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C. Cabòlla 22/5
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DELLE VALLI VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
.Anno 108 V'im, 21 ABBONAMENTI | L. 3.000 per l’interno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 1 TORRE PELLICE - 21 Maggio 1971
Una copia Lire 80 L. 4.000 per l’estero Cambio di indirizzo Lire 100 1 Amm.: Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
Vieni, Spirito Creatore!
PAOLO VI SULLA QUESTIONE SOCIALE
f
Solprattutto moderazione
servitori di unlDio forte
Ci avviciniamo alla Pentecoste e
la nostra meditazione si sofferma
ovviamente sul tema dello Spirito
Santo. Ma non è questo uno dei
temi meno evidenti nella meditazione della Chiesa, un aspetto del
messaggio evangelico al quale forse portiamo meno attenzione?
Non si può dirlo in senso assoluto, senza dubbio: la riflessione teologica non ignora certo la promessa di Gesù né il fatto della Pentecoste; la nostra ecclesiologia non
si dimentica la promessa del Signore. E non credo che ci sia assemblea di chiesa che non cominci con la preghiera e l’invocazione
della guida dello Spirito Santo.
E poi? quando abbiamo fatto
questo preambolo liturgico e affrontiamo i problemi, i dissidi, le
critiche, i programmi, stiamo insieme ed affrontiamo ogni questione perché sorretti dalla fede nello
Spirito Santo? Stiamo avvicinandoci al momento in cui si riuniranno le Assemblee di chiesa, le
Conferenze distrettuali e hnalmente il Sinodo. Ci ritroveremo davanti gli stessi interrogativi sul significato, il modo, le possibilità della
nostra testimonianza; dovremo
ancora una volta valutare il cammino percorso e guardare avanti
verso l’avvenire. Ci confronteremo
gli uni con gli altri nella diversità
della nostra comprensione dell’Evangelo. E allora riemergeranno le divisioni, le amarezze, le critiche, i risentimenti, le delusioni,
tutto questo pesante carico della
nostra umanità che portiamo con
noi ogni giorno e che ritroviamo
anche nella vita delle nostre Chiese. Oppure ci rallegreremo di qualche cosa di vero e di autentico che
si è fatto, riprenderemo speranza
di fronte alle cose che è possibile
fare. Ma in tutto questo qual’è la
parte che lasciamo allo Spirito e
quale invece, inconsapevolmente,
riserviamo al nostro buon senso,
alle nostre buone intenzioni, ai nostri pensieri?
L’apostolo Paolo scriveva ai Romani; « Lo Spirito sovviene alla
nostra debolezza » (Rom. 8: 26).
Egli si riferiva alla preghiera, affermando che « noi non sappiamo
pregare come si conviene » e non
sappiamo quindi porre la totalità
della nostra vita e la ragion d’essere c la speranza delle nostre comunità nelle mani di Colui che
confessiamo essere il Signore della
Chiesa, che la governa per mezzo
del suo Spirito.
La parola dell’apostolo è vera
dunque non solo nella vita individuale, ma nelle assemblee e nei
sinodi, di fronte alla molteplicità
dei problemi ed alle carenze della
nostra fede e della nostra obbedienza.
È legittimo perciò prepararci a
questi incontri comunitari in tale
certezza, perché sappiamo bene
che cosa siano assemblee, conferenze e sinodi. Occorre riscoprire
la certezza della fede e non lasciarsi trascinare dal pessimismo,
non considerare le nostre assemblee come il luogo dove si scontrano le opposte fazioni e dove bisogna mettere in atto abili strategie per vincere la propria battaglia. Siamo ben consapevoli del
nostro modo di comportarci, talvolta troppo umano, o addirittura
scandaloso. Eppure « lo Spirito
sovviene alla nostra debolezza » e
questa è la sola possibilità di anidare avanti e di ritrovarci insieme nella ricerca dell’obbedienza
della fede.
Quel che deve preoccuparci è di
essere trovati disponibili per Io
Spiiito, che soffia dove vuole e
quindi nella direzione che vuole,
che può anche non essere quella
avevamo pensato. Questo solo
dobbiamo chiedere al Signore
quando cominciamo le nostre assemblee.
Neri Giampiccoli
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii mi,1,11,III,„1,11,III,,,„„lini,„1,1,III,limi,,
Il 14 maggio scorso, ricorrendo l’80“
anniversario della publicazione della
enciclica sociale cattolica, la Rerum
Novarum di Leone XIII (15 maggio
1891), il pontefice romano Paolo VI ha
scritto una specie di lettera aperta (il
termine curiale è « lettera apostolica»)
al cardinale Maurizio Roy in quanto
Presidente del Consiglio dei Laici e della Commissione pontificia « Justitia et
Pax », che è il dicastero vaticano competente per le questioni affrontate da
Paolo VI. L'interesse del documento
pontificio sta non tanto in quel che esso dice o tace (nulla di veramente nuovo rispetto al precedente insegnamento sociale cattolico) quanto nell'importanza primaria dei problemi trattati o
evocati.
Qui non s’intende offrire uno studio
critico completo della lettera papale
ma solo proporre qualche riflessione
suscitata dalla sua lettera.
1. Con questo sciitto il pontefice ha
preso posizione, sfumata o recisa secondo i casi, su questioni intricate e
controverse su cui altre chiese, a cominciare dalla nostra, non si sono finora pronunciate. A nostra conoscenza
né i nostri sinodi né altre nostre assemblee rappresentative si sono sentite
o messe in grado di dir qualcosa, poniamo, sui rapporti tra fede cristiana
e scelta socialista né hanno in qualche
maniera spiegato o giustificato il loro
inglorioso silenzio. E’ vero che la Chiesa non è chiamata a pontificare ma a
predicare l’Evangelo: c’è una inflazione di parole ecclesiastiche perfettamente inutili e non è il caso di incrementarla ancora. E’ però un dovere
della Chiesa di vivere fino in fondo i
problemi del proprio tempo e quindi
anche -di parlarne e in qualche modo
pronunciarsi. La quEstione sociale è da
anni fortemente sentita e dibattuta nelle nostre Chiese ma a livello di sinodo
e di assemblee rappresentative preferiamo tacere. Perché? Il silenzio in questo caso non è d'oro. All’estero molte
chiese evangeliche hanno affrontato il
problema anche in sede di sinodi, cercando anche faticosamente le vie della fedeltà cristiana in questo ambito.
Noi finora ci siamo esonerati da un simile compito. Con quale diritto? Critichiamo dunque Paolo VI per quel che
ISOLOTTO: SIGNIFICATO UN PROCESSO
La faccia umana della fede
Si sta dunque consumando in un’aula del tribunale di Firenze la rottura
definitiva tra la comunità dell’Isolotto e la curià vescovile di Firenze.
Sul banco degli imputati siedono
cinque sacerdoti e quattro laici accusati di istigazione a delinquere e di
turbamento di funzioni religiose. I fatti contestati si svolsero come è noto il
4 e 5 gennaio 1969, quando gli imputati avrebbero - secondo il procuratore
della Repubblica - istigato pubblicamente «... ad impedire la celebrazione delle messe che il giorno successivo
dovevano essere celebrate sullTsolotto da parte di mons. Alba, delegato
dell’arcivescovo di Firenze ...» ed effettivamente impedito « .la celebrazione delle messe delle ore 11 e 12 che
dovevano essere dette da mons. Alba,
occupando con panche e sedie lo spazio intorno alValtare ...» Questi sono
i fatti che a noi, qui, non interessano
sotto il profilo giudiziario: spetta al
giudice accertarli e valutare la loro
criminosità alla luce del codice Italiano e-grazie al concordato-dei diritto canonico. Abbiamo voluto ricordarli per
farne un punto di partenza di un discorso più generale che investe non solo don Mazzi e l’arcivescovo Florit, o
un gruppo di fedeli e le istituzioni ecclesiastiche cattoliche, ma tocca da vicino la Chiesa, tutte le Chiese. Davanti
al giudice non si scontrano tanto due
parti contendenti che discutono sulla
liceità o non liceità di certi fatti, quanto una concezione teologica da una pare il potere religioso e civile dall’altra.
Il processo, quindi, più che penale è religioso e politico insieme: da ciò la sua
ampia risonanza. Alla curia avrebbe
fatto comodo un processo sotto silenzio, tanto è vero che ha tentato di presentare gli imputati come colpevoli isolati di reati comuni. Il tribunale ha fatto di tutto, per quanto di propria competenza, per agevolare questo disegno,
amnistiando contro la loro volontà al
tre 349 persone accusate dello stesso
reato, e rinviando a giudizio solo nove
persone. La collusione fra gerarchia
vescovile e potere statale è apparsa a
tutti evidente, stante la sensibilità e la
solerzia che la procura della repubblica ha dimostrato verso le ragioni dell'Istituzione.
Al connubio gerarchia-potere (economico e politico), la cui esistenza
l’esperienza ha ripetutamente confermato, risolotto contrappone il binomio fede-povertà, facendone il fulcro
di una ricerca teologico-politica che vede nell’analisi marxista lo strumento
conoscitivo più valido della realtà sociale e nella lotta di classe il terreno
attuale di una testimonianza cristiana.
Una lettera diffusa nel quartiere alla
vigilia del processo sintetizza efficacemente gli elementi di una tale teologia: 1) realizzazione di una chiesa povera e dei poveri;
2) ricerca di una vita di fede, di
una liturgìa e di una catechesi legate ai fatti reali della vita;
3) partecipazione alle lotte del
quartiere, della scuola, della
fabbrica, della società per la
realizzazione di un mondo fondato sulla giustizia e sulla eliminazione delle classi;
4) solidarietà con i popoli che
nel mondo lottano contro il
potere economico e politico
che crea la fante, l’ignoranza,
la schiavitù.
Fede politica, dunque. Se la fede si
esprime sul piano umano nell’amore
verso il prossimo, la politica è lo strumento di questo amore, è il naturale
terreno sul quale si cementa 1 alleanza
della chiesa povera con f poveri, è la
forma organica e non velleitaria con la
quale il cristiano combatte l’ingiustizia
Giuseppe Costa
(continua a pag. 6)
dice, ma critichiamo anche noi stessi
per quel che non diciamo. 11 discorso
pontificio in più punti è lontano dall'Evangelo; forse che il nostro silenzio
gli è vicino?
2. Un fatto relativamente nuovo è il
riconoscimento che di fronte alla grande diversità di situazioni è difficile per
il pontefice « pronunciare una parola
unica e proporre una soluzione di valore universale ». Cade così la pretesa
di elaborare un'unica dottrina sociale
cattolica valida per tutti e dappertutto. Paolo VI si limita a proporre « alcune riflessioni e suggerimenti »: l’insegnamento pontificio vuole avere un
valore orientativo più che imperativo,
enuncia i principi generali, traccia le
grandi linee di azione e riflessione, ma
« spetta alle comunità cristiane » (non
quindi al magistero) trasformarle in
decisioni e impegni concreti secondo le
diverse situazioni in cui vivono. Questi
impegni non sono necessariamente gli
stessi per tutti: c’è un legittimo pluralismo nelle scelte politiche dei cattolici; « bisogna riconoscere una legittima
varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi ». Proposizioni di questo
genere sono nuove da parte del magistero cattolico. Giustamente « Il Manifesto » commenta; « E’ caduto l’ultimo
avallo dottrinale all’unità politica dei
cattolici e la cosa si sposta sul piano
degli appoggi concreti a questa o a
quella scelta ». La rinuncia a proporre un modello cristiano di società e a
pretendere dai membri di chiesa una
linea politica uniforme è, a nostro avviso, da valutare positivamente. Purché non si tratti solo di parole. Paolo
VI asserisce che l’insegnamento sociale
della Chiesa romana « non interviene
per autenticare una data struttura o
per proporre un modello prefabbrica
■ to ». Ma se pensiamo a quella che è stata e continua ad essere la politica cattolica in Italia e nel mondo anche solo
in quest’ultimo dopoguerra, e la confrontiamo con raffermazione di Paolo
VI, si nota troppa differenza tra i fatti e le parole, tra quel che il pontefice
dice e quel che il Vaticano fa.
3. Una non piccola lacuna morale del
documento papale è l’assenza di una
benché minima allusione a colpe passate o presenti della Chiesa (di tutte
le chiese, anche e proprio di quella cattolica) sul piano della profezia politica e della collocazione e azione sociale.
All’assemblea ecumenica di Uppsala è
stato segnalato, in un documento finale, il carattere involontariamente ma
realmente classista della cristianità occidentale, dominata di fatto dal ceto
medio. E’ ancora da scrivere una storia
dei rapporti tra Chiesa e proletariato. La stessa solidarietà cristiana si
esprime ancora in larga misura negli
schemi non molto fraterni della beneficienza. Paolo VI invece parla come se
la Chiesa non avesse in questo settore
nulla da rinproverarsi, parla come uno
che ha la coscienza di aver fatto finora
il suo dovere. E’ vero il contrario, e
cioè che specialmente nell’epoca moderna il comportamento e la stessa predicazione politico-sociale della Chiesa
sono state fortementi carenti. Non vediamo come si possa oggi fare su questa questione un discorso cristiano serio se non si comincia con una confessione di peccato.
4. Paolo VI sostiene giustamente quel
che molti evangelici ancora non son
disposti ad ammettere, e cioè che« la
politica è una maniera esigente - ma
non è la sola - di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri ». Il lavoro
politico rientra, senza esaurirla, nella
responsabilità cristiana nel mondo. « Il
cristiano si impegna nella costruzione
di una città umana, pacifica, giusta e
fraterna, che sia un’offerta gradita a
Dio ». Così sia - fermo restando che
« non abbiamo qui una città stabile,
ma cerchiamo quella futura » (Ebrei
13: 14). Il vero problema però è un altro: sono i modi e i luoghi in cui esercitare da cristiani il proprio impegno
politico. Il pontefice, ad esempio, fa
molta politica perché è anche un capo,
di Stato (della Città del Vaticano): è
questo un modo cristianamente legittimo di azione politica? Altro esempio:
Paolo VI esige « il rispetto privilegiato dei poveri » e si pronuncia « a favore dei poveri »: ma da dove? Da dove
parla Paolo VI? Come mai il suo discorso (e non solo il suo) dà l’impressione di venire dal di fuori, da lontano,
di essere una parola certo benintenzionata ma irrimediabilmente distaccata
e straniera?
5. Sul piano dei contenuti, si può anzitutto notare che il documento ponti
ficio contiene una serie di considerazioni senz’altro valide anche se un po’
ovvie, come quella sulle conseguenze
negative dell’urbanesimo che crea
« nuovo positivismo... che riduce l’uomo ad una sola dimensione » privandolo dell’apertura verso la trascendenza,
o quella sul carattere ambiguo del progresso, e via dicendo. Tutte cose arcinote e ripetute da tempo. Non è ribadendo questi luoghi comuni che la morale sociale cristiana farà un passo innanzi. In realtà l’interesse principale
del pontefice è un altro: mettere in
guardia i cattolici contro le ideologie
e contro la rivoluzione. La natura polemica della lettera appare solo a tratti ma non può sfuggire al lettore attento: il discorso è nell’insieme più
critico che costruttivo. Sono chiari i
vari « no » del pontefice, i suoi avvertimenti, i suoi sospiri, ma le indicazioni positive restano scarse e frammentarie.
Fra i « no » papali spicca quello pronunciato sulle ideologie: l’ideologia liberale e l’ideologia marxista, soprattutto quest’ultima, che ha dato origine alle correnti socialiste da cui nel
nostro tempo non pochi cristiani - osserva Paolo VI - « si lasciano attirare ».
Il pontefice parla del marxismo con
una certa circospezione e insiste, con
ragione a nostro avviso, sul forte legame che unisce, in esso, teoria e prassi.
Perciò, benché si debbano distinguere
diversi livelli a cui il marxismo si esprime, sarebbe secondo Paolo VI « illusorio e pericoloso » pensare di poter far
proprie l’analisi e la prassi marxista
senza accettare in parte almeno l'ideologia marxista, che è e resta « incompatibile con la fede cristiana ». Paolo
VI giudica più negativamente l’interpretazione marxista della lotta di classe, in quanto conduce, secondo lui, a
un tipo di società « totalitaria e violenta ». Noi non crediamo che debba necessariamente essere così, siamo anzi
inclini a supporre il contrario, mentre
abbiamo esempi lampanti di società totalitarie e violente che nulla hanno a
che vedere col marxismo e con la sua
interpretazione della lotta di classe.
Concordiamo invece nell’affermare l’incompatibilità tra fede cristiana e ideologia marxista.
L’altro « no » di Paolo VI concerne
la rivoluzione. Il pontefice non vede
oggi in nessun luogo un modello soddisfaciente di società: « diversi modelli
sono proposti, taluni vengono sperimentati; ma nessuno soddisfa del tutto ». Il valore delle «utopie» di cui si
registra nei nostri giorni una significativa rinascita è di sollecitare « l’immaginazione sociale » oggi tanto necessaria. Immaginazione sociale che però
non contempla la rivoluzione, il cambiamento radicale, il ribaltamento della situazione. Tutto lo scritto del pontefice è percorso da un chiaro intento
controrivoluzionario. Ci vuole, secondo Paolo VI, « una trasformazione positiva della società » (non radicale); bisogna «far evolvere le strutture » (non
cambiarle). Insomma, una scelta cautamente riformista, molto arretrata rispetto alle posizioni adottate, ad esempio, dalla assemblea ecumenica di Upsala.
Se si domanda: « QuaTè dunque la
posizione politica di Paolo VI?» bisognerà rispondere: Paolo VI non vuol
stare né a destra né a sinistra. E dove
allora? « In alto » diceva don Primo
Mazzolavi, e poteva dirlo, lui che visse
più in basso di tutti. Per Paolo VI non
è così. Per lui c’è solo un posto libero:
il centro. Ma ci si chiede; Esiste davvero il centro? Il centro è una posizione
o solo una illusione?
Paolo Ricca
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiu
"Liberto" spagnola
Il governo di Madrid
nega V autorizzazione
alla riunione in Spagna
di due comitati dell’ARM
Adducendo il fatto die la Chiesa evangelica
s|)agnola. ospitante, non risulta « registrata »,
non avendo mai voluto chiedere il rieonoscimento legale alle condizioni oggi vigenti in
Spagna, il governo spagnolo, tramite la sua
ambasciata a Berna, ha comunicato agli organi deH’Alleanza Riformata Mondiale di non
poter consentire la progettata riunione, a Madrid, di due dei suoi comitati (che si dovranno riunire altrove, a Bruxelles). Il riconoscimento imjilica oggi, in Spagna un pesante controllo statale; tra l’altro, la Chiesa
che lo richiede deve presentare l’elenco completo dei suoi membri.
2
pag. ¿
N. 21 — 21 maggio 1971
Confronto e dialogo
tra il cristianesimo e le religioni
Circa venticinque anni fà, trovandomi a New York, incontrai il pastore
Robert Anthony, che certo molti ricordano per la sua attività in favore della Chiesa Valdese. Egli mi parlò e mi
documentò in quella occasione, fra l’altro, circa l’attività di un comitato che
lavorava per un’intesa fra Musulmani
e Cristiani. Quale sia stato il seguito
e il risultato di tale lavoro, non ne ho
più avuto conoscenza: lo menzione solo per rilevare che il problema del dialogo fra cristiani e non cristiani non
è di oggi.
Recentemente ho letto un articolo
sul problema del dialogo fra cristiani
e indù (v. "La Vie Protestante”, n. 3 ■
22-1-1971), dialogo che appare desiderato da ambe le parti e ripetutamente
tentato, e che tuttavia mette in rilievo
alcune difficoltà di fondo. Dopo aver
illustrato come, attraverso il dialogo,
il cristiano tende a convertire l’indù al
proprio "dharma” (cioè alla propria
via, alla propria legge), l’interlocutore
indù dice: « I principali ostacoli a un
dialogo autentico sono un sentimento
di superiorità e d’altra parte la paura
di perdere la propria identità ».
In modo conciso ma chiaro, queste
parole descrivono il problema, il quale peraltro appare simile, sotto certi
aspetti, a quello che emerge dall’esame dell’eventuale ingresso della Chiesa
Cattolica nel C.E.C. La possibile soluzione di quest’ultimo problema è stata esposta e discussa estesamente in
questi ultimi tempi, e non è pertanto
il caso di ritornare suu quanto è stato
detto da persone competenti.
Si vorrebbe piuttosto fare qualche
osservazione su quanto sta a monte
del problema stesso, sul suo perché,
con l’intento di vedere se non lo si
possa superare.
Se si pensa che il primo peccato che
l’uomo si trascina dietro è quello di
aver voluuto conoscere il bene e il male, e che trascinandosi dietro qesto
peccato egli continua a pensare d’avere tale conoscenza, per cui quello
ch’egli pensa è bene, si può facilmente concludere che il problema è dovuto semplicemente all’orgoglio. Ma ciò
non aiuta, di per sé a superarlo.
Si può, per contro, ripercorrere il
cammino delle religioni e rilevare possibilmente le raagioni del comune orgoglio. Non è cosaa né facile né breve, per cui si possono indicare solo
alcuni spunti di meditazione e d’indagine.
Fermiamoci ad esempio un momento sulla nascita verginea, che nel cattolicesimo ha dato luogo a un vero e
proprio culto, essendo alla base della
ariolatria, e che il protestantesimo ha
conservato fino ai nostri giorni nel cosidetto Simbolo degli Apostoli, sebbene ci siano state e ci siano correnti di
opinioni che sono contrarie all’accettazione della nascita virginea come verità concreta e vedono in essa una
espressione simbolica. C’è stato chi
ha affermato che sulla narrazione di
questo evento hanno influito tradizioni e leggende che si trovano in varie
religioni orientali, come ad es. nel
buddismo o nel parsismo. Ma oggi
sappiamo che la stessa idea si trova
anche, ad es., nella religione degli
Aztechi che non può certo avere avuto alcuna influenza sul cristianesimo,
l’uuomo pò forse percepire qualche
La conclusione che da ciò si deve trarre è che la nascita virginea è un prodotto dello spirito uman. Questo, il
cui sentimento religioso postula Dio,
comunque inteso, gli attribuisce manifestazioni sovranaturali, quali, fra le
altre, la nascita virginea.
Se questo è riconosciuto, l’evento
non dovrebbe più apparire nel contesto delle affermazioni e delle parole
in genere con cui si parla di religione,
e ciò per due motivi principali.
Il primo è che, mantenendo espressioni oggettivamente ritenute non vere, al massimo simboliche, accanto ad
altre a cui si attribuisce valore di verità oggettiva e concreta, si sminuisce
di fatto la credibilità di queste ultime, o quanto meno si attribuisce un
valore non univoco alla parola credo.
E cioè, credo in Dio Padre, ha un significato, e credo che Gesù naacque
da Maria Vergine e discese agli inferi, ha un significato del tutto diverso
perché queste ultime due affermazioni
si riferiscono a leggende o sono simboli.
Il secondo motivo è ancora più importante, ed è che conservare tali affermazioni e molte altre parole e atteggiamenti religiosi significa agire
nello spirito della Controriforma. Se
la Chiesa è « semper reformanda »,
conservazione e Controriforma si equivalgono ' e non è la Controriforma che
Prendendo questi concetti in un sencondurrà mai a un dialogo,
so più o meno assoluto si giunge alla conclusione che la paura di perdere
la propria identità equivale a sotterrare il proprio talento; perciò si dovrebbe agire in senso contrario e gettare la propria identità allo sbaraglio.
Questo vale per il secondo ostacolo
al dialogo menzionato dall’interlocutore indù. Ma che cosa dire del primo,
della superiorità che ognuno attribuisce al proprio "dharma"? Sembra indubbio che questa attribuzione di superiorità derivi dal fatto che si ritiene
che la propria credenza sia quella vera, e vera in quanto rivelata. Ora qui
pure troviamo in altre religioni, ad
es. ncirislam, l’affermazione che le verità affermate da Maometto gli furono rivelate; e più vicino nel tempo si
può dire lo stesso dei Mormoni. E si
tratta per loro di una certezza che
assume forme concrete: in molti alberghi deirUtah, anziché la Bibbia,
com’è il caso in divresi paesi protestanti, ho trovato sul tavolino da notte il Libro dei Mormoni.
Dobbiamo dunque giungere a dubitare di quanto riteniamo ci sia stato
rivelato? Questa domanda sembra
sgorgare da quanto fin qui esposto.
Ma si tratta d iuna domanda mal posta, che dovrebb’essere formutata in
questi termini: dobbiamo forse dubitare di noh aver compreso bene e tutto quanto concerne la verità? In questo caso penso che la risposta debba
essere affermativa: poiché Dio è totalmente diverso e incommensurabile
rispetto all’uomo è chiaro che della
Sua verità l’uomo può afferrare solo
una parte infinitesima e deformata,
quella parte che lo spirito umano può
percepire.
Perciò il Budda era alieno dal parlare del trascendente perché di esso
cosa, che sarà però sempre parziale
e diverso da uomo a uomo, e su cui
l'uomo, per la stesa sua condizione
umana, non può evitare di proiettare
il suo antropomorfismo. Un vaso non
può contenere tutta l’acqua del mare
e l’acqua che potrà contenere avrà
sempre la forma del vaso.
Con ciò non si vuole certo affermare che tutto quello che le religioni
hanno insegnato in passato sia da buttar via, anche se questo stesso pensiero è espresso in quaalche religione,
come nel Taocismo, per il quale ha
valore solo quuanto può essere percepito da ora in avanti. Fra il conservare e il buttar via c’è, per la religione
come per la scienza, la via che consiste nel valersi di quanto ha conosciuto ed esperimentato il passato per riuscire a conoscere di più, conoscere meglio. Partendo dalle parole di Gesù:
« Chi ha visto me ha visto il Padre »
c’è chi ha dedotto il concetto della consustanziazione del Padre e del Figlio.
Ernst Bloch % in un libro recentemente commentato da diverse parti e anche dai nostri giornali, vi vede la fine del discorso sulla trascendenza, in
sostanza l’affermazione dell’ateismo.
Ma si posono anche riallacciare quelle parole al l’affermazione che Dio « è
tutto in tutti » per cui quello di Dio
che si può vedere, riconoscere è quello che si può vedere, conoscere nel
prosimo, nel fratello. E ciò non è la
fine, ma un limite al discorso sulla
trascendenza. In altri termini il prossimo non è soltanto l’altro rispetto all’io, ma può trascendere sé stesso e
diventare fratello. Quel fratello col
quale ci si deve riconciliare prima di
ritornare all’altare. Un padre che ama
i suoi figli non antepone il rispetto
per sé all’accordo fra i figli perché sa
che dalla pace fra i figli egli sarà onorato, mentre il disaccordo non sarà
per lui motivo di onore.
Il dialogo fra gli uomini di tutte le
religioni sarà dunque possibile quando sapranno evvicinarsi come fratelli
che sentano il fondamento della loro
fede in questa fratellanza più che non
nelle idee, nelle leggi, nei pensieri con
cui ognuno ritiene di poter definire
Dio e la verità. Accettare che questa
verità, nel divenire, possa mutare, anche perché Dio è vita e quindi lui
stesso divenire, e perciò lasciare da
parte il discorso sulla trascendenza
(pur senza negarlo) appare la via da
seguire per giungere al dialogo al quale il tendenziale riformarsi di tutte le
religioni verso una maggiore spriritualità sembra aspirare. Su questa via il
problema della propria superiorità e
della propria identità non dovrebbero
presentarsi. Se mai sarebbe da riprendere dopo la riconciliazione, ma allora forse non sussiste più.
Questi apunti non sono, è chiaro, riflessioni teologiche. Sono note raccolte lungo la via da chi ha avuto occasione di meditare attraverso incontri
umani con cattolici, protestanti e mormoni, con buddisti, musulmani ed
ebrei, con credenti, atei ed agnostici,
e in ognuno ha pensato di poter riconoscere un fratello.
G. A. COMBA
Un iniermezio; Giovanni léger
Con JanaveI e Arnaud, il terzo dei capi-popolo che i Valdesi
ebbero nel XVII secolo, e uno storico estroso da riscoprire
^ V. J. B. Metz - Rilorma e Controriforma
oggi - Queriniana. Brescia 1971.
^ V. Ern.st Bloch - Ateismo nel Cristianesimo - Feltrinelli. Milano 1971.
...ma senza dimenticare l’irriducibilità
del contrasto fra l’Evangelo e le religioni
In un tempo nel quale il confronto con le
religioni si impone sempre più ai cristiani, a
livello della loro esistenza ecumenica (le assemblee ecumeniche ne trattano appunto dì
frequente), avevamo pensato di chiedere a Gu
stavo A. Comba di presentare ai nostri lettori
le maggiori fra le religioni storiche (ve ne sa
rebbero altre di moderne, più o meno secóla
rizzate); gli siamo vivamente grati per avere
dato una serie di articoli densi e vivaci, in
formati e piacevoli, cordialmente aperti a com
prendere Taltro e pur netti nel segnare distan
ze critiche. Tanto più ci dispiace, sinceramen
tc. di dover ora prendere le nostre distanze da
questa conclusione che egli ci dà della sua
serie di articoli (la cui pubblicazione è stata ritardata, per mancanza di spazio).
Non direi che le sue riflessioni non sono
teologiche, com'egli afferma; al contrario; ma
non mi paiono esprimere una corretta teologia
evangelica. E la pietra di paragone è Tassenza quasi totale di Gesù Cristo, dalla riflessione del nostro collaboratore; i due unici riferimenti a lui sono per contestare la nascita
verginale, cioè di fatto la piena divinità di Gesù, e per relativizzare una delle più impressionanti affermazioni del Cristo giovannico. In
questi termini non vi è più dialogo e confronto, ma adeguamento e conformismo dei cristiani ai religiosi, e soprattutto delFEvangelo
ai « dharma » proposti dalle religioni scaturite dal cuore delFuomo. Ma Gesù ha detto:«Io
sono la via ». E la testimonianza apostolica
afferma con esclusiva recisione:« In lui abita
corporalmente la pienezza della Deità ». E'
strano, ma forse non troppo : proprio il discorso religioso è, secondo Tottica biblica, il discorso ateo per eccellenza, anche quando esprime
Tanelito oscuro di cui Paolo parlava agli Ateniesi nel suo discorso sulFAeropago. C’è rottura. non continuità fra l’Evangelo e le religioni.
Non possiamo qui allungare il discorso. Desidero soltanto concludere • e chiarire eventuali equivoci - con la conclusione dì un bello
articolo, intitolato appunto L'Evangelo e le
religioni, che Paolo Ricca ha pubblicalo qui.
nel numero del 25.1.1971. rifacendosi alle due
grandi correnti - quella bartliiaiia e quella tillichiana • che sembrano dominare, for.se la seconda più che la prima, la teologia cristiana
contemporanea nel suo rapporto con le religioni.
« Viste nella prospettiva biblica, le religioni
appaiono senz'altro dalla parte delTumno piuttosto che dalla parte dì Dio: le religioni partono daU'uonio e culminano in lui, l uomo è
l’alfa e l'omega di tutte le religioni. Il risultato dello sforzo religioso dell uomo è ben simboleggiato dalFaltare dedicato « Al Dio sconosciuto » nelPaeropago di Atene.Malgrado tutto. le religioni lasciano l'uomo alPoscuro su
Dio, che solo Gesù rivela. Dio lo si conosce
esclusivamente in Cristo.
« C'è chi suppone clic Cristo .sia misteriosamente presente in tutte le religioni, sia pure in forma velala, per cui sarebbe possibile
essere in rapporto col Cristo anche indipendentemente da Gesù di Nazareth testimoniato
dagli evangeli. 11 metropolita ortodosso del Libano. G. Khodr. in uno studio presentato al
Comitato centrale del C.E.C. ad Addis Abeba.
afferma : « Il Cristo è velato dappertutto ii(d
mistero del suo aìdìassamento. Ogni lettura delle religioni è una lettura del Cristo.
E' Cristo solo che e ricevuto come luce quando la grazia visita un bramino, un buddista.
0 un mussulmano che leggono le loro Scritture. E' in unione col Cristo che inuoie ogni
martire della verità,\ ogni uomo perseguitato
per ciò che crede ^’«re giusto ».
« Posizioni di questo genere, abbastanza diffuse sotto varie forme nel nuovo tempo, non
sembrano molto coerenti con la fede del Nuovo Testamento, malgrado talune assonanze.
L'Evangelo non conosce un Cristo all'infuori
della sua individuazione storica in Gesù di
Nazareth, per cui non si conosce il Cristo senza passare per Gesù. Inoltre il Cristo confessato dalla fede non è quello della croce. Non
un Cristo mistico dai tratti sfumati e sfuggenti. non un Cristo diffuso ai livelli profondi
dello spirito umano è il centro della storia religiosa e non religiosa degli uomini, ma Gesù,
uomo di Nazareth, crocefìsso sotto Ponzio Pilato, risuscitato il terzo giorno. Lì, alla croce, e non in una sapiente sintesi dì tutte le fedi, deve avvenire la riconciliazione di tutti gli
uomini a qualunque religione appartenzano.
La croce di Gesù resta, per tutti i tempi, il
luogo deìVinconlro tra Dio e 1 uomo e degli
uomini tra loro. L’amore di Dio rivelalo alla
croce è infinitamente più largo di tutte le sintesi religiose che risulterebbero .sempre troppo angu.ste per qualcuno.
« L'incontro tra cristianesimo e religioni
può dunque avvenire in molti modi, ma non
lasciando da parte la croce. Non il cristianesimo come fenomeno storico e dogmatico, ma la
croce e la risurrezione di Gesù sono la suprema verità di Dio e su Dio per l'uomo di tutti
1 tempi, di tutti i luoghi, di tutte le culture
e religioni. In fondo, i poli dell'Evangelo sono
Dio e l'uomo, senza ulteriori specificazioni; e
la Parola è stata fatta carne, non religione. A
rigore, “il messaggio cristiano — ha detto
D. T. Niles — non si rivolge alle altre religioni. non le concerne: concerne il mondo“,
concerne l'uomo ».
Questo crediamo, e ci dispiace di doverlo
precisare di fronte al nostro collaboratore, ribadendo la validità del .servizio che ci ha reso.
G. C.
Fra questi articoli che sto scrivendo su società civile e società religiosa alle Valli mi è
parso che rispondesse più che a una semplice
curiosità presentare un personaggio il cui nome è molto nolo, ma che dì fatto è assai
poco conosciuto : Jean Léger, Pasteur et Modérateur des Eglises des Vallées, et depuis la
violance de la persecution. appellé à FEglise
Wallonne de Leyde, città in cui nel 1669
pubblicò chez Jean Le Carpentier la sua
grande Histoire Oénérale des Eglises Evangéliques des Vallées de Piémont oii Vaudoises.
La lettura di questo libro è a volte irritante. L autore è irritante quando racconta
che avendo perso il cappello in montagna gli
si gelò la capigliatura e si prese una tale
malattia che non disserrava ì denti e non pòleva mangiare, allora lo zio con una cannuccia d'argento gli forzò e cavò un molare,
un molare e non un dente davanti, perché
se gli avesse tolto questo come avrebbe potuto
egli ancora predicare? Nutrito attraverso il
buco al posto del molare — sarà stalo un dente
marcio? — il nostro eroe potè rivivere. Questa e altre sìmili storie racconta il Léger in
un secolo che fu dì Cervantes e di d'Artagnan,
che precede il barone di Mùnchausen. Storie
che però possono tutte trovare una spiegazione. Almeno per una si può tentare una verifica : di quando avrebbe salvato il futuro re
dì Svezia che stava annegando nel Lago di
Ginevra. Ma andando più a fondo questo libro è irritante come può es.serlo un'autodifesa :
un’autodifesa che va in diverse direzioni, compresa l’accusa dì aver commesso malversazioni, che era stata sparsa tra i Valdesi stessi.
Superata l’irritazione, messo da parte il senso
dì scandalo che la sua lettura ha provocato in
Valdesi, benpensanti, di tempi più recenti,
collocata la storia di Léger nel suo tempo •—
ciò che non le toglie validità anche per altri
tempi — un viaggio attraverso le sue pagine diventa attraente, poi affa.scinante. Cominciare da una lettura sistematica può essere invece assai noioso, perché il grosso della pubblicazione consiste in una massa di documenti accompagnati, sovente, dalla loro traduzione, con la lettura resa faticosa dai caratteri tipografici dell’epoca. Tralasciamo tanti
episodi personali che potranno essere raccontati da altri —non cerco di dare una biografia — e che si trovano soprattutto nell'autobiografia alla fine del volume, ricordandone
ancora solo uno : quando Léger, in uno dei
suoi viaggi oltr'Alpe. mutato travestimento
sviò una spia o sicario mandato dietro di luì,
causò che gli venisse dato un fracco di bastonate, e poi si presentò dal malcapitato per dirgli: — Guardami bene ora che il mio aspetto
è tornato normale, sono proprio io che ti
ho messo sulla strada sbagliata per inseguire
il Léger. E scappò via. A cavallo naturalmente. E c’è da credere che avesse aggiunto
uno sberleffo. Poco serio per un pastore, e
moderatore.
iiMmiiiiiiiiiiiitiiiiiimitiMMiiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiitiii:iiiiiiii
Un'offerta ai H
Il movimento della Chie.sa confessante germanica ha stampato su nostra preghiera la
traduzione italiana, della prof. Amalia Geymet, dì uno studio del professore di teologia
di Erlangen D. I). Walter Kenneth e l’ha
offerta in fraterno omaggio alla Chiesa Valdese d'Italia. Il nostro Moderatore già ne lo ha
ringraziato.
Trattasi dì un lavoro su: l motivi fondamentali della crisi teologica odierna. Kùnneth.
che è già stato un componente della Chiesa
confessante ai tempi del nazismo e perciò ha
trascorso alcuni anni in carcere, ha preso ora
posizione in difesa della teologia protestante
tradizionale contro gli sviluppi progressisti moderni che sembrano talvolta compromettere
le basi della nostra fede.
Siccome una convinzione sicura si può avere
solo dopo che si sono udite le ragioni delle
opposte tendenze, raccomandiamo a lutti la
lettura di questo lavoro, sia pure avvertendo
che esso richiede almeno un minimo di preparazione culturale.
Già ne abbiamo offerto 1.000 copie alla
Chiesa Metodista.
Ne manderemo ora alcune copie ad ogni
chiesa valdese d'Italia. Chi ne desidera altre
copie, le richieda direttamente alla Libreria
Claudiana di Torre Pellice o alla Chiesa Valdese di Villar Perosa. A lutti saremo grati
se ci potranno rimborsare le spese postali e a
tutti auguriamo che la lettura di questo lavoro possa offrire lo stesso beneficio recato
a noi.
Enrico Geymet
MiiiiiiiiiiiiiminiiiitiiiitniiiiiMiiMiiiimiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiimiiiiniMM ltllllllllllllll■l■lll■>’
Charles Briitsch, teologo e pastore
Charles Briitsch ci ha latitati Viridomani di Pasqua.
Aveva celebrato il culto della Risurrezione; già malato e teoricamente a
riposo, tenuto ad una vita molto controllata, aveva voluto assumersi l'incarico di una grande comunità in attesa dell'arrivo del Pastore titolare, e
ad essa, alle comunità vicine, alla
stampa, agli amici, dava tutte le sue
forze con un entusiasmo che faceva,
purtroppo, dimenticare la malattia. Il
corpo ha voluto la sua rivincita, ma è
nello spirito, nelle parole della Risurrezione, che la sua vita è terminata.
Laureato e dottore in lettere e in
teologia, a lungo pastore in Spagna e
da sempre amico del protestantesimo
iberico, poi a Ginevra e alla Chiesa di
lingua francese di Berna, dottore "honoris causa" di quella Università, autore di opere ben conosciute come
quella sul Poeta Emile Verhaeren, La
Parola di Dio in Karl Barth, La Vergine Maria, L’Apocalisse, e una in preparazione sui Tessalonicesi, collaboratore regolare de "La Vie Protestante",
membro di vari organismi ecumenici.
Presidente di "Pro Hispania", la sua
attività e i suoi interessi erano vari
e estesi.
E con ciò un amico, di una semplicità che confondeva, di una cultura
che arricchiva, e sempre pronto a dare una mano, a pensare agli altri. Ancora la vigilia della .sua morte mi aveva offerto la sua collaborazione in una
situazione difficile, elaborava progetti di incontri, di nuove aperture per il
protestantesimo europeo.
Charles Briitsch è stato un vero credente e ha dato, in senso proprio, la
sua vita per la Chiesa: è cos't che i suoi
amici lo ricordano.
PiRRLUIGI JaI.I.A
maggio 1971
In tempi di rivoluzioni culturali e di contestazioni Léger può essere capito nel suo
aspetto di rivoluzionario, intellettuale e uomo
d’azione. Un rivoluzionario costruttivo, con
suoi disegni politici e religiosi, ideologici, per
la sua Patria, che egli cosi chiamava le Valli Valdesi. Educato a Ginevra egli è stato
solo una parte della sua vita nelle Valli, dove
pure fu più di vent'anni pastore e mori in
esilio in Olanda poco dopo aver pubblicato
queste sue un po’ amare e vivaci memorie.
Apparentemente sconfitto, ma non disperato,
l’anziano signore si era risposato e continuava la lotta.
L’amore per la Patria, e non si trascuri
la descrizione da Paradiso Terrestre che non
senza contraddirsi egli dà delle Valli, e specialmente della cara San Giovanni — ma descrizioni entusiaste erano fatte anche da autori cattolici — non è per nulla esclusivo in
questo cosmopolita, che passa disinvoltamente dal francese all’italiano, al valdese letterario. al piemontese e al patois della Val Germanasca, e conosceva certamente altre lingue, antiche e moderne, che si interessava
alla Riforma in Piemonte e ai Valdesi di Calabria, che ci aveva lo zio che faceva a modo
suo l’ecumenismo con gli ortodossi a Costantinopoli. Nemica per lui è la Chiesa Cattolica
Romana che conosce, e lo sono i suoi uomini,
ma non sono nemici i cattolici in genere, né
in quanto tali, e .specialmente i cattolici delle
Valli : ci tiene a fare la distinzione, e di questi parla spesso mollo bene. Non imputa loro
la colpa delle persecuzioni. Purtroppo a volte sì direbbe che si contrappongono comunità
vicine territorialmente più che comunità miste al loro interno o conviventi sullo stesso
territorio. Così, a parte i signori, è di solito
buono il cattolico di Luserna o di San Giovanni, ma i cattivi, i saccheggiatori, vengono da Bagnolo, dove pure Valdesi ce n’erano
stati, ma non ce n’erano più, e la rappresaglia
è fatta su Crissolo, che confina con Rorà, mentre Paesana, che ebbe mille Valdesi, sembra
più affine. Forse c’è l’eredità di precedenti
divisioni, polarizzazioni, faide, in cui sono
coinvolti gli abitanti dei paesi dove la vita è
più rude. Il caso di Osasco? La guerra portata in pianura. Sarà difficile ricostruire tutte le
ragioni di queste ostilità fra vicini, la cui
memoria non sì è del tutto spenta, pur vivendo noi oggi in un clima di stima e dì
armonia ben diverso. E aspre ostilità e rivalità ci sono state anche fra villaggi valdesi,
con conseguenze molto spiacevoli, fino a tempi molto recenti.
La società che Léger descrive è molto di
più quella che egli desiderava che quella effettivamente esistente, non dissimile Fideologo
da tanti che han scritto sugli Stati Uniti
d'America o sull'Unione Sovietica o oggi scrivono sulla Cina. Ma il modello è interessauie.
ed era largamente, anche se non completamente, applicato. Léger. come i suoi compagni, si
batteva per la sua fede, per le sue idee, per la
giustizia e per la libertà per il suo popolo.
Non sembra un liberale, in un senso moderno
(di idee, non di partiti) e c'è da chiedersi
quanto fosse tollerante. La società che egli
descrive è impregnata di democrazia, non sai
quanto dovuta a un’eredità indigena, a un'eredità valdese o al calvinismo, la « partecipazione » — per usare questa parola moderna —
è totale, forse totalitaria, praticamente obbligatoria. Fede, ideologia politica, coscienza di
lavorare per una verità che non sì detiene in
proprio ma che è stata affidata a una collettività, fan lutt'uno. Di qui un rigorismo
che fa riflettere. Periodicamente, in giorni
prefissati, il pastore, gli anziani, e poi tutti
quanti sono sottoposti singolarmente a critiche senza riserve, e poi fan l’autocritica. È
una democrazia comunitaria, esigente. Il pastore può contar mollo o può contar poco. Dipende. Frequentemente ì pastori fan gran
bruite figure. Jahier e Gianavello non erano
pastori. Contano i comitati, e alla base contano le assemblee. Al servizio di Dio, come
uno di loro bene puntualizzò, e non per una
pretesa o meno religione riformata. Teocrazìa forse, ideologia for.se, ma democrazia potente. Il servìzio di Dio era nella vita quotidiana come la Provvidenza in cui questi antenati credevano. E i pastori francesi che non
facevano le visite, che sembravano, via, un po
lassisti, erano censurati, o contestati.
Particolarmente interessante un'istituzione
che bisognerebbe sapere quanto effettivamente abbia funzionato: la giustìzia parallela. 1
Valdesi non dovevano mai rivolgersi alla giustizia comune. Era una innovazione rispetto a
prima della Riforma che Léger spiega come
dovuta a una diffidenza verso i giudici cattolici. ma la ragione deve essere più profonda.
Era prevista una procedura complessa con il
Sinodo come ultima istanza. Colpisce come
erano trattati i due delitti che erano considerati i peggiori: Fadulterìo e romìcidio.
Tre domeniche in ginocchio di fronte all assemblea mentre il pastore fa un sermone di
circostanza, l'assicurazione da parte del colpevole di un persuaso pentimento e di voler
ri])arare con la vita futura al mal fatto in passato. Tutto li. Un perfetto lavaggio del cervello. Ma anche una giustizia che vuol recuperare e non distruggere. La vendetta non è
degli uomini, ma solo la riparazione. Se c'c
sadismo, pare che nrn sia nelle intenzioni.
Per delitti minori bastano due domeniche o
una sola. Ben più tribolato quel pastore la
cui moglie, fuorviala da una cugina leggerona
venuta d'oltralpe, era andata a guardare un
ballo pubblico. E chi non accettava questa
giustizia? Evidentemente era un caso da scomunica. Di scomunica Léger parla frequentemente. Storico, polemista, politico e raccoglitore di leggi più che legislatore, organizzatore. diplomatico, e beninte.so pastore. Léger
mi pare la persona i>iù completa, più rappresentativa fra i Valdesi del suo secolo, e forse
anche di qualche secolo, non soltanto un personaggio haut en couleurs. F^ra un uomo del
Gustavo Malan
(continua a pag. 3)
3
21 maggio 1971 — N. 21
pag. 3
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
Nyhorg VI: echi della Conferenza delle Chiese europee
La teologia del servizio e il servizio della teologia
nella situazione contemporanea
Volate con le vostre ali, ma attenti...
L'episcopato cattolico italiano si distanzia dalle AGLI che
con la loro scelta socialista hanno abbandonato l’interclassismo della dottrina sociale affermata dal Magistero cattolico
È stato il primo tema di Nyborg VI.
È la ricerca del senso di una teologia,
che non utilizzi il nome di Dio come
spiegazione ultima del creato (Dio =
Provvidenza) e come senso ultimo dell’esistenza, dell’essenza, della sostanza, della temporalità (Dio = Essere supremo), ma connetta il nome di Dio
con la rivelazione biblica.
L'attuale ricerca teologica si dirige
sempre maggiormente in una linea
cristologica, la cui chiave interpretativa è la persona del Cristo, che la comunità cristiana primitiva riconosceva come Signore e Servitore.
Il termine di Servitore sta, nel nostro tempo, diventando prioritario nei
confronti del termine « Signore », che
per troppo tempo è diventato man
mano più staccato dalla storia, indicando una personalità lontana.
E l'importanza dei termini biblici:
servizio, schiavitù, diacono, servo, figlio ridiventa ogni giorno più attuale.
Il professore Giorgio Crespy, della
facoltà teologica di Montpellier, ha richiamato vigorosamente l’assemblea
di Nyborg, e per suo tramite la nostra
chiesa europea, all’attualità del dibattito.
È lecito parlare di Dio senza valorizzare la realtà del Cristo Servitore?
È lecito parlare del servizio di Dio,
senza parlare del servizio dell’uomo?
iimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Giovanni Léger
(segue da pag. 2)
.suo secolo, implacabile verso streghe e stregoni, che non mancavano fra i Valdesi. Non
amava molto gli Ebrei. Non amava San Francesco e, se Pavesse previsto, probabilmente
non avrebbe apprezzato Giovanni XXIII. Questo duro e avventuroso protestante, originario
delle montagne della Val S. Martino, contemporaneo di Cromwell e quasi di De Foe, non
sembra a un Leveller, a quei soldati protestanti rivoluzionari che nell’ Inghilterra
« preindustriale » facevano sorgere la libertà
dell’uguaglianza. Parte dai problemi del suo
piccolo popolo. È un limite? Probabilmente.
Léger si preoccupa soprattutto dei suoi Valdesi
abitanti di queste Valli, di quelle vicine, e a
lui molto vicine quelle sotto il Re di Francia;
e i Valdesi sono innanzitutto Valdesi, fossero
anche mussulmani o papisti, ci tiene a precisare. Lo precisa nel sostenere la tesi della
loro origine apostolica. La tesi è stata confutata. Ma la severità della critica alla tesi dei
Valdesi prima di Valdo va rivista, e l’affermazione etnica rimane. Léger è attuale, in un
contesto, in un discorso diversi da quelli che
aveva pensati. In un contesto che ha conosciuto e conosce fascismo e antifascismo. Resistenza e lotte sociali, e altro. Oggi aiuta a
capire ieri e ieri può essere recuperato con
mente sgombra da pregiudizi. Perciò merita
conoscere Léger, anche Léger, e non soltanto
Rosa Luxemburg. Qui, in queste Valli, e anche altrove. C’è qualche parallelo che va e che
viene fra diverse epoche, e qualche spiegazione che si fa luce. Si può parlare di un Léger tradito? 0 di una storia, di una speranza
valdesi tradite, non compiute? Il poi non fa
secondo le linee per cui operava Léger, neanche dando a queste linee interpretazioni più
moderne, considerandole ispiratrici, anticipazioni, di linee più moderne, che Léger prohaljilmente allora avrebbe rifiutato. Ma Léger
non fu neppure uno sconfitto. Ci fu un ripiegamento. Janavel, il capo dei Banditi, l’uomo che non molla mai, che non fa compromessi, mori in esilio a Ginevra. Arnaud, il
valdese francese, ex ufficiale olandese, ci pare
un po' militaresco (il giuramento dei soldati
di fedeltà agli ufficiali, ma anche il giuramento di fedeltà ai soldati). Somiglia a Léger per
le sue ampie relazioni internazionali. Ma, dati
anche i tempi più avanzati, mi pare meno un
attore e più un oggetto, anche se abile a districarsi, nei rapporti fra le grandi potenze.
Dal l'epoca di Cromwell siamo passati all’epoca degli Grange. Morirà anch’egli in esilio, il
Kartoffel Heinrich o Enrico delle Fatale dei
tede.schi. Poi si calma la tempesta. Ci si adagia. Avvengono dei mutamenti. Ci si desta,
pare, al XIX secolo con un nuovo senso della
libertà, e al XX .secolo con un nuovo senso
della giustizia. Dei tre capi-popolo — se cosi
li .si può chiamare — che i Valdesi hanno avuto nel XVII secolo, Janavel e Arnaud, forse
perché più capi militari, sono i più noti e i
meno di.scussi. Léger è quello che ci pare meglio esprima quel tempo di orrori, eppure in
un certo senso privilegiato. Léger sente il bisogno di spiegare tutto, anche le esecuzioni dei
nemici : noi almeno non li torturiamo. E mi
piacerebbe che fosse stato generalmente vero.
Nel ritratto all'inizio del suo volume, prima
delle poesie enfatiche che dovrebbero presentarcelo, Léger pare brutto e caparbio. Ma se
vogliamo conoscere meglio il nostro passato, il
pa.ssato di un nostro esiguo paese, è più utile
approfondire la conoscenza di questo antipatico fanfarone che quella di più rispettabili
suoi predecessori e successori.
Gu.stavo Malan
N.d.r.: Nella Collana « Storici Valdesi », diretta dal prof. Enea Balmas, della quale la
Claudiana inizierà jirossimamente la pubblicazione, si potrà trovare, nella Seconda Sezione (secolo XVII), l'Histoire générale des
églises évangéliques des Vallées du Piémont di
Jean LÉGEh, neU’edizione pubblicata a Leida
nel 1669. Sarà un’ottima occasione per far conoscenza diretta con lo storico vivamente presentato da Gustavo Malan.
« Non si può negare che per la maggior
parte dei nostri contemporanei non è
l'esistenza del prossimo che sarebbe
problematica nei confronti di Dio, ma
è il riconoscimento di Dio, che diventa problematico nei confronti dell’esistenza del prossimo ».
Il rischio di cedere ad una inclinazione antropologica non può offuscare
l’impossibilità di fare astrazione dal
servizio di Cristo nel definire il nome
di Dio.
In questo servizio si manifesta il legarne tra retta teologia e retta azione.
Viviamo oggi, nella nostra chiesa, in
una tensione fra un servizio di Dio inteso come ripetizione, trasmissione di
un messaggio immutabile di Dio per
l’uomo, e un servizio dell’uomo inteso
come partecipazione al combattimento liberatore degli oppressi.
La tensione diventa più acuta fra
chi accentua, nelle opere di Dio, tutto
quello che è avvenuto, che deve avere
una applicazione nel presente e chi
accentua il peso di una piena liberazione, che si manifesterà nel Regno di
Dio, dalla attuale situazione di totale
o parziale servitù dell’uomo.
« Dio fa ancora e non cessa di fare
la sua volontà per gli uomini, ma Egli
la fa con gli uomini (mai senza di loro) in modo tale che la storia è appunto il luogo di una rivelazione alla quale si può dare, dopo Gesù Cristo, il
nome di liberazione. La liberazione si
manifesta quando gli uomini insorgono contro la schiavitù e l'alienazione
che impedisce la piena espressione della loro umanità.
« L’uomo Gesù è l’uomo libero, libero dalla legge, dal potere e dalla morte, l’uomo la cui esistenza significa
chiaramente la decisione liberatrice di
Dio e rivela Dio come liberatore. Essere cristiano significa riferirsi a questo
uomo per riprendere e attualizzare la
volontà di Dio manifestata nella vita,
nella morte e nella resurrezione di
Gesù.
« Così il servizio di Dio si confonde
con il servizio degli uomini nella misura in cui questo servizio è teso alla
liberazione degli uomini. La chiesa è
il luogo dove risuona la parola libera
trice, ma questa parola non è per lei,
è per tutti, e confiscarla a beneficio
dei soli cristiani (o supposti tali) è
un tradimento.
« Il ripiegamento della chiesa su sé
stessa, ad es. nella liturgia, nella nostalgia della potenza, è contraria al
l’Evangelo. Bisogna liberare l’Evangelo e liberarlo dalla chiesa che lo tiene
prigioniero. Anche qui ci sono differenze d’accento. Un Harvey Cox non
parla esattamente lo stesso linguaggio di un Richard Shaull. Ma la convinzione comune a tutti quelli che si
riconoscono nelle linee di questa posizione è che l’Evangelo è in cosi stretto rapporto con la storia, che si manifesta in essa, si compie, o è tradito;
una storia aperta su possibilità non
ancora scoperte, ma che il Dio liberatore vuole scoprire ».
Le due posizioni hanno in comune il
riconoscimento del carattere centrale
della Parola, come luogo critico sul
quale si articolano, da un lato la liturgia, dall’altro l’azione. Quali sono le
conseguenze di questo atteggiamento
sul culto? Crespy deduce che il culto
non può essere atemporale: « Diciamo, a titolo d’esempio, che la confessione dei peccati non può essere la
semplice enunciazione degli errori e
delle manchevolezze dedotti da una
legge generale e per cos'i dire universale, bens't la scoperta e la messa a
nudo di tutto ciò che la nostra attività, nell’ordine di una economia capitalista, di un ambiente razzista, bellicoso o nazionalista, ha in contrasto
col servizio di Dio per tutti gli uomini. Il peccato non è circoscritto né alla sessualità, né all’empietà; esso si
attualizza, si costituisce e s’installa
nella nostra vita collettiva, nel nostro
individualismo così detto “sacro”, nell'appoggio che noi diamo al gruppo o
al sistema al quale apparteniamo (excristiano), anche quando questo gruppo o questo sistema schiacciano gli
altri. La vera confessione dei peccati
non è separata dalla lettura dei giornali, essa non è soltanto espressione
di individui isolati che avrebbero infelici relazioni interpersonali, ma è la
espressione di una comunità che deve
donarsi e non si dona, deve morire c
non muore, deve servire e non serve.
Lo stesso si può dire dell’intercessione. E aggiungere che la confessione
dei peccali e l'intercessione per i peccati sono parole vane se non conducono a domandare: “E adesso che faremo?” Perché nel FARE consiste la
vera liturgia del popolo degli uomini.
Si può dire lo stesso dell’eucarestia.
Come possiamo spezzare il pane di
Dio, se di esso non facciamo parte ad
altri uomini?».
Ma non può mancare in questa predicazione la preoccupazione di Gesù
Cristo: « Troppo spesso in passato ci
si è serviti dell’Evangelo per giustificare l’ordine morale, le stratificazioni
socio-economiche, addirittura per invocare la rassegnazione per gli oppressi; come se il servizio reso loro da Dio
consistesse semplicemente ad aiutarli
a sopportare serenamente l’ingiustizia.
Ma Gesù Cristo non è circoscritto alla
società così detta cristiana, che usurpa il Suo nome per benedire la potenza dei potenti e la supremazia del denaro.
«In questo contesto si comprendono coloro che preferiscono servire la
libertà degli uomini, tacendo il loro
legame con ciò che a volte è parso come un segno di oppressione. Si comprende anche come il servizio prenda
la forma di una scelta politica, poiché
è l’ordine politico che si è assicurato
la complicità della religione, esercitando una violenza che questa si sforzava di rendere tollerabde. Bisogna
andare più lontano e comprendere che
si è potuto rifiutare una diaconia travisata sotto specie di carità, quando
la carità consisteva nel soccorrere gli
infelici senza combattere perché finisse l’ingiustizia ».
Quali sono i riflessi di questa situazione sulle nostre chiese europee? Duplice interpretazione: dei fatti e della
Parola. Per i fatti Crespy sottolinea i
pericoli dell'ingenuità ignorante: « Non
si può partire da generose banalità
che si troverebbero allora sacraLzzate
come le chiese hanno sacralizzato la
Nazione, la proprietà, l'ordine borghese, e tanti altri valori tutti molto sospetti. A questo proposito l’Europa
stessa considerata come entità più o
meno mitica, non è più cristiana di
quanto non lo fosse ieri la Patria».
Come non rendersi conto dei nostri
ritardi in una Europa divisa dai passaporti e oppressa dalla irrisolta situazione di coloro che sono radiati dal
rapido processo di mutamenti tecnologici e dal lento processo di presa di
coscienza delle nostre comunità civili
o ecclesiastiche?
È possibile essere più esatti nelle
indicazioni da vivere oggi nelle nostre
Chiese? Crespy accenna alla sostitu
Unità della Chiesa
Unità dell’umanità
Il tema della prossima riunione della commissione « Fede e Costituzione »
del Consiglio ecumenico delle Chiese,
che si terrà prossimamente nel collegio
dei Gesuiti in Lovanìo (Belgio), sarà
« Unità della Chiesa — Unità delrUmanità ».
La commissione composta di 135
membri, tra i quali 9 cattolici, vuole rispondere alla seguente domanda: in
che modo la Chiesa può essere un segno di unità nella situazione attuale del
mondo? Non si tratta di sapere quali
sono state le cause di divisione tra le
chiese, ma di chiarire e precisare le
concezioni dell’unità della chiesa messe in discussione dalle esperienze che
noi facciamo nelle situazioni più diverse, nei conflitti che dividono gli uomini secondo la razza, la cultura, ecc.
I lavori della suddetta commissione
si articoleranno in cinque temi: 1) Unità della Chiesa e giustizia sociale; 2)
Unità della Chiesa e i credenti dei nostri tempi: 3) Unità della Chiesa e lotta contro il razzismo; 4) Unità della
Chiesa e difficoltà nella società; 5) Unità della Chiesa e diversità di culture.
zione del servizio aH’asservimenlo. E
qui il compito diaconale della chiesa
noti si può identificare con la costatazione che l’uomo di oggi non accetta
più il destino della sventura come destino di oppressione, ma si può precisare:
a) Qccorre riconoscere che la realtà attuale si configura come una divisione sempre più radicale fra una parte del mondo più povera ed una parte
più ricca; è la tematica dei popoli sottosviluppati e della decisione riservata
a poche decine di potenti e ricchi.
b) L’Europa non può staccarsi
dalla realtà mondiale. Ogni riduzione
della situazione ad un « mito europeo » non può portare altri frutti che
quelli già portati dai miti nazionalisti
del passato e del presente.
Per le chiese europee l’etica del servizio comporta alcune azioni improrogabili:
a) mettere in atto una diaconia,
che abbia una dimensione universale;
b) rinunciare ad ogni particolarismo ecclesiastico nel campo missionario, onde ogni decisione sia presa
in comune con gli interessati;
c) licercare una predicazione alla
quale corrisponda una vera rinuncia
ad una impostazione di vita fondata
unicamente sui beni terreni, onde divenga vera anche per i suoi discepoli
la linea seguita da Cristo.
Terminando, il compito della chiesa
si precisa nelle discussioni di Nyborg
come tematica continuamente viva,
nella attenta considerazione della dispei'ante mancanza di finalità di una
umanità e di una società le quali non
abbiano altra preoccupazione che il
miraggio dei beni di consumo, per contrapporre l’annunzio della speranza
del regno di Dio, che reclama una nuova giustizia.
Cari.0 Gay
L’80o anniversario della Rerum Novarum, l’enciclica sociale di Leone XIII,
non è stato soltanto celebrato con la
pubblicazione di un nuovo documento pontificio, che Paolo Ricca comrnenta a pag. 1 (e con una messa pontificale « per la santificazione del lavoro umano », in S. Pietro, cui hanno
partecipato ben pochi degli operai cui
era particolarmente rivolto l’invito),
ma na pure coinciso, non sappiamo
quMto intenzionalmente, con una dicniarazione della Conferenza Episcopale Italiana nella quale la CEI dissocia la responsabilità ufficiale della
Chiesa di Roma dalle ACLI (Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani)
nel loro nuovo corso e più precisamente dopo la scelta socialista e classista
che esse hanno fatto nel congresso tenutosi lo scorso anno a Vallombrosa.
La dichiarazione della CEI è ricca
di lodi per quanto le ACLI sono state
e hanno fatto in passato (la loro costituzione, voluta da Pio XII, risale al
giugno 1944, l’indomani della liberazione di Roma) quale branca dell’Azione cattolica operante in campo operaio. Le cose sono però andate mutando e « l’Episcopato italiano ha dovuto
prendere atto di alcune scelte, recentemente operate dalle ACLI in piena
loro autonomia, riguardanti sia impostazioni concettuali e programmatiche, sia una deliberata Linea politica
con le forme e con le collaborazioni a
questa conseguenti. D’altra parte l’impegno politico, sindacale ed economico, anche se seriamente ispirato ai
fondamentali valori cristiani e rivolto
a una autentica testimonianza, nelle
sue scelte temporali concrete, è compito dei cristiani come cittadini, non
della Chiesa in quanto tale, o di una
associazione che opera nel suo ambito; e perciò la Gerarchia, mentre rispetta ogni legittima libertà, non può
né deve essere compromessa da opinabili opzioni temporali ».
Dopo un richiamo al Decreto Apostolicam actuositatem del 'Vaticano II,
suH'apostolato dei laici, il Consiglio di
presidenza della CEI nota che esaminando le indicazioni pervenute in proposito dalle Conferenze episcopali regionali, « si è constatato che le scelte
operate in questi ultimi tempi dalle
ACLI hanno suscitato non lievi difficoltà e turbamenti all’interno e fuori
delle Associazioni stesse, e hanno creato non poche situazioni pastoralmente difficili e non compatibili con una
armonica visione unitaria della comunità ecclesiale. Pertanto, nel rispetto
dell’autonomia rivendicata dalle ACLI
e dalla loro libera scelta di essere soltanto un movimento di lavoratori cristiani, i vescovi non ritengono che oggi le ACLI rientrino tra quelle associazioni, per le quali il Decreto Apostolico Apostolicam actuositatem prevede il ’consenso’ della Gerarchia. I
Vescovi auspicano vivamente e fiduciosamente che le ACLI, in questa lare) nuova posizione, mantengano fedeltà all'ispirazione cristiana che le ha
fatte sorgere e promuovano sempre la
conformità delle loro scelte con i princìpi del Magistero della Chiesa come è
dovere di ogni cristiano anche se operi sotto la propria responsabilità, in
ogni campo, compreso quello politico ».
La gerarchia cattolica italiana ritira
dunque la propria cauzione alle ACLI,
come pure i propri assistenti ecclesiastici, in sostituzione dei quali in ogni
diocesi sarà formato « un gruppo di
sacerdoti che si dedichino alla pastorale del mondo del lavoro », alle dirette dipendenze del vescovo (si pensa di
creare una sorta di anti-movimento ligio alla gerarchia?). Non risulta un
appoggio esplicito all’opposizione interna (circa un quinto del movimento,
il quale conta settecentomila iscritti)
né tanto meno alle scissioniste « ACLI
libere », ma indirettamente e oggettivamente un certo appoggio è stato loro dato. Tuttavia, se di sconfessione
si è trattato, la si è pronunciata con
molte cautele; benché senza entusiasmo, e forzati dalle circostanze, si
riconosce la autonomia del movimento, pur contestandogli, da un lato, il
diritto di impegnare ufficialmente la
Chiesa (quindi, di fatto, di portare il
nome « cattolico ») e richiamandolo,
dall’altro, all’ubbidienza che il cattolico, se vuol rimanere tale, è tenuto a
conservare nei confronti delle indicazioni fondamentali del Magistero, « anche se operi sotto la propria responsabilità » personale.
Di questa cautela e di questa moderazione, che potranno essere diversamente interpretate, in senso diplomatico o in senso pastorale (e forse le
varie motivazioni confluiscono in questo documento di compromesso), si ò
valso il comitato esecutivo delle ACLI
per affermare che il movimento non è
stato affatto sconfessato, ma ha acquistato una maggiore libertà d’azione,
pur intendendo proseguire « l'approfondimento delle essenziali motivazioni cristiane del suo impegno ». Questo
significa far buon viso a cattivo gioco,
ma sono state sintomatiche le reazioni delle ACLI regionali, subito dopo
la pubblicazione del documento della
CEI: quelle lombarde hanno espresso
« stupore » per la decisione « inattesa
e per molti aspetti incomprensibile»,
mentre quelle sarde affermavano di
prendere atto della dichiarazione episcopale « con amara e dolorosa sorpresa ».
* * *
Sul piano politico, la scelta di classe compiuta dalle ACLI, il rifiuto di restare più oltre vincolate alTinter-classismo di un partito-carrozzone come
la DC, può essere giudicato da ottiche
diverse che mi paiono abbastanza bene espresse dai due giudizi seguenti.
Cario Casalegno ha scritto su « La
Stampa» (11-5-1971): «Dalle scelte dei
cattolici, preti e no, politici e sindacalisti, dipenderanno in larga misura gli
sviluppi delle cose italiane nei prossimi anni. E un travaglio che i laici di
qualunque parte seguono con attenzione e rispetto, ma con una riserva: l’integralismo non è monopolio della destra cattolica, e la sinistra non dimostra un senso dello Stato più vivo dei
clericali. Personalmente, preferisco Labor (ñ.d.r.: Livio Labor, il leader che
guidò le ACLI nella svolta, lasciandola
poi aH'attuale segretario, Gabaglio) a.
Gedda (n.d.r.: il noto presidente dell’Azione cattolica e dei Comitati civici); tuttavia sono sospettoso della confusione tra Vangelo, politica ed economia, temo il populismo di tipo lapiriano, e mi sembra di scorgere nelle pattuglie avanzate delle Adi, della Cisl,
della de, dei preti operai una pericolosa avversione all'Occidente liberale e
razionalista. Spesso i pregiudizi clericali non scompaiono, pur colorandosi
di rosso ».
Dall’altra parte, ecco quanto ha scritto «Il manifesto» (9-5-1971): «Il punto sicuro è che comincia per le Adi un
capitolo nuovo. Tutto dipende dalla
forza reale che sta dietro la linea attuale e che può resistere dopo il venir
meno dell’avallo ecclesiastico. E ancor
più dipende dalla capacità e dalle possibilità che le Adi avranno di trovare
una nuova collocazione. Non sono
un partito, non sono un sindacato, ora
non sono più una organizzazione di
apostolato. Cosa possono essere o diventare? Su quale terreno potranno
conservare e sviluppare un legame di
massa finora garantito proprio dalla
loro natura di organizzazione cattolica a pieno titolo? » E ancora (ll-5-’71):
« La decisione dei vescovi e le conseguenze pratiche che essa avrà a livello
Locale, mettono infatti allo scoperto
la contraddizione, la debolezza di fondo con cui il “nuovo corso” delle Adi
deve ancora fare i conti (...) prima o
poi una scelta netta s’imporrà nei fatti e sarà, a nostro parere, tra due ipotesi: (...) avremo un nuovo frontismo
(dal Psi al Pei al Psiup) con una componente cattolica? Oppure Formai definitiva rottura dell’unità politica dei
cattolici può diventare uno stimolo
reale per la ristrutturazione strategica
e organizzativa di tutta la sinistra italiana? ».
Il laicista liberale chiede dunque alle ACLI: abbiate la chiarezza di lasciar
cadere, con l’etichetta, la pretesa di
un avallo religioso alla vostra scelta
politica, non sacralizzate la vostra scelta di classe. Il laicista marxista sollecita invece: abbiate la coerenza di portare fino in fondo la vosti'a scelta e di
negare rilevanza politica alla vostra
qualificazione religiosa, non limitatevi
a essere con noi, ma siate dei nostri.
È una sfida, per il movimento cattolico, abbandonato politicamente, anche
se non pastoralmente, dall’episcopato.
Possiamo, come cristiani, limitarci a
optare per Tuna o per l’altra di queste
valutazioni, che in fondo rimproverano alle ACLI di voler essere dichiaratamente cristiane, nella accezione cattolico del termine? Non dobbiamo avere una sensibilità diversa — e, secondo la nostra ottica, più profonda —
per l’arduo problema cui si trova confrontato chi, sia pure in base a una
tradizione cristiana per noi inaccettabile, tiene tuttavia a « l’approfondimento delle essenziali motivaz.ioni cristiane del suo impegno »?
È per questo che un discorso sulle
vicende odierne delle AGLI, come pure sul recente documento sociale di
Paolo 'VI, è un discorso, una rillessione che ci coinvolge, che porta a galla
anche le nostre contraddizioni, che ci
costringe a confrontarci con la realtà
che ci circonda c, in essa, a sforzarci
di vivere la nostra professione di fede
nella sovranità di Cristo e il conseguente rifiuto di ogni altro signore.
Quale sarà, quale è la nostra scelta?
Quali le essenziali motivazioni cristiane del nostro impegno (o disimpegno)? Ci preoccupiamo di approfondirle, di chiarirle costantemente a noi c
agli altri, in un perseverante sforzo
critico orientato in modo determinante dalla Scrittura? Vi è il problema interno alla Chiesa cattolica e vi è il
problema più vasto della vocazione,
qualificazione e collocazione cristiana
nel contesto umano odferno.
È il discorso che mi propongo di tentare la prossima settimana, dopo aver
ora presentato, per sommi capi, i dati
della questione. La sua attualità non
si brucia certo nel giro di qualche
giorno...
Gtno Conti;
4
pag. 4
N. 21 — 21 maggio 1971
Notiziario Evangelico Italiano
Una chiesa dei Frateiii mi ha accoito neiia sua comuniene
Invio un caldo ringraziamento alla
Comunità dei Fratelli di Roma che
pur senza conoscermi mi ha con
spontanea fraternità accolta nella
sua comunione. Considero questo atto un dono prezioso della fraternità
in Cristo. (I. A.)
È domenica mattina e sono nella sala dei Fratelli di Via Prenestina 74 a
Roma.
L’Anziano Biginelli, responsabile della comunità è assente ma c’è un fratello che si occupa di tutto, che predicherà e che si assume la responsabilità di
accogliermi: la chiesa non è grande,
ogni persona nuova si nota ma è chiaro che io non sono un’aspirante alla
conversione; sono valdese, della chiesa
di Piazza Cavour, conosco bene il pastore Gay e il pastore Ribet, sono monitrice alla scuola domenicale e vengo
in fraternità per conoscere da vicino
una comunità di Fratelli.
Sono accolta fraternamente.
La sorella B. mi fa sedere vicino a
sé e man mano che qualcuno viene a
salutarla mi presenta: si stabilisce così
una fraternità immediata, quello che
manca tanto nelle nostre chiese.
La sorella spiega che sono valdese:
va bene — è la risposta — l’importante è che abbiamo Cristo in comune.
Parlo con una sorella anziana; non
mi chiede se abito lontano né constata
che fa abbastanza caldo: racconta che
la sera prima ha letto in Matteo il racconto della passione. E indignata ripensando che Gesù è stato trattato in
quel modo dagli uomini. E lui non si
è mai ribellato!
La sala piano piano si riempie. Nessuno sale sul pulpito, sul quale risaltano intarsiate due parole: « Dio ama ».
Sulla parete al disopra si legge: « Gesù disse: io sono la via, la verità, la
vita; nessuno viene al Padre se non
per mezzo di me ».
La sala è bianca, semplice, le panche chiare, con Bibbie e innari. L’innario, stampato dai Fratelli, è una rac
colta di 220 canti dei quali molti sono
anche i nostri.
Nessuno dunque sale sul pulpito
perché tra i Fratelli non c’è distinzione tra laici e impegnati: ci sono sì
quelli che si dedicano totalmente all’Opera, ma non hanno per questo una
caratteristica speciale né un’autorità
A un tratto la voce di un fratello, da
un banco, ci invita a cantare un inno.
Lo stesso dice una preghiera. Si canta
poi l’inno « Gloria nei cieli altissimi ».
Segue la lettura di Galati 5 che poi lo
stesso lettore spiega brevemente. Egli
dice inoltre che siamo riuniti per ringraziare Dio e che questa è una cosa
meravigliosa, di potersi avvicinare a
Lui senza bisogno della mediazione
del sacerdote.
Dopo il canto dell’inno « Cantiam
cantiamo a Dio », c’è una preghiera di
ringraziamento per il dono di Cristo.
Dopo un altro inno si fa la preghiera
di preparazione alla santa cena.
I Fratelli, la santa cena la fanno
ogni domenica e con una certa difficoltà la dividono con estranei, a meno
che non siano convinti della sincerità
della fede di questi.
Su un tavolo vi sono due piatti con
il pane e due calici. Due fratelli passano nei banchi porgendo a ognuno il
piatto con il pane, di cui ognuno prende un pezzo. Dopo una preghiera viene passato nello stesso modo il calice.
Durante il canto dell’ultimo inno, i
bambini lasciano la sala per riunirsi
alla scuola domenicale con i monitori.
La prima parte del culto, che è esclusivamente liturgica e dura circa un’ora, è finita. Ora un fratello sale sul
pulpito e dice il sermone, che è certo
pensato ma non scritto. Egli parla con
molta vivacità e immediatezza, come
in una conversazione. La meditazione
si basa su I Pietro 2 e ci predica un
raggiungimento della santità al fine di
avvicinarci a Cristo.
Ho parlato di cullo, ma i Fratelli la
chiamano adunanza, e quella della
mattina è particolarmente dedicata all’adorazione.
L’adunanza è finita; saluto ancora
qualcuno e sono tutti gentili, fraterni.
Considero fraterno anche il commiato
del predicatore che mi dice: « Voi Vaidesi, peccato, pensare che in passato
siete morti per la fede, e adesso... vi
siete afflosciati; vi occupate di politica
e di tante cose ma non dell’evangelizzazionc! ».
Comunità autonome
Le chiese dei Fratelli sono comunità
autonome; tra di loro vi è una buona
comunione, che si esplica in incontri,
le agapi, che avvengono ora in questa,
ora in quella città, durano un giorno,
si pranza insieme, si ascolta la predicazione, si celebra la santa cena. Non
vi è alcun organo che unisce le comunità, esse si formano spontaneamente,
si l'eggono da sé con libere offerte dei
credenti. C’è un Comitato centrale che
è organo puramente amministrativo, c
l’Ente morale rappresentante la persona giuridica che garantisce la continuità della proprietà dell’Opera.
Le comunità sono in Italia circa duecento.
Si sono formate con una paziente
opera di colportaggio « di porta in porta » nella città, e nelle campagne « percorrendo a piedi decine e decine di chilometri, adattandosi in tutte le manic
re per il vitto e l’alloggio pur di annunziare Cristo alle anime e confermare
nella fede i credenti ».
Queste comunità le troviamo in tutte le regioni d’Italia,, comprese quelle
difficili per avere fatto parte dello Stato della Chiesa come le Marche, l’Umbria, il Lazio, la Romagna. Ricordiamo
le comunità di Pesaro, Fano, Sinigaglia. Cesena, Rimini; a Terni c’è stata
quest’anno una campagna evangelistica con dodici conversioni.
La loro opera
L’opera di testimonianza si fa principalmente andando di casa in casa. In
una comunità come quella di Roma
(cento membri), c’è una équipe di venti persone che si dedicano alla missione di portare l’Evangelo nelle case,
bussando di porta in porta.
Qualche volta cacciati (si parla di
una mano e perfino di una testa rimasta chiusa tra i battenti), a volte accolli bene, ascoltati, distribuiscono Bibbie e suscitano numerose conversioni.
Il 95% delle Bibbie distribuite dalla
Libreria S .Scritture, dicono con orgoglio, sono richieste dai Pentecostali e
dai Fratelli.
Le opere sociali dei Fratelli si chiamano Istituto Comandi a Firenze, Sarepta, società di aiuto per le vedove;
vi è un asilo di bambini a Manfredonia, un ospizio per i vecchi a Bologna,
Casa Cares è sostenuta dai Fratelli.
A Roma ha sede l’U.C.E.B. (Unione
Cristiana Edizioni Bibliche) che pubblica libri religiosi. Qgni mese esce il
periodico « Il Cristiano ».
Gli anziani
Abbiamo detto che tra i Fratelli non
c’è distinzione fra laici e sacerdoti, o
meglio si considerano sacerdoti tutti
quelli che hanno dei carismi spirituali.
Professionisti .operai, impiegati, tutti
possono esercitare un ministerio se
sentono di averne il dono. La loro caratteristica è di vivere una fratellanza
che esclude ogni gerarchia, ogni autorità; ecco la spiegazione del loro nome.
Ci sono però delle persone che si dedicano totalmente all’Opera e sono gli
anziani, responsabili delle comunità locali. Si riuniscono periodicamente in
convegni, dove vengono esaminati i
vari problemi ma che non hanno valore deliberativo. Essi non fanno degli
studi organizzati, si preparano mediante corsi biblici o come autodidatti,
comunque con un accurato studio delle Sacre Scritture ed alcuni di loro si
tengono al corrente della teologia ma,
essendo fondamentalisti, non Faccettano.
Ecco per esempio la storia dell’Anziano B.
Agricoltore piemontese, fu spinto
dai fratelli della sua comunità, perché
dotato di particolari doni spirituali, a
dedicarsi all’Opera. Lo spinse anche,
essendo ricoverato al nostro ospedale,
una diaconessa valdese. Andò in una
comunità della Toscana e l’atttività
dell'opera lo assorbì, lo impegnò sempre più finché la comunità di una
grande città lo volle come responsabile, senza limite di tempo.
Questo stesso anziano, al tempo del
fascismo ebbe dei fastidi e fu chiamato alla Federazione dei Fasci e ammonito perché parlava troppo della pace, e invece bisognava prepararsi alla
guerra.
Parlando
di varie cose...
Come considerate la Riforma? Ha
valore per voi?
Consideriamo la Riforma come uno
sforzo di tornare alla parola di Dio,
ma noi non veniamo dalla Riforma,
consideriamo la Bibbia come sola autorità.
E l’ecumenismo?
Accentano di buon grado la comunione con i veri credenti anche di altre
denominazioni su un piano personale,
diffidano dell’ecumenismo organizzato,
hanno parole dure per quello con i
Cattolici della Curia.
E la politica?
L’anziano B. dice: noi siamo pellegrini sulla terra; non pensiamo di poter qui risolvere qualche cosa, lasciamo a Dio questo compito e a Lui va
la nostra speranza finale.
Ma la Pantanella, qui a due passi da
voi — dico io — questa fabbrica occupata da mesi, questi lavoratori che sono nei pasticci... non pensate che sia
anche compito dei credenti occuparsi
delle loro questioni? I nostri giovani
— dico — voi li disapprovate perché
fanno politica, ma loro pensano di
aiutare il prossimo così.
Secondo l’anziano B. è l’Evangelo
clic deve trasformare; bisogna fare del
bene a tutti, aiutando individualmente
e testimoniando di Cristo. Questo è il
compito dei credenti.
I nostri giovani — dice — non hanno problemi politici, i vostri (lo dice
quasi tra sé) si interessano solo del
problema sociale.
E parlando dei giovani si nomina
Agape, Ecumene...
Sarebbero opere belle — dice il fratello M. — se vi si insegnasse la Bibbia.
Quanto a loro, ai Fratellli, avviano i
giovani a testimoniare del l’Evangelo.
Hanno campi biblici e corsi per conduttori di chiese. Dopo la scuola domenicale i giovani ricevono il battesimo,
quando lo chiedono, e non lo fanno
generalmente per conformismo o per
compiacere i genitori, lo fanno con serietà.
Da dove vengono
I Fratelli ?
Prima di tutto questo nome fu dato
loro da altri ed essi lo accettarono unicamente per distinguersi da altre chiese; parimenti quelle di Chiesa Libera e
di Cristiani Evangelici sono denominazioni improprie, di carattere pratico,
non consone al loro spirito. Rifuggono
infatti dall’attribuire alla loro assemblea una origine storica definita in questo o quel paese, con un dato fondatore o animatore, di situarla in un contesto religioso.
Verso la metà del secolo scorso si
formarono in vari paesi di Europa dei
gruppi di ispirazione evangelica, apparentemente per generazione spontanea.
In Inghilterra, a Plymouth m particolare, erano nati dei circoli di pietà vivente. Questi esercitarono una grande
influenza su J. N. Darby, pastore anglicano, che abbandonò la sua chiesa
considerandola, con tutte le chiese stabilite ,apostata a causa della dottrina
della successione apostolica.
II potere dei Dodici, secondo Darby,
è intrasmissibile e niente può riformare la chiesa se non il restare fratelli al
di fuori di ogni organizzazione e gerarchia.
Si formarono così, in opposizione ad
ogni chiesa organizzata, delle assemblee indipendenti, desiderose di trovare la loro ragione d’essere imicamente
nella Parola di Dio.
Così anche nel nostro paese sorsero
gruppi con le medesime vedute, pur
senza aver avuto precedenti collegamenti con l’estero.
« Appare altamente significativo il
fatto che, ovunque dei credenti italiani, risvegliati dalla presenza dello Spirito e animati dal desiderio di diffondere le verità evangeliche nella propria
patria, lontani gli uni dagli altri e senza una precedente intesa, enuncino le
stesse dottrine, si radunino sugli stessi
principi, proclamino le medesime verità! Questo dimostra che la Parola di
Dio... permette di realizzare in tempi
e ambienti diversi la stessa forma di
ersitianesimo che è il cristianesimo
apostolico »L
Un notevole gruppo di Cristiani
evangelici sorse a Firenze e vi emerse
la figura del conte Piero Guicciardini
che poi, esule in Inghillerra, ebbe rapporti con il gruppo dei Darbisti o Plymoutisti. Quel gruppo di credenti, la
cui opera cominciò a Firenze nel 1833,
sperava che al risorgimento politico
dell’Italia corrispondesse un risveglio
spirituale improntato all’Evangelo, mediante conversioni personali.
Altri gruppi italiani si formarono in
Italia (Piemonte, Liguria, Lombardia)
e all’estero (Ginevra, Inghilterra). Da
questo risveglio italiano, che diede origine anche alla Chiesa Libera d’Italia,
presero vita le Assemblee dei Fratelli,
e ne possiamo leggere esaurientemente nel libro di Giorgio Spini, « L’Evangelo ed il berretto frigio ».
I Fratelli non vollero e non vogliono
alcuna confessione di fede, per timore
di introdurre nelle Assemblee qualche
principio contrario all’Evangelo.
In una lettera ai fratelli di Firenze,
del 1851, il Guicciardini fissa i punti
dottrinali della fede in un suo « credo »
che, per essere strettamente evangelico, si riallaccia ai principi riformati.
I punti che caratterizzano i Fratelli
sono: il battesimo degli adulti, la pluralità dei ministeri, l’autonomia delle
chiese, « la perseveranza nel rompere
il pane ».
« Lo Spirito soffia dove vuole, risveglia cuori e coscienze, redime le anime, suscita testimoni fedeli e coraggiosi che svolgono talora il loro ministerio in ambienti ben preparati e favorevoli, oppure in mezzo a lotte, a difficoltà, a persecuzioni. Lo Spirito di Dio
opera in paesi diversi, lontani; in mezzo a popoli differenti per razza, per
tradizioni e costumi; c tuttavia l’opera è la stessa, lo scopo è il medesimo,
i risultati sono uguali, poiché in tutte
queste cose opera quell'uno e medesimo Spirito »®.
Inda Ade
C<Noi e la televisione», un convegno a Ecumene
indetto dal Servizio stampa-radio-televisione della F.C.E.I.
11 nuovo Areopago
« Possiamo esimerci dal prendere la parola, in mezzo a
questa moltitudine che, come gli Ateniesi, corre dietro alle sue novità e venera i suoi idoli, per annunciare VEvangelo nelle forme e con il linguaggio del nostro tempo? »
alcun materiale, in modo regolare e
in forma accessibile; e viceversa non
era davvero rimasto senza eco il solo
servizio che in questa linea sia stato
finora curato: quello che a suo tempo
fu pubblicato dal past. Paolo Ricca, a
cura del Consiglio Federale, in margine e a commento del Concilio Vaticano IL La nuova agenzia fornirà inoltre alle nostre Chiese documentazioni,
e si spera che in avvenire possa pure
inviare all’estero un bollettino con il
duplice intento di informare sulla vita delle nostre Chiese e di costituire
un punto di osservazione sulla situazione della Chiesa Cattolica Romana.
È in fase di preparazione il n. 0 (cioè
di prova) del NEV. Benvenuto!
iiiiiimiimiiiiiiimi iiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiniiiiiiiin
Le chiese evangeliche
liguri e sud-piemontesi
si propongono
Nuove forme
di collaborazione
Olire un centinaio di fratelli e sorelle di
Chiese evangeliche delia Liguria e del SiidPiemonte si sono riuniti nei locali della chiesa valdese di Genova, domenica 9 maggio,
rispondendo alPinvito rivolto loro dal consiglio dei pastori della città. Tema dei convegno: «Nuove forme di collaborazione»; introdotto da una relazione del past. Michele Foligno, della chiesa battista di La Spezia, ha
portato a una discussione nella quale sono
stati messi in evidenza i punti di convergenza
(confessione di fede, natura missionaria della
chiesa, “sacerdozio'’ universale dei credenti,
molteplicità dei ministeri) e, su questa base,
sono state date alcune indicazioni circa le possibilità di una collaborazione pratica: 1) arricchire, con lo scambio dei doni di ciascuno,
la vita delle chiese; 2) potenziare, nello stesso
senso, il loro sforzo di presenza nella società,
e molto concretamente nella regione ligure;
infine, e allo scopo di facilitare quanto sopra
3) creare un centro di comunione e di servizio.
È quanto è risultato dal seguente ordine
giorno, votato unanimemente a chiusura :
« I delegati delle chiese evangeliche della
Liguria e del sud-Piemonte, riuniti in Genova
il 9 maggio 1971, udita la relazione sul tema
proposto e la discussione che ne è seguita, decidono di portare a conoscenza di tutte le chiese Vurgenza di una fattiva e operante collahorazione nella regione ligure;
di nominare una commissione che promuova la creazione di un centro di servizio per
rendere possibile:
a) incontri di persone che possano ritrovare il senso della propria vita di iestimonitinza in un confronto diretto con gli altri di fronte alle situazioni emergenti della nostra regione;
b) una informazione e una formazionebiblica e teologica nel cui contesto è la ragione
di esistere e di funzione del centro;
che tale commissione sia formata dai pastori della Liguria e del sud Piemonte, insième ai
fratelli e alle sorelle che verranno nominali
dalle rispettive comunità ».
llllllllllllllimitllllllllllllllllllllilllllMlitlllMIMIIIIIIlllllilllMIIMIIIIMIIIIIItlllMIIIIIIIIIIMIIIIIIMMIIin
Il Servizio slampa-radio-tele visione della
F.C.E.I. organizza, nei giorni 7-8 giugno, un
convegno il cui tema è : « Noi e la televisione ì). Si tratta di un incontro nei quale, in
vista della nostra futura partecipazione ai
programmi televisivi, ci proponiamo di domandarci se una televisione religiosa abbia o
no una sua specifica ragione di esistenza e, in
base ai risultati di questa disamina, come dovrà estrinsecarsi la nostra presenza in questo
settore.
Perché questo convegno, perché ci interessiamo alla televisione? Essa rappresenta oggi
il nuovo Aeropago : possiamo esimerci dal
prendere la parola in mezzo a questa moltitudine che, come gli Ateniesi, corre dietro alle
sue novità e venera i suoi idoli, per annunciare PEvangelo nelle forme e con il linguaggio
di questo tempo?
Il convegno, che affronta per la prima volta
questo problema, vedrà la partecipazione dì
specialisti : il dr. Furio Colombo, responsabile
dei programmi culturali della televisione italiana e studioso del linguaggio; il pastore Michel De Vries, capo del dipartimento delle Informazioni del Consiglio Ecumenico delle Chiese, e altri.
Il programma: ci ritroveremo presso il Centro di Ecumene (Velletri), per la cena di domenica 6 giugno. In serata assisteremo alla
proiezione <li alcuni programmi televisivi religiosi realizzati all’estero. Lunedi 7 vi saranno
le relazioni introduttive di Furio Colombo (il
linguaggio televisivo); di Michele De Vries e
Fulvio Rocco (la televisione «religiosa»:
cos’è? può esistere?). E nel pomeriggio una panoramica sui programmi religiosi in Italia e
alFestero, attraverso delle brevi relazioni di
Giovanni Ribet. Roberto Sbaffi. Giorgio Girardet e Valdo Vinay. Martedì 8 si dovrà affrontare la discussione sul futuro che, dopo
una introduzione di Fulvio Rocco e Roberto
Sbaffi, occuperà il resto della giornata.
Quota di soggiorno e partecipazione al convegno: L. 4.500. Le iscrizioni saranno chiuse il 31 maggio. Il Centro di Ecumene si
trova a circa un chilometro da Velletri, in località Cigliolo.
Per il Servizio
Renato Malocchi - Giovanni Ribet
iiiMiun'.nimnuiimnnniunmunuuinimmimimiiiin
Sta per nascere il NEH
E chi è? Si tratta di un bollettino
che, sotto la sigla NEV (Notiziario
Evangelico) sta per iniziare le sue
pubblicazioni, a cura del Servizio
stampa-radio-tefevisione della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI). È infatti in fase avanzata
di organizzazione un’agenzia di stampa della FCEI, con il compito di mediare all’opinione pubblica italiana,
tramite agenzie e quotidiani, le informazioni di prima mano non soltanto
sulla vita delle nostre Chiese, ma anche delle Chiese all’estero e del movimento ecumenico. Se infatti si può
anche supporre che un certo filtraggio di notizie di questo genere avvenga, nei mezzi di comunicazione di
massa italiani, bisogna anche riconoscere che sinora non era' loro offerto
illllilliiilllllliiiiiin
Per un costante e rinnovato impegno nelle comunità
Nuove sonoscrizioni al fondo dì solidarietà
' Gino Vehone.si, Nel dnqurmlenario delVaperlura della Sala Evangelica in Via della
Vigna vecchia 17 a Firenze^ Op. cil.
iiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiM»iii<iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
TORRE PELLICE
Lunedì 24 maggio, alle ore 21 nella Sala
Operaia di Torre Pellice, Via Roma 7 conferenza pubblica sul tema :
Chi sono e che cosa
vogliono i Baschi
(La resistenza basca e il processo di Burgos)
Parlerà uno dei fondatori e organizzatori
deir E.T.A. (Movimento di resistenza basco).
La conferenza è organizzata dal Centro Culturale « Sergio Toja », in collaborazione con il
Comune di Torre Pellice.
Tulli sono cordialmenle invitati.
Nel numero scorso del giornale è
stata pubblicata la circolare inviata
dalla commissione sinodale ai consigli di chiesa, allo scopo di sensibilizzare sempre più le comunità sui gravi problemi posti ai credenti dal sottosviluppo e dalla missione.
A quest’ultimo proposito, abbiamo
dato qualche numero fa notizie dal
« Centre familial » del Gabon e sulle
missionarie sig.ne Gay e Baudraz, costrette per il momento a lasciare il
loro lavoro a causa delle discordie interne delle locali chiese evangeliche.
A tutt’oggi purtroppo non abbianio
più avuto notizie dirette: ci auguriamo di poterne avere, e di darne, quanto prima.
Frattanto la nostra iniziativa continua e pubblichiamo qui sotto un nuovo elenco di sottoscrizioni, f recenli
scioperi postali hanno causato lorli
ritardi nel recapito dei bollettini di
versamento, per cui diverse oiTerte dei
più fedeli fra i sottoscrittori sono
multiple.
Coll’occasione ricordiamo che le sottoscrizioni vanno possibilmente inviate al conto corr. postale n. 2/39818 intestalo a Roberto Peyrot, corso Moncalieri 70, Torino.
Da Torre Pellice: M. e E. Bein (due vers.)
20.000.
Da Torino: Fam. Caruso (due vers.) 1.000;
N.N. colletta c. Oddone del 4-4-71 10.000;
E. Giordano 10.000.
Da Venezia: D. Ispodamia (due vers.) 5.000;
G. Ispodamia (due vers.) 5.000; sor. Zecchili
(due vers.) 6.000; fam. Viti, (due vers.) 2.000;
C. Bocus 1.000.
Da Campobasso: P. Corbo 2.000.
Da Roma: G. Conti (due vers.) 20.000.
Totale L. 209.000; prec. L. 285.285; in
cassa L. 494.285.
Da Udine: P. Grillo L. 1.000; R. Grillo
1.000.
Da Trieste: II. Rapisarda 3.000.
Da S. Germano Chisone: N.N. con .simpatia
(tre vers.) 15.000; «Cristo è risorto» 5.000;
V. Vinçon Viti 2.000.
Da Bergamo: Un lettore (due vers.) 100.000.
NOVITÀ CLAUDIANA
SERGIO CARILE
Attualità del pensiero
teoloDico metodista
pp. 280, L. 2.900
La vivacità dialettica con la
quale il Metodismo partecipa alle nuove relazioni con altre tradizioni teologiche ed ecclesiastiche, dimostra il potenziale dinamico che esso è in grado di mettere in comune con le altre chiese. E questo il « dono » del Metodismo al pensiero religioso moderno.
5
2] maggio 1971 — N. 21
pag. 5
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
Alla ricerca del (non minimo) común denominatore
Una tavola rotonda, nella ¡chiesa valdese di Milano, sulla presenza cristiana
nel mondo, ma i giovani mancavano: hanno scosso la polvere dai loro calzari? e gli adulti si rendono tutti conto della vera portata delle tensioni odierne?
Milano, 15 maggio 1971
Ieri sera in via Francesco Sforza alla fine
di una discussione indetta col titolo forse non
molto preciso di « Tavola rotonda sulla presenza cristiana nel mondo » sembrava, come
generalmente avviene quando ci si stringe la
mano augurandosi la buona notte, che tutti
fossero soddisfatti delle cose udite e dette. Ma
si percepiva pure un senso di disagio e di
tristezza dovuto anche alFesiguo numero di
presenti ed all’assenza di chiunque fosse al
disotto di trent’anni in una riunione che voleva recare un modesto contributo al problema, attuale e spesso acutissimo nelle chiese dì
tutto il mondo, della miglior conoscenza tra
« conservatori » e « progressisti ». Questi termini peraltro non convincono molto e non
denotano certo molto spirito conciliante, fece
subito notare uno dei due pastori relatori, Roberto Nisbet, il quale pose al centro del suo
esposto i concetti fondamentali dell’attuale movimento «confessante » tedesco riassumendone
le sette tesi a suo tempo commentate dalr« Eco-Luce » ed esponendo le maggiori cri
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllilllllllllllllllllllllllil
Per la pensilina caperla
dell'asiln per anziani
di S. Germann Cliisnne
Al Signor Manfredini Arturo, ospite dell Istituto e promotore della raccolta di fondi
a nome degli assistiti, sono pervenute le seguenti altre offerte:
L. 100.000 : Gönnet Irene, Torino.
L. 30.000 : Monnet ved. Tron e famiglia,
S. Germano, in memoria di Tron Gustavo.
L. 25.000: TrufFet Andrea, S. Germano, in
memoria di Bounous Olga son Filleul.
L. 20.000: Long Susanna, S. Germano;
Cairus Stefano, Villar Pellice; Rivoira Ilda,
S. Germano, in memoria suoi cari; Griset
Emanuele, Torino.
L. 15.000: Unione Femminile, S. Germano.
L. 10.000: Colombatto Maria, ved. Alessio,
S. Germano; Martinat Emilio e Sig.ra, S. Germano; in memoria Musso Luigi dai suo cari.
S. Germano; Travers Aldo, moglie, nuore, figli, S. Germano; Rostan Ira e Mamma, S.
Germano, rie. Rostan Edoardo. Musso Luigi,
Peyronel Guido; Forneron Rosalia, S. Germano, in memoria Maestra Bounous Olga;
Grill Enrico, Frali; M. Long, moglie e figli,
Pramollo; Bounous Enrico e famiglia, S. Germano; Davit Luisa. Frali, in memoria Suor
Valentina Volterra: Foppiano Ghignon, Torino: Vinçon Eli, S. Germano, in memoria della zìa; Bounous Enrichetta. Chiotti Riclaretto; N.N. lettera prov. Villar Perosa; Balmas
S.. Milano; Ferrer Franco, S. Germano; Ravazzini Alberto, Milano; Manari Dott. G., S.
Germano: Serafino Luigia e Italo, Pinerolo,
in memoria del figlio Adolfo; Sappè Cao Adolfo. S. Germano; Monti Prof. Igino e Sig.ra,
S. Germano.
L. 8.700: Compagni lavoro RIV-SKF Alessio e Guido Comba, Inverso Porte.
L. 6.000: Pinola Coletta, Casa Riposo S.
Germano; Coniugi Paschetto, Luserna San
Giovanni.
L. 5.000: Benyre Rodolfo, Pinerolo; Bouchard Carlo e Signora, S. Germano; Coucourde
Emanuele, Anglesina Annalisa, S. Germano;
Rostan Ezio e Neilina. S. Germano, ricordo
loro cara; L. N. Rostan, Milano; Long Ernestina, S. Germano; Meytre Arturo, S. Germano; Aldo e Dadina Anonimo, in memoria
tante Rita: Vinçon Clelia, S. Germano, in
memoria della Zia; Menusan Renato e Alma,
Ruata di Pramollo, in memoria dello zio Edvino; Long Ernesto, Abbadia Alpina; Tomasetti Carmela Maria. Torino; Balmas Giovanni e Sig.ra, S. Germano, in memoria loro
cari; Beux Ida Vcd. e figli, S. Germano, in
memoria suoi cari; Schellenbaum Irma, Milano; Bounous Volavilla, S. Germano; Bouchard
Gustavo, Prarostino; Lavizzari Guido. Milano:
Raspagni Enrico, Milano; Unione Madri, Inverso Pinasca; Long Ivonne, S. Germano;
Sappè Bruno e Adriana, S. Germano; Podio
Lidia, Milano; Coucourde E., A. A., S. Germano, in memoria Tante Anglesina: Blanc
Elsa, S. Germano: Bonomi E. e G.. Milano;
L. 4.000: N. N.
L. 3.000: Cairus Maddalena. Villar Pellice;
Tetlamanti Cav.. Rovereto; Combellotti Ezio,
Torino.
L. 2.000: Paget Nino, Prarostino; Bouchard Elma, S. Germano: Luzzani Dr. Angelo, Milano; Coniugi Peyla.
L. 1.500: Del Pesco Piero, Milano.
L. 1000: Cianforan Nelly, S. Germano;
Long Elisa, S. Germano; Zaccari Pietro, .Milano, Gay Lisetta, Torino, in memoria di Vinçon Elena.
Totale precedent, pubblicato L. 1.018.400;
totale nuovo elenco 637.200; imporlo complessivo ricevuto a tutto il 2-1-19/1 1.655.600.
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tiche da esse sollevate, non ultima quella di
accentuare la scissione del mondo protestante
tedesco. Secondo Giorgio Tourn, Paltro relatore, pur non trattandosi naturalmente di difendere una o l’altra posizione, sbaglia quel
movimento nel voler conciliare un certo pietismo nel rapporto personale del credente con
Dio e vari aspetti della teologia barthiana. Per
noi protestanti italiani sia chiaro che l’impostazione delle tesi di Francoforte è essenzialmente teorica e può portare a irrigidimenti
non certo costruttivi mentre ciò che conta è
il rapporto della chiesa con il mondo reale
in cui viviamo : è questo il problema della
generazione dei vent’anni la quale, anche se è
assente in aula, lo affronta volentieri per
esempio a Cinisello, in certi campi di Agape,
in una parte della nostra stampa. Ora, attraverso questa generazione, ci è « venuto addosso » — come dice il pastore Tourn — il problema politico perché come chiesa, non abbiamo saputo porre quelli corrispondenti ai
tempi.
Poiché siamo in grado di conoscere la causa del vuoto creato dai giovani, non vi sono
più scuse ormai per non affrontare i problemi
e per non parlarne apertamente. Parlare e
riparlare, discutere, spìngere al massimo la
sincerità, non temere di spiegare le proprie
posizioni politiche, ed il proprio atteggiamento
sulle questioni sociali, culturali, personali,
sessuali, che ci inquietano, che ci tormentano,
che non possiamo trascurare né ignorare ; vari
convenuti sembravano d’accordo ma, a dir
vero, qualche intervento palesò subito quando
la semplice sincerità rischi di urtare e quanto
la discussione abbozzata solo superficialmente
rischi di bloccare le posizioni assunte anziché
produrre maggior inntesa. Non solo, ma la
sincerità, quando si esprime improvvisamente
all’infuori di un più ampio contesto, può portare ad affermazioni di sapore demolitore, a
visioni troppo lontane da noi pìccoli uomini
le quali, espresse da pastori, creano forse incomprensione ed allarmismo nocivi a qualcosa che si possa chiamare avvicinamento reciproco.
Nella ricerca della sincerità — che è anche concisione e chiarezza — al limite, andando oltre alle cose dette ieri sera, si potrebbero anche esprimere le semplici considerazioni seguenti : se uno di noi ritiene che la
guerra in Vietnam sia dovuta a desiderio di
potere e di conquista da parte di un popolo
che venticinque anni or sono consideravamo
nostro liberatore; che la polizia sia ovunque
spesso brutale e disumana: che la orotesta
anche violenta dei giovani è comorrnsibile e
perfino scusabile; che la libertà di costume e
la scelta di parole considerate dìsdicevoli fino
a poco tempo fa sono fenomeni da accettare;
che ognuno è padrone dei propri capelli e che
può portarli lunghi o corti come meglio crede; se un altro di noi invece ritiene che la
guerra del Vietnam è necessaria per evitare
altre e maggiori sciagure; che Lordine va
osservato anche a costo di qualche asprezza
poliziesca; che non si capisce che cosa vogliono i giovani i quali dovrebbero semplicemente « studiare da bravi come facevamo noi »;
che il vestire delle donne è indecente e quello degli uomini ridìcolo; che « certe parole »
non si usano; che i capelli devono essere tagliati come usava Umberto I e non come
usava Garibaldi; se dunque due di noi hanno questi atteggiamenti qui molto banalmente
espressi, per il fatto che siamo o che cerchiamo di essere cristiani in una stessa chiesa, possiamo meglio capirci, aiutarci a dare un volto
unitario alla nostra chiesa, combattere insieme l’angoscia che ci pervade? Ovviamente
questo « comune denominatore » dovrebbe’.anzi tutto farci entrare meglio nelle idee dell’altro, farci accettare con benevolenza e con
affetto le opposte idee social-politiche... È con
parole appunto di speranza nella comprensione é nella carità che il pastore Aldo Sbaffi
chiuse la riunione mentre al compilatore di
questa nota veniva in mente l’inizio di un
recente volumetto di un altro pastore, la teologa D. Solle. Sempre nella linea della sincerità citiamo il testo che ci sembra meritevole
di attenzione; « Noi viviamo in un tempo in
cui la fede in Cristo è minacciata più di tutto
da coloro che vogliono conservarla con gran
cura. Essi temono i mutamenti in abitudini
ormai assestate di pensiero e di vita; considerano le riforme come opere demolitrici e
preferirebbero nascondere in un cofano dorato
un Cristo che fosse intangibile e quindi in
contatto con nessuno, che fosse immutabile e
che quindi non muterebbe nessuno, che fosse
eternamente valido e quindi il più possibile distante dalla nostra realtà... L’incarnazione significa precisamente che le fede ha una propria storia non conclusa. Una storia liberatrice delle nostre possibilità in un orizzonte
aperto ».
R. 1.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Pomaretto
Per Vospedale di Pomaretto la Corale e la
Banda musicale hanno offerto un programma
al cinema Edelweiss con una presentazione
dei problemi deH'osp(Rale nelle prospettive future. Ringraziamo il Pastore Aime responsabile della serata e direttore dei cori, il Signor
Bernard Arturo nonché la corale e la banda
per il segno di collaborazione offerto per il
nostro ospedale. Un grazie al signor Pons .Attilio per l’ospitalità.
Il Pastore Grefe della colonia valdese di
Waldensberg ha parlato ai ragazzi della Scuola
Latina ed al culto interessandosi alle opere
della nostra chiesa.
Il maggiore Longo dell’Esercito della Salvezza nella sua visita annuale ha parlato agli
alunni della Scuola Latina e dato un messaggio al culto delEospedale; lo ringraziamo di
cuore.
Ringraziamo Gianna Sciclone per il culto
da lei presieduto recentemente a Pomaretto.
Domenica 16 Yassemhlea ha discusso con
una certa animazione la relazione ed i problemi locali; ha provveduto a nominare quali delegati le seguenti persone: per il Sinodo Attilio Pons e supplente Eliana Bouchard; per la
conferenza: Guido Baret, Renato Long, Viola
Rostan; ha segnalato quale candidato per la
rosa dei nomi di delegati della conferenza distrettuale al Sinodo fa signora Viola Rostan
nella fiducia che la Conferenza riveda le sue
linee dello scorso anno in omaggio alla giustizia.
Sabato 29, ore 20,30: riunione di studio
biblico presieduto da Giorgio Tourn al presbiterio di Ferrerò, per quanti si interessano .alla
Bibbia; seguirà un altro incontro il 6 giugno,
ore 14,30, a Maniglia, sempre nella stessa
linea.
Domenica 30, Pentecoste: confessione di
fede dei catecumeni e Santa Cena alle ore 10.
Domenica 13 : visita del gruppo salutista di
Torre guidato dal maggiore Longo; culto al
mattino e riunione al Clot Inverso, con serena
fiducia che la comunità dell’Inverso accorra
numerosa.
La nostra simpatia alle famiglie Ribet per
la dipartenza del fratello Gustavo dei Cerisieri e alla famiglia Berletto dei Maurini per
la dipartenza di Gustavo Vinçon.
Ringraziamo il rev. Don Trombotto ed il
gruppo degli amici dello scomparso. Riccardo
Toya per l’offerta di L. 10.000 raccolta durante la cerimonia funebre, per la nostra
Scuola Materna. Ringraziamo per il pensiero
ed alla famìglia esprimiamo la nostra profonda solidarietà cristiana nell’ora difficile della
separazione.
Un gruppo di cattolici e di valdesi si ritrova da qualche tempo a Torre
Pellice e discute i problemi delle comunità confrontandosi con il Vangelo.
In questo tempo il gruppo si è reso conto
— che abbiamo come unico e identico Salvatore Gesù Cristo;
— che il Signore chiama ciascuno di noi e le nostre comunità ad una
autentica riforma per farci dono della sua unità;
— che ci sono tanti problemi comuni che non dobbiamo più affrontare separatamente.
Perché cambi qualcosa bisogna iniziare uno stile nuovo di ricerca e
di rapporti con dei gesti concreti.
Per questo si intende fare un incontro a Pinerolo nella sala della Chiesa Valdese di Pinerolo, via dei Mille 1, il giorno di Pentecoste (30 maggio)
sul tema:
Lo Spìrito Saoto e la riforma
delle flostre comonità
PROGRAMMA
ore 15 - Culto in una sala con riflessione comune sui seguenti testi:
Ezechiele 36: 23-28; Romani 8: 9-17; Gal. 5: 13-15; 6: 2,
- Dopo il culto ci si propone di proseguire rincontro con una
discussione in gruppi su alcuni dei problemi che in questo momento si pongono nella nostra società,
ore 17,30 - È prevista la chiusura dell’incontro.
Sono invitati tutti i membri delle comunità del Pinerolese e delle Valli.
Torre Pellice, 18 maggio 1971
(per il gruppo)
Claudio Bertolotto, Jolanda Bertone, Ezio Borgarello. Erica Genovesio, Laura Trossarelli, Mirella
Bein, Ketty Comba, Fiorentine Eynard, Franco
Girardet, Laura Nisbet, Olga Sibille.
In Val Germanasca
Riflessioni critiche sulla festa di canto
delle corali e delle scuole domenicali
Una festa di canto un po’ particolare ha
avuto luogo il 9 Maggio a Massello. Oltre alle
Corali e alle Scuole Domenicali della Val Germanasca era infatti presente anche un simpatico gruppo di 'Pentecostali, provenienti dalle comunità di Venaria e Pianezza. La festa
cosi, invece di avere il carattere di una verifica della preparazione delle Corali, è diventata un’occasione di edificazione reciproca e
dì confronto di posizioni dì fede.
Edificazione reciproca: alcuni di noi hanno avuto per la prima volta in questa occasione un contatto con i fratelli pentecostali.
Essi hanno dato la loro testimonianza per
bocca del fratello V. Buso, il quale più che
parlare del movimento in sé ha cercato di dire
come il Signore avesse operato nella loro comunità. Un discorso nuovo per molti di noi, abituati ad un certo pessimismo e a una certa
sfiducia nei confronti dell’azione di Dio; poco
propensi a vedere, se non in una dimensione
individualistica ed intimistica, l’operare di Dio
come qualcosa di concreto oggi. Nei loro canti
essi hanno poi espresso la loro gioia : gioia di
appartenere al Signore, gioia di essere stati liberati, gioie facili, orecchiabili, accompagnati
dalle chitarre : un modo insolito di cantare in
chiesa. Chi è abituato alla compostezza delle
melodie del nostro innario, ha scoperto che è
possibile cantare seriamente anche sorridendo,
che per cantare bene non è necessario avere
le facce da funerale, ma che nel canto si deve
anche esprimere l’allegrezza del credente per
la salvezza.
A questo tipo di inni e al loro messaggio
ha fatto riscontro la pacata armonia delle nostre melodie e di un messaggio maturato o nel
clima della Riforma, oppure del Risveglio. Un
messaggio certo più calibrato di quello dei
Pentecostali, teologicamente più curato, ma la
cui comprensione è certo molto meno immediata di quella dei loro inni, molto meno intuitiva, molto meno corrispondente alla fede
delle nostre chiese ed in particolare agli strati
giovanili delle nostre comunità.
La Riforma (purtroppo nei suoi sottoprodotti del Pietismo e del Risveglio) si è incontrata con l’entusiasmo pentecostale : due modi
molto diversi di esprimere la fede, due accentuazioni diverse della fede, che si sono però
incontrate nella comune testimonianza a Cristo. È bene vedere in tutta la loro diversità,
ma anche nella loro profonda unità questi due
modi di cantare, questi due modi di rispondere
all’azione e alla vocazione del Signore.
Confronto di posizioni: anche se si tratta di
due diverse posizioni che convergono verso il
Signore, ambedue valide, autentiche, bisogna
però dire che quella dei Pentecostali dava
rìmpressione di essere qualcosa di veramente vissuto, mentre la nostra sembrava essere
nulla di più che un rudere archeologico.
Tecnicamente valide le nostre melodie erano,
a dir poco, cose da museo; le nostre parole,
teologicamente centrate (ma pecchiamo di generosità), esprimevano la fede dei nostri bisnonni : una fede certo vera, vissuta e genuina,
ma purluttavia loro e non nostra, una fede
dalla quale deriviamo, ma sulla quale non abbiamo costruito nulla di nuovo. Un po’ come
se loro avessero gettato delle fondamenta buone, solide, con l’intesa e la speranza che noi
continuassimo poi l’opera, e invece tutto è rimasto li; ed il tragico è che noi, pur avendo
soltanto degli spezzoni, ci illudiamo di avere
qualcosa di ben finito, e intanto le nostre
chiese si svuotano...
Le nostre corali, tutte veramente ben preparate, hanno però dato Timpressione di essere
un fatto solo culturale; il loro sforzo di preparazione, il loro impegno, la loro serietà son
purtroppo rimasti a mezz’aria, senza incidere
nella comunità. Si è rivelata così la scissione
tra la fede e la vita: noi viviamo nel 1971,
perfettamente integrati nella società del nostro tempo, ma cantiamo secondo la fede del
1800.
Non è soltanto questione di scelta di inni,
anche se quest’anno essa è stata alquanto infelice, sia per le Scuole domenicali che per le
Corali (ci scusi la Commissione del Canto Sacro!); è una questione più di fondo: investe
tutto quanto il Nuovo Innario, il nostro modo
di essere Chiesa e di comprendere l’Evangelo.
Non possiamo continuare trastullarci nel cantare inni e melodie indubbiamente valide dal
punto di vista musicale, faticosamente restaurate dalla Commissione dì canto sacro, ma
che puzzano di naftalina. Prendiamo ad esempio gli inni della Scuola domenicale : quale
sforzo hanno dovuto fare i monitori quest'anno per insegnare ai bambini inni come il 93
(italiano) o il 127 (francese)! A parte le parole
diffìcili, le espressioni barocche, la problematica dì questi inni può essere compresa da una
per.sona adulta, ma non da un bambino e
neppure da un giovane. L’unico inno che si
salvasse un po' era forse il 16 (italiano), che
infatti i bambini hanno cantato con un certo
entusiasmo. Molto apprezzato, quindi, in questo contesto, è stato il contributo della Scuola
domenicale di Frali, che però ha cantato un
inno non compreso nella nostra raccolta.
Ora c’è da pensare se non sìa una barbarie
costrìngere dei bambini ad entrare in certi
schemi musicali e teologici a loro del tutto
estranei e se noi in tal modo non otteniamo il
risultato dì spengere in loro quel po' di entusiasmo e di gioia per il Signore. Il loro allontanamento dalla Chiesa subito dopo la confermazione non è forse in buona parte dovuto anche alla nostra diseducazione ad esprimere una fede autenticamente vissuta, e alla
nostra incapacità a trasmettere loro delle cose
vere, anziché dei pezzi da museo, dei quali
non si faranno mai nulla nella loro vita?
Per la cronaca diciamo solo che la partecipazione delle corali è stala Iiuona; un po'
meno buona invece quella delle Scuole domenicali. Il tempio comunque era gremito. La
giornata bella, dopo una serie di giorni piovosi. ha facilitato la buona riuscita deH'incontro. Terminala la parte in chiesa, le Cora
li si sono ristorate con una tazza di thè, mentre i bambini sono stali liberi di correre e
giocare per i prati.
È stata fatta la proposta di andare a cantare negli Istituti; speriamo che essa sia raccolta. Così pure è stata avanzata l’idea di
svolgere l’anno prossimo la festa non nell’ambito della Valle, ma di andare a visitare una
comunità della pianura; ci auguriamo che anche questa proposta non cada nel vuoto.
L. D.
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIMIIIIIIItlllllllllllllllllllllllilllllllllll
Il parere
della nostra assemblea fiorentina
Roma nel CEC? Per gradi
Speriamo di essere maturi, domani,
per un passo che oggi sarebbe catastrofico per il movimento ecumenico
L’Assemblea del 3 aprile non ha dibattuto
che un argomento, quello su una valutazione
ecumenica del Cattolicesimo Romano. Dopo
una introduzione del fratello Caponetto gli interventi si sono susseguiti fin oltre il tempo
che ci eravamo dato. È stato infine votato il
seguente ordine del giorno :
« L’Assemblea della Chiesa Evangelica Valdese di Firenze, riunita il 3 aprile 1971, dopo
avere esaminato il problema di una eventuale entrata della Chiesa cattolico-romana nel
C.E.C., considera che:
1) è ancora troppo vicino il tempo nel
quale la Chiesa Romana, con documenti ufficiali, ha più volte preso posizione contraria al
Movimento Ecumenico, per cui si rende necessario un prolungato periodo di collaborazione e di studio alla luce dell’Evangelo fra Chiese appartenenti al C.E.C. e Chiesa Romana,
al fine di superare situazioni che non si possono ignorare;
2) sì debbano esaminare più a fondo alcuni problemi essenziali, quali : a) i rapporti fra la struttura teologica del C.E.C. e il magistero papale; 6) l’azione politica della Chiesa Romana in connessione con lo Stato Città
del Vaticano; c) le finalità, e i limiti dell’ecumenismo cattolico; d) il significato del cattolicesimo del dissenso nella situazione attuale
della Chiesa Romana stessa.
« L’Assemblea ritiene che una eventuale entrata della Chiesa Romana nel C.E.C. rappresenterebbe un rischio grave per tutto il Movimento Ecumenico, ma considera che —
quando i problemi accennati avranno avuto
adeguata soluzione — questo rischio potrà essere corso, in un atteggiamento di comune
umile ricerca di fedeltà alla Parola di Dio ».
Questo ordine del giorno, risultato di una
serie di tagli, rifacimenti, ricuciture, ecc., non
oseremmo dire che è in uno splendido italiano; in sostanza ci dice questo: veniamo da
quattro secoli di contrasti, sperimentiamo a
lungo i benefici della fraternità e chiarifichiamo dei problemi di fondo: in un domani sasemo maturi per un passo che oggi può risultare catastrofico per il Movimento Ecu
RINGRAZIAMENTO
Le famiglie Toya e Berger, commosse per Timponente dimostrazione di
stima e affetto, tributati in occasione
della tragica dipartita del loro carissimo
Riccardo
neH’impossibilità di farlo personalmente, riconoscenti, ringraziano in
modo particolare: i primi soccorritori,
il dottore, le autorità, la banda musicale di Pomaretto, gli amici e compagni di lavoro, coscritti e quanti con
scritti, fiori e partecipazione ai funerali hanno preso parte al loro immenso dolore.
RINGRAZIAMENTO
Nous mourrons, mais pour renaître.
La mort n’est qu’un doux sommeil.
Bientôt Jésus va paraître:
Ce sera le grand réveil.
I familiari del compianto
Clemente Bertalot
commossi per la sincera dimostrazione di affetto tributata al loro Caro,
sentitamente ringraziano.
Un particolare ringraziamento al
dott. Bertolino, al Pastore Sig. Bertinat, ai Titolari e Maestranze Ditta
Martin, ai vicini di casa e a tutti coloro che in qualsiasi modo sono stati
di aiuto e di conforto.
Inverso Porte (Borgata Castellazzo)
10 maggio 1971
Vacanze al mare
Pensioni familiari e
alberghi confortevoli
Bassa stagione da L. 1.800-2.000
Alta stagione da L. 2.300-2.900
Informazioni: Revel Egidio
Hôtel Elite
47045 Miramare di Rimini
6
pag. 6
N. 21 — 21 maggio 1971
I NOSTRI GIORNI
UOMINI, FATTI, SITUAZIONI
Mafia
La mafia: nata in una Sicilia delusa, tradita e sfruttata indegnamente
per secoli dalle classi dirigenti, esportata in America dove si è potenziata
e perfezionata « tecnicamente », si sta
ora manifestando in tutta la sua virulenza sul territorio nazionale, dal regolamento di conti a Torino a quello
di Palermo. Anche se lo si dice poco,
si sa infatti che il magistrato ucciso
nel capoluogo siciliano era stato deferito al Consiglio superiore della magistratura dalla commissione antimafia.
Questi episodi clamorosi si originano dal sottofondo delle illegalità, delle rispettive « zone di influenza », dell’infame commercio di braccia umane, dell’emigrazione.
L’autorità governativa anche in questo caso ha sempre dimostrato una
inerzia e una mancanza di volontà per
lo meno sospette nel non affrontare
con energia e senza riguardi per nessuno questo cronico problema che tanto ha contribuito al... buon nome degli italiani in seno all’opinione pubblica mondiale.
Il nuovo quotidiano di sinistra II
Manifesto, nato da poco e pubblicato
— come noto — dai dissidenti usciti
dal partito comunista italiano, ha rivelato l’esistenza di un rapporto della commissione antimafia rimesso sin
dal 1965 ai presidenti delle Camere,
nel quale venivano denunciate le responsabilità della municipalità di Palermo. Il Manifesto chiede perché quel
testo è stato insabbiato per sei anni
negli archivi del Parlamento mentre
esso denunciava precise collusioni fra
la mafia e i poteri municipali di Palermo.
Ora, la commissione antimafia ha
anticipato la pubblicazione di qualche
documento. Pur trattandosi di relazioni non trascurabili, si tratta di documentazioni su situazioni note e arcinote: rapporti fra ammiviistrazione
pubblica e operatori mafiosi, i mercati ortofrutticoli, l’edilizia, il contrabbando di tabacco e di stupefacenti, la
fuga e la protezione di noti mafiosi,
ecc.
Ma la relazione sui rapporti fra mafia e politica è rimandata a tempi migliori. Già, stavamo per dimenticare
che il 13 giugno vi saranno le elezioni.
Jugoslavia
e Cecoslovacchia
In Jugoslavia nei giorni scorsi si è
tenuto, a Serajevo, il II Congresso dell’autogestione. Un parlamento di duemila operai, tecnici ed economisti ha
analizzato senza reticenze e falsi scrupoli alcuni aspetti della crisi del paese. Si è infatti denunciata la corruzione di certi dirigenti, la presenza di
imbroglioni, di parassiti e di megalomani: tutto il mondo è paese, ma almeno là li mettono (non certo tutti)
alla gogna.
Indubbiamente, qualcosa non ha
funzionato nell’applicazione dell’autogestione, e la crisi economica del paese si è aggravata. Lo stesso Tito ha ri
L’Italia e il Sudafrica
Come si comporta l’Italia nei riguardi dello Stato più razzista del mondo,
il Sudafrica? Mentre a parole depreca
l'apartheid, di fatto lo appoggia con
notevoli relazioni economico-commerciali. Ma la cosa che più dispiace è che,
oltre ai commerci dei privati, sia lo
stesso Stato colle sue aziende a favorire e a commerciare con un governo
che costituisce una vergogna per chi
crede nella dignità e nell’uguaglianza
degli uomini.
Ecco alcuni dati ricavati dal n. 18
del settimanale ABC ;
L’Ates (gruppo IBI) fornisce transistors per apparecchiature elettroniche;
l’Asgen (gruppo IBI) esporta trasformatori; la Selenia (gruppo IBI) invia
equipaggiamenti per radar; la Montedei (gruppo MONTEDISON) fornisce
componenti elettroniche; l’Alfa Borneo
(IBI) ha impiantato una fabbrica per
montare in loco i propri veicoli.
cordato al Congresso le cause principali di questa crisi: gli sprechi, la
concorrenza sleale fra le aziende, il
costante rialzo dei prezzi, l’aumento
delle importazioni, la frenesia di investimenti ingiustificati. Dopo questa
diagnosi, Tito ha affermato la superiorità del sistema dell’autogestione,
in alternativa agli altri sistemi socialisti, in quanto esso è teso a realizzare gli ideali di un socialismo umano,
retto sui diritti e sulle forze creatrici
dei lavoratori.
La discussione si è poi portata inevitabilmente sulla situazione politica:
rapporti fra le diverse repubbliche federate, rivalità di gruppi nazionali,
spinte autonomiste che rischiano di
disintegrare lo Stato. Tito ha reagito
piuttosto vivacemente, anzi — almeno
a parole — duramente, alludendo ai
pericoli dell’abuso di democrazia nel
socialismo promettendo nel contempo
drastiche epurazioni fra i nemici « vecchi e nuovi » dell’unità del paese. La
impressione tuttavia è che Tito voglia
cercare di esautorare i politici « frazionisti » tutt’altro che rari in un paese multinazionale come la Jugoslavia.
L’altra notizia proveniente dal mondo socialista, precisamente dalla Ce
coslovacchia, è sconfortante: il presidente Svoboda nei giorni scorsi, in un
ordine del giorno all’esercito emesso
in occasione del 26» anniversario della
liberazione della Cecoslovacchia da
parte delle truppe sovietiche, ha elogiato l’intervento dei militari del blocco di Varsavia dell’agosto 1968, intervento che, secondo lui, ha permesso
di porre fine alla crisi del paese. Egli
ha affermato che « l’aiuto internazionalista » dei paesi socialisti fratelli diretti dall’Unione Sovietica ha condotto al progressivo consolidamento e alla realizzazione degli attuali risultati
positivi nella vita sia politica che economica.
Ricordiamo quale era stato l’atteggiamento di Svoboda nei riguardi del
« nuovo corso » cecoslovacco e nella
nostra ingenuità non sappiamo se il
suo attuale rientro nei ranghi della
politica ufficiale del suo paese sia dovuto ad una sua effettiva convinzione
o a una qualche tattica che gli consenta qualche contropartita per il suo
paese e il mantenimento della carica. ,
Frattanto, il partito comunista sovietico ha concesso al p. c. cecoslovacco la definitiva patente di normalizzarione. In una lettera, infatti, i comunisti sovietici esprimono la loro « gioia
sincera nel constatare come i comunisti cecoslovacchi hanno saputo risalire una grave crisi politica, hanno
restaurato il ruolo dirigente del partito nel paese e l’unità dei loro ranghi sulle basi del marxismo-leninismo
e sono giunti a normalizzare la situazione nella vita della società e nello
sviluppo dell’economia nazionale ».
Tanto, volevo scendere...
Parecchi lettori conoscono certamente la barzelletta di quel tale che,
caduto da cavallo, esclamò: « Tanto,
volevo scendere! ». Essa ci è tornata
in mente nel leggere che la Cina nazionalista, o di Formosa, ha preso nota con favore dei nuovi contatti fra
gli Stati Uniti e la Cina popolare.
Recentemente infatti il capo per la
propaganda del Kuomintang, in un articolo apparso sui giornali di Formosa, ha espresso la certezza che i contatti fra i cinesi e gli americani favoriranno « la politica di liberazione della Cina continentale auspicata da Formosa ». Il dirigente nazionalista ritiene ehe la possibilità che avranno parecchi giornalisti di recarsi nella Cina popolare consentirà all’opinione internazionale di « perdere le sue illusioni sul regime comunista ». Per contro, « l’affluire del pensiero e dell’atteggiamento democratico » portati dai
visitatori occidentali dovrebbe creare
dei problemi ai comunisti cinesi. Quest’uomo politico pare ignorare del tutto i vari libri e articoli di scrittori e
studiosi, anche non comunisti, che si
sono recati negli ultimi anni in Cina,
e che hanno dato un parere tutt’altro
che negativo sugli immensi e validi
sforzi compiuti per ridare alla Cina
dignità e prestigio nel consesso internazionale. Anche le reazioni degli
sportivi americani che si sono colà
recati in occasione degli incontri di
tennis da tavolo sono state di stupita
ammirazione per le realizzazioni della Cina popolare.
Com'è noto, fino a pochissimo tempo fa. Formosa aveva chiaramente fatto presente agli Stati Uniti — suoi alleati e protettori — la propria contrarietà a qualunque contatto fra Washington e Pechino, e tanto più in relazione alla possibilità di un voto favorevole deH’America per l’ammissione della Cina all’ONU. Qra, questo suo
improvviso mutato atteggiamento fa
ritenere che la Casa Bianca abbia
esercitato delle « pressioni » davanti
alle quali essa non può che inchinarsi.
Roberto Peyrot
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
SOCIALISMO SENZA MARXISMO?
■A" Paolo VI parla di socialismo senza marxismo, anzi lo raccomanda. A
noi le sue parole non interesserebbero, se non richiamassero curiosamente l’intervista che un illustre scienziato francese, il prof. Jacques Monod,
ha recentemente concesso ad un gruppo di giornalisti. II Monod è premio
Nobel 1965 per la biologia, autore d’un
libro di filosofia: « Le hasard et la nécessité », tradotto in tutte le lingue,
che ha fatto gran chiasso.
Gli scienziati non hanno fama di capir molto di politica. Ma la storia veramente eccezionale del Monod (comunista durante la guerra e partecipante alla resistenza, contestatore insieme agli universitari nel 1968, attualmente uno dei massimi ricercatori nell’Istituto Pasteur, accademico di Francia ecc.) rende l’intervista particolarmente interessante. Ne riportiamo alcuni punti.
Il Monod s’è distaccato non solo dal
comunismo, ma anche (e in modo profondo) dal marxismo, sostenendo ora
che « il materialismo dialettico è incompatibile con la scienza. Infatti esso consiste in un'interpretazione soggettiva della natura, inaccettabile per
un uomo di scienza.
« Il materialismo dialettico è una
ideologia totalizzante (non dico totalitaria) che pretende spiegare tutto
l’universo, cosa incompatibile con l’atteggiamento scientifico. Si può trovare
la soluzione del problema, in sostanza,
nel famoso rovesciamento della dialettica hegeliana operato da Marx.
In una filosofia puramente idealista,
come quella di Hegel, l’esistenza (net
senso preciso del termine) non appartiene che allo spirito: ed è perciò abbastanza naturale che si ricerchino le
leggi dello stesso universo nella nostra
nozione soggettiva del movimento del
pensiero. Le famose leggi della dialettica non sono altro che l’espressione
del sentimento soggettivo di contraddizioni soggettive.
Ma allora, rovesciare la dialettica
hegeliana (dire cioè: essa non è nello
spirito, bensì nella natura, e lo spirito
non fa che riflettere il movimento della natura che è esso stesso contraddizione ascendente ecc.) significa fare
quello che io chiamo la PROIEZIONE
ANIMISTA (ho inventato io stesso
quest’espressione). Significa far l’ipotesi che le leggi della natura possano
e debbano spiegarsi allo stesso modo
che noi ci spieghiamo a noi stessi,
cioè allo stes.so modo che noi stessi
sentiamo la nostra propria attività come soggettiva e proiettiva.
Noi pensiamo sempre protesi verso
il futuro: è questa la funzione biologica del nostro sistema nervo.so centrale. Ma proiettare questo tipo d’attività nella natura stessa, significa
rompere con quello che io considero
come il postulalo fondamentale della
scienza: la natura è obiettiva e non
proiettiva ».
Richiesto sul suo passato comunista
e marxista (attività nel partito comunista clandestino, 1943-45), il Monod
ha risposto: « Sono stato, e sono tut
tqra socialista. Semplicemente un
giorno m’è apparso chiaro che il marxismo, lungi dall’essere l’ideologia che
conferisce al socialismo la sua solidità, è l’ideologia chef ha totalmente deformato il socialismo, facendolo uscire dalla sua vera natura. (...)
A mio parere, una teoria socialista,
prima daffrontare problemi economici, sociali e politici, dovrebbe proporre una teoria dei valori. Infatti non
è sufficiente (come tentano di fare i
movimenti giovanili) respingere in
blocco la cultura tradizionale e i valori in questa contenuti... ».
(Da « Le Nouvel Observateur », riportato da « Lecturcs pour tous » del
maggio 1971).
Noi personalmente abbiamo spesso
pensato in modo analogo al Monod,
ma siamo meno decisi e sicuri nella
conclusione, perché non troviamo né
il marxismo, né tanto meno il socialismo, definiti con sufficiente precisione e chiarezza.
IL DOLLARO E LA GUERRA
■^ « È facile dimostrare che la politica militare americana (e più particolarmente la guerra del Vietnam) è
all’origine dell’inondazione di dollari
di cui soffre l’Europa. (...) Donde proviene tale inondazione? In parte dai
profitti spettacolari dei gruppi industriali fornitori d’armamenti (il Congresso americano non cessa d’inquietar sene). In fin dei conti, questi dollari troppo facilmente guadagnati, vengono investiti nei paesi avanzati nei
quali la mano d’opera non è ancora
troppo cara: in primo piano, l’Europa. Un esempio fra cento: i milioni di
dollari che la fabbricazione di armi
di vario tipo (in particolare di munizioni genere "dum-dum”, vietate dalle
convenzioni di Ginevra, dei fucili automatici M-16) fa affluire nelle casse
d’una certa grande industria d’automobili, servono a questa per rinforzare le sue officine europee d’automobili.
Ma le “spese militari dirette’’ sono
all’origine d’un arrivo di dollari ancora più importante. Alcune ditte europee lavorano per la guerra del Vietnam, e gli avversari europei di questa
farebbero bene ad occuparsene. Ma
questo è niente al confronto della sorgente asiatica di dollari: il denaro speso dalle forze armate USA nel Vietnam, nella Thailandia e nel Giappone,
se ne va (in massima parte) nelle tasche di uomini d’affare locali, senza
parlare degli uomini politici prevaricatori. Questo denaro non resta in
Asia. L”‘establishment’’ di Saigon sa
che la sua posizione è precaria e che
vai meglio mettere il denaro al sicuro
in paesi sicuri: d’altra parte queste
per.sone, al pari dei finanzieri giapponesi, conoscono le difficoltà del dollaro e vogliono per di più approfittare di
eventuali possibilità di rivalutazioni
del marco tedesco. Infine il mercato
dell’euro-dollaro procura da molto
tempo delle possibilità di speculazione, che non esistono altrove ».
(Da un articolo di C. Bourdet su « Le
Monde» del 14.5.1971.
Amnesty
International
ha 10 anni
Celebrando il decennale della sua attività, che cade nell’anno che
l ONU ha dedicato alla lotta contro il razzismo e le discriminazioni razziali, I organizzazione promuove una campagna mondiale
in favore dei prigionieri di coscienza sudafricani e rhodesiani
Il 28 maggio di quest’anno Amnesty
International celebra il 10» anniversario della propria fondazione. Il 31 dello stesso mese cade il 10» anniversario
della dichiarazione costitutiva della Repubblica Sudafricana.
Assieme a queste coincidenze, è opportuno ricordare che il 1971 è stato
proclamato dall’Assemblea delle Nazioni Unite « anno di lotta contro il razzismo e le discriminazioni razziali ».
Per celebrare il proprio anniversario.
Amnesty International ha perciò promosso in tutto il mondo una campagna
per la concessione di un’amnistia a favore dei prigionieri di coscienza detenuti nelle carceri e nei campi di concentramento sudafricani.
A questo proposito, alla Conferenza
delle Nazioni Unite per la prevenzione
della criminalità e il trattamento dei
carcerati, riunitasi a Kioto lo scorso
agosto. Amnesty International aveva
già presentato una copiosa e precisa
documentazione sulle condizioni dei
prigionieri nel Sudafrica. Da essa appariva,^ fra l’altro, che ai detenuti per
reati d’opinione, non è accordata né la
protezione né il trattamento previsto
dalle normali leggi dello stato, le quali, peraltro, sono lungi dal rispecchiare
quello standard minimo di trattamento che è stato indicato dalle Nazioni
Unite.
Ad. es. la remissione della pena fino
ad un terzo della pena stessa viene accordata a chi è condannato per stupro,
rapina, tentato omicidio o simili reati
comuni, ma viene negata ai detenuti
politici.
Di più viene applicata la più dura
discrirninazione nei confronti dei detenuti di colore, sia per quanto rigu^da
i locali di detenzione sia per quanto
riguarda il nutrimento o i lavori forzati. Così intellettuali e studenti universitari negri sono costretti a spaccare pietre e nessun altro lavoro è previsto per loro.
Per quanto siano noti a tutti i governi gli orrori derivanti dal regime
di segregazione razziale del Sudafrica
e Rhodesia, anziché coraggiose azioni
contro la discriminazione, come vorrebbe la proclamazione delle Nazioni
Unite, sono in atto imprese e comportamenti volti a favorire quegli Stati e
con essi le colonie portoghesi il cui regime non ha nulla da invidiare loro.
Fra molti altri si può citare il clamoroso esempio della diga di Cabora Bassa, il cui scopo è di facilitare e favorire l’insediamento di coloni bianchi
sulle terre che saranno rese fertili, le
cui popolazioni, rapinate delle terre
stesse, saranno deportate; inoltre la
costruzione della diga fornirà energia
al Sudafrica e alla Rhodesia aiutandole a meglio sfruttare i negri attraverso all’industrializzazione. Alla diga di
Cabora Bassa sono interessate molte
nazioni europee e l’alta finanza anche
di quelle ufficialmente assenti.
Così del razzismo sudafricano è complice l’Europa, com’è complice della
detenzione d’innumerevoli prigionieri
politici, religiosi o di coscienza da parte di tutte le dittature di ogni colore,
palesi o mascherate.
In una lettera indirizzata ad Amnesty
International poco tempo fa, un gruppo di detenuti greci così si esprimeva:
« Siamo in prigione da anni, vittime
della furia vendicativa dell’attuale regime dittatoriale, che considera necessario, per sopravvivere, l’uso del ter
Gli americani
e il Vietnam
Le grandi manifestazioni pacifiste degli ultimi tempi inscenate dalla popolazione nordamericana hanno vi.sto affiancati ai giovani
hippies anche tutti gli altri strati sociali, a
dimostrazione che ormai la coscienza dell’immoralità e deirinutilita della guerra indocinese si sta sempre più affermando nellopinione
pnhhlica degli Stati Uniti.
Secondo Lui timo .sondaggio di Louis Harris,
per la prima volta il 42% degli americani è
favorevole alla formazione a Saigon di un governo <li coalizione di cui facciano parte anche i comunisti; il 60% è favorevole al completo ritiro delle truppe dal Vietnam anche
se questo vuol dire il crollo del regime di
Saigon; e il 58% è convinto che è immorale
per gli Stati Uniti combattere nel Vietnam.
Il 45% degli americani pensa che Tinvasionr del Laos è stata un fiasco clamoroso, e soltanto il 24% accetta la parola di Nixon che
sia stata un succc.sso. Il 57% è convinto che
una volta partite le truppe americane il regime di Saigon crollerà. L’insucces.so delLinvasione del Laos, infine, ha profondamente scosso l’opinione pubblica ; coloro che hanno fiducia in Van Thieu e Cao Ky .sono .scesi dal 46
al 24 %.
rore contro i suoi oppositori. Ma siamo anche vittime di un principio politico diventato ancor più cinico negli
ultimi tempi. Secondo questo principio, per salvaguardare la democrazia
in alcune nazioni, devono essere mantenute dittature e fascismo per costituire un baluardo necessario per la
salvezza della democrazia contro pericoli esterni.
« Voi avete certo già rilevalo questo
tragico paradosso; e i pericoli che
comporta l’accettazione del principio
che le condizioni della dittatura sono
efficaci e necessarie per la salvezza
della democrazia e delle istituzioni democratiche europee ».
La lettera, trafugata dalla prigione
di Aegina e firmata da 36 detenuti, avvocati, studenti, ex funzionari, professori, tecnici, operai, prosegue descrivendo il continuo peggioramento delle
loro condizioni e l’incapacità della
Croce Rossa Internazionale ad intervenire di fronte alla posizione negativa
del governo greco, e termina con un
accorato appello rivolto a ogni persona libera in favore dei detenuti ammalati, vecchi, o rinchiusi in celle d’isolamento.
Amnesty International fà suo questo
appello unendolo a quello a favore dei
detenuti per motivi razziali; e sollecita, nel celebrare il suo decimo anniversario, l’adesione attiva e concreta all'opera ch'essa svolge, da parte di
quanti non vogliono esser complici dei
razzisti e dei regimi dittatoriali e vogliono invece, attraverso Amnesty International, interessarsi fattivamente
alle sorti dei prigionieri di coscienza,
dei detenuti politici, dei discriminati
razziali in tutto il mondo.
Gustavo A. Comba
iiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimitiiiiii iimiiiiiiiimiiiiitm
la faccia oniana della fede
(segue da pag. 1)
e l’oppressione. Da qui ad una scelta socialista il passo è breve.
Lottare per una chiesa povera significa, quindi, nel contempo lottare contro l’istituzione della chiesa e contro il
capitalismo. Fatalmente l’Isolotto doveva scontrarsi con la gerarchia ed il
potere politico, legati fra loro dal potere economico. Il processo è Io sviluppo logico di un dissenso non più contestabile all’interno della Istituzione,
troppo pericoloso per la struttura piramidale della chiesa cattolica per non
tentare in tutti i modi di estrometterlo
dal suo seno, evitando nello stessotempo di misurarsi con esso. L’Isolotto è uno scandalo per la chiesa cattolica. E per noi protestanti cos’è, cosa deve essere? Certo, la teologia dell’Isolotto ignora delle categorie teologiche
fondamentali, quali il problema della
grazia, del rapporto fra Dio e uomo,
della dimensione spirituale della fede.
Certo, riduce tutto a comportamento e
a prassi, generando elementi di confusione fra fede e politica, fra giustizia
divina e giustizia umana, fra uguaglianza terrena e uguaglianza al cospetto di
Dio. Ma ciò nondimeno, l’esperienza
della comunità è un atto di accusa anche per noi, è la faccia umana della fede che noi non conosciamo o che conosciamo poco, è il richiamo da noi poco
avvertito a non considerare la fede solo come rapporto fra Dio e uomo ma
anche come terreno d'incontro fra uomo e uomo.
L’amore di Dio per l’uomo genera
per il credente l’amore dell’uomo per
Dio ma anche l'amore dell’uomo per
l’uomo. Ma come deve il cristiano e la
chiesa esprimere oggi il segno di questo amore? Con l’aiuto ai deboli, ai bisognosi, agli afflitti. Si, certo. Ma non
basta. Occorre andare più oltre, occorre partecipare alla loro debolezza, al
loro bisogno, alla loro afflizione, occorre lottare con gli oppressi in nome dell’amore evangelico ma con le armi che
il momento storico richiede, cioè con
le armi politiche. Se da molti la religione è vista come l’oppio dei popoli,
come ideologia che risolve i problemi
di questa terra al di fuori di questa
terra, è colpa storica della Chiesa.
A parte le insufficienze e gli errori,
ciò che avviene all’Isolotto è forse una
via d’uscita che quella comunità ci indica per « svegliare » i popoli.
Giuseppe Costa
Direttore responsabile: Gino Conte
Beg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre FelKce (Torino^