioni dell’A. T. -III. Il canone dell’A. T.
Libro II. - Il Nuovo Testamento.
Parte I. - Gli Evangeli e gli Atti degli Apostoli.
I. I Vangeli sinottici. -II. Il IV Vangèlo. - III. Gli Atti degli apostoli.
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Parte II. - Le epistole pao-line.
I. La vita e l'opera di san Paolo. - II. Le quattro grandi epistole. - III. Le espistole agli Efesii, ai Filippesi, ai Colossesi ed ai Tessalonicesi. - IV. Le pastorali e l’epistola a Filemo-ne. - V. La lettera agli Ebrei.
Parte III. - Le epistole cattoliche e l’Apocalissi.
I. Le espistole cattoliche. -II. L’apocalissi.
Appendice: Gli apocrifi del Nuono T.
Parte IV. - Il testo, le versioni e il canone del N. T.
I. Il Testo del N. T. - II. Le traduzioni del N. T. - III. 11 canone del N. T.
Indicazioni bibliografiche.
“ Armi spirituali „
« Milioni di uomini han combattuto per la difesa della verità, per la tutela dei loro diritti; ora le loro tombe sono dimenticate. Un uomo soltanto ricusò di combattere, e si consegnò ai suoi nemici: e fu crocifisso. Quest’uomo ha trasformato il mondo ».
(Dr. Frank Ciane, degli Stati Uniti).
“ Riconciliazione „
■ Parola suprema, come l’azzurro sconfinato; bella promessa che guerre e opere tutte di strage scompariranno perdutamente nel tempo, e che le mani delle due sorelle. Morte e Notte, incessantemente, soavemente, tergendo e .poi tergendo ancora, monderanno questo mondo insozzato. Poiché un mio nemico è morto — un uomo affrettato divino, quanto me è morto — io rimiro là dove egli giace col volto imbiancato, là nella bara: mi appresso, mi inchino, e lievemente sfioro con le mie labbra la faccia imbiancata nella bara ».
(D. Mac. Carthy). G p£OL1
CROCE ROSSA ITALIANA
Bisogna che i cittadini SI RENDANO SEMPRE MEGLIO CONTO DELL’ENTITÀ DEI SERVIZI AUSILIARI DELLA CROCE Rossa, sentano l’orgoglio di questa Associazione, cresciuta CON LE LORO CONTRIBUZIONI SPONTANEE E CON LE LORO PRESTAZIONI PERSONALI, E COMPRENDANO LA NECESSITÀ E LA UTILITÀ DI ALIMENTARNE IL PICCOLO TESORO PER RENDERLO PROPORZIONATO ALLE GRANDI FINALITÀ.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma. Tipografia dell* Unione Editrice, via Federico Cesi, 45
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Prezzo del fascicolo Lire 1 —