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bilychnis
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno X. - Fasc. 1
ROMA - GENNAIO 1921
Volume XVII. i
SOMMARIO
F. De SARLO : Ernesto Haeckel . . . [Ritratto di Ernesto Haeckel tra le pag. 4-5]
A. T1LGHER: L’attualità di Treitschko .
G. COSTA: Il sindaco di Cork e il culto degli eroi ......................... . . .
A. VaSCONI : Le ansie di un credente (una lettera inedita di Tancredi Canonico) .
Per la cultura dell’anima:
U. DELLA SETA: Formule seduttrici . . . ,
C. WAGNER: Buon umore........................
Intermezzo:
D. G. Whittinghill : Salvate i bambini i
Note e commenti:
E. OHLSEN : Ebraismo e Cristianesimo . . . .
* * * La ripresa della persecuzione di Pio X
R. M. : Storicismo e Idealismo ......
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E. TAGLIALATELA : Per la preparazione degli insegnanti............. 40
G. COLONNA DI CESARÒ : Ancora sul nome di Dio in ebraico ........... 42
Cronache:
Gli avvenimenti di politica religiosa del mese nella stampa.......................44
Rassegne :
G. COSTA : Religioni del mondo classico (X) . 56
Rivista delle riviste:
Riviste italiane ........... 63
Riviste tedesche . . . . . , . . . . 69
Recensioni :
Gl'inizi del cristianesimo - I detti di Gesù - Cattolicismo integrale.— Animismo nell'Islam — Alto Medio Evo — Un catechismo - Blondel - A. Manzoni . . . 73
Letture ed appunti............83
Nuove pubblicazioni ........ 86
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BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
< < < < FONDATA NEL 1912 > > » >
CRITICA BIBLICA - STORIA DEL CRISTIANESIMO B DELLE RELIGIONI ~ PSICOLOGIA, PEDAGOGIA, FILOSOFIA RELIGIOSE MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO - CRONACHE RIVISTA DELLE RIVISTE BIBLIOGRAFIA
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PaSCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma. D. G. WHITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d'indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l’opinione dei loro autori.
/ manoscritti noti si restituiscono.^
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
La Collezione compiala di “ BILYCHNIS ”, annate 1912-1920, si vende a L. 110, franche di porto
.A.l)t>oriarrien.f:i pel 19S1
Gli abbonati riceveranno nel 1921:
i 12 fascicoli mensili di “ BILYCHNIS ”, di pag: 64 l’uno in-8° grande, illustrati, formanti 2 volumi di pag. 384 l’uno;
i 6 fascicoli bimestrali dei Quaderni di Bilychnis, eleganti volumetti in-8° piccolo di pag. 64 (o, se raggruppati, multipli di 64), illustrati, formanti un’insieme di 384 pagine annue.
Oli abbonati potranno inoltre ottenere a prezzo ridotto:
l’abbonamento cumulativo col “TESTIMONIO”, rivista mensile delle chiese battiste italiane;
il bel volume del CHIMINELLI, “ Il Padre nostro „ e il mondo moderno ;
l’interessante opera da noi edita, La Chiesa e i nuovi tempi.
CONDIZIONI: IN ITALIA PER 1 ANNO | PER 6 MESI ESTERO PER 1 ANNO
“ BILYCHNIS ” e i Quaderni . . . L 16 — 9 — 50 —
“ BILYCHNIS ”, i Quaderni e “IL TESTIMONIO”........ » 18,50 10,50 40 —
“BILYCHNIS”, Quaderni, “IL TESTI- MONIO ” e i due volumi suindicati » 24 — 16 — 45,50
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
NB. — Questo primo fascicolo del 1921 esce in 88 pagine anziché in 64, come avevamo disposto. Pur riserbandoci di ridurre la Rivista a tali proporzioni per l’avvenire, siamo lieti che l’abbondanza di materia, che ci ha ciò nondimeno costretti a riduzioni penose, ci abbia offerto il modo di dare ai nostri lettori la prova del nostro buon volere e della nostra attività.
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“Bilychnis” nel 1921
-OGC- •—
IL.MOSTRO PROGRAMMA
oche parole basteranno per esporre ai nostri lettori non le promesse che la Redazione intènde far loro per il 1921, ma il programma che si propone di svolgere nella nuova forma che avrà d’ora innanzi la rivista.
Come abbiamo già detto, il nostro antico indirizzo non muta per nulla: noi teniamo fede non solo a quegli ideali di spiritualità che hanno sempre finora sorretto
l’opera nostra, noi proseguiamo la loro ricerca, il loro risveglio, la loro
azione negli individui e nella società del presente; noi ci proponiamo quando sia necessario di operare e di .combattere per il loro più fattivo e più energico avvento, ma pur anche a quei principi di studio che costituiscono il ben meritato vanto della società contemporanea. Non disposti a sottoporre a nessuna autorità per augusta che sia, la libera indagine del fenomeno religioso. noi vogliamo continuare l’esame nelle più differenti forme che esso presenta, accomunando a quella che per noi è la più augusta delle religioni, il Cristianesimo, tutte le religioni, i culti, le fedi che l'umanità ha avuto per consolatrici nelle sue massime ore di tristezza.
E pur disposti ad accompagnare con l’opera nostra di studiosi ogni e qualsiasi ricerca che la ragione umana voglia tentare nell’insondabile
campo del mistero, non negheremo cionondimeno il nostro appoggio a quanti staccando, per sfiducia in essa o per coscienza dei suoi limiti, il sentimento
religioso dalla ragione, prospetteranno o negli studi o nelle aspirazioni, il problema della fede come problema a se.
Insomma negl'intenti nostri e nell’opera nostra, come sempre, porteremo quel lievito di idealità, quel senso di libertà, quel bisogno di sincerità che ci ha segnalato e distinto finora tra tutti coloro che hanno voluto ma non hanno potuto perseguire gli stessi ideali, appunto perchè loro è mancata la fède nell’indirizzo complessivo che noi sentiamo di poter mantenere intatto e che perciò appunto promettiamo di conservare.
* * *
Questi propositi n.oi li estrinsicheremo, come abbiamo detto, nella nuova forma della rivista, che appunto perciò abbiamo creduto bene di sdoppiare in rmsta vera e propria e in quaderni ; alla prima riserbando a
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accanto ad articoli di carattere più popolare tutta la parte che costituisce la rassegna, ai secondi rimandando tutti quegli studi di carattere più scientifico che acquistano maggior pregio e maggior efficacia dall’essere tenuti in un piccolo corpo e presentati e conservati fuori delle pagine di una rivista.
Naturalmente i lettori non potranno subito rilevare, sopratutto negli articoli, questa nostra distinzione e potrà avvenire che per qualche tempo ancora alcuni articoli scientifici, se brevi, trovino luogo nella rivista; ma gradatamente non appena i nostri collaboratori avranno interpretato appieno i nostri desideri, quest'opera si compierà. Intanto tutta la parte viva della rivista verrà subito riformata, iniziando sin da questo numero quella Rivista, delle Riviste italiane e straniere che è stata sempre uno dei nostri propositi e che speriamo oramai di poter dare sempreJpiù completa ai lettori. In essa tutti' gli articoli che meritano di essere segnalati per i nostri studi, per le nostre idealità, verranno più o meno largamente compendiati o accennati, appaiano essi nelle riviste o nei periodici italiani, francesi, tedeschi, inglesi e spagnoli. Chi ci segnalerà le inevitabili lacune si renderà benemerito dell'opera nostra e mostrerà ^di collaborarvi in ¡spirito, come noi vogliamo.
Naturalmente accanto a questa rivista delle riviste continueremo le rassegne modificandole opportunamente con le nuove esigenze di disposizione della materia.
Possiamo intanto annunciare le seguenti, fiduciosi che a completarle o ad arricchirne la serie, se occorrerà, non mancheranno nuove forze:
Studi Biblici: R. Pi
Studi neotestamentari e Cristianesimo antico: Mario Rossi.
Storia del Cristianesimo medioevale: Antonino De Stefano.
Storia del Cristianesimo moderno e contemporaneo: Mario Puglisi. La Riforma in Italia: Piero Chiminelli.
Religioni del mondo classico: Giovanni Costa.
Islam: G. Levi della Vida.
Etnografia e folklore: Raffaele Corso.
Nelle Letture ed appunti completeremo con notizie e dati degni di nota, fatti per dir così in margine, quanto nella Rivista delle Riviste o nelle Rassegne speciali, non ci verrà fatto di includere.
Questa, parte però veramente oggettiva o informativa, che dir si voglia, che abbiamo fiducia riesca veramente ùtile agli studiosi, non sarebbe completa se non curassimo la bibliografia che per necessità di cose nelle Riviste o nelle Rassegne sarà meno recente di quel che i lettori possano chiedere.
Daremo quindi tutto lo sviluppo possibile alle recensioni che procureremo siano al massimo possibile non solo brevi ed informative, ma numerose e varie; continueremo con brevi cenni bibliografici sotto l’indicazione dei libri pervenutici in dono, a. ragguagliare i lettori sui libri che hanno
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meno bisogno di profondo o particolareggiato esame e inizieremo col prossimo numero un bollettino delle nuove pubblicazioni, desumendolo direttamente dai bollettini bibliografici dei vari paesi, in modo che il lettore sarà informato senza farne ricerca diretta, di quanto si pubblica nel dominio dei nostri studi in Italia ed all’estero.
♦ * *
Accanto alle vecchie rubriche: Note e commenti e Note e documenti che hanno reso finora buoni servizi alla nostra opera e che ci proponiamo di rendere più battagliere e pili documentarie, rimarrà la nuova che à trovato tanto plauso di consensi, Fra Chiese e Cenacoli, che sarà, per quanto è possibile, migliorata e pubblicata anche più spesso che per il passato.
Per completare poi questo nuovo ordinamento della materia amplieremo e modificheremo le Cronache come sin da questo numero può vedersi. Considerando, cioè, quanto monca fosse la yisione della politica religiosa che veniva data in essi, ci proponiamo di ragguagliare i lettori su tutti gli avvenimenti del mese di politica religiosa, desùmendone la cronaca dalla stampa italiana èd estera che meglio ci sembrerà corrispondere al nostro fine. Una miscellànea di note e dati su avvenimenti politico-religiosi minori completerà queste pagine.
La Cultura dell'anima è stata sinora la rubrica che più ci è sembrata, lo diciamo francamente, meschina e che all’economia spirituale e redazionale della rivista è quasi quasi venuta meno, se la misuriamo ai nostri intendimenti'
Ciò deriva, lo comprendiamo, dalla difficoltà estrema di trovare nei nostri scrittori e nei nostri ' collaboratori quel concorso completo e pieno di energie che altrove non ci manca: l’anima italiana, anche quando sente il fatto spirituale compiersi nelPintimo suo, rifugge dall’analizzarlo, meditarlo ed esporlo. Pare che il bisogno del consenso che la opprime in altri campì, in questo ne circoscriva la manifestazione.
Cionondimeno, anche qui speriamo di poter dare di più: i migliori ci hanno promesso il loro aiuto e siamo sicuri che non ci mancheranno: Piero Jahier, Ugo della Seta, Mario Rossi, Alfredo Tagliatatela, Giovanni Luzzi, Ugo Janni ed altri.
Come appendice, per dir così, a questa rubrica ed a suo complemento inizieremo una raccolta di echi dei bisogni spirituali del momento, espressi dai nostri scrittori contemporanei nei libri, nei giornali, nelle riviste sia nel campo idealistico, sia nel campo realistico, in quello dell'anima e del pensiero, che intitoleremo Ansie spirituali d'oggi.
LÀ DIREZIONE.'
N. B. Riserbiamo al prossimo numero il programma dei QUADERNI e il bando di due CONCORSI a premio.
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APPELLO AI LETTORI DI “BILYCHNIS”
SALVIAMO I BAMBINI!
(Vedi nel presente fascicolo pag. 35)
L’Europa non ha ancora guarito le sue ferite.
La miseria è tale che nella maggior parte dei casi è stato necessario limitarsi al salvataggio dell’infanzia, speranza e patrimonio dellumanità. Si sono creati comitati in molti paesi per fare_appello alla carità del pubblico: «Salvate i bambini » è I*1 l°ro divisa, il loro grido di raccolta.
Non bisogna che la carità si stanchi, perchè la miseria non diminuisce. Se nell'Europa Occidentale le condizioni di vita sono diventate meno dure, non bisogna dimenticare che gli anni di sofferenza hanno profondamente alterato’il debole organismo del bambino.
Il numero dei bambini rachitici o tubercolotici ha preso in Francia, in Italia, e nel Belgio sensibili proporzioni.
I Sanatori sono pieni. Bisogna ingrandirli, crearne dei nuovi.
Più ci si addentra nel cuore dell’Europa e più tragica diventa la situazione.
In Austria basta evocare le condizioni di Vienna, testa senza corpo, che non sa come nutrire i suoi milioni di abitanti; Vienna che ha mandato i suoi bambini in convogli iifterminabili a passare qualche settimana in paesi più fortunati di ogni parte d’Europa, nei paesi Scandinavi, in Gran Brettagna, in Olanda, in Svizzera, nel Belgio, in Italia, in Spagna.
In Ungheria si faceva assegnamento 'sulla ricchezza del raccolto che si annunciava eccellente. Le speranze sono state spezzate dalle intemperie; i bambini hanno fame, i depositi sono di nuovo vuoti; gli ospedali sono privi di biancheria e di medicamenti e non possono nè curare, nè perfino nutrire i loro ammalati.
Nei Balcani sono centinaia di migliaia di òrfani che chiedono aiuto. - Il Montenegro è un paese di vedove e di orfani; la Jugoslavia e la Bulgaria si riorganizzano a gran pena; la Rumenia conta essa sola 300 mila orfani, dèi quali sono realmente soccorsi solo 170 mila. In Cecoslovacchia le necessità non .sono meno urgenti e dolorose. La Germania, che ha, fatto più di ogni altro paese nella lotta contro la tubercolosi, annuncia che, senza uscire dalle 43 città più importanti, numera 200 mila bambini tubercolosi.
La Polonia, la Lituania, la Lettonia, l’Estonia, non hanno soltanto da soccorrere i loro propri bambinj, ma vedono affluire dall’immensa Russia or.de di profughi, stormi di bambini inselvatichiti che non sanno nemmeno più il loro nome. La'Russia stessa comincia a socchiudere le sue porte e domani bisognerà lanciare delle missioni di soccorso, in questo paese della fame e della morte.
Che dire finalmente del prossimo Oriente, dove bisogna venire in aiuto così dei bambini armeni, che errano nell’Asia Minore, come dei bambini ottomani, orfani di guerra?.
Da tutti questi paesi salgono grida di miseria, invocazioni disperate, Finora queste invocazioni sono state intese in parte dal pubblico pietoso la cui generosità ha già salvato bambini a migliaia; Ma tutti questi piccoli Strappati alla 'moite non avrebbero visto che ritardare il loro supplizio se i benefattori diventassero sordi ai loro richiami. Si lasceranno ricadere nella morte queste piccole vittime innocenti nelle quali una fiduciosa speranza era stata così facilmente svegliata da un gesto di simpatia? Si lasceranno gridare invano quelle altre che la carità non ha ancora potuto raggiungere? Tutti coloro che hanno dato diano ancora. Tulli coloro che non hanno dato, diano adesso.
Tutti i cuori capaci di-pietà si. lascino commuovere e rispondano generosamente all’immenso grido di miseria che viene da questi milioni di bambini in tutte le vaste regioni devastate dalla guerra.
I sottoscritti comitati s’incari.cano di raccogliere le offerto.
UNION INTERNATIONA! E DE SECOURS AUX ENFANTS - Genève.
Segretariato Italiano per l'Assistenza all’Infanzia. —Save thè Children Fund Gran Bretagna). — Comité Français de secours aux enfants d’Europe. — Croix Rouge Néerlandaise (Olanda). — R adda Barnen (Svezia). —’Comité Suisse' de-secours aux enfants. — Comité Ottoman de secours aux enfants.
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Libreria Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - ROMA, 33
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
Delle nuove pubblicazioni, appartenenti al ciclo degli studi di cui si occupa la rivista, faremo un brevissimo cenno nel darne l’annuncio, qualora gli editori alle copie da tenere in deposito aggiungano una in omaggio. Solo pubblicando questo cenno bibliografico assumiamo la responsabilità dell’indicazione dell’opera.
I prezzi segnati non subiscono aumenti e le spedizioni sono franche di porto. Per gl'invìi sotto fascia, raccomandati, aggiungere cent. 30.
La libreria si incarica di qualsiasi ordinazione di libri in Italia ed all'estero. Essa è l'unica rappresentante in Italia della University oj Chicago Press, il cui catalogo viene spedito gratis a richiesta.
Delle opere segnate con asterisco esistono ancora pochissimi esemplari.
CULTURA DELL’ ANIMA
Borsari R. : Guardartelo il sole
Burt W. : Sermoni e allocu- ;
zioni................2 —
GR ATR Y A. : Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 5,40
Monod W.: L’Evangile du Royaume ....... io —
— Délivrances . . . .io -— II régnera . . . . . io —
- Il vit ....... .IO —
— Silence et prière. . . io—1 Vienot J. : Paroles françaises
Erononcées a 1' oratoire du ouvre ...... 3,50
Wagner-C.: L’ami . . . 12— ' — Justice ...... 10 — Rivista Prophcia (Unica an-1
nata 1914) ..... 5 — I
FILOSOFIA
Dèlia Seta U.: G. Mazzini pen-1 satore . . . . . . 15 —
Della Seta U. : Filosofia . morale (Vol. I e H). . 15 —I
Del Vecchio G.: Effetti morali del terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 —
Ferretti* G. : L.’Alfabeto e i fanciulli ............ 2 — 1
Lombardo Radice G.. Clericali e massoni di fronte al problema della scuòla. . . 2 —
Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . . . 1 —
Martinelli: Per la vittoria morale . . ...... 3,50
Panini G.: Il tragico quotidiano ....... 5,50
— Chiudiamo le scuole 1 —
Rénsi G.: Sic et non (metafisica e poesia) . . . 3,50
Scarpa A.: La scuola delle mummie . . . . . 1 —
ScmpriniG : La morale mistica dell’imitazione di Cristo e i suoi rapporti col misticismo r5 —
Tagl ¡alatela E.:Giovanni Locke educatore. Studio critico seguito da 2 opuscoli pedagogici del Locke (per la prima volta tradotto in italiano) . . 4 —
Von Hugel F.: Religione ed illusione ...... 1 —
GUERRA E ATTUALITÀ
Bois H.: La guerre et la bonne* conscience . . . . . . 0,70
Brauzzi U.: La questione sociale ......... 1 —
Ciarlantini: Problemi dell’Alto Adige ....... 3,50
Ghelli S.: La maschera dell’Austria ....’. 6 — Kolpinska A.: I precursori della rivoluzione russa 6 — Maranelli e Salvemini: La questione dell’Adriatico. 6 — Murri R. : L’ anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) . . . . 1,25
MURRI R. : Guerra e religione, Vol. I. Il sangue e l’al tare 2 ■— MURRI R- '• Guerra e religione.
Vol. II. L'imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa ........ 2 — - Dalla democrazia cristiana al partito popolare ital. 5 — Puccini M.: Come ho visto il
Friuli ....... 5 — Scarfoglio : L* Italia, la Iugoslavia e la questione dal matap,25 Senizza G.: Storia e diritti di
Fiume italiana . . . 1 — Soffici A.: Kobilek (giornale di battaglia) . . . . . 3,50 Stapfer: Les leçons de la guerre 6 — Tomeo F. : Per l’evoluzione religiosa del dopo-guerra- 4 -'Tomeo F. : Per l’evoluzione rcJigiosa del dopo guerra 4 — Wilson : Un soldat sans peur et sang reproche (en mémoire de André Cornet- Auquier). 2,30
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione deli’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20i. •
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Libreria Editrice BILYCHN1S - Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20i.
ZANOTTI-BIANCO e CAFFI I A. : La pace di Versailles, note e documenti (con 20 carte etnografiche c politiche) io —
La Chiesa e i nuovi tempi *3,50
Raccolta di scritti originali di Giovanni Pioli - Romolo Murri -Giovanni E. Ai ci Ile - Ugo Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi -“ Qui Quondam „ - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatotela.
LETTERATURA
Arcari P. : Amie! . . . . 2— Brauzzi U.: I Luciferi . 5 — Bonavia C.: La tenda c la notte ......... 3.50
Chini M.: F. Mistral . . 2 —
Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nella mente di G. Mazzini.
1,50
Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne . . . . . . . 2,50
F. Momigliano: Scintille del Roveto di Staglieno . io —
Gallàrati Scotti T. : La vita di A. Fogazzaro . . . . . io —
Jahicr 1’.: Ragazzo . . 3,50 Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 — Rapini G.: Esperienza futurista
3.50
Sheldon C.: Crocifisso! romanzo religioso sociale tradotto da E.Taglialatela. 2 —
Che farebbe Gesù ?... 2 —
Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 —
Vitanza C.: Spiriti e forme del divino nella poesia di M. Ra-pisardi (conferenze). 1,501
RELIGIONE E STORIA
Buonaiuti E.: S. Agostino 2,70
• » S. Girolamo 2 — !
Cappelletti: La Riforma 6 —i CHI MI NELLI P. : Gesù di Na-zareth . ... (fa ristampa)
—Il Padrenostro e il mondo mo- ' dèrno ....... 3 —
— Bibliografia della Storia della Riforma religiosa in Italia 5 ~
Costa G. : Diocleziano . 3 — (Profili) Ediz. Fornii ggi ni.
— Politica e religione nell'impèro romàno............2 —■
Cumont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romàno ........ 6,50
Di Soragna A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 7.50
Doellinger I. : Il papato dalle origini tino al 1870 . 30 —
Janni U.: Il dogma dell'Eucari-stia e la ragione cristiana 1,25
LOISY A.: Mors et vita. 2,25 — La paix des nations . 1,50 Ottolenghi R.: I farisei antichi e modèrni. . . . 4 —
PETTAZZONI R. : La religione primitiva ih Sardegna 6 —
Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni. ; . . . 5 —
—« La Bibbia» Introduzione al-F Antico e Nuovo Testamento .......... 20 —
— Il significato di « Nazareno » ....... 1,50
TYRREL G.: Autobiografìa e Biografia (per cura di M.
D. Petre) ...... 15 —
A i nostri abbonati non morosi L. 10,50 franco, di porto. Tyrrel G. : Lettera confidenziale ad un professore d'antropologia ...... 0,50 Vitanza C.: La leggenda del « Descensus Christi ad in-feros ■ ....... 1,50 Wenck F.: Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75 X. La Bibbia e la Critica. 2 — X. Lettere di un prete mo
dentista..............3,50
La Bibbia (Vers. Diodati Edizione 1919) ...... 2,50 Nuovo Testamento, tradotto e corredato di note e di prefazioni dal prof, G. Luzzi it$o
Nuovo Testamento e Salmi (e-dizione Fides et Amor) 3 —
Nuovo Testamento e Salmi ad uso dei vecchi ... . . 2 —
I Vangeli e gli Atti degli Apostoli (edizione Fides et A mor) ........ 1,80 • ' z
I Salmi (Edizione Fides et Amor) ...... 1,80
Giobbe, tradotto dà G. Luzzi 1.80
Ianni U.l II culto cristiano ri-. vendicato contro la degenerazione romana . . . . 1 —
Tagliatatela E.: L’educazione nella Chiesa dei primi secoli
3.5°
Taylor G. B.: Il Battesimo 0,50
VARIA
Almanacco» dei ragazzi . 5.50
Beatrice E. : Origini filosofiche ed economiche dell’attuale letta di classe . . . . 4,80
Bai- Jona.: Ite missa est 5 — Cari etti A. : Con quali sentimenti soni tornato dalla guerra ....... 1,50
Majer Rizzoli E: Fratelli e sorelle (Libro di guerra 1915-1918) , ........ 4.50
Merlano F.: Croci di legno 3.50
Niccolini E.: I contadini e la terra .......... 2,50
Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni................2.50
Provenza! D. : Carta bollata da due lire . ■...... 1 —
LIBRI RARI
Calogero Bonavia [Corso Pisani 192, Palermo} offre una BIBBIA riccamente illustrata, rilegata in pergamena, stampata « Lovanii anno 1547 ».
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Scrittori Cristiani Antichi
(Vedi BILYCHNIS, Ottobre 1920 pag. 325)
I. La lettera a Diogneto a cura del Sac. Ernesto Buonai-uti, professore ordinario
2.
3.
di Storia del Cristianesimo nella R. Università di Roma.
La Passione di S. Perpetua e S. Felicita a cura del Sac. Giuseppe Sola, professore di lettere greche e latine nel Liceo-Ginnasio di Velletri.
Ciascuna di queste due opere
in edizione compieta con introduzione, testo e traduzione . . .
in edizione senza testo.............................
in edizione col solo testo ........... .......
L. 3 —
• 2 > 1,50
Della Vida,
Bardesane, Il dialogo delle leggi dei paesi a cura di Giorgio Levi professore di lingua ebraica e lingue semitiche comparate nella R. Università di Roma.
Edizione unica con traduzione e introduzione
L. 3 Seguiranno nel corso dell’anno altri volumi
I volumi si invieranno franco di porto ; per là raccomandazione aggiungere cent. 30.
---------- JRi'V'Oligejrsi «11« •-------------LIBRERIA DI CULTURA - Via Firenze 37 - Roma
N. B. Le ordinazioni possono essere indirizzate anche alla LIBRERIA EDITRICE “BILYCHNIS
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In FEBBRAIO si pubblicherà la seconda edizione
dello studio critico-storico, che, ebbe nella sua prima
edizione così fortunata accoglienza:’
GESÙ DI NAZARETH
DI PIERO CHIMINELLI
Voi. in 8° di circa pag. 550, L. 6.
Prenotarsi presso la Casa Editrice "BILYCHNIS0 ROMA 33 - Via Crescenzio, 2
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— VII!
Casa Editrice BILYCHNIS’
Novità
Si è pubblicato in questi giorni 1* importantissimo volume di PIERO CHIMINELLI : Bibliografia della storia della Riforma religiosa in Italia
E un libro la cui necessità era sentita altamente nel nostro paese. Libro unico nel suo genere, esso riporta alle fonti della storia della Riforma evangelica italiana e ne segue le fortune, con rigoroso metodo bibliografico, dai precursori ai tempi nostri. Esso riporta circa 3000 riferente bibliografiche.
Il volume fregiato d’artistica copertina dell*artista P. Paschetto, di complessive pagine IX-260, è in vendita al prezzo di
----------•—■ Lire 5,00 -—— pressola Librepia “BILYCHNIS”
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Anno X - Fasc. 1.
BILYCHNB
RIVISTA di sTvdi religiosi
EDITADALLAFACOUÁ-DELLASCVOL AJásS öSSSkTEOLOGICA- BATTISTA* DI-ROMA
ROMA - GENNAIO 1921
Vol. XVII. i
ERNESTO HAECKEL
uò sembrar strano a taluno che sia dedicato un articolo ad E. Haeckel, la cui opera òggi non è apprezzata nè dai filosofi nè dagli scienziati; i filosofi considerano Haeckel come niente più che un dilettante e in ogni modo come la figura più rappresentativa della depressione speculativa raggiunta dal positivismo e dal naturalismo nel secolo passato; gli scienziati, se
non proprio come un visionario, lo considerano un costruttore di ipotesi, di teorie non sufficientemente suffragate dai fatti. Eppure, nonostante questi giudizi generalmente sfavorevoli, è innegabile che oggi non si può parlare del movimento filosofico e scientifico del nostro tempo, senza tener conto dell’opera del professore di Jena, morto l’anno scorso all’età di 85 anni.
Si può ben parlare di un « fenomeno Haeckel »: nato egli nel 1834 a Posdam, da giovane mostra grande predilezione per le arti rappresentative e in generale per la contemplazione della natura vivente. Appena laureato in medicina, fa il suo viaggio in Italia e sta per diventare pittore di paesaggio, quando in Sicilia si ricorda degl’insegnamenti ricevuti dai suoi maestri di Germania, più specialmente da Giovanni Müller, e si dà tutto allo studio dei Radiolari, sui quali pubblica, nel 1866, un grosso volume, dove si trova già un‘cenno simpatico della nuova teoria darwiniana. Nel 1866 pubblica l’opera in due volumi sulla Morfologia generale, che vuole essere la dimostrazione della fecondità della teoria evolutiva per la trattazione di quei problemi di morfologia, di embriologia, che si erano andati determinando nella biologia tedesca per l'influsso della «Filosofia della Natura ».L'opera non riesce a riscuotere il plauso dei dotti connazionali come forse l'autore si aspettava; è
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considerata anzi come un frutto tardivo dell’ormai discreditata «Filosofia della natura ». Ed ecco che l’Haeckel, quasi per prèndersi una rivincita, espone gli stessi concetti in forma popolare, pubblicando le conferenze sulla Storia naturale della creazione, libro che ha rapida diffusione, non solo in Germania, ma anche in altri paesi. Dopo alcuni anni se ne hanno già ir edizioni in tedesco ed è tradotto in moltissime lingue. Da questo tempo (1868) E. Haeckel diviene un uomo celebre: e fino alla sua morte esplica la sua prodigiosa attività in due direzioni: nella trattazione di argomenti scientifici particolari, rivolti però sempre alla dilucidazione e dimostrazione di quelle tesi generali che gli stavano più a cuore, e nella divulgazione della teoria filosofica, che egli considera come l’espressione definitiva della verità (monismo evoluzionistico).
Può ben affermarsi che nessun cultore di scienze raggiunse la popolarità del’Haeckel negli ultimi 30 anni del secolo passato; i suoi libri, i suoi articoli erano cercati dappertutto e letti con avidità da tutti. la rapida diffusione del darwinismo e l’efficacia da esso esercitata su tutta la cultura del nostro tempo sono da mettere a carico, in-buonissima parte, dell’insistente apostolato esercitato dall’Haeckel. Non mancarono certo le opposizioni e le critiche, spesso vigorose, da parte di filosofi e di scienziati, ma niente valse a scuotere la fiducia del pubblico nel valore della dottrina evolutiva e quindi del monismo haeckeliano.
La classificazione filogenetica è quindi la costruzione dell’albero genealogico delle principali classi del régno animale, la legge biogenetica fondamentale, la teoria della gaslrea, l’esistenza delle monere, che costituiscono come i principali dogmi della dottrina dell'Haeckel, erano pressoché universalmente accettate senza discusssione. La voce degli oppositori rimaneva sempre come soffocata dal coro degli apologisti, i quali non avevano che parole di disprezzo per gli avversari; chi ardiva dubitare delle nuove ipotesi sull’origine delle specie animali e vegetali, ó rimaner perplesso di fronte alla possibilità di cancellare qualsiasi differenza tra il mondo organico e l’inorganico, era senz’altro giudicato come retrogrado nel campo della scienza e, in ogni modo, come inetto a liberarsi da vecchi pregiudizi e da credenze superstiziose. Ogni critica è esclusa; una cosa sola si crede di potere e di dover ancora fare, ed è di estendere ai vari campi della vita spirituale e civile i principi, accettati come inconcussi, in tutta la scienza della natura esterna. All'inizio del nuovo secolo l’orientamento generale dello spirito muta: al dogmatismo naturalistico si sostituisce l’atteggiamento critico, comincia l’esame, da parte di scienziati e di filosofi, del valore delle teorie e dei principi di tutte le scienze e quindi anche di quelle biologiche. Con tale movimento d’idee coincide il mutamento nella fortuna dell’Haeckel: i suoi libri cominciano ad esser sottoposti ad una critica sagace e insistente; lacune ed errori, su cui prima si erano chiusi gli occhi, sono rilevati con rigore ed anche con asprezza; le dottrine fondamentali, come quelle della legge,biogenetica, della gastrea, ecc. sono dimostrate prive di ogni valore e offrono finanche occasione a motteggi. Il pubblico non vuol più saperne di Haeckel, come in generale non vuol sapere dei naturalisti e dei positivisti che prima erano stati posti sugli al-
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tari. La fortuna di Haeckel così rispecchia bene il ritmo della nostra vita scientifica e filosofica negli ultimi 50 anni.
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Haeckel è il rappresentante di quella specie di dilettantismo scientifico-naturalistico, che potè acquistare credito e diffusione, e giungere a prevalere in quasi tutti i paesi civili dal ’70 in poi, solo perchè favorito dal concorso di speciali cir-stanze. Le dottrine potettero esser accolte col maggior favore dal pubblico, perchè, mentre erano presentate da chi si professava scienziato, erano poi rese, cogli opportuni adattamenti, accessibili al gran pubblico. Lo scienziato doveva avere certe doti e disporre di certi mezzi, perchè potesse agire sulla massa del pubblico, come del resto questa massa doveva essere particolarmente disposta ad accogliere il nuovo verbo. Fatto sta che nessuno degli scienziati del tempo di cui si parla si trovò in condizioni di fare quel che fece Haeckel per la dottrina darwiniana, e questo perchè nessuno aveva la tempra di apostolo, che egli ebbe, e nessuno disponeva di quei mezzi (fermezza, costanza, energia, combattività, fede assoluta nella dottrina professata, fiducia inconcussa nel trionfo di essa) di cui egli disponeva. La tempra dell’Haeckel, tempra di apostolo e di profeta, richiama alla mente quella di parecchi suoi connazionali, che fu poi in termini lapidari descritta da Fichte (1), quando disse: « Ich habe nur eine Leidenschaft, ein Bedürfnis, ein volles Gefühl meiner selbst: das äusser mir zu wirken »; ovvero, rivolto a Reinhold: «Sie sagen, der Philosoph solle denken, das er als Individuum irren könne, das er als solcher von andern lernen könne und müsse. Wissen sie, lieber Reinhold, welche Stimmung sie das beschreiben: die eines Menschen, der in seinem ganzen Leben noch nie von etwas überzeugt war! ». Proprio così: Haeckel non ha mai l’ombra del dubbio sulla legittimità delle sue tesi e quindi del suo credo scientifico e filosofico. Quel* che egli afferma è verità inconcussa che merita di essere propagata a qualunque costo e con tutti i mezzi. Si può ben dire che egli sia l’uomo di una sola idea, dell’idea dell’evoluzione; ma quell’idea agli ocelli suoi è luce che, penetrando dappertutto, tutto rischiara e tutto vale a illuminare.
L’ufficio che l’Haeckel si era assunto, di liberare la mente da ogni pregiudizio, informandola alle nuove idee scientifiche, potè assolvere, perchè egli riuscì a trasfondere nell’anima dei suoi numerosissimi lettori l’ardore e la sicurezza delle sue convinzioni. Haeckel non è il ricercatore che, chiuso nel suo gabinetto, procura di alzare qualche lembo del fitto velo che cela agli occhi nostri la natura delle cose, senza preoccuparsi dell’eco che le sue scoperte possano avere nel mondo; ma mira principalmente a far dei proseliti; donde lo sforzo continuo a semplificare, a schematizzare ,é a chiarire più del lecito e del possibile, non disdegnando fìnanco, quando lo credesse necessario per il conseguimento del suo scopo, di alterare la rappresentazione degli oggetti effettivamente osservati. Era così perii) K Fischer, Fichtes Leben, Werke und Lehre. Heidelberg, 1900.
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suaso della verità e insieme dell’utilità delle sue teorie e concezioni, che credeva di defraudare l’umanità di un bene inapprezzabile col trasturare qualcuno dei mezzi che fossero più adatti a diffonderlo ad una cerchia sempre più estesa.
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Sarebbe errore però credere che il « fenomeno Haeckel » sia dovuto esclusivamente all’indole dell’ingegno di lui: è da tener conto anche delle condizioni particolari in cui la scienza e la filosofia vennero a trovarsi intorno alla metà del secolo passato. È noto come le costruzioni fantastiche della così detta « filosofia della natura » fiorita specialmente in Germania nel periodo romantico, avevano avuto per effetto di produrre nell’anima degli scienziati, scrupolosi osservatori dei fatti, una vera e propria avversione per la filosofia e determinato un vero e proprio distacco della scienza dalla filosofia. Parve a taluni che il progresso della cognizione scientifica potesse essere assicurato solo a condizione che fosse esclusa qualsiasi indagine di ordine generale o qualsiasi tentativo di costruzione sintetica; ai filosofi era lasciata libertà di spaziare negli aerei campi della speculazione col trattare di problemi spesso insolubili intorno all’essenza e all’origine di tutte le cose, intorno al destino dell'uomo e del mondo, ma doveva essere vietato di intromettersi nel lavoro scientifico, rivolto alla determinazione dei fenomeni e delle loro leggi.
Senonchè codesta divisione dei poteri tra filosofia e scienza potette sembrare legittima ed anche possibile, finché ci si arrestò a considerazioni di ordine generale ed astratto; ma appena ci si trovò nel campo dei fatti reali concreti, si venne ad urtare in difficoltà di ogni genere. Nessun dubbio sulla possibilità, anzi sulla necessità, di distinguere tra filosofia e scienza nel senso che ciascuna ha problemi speciali da risolvere e quindi ha un contenuto suo proprio; ma dal riconoscere questo al proclamare l’indipendenza assoluta dell’una forma di cognizione dall’altra, ci colie molto. La cognizione scientifica, a misura che si estende e si approfondisce, non può non condurre a problemi d'ordine generale, coinè d’altra parte la filosofia, in quanto definizione di tutta la realtà e ordinamento sistematico delle cognizioni umane, non può non riferirsi continuamente ai risultati del lavoro scientifico.
E di un'altra cosa è da tener conto: cognizione scientifica e cognizione filosofica non possono presentare opposizione, appunto perchè entrambe sonò rese possibili dagli stessi mezzi e dagli stessi organi. La trasposizione della conoscenza scientifica nella filosofia non può avere per effetto di modificarne la natura, come d’altra parte la cognizione filosofica non può avere per compito di darci una rappresentazione della realtà che sia in contrasto o anche differente da quella della scienza: filosofia e scienza dispongono degli stessi mezzi per apprendere il reale e quindi non possono arrivare a risultati diversi, sempre, s'intende, che facciano un uso legittimo degli organi di cui ciascuna dispóne.
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F. DE SARLO, Ernesto Haeckel.
(Vol. XVII. Tav. I]
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Data, dunque, l’impossibilità di mantenere il distacco, si capisce come il problema dell’azione reciproca dell'una cognizione sull’altra dovesse risorgere e farsi ognora più vivo e assillante. Poiché la speculazione, volendosi intromettere nella scienza, aveva fatto cattiva prova, ecco che la scienza, quasi per prendere la rivincita, finisce pei* volersi sostituire alla filosofia. Il movimento positivistico naturalistico, come si svolse specie in certi paesi, non rappresenta, in fondo, che l’esecuzione di questo disegno. Per un verso è del tutto dimenticato che la filosofia non è soltanto definizione della realtà o costruzione metafisica, ma è anche, e principalmente, determinazione della natura, del {valore e della origine delle conoscenze e quindi delle idee, e per l’altro è cancellata ogni differenza tra i vari ordini di sapere e di esperienza, in modo che viene ad essere attribuita ad una scienza particolare la capacità di darci la rivelazione completa ed adeguata della realtà tutta quanta.
Tutta l’opera dell’Haeckel, che in fondo trae i suoi motivi fondamentali dalle teorie biologiche venute in credito verso la metà del secolo passato, vuol essere appunto interpretazione e costruzione sistematica della realtà. E come è assolto codesto compito? Col ricalcare, in fondo, le orme di quei filòsofi a cui si crede di doversi opporre.
Agli occhi dell’Haeckel tutte le indagini relative al.la natura e all’origine delle idee non hanno importanza di sorta; quel che importa è di proclamare il primato, anzi l’assolutezza del conoscere naturalistico di fronte ad ogni altra specie di conoscere; quel che importa è opporsi òon tutte le forze ad ogni filosofia la quale tenda a conservare le differenze, che pure esistono, tra i vari ordini di realtà, a distinguere lo spirito dalla materia, Dio dal mondo. La sua concezione monistica, immanentistica, evolutiva, per ciò stésso che considera lo spirito come il fastigio dell’evoluzione di tutta la realtà, può ben meritare il nome di spiritualismo assoluto, per lo meno allo stesso titolo in cui merita quello di materialismo assoluto. Tanto è ciò vero, che egli non ha e non può aver difficoltà ad attribuire una anima alle cellule e quindi agli atomi. Certo un'intima contraddizione travaglia tutta la costruzione xhaeckeliana: mentre è proclamata l’unità della materia e dello spirito, nell’interpretazione delle varie categorie di fatti c specialmente dei fatti spirituali, viene ad esser attribuita alla materia e quindi alle proprietà e agli attributi che la costituiscono, un valore e una priorità che non sono attribuite allo spirito. Ma, nonostante le contraddizioni, la posizione speculativa dell’Haec-kel non può non richiamare alla mente quella dei monisti romantici.
« Sempre più chiaramente s’impone alla ragione meditante — ecco quel che diceva l’Haeckel nella sua conferenza intitolata: Il monismo quale vincolo fra religione e scienza, 1892 — la necessità di non contrapporre Dio come ente esteriore al mondo materiale, ma di collocarlo come « forza divina » o come « spirito motore » nell’interno del cosmo stesso. Sempre ci appare più chiaro che tutti i fenomeni meravigliosi della natura che ci circonda, sia organica, sia inorganica, non sono: che prodotti diversi della stessa forza primitiva, combinazioni diverse della stessa
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materia primitiva. Sempre più irresistibilmente ci si manifesta la certezza che anche la nostra anima umana non è che una parte infinitesima di questa «ànima universale » che abbraccia tutto, come pure il nostro corpo umano non è che una particella individuale del grande universo corporeo organizzato. «Uno spirito vive in tutte le cose; tutto l'universo conoscibile esiste e si sviluppa secondo una legge fondamentale comune». L’Haeckel, è vero, trae il concetto unitàrio della natura dalle scoperte della fìsica e della chimica (leggi della conservazione della forza e della materia, sintetizzate nella legge della conservazione della sostanza), ma d’altra parte suppone animati gli atomi, e proclama che uno spirito vivente immateriale è altrettanto inconcepibile quanto una materia morta senza spirito.
« L'universo deve esser concepito come un tutto che si trovi in movimento continuo; la materia infinita che lo riempie oggettivamente, è denominata « spazio » nella nostra rappresentazione soggettiva; l'eterno movimento di questa, il quale rappresenta oggettivamente un’evoluzione periodica rientrante in se stessa, è detto soggettivamente « tempo » . Queste due « forme dell’intuizione » ci convincono dell'infinità e dell’eternità dell’universo (sic!).' Con ciò è però anche detto che tutto l'universo è un « mobile perpetuo » che comprende ogni cosa. Questa infinita ed eterna «macchina dell’universo » mantiene se stessa in movimento etèrno ed ininterrotto, poiché ogni ostacolo è compensato da un equivalente dell’energia, perchè la somma infinitamente grande dell'energia attuale e potenziale rimane eternamente la stessa » (i). Questo brano dà bene un’idea di tutta la costruzione haeckeliana. Le affermazioni più arbitrarie e spesso contradittorie sono presentate come verità inconcusse, come veri e propri assiomi: questo perchè? Perchè così è richiesto dalla teoria monistica che deve essere sostenuta a tutti i costi, anche di fronte alle illogicità più evidenti. Il concetto del perpetuum mobile, dichiarato assurdo per una parte dell'universo, è ammesso come vero e di significato fondamentale per tutto il cosmo; si noti, per lutto il cosmo, quando poi questo stesso cosmo è detto infinito, eterno, ecc. Perchè? Perchè solo così può esser confutata la dottrina fàW entropia, la quale non può esser giusta pel fatto che includerebbe l’idea della fine e quindi del principio del mondo, idee queste, insostenibili, perchè contraddicenti alla legge della sostanza, che viceversa poi non può esser riscontrata vera che nei sistemi chiusi e quindi in parti dell’universo. «Non esiste un principio del mondo, come non ne esiste una fine. L’universo, com'è infinito così è sempre in movimento: ininterrottamente si ha una trasformazione di forza viva in forza di tensione e viceversa; e la somma di questa' energia attuale e potenziale rimane sempre la stessa... Nel gran Tutto dell'universo (si badi) si devono determinare condizioni in cui è possibile anche la trasformazione del calore latente in lavoro meccanico»; E questo fia suggello.
Il monismo; a giudizio dell'Haeckel, non pone altra legge come regolante il complesso dei fenomeni che quella meccanica di causalità, legge che s’identifica
(x) Cap. XIII dei Problemi dell''Universo. Torino, 1904.
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con quella di evoluzione, perchè in fondo il passaggio da una ad un'altra forma della realtà non è che il risultato necessario dell’azione delle forze inerenti agli elementi ultimi. « Una grandiosa metamorfosi si compie ininterrottamente in tutte le parti dell’universo infinito, come nella storia geologica della nostra terra. In una parte del cosmo noi vediamo, coi nostri telescopi perfezionati, formidabili macchie nebulose che sono formate da masse gassose incandescenti estremamente rarefatte; noi le interpretiamo come germi di corpi celesti che distano miliardi di miglia e si trovano nei primi stadi dell’evoluzione. In una parte di questi «germi astrali» probabilmente gli elementi chimici non sono separati, ma sono con una temperatura enorme (calcolata a milioni di gradi) riuniti nell’elemento primordiale (pro-tile). Dei tanti pianeti che circondano i soli sparsi nell’universo, migliaia dovettero trovarsi nello stadio evolutivo che permette la formazione della sostanza vivente. Le monere dovettero così originarsi per generazione spontanea dai nitro-carbonati inorganici, seguendo poi il solito corso evolutivo che è stato possibile ricostruire qui sulla terra col sussidio fornito dall'embriologia, dalla paleontologia, dalla morfologia comparata. » I vari enigmi dell’universo si riducono così per l’Haeckel ad uno solo, a quello della Sostanza. « Che cosa è dunque veramente, egli si domanda, questo miracolo universale, onnipotente, che il naturalista realista magnifica come Natura o Universo, il filosofo idealista come Sostanza o Cosmo, il pio credente come Creatore o Dio? La risposta è diversa a seconda del punto di vista di chi si fa la domanda e a seconda delle sue cognizioni intorno al mondo reale; bisogna confessare però che la vera essenza della sostanza diventa sempre più meravigliosa ed enigmatica, quanto più impariamo a conoscere a fondo le sue infinite manifestazioni e la sua evoluzione ».
La concezione haeckeliana, come si vede, poggia tutta sulla equivocazione di significato della parola sostenza, la quale, secondo che è richiesto e che fa comodo, ora è caratterizzata per mezzo di attributi esclusivamente materiali, ora per mezzo di attributi spirituali. Quando l’Haeckel teme di cadere in una forma qualsiasi di spiritualismo, non disdegna di darsi in braccio al materialismo ; quando, invece si trova di fronte alla difficoltà di derivare i vari ordini di fatti osservabili nello universo (fatti chimici, vitali e psichici) da quelli puramente meccanici, non disdegna di definire la sostanza mediante attributi di ordine spirituale: uscendo così a dire, per es., che il più semplice fenomeno chimico come il più semplice fenomeno fisico non si possono concepire senza ritenere che la facoltà di sentire e di muoversi sia attributo altrettanto inseparabile dalla sostanza, quanto quello di essere estesa; ovvero anche che, se si considera Dio come la somma di tutte le forze e di tutte le azioni, il monismo viene a coincidere col più puro monoteismo. Per un verso l’Haeckel sembra respinga con orrore ogni teoria che attribuisca una coscienza alle cellule, agli atomi, ecc. e per l’altro è disposto a concedere una forma di psichicità non solo alla materia vivente, ma anche a quella bruta. Per un verso sembra che consideri ogni forma di psichicità come derivabile esclusivamente da determinate condizioni dell’organizzazione materiale, e per l’altro pone a base di ogni forma di organizzazione e anche di ogni processo materiale una forma di psichicità.
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La miglior prova del dogmatismo e insieme del semplicismo che pervadono tutta la costruzione haeckeliana, si ha nell’interpretazione che è data dei fenomeni della vita morale e religiosa. L’Haeckel ritiene che basti il fascino derivante dall’osservazione dei fenomeni della natura e la conoscenza delle leggi che li regola, per intendere che il vero valore della vita non sta nel godimento materiale, ma nel fatto morale; che la vera felicità non si trova nei beni esterni, ma riposa nella virtù della vita. Il senso del dovere avrebbe poi il suo fondamento ultimo finanche .negl’istinti sociali che si riscontrano negli animali superiori viventi in società. Si capisce come i precetti dell’amore di se stesso (egoismo) e quelli dell'amore del prossimo (altruismo), siano da ritenere egualmente naturali ed indispensabili; e come meta ultima di ogni etica razionale debba esser lo stabilire un equilibrio naturale tra i due amori.
La scienza naturale infine, dopo aver abbattuto ogni forma di superstizione e di credenze illusorie sul trascendente, non può avere altra religione che quella del vero, del bello e del buono. « L’uomo moderno; conclude l’Haeckel, che possiede la scienza e l’arte — e con ciò insieme anche la religione — non ha bisogno di chiese sul tipo di quelle già esistenti nelle altre specie di culto. Dappertutto nella libera natura, dovunque volga lo sguardo sull’universo infinito, o su una parte di esso, trova, è vero, la dura lotta per resistenza, ma accanto a questa, anche il vero, il bello, il bene; dappertutto trova la sua chiesa nella magnifica natura ».
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Qui ci fermiamo nell’esposizione della concezione haeckeliana. Sarebbe facile oggi mostrare tutti gli errori in cui il naturalista di Jena cadde o volle cadere per il bisogno che sentiva di completare i risultati delle osservazioni dei fatti con costruzioni de^ tutto fantastiche e con assunti arbitrari: sono ormai divenute proverbiali le falsificazioni di Haeckel ed esiste purtroppo, quasi si potrebbe dire, una letteratura, in senso favorevole e in senso contrario, sull’argomento; ma non è il caso di fermarsi su tutto questo che ormai appartiene alla storia. Del resto oggi l'interesse degli scienziati è rivolto a qualcosa che oltrepassa il dogmatismo haec-keliano, cioè alla revisione critica dei principi fondamentali di tutta la teoria della evoluzione. Agli ocelli nostri il monismo haeckeliano ha oggi un solo interesse: quello di dimostrare come la metafìsica dell’Haeckel a fondo naturalistico, nei suoi tratti principali venga a coincidere con una certa metafisica speculativa, e ciò perchè essa, al pari di quest’ultima, avendo abbandonato il campo solido dell’osservazione e della rigorosa e legittima deduzione dai fatti, diede libero corso alla fantasia, procurando di adattare i fatti alle teorie che si intendevano propugnare ad ogni costo.
Il linguaggio dell’Haeckel in niente si distingue da quello, degli epigoni dello idealismo romantico. Si apra qualcuno dei libri più recentemente dissepolti, ad edificazione delle nuove generazioni di filosofi, e subitosi troveranno brani del tenore
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seguente: « La condizione assoluta della possibilità della filosofia è che ci sia un principio, un’essenza, una virtù assolutamente universale, e che perciò tutti gli oggetti delle scienze particolari (tutte le cose naturali, umane e divine) si possano considerare e intendere come là manifestazione e l’esplicazione sempre più verace appunto di questo principio, di questa essenza o virtù assolutamente universale. ...L'universo tutto quanto è lo svolgimento e la vita di un principio unico ed assoluto ». « E come potrebbe esser diversamente, se per determinare la natura di una cosa qualsiasi si risale al concetto superiore, fino naturalmente a raggiungere l'ultimo che è il comune a tutti e, stabilito che sia il contenuto di questo, ci si fa a vedere in che modo la cosa che si vuol definire, accoglie in sè questo contenuto del concetto superiore, in che modo lo differenzia e specifica; in che modo gli dà quella forma determinata per cui essa si differenzia dalle altre, che sono sottoposte allo stesso concetto? » (i). Si aggiunge, è vero, che l’identità del tutto, la verità suprema o assolutamente universale non ha un’esistenza reale immediata, ma esiste nella e per la riflessione filosofica; però tutto questo, se vale a complicare ancora di più la faccenda e a rendere ancora più insostenibile la posizione monistica idealistica assoluta, nulla toglie al fatto che la realtà è posta in un processo di differenziazione e di specificazione di qualcosa d’identico e d’indeterminato, che, in quanto tale, può essere chiamato materia o spirito: Perciò stesso che è destinato a raggiungere la forma di suicoscienza, è da ammettere che avesse la capacità di farlo e che fosse auto-coscienza potenziale. La realtà effettiva non può esser riposta che in tutto il processo evolutivo, il quale si può ben dire che assume forma definita e celebra la propria natura principalmente nel termine che alla fine raggiunge (Spirito, coscienza).
* Del resto non è da meravigliarsi dei riscontri a cui si accennava tra il monismo haeckeliano e quello idealistico, quando si tien conto di tutta la formazione spirituale dell’Haeckel e deH'influsso che questa dovette esercitare sulla sua opera. È noto come dal sec. xviii in poi l'attenzione dei biologi fosse principalmente rivolta alla considerazione della forma, della struttura degli-esseri. Linneo, Cuvier, Jussieu, Decandolle, Geoffroy, Goethe e tutti i morfologi idealisti proclamavano che un essere vivente qualsiasi, un animale, una pianta, poteva essere veramente compreso solo quando ne fosse interpretata la forma; c’erano differenze nell’apprezzamento dei caratteri formali e nella spiegazione che di questi si dava: vi era chi, fermandosi specialmente a c onsiderare la distribuzione delle varie parti, le simmetrie, quasi potremmo dire l’architettonica, cercava di geometrizzare l’organismo; vi era invece chi fermava più specialmente l’attenzione sull’ordine e sul piano generale dell'organizzazione, e credeva di poter quasi leggere, attraverso la forma, l’idea espressa; c’era chi tentava la costruzione di uno schema attraverso i mutamenti
(i) Maturi, Introduzione alla Filosofia. Bari, Laterza, 1913, pag. 27 e 31.
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delle forme particolari e concrete; e c’era infine chi si proponeva di ricondurre le varie forme all’azione di determinate cause meccaniche. Non mancarono biologi che s’ispirarono a principi diversi nell'interpretazione dèi fenomeni vitali. Lamarck, per es.» prese a considerare, a preferenza dell’organizzazione, là maniera di vivere, i bisogni, i rapporti dell’individuo coll’ambiente, l’attività psichica ecc., ed Oken stesso si propose di classificare gli animali secondo le loro differenze di ordine fisiologico: questi tentativi però non giunsero ad esercitare vera efficacia nella scienza prima che Darwin formulasse la sua teoria, la quale tendeva a dimostrare che le varie specie di piante e di animali acquistavano i loro caratteri in virtù dei rapporti in cui si venivano a trovare, in date circostanze, coll’ambiente. La posizione così in biologia venne ad esser capovolta; non è più la morfologia, l’embriologia, la paleontologia, la sistematica, che attira l’attenzione; ma sonoi concetti di selezione, di lotta per l'esistenza, di ereditarietà, di variabilità, di distribuzione geografica, che sembra offrano il mezzo di spiegazione più agevole dei fenomeni più complessi. Le nozioni di classe, di tipo, di unità di piano perdono della loro importanza e sono sostituite da'altri concetti come quelli di concorrenza tra gli individui in cerca di alimento, di adattamento, di variazione spontanea (indefinita) o di variazione per cause determinate. Ora Haeckel accetta senz’altro la teoria dar winiana che egli non esita a porre tra le più importanti conquiste della scienza, ma nel fatto poi conserva lo spirito orientato verso la biologia come si era andata costituendo in Germania per tutta la prima metà del secolo xix. In tutta la sua opera di divulgazione della teoria dell'evoluzione egli prende sì in considerazione' — e come potrebbe fare altrimenti? — per un verso la variabilità degli animali con le corrispondenti cause e conseguenze e per l’altro l’ereditarietà quale mezzo di fissazione dei nuovi caratteri, ma tutta questa parte egli cerca di sintetizzare e, quasi direi, di riassumere nei più brevi termini possibili, mentre si ferma a lungo a chiarire l’affinità degli organismi, e la loro morfologia, mostrando l'intento di voler > come utilizzare le nuove teorie evolutive, per dare nuova vita alla sistematica e all’embriologia. Le teorie biològiche propriamente haeckeliane come la teoria della gastrea, la legge biogenetica fondamentale, • la teoria delle monere e tutta la sua filogenia rispondono appunto a tale esigenza. La filogenia come fu costruita dal-l’Haeckel non è, in fondo, che il travestimento della morfologia idealistica in un nuovo linguaggio. Quando si afferma la affinità fra certe piante, certi animali, non ci si fónda sull’identità della cause meccaniche che avrebbero determinato le corrispondenti forme o sulla somiglianza delle condizioni di ambiente, bensì sulla somiglianza di struttura degli esseri adulti ovvero su quella dello sviluppo embrionale. E codeste somiglianze o analogie, si noti bene, non sono constatate con metodo differente da quello adoperato- dai vecchi morfologi o da naturalisti come Cuvier, Geoffroy, ecc.: il metodo è sempre quello comparativo: considerazione comparativa delle varie forme adulte; comparazione dei processi evolutivi degli individui appartenenti a classi diverse; comparazione tra i viventi e i fossili e così via. Certo, mentre i morfologi idealisti si fermano alla con-
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statazione delle affinità, mirando soprattutto a rintracciare il sistema naturale, gli evoluzionisti invece mirano a tradurre la semplice affinità in parentela. Ma, se ben si riflette, questo non reca un mutamento sostanziale nella determinazione dei rapporti tra gli esseri viventi. Le nozioni fondamentali tanto in uso nella morfologia idealistica come quelle di omologia, di analogia, di differenziazione, di divisione del lavoro, ecc. si trovano adoperate anche dall’Haeckel. Egli insiste sul fatto che l’affinità non è semplice analogia, ma è parentela, discendenza da uno stesso stipite; che l’omologia degli organi, depone per somiglianza di struttura interna, mentre l'analogia per somiglianza funzionale, donde poi la conseguenza che se l’omologia accenna a rapporti genealogici, l’analogia accenna a semplici rapporti di adattamento; rimane però sempre fermo che non vi è altro mezzo di dimostrare l’affinità di sangue, l’ereditarietà e l’acquisizione delle particolarità di struttura, che la comparazione, la quale serviva appunto a dimostrare l’omologia, l’analogia, l’affinità, gcc. (i).
Quando si esamina a fondo la cosa, si trova che quel che Haeckel veramente muta è solo il nome: la morfologia in lui diventa filogenia, e la filogenia haecke-liana implica questi principi: l’essenza propria di una classe di esseri viventi risulta dalla considerazione della loro forma, la quale poi è determinabile solamente mediante la comparazione degli individui allo stato adulto e allo stato embrionale e si risolve in un complesso di proprietà permanenti attraverso le variazioni accidentali. Sono queste proprietà che, unite in una specie di schema, ci dànno l’idea dell'organismo nella sua forma fondamentale, organismo il quale è assunto come il progenitore di tutti gli individui che fornirono il materiale per la costruzione dello schema. Seguendo questo procedimento, l’Haeckel si credette appunto autorizzato a costruire i suoi diversi alberi genealogici: quello dell’uomo, prendendo le mosse dall’ameba, quello del regno animale risalendo fino alle sue monere, e poi finanche quello di tutti gli esseri viventi. Si voleva distruggere la teoria dei tipi animali come era stata presentata dal Cuvier, ma, nel fatto, della considerazione dei tipi o delle classi non si potè fare a meno, se anche si credette di poterli ridurre di numerò; quel che si voleva assolutamente eliminare/’ l’idea dell'organizzazione secondo un certo piano; ma che cosa poi vi si sostituì? L’idea che ciascun individuo fosse da considerare come il risultato dell’accumularsi di variazioni accidentali! Si può ben concedere che l’organizzazione rappresenti, per molti rispetti, più che l’effetto di cause operanti direttamente sulla materia vivente, il prodotto dell’evoluzione storica; ma da dire questo a considerare tale formazione come effetto di cause accidentali, ci corre molto! Comunque sia, tra gli anni 1870 e 1890 la costruzione di alberi genealogici divenne un tema di moda, nonostante i motteggi di scienziati come Du. Bois Reymond, il quale nel 1876 disse che gli alberi genealogici dell’Haeckel avevano presso a poco lo stesso valore di quelli degli eroi di Omero alla luce della critica storica.
(1) V. Radi. Geschichte der biologischen Théorien. Parte 2a, Leipzig, 19x9.
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Ed ora che abbiamo abbozzato nel miglior modo che ci è stato possibile la figura dell’Haeckel e che abbiamo anche accennato alla fortuna che egli ebbe, possiamo ben fare questa constatazione: che l’efficacia, la diffusione, la voga di certe teorie non è affatto in rapporto diretto col valore delle prove recate in sostegno di esse e quindi non è nemmeno garenzia della loro verità; il « fenomeno Haeckel » lo dimostra nel modo più luminoso. Le critiche più concludenti cui furono sottoposte dagli scienziati più competenti le teorie principali dell’Haeckel, non valsero a scuotere menomamente la fede dei molti credenti nel verbo haeckeliano in tutto il mondo, fino a che lo spirito generale rimase orientato verso il naturalismo e l’evoluzionismo meccanico.
Fu necessario il mutamento di orientazione determinato da cause di vario ordine, ma provocato specialmente dall’autocritica della scienza, per rendersi finalmente conto degli errori e della vacuità del pensiero haeckeliano. Prova luminosa questa dell’efficacia della suggestione collettiva anche nella sfera intellettuale.
F. De Sarlo.
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L’ATTUALITÀ DI TREITSCHKE
n acuto saggio di Filippo Burzio su L’attualità di Trcitschke c'induce a riprender tra mano l’opera di questo grande storico e teorico della politica, cui la guerra procacciò sì vasta'e cattiva nominanza, e ad esaminare brevemente quanto in essa siavi ancora di attuale dopo la terribile esperienza di questi anni. Tanto più volentieri ritorniamo per un poco all’opera di Treitschke, in quanto nessun valore scientifico sapremmo attribuire alle ignominiose sciocchezze che su quella nobile ed austera figura di pensatore versò a piene mani il bastardume interventista nei bei tempi in cui si fischiava Wagner e si boicottava Beethoven. A Treitschke quelle degne persone fecero qualcosa di peggio: gli piantarono in testa un elmo a punta, gli misero una pipacela in bocca, uno sciabolone in mano; e, così cambiatigli i connotati, l’additarono al pubblico come il teorico dello Stato autocratico ed accentratore, come l’adoratore dello Stato-caserma, e, di riflesso, come uno dei responsabili della guerra mondiale.
E pure, bastava aver letto con diligenza le due opere che di lui sono state tradotte in italiano {La Politica e La Francia dal primo Impero al 1871) per accorgersi che la caricatura non riproduceva neanche lontanamente i tratti più spiccati di quell’appassionata fisionomia, e che lo spauracchio, di cui si pronunciava il nome, irto di consonanti, con la repugnanza di chi poggia i piedi sulla punta delle spade, era uno studioso cauto nei suoi giudizii, che, se simpatie dimostrava, era-per le teorie del libero scambio, dell’autonomia amministrativa, del rispetto della volontà popolare contro ogni arbitraria e dispotica imposizione.
* * *
Secondo Treitschke, è nell’essenza dello Stato di essere sovrano, cioè di non ammettere forza alcuna superiore alla sua, di non aver bisogno òhe di sé per essere e conservarsi in vita. Stato degno di questo no me è solo quello che di sèpuò dire come Gustavo Adolfo: « Sopra di me non riconosco che Dio e la spada del vin-
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citore », che non ammette altre restrizioni alla sua sovranità se non quelle cui egli stesso consente, legandosi per contratto con altri Stati, ma dalle quali in nessun caso si ritiene incondizionatamente impegnato per tutto l’avvenire. Tutti i contratti internazionali sono fatti con la clausola esplicita o sottintesa: rebus sic stanlibus. Mutando le condizioni esistenti quando il contratto fu messo in vita (e di questo mutamento egli solo è giudice), lo Stato cessa di esserne obbligato; e può, anzi deve, rescinderlo, se serbarvi fede riescisse a suo detrimento: principio che scandalizzerà, certo, giuristi ed avvocati, ma la storia non si esamina coi criterii della procedura civile. A maggior ragione, lo Stato non può accettare la giurisdizione di uri tribunale arbitrale, sotto pena di alienare la sua sovranità. Esso non riconosce altra forma di processo che la guerra, non si sottomette ad altra sentenza che a quella delle armi: perciò il diritto di fare la guerra è il diritto essenziale di uno Stato degno di questo nome. La guerra è santa quando è giusta (ed è giusta quando è necessaria), perchè forza gli uomini a superare il naturale egoismo, a trascendere la loro miserabile individualità, e li eleva fino al supremo sacrificio, facendoli comunicare nella vita ampia ed immortale dello Stato. La pace perpetua è il regno del materialismo e della mediocrità: è un ideale immorale che non potrà mai attuarsi, perchè il Dio vivente vigilerà sempre affinchè la guerra, rimedio terribile senza di cui la specie umana impaluderebbe, ritorni, quando è necessario, ad agitare le acque della storia.
La potenza è l'attributo essenziale dello Stato: l'esercito ne è l’incarnazione. I piccoli paesi che non si possono difendere con le armi e devono la vita alle granai Potenze che li tollerano, non sono veri Stati. Solo nel grande Stato gl’individui sentono nascere in sè il sentimento di partecipare ad una vita superindividuale, che ha per teatro delle sue gesta il mondo, per anni i secoli. 11 piccolo Stato, invece, non può avere altro scopo che d’ingrassare i sudditi; e così sviluppa in essi tendenze egoistiche e sentimenti da mendicante. L'individuo ha l'obbligo di sacrificarsi allo Stato, ed il fine dello Stato è il più alto che possa proporsi creatura umana. Se lo Stato non potesse conseguire il suo fine necessario altrimenti che ricorrendo a mezzi giudicati immorali, nulla gli vieta servirsene. La santità del fine santifica i mezzi. La morale dello Stato non va giudicata con i criteri della morale individuale. « L’uomo di Stato non ha il diritto di scaldarsi tranquillamente le mani alle rovine fumanti della sua patria, felice di potersi dire: Io non ho mentito mai ».
Treitschke non è statolatra, e tanto meno socialista di Stato. La vita famigliare, l'agricoltura, il commercio, l'industria, la religione, le scienze, le arti, vanno abbandonate al libero giuoco delle attività individuali e delle associazioni in cui queste spontaneamente si aggruppano. Esse formano la società civile, la quale non ha unità di fine e di volere, è lacerata da lotte intestine, e, abbandonata a sè stessa, condurrebbe alla guerra di tutti contro tutti. Lo Stato, invece, è principio di unità e di organizzazione, è persona superindividuale, cosciente e volente. 11 suo volere, incarnazione degli interessi profondi dell'aggruppamento umano di cui è la forma politica, supera i secoli, attuandosi nell'ampia distesa delle generazioni. Ora, solo i fini di potenza sono tali da superare le contingenze del momento: lo Stato non deve,
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dunque, proporsi altro fine Che la massima potenza. Non dev’essere nè un’associazione economica, nè un’accademia di belle arti. Non che lo Stato universale sia ideale possibile o desiderabile, ma lo Stato deve agire come se aspirasse a diventarlo. Solo in quanto potenza, esso è persona superindividuale e può mantenere la pace sociale: ai suoi voleri deve richiedere ubbidienza incondizionata, e, se rifiutata, imporla con la forza: il cònsenso dei sudditi non gli è necessario: purché sappia farsi rispettare, durerà egualmente per secoli. Il principio di nazionalità non è, dunque, fondamento necessario dello Stato.
* * *
Ad un lettore rapido e disattento può sembrare che Treitschke, in fondo, non faccia che rinnovellare le teorie politiche di Hobbcs, che il suo Stato non sia se non il Leviathan di Hobbes, padrone assoluto della vita e della morte, delle anime e dei corpi dei sudditi, investito del duplice potere, temporale e spirituale, ma, di più, non immobile come lo Stato Hobbesiàno, bensì animato da una formidabile Volontà di potenza alla Nietzsche, che lo lancia alla conquista del mondo. Invece, tra lo Stato di Treitschke e lo Stato di Hobbes la differenza è profonda. Il Leviathan non à altro compito che di mantenere la pace tra i cittadini, i quali, abbandonati a sè stessi, sarebbero l’uno il lupo dell’altro e si piangerebbero fra loro. È per impedire la guerra di tutti contro tutti che, nel contratto sociale che diede origine alla città, ogni potere e diritto fu tolto ai cittadini e deferito allo Stato. Lo Stato Hobbesiàno è lo Stato-carabiniere, incaricato di salvare ad ogni prezzo la pace sociale, mantenendo un terrore invincibile che impedisca alla città degli uomini di ridiventare la foresta dei lupi. Esso poggia su un fondamento essenzialmente utilitario, mentre lo Stato treitschkiano poggia su un fondamento essenzialmente morale.
Per comprendere la politica di Treitschke, bisogna tener presente il principio che tutta la pervade, e che egli ha ricevuto dalla tradizione secolare dello spirito germanico, secondo il quale l'individuo, abbandonato a sè stesso, non avrebbe cura che del suo particolare benessere e tornaconto, sarebbe un animale, sia pure ragionevole, non vivrebbe di vita morale e spirituale. Perchè l’individuo assurga alla vita dello spirito, deve negarsi come individuo. I mistici tedeschi del sec. xm e xiv dicevano: negarsi in Dio. Treitschke dice: negarsi nello Stato. Solo partecipando alla vita dello Stato, vivendola come propria, l’individuo supera la sua miserabile individualità e partecipa di. quella che Fichte chiamava V immortalità terrestre. Sacrificarsi allo Stato è sacrificarsi alla legge morale vivente e. concreta. Lo Stato non ha legge morale al disopra di sè, perchè è la legge e la vita morale in atto. Di qui la concezione quasi mistica che Treitschke si fa della vita politica: di qui il soffio di entusiasmo religioso che passa attraverso l’opera sua e che tanto la distingue dalla gelida lucidità matematica del Leviathan di Hobbes. E si capisce allora perchè la Potenza sia l’attributo essenziale dello Stato di Treitschke: solo uno Stato potente può proporsi fini che sorvolino i secoli, fini superindividuali,
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ed esclusivamente nell'agire secondo, fini superindividuali l'individuo supera la sua individualità e si libra nel puro etere della vita morale.
Se questo principio fondamentale è esatto. Treitschke ha ragione, e non v’è altra politica che la sua. Ma è esso veramente inconfutabile? Certo, isolato da ogni rapporto con altri individui, ridotto a perseguire fini ^esclusi va mente individuali, l’individuo non vivrà altra vita che materiale, non curerà che il benessere della « bestia del corpo », per usare un’espressione della mistica germanica medioevale. Certo, solo superando gl’ immediati fini individuali e costituendosi membro di un ente superindividuale, di un corpo mìstico, i cui fini diventano i suoi, l’individuo può superare l’angusta sfera della sua personalità. Ma è vero che questo corpo mistico non è e non può essere che. lo Stato sovrano? Qui è il nocciolo della questione. Se si'risponde di sì, Treitschke ha partita vinta.
Ma si ricordi che lo Stato di Treitschke, Stato indipendente e sovrano fra Stati indipendenti e sovrani, è una costruzione storica che non ha più di sei secoli di vita, e che nulla fa credere eterna. Vi fu un tempo in cui il corpo mistico, partecipando al quale l'individuo viveva della più alta vita morale, era non Stato fra Stati, ma Stato mondiale: l’impero Romano. Seguì un tempo in cui, al disopra di questo ed in lotta con esso, un corpo mistico incarnò una vita morale ancora più alta e pura: la Chiesa Cristiana. Lo Stato moderno sovrano e indipendente fra Stati sovrani e indipendenti, è emerso lentamente dalla frantumazione della comunità medioevale cristiana e del Sacro romano impero germanico, ed ha raggiunto l'apice del suo sviluppo nel secolo xix, quando fu considerato come la più alta creazione storica, non ulteriormente superabile. Lo Stato di Treitschke non è dunque eterno; è un prodótto storico che, come è nato, può dileguare. E dileguerà certamente, poiché la condizione finale dell’umanità -non può essere quella di una congerie di Stati, ciascuno sovrano e indipendente, ciascuno non riconoscente al disopra di sè che Dio e la spada del vincitore (gli Stati demomassonici fanno a meno anche di Dio), ciascuno lupo dell'altro Stato. Tale era la condizione dell'Europa nei primi del secolo xx. E la guèrra europea ne fu il frutto sanguinoso. Il politeismo politico, la dottrina che vuole una pluralità di Stati sovrani, si risolve nella consacrazione definitiva dell’anarchia statale. Ora, tutto ciò che divide gli uomini e li scaglia l'un contro l'altro, è falso e perituro. Come Ariele, serrato in una quercia fenduta, riempiva la foresta di selvaggi clamori, la terra, oggi scissa in un'antitesi assoluta, si dibatte per uscirne ed ascendere ad una sintesi superiore. Quale? È il segreto della storia. \
Pur difendendosi dall’accusa di costruire una teoria del perfetto Stato, Treitschke ebbe costantemente rocchio ad uno Stato che fu il modello alla cui stregua giudicò tutti gli altri: lo Stato Bismarckiano. Più che da una spontanea evoluzione dello spirito nazionale germanico, lo Stato Bismarckiano sorse da una ferrea e consapevole volontà, aiutata dalle forze di una dinastia e di una casta di feudatari guerrieri. - Donde quel certo che di volontario, di artificiale, e quindi di meccanico e di gelido, che fu l’intimo difetto dello Stato di Bismarck e di Treitschke. Esso
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desidera certo il consenso dei sudditi e l’adesione dello spirito nazionale, ma, occorrendo, ne fa a meno e si regge per forza propria, la sua sovranità non derivando da delegazione popolare, ma attingendo da sé il suo diritto. Certo, esso fa di tutto per promuovere il benessere e la coltura delle classi sociali, ma non si confonde con nessuna di esse, ed i suoi fini sono di gloria e di potenza, librantisi bene in alto sui fini puramente economici delle classi in lotta. Esso è superiore alle classi, compresa la borghesia, come superiori alla borghesia si consideravano i lunkers che ne costituivano la forza ed il sostegno.
La catastrofe militare e il divampare della lotta di classe hanno'segnato la fine dello Stato di Treitschke e di Bismarck. Schierandosi a difesa del privilegio economico borghese, lo Stato ha cessato di librarsi al disopra delle classi, nel puro etere della politica, ha rivelato il suo fondamento economico, è divenuto ciò che Marx lo definiva: l’organo di difesa della borghesia. In pari tempo, poiché la borghesia è oggi la sola depositaria delle tradizioni culturali e patriottiche, lo Stato appare tutore della cultura e dello spirito nazionali. Insorgendo contro la borghesia e lo Stato, i proletariati insorgono, insieme, contro la patria e contro la coltura. Ciò è fatale, ma in ciò è anche il vero ostacolo alla marcia in avanti del proletariato. Questa oggi segna un tempo di arresto, e riprenderà solo in quanto al proletariato riuscirà di strappare alla borghesia il monopolio della cultura e delle tradizioni nazionali, di far rientrare nello Stato dei produttori lo Stato-potenza etica e tradizione storica di Treitschke, in una parola di far coincidere economia e politica.
»
Adriano Tilgher.
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Kall’interrogatorio fatto subire alla vedova del sindaco di Cork per accertare, secondo la legge inglese, le cause del decesso, risulta, secondo il Daily News, questa precisa dichiarazione su domanda se il defunto voleva morire.
«No, non lo desiderava: M ha ripetuto diverse volte che non voleva morire, egli voleva soltanto esser rilasciato libero. — Perche rifiutò il cibo?— Perchè lo si tratteneva ingiustamente. Egli ha iniziato lo sciopero della fame per protestare contro il suo arresto che contraddice alle leggi della repubblica irlandese ».
Questa risposta è perfettamente esatta non solo dal punto di vista individuale, ma da quello collettivo tradizionale irlandese. E cioè il digiuno in Irlanda non è che un rito simile al digiuno rituale degl’indù e dei Cinesi. È strano constatare come nessuno dei numerosissimi necrologi del sindaco di Cork l’abbiano ricordato, tanto più che questa forma di resistenza, anche come mezzo di coercizione giudiziaria, è stata studiata già da tempo.
Recentemente ne ha fatto memoria un dotto polacco: S. Czarnowski, che ne ha parlato in un volume ponderoso sul culto degli eroi e sulle sue condizioni sociali (x). Egli ha ricordato cioè come «digiunare contro qualcuno sia un mezzo di coercizione, di cui i santi usano largamente di fronte ai loro capi. La sua efficacia è tale che la sola minaccia di metterlo in pratica conduce alla resipiscenza i più recalcitranti » (p. 194). Ed ha illustrato queste sue asserzioni con numerosi fatti tolti dalle leggende irlandesi tradizionali, in capo alle quali sta quella di San Patrizio, che dopo un digiuno di 40 giorni piega alle sue richieste Dio, che ha provato, per vincerlo, le tentazioni demoniache e le consolazioni angeliche, e che cede per non avere contro di sè tutti gli abitanti del paradiso e per non permettere che un così grande santo digiuni.
Come si vede i due fatti hanno perfetta analogia e la loro origine è assoluta-mente identica. Il rito del digiuno-protesta è ‘impiegato dagli eroi dell'Irlanda
(1) Le culte des héros et ses conditions- sociales, St. Patrick, héros national de l’Irlande etc., Préf. de H. Hubert. Paris, F. Alcan, 1919, p. XCIV-369.
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IL SINDACO DI CORK E IL CULTO DEGLI EROI
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come mezzo di coercizione, e se in quest’epoca di scetticismo e di violenza esso non ha sortito l’effetto cui tendeva, questo mancato fine non toglie nulla alla caratteristica principale dell’avvenimento che pone- giustamente il sindaco di Cork all'altezza di S. Patrizio come eroe nazionale.
* * *
Ora su questo tipo di eroe — l’eroe nazionale — lo Czarnowski ha imbastito tutto uno studio imponente per erudizione e complessità d'indagine,, col quale si dovrebbe venir a capo della nota questione sorta sul culto degli eroi e sulla loro formazione e classificazione. Questione tanto importante dal punto di vista scientifico e per la ricerca delle forme religiose della vita dei popoli, soprattutto primitivi, che recentemente ha provocato la riflessione di un altro studioso, e non certo dei minori o dei piò impreparati, del Foucart (1). Questi ritiene che il culto degli eroi sia derivato ai Greci dall'età micenea e sia stato limitato dapprima alla razza dominante ed ai suoi maggiori rappresentanti, re e guerrieri. Successivamente questo culto si sarebbe esteso anche alle razze inferiori e si sarebbe poi allargato fino a comprendere eroi anonimi e persino domestici. Concepito come un quid, estrinsecantesi dall'elemento fisico, l'eroe avrebbe dovuto essere sempre connesso all’uso dell’inumazione ed alle cerimonie atte a conservare ad esso la soddisfazione di quei bisogni fisiologici e psichici che possono rendere chiara l’adozione di una tomba con oggetti d’uso personale, sacrifici per il nutrimento, monumenti tali da permetterne la vita d'oltretomba, e l’uscita. La quale, appunto perchè legata ai bisogni testé ricordati, non poteva però effettuarsi se non in un cerchio ristretto, onde quando si trattava di eroi protettori di città la tomba loro doveva esser posta nel centro dell’abitato, in via assolutamente eccezionale di fronte all’inumazione generale.
Il Foucart esamina molto minutamente la differenza del culto degli eroi da quello degli dei; la forma, secondo lui, analoga che avrebbe assunto la potenza degli eroi; i per lo meno due differenti stadi che il culto stesso assunse in Grecia; le diverse concezioni dell’eroe che hanno le principali regioni greche; il declinare della concezione eroica in una forma di culto dei morti, esteso, per bisogni individuali di vanità o di sentimentalità, ai demoni, protettori dell’uomo, quindi allo spirito suo sotto la forma di buon genio, angelo e via dicendo.
Ora tanto l'indagine, del Foucart quanto quella dello Czarnowski non hanno fatto fare neppur un passo alla questione dell’origine e del culto degli eroi. Alla prima basterebbe opporre il fatto, dal dotto francese stesso ammesso, dell’esistenza degli eroi domestici e degli eroi personificanti lo spirito delle cose —- simili agli dei primitivi dei Latini — ai primi dei quali deve riconoscersi un'origine nel culto dei morti, mentre ai secondi non può non ascriversi un'origine animistica.
(1) Acati,. Inscr. et bell, lettres, voi 42.
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All’indagine dello Czamowski poi devesi obbiettare non solo un difetto di orientazione che la inforsa tutta — l’averla cioè limitata alle tradizioni irlandesi le quali possono gettare la luce sugli eroi celtici e non sugli altri, almeno nel senso più specifico, come vedremo poi — ma pur l’averla voluta impostare sulla base, per il momento ancor troppo ampia, del valore sociologico del culto stesso e, quindi, degli eroi.
È vero che al dotto polacco convien riconoscere, anche ad onta di ciò, molto merito, quale, ad es., quello dell’aver connesso al culto degli eroi quello dei santi e anzi dell’aver, attraverso uno di costoro, esaminato la formazione delle leggende, dei miti e delle tradizioni eroiche irlandesi. Egli non è riuscito però ad accorgersi quanto la sua ricerca restava particolare studiando la semplice tradizione irlandese, le conclusioni per la quale potevano appena appena estendersi o lumeggiare alquanto verso le tradizioni e gli usi celtici.
Il carattere, difatti, quasi totemico —di rappresentante cioè di un gruppo — il dire, come fa lo Czamowski ou d’une chose non dice perfettamente nulla — che egli crede dover far assumere all’eroe e il principio di classificazione degli eroi ch’egli stabilisce nella « natura del legame che unisce i membri di un gruppo » può tutt’al più riferirsi ai Celti dalla loro forma sociale. Ed il fatto, indubbiamente indiscutibile, che una simile forma dovevano all’origine avere anche i Latini, mentre potrebbe sembrare a prima vista un ottimo terreno per la comparazione, non diverrebbe che un ostacolo, quando si riflettesse che l’eroe presso i Latini o non esiste o, se lo si vuol trovare sotto altre spoglie, è proprio l’eroe che sovverte la concezione che di esso si è fatto lo Czamowski.
Così il principio, che l’indagine stessa accrediterebbe, della formazione della mitica eroica in occasione delle feste, mentre la localizzazione vi sarebbe secondaria, pone appunto in evidenza il carattere celtico dello studio, perchè appunto, come vuole lo Czamowski, solo durante la festa la società celtica prende coscienza / della sua esistenza come gruppo. Ciò non si potrebbe dire non solo dei Latini, ma neppure dei Greci, presso i quali il culto degli eroi ebbe forme e caratteristiche molto chiare.
D’altra parte il vedere in S. Patrizio un eroe nazionale se è giusto, con le riserve che abbiamo detto, costituisce in fin dei conti un’estensione del carattere territoriale o locale che lo Czamowski ha pur riscontrato negli eroi. Solamente mentre la sua spiegazione dell’eroe non chiarirebbe affatto quest’origine topografica, la teoria del Foucart, non nuova, ma molto precisa, potrebbe fissare questo carattere, dovendosi ritenere che l’eroe abbia, diciamo così, giurisdizione protettiva nei limiti entro cui può aver efficacia la sua azione dipendente dalla localizzazione del suo sepolcro, al quale deve entro breve termine, per ragioni di vita, ritornare. Ciò renderebbe molto più evidente di quel che non sia, sotto altre teorie, la mania da cui furono dominate epoche antiche e recenti di trasportare le reliquie degli eroi, santi compresivi.
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Erronea invece assolutamente è la stiracchiatura che lo Czarnowski fa subire alle sue conclusioni quando nel voler vedere dalla natura del legame che tiene insieme il gruppo, di cui è rappresentante l’eroe, determinata la sua essenza, sostiene che l’impero romano è, come tak\ personificato dall’imperatore come eroe. In questa concezione egli è perfettamente fuori strada, perchè l’apoteosi imperiale e le caratteristiche del sovrano romano sia in vita, sia ih morte sono assolutamente una cosa così diversa, che si farebbe torto al lettore spiegargliela, nè lo si potrebbe per lo Czarnowski farlo qui in poche parole.
| ♦ ♦
Cionondimeno assai interessanti elementi offre lo studio del dotto polacco. Merita conto di ricordare tra gli altri quello che S. Patrizio è cattolico, come potrebbe essere protestante o se si volesse anche d’altro culto qualsiasi se lo si concepisca come veramente lo concepisce l’irlandese, rappresentante cioè dell’Irlanda sopratutto. Ciò venne del rèsto molto sapientemente riconosciuto già da tempo dai propagandisti battisti americahi, i quali poterono dimostrare agl'irlandesi che* l’accettare le loro massime avrebbe voluto dire seguire la dottrina vera e propria di S. Patrizio (si veda W. Catheart, The ancient Brilish and Irish Chnrches, Philadclphia, 1894 in «American Baptist Publication Society»). /
La qual cosa del resto proviene dal fatto che la formazione della leggenda del patrono irlandese è dovuta alle confraternite dei filid di Diodofo e ou«ts4$)
di Strabene = valis dei Galli = lai. vates), che furono i sapienti, i saggpdell’Irlanda ed ebbero nelle mani la tradizione mitica ed epica, tanto che solo attraverso di loro il Cristianesimo potè trovar terreno per la sua espansione. Corporazione chiusa, ereditaria, i cui gradi si acquistavano per iniziazione, essi permisero a S. Patrizio di dirsi uno dei loro, di annunziare l’evangelo come un loro racconto, di rappresentare con essi l'opposizione al druidismo e di costituire così le basi della chiesa irlandese.
I lettori potranno trovare sui legami tra il clero irlandese e la società da cui provenne notizie interessanti nell’opera dello Czarnowski che non posso qui compendiare anche perchè uscirebbe dai limiti che mi son proposto di pormi per parlare del culto degli eroi sulla, scorta sua e del più breve lavoro del Foucart.
* ♦ *
Quello che preme a me nel chiudere questo ragguaglio è di stabilire che sebbene sbagliata nelle sue grandi linee l'indagine dello Czarnowski offre ampi materiali di carattere religioso da sfruttare.
Forse anch’egli, come chi scrive, è convinto che il culto degli eroi proviene dal culto dei morti, sebbene egli non lo dica chiaramente e talvolta sembri lontano da una simile affermazione, ma forse più per scrupolo di erudito che per convinzione di studioso. Se non tutte, certo le maggiori difficoltà che il problema degli eroi
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presenta vengono distrutte se ci poniamo da un simile punto di vista e le esaminiamo con quella larghezza di criteri che il problema impone quando si voglia concedere alla sua impostazione quel tanto di irrazionale che è in modo speciale da consentire soprattutto in questo campo.
Solamente se ci poniamo su questa visuale e se ammettiamo che presso la gente ariana l'eroe talvolta ha appunto il carattere di divinità (Greci), talaltra ha conservato il carattere di defunto (Latini), talaltra ancora ha oscillato tra il rappresentante mitico e quello militare (totemico) della gens che l’ha assunto a eroe (Celti), se non vogliamo esser rigorosi nell’esigerne le espressioni più identiche che sia possibile presso i vari popoli, se ammettiamo le atrofìzzazioni e persino gli annullamenti, possiamo forse comprendere questa manifestazione della concezione religiosa dei popoli che è forse una d<àJle più interessanti.
La concezione dell’eroe è indubbiamente l'espressione di quello stato di riflessione, più o meno oppressa dal sentimento, in cui la mente dell’uomo primitivo ha visto la morte. Da questa teoria, che potrebbe anche sembrare un’esumazione spenceriana, non rampolla no, nell’uomo, il senso del divino, che ha altre vie, ma si irradia quel senso di incertezza che fa assumere corpo alle figure su cui il sentimento — sotto tutte le forme, dall’amore alla paura — si è fermato. L’evoluzione sociale fa il resto, le condizioni delle sue affermazioni completano, atrofizzano, annullano questo semplice principio.
Sul quale la civiltà poi costruisce con tutte le conseguenze del suo organizzarsi. I santi egli eroi ¡»litici sono gli ultimi rappresentanti in ordine di tempo di questa espressione religiosa che agita l’uomo. II culto delle reliquie, i musei del risorgimento, la monumentomania sono le fórme tangibili dello stesso senso, intorno a cui la poesia, gl’interessi, le tradizioni intessono fili che ne nascondono la semplice origine. Ed è pur dolce alla nostra insaziabile sete d’illusione che talvolta almeno la nostra fredda mentalità ne subisca l’ebbrezza e ne accolga il profumo!
Giovanni Costa.
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LE ANSIE DI UN CREDENTE
UNA LETTERA INEDITA DI TANCREDI CANONICO
S’È lieta ventura il poter presentare ai lettori di Bilychnis una lettera inedita di quella pura e, vorrei dire, perfetta anima religiosa — esempio rarissimo tra gli uomini della nuova Italia — che fu Tancredi Canonico, il magistrato, il legislatore che solo per merito e valore personale aveva toccato i fastigi della ' Presidenza, prima, della Corte di Cassazione e, poi, del Senato
La lettera, di cui possiedo l'originale, è del 1851. Fu scritta e spedita da Berlino il 24 ottobre di quell'anno à Monsieur M. le Chanoine Louis Canonico, Docleiir en Theologie et Recteur du Sancluaire de N. D. de Pclonghera, Twin pour Polonghera (Piéniont).
Luigi Canonico era un amantissimo e amatissimo zio di Tancredi. Zio e nipote, più che dalla parentela, si sentivano stretti ed avvinti dalla comune squisitezza dei sensi e delle idealità religiose sebbene l’uno fosse « chierico », e l’altro « laico ». Di questo gentile e affettuoso vincolo che veniva a consacrare il legame del sangue, la lettera che produco è solenne, eloquente e commovente testimonianza. .
È appunto perchè essa è anche un vivo documento degli alti spiriti religiosi di Tancredi Canonico, credo siano preliminarmente opportuni alcuni cenni e notizie sull’esperienza religiosa del Canonico, cenni e notizie che getteranno un fascio di singolare, simpatica lucè su questa lettera in cui egli versava la piena delle sue nobilissime ansie di credente con un linguaggio alato e suggestivo di asceta.
Nell’ottobre 1851, lo dirò subito, Tancredi Canonico aveva ritrovato la sua fede.
Egli stesso, con pudico riserbo, ma con piena sincerità, ha descritto la genesi e le fasi della indifferenza o miscredenza religiosa, come ha voluto ricordare le vie del suo ritorno.
« La tendenza generale delle famiglie del nostro villaggio — quello d'origine della famiglia Canonico — è purtroppo molto infelice. I nostri padri hanno mantenuto bensì il filo della fede religiosa e della sommessione alla Chiesa cattolica.
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ma tutti i loro sforzi, tutti i loro sacrifizi erano diretti verso la terra: far fruttare le campagne, guadagnar danaro, procacciarsi quindi a Torino un nome e una posizione sociale. Tale fu pure la tendenza nella quale io nacqui, e verso la quale fui spinto continuamente dai più teneri anni. Tutti i doni che il Signore ci dà per servirlo erano diretti e fatti sviluppare per servire il mondo. E Dio si lasciava in disparte, come se non vi fosse. Il mio spirito ripugnava a questa tendenza; ma io amava fin da ragazzo i godimenti e le lodi del mondo, e mi piegava a questa falsa direzione. Io osservava per pura abitudine le forme della Chiesa; ma l’umiltà; la preghiera viva, lo spirito cristiano erano cose ignote per me. Il freno più forte alle mie inclinazioni era il rispetto umano. Fin dalla adolescenza il mio intelletto si gettò con avidità orgogliosa e disordinata a scandagliare da sè solo le più alte questioni dell’uomo e deH’universo, e ben presto non sentii più Dio; passai molti anni senza convinzioni, senza quiete, senza scopo e senza forza. Ma mentre io abusava dei doni di Dio, Egli vegliava sopra di me e mi guidava» (Cfr.: Aw. Attilio Begey, Tancredi Canonico nelle sue relazioni con Andrea Towianski, Torino, V. Bona, 1910). E il vescovo Bonomelli doveva più tardi attestare: « Deve essere stata terribile la prova ch’ebbe a superare la fede del giovane Tancredi Canonico, s'egli con tutta franchezza un giorno potè dirmi: Fu tempo ch'io aveva perduta la fede — e dal suo linguaggio mi parve poter arguire che non ammetteva nemmeno resistenza di Dio ». (Cfr. Mons. Geremia Bonomelli, Profili di tre personaggi italiani, Milano, Cogliati, anno 1911).
Come, dunque, il Canonico ritrovò le vie della fede? Egli non aveva mai perduto il contatto con uomini religiosi e dotti, e ciò naturalmente aveva mantenuto nell’animo suo la disposizione ad accogliere le suggestioni, le inspirazioni della fede religiosa. Ma la piena e decisiva illuminazione egli ricevè da un primo incontro con Andrea Towianski, il 12 settembre 1851.
Sospinto dal desiderio di conoscere e. di studiare, di trovare un punto di appoggio per sollevare il proprio mondo interiore, di cercare dovunque e comunque alimento alle sue sempre vive se pur vaghe aspirazioni verso l’ideale, il Canonico partì da Torino nell’agosto 1851 alla volta della Francia e della Germania. Come racconta il Begey sulla scorta dei documenti, egli soggiornò a Stresa presso Antonio Rosmini, e di là si portò a Parigi, dove conobbe alcune persone che avevano trovato la loro pace interiore, grazie ai benefici influssi di Andrea Towianski, il nobile lituano, il grande apostolo che, perseguitato in patria per le sue parole e per la sua opera di rinnovazione cristiana, era stato costretto a riparare in Svizzera. Il Canonico, seguendo non già il proprio itinerario, ma quello fissatogli dalla Provvidenza, senza indugio corse a Zurigo, alla ricerca del santo Esule, e ottenne di essere da lui accolto il 12 settembre 1851.
«È la prima volta — son parole dello stesso Canonico — che io vedo questo uomo. Egli mi aspetta in piedi, accanto al suo tavolo: gli espongo il mio stato: dubbi nello spirito; vita pratica che si trascina nel torpore. Gli dico che viaggio a scopo d’istruzione e per raccogliere tutto ciò che può essermi di aiuto alla rigenera-
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zione della mia vita, cosa di cui sento il bisogno da tempo, e che, avendo inteso parlare di lui, me gli sono avvicinato, pronto ad accettare tutto ciò che non sarà contrario all’insegnamento della Chiesa».
Notevole questa preoccupazione di ortodossia nel Canonico, ma non mi soffermo a commentarla. Più interessante riassumere le parole del Towiariski, le quali segnano la via al giovane smarrito:
« Tutto ciò che è superiore alla terra e che è cielo; tutto ciò che è inferiore alla terra e che dicesi inferno, e la terra stessa, tutto deve essere conosciuto dall’uomo: ma deve esserlo nella libertà. La libertà vera consiste nel ricuperare nel corpo lo stesso movimento di spirito che voi avevate allorché lo spirito era senza corpo. Poiché noi conduciamo due vite e di due vite dovremo rendere conto: la vita dello spirito nel corpo e la vita dello spirito senza corpo. Quando lo spirito è fuori del corpo è nel suo stato naturale, è libero: ed è questa libertà e questo movimento che è necessario conservare quando rientra nel corpo.
«Gesù Cristo ci ha dato il mezze per questo, per elevarci all’altezza del nostro spirito; ci ha liberati dalla schiavitù. Questo mezzo è il sacrificio. Quando io mi trovo là dove è il mio spirito, sono capace di ogni cosa, posso risolvere tutte le questioni. Siate là dove è il vostro spirito, e sarete il più sapiente degli uomini.
« Di fronte a ciò la scienza è un nulla. Sapere non è altro che vedere. I.a scienza è un progresso inferiore: ma il vostro dovere sta nel progresso superiore. Vi sono popoli che studiano, progrediscono nella scienza e fanno bene. Per il loro grado la scienza può loro convenire, essi possono studiare. Questa occupazione conviene ancora a loro. Ad altri no.
« Quanto ai teologi, essi parlano del cielo, attingono al cielo, eppure non progrediscono, e perchè? Perchè non hanno la libertà e la vita dello spirito ... Essi insegnano la dottrina, e a coloro che giacciono nelle tenebre d’una caverna indicano e descrivono ciò che v’ha di fuori, alla luce. Ma questo non conta nulla: l’uomo lo imparerà, ma tutto questo è cosa morta per lui. Bisogna uscire dalla caverna. E il mezzo per uscire da questa caverna è il sacrificio. Ricuperiamo la nostra libertà, e faremo tutto».
Questi i principi fondamentali posti dal Towianski allo spirito assetato di verità e di liberazione del Canonico — chiariti e commentati in altri colloqui. « Molte e molte cose mi disse — aggiunge il Canonico nelle sue memorie — sublimi, in tono di semplicità, di verità, di sicurezza così grande, di pace, di gioia, di amore così intimi, che io riconobbi in lui l’uomo di Dio.... Dopo questo colloquio io mi gettai commosso nelle sue braccia. Questo momento fu un momento ben solenne nella mia vita».
Tanto solenne che, da quel momento, il Canonico si orientava decisamente verso quella verità che « non è solamente luce », ma anche « un focolare inesausto di attività e di forza ».
Era, forse più che utile, necessario conoscere questi «precedenti» che sono la naturale spiegazione e il miglior commento della lettera che il Canonico scriveva
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allo zio, a poco più di un mese di distanza dai colloqui avuti col Towianski, di cui doveva dire, diciotto anni più tardi, in udienza privata a Pio IX: «Santità, per mezzo di quest’uomo ho ricevuto da Dio benefici spirituali che non si cancellano più. Ebbi una giovinezza dolorosa: io aveva perduto là fede. La Provvidenza mi avvicinò a quest'uomo. Se ho ricuperato la fede, se ho adesso una base alla mia vita, è principalmente a lui che lo debbo ».
Ed ora, ecco, in tutta la sua integrità il documento, nel quale, se non è fatto il nome del Towianski, è pur visibile o sensibile l’influsso del grande Spirito, così chiara e distinta è l’eco delle di lui parole più sopra riferite.
Berlino, 24 ottobre 1851
Carissimo zio.
Tu potresti già credere a quest’ora con qualche fondamento ch'io avessi dimenticalo la mia promessa. Ma le ripetute instanze con cui tu mi raccomandavi di scriverli partivano, da un amore troppo grande e troppo sincero perchè io potessi non corrispondervi. L'aver tardato a scriverti si lungo tempo ti sia quindi argomento di amorosa ed indelebile memoria piuttosto che di trascuranza 0 d'oblio.
Se ho da dirli l'impressione che porto meco dal mio giro, li confesserò candidamente ch’io mi trovo molto disingannalo riguardo alla venerazione ch’io port-ava alla dotta Allemagna. Non già che qui non si sludj molto: si studia anzi mollissimo. Ma si studia, e niente altro: cioè, la scienza assorbisce tutto intero lo spirito umano, il quale non conserva più l'attività e la freschezza necessaria per l’azione. Gli scienziati si potrebbero classificare in due grandi categorie: 'Tuna, di quelli che studiano la scienza nei sistemi " l'altra, di quelli' ohe la cercano nei fatti: dal vero.
I primi si suadividono all'infinito. Alcuni tengono le tradizioni classiche, dei-mondo romano pagano. Altri parteggiano, in iscienza come in politica, 0 per la libertà assoluta: 0 per l’assoluto contrario: 0 per un temperamento d’entrambi i principi che alt'uno od all'altro di essi si ravvicina più 0 meno secondo le idee ed il ■punto di vista di ciascuno.
I secondi, quelli che studiano dietro l'osservazione dei fatti, sembrano a prima giunta essere più nel vero: ma non accompagnando il loro studio col lavoro cristiano della continua preghiera, scoprono il più sovente nei fatti- che osservano, non già il pensiero di Dio, ma il loro proprio pensiero: e cadono anch’essi d’ordinario nei sistemi da cui pure abborrono in parole. Ho visto finora fra questi una sola eccezione: Rosmini.
VAllemagna è ora nella sua fase scientifica-: ■ come la Russia è nella fase della forza materiale. Anche l'Italia è passata per la fase della forza materiale, colla sterminata potenza romana: è passata per la fase della scienza, pagana e cristiana. Ebbene, ha ella trovato in tutto questo la satisfazione de' suoi bisogni? L’irrequietudine che travaglia ora lutti- gli spiriti in Italia, non è essa un sogno evidente che ciò non basta? non è essa un’aspirazione a cose superiori? Più felice ancora in ciò l’Italia che non la Germania, la quale si riposa ancora e s'acqueta nella scienza.
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Ma ormai comincio sempre più a persuadermi che la scienza non basta nè all’uomo, nè all’umanità. Non è la luce che ci manchi: ‘non ci manca se non il realizzare e portar vivente quella che abbiamo. È universale presso di noi il bisogno di vedere una volta, non più nude parole, ma di vedere la verità, la giustizia, l'amore incarnali nell'azione. Si sente il bisogno di vedere (per così dire) uscire la religione dalle mura della Chiesa, ed infiltrarsi, ed animare, e vivificare tutte le azioni della vita nostra, tutte le istituzioni, tutti gl'istanti della nostra esistenza privata e pubblica.
Questo è il segreto e vero bisogno che tormenta la povera nostra patria, e che ciascuno comincia a riconoscerle, ma che pur troppo non vogliamo confessarci apertamente, perchè una sola cosa ci è grave (ma pure indispensabile per adempirlo): il sacrifizio. Si ripetono quindi le parole di carità, di giustizia, di fratellanza: si ripetono i precetti santi di G. C., le verità incrollabili della sua Chiesa; ma codesta rimane una parola morta ed infeconda, perchè non ne conquistiamo da Dio il sentimento e la vita col lavoro attivo ed incessante del nostro spirito. Oh se tutti facessero questo lavoro, sinceramente, con tutta l’attività del proprio essere, la vita e la pace verrebbero e circolerebbero in tutte le cose nostre; sorgerebbe la vera scienza, cioè la conoscenza vera del pensiero di Dio che riposa sovra ciascuno dei fatti e dei fenomeni che ne circondano. La nostra stessa parola diverrebbe viva, energica, feconda: comunicherebbe agli altri il foco che ci vivifica, e li farebbe entrare nel medesimo ambiente divino. Verrebbe il regno di Dio che a Lui da secoli domandiamo.
Io t'apro, 0 mio carissimo Zio, senza velo il mio spirito. Perchè mi rammento qual fosse la vera causa che ti indusse ad abbandonare Torino: e sarei lieto di poter recare qualche conforto al tuo cuore aprendoti il mio. Ti serrava il cuore il vedere come andavano e come vanito le cose: il vedere come l’uomo cerchi il suo bene in tutto fuorché in quello che solo potrebbe dargli la vita. E fors’anco ti martoriava segreta-mente lo spirito il vedere come per somma sciagura, non si mostrassero realizzate al centro della Chiesa di Cristo le verità infallibili che vi si custodiscono. Ripensavi, come ad un caro sogno, a quei giorni felici in cui la legge di G. C. si mostrò al mondo incarnata e vivente nel suo Vicario: in cui noi stessi vedemmo la lieta novella venire di nuovo portata agli avidi spiriti non più con nuda parola, ma viva e palpitante nell’azione e nell’amore e tutta la terra commoversi al balenare di quella luce che riconobbe essere la vera, la sola che potesse saziare le sue brame. Vedevi allora tremare tutti i governi d’Europa dinanzi ad un uomo che non era poi, anzi a’ loro occhi, se non un principotto da nulla, e riconoscevi la potenza invincibile del vero trono (1) di G. C. contro di cui non fanno prova gli sforzi delle potenze terrene. Ma sciaguratamente quell’uomo si rivolse a cercare .l’appoggio di queste terrene potenze: discese nel loro campo. E queste allora, che sentirono il nemico entrato nella loro atmosfera, tornarono ad essere forti, e il signoreggiarono facilmente: perchè nel campo della forza materiale erano più esperte e più forti di lui. Vedendo queste cose, il tuo povero cuore sentì sanguinarsi. Guardasti all’intorno, e pochi trovasti con cui sfogarti liberaci) L'originale dice: tono; ma si tratta evidentemente, di un lapsus calami.
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mente. Alcuni, fedeli non a Dio, ma alla propria posizione terrestre, fingevano uno zelo che non avevano. Altri, buoni, ma meticolosi, gemevano forse in segreto, ma seguivano esteriormente l’andazzo falso e gesuitico. I più irridevano al clero, come a causa di tulli i mali. I pochi buoni, forti e sinceri, si tacevano perchè si vedevano pochi e perchè credevano dover evitare delle lotte, che avrebbero forse accresciuto il male invece di portarvi rimedio. E tu sentisti il bisogno di ritirarli in solitudine con Dio. <
È mio dovere di affetto e di gratitudine pel caldo amore che tu hai per me (e sarebbe vivissimo mio desiderio) il poterli portare nel tuo ritiro una parola conforta-trice. Ma il conforto vero, Dio solo può darlo: tu gradisci almeno il mio sentimento : che è sincero.
Quello che posso dirti si è che io sento nel mio cuore che giorni migliori non tarderanno a spuntare. Tutto ciò che ho avuto occasione di vedere e di osservare nel mio viaggio me ¡0 conferma. Gli spirili sono maturi, e presscnlono tulli qualche cosa di grande, di imminente.
E ne torno, la Dio grazia, col vivo e chiaro sentimento dell’obbligo che in questi tempi più che mai m’incombe, incombe a ciascuno di noi, ai affrettare coll’opera nostra quei giorni. Perchè sento che, portando in noi, mostrando in noi realizzato e vivo quel tono d’amore, di energica ed intera giustizia, che deve rinnovare il mondo, cooperiamo nel modo più efficace a cominciare a far brillare la nuova luce. Sento che gli altri vedendo la nuova bellezza e vigoria che rivestirebbe così tulle le azioni, e gli sludi, e i lavori e le relazioni sociali — cose tulle che sono ora fredde ed inerii — s’innamorerebbero bentosto di questa vera vita. Se pochi, anche pochissimi, mostrassero in sè realizzalo il tipo del cittadino di quella nuova città, oh certo che i cittadini si moltiplicherebbero, e la città stessa non-tarderebbe ad essere edificata.
Mi è dolce, o carissimo Zio, il versare così con te l'anima mia: cosa che non si può fare con tulli. In questa unione di cuori, in questa intima ed affettuosa comunione di spirili, è un reciproco e soave conforto: è una forza segreta che ci rinfranca, e ci fa più agili, e pronti, e lieti all’azione.
Lascia che in questa santa unione li abbracci e mi rallegri di cuore di esser
tuo aff.mo ed obbl.mo nipote
Tancredi Canonico.
Ciò che stupisce in questa lettera, oltre la candida semplicità e la gentilezza cristiana ond’è soffusa, è la diagnosi acuta, profonda e vera che il Canonico faceva dei mali del suo tempo. Solo, fallì il suo spirito profetico che vaticinava «giorni migliori ».
Non si poteva ripetere la stessa diagnosi per la « dotta Allemagna » dell’anteguerra, nel periodo culminante della sua ricchezza e della sua forza esteriore, tanto appariscente? Non era vero anche a cinquant’anni di distanza che la Germania era assorbita dal suo culto idolatrico per la scienza, di una scienza tutta chiusa
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in se stessa, materialista e materializzante, preoccupata di restringere più che di allargare gli orizzonti del pensiero, senza seguire le leggi della libertà spirituale? Ah, come è giusta la sentenza del Towianski: La scienza è un nulla, la scienza è un progresso inferiore! La Germania si è trovata a seguire, nella sua vita nazionale, un processo inverso a quello seguito da altre nazioni, per esempio dall'Italia. Mentre l’Italia dalla fase della potenza materiale è giunta, sia pure lentissimamente, alla fase scientifica, la Germania dal culto della scienza è passata al culto della forza. E forse la distinzione non è precisa, perchè la Germania ha posto sempre la sua scienza al servizio della sua forza, con quale resultato per il progresso della propria civiltà e della civiltà mondiale non è qui il caso di spiegare.
Quanto alla « povera nostra patria », si possono pure ripetere le parole che il Canonico dettava, con profondo accoramento, temperato soltanto dalla speranza di una non lontana palingenesi cristiana, nella sua lettera del 1851. Le verità religiose, anche tra le mura, anzi principalmente tra le mura della Chiesa, restano morte ed infeconde, non sono lievito di azione e di vita, perchè, salvo poche e illustri eccezioni, non ne è stato conquistato il sentimento e la vita, nella libertà, nel sacrificio, nel lavoro. Quelle verità sono ancora il « tesoro nascosto ». La « città di Dio » non è ancora edificata. Il « regno di Dio » è ancora lontano.
Ciò, del resto, non si nascondeva il Tancredi Canonico, rimasto conoscitore attento e sicuro di uomini e di cose anche nell’età più tarda. « La cosa prima ed indispensabile (scriveva nell’ottobre 1903 a mons. Geremia Bonomelli, V. o. c.) è sbandire dal governo della Chiesa la politica, e ravvivare negli animi lo spirito di Gesù Cristo, applicandolo ai bisogni dei tempi... La vita della Chiesa si è arrestata: non risponde (come pur dovrebbe e potrebbe rispondere) ai bisogni delle umanità fatte adulte; bisogni, che dai più non sono neppure compresi. Nella stessa trasmissione della verità e dei precetti rivelati è raro sentirne vibrare lo spirito, che vivifica. Si è perduto il segreto della parola che commuove le radici dell’anima e che si crea la coscienza cristiana, senza di cui non vi possono essere vere conversioni. E l’umanità si trova priva dell’appoggio spirituale che le è destinato... Il laicato di senso retto sospira verso lo spirito vero di Gesù Cristo incarnato ed applicato ai bisogni presenti: perchè, purtroppo, lo ha smarrito. E chi, più del clero, potrebbe essergli di aiuto a ricuperarlo? Ma chi infonderà nel clero questo Spirito? È mestieri una nuova Pentecoste: la Pentecoste dell’epoca ».
Verità sacrosante, tutte queste enunciate dal Canonico nel 1851 e nel 1903. E si capisce bene come il libretto di mons. Bonomelli contenente le melanconiche riflessioni del suo illustre amico (di cui diceva: « Ah, quell’uono era un santo! ») non abbia potuto vedere la luce se non dopo la morte dello stesso Bonomelli! Come nel 185i, come nel 1903 siamo allo stesso punto: si attende — forse con minore fiducia che allora, la « nuova Pentecoste... ».
Augusto Vasconi.
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FORMULE SEDUTTRICI
erte formule hanno una certa fortuna, talvolta.
Non v'è scrittore spiritualizzante che, riferendosi alla crisi profonda delle anime dopo la guerra immane, non se ne venga corazzato dalla formula innovatrice, taumaturgica : trasmutazione, inversione dei valori.
Fraintendendo coloro che, in un campo strettamente filosofico, primi, giustamente, la adottarono, non potrebbe una
tale formula, con soverchio semplicismo, generare talvolta l’equivoco e, se accettata, assolutamente, come una nuova visione della vita, come un nuovo fondamentale criterio di condotta, accennare, anziché ad una correzione, ad una deviazione, fatale, delle più sane energie dello Spirito?
Trasmutazione dei valori! Sì, quando la cogliamo, oggi, sulle labbra di chi era incarnazione, ieri, di una concezione della Vita nella quale tutte le cose eterne erano obliterate ed offese, nella quale esaltato era solo il trionfo bruto della materia, allora, sì, una tale formula assume, realmente, un valore, quasi indice di una orientazione nuova, di un nuovo crisma e non possiamo non allietarcene come di chi, trasfigurandosi, ha tra le tenebre ritrovato il sentiero che conduce alla Luce.
Ma quanti, nel positivismo imperante, non attendemmo la tragica prova per credere nelle più alte idealità della vita, quanti sentimmo, sempre, sulla fronte, nel cuore, l’alito del Divino, quanti inascoltati spesso, affrontammo la grandezza dei problemi che ancora il Mistero avvolge e predicammo e praticammo, in silenzio, nei limiti delle umane forze, senza presunzioni altere di infallibilità, il dovere, là virtù, il sacrificio, il carattere, noi.,dico, dovremmo forse, oggi, per seguire la corrente, alimentando l’equivoco, quasi negando la propria fede, dovremmo pur noi ammantarci della falsa formula e bandire, nuovo verbo, la trasmutazione dei valori?
A questo intimo esame io invito quanti, con umiltà, ma con un senso profondo anche di responsabilità, nella vita religiosa e nel campo del pensiero e dell’arte e nelle stesse contese economiche e politiche, s’accingono a orientare le coscienze nella grande ora che l'umanità attraversa.
Dobbiamo, in realtà, innovare o continuare? Invertire o convertire? Troncare, nettamente, le tradizioni o riprenderle, purificandole, svolgendole? È una nuova parola che deve lanciarsi ovvero, spogliandola delle incrostazioni onde nei secoli i
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pregiudizi e le intolleranze la deformarono é la profanarono, fresca come limpida acqua sorgiva, ò la voce dei Padri, è la parola della Saggezza eterna che deve tornare ad ascoltarsi e che, in attesa di essere bene intesa e fecondata, giace ancora in gran parte, indissepolta, come perla ncH’oceano, nei codici religiosi dell'umanità, nelle pagine dei Precursori, nelle divinazioni dei Martiri, nelle anime che più vissero di Amore e non perdettero, tra dolori senza nome, la Speranza?
Andiamo cauti, dunque, con certe formule seduttrici, che, sotto la parvenza di un radicale innovamento, potrebbero cristallizzare le coscienze, inchiodandole ai più inveterati pregiudizi e alla servitù la più dura. Andiamo cauti con questo furore iconoclastico che, esaltando la inversione dei valori, sprezzando e spezzando le antiche tavole della Legge, minaccia far naufragare il patrimonio spirituale più prezioso dell’umanità, quanto l’umanità ha ancora in sè di perennemente fecondo e salvatore. Un tale disprezzo non solo sarebbe oblio delle pagine più solenni della storia, ma preparererebbe per l’avvenire le più amare sorprese, ci travolgerebbe nel presente nell’ignoto il più pauroso.
Parlare di modernità è facile. Facile assumere l'atteggiamento di novatore. Arduo, invece, al di là delle superfici, è scandagliare il fondo, è sentire e far comprendere come tra le aspirazioni più alte che tormentano, nel suo perenne anelito, la coscienza contemporanea è la nostalgia, pur se inconsapevole, di un mondo ideale che già i Padri, incompresi, se non derisi, vagheggiarono e preannunziarono.
Il problema dell'oggi non è la inversione, ma il ripristinamento dei valori. Nella inversione appunto è la crisi, la constatazióne tragica, amara; nel ripristinamento è la salvezza, la emancipazione delle forze molteplici, malefiche, che ottenebrano e imprigionano lo Spirito.
Innovare non è solo demolire, è costruire. E non si costruisce, efficacemente, se non su solide fondamenta. E le fondamenta solo un ingenuo può illudersi di poterle gettare sul vuoto. Orbene, ben fragili sarebbero le fondamenta del nuovo edificio spirituale se, nel vuoto dell'anima, non poggiassero sul terreno ove ritrovano la' loro radice, profonda, le Verità, semplici, dell'eterna Saggezza.
•Ugo Della Seta.
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BUON UMORE
li buon umore è assai più di una questione di forma; esso influisce su) fondo stesso della vita. Tale ci apparirà se sapremo discernere di che cosa è il segno e riconoscere la sua reale funzione.
Che il buon umore sia indice di salute fisica c di equilibrio morale, ognuno se ne rende conto. Forse sarebbe giusto di considerare il cattivo umore alla stessa stregua e di trattarlo come una infermità o per lo meno come uno squilibrio morale. Spesse volte è il frutto d’una educazione incapace di sviluppare, nei giovani, l'accettazione delle noie e la resistenza alle difficoltà. S’cssa c’ispira la pietà o la vigilanza, invece di provare una cieca reazione, il cattivo umore degli altri può educarci ed illuminarci. Saremo tanto meglio disposti a fare buon viso al buon umore, special-mente s’esso è uniforme; poiché rugua-glianza di umore è il segno dal quale.si riconosce la sua vera qualità. Ineguale, si può paragonare all’amicizia intermittente, alla sincerità intermittente, alla ragione intermittente. Il buon umore intermittente è piuttosto scontroso e merita d'esser trattato come una varietà dell'umore cattivo.
Stabile, perseverante, esente da capricci, il buon umore è volontario, direi quasi premeditato. Esso riassume un programma fatto di fiducia, di buona volontà; è una dichiarazione di principi: significa: « Il mondo è solido, ci si può costruire sopra; è ben governato; si può esser tranquilli. Nonostante le apparenze in contrario, tutto finirà bene; dunque, coraggio e avanti’ ».
Forse non avevate mai pensato a simile interpretazione. Ma chi possiede il buon umore agisce come s’ci pensasse in tal modo. Dunque questa interpretazione, nelle sue grandi linee, è la buona. I particolari sono cosa secondaria. Il buon umore equivale ad un atto dì Fede per quanto concerne il nostro concetto dell’universo; esso H una dichiarazione di buon ottimismo per quanto riguarda gli uomini.
Dico buon ottimismo perchè ce n’è uno cattivo. Questo consiste a pensare: per me va tutto bene, dunque voi rallegratevi meco: esso è cieco e sordo alle pene altrui, è personale, gretto, crudele a furia d’incoscienza. Il buon ottimismo vede il male.
ne soffre, ma non vi si rassegna. Lo considera come un ostacolo da vincere mediante lo sforzo e nello sforzo egli crede. Va dunque verso i suoi simili con una sufficiente chiaroveggenza per non crederli buoni, ma con una speranza sufficiente per esser certo che possono migliorarsi. Essendo savio e paziente, è giusto anche verso i ciechi e i malvagi. Trova i mezzi migliori per confortare e guarire c i migliori metodi di lotta per attaccare, reprimere e, quando occorra, distruggere. E in tutto ciò non y’è odio contro gli uomini, ma solo contro il male che fa loro guerra individualmente e socialmente. Per chi conosce il mondo c la storia c l’asprezza della lotta nulla è più desiderabile, più utile in ogni ora di uno spirito fatto ad un tempo di benevolenza, di chiaroveggenza c di fermezza. Nulla è più prezioso e nulla è più raro. È un raggio ai* sole sul nostro cammino.
Consideriamo adesso il buon umore nel sue manifestazioni pratiche e anzitutto nel campo dell'educazione.
Quale umore recate voi nell'educazione? Non è una questione secondaria, ma capitale. Il vostro metodo educativo, i vostri mezzi d’influenza, le vostre qualità personali, tutto ciò può guadagnare o perdere a seconda del vostro umore abituale. Un umore spiacevole sciupa il più bravo educatore.
E anzitutto siate di un umore calmo. E facile a dirsi, lo so; ma è altresì ncces-sario di dirlo. Uno dei principali motivi della"diminuzione dell’autorità in famiglia ze in ¡scuola sta nel nervosismo dei genitori e degl'insegnanti. La sana autorità si afferma nella calma.
'L’infanzia è turbolenta, la gioventù focosa; ma ciò ch’ossi apprezzano sopra ogni cosa è la serenità e la sicurezza delle loro guide naturali. Perdere il sangue freddo, lasciarsi vincere dal cattivo umore provoca un ribasso d’influenza. Di solito si pensa diversamente. Gridar forte, minacciare la folgore è considerato manifestazione di energia. Disinganniamoci: è invece un sintomo di debolezza.
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L’umore scontroso produce i medesimi risultati. Anch’esso equivale ad una confessione d’impotenza. Non appena l’educatore assume un aspetto infastidito, l’e-educazione cessa d’esser feconda e benefica. Genitori, educatori, sorvegliate i vostri nervi, cercate di conservarli in buono stato. È questo uno dei maggiori servizi che possiate rendere alla famiglia e alla società.
Il buon umore in educazione non solo rende l’autorità più ferma, ma la rende più simpatica. La calma rinsalda la nostra influenza, l’umore gioviale la fa amare.
Rendiamoci conto dello sforzo necessario alla gioventù per seguire i nostri ordini c piegarsi alla nostra disciplina: troveremo naturalissimo di temperare colla benevolenza le severità del comando. La nostra cordialità indulgente farà sentire a quelli che conduciamo che abbiamo fede in loro. Il bene è sempre bene; ma un modo troppo arido di presentarlo gli toglie la sua attrazione. La legge è sempre la legge; ma... c'è il modo. Badate di non provocare lo spirito indipendente della gioventù Colla rigidezza del vostro atteggiamento: sarebbe un lavorare contro di essa c contro di voi.
Un’osservazione sull ’educazione morale. Certi educatori, semplici e naturali quando si tratta delle materie abituali, diventano solenni e quasi tetri quando accennano alla morale. So bene che la vita è severa, anzi spietata sotto certi aspetti. Ragione di più per mescolarvi un raggio di poesia, di serenità, <li bellezza. La virtù dev’essere amabile per essenza: non sfiguriamola; lasciamole il suo sorriso. E allorquando insegnarne la vita buona, che il nostro insegnamento e la nostra fronte stessa siano irradiati dallo splendore del bene.
♦ * ♦
Passiamo dal campo dell’educazione in quello della vita propriamente detta.
Tutta la sociabilità umana è influenzata dalla qualità dell’umore di cui sono animate le persone. I termini: umore socievole è insocievole son noti; ma che cosa indicano essi? Val la pena di esaminarlo.
L’umore socievole è solo la gioia di ritrovarsi in compagnia dei propri simili? Molti allegri compagnoni ricercano gli amici per quello che ne possono ricavare; ciò che li spinge ò più che altro un appetito e gli appetiti sono dissodanti. 1 viveurs non ricercano davvero la solitudine. Ma da quale spirito sono animati? Dallo spirito socievole in cui, oltre alla letizia, ci dev’essere
una disposizione a pagare colla propria persona? Si può invece avere questo spirito pur ricercando la solitudine per gusto o per dovere. Il poeta hU parlato della solitudine in cui vola un bacio. La qualità della solitudine dipende da ciò che in essa vola: se una civetta, un pipistrello oppure una farfalla, una rondine. Ci si può privare della felicità della compagnia altrui onde meglio lavorare per loro. C’è più spirito socievole nella solitudine del pensatore, de) carcerato per un'idea, che non nelle dimostrazioni esuberanti dei gaudenti a banchetto.
Il vero umore socievole è la buona volontà nel servire gli altri; se ne siamo animati essa si mescola a tutte le manifestazioni della nostra attività, a tutte le nostre relazioni cogli altri. Non un momento solo cessa d’essere percettibile.
Supponiamo che abbiate l’umore socievole. Io vi chiedo: questa vostra disposizione abituale è dessa a tutta prova?
Riandiamo i nostri ricordi, ricordiamo l’incontro con certi temperamenti da riccio, invariabilmente spinosi e pungenti. Non si sa da che parte prenderli; dal più piccolo incidente nasce una questione. Che cosa diventa il vostro buon umore" davanti al malumore aggressivo?
Lo so, c’è da essere esasperati. Lo sarete stati talvolta. Lo comprendo; ma credete forse ch’io vi dia ragione? No, vi do torto. — Come torto? Certa gente farebbe arrabbiare degli angeli! — E vero, ma è questo un motivo perchè l’imitiate? Sentite un paragone. Uscite un mattino, ben lavati, pettinati, spazzolati; incontrate un tizio dalla faccia sudicia, dai capelli irsuti, dal pastrano polveroso. Vi affrettate voi a sporcarvi, a scarruffarvi, a imbrattarvi? Sarebbe grottesco. Eppure questo appunto voi fate allorquando abbandonate il vostro buon' umore per rivestire l’umore cattivo di chi avete incontrato. Si diventa forse neri vedendo un negro ?
Il buon umore è di colorò solido, non si altera a contatto d’una miscela qualsiasi; mantiene le proprie posizioni, si afferma e si difende dai -tentativi ostili.
Non solo, ma esso resiste alle circostanze come agli uomini. Far buon viso a cattivo gioco non è segno d’indifferenza, ma è segno di carattere. Ognuno può essere di buon umore quando tutto va bene. E, più difficile restar tale nei momenti difficili; rimaner tale nel pericolo e nel lutto è prova di forza morale.
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Demoralizzarsi è umano: ma beati coloro che riescono, nonostante tutto, a conservare della luce negli occhi c del fuoco nel cuore. Ci s’inchina davanti a quei vecchi stoici il cui scopo supremo era di mantener l'equilibrio interno in mezzo a tutti gli urti dal difuori. Ma lo stoico ci appare con una figura rigida, impassibile. Conosco una cosa più bella, più umana, più degna di ammirazione: è la forza di animo illuminata da un raggio di letizia, l’energia sorridente, il buon umore che canta nel lavoro, nel dolore, nella lotta: esso è semplicemente eroico. E questo eroismo non si ammira soltanto nei grandi giorni storici in cui l’umanità vive delle ore decisive; esso può ammirarsi tra le difficoltà della vita quotidiana.
Un giorno il Cristo, parlando del digiuno praticato da alcuni con visi mogi e solenni, disse: « Allorquando tu digiuni, ungi là tua testa e sorridi ». In questa raccomandazione c’è tutta una filosofia, tutta una religione di luce e di vigore.
Messe da parte le idee siamo tutti degli uomini: esposti ad incontrare ogni giorno sul nostro cammino ostacoli, contrarietà, dolori. E il problema è questo: come
affrontarli, come sopportarli? Poter conservare ad ogni costo un po’ di buon umore, quale miracolo dell’anima! Come dobbiamo esser grati ai colpiti, ài calpestati della vita, che ci recano ancora un sorriso!
La più alta energia umana non è quella delle persone in perfetta salute che fanno nobili sforzi, ma quella degli infermi e dei malati i quali si sono caricati delle loro pene e ci fanno vedere come si può, ad un tempo, accettarle e dominarle.
La più bella gioia non è quella dei giorni buoni. Occorre procacciarla, coltivarla, goderne di buon cuore, considerarla come un tesoro. Ma v’è una gioia più bella ancora, perchè più rara, più difficile: la gioia che non nasce nei giorni cattivi. Essa produce l’effetto di quei raggi di sole che, in piena tempesta, ricamano un raggio d’oro sull'orlo delle nubi oscure. t
Questo semplice tema del buon umore ci ha condotti passo passo sino allo stesso santuario dell'umanità. E vorrei essere stato capace di cantarvi, in onorgsuo, un itìno improntato d’accenti immortali!
C. Wagner.
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SALVATE I BAMBINI!
L’Italia generosa si è già commossa per i lattanti affamati di Vienna, ma forse pochi, fra l’agitazione della vita politica e la confusione dell'ora, si fanno un’idea della miseria che continua, e continuerà nei suoi penosi resultati, dilagando come una grande onda nera sui piccoli che dovrebbero essere la speranza dei popoli. Ancora dopo settecento anni, noi.ci commuoviamo per quella schiera di bambini crociati che perì nel suo entusiasmo per la liberazione di Gerusalemme: ma oggi è assai più lunga la schiera di fanciulli che muoiono prima di avere veramente vissuto oppure vivono per soffrire ed infiacchire la razza.
Intere popolazioni nell’Europa centrale soffrono fame e nudità e diventano preda di epidemie cui, nella loro condizione di mal nutriti ed impoveriti; non possono resistere. La situazione pesa specialmente sui bambini, non solo per la loro debolezza, ma perchè mancano le materie prime del loro nutrimento: Urgono per migliaia, migliaia e migliaia di poveri bambini alimenti, vesti e medicine, e sebbene questi bisogni siano enormi, non è che la benevolenza umana che possa supplirvi con contribuzioni in denaro. L’inverno aggiunge ora nuovi terrori a questo stato di cose e benché si cerchi di valersi di tutte le risorse locali in materiali e servizi personali, rimane però sempre un immenso vuoto da colmare.
La responsabilità è tanto grande ed il compito di chi osi assumerla è così imperativo che soltanto ricorrendo alle risorse di un vasto e potente organismo si è potuto affrontare la tremenda realtà col proposito di vincerla. Si è così formato un comitato sotto la presidenza del* signor Herbert Hoover degli Stati Uniti, composto di rappresentanti di grandi corpi responsabili, fra cui quello imponente della Federazione delle chiese cristiane.
Fu Gesù Cristo che disse: «In quanto l’avete fatto a uno di questi piccoli, l’avete fatto a me ».
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BILYCHNIS
Vi sono quattro ragioni perchè dobbiamo udire il grido dei bambini d'Europa: i° per i bambini stessi; •
3° per l’Europa di domani;
3° per amor della fede cristiana;
4° per amor di coloro che saranno beneficati nell’atto stesso di amore per i simili.
Durante il penultimo inverno, l'America per mezzo della sua Croce Rossa ha salvato 6.000.000 di bambini europei. Le risorse naturali hanno ridotto quasi a metà il bisogno dell’anno scorso, ma per le condizioni anormali il miglioramento della situazione durante quest’ultimo anno è stato scarso. La risposta dell’America all’appello lanciato a tutto il mondo dal Comitato dovrà decidere se 3.500.000 di questi poveri bimbi dovranno essere, in gennaio, scacciati da più di 17.000 asili, ospedali, cliniche e stazioni di alimentazione finora dipendenti da sostegno americano. Non vi sarà tragedia maggiore nella storia, nè così fatale per coloro che non si meritano nessun male. L’America ha dato tante prove di generosità e non crediamo che verrà meno in questa crisi: ma noi d’Italia vogliamo e dobbiamo fare anche noi la nostra parte.
In Polonia una grande proporzione dei bambini sono stati fuggiaschi fino dalla loro nascita, e non hanno mai conosciuto un focolare stabile. Uno dei commissari della Croce Rossa Americana stima che il numero degli orfani in Polonia giunga ad 800.000 ed è sicuro che almeno la metà di essi manchi di cibo e di vesti. Sentiamo dalla Croce Rossa Internazionale che ad onta di tutto quel che si è cercato di fare vi sono in quasi ogni paese centinaia di migliaia di bambini - la maggior parte orfani — che sono abbandonati a loro stessi e dormono dove possono e rubano il cibo se possono. Fra questi bambini abbandonati, la morte per fame è molto frequente. La loro morale è naturalmente bassissima. Numerose ragazze, dai 14 ai 15 anni, campano di prostituzione. Molti genitori mandano i figli regolarmente ad elemosinare perchè non hanno cosa dar loro. In molte parti delle terre devastate dalla guerra, la gente vive di una dieta fatta di farina di patate mischiata con segatura. Mentre il Belgio, la Francia e la Gran Bretagna e l'Italia hanno ripreso una certa normalità di vita, l’Europa centrale ed orientale è negli abissi della disperazione. L’aspettativa di abbondanti raccolti è stata delusa. Le fondamenta stesse della vita organizzata sono distrutte. La povertà, le privazioni, la sofferenza e la morte camminano a testa alta, fra le rovine di una civiltà e d’una coltura che erano durate da secoli. E sono sempre gli innocenti che soffrono di più: 11.000.000 di bambini resi orfani dalla guerra c dalla pestilenza!
« « «
Bilychnis raccomanda a tutti i suoi lettori questo appello mondiale. Una piccola buona parentesi pratica in mezzo ai nostri studi. È umano levar la testa dalle carte e discernere ciò che accade tra i nostri fratelli, e quando la realtà gfida al nostro cuore, non torniamo alle nostre carte prima di aver compiuto l’atto di solidarietà umana.
I nostri lettori possono inviare le loro offerte a l’Union Internationale de Secours aux enfants di Ginevra, come abbiamo fatto noi o. se preferiscono, alla nostra Rivista, che sarà lieta di trasmetterle al Tesoriere del detto Comitato.
D. G. Whittinghill.
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EBRAISMO E CRISTIANESIMO
Spai. Direzione,
11 carattere di codesta nobilissima rivista e lo scopo che essa si prefigge mi assicurano che è proprio qui ch’io debbo rivolgere una domanda ed una preghiera che da tempo mi si agita nell’anima.
Per un periodo non breve e specialmente durante la grande guerra io mi sono occupata con intensità, e traducendo l’interessamento in azione, della questione ebraica. Lo feci dal punto di vista umani-tario-sociale-politico. Lo feci per amore di quella razza di cui campioni elettissimi mi si erano presentati quale smentita vivente di preconcetti e calunnie universali e secolari. Lo feci per una spontanea e naturale inclinazione verso tutto quello che viene perseguitato, misconosciuto, oppresso.
Ma è dei contatti con una collettività come delle relazioni con un individuo: col tempo non ci arrestiamo ai suoi valori esterni: sentiamo l’irresistibile bisogno di approfondirne l’anima. Ora, l'anima d’Israele, più di qualsiasi anima di popolo, è indissolubilmente avvinta ai suoi valori religiosi. Se non basta diro che l’Ebraismo è religione, perchè è anche complesso nazionale, è certo però che ciò che gli diede il suo carattere specifico e la sua posizione unica nella Storia fu la sua religione.
Sebbene, come figlia di protestanti, io fossi fin dall’infanzia famigliarizzata con la Bibbia — tutt’intcra, — pure dovetti accorgermi che la religione degli ebrei mi era rimasta sconosciuta. Nella Bibbia, anche dell’Antico Patto, io non avevo veduto che il Cristianesimo; essa era passata fra le mie mani c sotto i miei sguardi trasfigurata dall’interpretazione cristiana. Quando me la vidi ripresentare da mani
ebraiche — dopò anni di allontanamento c d’indifferenza — mi sembrò scorgervi una fisionomia tutta nuova che da principio mi lasciò perplessa. I valori cui ero stata abituata nella mia giovinezza mi si spostavano, mi si confondevano. Ciò che ero solita sentir negare all'Antico Testamento, ora mi sembrava incontrar velo; ciò che avevo ritenuto assoluta rivelazione c conquista del Vangelo, ora non mi appariva che come incolore continuazione. Uscivo allora dalle peregrinazioni mentali — non oso dire spirituali — per le vie tortuose del razionalismo c delle ricerche positiviste e ne rimanevo ancora con la vista incerta. La mancanza di linee di demarcazione fra Ebraismo e Cristianesimo, l’inutilità della fase che si chiama • cristiana », mi si presentavano come scoperte gradite.
Ma non so se fosse il fatto di aver nuovamente avvicinato la Bibbia, o se circostanze della mia vita esterna influissero sulla mia vita intcriore: giunse un momento ove la fisionomia della Bibbia ebraica mi-lasciò altrettanto insoddisfatta quanto, a mio malgrado, mi avevano lasciata vuota e arida le mie ricerche ra-zionaliste. E cominciai a domandarmi — sempre più ansiosamente — se la Religione della mia infanzia, che avevo veduto appagare e sollevare infinite anime, non contenesse realmente qualche cosa di assolutamente specifico, di recisamente distinto di fronte alla fase religiosa che nella Storia la precedette.
Quanto a me, credo poter dire di esser giunta, per intimo convincimento, ad una risposta affermativa di tale domanda, affermazione che offre appagamento c serenità. Ma, avendo riportato da queste mie esperienze una più limpida visione non solo dei valore cristiani, bensì anche di quelli che caratterizzano la religione ebraica, dei quali troppo poco cal-
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BILYCHNIS
colo si tiene fra noi, e perchè credo che il precisare ed il rendersi conto sia di grande importanza nella vita spirituale, vorrei che a molti fosse concesso avvicinare un problema fra i più trascurati da chi suole occuparsi, di questioni religiose eppure così atto ad attirare l’attenzione sulle fondamenta che portano il moltiforme edificio del Cristianesimo. È a tale scopo che io vorrei proporre che venisse promosso e svolto nelle colonne di Bilychnis uno scambio d’idee su ciò che forma i valori specifici del C istianesimo di fronte al-l'Ebraismo, la 'agion d'essere del Nuovo Patto di fronte al Patto Antico, la linea di demarcazione fra i due sistemi religiosi. Essendo dall'Ebiaismo che muoviamo, mi sembra che esso anzi tutto debba dire la sua parola sul posto che assegna alla religione derivata dal suo seno e che a questa prima voce debbano poi in seguito far eco le voci di varie tendenze cristiane.
Sarò profondamente riconoscente a codesta pregiata Direzione se vorrà accogliere la mia pioposta in modo che possa essere effettuata e, augurandomi che ciò abbia a riuscire gradito e di vantaggio spirituale all'elettissima famiglia che sono i lettori di Bilychnis,
mi firmo con alta stima
dev.ma
Elga Ohlsen.
Roma, dicembre 1920.
* * *
LA RIPRESA DELLA PERSECUZIONE DI PIO X
Mentre la rivista va in macchina leggiamo sui giornali la condanna inflitta dalla Congregazione del S. Uffizio ad Ernesto Buonaiuti che viene scomunicato e sospeso naturalmente a divinis. La sentenza di scomunica afferma che « il sac. Ernesto Buonaiuti insegna da molti anni e con pertinacia propugna proposizioni teologicamente erronee, ed anche manifestamente eretiche; che più volte ammonito, contrariamente alle sue ripetute proteste di sottomissione e al formale giuramento prestato n giorno 13 luglio 1916 non ha dato segni di vera e sincera resipiscenza ed anzi di recente nel periodico Religio (luglio-settembre 1920) ha osato negare apertamente il domma della presenza reale di N. S. Gesù Cristo nella SS. Eucaristia ■ (v. p. 65).
Noi non commenteremo il provvedimento che la Curia à preso, di fronte all'uomo :he colpisce, tanto più che onestamente ci pare ch’egli à fatto quanto era possibile per evitarlo; nè lo commenteremo di fronte % lui, perchè non sappiamo come vi rispon-lerà il colpito e non vogliamo aver l'aria li influire coi nostri commenti anche nel modo più indiretto sulle sue decisioni. Ci limiteremo piuttosto acollcgare questo fatto, 'he è l’ultimo d"una serie .ormai piuttosto unga, con altri per giustificare il titolo che abbiamo posto a questa nota.
E cioè, contemporàneamente al’decreto -he colpisce il Buonaiuti, il S. Uffizio proibisce due riviste, di cui noi abbiamo già ietto qualche volta il bene che meritavano cioè:
i° Religio, rassegna di Storia delle Religioni, fondata da Nicola Turchi, diretta da Giulio Farina (Roma, Ausonia);
2° La rivista trimestrale di studi filosofici e religiosi, diretta da Alessandro Bonucci Perugia).
E tutto ciò dopo che con decreto del 14 dicembreu.s. (Acta Ap. Seáis, XII, 598) veniva posta all’indice La Vita di Antonio Fogazzaro scritta da Tommaso Gallarati-Scotti. Questa condanna, secondo la Sera di Milano del 4 gennaio, » è stata voluta dai gesuiti della Civiltà Cattolica, sebbene sembrasse scongiurata per l'intervento dei cardinali Maffi e Ferrari: ma improvvisamente, il S. Uffizio ha ceduto agli intransigenti, venendo meno alla promessa che, secondo le nostre informazioni, era stata fatta al Gaìlarati, di essere ascoltato prima di un giudizio definitivo. L’impressione della condanna è stata per altro gravissima nei circoli cattolici; e per la sostanza, perchè il libro condannato è in fondo una demolizione del modernismo fogazzariano, e per la forma, innegabilmente ingiuriosa, verso il benemerito patrizio milanese ».
~ Nè dobbiamo dimenticare che V Unità Cattolica di Firenze (28 dicembre) tentava di convincere l’Aquilante di modernismo e ateismo, colpendo anche di passata Adriano Tilgher che accusava di essere, ciò che torna a nostro onore, « uno dei principali collaboratoil di Bilychnis».
Non includeremo tra questi provvedimenti quello preso contro la Y. M. C. A. e le nostre riviste (Bilychnis c II Testimonio), accanto a Fede e Vita della Federazione studenti per la cultura religiosa. Esso è sino ad un certo punto spiegabile con la concezione illustrata dall'Umtò
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Cattolica suddetta (25 dicembre) che il fatto religioso « non è campo di libera indagine • come noi ci vantiamo di affermare. Solamente alla lunga e vuota epistola del Cardinale Merry del Val del 5 novembre (Adi Ap. Sedis, XII, 595 segg.) opporremo che noi non facciamo del razionalismo e dell'indifferentismo religioso, com'egli crede, ma ben più alto poniamo la fede e lo spirito di quello che a lui appaia, pur asserendo che il fenomeno religioso non deve essere sottratto alla ricerca ansiosa della mente umana.
Ora — polemica a parte — tutti questi fatti accennano evidentemente ad una ripresa di persecuzione non diremo dei modernisti, che più non esistono, ma di quel risorgimento di studi e di ricerche spirituali che il momento attuale domanda ed impone. Il pontificato di Benedetto XV non vuol essere solamente un pontificato di plomatico come quello di Leone XIII, vuol anche meritare la gloria di quello di Pio X: alla penna vuol unire simbolicamente la spada.
L’internazionale cattolica inizia la sua azione riprendendo la persecuzione...
* * *
STORICISMO E IDEALISMO
Nel primo numero della nuova Rivista trimestrale di studi filosofici e religiosi diretta da A. Boriucci, professore di filo-losofia del diritto nelle università di Siena, E. Buonaiuti insorge — èia sua parola — contro l'immanentismo idealistico e in pari ¡colar modo contro l’idealismo attuale di G. Gentile, in nome della esperienza religiosa e della storiografia cristiana.
Il linguaggio del B. è molto vivace; egli accusa gli idealisti di « indebita appropriazione intellettuale », di « stramberie che offendono nella maniera più grossolana le più sicure conoscenze », di o contraffazioni miserevoli ». E scrive: • L'idealismo assoluto appare come una sistemazione mentale che racchiuoe in sè uno smisurato orgoglio ed una squisita pigrizia, ed è capace di procacciare imponenti vantaggi in contrasto con indirizzi di pensiero che, consapevoli del rispetto dovuto agli accertamenti storici, sentono una istintiva ed onesta ripugnanza a deformare e a coartare le esperienze c le istituzioni che tradiscano comunque una
sensibile inadattabilità ai propri presupposti ».
È dunque soprattutto il timore di un pericolo che corrano gii « accertamenti storici » che spinge B. a dare una lezione di .onestà — intellettuale, si intende — a G. Gentile. Non è facile dire donde il B. abbia derivato questo timore per le due discipline. Già da parecchio tempo B. Croce, il quale è anche uno storico, aveva deriso, in qualcuna delle sue postille, quelli che credono di poter dedurre dall’idealismo una storiografìa facilona. Allo stesso modo si potrebbe, credo, accusar questo di indurre gli uomini a camminare senza guardare dove mettono il piede o se non rischino di essere schiacciati da un tram o da un camion; pericoli inesistenti, per l’idealismo assoluto, visto che non c’è che il soggetto.
E. B. sostiene, incominciando il suo attacco, che l’immanentismo idealistico è pragmáticamente identico al vecchio materialismo; anzi peggiore. Egli scrive: « L’idealista attuale, che nega recisamente la posizione di una realtà che travalichi l'attività del soggetto pensante e operante; che mirando a far svaporare la realtà in un processo di attuazione progressiva, in cui il soggetto non riesce ad uscir da sè, se non per virtù di malefica e tarda illusione, parte dalla pura soggettività umana e vi ritorna, quasi lo spirito umano fosse il serpente della simbolica alchimistica, che si morde rabbiosamente la coda; può dissertare a suo libito di spirito e di spiritualità, ma in realtà ribadisce l'individualismo nei ceppi della esiziale illusione della assolutezza del suo essere, che è, per tanta parte, materialità grezza; non annulla, meno del materialista, l’eterogeneità della légge, in virtù della quale l’uomo può e deve essere diverso da quello che possono farlo gli istinti cicchi c le consuetudini non superate ».
Un immanentista potrebbe facilmente rispondere che questa non è esposizione ma contraffazione dell’idealismo; esposizione di uno che lo ha già negato ed escluso dal suo pensiero, nel quale poi lo introduce di nuovo, ma come caput mortuum. E confessiamo volentieri che questo caput mortuum è un mostro. Ma E. Buonaiuti, che è cosi intelligente c così colto, dovrebbe esser più cauto. Dovi ebbe non andare in collera; c, poiché è teologo, ricordare che sempre tra i teologi, in dispute che hanno oramai perso ogni importanza, chi
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negava la loro opinione, negava sempre Dio e il ciclo c la terra. Così, ad cs.» per un tomista dal negare la distinzione fra essenza ed esistenza segue direttamente la negazione della divinità di Cristo e della presenza eucaristica. Tanto antica c squisitamente teologica è la pretesa, della quale il B. si allarma, di costruire il. mondo e la religione col pensiero, c col proprio pensiero.
E poiché E. B. è anche storico, un’altra riflessione dovrebbe farlo accorto. Crede egli davvero che l'idealismo sia un capriccio di Gentile c di pochi altri? Non si icndc conto che ad esso fa capo, spontaneamente, fatalmente, tutto un indirizzo di pensiero sorto da parecchi secoli? E che per discuterlo, ed anche per insorgere contro di esso, bisogna discutere il problema al quale esso vuol rispondere’ che è, nel caso nostro, la validità della conoscenza? Che giovano dicci pagine di sole invettive contro più secoli di storia della filosofia?
Faccia pur lo storico il B., c si persuada che non sarà disturbato in nome dell’idealismo. Quanto al concetto che della religione professa G. Gentile —c di* esso Bilychnis darà quanto prima una esposizione sistematica — può essere criticato, certo; ma è vano, tentare di rimuoverlo con un gesto di stizza.
R. M.
PÉR LA PREPARAZIONE DEGLI INSEGNANTI
Anche dopo aver lasciato la cattedra di filosofia, Fon. Torre ha continuato, nel Parlamento come nel giornalismo, la sua fervida opera di educatore c di apostolo, c ne abbiamo nuovo documento in questi suoi eccellenti lavori, che già furono parte cospicua della relazione della Commissione Reale per l’ordinamento degli studi secondari in Italia, e che ora sono molto opportunamente raccolti in un volume della biblioteca « Scuola e Vita ».
11 concetto fondamentale dell'ex-Mi-nistro ¿chela vera riformadclla scuola deve consistere in un rinnovamento del contenuto dello spirito c del metodo dell’insegnamento, e cioè in un modo più sostanziale c fruttuoso di acquisizione della cultura, in un modo più personale e attivo di possederla, in un modo più libero di disporne per la generazione della civiltà. La riforma, così intesa, deve rendere la scuola vera
mente umanistica nell'anima, c conferire perciò allo studio della filosofia il posto importantissimo che le compete. La filosofia, invero, non solo ha un’intima, sostanziale, indistruttibile connessione con la letteratura, con l’arte, con la scienza, ma offre , col suo contenuto proprio un insieme di cognizioni che le lettere c le scienze non dànno; allarga il campo della mente, svegliando, esercitando alla riflessione sul mondo interno e sull'esterno, iniziando ai grandi problemi della vita c dell’universo; abitua all'autonomia del fiensiero, e nel tempo stesso, mentre dà a coscienza della potenza intellettuale e razionale, mostra anche lo limitazioni di questa, il che nell’ordine teorico e quindi nel pratico si traduce nel senso della forza, della misura e dell’indulgenza insieme; dà la consapevolezza dell’atteggiamento intellettuale e morale, cioè rende l’uomo, in modo riflessivo, capace di darsi la sua foggia e figura spirituale.
Ma la scuola è stata in ogni tempo tanto più fruttuosa, e l'educazione tanto più efficace e viva quanto più si ebbero di mira i problemi che maggiormente preoccupavano la società contemporanea L’insegnamento della filosofia dev’essere non solo retrospettivo, ma pure prospettivo: esaminare non solo i pioblemi che furono formulati in altri tempi, ma pur quelli posti c sentiti dai viventi, e parlare dei fatti nuovi e dei nuovi avviamenti che l’industria, la colonizzazione, il socialismo, i tentativi di riforme religiose e costituzionali hanno prodotto e vanno producendo nella società; così soltanto esso aiuta, come vuole G. B. Vico, l’uomo debole ad uscire dalla sua debolezza, ossia dalla sua inconsapevolezza e dal suo orientamento.
Non c’indugeremo sulle questioni di carattere strettamente didattico che l’onorevole Torre discute con dottrina e perspicacia finissima; ma vogliamo almeno segnalare i due preziosi capitoli dell'appendice che meritano la specialissima* attenzione dei lettori di Bilychnis. Sono pagine che basterebbero da sole a nostrare la squisita penetrazione psicologica dell'ex-Ministro e la genialità del suo programma di ardite riforme. Se esse fossero state dettate dall’americano James o dal francese Marion o dallo svizzero Forster o dall'inglese Ficht o dal tedesco Prcycr, i bravi psicologi e pedagogisti italiani si affretterebbero a tradurle e riprodurle come documento cospicuo di sapienza educatrice;
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ma nenia propheta in patria..., e chi sa quanti anni dovranno correre prima che queste splendide pagine vengano riporr tate nelle nostre antologie pedagogiche!
Nel primo capitolo l’on. Torre propone che s’impartisca anche nel ginnasio un insegnamento pratico, ' occasionale, rivolto a condurre il giovinetto alla conoscenza di se stesso e aH’cducazionc della proprie forze elementari — un corso di - esperienze ea esercitazioni di educazione psicologica », che allenerebbe l’allievo a scoprire le sue deficienze, e le sue possibilità di migliorarsi odi temprarsi nelle buone abitudini.
Nel secondo capitolo si propone che si studino in liceo, insieme con i sommi scrittori della romana antichità, perpetui maestri del pensiero e del gusto letterario, anche scrittori della latinità cristiana del medioevo, nei quali si contengono elementi di cultura indispensabili alla vita dello spirito e finora a torlo negletti e quasi spregiati nelle scuole italiane. « Nella civiltà cristiana, patrimonio tradizionale della nostra gente non meno che nella romanità pagana, stanno le fonti mcn remote del pensiero moderno. La grande letteratura cristiana del medio evo ha dato alla latinità un contenuto nuovo di pensiero, di memorie e d’arte, che la civiltà odierna ha conservato e modificato, ora in armonia, ora in opposizione allo spirito dell’antichità ».
Ma anche per ragioni psicologiche e propriamente letterarie è giusto far concorrere allo studio del latino la lettura dei testi cristiani; e la tesi dcll’on. Torre è riccamente confortata dall’autorevole giudizio di quella schiera di scrittori che dal Filclfo al Viver c a Melchiorre Cano, dal Malebranche e dal Bossuet al Fóndion e a IScrnardino de Saint Pierre, fino al Gaumc, al Ventura e al Manzoni, si sforzarono di dimostrare che tutti i mali del sentimento e dell’immaginazione, della politica, odia vita e dell’arte hanno una delle loro sorgenti nell’istruzione e nell’educazione data per mezzo degli autori pagani. Il relatore cita a proposito l’osservazione del Ventura, che l’eloquenza è l’eloquenza dei pensieri, mentre l’eloquenza pagana non è il più delle volte altro che l’eloquenza delle parole; e ricorda pure che un giudice competentissimo e ' non sospetto, perchè dall’animo c dall’ingegno affatto pagano, Erasmo di Rotterdam, non dubitava di dichiarare, con sommo scandalo della pedanteria, che dal lato della bella ed elegante
latinità San Gerolamo valeva mille volte più di Cicerone!
Senza farsi deviare dalle esagerazioni degli apologisti cristiani del latino medievale, il Torre imparzialmente concerie che il latino degli scrittori cristiani, appunto perchè è l’espressione di un nuovo contenuto religioso, è l’espressione di un nuovo stato d’animo e di una visione più spirituale della vita, ed è il latino a cui l’italiano del trecento somiglia più che al classico per certa sua latinità appassionata, per certa sua semplicità ardita, per.lasua profondità c la sua trasparenza insieme e per la logica del dire. « È dunque — egli conclude — una lingua, un modo di ideare, di vedere, di evocare, che può essere utilissimo alla istruzione psicologica, etica e letteraria. Come nei testi scritturali c in molti altri di tradizioni morali e religiose dell’età di mezzo è una semplicità che li fa adatti ai primi esercizi di traduzione, onde anche moderni filologi insigni più volte consigliarono di trarre dalla Bibbia Volgata i primi esempi di scritture latine da proporre ai giovinetti; così nei Padri e neo filosofi cristiani, tutti rivolti alle cose dell’anima è una grande finezza penetrante di osservazione psicologica, è una profondità di vita spirituale che ben può riuscire educativa alle menti degli scolari dando loro una comprensione larga c sottile a un tempo dei fatti della coscienza e dei modi di riflessione ».
E siamo grati all’on. Torre per aver riportata l’interessantissima risposta che il professore Remigio Sabbadini, dell*Accademia scientifico-letteraria di Milano, diede alla domande del suo questionario. I lettori di Bilychnis saranno lieti di prenderne conoscenza; il Sabbadini scriveva dunque così: « Qual’è il primo testo di lettura che daremo ai nostri scolari?... il primo libro di lettura che io propongo ? il Nuovo Testamento, opportunamente trascelto, nel doppio testo greco e latino, con accanto la traduzione italiana. Quel greco e quel latino’ sono semplici e piani, e scevri delle gravi difficoltà che i principianti incontrano in Senofonte e in Cornelio Nepotc. Nel caso speciale di Cornelio io ho fatto un esperimento in famiglia; ma dopo pochi giorni di prova sono stato costretto ad abbandonarlo e sono ricorso al Tostamente Nuovo con ottimo successo. Quel greco e quel latino furono lingue vive in uno dei tanti momenti del loro sviluppo storico; e viva è ora la lingua italiana che
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ad esse verrebbe associata come terza. I lesti antichi greci e latini rabberciati e ridotti hanno dell’artificioso; artificiosi del pari sono i testi latini umanistici, di pura imitazione. Il criterio invece a cui informarsi dev’essere sempre c rigorosamente storico; e in omaggio al criterio storico bisognerà risolversi a romperla una buona volta coraggiosamente e senza infingimenti col vieto pregiudizio del purismo classico, si chiami senofontismo o si chiami ciceronianismo. Quando a difesa della scuola classica si invoca la tradizione umanistica, vorrei che coloro i quali la invocano non dimenticassero i disastrosi effetti da essa recati alla cultura con la cicca adorazione della forma per se stessa. Quella tradizione invocherò anch’io, ma per rammentare che gli umanisti imparavano il greco sul testo biblico bilingue ».
Ed opportunamente l’on. Torre cita pure la testimonianza di G. D’Annunzio, che in una intervista concessa al Piazza dichiarava: • Ho sempre cercato di apprendere quanto più mi fosse possibile delle qualità espressive più varie della nostra lingua nei migliori scrittori del tempo classico. È nei nostri scrittori del Trecento, Quattrocento, Cinquecento, ' un materiale ricco c prezioso di lingua, atto alla espressione completa e minuta dei fatti narrativi della vita. È però in un altro genere di scrittori un altro materiale non meno ricco, non meno prezioso, non meno espressivo, dei fatti psicologici, materiale che è stato trascurato; parlo degli scrittori della patristica ».
Quando, adunque, si darà posto nelle nostre scuole alla Bibbia e ad alcuni scritti dei Padri? L’Italia è l’unico paese civile' che abbia escluso dalle sue pubbliche scuole lo studio dell’Antico e del NuovoT estamento', distinzione, davvero, poco onorevole!
Eduardo Tagltalatela.
• • •
ANCORA SUL NOME DI DIO IN EBRAICO
Egregio Signor Direttore,
Sono in debito di una risposta all’illustre prof. Pavolini, che nel numero maggio-giugno di Bilychnis pubblicò alcuni rilievi relativamente a due asserzioni contenute nel mio articolo: « La guerra europea dal punto di vista spirituale », pubblicato esso pure da Bilychnis, in marzo. Se rispondo con tanto ritardo, la colpa
non è mia; trattenuto fuori di Roma fin’adesso non ho potuto leggere prima i fascicoli della Sua rivista, che attendevano, qui, il mio ritorno.
I.c due asserzioni che il prof. Pavolini contesta, sono, che presso gli Ebrei I, il nome divino, fosse simbolo dell’uomo eretto (non retto, come erroneamente volle il proto), la lettera cioè che ancor oggi ricorre in quasi tutte le lingue ariane per dinotare l’uomo che parli di sè, io, ich, ia, io, c che il Dio degli Ebrei fosse il dio del principio dell’io umano, il dio della individualità umana.
Anche il più modesto ebraista, osserva il prof. Pavolini, sa che la vecchia interpretazione del tetragramma per « io son colui che sono ». data per la prima volta neH’Esorfo, III, 14. non è ammissibile, c che, qualunque sia l'interpretazione che si voglia accettare, certo è che il termine si riferisce non alla prima, ma alla terza persona (« Colui che è », o « Colui che fa essere »).
« Che dire poi • soggiunge il prof. Pavolini « del simbolo I in quasi tutte le lingue ariane che con le semitiche non hanno, per quanto alcuni abbiano tentato di dimostrare il contrario, nessuna parentela? Lo scrittore dell’articolo non ha nemmeno pensato che l’italiano io è trasformazione di una forma più antica eo, del latino ego; e che nel russo ja ( non ia!) l’t consonante non rappresenta che uno speciale raddolcimento della vocale a, che è il suono essenziale nel gruppo lituslavo... L’i non appare dunque, come iniziale del pronome di prima persona, se non in alcune delle lingue indo-europee e come modificazione di un suono diverso preesistente ».
E dal punto di vista strettamente linguistico, il prof. Pavolini, che è uno scienziato, ha perfettamente ragione. Nè io ho mai pensato che i diversi suoni i clic si ritrovano, presso la maggior parte delle lingue ariane, anzi presso le più giovani di esse, nella parola con cui l’uomo parla di sè stesso, abbiano una genesi materiale, storica, comune. Ma dobbiamo noi sempre escludere che i fenomeni materiali possano essere espressioni di forze spirituali retrostanti? sicché fatti concreti, fenomeni materiali storicamente fra loro disgiunti, non debbano mai potersi attribuire a una causa spirituale unica che, non altrimenti manifesta, li determini tutti?
L’uomo scienziato classifica i fatti secondo le leggi della sua scienza ma queste.
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NOTE E COMMENTI
leggi egli ha prima dedotte dalla constatazione costante dei fatti. E perchè non deve questo processo valere nella sfera dello spirito — per quanto sia possibile investigarla — come in quella della materia?
Perchè non deve essere lecito ammettere e ricercare le connessioni spirituali di fa£ti, c considerarne le ricorrenze e. le coincidenze agli effetti di possibili leggi spirituali che li governino, indipendentemente dalle loro apparenti connessioni o non connessioni materiali?
La scienza positiva, si può dire, non conosce lo spirito e non può quindi tenerne conto o prenderlo in considerazione. E sta bene; ma a chi ammette resistenza dello spirito e di sfere spirituali della realtà, s’impone fatalmente >1 bisogno di estendere anche a queste ultime le sue ricerche e le sue indagini.
E siccome, per chi ammette l’esistenza dello spirito, ogni evento o fenomeno materiale non può essere che la proiezione nella sfera del sensibile di fatti o di forze spirituali, non è che dalla considerazione dei fatti materiali, svolta con piena indipendenza dalle leggi mateiiali che li governano. che si può sperare di assurgere a una prima conoscenza delle verità spirituali di cui essi sono espressione.
Or dunque !'« non appare come iniziale del pronome di prima persona, se non in alcune delle lingue indo-europee e come modificazione di un suono inverso preesistente, e specialmente mai come derivato di un I ebraico. D’accordo. Ma ciò non toglie che questa coincidenza — chiamiamola così — del suono i nel pronome di prima persona possa essere la materiale manifestazione di quel valore spirituale (il principio dcll'to) che si è sviluppato presso gli Ebrei, c dopo l’avvento del Cristianesimo si è diffuso presso i popoli occidentali. .Anch** il Cristianesimo è stato in origine un fenomeno semitico, e pure oggi èjproprio dei popoli ariani, anzi — altra curiosa coincidenza —- per l’appunto di quei popoli ariani, nei cui idiomi è più spesso comparso il suono i nel pronome di prima persona.
Anche le dottrine mistiche ebraiche fondavano moltissimo sópra il canone che i* suoni avessero valore di manifestazioni di forze spirituali, e che le parole dovessero quindi interpretarsi alla stregua dei suoni, ossia delle lettere, che le componevano. So l>enc, che mi si può obbiettare, che nei libri mistici ebraici è evidente lo
sforzo di dare, a posteriori, questa specie d’interpretazione agli antichi testi sacri; ma se questo sforzo dimostra un eccesso di zelo nei rabbini che composero, la Cabala, non prova però che il principio stesso del valore spirituale dei suoni non possa essere giusto e rispondente a verità. Del resto è questo medesimo principio in fondo, che ispira il concetto cristiano del Verbo, che poi si fa carne, cioè della forza divina creatrice, che trova la sua prima spirituale manifestazione nel suono di una parola, per poi concretarsi in una seconda manifestazione, nel mondo fisico c materiale (i).
Per questo, venendo ora a parlare del tetragramma, poco monta se esso sia un termine che si riferisce alla prima o alla terza persona. Parrebbe anzi molto logico, che esso si debba riferire alia terza persona, perchè il popolo ebreo, parlando del suo Dio, era naturalmente tratto a chiamarlo « Colui che è ■; mentre il Dio stesso, parlando di sè medesimo, non poteva nominarsi che in prima persona: « Sono colui che sono a. L'importante è invece che il significato del tetragramma è intimamente connesso col significato il tetragramma contiene il suono'di tre tempi, passato, presente e futuro, della coniugazione del verbo essere.
Sicché il culto del popolo ebraico si basava, sostanzialmente, sulla coscienza di essere, la quale altro non è che la coscienza del proprio io. E infatti, per quanto Israele si ritenesse il popolo eletto del Signore, il suo dio era un Dio universale, non un dio nazionale, locale, come quelli di tanti altri popoli dell’antichità, perchè stava per l’appunto a significare quel principio divino che è proprio di ogni uomo, e che lo ha eretto dalla posizione prona degli animali, dai quali è derivata la sua forma.
Nella sua nota il prof. Tavolini si doleva che a un uomo di alto ingegno e larga dottrina, come cortesemente ha voluto definirmi, faccia tuttavia difetto un po’ di glottologia elementare, che è pur complemento indispensabile di sana coltura.
Non dica questo; piuttosto mi taccia di essere soverchiamente incline a idee fantasiose che, sebbene per secoli sieno state patrimonio di tanti fra i maggiori pensatori, sono oggi dai più relegate e rinnegate. È meglio esser preso per folle, che non per ignorante.
G. A Colonna di Cesarò.
(x) V. l'A. Le conseguenze di questa pia teoria a pag. 65 (art. di C. Puini). Red.
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Gli avvenimenti di politica religiosa del mese nella stampa
SOMMARIO:
i. Benedetto XV nega la possibilità di riforme - 2. La settimana sociale cattolica -, 3. Il gesuita Bellarmino esaltato - 4. Il sermone di Natale del papa.
5. I giudizi della stampa sul voto per la ripresa delle relazioni diplomatiche col Vaticano - 6. Il rinvio della discussione al Senato per la fine di gennaio: sue presunte cause - 7. Il Valicano e le questioni orientali: pretese francesi, ostilità inglesi, il sionismo, S. Efrem, i Maroniti - 8. La « nuova internazionale • della Chiesa e le sue manifestazioni: i cattolici e la repubblica in Portogallo; i sovrani danesi in Vaticano; il concordato bavarese; la rappresentanza olandese presso la S. Sede; gli S. U. deli America centrale e il Valicano; voci di legami diplomatici tra la Grecia e la S. Sede - 9. L'atteggiamento del Vaticano nella questione irlandese.
1. Il 16 dicembre scorso Renedetto XV tenne il Concistoro segreto per provvedere alla nomina di titolari per le sedi vescovili vacanti. In questa occasione il Papa pronunziò un’allocuzione rimasta'segreta per alcuni giorni. Soltanto il 22 die. alcuni giornali ne riferirono sommariamente il contenuto, e da essi abbiamo appreso che gli argomenti trattati sono stati due, entrambi molto delicati: e precisamente l’atteggiamento di una parte del clero cattolico czeco-slovacco e le ostilità che alcune missioni cattoliche incontrano qua e là per le conseguenze della guerra.
Quanto alla prima questione, secondo quel che scrive l‘Eco di Bergamo (22 die.), il Pontefice dichiarò di approvare « di gran cuore » la risoluzione dei Vescovi czeco-slovacchi che credettero opportuno di sciogliere l’associazione generale del clero czeco chiamata lednota, sostituendola con associazioni diocesane che salvaguar
dassero i diritti dei Vescovi. E rilevando che alcuni sacerdoti della lednota non esitano a esprimersi in favore dell’abolizione del celibato, il Pontefice volle nella sua allocuzione esprimere chiaramente il suo parere al riguardo.
« Se la Chiesa latina è così rigogliosa e fiorente — ha affermato — gran parte di questa gloria e di questo vigore lo deve al celibato dei suoi sacerdoti, il quale perciò deve essere mantenuto in tutto il suo salutare rigore.
«Oggi d più che mai doveroso che il sacerdote cattolico, il quale deve guidare i fedeli nella lotta contro le passioni, non mostri alcuna debolezza in sè stesso, e continui a dare al mondo esempio delle sue vittorie, ricordando sempre l’esortazione del santo pontefice Siricio, di consacrare dal giorno della nostra ordinazione il nostro cuore e il nostro corpo alla so-, brietà e alla pudicizia ». F. .conclùse:
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« Noi solennemente c fermamente proclamiamo che mai la Santa Sede potrà addivenire ad una abolizione o anche mitigazione di una legge così provvida c cosi salutare a.
E a questa esplicita affermazione di risoluta contrarietà a qualsiasi riforma della legge del celibato ecclesiastico, faceva seguire un’altrettanto esplicita c significativa dichiarazione circa la possibilità di riforme di carattere democratico vagheggiate da alcune correnti nel clero e nel laicato cattolico: « Del pari affermiamo, come già facemmo nelle lettere indirizzate all'arcivescovo di Praga, che le novità di carattere democratico che alcuni tentano introdurre nella disciplina della Chiesa, non potranno, mai essere approvate dalla apostolica sede ».
2. Una manifestazione importante del-V Unione Popolare cattolica si è avuta a Roma, nel salone di Pio VI in via della Scrofa, dove dal 13 al 18 dicembre si è svolto il IX Congresso di studi sociali, ossia la »settimana sociale cattolica» organizzata dal Centro Nazionale di cultura.
Meno dottrinale della settimana sociale dei cattolici francesi, quella italiana ha avuto per oggetto di assicurare l’unità di vedute tra i militanti dei sindacati, delle cooperative e delle altre diverse organizzazioni sociali cattoliche che in questi ultimi tempi hanno avuto un rapido sviluppo. La sola confederazione dei sindacati conta 1.600.000 aderenti, divisi in 25 federazioni nazionali di mestiere. La Federazione delle cooperative riunisce 5 federazioni nazionali: Credito rurale, Credito popolare, cooperative di banca, cooperative di produzione, cooperative di consumo, le cui operazioni, in ogni ramo, importano milioni c milioni.
Il pubblico della settimana sociale era composto in gran parte di propagandisti, di militanti, di direttori cooperatile e di casse di credito, ai qua i si erano aggiunti parecchi professori di università e deputati al parlamento.
Due sono stati i soggetti principali, intorno ai quali tutte le altre questioni venivano a raggrupparsi: la partecipazione dei lavoratori alla gestione ed al controllo (consigli di fabbrica) c il problema agrario della proprietà. Queste sono le due grandi preoccupazioni dei cattolici sociali d’Italia.
Il congresso fu inaugurato con un discorso del presidente, mons. Minoretti, vescovo di Crema, su La morale cattolica ed il progresso economico sociale, così riassunto ne V Avvenire d‘Italia (14 die.):
« Premessa una lucida esposizione sul valore dei termini adoperati nella trattazione, l’oratore raccoglie le sue affermazioni in questa sintesi: " La morale cattolica prepara il progresso economico e sociale, lo fiancheggia onde non abbia a deviare, lo ripara quando sia venuto meno ’*.
« Esso prepara il progresso economico sociale procurando resistenza dell’ordine c dei fini e quindi la distinzione fra ciò . che è lecito e ciò che ò illecito ricordando la responsabilità che ha l’uomo dei propri atti, difendendo l’unità c la indissolubilità della famiglia, sostenendo la privata pro prictà, pur contenuta c limitata dai doveri sociali. Inoltre offre un concetto esatto dello Stato, specificandone le attribuzioni c indicando le limitazioni della autorità di lui. Questo insieme di principi costituisce l’ordine che è presupposto necessario della economia c del suo progresso. Esso dunque dalla morale cristiana vien stabilito con meravigliosa sicurezza ed efficacia. Ma la morale stessa non solo prepara, ma anche fiancheggia il progresso economico sociale, »nei tre momenti nei quali si esplica la attività umana.
0 Quanto alla produzione, non osteggia l’elevazione c l’avvento del quarto stato al potere: ma è contrario alla sua dittatura che sarebbe elevamento soltanto materiale c .preparerebbe uno spaventoso regresso.
« Ammette la partecipazione delle donne alla vita pubblica quando lo stato della Società esiga che esse difendano la propria dignità. Condanna il. comunismo, così come condanna il formarsi di un piccolo ceto di possessori accanto ad una moltitudine di salariati senza possibilità di generalizzare la piccola proprietà. Non sconfessa il capitale, ma condanna il capitalismo, vera degenerazione del regime a capitale.
«Quanto alla distribuzione, la morale cristiana riconosce la prevalente efficacia del lavoro cpme atto umano da retribuirsi secondo le finalità del lavoro, giusta il diritto del lavoratore ad una vita conveniente.
«Senza condannare il salario preferisce la forma della compartecipazione agli utili della gestione; riconosce l’utilità del contratto collettivo e non rifugge dallo
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sciopero dietro determinate cautele, escludendo l’odio di classe.
« Ma esauriti così i principi necessari per il benessere materiale, afferma con pari e maggiore energia la necessità della virtù morale senza la quale si verrà alla dissoluzione sociale.
« Quanto al consunto la morale cristiana vuole la soddisfazione dei bisogni reali e non fittizi; condanna la prodigalità e il lusso, come condanna l’avarizia; invita alla previdenza e al risparmio e invoca il doveroso concorso delia collettività per i fedeli còlti dalla sventura.
« Finalmente la morale cattolica ripara le eventuali dcficenze del progresso eco- • nomico c sociale, giacché l’uomo conserva la ragione anche quando la rinnega ed è sempre per lui possibile l’elevamento dopo l'errore. La Chiesa cattolica prepara il ritorno mantenendo intatta la sua dottrina, dirigendo una schiera-di apostoli che si preparano a togliere dalle mani dei sovvertitori fatti impotenti, le sorti dei popoli oppressi dall’uragano di odio che ha sconvolto le nazioni, le leggi della virtù c dell’amore fondate nell’uguaglianza di natura c proporzionate nelle leggi della Grazia ».
Il soggetto scabroso della funzione sociale della proprietà venne trattato con molta prudenza conservatrice dal P. Ver-mcersch dell’università Gregoriana. Ne troviamo un largo riassunto sul Piave di Treviso (28 die.).
Egli, incominciando, si pone la domanda:
a Là proprietà, oltre alla immediata destinazione a vantaggio del possessore, ha altresì una ripercussione sul benessere della società?’ E la funzione sociale della società è necessaria ed essenziale, o soltanto accidentale? ».
E risponde che la proprietà ha necessariamente una funzione sociale.
«Giacché: 1® essa serve all’acquisto, alla conservazione e ánche alla distribuzione dei beni temporali di cui abbisogniamo; 2° è strumento di cultura superiore e di progresso sociale; 3® affranca la società dallo « statismo » e i cittadini da una servile dipendenza dai governanti; 4° provvede all'intelligente e generosa direzione della società; 5® essa interessa i cittadini al bene comune. In altre parole, la società deve alla proprietà privata di trovarsi più ricca, più colta, più libera, meglio governata e più amata.
E si domanda quindi:
«La proprietà individuale, pertanto, è legittima perchè ha una funzione sociale? oppure la sua legittimità è indipendente da questa funzione? Vi sono scrittori cattolici che propendono a rispondere affermativamente a questa seconda domanda, perchè la proprietà corrispondeva a un bisogno dell’uomo prima che fosse unito in società.
« La proprietà individuale, pertanto, ha altre radici che non siano l’utilità sociale; ma, d’altra parte, la realtà del diritto basta per concludere ad una funzione sociale, senza la quale non si può immaginare un diritto vero di essere sociale.
« Contro di ciò stanno due errori: 1’ "individualismo " e il " socialismo ”.
« Questa stessa funzione sociale che serve di " armatura ” alla proprietà privata, crea, anche per lo Stato, un titolo d’intervento, una vera giurisdizione, la quale non permette affatto alla società politica di sopprimere un diritto anteriore ad essa; non permette neanche di limitarlo direttamente; ma ammette un intervento indiretto, facendo quei regolamenti che sono richiesti dalla sicurezza delle possessioni, dalla pace tra i possessori, e anche dalla destinazione dei beni esteriori all’utile comune della società.
Sul tema spinoso dei Consigli di fabbrica parlò il prof. Caristia delrUniversità di Macerata.
L’ot atore tratteggiato a grandi linee il quadro quale viene posto oggi del problema dei »consigli di fabbrica, suggerito dall’acuto dissidio tra datori di lavoro ed imprenditori, ha distinto anzitutto i due diversi motivi che spingono alla attuazione di questa nuova istituzione: degli uni che li vogliono come forma di collaborazione tra capitale e lavoro e gli altri che con essi vogliono portare gli operai all’acquisto e alla padronanza assoluta delle aziende.
L'oratore quindi si appella alla esperiènza che, sebbene scarsa, è ricca di insegnamenti ed esamina i consigli di fabbrica attuati con legge in Germania e in Austria e preparati come progetto nel Belgio. Osservato come nei Consigli di fabbrica germanici siano contemplate diverse funzioni morali, economiche ed amministrative, rileva come chi li volle attuati partì da questo concètto non da tutti condiviso: di attuare cioè nelle aziende il passaggio da quello che potrebbe chiamarsi forma monarchica a forma rappresentativa.
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Si sono avute come conseguenze : diminuzione di autorità con conseguente danno dell’indeterminazione del profitto da stabilirsi per gli imprenditori e tutti gli inconvenienti del sistema rappresentativo. In Austria, a differenza della Germania, abbiamo nei consigli la rappresentanza dei sindacati. Nei progetti di attuazione presentati nel Belgio, sta a base la collaborazione: ogni concetto di lotta è escluso.
Scarsi risultati quindi finora: per cui l’oratore, raccogliendo le sue conclusioni, dice nei riguardi dell’Italia che, data l’attuale impreparazione delle classi lavoratrici a partecipare utilmente c effettivamente alla vita delle aziende, non ritiene opportuno si debba oggi addivenire alla istituzione di consigli sul tipo di quelli introdotti dalla legge tedesca.
L’imitazione potrebbe essere dannosa per il nostro Paese. Sembra più giusto invece ed opportuno fare procedere con opportune cautele ed introdurre una forma di partecipazione agli utili che abitui i lavoratori ad informarsi ed interessarsi sempre più dell’ordinamento e funzionamento delle fabbriche in modo da essere pronti ad una larga ed effettiva partecipazione.
Praticamente poi, ed in speciali contingenze, l’oratore crede che ove il legislatore creda opportuno intervenire con provvedimenti speciali in questa materia ò da augurarsi sopratutto ed innanzi tutto che ciò faccia con la forma obbligatoria, ma lasciando alla facoltà degli interessati il decidere sulla convenienza o meno di istituire i consigli di fabbrica. Del resto non dimentichiamo che nessun nuovo ordinamento potrà avere valore di partecipazione se prima non saranno instillati negli animi quei sentimenti di ordine, di disciplina e di sacrifìcio che rendono gli uomini responsabili del proprio lavoro.
Secondo le impressioni espresse da un reduce da questa settimana su VF.co di Bergamo (28 die.) la caratteristica principale del Congresso fu « l’equilibrio razionale e cosciente che presiedette alle singole trattazioni; per modo che tanto le lezioni quanto le conclusioni che furono presentate dai relatori e fatte sue dal Congresso, evitarono tanto gli estremismi democratici c demagogici di sinistra, quanto quelli ostinatamente ed esageratamente conservatori di destra: così il soverchio e dannoso attaccamento ad un passato, che fu, anche gloriosamente, ma
che oggi non ha più ragione di essere; come un pericoloso gettarsi,' senza freno e senza misura, ad un presente e ad un futuro inconsiderato e rivoluzionario che potrebbe mettere in serio pericolo la stessa società ».
Il medesimo pensiero troviamo espresso in un articolo di Giuseppe Della Torre in titolato Dallo studio all’azione riprodotto in parecchi quotidiani cattolici (vedi p. ès. il Venezia de) 28 die., il Cittadino di Brescia del 1 genn.) nel quale si afferma appunto che il Centro nazionale di cultura ha saputo evitare nell’organizzazione del Congresso i due pericoli; e vi si aggiunge che è da augurarsi che il Congresso «sia destinato ad esercitare nell’azione e nella vita sociale cattolica d’Italia una influenza tanto salutare quanto desiderata e necessaria ». È specialmente notevole questo articolo perchè in esso si rivendica all’unione Popolare il diritto di vigilanza e controllo su tutta l’azione cattolica.
« Oggi le conclusioni del Congresso — dice il Della Torre — costituiscono il codice di tutta quell’azione sociale cristiana che in nome della giustizia e dell’amore, del diritto e della carità, reclama il silo posto, il primo posto, fra le mo’-teplici attività intente alla soluzione della ciisi odierna...
a... la guida esiste, le pregiudirialisono fissate, il principio è dettato. Nessuno lo può e lo deve ignorare, nessuno, qualunque ne sia il rapporto organico con VAzione cattolica, nessuno che voglia promuovere ed attuare dell’azione cristiana fra le masse, può arbitrarsi d'ora innanzi di obliare e misconoscere gli studi c i postulati di Roma.
« Sull’applicazione dei principi, sulla interpretazione della dottrina, sul contenuto e sul prestigio del nome cristiano Sosto a contrassegno di un programma e i un’organizzazione operaia, la vigilanza e il controllo spettano incontestabilmente all’Uniqne Popolare, come uno di quei naturali diritti, che per la loro stessa natura, si confondono in un dovere.
« L’Unione Popolare ha provveduto finora per se c per gli altri a ciò che definimmo tl codice dottrinale e quindi moralmente disciplinare dell’azione sociale cristiana. L'ha sanzionato e promulgato nel IX Congresso per autorità di dotti, sotto l’egida di venerandi Pastori della Chiesa, col conforto di particolare benevolenza pontificia. E il primo passo: inutile e vano se ne fosse
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altresì l'ultimo: salutare e deci viso se segnerà l’inizio di una attività diligente e continua a che tutta l’azione s’ispiri a quei principi, accetti quella legge, segua quella guida. Questa grande missione è tale da costituire per sè sola tutta la ragione di essere o di vivere del nostro maggiore sodalizio; ma da decidere sopratutto dell’influenza sociale del cattolicismo sui più gravi problemi odierni »;
3. La mattina del 22 die., in Vaticano ebbe luogo una solenne manifestazione in glorificazione della Compagnia di Gesù. In presenza del Pontefice, del prefetto e degli ufficiali della Congregazione dei Riti, della curia generalizia della Compagnia, ecc. ecc., ebbe luogo la lettura de) decreto sulle virtù di grado eroico del cardinale gesuita Roberto Bellarmino. Un onore simile era già toccato quattro anni or sono al Pignatelli, considerato come l’anello di congiunzione tra l'antica c la risorta Società dei Gesuiti.
Veramente — come ebbe ad osservare modestamente il pontefice —il merito del decreto a gloria del Bellarmino spetta a Benedetto XIV, il quale fu costretto ad ometterne la pubblicazione solo per le condizioni di quei tempi. Oggi, pare, checché si affermi in contrario, i tempi volgono favorevoli c il turibolo ha incensi !*er « gli croi » della famosa « compagnia », orse più incompresa oggi che nei così detti tempi della tenebrosa ignoranza.
Il Papa, parlando in questa occasione dell’apostolato e del magistero del Bellarmino, mise in rilievo — secondo l’informazione de l’Italia di Milano (23 die.) — le ragioni per le quali «ai tempi nostri si impone la imitazione della sua virtù ». E concluse :
< Siamo in un’epoca nella quale dilagano sempre più le false dottrine, le insidie, specialmente rivolte contro Gesù. Di qui nasce pertanto la necessità di promuovere l’azione cattolica, di avere una falange di propagandisti, di contrapporre scuola a scuola, giornali e riviste a giornali e riviste, conferenze a conferenze ».
4. La mattina della vigilia di Natale nella Sala del Concistoro il Papa ricevette il Sacro Collegio dei cardinali. Il decano dei cardinali, il Vannutelli, lesse un indirizzo presentando gli auguri a nome dei suoi colleghi. Il Papa rispose con un discorso in cui, dopo aver ringraziato per
i voti espressigli, ha rilevato che pur troppo durano ancora per la Santa Sede le preoccupazioni, in quanto, se è cessato il conflitto delle armi, incombe tuttavia il peso di. una gravissima trepidazione, non solo pei disagi derivanti dalla guerra, ma anche per le guerre interne dei popoli c per la lotta tra le classi sociali. « Rimane ancora — ha proseguito — un compito grave come non mai: quello della pacificazione degli animi. Se questo compito è evidente dove ancora ardono lotte esterne, altrettanto esso è necessario dove i popoli sono lacerati dalle lotte intestine. Insieme alla pacificazione degli animi, non meno necessaria è la restaurazione dell’ordine. La guerra è sedata; non si può però dire che essa sia spenta del tutto, se sussistono ancora i dissensi degli animi. Molto maggiori delle rovine materiali sono quelle morali, delle quali mai si curò l'umana sapienza, unicamente preoccupata delle questioni di confine, di interessi, di sostanze».
Il Papa ha quindi additato cinque mali, che ha paragonato a cinque piaghe che affliggono l’età nostra: la negazione della autorità, l’odio tra i fratelli, la smania dei godimenti, la nausea del lavoro e l’oblio di quel fine sopranaturale che è il « porro unum ncccssarium » nei destini degli uomini. Invano le nazioni, c gli uomini si sforzano di restaurare le sorti se non ricordano ciò ch’è scritto nei libri santi, che cioè è vana speranza ricostruire là dove il Signore non è invocato a cooperare alla ricostruzione. È perciò proprio della missione del Papa ricordare questo monito alla società nel grave momento presente. Ed ha terminato l’allocuzione affermando che il rimedio per tutti è il ritorno al Vangelo.
« Solo tornando al Vangelo, principio c documento della trasformazione operata un tempo da Gesù Cristo nel mondo, si potrà avere quel rinnovamento della società, che è ora ridivenuto più che mai necessario dopo le esiziali deformazioni operate dalla guerra.
« Sotto gli auspici adunque della Chiesa continui anche oggi e st intensifichi lo studio, la ricerca, la venerazione del gran libro, dove è consegnata la ricetta di salute, e dove sta scritto: “ non est in alio aliquo salus” (Act. IV)».
• • •
5. I primi giorni del mese sono stati occupati dagli echi di gioia e di dispetto
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che la stampa à riportato e riprodotto per esprimere il sentimento dell’opinione pubblica francese e straniera sul voto del Parlamento francese per la ripresa delle relazioni diplomatiche col Vaticano.
Quella che il giornale socialista di Berlino Die rote Fahne aveva chiamato una a commedia imbastita dramáticamente » per concentrare tutte le forze reazionarie contro la marcia del proletariato e che i pochi giornali estremisti di Francia commentavano nello stesso tono, era terminata alnjcno nel suo primo atto e provocava un respiro di soddisfazione in coloro che l’avevano voluta. La France libre poteva pur sostenere che questo fatto poteva far dubitare che nell’apparenza al meno il « libero esame aveva trovato un accordo col Sillabo e che la Fraiftia avesse se non lasciato cadere per lo meno abbassato la sua fiaccola >; la Bataille poteva pur protestare contro i tisicuzzi politicanti che andavano a curvare la testa e fare ammenda onorevole davanti al vecchio che immurato nel Vaticano « rappresenta un passato d’oppressione e di fanatismo religioso » dal quale si era già procurato di strappare la Repubblica; gli organi tutti della stampa esprimevano la soddisfazione e la Croix metteva per l’occasione in evidenza secondo la enciclica di Leone XIII Immortale Dei i principi che regolano le relazioni tra la Chiesa e lo Stato e ricordava quella con cui Pio X aveva protestato contro la separazione e aveva pur accettato la separazione — si noti — « purché fossero osservate le condizioni imposte dall’equità».
I nostri giornali cattolici, sopratutto al primo momento, avevano tutti adottato la formula, d’ispirazione vaticancsca evidentemente, che pur ammettendo la soddisfazione della S. Sede voleva dimostrarne il riserbo tenuto fin'allora e la sua giusta preoccupazione per il secondo atto della « commedia ». Il Corriere d'Italia, l’Avvenire d'Italia, l'Italia, il Momento ànno cioè dichiarato che in Vaticano « non si nascondeva la profonda soddisfazione di questo risultato; ma che la S. Sede specialmente in quest'ultimo periodo aveva conservato un atteggiamento di assoluto riserbo poiché sapeva che tanto,il governo quanto la maggioranza della Camera francese erano concordi nella persuasione dei grandi vantaggi che sarebbero derivati alla Francia dalia sua riconciliazione con la Chiesa. Il fatto ha dimostrato che in
Vaticano non si ingannavano. Questo riserbo sarà ancora mantenuto sinché non abbia luogo la discussione in Senato ».
Qualche giornale solamente come l’Eco di Bergamo, si lanciò a' voli pindarici di lirismo, e qualche altro, come il Cittadino mise ripetutamente c insistentemente in luce il fatto che l’avvenimento doveva collocarsi nel momento in cui si compieva e quindi considerarlo come il risultato di quell 'esprit-nouveau che aveva fatto comprendere alla Francia come il ritorno all’antico fosse l’unica via di salvezza che le fosse rimasta e questo ritorno all’antico non fosse altro che il suo identificarsi completo ed assoluto col cattolicismo.
Qualcuno, come il Corriere della Sera, considerando l'indifferentismo superficiale o per dir meglio esteriore di Parigi, non sapeva come spiegarsi il ristretto spazio che i giornali francesi davano alla narrazione dell’avvenimento e sopratutto alle caratteristiche della discussione durante la quale si era avuto «un leggero battibecco tra il presidente della Commissione esaminatrice del progetto e un oratore radicale che cercava di metterlo in imbarazzo con un caso di coscienza: il presidente della Commissione, Noblemaire, un liberale, rispose tranquillamente: " Chiederò il parere del mio confessore Cosa che non ha stupito in una Camera la cui maggioranza si rivela schiettamente conservatrice e ove si vedono quattro vesti talari ».
Altri, più positivo, come il Corriere del Parlamento metteva in luce i moventi della grande « commedia » e ne trovava di unicamente realistici — ciò non negano del resto neppure i giornali cattolici — e cioè nella ferma volontà della Francia di espandersi in Oriente. •« Il nuovo sogno d’espansione francese conosce a fondo i tentativi e gli. errori della passata politica europea in Oriente e il governo della Repubblica crede di trovare, a Roma, le chiavi per aprirsi dalla Palestina il varco in quei paesi, ricchi e indolenti.
« La manovra di per sé stessa è già così evidente, per ritenerla accorta. Ma. questa volta, sono in questione problemi troppo vitali per l’una c l’altro, per non vedere che ci sono troppi grossi interessi che hanno permessa, la riconciliazione tra Francia e Vaticano. Il presupposto religioso è di minima importanza, se si è arrivati al punto di sentirlo proclamare in piena Camera dai più arrabbiati sostenitori ‘ del-
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l’idea anticlericale. La nuova " entente ”, mentre è un “ affare ” di politici interna, se così possiamo dire, per il Vaticano, rappresenta invece per la nazione francese una base solidissima per la politica del Quai d’Orsay. È, insomma, uno dei primi tanti piani per i disegni, cui tende oramai chiaramente la Francia per instaurare il suo predominio nell’Europa continentale e mettersi così a rivaleggiare con la grandezza della Gran Bretagna che, ogni giorno, si pensa debba finalmente cadere o nell'indio. o in Africa, o nel Canadá ».
La Dépéche coloniale et maritime, p. es., non poneva con minor franchezza in evidenza questo lato materialistico della ripresa, intitolando l’articolo di commento Per il nostro impero d'oltremare, mettendo in luce l'effetto che la cosa faceva nelle colonie e sopratutto nell'Oriente, e tracciando brevemente tutta la rete di influenza, di mezzi, di opere, con cui dal xvi sec. in poi la Francia « protegge » i cristiani. Concludeva asserendo che <l’ambasciata di Francia presso il Vaticano sta per rinnovare le nobili tradizioni che sono la base della nostra missione protettrice nel Levante ».
Forse il commento più bello, però, era dato dal Lavoro di Genova che pubblicando la traduzione del discorso di Paolo Bon-cour, deputato socialista, metteva con lui in guardia i cattolici dal pericolo che costituiva per essi c per la società com’è costituita il fatto del riannodamento delle relazioni col Vaticano se esso, com’egli ammetteva, era dovuto più ad un fatto di politica interna ed europeo che ad un fatto di politica orientale. Lo spirito cioè che anima i popoli del dopoguerra, e la stessa Francia in primo luogo, è troppo violento perchè si possa contrastarlo e contrapporvi un’azione controrivoluzionaria che sarebbe effimera.
« E allora ai cattolici che non vogliono separare la democrazia dalla fede religiosa — c ve ne sono molti in questa Camera — io mi permetto di dire: State in guardia! Mentre voi credete semplicemente di rendere omaggio al capo delle vostre credenze, voi servite invece’ ad una politica che amplierà la lotta anticlericale portandola al di là delle frontiere, ponendo, per così dire, nei fondamenti stessi della nuova Europa questa opposizione che si credeva la guerra avesse fatto sparire e che ha pesato su tutto il secolo decimonono, di
cui Proudhon ha fatto un libro e la Convenzione una epopea: la Chiesa e la Rivoluzione.
« La guerra che ha inondato il mondo di una pesante onda di materialismo ha anche riaperto le fonti dell’ideale presso quelli che hanno combattuto, e presso quelli che hanno sofferto. Vi è stata una rinascita idealista, di cui fatalmente beneficia anche il pensiero religioso. C’è più gente nelle chiese, perchè c’è più madri che piangono, come ci sono più anime che cercano angosciosamente il significato dell’universo, che cercano appassionatamente l’ordine nuovo che impedisca al mondo di ridivenire un caos sanguinoso ».
Belle affermazioni queste di indiscutibile verito, anche se non tutti possiamo ammetterle coll'intento di giungere alle identiche conclusioni cui giunge il Bon-cour.
Esse ci ricordano quelle del Don Chi-sciolte di Roma che con forse maggiore felicità coglieva nel segno col suo breve commento analogo, ma più preciso.
« Le anime dei singoli sono sazie di strage e sono sazie di od , le masse cercano altre fedi che sostituiscano quelle che non sono più.
« È vero che un fermento agita i popoli, che i popoli guardano in alto, sentono nel cuore qualche cosa che è nostalgia e speranza insieme. È vero che certi problemi, in quest'ora crepuscolare, preoccupano e seducono, che gli uomini si affannano pili che mai a cercare risposte ai grandi perchè, che lo spirito inquieto pone al ragionamento.
« Ma Roma non può dare che una fonte esausta e torbida, le coscienze ragionanti non possono piegarsi al credo cieco.
«Cristo non il Papa, il Vangelo non il dogma della chiesa di Roma!
_ « I settari senatori francesi Che in nome di un materialismo pseudo scientifico ostacolano la ripresa dei rapporti francovaticani, incosciamente rispondono all'appello di questa voce, corrispondono all'oscuro bisogno delle folle assetate di luce, di verità e di amore ».
6. Ma come abbiamo detto la commedia non è ancora terminata. Alla fine del mese dovrebbe esser rappresentato il secondo atto, cioè la discussione al Senato della richiesta di fondi per la ripresa. Ed il Senato è un osso duro, al dire degli stessi organi vaticaneschi. La Liberté nel commentare
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il voto della Camera l’aveva già ammonito di essere leale, di non trasgredire cioè l’ordine che gli viene dal Paese per mezzo della Camera. I radicali, i quali sono stati i maggiori oppositori al passaggio del progetto, sperano al Senato, dove sono in maggior numero, di offrire per lo meno una opposizione più agguerrita c più battagliera. E perciò essi per mezzo della commissione degli esteri avrebbero ottenuto il rinvio della discussione da dicembre, quando, a quel che pare, il Governo voleva si approvasse il progetto, alla fine gennaio. Nel frattempo vi sarebbero state le elezioni senatoriali e forse il partito sarebbe tornato in maggior numero e con maggior forza ed autorità al dibattito.
Il fatto però indiscutibile del rinvio è da altri presentato in altro modo. Alcuni dicono che gli stessi moderati favorevoli, non capivano la necessità di precipitarsi a votare in due o tre giorni un progetto sul quale la Camera ha discusso nella sua commissione prima e nelle sedute del Parlamento poi, durante dieci mesi, per affrettare la discussione e per imporre ai commissari di promettere l’approvazione del progetto per la fine dell’anno.
Altri, meno benevoli, ritengono che il Governo stesso abbia voluto l’aggiornamento per tener meglio e di più sotto la minaccia il Vaticano e strapparne per l’Oriente e per la Palestina il massimo di concessioni.
L’Informatore della Stampa invece comunicava questa voce:
« L'ambasciata francese presso il Vaticano. che doveva essere ristabilita nel mese corrente, è stata invece rinviata alla fine del prossimo mese di gennaio. La Francia ha motivato questo ritardo con la necessità di compiere prima le elezioni suppletive senatoriali che avranno luogo l’undici gennaio; ma la verità è che il Vaticano ha fatto sapere, per il tramite del cardinale Dubois, che egli non gradirebbe la nomina di Maurice Herbette, che pareva destinato al posto di ambasciatore presso la S. Sede. Tale nomina invece era desiderata dal sig. Barrère, il quale desiderando, com’è noto, di ritirarsi dalla carriera diplomatica, almeno nodalmente, voleva che l’Herbette esperto conoscitore della politica internazionale c dei precedenti rapporti tia la Francia cd il Vaticano, venisse in Italia per attraversare i piano della politica italiana nei riguardi
del Vaticano e delle potenze estere. Essendo di ciò venuta a conoscenza, la S. Sede ha compiuto l’accennato passo.a mezzo del cardinale Dubois, mentre la Francia ha dovuto rinviare con una futile motivazione la nomina deH’ambasciatore ».
Indubbiamente il Senato darà del filo da torcere, tanto più che vi è una forte corrente in Francia, rappresentata per esempio ncW Pelai r del deputato del Mor-bihan, Maurizio Marchais, quale vuole che prima la S. Sede accetti a separazione, le leggi della repubblica e ie associazioni cultuali. Abbiamo detto già {altra volta che a quest’atto era disposto Benedetto XV che aveva già fatto preparare un decreto di revoca della scomunica di Pio X contro le cultuali. In una intervista del corrispondente del Petit Journal con un alto prelato romano anonimo sarebbe stata confermata questa tendenza del Vaticano, dalla quale avrebbe desistito solo per influenza di alcuni intransigenti venuti a Roma per la canonizzazione di Giovanna d’Arco e per intromissione di vescovi che avrebbero preferito il regime dei sindacati diocesani, appoggiati sulla legge dei sindacati.
Se non che questa situazione ibrida, incerta, indispone molti ed il Marchais si fa interprete della loro voce. Nel nome della franchezza, per evitare malintesi, per il bisógno sincero della pacificazione interna, il papa approvi le leggi della Repubblica e non lasci malintesi. « Dal fatto che il decreto esiste si può arguire che le cultuali sono autorizzate; ma dal fatto che non è pubblicato, si può trarre il pretesto che vescovi e curati debbano astenersi dal-l’organizzarle. Dal fatto che esso esiste si può dedurre che il Papa accetta la legislazione francese, ma dal fatto che non è pubblicato, si può concludere che egli come prima vieta ai suoi preti di astenersi dalla legge del 1905 ».
Insomma al Senato il presidente del Consiglio dovrebbe portare l’assicurazione di questo franco atteggiamento papale c tutti in nome della pace sociale batterebbero le mani.
Stiamo a vedere se la « commedia » finirà dunque come un'« operetta »!
7. Aspra, come sempre, sembra delinearsi la lotta di influenze religióse in Oriente, dove la politica delle nazioni europee e la concezione fanatica dell’ambiente acuirà la condizione di cose già ói
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per sè grave e fosca. Il Vaticano « avrà una matassa non facile a dipanare »,. come dice Videa Nazionale, che prospetta la situazione della questione religiosa in relazione al protettorato dei cattolici ambito dalla Francia e osteggiato dall'Inghilterra. Della qual competizione si è avuto un sintomo nell’interrogazione presentata alla Camera dei Comuni sulla voce corsa che il Vaticano avrebbe confermato il protettorato francese sui cristiani d’Oriente. Il governo inglese à risposto che nulla constavagli, ma effettivamente gli constava per lo meno tutto quello che esso à fatto per togliere alla Francia- anche quella parvenza di protettorato che dopo la caduta delle capitolazioni le rimaneva.
Ma le cose non sono/:osì semplici come da questo cenno può apparire. Oltre questa lotta di influenze che i giornali francesi d’oriente, a dire del Messaggero del 29 dicembre, naturalmente combattono, mettendo pure in mala luce 1’« italianità » dei francescani e la loro potenza a Roma, dove manovrerebbero in modo da difendere la « Custodia ■ di Terra Santa — vi è per il Vaticano una grave preoccupazione per l'irruzione sionista in Palestina. La stampa cattolica non solo francese ed orientale, ma pur nostrana, V Avvenire d’Italia in prima linea, mette in luce i più significativi episodi di questa « violenta conquista • ebraica capitanata dall’alto commissario ebraico Sir Herbert Samuel, che gli ebrei già chiamano il Principe d’Israele: elenca l’accentuato esibizionismo ebraico dell'alto commissario; la consacrazione del sabato come festa legale; il 1 ¡conoscimento dell’inglese, dell’ebraico e dell’arabo, come lingue ufficiali; la liberazione dell’agitatore sionista labotinky; infine tutto il programma di imposizione giudaica su di un paese quasi totalmente arabo-cristiano. Assicura che si sta elaborando in relativo secreto una nuova legislazione tutta in danno dei diritti e privilegi dei soli cristiani: la prima cosa presa di mira sarebbero i tribunali religiosi. Questi nella legislazione turca, ancora vigente, sono parte integrante dell’amministrazione giudiziaria, essendo riservate loro le cause matrimoniali, quelle dei beni ecclesiastici e quelle di successione dei minorenni: queste competenze vorrebbesi modificare c diminuire. I musulmani si son fatti subito sentire, protestando contro qua
lunque modificazione; ed il governo si- è affrettato a pubblicare sui giornali locali che le modificazioni in preparazione riguardano solo i Cristiani!
Nel distretto di .Carne, al di là del Giordano, solo dai Cristiani si sarebbero esatte le decime e le tasse di quest’anno, esentandone i Musulmani.
Come dice V Avvenire d’Italia, tutte queste difficoltà acquistano in Oriente un carattere di gravità estrema, perchè «la religione in Oriente è caposaldo d’ogni istituzione c d’ogni vita sociale: l’importanza di ogni società vi si misura dalla sua religione. Gerusalemme, città cosmopolita, ove ogni popolo, musulmano, ebreo, cristiano accorre a’ suoi Santuari, ove ogni religione ed ogni confessione religiosa ò rappresentata ed ha suo proprio convegno, deve la sua importanza appunto a questa atmosfera di religione in cui vive: senza quest’elemento essa sarebbe una qualunque melanconica c morta città d’Orien-te ».
Perciò le stesse questioni archeologiche demandate ad una Commissione archeologica la quale dovrebbe e potrebbe essere arbitra degl’incidenti che sorgono tra i vari competitori divengono ¡questioni nazionali, se non intemazionali, e portano a violenze ed a malcontenti da non dirsi.
Il Vaticano à affidato una missione di ricognizione delle cose ad un cappuccino, padre Robinson, di nazionalità inglese, con l’incarico di vedere e riferire e tentare accomodamenti e arbitrati.
Tutto l’Orientc del resto attira l’attenzione di Benedetto XV, come ben asserisce il Resto del Carlino: « La costituzione autonoma della Congregazione per gli affari Orientali; l’erezione del collegio ecclesiastico per i cattolici etiopici hanno già mostrato l’interesse dell’attuale papa pei le chiese orientali. Ora egli ha nuova-, mente voluto dar prova della sua preoccupazione, emanando a distanza di poche settimane dall’Enciclica emanata-per ricordare alla cristianità il grande esegeta ed asceta Girolamo, spentosi in terra ¿’Oriente, nel XV centenario dalla sua morte, un’altra enciclica per raccomandare all’ossequio e alla venerazione cristiana il più grande scrittore della chiesa siriaca nell’epoca patristica, sant’Efrem, il facondissimo scrittore e squisito poeta, scolta avanzata del cristianesimo orientale, verso i confini dell’impero persiano, che nel fitto delle lotte diuturne e cruen-
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tissimc degli imperatori costantiniani contro Sopore, difese con la sua opera gl’interessi della civiltà romana e cristiana. L’enciclica ricorda opportunamente il testamento lasciato da Efrcm ai cittadini di Edcssa: " Abitanti di Edessa, vi scongiuro di non permettere che la mia salma sia collocata nella casa di Dio o sotto un’ara: non è quello il posto per la putredine oel mio corpo. Seppellitemi ravvolto nella mia tunica e nel mio mantello. Sfreni non ebbe mai nè borsa, nè bastone, nè bisaccia, nè oro, nè argento. Vi lascio in e.redità i mici insegnamenti: conservateli da feoeli discepoli, c restate fedeli alla fede cattolica. E sia benedetta la città che abitate, Edcssa, madre dei saggi!
«Quasi contemporaneamente a questa enciclica, diretta .a celebrare una delle più luminose figure della chiesa d’Oriente, Benedetto XV ha emanato un motu proprio, in cui, dopo aver ribadito il proposito di favorire con ogni mezzo, e specialmente con l’apeitura in Roma di collegi per il clero per i vari riti orientali, il pontefice fissa le norme per la rinnovata vita del Collegio maronita in Roma, che Pio X aveva fatto chiudere, .disperdendone gli alunni fra i vari collegi ecclesiastici romani. Posto direttamente sotto la sorveglianza della Congregazione per gli affari orientali, che dovrà anche provvedere al suo funzionamento economico, il riaperto collegio dovrà formare, secondo le consuetudini e i riti nazionali, un clero destinato a propagare sul Libano lo spirito e la disciplina di Roma. Mentre la Siria, nella nuova sistemazione orientale, è venuta ad assumere così rilevante importanza politica non è chi non veda la sagace accortezza che ha suggerito a Benedetto XV la ricostituzione del collegio ecclesiastico maronita a Roma ».
8. Secondo Enrico Hertz (Le Monde Nouveau, dicembre 1920) la nuova politica internazionale della Chiesa si orienta in un senso prettamente internazionalista, in modo da opporre all’Internazionale di Amsterdam, a quella di Mosca, come all’americanismo vilsoniano, un’internazionale propria che intende dettare la propria regola alla Società della nazioni e rendersene padrona. A questo scopo la Chiesa à sparso per i quattro angoli del mondo preti e laici che debbono conoscere, seguire e sfruttare tutto il movimento spiritualistico contemporanco, tutte le cor
renti di pensiero e di sentimento che fluttuano nella società scossa dalla guerra c agitata dalle preoccupazioni del dopo-Suerra. In tal modo essa metterà , radici a per tutto; filosofando coi filosofi, spiritualizzando con gli spiritualisti, razionalizzando coi razionalisti, divenendo insomma un focolare molteplice, sarà in condizione di tener testa a tutte le autorità costituite, a tutte le rivoluzioni. Questa « Nuova Internazionale » si metterà in emulazione con tutte le altre, pronta a disputar loro il potere. Chi non regolerà su queste vedute della Chiesa di Roma la propria politica sarà perduto.
Effettivamente. la politica di Benedetto XV sembra avviata verso questo fine chi lien consideri i fatti che si succedono con una certa frequenza nel mondo e sembrano denotare una tale politica. È recentissima l’eco di un’intervista concessa dal cardinal Gasparri all'inviato speciale del Diario de Noticias di Lisbona, nella quale tra molte cose inutili, dotte per l’appunto per stornare il pericolo giornalistico, di cui il Vaticano sente la paura dopo le indiscrezioni dei giornali francesi durante la guerra, è stato chiaramente espresso ai cattolici portoghesi il monito di adattarsi alle istituzioni repubblicane e di non creare imbarazzi al governo del loro paese.
Nello stesso tempo venivano ricevuti con un certo apparato in Vaticano i sovrani danesi e la stampa cattolica sottolineava l’importanza della visita. « Coni’è noto — scriveva V Avvenire d’Italia di Bologna il 16 dicembre — i cattolici sono assai poco numerosi in Danimarca ove non sono neanche 'costituiti geraichicamente essendo essi retti da un Vicario Apostolico come nei paesi di missione. Quindi il carattere della visita dei reali di Danimarca al Papa è quello dell’universale senso di considerazione che anche fra gli acattolici esiste verso 1‘Autorità morale del Pontefice Romano, e delle personali relazioni cordiali fra Cristiano X e Benedetto XV. Poiché, per quanto non vi siano state grandi ragioni politiche o religiose per stabilire rapporti tra la Danimarca c la Santa Sede, pur, durante la guerra, il Santo Padre per la esecuzione di non poche sue iniziative di carità, fu portato a rivolgersi al Sovrano Danese e trovò sempre in lui corrispondenza e il consenso più pronto e deferente. Tale è il carattere di questo incontro che inoltre offre il vantaggio di fare tornare nuova-
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mente in contatto con Roma una nazione che da quattro secoli fu travolta forse inconsa-fwolmente (sic!!) nel movimento che ruppe unità della Fede Romana».
Con Ja Baviera, ad esempio, il Vaticano à potuto recentemente avviare dei negoziati per un concordato che è concepito nel limite della costituzione dello stato tedesco di cui la Baviera fa parte. Poi si verrà alle trattative per un concordato unico per tutto il resto della Germania e forse ad un concordato particolare per la Prussia e ad un altro per tutti gli altri paesi tedeschi. Cosi almeno / ¡chiavava ad un corrispondente da Monaco del Temps Mgr. Pacelli, nunzio in quella capitale.
D’altra parte la Camera olandese à approvato nel dicembre scorso con 66 voti favorevoli ed u contrari il progetto di legge per i crediti necessari a trasformare da temporanea in permanente la rappresentanza diplomatica presso la S. Sede.
La Missione speciale olandese venne inviata al principio del 1916 presso il Vaticano dopo che erano state riprese in forma ridotta le relazioni tra l’Olanda e la S. Sede sotto il pontificato di Pio X, interrotte quando Leone XIII ritirò il suo nunzio dall’Aja per protestare contro l'esclusione dall'invito alla prima conferenza della pace del 1899. Ora verrà stabilita una nunziatura all’Aja di fronte all’invio di un ministro olandese presso il Vaticano ed in tal modo sarà tòlto l’incarico finora dato al nunzio di Bruxelles di rappresentare la S. Sede anche presso l’Olanda oltre che presso il Belgio. L’Avvenire d’Italia del 28 dicembre commenta con queste parole il nuovo successo del Vaticano:
« La Santa Sede può essere ben fiera di questo nuovo lieto risultato che si aggiunge ai precedenti successi diplomatici: perchè, se è vero che l’esito della votazione rappresenta la buona situazione che i cattolici olandesi occupano nella vita politica del loro paese, è anche vero che di non lieve peso nelle decisioni del Governo e della Camera deve essere stata l’esperienza dei vantaggi che l’Olanda ha potuto ritrarre dai cordiali rapporti che, in questi cinque anni di missione speciale, ha mantenuto con il Vaticano ».
Similmente ora che è stata costituita la Confederazione degli Stati Uniti dell'America Centrale, il Vaticano pensa di far riunire le varie rappresentanze che quelle repubbliche avevano presso dì sè in una sola e trova che un primo esperimento di
accomunamelo tra gl’interessi degli Stati di Costarica, Nicaragua, Guatemala, Honduras e San Salvador- era stato già tentato nelle relazioni diplomatiche con la S. Sede.
Sotto il pontificato di Pio X venne costituita la Delegazione Apostolica del Centro-Amcrica con accreditamento presso i Governi di Costarica, Nicaragua e Honduras e con residenza a Saint-Josè di Costarica. Primo delegato apostolico fu l'attuale cardinale salesiano Giovanni Caglierò, il quale fu appunto chiamato da quell’ufficio a Roma per ricevere il cappello cardinalizio il 6 dicembre 1915 nel Primo Concistoro tenuto da Benedetto XV. Frattanto col nuovo ordinamento delle rappresentanze diplomatiche pontificie, la Delegazione veniva elevata al grado di internunziatura e al cardinale Caglierò succedeva nn altro salesiano mons. Giovanni Marcnco, che allora era vescovo di Massa Carrara.
Per ultimo, non appena rimesso sul trono di Grecia re Costantino, si comincia a parlare di una cèrta buona disposizione della-S. Sede a stringere rapporti con Atene. Durante la permanenza in Svizzera del re esiliato, secondo le voci raccolte dal Corriere del Parlamento (26 dicembre), si sarebbero avuti frequenti colloqui tra lui, ed il nunzio apostolico a Berna ed in essi non si sarebbe certamente trattato di latte o cioccolato. Il Vaticano, diffidente e con ragione di Venizelos, non si era mai voluto compromettere con lui, ma cambiato in Grecia il signore le cose potrebbero andare altrimenti. Lo stesso periodico difatti sostiene che « a quel che si va dicendo negli ambienti di solito bene informati, è insomma sicuro che tra il re di Grecia e gli incaricati della S. Sede si sia già prospettata l’eventualità di avere ciascuno dei chargès d’affaires, anche al disopra dei reciproci intimi essenziali interessi; ma specialmente, come base amichevole, nei vicendevoli rapporti internazionali ».
9. E vero che altrettanti) facili non si presentano altrove le lotte che il Vaticano può q deve sostenere per affermare la sua politica internazionalistica. In Irlanda, p. es., nella gravità indiscutibile della situazione la S. Sede evidentemente è perplessa sulla via da seguire. Le proteste però dell’episcopato irlandese, che à esposto quanto la situazione del paese sia critica e che à alzato il suo grido di fronte al mondo, à imposto un principio di decisione; Il cardinale Logue nelle sue lettere à domandato
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un’inchiesta sulla situazione. « Ma, come materia di assoluta urgenza e prima di ogni altra cosa — egli ha detto — noi domandiamo, in nome della civiltà, ed in nome della giustizia nazionale, un'inchiesta larga sulle atrocità che si commettono attualmente in Irlanda. Chiediamo, che quest'inchiesta sia eseguita da un tribunale composto di giudici, capaci d'ispirare fiducia a tutti e di garantire i testimoni contro il terrorismo che impedisce l’esibizione di prove, senza rischiare, nel tempo stesso, la perdita della vita e dei beni. In Irlanda la stampa non è libera. Il diritto di riunione pubblica è soppresso. Le inchieste sulle morti violente sono, oggi, vietate. Dei preti sono tra le vittime ».
« Questa lettera — scrive Videa Nazionale — non solo ha avuto grande ripercussione in tutto il Regno Unito, ma è stata accolta con entusiasmo negli Stati Uniti, dove la massa della popolazione è di origine irlandese. Tutta la stampa americana è insorta ed hanno avuto luogo dimostrazioni violente nelle quali è stata perfino bruciata la bandiera inglese. Anche lo stesso Governo americano non fa mistero delle sue simpatie per la causa irlandese ».
In seguito a ciò il Vaticano à dovuto uscire dalle- sue riserve ed intervenire nella questione appoggiando senza esitazione la domanda d’inchiesta avanzata dai Vescovi irlandesi. Il documento episcopale è stato pubblicato integralmente dall’Osser-vatore Romano con un commento editoriale nel quale l’organo ufficiale della Santa Sede ha dichiarato che esso produce pro
fonda impressione nei cuori di quanti hanno sentimenti di giustizia e di umanità.
« Quanto alla responsabilità della situazione il giornale del Vaticano — continua Videa Nazionale — con sottigliezza diplomatica dice che essa non può certamente attribuirsi nè al popolo inglese, che attraverso ai suoi maggiori giornali lia protestato contro le atrocità che si commettono nell'isola, nè al Governo inglese che si vanta di essere fedele agli ideali della verità c della giustizia, ma alla soldatesca che impera in Irlanda ed è abituata al sangue c alle distruzioni in cinque anni di guerra. È proprio il caso di ripetere la frase evangelica: Chi ha orecchie per udire, ascolti ».
La nota conclude esprimendo l’augurio che lo storico documento possa illuminare il governo inglese c indurlo ad ordinare un'inchiesta imparziale ed esauriente sulle atrocità che si commettono in Irlanda e che il governo stesso possa fare per Tir-landa ciò che ben altre volte ha fatto in simili circostanze per altri popoli c ciò che prima e durante il conflitto mondiale fu promesso alle piccole nazionalità.
Come si vede l’atteggiamento è molto diplomatico, ma è sempre qualchecosa di più di quel che era stato fatto sinora.
« Facendo pubblicare a Roma la lettera collettiva dei vescovi d’Irlanda — dice VOrdine di Ancona — la Santa Sede ha dato al governo di Londra un avvertimento che può essere salutare: essa ha fatto un gesto che può essere coraggioso; ma sarà assai difficile che la Santa Sede di fronte all'Inghilterra si spinga più oltre».
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RELIGIONI DEL MONDO CLASSICO
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Le origini cristiane nelle provinole danubiane. — Con questo titolo Giacomo Zeiller à pubblicato nel 1918 nella Biblio-théque des ¿coles ¡ran^aises d’ -Uhifnes et de Rome (fase. 112) un grosso volume che Ser le sue relazioni con la vita ed il pensiero ci primi secoli dell'impero deve esser ricordato qui. Lo Zeiller, già noto per altri studi del genere, quali quello sul palazzo di Diocleziano e sulle origini cristiane nella Dalmazia, à presentato agli studiosi una memoria completa sull’interessante argomento, tanto completa anzi che le si può far carico di un'eccessiva ampiezza. Escludendo la Dalmazia, per la quale, come dicevamo, lo Zeiller à sentito il bisogno di scrivere un lavoro a parte, e certamente per ragioni storiche che la distaccano dai nesso balcanico-i Ili rico, l’A. à studiato le origini cristiane delle province danubiane in una prima parte che giunge sino al Viso-colo c nella quale sono molto notevoli alcune vedute storiche, quali quelle dell’im-Ertanza e della posizióne pubblica e re-_iosa ragguardevole che rubrico à avuto nella seconda metà dell’impero. Naturalmente io non dividerò con l’A. la falsa opinione sui mitriacismo dioclezianco o su altre conclusioni orientalizzanti nella religione dell’impero; ma non potrò neppure negargli che l’aver saputo collcgare molto opportunamente l’infiltrazione orientale nelle fedi delle genti illiriche e quindi nei loro rappresentanti, i soldati-imperatori,
con la posizione politica che il complesso balcanico assume dal in secolo in poi sopratutto, è cosa che va molto apprezzata e, magari, approfondita c posta anche in maggior luce.
Non meno ben fatta è l'analisi storica delle origini cristiane, anche'se talvolta sembri, ai fini dell’opera, prolissa; gli atti dei martiri vi sono discussi, studiati con un senso storico notevole. Sarebbe interessante potersi trattenere su alcune os-. scavazioni che lo Z. fa, p. es., sugli atti dei SS. Quattro Coronati, nelle quali egli mette in evidenza la reale figura storica di Diocleziano quale effettivamente appare negli atti, umano, appassionato costruttore c apprezzatole dell’arte, cauto oppositore alle tendenze degli estremisti (p. 93). E vi sarebbe pur da notare come l’adattamento degli artefici cristiani a fare un sigillum Solis sia una prova di più di quel compromesso cristiano-filosofico che avviò il cristianesimo ad esser religione dell’impero. dapprima sotto le forme del culto del Sole, poi sotto forme proprie falsate (cattolicesimo).
Non meno interessanti sono le altre due parti del lavoro in cui è studiata assai minuziosamente la contesa ariana con tutte le sue evoluzioni c conseguenze e quindi l’impero dei Goti e la loro conversione che si connette all’ariancsimo. Finalmente vi è esposta la conquista cattolica della frontiera danubiana e le sue ripercussioni sulla civiltà della regione c dei barbari che stavano per invaderla.
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Nella conclusione è messa in evidenza l’importanza dello studio di questa regione dell’Europa orientale sia per la storia ecclesiastica che per la storia dell’impero; la sua figura storica speciale orientale-occidentale che le fa rappresentare una parte così determinata e pur così indecisa nella storia anche moderna; la netta separazione che cade col v secolo tra la storia antica e quella più recente di questa regione, in quella con caratteri suoi propri, con uno svolgimento storico politico e religioso speciale, in questa con uno spezzettamento, con una deformazione e con delle caratteristiche veramente nuove c non certamente uni-ztaric.
L'opera dello Z. insomma è tale, anche perchè corredata'di bibliografie, indici, e appendici erudite, da rendere un vero servizio a quanti studieranno la storia dell'impero e del Cristianesimo ne’ primi secoli dell'Era volgare.
Religione dionisiaca. — Facendo un ra-Ì>ido esame della diffusione c dei caratteri ondamentali della religione dionisiaca E. Ruggeri in Relieio (2, 49) viene a riconoscere nel culto dionisiaco due elementi, il primo agrario 0 in quanto essendo Dionisio una divinità della vegetazione erano stabilite celebrazioni periodiche per cooperare all'azione della natura sul fenomeno della vegetazione stessa »; il secondo mistico « direttamente desunto dalle primitive associazioni orgiastiche, i cui riti maniaci culminanti nell’omofagia, anziché al crescimento della vita vegetale e animale, tendevano alla intensificazione di quella dell’individuo che li compieva, intensificazione che tende all'unione perfetta con la divinità ». Il rito mistico è quindi segreto c l’iniziazione è concepita come una ierogamia tra Dionisio c il credente. « Questi concetti spianano largamente in Grecia la via alla fede nell’immortalità felice dell’anima ». L’oltretomba ellenicoè, come è ben noto, squallido. Invece, ■ grazie ai misteri dionisiaci, le anime che hanno avuto l’esperienza di una vita soprannaturale durante il periodo dell’estasi, che si sono intese come immedesimate nella vita beata del dio, anelano a possedere stabilmente questa vita felice c' finiscono per concludere che a raggiungerla è necessario mantenere in sè quello stato di purificazione legale c morale realizzato nel momento della iniziazione. E
così dalla religione dionisiaca si passa alla teologia ed alla ascesi degli orfici ».
Culto di Teseo. — Dello scritto piuttosto farraginoso di V. Costanzi sul culto di Teseo nell ’Attica, pubblicalo in Religio (1,315) crediamo sia sufficiente far conoscere la conclusione « che Teseo fu un eroe non importato nell’Attica, ma indigeno, e che la sua apparenza di peregrinità si deve a compenetrazioni e contaminazioni di saghe, che non rimanevano circoscritte nel luogo in cui erano sorte ».
Culti e miti preellenici in Creta. — In Religio (1, 241) il dott. P. Mingazzini Subblica su questo argomento la sua tesi i laurea, ricca di un esame attento delle forme della religione preellenica cretese c interessante, oltre che per le conclusioni, per molti elementi di critica qua e là esposti con molta semplicità e con grande probabilità di esattezza: rapporti tra la religione prcellenica cretese (arcadico-crc-tese) e Roma; spiegazione della parola labirinto = spazio sacro per le danze in onore al dio agrario della bipenne; caratteristiche dei culti anatolici e della loro evoluzione, ecc. Attraverso a tali indagini il M. viene a riconoscere le analogie che legano i culti anatolici con quelli cretesi preellenici ,cd a stabilire per questi ultimi alcuni capisaldi che noi riassumeremo con l’A. nei seguenti elementi:
i° esistenza di una divinità naturistica maschile considerata come divinità sovrana e identificata quindi con Z«ù; come divinità vegetativa adorata negli alberi sacri, come tale c per conseguenza come ctonica sdoppiata nella figure di Minosse, venerato come capostipitc della famiglia reale di Cnossoedio della sapienza, cui è sacro il toro e che à per simbolo la corona di consacrazione. Altre divinità vegetative e ctoniche Sminteo (topo) e Velchanos (forse la bipenne);
2® esistenza d’una divinità naturistica femminile, identificata con la Madre Terra e denominata secondo la località montagnosa in cui era adorata. Ad essa si riconnettono forse pitia, certo Demeter c la dea dei serpenti, Artemis, c forse Britomartis.
3° esistenza di una divinità solare;
4° celebrazione di tre feste principali (morte, rinascita, nozze delle coppie divine e miti derivanti);
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50 culto di animali sacri, genitori del sommo dio; di pietre sacre in rapporto con esso; probabile esistenza di divinità manticlle.
L’evoluzione religiosa dell’antico Egitto. — Nella stessa rivista Religio (I, 129) Giulio Farina espone sommariamente la storia di questa evoluzione dalle origini alla decadenza, fermandosi sui casi più tipici di sincretismo* e sulle forme eretiche de) culto, principalmente sulla riforma di Amenhotpe che instaurò il culto del sole [con qualche notevole tratto di somiglianza alla riforma aureliana, e ciò 15 secoli prima di questa). Il Farina cita il bell'inno dedicato ad Atcn, il nuovo dio dal faraone e ricorda il movimento importante di controriforma che ne derivò.
Culti e religione di Roma imperiale. — In Atene c Roma (N. S. 1, 169) R. Pari-beni parla di varie scoperte archeologiche: santuario siriaco del Gianicolo, ipogeo, gnostico della yia Latina, basilica pita-Soiica della via Prenestina, colombari ella via Appia, sepolcreto cristiano del viale Manzoni, catacomba giudaica di via Nomcntana, cimitero di Panfilo, iscrizione di Cibele. facendone rifulgere l’importanza per la conoscenza della « gara affannosa delle varie correnti di pensiero filosofico c religioso per la conquista spi-lituale della sede dell’impero ». Egli conchiude giustamente con la seguente osservazione: a Tra le dottrine che aspirano alla superba eredità si accendono gare o si stringono alleanze, si scatenano dispute o si avvertono lenti, insensibili contatti e trapassi, e si tesse così Ja vasta tela della storia, che a decoro del genere umano è assai più materiata di questi trapassi c di queste ascensioni del pensiero, che non, come alcuni pensarono; dei contrasti e dei bisogni della vita materiale ».
La persecuzione di Massimino. — Nel-V Uhenacum (Vili. 12) E. Buon aiuti a proposito di una congettura di W. Ram-say sull’esistenza di uno speciale editto di Massimino, da datarsi con un anno del periodo 303-311 per cui sarebbe stato imposto agl'impiegati dello Stato di sacrificare senza poter sottrarsi a tale obbligo abbandonando il servizio, sostiene che tale congettura non è da accettare neppur per spiegare il noto inciso dell’epitaffio del vescovo Eugenio che sembre
rebbe alludervi. Egli cita difatti il bando da lui diretto a Sabino, riportato da Eusebio (h. c. 9. 9). in cui Massimino sostiene di aver richiamato alla venerazione degli dei conservandoli al loro posto, Santi prima venivano esiliati o bistrattati.
rciò nessun editto speciale. « E più logico supporre che preoccupato dell’ordine interno dei suoi Stati, spaventato dalla prospettiva di perdere i funzionari cristiani che dovevano esser numerosi e zelanti in Oriente, Massimino abbia cercato di indurli colle buone all'unità dell’esperienza religiosa che costituiva uno dei capisaldi della sua politica >.
Collegio degli esegeti in Atene.
S. Ferri in Religio (1,147) riprende in esame la questione del carattere originario di questo collegio, e, servendosi delle epigrafi e delle testimonianze letterarie, viene alla conclusione che agli esegeti competono queste funzioni statali: « Fondazione di colonie o santuari, offerte, espiazioni di omicidi, decessi, prodigi; in breve, come già è stato detto, è in loro mani la sicurezza della città, che essi devono guidare secondo le sacre leggi dei padri contenenti ad un tempo tutti i vari aspetti della costituzione della riXt* ». E siccome sono pur queste le attribuzioni di ogni oracolo, in genere, e di Delfi in ispccie, ne consegue che con l’allargamento dell’influenza di un culto qualsiasi si restringeva la potenza dell’escgcta che riduceva le sue funzioni a quelle che troviamo nell’epoca storica, alle pratiche cioè espiatoci e purificatrici.
Sul mito delle Danaidi.— N. Terzaghi pubblica in Ateneo Roma (22,187) una breve nota per ricercare la ragione per la quale le Danaidi avrebbero ucciso i loro mariti, ad eccezione di [permestra. che risparmiò Linceo. Ora dall’esame delle Supplici di Eschilo e da due scoli (a Pindaro e ad Omero) risulterebbe evidentemente che la ragione sarebbe stata la castità: le Danaidi cioè, come Ippolito, avrebbero fatto voto di castità ad Artemide ed il padre le avrebbe incoraggiate quindi ad essere fedeli al loro impegno c a togliere di mezzo gli sposi nella notte nuziale. Per l’appunto si sarebbe salvato Linceo come dice lo scoliaste che « aveva conservata pura vergine » Ipermestra.
Mitreo di S. Clemente. —- Esaminando le riquadrature delle pareti delle sale an-
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ncssc a questo mitreo in Roma, L. Massimo in RcZigìo (2, 135) ricorda il noto luogo di S. Girolamo (ep. ad Lact. 117, 2) in éui sono citati i simulacri che raffiguravano i sette gradi di iniziazione mitriaca ed c disposto a vedervi in essi delle nicchie in cui dovevano essere adattate delle rappresentazioni dei gradi stessi, le quali dovevano essere collegate con la rappresentazione dei sette pianeti «dato che i gradi attraverso cui passava l’iniziato erano i simboli dei gradi planetari attraverso cui l’anima doveva passare ».
Sulla simpatia lunare nell’agricoltura latina. — E. Roggeri espone in Religio (I, 163) alcune buone osservazioni che, prendendo le mosse da recenti deduzioni scientifiche francesi [da me già citate in questo boli. VI, 1], riescono alla conclusione che «la magia à preceduto la « scienza » e che quindi le prescrizioni agricole in rapporto con le fasi lunari sono derivate non da effettive esperienze in proposito, ma da un’ovvia applicazione dell’assioma magico il simile agisce sul simile, che anche per la mentalità di un uomo colto ha sempre tutta l’efficacia persuasiva di una intuizione. La coincidenza della legge naturale con la prescrizione magica, dove essa realmente esiste, è del tutto casuale ».
Israele e le genti. — Con tale titolo A. Amodeo inizia in Alene e Roma (N. S. L 184) uno studio nella parte del quale, finora Snbblicata, espone i caratteri fondamentali cl nazionalismo ebraico e della loro posi zione nella società antica, da cui dividevali il pregiudizio di razza c la concezione religiosa, così diverse e per i pagani incomprensibile.
Rapporti del Dio Serapide con industriali alessandrini. — G. Lumbroso in Aegyptus (I, 267) trae da Elio Aristide I, 94 Dina, una rarissima notizia su una Società alessandrina di navigazione c commercio, alla quale apparteneva il Dio Serapide che contribuiva all'azienda fornendole il buon vento e come tale aveva diritto alla metà dei guadagni. Quel che è più curioso è il fatto che succeduta in Alessandria la Chiesa cristiana alla pagana anche quella si associò a nocchieri e commercianti, prestando buon vento ^in gran copia. L’osservazione che fa poi 'il L. sul guadagno della metà che viene procurato al santuario dei
SS. Ciro e Giovanni grazie alle guarigioni miracolose di cui è distributore non fa il paio con l.a notizia precedente, perchè qui non si tratta che di un debito di riconoscenza, di una forma di voto, mentre là si à una divinità partecipe degli affari umani sol col mezzo dei suoi attributi divini, impiegati come capitale.
Orfismo. — Sebbene io debba informare i lettori di molte c notevoli opere ed articoli pubblicati nel non breve periodo durante il quale non mi è stato possibile curare adeguatamente questo Bollettino, e mi riservi di farlo quanto prima, farò qui menzione per la sua importanza d’un re contissimo lavoro uscito testé sul!'orfismo. Lo pubblica il Laterza di Bari ed è dovuto al maggior cultore di studi orfici in Italia, a Vittorio Macchioro (Zagreus, studi sull’orfismo, p. 271, L. 16,50). Lo studio si può dire consti di tre parti; una, quasi a mo’ di introduzione, che illustra la basilica scoperta nel 1909 a Pompei, che per il Macchioro è indiscutibilmente orfica, e che egli permette quindi di svolgere, dinanzi agli occhi del lettore le scene del mistero; l'altra che tratta della comunione orfica e del dramma sacramentale ed una terza in fine che trae i corollari dall’indagine precedente e ne mostrale conseguenzesopratuto in relazione al cristianesimo.
La prima parte, esposta in una forma un po' troppo scolastica, con molta dottrina e con sussidio di riproduzioni artistiche tende a dimostrare che l’edificio scoperto in Pompei, grazie alle pitture conservatesi sulle sue pareti, non può essere se non un luogo di culto orfico. 1 dipinti per l’appunto rappresenterebbero l’iniziazione orfica e lo svolgimento del mistero di rigenerazione dell'iniziata, dal suo ingresso nel tempio alla sua trasformazione in dio. Questa parte à quindi carattere introduttivo e, sebbene in vari punti presenti dello incertezze e lasci sorgere dei dubbi sull’esattezza dell’interpretazione, non può non dirsi.se non completamente persuasiva, per lo meno molto notevole pelle sue conclusioni. Alcune difficoltà di interpretazione sono superate in modo veramente felice; altre sono evidentemente bene sorpassate. Senza illustrazioni e senza un commento che qui sarebbe fuori luogo non se ne può far cenno. Mi limiterò a ricordare come felice la soluzione della incognita delia rappresentazione D., in cui sarebbe raffigurata la lettura del)’avve-
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nirc nello specchio concavo (i);comc chiara la interpretazione delle figure C ed E (allattamento di cerbiatti-flagellazione), probabile la F (risurrezione). Confesserò «n ogni modo che esaminando le cose dal punto di' vista generale, mi sembra per lo meno strano che lo cerimonie vietate dai misteri orfici venissero riprodotte così apertamente, da costiuire la prova indiscutibile della fede del loro proprietario, quando per caso altri avesse voluto segnalarne ai poteri pubblici la trasgressione dei loto divieti. Non nego che ciò mi pare molto importante c che mi fa dubitare sull’insiomc delle» conclusioni dell’A. anche là dove, come dicevo, esse, particolarmente prese, mi sembrino felicissime.
Per il M., adunque; le fasi del mistero sarebbero sulla scorta dei dipinti di Pompei la vestizione, la catechesi» l’agape, la comunione. l'annunciazione, la passione c la resurrezione. L’inizianda cioè, vestita secondo il rito, avrebbe avuto dapprima la rivelazione di quel che era il mistero e del suo rituale; quindi sarebbe stata ammessa all’agape, il pasto lustrale che precedeva l’iniziazione come atto sacramentale; la comunione, cioè la rinascita in Zagreo. sarebbe stata la fase successiva, rappreseli tata dall’allattamento del cerbiatto ( Dionisio bambino). Dopo di ciò l’inizianda avrebbe avuto l'annunciazione, ossia la rivelazione della divinazione con lo specchio concavo, che era il simbolo della passione di Zagreo. Questa, effettuandosi con l’atto simbolico della flagellazione, procurava la ierogamia, grazie alla quale si attuava la palingenesi e quindi la rinascita dell’inizianda in baccante, in natura divina.
Così a la spòsa mistica, attraverso tanta purificazione e tanta passione, è giunta colà dove il mistero la conduceva, è diventata baccante, è diventata dio ». Úna laminetta orfica dice difatti: « di uomo sei divenuto dio ».
Spiegato così il mistero, il M. ricorda il mito di Zagreo, fatto a pezzi e divorato dai Titani, fulminati perciò »la Zeus, e dalle cui ceneri nacquero gli uomini. E siccome così questi portano, in sè parte della natura dionisiaca e parte di quella titanica, debbono liberarsi dal peccato ori ginale, di aver ucciso il dio, commesso dai
(x) Si. vede ora a questo proposito l’articolo di J. Finot nella Revue Mondiale del x° gennaio X92X p. 35, che riferisce qualche caso moderno di letture <àtravers les boules de cristal».
Titani, soffrendo nel carcere del corpo finché con la catarsi l’anima non vien liberata dalla parte titanica e non si riunisce alla natura dionisiaca. Questo era quindi il supremo scopo dell’orfico, questo era tutto ciò cui tendeva la dottrina orfica.
L’estrinsecazione di questa dottrina avveniva quindi nelle suddette fasi del mistero che non era perciò un dramma scenico, ma un dramma sacramentale, perché la messa in scena epa sostituita da simboli sacramentali, non altrimenti dei simboli della passione di Cristo. Il mistero perciò sarebbe un dramma subbiettivo, di cui era attore l’iniziando, il quale, grazie a simboli sacramentali ed all’estasi in cui cadeva, sostituiva la propria personalità con quella del dio, attuando in tal modo la comunione con esso e traendone come premio la beatitudine oltramondana coi doveri speciali di giustizia c di onestà in vita e (letizia e speranza in morte. «Così attraverso la castità c la purezza, l’orfico arrivava alla divinità c, dòpo morte, alla felicità ».
Il M. dimostra la possibilità di tutto ciò con larghe e dotte comparazioni di altri culti, sopratutto primitivi, e con accenni storici medievali c moderni — sopratutto là dove gli si potrebbe obbiettare che il mistero non era celebrato da individui singoli, ma da intere collettività — e illustra le sue conclusioni con i risultati scientifici di psichiatria che provano i fenomeni religiosi delle visioni estatiche, della sostituzione delle personalità evia dicendo. E non vi è studioso di cose, religiose, che non gli sarà grato di quest’esattezza di metodo, di questa accuratezza di indagine, che lo pone molto lodevolmente al di sopra dei soliti interpreti da strapazzo dei fenomeni storici che limitano la loro ermeneutica a quattro testi mal biascicati ed a molte quanto vuote citazioni. Io sono anzi disposto ad accettare, se non compieta-mente, in gran parte le sue conclusioni sui misteri, che a me non sono mai apparsi così coreografici come molti àn voluto non solo credere, ma riprodurre nelle.loro prose fantasiose. Quel che mi lascia più scettico, a dire il vero, sono le conclusioni del M.
Stabilito, cioè, che il mistero è palingenesi reale, non immaginaria od allegorica, prodotta da un atto di fede, e quindi al di là o al disotto del razionale, il M., cheappunto perciò ne ammette la realtà, trova che essa è differente « per quantità » nel negro ed in S. Paolo. Quello si sente nuovo solo nel
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corpo, questo anche nello spirito. In potenza la palingenesi è rinnovamento spirituale sempre, ma mentre diventa nel negro atto pratico, in S. Paolo diventa atto razionale, ossia filosofìa. Ora questo, con buona pace de! M., io lo nego. Non è una vana tirata quella del Baudelaire a chi gettava, se non erro, una cipolla; «sciagurato, tu forse malmeni un dio >; ma è una sacrosanta verità. Chi può approfondire — forse lo si potrebbe fino ad un certo punto — quanto di spirituale vi sia nel senso del divino de! negro’ e nella sua palingenesi c Guanto di materiale vi sia nel senso del divino di un nostro contemporaneo e nella sua palingenesi?
Il M., in ogni modo, collega quindi il movimento orfico ai movimento di rinnovazione del cristianesimo e ne trova le ripercussioni da Eraclito ad Hegel. « La filosofia di Eraclito era dunque una razionalizzazione del mito orfico, di quel mito che era il fondamento della palingenesi orfica e derivava dall’esperienza mistica di questa palingenesi ». Il M. immette perciò una diffusione dell’orfismo che a chi ragioni sulle testimonianze che di esso abbiamo, può apparire esagerata, anche quando se ne ammetta l’identificazione col pitagorismo. La sua influenza gli pare chiusa nel primo dei due momenti dalla filosofìa greca con Platone, che concilia la religione col razionalismo, ma gli appare rinascere col rinascere del misticismo greco e cio.è nell’altro momento del pensiero greco, quello di passaggio al cristianesimo.
Il M. perciò ammette una parte capitale dell’orfismo nella determinazione della persona del Cristo e quindi nella mistica cristiana.
Orflsmoe cristianesimo. —- Nelle ultime pagine della sua opera chiatti il M.» che à riportato anche nel suo studio riprodotto in Gnosis (I, x), le identiche conclusioni, unendovi una parte generale sulla teoria generale della "religione come esperienza, esposta già in un corso al circolo di coltura religiosa di Napoli (c da noi già ampiamente riferito in Bilychnis XV, 219), sostiene (1)
(x) La parte che segue tra parentesi quadre è dovuta al redattore della rassegna di studi biblici— (r e p) —; crediamo utile por’a qui perché il lettore abbia una completa visione del’im-portante lavoro del M.
[N. d. £>.]
[l’influsso della mistcriosofia orfica sul cristianesimo. « Secondo una mia idea — così egli si esprime — dico che la figura di Gesù Cristo consta di due elementi distinti, l’uno umano e storico, cioè Gesù; l’altro divino e mistico, cioè Cristo: e che il secondo deriva, miticamente considerato, dal Zagreo orfico. È intanto indiscutibile che solo in Zagreo si trovano completi quegli elementi del Cristo che molti studiosi hanno cercato faticosamente nelle religioni orientali o nelle teorie mitologiche, trascurando ciò che a me pare certo e che non si può trascurare: la storicità e !a personalità di Gesù. Solo la figura di Zagreo contiene, oltre alla resurrezione che è propria di altre deità antiche come Adonide, Osiride, Esmun, anche gli altri elementi fondamentali del Cristo; cioè l'esser figlio di Dio e identico a lui benché distinto, e l’ottenere dal Padre il regno dopo la resurrezione» (p. 255). Il M. non si contenta di ciò; insegna che la identità di Zagreo con il Cristo ha dato origine al concetto fondamentale della teologia mistica di san Paolo. Il fondamento del mistero orfico era la palingenesi, ossia il rinnovarsi dell'iniziato e la sua connessione con Dio. « Ed ecco San Paolo affermare questo medesimo concetto: per San Paolo il battesimo è una realtà per la quale l'uomo attua realmente la sua comunione. Cristo morendo e rinascendo lui: l’orfico uscendo dalla sua natura umana diventava Dioniso, così come il cristiano diventa Cristo. La mistica cristiana, dunque, ha perfetti riscontri nel l’or fismo. Queste identità mitiche e mistiche non possono essere casuali, e poiché la precedenza storica dell’orfismo è fuori di discussione, il dubbio dell’influenza di esso sul cristianesimo è altresì da escludersi » (p. 258 s.). Egli poi addita le circostanze storiche che possono aver cagionata la presunta trasformazione del vangclp giudaico; e ammette che « nessuna regione dell’antichità fu più della Giudea idonea ad elaborare l’idéa di una divinità morente e risorgente » (p. 265). Crede che « entro la Giudea stessa gli Esseni dovettero essere un attivo e importante strumento di diffusione di queste idee » (p. 267). Conclude dicendo che l’Asia Minore al tempo di Gesù era impregnata di orfismo, e che ivi orfizzandosi il cristianesimo da religione locale, quale era di fatto, assunse il carattere di universalità e di spiritualità, che però già sì trovava nella dottrina stessa di Gesù, la quale fu il punto di passaggio dal vecchio al nuovo, da dio
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a Dio (p. 269). Molto ci sarebbe da dire in proposito. L’affermazione che • la sindone dei misteri pagani sia consacrata dall’Evan-gelio come sudario di Gesù • (p. 69) è del tutto arbitraria: la storicità dell’episodio evangelico, benché negata dal Loisy, è ammessa perfino dall’israelita Montefiore nel suo Commento ai Sinottici. Critica-mente è assai dubbio il carattere dell’agape primitiva; psicologicamente fragile c storicamente più che contestabile ci sembra la pretesa di derivare la sublime idea del Cristo dal superstizioso culto orfico di Za-greo. Il mito di Zagreo che patì la morte risorse dio c salì al ciclo a regnare con Giove suo padre, razionalisticamente è ben
suggestivo: ma a chi esamini attentamente il complesso del processo storico del giudaismo c del cristianesimo dell’età apostolica, la tesi del M., già difesa e illustrata da altri, crediamo debba parere viziata fortemente di semplicismo].
Per concludere, ad onta delle riserve fatte, ad onta dell’eccessiva spiritualità con cui forse proiettandosi nel passato il M. vede il fenomeno orfico, non si può non riconoscere nel lavoro, di cui abbiamo voluto parlare ampiamente per l’importanza dell’argomento, un’opera veramente notevole.
Giovanni Costa.
Nel prossimo numero pubblicheremo CIELO E TERRA, versi inediti di Rabindra Nath Tagore, tradotti da G. Puccio.
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La filosofia nel momento presente. — Razionalizzare il mondo, fare del mondo spirito, è compito della filosofia ed è anche il compito della vita. E quindi filosofia e storia coincidono. Partendo da questa premessa Erminio Troilo, nella sua prolusione al corso di filosofia teoretica alla università di Padova, pubblicato: in Conferenze e prolusioni, i° giugno 1920, esamina le condizioni della filosofìa nel momento presente.
Egli parla anche delle correnti anti-intellettualistiche (contingentismo, pram-matismo, intuizionismo) il cui ufficio era appunto quello di criticare e superare una conoscenza razionale, logica e astratta e schematica, che aveva il difetto ’di non aderire sufficientemente al reale e penetrarne il ritmo e immergersi in esso, iden-tificandovisi; e veniva così a testimoniare, in maniera indiretta, c quasi si direbbe contradittoria, quella stessa esigenza di superare e sopprimere la distanza fra realtà e pensiero, fra filosofìa c storia.
E il T. aggiunge:
« Lo stesso rilievo d da fare circa l’altra corrente che, in sostanza, appartiene allo stesso movimento; che di questo anzi costituiva il fondo ed insieme la diffusa atmosfera, c manifestayasi come acuta e rinnovata esigenza religiosa. Era anche essa una espressione, in prevalenza morbida, confusa e violenta, dello spirito antiintellettualistico sboccante nello sempre pronte vie o della schietta religiosità o del torbido misticismo; e che teneva, sopra tutto, ad assumere a qualunque costo le nuove vesti filosofiche. Partecipava, anche essa, dei caratteri negativi delle altre dottrine dominanti; e li aggra
vava, anzi, o nell'indeterminatezza della sua natura o nel particolare tentativo pratico-teorico del cosidotto modernismo; il quale finiva, come è noto, nella posizione bene strana, sia dal punto di vista della scienza sia da quello della fede, e teoricamente e praticamente, di troppa ortodossia per essere eterodosso » (1).
__________ M \
(x) Avvicinando il medesimo alla esigenza fondamentale dello spirito contemporaneo di unificare di nuovoe più intimamente pensiero e realtà, c interpretandolo al lume di esso, il T. si era impossessato del giusto criterio per valutare quel movimento. Ma egli se ne sbriga poi troppo facilmente con un bisticcio. Poiché è ovvio che quello del modernismo, pur dentro l'esigenza suddetta,, era un problema, non filosofico, ma religioso: e riguardante una particolare religione, che è il cattolicismo. Ai termini: pensiero c realtà, bisognava qui sostituire gli altri: fede e azione; spirito, ma nel suo aspetto e momento religioso, c storico; c poi i termini più empirici, teologia c cultura, Chiesa e Stato.
Óra non sarebbe difficile dimostrare, se fosse qui il caso — consulti il lettore il volume di R. Murri: Dalla democrazia cristiana al Partito popolare — che il medesimo, guardato nel suo insieme, e non solo in alcune manifestazioni tardive, ha con grande efficacia, in un intenso processo spirituale di pochi anni, assolto il suo còmpito: che era appunto quello di riavvicinare, dialetticamente c storicamente, la religione alla filosofia ed alla storia, di ristabilire cioè, pur avendo presente e mettendo al primo piano il momento religioso, l’unità dello spirito c della vita.
Per questo esso fu o parve troppo ortodosso per essere eterodosso e viceversa: perchè, per la prima volta nella storia della Chiesa, non si preoccupò
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Il cristianesimo greco e l’Europa moderna. — Giorgio Sorci nella Ronda dell’agosto-settembre 1920 si propone di illustrare brevemente la posizione del cristianesimo Sreco di fronte all’Europa moderna, in ¡pendenza del problema più volte proposto, ma sempre lasciato insoluto, dell’unione delle chiese cristiane mediterranee, la latina c la greca. Ora al di sopra delle vedute dei teologhi, che furono già riconosciute quisquilie veramente lontane dal vero interesse religioso, il Sorci vuole esaminare le forze popolari che sostengono la separazione e farne risaltare l’importanza ed il valore.
La prima opposizione tra i due cristianesimi egli la vede nella differente concezione che del prete ànno gli occidentali di fronte agli orientali: quelli lo vogliono staccato dalla società, ascetico, monacale, questi lo fanno compartecipe della vita comune della folla. Da ciò la difficoltà per la chiesa latina di penetrare nel mondo greco, mentre la civiltà moderna, figlia del rinascimento c della rivoluzione, non vi incontrerebbe il clericalismo, ma avrebbe facile il suo adattamento al laicismo greco. La concessione d’altra parte fatta da Roma ai preti greci di adattarsi alle condizioni locali (matrimonio) non à creato se non una specie di inferiorità di fronte al concetto latino del sacerdozio, che si ripete da per ogni dove tale concessione è stata fatta ed à pregiudicato la formazione di uno spirito clericale.
Passando poi al campo estetico il Sorci trova nella pittura greca un bisogno di simbolismo, un’affermazione di non voluto realismo che si esprime bene nel mosaico e che rifugge dall’orrido a cui il genio greco è contrario e che spiegherebbe, accanto al criterio dipendente dal fatto che al momento dell'iconoclastica erano i poeti greci gli unici pittori, la ripulsione per la scultura.
A questa estetica il Sorel oppone quella idolatrica spagnuola c francese là con i realismi della crocifissione, qua con la statua del beato Labro che fece furore in
di ortodossia o eterodossia, non volle porre domina contro domma, ma intese a spiegare gnosti-camente il sorgere c lo svolgersi e la funzione storica dei domini e delle Chiese rivivendo e rifacendo dall'interno quel processo che la teologia aveva posto dal di fuori, come il trascendente disegno di una volontà extrastorica.
(Nota di M.).
Parigi per qualche tempo, asserendo giustamente che «quando l'estetica clericale è abbandonata ai propri istinti va a finire ai peggiori eccessi ». La stessa estetica greca avrebbe quindi reso il cristianesimo più intelliggibile, mentre l’opposto avrebbe fatto la latina che non à potuto seguire nella plastica le affermazioni medioevali dei suoi dogmi (es. Immacolata Concezione). Il colmo rii questa concezione assurda è la raffigurazione del sacro cuore che è ancora, in fin dei conti, « una specie di ideogramma ricamato sulla camicia di Gesù; ma, a lungo andare, si arriveià fino in fondo, e non v’è dubbio che la •pietà di molti latini si dichiarerà soddisfatta solo quando potrà rivolgersi a un cuore realista. I Greci non si uniformeranno probabilmente mai a questo culto ».
Così pure, per il Sorel, la religione greca è volta maggiormente ad un accordo col pensiero moderno, ciò che non è del lati nismo, come lo può provare il movimento modernista che avrebbe dovuto, secondo l’A., rivolgersi ad oriente piuttosto che ad occidente.
Vi è un’altra questione da considerare, la questione della supremazia che l’ellenismo crede di dover pretendere nel caso di una unione tra le Chiese e che Roma invece afferma essere propria, anche perchè essa è l’unica e vera rappresentante dell’ellenismo (Duchesncì. Ora il S. osserva .che è un errore questo del cattolicesimo, già da altri notato, poiché la civiltà in cui vive non è sua, ma uerivata dal rinascimento e dalla rivoluzione, Suindi « si è formata, non solo fuori della hicsa, ma contro la Chiesa ». Perciò i Greci che illuminarono con i loro classici l’occidente e lo rivendicarono dalle oppressioni medioevali della Chiesa romana, ànno più diritto dei latini ad una certa supremazia. Onde quanto più la civiltà occidentale si professerà e si dimostrerà collegata con le antichità gloriose della greca, tanto più facile le sarà di introdursi in oriente e di snebbiare la cultura propria, ancor sottomessa a illusioni, pregiudizi e prevenzioni di carattere scolastico.
Il Sorel perciò vede nell’infusione di ellenismo, più forte ancora di quella del rinascimento, il maggior elemento di rigenerazione dell’occidente che, oppresso dal militarismo, dalla statolatria e dalle ortodossie sociali, dovrebbe considerare il latinismo come un avversario della Europa nuova. « Se l’unione feconda
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dell’Orientc con l’Occidcntc — conclude il Sorel — si realizzerà un giorno in una civiltà meditei ranca illuminata dal lavoro, 'dalla libertà e dalla ragione, gli storici futuri non mancheranno di considerare il cristianesimo greco come uno dei benefici fattori di codesta unione rinnovatrice. Ad esso, infatti, assai più che al protestantesimo tedesco, spetta il merito di aver impedito il trionfo universale del latinismo contro il quale sarà sorto un nuovo ellenismo ».
Questo articolo, che abbiamo riassunto largamente perchè à pur la sua importanza, ci sembra mal impostato c peggio concluso. Accanto a innegabili ottime afferma-zioni contiene su fondamenta letterarie e piuttosto semplicistiche, una linea di visuale ristretta e falsa perchè forzata, onde sarebbe facile — c speriamo qualcuno lo faccia — contrastarne ed abbatterne le conclusioni.
Le speranze fondamentali di Paolo. — In un breve, ma succoso articolo di Religio (2, 106) E. Buonaiuti mette in evidenza, contro la critica contemporanea, preoccupata di rintracciare i parallelismi delle sue concezioni nelle esperienze religiose del tempo, quello che egli chiama il pragmatismo di Paolo. Egli dimostra cioè come le esperienze fondamentali dell’apostolo lo portino a negare l’importanza della sapienza e della legge di fronte alle virtù associative che si appuntano sul Cristo per rinnovare l’individuo nella collettività e dargli vita.
« Sta di fatto — dice il Buonaiuti — che una delle dottrine fondamentali di Paolo, la dottrina agapico-cucaristica. è strettamente vincolata all’intimo suo senso della unità e della solidarietà nella « chiesa » dei suoi fedeli. Il Kuptazi« ¿ctav&v è deformato, contraffatto, annullato in seno alla comunità di Corinto, perchè i partecipi vi portano surretiziamente le loro differenze. sociali ed economiche, vi insinuano la loro mancanza d’amore. Poiché il rito del pane e del calice non è che una commemorazione della - morte restauratrice del Cristo, da celebrarsi fino al dì in cui Egli non compaia trionfante, esso deve essere celebrato come si conviene ad una comunità strettamente associata nel riscatto e nella speranza. Il pane ed il vino del banchetto eucaristico sono il corpo ed il sangue del Signore, perchè la conveniente partecipazione dei singoli membri della società.
che è essa stessa il corpo di Cristo, alle sue riunioni eucaristiche, ne consente la realizzazione mistica. Le assemblee della comunità non sono delle riunioni qualsiasi di associati ad un medesimo programma: sono la riunione delle mcmbia di un mede-; simo organismo spirituale; la compene-' trazione mistica di elementi chiamati a raffigurare in ¡spirito il corpo del Signore. Quando tali assemblee sicno tenute con la dovuta dignità e con la necessaria compostezza, anche il pane ed il vino che consumano, diviene il corpo c il sangue del Signore. « Chi ne mangi e ne beva senza tenere il debito conto della natura speciale del cui egli partecipa, non fa altro che inghiottire la propria condanna » (I Cor. XI, 20).
• Così S. Paolo salda strettamente la esperienza mistica dell’associazione religiosa di anime guadagnate alla medesima fede, ccn la efficacia salutare dei riti cui esse partecipano. Il rito eucaristico, nella concezione e nella prassi dell'apostolo, è la sanzione soprannaturale dell’armonia e deH’affratcllamcnto nella vita solidale della comunità ».
Perciò questa trova nell’amore fraterno l’espressione suprema, in modo che per il B. l’inno che Paolo gli eleva in I Cor. 13 è « dopo il discorso della montagna, la più solida tavola di fondazione della società cristiana ». [Questo è l’articolo che, facendo traboccare il calice, a quel che pare, à determinato il S. Uffizio alla scomunica dell’A. - v. sopra a pag. 38]
Idealismo e nihilismo buddista. — C. Paini in R.'ligio [2, 97Ì esamina il quesito della redenzione dell’uomo per mezzo della scienza nel buddismo secondo quanto risulta dai testi più autorevoli, mettendo sopratutto in evidenza l’importanza d’un brevissimo testo che nella traduzione cinese porta il titolo di Sin-King - libro della mente, e per il quale è negata la realtà dei fatti e dei fenomeni del mondo esterno e quindi delle dottrine che ne sono la conseguenza. Questo nihilismo buddista si ridurrebbe ad ammettere tutta l’esistenza delle cose del mondo nelle parole, quindi la verità sarebbe impossibile ad affermarsi, perchè il linguaggio umano non può esprimere che il falso. Cionondimeno la parola che può « dimostrare l’insussistenza delle cose negandone la realtà» se non è verità, è mezzo per dimostrarla,quindi.à maggior valore di esse.
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Da tutto ciò segue che se si assegna alla parola una potenza speciale, in essa è la realtà ónde una scuola speciale .attribuisce ai Dharani, ossia alle parole mistiche, la potenza di esprimere la verità con formule magiche che solo gli adulti intendono. In tal modo distruggendo tutto, questa dottrina rinchiude in una formula pronunciata con fede tutta la potenza di redenzione per mezzo della scienza.
Le origini del Cristianesimo. — Interessante l’osservazione che A. Tilgher fa sul Retto del Carlino del 21 dicembre a proposito del libro del Loisy sui misteri, del quale à parlato a lungo nell’ultimo fascicolo il nostro Puglisi. 11 Tilgher cioè fa notare come, se anche non lo dica esplicitamente, per il Loisy il Cristianesimo non sarebbe nato, se una mattina Pietro non avesse creduto di vedere Cristo risorto....
« Il colossale fatto storico del Cristianesimo viene fatto dipendere, in ultima analisi da un avvenimento iniziale, di cui, da) punto di vista puramente storico ed umano, il critico, per quanti sforzi faccia, non può rendere ragione alcuna, che c’è perchè c’è, e poteva benissimo anche non esserci: la visione di Pietro. Se quella mattina, pescando nel lago, Pietro avesse avuto i nervi più forti, non avrebbe visto Gesù risorto, ed il Cristianesimo non sarebbe nato! La più formidàbile svolta che il corso della Storia abbia mai sùbito, deriva, dunque, in ultima analisi, per la critica moderna, dalla crisi di nervi di un pescatore di Galilea!
« Gli è che, per quanto si serri, da vicino la storia per rinchiuderla nelle maglie dei nostri ragionamenti, vi t in essa un elemento irrazionale, ìndeducibile, indimostrabile, opaco allo spirito, scandalo e sfida dell’intelligenza, che ? poi quello che conta veramente e da cui tutto dipende. Nell'anno 15 di Tiberio le condizioni del Cristianesimo esistevano tutte, e non c’era che da metterle insieme per farne uscire il moto cristiano. Ma pei- metterle insieme ci voleva un fatterello minuscolo, impercettibile: l’allucinazione di un pescatore di Galilea. E se non c’era l'allucinazione? La critica deve rispondere che il Cristianesimo non sarebbe nato! ».
Concezione della vita nel pensiero ebraico. —- Sebbene neppure a noi soddisfi come
non soddisfa del resto alla direzione del-V Israel del 23 dicembre scorso che pubblica l’articolo, segnaliamo questa strana conclusione cui giunge a M. Levi de Veali studiando la concezione della vita nel pensiero ebraico:
« Abbiamo detto che colui che si proponesse di tracciare la storia del pensiero ebraico dovrebbe probabilmente concludere che il giudaismo non è che uno dei grandi e fondamentali principi del cui contrasto si compone la storia del mondo. E questa pure è concezione prettamente ebraica: il pensiero e la fede ebraica non hanno il senso dell'assoluto proprio delle altre fedi. Esso non tenta imporsi conia violenza nè aumentare ad ogni costo la cerchia degli iniziati e dei convinti.
« Il popolo ebreo non ha mai avuto un Maometto, non ha mai fatto delle crociate, nè istituirà mai un Tribunale dell’inquisizione; possiede il senso della libertà e della relatività.
« Il principio che afferma nel mondo è forse quello della saggezza, del buon senso e della serietà.
« Ecco perchè mancano in Israele le fulminee conversioni e gli inspirati ritorni: ecco perchè è odiato dai deboli e dagli insufficienti nello stesso modo con cui s'odia. la verità, che non sempre è facile e bella.
« La vita per Israele non è un problema, in quanto è il tutto: il mezzo ed il fine, il dolore e la gioia ».L’inquietitudine spirituale tedesca. — In una breve nota pubblicata nella Volontà del 15 dicembre scorso G. Marcovaldi dà qualche notizia, frutto di sue osservazioni personali, sull’inquietudine spirituale in Germania. Secondo l’A. nella Germania settentrionale si afferma una tendenza pratica che appare contraria a quella che si manifesta nel meridione, ove si è preoccupati di rigenerare lo spirito tedesco ed avviarlo alla 1 produzione ». A Jena si va affermando l’Euckenbund, di cui è per l’appunto presidente lo stesso Euckcn che in dieci comandamenti riassume tutto un programma di forza morale. Più popolare è l’opera di H. Kayserling, che propone la formazione d’un ideale umano, che trovi la sua base in una sapienza di senso pratico, priva cioè di quel contenuto irreale che sarebbe stato finora il massimo difetto tedesco, in 'modo che possa sorgere così il futuro duce (Führer)
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della Germania. Queste tendenze sono reazioni naturali alla grave sfiducia morale che domina anche il popolo tedesco, come, se non più, degli altri popoli, e trovano ambiente propizio di cultura nelle non meno gravi indecisioni politiche del momento. E sebbene queste preoccupazioni che vogliono dare un contenuto pratico all'indirizzo morale tedesco siano notevoli ed apparentemente giuste, il Marcovakli ritiene che esse siano esagerate, perchè realmente la Germania è scossa e agitata, ma non colpita fondamentalmente, onde presto in sè stessa troverà l'energia necessaria al risorgimento.
Plotino ha una posizione singolare nella storia della filosofia. Da una parte egli riassume e ricapitola, nel suo grandioso sistema, tutti i precedenti sistemi della filosofia greca, «assorbe in sè tutte le filosofie del passato • c nello « sforzo poderoso per superare il dualismo » (di pensiero ed essere, materia e forma) ■ che da Aristotele in poi rode alla radice il pensiero greco », sembra elevarsi, a tratti, ad una visione della potenza creatrice del pensiero in cui balena la risoluzione di quella antitesi. Ma, d’altra parte, « nella storia dello spirito umano non v'è spettacolo più prodigioso di quello che dà ora la filosofia greca che, quasi tratta da forza irresistibile, ritorna all'oscurità delle sue prime origini e, conservando intatta la raffinatezza formale che le viene da una storia quasi millenaria, si spegno bamboleggiando come era nata ».
Così A. Tilgher nella Nuova Antologia (1). Egli conchiude che Plotino si sforzò di raccogliere tutte le cose ncll'Uno; e bene incominciò ponendo il suo Uno di là dalla gerarchia aristotelica, in cui il primo motore immobile ha fuori e sotto di sè la materia e tutte le forme alle quali egli, con un trapasso infinito, dà impulso. Ma questo Uno, in cui tutto è e che è in tutto, come trapassa nelle molteplicità, rimanendo in essa e spiegandola, e tuttavia rimanendo uno? «Secondo P. la natura dell’incorporale è tale che, giunto alla sua perfezione, ne genera da sè un altro, simile, ma inferiore, procede, si irraggia, si espande in esso, pur rimanendo in sè, in(1) Ora riprodotto in Filosofi antichi, volume che contiene altri saggi in gran parte inediti, sul buddismo antico, sullo stoicismo, sugli scettici, ecc. Riparleremo di tale lavoro.
diviso, indiminuito, immutabile, e così, insieme, fuoriesce da sè e resta in sè, si muove e sta fermo, si moltiplica e rimane uno. Ma di ciò egli non dà dimostrazione, e nel concetto della suprema perfezione, dell’Uno, non sa indicare nulla che ci obblighi ad ammettere la necessità della processione. Questa rimane per lui un fatto indimostrato, che è perchè è: egli eleva a soluzione il problema stesi » che si tratta di spiegare, mascherando l’assenza del pensiero scientifico con immagini tolte dal mondo dei sensi ».
M.
Fede e ragione in S. Agostino e in Giovanni Scoto Eriugena. — Ritenendo che Giovanni Scoto Eriugena sia in un certo senso il precursore della scolastica, A. Bia-monti in Religio (luglio-settembre 1920) tende a mettere in evidenza il fallimento del suo sistema di conciliazione tra religione c filosofia, rampollato da uno studio del pensiero di S. Agostino, la cui importanza straordinaria nella storia antica e medievale sta appunto nella comprensione dell'utilità spirituale con l’edificazione dei credenti.
A tal fine il B. dimostra il tralignamento del pensatore medioevalc dal padre della Chiesa, del quale egli invece mette in mostra le due fasi per cui passò il pensiero nel considerare il problema del raggiungimento della verità. Indagando cioè se la ragione o la fede ( - Autorità) sono più adatte a conseguirla. Agostino in un primo periodo, quando non ancor battezzato tendeva all’eccellenza dei mezzi filosofici, rispondeva che la ragione doveva far tutto; invece quando divenuto vescovo e primate ebbe contatto con i semplici e sentì la potenza della loro fede, fu più propenso ad ammettere che l’autorità della Chiesa e la fede guidano l'uomo verso la verità più e meglio ancora che la ragione che vi si dimostra abbastanza inetta.
Sul pessimismo di G. Leopardi fa alcune interessanti osservazioni M. Porena nella Rassegna dell'agosto-ottobre 1920 mettendone in luce gl’inizi giovanili e la religiosità e la felicità che il grande poeta ebbe nell’infanzia e nell’adolescenza. Il dolore del Leopardi nasce, è vero, da più cagioni, « ma di queste la più tenue è il pensiero della nullità delle cose in senso metafisico, in quanto possa non esistere
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un loro valore assoluto se Dio non esiste. Più vivo assai scaturisce invece il dolore dal dover accorgersi che quelle belle idealità che avevano nutrito tutto il suo animo e tutte le sue speranze,' sono praticamente illusioni, perchè inducendo l'uomo a sacrificarsi per esse non gli dànno, nel migliore dei casi, se non un compenso nell'altra vita, lontano e incomprcnsibilc, ma in questo mondo nessuno ». Ora questo accorgersi è ottenuto con l’esperienza della vita, come egli stesso afferma nello Zibaldone. «La nemica della natura non è propriamente la ragione, ma la scienza c cognizione, ossia l’esperienza che n’è la madre. Studiare quindi il sistema filosofico pessimistico leopardiano equivale ricostruire la storia di queste esperienze »,
Piero Jahier. — Nella Rivista di Milano del 5 dicembre G. Prezzolini in poche, ma belle pagine disegna un profilo vivo e simpatico di questo giovane scrittore, illustrandone il sentimento religioso, la bellezza della vita ricca di senso pratico e di alte idealità, gli scritti così singolari e per stile e per sostanza, tratta dalle realtà della vita, senza rettorica e senza posa.
« Jahier — conclude Prezzolini — è uno scrittore. Ha un suo mondo poetico ed una sua forma. Un mondo religioso e morale, una sua forma trattenuta e spezzata. Non si può consigliare nessuno a seguirla, a imitarla, a copiarla. Non è una strada per altri. Soltanto lui può batterla e non altri che lui.
« Figurerà nelle antologie come quegli autori che si guardano con grande rispetto e con un senso profondo della distanza che inspirano.
« Figurerà perchè la sua umanità profonda saprà vincere tutte le diffidenze che inspira al borghese lettore la sua prosa costruita come i versetti biblici. Egli ha sentito e non ha scritto se non quello che prendeva una forma rigorosa e perfettamente rispondente alle sue idee.
« Jahier è uno scrittore sobrio. La sua arte è di poche parole e di rapide espressioni. I.c sue figure riescono tagliate con durezza e severità. Hanno del religioso e dello-scultoreo. Dureranno. •
• I suoi lettori non sono ancora numerosissimi ma crescono e non se ne perde uno. Questo è l’importante. Non sono lettori di moda e di piacere: ma di convinzione, di amicizia. Non si'perderanno
per istrada. Jahier li troverà un giorno cresciuti al trionfo di qualche sua opera ancora più vasta di respiro e di umanità ».
Da questo simpatico scrittore abbiamo avuto promessa di collaborazione soprattutto per quella rubrica a Per la cultura dell'anima » che anche a lui come a noi sta a cuore per l’alto significato italiano che dovrebbe assumere e per l’espressione di quella sincera c sicura fede evangelica di cui egli è un caldo e convinto confessore.
Dino Provenzal. — È qualche tempo Che la critica esamina e studia con un certo sentimento di interesse c di amore, finora non abbastanza sveglio, l’opera e la figura di Dino Provenzal. L’ultimo articolo che è apparso su questo « educatore artista • che giustamente si affeima con l’opera sua spirituale pur su quanti fino a ieri mostravano di non curarsi di lui, è quello di G. Isnardi che, qualificandolo appunto come abbiamo detto, ne parla estesamente e simpaticamente sull’Educazione nazionale de) 15 novembre 1020. Nel segnalare tale studio ai nostri lettori che già conoscono ea apprezzano il Provenzal, siamo lieti di assicurarli che per l'anno prossimo potremo contare anche su una più larga collaoorazione del chiarp scrittore.
Roberto Ardigò. — Mons. Origo, vescovo di Mantova, secondo quanto risulta da documenti pubblicati nella Rivista "del Clero italiano del io novembre u. s , à fatto più volte insistenti pressioni su Roberto Ardigò perchè egli ritornasse alla fede dei suoi primi anni. Alla prima richiesta il filosofo rispose col solito biglietto che inviava a tutti coloro che lo invitavano a ricredersi, in cui si proclamava «convinto per lungo studio c senza alcun dubbio della assurdità di ciò che ritengono i credenti », alla seconda, non rispose affatto.
Giusuè Borsi — Nel Nuovo Convito del novembre 1920 F. Lopez-Celly esamina la figura di Giosuè Borsi quale risulta dai Colloqui c mette in evidenza l'anormalità dèi tipo religioso del loro A., la nessuna profondità di sentimento sincero, l’esagerazione vana della sua posa di credente. Secondo il Lopez insieme con le lettere intime i colloqui mostrano «la atrocità dell’uomo anormale, del soldato
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non esemplare, del figlio dimentico, dell’uomo asceta, risoluto,, quasi in godimento ebro, a dar corso al suo proposito di morte» onde è' messo in chiaro « il suicidio sacro, la morte dell’amante sacro, il delitto amoroso per la divinità. Questo è l’uomo. In quanto all’artista è d’uopo affermare che l’arte del Borsi, date le qualità morali che animavano lo scrittore, non è forte, umana, sincera arte ».
Su Cari Spitteler, il poeta svizzerotedesco che vinse il premio Nobel di quest'anno per la letteratura A. Spaini à scritto nell’.4stoni! del 24 dicembre un articolo in cui dimostra come egli sia in fin dei conti un redivivo, poiché rimane sempre «estraneo alla doppia rinascita della letteratura tedesca al principiò del
nostro secolo, a quella derivata direttamente dal verismo e diversamente rappresentata da Frank Wcde’kind e da Thomas Mann; e all’altra tutta spirituale c religiosa nata intorno al gruppo di Stefan George ». Il Piccolo à pubblicato alcune poesie tradotte da T. Gnoli, che non ci ànno fatto grande impressione.
In complesso anche questa come quella di Knut Hamsun è una figura che, se non verranno — come si promette per quest’ultimo anche da noi e si fa già da qualche tempo in Francia — nuovi studi e sopratutto nuove edizioni e traduzioni delle opere a farcene « saggiare » la bontà, ci sembra una figura tratta più dall’oblio che colla distinzione messa nella giusta luce in cui i meriti propri l’avevano già collocata.
RIVISTE TEDESCHE^
La liberazione dello spirito nella nuova Germania. (Christenlum und Gegenwart, nn. 1-2, 1920). — Nella prima parte di questo articolo l'autore (B.) tratta del nuovo ufficio che dovrebbe avere la Chiesa nella società tedesca, rivolgendo particolare attenzione su l’opera sociale che ad essa spetta. Nella seconda parte tratta della scuola e della scienza. La scuola deve esser condotta da maestri che considerino il loro ufficio come un’alta missione per l’umanità e come una delicatissima arte dedicata unicamente a render gli nomini migliori di quelli che sono stati nel passato. Ai due pericoli che, secondo l’A., si oppongono contro- questo programma: la vita industriale e lo Stato, si deve contrapporre una organizzazione scolastica indipendente da ogni organizzazione politica. La scuola deve raggiungere i suoi fini segnati dalle disposizioni degli uomini e dal loro sviluppo spirituale. Noi vogliamo una scuola, dice l’A. realmente governata da persone competenti, una scuola che con la cooperazione dei genitori possa destare le migliori energie del popolo e promuoverne altre che rendano la generazione futura migliore di quella passata. E per la scienza? L’A. non può dare alcuna recisa risposta circa la libertà degli scienziati e della scienza tedesca, ma si augura che i professori universitari siano realmente indipendenti dallo Statò e che la storia p. es. non abbia
preoccupazioni politiche celando, come pur troppo è avvenuto al popolo tedesco, la verità. Considerando lo studio della religione l’A. trova il medesimo' letto di Procuste che ne impedisce la libertà dei movimenti specie per l'indagine scientifica. L’A. ritiene che l’occidente, e quindi la Germania stanno ora difronte al tramonto della cultura borghese e che dal fondo dell’anima popolare si svilupperanno quelle nuove energie che occorrono per una nuova civiltà.
La questione religiosa nei « Sozialistischen Monatsheften » (Christliche Welt. nn. 24, 25, 26, 1920). — In tre articoli consecutivi Justino Schönewolf esamina la questione sociale 'nei suoi rapporti con la religione dal punto di vista del socialismo. Da tutti gli articoli pubblicati recentemente nei Sozialistischen Monatsheften risulta in modo sempre più chiaro che il socialismo tedesco tende la mano alla religione per procedere di comune accordo e, per esser più precisi, che il socialismo, almeno in molti rappresentanti più in vista, non vuole staccarsi dal cristianesimo. Hans Müller riconosce che senza fede nel valore delle cose, 'senza la forza dell’amóre e dell’entusiasmo non si ottiene nulla di grande e aggiunge che la religione è il motore principale del progresso sociale. M. Maurenbrecher dice che religiose energie sono contenute ne
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socialismo, non essendo l’appello morale alla solidarietà fondato solidamente sul vantaggio personale. Kampfmeyer rammenta che Fouricr, Tolstoi, Samt-Simon ànno attinto dalla religione il loro entu^ siasmo socialista, ma desidera che tali forze ideali non siano attinto dalle attuali Chiese costituite. L'A. osserva che costoro vogliono mettere il cristianesimo al servizio del movimento sociale, mentre altri, più giustamente, rilevano che ogni movimento sociale non può, nè deve astrarre da un ideale religioso, al quale quel movimento deve uniformarsi. Dalla serie di articoli esaminati l’A. conclude che su la bilancia delle tendenze spirituali, il peso della profondità religiosa diviene sempre più notevole di fronte a quello della dottrina e della tattica materialista.
Cristianesimo, nazionalismo e socialismo (Christliche Welt, n. 22-23, 1920). — Sono due lettere indirizzate da Georg Wciss al pastore Traub. Egli mette in rilievo l’importanza secondaria che per Gesù ebbero la ricchezza e la povertà, pur non riferendosi Gesù nei suoi discorsi nè ai possesso, nè ai possessori come tali, ma agn'effetti che quelle condizioni possono avere su l’anima. Gesù non à chiesto una radicale rinuncia alla proprietà privata come obbligo generale, ma solo come obbligo per colorò che lo seguivano. Riferendosi poi a Naumann, accetta la teoria di quest’ultimo secondo la quale il socialismo è un approfondimento dei nazionalismo. Wciss infine vuol trovare una sintesi del pensiero socialista, e di quello nazionalista, illuminati e purificati entrambi dal cristianesimo.
La categoria del sacro. (Zeitschrift fiir 'Micologie und Kirche, n. 1, 1920). Accanto all’opera, ancora incompleta, di Wob-bermin (Teologia sistematica secondo il metodo psicologico) sta certo la recente Subicazione di R. Otto su la categoria el sacro, che è sopraturto una ricerca intorno all'essenza della religione, sulla quale specie da Schleiermacher ai nostri giorni, si sono affaticati tanti ingegni. Ma oggi la questione entra in uno stadio nuovo. Un vigoroso sforzo tende a considerare la fede come funzione specifica del nostro spirito, distinta da qualsiasi altra funzione e di liberare il fatto religioso da ogni contaminazione intellettualistica ed etica, da ogni analogia profana. La definizione che Schleiermacher aveva dato della religione (sentimento di assoluta dipendenza)
à solo valore analogico, perchè Tesser questa dipendenza assoluta non la distingue per qualità, ma per quantità dalla dipendenza profana. L’affermazione che fa di sè lo spirito personale di fronte alla natura (Ritschi), la pretesa alla vita (Kaftan) non descrivono l'esperienza religiosa, ma sono un richiamo profano della religione che il senso del sacro desta in certe circostanze. L'esperienza religiosa, del resto, non può esser definita con parole, come non lo può un’esperienza musicale, ed anche la descrizione che fa Otto dell’oggetto religióso non si sottrae a questa impossibilità (Nttminosum myste-rium tremendum fascinosum). Questa descrizione è solo da accettarsi come ideogramma. Da ciò una conseguenza notevole per la nuova dogmatica che deve rinunciare a concetti c giudizi che siano in diretto contatto col soggetto. Ogni logica critica del dogma, ogni dimostrazione di contraddizione colpiscono solo le inadeguate espressioni e descrizioni, mai l’oggetto stesso della fede. Un'altra nuova luce vuol gettare l’indagine di Otto su la dogmatica, ridestando il vecchio concetto dell’ira divina, abbandonato da Schleiermacher e da Ritschi come antropomorfico. ricini nell'articolo che riassumiamo,'partendo da queste nuove indagini, si domanda: in che rapporto sta la pretesa all’assoluta verità della fede con la relatività di ogni storico avvenire e quindi di ogni storica rivelazione? E specialmente, in che rapporto il valore assoluto che ascrissero le comunità alla Sersona di Gesù, col carattere relativo ella sua esistenza storica? Il concetto dell’assoluto non si ottiene con l’accettazione di una'evoluzione della storia religiosa, come voleva Schleiermacher e come poi Hegel e la sua scuola diffusamente esposero con ricchezza di dettagli. La filosofia della storia che accetta l’Heim è quella di Oswald Spengler, la quale non riconosce più quei gradi di sviluppo, ma specie stilizzate di pensiero, di arte, di imagini spirituali, di credenze in Dio, che crescono, come i vegetali, > l’una accanto all’altra, e poi spariscono, e sono tutte ugualmente giustificate e relative. L’assoluto, perciò, non può essere nè una apparizione solitaria, nè una serie di forme evolvcntisi l’una dall'altra, la pretesa al valore assoluto della fede cristiana potrebbe contrapporsi solo nel suo proprio campo; mettendo cioè di fronte ad essa un’altra contraria intuizione profetica. Ma quale delle due avrebbe ragione, non
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potrebbe a sua volta definirsi nel campo teorico.
Il senso della vita e la fede in Gesù (Zeitschrift für Theologie und Kirche, n. 1, 1920). — D. Bornhausen prende occasione di uno scritto di \V. Herrmann sii la guerra per dare uno sguardo alla esperienza religiosa della Germania durante e dopo la guerra. All’opera feconda di Schiller, Schleiermacher, Göthe, Schelling, Pestalozzi, Novalis, in cui zampilla vivo il senso della vita e della fede, succede un periodo di critica arida e infeconda, di una generazione di nazionalisti che pretese persino di render razionale l’irrazionale e che produsse per conseguenza un abbassamento della mentalità' e della fede cristiana. Oggi, solo l’uomo vivènte e operante, l'uomo che con energia creativa partecipa alla riedificazione, può dire di elevare l’essere suo alla eternità e alla divinità e di cspcrimcntare la beatitudine delle più alte verità e della fede. E tali uomini occorrono, dice l’A., pei* strapparci dagli indicibili errori della vita fisica, per elevarci a Dio, che ci dà, anche nel mondo materiale, la certezza che ogni vita sincera è buona, bella ed eterna. L’A. finisce esortando i teologi tedeschi ad abbracciare una concezione della religione che sia più in armonia con l'etica moderna, ed esorta coloro che ànno sofferto della guerra, a meditare II senso della fede in Gesù di W. Herrmann.
Chiesa e Antroposofia (Der Geisteskampf der Gegenwart, n.i 1920). — Del movimento antroposofico, che da alcuni anni à avuto luogo in Germania, e del suo estendersi anche al di fuori di essa, è un segno il gran numero di pubblicazioni che sul suo profeta, Rudolf Steiner, si fa ogni giorno più grande. Le preoccupazioni della Chiesa in Germania, di fronte al movimento antroposofico, appaiono nella conferenza or non è molto tenuta a Lipsia da Paul Fiebig su « Chiesa e Antroposofia » seguita da discussione. 1 punti principali presi in esame sono: la metafisica, la chiaroveggenza, il Cristo, la scienza segreta. Le conclusioni a cui viene l’articolista dal punto di vista della Chiesa evangelica, si riducono a queste: i° la meditazione degli antroposofi à molti punti di contatto con la Chiesa cristiana, giacché non si tratta con le meditazioni di attingere solo energia in genere, ma di un’azione .nel campo morale sul pensiero, sul sentimento, su la volontà, su la purezza dei costumi. 20 L’esercizio
però della meditazione, e il raggiungimento della chiaroveggenza non è senza pericolo; il primo per la salute fisica, il secondo per Ìnella morale. Gesù non pensò mai di fare ei suoi discepoli tanti chiaro veggenti, e la coscienza di esseic fra gli iniziati agli alti misteri produce orgoglio e agevola la formazione di sètte che sono ben lontane dallo scopo che si prefisse Gesù. 3° Il Cristo di Steiner è simile a quello biblico in quanto anch’esso à un valore cosmico; ma il dio dello Steiner, come quello del Budda, è inaccessibile e quindi assai diverso da quello di Gesù e di Paolo. Rudolf Steiner à una concezione del peccato e della redenzione assai diversa da quella accettata dalla Chiesa, e per lui la religione à un significato diverso. Se per religione egli intende l’esperienza del soprasensibile, l’antroposofia riesce utile ad essa in quanto serve a raffinare c rafforzare quell’esperienza. Ma il prof. Meuss à messo in rilievo i danni che da questo esercizio derivano. Dopo la sconfitta, egli à detto, similmente a ciò che suole accadere nella storia delia cultura, si avverte una forte tendenza al misticismo e alle fantasticherie c però egli considera l’antroposofia come un segno di morbosità e di decadenza. Egli à rammentato le pratiche consigliate dall’antroposofia e le sue conseguenze, à rammentato le stramberie della magia sessuale e dei reincarnati. Notevole il fatto che ben 24 signore si sono recentemente dichiarate di essere la reincarnazione di Maria Maddalena. Nondimeno, conclude l’articolista. la Chiesa e l’antroposofia possono contrarre alleanza contro il materialismo [v. Bilychnis, XVI, 322].
La Teosofia come produzione e segno dei tempi (Die Christliche Wclt. n. ri, 1920). — Quest’articolo del Bruhn vuol essere la conclusione di una lunga discussione che à avuto luogo recentemente in Germania sui rapporti tra teosofia e religione. L’A. che à pubblicato anche due volumi sul medesimo argomento (Theoso-phie und Theologie; Thèosophie und An-troposophie) richiama l’attenzione dei teologi sul proselitismo teosofico, essendo questo "-negli ultimi tempi notevolmente accresciuto anche col contributo di pastori evangelici. La teosofia non è religione, egli dice, ma, secondo Steiner c Mittelmeyer, essa vuole solo integrarla. Là vecchia teosofia è in parte mistica e in parte metafisica evoluzionista con tinte etiche. Essa non può dirsi quindi una religione. L’antroposofia di Steiner sosti-
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tuiscc alla mistica intuitiva la cultura di un nuovo organo di conoscenze. L'uomo, elevando la sua facoltà intuitiva, perviene alia percezione di qualcosa sopra sensibile, perviene cioè alla chiaroveggenza non al possesso di Dio; ciò che implica un problema psicologico, ma non un’esperienza religiosa; un’estensione dell’attuale conoscenza empirica, non il rapporto di un soggetto uomo con un oggetto Dio. L’antro-posofià sarebbe così un mezzo per com-, piotare la vita religiosa come l’arte, la natura, la scienza. L’A. vuol riconoscere quanto di buono contiene l’antroposofia, ma conserva un contegno, se non di ostilità, certo di deciso distacco da essa, come da una via errata che pur istintivamente conduce là dove la vita umana tende. Tanto più, conclude l’A., l’armonia tra sapere c credere si stabilisce e tanto più l'illusione dcll’antroposofico sensualismo Serde di luce, c però la teologia, cosciente ella sua responsabilità verso le masse, deve riconoscere che il suo precipuo lavoro è di ricostituire una filosofìa della religione accanto a una psicologia religiosa.
La concezione cristiana della natura alla luce delle indagini moderne (Stimmen der Zeil, novembre 1920). — Il famoso gesuita tedesco E. Wasmann à raccolto in due articoli quanto nella sua lunga lotta contro l’hàckclismo à sostenuto in varie conferenze e pubblicazioni, aggiungendovi alcune considerazioni. In questo, che è il secondo degli articoli menzionati, egli si domanda se il concetto cristiano del mondo sia ancora moderno. La ri-Kosta à due alternative: una è quella data
,1 monismo in tutte le sue gradazioni dall’ilozoismo al panteismo; l'altra è quella che dà il teismo. Il concetto della natura nel cristianesimi è identico a quello del teismo in quanto 'il mondo e le sue leggi sono considerati come opera di una potenza e sapienza ultramondana che nella pienezza del suo essere eterno chiama all’esistenza le creature. Dato un rapido sguardo alle indagini scientifiche moderne, E. Wasmann rileva che esse ànno costruito una imagi nc dell’universo secondo la quale tutte le sue parti e attività sono meravigliose, attive armonie, ànno costruito cioè una concezione teistica che approfondisce quella antica in quanto nel concetto moderno il mondo è capace di sviluppo. La Bibbia non contraddice una tale concezione e sopratutto bisogna tener presente che essa non è opera di scienza naturale, ma di religione, e che i> suo scopo non è di insegnare scientifico
more, ma di salvare le anime. Se si vuole guardare alla unicità dei concetti fondamentali, si deve osservare che lo sviluppo del mondo, tanto dalla filosofia quanto dalla scienza naturale non può esser concepito come un perpetuum mobile. Nè l’essere della materia, nè il movimento ànno la causa in se stessi, e reclamano appunto quella causa che il cristianesimo chiama creazione. Del pari non si può concepire filosoficamente lo spirito come un processo della materia che è costituita di parti, nè si può concepire la materia vivente come se fosse un ulteriore sviluppo di quella non vivente che non esce dai suo processo fisico-chimico. 11 principio di evoluzione che filosoficamente può applicarsi a ogni cosa non trova poi applicazione generale nella realtà, essendo essa condizionata dai risultati dell’indagine scientifica. Non è affatto dimostrata l’evoluzione del mondo organico da un mondo più semplice e solo per pochi fossili la paleontologia à potuto scoprire una evoluzione di forme. Molto meno fondata appare una concezione monofiletica come il monismo hàckeliano aveva formulato, e la teoria della discendenza è divenuta oggi un problema della teoria della mutazione delle cellule germinali: La teoria dell’adattamento all’ambiente dev’essere poi più approfondita, perchè solo un adattamento attivo è concepibile, una facoltà dell’organismo all’adattamento per dare/ una spiegazione della selezione naturale.
Ed una facoltà attiva che reagisce all’ambiente rivela una disposizione teleologica, una suprema potenza e intelligenza che abbraccia tutta la natura e nel suo insieme e nelle sue parti. Le leggi che governano la cellula vivente non sono leggi meccaniche, come vorrebbe il nuovo lamarckismo, giacché in tal modo non sarebbe più possibile intendere le sue facoltà. Il processo fisico-chimico assume qui un carattere teleologico che non è visibile nella natura inorganica, e che reclama quindi leggi non semplicemente meccaniche. Il monismo psichico, che pone l’ipotesi di • un’anima del mondo sopraindividuale » pensante ed agente in tutti gli esseri organici, è una concezione contraddittoria, perchè quest’anima sarebbe nello stesso tempo incommensurabilmente sapiente e ignorante. Occorre Eerciò, conclude Wasmann, riconoscere
1 superiorità della concezione teistica, della concezione cristiana che non domanda una unità sostanziale, ma una unità causale per intendere quell’unità del sistema del mondo nel quale si realizzano le idee divine.
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GL’ INIZI DEL CRISTIANESIMO
The beginnings of Christianity. Part I. The Acts of thè Apostles. Edited by F. J. Toakes Sakson, D. D. and kirsopp Lare. D. D. Voi. 1. Prolegomena I. The Jewish, Gentile and Christian Back-grounds. London, Macmillan. 1920 (pagine xi-480). Sh. 18.
Se per indicare il semplice titolo di quest’opera abbiamo occupato parecchie righe, la colpa — i lettori .possono supporlo non è nostra. Occorreva riportare tutti i titoli e sottotitoli, perchè solo in tal modo era possibile far comprendere quali siano state le intenzioni degli autori, e come questo libro voluminoso e ponderoso rientri in un vasto piano di lavoro.
The Beginnings of Christianity dovrebbe costituire una serie di opere destinate ad illustrare documenti cristiani dai primi tempi fino a Costantino. Prima opera della serie l'illustrazione degli Atti degli Apostoli. Questa deve comporsi di tre volumi: il primo, di prolegomeni — che è il presente — illustra, come dice il sottotitolo, lo sfondo — l’ambiente, gli elementi, come più vi piace dire — giudaico, pagano e cristiano sul quale quello scritto neotestamentario è sorto. Il secondo volume, pure di prolegomeni, sarà dedicato ai problemi critici più particolarmente riguardanti gli Atti. Il terzo, finalmente, conterrà il testo ed il commentario degli Atti medesimi.
Come si vede, il piano è grandioso. Sorge, peraltro, una obbiezione spontanea. Il contenuto di questo primo volume è tale che esso potrebbe costituire i prolegomeni così degli Atti come di qualunque altro scritto neotcstamentario. Esso corrisponde, nè più nè meno, a quel complesso di argomenti che i teologi tedeschi hanno designato col nome di Neutestamentliche Zeitgeschichte. Trattasi della storia po
litica e religiosa, deB'ambiente filosofico e sociale dell’epoca neotestamentaria. È evidente, dunque, che per un volume di prolegomeni agli ‘itti c’è, in pari tempo, troppo e troppo poco.
Fatta questa indispensabile riserva teorica. ci affrettiamo a riconoscere che il contenuto del volume, preso per sè. è eccellente. Le singole parti sono opera Spr lo più degli editori, ma talora anche ¡altri col laboratori, come il Duckworth e il Montcfiore. Una ricca varietà di argomenti importanti è trattata nel volume, senza sfoggio di discussioni critiche c di bibliografia, ma — quel che più importa — con riferimenti continui alle fonti, che sono talora direttamente riassunte e tradotte. Abbiamo, così, nella prima parte, uno schizzo di storia giudaica, delle analisi della religiosità giudaica, un saggio sulla diaspora. Nella seconda, si tratta deH’organizzazione provinciale romana c della vita nell’impero romano (particolarmente sviluppata la trattazione intorno al culto degli imperatori ed ai coinà, o concilia relativi). La terza si occupa, con lunghe analisi dei testi, dell’inscgna-mcnto di Gesù, dello sviluppo della primitiva chiesa cristiana, e di quello della ■ cristologia.' Le tendenze sono nettamente critiche, e piuttosto radicali che conservatrici, il che è notevole in un libro inglese.
Lacune o scarsi sviluppi ci sarebbero da rilevare. Le credenze particolari del giudaismo, che fanno quasi di esso una nuova forma religiosa non senza caratteri c funzioni sincictistiche, sono troppo fuggevolmente toccate. E per vero il giudaismo precristiano, a cominciare dal Dcuteroisaia è trascurato a favore del rabbinismo. Anche l'apocalittica giudaica non ha tutto il posto che meritava, men? tre una trattazione diffusa de) messianismo è collocata, con errore manifesto
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di metodo, nella 3* parte, dove si parla della cristologia. Insufficiente è Posposi -zione della filosofia di Filone; Posidonio è nominato solo in nota. Anche Plutarco, il neopitagorismo, i misteri hanno trattazioni insufficienti.
Tuttavia teniamo a ripetere che il libro è serio e utile, sopratutto per quel che contiene di analisi di fonti. Ci sono lacune; ma quello che qui si dà è altamente apprezzabile.
Luigi Salvatorelli.
I DETTI DI GESÙ
The Sayings 0/ Jesus of Nazareth. With Preface by R. Prof. J. A. Robertson, M. A. The Swarthmore Press. London. 1920, Pag. 169. Prezzo 2 s.
Non siamo affatto alla presenza di un fascetto di Logia di Matteo odi frammenti di papiri egiziani ma, ben meglio, vengono qui presentate le parole di Gesù come risultano nei vangeli sinottici, ma isolate dal contesto e più semplicemente incorniciate da brevissime introduzioni e tra esse col-legate da succinti paragrafi dilucidativi. Passano così, una dopo l’altra, come in una collana di perle rare, tutte le parole canoniche di Gesù, dalle prime da Lui pronunciate dodicenne, sotto le volte del tcmpiojtdi Gerusalemme, fino all'ultima che nell'agonia mormorò sulla croce ». Non novità perciò:, ci perde la dotta curiosità, ma ci guadagna nel cambio la pia edificazione.
Questo lavoro aveva avuto dei precedenti, p. es. quello di R. Mac-Duff, tradotto anche in italiano, anonimo, col titolo: • La mente e le parole di Gesù ». (Firenze Claudiana, 1870). Però l’opera recente differisce. dalla surricordata, e da altre opere del genere, perchè essa riporta solo le parole di Cristo riferite nei vangeli sinottici, avendogli anonimi compilatori del voi. riguardato il quarto vangelo non come voce autentica di Gesù, ma come una interpretazione spirituale di quella voce stessa. Non ebbero invece scrupolo di accogliervi parole c detti di Gesù c impregnate del suo spirito genuino, riportate eia vangeli extra canonici. Abbiamo così, accanto alle parole note dei Sinottici, un « detto » cavato dal « vangelo di S. Pietro », tre cavati dal «vangelo degli Ebrei », due ricordati da Origene c sci scoperti nei papiri di Oxy-rhynchus. Uguale larghezza di vedute i
compilatori di questa collezione di detti di Gesù la dimostrarono nel non seguire la critica e imprecisa linea d'una cronologia c d'un’armonia neotestamentaria affatto tradizionali, ma — sulla traccia di recenti indagini storico-letterarie — s’attennero di preferenza all’applicazione di quelle leggi psicologiche per le quali le parole di Gesù fioriscono sul suo labbro come una continuità logica e come uno sviluppo interdipendente di causa c di effetto.
Alla luce di siffatti criteri il lettore dalle parole del Maestro ne riceve una sì vergine e sì nuova impressione ch’è molto prossima alla gioia di una riscoperta personale delle medesime. Chiuso il libro nelle orecchie del lettore s’indugia come il suono mistico c solenne d'una musica che, benché nota, abbia rivelato ritmi e vibrazioni nuove. È questo il sottile e tentante segreto delle millennarie parole del Risveghatore riudite nella loro suggestiva genuinità.
Piero Chiminelli.
CATTOLICISMO INTEGRALE
D. Giuliotti, Antologia dei cattolici francesi del secolo XIX, Lanciano, tCarabba, 1920.
Un cattolico, anzi un cattolico «integrale • il Giuliotti, ha raccolto in questo volumetto pagine di otto francesi (De Maistre, Bonald, Lamennais della prima maniera, Balzac, D’Aurcvilly, Hello, Veuil-Jot, B’.ois) pagine nelle quali il cattoli-cismo vicn presentato nella rigida purezza della sua dottrina politica, di egemonia della Chiesa e diritto divino della verità assoluta, confidata in deposito al magistero della Chiesa medesima, cui individui e società debbono assoggettarsi. E un elogio del volume, che si inizia con V Elogio del boia, di De Maistre, abbiamo potuto leggere non in un giornale cattolico, ma nel giornale nazionalista romano, (Idea Nazionale. io ottobre) scritto da Silvio d’Amico.
Il quale d’Amico, perchè lo scandalo non sia troppo forte, ci invita a « distinguere nelle pagine degli scrittori rcazionarii quello che può esservi di contingente e di caduco da ciò che ne forma rinnegatole essenza ». E poiché questa essenza è una formidabile accusa al liberalismo borghese, quale uscì dalle correnti della filosofìa moderna e della rivoluzione francese », la condanna, anzi, di tutto il pensiero moderno, da) giorno in cui esso incominciò a
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distaccarsi dalla purezza del l'assolutismo mcdioevale cattolico, il critico teatrale dell’idea Nazionale ci avverte anche che questi scrittori • disprezzano il relativo c l’effimero perchó posseggono l’Assoluto l’Eterno... non riconoscono tante leggi quanti sono gli individui, ma una sola legge... non accettano tante verità, ma una sola verità; non ammettono tutte le libertà, ma una.sola libertà, quella di chi è guidato da Dio ».
In altre parole, negli scritti raccolti dal Giuliotti —- come già nel volumetto di antologia dal Veuillot, del quale parlammo in un precedente fascicolo — noi abbiamo la dottrina della assoluta eteronomia. Da una parte gli individui, con le loro leggi, le verità contingenti, le libertà singole; dall’altra parte l’Assoluto, con la sua Legge, la sua Verità, la sua Libertà.
E, posta così, la questione non soffrirebbe dubbio. L’effimero è nulla e l’Assoluto è tutto.
Senonchè questi scrittori cattolici integrali possono bensì figurarsi una posiziono simile, ma non possono rimanervi, poiché essa si distruggerebbe da'!s¿. E infatti, a meno che non identifichino se stessi con l’Assoluto, essi; non possono; offri rei che la loro legge, la loro verità, la loro libertà, il loro boia. E per questo essi parlano a nome^della Chiesa; e, illudendosi di aver dinanzi una Chiesa che non sia il frutto del loro stesso pensiero, quella identificano con l’Assoluto. Ma poiché la Chiesa della quale parlavo è una cosa storica, cioè una successione di concilii, di papi e di decreti, cosi, in definitiva, essi non possono che dividere l’effimero, cioè la storia, in due parti; c a una di esse dare il nome di Assoluto, cioè divinizzare una sezione della storia.
La quale, tuttavia, anche divinizzata, non cessa di essere storia, cioè movimento, cioè mutazione: Benedetto XV non è Bonifacio Vili: una « Bulla in Coena Domini », promulgata oggi farebbe sbellicar dalle risa anche i gesuiti, esclusi — naturalmente — quelli della Civiltà Cattolica.
Per questo il cattolicismo integrale non ' apparisce oggialla .enorme maggioranza degli stessi cattolici "che come l'ideale di un’epoca storica, consegnato nel Bullarium c, salvo la conversione al cattolicismo di una mezza dozzina di letterati, non c-è nessuna probabilità che il mondo, dopo la guerra, avido di verità e di disciplina, torni a Bonifacio Vili o al Concilio di
Trento. E De Maistre e i cattolici integrali debbono difendersi dalla accusa di un sacrilegio: essi hanno rubato alla storia l’Assoluto, senza essere riusciti a far rientrare il loro assoluto nella stoiia.
R.
L’ANIMISMO NELL’ISLAM
Samuel M. Zwemer, The influente of Animisti! on Islam. An accounl of po-pular superstitions. London, Central Board of Missions & Society for Prc-moting Christian Knowleagc, 1920, XII + 246 pp., 12® con 12 tavole fuori testo.
Ogni predicazione di una nuova fede, nell’atto del suo sorgere, si afferma come una vigorosa protesta contro l’ambiente religioso ed etico entro il quale si svolge; quando quella fede ha trionfato c si è co-. stituita in organismo ecclesiastico essa, pur senza mai rinunziare formalmente all’intransigenza originaria, diventa molto più recettiva rispetto alle icligioni che ha sconfitte e conquistate e ne assorbe inconsapevolmente molteplici elementi, sia che questi entrino, più o meno travestiti, a far parte del patrimonio dogmatico e culturale della religione dominante, sia che (come suole avvenire su larga scala) essi persistano con costanza millenaria nelle abitudini dei fedeli, e specialmente della classe più umile di questi, per la quale costituiscono — a dispetto dell’anatema della Chiesa ufficiale che il più delle volte, riconoscendone l’origine, li condanna — la tradizione più tenace, la pratica più intima della vita religiosa.
A questo processo, notissimo à tutti 1 cultori della scienza delle religioni, non è sfuggito l’IsIam, il quale anzi lo ha subito in modo vario e complesso.fin dalle sue stesse origini, in quanto che a esso, a differenza del Cristianesimo e per maggiore sventura della sua levatura religiosa c morale, toccò in sorte di trionfare durante la vita stessa del suo fondatore. Il trionfo dell’IsIam, come la critica storica ha dimostrato, si dovette a un compromesso tra la predicazione primitiva di Maometto e il culto pagano della Mecca, sicché molti elementi di questo s’introdussero fin da principio nell’islam e lasciarono tracce di sé nello stesso Corano. Quando poi la nuova fede fu portata, con una meravigliosa rapidità dovuta in gran parte agl’inauditi successi militari dei conquistatori arabi, molto c molto più in là
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dei confini entro i quali si era svolta la sua fase primitiva e accolse nel numero dei suoi seguaci popolazioni di stirpi e di religioni svariatissime, i nuovi convcrtiti, entrando nell’IsIam, vi portarono seco un ricco patrimonio di dottrine, di sentimenti, di costumi loro propri che in parte vennero adottati dalla religione ufficiale c si estesero a tutto il vasto mondo musulmano, in parte rimasero limitati a questa o a quella delle, regioni di esso, costituendo tipi svariati di culti e di usanze locali che hanno continuato a sussistere e sussistono tuttora entro l’unità formale dell’IsIam.
Che tra questi culti c queste usanze prevalgano quelli di natura più bassa che sono noti comunemente col nome di « animismo ■ non è cosa che possa stupire, sia perchè ciò suole avvenire in tutte le religioni (basti pensare a certe forme del culto dei santi, a certi riti agricoli, alla credenza negli spiriti e nella magia, che si ritrovano perfino nel Cristianesimo odierno, e non soltanto nei paesi cattolici), sia specialmente per il basso livello culturale di molti dei paesi nei quali l'IsIam si è stabilito.
maggior parte delle credenze c delle pratiche animistiche viventi oggi in regioni musulmane non sono altro so non quelle che vi vivevano primadcH’introduzionedel-rIslam, c • si presentano talvolta nella loro apparenza primitiva, più spesso ricoperte di una leggera vernice islamica, che tuttavia non vale ad alterarne il carattere. Dall’Africa occidentale all’Arcipelago malese si riscontra, con un fendo comune e con mille varietà locali, tutto il bagaglio animistico che gli studi delle religioni primitive hanno segnalato e descritto, da una cinquantina d’anni in qua, in ogni parte del mondo: avanzi di culti feticistici, credenze nei dèmoni e formule per allontanarli o propiziarli, riti connessi cogli spiriti della vegetazione, forme primitive del culto dei morti e dei santi, operazioni magiche di ogni sorta valevoli per tutte le circostanze della vita.
La vasta congerie delle credenze e delle pratiche animistiche nell’IsIam è stata già ampiamente studiata in Europa sia sulle fonti letterarie del passato, sia coll’osservazione diretta dei costumi attuali; mancava tuttavia un’opera di carattere comprensivo, accessibile a ogni persona di media coltura, qual’è quella che ci offre oggi, raccogliendo in volume alcune letture tenute in America agli studenti della Hartford Seminary Foundation e del
Seminario teologico dell’università di Princeton, il benemerito missionario inglese S. M. Zwemer, già favorevolmente noto non solo nell’ambiente delle missioni protestanti per la sua infaticabile opera di propaganda, ma anche in quello degli studiosi dell’IsIam per i due pregevoli volumi Islam, a chalìenge lo Faith e Arabia, thè cradle of Islam (2a ediz. 1912) e specialmente per I a rivista da lui fondata e diretta The Moslem World, nella quale si trovano felicemente riunite tanto informazioni intorno all’opera delle missioni nel mondo musulmano quanto studi e notizie relativi alla vita religiosa dell’IsIam contemporaneo. Quest’ultimo libro dello Zwemer non è inferiore agli altri due: il materiale raccolto rton sólo dalle migliori pubblicazioni europee (1), ma anche da fonti arabe e specialmente da in formazioni private di membri di missioni protestanti e dalla esperienza diretta dell'Autore, vissute a lungo in paesi musulmani (Arabia orientale ed Egitto), è copiosissimo, l’esposizione vivace ed attraente. Qualche osservazione potrebbe farsi all’ordinamento della materia, non sempre perspicuo (2), c alcune deficienze potrebbero notarsi (ma forse sarebbe pedanteria) sia nella scelta e nell’elaborazione delie fonti letterarie sia nell’esattezza di alcune affermazioni di carattere filologico e storico (3).
(1) Desta meraviglia che non sia stato fatto uso dell’opera classica di E. Doutté, Magie et religion dans VAfrique du Nord (1909).
(2) Lo Z. avrebbe fatto bene, secondo mi sembra, a tener conto anche dell’elemento animistico nel culto dei santi (sul quale gli scritti del GoLDZiKER e del Montet, p. es., offrono un materiale abbondantissimo) e a far parola delia curiosa figura del Khidr (Khadir), lo spirito misterioso, mutabile nell’aspetto ed errante senza posa, che sta a capo della gerarchia dei santi, nel quale si sono fusi, con un complesso sincretismo, rappresentazioni mitiche di svariata provenienza. Questo essere mitico, il culto del quale è diffuso per tutto il mondo musulmano con una intensità che lo colloca, nella coscienza popolare, al disopra dello stesso Profeta, è menzionato soltanto per incidente, e senza alcuna spiegazione sul suo significato, a p. 93, nella forma persiana « Khoaja (Signore) Khizur».
(3) Non credo che possa prendersi sul serio ridentificazionc (p. iO2x) dì Oppraìt (il Dioniso del paganesimo arabo secondo Erodoto III, 8) con Alldh ta'dld «Iddio altissimo»: si noti che questo epiteto è di origine schiettamente musul-
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Più grave difetto, per quanto non essenziale, è l’inconseguenza nella trascrizione di voci arabe, mentre una rigorosa esattezza è necessaria appunto nelle opere destinate ai non arabisti per evitare i danni che derivano ai « profano » dal trovarsi di fronte alia stessa parola resa in maniere diverse, in modo da non sapersi più raccapezzare intorno alla vera consistenza di essa; il che lo fa cadere in una serie di equivoci, che poi si continuano e si complicano passando da un’opera all’altra.
Ma si tratta, in ogni caso, di piccole mende di ordine secondario, che diminuiscono di ben poco il valore del libro, dal quale trarranno utilità non soltanto i cultori di scienza delle religioni in generale, ma anche gli stessi islamisti. Questi ultimi non si accorderanno forse collo Z. nel significato che egli attribuisce alla persistenza di clementi animistici nell’IsIam c nel giudizio intorno al valore di questa religione che egli ne inferisce; lo Z., che naturalmente considera l’IsIam più che altro dal punto di vista della missione cristiana, scorge in quel la persisten za una prova della inferiorità spirituale dell’IsIam, un’inferiorità che avrebbe la sua origine alla radice della fede propagata da Maometto, tanto che nello stesso Islam primitivo le forme di religiosità superiore maschererebbero malamente un substrato di animismo grossolano, nel quale si sarebbero conservate le credenze c le pratiche della rozza religione araba preislamica. Secondo lo Z. « non v’è dubbio che il paganesimo sia entrato nell’islam per la porta del Corano > (p. 64) e le superstizioni nell’IsIam « risalgono sì ai tempi de) paganesimo, ma sono approvate dalla tradizione musulmana, e in alcuni casi dallo stesso Corano » (p. 69), tanto da essere inseparabili da questo e da quella (p. 122).
In questo giudizio vi è una parte di vero: non vi è dubbio, p. e., che il fondamento stesso della predicazione di Maometto, l’ispirazione di un essere sovrumano che parla direttamente al popolo attraverso il mana!, — p. 125 mald’ika « angeli ■ non deriva dal verbo arabo alaka, ma è parola di origine ebraica, giunta all’arabo attraverso l’aramaico, e non può risalire, per ovvie ragioni morfologiche, se non alla radice la’aka, — p. 2201, il « Libro degl’idoli » di Ibn al-Kalbi non è perduto, come crede lo Z. e come si riteneva infatti fino a qualche anno fa; esso è stato pubblicato recentemente al Cairo dallo stesso Ahmed Zeki Pascià che lo Z. cita a p. 182.
medio del profeta, e la forma stilistica delle rivelazioni coraniche, in prosa rimata e con espressioni volutamente oscure, risale assai più alle credenze vigenti nella Arabia preislamica intorno all'ispirazione degl’indovini \kàhin) c dei poeti per mezzo dei dèmoni (ginn) che non al profetismo biblico. Ed è parimente accertato che in una delle parti centrali della religione musulmana, il pellegrinaggio, sopravvivono le pratiche completamente pagane dell’antico culto orgiastico delle divinità meccano, e che la stessa preghiera rituale, nonostante il suo carattere monoteistico, conserva tracce di magìa. Tutto ciò è dovuto sia all’ambiente nel quale sorse la fede predicata da Maometto, sia, come si è visto, al compromesso politico mediante il quale il Profeta riuscì a imporre quella fede alla maggioranza dei propri concittadini. Tuttavia la presenza di tali e di simili elementi — che non mancano del resto neppure in altre religioni monoteistiche, nel Giudaismo p. e. —non tolgono all’IsIam,considerato nel suo complesso, il carattere di rigido monoteismo che gli è proprio; ed appunto con tale carattere, spinto all’intransigenza assoluta, l’IsIam si è trasmesso ad altri popoli, trionfando delle loro antiche religioni, e ancora ai nostri gorni esso continua a guadagnare annualmente migliaia di proseliti alla fede in un Dio unico. Non mi sembra quindi che lo Z. sia nel vero facendo risalire la presenza dell’animismo trai musulmani odierni alle origini stesse dell'Islam, nel quale gli avanzi animistici primordiali (che soltanto l’indagine scientifica europea, si noti, ha messi in luce dissotterrandoli, per così dire dal fondo della dottrina monoteistica che vi è saldamente cresciuta sopra) sono completamente svaniti dalla coscienza dei fedeli. In realtà i culti c lé pratiche di carattere animistico hanno un’origine del tutto diversa; nè possiamo indurr? una. loro connessione coll’IsIam autentico dal fatto della commistione di formule musulmane con riti essenzialmente pagani, come quando, p. e., in una cerimonia agricola si pronunziano preghiere musulmane, o quando la professione di fede è usata per scopi di magìa o di medicina taumaturgica, oppure quando a un antico luogo di culto pagano (albero, pietra, ecc.) si collega il nome di un santo musulmano: si tratta, in tutti questi casi, di quei trapassi di nomi c di attributi esterni, che lasciano intatto il fondo dei costumi religiosi, ai quali siamo avvezzi
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in ogni manifestazione religiosa popolare» p. e. in molti culti di santi in paesi cattolici.
Come tutti i fenomeni religiosi, quello dell’animismo ancor vivo e gagliardo sotto l’apparente scomparsa delle antiche credenze di fronte al monoteismo musulmano ha cause molto complesse, esporre paratamente le quali significherebbe rifare per intero la storia della diffusione dell'IsIam, il che richiederebbe un volume per lo meno altrettanto grosso di quello che l’Marnaci« ha dedicato alla storia della diffusione de) Cristianesimo! Le circostanze storiche di quella diffusione, il grado di civiltà dei popoli tra i quali essa avvenne, le relazioni economiche, politiche e culturali tra le varie regioni del mondo musulmano, la storia interna di queste singole regioni; tutta quanta, insomma, la «< storia » vi ha contribuito. Ma un aspetto almeno del fenomeno occorre tener presente, perchè esso è, secondo me, fondamentale per la sua intelligenza c serve anche a dar ragione dello straordinario potere di diffusione dell'IsIam, che impensierisce, non senza motivo, i missionari i quali vedono la propaganda cristiana perdere terreno di fronte a quella di una religione che non possiede neppure l’embrione di un’organizzazione missionaria (i): l’IsIam, benché possegga una teologia e un rito altrettanto vasti di quelli di qualsiasi altra religione, non chiede ai suoi catecumeni alcuna preparazione prima di ammetterli nella comunione dei fedeli; la semplice enunciazione della professione di fede (« non v’è altro dio che Allah, Maometto è il profeta di Allah ») basta a legarli indissolubilmente alla nuova religione e a garantire loro la salvezza futura ncll’al di là, l’assoluta parificazione a qualsiasi altro musulmano su questa terra. Mentre questa completa assenza di gradi nella via che conduce alla fede facilita immensamente la propaganda e avvince tenacemente i convertiti che da una condizione d’inferiorità sono sollevati senza fatica alla dignità della pertinenza alla vasta cerchia dei credenti, d’altra parte essa impedisce che avvenga nell'animo dei convertiti stessi quella totale rinnovazione di valori morali che li renda effettivamente « uomini nuovi » e ne modifichi l’intero atteggiamento spirituale. Il neomusulmano professa sì sinceramente la
(x) Cfr. il breve, ma succoso volumetto di M. Hartmann, /slam, Mission und Politik (19x2).
nuova fede, ma questa non cancella in lui le macchie dell’antica infedeltà, bensì vi si sovrappone semplicemente, lasciandole sussistere, senza che la sua mentalità Soco progredita avverta l'incompatibilità el vecchio col nuovo (1). S’intende quindi facilmente come anche nelle regioni dove l’IsIam è penetrato con tanta forza da resistere vittoriosamente a ogni sforzo più gagliardo di propaganda cristiana, esso non abbia elevato gran che la mentalità dei suoi aderenti, e come tutto quell’insieme di credenze, di istituzioni e di pratiche che costituiscono lo strato più profondo della psiche religiosa popolare sia rimasto quasi inalterato, mutando appena il nome e racchiudendo, se è lecito invertire l’espressione evangelica, «il vino vecchio negli otri nuovi ».
Ciò non significa tuttavia che l’islamiz-zazione delle popolazioni pagane, e in ¡specie di quelle meno progredite, non implichi un mutamento profondo della loro mentalità: pur nel persistere delle antiche pratiche superstiziose, al di sopra di esse stanno, con una fermezza incrollabile; la fede nella fratellanza di tutti i musulmani, la certezza della salute eterna che spetta a ogni credente, per peccatore ch’egli sia, dopo un periodo di pena adeguato alle sue colpe (2). Queste due colonne del Credo musulmano, nella loro semplicità, sono di una straordinaria saldezza, specialmente rispetto a popolazioni di un livello intellettuale e morale poco elevato; in esse risiede la vitalità c la forza d’espansione che l’IsIam possiede ancora c che lo rende un rivale così temibile per le missioni cristiane.
Nel chiudere questa recensione, la lunghezza della quale spero mi sia fatta perdonare dall’importanza dell’argomento e dal merito reale dell'opera esaminata, dò il sommario dei capitoli nei quali questa è divisa; da esso il lettore potrà arguire
(1) Questo aspetto dell’IsIam è stato osservato con acume da D. S. Margoliovth in The early developnient of Islam (1913), p. x segg.
(2) A quest’ultimo punto non ha pensato lo Z. scrivendo come conclusione del suo libro che «se è volontà di Dio che l’uomo abbia una religione per esser felice e avere una garanzia di liberazione dalla paura, l’IsIam animistico non è quella religione» (p. 244)- Almeno a una paura, quella della dannazione eterna, il Musulmano, per quanto infimo sia il suo livello spirituale, è completamente sottratto.
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la vastità e la varietà della materia che vi è trattata:
1. Islam e animismo - II. L'animismo ne! credo c l’uso del rosario - ’III. Elementi animistici nella preghiera musulmana - IV. Capelli, unghie; mano apo-tropaica - V. Il sacrificio della «'aqiqa » -VI. Lo spirito domestico o « qarìna » -VII. I «ginn» - Vili. Pratiche pagane connesse col pellegrinaggio - IX. Magia c stregoneria - X. Amuleti, incantesimi e nodi - XI. Culto di alberi, pietre e serpenti - XII. Lo «zar»: esorcismo di dèmoni (i).
G. Levi Della Vida.
ALTO MEDIO EVO
S. Hellmann, Das Mittelalter bis zum Ausgange der Kreuzzüge (40 volume della Welt-Geschichte in gemeinverständlicher Darstellung edita da Lud. Moritz Hartmann). Gotha, Fried. Andr. Perthes Verlag, 1920. Un voi. in-8° gr. di 350 pp. È un compendio, molto sommario per quanto solidamente imbastito, della storia politica dell’alto medio evo ad uso del grosso pubblico colto. Esclusa, quindi, ogni citazione di fonti. A questa esclusione dovrebbe supplire una rassegna bibliografica delle fonti e delle letterature della storia generale d’Europa e delle singole principali nazioni, quale può facilmente ricavarsi da qualunque manuale di bibliografia, premessa al volume. Le opere in essa citate sono quasi esclusiva-mente tedesche; pochissime quelle francesi e in minor numero ancora quelle italiane. Nessun lavoro italiano è citato che si riferisca alla storia d’Italia.
Alcuni personaggi storici, come Carlo Magno e Federico Barbarossa sono abbastanza bene disegnati; altri invece, come Ottone III e Federico II. hanno insufficiente rilievo e sono quasi del tutto,
(x) Alla bibliografìa sullo «zàr», la strana e barbara cerimonia esoreistica di origine africana introdottasi nell’IsIam in età recente, che il Kahle ha raccolta nell’articolo citato dallo 7. a p. 22g1, è da aggiungersi un articolo, che non mi risulta noto finora in Europa, della rivista astrologico-occultistica egiziana Taw&ti’ al-mulùk (Gli oroscopi dei re) a. V n. 13-14. PP- 3* *6-324, nel quale una signorina del Cairo descrive una seduta dello
• zàr», senza tuttavia aggiungere particolari importanti a quanto era già noto dai testi pubblicati dal Volljìrs e dal Kahle.
avulsi dalla complessa storia contemporanea. Molto trascurati sono anche ì fenomeni economici e sociali che pure nell’alto medio evo hanno così decisiva^im-portanza. Di arte e di letteratura, non si parla neppure!
In complesso un volume non inutile per quelle poche idee generali ch’esso contiene, ma insufficiente e pesante.
A. D. S.
UN CATECHISMO
La religione Cristiana: Manuale ad uso delle Chiese evangeliche. Torre Pollice (Torino), Libreria «La Luce», 1920: pp. 216 in. 16o, prezzo L. 4.
Alcuni pastori della Chiesa Valdese, tra i quali U. Janni ed E. Comba precipuamente, hanno composto un Manuale, in forma di catechismo, «per l’istruzione religiosa dei loro catecumeni, che sono studenti delle scuole secondarie ».
La ragione per la quale merita di essere menzionato con lode in questa rivista, è l’uso notevole che vi si fa delle conclusioni più sicure della moderna critica biblica.
Per ciò che riguarda l’A. Testaménto, notiamo anzi tutto questa concessione alla critica. « L’idea di Dio nelle epoche più antiche non era così determinata come fu più tardi in senso schiettamente monoteistico; i patriarchi adorarono un solo Dio. ma non sembra che avessero già il concetto dell’iddio unico, universale, assoluto. Fu il grande profeta-legislatore Mosè che nel xiv secolo a C. condusse il popolo all’idea d’un Dio personale vivente (chiamato Jahvi) e mediante il culto di quel solo Dio vivente (monolatria), il popolo d’Israele giunse a proclamare la dottrina del monoteismo assoluto... attraverso a molte difficoltà » (p. 25). Parlando della legislazione mosaica se ne attribuisce a Mosè soltanto una parte: c si accenna all’origine e al carattere dei singoli libri con parole che sostanzialmente concordano con i resultati dell'indagine moderna (p. 36 ss.). Quanto agli apocrifi dell'Antico Testamento, accettati dalla Chiesa romana come deuterocanonici, si dice che « il loro valore non è trascurabile per sentenze e notizie storiche che ci tramandano • (p. 35): criticamente tale affermazione ci sembra un po’ timida; vi sono in seno alle chiese evangeliche autorevoli studiosi che, ad esempio, trovano maggiormente « ispirato » l’apocrifo della Sapienza in comparazione del canonico
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libro dei Giudici. E ci pare troppo recisa l’asserzione che «gli apocrifi del Nuovo Testamento non hanno nessun valore »; alcuni di essi hanno, invece, parti di notevole importanza agli occhi dei critici moderni. Un giudizio, più generoso su gli apocrifi sarebbe anche in armonia con il largo concetto deirispirazionc biblica che giustamente (p. 54) vi si propone.
Il terreno neotcstamentario è trattato con quel riserbo che è richiesto dalla sua natura tanto delicata per la coscienza cristiana; nondimeno si rende omaggio alla critica in misura notevole. Non si contesta la possibile priorità cronologica del vangelo di Marco (p. 44); e si tende verso la critica delincando il ¡carattere de) quarto vangelo (p. 45) e àeW Apocalisse (p. 53). Quanto all'epistolario di Paolo, francamente si ammette che non è sua la lettera agli Ebrei (p. 51). Circa la persona del Cristo notiamo questo insegnamento/« Gesù sta dinanzi ad ogni coscienza umana cóme l’ideale incarnato che dobbiamo imitare. L'origine di Gesù è celeste, e la Scrittura lo chiama il primogenito di tutte le creature; per la nascita terrena di Lui vi fu un intervento speciale dello Spirito, affinchè fosse preservato dalla corruzione della stirpe di Adamo, il che è espresso dalla narrazione evangelica relativa alla concezione c alla nascita di Gesù. Ma ciò non esclude che la santità perfetta della sua vita terrena fu da lui conquistata con eroismo attraverso tentazioni reali e formidabili ». Anche da questi pochi cenni si fa palese chela critica biblica ha un posto relativamente cospicuo nel nuovo catechismo teologico della Chiesa valdese: così può chiamarsi tale lavoro, perchè ilTCorpo pastorale di essa, pur facendo una riserva generica, lo ha approvato saggiamente. r. c. p.
[BLONDEL
Enrica Carpita, Educazione e religione in Maurice Blondel, Firenze, Vallecchi, 1920, L. 3.
Questo del Blondel resta, nella storia della filosofìa, un singolare episodio. Dopo aver esordito, ne) 1893, con una tesi di laurea, V Action, grosso e. fitto volume di 500 pagine, che sollevò grande ammirazione ed iscrisse l’A., di colpo, fra i maggiori filosofi contem|>oranei, egli, spaventato de) suo pensiero c del suo successo, ritirò dalla circolazione il suo lavoro, che oggi è quasi introvabile e si è limitato, in 27 anni, a pubblicare non più che sei
brevi studi, in riviste francesi. Il filosofo dell'azione è divenuto il filosofo del silenzio, cioè della inazione.
Ma quel primo volume celebre ha in sè la spiegazione del mistero. Una critica acuta, sottile, profonda, condotta per due terzi di esso, era la presa di possesso della ricchezza dell’atto spirituale concreto, in cui l’A. scopriva e celebrava, con fervore di asceta, e da cui deduceva tutta la vita e la storia e la realtà, il naturale e il divino.
Nella terza parte, invece, la gioia.del possesso svaniva e ricominciava l’affanno della ricerca; un atto di fede, estraneo al pensiero, si imponeva a quell’altro meraviglioso atto di fede, scaturiente dalla stessa indagine critica sulla sete della vita e sulle esigenze immanenti dell'azione. La natura, il mondo, la carne si riprcsentavano al Blondel, sfuggite, quasi per un sottile scherzo diabolico, alla sua presa, come nemiche della vita ed irriducibili ad essa nella disciplina interiore della libertà; e di fronte ad essa il Blonde) ricostruiva una trascendenza necessaria oramai per raccoglierle, oltie l’umano, in unità filosofica di sistema.
Quale dei due indirizzi sarebbe prevalso, se il filosofo francese avesse approfondito ancora il suo pensiero e chiestogli di scegliere definitivamente la sua via? L’uoifìo, il credente, il cattolico ha arrestato il filosofo. 17 Action è stata sottratta alla vita del pensiero; e gli scritti minori seguenti ci offrono ancora la stessa situazione di contrasto non confessato e non risoluto.
Enrica Carpita, in un volumetto che è il primo di una serie J.a nostra scuola, a cura de) prof. E. Codignola, a vvicina il solitario pensatore, non per esaminarne e criticarne il pensicio, ma per derivarne il concetto dall'educazione c il rapporto di questa con la religione; e queste pagine brevi e limpide chiariscono assai bene la ricchezza e la vitale efficacia di quella pedagogia che già conosciamo, dal sommario di G. Gentile, e che ha nel Blondel una testimonianza originale, ricca di pathos ed esperta, come ncssun’altra, dell’interno processo della vita spirituale, còlto da una intuizione acuta che è insieme possente dialettica.
Ma lo studio delia Carpita, anche dentro questi limiti, non poteva rinunziare alla valutazione filosofica; e questa, sobriamente espressa qua e là in brevi giudizi e riserve, è riassunta in una pagina che citiamo, prendendoci solo l'arbitrio di correg-
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RECENSIONI
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gere una punteggiatura qua e là arbitraria e superflua.
< Fin da ora è necessario avvertire che, per cogliere il nuovo concetto che dell’attività spirituale il Blondel quasi inconsapevolmente raggiunge, è necessario prendere, per così dire, una visione sintetica dell’opera sua; poiché essa, come certi quadri d’arte moderna, non ci offre, osservata nei suoi particolari, ciò che lascia afferrare ad una veduta d’insieme.
« Non ostante infatti egli avverta l’errore della psicologia consistere in ciò che essa vuole impietrare ciò che è vivente, e dalle membra astratte far ribalzare fuori la vita, pure egli stesso assume talora atteggiamenti psicologistici, incalzato dalla inaudita difficoltà in cui si sono imbattuti necessariamente tutti quei filosofi i quali, avuta la felice intuizione che la realtà è divenire, non hanno saputo tuttavia liberarsi completamente dalla tentazione di afferrarla tratto tratto con quelle morse che non possono non ridurre statico ciò che è dinamico. Egli ci parla, per esempio, di antecedenti e di conseguenti dell’azione, ed in essi, a prima vista, sembrasi smarrisca il concetto del soggetto come atto, «atto che ha una realtà, un’importanza, una dignità infinitamente superiori al fatto dell’universo intiero«; ma se, per dirla con Dante, aguzziamo bene gli occhi al vero, vediamo che l’atto ha, sì, degli antecedenti e dei conscguenti, da cui deriva cd a cui mette capo necessariamente, ma che nè gli uni nè gli altri sono fuori di lui, nè gli si aggiungono, come elementi estrinseci, bensì gli sono compresenti, vivono della sua stessa vita, sono in virtù sua, da lui posti, come antecedenti e come conseguenti; che l’/lc/ion, in una parola, è sintesi a priori, sintesi che pone, anziché presuppone, i suoi elementi.
« Di più, nell’atto, egli sembra distinguere vari gradi: la coscienza, la riflessione, la libertà; ina questi non sono gradi nel senso rigoroso della parola; in ciascuno di essi c’è l’atto e tutto l’atto; il passaggio quindi non segna che un approfondimento, un superamento, una crescente consapevo lezza che l’atto acquista perpetuamente di sè stesso ».
Ai molti i quali vorrebbero conosceie V Action dei Blondel, e non possono, suggeriamo la lettura di queste pagine nelle quali è permesso delibare le ricchezze meravigliose di quello studio. E ci auguriamo che questo torni quanto prima ad
essere offerto nel suo testo intiero agli studiosi (i). R. M.
A. MANZONI
A. Manzoni, / Pensieri, Lanciano Cara bba.
Delle opere in prosa di Alessandro Manzoni se ne conosce in genere solo una, mentre ne possiamo noverare, come è notoi esattamente diciotto.
L’edizione originaria dei Pensieri, che ora presenta il Carabba, era da tempo * esaurita ».
Fu pubblicata nel 1873, due anni dopo la morte del Poeta, a cura di un amorosissimo manzoniano. Luigi Perazzi. Non è meraviglia se, a tanti anni di distanza, non siano più non solo il compilatore accurato, ma neanche la Casa editrice, che era quella del Rcchiedci di Milano. ; Così questa ristampa sarà salutata con riconoscenza dagli amatori di « essenze » di pensiero. E l’essenza del pensiero manzoniano bene può — secondo l’intenzione di chi ve le adunò, tracndola da venti volumi —dirsi tutta raccolta in queste pagine.
Pensiero che — occorri avere il coraggi» di confessarlo senza ambagi — è più ampio assai di quanto comunemente c correntemente si creda.
Poiché, se la profondità morale della meditazione manzoniana è cosa riconosciuta e considerata centralmente caratteristica, meno nota (0, se volete, accettata) è la larghezza di quella che si potrebbe definire la sua veduta « esterna » sulle civiltà molteplici, su la storia universale.
Non a tutti, o a troppi, è forse parso che lo sguardo pacato del grande lombardo « mai o quasi si sia spinto — per usare la frase-carducciana rivolta al Parini — oltre i tigli di Porta Orientale »?
Ora, da questa raccolta — cioè dalla visione concentrica di tutta la sua opera — sorge veramente un Manzoni — « maggiore » di osservazione esterna c di curiosità storica e letteraria.
• • •
Dal « Saggio " sulla lingua italiana » ai dialogo « Dell’Invenzione i, dal « Discorso Storico sui Longobardi » alle « Osservazioni sulla morale cattolica », dagli scritti sul « Romanzo storico » e sul « romanticismo » e sul vocabolario (senza contare la
(1) In questi giorni il Vallecchi <li Firenze ne à pubblicato una traduzione italiana. (Red.).
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storia, della « Colonna infame ») siamo di fronte, alla vastità di un’opera, dove la figura del Grande si complica delle più ricche attitudini.
Crediamo meriti conto trarre alcuni fiori per i nostri lettori: eccone uno sull’arte nel saggio « Del romanticismo in Italia ».
< Fra gli scrittori antichi c moderni, più vantati son quelli che non imitarono, ma crearono, o per parlare un po’ più ragionevolmente, seppero scoprire ed esprimere i caratteri speciali, originali degli argomenti che presero a trattare e vi è un po’ di contraddizione nel dire: prendete a modelli quelli scrittori che furono sommi, "perchè non presero alcun modello ».
E un altro, nello stesso saggio, sul plagio:
• L'accusa di plagio è stata fatta sempre agli scrittori che hanno dato il più di cose nuove: sempre si è andato a frugare libri antecedenti per trovare che il tal principio era stato già immaginato e in-■ segnato, sempre si è detto che era la centesima volta che le tali idee venivano proposte. E che avrebbero potuto rispondere gli scrittori? Tal sia di voi, che siete stati sordi le novantanove. Tal sia di voi, che, avendo in tanti libri tutte queste idee, non, ne tenevate cqnto, e pensavate sempre come se non fossero state* mai proposte. Ora noi vi abbiamo costretti ad avvertirle. Quando non avessimo fatto altro, questo, almeno, è qualche cosa ' di nuovo ».
E questo giudizio — è nello scritto su la < Morale.’» — su Niccolò Machiavelli ?
« Tra gli scrittori che presero l'utilità per norma suprema dei loro giudizi nelle cose politiche toccò al Machiavelli il triste privilegio di dare il suo nome, in più d’una lingua, a una tale dottrina, anzi a una sola e speciale applicazione di essa; giacchi i vocaboli derivati da quel nome furono destinati a significare esclusivamente l'uso della perfidia e, a un bisogno, della crudeltà al fine di procurare l’utilità o d’uno o d'alcuni, o di molti. Il giudizio implicito in quei vocaboli non è vero che in parte. Il Macchiavelli non voleva l'ingiustizia, sia astuta sia violenta, come un mezzo nè unico, nè primario, ai fini proposti. Voleva la utilità, e la voleva o con la giustizia o con l’ingiustizia, secondo gli pareva che richiedessero i diversi casi. E non si può dubitare che il suo animo non fosse inclinato a preferire la prima ».
Ecco un fascio di brevi sentenze:
« Nelle cose abusive, le correzioni vivono alle volte meno dell’abuso: e non c'è per l’errore nessun posto più incomodo c dove possa meno fermarsi che vicino alla verità ».
• Il momento in cui si lavora a rovesciare un si
stema, non è il più adattato a farne imparzialmente la storia ».
■ Il non fare è una triste cosa; ma non viene da ciò che ogni fare sia qualcosa di meglio; e se quello è degno di compassione, non vedo che possa essere degno d’invidia di far qualcosa che poi si deva disfare ».
■« Non sempre ciò che vien dopo è progresso ».
« » •
In verità, conviene concordare con la apologia (a un tempo così semplice e fervorosa) che del Manzoni « pensatore » ha fatto il Perazzi che ho citato.
'•Il Manzoni — egli scrive — è stato un pensatore coscenzioso come ce n'è pochi. Quando si pensa che la mente sua nella maturità delle forze, è stata al vcro'disccpola cosi fervorosa; l’ha studiato e sotto varie forme, ammirato con una gioia cosi schietta; l’ha difeso con tanta rettitudine logica, allora non è a stupire ch’ella sia stata potente a porre su migliore strada l’osservazione dell’anima umana, la letteratura, la critica, lo studio delle questioni storiche, il giudizio dei fatti religiosi e morali ».
Nei saggi su la letteratura e la filosofìa i pensieri di Alessandro Manzoni formano un complesso così alto e ricco quali brevi citazioni non possono in alcun modo rappresentare. Basterebbero quelli su Roma c il mondo antico per porre la sua figura accanto a quelle del Macchiavelli e del Guicciardini.
E, per finire, noterò che talora l'osservazione, pur restando oggettiva, pare ed è personale — diventa autobiografica.
Così questo squarcio, nella lettera sulla « Tragedia ».
< L'uomo d’ingegno non è mai interamente sicuro di sè stesso, e desidera sempre una testimonianza esteriore che gli confermi ciò ch’egli dubita delle proprie forze. E come infatti potrebbe egli stare alla propria decisione, quando si tratta di accertarsi se è puro e vero o se non è che apparente ed affettato? Il disprezzo pertanto lo conturba sempre; e chi mal lo comprende è quasi certo di ridurlo a dubitare di sè stesso. Egli domanda soltanto di essere inteso, d’essere giudicato: ma però vorrebbe esserlo non solo con lealtà, ma con giusta scienza: quasi sempre si lascia trasportare al desiderio della gloria; ma non la vuole se non a patto di veder coloro che la- dispensano ben convinti che ne sia degno; accetta sempre le censure, ma esige che insegnino qualche cosa; ed ha inoltre bisogno di essere persuaso che non sono frutto della passione ».
Ecco una persuasione che è un po’ difficile fare accettare a uno scrittore d'oggi nei rapporti con quel modello di genialità e di insigne imparzialità che è la critica contemporanca. Arnaldo Cervesato.
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Il Circolo universitarlojjdl studi stòricireligiósi della cui istituzione e dell’inizio della cui attività abbiamo già fatto cenno nei fascicoli precedenti, ha inaugurato il suo ciclo annuale di conferenze con un discorso di Luigi Luzzatti il 3 gennaio con*, dinanzi ad un pubblico sceltissimo formato dai più autorevoli rappresentanti delle scienze c delle lettere, da molti studenti e da moltissime persone colte e studiose.
L’oratore à voluto illustrare con il suq discorso gli scopi dell iniziativa altamente encomiabile.
Ha accennato anzitutto ai lunghi anni della guerra nei quali si accumularono soltanto rovine. Ora l’umanità sente il bisogno di ricostruire.
L'umanità sente, aspetta che acquistino valore quelle voci lontane di fondatori delle grandi religioni, di apostoli, di missionari, di martiri, le quali ripetono all’uomo che ci non è soltanto cittadino di questa terra, la sua vera patria essendo in un mondo migliore: voci che ripetono la legge delle leggi: quella di amare il prossimo, di dominare le proprie passioni, di purificare l’anima col sacrificio e coll’abnegazione. Grazie a cotestc voci, molti giovani sitibondi di rievocarle, hanno invitato i loro illustri maestri a parlare delle religioni. La comparazione dei culti, .dei riti esteriori nei quali si rappresentano, esce dall’esame profondo delle loro condizioni specifiche e i vari Iddìi viaggiano sicuri traverso il filone della storia...
Al disopra della corrente degli interessi materiali, i quali paiono trascinare con strepitoso impeto nella , loro rapina ogni cosa terrena c superna, vi è un tesoro di forze ideali, invisibili . e inestinguibili, le quali esercitano la loro salvatrice influenza, frenano c riscontrano gli appetiti c le cupidigie- e, in proporzione diversa, secondo l’indole dei tempi, convpongono
la storia essenziale dell’umanità; la quale non ha mai vissuto di solo pane, ma si è sempre cibata anche di spirituali aspirazioni; ha perpetuamente sentito il dolce gioco di una morale imperativa, colorendo le tristi realtà della vita colle gioie supreme dell’ideale.
Le dottrine superficiali prevalenti alla fine del secolo xvm, collega vano l’origine delle religioni coll’ignoranza, colla paura, con la superstizione, rappresentando le genti umane come vittime perpetue delle bugie, delle cupidigie e delle tirannidi sacerdotali.
I nuovi studi insegnano a pregare il proprio Iddio in celeste umiltà, e a considerare le altre religioni come note diverse di anime pure che si accordano in armonie sublimi, e. per adoperare la definizione di Leonardo sulla musica, « rappresentano la figurazione dell’invisibile ».
Disponiamoci ad ascoltare queste armonie altissime, non già col solo desiderio di accrescere le conoscenze storiche, ma per l’intima persuasione che la cultura religiosa susciti la elevazione intellettuale c collettiva. E infatti udendo il versetto di Lao-tze: « Ricambia il male con il bene ■; ed il precetto di Confucio: « Ama gli altri come te stesso: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te ». si scorge nell'uno e nell’altro un contenuto più che cinese, umano, un frutto di esperienza che trascende i confini di un paese e si palesa valido in ogni tempo e sotto ogni guardatura di cielo.
I formidabili problemi i quali oggi rendono perplessi c infelici tutti i popoli, i ricchi come i poveri, i vinti e i vincitori, non troveranno la loro soluzione senza una benefica crisi delle coscienze. Vano è cercare la vera paco fra gli Stati e dentro gli Stati con tutte le sue benefiche conseguenze politiche, economiche, culturali e morali,
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se prima non aumenti nei singoli uomini la somma di bontà, se prima, realmente c sinceramente, il punto d’onore non sia messo più che nella gara dei guadagni e degli sforzi, nella nobile emulazione di atti modesti, di sacrifìci disinteressati, di opere caritatevoli.
• Io, dunque, giovani carissimi—ha concluso il Luzzatti — ho fede ardente sicura nella bontà intrinseca della, vostra iniziativa e v’incoraggio e v’esorto a perseverare.
• Ed agli scettici che vorranno revocare in dubbio l’effetto pratico della vostra generosa impresa, rispondete col poeta buddhista: ■ Ad onta che sia incerto se abbia a trionfare il Bene, se abbia a trionfare il Male, noi crediamo fermamente nel Bene: perchè anche il vano affaticarsi dell’uomo che aspirando al Bene nobilita se stesso, deve anteporsi al godimento di chi pur stando nel Vero, si copre di biasimo e d’infamia ».
« E ripetete col divino maestro: « Imparate da me perchè sono mite e umile di cuore e troverete il riposo delle vostre anime».
« Beati gli umili perchè essi non solo erediteranno il regno dei cieli, come dice il Vangelo, ma anche quello della terra. Noi abbiamo visto la fine dei superbi, che si credevano onniscenti, onnipotenti c avevano monopolizzato persino, Iddio.
■ Che importa a noi, o maestri egregi, o giovani ottimi, che importa all'umanità immortale, perchè divina, che questi discorsi ineffabili, disseppelliti dall’oblio, si riprendano alla distanza di millenni?
« La storia è paziente come la natura!
< Libertà e serenità nelle ricerche della fede, libertà e sincerità nella pratica della fede. I*i queste affermazioni folgoreggia l’eterna giovinezza dell’umana bontà».
La nuova Libertà organo settimanale del partito democratico cristiano italiano, ha cessato col numero del 20 dicembre le sue pubblicazioni; è nell’intento del gruppo che ne era rappresentato di far sorgere un altro periodico « con programma e con intenti il più possibile conformi alle nuove direttive approvate » dal convegno tenutosi recentemente a Bologna. Se entro il 31 gennaio sarà raccolta la somma fissata, il nuovo periodico uscirà, se no l'iniziativa sarà abbandonata per sempre.
Sciolto il gruppo politico d. c. — dice il commiato — e lasciata pienalibertà agli aderenti di aggregarsi
a quel partito che essi credono più vicino ai loro ideali; consci che la maggior parte dei nostri entrano o sono già entrati nel Partito Popolare constatiamo semplicemente un fatto evidente, senza pronunciarci in merito; alieni dal creare nuovi gruppi o organizzazioni, noi vogliamo raccogliere gli sforzi di tutti coloro che pure attraverso agli avvenimenti di questi ultimi anni, sentono viva ancora in sè la fiamma della fede e della tradizione democratico-cristiana, all’unico intento di creare un organo di carattere nazionale c culturale che propugni le soluzioni dei problemi politici, sociali, religiosi secondo la tradizione e lo spirito della democrazia cristiana.
Noi auguriamo ai volonterosi che ebbero comuni con noi non di rado e fini supremi e mezzi per raggiungerli, di non chiudere così la loro opera, ma di spiegarla ancora vieppiù e viemmeglio nell’interesse di quella spiritualità di cui l’Italia ha tanto bisogno di essere permeata e per così dire imbevuta per poter esplicare tutte le energie di cui è ricca.
• * *
Con un fascicolo doppio (ottobre c novembre 1919) la rivista della federazione studentesca per la cultura religiosa Fede e Vita, ha ripreso sotto la direzione di ÌJ. Janni, le sue pubblicazioni interrotte per la malattia del precedente direttore professor Ferrando. Il nuovo direttore fa appello agli amici, agli abbonati, ai collaboratori perchè lo aiutino con tutti i mezzi materiali e spirituali a loro disposizione in questa ripresa che « deve essere l’inizio di una nuova ascensione! ».
Benaugurando all’opera che la simpatica rivista così persegue e prosegue, ricordiamo che l'abbonamento annuo per i soci della Federazione è di !.. 5; pei i non soci di L. 7.
Sotto il titolo: Revue d’histoire et de philosophìe religieuse j'antica Revue de Strasbourg risorgerà nel nuovo anno. Essa terrà i lettori al corrente delle diverse manifestazioni del pensiero religioso in Europa ed in America. Si pubblicherà ogni due mesi, con articoli di.fondo, rassegne generali sul movimento delle idee, studi e analisi delle opere più importanti nei vari campi delle scienze religiose, un bollettino bibliografico; Il primo numerosi pubblicherà nel febbraio 1921. Abbonamento: 2.5 franchi. Amministratore: Mr. Fr. Munch, directeur du Séminaire protestant, r, Quai Saint-Thomas, Strasbourg.
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LETTURE ED APPUNTI
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La libreria editrice popolare italiana di Volontari e C. (Milano, via S. Damiano, 46) annuncia la pubblicazione di un’Agenda del partito popolare italiano per il 1921 che porterà il titolo Libertas e che sarà redatta con la collaborazione di tutti i principali studiosi, pubblicisti e parlamentari del P. P. I. Se effettivamente essa raccoglierà con intenti pratici tutti gli clementi più positivi che servono a segnalare i caratteri e le direttive del nuovo partito cattolico italiano, l’Agenda, che si venderà a prezzo modico (L. 4). non servirà meno di quel che serve per la Francia V Almanach catholique français e come tale sarà utile c consigliabile non solo agli aderenti al partito, ma pur anche agli avversari.
♦ • *
Con un programma che porta le firme di Ferdinando Bernini, Primo Savani -Antonio Valeri, si annuncia la pubblicazione di una rivista quindicinale di coltura socialista per il 15 gennaio corrente in Parma (via Consorzio, io); che porterà il titolo per l’appunto di « La coltura socialista. ». il programma mette in luce come nel momento attuale il proletariato sia travolto da pregiudizi e da personalità che lo allontanano dalle sane idealità socialiste.
Lo studio negletto e disprezzato; l'intellettualità perseguita; la leggerezza dei giudizi c degli apprezzamenti elevata a dogma; la luce e la verità rinchiuse in formule senza sentimento e senza vita; la violenza predicata di per sè, come follia disfrenata, senza la necessità del movente e del fine.
Perciò i fiimatari ritengono si debba lanciare un appello che richiami i travolti alla vera realtà.
La causa del socialismo richiedo di studiare di più e di concretare, anziché volatizzare con la sonorità e la yacuità delle parole, le nostre posizioni e i nostri atteggiamenti, c sopratutto richiede che gli intellettuali abbiano diritto di cittadinanza e di rispetto in un partito che si prepara a diventare l’erede della società borghese,' cosi come avviene in altri paesi, ove gli opportunisti e i verbalisti, di tutte le tendenze, non hanno ancora soppressa del tutto la capacità del pensare e la screnitàzdcl discutere.
In altro parole i sottoscrittori vogliono:
... Ritornare alle tradizioni più belle del Partito socialista in Italia, quando era azione illuminata e cosciente, sia pure tenendo conto delle mutate condizioni economiche, psicologiche e morali del proletariato.
Siamo—essi affermano — per la III Internazionale, per la rivoluzione consapevole del proletariato, per l’instaurazione della sua dittatura transitoria, intendendo che ad essa debbano partecipare le rappresentanze legittime di tutti i lavoratori del braccio e della mente, per l'uso della violenza necessaria al trapasso del potere politico dalla borghesia al prqletariato.
Siamo contro, invece, la predicazione sistematica della violenza, elevata a culto, a sistema, a metodo, per se stessa, a prescindere dallo stato di necessità e di transitorietà.
Siamo contro l'analfabetismo e l’apriorismo imperanti, che somiglia troppo bene allo spirito chiesastico c settario, per aver diritto di imperio.
Non abbiamo nè chiese nè papi nè vangeli. Il vincolo che ci lega al Partitoèun vincolo volontario. Il nostro socialismo resta quello di Marx. Non ne riconosciamo le degenerazioni, le falsificazioni, le contraffazioni.
Essi si promettono di accogliere le adesioni dei volonterosi di tutte le correnti. Alle riviste ed alle pubblicazioni che usciranno nel i° semestre del 1921 si avrà diritto mediante l’acquisto di un’azione di L. 50. L’abbonamento annuo costerà L. 15. Un fascicolo separato 1 lira.
Noi che riteniamo, e l’abbiamo più volte manifestato, che il socialismo deve assolutamente mettersi su giusta via se vuol esser fecondo di bene c impedire gli eccessi della violenza e insegnare al proletariato che socialismo non è sopraffazione, ma abnegazione, non materialismo, ma idealismo, pur nella massima delle sue espressioni — il comunismo —, non possiamo non plaudire all’opera di questi volonterosi c accompagnarla con i nostri voti e, se lo meriterà, pur con il nostro appoggio di collaboratori ideali.
» • ♦
La pubblicazione della protesta delle chiese evangeliche tedesche per l’obbrobrio nero, ci à procurato un breve rimprovero dal Christianisme au XX siede ed una lunga lettera di A. Mclan &\\’Evangélisle. Mentre abbiamo esposto al primo il nostro punto di vista — pubblicare imparzialmente tutte le simili proteste di chiese evangeliche nell’interesse supremo di sopprimere gli odi nazionali e di affratellarle in Cristo, e ne attendiamo la risposta — manifestiamo il nostro vivo dispiacere per la pubblicazione del Melan in un confratello, sia pure, ma non nelle nostre pagine, contro ogni buona tradizione giornalistica ed ogni senso fraterno di opportunità.
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NUOVE PUBBLICAZIONI
The Sayings of Jesus of Nazareth with prefacc by rev. prof. James Alex. Robertson. London, The Swarthmore Press, 1920, p. 169 [v. sopra pag. 74].
L. De Sanctis, Lettera a Pio IX vescovo di Roma, con pref. e note di F. di Silvcstri-Falconieri, Roma, » La Speranza », 1920, p. 26.
È la riproduzione di una lettera scritta nel 1849 da un ex-curato, divenuto poi evangelico, in risposta alla protesta di Pio IX contro la dichiarazione di decadenza del potere temporale fatta dalla repubblica di Roma. L’opuscolo, per quanto scritto con lo spirito del tempo e quindi non perfettamente consono alle idee del nostro .momento storico, delinca schematicamente tutti i capisaldi del mal governo temporale e spirituale dei Papi.
F. Di Silvcstri-Faiconicri, Profili, ricordi, aneddoti di protestanti illustri, Roma, - La Speranza », 19204 p. 303. L. 3,50.
E. Grubb, The Bible: its nature and ins-piraiion. London, The Swarthmore Press, p. 1920, p. 247.
Th. Payne, A netv Discowery of Jesus Christ, London, Morgan and Scott, 1920, P- 158.
C. Cesari, Il Brigantaggio e l’opera dell'esercito italiano dal 1860 al 1870, Roma, ■ Ausonia», 1920, p. 174. L. 15.
L'A. intende • portare un modesto contributo allo studio » del brigantaggio c « di rievocare almeno qualcuna delle maggiori benemerenze del nostro esercito» pur riconoscendo che una storia del brigantaggio non può ancora farsi. Il lavoro ha quindi più che altro carattere militare e come tale è discreto. Numerose le illustrazioni, ma disgraziatamente mal riuscite.
~ R. Caldwcll, The revelation of Jesus Christ, London, Morgan and Scott, 1920, p. 240.
G. Lasson; Hegel als Geschichtsphilosoph, Leipzig, Felix Mcincr (Philosoph. Bi-bliotek b. 171 c), 1920, p. 180, Mk. 15.
A. Haussncr, Einfiihrhung in Rudolf Euckens Lebens und Weltanschauung, Got-tingen, Baudcnhoeck u. Ruprccht, 1921. p. 132, L. 8,10.
R. Eucken, Lebens-Erinner ungen, ein Stùck deutschen Lebens, Leipzig, K. F. Koehlcr, 1921, p. 127. Mk. 30.
E. Pais, Imperialismo romano e politica italiana. Bologna, N. Zanichelli, 1920, p. 221. L. 9.
La parte nuova di questo volume che raccoglie, com’è ormai usanza degli scrittori nostri, conferenze ed articoli già editi, è costituita dalla cinquantina di pagine della prefazione in cui l’A., con la larghezza di idee che gli si deve riconoscere, esamina la politica italiana presente e futura di fronte alle sue esigenze storiche. Indubbiamente nè qui, nè negli scritti raccolti potremo dire di dividere tutte le idee del maggior storico di Roma antica, precipua quella che crediamo di recente formazione nella sua mente, che la storia serve, utilitariamente parlando, a qualche cosa. Cionondimeno dobbiamo riconoscere che l’ingegno e la coltura dell’A. nella storia antichissima dell'Italia sono tali dà rendere non solo attraente, ma interessante quel che egli scrive.
F.'Marletta, Le condizioni dell’individuazione, Catania, 0 La Stampa », 1919, P- 35- L. 2,50.
F. Marletta, Il divorzio c il riconoscimento dei figli, Catania, «La Stampa», 1920, p. 43. L. 2.50.
G. Willis Cookc, The social evolution of Religión, Boston. The Stratford Company, 1920, p. 416. Doli. 3.50.
D. Argento, Per la pace mondiale. Gir-genti, C. Formica, 1920, p. 125.
L’A. ha indubbiamente delle ottime intenzioni c gliene possiamo esser grati. Le sue proposte di creare un ordinamento sociale di relativa (!) giustizia [come l’attuale?] senza ricorrere alla rivoluzione e fidando sulla logica umana [quale?) potranno esser prese sul serio, ma mi lasciano sfiduciato, tanto sono discutibili... le sue affermazioni, almeno nella maggior parte dei casi. Attendiamo quindi il suo «Stato modello» con lèggi e decreti per costituirlo... Vorrà essere una repubblica o una città del sole e, ahimè fallirà, temo, come quelle, sebbene gli autori loro non fossero certo il dabben’uomo D. Argento
H. Berstl, Das Raumproblem in der Allchristlichcn Malerei, Leipzig, R. Schiceder, 1920, p. 119 e 35 tav. Mk. 20.
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NUOVE PUBBLICAZIONI
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E. Beatrice, Origini filosofiche cd economiche dell'attuale lotta di classe, S. M. Capua Vetere, «La Fiaccola», 1920, p. no. L. 4,80.
Philosophische Handbibliothek, München, Verlag d. Jos. Köscl’ sehen Buchhandlung, 1920. Band I: J. A. Endres, Einleitung in die Philosophie, p. 195. Band II: Fr. Sawicki, Geschichtsphilosophie, p> 306.
R. Nazzari, Principi di Gnoseologia (teoria della cognizione), Torino, G. B. Paravia e C., 1920, p: 272. L. 16,50.
G. Scmprini, La morale mistica dell’imitazione di Cristo, e i suoi rapporti col misticismo, Poggio Mirteto, Casa editrice «Cultura moderna», 1920; p. 232.
V. Macchierò, Orfismo e Cristianesimo, Napoli, Detken e Rocholl, 1921, p. 24.
L. Bréhier et P. Batiffol, Les survivan-ces du cttlte impérial romain, Paris, A. Picard, 1920, p. 75, frs. 7.50.
A. Houtin; Le pire Hyacinthe dans l'église romaine, Paris, E. Nourry, 1920, p. 396, frs. 9.
A. von Ruville, Die Kreuzzüge, Bonn u. Leipzig, Kurt Schroeder, 1920, p. 370. Mk. 21.
K. Francis Pedrick, Du moyen de manifester la perfection, Paris, l.ib. Fischbacher, 1921, p. 254, Fr. 9.
E. Rodocanachi, La riforme en Italie, i* partie, Paris, H. Picaid, 1920, p. 465. Fr. io.
D. Giuliotti, L'ora ài Barabba, Firenze, Vallecchi, 1920, p. 307. L. 7.
Credevo che di questo libro si potesse parlare a fondo in bene o in male, ma come di un’opera veramente capitale. Mi sono ingannato. Sebbene io ami gli assolutisti e debba non di rado dar loro ragione, sebbene, intellettualmente parlando, io sia disposto a trovarmi d’accordo con chi assume una posizione netta di opposizione, debbo convenire che con la posizione assunta dal G. non trovo nulla di comune tra la mia e la sua mentalità. Il libro mi fa quindi l’effetto d’un ridicolo sfogo di un energumeno che rotea una durlindana. con l’aria d’un Rodomonte da strapazzo colpendo vesciche che si vuotano lasciando l'aria tale quale era prima.
• Che la società sia corrotta, che Cristo ne sia assente, che la menzogna vi abbia il suo impero, che ogni cosa sia falsa o falsata non è il G. il primo a scoprirlo. Ma che il cattolicismo del G., il suo ritorno al boia ed all'inquisizione, il suo turpiloquio siano destinati a salvarla ed a mutarla è cosa che fa ridere, tanto è vuota la sua costruzione politica e sociale, tanto sono impari i suoi mezzi di rigenerazione. Cristo non fu, è vero, solamente il Cristo idillico dei santini gesuitici, ma quando fu sdegnato non fu violento e non usò certo la coprolalia di cui si compiace il G. Per parlar nel suo nome, se nessuno di noi è da tanto, lo è ancor meno il G. che sentirà nelle sue vene il sangue del-l’Albornoz, ma non lo spirito dell’Espulsorc dei mercanti dal tempio.
Che resta dopo ciò delle pagine del G.? la forma buona, l’interesse del punto di vista di opposizione, il piacere del flagello bene maneggiato, ma resta pur il peccato e restano i peccatori. Non c da ora, se lo ricorderanno i lettori, che chi scrive queste linee trovò in Barabba il rappresentante de! secolo che viviamo!
E. Cozzani, I racconti delle cinque terre, Milano, «L’Eroica», 1921, p. 263. L. 15.
T. Longo, L'esistenza di Dio, Torre Pollice, « La luce », 1920, p. 60. I.. 1.
Breve esposizione delle prove dell’esistenza di Dio in forma popolare ed esaminando gli argomenti che ne possono provare resistenza ncll’imi-verso, nell’wowo, nella storia. L’A. poi batte in breccia l’ateismo portandone le conseguenze c mette in luce la personalità di Dio, escludendo l’antropomorfismo in tutte le suo forme; concludendo che la guida più sicura per andare a Dio è seguire Gesù: « Chi à veduto me, à veduto il Padre ».
A. Pellizzari, II pensiero e l'arte di L. Capuana (Bibl. rara 2*S. n. 26-27), Firenze, F. Pefrella, 1919, p. 100.
Vi è pubblicata una commemorazione del Capuana, in cui il P. ne illustra l’opera e ne ricorda la vita, facendo opera amorosa, ma pur serena nel giudizio critico, che non subisce per velo di amicizia o di ammirazione compiacenti opacità. Segue una bibliografìa degli scritti del e sul C., quest’ultima ridotta, quella completa..
K. Nòtzcl, Der russische u. der deutsche Geist, Berlin. Funchc-Verlag, 1920, p. 91.
A. Ciattini, Problemi di politica e di cultura, Bergamo, Ed. «Pagine libere», 1920, p. 183. L. 6.
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BILYCHNIS
A. Chiapperà, La crisi del pensiero moderno, Città di Castello, «Il Solco>, 1920, p. 376. L. io.
G. R. Orsini, I filosofi cinici (storia e sistema), Torino, G. Chiantorc, 1920, p. 318. L. 15.
F. Tomeo, Per Vevoluzione religiosa del dopo guerra, Poggio Mirteto, «Cultura Moderna», 1920, p. 52.
S. Corti, La rivincila dell’idealismo, Rieti, Filli Faraoni, 1920, p. 59.
Sulla soglia del Valicano (1870-1901), dalle memorie di G. Manfroni a cura del figlio Camillo. Voi. I, 1870-1878. Bologna, N. Zanichelli, 1920, p. 400. L. 27.
D. Fienga, L'Inghilterra contro VIrlanda, S. M. Capua Vcterc, « La Fiaccola », 1920, p. 39. L. 2,50.
Opuscolo che può servire ad orientare gl’inesperti sul problema irlandese, sia pure molto brevemente. L’A. propugna l'autonomia del paese e la sua unione all'Ingbiiterra per mezzo della federazione.
N. Borrclli, Storia e Demopsicologia dell’agro vessino, Maddaloni, G. Golini, 1919, p. 82. L. 8.
A. Dal Canto, Le maschere del parlilo popolare italiano, Roma, Soc. Periodici, 1920, p. 48. L. 2.
Piacevole lettura, se si vuole, ma per la sua eccessiva volontà di nuocere, innocua. Siamo d’accordo con l’A. su! camuffamento del P. P. I. sino ad un certo punto almeno; < crediamo che molto possa c debba farsi per combatterlo, ma non riteniamo che il mezzo da lui adottato possa valere. L’albero si colpisce alle radici, non alle foglie: più che inveire occorre rinnovare c ricostruire.
A. Aliotta, La guerra eterna e il dramma deli esistenza, Firenze, _F. Perrella, 1920, p. 296. L. io.
F. Crispí, Poesie e prose letterarie (Bibl. rara, 2a S., n. 21-22), Firenze, F. Perrella, 1918, p. 88.
L’opuscolo contiene Scritti giovanili (prose e poesie) del grande uomo di Stato, tratti per lo più da un suo periodico letterario da lui fondato e il cui motto ne dice il programma: acuens virum ad virtutem. Notevoli per la storia del pensiero e del sentimento dell’uomo alcune sue prose c vari suoi inni religiosi in cui imita, naturalmente, A. Manzoni.
F. Crispolti, Minuzie manzoniane (Bibl. rara 2* S.» n. 23-24), Firenze, F. Perrella, 1919, p. 143.
Questa raccolta di articoli manzoniani, pensati e scritti con molta finezza e con molta dottrina, è davvero interessante. Anche se i lettori vogliano passar sopra alle pagine sull’arte del Manzoni, troveranno certo di che esercitar la loro riflessione nelle pagine sulla religione e sulla morale, quali sono messe in luce dal C. Alcune sue osservazioni, come ben vide il d’Ovidio, sono puramente accademiche e affette da prevenzioni di fede (come quelle sugli effetti intellettuali della conversione), ma altre sono o positivamente concludenti o eticamente notevoli: fra le prime si possono mettere le pagine sul duello, lo spiritismo e la fede degli ultimi giorni del M.; fra le seconde quelle sulla rassegnazione cristiana, molto degne di nota, anche se non assolutamente convincenti. Nella terza parte non è meno interessante l’evidenza in cui è messo il pensiero del M. sul potere temporale, che ci pare nettamente contrario non solo per ragioni nazionali, ma pur per avversione a! potere teocratico nell'interesse religioso e mondano. Il C. forse ciò ha veduto ottimamente, ma per ragioni facili a capirsi l'à velato il più possibile. In complesso un volumetto che vale molto più della sua_piccola mole.
A. Aliotta, '¡-.'«Estetica » del Croce e la crisi dell’idealismo moderno (Bibl. rara, 2® S., n. 28-32). Firenze, F. Perrella, 1920, P- Vóli Lettore.
ROCCO POLESE, gerente responsabile.
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