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RIVISTA BIMESTRALE ILLVSTRATA DI STUDI RELIGIOSI
Anno II : : Fasc. IV. LUGLIO-AGOSTO
1913
Roma '- Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 AGOSTO - 1913
DAL SOMMARIO: F. BiONDOULLO: Per la religiosità di F. Petrarca (con illustrazione). — A. GaMBARI: « Il passato » di Alfredo Loisy.—ASCHENBRÖDEL: Il movimento del «Brotherhood» in Londra (con illustrazioni). — G. E. MEILLE: Gli sforzi verso I* emancipazione nell'IsIam. — R. WlGLEY: I metodi della speranza. — A. Di STEFANO : Adele Kamm (con illustrazione). — E. RUTILI : Vitalità e vita nel cattolicismo. — NOTE E COMMENTI : Il VI Congresso Intemazionale del progresso religioso. — Scienziato e credente, ecc. — TRA LIBRI E RIVISTE. — NOTIZIE.
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo fi fi
-------- Via Crescenzio, 2 - ROMA --------D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore peri* Estero -------- Via del B abui no, 107- ROMA ----X Si pubblica alla fine di ogni mese pari in fascicoli di almeno 64 pagine.
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Illustrazioni del presente fascicolo.
Francesco Petrarca : Affresco di Andrea del Castagno nell’ex-con-vento di Sant’Apollonia in Firenze. (Tavola tra le pagine 296 e 297).
Il movimento del « Brotherhood in Londra ». Esterno di « White-field Tabernacle » da dieci anni centro di una Missione Con-gregazionalista in Totthenham Court Road, presso la Goodge Street, prima dimora di Mazzini in Londra. (Tavola tra le pagine 306 e 307)-— Ritratti di Silvester Horne, deputato liberale e fondatore della « Mission » e del «Brotherhood » di Whitefield, e di W. Charles Piggott, Ministro con S. Horne a Whitefield. (Tavola tra le pagine 310 e 311).
Intermezzo : Ritratto di Adele Kamm. (Tavola tra le pagine 332 e 333). Secondo Congresso Battista Europeo a Stoccolma: Parla il Presidente del Congresso Dr. J. Clifford. — Gruppo di Delegati. (Tavole tra le pagine 360 e 361).
Copertina, disegni e fregi di Paolo A. Paschetto.
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RJVISlÄ DI S1VDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA - DI ROMASOMMARIO:
FRANCESCO BlONDOLILLO: Per la religiosità di Francesco Petrarca . pag. 293
Aristide Gambari : « II passato » di Alfredo Loisy ...... » 300
Dr. ASCHENBRÖDEL : II movimento del « Brotherhood » in Londra . » 305
Giovanni E. MeillE: Gli sforzi verso l'emancipazione nel! Islam e
l'avvenire dei popoli mussulmani........... »312
Raffaele Wigley: I metodi della speranza. (Psicologia religiosa) . » 318
INTERMEZZO :
A. Distefano: Adele Kamm............................................ > 332
VÓCI E DOCUMENTI :
LUIGI Luciani: Materialismo e vitalismo .......... » 337
CRONACHE:
Ernesto Rutili : Vitalità e Vita nel Cattolicismo ....... >339
NOTE E COMMENTI :
A. Di Stefano: Il VI Congresso Internazionale del progresso religioso » 352
A. FasüLO: Il Secondo Congresso Battista Europeo ...... »359
P. MarrüCCHI: G. Papini dinanzi a Gesù!............................. » 362
I. Rivera : La donna in Inghilterra................... > 362
TRA LIBRI E RIVISTE:
Antico Testamento: Introduzione alla letteratura dell’A. T. (I. R.). » 364
Nuovo Testamento: I giorni dei Figliuol dell’Uomo (I. R.)........ » 365 filosofia e Religione: Verso la Fede................ > 366
Varia: Figure moderne (F. G. L.) — La persona di Gesù (I. R.) . . . . . » 366
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PEI PROSSIMI FASCICOLI:
Paul DOUMERGUE: David Livingstone (con illustrazioni).
A. CERVESATO: Mazzini e noi.
G. E. MeillE: Il Cristiano nella vita pubblica.
Roland D. Sawyer: Gesù e lo Stato — Gesù e la f am iglia — Gesù e la proprietà. ASCHENBRÖDEL: Intervista col Dr. Rendei Harris a proposito delle « Odi di Salomone ».
GlNO MontalBO: La religione e la parodia religiosa in Aristofane — Le credenze di oltre tomba nelle opere letterarie dell' antichità classica.
ANGELO Crespi: L'evoluzione della religiosità nell'Individuo e nella Società.
Paolo Orano: Dio nella coscienza.
G. Lesca: Sensi e pensieri religiosi nella poesia di A. Graf.
M. Velato: L'altare al Dio sconosciuto.
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N. B. — Degli articoli firmati sono responsabili i singoli autori.
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PER LA RELIGIOSITÀ DI F. PETRARCA
[LEGGEVO, una volta, il Saggio crìtico del De Sanctis intorno al Petrarca, quel saggio che a me è sembrato sempre il più analitico, il più minuzioso ma il meno acuto e il meno geniale fra gli scritti del grande critico napolitano; e mentre finivo di scorrere il primo capitolo, quello in cui, appunto, si tracciano le linee generali del carattere del Petrarca, sentivo il bisogno di domandarmi : Ma perchè mai il De Sanctis non fa cenno de’ sentimenti religiosi che il Petrarca stesso confessa d'avere avuti e che in realtà si succedettero e s'al
ternarono un po’ troppo confusamente con sentimenti d’altra sorta?
E spinto dalla curiosità di vedere quanto gli altri avessero detto intorno a quell’argomento, volli prendermi l’incomodo di trarre dagli scaffali d’una biblioteca milanese una certa versione del Secretum fatta da un tale, il cui nome è stato ricordato — forse per dovere di bibliografo soltanto — dal Solerti (i) e dal Volpi (2) : Giulio Cesare Parolari. La versione era preceduta da un discorso sulla religiosità dei Petrarca (3): quindi, nulla di meglio.
Ma la mia sorpresa fu grande: ero caduto nel vaniloquio d’un buon prete cattolicissimo, il quale s’era creduto in dovere di mettere anche allo stesso Petrarca il ferraiolo e il tricorno del mestiere. « Il valore di questi dialoghi >, — cominciava a dire il buon reverendo —- « ignoti (1!) ai più fra gli stessi ammiratori del Petrarca, sarà apprezzato, speriamo condegnamente da quanti hanno senso
(1) Le Vite dì Dante, Petrarca e Boccaccio, scritte fino al secolo decimosesto e raccolte dal prof. A. Solerti, Milano, Vallardi, pag. 239.
(2) II Trecento, Milano, Vallardi, pag. 415.
(3) Del disprezzo del. Mondo, dialoghi tre dì F. Petrarca, prima versione italiana preceduta da un discorso (sic!) sulla religiosità dell’autore del rev. prof, (sic!) Giulio Cesare Paro-lari, Milano, Pirótta, 1857.
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di quella bellezza e di quella verità che non consiste nella vernice di ornate parole, ma nella candida rivelazione de’ più reconditi e sacri misteri dell’anima umana. E il pieno ossequio alle religiose credenze che apertamente si legge nelle pagine che il pentimento de’ passati errori dettava ad uno de’ più illustri luminari del nostro cielo (!) sarà nuovo suggello che sganni la turba de’ moderni filosofanti (!!!) » (i).
Non soltanto era evidente lo spirito gretto del reverendo professore; non soltanto era evidente il tono goffamente oratorio dei critico-predicatore, ma anche il pregiudizio dal quale era partito per giudicare l’intima natura de’ sentimenti del Petrarca: il Parolari s’era fitto in mente di trovare nell’animo del grande poeta il sentimento cattolico-apostolico-romano, di cui doveva far difetto l’anno in cui s’era accinto a far quella versione. Non senza un qualche motivo egli, magistralmente, dà una botta a certi « moderni filosofanti » !
Dunque, il Parolari voleva provare là religiosità del Petrarca; e, fatto un elenco delle opere strettamente religiose di quest’ultimo, va saltellando qua e là ora citando con supina ignoranza un dialogo del De remediis utriusque fortunae^ intitolato appunto Della religione. ed ora commentando con facile, anzi troppo facile intuito, il De vita solitaria e il De odo religiosorum; ora lanciando una tarda — oh quanto tarda! — frecciata alle « famigerate confessioni del cinico Ginevrino e superbo > a proposito appunto del De contempla mundi e ora accompagnando la traduzione di qualche epistola familiare e senile con una eloquenza stizzosa ed untuosa. In fine, dovendo accennare anche alle opere letterarie del Petrarca, e dovendo, con facile furberia, trarre tutta l’acqua al proprio mulino, afferma che gli elementi più alti della poesia vennero al Petrarca dalla religione cattolica e che perciò giuste erano le opinioni del Sismondi, del Ginguenè e anche del Foscolo, il quale ultimo ebbe a dire appunto : « Le sue imitazioni più belle sono tratte dalle sacre Carte... E chi non vede quanto profondamente tutti i suoi pensieri fossero improntati di religione ! ». E perciò, interpretate a quel modo le opinioni di quei tre scrittori, esclama per conchiudere in modo assai buffo e meschino : « Abbassino adunque per gran vergogna la fronte i baldanzosi detrattori del nome cristiano ; o se non hanno cuore ed ingegno a comprenderne la verità e la bellezza, non già di mezzo a noi, ove splende gloriosa la sede della cattolica verità, ove la civiltà non mendace conta tanti cuori e seguaci, ma sì fra gli Irochesi o i selvaggi della remota Oceania sorgano a banditori di assurdità e di miscredenza».
Il pistolotto finale della predica fatta in una chiesa di provincia non poteva mancare. Povero Petrarca! La sua anima difficile e complicata, che si dibattè fra il cielo e la terra, che attinse i culmini dell’ebbrezza e del dolore, che mai trovò riposo, che sempre vacillò tra la fede e la stanchezza, che disse il falso quando credette d’aver detto il vero, — la sua anima era caduta tra le viscide mani d’un prete il quale subito la foggiò a sua immagine e somiglianza.
E, allora, ricorsi a Henri Cochin (2): chi avrebbe potuto dirmi qualcosa di sicuro intorno ai sentimenti religiosi del Petrarca se non il Cochin, il quale aveva
(1) Pag- 3(2) Le frère de Pétrarque et le livre Du repos des religieux, Paris, Bouillon, 1903.
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LA RELIGIOSITÀ DI F. PETRARCA
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studiato i rapporti tra il poeta e il fratello Gherardo e analizzato il De odo religiosorum ? Ma fin dalle prime pagine dovetti accorgermi che anche il Cochin, sebbene non con la stessa grettezza di spirito del reverendo Parolari, aveva voluto vedere nel Petrarca « le dernier homme du moyen âge », un filosofo cristiano vero e proprio (1), onde assicurava che « nous avons d’ailleurs des preuves et des témoins de ce que furent, avant même sa conversion définitive, la sincérité de sa pratique religieuse, la hauteur de sa dévotion, et, plus tard, l’ardeur de sa piété, ses prières quotidiennes, ses méditations sur les Écritures », e che, ancóra, « nous savons que depuis sa conversion il avait pris fort au sérieux les devoirs de sa profession ecclésiastique, jusqu'à s’imposer très rigoureusement, et au péril même de sa santé, la récitation diurne et même nocturne des offices ».
Ed esaminando via via i rapporti che corsero tra il Petrarca e il fratello, seguendo il poeta stesso nelle sue peregrinazioni al Monte Ventoux, a Vaichiusa, a Santa Maddalena, ecc., scrutando l’influenza che sul poeta ebbero alcuni uomini religiósi, il Cochin non perde di mira quel suo obbiettivo, di darci, cioè, un Petrarca veramente e definitivamente votato a Dio.
Il giudizio del Cochin è stato ripètuto da tanti altri, anche dal Volpi (2), il quale senz’altro assicura che « il Petrarca fu credente e cattolico », e che egli non soltanto era tale per educazione ma anche per convinzione (3).
Ma come mai — io mi chiedo — può un carattere debole e riflessivo, sensibile e dubitoso, convertirsi pienamente all’ascetismo e in esso perdurare con costanza e con fermezza, come dicono i suoi biografi? O non piuttosto gli storici del Petrarca si sono attenuti troppo scrupolosamente a quello che egli stesso ci ha tramandato attraverso le sue lettere e a quello che gli antichi biografi ripeterono sino alla fine del secolo decimosesto?
Disse, infatti, il Petrarca nella famosa epistola ad posteros'. « Ingenio fui aequo potius quam acuto, ad omne bonum et salubre studium apio, sed ad mo-ralem praecipue philosophiam et ad poëticam piano. Quam ipsam processa tem-poris neglexi, sacris litteris delectatus, in quibus sensi dulcedinem obditam, quam aliquando contempseram, poëticis litteris non nisi ad ornatum reservatis » (4).
Aggiunse poi in una delle sue lettere familiari (X, 5), diretta al fratello Gherardo: «Tre cose tu m’imponesti, e da me fosti obbedito. Le ascose piaghe dell’anima mia da funesta noncuranza e da lungo silenzio fatte putride e cancerose, sinceramente rivelai con salutare confessione, e dopo la prima soventi volte tornando a fare il medesimo, contro i segreti morbi la mano del medico onnipotente ad implorare mi accostumai. Indi alle notturne non meno che alle diurne laudi di Cristo fui, sua mercè, sempre così sollecito e puntuale, che anche in queste notti brevissime, comechè stanco da prolungate vigilie, mai non mi sorprese addormentato e senza recitarle l’aurora. Tanto mi piacque quel detto del Salmista: Sette volte ti lodai nel corso del giorno, che non valse occupazione di sorta a farmene pur una volta intralasciare l’adottato costume » (5).
(1) Cfr. op. di., pagg. 5-6.
(2) Cfr. Il Trecento, pagg. 62-3.
(3) Pag- 62.
(4) I^e Vite di Datile, Petrarca e Boccaccio, ecc., pagg. 242-3.
(5) Cfr. : traduzione di Fracassoni.
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E gli antichi biografi presero alla lettera una tal dichiarazione, .epperò G. Boccaccio (i), Giannozzo Manetti (2), Iacopo Filippo Foresti (3), Alessandro Vellu-tello (4), G. A. Gesualdo (5), Ludovico Beccadelli (6), Guglielmo Rovillio (7), Papirio Masson (8), I. F, Tomasini (9) e infiniti altri ripeterono le parole del Petrarca e ce le tramandarono attraverso all’ignava fiducia de’ critici moderni.
Ma molti altri, invece, partendo da un punto di vista tutto affatto contrario, han fatto del Petrarca un precursore dell’umanesimo, — come Pierre de Nolhac (io) — lo han giudicato come il primo uomo moderno, e attraverso indagini sospettose e sofistiche conchiusioni lo hanno ritenuto un carattere fallace sempre e sempre incostante.
Non sembrava possibile che un uomo, il quale desiderava ardentemente la gloria e cercava ogni espediente per conquistarla, il quale amava la vita e il lusso, i viaggi e le donne, potesse poi scrivere al fratello parole come queste: «Dà ultimo la compagnia della donna, senza la quale mi parve un giorno che il vivere fosse impossibile, or temo più che la morte, e comechè soventi volte da gravissime tentazioni sia combattuto, sol che alla mente meditando io richiami quel ch’è la donna, ogni tentazione svanisce, ed io mi sento tornare in pace e in libertà. E tutto questo dalle tue orazioni ben riconosco, e che tu per me lo prosegua e spero e chieggo in nome di Lui, per la misericordia del quale dalla valle del pianto, ove tra le tenebre ti aggiravi, allo splendore della luce sei stato condotto » [Fani., X, 5).
E il Petrarca non poteva meritar fede allorché, il 25 settembre del 1348, domandava, sempre al fratello: «Tu che di nemico qual eri e di straniero, ora sei fatto di Dio familiare e cittadino, e dagli errori ravveduto a lodevoli opere volgesti la mente ed il cuore, deh! tu dimmi adesso, o fratei mio, che ti paia di quelle scempie poesie, piene di false ed invereconde muliebri adulazioni, se le ragguagli alle sacre salmodie nelle quali ordinatamente schierati e disposti sulle mura e sugli spaldi della città di Dio, contro le insidie della umana corruttela vigilando, passate le notti intere ! >. Egli era sempre quel Petrarca che pochi anni dopo il 1348 non sapeva restare definitivamente a Vaichiusa a chiudersi nella contemplazione ; era sempre quel Petrarca che si stancava della pace e della semplicità campestre ed amava farsi trascinare dagli affari della curia [Fam., XII, 9); era sempre quel Petrarca che, nonostante la visita fatta nell’aprile del 1353 a Montrieux, non sapeva resistere di accettar l’invito dell’arcivescovo Giovanni Visconti, e che, finalmente, alle invettive del Boccaccio non rispondeva o non sapeva rispondere in modo nobile e dignitoso.
(1) Cfr. Le Vite di Dante, Petrarca e Boccaccio, ediz. Solerti, Milano. Vallardi, pag. 253.
(2) Pag. 313.
(3) Pag- 343(4) Pag. 367.
(5) Pag- 4i6.
(6) Pag. 461.
(7) Pag. 491(8) Pag. 509(9) Pag. 650 e segg.
(10) V. : Pétrarque et l’humanisme, 2* ediz., Parigi, 1907.
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FRANCESCO PETRARCA
[Affresco di Andrea del Castagno nell'ex convento di Sant'Apollonia in Firenze].
[1913-IV.]
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LA RELIGIOSITÀ DI F. PETRARCA
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Ma il Petrarca deve essere giudicato attraverso, appunto, codeste incertezze e codeste contraddizioni ; il Petrarca, spirito debole e dubbioso, deve, piuttosto che esaltato disprezzato o scusato, essere giustificato e spiegato.
Senza dubbio egli ebbe da natura un’anima religiosa o mistica, ma il suo misticismo non dev’essere considerato alla stregua di quello di San Francesco o di lacopone da Todi o di Dante ; dev’essere invece considerato e studiato alla stregua del suo carattere e del suo temperamento. Neppure al fratello egli dev’essere ragguagliato, poiché, mentre Gherardo era d’animo risoluto, Francesco era d’animo incerto, e mentre l’uno era vagus et lubricus (Fam.t XV, 9) cioè apertamente dissoluto e quindi più dispósto a una ràpida e, anzi, improvvisa conversione, l’altro era esitante e troppo educato pui ne’ piaceri mondani perchè potesse esser giudicato lubricus ; cosicché mentre basta a Gherardo che gli muoia la donna amata per prorompere, prima, in bestemmie e in maledizioni {Fani. X, 3, passini) e per cominciar, poi, a sentire il bisogno della pace e della solitudine conventuale, a Francesco non basta, invece, nè l’aver visto il fratello dolorare, nè il soggiorno a Vaichiusa, nè l’ascesa sul monte Ventoso, nè la visita fatta a Montrieux, nè la morte di Laura, nè l’amicizia con alcuni santi uomini di quel tempo. Il misticismo del Petrarca ha bisogno d’essere continuamente eccitato e sollecitato ed ha bisogno anche di lunghi intervalli e di lunghi riposi ; non sale tutt’a un tratto con la possa d’una fiamma ma esita e brilla al pari del lume d’una debole lucerna; non sgorga improvviso e prepotente come un torbido fiume di passione ma spiccia lento e debole come un esiguo rivolo di tenerezza. Ci sono, è vero, de’ momenti in cui l’animo del Petrarca sembra invaso da una disperazione improvvisa, da un tormento invincibile, da un desiderio gagliardo di liberarsi dalla terra e di salire al cielo, ma o son veramente de' momentit passati i quali tutto ritorna a quel sottile dolore di prima, o son de’ momenti che lo stesso Petrerca si finge e Che, perciò, nel l’espressione non trovano una forma rapida, convulsa, balenante e viva. Nello stesso tempo che egli confessa di essere pentito della vita mondana trova la serenità di costruire de’ bei periodi classici, di trovar delle antitesi eleganti e di costruire delle immagini piene di grazia. Egli scrive al fratello in una delle sue lettere {Fani. X, 3): « Si avverò per entrambi la prima parte del profetico detto che si spezzarono i lacci \ ma per entrambi eguale non fu quello che segue: nostro sta nel nome di Dio. E perchè
mai la davidica frase così felicemente per ambedue cominciata, in modo tanto diverso riuscì nella fine ? Sa Dio quel che vuole, nè mai lo vuole senza perchè : chè tutto dal suo volere dipende, e di tutte le cause essa è la prima. Cantava le parole del Re profeta il fratei mio tutta sollevando la mente e l'anima al cielo: ed io curvo il pensiero alla terra, e da’ mondani affetti preoccupato forse io le cantava, e sconoscendo la mano del sommo liberatore, nelle mie proprie forze posi fidanza. Se per l’una 0 per l’altra di queste cagioni egli avvenne che spezzato il laccio io non tornassi in libertà, deh ! accordami, o Dio, la tua misericordia, perchè della misericordia tua più degno io divenga : chè se tu per tua
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grazia non hai dell’uomo misericordia, impossibile cosa è ch’egli procacci di meritarla» (1). Come si vede, c’è molto equilibrio, molta eleganza d’eloquio e molta grazia di parole : manca lo stile del Cavalca, del Passavanti o di Santa Caterina da Siena.
Ricco di contrasti, e di contrasti assai ordinatamente disposti, è il brano seguente : « Se di codesta vita che or meni tu fai paragone alla vita nostra passata, se l’ansia affannosa del ricco alla soave pace del povero tu paragoni, e le cure dei negozi alla tranquillità del riposo, gl’insidiosi nemici ai buoni tuoi confratelli, alle liti il silenzio, ai tumulti là solitudine, alle città le selve, alle crapule i digiuni, ai lunghi balli il salmeggiare notturno, la Certosa ad Avignone, la pace celeste ai pericoli terreni, l’amicizia di Dio alla servitù del demonio, in una parola alla eterna morte la vita sempiterna, tu devi per necessità confessare, o fratei mio, che veramente tu sei felicissimo».
Sono evidenti le tracce della rettorica ; e s’egli finisce quella lettera col dire : « Tutto questo, o diletto ed unico fratello mio, a te volli io scrivere in uno stile nuovo per me, quasi monastico, ed alla presente tua condizione accomodato, poiché più di te che non di me pensando io lo scrissi », vuol dir ch'egli, il Petrarca, conservava tuttavia tanta serenità d’intelletto da poter riflettere su quello che aveva scritto e da giudicar la forma nuova del suo stile. Ma con ciò non bisogna assolutamente negare che ci fosse un qualsiasi senso religioso: la mistica fiamma c’era, ma essa era incerta, ma essa era poco limpida perchè poco limpide erano le sorgenti dà cui essa scaturiva. E la limpidezza veniva turbata dalla presenza dell’antico senso umano, dalla presenza dell’antico senso terreno : l'uomo mistico portava sempre con sè l’uomo mondano, l’uomo che pensava vanitosamente a’ posteri, che si preoccupava di dire più di quanto non sentisse e di trovare una forma bella ed elegante.
Dinanzi alle sacre scritture il Petrarca non si lascia trascinar l’animo da quell’onda perenne di esaltazione mistica e di saviezza divina ; anzi si pone davanti ad esse con intelletto di critico, di esteta e chiama la Teologia « tutta un poema » (Fam., X, 4).
Il Secretimi, ch'è stato considerato come la testimonianza più sicura del misticismo del Petrarca, dovrebbe, tuttavia, essere molto prudentemente giudicato ; poiché, se è vero che S. Agostino rappresenta qui una delle due voci che eternamente si fecero sentire nell’animo del Petrarca e che, senza riposo, si contesero a vicenda, è anche vero che occorreva una forza e serenità d’animo considerevoli perchè quél conflitto potesse esser visto e con tanta vivezza rappresentato da quello stesso che diceva d'averlo subito.
E tralascio di accennare ai richiami frequenti che al mondo romano il Petrarca fa nel De odo religiosorum\ e come eccessiva sia, per esser creduta sincera, la rigidità ascetica del De remediis utriusque fortunae ; e come gravi siano le contraddizioni in cui ci s’imbatte leggendo il De vita solitaria : il Petrarca o volle far credere di essersi votato a Dio più fervidamente di quanto non fosse in realtà, o senza volerlo si lasciò andare ad affermazioni indecise per quella continua lotta morale in cui ebbe a vivere.
(i)Cito la traduzione del Fracassetti perchè mi pare ch’essa abbia saputo sapientemente riprodurre persino gli atteggiamenti stilistici dell’originale.
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Il misticismo del Petrarca non fu provocato nè da persuasione nè da rivolgimento assoluto dell’animo : ebbe origine piuttosto da una ragione umana, dalla consapevolezza d’una interna inquietudine ch’egli stesso ebbe a dichiarare : «... o, se ti piace — dice seguitando un suo discorso al fratello — se ti piace tenerti più stretto alla lettera, spiegando dirai che tu già ferma hai la stanza, e quindi certo il luogo della sepoltura, mentre vagando io sempre, quella non ho, nè so dove questa sarammi sortita » (Fam., X, 4).
C’è dello strazio sincero! E ancora dello strazio c’è allorché aggiunge in un’altra lettera {Fam., X, 5) : «... ond’è che noi la morte ad un tempo abbiamo cara- ed in odio, e a noi si conviene quello che il Comico scrive : Voglio e non voglio, e quel che vo' disvoglio!*.
Quando 11 Petrarca giudica vanità la giovinezza e i piaceri mondani, non è spinto a quest’affermazione da persuasione d’indole puramente religiosa ma da un’amara esperienza della vita. A convertirlo influì piuttosto l’età che Dio: « Trassemi — dice nella famosa lettera ai posteri — l’adolescenza in inganno : m’ebbe vinto la giovinezza: mi corresse la vecchiaia, facendomi esperto di ciò che molto innanzi avevo imparato, giovinezza e piaceri non essere che vanità: o, a meglio dire, mi corresse il supremo moderatore di tutti i tempi e di tutte l'età, che i miseri mortali lascia talora da insano orgoglio aggirare nelle vie dell’errore, perchè, sebben tardi, una volta si ravveggano e si convertano ».
Perciò dicevo che il misticismo del Petrarca è infuso d'umanità e perciò dico che Chi voglia discorrere della sua anima religiosa debba partire dalle parole poc’anzi citate: misticismo umano che non c’è in Dante.
Mentre, infatti, questi finisce il suo poema con parole di fiammante ardore per la Vergine Madre e dice, per bocca di S. Bernardo, in suo linguaggio alto e commosso:
Or questi che, dall'infima lacuna dell’universo, infin qui, ha vedute le viti spiritali ad una ad una, supplica a te, per grazia, di yirtute tanto che possa con gli occhi levarsi più alto verso (’Ultima salute»,
il Petrarca finisce, invece, il suo Canzoniere con parole di leggiadra tenerezza per la Vergine bella e dice in un suo linguaggio flebile e doloroso:
s’a mercede miseria estrema de Fumane cose già mai ti volse, al mio prego t’inchina, soccorri a la mia guerra;
bench’i’ sia terra — e tu del ciel regina.
Terra era, infatti, il Petrarca, e materiato di terra era il suo misticismo, ma luce, splendore di paradiso era, ormai, Dante e materiato di fiamma viva era il suo misticismo: il primo non aveva ancor superato la guerra e si può dire che si trovasse ancor nell’inferno, ma il secondo aveva già superato la guerra e dall’inferno era sàlito ai cieli fiammeggianti del Paradiso.
Cremona.
Francesco Biondolillo.
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“IL PASSATO,, DI ALFREDO LOISY(,)
alla evocazione minuta delle sue chosespassèes, la figura dell'autore di L'Evangile et l'Eglise non sembra, in verità, uscire ingrandita. Parecchi, in Italia, hanno subito una evoluzione spirituale analoga alla sua, e sono giunti, dopo lungo travaglio mentale, quasi del tutto indipendentemente dalle sue opere, alla identica interpretazione del messaggio evangelico, alla stessa valutazione del fatto cristiano-cattolico nella Storia. Molto spesso hanno trovato nei suoi volumi, grandi e piccoli, la formulazione più esatta di giudizi e previsioni, solo vagamente intuiti: in complesso, hanno concepito e sempre nutrito la più profonda ammirazione per la lealtà scientifica dello studioso indefesso, per l’acutezza singolare del critico, solo reo talora di ipertrofia nei suoi istinti analitici, per la limpidezza superba del suo piano di ricostruzione apologetica. Il saggio autobiografico che ci è dinanzi deve aver gettato, a loro giudizio, molta ombra sul profilo dell’antico professore dell’ Istituto cattolico. Un libro come questo, tutto di confidenze e di memorie personali, autorizza, se non impone, non dico già un processo alle intenzioni, ma una estimazione del temperamento e dei motivi di condotta. Ebbene: tale estimazione non può suonar favorevole. Il volume è caldamente suggestivo, come ogni confessione di individui molto intelligenti, la cui operosità è stata una battaglia ; è scritto con arte, riboccante di pregi stilistici e letterari; molta ironia, anche troppa, lo pervade; molto spirito, talora forse leggermente sguaiato, vi corre dentro (v. pag. 165). Ma i difetti dell’uomo vi appaiono in tutta la loro eccezionale gravità, in tutta l’efficacia malefica che hanno potuto spiegare sugli atteggiamenti di un’anima che, consacrata al sacerdozio, aveva, nell’angoscia, compito il più organico sogno di rinnovamento culturale cristiano.
Non siamo di quelli che avranno aperto Choses passées, con le disposizioni di un giudice istruttore. Anche noi abbiamo troppo amaramente assistito agli attacchi dellWw# theologicum, e d’altra parte abbiamo troppo penato nella ricerca
(1) Alfred Loisy, Choses passées. Paris, Noùrry, 1913.
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« IL PASSATO » DI ALFREDO LOISY
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di un punto d’appoggio nel naufragio fatale di tutte le posizioni della rigida ortodossia, per trovar motivo di biasimo nelle conclusioni teologicamente più audaci 0 nelle soluzioni pratiche più radicali, date al problema della disciplina cattolica ed ecclesiastica. Ma è il Loisy stesso a dare, nella narrazione delle sue vicende, la prova dei difetti che hanno inquinato la concezione e lo svolgimento dei suoi piani scientifici ed apologetici. Innanzi tutto il suo spirito si rivela fasciato da una smisurata superbia e da una agghiacciante freddezza. La prima lo spinge, per esempio, a una esagerata stima della originalità delle sue opinioni (vedi pag. 75); la seconda, non disgiunta dalla prima del resto, lo induce a trattare male, per non dire indegnamente, personaggi che pure non gli lesinarono protezione e favore, primo fra tutti monsignor D’Hulst. Io non conosco la vita scrittane di recente dà Alfredo Baudrillart se non dalla nota consacratale dal Loisy stesso nel fascicolo d’agosto 1912 della Revue dhistoire et de littérature religietises. Ma proprio quella nota, e le pagine più ricche del volume ricordanti i rapporti dell’antico professore dell’istituto cattolico col suo presidente, bastano a dimostrare l’ammirazione calda e la difesa vigile che il D’Hulst non nascose per il giovane docente d’esegesi. II Loisy non vede invece che il D’Hulst in atto di portare l’articolo, che doveva provocare le sue dimissioni, ai cardinali protettori dell’Istituto, e gli consacra un rancore che non piegò più mai (v. pagg 146 e 159), che non ha piegato neppure di fronte alla morte, perchè continua a deformarne i criteri. Infatti a pag. 160 di questo volume il Loisy dichiara che sarebbe stato pronto a dimenticare i torti ricevuti, se monsignor D’Hulst avesse pronunziato una parola di amicizia fiduciosa, e non si accorge che questa parola il D’Hulst l’aveva pronunziata, nella breve lettera, per lo meno, che il Loisy stesso riproduce a pag. 159.
Simile riconciliazione esigeva del sentimento, e la vena del sentimento sembra essiccata, se pur mai ha zampillato, nell’anima' di questo chiuso e tenace figlio di contadini normanni. Quando mai suonano sul suo labbro parole di riconoscenza per coloro che comunque gli hanno mostrato dell’attaccamento o della deferenza ? Lo so : nessuno, nel ceto ecclesiastico, è andato a lui apertamente e gli ha steso la mano mostrando di averne perfettamente inteso il pensiero. Ma la Chiesa è una vasta federazione di anime, nel cui àmbito si svolgono le più varie esperienze personali e hanno diritto di cittadinanza tutte le gradazioni del-l’intelligenza. Il Loisy tratta duramente il buon Le Camus (pag. 255), dimenticando perfino il sacrificio non indegno che si celò nella sua morte immatura ; accenna con indifferenza all’affetto dei vecchi amici che non lo abbandonarono nell’esilio; si rivela troppo irritato per l’impossibilità di trovare un terreno, non dico d’ intesa, ma nè pur di discussione, col card. Richard (pagg. 147, 297). Oh, povero lui se avesse dovuto trattare con qualche eminenza ed eccellenza italiana !...
Solo quando parla dell’opera svolta nelle mura del convento delle domenicane a Neuilly, il Loisy sembra scuotersi da) torpore della sua freddezza e scrive pagine magnifiche (pag. 161 e segg.) sull'efficacia dell’ ideale puro cristiano nella pratica della vita monastica e della pedagogia giovanile. Ma è un lampo : e l’abituale insensibilità ai grandi motivi sentimentali dell’apologetica cristiana torna a imperare presto sovrana. E pure proprio il Loisy non aveva egli, prima e meglio di altri, mostrato come, venendo meno gli argomenti razionali dell’apologetica tradizionale,
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la Chiesa dovesse ormai alla dimostrazione della sua insurrogabile funzione storica ed etica raccomandare le sue sorti ? Qui è il problema più oscuro che queste Choses passées impongono all’attenzione di quanti, estimatori del Loisy e devoti al programma del rinnovamento cattolico, avevano creduto di averlo sempre consenziente nell’auspicare un abbandono degli indirizzi scolastici per l’adozione di metodi apologetici, che rivendichino i valori cristiani come valori di vita. Forse le amare peripezie della sua esistenza, valutate attraverso le lenti dell’orgoglio, lo hanno reso ormai incapace di percepire le sconfinate possibilità dell’apologetica cristiana, trasferita sul terreno del sentimento e dell’etica sociale. Ma con ciò egli ha meritato, purtroppo, la condanna evangelica ; perchè ha posto mano all’aratro, e si è ritratto indietro, alle prime punture del dolore e della delusione. Uomo di scarsa fede !
Forse ha una attenuante in suo favore, e, da giudice imparziale, devo segnalarla. Il Loisy, come già il povero Tyrrell, ha conosciuto Roma solo attraverso i bollettini ufficiali. Chiuso nel guscio del suo amor proprio offeso, il Loisy non si è mai, pare, fermato a riflettere sulle esigenze molteplici a cui deve sottostare il governo ecclesiastico centrale. Vissuto sempre in Francia, non ha mai osservato da vicino le piccolezze e le oscillazioni degli individui che questo governo personificano. E s’immagina così che una scrupolosa, rettilinea ponderazione presieda alla compilazione di leggi e decreti che rispecchiano semplicemente il momentaneo prevalere di un piccolo partito di curia o di una volontà cardinalizia preponderante. Non giunge egli a scoprire sottili divergenze di tono in documenti pontifici che lo riguardano (pag. 362) e a proporne spiegazioni lambiccate, mentre forse non riflettono altra diversità da quella dei minutanti che li hanno redatti? Per questo i fedeli all' ideale modernistico non deploreranno mai abbastanza che uomini come il Tyrrell o il Loisy non abbiano mai valicato le mura dell’eterna città, per contemplare da vicino le deficienze umane dei congegni che costituiscono il governo centrale della Chiesa, la mutabilità dei suoi indirizzi, la calcolata praticità delle sue decisioni.
Roma è una realtà risibile nei suoi elementi concreti ; è una realtà immensa nei suoi elementi simbolici. Per valutarla quanto conviene, come simbolo, occorre vivere il cattolicismo lungi dall’ Italia. Mentre per apprezzarla come merita, quale realtà, per riconoscerla immeritevole qual’è pur della nostra ribellione, bisogna essere stati in diretto contatto con la sua ignorante, intrigante, indifferente burocrazia. Ma poiché nel mondo le realtà spirituali più insigni poggiano sui sostegni più meschini e più, all’apparenza, caduchi; e poiché, per dura ma inesorabile legge, il sostegno materiale è indispensabile alla realtà spirituale, e la Roma delle congregazioni può ancora di fronte al mondo, separarci dalla Roma dei secoli e dell’eternità, per tutto ciò occorre evitare le condanne della Roma burocratica per non perdere il contatto con quella Roma, di cui Cristo, anch’egli, fu, secondo la sentenza dantesca, cittadino. Il Loisy invece, accecato dal suo sdegno, scrive a pag. 324 : « Je me sentis heureux de n’être plus romain, pour être encore, et davantage, et tout à fait français». Amico Loisy, permettete che vi invii le mie condoglianze : voi mi sembrate simile a un negoziante fallito, che si gloria di veder inserito il suo nome nell’albo dei protesti cambiari. Potete proclamarvi francese quanto vi pare: non colmerete più l’impoverimento del non sentirvi più romano.
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Lo sdegno e la superbia sono pessimi consiglieri : ad Alfredo Loisy, han finito coi giocare uno strano tiro. Molti tratti del libro, specialmente la finale, mostrano che l’autore considera il suo laborioso passato come una parentesi di deviazione e di angoscia, da cui si ritiene felicissimo d’essere uscito. La dichiarazione è terribile. L’amor proprio deforma così radicalmente l’estimativa dell’antico professore dell’ Istituto cattolico, da fargli ripudiare il titolo più glorioso della sua esistenza, quel titolo che i posteri gli riconosceranno con maggior lode, la ricostruzione cioè di un’apologetica cattolica in armonia con la cultura moderna; da fargli dimenticare il programma più alto da lui formulato nel passato, da farglielo dichiarare assurdo e puerile (pag. 323); da indurlo a dichiarare, producendo in noi, che non possiamo porre in dubbio la sua leale sincerità, una impressione di sbigottimento, che la scomunica suscitò nel suo animo un senso di « infinito sollievo ! » (pag. 367).
Innegabilmente, son queste le asserzioni che pongono a più dura prova la nostra vecchia e deferente devozione all’autore di L'Evangile et l' Eglise. Quando si riflette che l’evoluzione intellettuale del Loisy, a quanto risulta da questa autobiografia, risale a più di un venticinquennio indietro ; che le sue opinioni al momento della scomunica non erano diverse da quelle professate qualche anno prima, quando godeva una pensione sulla cassa diocesana di Parigi o mirava a conseguire una sede vescovile (pag. 217, 232), non si riesce a capire il movente di così subitaneo capovolgimento psicologico.
Forse egli si sforza di far credere così che la perduta fiducia nella convertibilità della Chiesa, ha mostrato sterile il lavoro compiuto nel passato per favorire l’evoluzione dei suoi postulati apologetici. Forse egli ha voluto giustificare con una teoria catastrofica sulle sorti del cristianesimo cattolico il suo recente atteggiamento, ma la teoria era superflua a tale scopo : e, di più, essa non regge, nella giustificazione individuale che il Loisy ne dà.
Quando un uomo, e specialmente un prete, è dalla autorità violentemente ridotto all’impotenza, e viene posto nella impossibilità di lavorare, il suo dovere all’obbedienza decade, perchè sopraffatto dal dovere del ministero : nè ha bisogno di giustificare le nuove forme del suo lavoro, purché ispirate al criterio della elevazione spirituale comune. Chi mira ai valori dello spirito, non vedrà una discontinuità nell'opera da lui perseguita. La coscienza moderna sente che, nei casi estrèmi, ci sono vincoli di cattolicismo anche al di sopra di differenze confessionali e di separazioni canoniche.
In nome di questo sentimento, io non posso fare a meno di ritenere mostruosa la sdegnosa rinunzia che il Loisy sembra fare a un trentennio di operosità apologetica, perchè non ha visto i suoi concetti approvati da quella sospettosa autorità romana, che è sempre l’ultima, e tale deve essere, nel muovere il passo dietro il vacillante e complesso movimento del pensiero umano.
Come debbo ritenere leggère e premature le sue previsioni pessimistiche. Egli scrive: «Oggi ritengo d’essermi ingannato: se l’ideale morale non può essere edificato mediante la scienza sperimentale, come non può essere attuato mediante un semplice esercizio della ragione, se, quindi, la scienza positiva non comprende nè esaurisce da sola la vita dello spirito, non vuol dire che una evoluzione della teologia cattolica, compiuta dai teologi stessi e sanzionata dalla gerarchia eccle-
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siastica, costituisca per noi l’unica alternativa. Il cambiamento radicale, indispensabile a tal fine, travalica il limite delle possibilità, anche delle possibilità umane. L’evoluzione sarà senza dubbio compiuta : si compie anzi, ma fuori della Chiesa e a sue spese, non già nella Chiesa, che non vuol acconciar visi, e per suo mezzo ». Nulla è più orgoglioso, e nel medesimo tempo più fatuo, che il voler accendere ipoteche sull’avvenire delle istituzioni umane. Le grandi evoluzioni storiche hanno bisogno per attuarsi di così ampio ciclo di anni e di così ricco patrimonio di esperienze, che non è lecito, nè pure alle intelligenze più acute, delinearne in antecedenza il corso e valutarne le probabilità di successo : specialmente quando il giudizio è preoccupato da motivi personali di risentimento e di pessimismo. Il problema dell’avvenire del cattolicismo e della Chiesa nel mondo è il più complesso che possa presentarsi oggi alla considerazione dello studioso. E’ dovere forse di serietà non arrischiare previsioni in proposito, ritenersi soddisfatti nel pensare che ogni modesto contributo arrecato allo svecchiamento delle concezioni teologiche, allo innalzamento dell’etica collettiva, alla purificazione della esperienza cristiana, sarà insensibilmente utilizzato nella elaborazione delle future forme religiose della società umana.
In un'altra pagina del suo volume (203), il Loisy avanza un parallelismo storico per adombrare l’attuale crisi cattolica e il probabile suo esito. « La Chiesa non si trova attualmente nella condizione in cui si trovò al tempo delle grandi eresie, o pure nel medio evo, o al momento della riforma protestante: si trattava allora di semplici crisi interne del cristianesimo. La sua situazione attuale rassomiglia più tosto a quella del paganesimo decadente, nei primi secoli dell'èra nostra, quando cominciò ad apparire evidente agli individui più illuminati, che i vecchi culti nazionali potevano sussistere solo a patto di interpretazioni nuove e di una specie di trasposizione. Ma questa non riuscì, e si verificò invece una sostituzione del cristianesimo giovane e vivo alle religioni superate, incapaci di rigenerarsi fin nei loro principi » (pag. 203 e seg.). Simile riavvicinamento si deve essere presentato più volte alla fantasia di quanti considerano l’attuale crisi cattolica : ma non è stato saggio averlo formulato in un volume che se vuol essere un frammento autobiografico, è anche un bilancio della Chiesa e una critica dei suoi indirizzi. Poiché le istituzioni morali non sono governate nel loro sviluppo da leggi meccaniche come le altre, non se ne può fissare in antecedenza il destino, come è dato di prevedere, anche a lunga scadenza, le eclissi. Per porre un'equazione fra due momenti di un aggregato umano, occorre che entrambi siano già nel dominio del passato. Comportarsi diversamente, significa esporsi a prendere abbaglio. E il Loisy dovrebbe saperne qualcosa anche per esperienza propria, perchè confessa: «j’ai dù faire erreur>, quando, all’indomani delle dichiarazioni pontificie circa la legge di separazione in Francia, aveva annunciato « la fin très prò-chaine du catholicisme parmi nous » (pag. 332).
Firenze.
Aristide Gambari.
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IN LONDRA
NA certa emozione produssero in Inghilterra le parole pronunziate il 27 marzo di quest’anno da Mr. Dan Crawford, il noto compagno di Livingstone, venuto in Londra dopo । 23 anni di assenza spesi nella missione dell'Africa centrale, per prendere parte ai festeggiamenti centenari del grande esploratore e missionario. Egli disse, e le sue parole riprodotte dal Daily Telegraph furono per più giorni discusse da tutta la stampa, che era rimasto « dolorosamente sor-I preso in trovare, dopo 23 anni di assenza, Londra divenuta
pagana, la Bibbia non più letta, le chiese non più frequentate, ecc. ».
Alcuni dei commenti che s’incrociarono nella viva e larga discussione possono dare un’idea del senso nel quale questo giudizio può sembrare giusto e del senso nel quale può sembrare ingiusto, e nello stesso tempo introdurre a comprendere il nuovo spirito cristiano verso cui si avvia la religiosità inglese, e che forma come l’atmosfera e la linfa di' cui si alimenta il movimento dei Brotherhoods o Confraternite (senza la minima analogia con le « Confraternite » cattoliche, specie italiane).
Lord Radstock, uno dei principali leaders del movimento evangelico nel seno della Chiesa Inglese, mi diceva al proposito: « È vero, appena il io°/o della popolazione libera di Londra frequenta la domenica un luogo di culto, appartenente alla Chiesa Inglese o a Nonconformisti, — che in Londra si fanno equilibrio; — ma ciò non dice nulla, neppure riguardo al fattore culto, perchè almeno altri 15 % della popolazione attendono ad alcune forme di meetings, specie Brotherhoods, Sunday Schools, Pleasant Sunday Afternoons, Friendly Societies, e simili, d’ispirazione religiosa ».
« È vero », — scriveva il Pastore Meyer sul Daily Telegraph stesso, — «in questi ultimi 20 anni meno gente va alla chiesa, ma la frequenza alle chiese non è il termometro del Cristianesimo di un popolo. Indubbiamente, una nazione che in questo tempo stesso tanto ha fatto in favore dei poveri, dei malati, dei vecchi, dei fanciulli; che ha tanto progredito nella lezione che i forti debbono sopportare il peso che grava sui deboli, e che non basta dire « Signore, Signore ! », ma è necessario fare la volontà del Padre Celeste, è più vicina al Regno di Dio, benché centinaia di migliaia dei suoi membri non appartengano
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ad alcuna delle Chiese Cristiane. La « Salvation Army >, i « Settlements », la legislazione « Cristiana », i « Brotherhoods » sono una manifestazione di Cristianesimo, più eloquente assai delle sublimi discussioni dei bei tempi in cui si andava a sentire nelle chiese quanti angeli possano ballare sulla punta di un ago. Del resto, basta assistere a sermoni in cui si parli, con competenza e simpatia per la nostra vita moderna, di ciò che migliora e abbellisce la vita individuale e sociale, per vedere che il Cristianesimo nulla ha perduto della sua forza ».
E il Rev. Watts Ditchfield : « Il bisogno ed i mezzi di divertirsi la domenica sono cresciuti in Inghilterra, è vero, ma il popolo, specie gli operai, hanno ancora un vivo sentimento cristiano. L'atteggiamento del Cristianesimo nelle grandi questioni morali e sociali è ora in via di essere adottato da tutta la nazione : il suo spirito impregna tutto il movimento socialista che è in gran parte fondato sul Vangelo. Ben 30 dei 40 membri del « Labour Party » appartengono a qualche società e denominazione cristiana... Sol che il Vangelo sappia adattarsi alla futura generazione, questa si adatterà al Vangelo».
E il deputato Silvester Horne, ministro di « Whitefield Tabernacle » del quale ci occuperemo a lungo in questo articolo, interloquiva: « Il fatto è che Londra è più cristiana che mai, benché si curi sempre meno di sapere se è ancora tale o se debba chiamarsi « Pagana ». Benché molti metodi e sistemi convenzionali delle Chiese siano caduti in disuso e in disistima, il Cristianesimo in sostanza trionfa. Date uno sguardo al lavoro compiuto in questi anni, di legislazione operaia, di antiaìcoolismo, di redenzione delle schiave bianche, di istruzione ed educazione, e vedrete... : non si può chiamare cristiana una città in cui la cattedrale sia magnifica ma i tuguri siano sordidi». Ed egli stesso in un discorso al Brotherhood di Whitefield il 16 gennaio, intitolato « Segni dei tempi », aveva detto — ed è questo un saggio del genere di discorsi Che si tengono in tali adunanze — : « Vi sono certi segni di vita e di progresso, di primavera e di estate, facili a percepirsi da ognuno e scritti in fronte alla natura e alla vita dell'uomo. In questi giorni abbiamo avuto l’inaugurazione del funzionamento delle nuove leggi di assicurazione contro la malattia e la disoccupazione, e per fornire una dote ad ogni figlio di operaio che nasce; importanti in se stesse, queste leggi sono qualcosa di più : sono segni dei tempi. Esse significano la rigenerazione dello Stato, la rinascita di una coscienza sociale, il risveglio di una nuova vita sociale in cui non la vecchia carità — che è sempre andata a braccetto col servilismo, — ma la giustizia che è congiunta indissolubilmente con la dignità e Pindipendenza, trionferà... E segno indubbio dei tempi è l’avvento del « Brotherhood », di questa potenza grande, forte, integratrice, che sta divenendo superiore a tutti i pregiudizi e a tutte le partigianerie di partito, di razza, di credo ».
Furono queste le prime parole che mi rivelarono in un pomeriggio di domenica dello scorso gennaio, che cosa il movimento dei « Brotherhoods » si proponesse; e gli applausi frenetici di quasi duemila uomini adulti, venuti da tutte le parti di Londra a trascorrere in questa cappella troppo angusta al bisogno un paio di quelle ore di cui diceva il Taine: « Il pomeriggio di domenica a Londra è spaventevole : dopo avere errato per un'ora per le vie deserte
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Esterno di ' Whitefield Tabernaclc ■ da dieci anni centro di una Missione Con-gregazionalista in Tottenham Court Road, (presso la Goodge Street, prima dimora di Mazzini in Londra).
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di questo cimitero abitato vi sentite invasi dallo spleen e cominciate a pensare sul serio al suicidio», mi parvero significare un sintomo di quella riconciliazione fra le esperienze trascendentali organizzate in Religioni e Chiese e le esigenze morali e sociali moderne, che sta in cima alle aspirazioni di tante anime religiose e moderne.
Che cosa è dunque il movimento del « Brotherhood » ? Lo definirò quale una «penetrazione del Cristianesimo nelle aspirazioni sociali contemporanee;»,, come si espresse il vescovo di Winchester nella Settimana sociale Browning in questo mese di maggio, ovvero quale « penetrazione dello spirito sociale nelle chiese cristiane », come gli oppose il deputato Keir Hardie, il fondatore del Socialismo inglese? Lo chiamerò un tentativo di salvare dal naufragio e utilizzare per la formazione della generazione ventura quel residuo di valori morali e sociali cristiani che restano alla base di tutte le diverse denominazioni quando se ne obliteri tutto l’aspetto dottrinale e rituale? Dirò che il « Brotherhood » sta alle « Società religiose » come... il giornale sta al libro e l’Università popolare sta all'Università privilegio di pochi, nel regno della coltura, e come il cinematografo sta al teatro e il bar sta al caffè in quello degli otia subseciva\ cioè una riduzione democratica, a portata di mano, di borsa e di buona volontà, e una semplificazione accessibile a tutte le fedi, di una sola fede gravida di speranza, quella della carità?
Additerò in esso la forma religiosa delle onde potenti derivate dall’azione umanitaria di John Howard, Elizabeth Fry, Wilberforce, Shaftesbury, Barnardo, e più dal Cristianesimo sociale di Ruskin, Kingsley, Denison Maurice, Toynbee Arnold, delle quali la forma più direttamente sociale o di social Service ha trovato espressione definitiva nella grandiosa istituzione dei « Settlements » ?
O più semplicemente, dirò che il movimento del « Brotherhood » è una emanazione e una derivazione delle « Sunday schools » istituite già dal secolo scorso dai « Friends » (o « Quakers >); o anche meglio, una democratizzazione dell’idea stessa e dell’organizzazione della famosa società dei « Friends », che fino dalla metà del secolo xvn proclamava un Cristianesimo essenzialmente morale e spirituale, senza credo nè rituale, nè clero nè disciplina fissa?
Senza poter dire quale di questi elementi entri come il più efficace nella costituzione del « Brotherhood », credo si possa dire però, che essi siano tutti altrettanti fattori, se non tutti genetici, almeno attualmente costitutivi, di esso. Ma un altro fattore, benché estrinseco, non meno essenziale è il processo subito in questi ultimi lustri dalle stesse Chiese storiche Nonconformiste nello stesso senso che l’attuale movimento. Senza di esso, il movimento del « Brotherhood » abbandonato a se stesso avrebbe subito la stessa sorte di altre meteore effimere, per quanto luminose, quale il « Risveglio del Galles », il « Movimento degli uomini e della religione » negli Stati Uniti, e le missioni « Moody e Sankey », che non han lasciato dietro a sè traccia di organizzazione permanente. Il « Brotherhood » invece è stato accolto, ospitato, adottato dalle Chiese, Specie Nonconformiste, come una specie di « Terz’ordine » , ed è anzi da esse specialmente, — per circa 9/IO, — promosso e sostenuto, benché da esse distinto e indipendente. Si può anzi dire, che esso sia l’espressione più tangibile di quel ralliément anche sul terreno religioso, che è stato il frutto prezioso della loro
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cooperazione sul terreno morale e sociale, e che ha trovato recentemente, nel congresso di Edinburgh, la. sua consacrazione con la cooperazione nel terreno delle Missioni estere.
Venendo più al particolare e al concreto, il movimento dèi « Brotherhood » che conta ormai più di dieci anni di vita rigogliosa, benché abbia origini oscure più remote — alcuni lo fanno risalire al « Pleasant Sunday Afternoon » cominciato a West Bromwich nel 1875 da Mr. Blackham —- si propone la formazione di una elevata coscienza di uomo e di cittadino nei suoi membri, tratti special-mente dalla classe operaia e dalla piccola borghesia. A ottenere questo scopo, esso li associa in società locali federate tra loro in gruppi nazionali, per mezzo di un vivo spirito cristiano, di dignità umana, di fratellanza, di solidarietà e responsabilità, ma senza alcuna formola definita di dottrina, e senza quindi richiedere dai membri altra professione che quella di adesione implicita al suo Spirito, contenuta nella domanda stessa di farne parte.
Questa coltura di « umanità» è formulata specialmente nelle adunanze pomeridiane della domenica, e nelle forme più o meno molteplici di coltura, educazione, « servizio sociale », attività morale e anche politica, associate con i diversi « Brotherhoods » e da essi emanate. Nelle sue forme più semplici, le esigenze per la fondazione e il funzionamento di un « Brotherhood » sono minime : come già i primitivi cristiani si adunavano sia nelle sinagoghe ortodosse che sul colle di Marte, o nel tablinum di una casa patrizia romana o in un cenacolo, così i membri dì un « Brotherhood », secondo l’occasione, si raccolgono in una .chiesa anglicana o più spesso in una cappella di Nonconformisti, in aule scolastiche, in ippodromi, in teatri, su di un prato. E non meno libera è la scelta degli oratori e degli argomenti. Giornalisti, deputati, romanzieri, professori, commercianti ed operai anche, forniti di speciale cultura su soggetti d’interesse generale e di uno spirito armonizzante con quello del movimento, tutti possono essere invitati a parlare nelle sue adunanze : proprio come nelle nostre « Università popolari». E come in queste, gli argomenti possono essere i più svariati, dal limite minimo confinante con soggetti di pura coltura propriamente detta, a quello massimo riguardante problemi strettamente religiosi: naturalmente, la politica, che già ha tanta parte — per alcuni anche troppa —- nella predicazione degli oratori Nonconformisti, non ne ha minore in quella dei « Brotherhoods »: e nelle nazioni moderne costituzionali in cui i singoli cittadini sono essi responsabili della soluzione di tutti i grandi problemi di giustizia e di progresso nazionale e internazionale per mezzo dei loro rappresentanti, pretendere il contrario sarebbe, con una forte frase di Mazzini, «ateismo politico ».Se poi lo spirito cristiano di fratellanza, di amore, e quindi di democrazia, e anzitutto il senso fondamentale di dignità umana che esso ravviva, fa sì che il « tabernacolo », come i conservatori denominano il movimento del « Brotherhood », si trovi in molti punti in opposizione con la loro politica di privilegio, che mantiene tutta la nazione schiava di poche centinaia di migliaia di monopolisti della ricchezza nazionale, ciò prova solo che lo spirito cristiano, sequestrato anch’esso da una frazione della società, ritorna ora a pervadere libero le masse e far sentir loro « quella divina irrequietezza, quel sublime malcontento che non è solo ingordigia di beni materiali, ma è aspirazione ad una vita più umana e più di-
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309vina » come disse F. H. Stead nel Browning Settlement. « Se cercherete l'uguaglianza non troverete che l’odio: cercate la fratellanza, e l’uguaglianza vi sarà data per giunta » ha scritto Émile Faguet recentemente. E Bernard Shaw in un discorso ad un’accolta operaia disse, in uno spirito affine, alcuni anni or sono: « Quando la vostra azione concorde per distruggere la miseria, cioè l’ostacolo ad una vita superiore, sarà riuscita a condur Dio a fare la volontà vostra, anche voi, siatene certi, avrete fatta la volontà di Dio ».
Questo è lo spirito caratteristico del « Brotherhood »: cercare il regno di Dio e la sua giustizia; salvare l’anima individuale attraverso la salvezza dell’anima sociale : « dove due o tre si adunano in nome mio, io sono in mezzo ad essi ».
Ma le adunanze del « Brotherhood » non consistono solo in conferenze di un argomento morale, sociale, coltura dello spirito: queste sono precedute e seguite da qualche breve lettura edificante — spesso è un brano della Bibbia — da qualche brevissima preghiera, e da un programma musicale che va dagli « a solo » a delle orchestre ben nutrite e con scelto repertorio. Quanto poi alle attività connesse, ne parlerò in seguito a proposito del < Brotherhood » tipico di Whitefield.
L’organizzazione poi che altro non è che una federazione di unità indipendenti, Stringe, come tutti gl’individui di un « Brotherhood », così tutti i « Brother-hoods » delle singole regioni ; e queste infine in gruppi nazionali, i quali alla lor volta mantengono fra loro cordiali relazioni. Nel mese di marzo i rappresentanti di circa 600 mila membri del « Brotherhood » nella sola Inghilterra — notare che in ogni settimana si inaugurano qui due nuovi « Brotherhoods » — si adunarono nella Albert Hall : tutti i più grandi oratori e leaders delie diverse Chiese Nonconformiste, ed anche laici ad esse non appartenenti, presiedettero e parlarono, 0 semplicemente intervennero alla splendida rassegna, vero « segno dei tempi ». Le relazioni poi fra i gruppi delle diverse colonie sono mantenute per mezzo di continue visite reciproche di segretari, delegati, membri dei diversi « Brotherhoods », specialmente durante la season che ora richiama alla Old England tanti figli dispersi per il mondo... inglese : nomino solo Mr. Ho-well, segretario generale dei « Brotherhoods » canadesi, che in 18 mesi di esistenza contano di già 100 mila membri, e Mr. W. Williamson di Vancouver, segretario della federazione dei < Brotherhoods » della Colombia inglese.
Non vorrei dimenticare di notare, senza poterne parlare di proposito, che laddove i « Brotherhoods » propriamente detti accolgono soli uomini — salvo eccezioni — onde sono chiamati anche Meri s meetings, allato ad essi, e spesso in locale adiacente e con corrispondenza d’orario, esiste gran numero di « Sister-hoods » — che non oserei tradurre col nome di sorellanze, ma che non saprei tradurre neppure con la perifrasi di « Confraternita di sorelle » — chiamati anche Womerì s ineetìngs o « Adunanze di donne ».
Per fare ora una rassegna, per quanto rapida, dei « Brotherhoods » anche della sola Londra, non sarebbe sufficiente un numero di pagine simile a quelle già usurpate, e devo limitarmi a dire che ogni denominazione quasi ne ha — cioè dà ospitalità e sostegno ad essi — nei suoi edifici di culto e nelle sue « Missions » e sale, e che rimpiango di non poter parlare in modo speciale di
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alcuni di essi alle cui adunanze ho partecipato, quali quello nella chiesa del doti Clifford in Bayswater e l’altro nella Missione di Bloomsbury del rev. Phillips, ambedue Battisti, e quello nella sala Metodista di Westminster, e nella cappella di Battersea dei Congregazionalisti, e nella Toynbee Hall.
Qualche linea però devo consacrare ancora al Men's meeting di « Whitefield Tabernacle», non solo perchè è indubbiamente il più tipico e il più frequentato di Londra, ma perchè oratori di gran valore personale e rappresentativo, da me ascoltati per circa sei mesi, vi compaiono ogni pomeriggio di domenica, e una fioritura di svariate attività lo completa: un impegno speciale mi deriva poi dalla cordiale accoglienza e paziente informazione di cui mi fu largo il coadiutore di Silvester Horne il rev. Charles Piggott.
Il valore personale del rev. Silvester Horne deputato, simpatico tipo di cristiano moderno, che con il Campbell, il Clifford, il Wilberforce, il Lilley, lo Stanton, è una delle figure più prominenti della Londra cristiana contemporanea, ha fatto di « Whitefield Tabernacle > un poderoso strumento di risanamento di una delle plaghe più infette nel cuore stesso di Londra, e un centro di attrazione per migliaia di uomini che accorrono al suo « Brotherhood » da fin, 12 chilometri di distanza. La chiesa, con le sue loggie, ne è stipata fino all’inverosimile: e vedere quei 1200 uomini tutti compresi di uno spirito, insieme di gioia, di fratellanza, d’interesse e di religione, applaudire e ridere fragorosamente — « se vi è un luogo ove si ha il diritto di ridere, questo è la chiesa», disse loro un giorno, senza che ve ne fosse troppo bisogno, Gipsy Smith — ed uscire dal meeting rinvigoriti, e come saziati di un sodo e sostanzioso nutrimento dello spirito, è uno spettacolo che rivela da solo la potenza e la forza del nuovo movimento. Oratori quasi tutti laici, eccetto l’Horne stesso il quale però raramente parla quale oratore della giornata limitandosi a dare una brillante ripassata e a porre i puntini sugli i a quasi tutti i discorsi, hanno parlato nei primi mesi di quest'anno su soggetti altrettanto vari quanto le nazionalità e le occupazioni degli oratori stessi ; il deputato Hughes sul « Carattere degli Inglesi »; Mr. Noel Buxton sulla « Guerra balcanica » di cui è stato testimonio; il deputato A. Thomsom sul « Parlamento e la causa della temperanza (antial-coolismo) »; Charles Poole, deputato al Parlamento della Nuova Zelanda, sulla « Emancipazione moderna in una terra nuova » ; Dan Crawford su « Livingstone » ; Mr. Goddard su « Alla ricerca di un uomo »; Gipsy Smith su tutto quello che gli è venuto in mente mentre parlava; Mr. Howell, segretario della federazione canadese dei « Brotherhoods », su questo soggetto, il deputato Will Crooks su « Londra e l’impero ». Ho omesso di dire che lo stesso ministro Lloyd George, durante la lotta per \'Insurance Act, è venuto a Whitefield a perorare la causa per cui combatteva. Non lascerò di notare che è a Whitefield appunto che il sunnominato Howell s’ispirò all’idea del « Brotherhood » e la trapiantò nel Canadá non ostante i carìt be done (non vi riuscirete): (« Ne ho intesi tanti di carit be done — egli disse argutamente — che ora non vi faccio più attenzione »). E per dare una punta di colorito all'argomento dell’oratoria di Whitefield, ecco alcune massime auree di un buon papà, il deputato Will Crooks, « un uomo comune, con abito comune e un cappello comune », come lo ha definito un americano... comune : « Amici miei, non v’inquietate : a nessuno im-
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SILVESTER HORNE
Deputate liberale e fondatore della
1 Mission ’ e del ' Brotherhood 1 di Whitefield.
W. CHARLES PIGGOTT Ministro con Silvester Hörne • a ' Whitefield
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IL MOVIMENTO DEL «BROTHERHOOD»
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porta delie vostre inquietezze. Non discutete quando vi sentite stanchi. Non dite mai che siete padroni a casa vostra : nella casa dei membri di un « Brother-hood » non vi sono padroni, ma solo compagni. Non portate a casa il ricordo della vostra azienda e dei vostri affari. Non parlate dei vostri fastidi davanti ai vostri figli. Non pensate che nessuno possa « farvela », perchè non è vero. Ve la faranno benissimo. Non crediate di esser peggiori degli altri, ma non crediate neppure di esser migliori. Non pensate troppo a voi : vi sono delle cose più importanti a cui pensare. Ecc. ».
Ma il « Brotherhood » di Whitefield è inoltre il centro di svariate attività a cui accenno appena, condensando quanto il rev. Piggott si degnò di dirmene e di mostrarmene :
i° Nel ramo istruzione, specie sociale (circoli di studi sociali, facilitazioni per acquisto di libri, ecc., biblioteca e gabinetto di lettura, conferenze settimanali);
2° Per il risanamento morale del quartiere (specie con riguardo alla moralità pubblica, all’alcoolismo, ecc.);
3° Per il miglioramento della vita cittadina (abitazioni, assistenza a giovani della provincia, educazione dei fanciulli, disoccupazione, aiuto ai candidati progressisti, ecc., Cassa di risparmio);
4° Servizio personale (aiuto in contingenze difficili o strettezze, visite ai malati (560 nell’anno), assistenza legale, carità spicciola, ecc.).
Oltre a questo che è proprio del « Brotherhood », vi sono a Whitefield clubs serali per uomini, donne, fanciulle, fanciulli, scuole di cucina e di sartoria per le donne, una eriche per i bimbi delle operaie, concerti e conferenze serali (uso < Università popolare »). E tutto questo ed altro, oltre l’attività propriamente religiosa che rimane distinta e libera.
La bandiera del « Brotherhood » di Whitefield porta a grandi caratteri il motto dominante : « No quest. No conquest » ; cioè : Nessuna investigazione o ricerca sulle credenze, professate o no, e nessun ardore di proselitismo. Ma il resoconto annuale dell'attività del « Brotherhood » porta, in antitesi, il motto, conseguenza diretta del primo : « Quest and Conquest » : (Ricerca e Conquista). E' il motto che illustra tutto il movimento del « Brotherhood ».
Aschenbrödel.
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GLI SFORZI VERSO L’EMANCIPAZIONE NELL’ISLAM
E L’AVVENIRE DEI POPOLI MUSSULMANI
È questo l’ultimo di una sene di articoli pubblicali l’anno scorso nella rivista Bilychnis e da ine scritti valendomi largamente, col permesso gentile dell’autore, di una serie di conferenze tenute a Parigi dall’illustre prof. E. Montel, rettore dell’università di Ginevra.
Quando scrissi queste pagine non erano ancora avvenuti in Balcania gli straordinari eventi di cui ancora oggi non si possono calcolare lutti gli effetti; ma ciò che dico conserva ciò malgrado il suo valore. 6. E. M.
gni dei tempi »
’avvenire dei popoli mussulmani sta nella loro emancipazione dal giogo delle tradizioni. Oggigiorno tutti i popoli marciano più o meno rapidamente sulla via del progresso. Un esempio impressionante è quello della Cina; essa ha percorso in pochi anni la strada per tracciare la quale le nazioni occidentali hanno adoperato parecchi secoli.
I mussulmani più intelligenti hanno capito queste cose ed essi lavorano in mille modi all’emancipazione dei loro connazionali.
Passiamo in rapida rassegna i sintomi di progresso, i « senel mondo islamico.
Nel campo politico«
Si è molto parlato in questi ultimi anni dei Giovani Turchi, o, per meglio dire, sono loro che hanno fatto molto parlare di sè. Essi sono stati e sono giudicati nei modi più disparati ed io mi guarderò bene dal giustificare tutti i loro atti. Essi si possono considerare come i nazionalisti dell’ Impero Ottomano e il loro nazionalismo può apparire fino a un certo punto e teoricamente simpatico ; in quanto alla pratica... esso non sembra meno settario e violento del nazionalismo di altri paesi.
In Egitto, il partito nazionale, il partito kediviale riformatore e il gruppo della « Gioventù egiziana » preparano, in un avvenire forse non tanto lontano, importanti avvenimenti.
Anche in Persia assistiamo a moti politici liberali.
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GLI SFORZI VERSO L’EMANCIPAZIONE NELL’ISLAM 313
Nel campo economico.
Nelle colonie francesi del Nord Africa, come nelle Indie inglesi, numerose e prospere industrie sono amministrate da mussulmani. Nelle Indie olandesi, in Malesia, alle Filippine troviamo dei mussulmani armatori e commercianti. Esistono società commerciali e società cooperative islamiche.
Altrove si sono costituiti sindacati operai maomettani per lo sfruttamento di miniere, la costruzione di strade ferrate, ecc.
Nel campo intellettuale.
Gli studenti mussulmani (provenienti dai paesi Turchia. Egitto, Persia, Algeria, Tunisia, Siria, Indie inglesi) frequentano le Università di Francia, d’Inghilterra, della Svizzera, della Germania. Nelle Indie inglesi Seid Ahmed Khan ha fondato nel 1871 il collegio ' mussulmano anglo-orientale d’Aligarh; questo istituto di studi superiori era frequentato nell’anno scolastico 1907-08 da 500 allievi mussulmani. Nel 1909 veniva fondata l’Università egiziana del Cairo la quale, appena costituita, si faceva rappresentare da una deputazione al 350° anniversario dell’università di Ginevra fondata da Giovanni Calvino.
L’Università di Costantinopoli — che di recente si faceva rappresentare al centenario dell’università di Berlino—ha dato da alcuni anni uno sviluppo straordinario all’insegnamento delle lingue e delle letterature europee.
Notevole sopratutto è lo sviluppo enorme della stampa.
A. Le Chatelier scriveva nel 1907 (1): «Nel 1900 la stampa mussulmana possedeva meno di 200 periodici; pochissimi progressi essa aveva fatto negli ultimi 25 anni del sec. XIX. Oggi essa è rappresentata da più di 500 periodici. Sé questa progressione si mantiene, ne avremo nel 1910 più di mille». La profezia si è avverata.
Nel campo religioso.
È questo il campo che maggiormente c’interessa. Passiamo in rassegna le principali manifestazioni dello spirito liberale e moderno nel mondo religioso islamico;
Lo spirito liberale si è manifestato su parecchi punti dell’impero spirituale maomettano : se ne possono citare esempi recenti in Siria, tra i Berberi, a Giava, ecc. Ma là tendenza teologica propriamente liberale si riannoda, dovunque essa si manifesta, all’antico Mu' tazilismo o razionalismo mussulmano.
Diciamo in poche parole che cos’era l’antico Mu’ tazilismo (2).
Verso l’anno 700 insegnava nell’ Irak il grande teologo Hasan el- Basri. Tra i suoi discepoli c’era un certo Wàsil-ben ’Atà il quale un giorno, in una discussione, negò la dannazione eterna del peccatore s’egli, in vita, era stato credente.
(1) Le monde mussulman (Revue de métallurgie, avril 1907).
(2) Vedi H. Galland, Essai sur les Mo* tazélites.
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BILYCHNIS
Ciò equivaleva, indirettamente, a negare la predestinazione nel senso assoluto della parola. Hasan pronunziò allora queste parole memorabili: «Wàsil si è separato da noi » \kad 'itazala 'arnia). Da eiò deriva il nome di Mu’ taziliti « i dissidenti » dato ai seguaci della dottrina di Wàsil.
Al principio della non-dannazione eterna del peccatore credente, i Mu’ taziliti ne aggiunsero altri, ancora più eterodossi nel senso liberale.
Essi affermavano l’unità di Dio nel modo più assoluto e più strano, negando cioè a Dio qualsiasi attributo.
Secondo loro, Dio è onnisapiente, onnipotente, vivente secondo la sua essenza. La sapienza, la potenza, la vita fanno parte della sua stessa essenza ; se si considerano come attributi eterni della divinità, ciò farebbe nascere molteplici entità divine. Ogni attributo di Dio è dunque, nello stesso tempo, essenza di Dio.
Questo concetto razionalista di Dio e della predestinazione, si ritrova in tutte le parti dell’insegnamento mu’ tazilita.
Per esempio : la parola di Dio è creata e, in quanto è creata, viene espressa da lettere e da suoni: ne consegue che il Corano è un libro umano; parlare dell'eternità del Corano è una bestemmia perchè equivale ad affermare due dii.
Il Corano è il prodotto della ragione umana; esso, in tesi generale, deve essere interpretato allegoricamente. Le ricompense e i castighi dell’Al di là vanno intesi in senso spirituale. E’ negata l'eternità delle pene. Là visione di Dio nel Paradiso non ha nulla di materiale. L’uomo può giungere direttamente, per mezzo della propria ragione, alla conoscenza di Dio. Nulla è buono o cattivo finché la ragione non ci ha illuminati sulla distinzione che deve farsi tra il bene e il male.
Tale, per sommi capi, l’antica dottrina mu' tazilita. Questo liberalismo teologico si estendeva alla sfera politica. Secondo la tradizione ortodossa l'Imam, il capo della comunità mussulmana, il califfo, dev’essere uscito dalla tribù dei Coreisciti, dev'essere cioè un discendente di Maometto. I Mu’ taziliti invece affermavano Che la qualità di Imam si ottiene pel libero suffragio della nazione, e che, per essere prescelto, basta la moralità e la fede.
E’ facile comprendere come questo razionalismo teorico e pratico abbia sollevato contro i Mu' taziliti la persecuzione. Specialmente nel IX secolo essi furono incarcerati ed uccisi. Così violenta fu la persecuzione che il Mu' tazilismo non potè più rifiorire; continuarono a professarlo alcuni uomini di valore; ma nel sec. XIII, esso scomparve del tutto. Rimase la semenza sparsa dal Mu' tazilismo ed i liberali mussulmani odierni lo rivendicano appunto a loro precursore.
Il liberalismo maomettano odierno.
Le sue dottrine sono state esposte sopratutto da Syed Ameer 'Ali, che è il più eminente rappresentante del liberalismo islamico nelle Indie inglesi (i).
L’articolo fondamentale del credo liberale mussulmano è l’Unità di Dio; le due caratteristiche essenziali della natura di Dio sono l'onnipotenza e l’amore.
(i) Le sue opere principali sono: The Personal Law of thè Afohammedans ; The Life and Teachings of Mohammed. or thè Spirti of islam.
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GLI SFORZI VERSO L* EMANCIPAZIONE NELL’ISLAM Jlg
L’onnipotenza di Dio è assoluta, essa si applica a tutti gli aspetti sotto i quali Dio può essere concepito: scienza, giustizia, saviezza, santità, ecc. Da questo concetto dell’onnipotenza divina è però esclusa ogni idea di soprannaturale nel senso comune del miracolo.
Per risolvere il problema del male i Mu’ taziliti moderni non ricorrono alla teoria oggi tanto in voga tra i cristiani della potenza momentaneamente limitata di Dio. Essi invece affermano la libertà assoluta dell’uomo nella determi-zione dei suoi atti e quindi considerano il male come il fatto dell’uomo, come il risultato del funzionamento del suo libero arbitrio, come una condizione di questa attività determinante della volontà umana.
Dio è dunque onnipotente e inoltre egli è misericordioso. L’Islam liberale moderno mette con forza l’accento sull’amore di Dio.
Caratteristico è il modo in cui il razionalismo mussulmano interpreta i doveri rituali dell’ Islam : preghiera, digiuno, elemosina, pellegrinaggio (il quinto dovere rituale, l'abluzione, perde qualsiasi importanza religiosa).
Secondo Syed Ameer ’Ali, il valore della preghiera consiste in questo : essa è il mezzo più efficace per raggiungere l’elevatezza morale e per realizzare la purificazione del cuore. E siccome l'illustre uomo si sforza di ritrovare nel Corano stesso (!) i principi da lui professati, egli insiste su ciò ch’^Zz chiama « la meravigliosa semplicità del rituale coranico » il quale, secondo lui, dà libero corso al più elevato spiritualismo religioso.
Il digiuno ha per ¡scopo d’insegnare all’uomo a contenere le sue passioni per mezzo di una diuturna astinenza durante un periodo di tempo determinato. E’ una scuola di moralizzazione.
L'elemosina è singolarmente esaltata da Syed Ameer ’Ali. A Sentirlo, nessuna religione prima dell’IsIam ha consacrato la carità al punto da introdurne il principio nella legge stessa. A noi pare invece che il sistema delle ordinanze legali positive rappresenti piuttosto un regresso che un progresso di fronte all’amore del prossimo, posto come principio religioso fondamentale da Gesù.
Finalmente il pellegrinaggio alla Mecca esprime questa idea: che l’IsIam, malgrado le divisioni sue (scismi, sette, riforme, scuole, tendenze) rappresenta un’unica religione di cui i molteplici gruppi sono potentemente fusi insieme nel centro originale da cui il maomettismo è scaturito.
Io credo però che il 999 per 1000 dei pellegrini che vanno alla Mecca, intendono il loro pellegrinaggio in un senso un tantino diverso: essi ci vanno semplicemente per compiere un dovere religioso individuale.
La morale islamica.
Affermano i liberali mussulmani che la morale islamica è semplice e alla portata di ogni uomo.
L'Islam, secondo Syed Ameer 'Ali, stabilisce sopra una base sistematica i principi fondamentali della morale ; essa è la norma delle obbligazioni sociali e dei doveri verso l’umanità.
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BILYCHNIS
L’Islam predica prima di ogni altra cosa l’amore e la fratellanza universale, espressione dell'amore del fedele per Dio. « Vuoi amare il tuo creatore, ama il tuo prossimo». La morale dell’IsIam ha fatto prova d’una maravigliosa facoltà di adattamento in tutte le epoche e presso tutti i popoli.
Noi osserviamo che questa così detta caratteristica dell’ Islam, è posseduta da tutte le grandi religioni, e in modo speciale dal Cristianesimo. E’ appunto perchè tutte le grandi religioni posseggono in vario grado la facoltà di adattamento ch’esse non sono delle religioni nazionali.
Vi sono due punti della morale islamica che ci sembrano difficilissimi a difendersi; vogliamo dire la poligamia e la schiavitù.
Il liberalismo religioso mussulmano tende alla monogamia. Syed Ameer ’Ali dichiara in proposito che « il giorno in cui cesserà l’opposizione alle idee nuove, sarà cosa facile pei giuristi di ogni singolo paese mussulmano fare abolire dall’autorità superiore la poligamia nello Stato».
In quanto alla schiavitù^ egli pensa ch'essa è, per la sua stessa natura, una istituzione di carattere temporaneo e che la sua estinzione sarà la conseguenza inevitabile del progresso delle idee e del cambiamento delle circostanze.
L'escatologia mussulmana liberale ha un carattere essenzialmente etico. Le famose descrizioni dell’ inferno e del paradiso, fatte dal Corano, sono considerate come altrettante parabole. L’idea centrale rimane questa: che, in un’altra esistenza, ogni essere umano dovrà render conto delle azioni da lui compiute stilla terra.
Qualunque sia il giudizio che uno possa pronunziare sul liberalismo mussulmano, qualunque siano le obbiezioni che sollevano certe sue affermazioni, qualunque sia la critica che possa esser fatta del suo metodo d’interpretazione del Corano, rimane pur sèmpre che quei teologi esprimono pensieri larghi e generosi i quali, in un non lontano avvenire, rappresenteranno forse tra i pòpoli mussulmani una energia fattrice di progresso e di civiltà.
Conclusione.
In questo lavoro noi, salvo rare eccezioni, ci siamo astenuti dallo stabilire dei paralleli e dei confronti tra Islamismo e Cristianesimo. Lo scopo nostro non era di fare uno studio apologetico a base di storia comparata delle religioni ; ma era invece di esporre, pianamente, dei fatti per far conoscere ai nostri lettori le principali manifestazioni religiose dell’IsIam moderno.
Afferma Syed Ameer ’Ali che Cristianesimo e Islamismo — considerati in ciò che costituisce la loro essenza — sono una sola e medesima religione : ambedue sono il prodotto delle medesime forze spirituali operanti nell’umanità. L’uno fu una protesta contro il materialismo religioso degli Ebrei e dei Romani ; l’altro fu una rivolta contro l'idolatria e i costumi barbari degli Arabi.
Affermazioni come queste ci fanno sorridere. E’ vero : la missione di Cristo fu una protesta contro il materialismo religioso degli Ebrei e dei Romani; ma fu anche, fu sopratutto qualcos’altro : fu la risposta pienamente adeguata che un uomo divino diede alle aspirazioni verso il Padre celeste e ai bisogni ideali
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GLI SFORZI VERSO V EMANCIPAZIONE NELL’ISLAM
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supremi delia famiglia umana; fu l’origine, così per l’individuo come per la società, di una vita nuova la quale — lottando contro il materialismo religioso di tutti i tempi — ha prodotto dopo 19 secoli la civiltà cristiana moderna e realizzerà un giorno, sulla terra, quella Città futura, quel Regno di Verità, di Bellezza e d’Amore che l’Evangelo chiama Regno di Dio.
Ma non vogliamo fare in poche righe quello che ci siamo astenuti dal fare in tante pagine. Per stabilire un confronto serio, scientifico, tra Cristianesimo e Islamismo ci occorrerebbe maggior spazio di quello da noi consacrato allo studio presente. Certi argomenti o si esaminano a fondo o si lasciano stare.
Noi abbiamo esposto il più serenamente, il più obbiettivamente che ci è stato possibile i principi de\V ortodossia mussulmana ; abbiamo fatto vedere le ombre del quadro rappresentate dalle degenerazioni spesse volte abbominevoli del maomettismo; abbiamo additato le luci del quadro rappresentate dal liberalismo islamico e specialmente dai tentativi di riforma del Behaismo.
Non crediamo che l’Islam possa essere condannato a motivo delle sue degenerazioni (quale religione non ha avuto le sue?); ma neppure crediamo che si possa considerare soltanto in esso le aspirazioni liberali e riformatrici moderne. Una religione si giudica sulla base non dell'opinione individuale di questo o di quest’altro teologo, ma sulla base della dottrina ufficiale e degli effetti pratici della medesima.
Orbene, quello che sia l’ortodossia mussulmana è cosa nota: il suo formalismo e il suo materialismo non si possono in alcun modo negare. Anche facendo violenza all'obbiettività scientifica e volendo simpatizzare ad ogni costo coll’ Islam è impossibile di non constatare — negli effetti pratici — l’immensa superiorità che sulla dottrina di Maometto ha la dottrina di Gesù.
D’altra parte è innegabile nell’IsIam un fermento di vita nuova, fermento le cui scaturigini prime — la cosa ci pare evidente — si ritrovano nell’Evangelo di Cristo. Se si tien conto di questo fatto, non si può fare a meno di considerare con apprensione l’attività di certe missioni cattoliche e non cattoliche, che nel loro lavoro di proselitismo, sono animate forse più da zelo partigiano e da fanatismo settario che non dalla passione della verità e dall’amore per le anime.
Date certe condizioni di vita e d'ambiente — allorquando due razze, due civiltà, due religioni sono obbligate dalle circostanze a vivere in ¡stretto contatto in un medesimo paese — forse si provvederebbe meglio al bene di tutti se, invece di convertir la gente coll’appoggio dei cannoni, si cercasse di comprendersi, di rispettarsi e di amarsi a vicenda.
Milano.
Giovanni E. Meille.
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I METODI DELLA SPERANZA
PSICOLOGIA RELIGIOSA
« Che è fede ? — Fede si è cosa et cer-« teza meravigliosa di cosa non saputa ».
(Libro di novelle et di bel parlare ¿tentile. LXXXVI).
UE parole di spiegazione sugli elementi del titolo.
Adopero la parola « metodo » piuttosto nel senso etimologico, come la via seguita dalla speranza religiosa per giungere fino a noi. In quanto a questa speranza faccio osservare che differisce dalle speranze comuni assai più che generalmente non si pensi. Infatti questo accade nella religione : che essa ha soltanto alcune poche parole sue proprie, come Dio, spirito, verità (l’idea di verità è certamente derivata dall’esperienza religiosa) « eternità, infi
nito...» ; ma non ha un linguaggio suo proprio. Il suo linguaggio è preso in prestito dalla vita del cuore, dal sentimento. Di maniera che sono moltissimi anche gli uomini colti che tratti in inganno da queste apparenze confondono la religione col sentimento e anche col sentimentalismo, come moltissimi altri che sono generalmente gli stessi, confondono la religione con la morale e magari pensano che non sia altro la religione che una cosa imaginàta per rinforzare la morale. Certamente la religione implica il sentiménto, la morale e tutti gli altri modi della vita umana ;¿ma essa è signora e dominatrice, e queste cose le sono soggette e servono a lei. La stessa bontà è fatta per la religione, perchè sia possibile la gloriosa esperienza interiore, non la religione per la bontà, benché la religione produca necessariamente frutti di bontà e questi frutti servano a farcela conoscere di fuori ; che anzi non c’è altro segno concepibile (2).
La religione è tutta una vita particolare, ben distinta da ogni altra forma di vita, Che è soprapposta alla nostra vita d’ogni giorno. Chiunque conosca la religione per esperienza diretta sa che può esser chiamata speranza solo per una certa analogia esteriore con le speranze comuni ; perchè, come queste, guarda nell’avvenire. Ma essa è un’aspettazione perfettamente sicura, una speranza certa (3),
(1) Dedico questo piccolo studio al mio Renato.
(2) Cfr. Mail., VII, j6, 20.
(3) Cfr. Ebr., VI, ri, XI, 1.
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I METODI DELLA SPERANZA 3*9
ciò Glie non si può dire delle altre speranze; che, parlando di queste, sarebbe una contradizione in termini.
Cosi la fede che nel linguaggio comune è meno della certezza, nella religione suona più che certezza, certezza con allegrezza, certezza felice ; e può chiamarsi fede, solo perchè, come la fede comune, non vede materialmente il suo oggetto.
Così finalmente, l'altra « virtù teologale », la carità, è amore con fede e con speranza (i) e non si può confondere con i tristi amori che nel loro oggetto non vedono che un’apparizione effimera e ignorano, la vita incorruttibile^
Insomma la speranza religiosa fa uso di tutte le imagini (le stesse parole sono altrettante imagini), con le quali noi esprimiamo le cose del mondo visibile ma questo linguaggio non è che una traduzione approssimativa, spesse volte infelice, infedele, di parole ineffabili che echeggiano in una vita diversa.
Tale il concetto che dobbiamo farci della terminologia religiosa, se non vogliamo essere presi nell’ insaziabile gorgo delle questioni verbali e se, dall’altra parte, noi vogliamo attenerci alla semplicità e alla freschezza originali dell’espe-rienza mistica. 1 1 . . . .
Per avere abbandonato questa esperienza che è il solo legittimo criterio delia verità e per aver messo al suo luogo non so quale logica parolaia e contenziosa, già troppo tempo è stato follemente consumato e troppo sangue fu già versato nella storia !...
Possiamo credere che i metodi della speranza sono in gran numero, come del resto è molteplice la difformità di natura, d’educazione e d’ambiente fra gli uomini ; nè io mi lusingo di esaurire l’argomento. Propongo invece a me stesso di riferire semplicemente e fedelmente le induzioni che ho tratte dalle mie osservazioni personali.
I.
Un metodo della speranza che va innanzi ad ogni altro, perchè con esso è tolto di mezzo un primo impedimento alla speranza stessa, può esser descritto così :
Tu non vedi per ignoranza o per dottrina nessun fatto o argomento che si opponga alla possibilità delle cose sperate ; tu non sei, cioè, turbato da nessuna obiezione manifesta o latente, Che non potesti superare. La via è libera. Puoi, dunque, credere e operare; e tu credi e speri; perchè la vita spirituale che è una potenza che sussiste per sè e fa da s.è, preme sulla nostra volontà ed ha soltanto bisogno d’esser liberata per celebrare i suoi misteri.
Ora la speranza religiosa è determinata da una visione dell'invisibile analoga alla visione del visibile in ciò, che, come questa, vede naturalmente e non domanda le prove di ciò che vede, perchè si domandano prove soltanto per le cose che non si vedono. Infatti a che servirebbero le prove là dove è già toccato il punto a cui si vuole arrivare con ogni dimostrazione : la visione immediata del nostro oggetto?
A noi basta, insomma, di non esser turbati da una qualche obiezione che non siamo riusciti a superare per inclinare verso la speranza.
(i) Cfr. | Cor., XIII, É
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Ma l’opposizione fatta alla religione sino ad ora non è stata inutile; perchè ha obbligata la coscienza religiosa a correggere, ad allargare, a semplificare e portare più alto la sua visione. Ad ogni obiezione superata corrisponde un'ascensione. Si discopre alla fine che non C’è nessuna obiezione che valga contro l'oggetto invisibile della speranza, che, come non può essere dimostrato, così non può confutarsi con gli argomenti della logica comune, nè con i fatti che sono raccolti nè con le leggi che sono accertate dalle scienze positive.
Sarà difficile, per non dire impossibile, che l’uomo nato di donna, avendo .acquistata la convinzione che la speranza è inconfutabile (non dico « dimostrabile»), non apra il cuore alla speranza.
Si può presumere che gli spiriti irreligiosi o areligiosi siano tali, perchè si sarebbero arrestati davanti a ciò che a loro sembrava una confutazione insuperabile. Si potrebbe anche non conoscere il proprio « sasso d’intoppo » o averne •solo un vago sentore ; ma tutti quegli spiriti che lo conoscono sono certamente meno lontani dalla liberazione degli altri che non sanno o sanno male. Le obiezioni più difficili a combattersi sono quelle che non hanno forma nè chiarezza alcuna.
Giovanni Boccacci ci racconta che Guido Cavalcanti fu « uno de’ migliori loici che avesse il mondo et ottimo filosofo naturale » e « per ciò che egli alquanto, tenea della dottrina degli Epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni eran solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse »(i). Non si può dire che l'amico di Dante speculasse proprio questo ; ma quella « gente volgare » coglieva perfettamente nel segno, non concependo nessuna possibile confutazione di Dio, fuorché la prova che Dio non sia. Il fatto è che, se noi siamo fatti certi che non si può provare che Dio non sia, è assai probabile che noi crederemo e spereremo e ameremo sub specie aeternitatis, e non cercheremo le prove. Sarebbe anche una ricerca inutile. Infatti le prove, con le quali si è voluto stabilire la verità religiosa possono essere talvòlta molto ingegnose ; ma sono tutte confutabili ; e l’apologetica poteva essere un genere utile in altri tempi, qnando l'evoluzione intellettuale non aveva ancora precorsa di tanto l’evoluzione spirituale, quando, cioè, il sapere era ancora soggetto alla fede non solo, ma derivava dalla fede come dalla sua sorgente. Ad ogni modo, la vita spirituale era il più forte eccitamento della vita intellettuale. Tutto doveva il sapere alla fede. Ora il sapere non cessa di dover tutto alla fede. Ma sono nati dei pregiudizi fra queste due forme più alte della vita. L’una ha guardato con sospetto l’altra. La fede, avendo per sè le più antiche istituzioni e in generale la forza, ha anche combattuto il sapere che le faceva paura. Quindi il sapere ha camminato lungamente per conto suo ed ha lasciato indietro la fede. La quale ha molto sofferto per l'errore commesso; perchè non è possibile l’evoluzione religiosa, senza una corrispondente evoluzione dell'intelletto. Ma anche il sapere senza la speranza è « un rame risonante, un tintinnante cembalo», e può servire a farci sempre più consapevoli della nostra miseria.
Il nostro credere, il nostro sperare, il nostro sapere, il nostro operare, tutte le parti, insomma della nostra migliore natura, devono crescere con modo eguale -e nello stesso tempo, perchè questa è la condizione della nostra pace. Infine la
(r) Il Decameron t Gior. VI. Nov. 9.
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I METODI DELLA SPERANZA
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■religione che non è accompagnata dal sapere (un sapere relativo, ossia in proporzionata corrispondenza con la religione) è senza difesa e senza misura ; quindi sempre in pericolo d’essere sopraffatta dal sofisma 0 di degenerare in cieco fanatismo.
il
Un altro metodo che integra il precedente consiste in un particolare criterio -della verità. E’ un criterio antico quanto è antica la coscienza religiosa ed è, senza alcun dubbio, il solo vero criterio della verità religiosa. Io credo, come già accennai, che la stessa idea di verità sia nata dalla vita religiosa e che tutte le altre verità hanno questo nome per analogia; perchè anch’esse determinano una certezza. La certezza ha un carattere costringente, quasi fatale; è accompagnata dal sentimento d’una cosa perfetta, cioè dal sentimento d’aver compiuto tutto il ciclo d’una nostra attività interiore ; e ogni certezza acquistata è un’addizione alla conoscenza e un ingrandimento della vita. Ma si Capisce che c’è uno spazio immensurabile fra la certezza che io ho dell’esistenza di questa penna che ho fra le dita o anche del meraviglioso paesaggio che mi sta dinanzi agli occhi e la certezza che ho dell’esistenza di Dio e dell’immortalità. Abbiamo detto che la verità è la causa determinante della certezza; ma la verità religiosa fa certa e insieme felice quella parte di me stesso che io mi sento naturalmente obbligato a rispettare come la mia più alta ragione, come la mia anima più profonda.
Qualcuno dirà che questa è una concezione tutta soggettiva della verità; e •che noi potremmo essere certissimi e felicissimi e scoprire poi che siamo in errore. Ma la verità è essenzialmente un giudizio, e il giudicare appartiene al ¡soggetto; e se è veramente la nostra migliore natura che è felice, è assai probabile che noi non tarderemo anche a scoprire che il nostro errore fu soltanto nel simbolo e non nella cosa significata per il simbolo ; e sarà avvenuto che da una verità mescolata con materia estranea saremo saliti ad una verità più pura, dove meno indistintamente si riflette la verità assoluta. Ma anche la verità più pura continua ad esser relativa ed è sempre lontana dal suo oggetto come gli occhi nostri da quel sole che è più lontano nel cielo notturno ed è un piccolo punto di luce incerta. Gli stessi spiriti che più ci hanno avanzati non escono nè possono uscire dal cerchio incantato del relativo.
Ma che importa, se noi andiamo avanti nella strada maestra della verità e siamo felici là dove più vale il nostro essere?
III.
Le grandi verità della religione appariscono contradittorie. Donde si può conoscere che non appartengono alla vita intellettuale; e molti spiriti devono concludere che non appartengono a nessuna vita, perchè essi non ne conoscono altra sopra l’intelletto; e non giova che questo loro intelletto sia ornatissimo; chè i fatti spirituali si giudicano spiritualmente e non si possono giudicare in altro modo. L’uomo irreligioso o areligioso vive la vita fino ad un certo punto.
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dove si arresta, perché gli manca la lena per andare avanti : e fa pietà quando s’imagina d’essere un forte, particolarmente forte, perchè può tenere in dispregio Paradiso e Inferno.
L’intelletto è utile a dare una forma relativamente intelligibile alla religione ; ma non può sostituirla. Sono due cose infinitamente diverse. Bisogna poi aspettarci le contradizioni e anche l’impossibile (1) nella vita religiosa; e non ci deve maravigliare che il nostro linguaggio, che è fatto per la vita intellettuale, riesca necessariamente improprio, quando ce ne serviamo per esprimere una vita Che si sottrae alle categorie dell’ intelletto e che noi conosciamo soprattutto per ciò che non è ; non deve cioè maravigliarci che ciò che accade dall* Altra Parte male si adatti alle forme che sono proprie del presente; e che il profeta non possa fare più che balbettare ciò che ha saputo.
Che se così non fosse la religione rientrerebbe nell’intelletto che non sa nulla d’un’altra vita sopra se stesso ; ed è perfettamente armato per confutarne, ma non per dimostrarne resistenza.
Se infine noi sappiamo che dobbiamo prepararci ad accettare ciò che intellettualmente è contradittorio e impossibile, e che deve essere necessariamente vano ogni esperimento per definire adeguatamente la speranza nei termini della ragione, come è certamente vana ogni confutazione della speranza, sarà disfatto un grosso fantoccio di paglia (l’impossibile) che mette grande paura e noi avremo un altro metodo della speranza.
IV.
C’è un metodo che si svolge fra bellezze e bruttezze ; e può essere delineato in questa maniera:
Tu vedi la grande bellezza dell'idea di Dio e implicitamente della Vita Eterna; e vorresti che Dio fosse. Tu vedi poi l’orrore d’un mondo che non avesse Dio e fosse senza speranza. Allora tu non vorresti che Dio non fosse e che tu dovessi lasciare ogni speranza. Tu vedi più distintamente bellezza e orrore; ed è sorto in te il bisogno di Dio e della Vita Eterna. Tu vuoi che siano. La tua volontà ha sospinto nell’ombra ogni minore bellezza che ingombrava la grande bellezza; e questa ora risplende tanto agli occhi tuoi Che tu riconosci la luce della realtà. Ma tu hai pure sempre il sentimento che Dio e la Vita Eterna siano in qualche parte una tua creazione; che tu li abbia voluti. Tu guardi ancora e per atto finale tu discerni chiaramente la grande idea con altri occhi... A questo punto tu non hai più bisogno della tua volontà per conoscere le cose sperate. Tu credi, e dentro di te è nata la speranza certa... Tu non potresti annullarla, anche se tu volessi. Ma noi non possiamo determinarci ad annullare una nostra esperienza felice se non può esser dimostrato che l’oggetto ci abbia indotti in inganno sotto la falsa apparenza. In quanto alla speranza religiosa non può esser dimostrato che sia fallace; ma sono invece fallaci tutte le confutazioni. Può aver ragione la confutazione delle forme, che però può esser fatta soltanto sulla base d’una
(1) Cfr. Mali., XVII, 20, e XIX, 26.
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esperienza spirituale più alta. L’uomo ehe ignora la vita spirituale non ha competenza per giudicare la religione, qualunque sia il suo grado di coltura. Un altro uomo intellettualmente ignorante può saperne assai più di lui in questa materia (1). La religione non è giudicata con criteri intellettuali. Non è arte, non è scienza, benché sia anche queste ; è una vita che si distingue nettamente da ogni altra.
Possiamo domandarci come accade che la divinità sia la maggiore bellezza che noi conosciamo. E prima di tutto: ehe è bellezza?
Infinitamente più che non possiamo dire; ma è in ogni caso una forma o un’idea che per qualche adeguata corrispondenza o associazione significa cose molto maggiori di se stessa; quindi reca all’animo ammirazione e letizia.
La divinità è un’idea che troviamo nel mondo. Era qua, perchè ne fu già veduta la bellezza ; e questa fu veduta solo quando con altro metodo più lontano che sfugge ad ogni raziocinio (2) dietro all’idea o al simbolo si fece conoscere in parte (3) una realtà infinitamente più grande di tutte le altre che apprendiamo con i metodi ordinari.
La bellezza è dunque un metodo della speranza ; ma il metodo della bellezza è nella stessa speranza, che è la naturale orientazione del nostro spirito e ci fa vedere e salutar di lontano l’invisibile prima ancora che noi abbiam potuto in qualche modo definirlo.
V.
Anche la persona amata è luce di bellezza che illumina lo spirito nostro e l’educa alla speranza.
Quando incominciamo ad amare vorremmo che l’oggetto del nostro amore non conoscesse la morte. Il nostro amore si è fatto più grande ? E noi vogliamo che la persona amata viva eternamente. Amiamo ancora ? E noi crediamo, senza dubitare, che quell’anima è immortale.
Questa sicurezza è parte integrante dell’amore perfetto. E’ facile l'intuire che, se l’amore, senza la speranza può chiamarsi ancora amore, è per necessità un amore difettivo in confronto dell’altro che spera e non aspetta la fine. Oltre a quésto l’uomo è inclinato al distacco da tutte quelle cose ch’egli sa doverle lasciare fra poco e ridursi al nulla.
Così égli si difende dal dolore possibile ad avvenire nel corso degli eventi. Donde si può concludere che il concetto ateistico o agnostico della vita tende ad uccidere l’amore nelle sue forme più generose e più pure. Per buona sorte l’uomo non è una creatura perfettamente logica; e la natura lascia ch’egli ponga delle premesse da lui trovate per obbligarlo poi a vivere sulle illazioni di certe altre premesse che appartengono a lei. Così accade che la natura ci porta a salvamento per mezzo della stessa nostra incoerenza.
Potrebbe dirsi che, se un forte amore avesse risvegliata in noi la speranza, ciò non proverebbe che l’incorruttibilità abbia una sussistenza vera e reale. Ma
(1) Cfr. 1, Cor., Il, 14.
(2) Cfr. Giov., Ili, 8.
(3) Cfr. 1, Cor., 13, 9.
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nói sappiamo che, anche facendo astrazione da ogni dimostrazione, l’incorruttibilità può diventare per noi una verità, alla quale non possiamo nè vogliamo sottrarci. Del resto noi stiamo cercando le vie, onde la speranza viene a noi; e la carità è il suo metodo più bello. In quanto alla corrispondenza fra quella che noi riguardiamo come la verità e la realtà esteriore, essa non può essere revocata in dubbio dal momento che la verità ha determinato la certezza.
L’oggetto della speranza si presenta allo spirito nostro come una figura imperfetta, un abbozzo, in confronto del quale la realtà che colpisce i cinque sensi è un quadro finito; tuttavia noi abbiamo il presentimento che quella imperfezione ha un valore infinitamente più grande di questa finitezza; e il presentimento può essere confortato dalla felice esperienza.
La carità è un godimento superiore, ancora più grande del sapere e del creare; ma nessuno di questi godimenti, compresa la carità, può sussistere, se non possiamo sperare nella loro continuazione di là dal cimitero. L’aspettazione della loro fine li guasta e può essere intollerabile, se noi abbiamo fatto l’esperienza di quei godimenti. Se non avessimo mai goduto, conosceremmo il dolore? Ma quando è nata la carità nei nostri cuori ha suscitata tutta quella parte della nostra vita, dove sono possibili e naturali la fede e la speranza ; e quando noi amiamo, finche amiamo, noi siamo necessariamente credenti.
Non esiste bontà fuori dei limiti, che, del resto, sono infinitamente larghi, della carità, che è il fondamento d'ogni virtù vera ed autentica. La carità è il frutto della fede e della speranza... Ma c’ è una perfetta reciprocanza d’effetti ; perchè la fede e la speranza sono ugualmente il frutto della carità. Il fatto è, che le « virtù teologali », nascono e crescono a un tempo stesso. Se ce n’è una, ci sono, o non tardano a venire, anche le altre, perchè in fondo sono tre aspetti del medesimo mistero.
La bontà è il miglior metodo della speranza, perchè meglio d’ogni altro ci fa sicuri che non c’inganniamo.
Quando noi amiamo, finché amiamo, noi abbiamo come un sentimento indistinto di possedere in parte le cose sperate.
Questo è il segreto della predicazione evangelica che domanda e ridomanda bontà e frutti di bontà. I frutti divengono alla loro volta l’albero che produce la speranza. E’ un circolo perfetto : dalla bontà alla speranza e dalla speranza di nuovo alla bontà. Se noi siamo felici perchè possiamo credere e sperare, noi siamo necessariamente e volontariamente buoni.
Si aggiunga che l’oggetto della bontà è una bellezza indefinibile che noi intravvediamo nei nostri simili come in noi stessi ; la quale rivolge a sè la nostra attenzione e quasi ci abbaglia per non farci vedere le bruttezze che le stanno accanto; ed è la stessa misteriosa bellezza che noi intravvediamo in tutta la natura sotto le bellezze più cospicue; e la bontà non si stanca mai di cercare qualche bellezza in ogni cosa.
In un vangelo dell’ infanzia di Gesù si legge che Egli vide una volta fuori delle mura di Gerusalemme molta gente che gettava pietre e insulti ad una povera carogna d’asino, come se il cattivo odore che esalava fosse stato un suo peccato (quante volte gli uomini giudicano così!), e il divino fanciullo guardando l’oggetto di tanta indignazione disse : « Eppure egli aveva dei bellissimi denti ! >
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E’ l’estetica dei santi : ma non degli « esteti », naturalmente.
Chi erede e ehi spera ha scoperto il divino nell’uomo, ma finché noi non abbiamo fatta questa scoperta noi non sappiamo amare e non sappiamo nulla di religione.
' La religione era conósciuta anche prima dell’èra cristiana mercè i grandi che sono comparsi di tempo in tempo nella storia; ma quanto era difficile ed imperfetta!
Con l’epifania del Cristo gli uomini hanno avuto la luce d’un carattere divinamente umano che li ha aiutati potentemente a riconoscere il divino nell’uomo ed ha quindi dilatata la loro capacità d’amare.
VI.
Nella storia delle religioni si può notare un fatto costante : che là dove la religione è più sentita e coltivata domina l’idea della brevità della vita. Donde si può dedurre che questa idea è favorevole alla speranza, come la speranza è manifestamente favorevole all’idea della brevità della vita-.
Che la vita che noi viviamo al presente sia breve anche quando è molto prolungata, non può essere oggetto di discussione ; che anzi nell’uomo civile che ha qualche conoscenza delle epoche geologiche e possiede la nozione di tempi assai più lunghi della vita umana, questa vita deve parere brevissima in confronto di ciò che apparisce all’uomo selvaggio o incolto che non conósce tutti quei paragoni Che sono innanzi agli occhi del primo.
Ed è degno di nota il fatto che un concetto più vero dei limiti della nostra vita terrena sia così intimamente connesso con la vita religiosa.
Con questo io non voglio dire che l’idea della brevità della vita determini necessariamente la speranza ; ma dico che è un metodo della speranza che può essere tracciato in questa maniera:
Tu sai che la vita è breve e l’idea t’attrista. Tu intrawedi tutta la bellezza d’una vita che non muore, e vorresti che fosse. Vedi ancora meglio questa bellezza e ti domandi: — Perchè non sarebbe? — Tu hai cercato onestamente la confutazione che fosse per te comprensibile; ma non l’hai trovata in nessun luogo. Dopo ciò tu non hai più avuto bisogno di prove per credere nella continuità della vita; perchè tu sei già in quello Stato d’animo che è determinato da una perfetta dimostrazione o piuttosto da una visione diretta delle cose: tu sei certo.
Tutti quelli che non possono credere nell’altra vita devono concludere che questa vita presente è una sciocchezza. Ma, se tu hai riconosciuto la divina bellezza della vita e con questo tu non ti fai alcuna illusione sulla natura effimera della vita terrestre, tu ti troverai nelle condizioni che ti sono necessarie affinchè tu riceva il conforto della speranza.
VII.
La sapienza, ossia la scienza dei valori, è un antichissimo Sogno dell’umanità. Ma non si riflette generalmente che la sapienza va di pari passo con là sensibilità. Questa è capacità di godere o di soffrire ed è l’unico criterio con-
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cepibile per fissare i valori, che valgono il peso d'allegrezza e di paee che contengono, e non solo per la quantità, ma anche e soprattutto per la qualità; perchè, per sapere quanto pesa un valore, dobbiamo considerare in quale parte di noi stessi è il godimento.
Le grandi religioni furono altrettante scuole di sensibilità; ma nessuna lezione può essere comparata alle ultime pagine dei quattro evangeli.
Per una molto intima associazione d’idee, ricordo in questo momento < La Passione secondo S. Matteo > di J. S. Bach che ho sentita diversi anni addietro alla Tonhalle di Zurigo. Quella musica mi parve il miglior modo di raccontare la storia della Passione; un dolore immensurabile lo spettacolo delle maggiori bruttezze conosciute ed una divina bellezza che tutto avvolge e trasporta molto in alto come in un turbine di luce.
La Passione è dunque la più grande lezione di sensibilità che sia mai stata impartita agli uomini ; ha toccato tutte le estremità del cuore umano ed ha introdotta una nota di dolcezza nei costumi delle generazioni più dure ed incolte.
Fu già osservato moltissimi secoli addietro che la religione è il primo principio della sapienza (i); ed è infatti il massimo valore pensabile come sa ogni uomo che ne abbia fatta l’esperienza. E quel valore apparirà sempre più grande a misura che noi potremo confrontarlo con gli altri valori : il sapere e l’indagine scientifica, la letteratura, l’arte, un grande amore e in generale l'opera creatrice nei luoghi altissimi della vita. Si capisce che l'uomo religioso, che conosce anche queste cose, e le apprezza, le ama, le desidera, è il giudice più competente in confronto dell’agnostico che ha una esperienza di meno nella sua vita e dell' irreligioso che alla inesperienza aggiunge stolidamente il paralogismo e riguarda la religione come un male. Ma la religione non è una cristallizzazione; è un valore in evoluzione continuata come tutto ciò che appartiene alla vita.
L’idea della divinità si fa sempre più grande come si vede chiaramente nella storia delle religioni e non si prevede la fine di questo ingrandimento ; Che anzi possiamo esser sicuri che non esiste; e ciò risponde perfettamente al nostro bisogno. Diu nature iibertritet niht (la natura non volta bandiera) ha detto Meister Eckhart nel suo vivo e verde tedesco medievale (2) ; e questa sentenza è madre dell’altra che fu cara a Linneo ed al Leibnitz : « Natura non facit saltus ». Ora il nostro bisogno è conforme a questa innegabile caratteristica della natura. Ma il nostro bisogno è duplice: i° noi vogliamo e dobbiamo andare innanzi per gradi; 2° noi dobbiamo e vogliamo sapere che il nostro progresso non sarà interrotto. Siamo felici quando questo nostro duplice bisogno è sodisfatto come accade nel rinascimento spirituale.
Intanto, se noi attendiamo con ogni diligenza ai valori della vita, noi possiamo trovarci assai vicino ad un altro metodo della speranza Che può delinearsi così:
Forse tu hai avuto un tempo il sospetto che la sapienza fosse un pregiudizio di generazioni tramontate e che fosse una cosa impossibile ; ma tu hai scoperto che tu stesso facevi un agguaglio' di valori ; ed hai pensato che questo poteva
(1) Job, XXVIII, 28, e Prav., I, 7.
(2) Pfeiffer, Deutsche Mystiker des 14 Jahrh., II, 124.
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essere un principio dì sapienza. Tu hai fatto una prima grande distinzione fra i godimenti che t’inalzano e i godimenti che ti avviliscono; e queste sono infatti le grandi linee della sapienza. Tu hai cercato quale fosse propriamente il criterio che ti aveva servito per fare la tua distinzione ; ed hai trovato che era la quantità e la qualità del godimento, un criterio di sensibilità. Tu hai avuto dunque dinanzi a te una scala di valori, che sono determinati dalla stessa sensibilità; e tu hai osservato che i più alti valori sono altrettante vittorie sull’animalità bruta e i segni d’una nobile e schietta umanità non solo, ma anche l’esperienza interrotta, attenuata d’una felicità perfetta che implica necessariamente la vita futura. E’ un fatto indubitato che i nostri più alti e più puri godimenti contengono il pronostico dell’ immortalità. Ma tu ti sei fatta questa domanda : — Può mai la vita salire fatalmente a questa altezza per essere poi dissipata nell’ infinito non-essere ? Senza la speranza, non sarebbe l’altezza e non sarebbe il salire; e i differenti valori cadrebbero e si cambierebbero in un piano uniforme e grigio.
Perchè noi potessimo credere nei valori che la vita ci offre con la conclusione dell’annientamento, dovremmo essere organizzati in modo più semplice, dovremmo essere diminuiti e non avere la facoltà d’antivedere la nostra propria morte.
Perchè non sarebbe vera quella correlazione fissa fra la vita presente e il mondo invisibile, di cui hanno avuto sempre l’idea gli uomini della storia e della preistoria e che solo può dare un prezzo a quelle forme di vita che sono generalmente riconosciute come le più elevate e belle, e sono anche i più grandi godimenti? Tu hai conosciuto quelle forme quanto basta per desiderarle con ardore e non puoi più rinunziarvi, perchè nessuno rinunzia a quei godimenti, di cui non conosce i maggiori. Perchè non sarebbe vera la Divinità e implicitamente la Vita Eterna che solo potrebbero assicurarne la razionalità?
Tu hai cercato la possibile confutazione del grande postulato d’ogni sapienza: e non trovandola tu hai creduto e non puoi più discredere. Perchè, se è cresciuta la tua capacità di godere è anche cresciuta la tua capacità di soffrire, tutta la sensibilità; e, se veramente tu hai conosciuto in qualche misura i godimenti superiori, conosceresti anche il disperato dolore di una vita che fosse ridotta ad una vigilia della morte e del nulla.
E’ così che la questione dei valori e della sapienza può aprire la porta alla speranza che picchiava.
Vili.
La speranza sta propriamente alla porta e picchia come 1’ < Amen » della Rivelazione (i). E' la natura, cui non si può far contro, senza dolore o morte ; ed è la verità che può far felice la nostra anima più profonda. Tu volesti farla entrare il giorno, nel quale lo spirito tuo divenne inquieto come per un senso di pericolo e, facendo un attento esame di te stesso, tu sorprendesti uno stato di cose in tutto o in parte analogo a questo: una spaventevole preponderanza
(i) Rev.^ Ili, 20.
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dei motivi ingenerosi in tutto ciò che tu deliberavi ; nessuna vera generosità in quegli stessi tuoi atti che tu stimavi belli ; una povera e nuda cosa che tu nominavi felicità; il tempo e l’ingegno spesi nella fabbricazione d'un etò&Aov che doveva, andare qua e là col tuo nome per essere temuto o amato o compatito ; nessun pensiero per il tuo vero essere, o vi pensavi come a qualche cosa che non ti toccasse, come ad una chimera; nessuna bellezza là dove la bellezza è più necessaria e più utile per la nostra pace che non sia nella imaginazione o negli' occhi ; ogni bellezza che oltrepassasse te Stesso o meglio il tuo siScoXov ignorata e ricusata; la ricerca poltrona dei beni più facili; lo scetticismo rispetto alla possibilità d’una vita più pura e più felice.
Sono i segni e le qualità formali all’uomo che non conosce la speranza.
La speranza è dunque pervenuta fino a te sotto una forma dolorosa. Ma tu uon avresti mai conosciute queste bruttezze come tali, se non avessi incontrato sulla tua strada una grande bellezza che ha fatta la luce, e così tu hai potuto Conoscere il suo contrario.
Il principio d’ogni cosa sarà analogo alla umanità più grande, al santo che tu ami sopra ogni altra bellezza? o sarà una cosa stessa con l’infinito inconscio che lo spirito areligioso pone alle sorgenti della vita? E questa nostra piccola vita è nata da una vita infinitamente più grande, divina e per la morte fa ritorno a quella? oppure è derivata dalla polvere ed è l’ultimo termine del divenire? Da quale estremità cominciano le cose ?...
In una lettera di G. B. Giorgi ni, genero di Alessandro Manzoni, si legge che questi arrivò alla fede per la via della logica. Ma la logica comune è agnostica e qui ci abbandona. Può avere sgombrata la via, discoprendo il paralogismo che insidiava la speranza; può avere semplificate le questioni; può averci insegnato a porre le questioni nettamente, e soprattutto può avere trovato i propri confini; ma non può risolvere il dilemma. Ma tu hai intraweduto una divina bellezza per il suo contrario che tu hai riconosciuto con vergogna e dolore in te stesso ; e ciò è bastato affinchè la speranza giungesse fino a te e ti facesse felice. Là dove la logica comune si è arrestata ha avuto principio un’altra logica, le cui conclusioni sono inconfutabili, perchè sono fatte di gioia e di dolore ; e queste due cose sono il fondamento vero d’ogni certezza.
Dopo la grave e bella inquietudine che ha turbato lo spirito tuo, dopo la vergogna e il dolore e in quel tempo stesso, in cui intravvedevi il divino paragone, è nato in te il bisógno d’avvicinarti con la vita, con l’opera, con tutto te stesso a ciò che intravvedevi; e tu operi e tu vivi e sei a quel modo che detta dentro amore ; e così cresce la tua speranza, che altrimenti intristirebbe.
Questo può chiamarsi a ragione il metodo classico della speranza.
IX.
Viene ripetuto da molti che sono specialmente le grandi sventure, che inducono l’uomo a ricorrere alla speranza religiosa, come si ricorre all’àncora nella tempesta. Ma è in gran parte un pregiudizio di natura romantica; perchè tutti sanno che il dolore può produrre effetti assolutamente opposti, come la disperazione o l’ab-
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brutimento. Ci sono tuttavia due forme di dolore che possono considerarsi come metodi di speranza: i° noi soffriamo perchè amiamo come noi stessi una creatura umana, che soffre o che muore; 2° o soffriamo perchè intravvediamo un’infinita bellezza fuori di noi e vediamo un’ infinita bruttezza dentro di noi. Sono in fondo due casi d’amore doloroso. Negli altri casi il dolore può ingrandire la speranza preesistente^ ma non introduce la speranza.
X.
Concludendo noi guardiamo con invidia relegante esattezza e le limpide formule delle scienze positive che in questa materia della speranza sono impossibili.
Noi brancoliamo negli abissi dell’ infinito mistero. Ma possiamo noi dire che non abbiamo l’aiuto sufficiente per trovare la via della liberazione, se la stessa divina ’Ayàwv), quando è attuale, è il potente stimolo che ci sospinge in quella direzione ; e a quello stimolo non possiamo nè vogliamo resistere, perchè è fatto d’acciaio durissimo perfettamente coperto con delicatissimo velluto ?...
Attingit ergo a fine usque ad finem FORTITER et disponit omnia SUAVITER (i).
Raffaele Wigley
(1) Lìber Sapìeniiae, Vili, 1. Il testo parla della sapienza, ma si adatta mirabilmente all’amore che è in fondo della sapienza.
O
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r narra, a proposito di ciechi, un aneddoto che ha tutta V eloquenza di un simbolo. Un anno, son passati circa due secoli, fitte nebbie s'addensavano in tal modo e sì a lungo su Parigi da rendere impossibile la circolazione. Le lanterne erano inservibili. Chi fu meno incomodato degli altri da quelle
nuove tenebre d'Egitto? — I ciechi. Trovarono la loro strada come il solito, e poterono far da guida in quei giorni ai Parigini che avevano la vista buona.
In mare, allorquando tutte le stelle sono nascoste e i fari e i segnali luminosi non servono più a nulla e le viste buone sono inutili a cagione dello spessore delle nebbie, chi è che guida la nave? E una piccola cieca, chiamata Bussola. Quante volte questa piccola cieca m’ha fatto pensare ad uà altra potenza tutta interiore che, aneli essa ci serve quando tutte le luci si velano e gli occhi più acuti non scorgono più nulla. S. Paolo pensava ad essa quando diceva: È per la Fede che noi procediamo e non per la
Vista. Poveri ignoranti, ciechi quali siamo, come troveremmo noi la nostra via nelle notti senza stelle, se non avessimo per guida questa piccola cieca conduttrice di ciechi, vittoriosa sulle tempeste e sul! oscurità, che procede con passo sicuro nelle tenebre e che si chiama la Fede?
(Evangile et Liberti}. ClI. WAGNER.
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INTERMEZZO
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U una di quelle creature «venute di cielo in terra a racol mostrare », questa vergine protestante che, a 26 anni, si partì da questa terra, lasciando dietro di sè
inisoli una
larga eredità di affetti e di rimpianti.
Breve fu la trama della sua città. Nacque a Losanna il 1U ottobre 1885 e morì a Ginevra il 14 marzo 1911.
Compì la prima educazione nella sua villa natale, frequentò parecchi anni la scuola Vinet e fece la sua istruzione religiosa col pastore de Loes. Soggiornò due volte in Inghilterra, prima di ritornare in Svizzera e di fissarsi definitivamente a
Ginevra.
Fiorivano ad Adele Kamm i suoi 19 anni e sbocciavano nel suo cuore i sogni d’oro della sua giovinezza splendida, quando una fatale malattia, una di quelle malattie che rubano la vita a goccia a goccia, la sorprese, la costrinse dapprima ad una seggiola, l’inchiodò poi, durante quasi sette anni, nel suo letto di morte come sopra una croce.
Le cure affettuose della famiglia, i sapienti tentativi dei medici, i ripetuti soggiorni nelle stazioni climatiche, a Cannes o a Leysin, non valsero a sottrarre al suo destino cieco e brutale questo fiore gentile che aveva succhiato nella sua fertile terra valdese, nell’ incanto del suo lago azzurro e delle sue montagne verdi l’ardente brama di vivere, di espandersi e di agire.
A vent’anni e sì bella, sì bella che quando il suo corpo non fu più che una dolce piccola ombra, un fiocco tenue e leggero, la sua bellezza traspariva e palpitava ancora nei suoi grandi occhi, come luce di stella sui flutti oscuri del mare; a vent’anni e sì pura, così intelligente e buona, dovette dire addio alla natura in fiore, all’amore a pena intraveduto, alla vita di cui a pena beveva i primi sorsi inebrianti.
Il disperato dolore, di cui l’animo di questa fanciulla fu il teatro allora, si acquetò come Dio volle in una dolce e fièra rassegnazione.
Fu il primo trionfo dello spirito sulla materia, il primo passo di quella sua maravigliosa ascensione verso le alte cime della perfezione spirituale.
Non segno di debolezza ma di forza fu questa sua rassegnazione, non fatta di dedizione muta al destino, d’un fatalismo ozioso ed egoista. Fu la rassegna-
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ADELE KAMM.
(1913 -VI ]
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ADELE KAMM
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zione dell’atleta che, posto sopra un terreno a lui sfavorevole, accetta le condizioni della lotta e aspetta a piè fermo l’avversario, deciso a compiere il proprio dovere sino alla morte gloriosa.
Così l’addio ad una esistenza, quale ella se l'era colorata nei suoi sogni di fanciulla, divenne il punto di partenza di una vita superiore, spiritualmente più intensa e socialmente più feconda.
Grazie alla sua volontà eroica, sospinta dal bisogno di dare un senso alla sua esistenza spezzata, Adele Kamm seppe creare, con le gracili trame della sua persona, un modello maraviglioso di energia, di coraggio, di attività; esempio salutare a tutti gli ammalati che disperano e che non sanno nè vivere nè morire.
«Come, essendo inferma, rendersi utile agli altri», questo fu il problema Che Adele Kamm si pose e che seppe risolvere così efficacemente, riuscendo ad irradiare intorno a sè e lontano da sè l’amore e la gioia. Semplice fu il suo secreto : fare- il bene ; quel bene che solo dà un senso alla vita e che è fonte di ogni nostra liberazione spirituale.
Fu allora che, decisa a fare tutto il bene che poteva, Adele Kamm, benché così dipendente dagli altri a causa della sua malattia, si sentì maravigliosamente libera e, benché così debole e sofferente, si sentì infinitamente forte e gioiosa.
« Ecco quello che io mi sono chiesto — scrive ella nel suo « Messaggio ai prigionieri » — cinque anni or sono, quando non potei più camminare e che invece di lavorare e di aiutare la mia famiglia mi sono sentita completamente dipendente ; più dipendente di voi, poveri prigionieri ; dipendente per la mia pulizia, per un libro, per un fazzoletto, per una penna, per il cibo ; dipendente dalla buona volontà di ognuno... quante lagrime, la sera, sul mio guanciale... eppure da cinque anni io sono felice, perchè finalmente io sono libera. Così possiamo parlare insieme di questa curiosa libertà in una condizione tale, questa libertà che racchiude tutta la felicità, quella felicità che tutti desiderano e che tutti rincorrono per vie così diverse!
Io ho trovato questa felicità grazie a una scoperta inattesa che mi ha fatto fare la sofferenza, questa sofferenza rivelatrice senza la quale noi non saremmo che degli egoisti; io mi sono accorta che vivevo in mezzo a gente... che tutti avevano un cuore che soffriva e che domandava d’essere amato, compreso, sostenuto, incoraggiato... e quando ebbi fatto questa scoperta, ne feci subito un’altra, che, cioè, io dovevo chiedere a Dio di darmi abbastanza forza ed affetto per il bene, per tentare di compiere questo compito così nuovo per me...
Oh! il bene, parola magica che trasforma la vita! Bisogna però fare il bene non in vista di una ricompensa, ma per se stesso, perchè solo in esso è la gioia e la felicità. Forse voi non avrete successo presso il vostro amico, forse vi occorreranno parecchi anni di perseveranza prima ch’egli si senta tòcco ! Che importa, fate il bene perchè esso non va mai perduto; e chi potrà dire l’importanza di un sorriso, d’un gesto affettuoso per coloro che ci servono e ci circondano e che sono spesso così stanchi del loro lavoro monotono! Facendo il bene, voi divenite un uomo libero!».
Questa decisiva esperienza, alla portata di tutte le creature doloranti, che possono, non fosse che per il sorriso dei loro occhi, rendere la loro presenza utile e preziosa, fu, per Adele Kamm, il preludio di un’attività perseverante e feconda.
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Ella pensò, anzitutto, ai suoi fratelli nel dolore e scrisse per lóro un opuscolo intitolato: Felici nell afflizione,^} e che porta in inglese questo motto: «Se io non posso realizzare il mio ideale, io posso se non altro idealizzare la realtà».
Il successo di questo opuscolo, tradotto già in parecchie lingue, mostra come le paróle di conforto della loro dolce sorella riuscissero consolanti al cuore di tanti poveri ammalati. Nè Adele Kamm si contentò di dar- loro solo delle buone parole. Col ricavato delle prime vendite dell’opuscolo, ella fondò a Ginevra la Galleria di cura diaria, che esiste ancora e che permette a quei malati bisognosi, i quali sono costretti di abbandonare troppo presto le Stazioni sanitarie, di completare in città la loro cura. .
Facendo sua l’idea d’un’altra ammirabile malata ginevrina : Luisa Deyenoge, ella diede vita ¿\\'Unione degli Infermi, destinata a creare dei legami di simpatia e ad essere un veicolo di mutuo conforto tra amici invisibili e crocifissi sopra un letto di dolore, facendo circolare, da malato a malato, dei quaderni dove ognuno potesse esprimere liberamente le proprie esperienze, le sue angoscie come le sue gioie, potesse chiedere aiuto e dare consolazione.
Poi Adele Kamm pensò ai prigionieri che avevano essi pure perduto la bella libertà e che erano più meritevoli ancora di compianto, avendo spesso l’anima schiava più del corpo. Ella rivolse loro un « Messaggio », tutto vibrante di simpatia affettuosa e di tenera sollecitudine, mostrando loro come, per mezzo del bene, essi potevano divenire liberi e felici.
Se lo avesse potuto, ella sarebbe certo andata a trovarli, come santa Caterina che, d'un galeotto, scriveva a frate Raimondo da Capua:
« E teneva il capo suo sul petto mio. Io allora sentivo un giubilo e uno odore del sangue suo...».
La volontà di bene che è come un magnete, e la gioia, che è contagiosa, attiravano a lei tutti i cuori spezzati dall’angoscia e le anime inquiete.
La sua « bella camera rosa » divenne, come quella della beata Osanna da Mantova « un gabinetto di consultazioni spirituali » , e come quella di santa Lidwina, « un ospedale di anime ».
Poveri e ricchi, vecchi e giovani, protestanti, cattolici, ebrei, atei, correvano a lei e tutti erano conquisi dal suo buon umore, dalla sua pietà fattiva per tutte le miserie umane.
« Io piego talvolta — scrive ella — sotto il peso di tutte le confidenze di sofferenze d’ogni specie e così intime, che io ne sono tutta compresa. Perchè questa immensa corrente di simpatia che mette capo alla mia piccola persona inferma? Oh: non sono certo le grandi frasi ch’io posso scrivere, nè uno stile o dei pensieri straordinari. E’ semplicemente un cuore pieno di tenerezza per gli afflitti e che non esita a sacrificarsi per consolare e soprattutto per amare. Sì, amare bisogna ; tutto è qui ».
Tale fu il segreto del potere spirituale di questa dolce creatura che seppe, come la clarissa di Siena, « mangiare è gustare anime ». L’essenziale è di amare; le credenze non hanno che un valore relativo e personale.
(x)yojw^ dans l’ajfliction, presso l’editore H. Robert, place de la Petite-Fusterie, 2, a Ginevra. Prezzo: 1 fr.
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ADELE KAMM
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In una sua lettera Adele Kamm scrive:
«... ogni domma che ci eleva, che ci dà una forza nella lotta del bene contro il male, è un domma davanti al quale noi dobbiamo piegare le ginocchia, una tavola di salvezza che non dobbiamo giammai abbandonare per noi stessi, ricordandoci però che, per altri, questo domma può non valer nulla e che un altro domma converrà loro meglio ».
Spirito libero e tollerante, nonostante l’intensità del suo sentimento religioso, Adele Kamm non permise mai che le sue benefiche iniziative rivestissero un carattere di bigotteria.
« Io temo — scrive ella ad una sua arnica — che a Leysin si giudichi la nostra Unione degli Inf ermi come cosa da pinzocchere, e questo pensiero mi rattrista e mi reca un dispiacere infinito. No, il nostro scopo è solo quello di confortare gl’infermi e se voi, cara amica, volete incaricarvi del gruppo di Leysin, voi siete assolutamente libera di arrecare agli ammali quel conforto morale che voi stimate più opportuno, anche senza parlare nei quaderni di religione. Noi parliamo in essi dei nostri sentimenti religiosi, soltanto perchè i nostri infermi di qui sono quasi tutti terribilmente depressi e ci domandano di aiutarli a ritrovare la loro fede e a sostenerli. La nostra esperienza personale c’insegna che la gioia nell’ infermità non può scaturire Che dalla pace la più completa, che è a sua volta, il frutto di una completa fiducia in Dio. Ma per nessuna cosa al mondo vorrei che la nostra Unione fosse un affare da bigotti, visto che per conto mio io appartengo alla Chiesa nazionale e che inoltre io stimo tutti, sieno essi bigotti, atei, cattolici, ebrei o membri della Chiesa nazionale. Io credo che noi tutti dobbiamo far parte d’una sola chiesa, quella dell’amore verso Dio e verso i nostri fratelli e che tutto il resto non ha importanza. Ciò abbiamo noi desiderato per X Unione degli Infermi ; così coloro che scriveranno messaggi su l’amore divino saranno i benvenuti, e coloro i quali preferiscono non trattare questo tema, sono completamente liberi e potranno far del bene agli ammalati in un’altra maniera ».
Così ci appare Adele Kamm, una santa nel più vero e nobile significato della parola. Ma la sua santità fu sana e normale: non fu un’isterica, un’allucinata, una visionaria. La sua esistenza non è circonfusa di fatti straordinari, di estasi, di rivelazioni, di profezie e di miracoli. Fu una creatura buona e gentile che seppe sorridere a Dio attraverso le sue lagrime e trovare, nel suo fervente desiderio d’amore e di dolore, la morte una cosa così lieta come la vita.
Ella appartenne alla schiera di quelle anime elette in cui, come dice il Lemaître, « la possanza d’amore genera la sofferenza che ne è il segno e la misura, e la sofferenza a sua volta aumenta e esalta la possanza d’amore, di maniera che presto non possono più soddisfarsi se non prendendo su di loro tutte le sofferenze degli altri». Anche Adele Kamm sentiva che tutti noi siamo solidali nel dolore e che espiamo gli uni per gli altri. Nella sua voluttà di soffrire, la malattia le apparve come un « privilegio », come « una compagna benefica che ci insegna mille cose preziose ».
« Meglio il malato — scriveva — ha compreso la sua missione, più la sua prova sarà lunga, più essa sarà penosa e più il suo cuore si allargherà e si riempirà d’amore per tutti i suoi fratelli, per tutte le sue sorelle nel dolore».
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Certo, quando ella gustò l’ultima sua gioia : la morte, dovette essere vegliata da tutta quella schiera di ànime di cui Dante dice che furono < beate e dolorose, » da tutte quelle creature sublimi e crocifisse che seppero sbocciare in mezzo alle loro sofferenze come rose tra le spine e che si nutrirono di gioia e di dolore come i fiori si abbeverano del sole e della pioggia: santa Teresa che voleva « soffrire o morire » e santa Maddalena dei Pazzi che voleva < soffrire e non morire», santa Caterina de Ricci che portava gli strumenti della Passione scolpiti sulle sue membra dalle mani stesse di Gesù, la beata Passidea da Siena che in mezzo al suo martirio credeva « vivere piuttosto in Paradiso che sulla terra » e suor Marcellina Pauper la cui vita fu « un purgatorio delizioso dove il corpo soffriva e l'anima godeva».
Come le sue sante sorelle, Adele Kamm seppe fiorire là dove Dio l’aveva seminata (i).
Ginevra, maggio 19x3.
A. De Stefano.
(1) P. Seippel ha narrato la vita dell’eroina nel suo eccellente volume: Adite Kamm, presso l’editore Payot a Losanna (prezzo : 3 frs. 50), e che è già arrivato, in meno di un anno, alla settima edizione.
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VOCI E DOCUMENTI
MATERIALISMO E VITALISMO
Il 2i giugno scorso in occasione della festa che discepoli, collaboratori ed amici hanno celebrata all’ Università di Roma in onore del senatore prof. Luigi Luciani, per solennizzare il compimento della quarta edizione del suo aureo trattalo di Fisiologia dell'uomo, l’insigne fisiologo ha pronunziato un discorso che nella parie sua più saliente e più interessante afferma la fede dello scienziato nello spiritualismo.
Pubblichiamo questa parte del discorso come è stala riferita da Aurelio Rotolo sul Giornale d’Italia del 22 giugno:
« Voi sapete, o signori, che il nostro organismo è una meravigliosa e complessa macchina rispetto alla quale quelle create dall’industria umana non sono che giocattoli per far •divertire.
Questo sorprendente aggregato dinamico che costituisce la vita si regge tutto sulle leggi naturali della fisica, della chimica, della fisicochimica, della morfologia ; non solo sulle poche leggi naturali che finóra ci sono note ma altresì su quelle assai più numerose e forse più importanti che finora ignoriamo ma che possiamo presumere di scoprire coi progressi incessanti delle scienze sperimentali.
Il complesso di queste conoscenze e le loro applicazioni ai fenomeni vitali costituiscono il materialismo o meccanismo scientifico che fu la gloria specialmente del secolo passato. La mia opera fisiologica può parere ed è in realtà una vera apoteosi di questo glorioso materialismo. I diritti delle leggi fisiche, chimiche, morfologiche, come base per l’interpretazione meccanica dei fenomeni fisiologici vi sono riconosciuti e proclamati ad ogni pagina.
Ma non bisognava dimenticare l’aspetto introspettivo della vita. Ogni fenomeno specificamente vitale è un avvenimento psico-fisico cosciente o sub-cosciente : cosciente come nei fenomeni mentali della vita di relazione, subcosciente come nei fenomeni della vita riproduttiva e vegetativa.
Il disconoscere questo lato interno psicologico della vita, è come privare quest’ultima di ogni finalità, di ogni ragion d’essere: è come ammettere che un’automobile possa percorrere rapidamente le distanze terrestri, o un velivolo gli spazi aerei senza il fuochista e rispettivamente l’aviatore che ne diriga il percorso e ne regoli la velocità. Si può concepire assurdità più piramidale di questa?
Ebbene la stessa assurdità sosterrebbe quel fisiologo che negasse (dovendo rendersi conto della vita) l’esistenza di un principio o forza vitale, che volgarmente diciamo anima, o più timidamente psiche.
Come il materialismo fu la gloria del secolo xix, cosi il vitalismo sarà la gloria del secolo vigesimo.
• **
Non occorre esser profeta nè figlio di profeta per lanciar nell’ambiente questa previsione. Appaiono già i segni manifesti della gloriosa rinascita del vitalismo, non più come frutto illusorio di speculazione, ma come prodotto, necessario, mmanchevole dell’esperi-mentazione.
Basti il dire che alcuni si sono già spinti tanto oltre per questa via da fondare un preteso monismo basato sulla negazione della materia. Ostswald riduce la materia a semplice energia, M?.ch a semplice sensazione!
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Io mi son tenuto lontano da questi estremi che mi sembrano veri giuochi di parole. Non so concepire l’energia senza un sostrato, nè la sensazione senza un quid sensiente.
Io credo di avere abbastanza sviluppato il senso pratico della nostra razza. Io penso che tanto il materialismo che il vitalismo debbano funzionare nella nostra scienza come postulati necessari diretti a spiegare il duplice aspetto con cui ci si presenta il fenomeno vitale o psico-fisico, secondo che lo si considera obiettivamente con l’osservazione esterna ovvero subiettivamente con l’introspezione o col criterio della sua manifesta vitalità dinamica.
« Il processo evolutivo della scienza fisiologica (scrissi nella introduzione della mia opera) ha avuto sempre in passato e avrà in avvenire il carattere di una lotta continuata e feconda tra le due opposte tendenze. Erra chi immagina che il risultato finale di questa lotta sia la vittoria deli'una o dell’altra teoria. Ambedue sono unilaterali; ciascuna di esse rispecchia un solo lato del reale. La vita, nelle sue forme più evolute, risulta dalla loro com
penetrazione e confusione. Guardata dal di fuori è meccanismo, sentita dal di dentro è anima : ecco il grande mistero che l’arte dovrà sempre celebrare e che la nostra scienza con tutti i possibili e immaginabili progressi della fisica e della chimica, coi metodi sperimentali di cui può o potrà disporre non sarà mai in grado di risolvere».
Questa idea della lotta tra due opposte tendenze che io ho sempre considerata come la condizione indispensabile del moviménto evolutivo della nostra scienza, è come il carattere fondamentale dei processi vitali, basati sul conflitto tra anima e corpo; io credeva ingènuamente che fosse uno spunto originale della mia mente ma poi trovai che era cosa vecchia più del brodetto. Eraclito di Efeso, uno dei più grandi pensatori di tutti i secoli, 500 anni prima di Cristo, considerò la discordia., come la madre di tutte le cose, segnatamente dell’essere vivente. Multa renascenlur quae jam cccidcre! »...
Luigi Luciani.
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CRONACHE
Vitalità e vita nel Gattolicismo.
ni.
CHIESA E STATO IN ITALIA : DUE DISCORSI PONTIFICI CONTRO GLI ORDINAMENTI ITALIANI - UN VESCOVO AMERICANO CHE CONTA BUBBOLE MA DICE UNA VERITÀ - LA PASTORALE DI MONS. BONOMELLI - IL LEGITTIMISMO CLERICALE fi LA POLITICA CLERICALE: IL DISCORSO DALLA TORRE - PROGRAMMA AMMINISTRATIVO O SPECULAZIONE POLITICA? - AVVISAGLIE ELETTORALI - IL PATTO?? I GUAI ED I FASTI DELLA STAMPA CLERICALE ITALIANA: COME E PERCHÈ IL « TRUST » SI SOTTOMISE - LE IRE DEI « PAPALI » - LA LOTTA FRA LE DUE TENDENZE SI ACCENTUA - IL PAPA CONFERMA LA SUA « AVVERTENZA » - COME IL CLERO IN ITALIA ASCOLTA LE PAROLE DEL PAPA.
AL 1870 ad oggi, mai forse i papi che si sono succeduti in Vaticano, si son tanto agitati per riconquistare il potere temporale, che giudizio di Dio e volere di popolo tolse loro, come Pio X in questi ultimi mesi. Egli, come già dicemmo altra volta, aveva incoraggiato nel migliore dei modi quei vari scrittorelli pullulati qua e là nel clero che con opusco-letti e articoli nei giornali papali cercavano galvanizzare i cattolici italiani e rinverdire il tronco secco delle velleità pontifìcie (1).
Ma, visto che l’effetto di queste pubblicazioncelle che nessuno curava, non era tale da incoraggiarlo nelle sue aspirazioni, il papa ha voluto intervenire diret(1) Di questi articoli e di queste diatribe contro gli usurpatori, facemmo cenno altrove. Ma non possiamo tenerci, per dare un’idea esatta della mentalità dei legittimisti vaticaneschi, dal riportare qui alcuni periodi di un articolo che V Italia reale, il noto organo papale di Torino, pubblicava il 28 agosto 1912:
«Le condizioni dei cattolici d’Italia si differenziano da quelle dei cattolici di altre Nazioni, in ciò che molti loro atti politici in quanto tali (giova ricordarlo mentre la tendenza
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tamente, a varie riprese, con vivacità e qualche volta con insolenza audace ripetendo i soliti luoghi comuni contro gli ordinamenti e le leggi dello Stato italiano. Una prima occasione egli volle trovarla nell'affare Caron, in cui l’equivoco il più manifesto è stato sfruttato ai suoi fini dall’autorità ecclesiastica. La quale, erigendosi a Stato nello Stato, non solo osava porsi contro la coscienza nazionale, ma pretendeva il beneplacito del Governo a che gente che rinnega la patria venisse elevata a pubblici onori e a guida spirituale degli italiani. Questo addebito sembrava ben poca cosa a Pio X, tanto da indurlo a dire pubblicamente il 22 gennaio a 200 clericali di Genova recatisi da lui per protestare pel mancato exequatur a mons. Caron, che questa accusa tornava ad onore del vescovo « che avrebbe demeritato tale officio, se si fosse altrimenti contenuto ». E, come ciò non bastasse, osava nello stesso discorso insultare i rappresentanti della nazione parlando di « calunniose imputazioni, nelle pubbliche assemblee, di nemici della patria con la tacita approvazione e qualche volta con l’applauso dei presenti senza che alcuno di coloro che ne avevano il dovere insorgesse alla difesa », imputando il discorso del ministro Finocchiaro-Aprile di « sprezzante acrimonia » e dichiarando con un certo compiacimento, che le leggi italiane sono appena da lui «tollerate».
Poco più di un mese dopo, il giorno 5 aprile, Pio X ritornava sull’argomento in un discorso fatto leggere ai pellegrini lombardi e francesi. In questa allocuzione il papa voleva dare come uno svolgimento logico alle sue idee e partire dà principi generali per giungere alle solite conclusioni. Egli cosi diceva:
La Chiesa, questa grande società religiosa degli uomini, che vivono nella stessa fede e nello stesso amore sotto la guida suprema del Romano Pontefice, ha uno scopo superiore e ben distinto da quello delle società civili, che tendono a raggiungere quaggiù il benessere temporale, mentre essa ha di mira la perfezione delle anime per l’eternità. La Chiesa è un regno, che non conosce altro padrone che Dio ed ha una missione tanto alta, che sorpassa ogni limite, e forma di tutti i popoli d’ogni lingua e d’ogni nazione una sola famiglia ; non si può quindi nemmeno supporre che il regno delle anime sia soggetto a quello dei corpi, che l’eternità divenga strumento del tempo, che Dio stesso divenga schiavo dell’uomo.
Dunque la Chiesa ha da Dio stesso la missione d’insegnare, e la sua parola deve pervenire alla conoscenza di tutti senza ostacoli che la arrestino, e senza imposizioni che la frenino. Poiché non disse Cristo: la vostra parola sia rivolta ai poveri, agli ignoranti, alle turbe, ma a tutti senza distinzione, perchè voi nell’ordine spirituale siete superiori a tutte le sovranità della terra. La Chiesa ha la missione di governare le anime e di amministrare i Sacramenti ;
modernizzante minaccia il monopolio del movimento cattolico per l’applicazione della nuova legge elettorale) sono a questi liberi, perchè non contrastano coi diritti e ragioni di ordine religioso; mentre ai cattolici d’Italia parecchi di questi atti non sono liberi, perchè opposti a prescrizioni giuridiche della Chiesa o a divieti pontifici!. Effetto, tale posizione anormale dei cattolici d’Italia, della posizione anormalissima della Sede Apostolica in Italia; laonde, a voler accordare nella coscienza i doveri di cattolici con quelli di cittadini è indispensabile che gli italiani prendano, nella loro azione religiosa, sociale e politica, le norme dal Papa, « Questa ragione può sembrar dura a spiriti ambiziosi, che della fede vorrebbero farsi scala di affarismo ; dura ai sognatori di evoluzioni storiche, contrarie ai consigli di Dio, dura agli interessati nei frutti d’un capitale, che, essendo, come quello acquistato da Giuda, prelium sanguinis, come quello è pure maledetto da Dio; ma la ragione suddetta delle ragioni del Papa È dogma di fede (nec minus nec aliter) per i Cattolici integri che antepongono la fede alla politica, e che nella fede al Papa riconoscono la grandezza d'Italia».
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e quindi, come nessun altro per nessun motivo può pretendere di penetrare nel Santuario, essa ha il dovere d’insorgere contro chiunque con arbitrarie ingerenze o ingiuste usurpazioni pretenda di invadere il suo campo.
La Chiesa ha la missione d’insegnare la osservanza dei precetti e di esortare alla pratica dei consigli evangelici, e guai a chiunque insegnasse il contrario, portando nella società il disordine e la confusione. La Chiesa ha il diritto di possedere, perchè è una società di uomini e non di angeli, ed ha bisogno dei beni materiali ad essa pervenuti dalla pietà dei fedeli, e ne conserva il legittimo possesso per l’adempimento dei suoi ministeri, per l’esercizio esteriore del culto, per la costruzione dei templi, per le opere di carità, che le sono affidate, e per vivere e perpetuarsi fino alla consumazione dei secoli.
E di questo sono cosi persuasi i nostri stessi avversari, che van ripetendo a parole, esservi all’ombra della loro bandiera ogni sorta di libertà; a fatti però-la libertà, o meglio la licenza, è per tutti, ma non la libertà per la Chiesa. Libertà per ognuno di professare il proprio culto, di manifestare i proprii sistemi, ma non per il cattolico, come tale, che è fatto segno a persecuzioni e dileggi, e non promosso, o privato di quegli offici, a cui ha sacro diritto. Libertà d’insegnamento; ma soggetta al monopolio dei Governi, che permettono.nelle scuole la propagazione e la difesa di ogni sistema e di ogni errore ; e proibiscono perfino ai bambini lo studio del Catechismo. Libertà di stampa, e quindi libertà al giornalismo più iroso d’insinuare in onta alle leggi altre forme di governo, di aizzare a sedizione le plebi, di fomentare odi e inimicizie, d’impedire cogli scioperi il benessere degli operai e la vita tranquilla dei cittadini, di vituperare le cose più sacre e le persone più venerande; ma non al giornalismo cattolico, che difendendo i diritti della Chiesa e propugnando i principi! della verità e della giustizia, dev’essere sorvegliato, richiamato al dovere e fatto segno a tutti come avverso alle libere istituzioni e nemico della patria. A tutte le associazioni anche più sovversive la libertà di pubbliche e clamorose dimostrazioni ; ma le processioni cattoliche non escano dalle chiese, perchè provocano i partiti contrari, sconvolgono l’ordine pubblico e disturbano i pacifici cittadini. Libertà di ministero per tutti, scismatici e dissidenti, ma pei cattolici solo allora che i ministri della Chiesa non abbiano nel paese, cui sono mandati, anche un solo prepotente, che si imponga al Governo, il quale ne impedisca l’ingresso e l’esercizio. Libertà di possesso per tutti, ma non per la Chiesa e per gli Ordini religiosi, i cui beni con arbitraria violenza sono manomessi, convertiti e dati dai Governi alle laiche istituzioni.
In verità, leggendo questo documento, si rimane colpiti dalla singolare inconseguenza in esso contenuta. « La Chiesa, dice Pio X, ha uno scopo ben distinto da quello delle società civili », ma allora non si comprende in alcun modo là ingerenza continua manifesta o subdola di questo organismo spirituale negli ordinamenti civili. «La Chiesa è un regno», masi è dimenticato di aggiungere che esso non è di questo mondo, come invece egli vuole con ogni mezzo, dalle intimidazioni di coscienze alle imprese finanziarie; «la Chiesa ha il dovere di insorgere contro chiunque pretenda di invadere il suo campo», ma non tollera la reciprocità del trattamento quando essa si appropri delle prerogative statali; « la Chiesa ha il diritto di possedere », ciò che forse è contestabile, ma, ciò che è certo, non vuol sentir parlare del dovere che le incombe, come ad ogni altro ente morale, dell’alta vigilanza dello Stato sulla sua amministrazione, che indubbiamente dovrebbe sottostare al diritto comune ; « la Chiesa ha da Dio stesso la missione... di far quello che fa » ma allo Stato non è pervenuto mai alcun documento in proposito, e d’altronde non ne terrebbe conto qualora contrastasse cogli ordinamenti civili e creasse privilegi impossibili e diritti extra-legali. In quanto alle doglianze specifiche che Pio X ha tratto dai suoi presupposti, sono così inesatte e così prive di base, da oltrepassare i limiti dell'amplificazione per toccare quelli della menzogna. In esse, la politica è confusa con la religione, le dimostrazioni religiose con quelle di partito, la tutela delle libertà individuali
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con i diritti delle collettività. Non è vero che le processioni cattoliche vengano proibite più spesso di altre dimostrazioni; non è vero che al giornalismo clericale sia creato un particolare stato di inferiorità dalle leggi di libertà di stampa quando esso, ogni giorno, impunemente, attacca l’integrità della patria ed offende uomini ed istituzioni. Altri culti ed altre confessioni godono libertà di ministero e vi hanno ben diritto, tanto più che non pretendono di essere Chiese di Stato, nulla domandano di privilegio e si svolgono nell'orbita del diritto comune. Faccia pur così la Chiesa cattolica.
Non molto dopo l'allocuzione pontificia, un vescovo americano, certo Schrembs, immemore dei doveri di ospitalità e profondamente ignaro delle vere condizioni in cui si svolge fra la pili assoluta libertà l’attività pontifìcia, approvato dallo spagnuolo segretario di Stato, osava tenere in Vaticano, il 2i aprile, un altro discorso di cui ecco qualche punto che edificherà molti e li persuaderà sempre meglio delle libertà italiche:
Ai giorni nostri, purtroppo, uomini perversi, dimentichi delle lezióni del passato, e guidati soltanto da miserabili considerazioni di pretese esigenze politiche, hanno privata la Chiesa della sua libertà e l’hanno spogliata dei suoi dominii. Sì, Padre Santo, essi hanno osato perfino di togliervi la Vostra indipendenza, ed hanno fatto di Voi il «Prigioniero del Vaticano». Venendo da un paese dì libertà, ove per la legge fondamentale della Costituzione, la Chiesa è garantita della più completa indipendenza, per lo sviluppo dell’opera sua, nell’ordine soprannaturale, e della protezione dei suoi sacri diritti ; venendo da un paese che offre l’esempio del miglior tipo d’indipendenza politica per la Santa Sede, giacché i fondatori della repubblica hanno riconosciuto fin dal principio la necessità assoluta dell’indipendenza del Governo Supremo, separando il Distretto di Colombia dal controllo degli Stati componenti l'unione nazionale, essi, diceva, protestano contro la situazione intollerabile, per la quale la Chiesa è impedita nell’esercizio delia sua azione spirituale, da una legislazione ostile, e spogliata delle sue proprietà, e per la quale lo stesso Santo Padre, Suo Capo divinamente costituito. è privato di quella indipendenza che è così essenziale alio esercizio della sua divina missione.
Di questo discorso non rileveremo che una cosa... ereticale, che cioè gli Stati Uniti d’America offrono il miglior tipo d’indipendenza politica per la Santa Sede. Questo tipo è precisamente l’assoluta separazione della Chiesa dallo Stato !
Oltre che nelle occasioni ufficiali e solenni, gli atti ostili del Vaticano contro l’Italia si sono venuti moltiplicando in mille circostanze. Ricordiamo particolarmente la pastorale del vescovo di Cremona, mons. Bonomelli: Il Papa e l'Italia, la Chiesa e la sua politica. Questa lettera, che poneva molte cose al loro posto, costituiva in fondo un atto di accusa contro il Vaticano, e forse per questo il Bonomelli diceva d'averla scritta « con lo sgomento nel cuore ». Egli infatti, occupandosi dell'umano e del divino nella Chiesa, scriveva:
Nella lunga via che la istituzione di Gesù ha percorso dalle sue origini a noi, molta polvere le si è posata addosso e non solamente della, polvere, ma del fango. L’acqua uscita limpida da quella pura fonte regale, che è il Vangelo, ha subito nel suo corso l’oltraggio delle immondezze umane, si è intorbidata e talvolta ha gettato un lezzo nauseabondo. Si, vi furono degli abusi e gravissimi ; vi furono delle debolezze, delle colpe, anche dei vizi e delitti ; la storia non si può negare e i libri santi ci dànno l’esempio più luminoso della sincerità nel confessarli dove occorra. Vi furono e vi sono ancora molte erbe parassite, che avvolgono e stringono come ellera, come spire tenaci di rettili, il magnifico albero della Chiesa, ne scemano la bellezza e la vitalità.
Ma il brillante nulla perde della sua bellezza nativa per cagione della scoria, che io incrosta : io guardo, non a questa, ma a quello che sta sotto e lascia sempre balenare qualche
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raggio. Il sole nulla perde della sua luce sfolgorante per là nuvolaglia, che ne offusca la gloria, e il Cristo nulla perde della sua dignità e della sua grandezza divina, per le piaghe e pel sangue, che ne coprono là persona e per gli sputi osceni della sbirraglia, che ne deturpano le sembianze divine.
E specificando quasi la ragione fondamentale per cui le incrostazioni parassitar ie hanno sfigurato la Chiesa nell’abuso continuo della pretesa infallibilità pontificia, mons. Bonomelli si domandava:
Quando è che noi dobbiamo dire : Roma, locuta est, causa finita est? Quando siamo nel campo, in cui domina l’infallibilità del magistero?
La Chiesa na i suoi membri, che sono anche membri della società civile, preti, religiosi, vescovi e semplici cristiani laici, soggetti alle leggi sue e degli Stati, in cui vivono sparsi si può dire per tutto il mondo. La Chiesa, come madre, li deve seguire e deve dappertutto proteggere la loro libertà religiosa e fare in modo che quanto è dà essa non siano impediti, o molestati nei loro doveri e nelle loro aspirazioni. Poiché la religione cattolica, come tutte le altre, non può rinchiudersi nella coscienza, ma deve necessariamente manifestarsi in atti esterni, che cadono sotto le leggi civili, gli attriti, le differenze, gli urti colle autorità laiche non sono improbabili, sono anzi inevitabili. E’ dunque forza che la Chiesa si metta in rapporto come meglio può coi singoli governi e tratti con loro: è necessario che si adoperi, massime in certe condizioni difficili, a destreggiarsi fra le onde e i vortici e a bordeggiare abilmente per non porre il piede in fallo ed essere soverchiata con danno dei fedeli. Di qui naturalmente quella che si dice diplomazia o politica. E’ cosa che spiace e duole, ma Come farne a meno ? E’ forse da ritenere che gli uomini di Chiesa siano sempre i più capaci ed idonei ed i meno fallibili? Nessuno è obbligato a riconoscere che gli atti politici della Chiesa e nel governo stesso della. Chiesa siano ciò che vi può essere di più perfetto, benché sempre meritevoli di rispetto, di riverenza e di ubbidienza.
In conseguenza di ciò, così ammoniva i suoi fedeli:
Guardiamoci bene dal fare della Chiesa e della politica una cosa sola. Lungi da noi quel dannoso pregiudizio di credere che per essere cattolici sia necessario appartenere piuttosto a questo che a quel partito, progressista o moderato, costituzionale o repubblicano, ecc. Noi dobbiamo sinceramente inchinarci agli insegnamenti dogmatici e morali della Chiesa e ubbidire alle sue leggi: lo dobbiamo perchè in questo caso non ci inchiniamo agli uomini, ma, sì, a Dio. Quanto al resto è lasciata piena libertà, almeno agli uomini del laicato.
Naturalmente i giornali papali si lanciarono alle calcagna del vescovo di Cremona e laici e sacristi fecero a gara nell'addentarlo per la sua « deplorevole » pastorale. V’è stato persino Chi ha pubblicato vàrie lettere apèrte al vescovo, dichiarandosi cattolico offeso, e pur non osando contestare la verità dell’esposto nella pastorale, affermava che i cattolici degni di tal nome avevano invincibile ripugnanza di acquietarsi alle audaci concezioni del vescovo di Cremona (i). Il fine evidentissimo di questa gènte era di ottenere da Roma la immediata condanna dello scritto del Bonomelli, ma non si osò giungere a tanto. E 1’ Osservatore Romano, anche dichiarando < che non si possono approvare parecchi punti della pastorale », doveva aggiungere che non si poteva condannare alcuno per avere opinioni politiche diverse da quelle vaticanesche.
Ciò però contrasta con ciò che la cronaca viene narrandoci di tanto in tanto (2).
(1) F. Saccardo, m\V Unità Cattolica del 28 febbraio e del 5 marzo.
(2) Ricordo qui solo ciò che è accaduto alla superiora delle Stimmatine di Ferrara che, per aver rimesso a nuovo l’antico stendardo, che sventolò a Novara, dei lancieri Aosta ed avere in tale occasione espressi in un biglietto sentimenti di amor di patria, veniva telegraficamente, dalla superiora generale dell’Ordine, destituita e traslocata ad altro convento come semplice suora.
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La riprova di questa parola d'ordine passata dal Vaticano ai preti è pur sempre la campagna dei giornali papali, che del resto sono quasi tutti sotto la direzione di preti. Più sintomatica e più grave ancora è la constatazione che questi fogli non si limitano solo a procurare gli interessi materiali del Papa, ma di questi si servono come paravento per perorare la causa delle vecchie dinastie, che la rivoluzione italiana, « opera della sètta tenebrosa », ha spodestato. E’ notorio, infatti, come ad esempio \'Unita Cattolica, furiosamente papalina, è (o almeno lo era qualche tempo fa) sovvenuta dalla Casa di Lorena; come il Vero Guelfo di Napoli viva sui fondi dei Borboni e dei borbonici, che costituiscono il partito clericale nel sud Italia e che con essi sono in relazioni di interessi altre gazzette come La Vera Roma, il cui direttore fu costretto a fare una figuraccia in un recente processo fra borbonici napoletani (i).
Pretendere dopo ciò, come fanno i clericali d’Italia, non solo di essere buoni cittadini, ma i salvatori dell’ordine pubblico, sembrerebbe in verità speculare troppo azzardatamente sulla buona fede del prossimo. Eppure è questo a cui si sono accinti. E per coprire le loro mene e lavorare senza troppi fastidi,, hanno creato un diversivo su cui far convergere gli occhi dei poveri di spirito : la campagna contro la massoneria, accusata di congiurare ai danni della patria. E i giornali papali sono pieni ogni giorno di pretese rivelazioni e di curiose deduzioni. Ma in Italia si sa troppo bene che mentre uomini della massoneria davano tutto per unificare la patria, fino la vita, i clericali d’allora si affannavano ad eriger le forche, a puntello dei pericolanti troni degli stranieri. Della massoneria d’oggi non sappiamo troppo : del clericalismo ci è noto che non è venuto meno alle sue poco gloriose tradizioni.
JT
Le prossime elezioni generali hanno fornito l’occasione di meglio illustrare il pensiero dei clericali. Questa innanzi tutto è stata la cura del presidente del-¡’Unione popolare fra i cattolici d’Italia, Dalla Torre, nel famoso discorso di Venezia, il 26 gennaio. Egli vi trattava dal suo punto di vista, cioè dal punto di vista del Vaticano, le principali questioni Che si agitano fra i cattolici, cioè la questione romana, l’organizzazione, la scuola, la stampa, e la lotta elettorale. Secondo il Dalla Torre il programma dei clericali italiani è un programma... divino.
Per questo il primo dovere dei cattolici italiani è il dovere religioso ; di esso la libertà della Chiesa è parte essenziale. Quindi
« la questione della libertà ed indipendenza, piena, completa, del papa è appunto una questione religiosa, malamente interpretata dagli avversari come una questione patriottica e politica, per poter più facilmente impugnare le oneste e legittime intenzioni dei cattolici italiani quando invocano la libertà della Santa Sede, l’indipendenza del divino ministero della chiesa... Se alla condizione attuale delle cose volessero rassegnarsi i cattolici italiani, o stimando più
(1) A dimostrazione che tutti questi legittimisti da strapazzo sono legati fra di loro a fil doppio, ricordo qui una corrispondenza da Napoli che V Unità Cattolica di Firenze pubblicava il 25 maggio di quest’anno, nella quale i Borboni sono detti « legittimi sovrani » del popolo napoletano.
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grave qualunque altro problema o per timore delle solite accuse, tradirebbero la loro missione e la loro coscienza.
« I cattolici italiani debbono reclamare la libertà e l’indipendenza del loro Capo, ciò che, pel suo ministero infallibile, garantisce la libertà della loro religione e della loro coscienza : questo il dovere nei suoi limiti precisi, giacché spetta solo alla Santa Sede, stabilire a quali patti se ne possa avere sicura garanzia. Agli avversarli dimostrare adunque, l’assurdo, cioè che questo è antipatriottismo invece che l’essenza del più fondamentale diritto e di libertà: la libertà religiosa».
Questo dunque è il cardine principale dell’azione dei cattolici d’Italia. Chè, se non ottengono l’indipendenza pontificia, cioè che il papa abbia, come diceva \' Osservatore Romano, « la sovranità reale su Roma », essi devono esser pronti... alla rivoluzione. Così infatti esclamava il conte Dalla Torre:
« Dobbiamo ricordare che è in noi vivo il sentimento dell’ordine, ma non come fine a sè stesso, ma come mezzo e garanzia ai principi più sacri della religiosa e civile grandezza della patria: i quali se offesi e se calpestati ci autorizzerebbero sempre ad insorgere contro chiunque in nome dell’ordine (¡1 quale null’altro sarebbe così che la rivoluzione organizzata) continuasse a vilipenderli ».
Commentando questo discorso, l’on. Murri scriveva che esso può riassumersi, con la massima fedeltà così:
« Esser cattolici significa avere le idee, le intenzioni, la volontà dèi papa ; obbedire in tutto e ciecamente a lui è l’unico vostro dovere. A un governo che pretende di governare con la libertà voi dovete chiedere la libertà religiosa ; ma si intende che non la chiederete per voi se non per farne immediatamente omaggio al papa il quale solo è libero nella Chiesa, mentre i cattolici tanto più e meglio sono tali quanto più si tengano lontani da qualunque colpevole aspirazione alla libertà. "Ma la libertà del papa non è libertà nel senso comune della parola, facoltà di fare ciò che piaccia, entro i limiti supremi dell’equo e dell’onesto; la sua libertà deve essere indipendenza, sovranità, dominio politico. Il papa non può essere cittadino di una patria, perchè la sua Chiesa anche essa è sopra le patrie, le leggi e le istituzioni, alle quali vuole parlare da superiore e da sovrano.
«E poiché quindi tutta l’istituzione ecclesiastica si riassume in questa libertà o indipendenza o sovranità pontificia, tutto il vostro dovere religioso si può anche riassumere nel volere quella libertà; e poiché questa è violata dall’unità politica e dalla costituzione, voi siete fuori, della costituzione del vostro paese e non potete, senza offendere la pregiudiziale pontificia, mescolarvi agli altri cittadini, agire politicamente, costituire dei partiti. La vostra vita, il vostro diritto, la vostra gloria è solo l’essere dei servi di Pio X» (i).
Tutti gli altri problemi sono subordinati e dipendenti da questo. Ed è naturale; dato che la questione romana è questione religiosa, essa deve informare ogni attività politica dei cattolici italiani. V’è forse chi osserverà che altro sono le parole ed altro i fatti, poiché all' infuori di Pio X e di una cinquantina di cattolici italiani, tutti gli altri si ridono in fondo al loro cuore di queste pretese. E non mancano certo documenti che confermino questa opinione. Ne citiamo uno solo autorevolissimo, poiché riferisce il parere di un presidente di una importante Direzione diocesana, quella di Fermo nelle Marche (la cui diocesi interessa ben sei collegi elettorali), e ci avverte che quell’arcivescovo, mons. Castelli, crede poter derogare dalle direttive pontificie, come tanti altri suoi colleghi. Infatti La voce delle Marche di Fermo, organo scritto e diretto da preti, sotto il confi) La Riforma Laica, gennaio 1913. Articolo: « La politica lagunare di Pio X».
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trollo della curia, nel numero del 26 aprile 1913, cioè dopo i discorsi del papa e del presidente generale dell’Unione popolare cattolica, pubblicava la seguente nota :
« Dietro gli inviti diramati si è radunata giovedì l’assemblea della Direzione diocesana. Gli intervenuti erano parecchi e rappresentavano parecchie nostre istituzioni. Si sarebbe tuttavia desiderato un intervento maggiore.
« L’aw. Palma dichiara dapprima di essere stato esitante ad accettare la presidenza della Direzione diocesana per due motivi: perchè egli dubitava della sua incompatibilità in tale ufficio, per l’o/fwfow da lui professata, che si possano concedere tutte le garanzie necessarie al Pontificato per lo svolgimento della sua alta missione, a prescindere dalla forma del dominio temporale e ferma l’unità d’Italia; e perchè riteneva che le sue idee nette e recise circa la necessità di formare una coscienza cattolica attiva e di lavorare alla difesa dell’ordine sociale cristiano ed all’elevazione progressiva delle classi umili, lo ponessero in contrasto con la maggioranza; tuttavia autorevolmente rassicurato sul primo punto ha accettato la carica, non ostante gli permanga il secondo dubbio, per dar prova di buon volere, pronto sempre, quando egli si avveda di non essere secondato nelle sue direttive, a tornare semplice milite » (1).
Checché ne sia, certo si è che come principio fondamentale le velleità pontificie, espresse dal Dalla Torre, rimangono a base dell’azione e della politica ufficiale clericale. Chi non le accetta avrà forse un po’ di buon senso, ma ciò non toglie che sia un ribelle. E ciò hanno intravisto i conservatori italiani, alleati dei clericali, i quali evidentemente non potevano acconciarsi a questo programma massimo. A rassicurarli però sono venute dilucidazioni opportuniste. La Difesa^ l’organo veneziano di Pio X, ripeteva flebilmente che la cosa non doveva preoccupare i liberali conservatori, perchè l’accordo con essi è puramente sul terreno amministrativo, cioè su punti comuni. Unità Cattolica di Firenze, disse che i conservatori si erano spaventati del discorso Dalla Torre per « un errore di ermeneutica». E così continuava (numero del 31 gennaio):
« Essi non capirono che il conte Dalla Torre mise innanzi un programma pei cattolici e non pei conservatóri liberali: diede le direttive pei cattolici che stanno in tutto col Papa e non per coloro che hanno altre idealità.
( 1) Non si può negare che questo presidente abbia chiaramente, onestamente, parlato. Ma questa notificazione ha suscitato un curioso scandaletto, poiché ha indotto un prete della diocesi, certo d. Luigi Deibello, a dichiarare formalmente che non riconosce in materia l’autorità del suo vescovo. E’ infatti evidentissimo che è stato il vescovo a riassicurare il Palma sulla questione del potere temporale. Il prete di cui ci occupiamo scriveva così allo stesso Palma :
« Ella dice, di essere stato su questo punto autorevolmente rassicuralo.
« Ma la S. V. non può ignorare che in tale delicata materia, la sola persona competente e veramente autorevole sia il Papa ; e se così fosse avvenuto, io non esiterei punto ad entrare foto corde in questo nuovo ordine di idee, farmene zelante propagatore nonostante i miei convincimenti in contrario, pubblicamente professati sino ad oggi. Ma sino a prova contraria non crederò mai che la riassicurazione da Lei avuta sia stata veramente autorevole nel senso sopra esposto, perchè sono sempre là in pieno vigore gli atti pubblici di Pio IX, Leone XIII e Pio X, esprimentisi in modo tutto contrario, ed anche in aperta opposizione al recente ed autorevole programma del conte Dalla Torre, degnissimo presidente Unione popolare cattolica italiana.
« Per tale motivo e per gareggiare con Lei nella lealtà della vita, esprimo tutta la ripugnanza di più appartenere alla Direzione diocesana di Fermo, che vuol basarsi su di un grossolano equivoco, e che non può non gettare una gran confusione su tutta l’azione cattolica diocesana ».
Non sappiamo quanto sia rimasto lusingato il vescovo delle espressioni di questo suo prete: ma non è difficile immaginarlo.
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« Insomma il conte Dalla Torre non fece un vero discorso elettorale ma per l’Unione popolare, per ravvivare e scuotere le coscienze cattoliche.
u °n.° fi?SH 1 conservatori che nei patti di alleanza elettorale sia amministrativa sia politica il conte Dalla Torre o i cattolici domandino loro garanzie per cambiare lo staiu ouo oppure per rompere la triplice alleanza oppure per fare un governo ¿«ZAaftw/
, .. * Nemmeno per sogno: poiché cadremmo nell’ingenuità ridicola. I patti per le alleanze elettorah si formano su alcuni punti di programma comune come l’insegnamento religioso nella scuola o la liberta di insegnamento, la lotta contro il divorzio, contro il malcostume, il rispetto ai beni delle congregazioni e delle nostre chiese, ecc.
« I conservatori marciano separali da noi in tutto il resto : lo sappiamo e lo ammettiamo, ma possono colpire uniti con noi in alcune questioni ».
I conservatori, impauriti dalla possibilità di essere sconfitti dalla democrazia, non si avvidero o fecero mostra di non avvedersi dell’equivoco grossolano contenuto in queste cosidette spiegazioni. Infatti non si va alla Camera solo con un programma amministrativo, ma ci si va o ci si dovrebbe andare con opinioni politiche e con un programma politico conforme. Ora i conservatori giocano un pessimo gioco, essi così preoccupati che l’attuale ordine di cose resti fisso e inalterato, aiutando i clericali nell’ascesa o servendosi di essi per ascendere. Essi ne diventeranno gli aiutanti o i servi con qual profitto della loro causa è facile immaginarlo. Benché ciò sia palese, un grande numero di deputati moderati (170 sinora, per confessione dei clericali stessi) hanno accettato e sottoscritto il patto vergognoso. Contro coloro che non si umiliano e non si lasciano porre il capestro, ¡clericali hanno giurato odio e sterminio, combattendoli con ogni mezzo, magari ricacciando di tra i ferravecchi il wm expedit, quando non credano di porre candidati propri (1).
Affinchè il movimento elettorale politico proceda nel nostro campo secondo ben chiare direttive e criteri tattici uniformi da un capo all’altro d’Italia, la scrivente Unione Elettorale Cattolica Italiana chiamata a dirigere l’asprissima lotta che si prepara, compie il dovere di comunicare a Lei, benemerito signore, perchè ne usi, con le debite cautele, le norme da seguirsi nella scelta e nell’appoggio dei candidati.
1. — La prossima lotta elettorale pei cattolici deve essere regolata dall’i/wiw Elettorale Cattolica, in modo che risponda agli scopi pei quali i cattolici possono, nei dovuti limiti, accedere alle urne.
2. — Appoggiare i candidati che danno le maggiori garanzie di seguire le nostre idee religiose e sociali solo in quei collegi dove per forze nostre od appoggio di affini, ne sia certa la riuscita.
. 3- — Appoggiare quei candidati i quali, ritenuti personalmente degni dei nostri suffragi, dichiarino formalmente per iscritto o nel pubblico programma agli eiettori, di accettare i punti fondamentali di accordo, che vengono uniti alla presente;
4. — Spetta in modo particolare ai Comitati elettorali locali segnalare alla Presidenza te\\'Unione Elettorale Cattolica quei casi rarissimi in cui eccezionalmente si ritenga consigliabile l’appoggio dei cattolici anche senza l’accettazione formale di cui sopra.
Queste le precise norme alle quali dovunque in Italia dovrà attenersi la condotta elettorale dei cattolici, norme che già, come di dovere, furono comunicate agli Ecc. Vescovi.
Abbiamo fiducia che l’opera vigorosa e concorde dei cattolici e la perfetta disciplina possano giovare nelle prossime elezioni a vantaggio dei principi da noi costantemente seguiti e difesi.
(1) Ecco ad esempio un comunicato della Direzione diocesana di Verona:
« La Direzione diocesana veronese dichiara che i cattolici veronesi non appoggeranno, nel primo collegio, la candidatura dell’on. Messedaglia, perchè non ha accettato il loro programma ; scenderanno in lotta in quel collegio con un candidato proprio che sarà designato quanto prima dai rappresentanti della sezione elettorale. Appoggeranno invece nel secondo collegio la candidatura dell’on. Rossi che ha accettato il loro programma».
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Il contratto imposto dai clericali ai moderati è stato promulgato dall'unione Elettorale Cattolica Italiana. Ecco il testo del documento :
i. — Difesa delle istituzioni statutarie e delle garanzie date dagli ordinamenti costituzionali alle libertà di coscienza e di associazione, e quindi opposizione anche ad ogni proposta di legge in odio alle congregazioni religiose e che comunque tenda a turbare la pace religiosa della Nazione.
2. — Svolgimento della legislazione scolastica secondo il criterio che, col maggiore incremento alla scuola pubblica, non siano fatte condizioni che intralcino o screditino l’opera dello insegnamento privato, fattore importante di diffusione e di elevazione della cultura nazionale.
3. — Sottrarre ad ogni incertezza ed arbitrio e munire di forme giuridiche sincere e di garanzie pratiche, efficaci, il diritto dei padri di famiglia di avere nei propri figli una seria istruzione religiosa nelle scuole comunali.
4. — Resistere ad ogni tentativo di indebolire l’unità della famiglia e quindi assoluta opposizione al divorzio.
5. — Riconoscere, agli effetti della rappresentanza nei Consigli dello Stato, diritti di parità alle organizzazioni economiche o sociali indipendentemente dai principi sociali o religiosi ai quali esse si ispirano. .
6. — Riforma graduale e continua degli ordinamenti tributari e degli istituti giuridici nel senso di una sempre migliore applicazione dei principi di giustizia nei rapporti sociali. _
7. — Appoggiare una politica che tenda a conservare e rinvigorire le forze economiche e morali del paese, volgendole a un progressivo incremento dell’influenza italiana nello sviluppo della civiltà internazionale.
Avvertènza. — Questi sono i punti di accordo sui quali i candidati da appoggiarsi da noi debbono darci sicure garanzie o privatamente per iscritto o con la esplicita inclusione di tali punti nel pubblico programma agli elettori. Per queste trattative si raccomanda di usare le forme più abili e riguardose, data la estrema delicatezza dell’accordo da raggiungere.
Il tono untuoso àe\\' Avvertenza che chiude questo documento avrebbe dovuto mettere sull'avviso anche i più ciechi e dimostrar loro che ciò che si domanda ai moderati è di darsi, mani e piedi legati, in mano alla reazione teocratica. Ma v’è purtroppo in Italia chi è più preoccupato di conservare o conquistare la medaglietta di deputato che di tutelare la propria dignità ed i principi supremi del liberalismo. D'altronde i clericali, visto che candidati propri, salvo rare eccezioni, sarebbero inesorabilmente battuti perchè clericali, si contentano di nascondersi dietro ai moderati. Così, in molti collegi, le autorità ecclesiastiche hanno posto alla catena i loro adepti, sconfessandoli anche, come è avvenuto per il collegio di Castel nuovo Monti e per altri nel Veneto, quando avessero proclamato candidati propri, e dichiarando invece di accordare il loro appoggio a candidati moderati, anche ebrei e massoni, purché avessero le borse ben fornite e avessero firmato il patto di schiavitù (1). Ed è tattica accorta questa, che presenta vari vantaggi, primo fra tutti quello di cacciare le castagne dal fuoco con le zampe del gatto e mangiarsele in tranquillità.
Le cose elettorali sono oggi a questo punto. Ma credo di non ingannarmi affermando che le arie da padroni che i clericali son venuti assumendo daranno giù ad elezioni finite.
(1) Ad una corrispondenza da Roma in cui si affermava che ai cattolici del collegio di Montevarchi fra i due soli candidati che si presenterebbero l’uno massone e l’altro ebreo, non resterebbe che astenersi, l’67w;7d Cattolica (5 luglio) faceva seguire questo breve sintomatico commento:
« Diamo questa corrispondenza importante con le nostre debite riserve e solo come informazione pei cattolici aretini.
« L’Unione Elettorale Cattolica farà poi quello che più corrisponde alle direttive pontificie».
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Quel che sta accadendo fra giornali clericali, sorpassando di gran lunga la portata di un piccolo episodio passeggero, merita che l’osservatore attento lo segua e vi rilevi l’insanabile dissidio fra il vecchio e il nuovo nel cattolicismo, specialmente in quello italiano. Illustrammo già nel passato articolo le vicende che condussero alla sconfessione da parte di Pio X dei giornali del trust cattolico, e come questi si torcessero sotto la sferza pontificia e cercassero di evaderne le conseguenze. Dicemmo pure che trattative erano in corso fra i maggiorenti della Società Editrice Romana e la suprema autorità ecclesiastica per venire ad un accomodamento. E questo parve raggiunto ai primi del marzo, con una dedizione Che, a Chi si contentò delle parvenze, sembrò completa, da parte dei giornali condannati. Difatti il Consiglio direttivo del trust faceva pervenire al cardinale Ferrari e quindi comunicava la stéssa ai cardinali Richelmy, Boschi e Maffi una dichiarazione in cui erano contenute queste parole:
Noi siamo sommamente grati a V. E. clie si è compiaciuta farci conoscere i pensieri e i desideri della S. Sede in merito ai giornali che la Società Editrice Romana viene pubblicando. A questi pensieri, a questi desideri noi aderiamo con tutto lo slancio dell’animo nostro non solo perchè essi corrispondono alla nostra idealità di cattolici ossequentissimi alla Suprema Autorità, ma anche perchè essi corrispondono al nostro fermo proposito di fare tutto quello che a questa autorità sembra necessario o conveniente per il bene della Chiesa.
Godiamo pertanto di assicurare l’E. V. che non solo L'Italia, che si stampa a Milano, ma anche tutti gli altri giornali della Società Editrice Romana continueranno ad essere informati da queste norme che la S. Sede manifestò e V. E. ci ripetè. Se pel passato, contro ogni nostra intenzione, demmo adito ad osservazioni, per l’avvenire — lo speriamo e lo vogliamo — non sarà più. Dichiarandoci fin d’ora riconoscentissimi, se, in caso contrario — non impossibile, date tutte le circostanze che non si possono non considerare e di persone e di lavóro — ci vorrà benevolmente avvisare.
Che se poi l’E. V. credesse di eleggere alcune persone di scienza e prudenza, le quali sorvegliassero la pubblicazione del giornale L'Italia, noi completamente fidati dell’alta saggezza dell’E. V. fin d’ora Le dichiariamo la nostra disposizione di gradire la nomina, che l’E. V. sarà per fare.
La richiesta di un comitato di vigilanza per ogni giornale della combinazione avrebbe dovuto tagliare la via ad ogni dubbio sulla sincerità della sottomissione, molto più che del trasformismo politico dei clericali si avevano già altre prove. Ma nessuno notò allora che i vescovi delle città in cui i giornali incriminati si pubblicavano erano notoriamente fra i più sinceri amici della Società Editrice Romana e dell’ indirizzo da essa rappresentato. Nessuno ricordò come, ad esempio, il Cardinal Ferrari era stato altre volte violentemente attaccato da qualche giornale « papale » per le sue tendenze o almeno per non compiere esattamente il suo dovere nel sorvegliare la sua diocesi contro l’invasione del modernismo e del semimodernismo; come il card. Maffi corse a Roma all’indomani della pubblicazione vaticana per dimostrarne la inopportunità ed attenuarne le conseguenze; come mons. Castelli, arcivescovo di Fermo, pronubo di questa nuova sottomissione, fosse giunto in passato sino a respingere X Unità Cattolica ed altri giornali papali, e facesse propaganda attiva fra il suo clero a favore dei giornali del trust. In una parola nessuno pensò che a scegliere i comitati di vigilanza erano i dignitari ecclesiastici, dirò così, di sinistra.
I giornali liberali e i democratici gridarono al camaleontismo politico dei clericali: i fogli papali che credevano di avere eliminato i terribili concorrenti,
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e se li vedevano invece risorgere innanzi più forti per la pretesa sottomissione, mentre diplomaticamente sembrarono rallegrarsi per questo ritorno di figli prodighi alla casa del padre, ebbero* in realtà grave timore di dovere dividere il paterno peculio coi sopravvenuti, e formularono subito le loro riserve. A documentare questo stato d’animo ci basta riferire qui daH’,67*»Zà Cattolica (2 aprile 1913) alcuni brani di un articolo a proposito della riconciliazione dei giornali modernizzanti, in cui, dopo detto, con un candore serafico, che fra le schiere clericali la sottomissione del trust aveva prodotto uno straordinario senso di benessere, si rievocavano malignamente le peccata dei confratelli in una forma che testimonia ancora una volta come i clericali, per esser veramente tali, debbano rinunziare all’italianità. Diceva quel giornale:
Le ragioni per le quali la S. Sede ha colpito i giornali del trust furono gravissime. Nel trust si erano accumulati tutti gli elementi che volevano una azione politica dei cattolici italiani autonoma dalla S. Sede e astraente dalla questione della libertà e indipendenza politica. Il Meda, fautore del distacco politico religioso dei cattolici italiani dalla S. Sede, aveva recato rei /n/j/la sua Unione ribattezzata Italia -, il Berlini, autore dell’ordine del giorno parlamentarista al Congresso di Modena dirigeva V Avvenire di Bologna trustizzato in vista di un blocco clerico-liberale-giolittiano ; il Mauri vi defluì il Momento già tolto alla fermezza di Eugenio Carloy ; il Corriere di Sicilia con la adesione aperta alle feste del Cinquantenario dimostrava la politica senza riserve ; il Corriere d'Italia, mondano e cortigiano, clericale e nazionalista, copriva di una ombra cortigiana e mondana là classe sacerdotale romana, che appariva rimorchiata dietro un indirizzo politico nazionalistico che può comprendersi in Francia, non in Roma dove l’universalità e la supranazionalità della Chiesa cattolica ha l’espressione più viva e il massimo della sua efficienza.
La S. Sede sempre in necessità di dimostrare la sua libertà e indipendenza dal potere politico che in Roma stessa legifera e dispone degli interessi nazionalisti e politici di un solo Stato, non poteva non distaccare da sè ogni responsabilità del movimento nazionalista e apapale rappresentato dai giornali del trust-, V Avvertenza che dichiarava non essere tali giornali conformi alle direttive pontificie significava che non si dà distacco dei cattolici italiani dalla S. Sede nelle cose politiche altissimamente connesse coi supremi interessi della Chiesa di Gesù Cristo, che un partito cattolico parlamentare in Italia non può aversi senza offesa delle ragioni morali, di giustizia, che legano i cattolici italiani alla Sede Apostolica nella questione della sua libertà e indipendenza: e soprattutto che quando dei traviati cattolici italiani credono di poter fare a meno della loro dignità di cattolici per correr dietro a miraggi di illusioni nazionalistiche malintese, la S. Sede non li può seguire nè tollerare di fronte agli interessi supremi della cattolicità.
E, dopo ciò, si diceva chiaramente di non disarmare, ma di accordare una semplice tregua agli infidi amici, e di conservarsi in una poco benevola aspettativa.
Le parole erano ben chiare ed i fatti non smentirono i propositi. Difatti, con pazienza da certosini, i direttori dei giornali papali si dettero a spulciare giorno per giorno nelle colonne dei giornali del trust, ogni rigo, ogni inciso, ogni parola che potesse offrire un minimo pretesto per gridar la croce addosso contro i cattolici confratelli. Tanto più si accanirono quando, dopo aver dovuto sotterrare, perchè di lettori non se ne trovava, la famosa Correspondance de Rome di malfamata memoria e la Sentinella Antimodernista a cui nocque la cronica melensaggine e il fatto che di modernisti ce n'è più che non appaia, dovettero comporre nel tumulo anche il quotidiano papale di Torino l'Italia Reale-Corriere Nazionale, che nell’aprile Cessava le pubblicazioni. A questo giornale non era giovato che persino il vescovo ausiliare di Torino si ponesse a capo di una Commissione per raccogliere fondi onde sostenerlo, facendo appello ai buoni perchè dessero aiuto all'unico foglio papale del Piemonte : non erano bastati neppure i sus-
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sidi che l’obolo di S. Pietro largisce ai giornali fedeli. All’indomani della morte del vecchio foglio, un’altra gazzetta papale La Liguria del Popolo, così la commemorava :
La scomparsa te\\'Italia Reale è il contraccolpo dell’approvazione del Momento che ne raccoglie le spoglie, ma non lo spirito... E’ triste che siano effettivamente cosi poco tangibili i frutti e i segni diretti della conversione faustiana. Di rimbalzo, muore Italia Reale, quello dei giornali papali che più dolce, più sereno, più mistico diremmo, scavava il suo solco quotidiano fra i cattolici d’Italia.
Ce ne rincresce per il Piemonte cattolico. Per l’avv. Scala, no. Non ne erano degni. L’hanno amareggiato, sacrificato, umiliato, accaneggiato, come se difendesse non gli interessi e i diritti della Chiesa e delle anime, ma gli interessi di un banco di Roma o di una consorteria manipolatrice di fosche imprese. La sua serena obbedienza, la sua canizie soavissima, non ha disarmato l’ira nemica.
Qua voi, che accagionate la nostra violenza come causa della feroce lotta anti-liguriana. La dolcezza te\V Italia Reale v\ dice che se non ci fossimo difesi con le mani, coi piedi e coi denti noi avremmo preceduto V Italia Reale nella tomba. Qua voi che attribuite all’insufficienza dei nostri servizi giornalistici la insufficienza degli associati : l’avv. Scala aveva preparato un giornale degno di resistere al confronto di ogni altro: l'hanno ucciso ugualmente. E’ lo spirito che non si vuole: lo spirito papale, l’integrità della disciplina.
Quell’accenno agli interessi del Banco di Roma ed alla consorteria manipolatrice di fosche imprese, sta a dimostrare fino a dove giunge il furor sacro. Naturalmente l’odio fraterno è cordialmente ricambiato dall’altra sponda da cui si deplora vivacemente il « brigantaggio » giornalistico della stampa papale : anzi se si avesse a credere ad un giornale di quei papali, Il Labaro di Milano, gli atti perpetrati contro di esso da gente dell’altra tendenza toccherebbero il codice penale.
Non c’è molto da Credere ad accuse simili che forse son dovute a manìa di persecuzione. Ma esse documentano un singolare stato d’animo venutosi creando fra i cattolici italiani.
Mentre i giornali papali vanno declinando, quei della Società Editrice Romana proseguono per la loro via mietendo abbondantemente nei campi loro interdetti dalle varie ordinanze mai revocate, che anzi restano in tutto il loro valore come ebbe a dichiarare Pio X personalmente in questi ultimi giorni al vescovo di Savona. La Società inoltre ha aumentato ad un milione il suo capitale ponendo in vendita azioni da poche lire, perchè i cattolici (e anche i non cattolici e gli Stessi ebrei attratti dalla speculazione finanziaria) si affrettassero ad acquistarne (1).
I giornali « modernizzanti» adunque prosperano. E principale fattore della loro prosperità è il clero, che mostra di non voler tenere in conto alcuno le direttive e la volontà chiaramente espressa dal vecchio pontefice.
Ernesto Rutili.
(1) Un giornale milanese, a seconda dell’opportunità papalino o modernizzante, V Unione Cattolica, ha escogitato un altro mezzo di far quattrini. Ha indirizzato infatti ai preti d’Italia la seguente circolare:
«La Direzione del giornale V Unione Cattolica di Milano, all’intento di concorrere più largamente per mezzo della propria Cereria, alla diffusione gratuita dei giornali cattolici veramente conformi alle direttive Pontificie', è lieta di annunciare alla S. V., che in seguito ad opportuni accordi intervenuti, d’ora innanzi, per ogni acquisto di kg. 30 candele di culto liturgiche, come pure per ogni acquisto di kg. 60 candele di culto tipo comune senza alcun aumento sui rispettivi prezzi strettamente normali retro indicati, la Cereria Unione Cattolica, è autorizzata a concedere l’abbonamento annuale gratuito non solo del giornale V Unione Cattolica, ma anche di altro giornale da scegliersi a di lei beneplacito, fra quelli della Società Editrice Romana ».
Occorre notar qui che il nominato giornale ripete a varie riprese che i giornali della Editrice Romana, in fatto di papalità, ciurlano spesso nel manico. Nella circolare invece essi passano per giornali veramente conformi alle direttive pontificie. Quando si tratta d’affari...
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Il VI Congresso Internazionale del Progresso Religioso a Parigi
(16-21 Luglio 1913).
Scopo del Congresso.
Il 25 maggio 1900, si costituì, a Boston, per iniziativa dell’Associazione unitaria americana un Comitato internazionale, col programma « di unire in un fascio tutti coloro che, a qualunque paese e a qualunque confessione appartenessero, si sforzassero d’associare la pura essenza della religione ad una libertà perfetta e di intensificare tra di loro lo spirito di fratellanza e di solidarietà ».
Il Comitato internazionale doveva provvedere a riunire in Congressi periodici « tutti gli uomini di buona volontà i quali unissero alle vive aspirazioni religiose un bisogno profondo di progresso e di libertà».
Questi Congressi furono tenuti nel 1901 a Londra, nel 1903 a Amsterdam, nel 1905 a Ginevra, nel 1907 a Boston, nel 1910 a Berlino. Sesto ed ultimo, nel 1913, questo di Parigi, i cui lavori esporrò rapidamente, riserbandomi di conchiudere con alcune osservazioni personali sul significato del Congresso stesso.
Apertura del Congresso.
Il Comitato francese del Congresso era così composto: presidente, E. Boutroux delI’Ac-cademia ; vicepresidenti, prof. G. Bonet-Maury, Teodoro Reinach, dell’ Istituto, Giulio Siegfried, ex ministro e deputato, Paolo Stapfer, della Facoltà di lettere di Bordeaux, pastore Carlo Wagner ; segretario generale era il pastore John Viénot e tesoriere il pastore Reyss.
Il Congresso si è aperto la sera del 15 luglio, nella grande sala della Società di orticoltura, in via Grenelle, sotto la presidenza del pastore Wagner.
Un discorso di C. Wagner.
Dopo una breve allocuzione del reverendo Wendte, di Boston, segretario internazionale dell’opera, il quale espose lo scopo del Congresso, il pastore Wagner, in nome del comitato francese, diede il benvenuto ai delegati, quivi accorsi da tutte le parti del mondo e rappresentanti numerose e varie confessioni religiose. Accanto ai protestanti di tutte le denominazioni, c’erano nella sala, dei cattolici liberali come l’illustre pubblicista Giuliano de Narfon, dei modernisti come Schnitzer, Funk, Miss Petre, Murri; c’erano degli ebrei, dei maomettani, dei bramani delle Indie, dei scintoisti del Giappone, dei buddisti del Ceylan e dei behaisti della Siria.
Poi il pastore Wagner parlò eloquentemente dello spirito che doveva animare i congressisti, i quali si riunivano per un’opera d’intesa e di comunione spirituale. « La religione, disse egli, non deve consistere per noi in una tradizione rigida e intangibile, che occorra ricevere e conservare in blocco, ma in un tesoro vivo che si trasmette rinnovandosi. La religione non è costituita da un dommatismo individuale, limitato, esclusivo, la cui necessaria conseguenza sarebbero le divisioni e gli anatemi.
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La religione è spirito largo, comprensivo, che ricerca e che accentua tutto ciò che unisce e che mette questo più in alto di quello che ci divide.
Disprezzando, escludendo e rinnegando il diritto di un altro credente per delle differenze di forma, noi crederemmo renderci colpevoli di disprezzo, d’esclusione e di negazione verso Dio stesso, il quale agisce in quest’anima di credente.
Noi non siamo degli increduli, noi siamo dei credenti, ma dei credenti convinti che solo l’essenza della fede è eterna, mentre la forma .per quanto venerabile, per quanto indispensabile essa sia, è transitoria. Noi riconosciamo dunque, nei credenti di confessioni e di concezioni diverse e in tutti gli uomini religiosi, chiunque essi sieno, una parentela spirituale che li predestina alia collaborazione ed è questa collaborazione che noi cerchiamo d’organizzare, persuasi come siamo eh’essa sia una fonte viva di ricchezza ».
Indirizzando un « saluto ecumenico » a tutti i congressisti sieno essi « figli dei vecchi profeti d’Israele, discepoli di Maometto e di Budda, discepoli di Cristo di tutte le denominazioni, il Wagner soggiungeva:
« Noi vi diciamo i benvenuti su questa vecchia terra di Francia, in questo gran Parigi tumultuoso e inquietante. Uno sguardo superficiale sul nostro presente stato spirituale non vi distingue che due correnti nettamente delineate: quella del conservatorismo religioso .più intransigente e quella dell’ateismo assoluto. Non vi lasciate ingannare da queste apparenze. Per coloro i quali sanno vedere ai fondo delle cose, noi siamo in pieno periodo d’incubazione d’un mondo spirituale rinnovellato. Noi non abbiamo rinnegato nulla del nostro gran passato, pieno di pietà ardente, ricco anche di martiri e di sacrifici per la libertà della coscienza, e noi vogliamo che i nostri figli possano un giorno cogliere nella luce i frutti di tutti questi travagli di anime del passato. Nel salutarvi sopra questa vecchia terra di Francia, voi figli di tante patrie diverse, noi possiamo dirvi, e saremo in ciò d’accordo con quanto di migliore esiste della nostra patria: «siate i benvenuti sulla terra di Giovanna d’Arco e la terra degli Ugonotti, la terra dei cavalieri e dei diritti dell'uomo, la terra d’ideale e di libertà che ha sempre amato la giustizia, la bontà, i piccoli, i diseredati, i vinti. Noi vi salutiamo per i vostri ricordi gloriosi e le vostre speranze legittime in nome dei nostri ricordi e delle speranze .nostre.
Noi vogliamo preparare insieme a voi l’alba
di domani nei crepuscoli di oggi, poiché l’epoca nostra cerca la sua anima, la sua vera, la sua migliore anima ».
Dopo le alate parole dei Wagner, sfilarono sulla tribuna, una trentina di delegati, accennando rapidamente « ai sintomi recenti del progresso della libertà religiosa» che si manifestano in seno alle varie confessioni. Cito tra gli oratori il Kraemer, presidente della più potente associazione liberale protestante di Germania, il quale fece voti per la separazione dello Stato dalia Chiesa, come l’unico mezzo capace di favorire lo sviluppo religioso.
La prima giornata del Congresso.
Il Congresso presieduto, dal Boutroux, consacrò la sua prima giornata a una rievocazione interessante del contributo apportato dai francesi all’opera di emancipazione e di libertà religiosa.
Il pastore E. Roberty, dell'Oratorio di Parigi, parlando, su Calvino mise in rilievo il fatto che le confessioni scaturite dal calvinismo francese sono state sempre le più anticlericali, le più individualiste e le più liberali. Se Calvino è stato personalmente intollerante ciò è avvenuto perchè egli non tirò le conclusioni logiche della sua teologia, ciò che hanno fatto invece i suoi discepoli.
Il rev. S. Eliot, di Boston, parlò del contributo dato alla causa della libertà religiosa dagli eretici medioevali, Catari, Albigesi, Valdesi, ecc., i quali avevano convertito alle loro idee una gran parte della Francia.
Il professore John Viénot, della facoltà teologica protestante di Parigi, parlò del grande riformatore del secolo xvi, Sebastiano Ca-stellione, che fu il primo teorico della dottrina della tolleranza nel suo libro intitolato : Trattalo degli eretici.
Facendo seguito a questo discorso, un grande ammiratore del Castellione, il Giran, pastore della Chiesa francese riformata d’Amsterdam, il quale ha, in una recente opera magistrale, illustrato brillantemente il pensiero moderno e anticalvinista del Castellione, propose, tra gli applausi dell’uditorio, di celebrare convenientemente il prossimo quarto centenario della morte dell’eroe.
Frank-Puaux parlò in seguito del celebre giurista del secolo xvi, Jurieu, illustrandolo quale teorico di quella sovranità popolare, che doveva più tardi essere proclamata dalia rivoluzione francese e quale accanito avversario della schiavitù. Del Jurieu è la celebre frase : « I diritti dei popoli non si prescrivono mai ».
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Il prof. P. Seippel di Zurigo, in un discorso letto all’assemblea dal pastore Viénot, illustrò la figura G. G. Rousseau quale precursore dei liberi credenti d’oggi, essendosi ribellato agli argomenti d’autorità, presi ad imprestito dalla gerarchia o dai testi sacri. Rousseau prese per guida il sentimento interiore, che costituisce il principio di ogni rinnovazione religiosa.
Del Voltaire, parlò il prof. Bonet-Maury, mostrando, per mezzo di numerose citazioni, come egli avesse combattuto senza tregua il fanatismo persecutore.
Secondo l’oratore, Voltaire s’era fatto una elevata concezione religiosa, una specie di religione naturale e di cristianesimo unitario insieme.
« In ultima analisi — concluse il Bonet-Maury — Voltaire per mezzo della sua critica dei donimi sorpassati del cattolicismo e delle superstizioni del suo tempo, ha contribuito al progresso della religione in spirito e verità. Nei suoi articoli del Dictionnairc philosophique egli ha incoraggiato il movimento della critica biblica alle sue origini. Gli mancò, è vero, il sentimento mistico che aveva Gian Giacomo e sopratutto il senso della purità morale, della santità, condizione di ogni vera religione. Ma egli possedeva, per contro, e in un grado elevatissimo il sentimento della giustizia e la misericordia per gl’infelici».
Parlarono, in seguito, il prof. Bornhausen, di Marbourg, sul pensiero religioso, nella letteratura francese del secolo xix, dimostrando come la letteratura sia lo specchio dell’anima profonda e come quella francese del secolo passato sia tutta pervasa d’inquietudine religiosa; Gastón Riou rievocando la grande e tragica figura di La Mennais, il pastore Fayot, di Nimes, sui protestanti liberali di lingua francese, il pastore Piepenbring di Strasburgo, su Felice Pécaut, il Cauderlier di Bruxelles, sopra la crisi del cattolicismo al secolo xix, il van Veen dell’Aia, sopra il Modernismo romano in Olanda.
Giuliano de Narfon parlò, con sobria eloquenza, del caposcuola del cattolicismo liberale in Francia, il conte De Montalembert. Il pastore Giran, d’Amsterdam, evocò con parola commossa e ispirata la figura del compianto padre Giacinto Loyson, svelando, sulla scorta del suo diario intimo, di quale duello tragico tra lo spirito di progresso e quello del conservativismo la sua grande anima era stata il teatro.
Molti furono tra gli uditori quelli che dovettero rivedere nella loro memoria la veneranda e geniale figura di vegliardo il quale
con una di quelle eloquenti improvvisazioni di cui l’antico oratore di Notre-Dame possedeva il segreto, aveva, nel 1910, chiùso solennemente il Congresso di Berlino.
Un discorso di E. Boutroux.
L’abbondanza di tutti questi studi e relazióni non impedì al Boutroux di pronunziare una breve ma interessante conferenza sopra Le ragioni del cuore secondo Pascal.
Tutti conoscono la famosa sentenza di Pascal : « Il cuore ha delle ragioni che la ragione ignora » ; pochi sono però coloro che ne posseggono il vero significato. Comunemente quelle parole vengono interpretate nel senso che il cuore nulla abbia di comune con la ragione, che è cosa vana di voler comprendere per mezzo della ragione i motivi che lo determinano, e che tra l’una e l’altra esista una eterogeneità e una incommensurabilità assoluta.
Il Boutroux, dopo aver osservato che se alcuni testi di Pascal sembrano favorire l’interpretazione comune, altri invece la contraddicono nettamente, propone una sagace soluzione del problema:
« La ragione»dice Pascal «ci comanda molto più imperiosamente che un signore, cosicché disubbidendo all’uno si è un infelice, e disubbidendo all’altra un imbecille ». Vorrebbe,. Pascal, dire per avventura, che è stupido chi disobbedisce al proprio cuore?
Altrove egli scrive: « Se si urtano i principi della ragione, la nostra religione diventa assurda e ridicola».
E ancora : « Si sono opposti senza fondamento la ragione e l’amore».
Pascal si sarebbe dunque grossolanamente contradetto ?
Degno di nota è il fatto che nel testo di cui ci occupiamo. Pascal non dice: Il cuore non ha bisogno di ragioni ; ma dice : « Il cuore ha le sue ragioni ». Altrove noi leggiamo : « Il cuore ha la sua regola ». Ma parlare di regola, di ragioni, non è, lo si voglia o no, introdurre di nuovo la ragione?
La spiegazione del pensiero di Pascal non si troverebbe piuttosto nella dottrina seguente : « Questa bella ragione corrotta, ha corrotto ogni cosa? ». Ci sono due sorta di ragioni, la ragione normale e la ragione alterata.
La ragione corrotta, la prima che si presenta a noi, ha la pretesa di comprendere tutto, con l’aiuto di una forma d’intendimento che non conviene che alle cose astratte, alle matematiche. La ragione normale concepisce, invece, un ordine più profondo e più sottile che l’ordine matematico, ed è atta a compren-
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dere, non soltanto i rapporti delle quantità, ma anche i movimenti del cuore.
Questa distinzione corrisponde a ciò che Pascal ha chiamato spirito di geometria e spirito di finezza {esprit de finesse). 11 primo prende le sue mosse da un piccolo numero di principi astratti, chiari e grossolani, e li combina indefinitamente, senza raggiungere mai la realtà. Il secondo parte dalie realtà e ne ricerca i principi, ma senza mai pervenire a determinare questi adeguatamente, perchè essi sono sottilissimi e in numero infinito.
Ora, è della ragione geometrica, e non della ragione in generale, che Pascal ha detto che essa non è capace di comprendere le ragioni del cuore. Se egli ha scritto: ragione, senza altro epiteto, ciò fece nel senso di : la vostra ragione, ciò che voi, filosofi, chiamate ragione, pretendendo, a torto, che la vostra ragione sia tutta la ragione.
Per bene intendere la frase di Pascal, bisogna supplire: «geometrica», dopo «ragione», e leggere : « Il cuore ha le sue ragioni che la ragione (geometrica) ignora».
Molti altri testi debbono essere letti allo stesso modo, giacché tutta la nostra natura presenta, secondo lui, due metodi : il modo primitivo e il modo corrotto, e quest’ultimo è il modo che attualmente esiste. L’importanza d’una giusta interpretazione d’un testo come quello di cui in questo momento ci occupiamo, è evidente.
Secondo l’interpretazione comune, Pascal professerebbe della religione una concezione radicalmente dualista : tra natura e religione, non esisterebbe in questo senso, nessuna transizione intelligibile.
Se invece s’interpretano i testi citati per sostenere questa tesi nel senso che in realtà Pascal ha dato loro, s’è costretti di conchiudere che, lungi dall’essersi attaccato al dualismo, Pascal ha fatto uno sforzo notevole per sorpassarlo. La sua teoria dello spirito di finezza, della ragione eminente, superiore alla ragione geometrica, sarebbe l’espressione di questo sfòrzo.
La considerazione delle antinomie non è, per Pascal, che un punto di partenza. « Le due ragioni contrarie, egli dice; ecco da che bisogna prendere le mosse».
Là dove una ragione piena di se stessa, e modellata sopra le cose materiali, non vede che contrarietà e incompatibilità, una ragione superiore, la ragione vera, sospesa alla grazia divina, vede la continuità, l’ordine, l’armonia. La religione, affare di cuore, è ragionevole per colui il quale sa restaurare in se stesso questa ragione primitiva»
La seconda giornata.
Filosofìa e religione secondo il Boutroux.
La seconda giornata dei lavori del Congresso fu caratterizzata da un lucido e sensato discorso del Boutroux sul seguente soggetto : Filosofia e Religione. Dopo aver constatato che, ai nostri giorni, sotto l’influsso dell’idea laica che « sembra escludere dalle nostre credenze e dalla nostra vita ogni fattore propriamente religioso » e sotto l’influsso della scienza, la quale «spiegando, coi semplice gioco delle leggi meccaniche, un numero ognora crescente di fenomeni, sembra cacciare dal nostro spirito la facoltà di credere ai postulati fondamentali di ogni religione», la religione traversa oggi un periodo critico, l’illustre filosofo pone il problema nei seguenti termini :
« Quale attitudine conviene, in queste condizioni, a uno spirito il quale non voglia contentarsi di essere ciò ch’egli è, senza riflettere, in virtù della semplice forza d’inerzia, ma che intende fare uso della propria ragione, e determinarsi secondo le idee della verità e del dovere?».
Il metodo che, in questa materia, appare al filosofo, come il più sicuro è quello di separare il più profondamente possibile la religione dalla natura e dalla scienza.
« La religione, in questo sistema, non concerne che l’interiore dell’uomo: essa non si rivolge nè ai suoi atti visibili nè al suo intendimento ; essa non si riferisce che al principio più profondo del suo volere e del suo essere. In questo santuario infinitamente nascosto, come l’estraneo potrebbe perseguirlo? Si tratta d’un dominio, di cui la scienza ignora perfino l'esistenza, giacché essa fa professione di non credere se non a ciò che si vede c si misura materialmente ».
Quale è il valore di questo metodo? si domanda allora l’eminente accademico. Esso è certamente comodo da un punto di vista astratto e teorico, ma in pratica non pare possibile adottarlo a meno che non ci si voglia «addormentare sul molle origliere dell’incuriosità e della pigrizia intellettuale».,
« In realtà, prosegue il Boutroux, è un’illusione il credere che sia possibile trovare un angolo dell’anima ove sia interdetto alla scienza positiva di penetrare. La caratteristica della scienza moderna è precisamente di riuscire a sottomettere alle sue leggi, facendo uso di ripieghi e d’equivalenti, le forme stesse dell’essere che sembrano le più invincibilmente sottratte alla sua conquista.
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E poi, cosa resta, alla fine, di questo dominio interiore, che ogni giorno più si rimpiccolisce, per paura di essere annesso dalla scienza? Un essere capace d’intuizione pura, nudo di ogni idea. Ma cos’è una simile operazione, se non un’astrazione infinitamente astratta, il cui significato e il cui valore sono indeterminabili? L’idea è quella che dà alla esperienza religiosa il suo carattere religioso. Togliete il contenuto specifico, e avrete un fenomeno qualunque, molto analogo all’intuizione, senza oggetto reale, di alcuni esseri anormali. La certezza non può tenere luogo della verità.
Non esiste un metodo capace di eliminare il controllo della ragione e della scienza. L’uomo è un essere che cerca di mettersi d’accordo con sè stesso. Egli si domanderà, presto o tardi, se tra la sua fede e le sue conoscenze non esista qualche legame, qualche rapporto d’armonia. Egli sente che starsene al sistema delle cellule chiuse non può essere che un espediente senza valore e senza dignità. Bisogna ispirarsi al pensiero di Pascal. Non è pensare, il mantenere nella propria coscienza due oggetti e due modi di credere, interdicendosi di ricercare se queste due determinazioni della coscienza siano, tra loro, compatibili o incompatibili ».
La nostra ragione stessa reclama « questa esigenza dell’armonia, dell’accordo interiore, della sincerità intellettuale», ma che cosa dobbiamo intendere per ragione? C’è in noi una ragione che ragiona, che decide dell’esistenza, tra due termini, d’un rapporto d’identitào di contraddizione. Questa ragione ragionante costituisce tutta la ragione? Evidentemente no, risponde il Boutroux. « Nello stesso linguaggio ordinario altra cosa è ragione e altra ragionamento. Ciò che è conforme alla ragione è detto, non solamente logico, ma ragionevole, e ragionevole è ciò che presenta una certa convenienza, più facile a sentirsi che a definirsi, ciò che ha in sè stesso un certo valore, invece di ridursi a un accordo o un disaccordo puramente formale, come sono i semplici rapporti d’identità o di contraddizione.
La ragione, in tuttala forza dell’espressione, la ragione viva e completa, è la facoltà di discernere i rapporti di convenienza, d’armonia interna tra le realtà, gli esseri, gli oggetti concreti. I rapporti d’identità o di contraddizione non sono che una forma vuota, separata, per mezzo dell'astrazione, dalla logica vivente, il limite ideale di questa logica, in quanto che ci si sforza di vuotarla di ogni contenuto.
Ora la filosofia, e in particolare la metafisica, dopo Platone e Aristotile, è la ricerca
dei rapporti concreti delle cose, coll’aiuto di questa stessa ragione viva, distinta dalla semplice ragione logica e formale.
E addentrandosi nel vivo del problema, il Boutroux prosegue:
« Che pensare della natura e della scienza » se si scrutano l’una e l’altra in questo senso?
Pascal l’ha detto: «La natura, in tutte le cose, e particolarmente nell’uomo, non basta a sè stessa». L'uomo supera infinitamente l’uomo. Augusto Comte volle dimostrare che nell’umanità stessa si trova ¡I dio necessario all’uomo. Ma per raggiungere il suo scopo, egli dovette rivestire l’umanità dei caratteri di perfezione, d’eternità e d’immensità che non le appartengono naturalmente. Ed egli non ha che mediocremente soddisfatto il desiderio inestinguibile che l’uomo possiede di superare ogni frontiera, per quanto lontana essa sia, affine di slanciarsi nell’infinito.
Il naturale, nell’uomo, è un momento del suo inseguimento del soprannaturale: questa è l’affermazione della filosofia.
E, per ciò che riguarda la scienza, la dottrina alla quale oggi tutti i filosofi fanno capo, è che è cosa vana di rappresentarsi la scienza come qualche cosa di esistente per se stessa, fatta e compiuta da tutta l’eternità, che l’uomo non ha che da scoprire come si mette a fior di terra un tesoro nascosto : la scienza non è una cosa, ma un’attività, è l’intelligenza umana stessa, formata di concetti indefinitamente perfettibili, col cui aiuto essa coordina i fenomeni in modo da spiegarli secondo leggi proprie e da prevederne il più esattamente possibile il corso nel futuro.
In che cosa consiste, d’altra parte, l’essenza della religione considerata dal punto di vista filosofico?
Se la filosofia è precisamente l’esercizio metodico di questa ragione viva, distinta dalla ragione astratta, che noi abbiamo cercato di definire, essa deve distinguere tra il semplice concetto e l’idea della religione. Il concetto della religione, è l’insieme dei caratteri comuni a tutte le religioni che ci offre la storia. L’idea della religione è la forma più perfetta della religione che noi siamo capaci di determinare. Tale è la differenza tra il concetto d’uomo, che comprende unicamente i caratteri necessari e sufficienti che permettono di collocare un individuo nella specie umana, e l’idea d’uomo, la quale ha per contenuto la forma ideale d’umanità; ciò che gii inglesi esprimono per mezzo di due termini distinti : human e humane.
La forma ideale della vita umana, oggetto dell’idea della religione, è la vita umana unita
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il più intimamente possibile alla vita divina. Dio, termine dei nostri desideri, è essenzialmente la perfezione realizzata.
Mentre che, nel corso ordinario delle cose, noi non otteniamo un bene che sacrificandone un altro o anche accettando il male correlativo, Dio possiede in sé, concilia e unisce tutti i beni, quale che sia l’apparente contraddizione che possa presentare la loro coesistenza.
Perfezione, esistenza : tali sono, secondo i filosofi, i due elementi, essenziali e indissolubili, della natura divina. Le religioni positive non dicono altra cosa.
Noi leggiamo, infatti, nel Vangelo: «Siate perfetti, come il vostro Padre celeste è perfetto », e ancora : « Che la tua volontà sia fatta sulla terra come essa è fatta nel cielo». Ora la volontà di Dio è che il perfetto sia. La religione ha di mira la realizzazione dell’ideale, definito dai filosofi sotto il suo stesso influsso.
Si potrebbe, a fine d’introdurre gli spiriti nell’intelligenza della natura divina, dire che l’idea di Dio significa innanzi tutto comprensione e tolleranza, o piuttosto benevolenza infinita, sotto l’idea direttrice della verità e dell'eccellenza. Il celebre calzolaio filosofo Jacob Boehme ebbe il sentimento di questa caratteristica del divino, allorquando scrisse, nel suo Aurora:
« Considerate gli uccelli delle nostre foreste : ognuno di essi loda Dio alla sua maniera sopra tutti i toni e in tutte le sue modulazioni. Vediamo noi che Dio si offenda di questa diversità e faccia tacere le voci discordanti? Tutte le forme dell’essere sono care all’essere infinito ».
Se poi si avvicinino l’una all’altra, la natura e la scienza da una parte e la religione dall’altra, quali le concepisce la filosofia, si viene a trovare che, dal punto di vista della ragione stessa, religione e scienza o natura devono essere considerate come compatibili tra loro, non perchè esse non possano incontrarsi mai, ma, al contrario, perchè esse si penetrano mutualmente e sono interiormente affini.
La natura e la scienza rappresentano l'essere, oggetto dell’osservazione dei nostri sensi, tale quale si trova attualmente realizzato, come pure la conoscenza delle leggi di quest’essere. La religione si riferisce, non all'essere tale quale è dato ai nostri sensi, all’essere attuale, ma alle fonti e ai principi dell’essere; all’artefice e non all’opera. Essa ci rende partecipi della creazione stessa dell’essere.
Come potrebbe l’opera sopprimere l’artefice ; come la conoscenza di ciò che è, potrebbe
indurci a negare ciò che deve essere? Perchè la scienza e la religione possano riconciliarsi, due condizioni sono insieme necessarie e sufficienti.
Bisogna, da una parte, che la religione sia essenzialmente spirituale, che s’ispiri, cioè, unicamente all’idea di Dio e non all’idea di qualche interesse materiale; giacché la religione è l’afìermazione dell’insufficienza e non della sufficienza del reale per realizzare la perfezione.
Occorre, d’altra parte, che la scienza sia considerata come l’espressione dello stato di fatto della natura, e non una forma eterna ed assoluta ; in modo che nessuna formula scientifica possa pretendere mai al valore d’un principio adeguato e indipendente dei fatti. L’assoluto non esiste che nel dominio spirituale, e là, esso forma una stessa cosa con la libertà.
Così avviene che la ragione del filosofo, la quale riconosce, di per se stessa, come l’ha detto Pascal, che una infinità di cose la sorpassano, possa essere il tratto d’unione naturale e necessario tra la scienza e la religione. Le difficoltà che una ragione puramente logica accumula, una ragione più larga e più filosofica le disperde al vento.
E’ veramente l’uomo, con la sua intelligenza e con il suo cuore, e non soltanto le labbra dell’iniziato, che ripetono: <X3crw BaccXt:« <w» ytvr.3r.T«» vi òcXr,y.a cou, w; e&pav<S za: ini vzì.
Queste le linee principali del discorso del Boutroux, che fu un vero regalo intellettuale per chi potè ascoltarlo.
Una religione universale?
In questa stessa giornata fu largamente discussa la questione seguente: « Una religione universale è desiderabile e possibile? E se si, come pervenirvi?»
Su questo soggetto parlarono il professore Otto di Gottinga, dimostrando con ragioni filosofiche l’impossibilità di una religione universale, Teodoro Reinach, dell’ Istituto, il quale giunse alla stessa conclusione per delle considerazioni etniche e storiche; e parecchi altri oratori, tra cui un indiano, un buddista e un behaista, sostenendo più o meno la stessa tesi. Prese la parola anche il conte Goblet d’Alviella, di Bruxelles, dicendo che una religione fato sensi! universale si potrebbe organizzare qualora si considerasse come servizio religioso ogni servizio umanitario e che si ammettessero la libertà delle opinioni religiose e la legittimità di tutte le espressioni del sentimento religioso.
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Oratori delia giornata furono il rev. Walter Walsch, di Londra, Albert Jounet et Paul Nord, di Parigi, Rhonda Williams, di Londra, nonché le signore Moli Weiss et Maria Diémer.
Il professore Ménégoz, di Strasburgo, parlò sul Cristianesimo progressivo e le teorie del monismo, il de Faye, di Parigi, sul tema : «Perchè lo gnosticismo non è riuscito», il prof. Werner, di Ginevra, su la natura religiosa del sentimento estetico.
La terza giornata.
La terza ed ultima giornata dei lavori fu consacrata principalmente allo studio dei rapporti e dei doveri dei liberi credenti tra di loro e ^'organizzazione e alla difesa della libertà religiosa.
Dei rapporti coi credenti tradizionalisti, parlò Wilfredo Monod con efficacia di parola e grande audacia di pensiero, sostenendo un’attitudine d’indulgente comprensione ma dentro i limiti dei diritti della verità e della sincerità.
Paolo Giacinto Loyson parlò in seguito dei rapporti tra credenti e liberi pensatori accennando alla fatale evoluzione del sentimento religioso verso forme più libere e più laiche. Il prof. E. Montet, di Ginevra, trattò delle relazioni che devono esistere tra cristiani e musulmani, lodando lo spirito di tolleranza e di gentilezza da cui questi sono animati e condannando il proselitismo cristiano in paesi musulmani, che spesso trasforma dei buoni musulmani in cristiani pessimi.
Il modernismo, largamente rappresentato al Congresso, occupò tutto il dopo pranzo. Parlò per primo Fon. Murri, del discorso del quale ecco le grandi linee.
« La vera unità religiosa non è possibile senza libertà spirituale. L’uomo ha conquistato tutte le libertà, in tutti i domini. Egli ha distrutto e ricostruito successivamente tutte le istituzioni a seconda delle esigenze dei tempi nuovi. Perchè non farebbe egli lo stesso nel dominio religioso? non si tratta qui di fondere in una sola tutte le chiese esistenti. Ciascuna è per noi la madre che ha cullato la nostra anima fanciulla ; rispettando la propria madre si rispettano in essa tutte le madri ma sarebbe assurdo assegnare a tutti gli uomini una stessa madre. No, l’unità che noi vagheggiamo è il Dio interiore che ce la darà, non già quel Dio che è stato accaparrato dalla chiesa, la quale si è interposta tra l’uomo e Dio come il prete s’interpone tra il fedele e
la chiesa, ma quel Dio che ognuno di noi porta nel suo proprio cuore».
Dopo aver rapidamente accennato allo stato attuale di servitù religiosa in Italia e a quale Sfòrzo immane e sanguinante sonò costretti coloro i quali vogliono affrancare le anime loro, il Murri terminava:
«Roma! lasciatemi finire rievocando la sua doppia maestà, la sua doppia tirannia. Sotto i Cesari, essa soggiogò i popoli, ma poi questi stessi popoli, emancipandosi dalla sua dominazione, ricevettero, per mezzo della conquista, il diritto — il diritto romano. — Possa questa seconda Roma, la chiesa papale, dopo avere oppresse le anime, trasmettere loro il dono della libertà ! »
Miss Maude Petre parlò, con sinceri accenti cattolici ma con grande libertà di spirito, dell’obbedienza di fronte all’autorità ecclesiastica e dei suoi limiti, dettati dàlia voce della coscienza.
Il rev. Sullivan, l’autore delle Letteti d’un modernista americano a S. S. Pio X, trattò con grande elevazione di vedute, dei rapporti tra la libertà religiosa e le chiese.
Il prof. Schnitzer, di Monaco, parlò della libertà scientifica di fronte alla chiesa, e il dott. Funk, direttore del Das nette Jahrhun-dert, sui modernismo in Germania.
Ultimo di tutti gli oratori, presi anch’io alcuni minuti la parola per spingere il congresso verso nuove vie di realizzazione, dicendo quale magnifico strumento di progresso religioso potrebbe esso divenire il giorno in cui oltre a registrare i sintomi di progresso che si manifestano nelle varie chiese, si proponesse di provocare, di canalizzare, di aiutare efficacemente tutti i movimenti di liberazione spirituale più meritevoli d’attenzione.
Poi il pastore Viénot, riassumendo con acconce parole il lavoro fatto nei tre giorni, dichiarò chiuso il Congresso.
Qualche commento.
Il rapido riassunto che ho fatto dei lavori del Congresso mostra quanta varietà di studi e quale ricchezza di vedute l’abbiano caratterizzato. Ma questa Stessa abbondanza di materie doveva poi necessariamente convertirsi in un difetto, perchè non è stato possibile, come la maggior parte dei congressisti avrebbero desiderato e come, se non mi sbaglio, s’era deciso al Congresso di Berlino, di affrontare e di discutere a fondo qualcuna delle grandi questioni che preoccupano in questo momento le coscienze religiose.
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Noeque pure alla piena riuscita del congresso un certo spirito d'esclusivismo confessionale che diede un carattere protestante troppo accentuato ad una riunione che nel .pensiero dei suoi fondatori doveva essere assolutamente aconfessionale. Questa attitudine del Congresso, nonostante la presenza del Bou-troux, insieme a qualche altro difetto di organizzazione, gli alienarono le simpatie degli ambienti anticlericali francesi. Cosi la stampa parigina d’informazione finì col boicottare il Congresso, mentre quella clericale l’attaccava furiosamente.
Maggiore importanza inoltre conveniva dare ai delegati delle religioni orientali, seguendo ih ciò l’esempio di Berlino, che era riuscito un modello d’organizzazione. Tuttavia, per quante riserve possano farsi, non è men certo che anche questo congresso di Parigi è stato una splendida affermazione della vitalità e dei progressi dello spirito liberale che va pervadendo poco a poco tutte le confessioni religiose.
Io sono per conto mio persuaso che il giorno in cui il Congresso, coll’autorità che gli viene dal concorso di tanti illustri pensatori e coi mezzi di cui l’inesauribile America dispone, unirà alle discussioni teoriche anche un programma d’azione pratica, un’èra nuova comincerà per la storia umana.
Parigi, luglio 19x3.
A. De Stefano.
Il secondo Congresso Battista europeo di Stoccolma.
(19-24 luglio 1913).
La Scandinavia, segnatamente per noi meridionali, è la regione più interessante che si possa imaginare. Allorché, dopo il lungo viaggio attraverso l’Europa e le quattro ore di navigazione sul Baltico, si mette piede sulla costa svedese, si sente subito che ci si trova in un paese assai diverso dagli altri veduti. Noi — il dottor Whittir.ghill ed il sottoscritto, delegati per l’Italia al Congresso Battista di Stoccolma — giungemmo a Tràlleborg, sulla costa svedese, verso le ore dieci di sera e trovammo che, in barba all’ora tarda, la luce solare era ancora tanto forte che ci avrebbe permesso di leggere comodamente.
La mattina seguente poi fummo destati dai raggi solari che, penetravano nel nostro vagone e pensammo di essere già in vicinanza di Stoccolma, dove si doveva giungere alle nove; erano invece da poco passate le due e mezza del mattino! Abbiamo un bel darci la spiegazione di questo fenomeno astronomico semplicissimo; esso resterà per noi sempre straordinariamente afì iscinante.
11 percorso dalla costa a Stoccolma è semplicemente incantevole. Il treno corre continuamente in mezzo ad una vegetazione lussureggiante: laghi, laghetti, fiumi, rivoli, boschi infiniti di abeti, casette di legno caratteristiche dalle finestre immancabilmente infiorate passano dinanzi a noi come in una fantasmagoria verdeggiante e l’occhio trova riposo a spaziare su per quei dolci colli tranquilli, o negli sfondi improvvisi e coloriti, o sulle acque sicure degl’innumerevoli bacini.
Già sul treno cominciamo a riconoscere da segni indefinibili parecchi delegati provenienti da varie nazioni europee. I tipi bruni di meridionali si distinguono a prima vista dai rubicondi tedeschi e dai pallidi, slavati russi del nord. A Stoccolma apprendiamo che i delegati ufficiali europei ai Congresso Battista raggiungono il numero di 1900; ma almeno altrettanti sono i fratelli visitatori provenienti da tutti i punti del globo ed in modo speciale dall’America del nord. Questo imponente Congresso ha dimostrato quanto sia errato l’epiteto di setta che le varie chiese nazionali credono di poter gratificare alla chiesa battista; al contrario possono definirsi sette le chiese che si restringono a vivere in una sola nazione o in un sol gruppo di nazioni, non mai una chiesa, come la battista, la quale, riallacciandosi alle tradizioni apostoliche autentiche, non fa distinzioni tra greco o giudeo, barbaro o scila ed ovunque vive e prospera tenendo alto il vessillo dei più puri principi cristiani.
Il Congresso per le sedute si radunò nel magnifico tempio della chiesa nazionale indipendente di Svezia, gentilmente concessoci e portante il nome beneaugurante di Imma-nuelskirkan. Benché esso fosse capace di contenere circa 4000 persone, la sera del 19 luglio ci dovemmo dividere in due sezioni, non essendoci posto per tutti, ed il programma della serata, a mano a mano che si espletava nel tempio di Immanuelskirkan, doveva essere ripetuto nel tempio della prima chiesa battista di Stoccolma, dove altri 2000 congressisti all’incirca avevano trovato posto. Una automobile sempre pronta trasportava a tutta velocità i vari oratori dall’un tempio all’altro.
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Quando il presidente della serata — l’onorevole Bystròm, deputato al Parlamento svedese, figura tagliata con l’accetta, simpaticamente energico nelle sembianze e nei modi —-presentò il delegato italiano dicendo che egli avrebbe parlato nella propria lingua e che il suo dire sarebbe poi stato tradotto successivamente in inglese tedesco e svedese, le tre lingue ufficiali del congresso, una lunga ovazione lo accolse. Era il saluto che, prendendo a pretesto l’unico italiano presente, si rivolgeva caldo di affetto all'Italia bella, oggetto dei sogni universali. Ed altri applausi vivissimi accolsero l’accenno del delegato alle antichissime basiliche italiche, le quali da secoli e secoli testimoniano, coi loro battisteri, della verità ed antichità di quei principi che oggi i battisti propugnano : il senso della responsabilità personale in religione e la necessità della conversione individuale di cui il vero battesimo cristiano — quello amministrato agli adulti e per immersione — è la fedele traduzione simbolica.
Durante la nostra permanenza a Stoccolma — come pure a Cristiania ed a Copenaghen — il dottor Whittinghill ed io avemmo molteplici prove attestanti l’amore di quei popoli per l’Italia. Una domenica, in una delle nostre chiese di Stoccolma, si volle assoluta-mente farmi parlare in italiano per il solo piacere di ascoltare le armonie della nostra lingua, poiché nell’uditorio non vi erano che pochissimi che avessero familiarità con l’italiano.
Un’altra volta mi trovavo in tram con la nostra ospite, un’ insigne professoressa di chimica — non è superfluo dire che tutti i delegati trovarono ospitalità gratuita presso i fratelli di Stoccolma —- e ad un certo punto mi accorsi che i passeggeri avevano fatto silenzio e tendevano gli orecchi con quell’atteggiamento serio del viso proprio di chi vuole afferrare qualche suono che sfugge. Incuriosito mi rivolsi alla mia guida che mi spiegò sorridendo : — la signora al mio fianco, avendo inteso nominare spesso l’Italia da noi, ha detto ai vicini : « vi è un italiano che parla, ascoltiamolo » e tutti hanno taciuto per ascoltare il dolce idioma.
Viceversa in quel momento io parlavo francese, poiché la mia guida non comprendeva una parola d'italiano!
• * *
11 congresso tenne le sue sedute tutti i giorni dalie nove del mattino alle dieci ed anche alle undici di sera, tolte le ore per i
pasti. Due adunanze all’aperto furono tenute che ci diedero occasione di ammirare la squisita educazione del popolo svedese, la quale dei resto risalta per mille segni all’occhio dei viaggiatori. La prima adunanza fu tenuta nel pomeriggio della domenica 20 luglio in Maga Park, i magnifici giardini che fino a poco tempo addietro facevano parte delie tenuti reali.
Assisteva una folla che in principio raggiungeva certamente le 6000 persone, ma clie andò sempre aumentando; eppure non vi fu un incidente, non si udì una voce disturba-trice. Quando due pastori successivamente pregarono, il suono calmo delle loro parole raggiunse anche i più lontani uditori, essendola folla intera, senza eccezione, in atteggiamento di rispettoso raccoglimento. E bisogna notare che nel pomeriggio della domenica gli Stoccolmini sogliono uscire tutti per andarsi a godere il giorno del riposo che in quei paesi è rigidamente rispettato. Si vedono intere famiglie che si riversano nei vari giardini della città con l’onesta intenzione di svagarsi dopo una settimana d’ininterrotto lavoro.
Orbene non vi fu una sola persona che trovasse a ridire per il fatto che i battisti per quel giorno avevano pensato di trasformare in un tempio quel parco consacrato agli svaghi domenicali !
L’altra adunanza all’aperto fu tenuta — sotto la presidenza del sempre attivo on. Bystròm dalla dolce e robusta voce baritonale — nel giardino e museo Skansen, uno dei luoghi più deliziosi di Stoccolma, il quale giace su di un colle fiorito da cui si gode il meraviglioso panorama della città che, da quel punto, ancor più ricorda Venezia. Nel museo-giardino Skansen. sono raccolti oggetti della Svezia preistorica, ricordi del passato storico e campioni interessantissimi delle regioni più attraenti della Svezia attuale, quali la Dale-carlia e la Lapponia. Dalla Dalecarlia scendono le innumerevoli giovinette che servono nei grandi negozi, vestite del loro grazioso costume multicolore e che la domenica si vedono in giro a frotte, silenziose ed indisturbate, per le strade ed i giardini di Stoccolma ch’esse contribuiscono a rendere ancor più pittoresca.
Fu su quel colle sacro alla Svezia — nei pressi della stanzetta di legno già appartenente alia villa di Svedemborg ed ora trasportata sullo Skansen, nella quale il gran mistico del secolo xvin, le cui ossa da qualche anno riposano nella maestosa cattedrale gotica di Upsala, ebbe il maggior numero delle sue visioni — fu su quel colle olezzante e pieno
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SECONDO CONGRESSO BATTISTA EUROPEO.
Parla il Presidente Dr. John Clifford.
[1913 - IV.]
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{Bilycbnìs, 1913-IV.]
SECONDO CONGRESSO Un gruppo di congressisti.
BATTISTA EUROPEO.
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NOTE E COMMENTI
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di ricordi che noi tenemmo la nostra seconda adunanza all’aperto, e tutti sentimmo l’alta poesia che emanava da quel luogo e si confondeva armonicamente con la poesia della nostra antica fede.
Il lunedi 2i — mentre le donne batí iste si raccoglievano in bnmanuelskirkan sotto la presidenza della signora Anna Stadling, figlia di quel battista che, ricevuto il battesimo in Germania, ebbe la sodisfazione di vedere costruire i primi due tempi battisti di Stoccolma, sorti per sola forza di fede — noi col cuore stretto di angoscie ascoltammo in un altro tempio la relazione grondante lacrime e sangue dei delegati russi. In Russia, dopo V ukase dello zar promulgato nel 1908 dovrebbe godersi la tolleranza religiosa ; ma in quel caotico impero le leggi sono variamente interpretate da provincia a provincia, a seconda del capriccio dei vari governatori. Così accade che in alcune città i battisti possono radunarsi quasi indisturbati e spesso le loro adunanze si compongono di più di mille credenti ; ma in generale sono crudelmente perseguitati, multati e messi in prigione. Pochi giorni prima del congresso un pastore battista venne pugnalato da un sicario ortodosso mentre predicava e tutti i presenti all’adunanza vennero arrestati sotto il pretesto di... aver bestemmiato contro le sante ¡coni ! Questo è il pretesto più generalmente usato dalle autorità russe per infierire contro i battisti. In alcune province essi non possono assolutamente radunarsi : se qualche volta sono scoperti insieme sono fortemente multati e spesso mandati in Siberia in blocco. Vi sono pochi pastori battisti in Russia che non siano stati o che non siano presentemente sotto processo.
E tuttavia la chiesa battista in quell’immenso impero cresce rigogliosamente ed ha già più di 100,000 membri battezzati. In questi ultimi tempi il ministro dell’interno — spinto naturalmente da quel santo sinodo che rappresenta la quintessenza dell’ignoranza, della superstizione, della viltà e della crudeltà — ha presentato alla Duma un disegno di legge per imporre ai battisti un limite nella loro attività: essi dovrebbero predicare solo in date località da assegnarsi. I battisti hanno protestato — tra essi vi sono pure pezzi grossi dell’aristocrazia — e la discussione della legge è stata rimandata al prossimo mese di ottobre. C’è da sperare che la legge illiberale sarà respinta, ma ad ogni modo essa non riuscirà ad arrestare la marcia vittoriosa dei cristiani battisti che è oramai assicurata in Russia e che farà sentire i suoi benefici anche nella vita politica e sociale, poiché dove entra la
chiesa battista fioriscono sempre i veri principi della più sana democrazia, come la storia ha dimostrato.
La mattina del giorno 22 fu dedicata ai visitatori. Fra le più notevoli personalità che vennero a portarci il loro saluto affettuoso, va messo in prima linea il principe Bernadotte, fratello del re di Svezia, non solo per l’alta sua posizione sociale, ma anche per il suo carattere. Egli è un vecchio signore di aspetto severo e distinto che sente profondamente la religione, tanto che non di rado sale sui pulpiti delie chiese nazionali per rivolgere la sua parola cristiana ai fedeli. Ci parlò in inglese dicendoci che considerava come uno dei più grandi onori della sua vita il trovarsi tra tanti cristiani venuti da tutte le parti della terra. Lo stesso giorno ricevemmo un telegramma di augurio del re Gustavo V.
Dopo il principe parlarono diversi fratelli americani che si fecero notare per la loro verve signorile e per la profonda spiritualità. Molto interesse destò un negro — rappresentante dei battisti negri di America che, com’è noto, sono parecchi milioni —- il quale, col suo viso nero intelligente, in acuto contrasto col candido colletto inamidato e la bianca solida dentatura, metteva una nota vivacissima tra i pallidi figli del nord. Egli esordì col dire che, trovandosi innanzi a tanta gente, sentiva imbarazzo e confusione, come ognuno poteva avvedersi... dal colore del suo volto.
Ci disse che i negri amano molto coloro che li trattano bene ed i fedeli predicatori del-l’Evangelo. Raccontò di una buona vecchie-rella negra che una volta sentì predicare un bianco e ne rimase fortemente commossa. Allora si avvicinò al predicatore e gli disse con tutta la buona intenzione dì rivolgergli un complimento : — Io sento che debbo amarvi per forza; non fa'nulla che il vostro viso è bianco ; io sono persuasa che il vostro cuore è... tanto nero quanto il mio!
* ♦ *
Sarebbe impossibile dire qui di tutti gli argomenti che si trattarono al Congresso. Mi limiterò a riportare alcuni dei soggetti più importanti di relazioni :
Lesson of thè Baptist geografical disfribu-tion in Europe del dottor Marshall di Londra, da cui risultò che in Europa — dove poco più di cinquantanni addietro non esistevano quasi battisti, se se ne eccettui la Gran Brettagna — al presente i battisti sono forti e numerosi specialmente nei paesi protestanti ed in Russia. Contando i soli battezzati adulti, si ha eh’essi
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sono 45,000 in Germania; in Russia più di 100,000 ; nella Scandinavia 65,000 ; nella Gran Brettagna quasi mezzo milione. Nei paesi cattolici, per ragioni facili ad intendersi, i battisti progrediscono assai più lentamente, ma tuttavia camminano.
Il dottor Gould parlò sulla Position of thè Protestarti Churches in Europe to-day.
Il dottor Whittinghill, uno dei delegati d’Italia al congresso, parlò destando molto interesse sulla Theological educaiion in relation lo modernism and thè social queslion. Di questa relazione, come di parecchie altre, la stampa svedese si occupò assai favorevolmente e diversi giornali ne riportarono i brani più salienti.
Il rev. Wilson parlò con erudizione sul soggetto The preseni position of Islam.
Il prof. Oie di Cristiania trattò l’importante argomento: The baptisl sitare in work for thè elevation of thè standard of morale.
Ed altre questioni furono trattate, tutte interessanti sia per la dottrina onde furono permeate, sia per la loro attualità.
Non debbo passare sotto silenzio il grandioso concerto corale sacro offertoci da un gruppo di più che duecento giovinette biancovestite e giovani, tutti appartenenti alle varie chiese battiste di Stoccolma. Sotto la direzione di un artista di gran talento, benché non fosse un maestro, ma un semplice dilettante, il coro ci riempì l’animo di dolcezza con la ricchezza delle melodie religiose eseguite alla perfezione.
L’ingresso per quella sera era tassato di una corona a testa e il ricavato doveva servire per sopperire in parte alle spese necessarie al Congresso ; il risultato rispose ampiamente alla richiesta poiché il capace tempio quella sera era letteralmente gremito ed una vera folla di persone dovette ritornarsene indietro non essendoci più posto. Il servizio d’ordine era prestato con energica e silenziosa disinvoltura da un buon numero di studenti e studentesse universitarie con il loro caratteristico berrettino bianco ed una fascia dai colori nazionali attorno alla vita, e tutto procedette nel modo migliore senza il minimo incidente, nonostante la ressa eccessiva.
Il soie fu benigno verso il Congresso. Se se ne toglie qualche pioggerella rinfrescante di tanto in tanto, dobbiamo dire che il tempo fu eccezionalmente bello durante tutto il periodo che rimanemmo in ISvezia. Spesso accadeva che la sera uscendo dal tempio verso le io, alla fine dei lavori, trovavamo ancora la luce crepuscolare che c’illuminava il cammino. La cosa talvolta mi parve un augurio
ed una promessa: sull’attività disinteressata e benefica della famiglia cristiana battista il sole aitò risplenderà nel più lontano avvenire.......
Aristarco Fasulo.
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G. Rapini dinanzi a Gesù!
Giovanni Papini ha pubblicato in un numero di [.acerba un articolo su Gesù Peccatore. Questa volta l’acerbo letterato non è stato originale nella sua critica indegna, ispirata a opere d’una disinvolta falsità scientifica come quella già liquidata che tratta de « La folie de Jésus » e altre simili. Piero Marrucchi ha scritto all’amico Papini alcune severe parole in una letterina aperta pubblicata su la Voce del 12 giugno scorso:
« La nostra antica amicizia mi dà il diritto di dirti una parola dura, di dirtela pubblicamente, perchè in altro modo non ho più speranza che tu possa ascoltarmi.
Parlo al poeta, al fanciullo prigioniero, che geme forse ancora nel fondo dell’anima tua, fatta preda dello spirito di menzogna. Povero fanciullo ch’era nato per cantare, ma lo spirito di menzogna lo sedusse con un vano miraggio di grandezza, ed il canto si mutò in bestemmia oscena!
Ecco ora la verità dura, che ti dico in nome della nostra antica amicizia. Sputando, come il vile scriba, sui Figlio dell’ Uomo, hai colmato la misura e ti sei messo fuori dell’Umanità. Avrei potuto perdonarti il colpo di lancia; non ti perdono lo sputo freddo dello scriba. Del resto, la mia volontà non c’entra : io son uno che semplicemente vede: vedo lo sputo freddo che ricade sulla tua testa. Vorrei si che queste mie parole arrivassero al fanciullo prigioniero e anch’egli lo vedesse e ne sentisse tutto l’obbrobrio.
Questo forse potrebbe salvarlo».
Piero Marrucchi.
La Donna in Inghilterra.
Quarantanni fa il più grande oratore del tempo, Dean Burgon (The Life of Dean Burgon by Gouìbourn), profondo conoscitore della vita, letterato e critico di valore, avendo sa-
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NOTE E COMMENTI
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puto che miss Smith, sorella del prof. Enrico Smith, era stata chiamata a far parte di un Consiglio direttivo scolastico in Oxford, ne rimase tanto scandolezzato che la domenica successiva nella cattedrale di S. Maria, scegliendo le parole di Tito II 5, stigmatizzò la innovazione come «antifemminile» chiamandola « il ripugnante metodo di questi ultimi giorni che dimenticando il regno che Dio stesso ha assegnato alla donna, agisce come se un nuovo evangelo fosse stato proprio ora scoperto. Lasciatemi sperare, concluse, che non sono solo a deplorare questo nuovo sviluppo, desiderando sopratutto che la donna nelle cui mani sta il potére per schiacciare questa crescente rovina, voglia essa stessa estirparla fino dalle radici ».
Oggi la signorina Smith, corrispondente per il ramo femminile del The Brilish Weehly nel numero del 24 aprile, narra con compiacenza di un discorso tenuto da un eminente ministro non nominato, il quale dal libro dei Numeri parlò delle figlie di Zelophehad che domandarono e ricevettero una possessione. Egli, sebbene non pronunciandosi chiaramente sul particolare del voto alle donne, faceva comprendere che era favorevole allo sviluppo più completo delie nuove direttive della donna
nelle sfere della vita. Essa assicura che è assolutamente impossibile, anche per la mente più conservatrice, di ripetere oggi in Inghilterra il discorso di Dean Burgon.
Forse si eviterebbero tante confusioni dal punto di vista cristiano se si tenesse a mente che Tito 11,5 parla di giovani madri che avevano marito, casa e figli e che forse avevano intenzione di occuparsi di tutto meno che dei propri doveri (basterebbe pensare alla réclame elettorale delle donne di Pompei ed alle loro candidate); mentre Numeri XXVII, 7 parla di fanciulle che avevano un diritto ovvio di partecipare alla eredità del proprio padre. Paolo giudica il movimento femminista del suo tempo e la licenza delle donne nel paganesimo (V. The Bei ¡gioii of Womàn by J. Me Cabe: II1 he Woman of Pagan Culture) dai doveri più o meno incompatibili dell’allevamento di una famiglia e di tutto quello che vi è inerente di fisico, intellettuale e morale (vi pare poco?), invece Numeri XXVII, 7 si occupa semplice-mente di un problema materiale che è compatibile non solo col celibato delle figlie di Zelophehad, ma con qualunque genere di ma-trimonio(Vedi Numeri XXXVI, 3). «In medio virtus ».
I. R.
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Introduzione alla letteratura dell’Antico Testamento.
S. R. DRIVER DD. An introduction lo thè Literature of thè Old Teslament. — 1*. & T. Clark, 38 George Street, Edimburgh. Dodici scellini.
La faina del Driver è giunta anche in Italia dove egli ha trovato discepoli affezionati, e quelli che conoscono la sua penna sanno che il valore e la lucidezza del pensiero sono sempre uniti al rispetto ed alla libertà con cui egli tratta i problemi profondi della Bibbia. Tare quindi una vera e propria recensione del volume è materialmente impossibile. Il libro è un miracolo di concentrazione e, se è vero che in molti problemi egli non ha potuto dire l’ultima parola, è altresì vero che in questo volume egli ha avuto cura di far sentire la voce di tutti, pesando le probabilità in ogni singola parte e guidando il lettore ad una opinione personale senza sovraccaricarlo. Nel campo poi in cui i critici sono giunti ad una intesa di notevole unità di pensiero egli si limita ad una chiara esposizione dei fatti n .Ila certezza che tale intesa universale della critica di tutte le scuole è la miglior garanzia di verità delle teorie formulate, rendendole quindi non facilmente distruttibili.
E’ utile anche che i lettori sappiano che egli non ha inteso di scrivere una introduzione alla Teologia del Vecchio Testamento, od alla Stona od allo studio di esso, ma bensì una introduzione alla Letteratura del Vecchio Testamento, assolvendo il suo compito col dare notizia completa del contenuto e della struttura di ogni singolo libro, oltre alle notizie riguardanti il loro carattere generale ed i loro reciproci rapporti, essendo indispensabile a tale scopo uno studio comparato della letteratura del Vecchio Testamento.
Egli ha avuto cura di evitare con speciale attenzione che non entrasse nel suo libro lo spirito di polemica. Dichiara tuttavia che egli ha discusso tutte le opinioni differenti dalle sue con molta stima ed attenzione sforzandosi di restare al corrente di tutte le innovazioni che potessero sorgere tra di loro, e tenendo conto scrupoloso di tutte le ultime ricerche della archeologia. Egli dichiara di non conoscere alcuna di queste scoperte archeologiche che possa contrastare con le sue teorie, nel medesimo tempo che egli confessa di non avere mai rifiutato una veduta della scuola conservatrice, guidata da James Orr, senza averne prima con coscienza valutati tutti gli argomenti. Egli ha inteso di fare un libro per gli studiosi sinceri e spassionati, lasciandoli nel dominio della loro libertà, e preparando allo stesso tempo un libro di testo per le Università teologiche del Regno Unito.
Il bene che si può ritrarre dalla lettura di esso non è poco. È un volume che deve essere studialo con meditazione. Sembra un arsenale dell’Antico Testamento sebbene si presenti al lettore con una grande sincerità e
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semplicità. Non ostante alcune delle sue teorie più spinte, dalle quali altri possono liberamente dissentire se hanno ragioni per farlo, noi confidiamo che il libro tornerà di valore incalcolabile a tutti gli studiosi dell’Antico Testamento e non dovrebbe mancare dalla biblioteca di ogni interessato studioso della Bibbia. L’edizione di questa ristampa riveduta è degna della casa Clark che si distingue fra tutte in queste pubblicazioni di critica sul Vecchio Testamento.
Ignazio Rivera.
I Giorni del Figlio dell’Uomo.
GEORGE WATSON MACALPINE. The Days of thè Son of Man. A Sludy of thè Gospel. Henry Frowde. London.
»711 titolo apparentemente cosi comune ed ordinario del libro spingerebbe molti lettori a non occuparsi affatto di esso e forse nemmeno della sua recensione. Se non che, ad interessarcene, l’autore ci fa sapere che il volume è stato sottoposto all’esame di due critici, che sono i leaders delle più opposte fra le scuole bibliche inglesi, il prof. A. S. Peake M. A., B. D., professore di esegesi biblica nella Università di Manchester e il prof. James Orr D. D., delia Università di Glasgow, i quali hanno unanimemente dichiarato che «il volume presenta il problema dei Vangeli da un punto di vista nuovo e che perciò esso deve essere offerto al pubblico ed alla Chiesa». Il loro giudizio, dopo le vive insistenze degli amici, spinse finalmente l’autore a consegnare alle stampe il suo lavoro.
Esso infatti presenta una scoperta di valore incalcolabile per il critico neotestamentario e per la Chiesa cristiana in generale. La scoperta balenò' alla mente dell'autore molti anni fa leggendo « Les Adieux d’Adolphe Monod » (cap. XIV, p. Ili) rimanendo colpito dal passo che richiama l’attenzione del lettore alla grande attività della vita di Gesù come illustrata da un giorno solo del suo lavoro ricordato nel cap. IX di Matteo. I vari incidenti del capitolo, infatti, sono connessi da frasi che sembrano indicare che Gesù passò immediatamente da una occupazione ad un’altra. Seguendo questa prima traccia, con un paziente lavoro di
anni, l’autore trovò che le frasi che connettono i medesimi avvenimenti nei-differenti Evangeli, sebbene alle volte lievemente varianti e più o meno definite nell’uno o nell’altro Evangelo, sono nel complesso notevolmente concordi, e che per di più una considerevole parte del racconto è occupata da azioni di Cristo svoltesi in un numero relativamente pìccolo di giorni.
Ecco l’elenco che l’autore olire di parole definite nel tempo e nei luogo e di legami di avvenimenti, che lo hanno guidato nel difficile lavoro:
Matteo Marco Luca Giovanni
Tempo definito 15 »5 23 ló
Luogo definito 21 23 14 IO
Fatti susseguenti 55 43 56 S
Totale 91 Si 93 34
con un totale complessivo di 299 definizioni di tempo e di luogo. Cosi noi seguendo i risultati dell’analisi dell’autore veniamo a scoprire che gli Evangeli narrano solo un piccolo numero di incidenti della vita di Cristo, rife-rentisi ad un più piccolo numero di giorni, e che finalmente noi non abbiamo nei quattro racconti una esposizione continua, ma una narrazione che tocca solo pochi periodi, generalmente i più decisivi della vita di Cristo. Si viene così a realizzare in tutto il suo valore la forza della grande iperbole di Giovanni nell’ultimo verso del suo Evangelo.
San Giovanni sceglie pel primo anno del ministero di Gesù quattro soli incidenti di esso, sebbene il contributo che egli porta alla storia di questo anno sia più grande di quella di tutti i Sinottici insieme. Nel secondo anno si limita a due soli incidenti ; e nel terzo, eliminando le brevi referenze ai suoi movimenti ed all’attitudine del popolo, il racconto è ridotto a non più di quattro o cinque incidenti : « Eppure, dice il Macalpine, questa parte ricopre un quarto dello spazio occupato da tulli gli evangeli combinali '». I Sinottici poi colpiscono maggiormente pel fatto che il secondo anno del ministero di Gesù, che pure comprende due terzi dei racconto combinato, è semplicemente il racconto di fatti svoltisi in tre giorni, due dei quali erano consecutivi. Ed in questo medesimo secondo anno il racconto combinato dei quattro Evangeli, che pure racchiude cinque sesti di tutta la vita di Cristo, è ridotto al ricordo di un lavoro fallo in sei giorni, due dei quali erano consecutivi.
Le conseguenze a cui l’autore è giunto nel suo studio sono davvero sorprendenti. Dopo d’aver letto l’elegante volume si è convinti del giudizio dato dai due valenti critici inglesi.
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Per offrire un aiuto al lettore nell’esame del nuovo problema sottoposto alla sua considerazione, il Macalpine vi ha unita una notevole Armonia degli Evangeli contenuta in quattro amplissime carte robuste, nitide, esatte, degne della Stamperia Universitaria di Oxford che le ha eseguite, nella quale l’autore ha seguito generalmente l’armonia classica di Gardiner « A Harmony of thè Gospels in Greek » come la più convincente.
In questa Armonia, che l’autore dichiara secondaria al suo scopo, si trovano pure novità che meritano considerazione per le ragioni con cui sono sostenute. Così il ministero di Gesù non incomincia con il battasimo, la tentazione, ecc. Tutto questo, dice il Macalpine, è semplicemente personale, preparatorio, preliminare. Anche il miracolo di Cana, da altri riguardato come l’atto iniziale del suo ministero, realmente non fa altro che anticiparlo momentaneamente : « Donna, che ho io da fare con te? La mia ora non è ancora venula ». Il ministero di Gesù incomincia soltanto quattro giorni prima della Pasqua dell’anno 27,(D. C., Vedi Malachia, III, 1), al suo ingresso nel Tempio, e termina sei giorni prima della Pasqua dell’anno 30 al suo arrivo in Betania. Gli avvenimenti della Passione hanno un posto a parte.
Le Chiese cristiane, e gli studiosi in modo speciale, non mancheranno di sentire viva riconoscenza per il lavoro diligente ed indefesso dell’autore, che ha messo cosi ancora di più in luce l’opera di Colui che «passò fra gli uomini facendo del bene ».
Ignazio Rivera.
FIIQÍOFIAE RÈUGIONE
Verso la fede.
È uscito il volume annunziato dalla Direzione della Scuola Teologica Battista. L’Editore doti. D. G. Whittinghill ha promesso di inviarlo in dono a tutti gli abbonati di Di-lychnis ed essi tutti lo riceveranno presto, se non l’hanno già ricevuto. E’ un bel volume in 16® di 223 pagine. Contiene i seguenti scritti di cui pubblicheremo recensione nel prossimo fascicolo.
Raffaele Mariano: Intorno al Divenire ed all’Assoluto nel sistema hegeliano.
Francesco Desarlo: Idee intorno all’immortalità dell’anima.
Ernesto Comba: La questione di autorità in materia, di fede.
Giovanni Arbanasich: Il peccato.
Giovanni Luzzi : Di un concetto moderno del Dogma.
Vincenzo Tummolo: E possibile il miracolo?
Angelo Crespi: II Cristianesimo e la dignità umana.
IVARIAT?
kóìiisy
Figure Moderne.
Dall’editore Giovanni Puccini e Figli, Ancona, è stato pubblicato un bel volume nel quale il chiarissimo prof. Alessandro Chiappelli ha raccolto sotto il titolo: Figure Moderne una serie di « profili spirituali, delineati per la maggior parte con rapida mano in forma commemorativa, ai quali se ne aggiungono altri nuovi e di figure viventi. Pensatori e scrittori, italiani e stranieri, quasi tutti uomini rappresentativi di una delle direzioni più vitali dei pensiero contemporaneo ; specialmente quelli onde s’inanella la seconda metà di questa collana... ».
Il Chiappelli scrive pagine piacevoli e succose su : Bonghi, Bovio, Pignatelli, Gianturco, Tocco, Zeller, Hartmann, Spencer, Tolstoi, James, Bergson ed Eucken.
Questo non è un libro da recensire, bensì da raccomandare a chi segue con intelligenza ed amore l’odierno movimento spiritualista.
Stralcio — a mo’ di saggio — un brano da una delle più belle pagine dedicate allo studio della filosofia di Enrico Bergson : «... Così la filosofia sta al centro del regno spirituale. Tende, da una parte, verso la religione, che è principalmente una esperienza della vita ; e dall'altra, perchè edificazione ideale, integra il lavoro delle scienze speciali; diversa radicalmente dai due estremi gruppi pel suo metodo. Nessun divorzio assoluto vi può essere fra scienza e filosofia; ma nemmeno vera e propria continuità. Dal problema del conoscere, che è centrale per la filosofia, ella si dirama, da un lato, verso il problema dell’essere a cui tendono, per le loro generalità progressive e approssimazioni crescenti, e con
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moto convergente, le scienze fisiche; e dall’altro, traverso l’etica, le scienze sociali e storiche (scienze della Cultura) si estende al problema dell’operare umano, che la religione risolve praticamente. Non è superiore alla religione, la quale ha per suo contenuto vitale la tensione dell’anima verso l’infinito, e l’eterna conservazione dei valori : nè le è inferiore, perchè quello che nella religione è principalmente atto di vita, nella filosofia è puro movimento del pensiero... ».
Ñon meno succose sono le pagine che l’A. dedica al filosofo premiato, Rodolfo Eucken, ed io non so resistere alla tentazione di presentarle ai lettori di Bitychnist
« L’Eucken, come colui che ascolta con fine udito le voci che corrono nel nostro tempo ed è come il rabdomante che sente, per un misterioso istinto, la presenza di acque sotterranee, riconosce che se il materialismo è decaduto, nemmeno le correnti positivistiche ed agnostiche ci appagano, perchè non rispondono alla domanda intorno al senso e al valore delia vita...
Conviene dunque riconoscere che la vita dello spirito, che è la forma superiore della vita e il centro della realtà, non è sola intellettualità nè semplice intuizione o attività, ma è pensiero ed atto raccolti in unità profonda nella vita personale, che è insieme universale;
E poiché ciò che è universale è eterno, il pensiero deli’Eucken, come quello dell’idealismo di grande stile da Platone in poi, assume una intonazione quasi profetica e profondamente religiosa ; se religioso è tutto ciò ch’è penetrato dal sentimento dell’eterno. Dalla vita del nostro tempo, tutta pervasa di antinomie e d’incertezze irrequiete, codesta visione idealistica si aderge al regno della verità, che è anche azione. Al quale non si può accedere, come al regno di Dio, senza essersi interiormente rigenerati e rinnovati. Senza questo rinnovamento interiore è vano sperare di attingere quel vero stato di grazia, che non teme la morte, nel quale Dio sarà « tutto in tutto»; perchè solo la vita dello spirito nella pienezza della sua libertà consegue quella grandiosa armonia, verso cui si appuntarono e si protesero le menti di tutti i grandi eroi dello spirito, i pensatori, i profeti, i poeti di tutte le età della storia».
Ciò che dà vita a questo volume è il fatto eh’esso oltre ad essere una raccolta di « profili spirituali » è il lavoro di uno dei maggiori cultori dello spiritualismo.
F. G. Lo Bue.
La persona di Gesù Cristo.
H. R. MACKINTOSH DD., The Persoti of Jesus Chrisl. — New College, Edimburgh.
London, Student Christian Movement, 93 Chancery Lane. 1912.
L’elegante volume contiene tre conferenze che furono pronunziate originalmente al Congresso estivo dei Giovani Cristiani a Swanwick nel Derbyshire il luglio del 1911. I medesimi discorsi furono poi riprodotti verbatìm nei numeri di ottobre, novembre e dicembre della rivista The Student Movement del medesimo anno, e furono trovate da molti di cosi alto valore da renderne necessaria la stampa in una forma più permanente ed accessibile. E’ cosi che le conferenze vennero non solo rivedute dall’autore, ma anche da capo riscritte per lo scopo speciale a cui erano definitivamente indirizzate.
L’autore, che è noto per un’altra sua opera più voluminosa: The Doctrine of thè Persoti of Jesus Chrisl, riassume nel presente volume il pensiero fondamentale del suo studio, tenendo conto in modo speciale delie situazioni di animo e delle oscillazioni mentali dei giovani studenti universitari a cui egli si rivolge, portandovi il contributo di quella profondità intuitiva che lo distingue nei suoi studi religiosi e di quella più fine apologetica nuova che sa rispondere alle domande della mente senza dimenticare i bisogni del cuore e gli aneliti nascosti delle anime che oscillano ancora fra un passato che è morto ed un presente incerto che si sta appena formando.
Nessuna meraviglia quindi se il volume, trattando un soggetto già svolto in migliaia di volumi in ogni tempo, presenta tuttavia una freschezza ed un insieme di novità che dona all’anima un fremito di gioia e un nuovo e più forte entusiasmo per il Maestro. Dirò di più ; esso ci dona un senso di nuova adorazione per Lui. Perchè l’autore non intende solo di studiare la figura storica di Gesù ed il suo messaggio agli uomini della Palestina, la unicità della sua coscienza come Messia e la forma assoluta delle sue più gravi affermazioni, ma specialmente intende di mettere in rilievo quello che Egli fu per le donne e per gli uomini che per consenso universale sono stati considerati come i formatori della storia cristiana, quello che fu la sua personale influenza, la sua vittoria sul peccato nella vita individuale e la sua affermazione di una sempre più nuova e soddisfacente nozione di Dio. Il vo-
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BILYCHNIS
lume è appunto una delle più nuove difese della divinità di Cristo. L’autore v’insiste con uno speciale senso di intuizione, e difficilmente uno può resistere al fascino delle sue parole ed alla naturalezza delle sue conclusioni.
Vorremmo che queste pagine potessero essere presentate in veste elegante ai nostri studenti italiani, sicuri che essi ne ritrarrebbero non solo una più lucida visione della persona del Maestro «dopo il cui contatto nessuna persona può più essere come se non avesse udito il suo nome», ma specialmente ne ritrarrebbero un battesimo nuovo di forze spirituali per compiere la grande conquista de) male, di cui l’autore si mostra gravemente preoccupato parlando a giovani che appena affrontano per la prima volta le tempeste del cuore e della vita. Infatti « il nostro intuito nel fatto di Cristo, dice il Mackintosh, di
pende essenzialmente dall’attitudine spirituale che noi assumiamo di fronte a Lui » essendo «l’ubbidienza l’organo indispensabile della conoscenza spirituale». Perchè «è inutile che noi ignoriamo il fatto che un uomo, il quale non abbia volontà di fare il bene, confesserà conseguentemente che per lui Gesù Cristo è una figura priva di attrattiva o di interesse personale di qualsiasi sorta ». « A quelli soli che si affidano a Lui completamente nel grande sogno di fede, accettando onorevolmente le condizioni sotto le quali soltanto può essere controllata la verità spirituale, ad essi soli la verità diventa luminosa e certa ».
Una lettura del libro può ritemprare le forze di molte anime stanche e donare quella calma di mente e di cuore che pochi libri possono offrire.
Ignazio Rivera.
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