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BIÙCHNIS
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno IX. - Fasc. IV. ROMA - APRILE 1920 Volume XV. 4
SOMMARIO
P. ARCAR!: Atteggiamenti della pittura religiosa di Eugenio Burnand . . pag.
F. Momigliano: I momenti del pensiero italiano (dalla scolastica alla rinascenza)
C. PASCAL: Superstizioni e magie nella corte neroniana ........
G. LUZZI : A uno studènte del secolo XX è egli ancora possibile d'esser cristiano ?
G. PIOLI: L*«Etica della simpatia» nella
«Teoria dei sentimenti morali» di A. Smith
Per la cultura dell’anima:
Il Veltro del Cielo di FR. THOMPSON, versione di M. Praz..............................
ILLUSTRAZIONI: Sèi tavole riproducenti le principali opere di E. Burnand (tra le pagg. 250-251; 252-253 e 254-255).
TAVOLE: I. / discepoli - L’invilo al festino — II. I vignaiuoli malvagi - Il carceralo — HI. Il sermone della montagna — IV. / pastori (notte di Natale) — V. La preghiera sacerdotale — VI. Testa del Cristo.
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Note e commenti:
G. Mazzini e il cristianesimo ..........
G. COSTA: Religione e spiritualità all’esposizione di belle arti in Roma .............
Cronache:
Q. TOSATTl : 11 secondo Congresso del P. P. I.. .
Tra libri e riviste:
M. PUGUSI: Storia e psicologia religiosa (VI) . .
G. COSTA: Il cristianesimo in due recenti romanzi italiani...........................................
Recensioni : Filosofia e religione - Varia . . . . .
Letture ed appunti .
Nuove pubblicazioni. . .
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RII YCMMTS RIVISTA MENSILE DI STÙDI RELIGIOSI
Diluì < < < < FONDATA NEL 1912 >
CRITICA BIBLICA - STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA PEDAGOGIA FILOSOFIA RELIGIOSA - MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO y LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL^ESTERO._^ y _ * ' ' - '
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PaSCHETTO, Redattore Capo; Via .Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WH1TT1NGHILL, Th. D., Redattore per l'Estero ; Via del Babuino, 107, Roma. AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio;^-, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 10; Per l’Estero, L. 15; Un fascicolo, L. 1,50 (Per gli Stati Uniti e per il Canada è autorizzato ad esigere 'gir abbonamenti il Rev. A. Di Domenica, B. D. Pastor, 1414 Castle Ave, Philadclphla, Pa. (U. S. A.)].
Abbonamento annuo cumulativo con la Rivista di Milano, rassegna quindicinale di letteratura. poesia, critica, arte e politica, L. 35 per l'Italia e L. 60 per F Estero
Id. col Testimonio, rivista mensile delle chiese battiste italiane, L. 13,50.
Id. Col Coenobium, rivista internazionale di liberi studi, L. 28.
Id. con Fede e Vita, rivista- della federazione studenti per la cultura religiosa, L. 12,50
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ B1LYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l'opinione dei loro autori. I manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
Nel 1920 pubblicheremo, tra gli altri, i seguenti articoli:
P. E. PaV0LINI, La religione degli antichi Firini.
F. De Sarlo, L'opera filosofica e scientifica di E. Haeckfil (con ritratto).
E. Troilo, La filosofia di Giorgio Politeo (con ritratto).
G. Lesca, Filosofia e religione nella poesia di G. Pascoli.
M. Rossi, Lutero.
A. De Stefano, La riforma religiosa di Arnaldo dà Brescia.
Fr. Giulio, La filosofia di Benedetto Croce.
G. TUCCI, A proposito dei rapporti fra cristianesimo e buddismo.
A. Renda, Incompetenza della psicologia nello stùdio dei valori.
A. Renda. Le riduzióni dei valori.
A. Chiappelli, La critica del Nuovo Testamento nel XX secolo.
C. Fornichi, PaulDeussen nella vita e nelleopere.
L. Salvatorelli, Lo Stato nel pensiero cristiano del II e III secolo.
G. Pioli, Uomini e cose d'Inghilterra (note).
— L’unità nelle scienze, in filosofia morale e religione.
P. Orano, I cattolici in Parlamento.
— Il problema della scuola.
G. Costa, Il valore storico dèlia « passio S. Fe-licianì ».
G. Rensi, Il Lavoro.
— La Storia.
M. Puglisi, Franz Brentano (con ritratto).
— I misteri pagani e il mistero cristiano.
U. Della Seta, Un riformatore: Senofane di Colofone.
A. VASCONI, Una lettera inedita di Tancredi Canonico.
R. Pettazzoni, Il problema del zoroastrismoG. Levi della Vida Recenti studi su Maometto e sulle origini dell'IsIam.
F. Bridel, Vinci, profeta della libertà.
Ci ànno pur assicurato il loro contributo i proff. G. Levi del>a Vida, A. Calderini, Adriano Tilgher, Dino Provenzal, A. Tagliatatela. Per la cultura dell'anima ci ànno promesso il loro concorso Fra Masse© da Pratoverde, G. Luzzi, A. Tagliatatela ed altri. Umberto Nani, partito recentemente per la Jugoslavia e la Czeccslovacchia, ci trasmetterà delle interessanti corrispondenze sul movimento religioso in quei paesi.
L’Amministrazione ricerca copie del fascicolo del febbraio 1919 che contraccambierà con pubblicazioni di sua edizione del valore di L. 2.
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Libreria Editrice BILJCHNIS - Via-- flOMA, ^
PUBBLICAZIONI IN! DEPOSITO
Delle nuove pubblicazioni, appartenenti al ciclo degli studi di cui si occupa la rivista, faremo un brevissimo cenno nel darne 1* annuncio, qualora gli editori alle copie da tenere in deposito aggiungano una in omaggio. Solo pubblicando questo cenno bibliografico assumiamo la responsabilità dell’indicazione dell’opera.
I prezzi segnati non subiscono aumenti e le spedizioni sono franche, di porto. Per gl’invìi sotto fascia, raccomandati, aggiungere cent. 30.
Là libreria'si incarica di qualsiasi ordinazione di libri in .Italia ed all’esterp. Essa è l’unica rappresentante in Italia della University oj Chicago Press, il cui. catalogò viene spedito; gratis a richiesta.
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando il sole
2 —
Bu'rt W. : Sermoni e allocuzioni . . . ' .: • . . ' • ■ 2 —
GRATRY A. : Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 4,50
Monod W. : Silence et ¿rière
6 —
— Il vit . ,,i, • 6—
— Il régnera . . . . . 6 — Vienot J. : Paroles françaises
Ïrononcées a 1’ oratoire du ouvre . . . . . . 2,50 Wagner G.: L’ami . . . ' 7 — —- A travers le prisme du temps . ? ; . . . . 4,50
— Justice ...... 6 —
FILOSOFIA
Della Setà U.: G. Mazzini pensatore . . . . . . io —
Della Seta U.: Filosofia morale (Vol. I è II) . '.'i‘ 15 —
Ferrétti G.: Il numero e i fanciulli, capitolo d’una didattica del l’inventi vità. 2 —È’uno dei vari aspètti sótto cui il nostro egregio collaboratore vede il problema dell’educazione filosofica, dell’autocoscienza, dell’autonomia morale: far convergere anche l’insegnamento del numero a questo fine, non ren<**•* t.tT. i J ..ì.
Kolpinska A.: I precursori della, rivoluzione russa 6—
L’A. stessa à dichiarato il metodo del suo lavoro, metodo di antologia o di mosaico e à con ciò tributato a sè stessa la maggior lode. Piuttosto che un’opera di storico assimilatore, essa à fatto opera di espositore coscienzioso di quanti ne’ due ultimi secoli segnarono le tappe essenziali delio sviluppo della Rùssia. Gl’Italiani leggano e meditino le pagine della K.; .ciò li esimerò forse dai vaniloqui retorici degli estremisti di tutti i partiti..
Maranelli e Salvemini: La questione dell'Adriatico. 6 —
Murri R. : L‘ anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pràtici) .... 1,25 MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. Il sangue e l’altare
MURRI R. : Guerra e religione. Voi. II/L’imperiàlismo’ ecclesiastico e la democrazia religiosa ........ 2 —
Puccini. M.: Come ho visto i
Friuli . . .. ......... 5 —
Scar foglio > L’Italia, la Iugoslavia e la questione dalmata
' 0.25
Senizza G.: Storia e diritti di Fiume italiana . . . x —
dcrlo, come tanti1 insegnamenti, , vaqo od. inutile. E le belle;pagine in cui egli dimostra coinè si debba fare si leggono non solo con interèsse; ma con dilettò.
Vón HOgel F._: Religione ed illusióne ... . . . 1 —I
Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . ... 1 —
Panini G.: Il -tragico quoti-1 diano . . 1 . I. • . .5,50
— Crepuscolo? dei filosofi' 3,50
Rensi G.: Sic et non (metafisica e poesia) . . . 3,50
Troilo È. : G. Bruno . . 2 —
Tagliatatela E.: Giovanni Locke educatore. Studio critico seguito da 2 opuscoli pedagogici del Locke’, (per la prima volta tradotto in italiano) . '. .’ . . 4 —
GUERRA E ATTUALITÀ
Andreief L.: Sotto .il giogo della guerra . . ... 3,50
Boia H.: La guerre et la bonne conscience . . . .0,70
Ciarlantini: Problemi dell'Alto
Adige . . . . . . 3,50
Ghelli S.: La maschera dell’Austria 6 —
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali, (Deliberazióne dell’Àss. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20). ‘
4
— Il
Libreria Editrice BILYCHN1S - Via Crescénzìò, 2 - ROMA 33
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 %,,per le aggravate spese generali.
(Deliberazione ddl'Ass. Tip. Libi Ita). 15-IV-20)
Soffici A.: Kobilek (giornale di I battaglia) ..... 3»5°4
Stapfer: Les leçons de la guerre!
4 —
WilsoniLa nuova libertà. 4
Wilson : Un soldat sans peur et sans reproche (en'mémoire) de André Cornet-Auquier). !
1/30
ZANOTTI-BIANCO e CAFFI A. : La pace di Versailles, noté e documénti (con 20 carte etnografiche e politiche);
ro — I
La Chiesa è i nuovi tempi 3,50
Raccolta di scritti originali di Giovanni Pioli - Romolo Murri -Giovanni E. Meille - Ugo Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi -“Qui Quondam,-,-. Antonino' De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
LETTERATURA
Arcari P. : Amici . . . . 2— i
Chini Mi: F. Mistral . . 2 — !
Della Seta U.: Morale, ©¡ritto ; e Politica internazionale nel-. la niente di G. Mazzini.
1.50 ì
Dell'Isola M.: Etudes sur Mon-| taigne ....... 2,50
Jahier P.: Ragazzo . . 3,50
Brevi, ma vive pagine di vita vissuta; scritte in uno stile che à i tratti .duri, ma incisivi di. alcune xilografie e che ‘par più che dipingere trarre dal marino dell’esposizione fredda la vitalità della statua. È tutto periuso di una spiritualità fremente e d’una poesia dolorósa che in una prosa tutta speciale è più espressiva talvolta della stessa poesia.
Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 — Papini G.: Parole e sangue.
3.50
Sheldon C.: Crocifisso! romanzo religioso sociale tradotto da E.Ta'glialatela. 2
Sóffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 —
Vitanza C.: Spiriti e forme’del divino nella poesia dì M. Ra- ' pisardi (conferenze). 1,501
RELIGIONE E STORIA
Agresti A. : À. Lincoln . 2 — Barbagalìo C.: Giuliano Ï'apòstata ........... 2 —
’Buónaiuti E?. S. Agostino 2 —'
• a- ■ • S. Girolamo 2'—
GHIMINELLI Pi: Gesù di Nazareth . . . . (in ristampa)
— Il Padrenostro e il mondo moderno . . . . . . . 3’PS. Caterina da Siena: Libro della Divina Dottrina, volgarmente . • detto fi Dialogo della Divina Provvidenza » a cura di Matilde Fiorini 5,50
Cumónt F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano .• . .' . . . ; . 6,50
Di Soragna A.: Profezie di . Isaia,- figlio di Amos«. -7,-50
Gautier L. : La Loi dans l'ancienne- alliance . . .■ 2,25
Tyrrel G. : Lettera confidenziale ad un professore d’an* tropologia ...... 0,50
Vitafiraf C.: Là leggènda' del < Descensus Christi ad in-feros» ..... . . . 1,50
Wenck F,: Spirito, e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75
X. Là Bibbia e la Critica. 2 — X. Lèttere di un prète mò-dernista ...... 3.5° Nuovo Testamento, tradottole corredato di note e di prefa-zipni.dal prof. G. Luzzi 1,80 Nuòvo Testamento' è Salmi indizione Fides et Amor) 3 7I. Vangeli e gli Atti degli? Apostoli (edizione Fides et A-mor) . . ...............x,8o
Salmi (Edizione Fides, èt Amor) is . . . • .. -i,8o
Giçbbe, tradotto da G. Luzzi
. ì,8o
Janni U.: Il dogma dell’Eucari- Ianni U. : Il -culto cristiano ristia e là ragióne cristiana 1,25 vendicato contro la degeneLea H. Ch.: Storia della con- 5° V’ ’ •’ “
fessione auricolare .e delle> Tagliatetela E.: L educazione indulgènze nella chièsa là-Uscite Chiesa .dei primi secoli tina (versione di Pia Gre- 3»5°
monini), 2 volumi . 36 — Taylor G. B. : Il Battesimo 0,50
— Le origini dèi potere tem- 1 porale dei papi . . . 5—
Loisy A.: La Religioni .5 — — Mors et vita . . . .. -2,25 — Epitre aux Gàlates. 3,60 — La paìx des nations . 1,50: Ottolenghi R.: I farisei antichi e moderni .... 4 —-Paladino G.: Opuscoli e lettere di Riformatori italiani dèi Cinquecento . . . 5,50 PETTAZZONI R. : La religione primitiva in Sardegna |
6 —— I Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienzàdel-le Religioni. . . . . 5 —— «LaBibbia*Introduzióne al-l'Antico e Nuovo Testaménto . . ' . . ; J ; . .. , 12.50
— Il significato di * Nazareno » ,. A. . 1,50
TYRREL G. : Autobiografìa e
Biografia (per cura di M.
D.Petrè) ...........15 —
Ai nòstri abbonati non morosi L. 10,50 franco di porto.
VARIA
Carienti A. : Con quali sentiménti sono tornato dàlia guerra . . • ■ • • • i.5° Del Vecchio G.: Effetti morali del terremoto in Calabria secondò F. M. Pagano . 2 — Martinelli: Per la vittoria morale ......' . 3,50
Majer Rizzoli...E: Fratelli e sorelle (Libro, di guerra 1915-1918) . . . . , - - - • 4.50 Me riano F. : Croci di legnò 3,50 Niccolini E.i I contadini è la terrà . . . . ■ . ..... 2,50 Papini G.: Esperienza futurista 3.50
Papini G.: Le memorie, d’iddio 3 — Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni ...... . ■ 2.50
Provenzàl D. : Carta bollata da due lire . 1 —
Scarpa A.: La Scuola delle
mummie 1 —
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ESTRATTI DELLA RIVISTA “BILYCHNIS „
\^'Vr;-r-7~=£= I Seri© ;
16. Crespi Angelo: L'evoluzione della religiosità nell’individuo. 1913, p. 14. 0,50
17. De Stefano, Antonino:, Le origini dei Frati Gaudenti.
. 1915, p. 26 . . . . .1,50 18. De Stefano Antonino: . I
Tedeschi e l’eresia medievale in Italia. 1916, pa-1 gihe 17........... . 1 —
19. De Stefano Antonino: Delle origini- dei « poveri lombardi » e. di alcuni gruppi |
. valdesi. 1917, P- 23. 1 — i 20. Fàllpt T.: .sulla- soglia
(considerazioni $ull'a/ di là) ' (con una tàvola f. t., disegno di P. Paschetto). 1916, p. 14 . . . ... . 0,50
21. Fasùlo Aristarco: Pel IV centenario della Riforma. !
i. Amendola Èva: Il pensiero religioso e filosofico di F. Dostoievsky (con tavola fuori testo: ritratto del D. disegnato da P. Paschetto).
1917. p. 4° • • • • 2 ,
2. Bernardo (fra) da Quinavalle: L'avvenire secondo l’insegnamento di Gesù.
1917, p. 43. . . . . 0,80
3. Biondolillo Francesco: La religiosità di ' Teofilo Folengo (con 1 disegno). 1912,1
p. 12 . . . . . . . 0,401
4. Biondolillo .Francesco: Perì la religiosità di F. Petrarca ' (con una tavola). 1913, pagine 9 . . . . . . . 0,40
5. Cappelletti ,Licurgo: Il Conclave del 1774 e la Sàtira a Roma. 1918, p. io. 0,50
6. Cento Vincenzo: Colloquio con Renato Serra. 1918, p. 11 ......- . 0,60
7. Chiappali Alessandro; Con I tro l’identificazióne dèlia filosofia è della storia è pei diritti della critica. 1918, p. 12 . . . 0,60
8. Corso Raffaele: Ultime vestigia della lapidazione (con 2 disegni originali di P. Paschetto). 1917. pagine 11 . . (esaurito)
9. Corso Raffaele: .Lo studio dei riti nuziali. 1917, pagine 9 . . . . ... 0,40
io. Corso Raffaele: Deus Plu-vius (saggio di mitologia popolare). 1918,p. 13. 0.75
11. Costa Giovanni: La battaglia di Costantino a Ponte Mavio (con due tavole e due diségni). 19x3- P* X4- x.5°
12. Costa Giovanni: Critica e tradizione. Osservazioni sulla politica e sulla religione dì ’ Costantinò. 1914, pagine 23 . ’. . / 1,50
13- Costa Giovanni: Impero romano: c cristianesimo (con due tav.). 1915, p. 49. 2 —14. Costa Giovanni: II « Christus » della «Cinesv. 1917, p. ii . . . . . . . 0,30
15. Crespi Angelo: Il problema dell'educazione (introduzione). 1912, p. li. (esaurito)
32. Lanzillo Agostino: Il soldato e l’eroe (Frammenti .di psicologia di guerra). 1918, p‘. 25 . . ._ (esaurito) 33; Lattes Dante:' lì filòsofo
del rinascimento spirituale ebraico. 1918, p; 21. .1,25 34. Renzi Furio: L’autocefalia della Chiesa di Salona (con undici illustrazioni). 1912, p. 16 / . . . .1 — 35. Renzi. Furio: Di alcune medàglie religiose del iy secolo' (con una tavola e quattro disegni). 19x3» pagine 21 ...... 1,50 36.• Leopq*d H.: Le memorie apostoliche a Roma e i re-. centi scavi, di S. Sebastiano (con una tavola). 1916, pagine 14 . . . .. . . 0,40
1917, p. 18 .' . . . . 0,50 I
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d'una grande sinfonia . (Della Provvidenza).
1918, p. 16 . . . . . 0,50
23. Formlchi Carlo:: Cenni sulle più antiche religioni Dell’India (con suggerimenti bibliografici). ,19x7, pagine 15 . , . . . . . 1 —
24. Fornàri F.: .Inumazione e cremazione (con quattro tavole). 1912-, p. 6 . . : 1 —
25. Gabellini M. A.: Olindo Guerrini: l’uomo e l’artista.
1918, p. 17 . . . . . 0,50
26. Gambaro Angelo: Crisi Contemporanea. 1912, pagine 7 . ................0,30 I
27. Ghignoni P. A.: Lettera a j R. Murri (A proposito di Crie guerra). 19x6, p. 9 ...... (esaurito) I
28. Giretti Edoardo: Perchè sono per la guerra. 1915, p. 11 . . . . . .. • o»5°
29. Giulio-Benso Luisa: « La vita è un sógno » di Arturo Farinelli. 1917, p. 16. 0,50
30. Giulio-Benso Luisa: Lamennais e Mazzini (con una tavola f. t.: ritratto del Lamennais). 1918, p. 40. 1,50
31. Giulio-Benso Luisa: Il sentimento religioso nell’opera di Alfredo Oriani. 1918, P- 43 ....... x,5O
37, Ruzzi Giovanni: L’opera Spencerisna. 19x2, pagine 7 . . . . . . . . 0,30
38. Masini Enrico: La liberazione di Gerusalemme.
Salmo. 19x7, p. 2 . . 0,25
39. Melile Giovanni E.: Il cristiano nella vita pubblica. X913, p. 31 in-32®. . 0,25
40. Meiliè Giovanni e Ada: Gianavello. -Scene valdesi in quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschetto), 1918, p. 67. 2,50
41. Minocchi Salvatore: I miti babilonesi c.le origini della gnosi. 1914, p. 43 ■ - x»5°
42. Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani.
1916, p. 16 . . . . . 0,60
43. Mùller Alphons Victor: A-gostino Favaroni (f 1443) . (generale dell’ordine Agostiniano) è la teologia di Lutero. 1914. p: 17 . 0,50
44. Murri* Romolo: L’Individuo é la storia (A proposito di Cristianesimo e guerra). 19x5. P-X2 . . . . . 0,50
45. .Murri Rèmolo: La reli-{ione nell'insegnamento pub
fico ih Italia. 1915, pàgine 22 . . . . . . 0,75
46. Murri Romolo: La « Religione » di Alfredo Lóisy. 1918, p. 16 . . . . . 1,25
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 %'1 per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-1V-20). ’ '
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IV
Sui pr$?zi del presente Catalogo aggiungere ;il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione deÙ’Ass. Tip. Lift. Ital. Ì6-IV-20).
• Pensieri del Pascal »III. Tre fedi (Montaigne, Pascal, Alfred de.Vigny); (con due tavole fuori testò). r'9ì4»< pàgine 30................1,50
66. Provenzal Dino: Giuoco fatto. 1917, p. 12 .J>. 0,40 67. Provenzal Dino: L'ànima religiosa di un eroe. 19x8, p. 12 ...... . 0,75 68. Puglisi Mario: Il problema ■ mótale nelle religioni primitive. 1915, p. 36 . . .1-7 69. Puglisi Mario: Le font* religiose . dèi problema del male. 1917, p. 97 . , 2 — 70. Puglisi àiario: Realtà e idealità religiosa (a proposito di. un nuovo libro di A. Loisy). 1918,. p. 13 1 — 71 Quadrotta Guglielmo: Religione Chiesa e -Stato nel pensiero ' di Antonio* Sa-landra.(còn ritratto e una lettera ’ di Antonio Salan-dra). 1916/ p; 31 . . 1 — 72. Qui Quondam:, Visione di
Natale. Frammento (con otto disegni di P. Paschetto) 1916, p. .7.’. . .. 0,50 73. Qui Quondam: Carducci e
il Cristianésimo in un libro di G. Rapini; 1918; pagine ri . *. .... 0,50 74. Qui Quondam: La Carriòla (La bluette) Dalle Mu-sardisés di Rostand (con due disegni di Paolo Pa-schettó). I918, p. 5 . 0,40 75. Re-Bartlett: Il Cristianesimo c le chiese, 19x8, pagine io ... . (esaurito) 76. Rendei Harris: I tré «Misten » cristiani di Wood-brooke (Introduzione e note di Mario Rossi) (con un disegno di P. Paschetto). 1914 p. 27, in-320 . . . . 0,50 77. Rensi Giuseppe: La ragione e la guerra. 1917, pagine 27 . . . ; . .’ 0,75 78. Rosazza Mario: Del metodo hello studio della storia* delle religioni. 1912, pagine 7. . . . . (esaurito) 79. Rosazza Mario: Là reliSionc del nulla (Il Budismo) (con sei disegni).
1913............(esaurito)
.80. Rossi Mario: Verso il Conciavi? 1913, p. 4 . J7. ' ' 0,25
47. Murri Romolo: Gl’Italiani e la libertà religiosa nel secolo xvii. 1918, p. io. j 0,50;
48. Muttinélli Ferruccio:: il profilo intellettuale di San Agostino. 1017, p. 8. 0,40
49. Nazzari R.: Le concezioni idealistiche del male. 1918, p. 16 ....... 1 —
50. Neal T.: Maine de Biran.
1914. P- 9 • • • 9«5°
51. - Orano Paolo: La rinascita dell'anima.: 191?. P* 9« °«5°
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita ed un ritratto). 1915, p. 19 • • i —
53. Orano Paolo: Gesù e la Guerra. 1915, p. li. 0,50
54. Orano. Paolo: Il Papa a Congresso. .1916, p. 12. 0,75
55. Orano Paolo: La nuova coscienza religiosa in Italia.
1917, p. 19 . . . . . 0,50
56. Orr James: La’ Sciènza e la Fede Cristiana (secondo il punto di vista conciliato-rista). 1912, p. 25 . .'0,25
57. Pascal Arturo: Antonio Caracciolo: Vescovo di Tro'ycs.
1915. P- 39 • • • : • 1 —
58. Piòli Giovanni: Marcel Hé-bert (con ritratto ed un autografo), 1916, p. 23. 1 — .59, Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani.
Esperienze e previsioni (con sei tavole)». 1917, p. 57 1,50 60. 'Pioli Giovanni: La fede
e ^immortalità nel « Mors et vita » di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy).
19x7. p. 22 . . . . . 0,60
61. Pioli Giovanni: Morale c religione nelle Opere di Shakespeare (con cinque tavole) 1918, p. 46 . . ... 2 —
62. Pioli Giovanni: Il catto-licismo tedesco e il « centro cattòlico ». 1918, p. 21 1,25
63. Piòli Giovanni: Lo spirito della Riforma e quello della Germania contemporanea.
X9x8, p.,xx ..... 0,50
64. Pons Silvio: La nuova crociata dei bambini. 1914) p. 6 . . . . . (esaurito.
65. Pons Silvio: Saggi Pa-scaliani. I. Il pensiero politico e sociale del Pascal.
II. Voltaire giudice de
81. Rossi Mario: La chimica del Cristianesimo (conferenza; religiosa)-. 1916, pagine 9 .’ /-.'l i v s« 0,50
82. Rossi Mario: Esperienze religiose contemporanee.
1918, p. 13 . . . . . 0,50
83. Rossi Mario: La • Cacciata della morte » a mezza quaresima in ùn sinodo boemo del ’300 (Note folklóriche). 1918. p. 8 . . . . . 0,50
84. Rossi Mario: I sofismi sulla guerra è la difesa della nostra latinità (Guerra di religione o guerra economica?).. 1918, p. 17 . . 0,50
85. Rostan C.: Lo stato delle anime dopo la morte secondo il libro Xldell'Odis-. sea, 19x2, p. 8 . (esaurito)
86. Rostan G.: Le idee religiose di Pindaro. 1914, pagine 9. v . -. -(esaurito)
87. Rostan- C.: L’oltretomba ‘ nel libro. VI dell’« Eneide ».
1916, p. 15*. . . . . ( 0,50
88, Rubbiani Ferruccio: Mazzini e Gioberti;. 1915, pagine 1.5 ... . (esaurito)
89. ' Rubbiani Ferruccio:. Un modernista dèi Risprgimen-•> to (Il marchése Cariò‘Guerrieri Gonzaga). 1917, pagine 23 . ... . . .0,60
90. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo (I c II), Cronache Cattoliche per gli anni 1912-1913 (esaurito)
91. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo (III, IV, V). Cronache cattoliche per eh anni 1913 e 1914 (tre fascicoli di pagine complessive 52) ...... 1,50
92. Rutili Ernesto: La soppressione dei : gesuiti nel 1773 -nei versi inediti di unoi di essi. i 1914, pagine 6. . . . . . . . 0,40
93. Sacchini Giovanni : Il Vitalismo. 1914, p. 12 0,50
94. Salatiello Giosuè: il misticismo di- Caterina da Siena (con una tavola). 19x2, p. io . . . . . 0,50
95. Salatiello Giosuè : L’umanesimo di Caterina dà Siena. 19x4, p. io. . . . . 0,50
7
v —I
96. Sajvawrtiii“ 'magi* *Eà fiwTagifcrateia Edearas« Ü& storia ¿dei Cristianesimo ed |a *“ —«-s-'-«
i suoi «apporti con la storia civile.5:913» P- xo . > ' 0,50
97. Scaduto Francesco: ìndi pendenza dello Stato e libertà» della .Chiesa.- .1913, p. 25 in-^^AUA 4 : 0J25
98. Tagliatatela Alfredo: Fu il Pascoli poeta cristiano? (con ritratto del Pascoli e 4 dise^nidf-Pi-PaschettÒ); X912, p. ix...........0,75
99. Tagliatetela Alfredo: Il sogno Jpi Venerdì Santo e il sogno «di Pasqua (con 4 disegni originali di/Paòlò <Pa-schéttò). 1912; p. 8 .0,25 100. Tagliatetela Eduardo: Moinsegnamento religioso secondo odierni pedagogisti S' ” “ ì. 1916; p7 9[. È ‘ 0,50 gì fiw>. ucazione nella scuoia
Bruno (con ritratto del Bruno: disegna d|'&jPa§Gh?t>p).
1917: P- 19 • ■
x
104. Trivero Camillo: Ltf Tagline e la guerra. 1917. p.X5 0,40
105. Tucci Paolo: La guerra nelle grand v parole di Gesù.
1916, p. 27• • • . . 1 —
io6. r>-Ttfcc^;.Paòlo: , Jl- Cristianissimo e là storia (A proposito di Cristianesimo e
Vlmfi«a* Calogero: StudiK Commodianei. 1. Gli Ant£® .cristi e l'Anticristo nel • Car- « j men apologeticum » di Com- • mpdianq. II> Commodiano“ ’*^Doceta?“Ì9>i5?p. 15. . 0,75» jq8. .YUanzì Calogero: .LJore-J 1 -ria ! dì' iDantcA ¡1915/Ipa-« gine 13 ...... 0,60“ -109. Vitanza Calogero: Sa-« tana nella dottrina della ■ re de n z ione. ~r916rpTT9’ *
no. Wigley Raffaele: I me-J 'ptqd» delia „speranza (Psico-” "logia religiósa); 19Ì3; pa-gine X4 . .
(esaurito)
rale e religione. 19x6, p. 40 1 । guerra)/ )9J7r ^>-¿9 > T£P’5°
in. Wiglcy Raffaele: L’auto- ■ rità del Cristo (PsicologiaJ t religiosa). 1915, P- 3.9 ■ 1 “ ■
«AMO# - -S.^n Serie .......—1. Fattori Agostino: Pensieri dell’op (Leggendo il « Colloquio con Renato Serra ¿di Vincenzo Cento). 1919, pagine I3....... 0750
2. Di Rubba Domenico: La fede religiosa di Woodrow Wilson. 1919,-p. 29 . _,J. , Q)5o
3. Fra Afasseo da Pratoverde : Intermezzo sacramentale ( A proposito /di MJniòne* delle Chiesg Cristiane). 1919, pa4- Dell’gote'MT. e Provenzali no: C’p una spiegazione logica della .vita? 1919, p. ig.. p,6o
5» Billia"Michelangelo: Il vero uomo“ 1919, p. 7 . ., 0,50
6. RosswMario: Religione^ rèli-J gioniHn Italia secondo l'ultimo censimento. 1.919, pagine <3 yS-cV ì . . ■ 0,50
7. Cadortia Carla: I ritrovi spiritual dii Viterbo nel 1541.
19x9,® P- 7 • • • ■ • ’ Ó.5Ò
8. Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà. 1919,
9. Marchi Giovanni: Il a Confi-. ,;teqr. » .dèi giovani. 1919,.
p. 8 ux o. Qui Quondam : Dopo-guerra nel clero. 19x9, p. 14. 0,60
11. Tucci Paolo: La guerra e la pace > nel « «pensiero di I.unffterb.1 ; 19Í9» P-53^x i
12. Pavolini Paolo Emilio: Poe-.riareligiosa polacca, 1919,
pàgine 8 ...... 0,50
13. Pioli Giovanni: In memoria ,del'Pí.PietrofGazzolá¿t 1919,
p. 15 ...... . 1,50
14. Prpvepgal.Dijio;. Ascensione
‘ 'eroica. -1^19,n *p.f ; 'í4Í1go,80
15. Renai Giuseppe: Metafisica e Illirica. 191*9,-p. 15 0Q-* 1
,16. Falchi Ma^io: C’è una spiega?
: i Azióne logica della» vita ? 1 91^ p. 8 . . . . . . . . 0,40
17. Costa Giovanni; Giove; ed Ercole (contributi allo studiò della religione romana nell'impero), con quattro tavole. 1919, p. 27 .’ . 2 —
B8 ib ¿¡OOh>88Ì OUftbjUta
18. (•••) Mancanze di garanzie-;
nello. Schema e nel nuovo, fjCodice [d| diritto canonico« 'e saggio su le fonti. 1920" : p: 52-“/ . . . . . 3—; 19. Della Seta4Jgp.:.LaJqdsione«
morale della--vita in '.Leo-* lO^terpp dai; Vinci;.'1919^ paji gine 31 ; . . .'*¿52 —”
20. Lesca Giuséppef Sensi e pen-i sieri religiosi ; nella >'pò'esia-' di Arturo Gjaf -(còn due» ta-“ ^yolo). 1914-1919,>-pagùào 40=
21. NazzartRinaldòI Intellètto;.
e r^ionè@i'9Ì9, P- 15. ^ 1 —» ‘2’2;AFetrettf:-\Gino: Le fedi» le" . |dee e la condotta; ipxp.^pa-J 1 gine 501. x- <’ -,....-'-'À — 23. Cento Vincenzo: L’Essen-* ,jza del Modernismo . . 3—?
*i4?Minoccfii Salvatore- Un di—-singanno?t della-. scienza bi-a ì ìPaP’ri “"“tic» di*
Elefantina);:? . X —■
25. Corso Ràffàele' uterina-« scita della superstizione nel -* l'ultima guerra . . . . 1.50« ru le sìedìihn A
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RI VISTA MENSILE DELLE CHIESEBATOSTE ITALIANE . V ANNO;,X3CXVlI;:r-v.ih:oa—hnoaiieno «r>oq ilo
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AMMINISTRAZIONE £ BENIAMINO FODERA '>q'u01
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Anno IX - Fasc. IV.
BLYCHNß
RIVISTA Dl STVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA-FACOLTA- DELLA-SCVOL A-Jsfö SS^skTEOLOGICA- BATTISTA-DI-ROMA
ROMA - APRILE 1920
Vol. XV. 4
ATTEGGIAMENTI DELLA PITTURA RELIGIOSA
DI EUGENIO BURNAND
a fama di Eugenio Burnand si congiunge sempre più strettamente alla sua opera religiosa. Per larga che sia ed intensa l’estimazione della parca pittura storica e della vasta fatica di paesista e di animalista, del maestro svizzero, assai maggiormente il pubblico e la critica d’Europa in questi ultimi lustri hanno considerato il molto che in lui si ispira dalla vita del cristianesimo, dalla parola dell’Evangelo e dal senso del divino.
In Inghilterra, in Francia, in Germania si susseguono le stampe e le raccolte di quanto il Burnand è venuto componendo in quest’ordine* di temi superiori, consacrandovisi con calma risolutezza, con una sorta di ritrovamento progressivo della propria vocazione più intima.
Della quale vorrei illustrare, nei limiti di queste pagine,'prima le origini e poi le forme, sicché conoscendo perchè, essa fosse connaturata e come- sia stata favorita da circostanze diverse riescano vicine e palesi l'indole e l’indirizzo per i quali si è essa volta cd espressa.
♦ • •
Eugenio Burnand è di quelli che, come Edoardo Rod, sono accorsi dal focolare romando, caro e benigno, fra le Alpi la pianura ed il Lemanno, al vortice ed al crogiuolo della vita parigina, preservando con gelosa vigilanza il temperamento municipale e regionale pur mentre comunicavano cogli impeti e colle crisi dell’ arte della Senna e di Cosmopoli.
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246
B1LYCHNJS
Con movenze più sciolte e fresche di Ginevra, con minor apparato e rigore di dispute teologiche e di esigenze dottrinali, meno urbana e più aperta alla campagna per vigneti e ricche culture, la terra di Vo’ è, tuttavia, da quasi quattro secoli uno dei propugnacoli del protestantesimo latino e dal Viret al Vinet ha assorbito così assidua predicazione di disciplina individuale e di religiosità autonoma da conservare senso ed interesse per le nostre eredità cristiane, da riceverle a da applicatisi con attività troppo rara nei climi italici delle distrazioni croniche, delle indifferenze diffuse e dell’università contumace o latitante ai massimi problemi del pensare e del vivere.
Questa preparazione vodese venne a contatto colle scuole e coi propositi metropolitani. Certo èssa fu messa a contributo e a profitto per arricchire la pittura e la gloria del paese ospitale ed il Burnand può, in un certo senso, essere annoverato fra coloro che, secondo R. de la Sizeranne, fan parte dell’esercito artistico francese dalle file della «legione straniera». Ma, anche, mescolandosi e quasi tuffandosi in cotanta folla in cammino, il Burnand ebbe impulsi ed avviamenti a interrogarsi a chiarirsi a se medesimo ed a possedersi infine perspicuo ed intero.
Che l’arte cristiana riapparisse autentica e degna, che riéurgesse nel magistero figurativo la morta poesia della Redenzione fu invocato in Francia, sul finire del secolo scorso, non per richiamarla dall’oblio ma per porla in salvo dal pericolo imminente di una pregiudizievole confusione. Nei primi decenni della terza repubblica la fede tradizionale aveva vigoreggiato in aree tanto più floride quanto più distinte e minacciate del paese, espàndendosi soprattutto in tenere preferenze di simboli che, come la vergine guerriera Giovanna d’Arco o il Sacro Cuore, più confortassero le anime delle sciagure e delle sconfitte e più loro accendessero la speranza di riparare le offese dell’altrui empietà. Ma, accrescendosi anzi per siffatte intonazioni, la lontananza dei credenti da certe aristocrazie intellettuali tutte intransigenti ed altiere nel materialismo nel determinismo nel razionalismo, le moltitudini, non dissetate dall’arte, stettero contente ai prodotti moltiplicati dai macchinari moderni e diffusi con molta fortuna dalle astuzie di commercianti avveduti, costituitisi rapidamente in prospero monopolio. Vi è, per chi noi sappia, in Parigi sulla riva sinistra, sotto e d'intorno alla maestosi architettura d’una basilica servapdoniana, un quartiere che fa pensare a certe strade di Roma, ma di omogeneità assai più pertinace, dove da un albergo del Vaticano si passa ad un altro intitolato a San Giovanni Laterano per imbattersi in un terzo dei Santi Padri, eirá essi, oltre di essi, lungo la via San Sulpizio, giù per la viaBonaparte.si procede fra vetri ne piccole, grandi, alte e basse, ma regno assoluto ed esclusivo di pie statue e statuette di litografie ed oleografie devote, segni convenzionali che richiamano un sentimento, ma non lo accendono e non lo elevano. Ora, quel rione divenne, nelle polemiche, un frequente ed efficace capo d'accusa-, e si vollero dedurre da ciò che esso ostentava le possibilità artistiche dei cristianesimo. L’illazione era sconsiderata, innanzi tutto perchè l’insipidezza e la dappocaggine, rinfacciate come infelice particolarità del genere ecclesiastico .imperversano non meno nel più opposto e profano, nel genere galante, che ad altri negozi e ad altri negozianti sotto il medesimo cielo assicura non men larghi spacci e non men lauti lucri. F fu
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ATTEGGIAMENTI DELLA PITTURA RELIGIOSA DI EUGENIO BURNAND
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ben rilevato come si debbano deplorare almeno altrettante veneri senza piacevolezza che Madonne senza ispirata soavità.
Ma la decadenza dell’arte religiosa addolora più della povertà dei disegni libertini; ma, dove si pretende elevazione degli argomenti, risulta più grave l’affronto del cattivo gusto. Così fu che la beffa degli increduli divenne spasimo e vergogna di fedeli, sdegno e corruccio dei più ardenti. Per lo Huysmans la via Bonaparte era un incubo di abominio e ruma. In quelle botteghe mille demoni gli sembravano insediati a trescare un sabba inverecondo come nelle Tentazioni di Sant’Anton 0 del Teniers o nelle « diavolerie » del Callot, ammorbando l’aria ed insozzando gli acquasantini. Insomma egli era vicino a concludere che, nell’ultima truccatura. Lucifero girasse il mondo col campionario d'un commesso viaggiatore della mercanzia di quei paraggi sospetti. Via — si dissero altri piti pacati — urge rimostrare che l’arte cristiana non è punto isterilita e condannata all'iconografia insulsa ed agli zuccherini della falsa mistica. Ne venne un movimento di restaurazione e di purificazione analogo a quello che si ebbe sugli stessi crepuscoli dell’ottocento, nel campo della musica sacra. La società di San Giovanni — promossa nella primavera del 1840 da Roma con un manifesto del Lacordaire — patrocinò e mandò ad effetto l'idea di un’esposizione dell’arte cristiana. La quale si aperse in Parigi al Padiglione di Marsan nel 1911. col concorso di molte confessioni acattoliche e nell’assenza dell’Italia che in questo campo sembrava sonnecchiare quasi fosse — scriveva la Revue hildomadaire — « stanca di capo-lavori ».
Se il Burnand vi occupò vistoso onorevole luogo associandosi coi promotori per rivendicare la sempre rinascente potenza dell’emozione religiosa e per rialzare l’arte cristiana dai colpi e dai giudizi sommari dei critici sbrigativi per più stretto e più continuato rapporto, per più vari e sottili influssi fu sospinto egli e determinato ai soggetti sacri dalle inquietudini e dalle nostalgie della pittura francese eclettica e laica. Puvis de Chavannes — scrive il Gillet —fu una sorta di teologo del pennello moderno: sulle pareti delle università, dei palazzi pubblici,' delle chiese mute di culto voile alitar qualcosa che li conservasse ancora santuari. Con lui e dopo di lui, nella'temperie dell’ottocento.moribondo, mentre con squillo guerriero del reduce/ idealismo stava per ampliarsi nelle polemiche un epifonema del Brunetière sulla banca rotta della scienza, mentre si ricordavano le Madonne dell'Hebert, Eugenio Carrière nel dolore delle Maternità umane pareva in cerca e in desiderio dei misteri del Natale e della Passione — un suo Cristo è del 1897 —, il Besnard in un ciclo d’affreschi sulla Pietà, all’ospedale di Berck, faceva incombere un gran crocifisso su ogni quadro delle sofferenze terrene e, più esplicito, il Bagnan Bouveret affrontava nel 1896 la Cena, nel 1898 i Pellegrini di Etntnaus, fra l’ombra di Getsemani e il nimbo della Vergine rievocando gli sfondi e le figure dell'ispirazione ortodossa.
Anche contribuì all’orientamento del Burnand una certa indifferenza alle dottrine delle nuove tecniche pittoriche. Questa indifferenza ai problemi esterni e formali parve a parecchi caratteristica e condizione dell’arte cristiana che non poteva subire l'equivoco patronato del simbolismo, del metodo divisionistico procedente a
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248 BttYCHNIS
piccoli punti di colori puri, degli ismi più mutabili delle modernità nervose ed epidermiche, scomparsi tutti l’uno dopo l'altro senza aver avverato il superbo destino ior promesso dai profeti della letteratura. Certo nel Burnand coincidono l’austerità dei temi e la pacatezza conservatrice dei metodi. Quando Filippo Godet lo definisce « dei più attivi spiriti della falange elvetica, quello di essi che si è più costante-mente rinnovato, che ha con maggiore audacia dato di punta verso tutte le direzioni », intende certo quel costante ricambio intellettuale che è legge di vita e di fecondità, ma rischia di far credere a crisi drammatiche ed a rapide vicende e di confonderlo colle turbolenze dei manipoli di avanguardia. Dai quali sorgendo interprete William Ritter dichiarava di preferire le vetrate della Vita del Curato d'Ars e Y Annunciazione di Alessandro Cingria all’opera-del Burnand, lamentando che questi, con così pieno contrasto alle opere del giorno, esagerasse' le cure, il finito, il levigato, rimproverandogli di speculare sulle sazietà del domani contro l’oggi. E s'inaspriva proseguendo : «Il Burnand dimentica che i progressi della fotografia hanno reso per sempre illusoria e vana ogni ricerca compiuta dalla banda di quei realismo minuzioso che vorrebbe essere ad un tempo poesia e illusióne e il cui effetto più patente è di perdere l’una mèta e l'altra ». E la conclusione era minacciosa: « Le persone accorte hanno torto di misconoscere le inevitabili reazioni alla loro troppo grande saviezza ».
Certo si avverte nel nostro un temperamento cauto, un abito timorato ed alieno dalle espressioni più sottolineate ed accese. Ma dove i precipiti ed i ribelli accusano un gretto calcolo od una pavidità ottusa è più equo rintracciare la diffidenza verso i diversivi e le dissipazioni esterne, un dominante bisogno di possesso concentrato e gelosamente custodito.
Il contegno, insomma, deriva dai principi. Poiché quando deve definire il proprio ideale estetico, il Burnand invoca « unà sintesi che non deformi e non esageri, che riconduca al tipo permanente ed ideale senza sacrificaie la vera apparenza della vita », raccomanda « l’unità essenziale sgombrata di quanti aspetti fugaci possono essere dati dagli effetti di luce e d'ombra, da rapporti accidentali di valori opposti a sfondi reali e variabili ». Poiché se — ad esempio — gli avviene di presentare e d’ammirare i cento acquarelli di Filippo Robert sulla Flora Alpina (1), la sente flora squisita «perchè sbocciata nella solitudine, nel raccoglimento silenzióso nella fervida meditazione », «uguale in un medesimo senso dell’intimità, in una stessa fedeltà scrupolosa di riporto, nell’assenza dell’effetto, nella visione assorta e tenera ■».
Si aggiunga alle esposte circostanze e tendenze, il disinteresse per la storia. Quanto più si accresce o diminuisce la baldanza avveniristica, la fiducia in un imperturbabile progresso, insomma, nelle magnifiche sorti della famiglia umana, tanto più fievole o alta echeggia l’antica liturgia. Il de la Sizeranne constatava che nelle mostre del 1903 non vi era un sol quadro di battaglie degno di attenzione, compiacendosi che da oltre quindici anni fosse divenuta sempre più vasta e manifi). Con note scientifiche di Henri Correvon. Ginevra, Atar, 1908.
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ATTEGGIAMENTI DELLA PITTURA RELIGIOSA DI EUGENIO BURNAND 249
festa «l'indifferenza per gli spettacoli storici, i movimenti di folla e di guerra, il melodramma che per lunga pezza fu chiamato la stòria della nazioni ». Insieme l'ostentazione di troppa dottrina archeologica riusciva altrettanto greve e mortificante per la materia evangelica quanto era di fastidio la frivolezza chiassosa di quei Messia' che il Beraud assideva a convito con signóri in marsina, di quegli apostoli che si travestivano in giacca o farsetto; pertanto, nelle difficoltà di ricongiungersi ad una tradizione o complessa o confusa o oscurata, prevaleva più facilmente il partito di affidarsi all’ispirazione più semplice. A muovere — direi — dalla natura vèrso il sopranaturale.
Ora se non tutti i paesisti possono essere considerati, come vorrebbe un critico insigne, « l’ordine contemplativo della pittura », certo la pittura di monti e di pianure, di solchi e di pascoli maturò — nel Burnand — il sentimento religióso. La contemplazione delle bellezze naturali lo condusse ad iniziare nel 1895 il ciclo religioso col San Francesco e le greggi; ve lo ricondusse e ve lo strinse più forte quando si trovò dopò il 1914 lungi da Parigi, nella paterna Sepey, fra le vecchie mura, nel fasto delle pendici dello Jorat, tutto.ampio verso la valle della Broye, confinato dalla storia e dalla guerra fra la campagna ed il cielo.
• **
Le illustrazioni dei Fioretti e quelle così largamente ammirate delle Parabole (1) chiariscono l'evidenza e la facilità del trapasso dagli spettacoli della natura agli orizzonti delle anime. Diecine e diecine di scene nelle quali campeggia, su uno sfondo tesoreggiato in un’esistenza alacre, attenta, scrupolosa, diligente, sollecita e appassionata d’ogni moto e segno della vita reale, l’uomo appreso, interrogato ed interpretato con un'atavica serietà, con una piega riflessiva contratta fin da giovane, con una consuetudine ormai fermissima di tutto ricondurre ad un oggetto eterno. Non si dànno — si è spesso esclamato — più bei paesaggi di quelli delle Parabole! Perchè come nei quadri meglio gagliardi e suggestivi del Millet, scende dalle nuvole lievi, sale dalle messi alte, stormisce fra gli alberi, sussurra da ogni piega del suolo « ritorna da ogni più ardua lontananza, un invito a consistere nella calma, a migliorarsi e ad arricchirsi facendosi dei tesori dove nè tignola nè ruggine consumano, dove i ladri nè scassinano nè rubano. E se, mentre dilegua per l'aria i rintocchi deW Angelus, qualche tela celebre travolge con maggiore oratoria, il Burnand si propone una eloquenza più schiva e pacata.
Dalla natura allo spirito, dal paesaggio che l'occhio abbraccia all’infinito che l'anima agogna, vollero pur muovere due contemporanei e in diverso grado due contigui, l’Hodler ed il Rod, per le invenzioni della parola questo, per i simboli della linea e del colore quello, entrambi anzi con maggiore urgenza di evadere dalla clausura della materia del tempo e dello spazio. Ma fino alla morte recarono essi l’impronta dello spasimo, contratta la loro fisonomia di artisti e di uomini Or dall'amarezza della
(1) Berger et l.evrault, Parigi e Nancy, 1912.
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BILYCHNIS
delusione or dall'impazienza dell'attesa. Che cosa fece, invece, approdare il Burnand a più ospiti rive? L’Hodler è un violento il Burnand è un mansueto; il Rod è un pessimista il Burnand è un tranquillo. Ma tali differenze traducono quelle cui abbiamo accennato, non le spiegano; ne offrono sinonimi e non l’etimologia. Se nella stessa intensa eredità religiosa dei cantoni elvetici il Burnand e l’Hodler, nella uguale preparazione vodese il Burnand ed il Rod hanno trovato gli uni inquietudini e l’altro il ristoro, gli uni un destino di tormentati e l’altro la gioia di conciliazioni dolci ed effuse, se il Burnand ha avverato per se stesso la proméssa d’un quadro dei suoi ventisei anni Vi dono la mia pace (1876), la diversità risulta dall’esser giunto egli dal paesaggio alla religione sempre e soprattutto nella dirittura e nel dominio della famiglia.
Cioè nella presenza quotidiana e nella" preoccupazione costante dei bambini.
Davanti ai quali piccoli esseri, l’artista che li elegga e li anteponga alle altre categorie del prossimo può, tuttavia, assumere disposizioni di sentimento e di pensiero molto diverse fra loro.
C'è chi ripara dietro l’infanzia e nel considerarla ed accarezzarla vuole nascondersi a se stesso o celarsi il resto della gente e della vita. Si tratta, allora, di ipocondria per quanto graziosa e benigna.
La diagnosi, genialissima, è del ricordato ,Sizeranne il quale, diciassette anni or sono, vi insisteva scrivendo: « Fare il ritratto del fanciullo è un’idea di epoca pessimista. Nelle epoche pessimiste, inquiete, quando si dubita della propria opera — ed è questo soprattutto il caso della società contemporanea il fanciullo è chiamato nel ritratto della famiglia. Lo invade e ne riesce protagonista. I genitori non si presentano che ¿scompagnati, protetti in certo modo dai bimbi, stretti attorno ad essi e come rivincita sul male che pensano del presente 0 come scusa, sembrano dire: « Si, ma ecco l’avvenire ».
C’è poi chi sa ridiventare egli stesso bambino, rituffarsi in una giocondità mattutina, fluire in danza alata di visioni sorridenti, concedendosi tutte le delizie di una espressione lirica ed ingenua: fantasticandosi, vorrei dire, il fratellino minoro dei propri figliuoli.
Sono tonalità nervose ed eccessive dell’affettività famigliare la quale infatti non basta di per sè a guarentire l’equilibrio. E se vi ha anche una maniera di sentire la bellezza domestica pili media e composta, che attinge dal focolare copia sostanziosa di conforti senza mendicarveli, che accondiscende al gioco 'ma non vi si confonde ne vi si perde, questa è la maniera del Burnand il quale predilige la famiglia non per restituirvisi al passato ma per prepararvi l’avvenire, per tenervi la propria dignità e per assolvervi il proprio compito di sposo di padre e di guida.
Guardatelo nel bozzetto della famiglia credente, concorde al Benedicite della sera. Ricco della sua fede, felice della pia consorte e dei figli cari quel lavoratore, seduto ad una mensa scarsa di pane e di minestra, è trasfigurato dal possesso dei beni maggiori e migliori e rappresenta le conquiste democratiche della civiltà cristiana. Ma con tutta la democrazia della classe, vi è tutta l’autorità del governo famigliare.
15
E. BURNAND, I discepoli
(Pietro e Giovanni, accorrenti al sepolcro il'mattino della Risurrezione. Museo del Lussemburgo. Prop. Braun, Parigi)
E. BURNAND, L’invito al festino
(Muscoli Wintcrthur. Prop. Braun, Parigi)
TAV. I.
(1920-IVJ
16
(Dalle " Parabole1 illustrate da E. Burnand. Prop. Berger-Lcvrault, Nancy)
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ATTEGGIAMENTI DELLA PITTURA RELIGIOSA DI EUGENIO BURNAND
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Dalla penombra della preghiera egli emerge unico, sacerdote e signore del tempio e della società domestica. Sedutagli compunta accanto la compagna non divide nè la sua preminenza nè il suo rilievo; meno che moglie e piuttosto che madre è la prima dei figliuolini. Così come la giovine donna dal puro profilo che, ginocchioni sull’ erba. neiriwwTo al festino (y. Tav. I) aggiusta tutt’attorno al corpicciuolo del suo più piccolo la leggiadria dell’abito di nozze. È il ritratto della sposa questo che il Burnand inserisce così con moto di desiderio intenerito nella gioconda schiera dell’infanzia convitata lasciando discorrere da lei lo sguardo e fermarsi sull’omogenea varietà doviziosa della bellezza puerile ed adolescente. La sua gravità' non gli impedisce di godere gli effluvi di una tanta primavera di cuori e di volti. Il suo commento evangelico si spiana al sorriso, si apre alle promesse della gioia ed alle seduzioni della festa ; quel che esso ha di lento e di circospetto si distende in improvviso calore di simpatia e lo fa avvicinare da parecchi all’abbandono ed al candore di Maurizio Denis il così impulsivo illustratore Imitazione e dei Fioretti. Profili di bimbi accorrono e si affollano in un’opera che ha tanto diradato i fantasmi, che ha voluto ridurli alle specie più distinte; si attardano in movenze e drappeggi d’eccezione e di lusso in un pittore che professa tanto timore del particolare ozioso; si annunciano e come si richiamano da una scena all’altra di questo maestro silenzioso che rimugina ed elabora tutti gli altri elementi senza mai anticiparceli in impazienze affettuose. Guardate nella Via dolorosa quanto impegno a tener ferme le braccine gracili del bel monellinó ignudo. E ne\V Invito al festino, mentre il beniamino si lascia far bello dalla mamma ammirare dalle sorelle e mangiar cogli occhi da due più grandicelli, altri coetanei esprimono la carità che conduce e la speranza che accorre agli splendori delle nozze ed alle liberalità del convito. Uno si popperà ogni vivanda e si addormenterà sulla mensa come sul séno materno ; la ragazzina vorrebbe mettere, forse, in serbo qualcosa e fra le ultime figure della turba si districa un visetto dal quale la novità e l’attesa stentano ancora a cacciare i segni del dolore e del digiuno.
Nel Benedicite quattro rivelazioni di momenti e vezzi dell’innocenza: questo, il dolce San Giovanni della famiglia; si fa il più vicino possibile a colei che lo ha appena svezzato per accapararsene le carezze o, anche, solo per il tepido benessere di sentirsela accanto; l'altro casca dal sonno e non è più che un fagottino di carni da mettere a letto subito vuotata la scodella; ma il terzo è tutto sveglio, tutto aperto alla preghiera, all’asciolvere, ai discorsi che si faranno attorno al desco, nell’ora di tregua méntre un quarto è docile e pur lontano, già dietro a visioni errabonde. « Che pensi? », gli diranno tra breve.
Sparecchiato in fretta e coricati i dormiglioni, è su una tavola simile che il Burnand ha pensato di veder aprire l’edizione popolare delle sue Paràbole, sacra scrittura tradotta a domicilio in immagini di pace ed in teatro di virtù. Non i pinnacoli e le cripte come gli asceti; non le sole vetrate che si svegliano coll'alba; non le sole pareti pubbliche osservate nelle ore della folla e del culto, ma quasi con preferenza d’intenzione egli ha avuto di mira quelle umili fórme divulgative che potrebbero penetrare nel seno delle famiglie, occuparne le serate e le domeniche, e.
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sfogliate meditate con quella istessa devota tranquillità onde l’opera venne concepita, farla fruttificare di larga messe, perpetuarsi di lunga vita benefica nelle coscienze.
Carattere privato e casalingo congiunto, o almeno favorito per qualche parte, dalla tradizione della vecchia famiglia protestante altiera di non aver mai ristretto la pratica dei sacri testi ai limiti del servizio domenicale, leggendoli esaminandoli e nutrendosene con maggiore frequenza. Al quale carattere, per le stesse origini, l’arte-cristiana del Burnand accompagna l’altra di una certa prevalenza di procedere pedagogico ed educativo. Più la parola che il dramma, più le parabole che la passione, più la chiarezza che l'ansia, più l’ammaestramento che la preghiera.
La creatura umile e buona che sta a vegliare l’infermo e sarà riconosciuta alla destra del Figliuolo dell’uomo non è costretta a superare grandi ripugnanze: l'ammalato nel quale ella visita il Cristo, la nuda cella ove così tesoreggia per i cieli, sono riposo e lindura e in quel silenzio si annuncia una pace più perfetta. Dall’opera di bontà e di misericordia — « Ero ammalato, e mi visitaste! » — son dileguati i segni dello sforzo e del sacrificio. Siffattamente chi vorrà assistere il Carcerato (v. Tav. Il) delle Parabole non dovrà incrociare uno sguardo d'odio e di rivolta, non disciogliere uno spirito immortale dalle impronte dell'abbiezione e del vizio, ma stringere solo le mani che i ceppi illividiscono, illuminare di speranza un volto depresso nelle te* nebre, conculcato nell’abbandono. Il signore che torna e chiama ai conti i servi cui ha distribuito i propri talenti, stende, in testimonianza di affabilità migliori, la sinistra ad accarezzare il cane fedele, sicché l’infingardo che ha sepolto le grazie di Dio è già smentito nelle tante paure che pretesterà a propria difesa: « — So che sei uomo austero; che mieti dove non hai seminato, e raccogli dove non hai sparso nulla. E timoroso andai a nascondere il tuo talento ». Insieme non sembra neppur capace di queste vane scuse e là sua sterilità, imperdonabile nel giudizio di Dio, l'orgoglio degli uomini è tentato di non considerarla che deficienza.
I Vignaiuoli malvagi (v. Tav. II) sono colti nel momento in Cui dicono tra loro: « Questi è l’erede: su via, ammazziamolo, e sarà nostra l'eredità! ». Da cinque volti di durezza adulta o di perversità senile, il Burnand scende a fermarsi sul problema della cattiveria adolescente. Conformato come egli è e per la genesi suesposta della sua propaganda religiosa è questo appunto il problema che lo deve interessare di più.
Perciò l'efficacia grande delle tavole consacrate al ritorno del figliuolo prodigo. Mentre questi « è tutt’ora lontano », il padre lo scorge e, mosso a pietà, gli corre incontro colla consolazione, collo slancio e quasi il rimorso di Federico innanzi all’innominato: « quantunque per me abbia un po’ del rimprovero »!
Sollevandolo a sé, stringendolo e proteggendolo sul proprio petto, non ha più alcuna memoria degli affanni trascorsi, nella sollecitudine di resuscitare chi ritorna dalle vie e dalle insidie del male. 0, anche, se il cuore gli batte tuttavia troppo forte, vi è tanto abituato e facilmente lo comprime per dar sfogo all'ambascia del pentimento che rigenera.
Fin qui arte religiosa nata di perfetta e consapevole paternità, che predilige i piccoli, che indulge ai traviati, che dona ai bisognosi. Resta la filialità colle urgenze
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E. BURNAND, Il sermone della montagna
(Frammenti di vetrata. Prop. Berger et Lcvraull. Parigi)
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E. BURNAND, I pastori (Nolte di Natale) (Prop. dell'A. Opera inedila)
TAV. IV.
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dei suoi santi desidèri, colle appassionate invocazioni di chi è esule dalla patria e mendico sulla terra e sicuro di tesori inauditi. Questa fììialità quanto vibra essa e come si esprime nel Burnand?
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E prima che nell'adorazione del Messia, cerchiamola nel consenso con quanti lo attendono e lo seguono.
La vergine avveduta, pronta ad entrare collo sposo nella stanza delle nozze, gelosa della sua lampada chiusa e colma sotto la bella palma, vigila senza sforzo nel sonno di tutte. L’artista che indugia a ritrarne la bellezza pari a quella di un dolce mattino senza vento, ne ha fatto una creatura privilegiata, desta agli annunci dello spirito fra la maggioranza che soccombe alla stanchezza del corpo ed all'inol-trarsi della notte.
Meno aristocratica, più accessibile è la serietà nuova della turba ferma ad ascoltare il Sermone della montagna (v. Tav. IH) e, fra essa pur la vecchia, che abbassa le palpebre nell'onda dei ricordi,, pur il lattante paffuto che dorme nelle braccia fide i sogni innocenti possono entrare, senza segno di vittoria nei disegni di Dio. Ve ne hanno che si. trasfigurano, ma su moltissime fisonomie la redenzione è recente colle traccie delle umili fatiche e degli angusti pensieri di dianzi. Nei numerósi profili mulièbri — per lo più abbronzati e meridionali nelle calde chiome nere — di questi cartoni per le vetrate di Herzogenbuchsee diresti che il nostro abbia presentato le mamme e le sorelle degli Apostoli di quella Preghiera sacerdotale della quale parleremo tra breve, venute dagli stessi campi e dagli stessi mestieri a formare la famiglia di Gesù.
Nello squillare della voce della donna che ha trovato la dramma, che chiama assieme le amiche e le vicine dicendo: « Rallegratevi meco, perchè ho trovato la dramma che avevo perduta », più limpido del simbolo dell’allegrezza dei cieli al ravvedersi di un solo peccatore, si distingue la gratitudine d'aver rimesso ordine nella vita e nella casa ricevendo grazia ed aiuto dall'Alto.
Sicché quella, parabola è di ispirazione consona all’osanna ed all’esultanza di questi inediti Pastori della Notte di Natale (v. Tav. IV). Quanta vigoria ed intensità nella .composizione compatta in un getto, balzata direi nella sorprendente robustezza dei settant’anni. Un adulto, fatta visiera della mano, par che si difenda da un barbaglio e scruti insieme l’avviso dei Cieli; il suo vicino, abbassata la testa, coperti gli occhi reverenti, si rinnova nel più profondo della coscienza mentre un giovinetto surge sopra ed alle sue spalle, partecipazione di una generazione più avventurata, tutto avido del proprio retaggio di salvezza, legato da una simmetria interiore al vegliardo grinzoso che stempra le estreme forze della vita alla beatitudine di salutare — prima di morire — l’Aspettato delle Genti.
Col Sabato Santo perveniamo alla cerchia degli Apostoli nell’ora della prova e dell’assenza, nell’atroce sensazione del posto vuoto,
come quando due tornano ancora a parlarsi in una camera donde tolto hanno via qualche cosa e il parlare... suona, pur esso diverso dal solito, come in uno spazio... più ampio...
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Vuotare fino alla feccia questo amaro calice, varcare l’eternità di questa giornata vedova del divino Maestro e delle opere sue, è avviamento ad intendere la liberazione della domenica successiva a comunicare in palpai di amorfe e di fede con Pietro e Giovanni decorrenti al sepolcro il mattino della Resurrezione (v. Tav. I).
Il gran quadro del Lussemburgo (1898) sviluppa, per quanto entro termini men remoti, lo stesso motivo e contrasto di due età diverse così potente nella Notte di Natale « Pietro e l'altro discepolo — che era caro a Gesù — dunque uscirono e vennero al sepolcro. Correvano tutt’e due assieme; ma l’altro discepolo fece più presto di Pietro, e arrivò primo al sepolcro. E, chinatosi, vide le bende per terra ma non entrò ».
Nell’opera del Burnand i due apostoli si stanno ancora a lato ma già si sente che Giovanni — come nel racconto del quarto Evangelo — giungerà prima e soprattutto che per il tumulto dei suoi affetti egli non potrà, senza e prima di Pietro, classificare le prove e constatare con cautela il miracolo capitale del Figliuolo dell’Uomo. Giovanni s’affretta senza definire a se stesso in che mode speri di 'ritrovare il Maestro; Simon Pietro è edificato dall'avveramento di tutti gli annunzi cominciando da Mosè e continuando con tutti i profeti: « Perchè non avevano ancora capito la scrittura, secondò la quale Egli doveva risuscitare dai morti ». Un quadro, insomma che è degno preludio — scriveva sulla Quinzaine Luigi Flandrin — alla ammirata tela della Preghiera sacerdotale (1902). Dove il Burnand affrontò le differenze di fisionomia e di carattere non più di due soli ma di undici apostoli puniti all’orazione nella vigilia del sacrifizio (v. Tav. V).
Ritti tutti lungo il candore della sacra mensa, sullo sfondo di una parete ignuda, uguali nelle vesti bianche, appena abbiate preso a considerarli, vi chiamano ciascuno e vi trattengono lo sguardo come ritratti distaccati, penetrati per quel che sovrasta della loro persona e per i profili i tre quarti e le faccie da una gagliarda osservazione della vita interiore, da un’indagine tutta tesa alla sola realtà dei fatti morali. Sicché appunto perchè si affermano netti, non ombre ma esseri pieni, emèrgono in ricca vita ideale. Seppure giovani quasi tutti non è per l’età che ne sentiamo e ne ricorderemo i tratti distintivi. I più sono nature umane serie ed oneste che accettane il dovere e compiono lo sforzo coscienzioso e tenace di sollevarsi oltre se stesse: nelle loro teste rudi e piantate su torsi quadri il Verbo è entrato e li domina ma — al paro, dicemmo, che in quelle delle ascoltatrici del Sermone della montagna — si ritrova la traccia delle preoccupazioni tralasciate. L’ultimo a destra è il più innocente: si può da lui correre col pensiero al puro folle del Wagner, ma èjpiù consono al Burnand congiungere questo santo per istinto al pargoletto che vedemmo più su placido nel sonno alla proclamazione delle beatitudini e dire dell’uno e dell’altro: « Obdormivit in domino ».
Alla sorpresa od alla docilità di costoro fa riscontro l'alzarsi delle pupille di qualcuno da Lui che li guida alla visione che Egli possiede. Veggente, dunque, questo o quello, ma da discepolo, ma non più nella solitudine degli evi incompiuti. Occulto nel proprio intenerimento, con una delicatezza di tratti fin moderna, tutto donandosi neH’ascoltare, con un fervore che trapassa tutti i meriti della devo-
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E. BURNAND, La preghiera sacerdotale
(Frammento. Musco di Losanna. - Co! consenso della Photographische
Gesellschaft di Charlottenburg)
Tav. V.
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E. Burnand, Testa del Cristo
(Studio per la Fra dolorosa. Prop. Braun, Parigi)
TAV. VI.
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zione, il primo a destra è Giovanni. Separato e quinto a sinistra un altro è fluito e rapito nel Redentore. Non ha più nulla che lo individui e lo- fermi. Avrà mai conosciuto moglie, figli, professione sulla terra? Addentrandovi ad interrogarlo credete di potervi spiegare che egli colpisce per l’indefinito dell’androgino. La ragione però è apparente: è androgino perchè, superate le limitazioni del sesso, è condotto alla perfette espressione dell’estasi angelica. Sta e procede come in un rito, come sotto un baldacchino, come un po’ sonnambulo; lo direste il più mistico e il più cattolico. Certo è il più « unanime ». E in suo confronto un’inquietudine vi prende davanti all'autonomia pronunciata da ogni altro con una sua propria maniera di assistere e di guardare, la stesse inquietudine provata nell’intimità del Benedicite. Sono così lontani quei quattro bimbi! Non sarà poi troppo difficile avvicinarli nell’educazione e nel giuoco? E i discepoli come faranno ad agire insieme di poi? Se qualcosa manca, manca il numero interiore della soppressione paradisiaca d'ogni singola indole, manca la musica vittoriosa di una convergenza perfetta.
Poggiata tanto sulla parola del Cristo, l’opera del Bumand he rievoca meno la persona. E le opere principali che la contengono sono appena cinque, quattro delle quali in breve torno di tempo, dal 1899 al 1903 e l’ultima — i cartoni del Sermone della montagna — nel 1911.
L’uomo del dolore (1899) è in ginocchio al Monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, nell’istante fermato dalle parole di Luca: « E com'era in un'angoscia estrema, pregava più intensamente: e il suo sudore divenne simile a grosse gocce di sangue cadenti in terra ». Pertanto l’eccesso dell’oppressione e della sofferenza prevale sul carattere divino di chi soffre e sulla stessa astratta divinità del dolore. La vittima del tradimento si rattrappisce; le mani si stringono spasmodiche, la testa rientra fra le spalle, la carnè stanca indietreggia all’ascensione del Golgota, Lui, invece, il Galileo muove poi tutto eretto e sciolto nella Via dolorosa (1903) (v. Tav. VI). Sempre nel racconto di Luca: « Or lo seguiva una gran moltitudine di popolo e di donne che facean cordoglio e piangean per lui. Ma Gesù, voltosi a lóro disse: Figliuole di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figliuoli: poiché, ecco, vengon dei giorni nei quali si dirà: Beate le sterili, beati i seni che non han generato, e le mammelle che non hanno allattato ». La scena è assai complessa di attori e di spettatori variamente sospesi al lamento delle donne ed alla severità del Cristo: il quale, « così andando », non volge più che il viso ad una irremovibile condanna del « ramo secco » del ribelle Israele seppure illuminato da una superiorità regale sulla tragedia di cui è il centro.
Levati gli occhi al cielo, tenendosi in mezzo agli undici rimasti quando Giuda fu uscito, il buon Pastore nella Preghiera Sascrdotale invoca il Padre dicendo: « Padre, l’ora è venuta; glorifica il tuo figliuolo, affinchè il Figliuolo glorifichi te... Padre Santo, quelli che m’hai dato conservali nel tuo nome, affinchè siano uno, come siamo noi ». La raffigurazione si allontana nel Cristo —• come e assai più che negli Apostoli — dagli aspetti consueti. Il Flandrin in quel ritratto di faccia colla fronte meno spaziosa di quella che vedemmo testé nel corteo della crocifissione, cogli occhi turchini, la barba bionda e di taglio moderno, è tentato di additare un giovine pastore
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protestante. Senza discapito nè di rilievo nè di emozione, anzi, in solennità ispirata che soggioga e giunge ad essere, coi mèzzi di un magistero tecnico, c una delle più autoritarie manifestazioni dell'invisibile ». Persino ci sono, i gesti di una liturgia, per quanto semplificata ed ignuda, officiante di suprema importanza che assurge dal tempo aU’Eterno.
Però se sentiamo tanto il Cristo che si rivolge al Padre, sentiamo meno l'affettuoso bisogno di rivolgerci noi a Lui. Mentre interpreta tutta la preghiera degli spatriati che anelano al ritorno non ci sommuove per il debito del riscatto, per l'ineffabile suo gravame dei peccati altrui. Il suo cuore non sembra sanguinare per i tradimenti avvenuti ed a venire; non vi è sul suo volto l'ombra del dodicesimo che lo ha or ora lasciato e venduto .
Alcuni Critici che ebbero adiacènti sotto gli occhi i lavori del Burnand, e le litografie di un tardo epigono dell'Angelico, di una fantasia serafica e francescana, di Carlo Maria Dulac e le creazioni del ricordato Denis credettero di stabilire nel contrasto fra la forza dell’uno e la grazia degli altri le differenze fra il cristianesimo protestante e la poesia cattolica.
Dove vi è il pericolo di considerare per conclusione un dato preliminare. li silenzio delle voci patetiche, l’assenza della nota tragica, la lontananza del Redentore in confronto coll’accorrere soccorrevole del padre verso il figliuolo smarrito e pentito, un atteggiarsi a minore indulgenza tutte le volte che Egli si presenta per ricordare come innanzi a Lui sia colpa ogni difètto di fède, sono tutti tratti di una, non direi severità od austerità, ma diffidenza della tenerezza umana che anche il cattolicismo —- nella sua infinita varietà di attitudini — ha conosciuto, almeno in taluni periodi del seicento.
C'è una religiosità confidente che dalle effusioni del desiderio, dàlie ansie della ricerca, dagli sgomenti dell’aridità e dall'abbandono ascende e si compone nella felicità della certezza, che dal senso dell'armonia cosmica perviene all’intuito d’una concordia del cielo e della terra, che dalla totalità delle Creature ascende all’ unità del Creatore. C’è, invece, una religiosità che teme l'infiltrarsi del terreno nel divino, del caduco nell'Eterno, e scuote dai propri calzari, prima di penetrare nel tempio, la polvere e perfino l’atmosfera del secolo.
Partecipe di questa tendenza, il Burnand vi uguaglia il concetto e vi conforma la tecnica la maniera e lo spirito. Perciò semplice naturale e sòbrio sempre, fa spesso al più rigoroso dei programmi i più decisi sacrifici, e col disprezzo dell'accessorio, coll'orrore del superfluo e del contingente, colla rinuncia ad ogni seduzione di effetti di vanità di particolàri, vuol dare nella povertà volontaria, nella nudità inventiva l’immagine di un compiuto distacco. Perciò le sue tinte sempre fredde sono talora dure di scarsa fusione ed armonia; perciò, in una -scala ristretta, in una patina rugosa, sotto una luce senza barbagli e sènza sbalzi, sopra un fondo quasi inesistente e neutro, la sua pittura appare un disegno che basta a se stesso. Giansenista moderno, il Burnand ha rinnegato le pompe dell'arte sua, come il credente ha vinto le lusinghe delle «presenti cose».
Paolo Arcare
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I MOMENTI DEL PENSIERO ITALIANO
(DALLA SCOLASTICA ALLA RINASCENZA)
l secolo xvi fu l’epoca gloriosa per l'Italia che restituiva alla ragione umana i suoi titoli di nobiltà. La nostra filosofia, la nostra civiltà risalgono ai secoli della Rinascenza, in cui la patria nostra straziata dagli stranieri, donava alle altre nazioni d’Europa la libertà del pensiero e l’autonomia della ragione. Per usare un’espressione del Göthe, la Rinascenza parve il frutto dell’unione dei figli di Dio con le figlie degli uomini. Prima della
Rinascenza noi troviamo il Medio Evo, cioè la Chiesa, il feudalismo e la scolastica.
La Scolastica fu una propaganda di Cristianesimo, ma una propaganda dotta; s’imponeva quando la fede cieca non era più alimento sufficiente per gli spiriti ed urgeva invocare la ragione a difesa della fede, spiegando le contraddizioni della Bibbia e giustificando i dogmi intorno alla cui formazione s’era travagliata la Patristica. In questo modo suggellava le tradizioni della scienza e provvedeva agl’interessi della società. ’ ■
Nella Scolastica fermenta il lievito del progresso insieme colle traccie della barbarie. È progressiva nel suo intento non più esclusivamente apologetico come era quello della patristica perchè s’ingegna coraggiosamente di spiegare il Cristianesimo per applicarlo, in seguito, alla società. Armata della logica aristotelica, fatta aguzza di tutte le sottigliezze greche, arabe ed occidentali, compie lo sforzo gigantesco di incorporare in se medesima e di conciliare indirizzi di pensiero che a lungo andare dovevano rivolgersi contro di essa e sgretolarla. Il merito di S. Tommaso è la costruzione, l’elaborazione sistematica di una grandiosa concezione cristiana; egli non pure ha reso compatibile il Cristianesimo con la coltura, ma l’ha messo in più stretto rapporto con la scienza e la filosofia e, pur mantenendo la supremazia alla religione, ha riconosciuto lo specifico diritto di tutte le altre manifestazioni dello spirito.
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Il mondo della coltura è per lui impersonato nel « filosofo »; ma gli elementi del-l'aristotelismo che trapassarono nella scolastica non furono fecondi, perchè si fece valere dell’aristotelismo solo quanto si accordava col pensiero cristiano già platonizzato e dogmatizzato dai padri della Chiesa. Perciò la Scolastica che pure pretende con S. Anseimo di fondare razionalmente la verità della fede, non può essere progressiva che fino ad un certo segno; secundum quid, per valermi dell'espressione consacrata dalle scuole. Abelardo, l'impavido dialettico, in cui lampeggia lo spirito francese che vuol vedere chiaro, penetrando per tutti i meandri del pensiero e rischiarandoli di luce limpida ed uguale, col suo atteggiamento razionalistico urta coll’ambiente che non lo segue nelle audaci illazioni; e l'ortodossia del suo allievo Pietro Lombardo, approfitta di quelle armi che il razionalismo aveva temprato.
L’Ossequio alla fede tronca il volo al pensiero, la logica deve contentarsi di cercare la certezza nelle forme esterne del ragionamento; la teologia muove dalla fede, le questioni che agita sono comprese entro la sfera della credenza. Philosophia ancilìa ecclesiae e ancilla Aristotelis, sono i due postulati su cui si fonda il sistema del più grande degli scolastici, S. Tommaso.
La politica a sua volta veniva a scindersi in due grandi tradizioni che risalivano ai primi secoli della Chiesa e di là alla Politica di Aristotele ed alla Repubblica di Platone. La prima rivendicava la proprietà consacrava il regime feudale e lo orgavana in modo da sottometterlo all'aristocrazia della Chiesa dominata dal papato. I due capolavori di questa politica, come osservava bene il Ferrari-, furono il regno di Gregorio VII all’interno, e la spedizione delle crociate all’esterno; cioè a dire l'organizzazione e la propagazione del Cristianesimo.
L’altra tradizione che durante l’età evangelica, aveva scomunicata la proprietà e la famiglia, fonda ne! Medio Evo quegli ordini monastici che vivono cogli occhi estatici rivolti al Cielo in attesa delle rivoluzioni apocalittiche e della fine del mondo ; più tardi con Gioacchino da Flora, rinnova le idee dei millenari per insorgere contro le tirannie dell’epoca e annunziare il regno prossimo del Cristo sulla terra. La politica è costretta dunque a sognare l’eguaglianza degli uomini pel miracolo dell'av-vento od accettare rassegnata l’assurda ineguaglianza che è conseguenza della guerra e della conquista.
Siccome lo Stato non ha altro valore che come piedistallo della statua di Dio, che è la Chiesa, non è in sè niente di divino; è sacro solo come il piedistallo. Per Dante stesso, il laico onnisciente che in parte trascende il Medio-Evo, lo Stato non è che il sacro romano impero di cui l’Italia è il giardino : il divino s’apparta nella città di Dio, e l’uomo riesce soltanto a trovarlo nella religione. È questa la ragione per cui manca alla-Scolastica l’accento personale, la peculiarità nazionale «Ubique patria, ubique lex et religio mea est...Latitudo orientis, septentrionis copiositas, meridiana diffusio, magnarum insularum largissimae tutissimaeque sedes miei iuris et nominis sunt, quia ad Christianos et Romanos Romanus et Christianus accedo ». Così con orgoglio latino si esprime Paolo Orosip, il continuatore di S. Agostino quasi volesse riecheggiando il detto -di S. Paolo: «Ci sono molte membra ma tutte
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I MOMENTI DEL PENSIERO ITALIANO
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insieme non fanno che un corpo solo» esaltare la nuova condizione dei tempi che ha cancellata l’antica polis, per fondare la civitas gentium, dove possono acquistare il diritto di convivenza quanti se ne rèndono degni con la professione della fede vera e coll’esercizio delle buone opere. La coscienza cristiana trionfa sul sentimento romano.
La filosofia scolastica che rispecchia la mente medioevaìe, non può essere nazionale. Non s’intende Platone, il concittadino di Fidia, di Pericle e di Sofocle, il discepolo di Socrate, al di fuori della civiltà greca che l’ha preparato; ma la Scolastica non arriva al concreto spirituale umano. Tutt’al più potremo parlare di Scolastica araba, di Scolastica ebraica, di Scolastica cristiana, appunto perchè il pensiero si esercita nel contenuto religioso; quindi l’esteriorità è il motivo del formalismo scolastico. Non si vuole negare con ciò che manchi assolutamente ad ogni sistema scolastico, per usare un’espressione in voga nelle scuole, il suo principio d'individuazione. La genialità erompe ed imprime non di rado il suggello ai veri sistemi.
Ma non si dimentichi che la scienza medievale del mondo cristiano è nel periodo culminante della Scolastica, monopolio dei -frati; la scienza ecclesiastica è di necessità scienza impersonale, internazionale in quanto disconosce ogni limitazione di patria terrena. La lingua è quella stessa della liturgia: il prevalere del latino come lingua dotta, è anche merito della Scolastica.
L’internazionalismo politico e culturale cristiano si servirà come mezzo d’espressione del latino, lingua universale. Il prete e il monaco si trovavano a casa loro dovunque capitassero; lo studioso poteva peregrinare liberamente da Bologna a Parigi da Sàiamanca ad Oxford, senza avvertire nessun mutamento delle sue abitudini « Roma caput mundi quidquid possidet armis. Religione tenet ».
La Scolastica per questi riguardi era veramente il riflesso della repubblica cristiana. Ma nella stessa società medievale lermcntava il lievito dei tempi nuovi che si preparavano sopratutto per opera dell’Italia. La Storia italiana si alimenta delle contese politiche fra la Chiesa e l’impero ma per valersene pe’ suoi fini, per promuovere la fondazione dei comuni che s’erano venuti formando ed ingrandendo nell’oscurità avvantaggiandosi della lotta fra l'impero e la Chiesa, affondando le loro radici quasi per attingere la linfa vitale, verso gli ipogei dell'antica Roma di cui rinnovano la giurisprudenza, introducendo le leggi dell’ aequitas in una civiltà che aveva, idealmente almeno, prescritta la schiavitù.
« Roma caput mundi regit orbis frena rotundi ».
Le . giovani repubbliche appena uscite dalla culla invocano l'antichità e non l’avvenire, soffiano nelle ceneri calde della coltura romana ad attirarne nove scintille.
La rivoluzione comunale si chiama in Italia restaurazione,” costumi (bonae consuetudines) Roma è la città santa: il su© popolo eletto, il servo del Signore: la Italia che non s’acconcia ad essere vassallo dell’imperatore si gloria di dirsi vassalla dell'Italia antica. La rinascenza dell’antichità non è un’opinióne di pochi Studiósi o di un gruppo di fanatici, è salda credènza, e fede politica. Di qui la maturità della arte italiana che è veramente la stella del mattino, la preannunziatrice delle innovazioni del genio moderno.
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Gl’italiani fulminati da S. Bernardo come ribelli al pontefice, empì contro Dio,, temerari contro i santi’ sediziosi, ostili ai vicini, ecc. ecc. adempiono la loro missione specifica coi comuni che, destreggiandosi fra il Papato e l’impero, rinunziano all'indipendenza per la libertà. Come diceva Liutprando da Cremona « quia semper ìtali geminis uti dominis volunt, quatenus alterum alterius terrore coèrceant». Vale la pena di ricordare le parole del Ferrari (la cui grandezza è pari alla colpa dell'immeritato oblio) che costituiscono il leil-motif della sua magnifica Storia delle rivoluzioni d'Italia:
« La storia dei comuni non è dunque altro che la storia di una rivoluzione continua, lenta, fatale, e sempre trascinata dai suoi propri antecedenti a combattere il vecchio papa e il vecchio imperatore delle barbarie, per creare un papato e un impero ideale, donde spariscano in modo cosmopolita tutte le traccie della dominazione dell’uomo sull’uomo».
I comuni preparando così con la loro politica la dissoluzione del medioevo, affrettano a un tempo il risorgere della nuova filosofia.
II.
Qui e non altrove s'annida il segreto del primato d’Italia fino al secolo xvi, dopo la quale epoca, l’Italia riceve l'impulso dalle rivoluzioni estere e decade dall’antico privilegio di promuovere la civiltà europea. Giuseppe Ferrari che ha proiettata tanta luce nell'oscuro groviglio delle rivoluzioni d’Italia, tenta di svelare il segreto per cui il sistema politico italiano impiantato sulla gran repubblica papale imperiale ha fatto dell’Italia una nazione senza confini, perchè essa possa diventare il centro d’Europa che irraggia le sue nuove creazioni politiche a tutti gli stati.
« Il diritto supremo delle rivoluzioni, si innalza al disopra delle nazionalità, ne contempla i contrasti; e l’Italia rivoluzionaria con un impeto continuo di sei secoli, tutta alla guerra delle idee, disdegna appunto le monomanie dell’arte politica per convitare allo spettacolo straordinario di una nazione senza confini, di un progresso senza governo, di una supremazia conquistata al di fuori di tutte le teorie ricevute dall’indipendenza, sulla forza, sulla grandezza degli Stati, di un dramma finalmente i cui termini si fondano esclusivamente sui principi astratti e la cui unità è tutta nell’intelligenza dell’uomo. Così le sue eccezioni diventate la regola delle regole, la sua storia superiore alle altre storie come un tempo i suoi popoli agli altri popoli, ci apprendono a dominare la contraddizione delle guerre, a vedere le moltitudini sotto le persone simboliche del papa e dell’imperatore,, a trovare una medesima rivoluzione sotto i governi di forme opposte e da ultimo ad abbracciare l’associazione unica di questo medio evo europeo che nessuno intende, nessuno spiega dal momento che si dimentica il popolo eletto che regge con la sua legge pontificia ed imperiale le crociate francesi, le battaglie spagnuole, il parlamento inglese, i paesani svedesi, la federazione germanica e lo scisma stesso dei Russi periodicamente scosso dalla devozione polacca ».
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Le grandi rivoluzioni delle città italiane prepararono le invenzioni e le scoperte che si succedono con rapidità fulminea, nei prini decenni del Rinascimento. La storia d’Italia è l'espressione del coraggio eroico dell’intelletto nella scoperta' del vero. La scuola storico-liberale del 1848 immemore del detto del Vangelo: «Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti » s’illuse, andando a ritroso de’ tempi, che il papato potesse compiere il miracolo di risuscitare l’Italia, il nuovo Lazzaro fasciato delle bende dell'Austria, ad uscire fuori del sepolcro. Il mite e badiale Pio IX, fatto dagli altri e disfattosi dasè, 0 per meglio dire disfatto dallo spirito della storia che costringeva il pontificato di natura sua sopra-nazionale, a distaccarsi dal moto nazionale italiano e ad agghiacciare' la tepida buona volontà dei principati reazionari, militi razionalmente riluttanti per una guerra che per tanti rispetti era stata accesa dal fuoco della rivoluzione francese che i trattati del 1815 non erano riusciti a spegnere, aveva contribuito a dare breve consistenza alle conclusioni della scuola cattolico-liberale che ha i suoi rappresentanti nel Balbo, nel Gioberti, che considera l'Italia, il popolo sacer dotale per eccellenza, e negli epigoni della scuola toscana. Per costoro il lievito del movimento comunale sarebbe stato comunicato dal pontefice degno erede dello spirito romano universale, che trionfa sull’individualismo germanico, distruggendo con la pratica cristiana le differenze delle varie classi sociali, promovendo così il prevalere dell'elemento popolare. Se così fosse avrebbe ragione il Gioberti della Teorica del soprannaturale e <\q\V Introduzione allo studio dellayWosq/fa, a considerare il Rinascimento come l’inizio della decadenza d’Italia, poiché il Rinascimento che albeggia nel periodo che col trionfo della plebe si schiude la via ai tiranni, cioè a dire allo Stato laico, spezza ogni legame col papato e rende impossibile il ritorno di un Gregorio VII. L'uomo deve cercare la sua salute in sé, conquistarla con le sue forze: questo è l’accento del coraggio e della speranza, L’Italia dei comuni ingemescit et parturit, fra la tempesta dei conflitti interni crea le nuove forme politiche che superano ed annullano il Medioevo e le diffonde a tutte le nazioni d’Europa. Gl’Italiani lottano non per l’indipendenza ma per la libertà ed il progresso sociale, riformano il Papa e l’imperatore, costringendoli ad annettere nel loro patto il progresso sociale delle nuove forme politiche, create dalla forza rivoluzionaria d’Italia. I comuni adunque sono il momento germinale del Rinascimento: protagonista dei comuni è il popolo, che adopera ai suoi fini i Papi e gli Imperatori, costringendoli ad accogliere quelle invenzioni che esso preparava, a procedere per le vie che esso gli apriva, a sfruttare le incessanti invasioni straniere come mezzo di conquista per una sempre più larga democrazia. Il merito della interpretazione è dovuto al Ferrari la cui opera esige bensì di essere esaminata e discùssa alla luce e al cimento dei nuovi studi e delle indagini di quest'ultimo cinquantennio, pur rimanendone finora monumento insuperato.
I comuni prima, le signorie poi, si rivelano come creazioni di volontà autonome e d’interessi umani che trovano il loro Edipo in Nicolò Macchiavelli.il quale con spietato metodo, teorizza l’origine umana degli Stati e ne proclama l'assoluto valore intrinseco.
Se il Medio-evo durava, il regno della Scolastica non sarebbe tramontato. Ma lo spirito umano è logico: una rivoluzione nella sfera degl’interessi si propaga nella regione delle idee.
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L'ultima filosofia che è quella della Rinascenza, comincia quando comincia il mondo moderno.
Se le rivoluzioni che ci appassionano, se le invenzioni che hanno trasformato i rapporti sociali, sono le rivoluzioni e le invenzioni della Rinascenza, è evidente che i sistemi filosofici del xv e xvi secolo ci spiegano le origini e lo sviluppo della filosofia modèrna non pure, ma del mondo moderno.
Gli uomini della Rinascenza si avventurano nel mare della filosofia come in un oceano, sperando di raggiungere lidi sconosciuti al pari di Colombo. «Ai giorni nostri, essi dicono, abbiamo fatti maggiori progressi di quelli che abbia compiuto il mondo in un millennio ».
È il tempo, per usare l’espressione dello Spaventa, di una nuova creazione dello spirito; ma il lavoro Originale del pensiero è come nascosto dall'apparenza di opposte direzioni e di vecchie forme; manca ancora la coscienza comune dell’unità in cui si raccolgono le diverse manifestazioni dell’intelligenza, cioè la coscienza del nuovo principio, che dopo essere stato la cagione della rovina del Medio-evo, doveva mostrarsi nella sua totalità organica nei tempi moderni. Siccome gli antichi sistemi non possono scomparire in un giorno, il Rinascimento ci offre lo spettacolo di un’esplosione di nuove idee : quindi i caratteri di un periodo rivoluzionario, un miscuglio singolare di credulità e di scetticismo, di bizzarria e di profondità che nei tipi più rappresentativi si atteggia in un sincretismo in cui fermentano i più svariati indirizzi. Così il panteismo della Rinascenza non riesce a liberarsi dal misticismo; così non domanderemo a Bruno il rigore sistematico, ma la sintesi di tutte le idee nuove, non {scompagnata dalla reviviscenza progressiva di tutte le idee antiche, dai presocratici, che hanno una specifica importanza perchè a lui prediletti, ai nei-platonici; ma l’impeto rivoluzionario del secolo, che rompe gli argini alla fredda indagine speculativa, per assumere le forme dell’arte che spazia dal comico al sublime, che alternando l’ironia corrodente all'esaltazione religiosa, che s’individua in tipi impazienti di Ogni costrizione formale.
Il secolo xvii è il secolo delle scoperte, l'invenzione è la Sua formula.
Dopo lunghi sforzi per diverse vie tutta la potenza della speculazione italiana si risolve e pare quasi esaurirsi in due sistemi i cui intimi motivi sono gli stessi che battono alle porte della coscienza moderna, cioè la infinità reale di Dio, la rivelazione di Dio come natura («natura est deus in rebus » Bruno) e la spontaneità del pensiero umano.
Il principio che informava il sistema medievale era la trascendenza del divino, cioè a dire, la sua esteriorità a! di fuori ed al di là delle manifestazioni del mondo, fuori della nazionalità dei popoli, della vita presente concreta dell'uomo. Dio era il culmine della speculazione, ma il contemplante doveva farsi strumento passivo di una rivelazione che discende dall’alto.
L’uomo era un’ombra che celebrava Dio nella morte: la città di Dio splende agli spiriti redenti dal peccato in antitesi alle tenebre della Babilonia terrestre.
Tendenza adunque all’abolizione del mondo per celebrare la Divinità. Lo stato ha la sua ragione di essere purché si pièghi ai fini indicatigli dalla chiesa: Imperator intra ecclesiam, non supra ecclesiam, aveva insegnato S. Ambrogio.
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HI.
Ma se ogni nuova filosofia è polemica con quella che la precede, è altresì conservazione perenne del passato in ciò che è vivo veramente, e proposta di ulteriori svolgimenti. Che cosa conteneva di vero il sistema cadente? l’indomita tendenza al cielo, all'eterno, al divino; l'umanità tenuta come cosa sacra. Il primo carattere peraltro era riconosciuto come un essere astratto, il secondo come conseguenza della redenzione del Cristo e non era celebrato nella sua attualità concreta, nel canto del poeta, nell’indagine dello scienziato, nella meditazione del filosofo, nell’opera consapevole, dell’uomo d’azione, in una parola nel vivido e fervido agitarsi della dinamica storica, sicché rimaneva Sterile ed infecondo. Là riconciliazione col mondo, la celebrazione di Dio nella vita, nell'attività, in tutte le vicende terrene, l’uomo e la natura riscattati dal peccato in quanto tendono a ricongiungersi con Dio ed ad attuare l’idea divina, costituisce la sostanza della speculazione dei nostri filosofi. I quali alla filosofia ancella della teologia contrappongono la separazione della filosofia dalla teologia col Pomponazzi col Telesio; più tardi, durante la reazione cattolica. Bruno e Vannini scontano col martirio l’audacia di questa innovazione e ne assicurano il sucesso. Alla trascendenza divina contrappongono la svalutazione del misticismo dissolvendolo. nelle sue contraddizioni intellettuali (scetticismo) ed assaporando l’ebbrezza della conoscenza cosmica che è Dio tutto svelato (naturalismo); alla degradazione dell’uòmo e della natura sensibile la sublimazione dell’uomo (umanesimo) rinnovato ed affrancato da ogni costrizione esterna, sacerdote e ministro di se stesso; allo squallido ascetismo che maledice alla vita, la giustificazione del piacere come momento essenziale della virtù; alla negazione della certezza dono esclusivo della rivelazione, la ricerca di un principio immediato della certezza che è l’io. Tutte queste determinazioni per quanto disseminate, si raccolgono e si ravvivano nella coscienza di Bruno e di Campanella sotto l’impero di questi principi sostanziali: valore della natura, valore del soggetto, e schiudono gl'indirizzi fondamentali di tutta la filosofia, europea successiva. Giordano Bruno, ci fa assistere al formarsi della sua coscienza nell’atto della redenzione dal passato, con tutti i tumulti che lo precedono e coll’entusiasmo che ne annuncia la conquista, perchè lo spirito «diviene un dio dal contatto intellettuale di quel nume oggetto ».
Io per l’altezza de l’oggetto mio Da suggetto più vii divengo un dio.
Ed io, mercè d’Amore, Mi cangio in dio da cosa inferiore.
La sublimazione dell’umano è nello stesso tempo l’umanizzazione del divino. Neanche il Bruno che sentì potente l’influsso dei neo-platonici non sa sottrarsi al misticismo; l’abisso fra i due mondi si va dileguando ma non è distrutto. Non altrimenti nella Cappella medicea sulla trasfigurazione della vita terrena si sovrappone
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la rappresentazione vivente d’un radioso mondo ultraterreno: la nostra esistenza non è il contrapposto ma l'espressione riflessa della luce divina.
Così il filosofo si divinizza, non coll’accogliere passivamente la luce dall’alto, ma sollevandosi razionalmente alla cognizione del divino. Sofia non è la verità oggettiva che si libra contro il soggetto a cui irraggia la sua luce senzachè questi aguzzi rocchio per riceverla; l’illuminazione è atto del soggetto e perciò diventa saviezza, mente. Tale è l’intonazione del discorso di Sofia nello Spaccio de la bestia trionfante, in perfetta corrispondenza a quelli di Tansillo negli Eroici furori che distinguendo varie specie di furori li riduce a due generi: « Secondo che altri non mostrano che cecità, stupidità ed impeto irrazionale, che tende al ferino insensato; altri consistono in certa divina astrazione, per cui divengono alcuni migliori, in fatto, che uomini ordinari. E questi sono di due specie; sicché altri, per esserne fatti stanza de’ dei o spiriti divini, dicono ed operano cose mirabili, senza che di quelle essi o altri intendano la ragione: e tali per l’ordinario sono promossi a questo de Tesser stati prima indisciplinati o ignoranti; nell i quali, come voti di proprio spirito e senso, come ih una stanza purgata, s'intrude il senso e spirito divino », Fin qui non usciamo dai cancelli conventuali della mistica medievale, l’eroico furore è oblìo del mondano, è annichila-mento dell'umano: è nelle forme estreme il delirio frenetico dell’annientamento della carne che travolge nella sua rapina lacopòne da Todi. Ma pel Bruno l’eroico furore è memoria dell’umano potenziato al divino. Perchè egli sa di appartenere alla specie dei filosofi che si sollevano razionalmente alla cognizione del divino. « Altri, per essere avvezzi o abili alla contemplazióne, e per avere innato uno spirito lucido e intellettuale, da uno interno stimolo e fervor naturale, suscitato da l’amore della divinitate della giustizia, della veritate, della gloria, dal fuoco del desìo e soffio dell’intenzione, acuiscono gli sensi, e nel soffio della cogitativa facultade accendono il lume razionale, con cui veggono più che ordinariamente: e questi non vengono al fine a parlare e operar come vasi e instrumenti, ma come principali artefici ed efficienti...
Gli primi hanno più dignità, potestà ed efficacia ih sè, perchè hanno la divinità; gli secondi son essi più degni, più potenti ed efficaci e son divini.
... Gli primi son degni come l’asino che porta li sacramenti; gli secondi come una cosa sacra. Nelli primi si considera e vede in effetto la divinità e quella s’admira, adora e obedisce. Negli secondi si considera e vede l’eccellenza della propria uma-nitade ».
Così il principio che scienza è esperienza confermato luminosamente da Galileo Galilei si contrappone dal Bruno all'autorità dell'aristotelismo in nome dell’originalità dello spirito. Ecco le sue parole ricavate dalla lettera dedicatoria del libro Adversus Mathematica: «Ego(vel quicumque alius se ipsum potens actu reflexi luminis agno-scere) sensus intelligentiaeque oculis a Deo maximo largitore donatus, et consequenter constitutus iudex causaeque praefectus, ingratissimus essem atque vesanus eaque luminis partecipatione indignus, si alienus emstituar actor atque púgil, alienis nempe videns, sentiero, iudicans luminibus ».
E raggiunge la sua maturità col Rinascimento la teoria che la verità religiosa mi-
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rando al miglioramento degli uomini ai quali deve parlare un linguaggio aperto c facile non ha nulla a spartire con la verità scientifica.
È la maturità ma anche la crisi di quel dualismo per cui la scienza distruggeva il dato della fede e lo spirito doveva poi ricostruirlo con la fede .
« A quanto a questo credetemi che, se gli dei si fossero degnati ¿’insegnarci la teoria delle cose della natura, come ne han fatto favore di proporci la pratica di cose morali; io più tostò mi accostarci alla fede de le loro rivelazioni, che muovermi punto dalla certezza de’ mie ragione e propri sentimenti. Ma, come chiarissimamente ognuno può vedere, nelli divini libri in servizio del nostro intelletto non si trattano le demostrazioni e speculazioni circa le cose naturali, come se fusse filosofia; ma in grazia de la nostra mente e affetto per le leggi si ordina la prattica circa le cose morali. Avendo, dunque, il divino legislatore questo scopo davanti gli occhi, del resto non si cura di parlare secondo quella verità, per la quale non profitterebbono i volgari per ritrarsi dal male e appigliarse al bene; ma di questo il pensiero lascia agli uomini contemplativi, e parla al volgo di maniera che, secondo il suo modo d'intendere e di parlare venghi a capire quel ch’è principale ».
La santa scrittura e la natura rivelano entrambe la gloria di Dio, ma un linguaggio diverso. Nella prima il verbo si adatta alla capacità volgare (indocti ra-piunt regnum Dei) ed umilia il suo dire in modo che sia da tutti inteso; nella seconda non conpsce adattamenti.
Principio questo .sostenuto dal Campanella nell’ Apologia pro Galileo e dal Galilei stesso opposto ai suoi avversari quando scrive: «[Procedono] di pari dal Verbo Divino la scrittura sacra e la Natura, quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio ».
La natura [è] inesorabile ed immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni o modi d’operare siano o non siano esperte alla capacità degli uomini ».
« L’autorità delle sacre Lettere ha avuto la mira a persuadere principalmente agli uomini quegli articoli e proposizioni, che, superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza nè per altro mezzo fareisi credibili, che per bocca dell’istesso Spirito Santo».
Galileo assegna alla scienza come campo la natura; la vera scienza è dunque la fisica che scopriamo noi osservando e sperimentando, quando scrive:
« Che nell’istesso Dio che ci ha dotati di sensi e di intelletto abbia voluto, proponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, sì che anche in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte innanzi agli occhi e all’intelletto, doviamo negare il senso e la ragione, non credo che sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella solamente, ed anche in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; quale è appunto l’Astronomia ».
Questo principio doveva essere tutto spiegato e chiarificato nel noto libro classico e fondamentale pel movimento di tolleranza religiosa dello Spinoza Trac-talus theologico-politicus, ove si dimostra con serrata dialettica, sorretta da abbon-
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dante documentazione che i libri religiosi, riguardo al contenuto teoretico, devono essere interpretati storicamente nè più nè meno di ogni altro monumento letterario, cioè ricostruendo l’ambiente storico culturale in cui viveva l’autore, penetrando nella sua anima ed interpretandone le intenzioni. La religione si distingue dàlia scienza pel suo carattere pratico; mira alla pietà e non alla verità.
Dopoché gli arditi pionieri hanno sorpassato il capo delle Tempeste, tutti i naviganti sono in grado di veleggiare verso Calcutta. Lo sforzo isolato del genio può diventare l’abitudine di gente colta: al secolo dell'invenzione succede il secolo dell’ordinamento che raccoglie nel dominio della filosofia i frutti maturi della grande rivoluzione emancipatrice opera della Rinascenza. Se noi paragoniamo Bacone e Locke con Campanella, Leibnitz e Spinoza con Bruno, ci imbàttiamo nelle stesse idee fondamentali, non già badiamo bene in quel residuo irriducibile che permane in tutte le filosofìe e che è inerente alla natura umana, ma in quelle che costituiscono la scoperta metafìsica di un'età, in quelle che servono alla speculazione per proporre soluzioni di un problema eterno al grado di autocoscienza specifica di quel determinato nuovo periodo storico. I rappresentanti del filosofismo francese si riconnettono con Bacone e con Cartesio, che alla loro volta si riallacciano al Rinascimento. Poco conta che essi l'ignorino; se pure manca l'informazione erudita, il loro pensiero è quello del secolo XVI.
Soltanto dopo lunghe lotte di assestamento Bacone ha potuto elencare gli idoli del Medio evo; soltanto dopo questi audaci tentativi, Cartesio ha potuto delimitare il campo della vera esperienza filosofica.
Bacone esercita la sua attività nei primi anni di questo secolo; Cartesio verso la metà e sono a lui contemporanei Gassendi e Hobbes che si possono considerare come i veri rinnovatori di una concezione materialistica del mondo e, per questo riguardo, i veri maestri degli illuministi francesi più radicali. Orbene Campanella che trasporta il materialismo di Telesio nella psicologia, è il precursore di questo indirizzo in quanto sostiene che l’immaginare, il ricordarsi, il giudicare non sono che ulteriori processi delle' sensazioni; mentre d'altra parte nell' indagine fervida della vita divina che anima la natura, nel considerare il mondo come la statua di Dio nel ricercare il santo e il divino in noi non oltre il diàmetro dell'universo, in un miluogo solitario, sconosciuto, incomprensibile ma iniziando nella terra quella vita spirituale e celeste che la religione ci promette, si riconnette al panteismo di Bruno e preannunzia l’acosmismo di Spinoza e il razionalismo di tutta la filosofia moderna. Le idee di costoro che preludono con più o meno vigore, a tutti gli indirizzi della filosofia da Cartesio a Kant, si diffondono oltralpe, penetrano in Olanda, in Inghilterra, e da ultimo irrompono in Francia, dove assumono l’autorità di una fede nuova; valicano l'Oceano e plasmano la costituzione americana; ritornano in Francia che le restituisce a noi dopo aver dato loro mani per abbattere e per riedificare.
Felice Momigliano.
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SUPERSTIZIONI E MAGIE
NELLA CORTE NERONIANA
emorie di prodigi, di tristi presagi, di avvenimenti straordinari, di operazioni magiche, di pratiche e di interpretazioni superstiziose accompagnano Nerone dalla nascita alla morte. Ih una età profondamente scettica, spregiatrice degli antichi culti, avida di piaceri, indifferente ai valori morali della vita, allignano tenaci le pratiche e le credenze della superstizione più abbietta. Anche le persone intellettualmente superiori non vi si sottraggono: hanno contratto l'abito dalla fanciullezza.
e se la ragione parla loro in un senso, d’altra parte l'animo debole, turbato da foschi timori, pauroso di perdere i beni che più gli sono cari e di incorrere nei mali che più paventa, facilmente indulge alle superstizioni comuni. Queste nell’epoca neroniana furono vilissime; ma vediamo appunto quegli stessi che ne rilevano e ne lamentano l’abbiettezza, esserne in parte schiavi.
La corte imperiale era, già prima di Nerone, assediata da maghi e da indovini, che ogni fatto interpretavano a modo loro, ora esaltando gli animi con fulgidi presagi, or deprimendoli con biechi terrori. Già di Agrippina si era detto che per avere essa, contro natura, due denti canini nella parte superiore della mascella destra, era destinata alle blandizie della fortuna (r). Ed anche la nàscita di Nerone fu prodigiosa. La madre stessa di lui, Agrippina stessa, nella sua Autobiografia, rammentava che egli era nato contro natura, essendosi presentato dalla parte dei piedi, non della testa (2). Plinio che ci dà la notizia, commenta che Nerone fu per tutto il suo principato il nemico del genere umano. Risale forse anche questo commento ad Agrippina esasperata dell’abbandono? Certo quei Commentar ii de vita sua non potevano essere una difesa propria se non a patto di essere un tremendo atto di accusa contro Nerone, il quale non senza ragione allibiva di spavento agl'impeti di vendetta della terribile donna.
Eppure Agrippina, se è vera la voce che ne corse, aveva sprezzato le fatali predizioni, che le avevan fatto gl'indovini caldei. Avendoli essa interrogati sopra la sorte di Nerone, quelli risposero che sarebbe stato imperatore, ma avrebbe ucciso la madre. Ed ella: mi uccida, purché regni (3).
(i) Plinio, N. H., VII. 71.
(2) Plinio, N. H.. VII, 45-46.
(3) Tac., Ann. "XNl, 9.
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BILYCHNIS
A io anni altro presagio. Si celebrano nel 47 d. C. i ludi Traici. Prendono parte alle gare Britannico e L. Domizio, che poi fu l'imperatore Nerone. Ma il favore della plebe si afferma nettamente per Domizio, e tal fatto è interpretato come fausto augurio (1).
Nerone era spregiatore delle religioni, dice Suetonio (2). Dopo l'incendio di Roma fece scandalo la sua spoliazione sacrilega dei templi (3). Per capriccio 0 per dileggio volle bagnarsi nell'acqua Marcia, proprio presso le sacre fonti, ove era maggiore la venerazione del Nume. Parve, dice Tacito (4), che egli contami -nasse col corpo suo la santità delle acque e il culto della sacra scaturigine. E Nerone ne ammalò: a Tacito pare che quella malattia rivelasse l’ira divina. Di tratto in tratto, durante il suo regno annunzi di miracolosi e straordinari eventi favorirono ogni interpretazione e previsione della Sua sperata rovina. Dopo il matricidio si annunziò che una donna aveva partorito un serpente, che un’altra giacendosi col marito era stata colpita da un fulmine; di più il sole si era repentinamente oscurato, fulmini eran caduti su tutte le 14 regioni di Roma (5). E mentre lo sciagurato matricida, folle di terrore, evocava con operazioni magiche l’ombra materna (6), chissà quali presagi di imminente rovina traevano gl'indovini da cotali eventi! Giacché la voce corsa della donna che aveva partorito il serpente era di intuitiva evidenza, come allusiva ad Agrippina ed a Nerone. Ma Tacito, che registra come veri tutti questi fatti, osserva malinconicamente come ad essi fosse così estranea la volontà degli dèi che Nerone continuò ancora per molti anni imperio e scelle-raggini. Dopo la morte di Agrippina si propagò anche, in mezzo al popolo, la credenza che dalla tomba di lei si udissero gemiti e lamenti e clangore di trombe dai poggi circostanti (7).
Qualche tempo dopo si ebbe un nuovo diffondersi di profezie sulla imminente caduta di Nerone. Comparve una cometa; e ciò secondo la credenza popolare annunziava mutazione di eventi (8). Si aggiùnse che, mentre Nerone cenava in una villa presso gli stagni Simbruini, le vivande e la mensa furono colpite dal fulmine. Il popolo cominciò a preconizzare un successore in Rubellio Plauto, probo e severo uomo, che per parte di madre era della famiglia Giulia. Nerone il consigliò che per provvedere alla quiete pubblica e sottrarsi alle voci maligne si ritirasse nelle sue vaste possessioni asiatiche: Rubellio dovè rassegnarsi, giacché quel consiglio era un ordine (9). Nerone interrogò anche l’astrologo Bibilò, il quale gli rammentò come, per espiare tali prodigi, i re solessero divergerli contro il capo dei maggiori cittadini. E tosto Nerone seguì l'orribile consiglio (io).
1 Tac., Ann. XI. ri.
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3
4
5
6
Ncr. 56.
Tac., Ann. Ann. XIV, Ann., XIV, Suet.. Ner.
Tac., Ann.,
XV, 45; Suet., Ner., 32. 22.
12.
IV,
Tac.» Ann., XIV,
Tac.» Ann., XIV, io) Suet., Nero, 36.
9
io.
22; Suet., Nero, 36.
22.
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SUPERSTIZIONI E MAGIE NELLA CORTE NERONIANA
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Questo beffardo e scettico dileggiatore di ogni cosa sacra era preso a quando a quando da vere frenesie superstiziose; sicché, nell'atteggiamento suo si alternava l'adorazione al dispregio. Per qualche tempo adorò unicamente la dea Siria, indi la spregiò, così da contaminarne di urina l’immagine (1): sarà stato forse per grazia sperata e non ricevuta? E passò all’adorazióne di una pupattola. Sue-tonio infatti ci riferisce (2) che un uomo ignoto della plebe gli regalò una piccola immagine di vergine, assicurandolo che gli sarebbe stata salvaguardia contro ogni insidia. Scoperta la congiura Pisoniana, egli l’adorò tosto come la maggiore delle divinità , e le offerse sacrifizii tre volte al giorno. A grado a grado ch’egli procedeva negli anni, e più diventava pavido e tremebondo, più si facevano rari gli atteggiamenti scettici e sprezzanti, più l'animo era prono a superstizioni vilissime. Negli ultimi mesi si diè anche ad esaminare le viscere degli animali.(s). Un'altra volta gli fu annunziata dagli indovini la perdita del trono. Ma questa volta egli rispose, celiando, con un motto greco: « L’arte ogni terra la nutre » (4). E spiegò che con maggiore passione avrebbe atteso all’arte del citaredo, la quale, finché egli era principe, gli era gradita, e qualora fosse diventato privato, gli sarebbe stata necessaria per vivere.
Da nessuna pratica superstiziosa, per quanto assurda, fu alieno Nerone. Plinio il vecchio (5) ha a tal riguardo, commosse parole di sdegno. Egli si trova a parlare nel libro XXX della Storia Naturalo, dell’arte magica, esercitata con l’acqua, con le sfere, col bronzo, con le Stelle, con le lucerne, con i piatti, con le scuri, e in molti altri modi, e nota come tra le operazioni magiche vi sieno anche le evocazioni delle ombre e i colloqui con esse, aggiungendo che tutte queste vanità e falsità apprese Nerone, con tanta passione, che non fu maggiore in lui quella della cetra e del canto; per prima cosa Nerone bramò comandare agli stessi dèi, nè vi fu attività in cui più valesse; niuno favorì mai arte alcuna, più che egli l'arte dei maghi, per la quale non ricchezze gli mancarono, non forze, non estro di apprendere: «Oh, se egli stesso avesse consultato gl’inferi, o quali avesse voluto degli dèi, quando era agitato dai suoi sospetti, anziché affidare le consultazioni alle prostitute dei lupanari...! Più crudelmente così fu riempita di ombre la nostra vita ». Questo il quadro che fa Plinio. Ma lo stravagante imperatore credette talvolta anche alle rivelazioni dei sogni: sicché quando un uomo di Cartagine gli si presentò a narrargli di un sogno avuto, nel quale gli era stato indicato il luogo ove giacevano i tesori di Didone, egli mandò subito una spedizione a farne ricerca (6).
Questa tendenza al misterioso, all’occulto, alle arti divinatorie, ai sortilegi, alle operazioni magiche, non era certo peculiare di Nerone; i culti orientali l’ave(2 3 (4 (5
(6
Suet., Ner., 56.
* Suet., Nero, 56.
Suet., Nero, 56: • attendit et extispicio ■>.
Suet., Nero, 40.
N. H., XXX. 14-15.
Tag., Ann., XVI, 1-2; Suet. Nero. 31.
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vano diffusa e ringagliardita in mezzo al popolo, che già vi era prono per naturale inclinazione; e tal tendenza finì per apprendersi a tutti, anche agli animi più spregiudicati e riluttanti. Ed ebbero quindi il generale credito, anche presso gli spiriti più liberi, i racconti dei miracolosi eventi avvenuti alla morte di Nerone. Fu nunzio della sua catastrofe, secondo Plinio il vecchio, che due volte narra il fatto (1), il prodigio avvenuto nel territorio Marrucino, nei campi di certo Vettio Marcello, cavaliere romano. Per violente convulsioni telluriche un campo di olivi si spostò, andando ad attraversare la pubblica via, mentre il posto dell’oliveto fu preso da altri campi. Altrove (2) Plinio racconta che negli ultimi giorni di Nerone si vide il miracolo dei fiumi, che volgevano indietro il loro corso; ed altrove (3) a proposito del loto, albero nel Volcanale, che si favoleggiava piantato da Romolo, racconta che a pari antichità risaliva il cipresso, che cadde poi nei giorni della rovina di Nerone (4). Altre straordinarie cose racconta Suetonio (5). Livia, moglie di Augusto, aveva posseduto nel territòrio Veientano, una villa famosa per l’abbondanza dell’alloro e per la fecondità delle galline, tanto che la villa stessa era detta Ad galli nas, e aveva fornito il lauro a tutti i trionfi imperiali. Ora, nell’ultimo anno della vita di Nerone, la selva dei lauri si inaridì dalle radici e le galline tutte perirono. La casa dei Cesari fu colpita dal fulmine; caddero a tutte le statue le teste; lo scettro del simulacro di Augusto fu sbalzato via dalle mani del vecchio imperatore: segno che era ormai finito l’imperio della casa Giulia!
Carlo Pascal.
(1) N. H., 11, 199; XVII, 245.
(2) N. H.. 11, 232.
(3) N. H„ XVI, 236.
(4) Plinio aveva certamente narrato minutamente questi miracolosi eventi nella parte delle sue Storie civili, relativa a Nerone; cfr. Il, 199 tsicut in rebus eius expo-suimus >; II, 232 « sicut in rebus eius rettulimus ».
(5) Galba I.
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A UNO STUDENTE DEL SECOLO VENTESIMO
È EGLI ANCORA POSSIBILE D’ESSER CRISTIANO?
uando dico « studente dèi secolo ventesimo »
io debbo definii
bene quello che intendo. Intendo lo studente che nell’Aula, nel Museo, nella Sala anatomica, nel Laboratorio scientifico trova la rivelazione di un mondo di grandi, belle, ùtili cose, ma non trova il misterioso « qualcosa » che risponda a quell’intimo bisogno dell’anima, della coscienza, del cuore, che lo tiene ansioso, scontentò di sè, di tutto e di tutti; non trova il tanto agognato bene, nel quale ei possa finalmente quotarsi.
Un tempo io mi domandavo: « Ma che cos’è mai questo bisognò? e perchè lo proviamo noi? e perchè quest’ansiosa ricerca tanta pena ci arreca?» Ero giovane, e rispondevo: — « Non è che un’eco di voce lontana; non è che una reminiscenza; è
il riaffacciarsi del bisogno già provato da bambino e allora sodisfatto, ma soltanto per allora, dalla parola semplice, dolce, affettuosa della madre cara ». E sbagliavo. Più tardi, durante quella fase della vita ch'è la fase della gran crisi, dalla quale non si esce che o vinti o vincitori, io dicevo: « No, quel bisogno è qualcosa di più serio, di più grave: quel bisogno, destinato fatalmente a rimanere insodisfatto, è il
nostro tormento; il tormento che nasce dallo sconforto in cui siam gettati, quando i nostri sogni d’oro si dileguano, e noi ci troviamo a tu per tu con le tragiche realtà della vita ». E sbagliavo ancora. Oggi lo so che cos’è codesto bisogno: è la prova più eloquente che si possa dare del fatto che lo spirito nostro anela naturalmente ad un altro Spirito, ad uno Spirito infinito. Il fatto stesso che questo bisogno esiste in noi, ci dice che ci deve. essere il « bene » atto a sodisfarlo; e l’esperienza ci assicura che quel « bene » è trovato, quando lo spiritò nostro si riposa nello Spirito eterno.
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« « *
Degli studenti ansiosi ricercatori di questo misterioso « qualcosa », io ne conosco voi pure ne conoscete; a questi studenti io mi rivolgo, non come maestro, ma come amico; e con l'unico intento di porger loro la mano per aiutarli nella loro ricerca.
Sia per effetto di tradizione, 0 per influenza dell'ambiente in cui hanno sempre vissuto, o in conseguenza di qualche parola letta o udita, alla mente di codesti studenti l’idea s’affaccia che il cristianesimo possa contenere la risposta al problema che li preoccupa; ma s’affaccia sotto questa forma: « E allora, debbo io diventare, o tornare ad essere, un cattolico romano militante? 0 mi farò io evangèlico? » E siccome all’idea di accettare il romanesimo in tutto e per tutto, così com’è, non possono accomodarsi, e ad aderire a una forma di cristianesimo che sembra loro troppo esotica ed inestetica non si Senton disposti, la loro incertezza rimane, e il loro tormento si acuisce. E qui sta l'errore. Non è vero che per esser cristiani bisogni, prima di tutto, farsi cattolico romani od evangelici; per esser cristiani bisogna, prima di tutto, diventar cristiani.
E che cos’è dunque un «cristiano»? Prim'ancora che la Chiesa fosse nata. Gesù, durante il suo ministerio terrestre, s’accostava agl'individui, e diceva loro: « Seguimi! ». Passava dalla dogana di Capernaum, e: « Seguimi! » diceva a Levi; passeggiava sulla riva del mar di Galilea, e ai barcaioli che trovava quivi intenti a rassettar le reti: «Seguitemi», diceva; s’imbatteva per la strada in Filippo, e: «Filippo, seguimi! » eclamava. E questi uomini, cosi diversi per temperamento, ma tutti uguali per la semplicità del carattere e per la bontà dell’animo, seguivano il Maestro; l’ascoltavano attentamente, aprivano il cuore a ricever le sue dolci e sante parole; e per quel contatto immediato col Maestro, un fuoco nuovo s’accendeva loro in seno; e, nell’entusiasmo della loro fede, il fratello correva a chiamare il fratello, l’amico correva a chiamare l’amico; Andrea conduceva al Signore Simone, e Filippo gli conduceva Natanaele; e la Cerchia de’ discepoli s’allargava; e quegli uomini, che per la parola, per l’esempio, per l’intimità del Maestro sentivano Che una vita nuova s’andava trasfondendo in loro... diventavan cristiani. Non sol©; ma, convinti che il promesso Re d’Israele, il Messia, il Figliuol dell’iddio vivente era lui, abbandonavano le reti, la dogana, ogni altra occupazione, e si preparavano nella sua compagnia a diventare gli apostoli del Regno di Dio, ch’egli annunziava alle folle.
Oggi le cose non sono mutate; e, se sono mutate, son mutate per diventare più ampie, più profonde, più spirituali. La figura del Cristo noi l'abbiamo, ritratta in tutta la sua divina grandezza, nelle pagine immortali del Vangelo; e da queste pagine esce, viva e distinta, come se oggi stesso gli uscisse dalle labbra, la sua parola di verità e di vita: la parola che innamora il bimbo, e fa meditare il filosofo. Far la conoscenza personale del Cristo de’ Vangeli, ascoltare con umiltà la sua parola, riceverla non soltanto nella mente,, ma sopra tutto nel cuore, metterla in pratica nella nostra vita individuale, cercare in lei la ispirazione per ogni nostro pensiero, per ogni nostro atto, per ogni nostra parola, prender da lei il « diapason » per tutta quanta la nostra vita morale... è esser «cristiani».
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Or tutto questo è semplice e pratico; ma ci sono de' fantasmi che si presentano a spaventare le anime, che pur sarebbero disposte a seguir potestà via. Io li conosco questi fantasmi; anche me spaventarono un tempo; ma non bisogna lasciarsi spaventare; bisogna affrontarli e cercar di palparli, per convincersi che non sono se non de’ fantasmi. Essi si chiamano: Teologia, Dogma, Bibbia, Incredibile, Chiesa,
• • *
Il primo: la Teologia. Il cristianesimo, ch’è essenzialmente «spirito e vita», non fu, da principio, che una semplice, energica affermazione di fatti. Gesù non fu un teologo; fu un assertore di fatti; e tutta la predicazione de’ suoi apostoli si può riassumere in queste parole: « Gesù di Nazaret, l’uomo potente in opere e in parole, che i Giudei hanno ucciso, ma che Dio ha risuscitato dai morti, è il Cristo; e noi ve (’annunziamo: noi, che abbiam mangiato e bevuto con lui ». (i) Quando poi si per-sentò alla Chiesa il primo problema teorico, che fu quello concernente le relazioni fra il Vangelo e la Legge, 9 Gerusalemme, l'anno 50 o 51, in un convegno di apostoli e di laici, nacque la teologia, ch’è la riflessione dello spirito umano sull’insegnamento primordiale del Vangelo. Da quell’anno, e con l’andar dei secoli, s’è venuto agglomerando attorno al cristianesimo un enorme ammasso di dottrine, di speculazioni e di sistemi. E l’idea s’è andata lentamente formando e infiltrando fra noi e dovunque, che uno non possa esser cristiano,. se non accetta queste o quest’altre dottrine, queste o quest’altre speculazioni teologiche. E ciò è falso. Identificare il cristianesimo con un sistema teologico qualsivoglia, o con qualsivoglia teoria religiosa speculativa, è assurdo. I fatti lo provano. Che sapeva di teologia quella santa e pia donna che fu la mamma nostra, che c’insegnò a pregar Dio, ad amar Gesù, e che con tanta semplicità e con tanto affetto ci pose in cuore quei principi fondamentali che divennero poi la norma e la ispirazione di tutta quanta la nostra vita? Che sanno di teologia tante e tante popolane « pie », nel senso profondo e vero della parola, e tanti e tanti popolani credenti, che hanno aperto il cuore alla virtù santificante del cristianesimo e vivono delle vite pure, immacolate, oneste, esemplari? Il cristianesimo è una cosa, la teologia è un’altra. Il cristianesimo è un atto pratico vitale, la teologia è la scienza che spiega cotest'atto: scienza legittima, che ha la sua ragion d’essere, ma che non va confusa col cristianesimo. Ogni atto pratico ha dietro a sè una scienza che lo spiega; ma l’atto e la scienza sono cose distinte. Per esempio. Io cammino; l'anatomico mi sa nominare tutte le ossa, tutti i muscoli che entrano in movimento, e il modo con cui entrano in movimento, per l’atto mio del mettermi in cammino; ma io cammino, anche senza saper tutto codesto. Io mangio e mi nutro; il fisiologo mi sa spiegare tutti i maravigliosi processi della digestione e della nutrizione; ma io mangio e mi mitro, anche senza conoscere neppure gli elementi della fisiologia. Io parlo; il filologo fa la storia della lingua che parlo, e di tutte le parole che adopro; ma io parlo, anche
(1) Atti 2. 22-24; 2. 36; io. 39-40.
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senza esser filologo. Così è del cristianesimo; esso è un atto pratico, possibile a tutti; la teologia che spiega cotest’atto, è una scienza che concerne quelli soltanto che si sentón chiamati' a coltivarla. Abbandonare quindi il cristianesimo per paura della teologia, sarebbe assurdo. Si capisce piuttosto che, in certi casi, sia prudente e savio il non curarsi della teologia per darsi interamente alla pratica del cristianesimo. E questo, cari giovani, è il caso vostro. Ascoltate il consiglio d’un amico, ch’è al tempo stesso un teologo di professione. Non vi occupate di teologia, e coltivate fra voi il cristianesimo pratico. E poiché siete una Federazione che a per scopo la cultura religiosa, studiate i fatti che costituiscono il cristianesimo, studiatene i documenti che gli servon di base, la letteratura stupenda ch’esso ha creata; quanto alla speculazione, che si traduce in teoria del cristianesimo ossia in «dottrina», lasciatela ad altri. La speculazione divide, ma la pratica unisce; e Vui, per esplicare efficacemente il vostro lavoro, avete bisogno, non d’esser divisi, ma di tenervi strettamente «miti, .compatti.
E vengo al secondo fantasma: il Dogma-. il dogma, che spaventa i giovani che studiano e che pensano, perch’ei si presenta loro come un decreto assoluto, tiranno, emanato da un'autorità che non ammette discussione, e che vi dice: « Questo è il pensiero di Dio; questa è la Verità: o voi accettate questo, e va bene; o non Faccettate, e non siete cristiani ». Ora questo può essere, ed è difatti, il dogma ecclesiastico, ma non è il dogma cristiano. Io apro'il Nuovo Testamento, e che trovo? Trovo che la parola « dogma » non v'è usata che cinque volte, sempre nel senso politico di editti imperiali, come quello di Cesare Augusto che ordinava il censimento, e simili; ma non trovo che la Verità cristiana vi sia mai chiamata « dogma », nel senso di una formula dottrinale imposta agli uomini a mo’ d’un Codice, d'un testo di legge. Gesù e gli apostoli non dissero mai: « Eccovi l’elenco dei dogmi che dovete accettare, se volete diventar cristiani». Gesù disse sempre: «Venite a me!», (i) E ai Farisei, agli scribi, ai dottori della legge, ai Giudei in generale, che scrutavano l’Antico Testamento per cercarvi l’introvabile, esclamava: «Voi non volete venire a me per aver la vita!». (2) E gli apostoli, sotto una forma o sotto un’altra, dissero sempre a tutti, come Paolo e Sila al carceriere di Filippi: «Credi nel Signor Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia! ». (3) L’essere o il non esser cristiani, quindi, non dipende dall’accettare o non accettare questa o quest'altra formula dogmatica, ma dipende dalla risposta che diamo all’invito che Gesù anche oggi, come faceva venti secoli fa, rivolge a tutti individualmente: « Seguimi! ».
Riflettiamo un istante. È oramai oggi generalmente ammesso che v’è in noi un qualcosa d’innato, d*intimo, di misterioso ma pur reale, che si chiama il « sentimento religioso ». Or questo sentimento non può rimaner sempre allo Stato soggettivo di
(1) Matt. 11. 28.
(2) Giov. 5. 40.
.(3) Atti 16. 31;
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sentimento. Per il bisogno che noi proviamo di rendercene conto a noi stessi e di comunicarlo agli altri, conviene che questo sentimento si oggettivi, prenda forma e corpo; che in qualche modo, insomma, si esprima. Ed ecco che nasce la formula : formula, che il pensatore costruisce coi materiali fornitigli dalla cultura intellettuale e morale, dalla filosofia dominante e dalle conoscenze scientifiche del suo tempo. Questa formula la vogliamo noi chiamar « dogma? ». E chiamiamola pur dogma; quantunque il termine, in questo senso, non sia scritturale; ma non si dimentichi che in quel « dogma » ci sono due elementi: l’elemento religioso, l’elemento divino, che ne costituisce l'anima, e ch’è immutabile, perchè sgorga da quel Vero eterno che non muta; e l’elemento umano, ch’è l'involucro, che può e deve mutare, perchè cosa d’uomo e quindi perfettibile; sia inteso che cotesta formula, appunto perchè suscettiva di revisione e di correzione, non può avere un valore assoluto, ma ha soltanto un valore relativo; e sia sopra tutto inteso bene che il mio essere o non esser cristiano non dipende dal mio accettare o non accettare questa o quest’altra formula dogmatica, perchè dipende unicamente dalla mia relazione personale col Cristo del Vangelo.
Ch'io accenni qui ad un'esperienza mia. Nato e cresciuto in famiglia evangelica, io ebbi il Vangelo nelle mani fino dai primi anni della mia vita. Io ero giunto alla fede nella divinità di Cristo così, naturalmente, leggendo e imparando a memoria i brani del Vangelo per la mia Scuola domenicale. Più tardi, quando cominciai a studiare le formule classiche de’ primi Simboli cristiani, le formule con le quali si tentò nei primi secoli di far argine al dilagare dell’eresia nella Chiesa, la mia fede nella divinità di Cristo cominciò a smarrirsi, e poco mancò ch'io non la perdessi del tutto. La ritrovai il giorno della crisi profonda della mia vita spirituale, quando cominciai a sperimentare che Cristo mi dava quella pace del cuore e della coscienza, che avevo invano domandato al mondo; quando cominciai a sentire che Cristo mi comunicava un principio nuovo d’amore infinito, di verità eterna, di santità perfetta; quando cominciai ad accorgermi che ai bassi impulsi che mi venian dal mondo. Cristo andava man mano sostituendo delle ispirazioni nuove di una vita divina; quando cominciai a capire, come mai avevo capito prima, che vivere in comunione con lui è vivere in comunione con lo Spirito infinito che chiamiamo Dio; e che lo scopo supremo e la felicità del cristiano consistono in questo: nell'esser sempre all'unisono con Cristo, come Cristo è sempre all'unisono col Padre.
Le verità fondamentali del cristianesimo sono snaturate quando diventano delle speculazioni astratte, de' problemi di metafisica trascendentale, delle formule inintelligibili; esse si affermano per quello che veramente sono, quando diventano tante esperienze nel santuario della nostra vita interiore.
« » •
In terzo luogo, la Bibbia. Come può uno studente del secolo ventesimo accettare un libro che vuol essere una cosa piovuta addirittura dal cielo, come l’immagine di Diana nel tempio d’Efeso? (i) Come può accettare un libro in continua contradizione
(x) Atti 19. 35.
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con la scienza, e che si dà per ispirato di una ispirazione che distrugge tutti i diritti della critica, della ragione e del buon senso?
Un momento. Che la Bibbia sia una cosa piovuta dal cielo come l’immagine efesina, potè esser creduto nei secoli passati, ma non si crede più nel secolo ventesimo. Oggi, per la maggior parte e per là parte migliòre degli studiosi, la Bibbia è una biblioteca di sessantasei opere scritte in età diverse, da uomini differenti l’uno dall’altro per. temperamento, per mentalità, per genio; una collezione di sessantasei lavori che, nonostante la loro varietà, formano un tutto omogeneo, perchè permeato da un unico pensiero, da un unico ideale: dall’ideale del Regno di Dio. La Bibbia è una collezione di documenti, che fanno parte di una grande famiglia di documenti di altre civiltà; è un monumento letterario, non sorto per miracolo, ma che ha una storia, e che va Studiato, scrutato, discusso coi criteri scientifici coi quali si studiano, si scrutano, si discutono tutti quanti i monumenti delle altre letterature.
Quanto alle sue contradizioni con la scienza, non commettiamo, per carità, il gravissimo errore di prender la Bibbia per quello che non è. La Bibbia non è un libro scientifico; è un libro religioso ed etico; e quel tanto che la Bibbia contiene di materiale scientifico, non è dato nella Bibbia con intenzione scientifica, ma è destinato a servire di veicolo all’idea religiosa ed etica. E cotesto veicolo scientifico gli scrittori sacri non l'ebbero per via di rivelazioni divine speciali, ma lo presero, così come lo trovarono, fra le idee correnti del popolo in mezzo al quale vivevano. E può darsi che il veicolo di cui gli scrittori sacri si servirono, fosse imperfetto. E che monta? Una grande idea non può ella, per trasmettersi, servirsi anche d’un veicolo imperfetto? Se il materiale scientifico'che servì di veicolo alla grande idea religiosa ed etica va corretto, ce lo corregga pure la scienza; e d'ogni legittima correzione noi le sarem grati. Non è il veicolo che preme; è l’idea. « Nel principio Elohim creò i cieli e la terra ». (i) Iddio è la causa prima di tutte le cose: ecco l’idea; ecco il Vero a cui la scienza non poteva assorgere da sè, e che per altra via conveniva ci giungesse; ecco la causa immateriale della materia, la sorgente indivisibile delle forze divisibili, la «dùnamis», che a ciò che è essenzialmente multiplo, può dare unità di disposizione e di piano; ecco il vero monismo, che più del . monismo haeckeliano risponde ai bisogni dell’intelletto, della coscienza e del cuore.
E quanto alla ispirazione, io non ho che una parola da dire. L'esser cristiani non dipende affatto dal concetto che ci facciamo della ispirazione della Bibbia. Alla domanda se questa ispirazione si possa ragionevolmente amméttere, io rispondo che, nel paese classico della poesia e dell’arte, negare la ispirazione sarebbe un’eresia. E Come potremmo noi riconoscere che v'è una ispirazione nel mondo della poesia e dell’arte, e negare cotesta ispirazione alla Bibbia, che alla poesia ed all’arte dette in tutti i tempi tanti tesori di pensiero e di soggetti? alla Bibbia, che fu sempre ed è la ragione ultima delle estrinsecazioni più belle della vita? che in tutte le età errò sempre le aspirazioni più sublimi e i caratteri più forti e più puri? Tutto quello che
(i) Gen. i. i.
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nella vita è grande, è bello, è nobile, è santificante, è tale perchè ha in sè un palpito del divino. E gli scrittori sacri son da considerarsi come ispirati, non perchè essi soli, fra tutti i mortali, abbiano avuto il monopolio della ispirazione, ma perchè, fra tutti i credenti, furono i più adatti a intuire quelle grandi verità, di cui si sentiron chiamati ad essere ambasciatori al mondo. La ispirazione biblica vi sarà sempre una difficoltà, finché la considererete come una ispirazione unica, è finché ne vorrete precisare i limiti e definire il modo; ma non vi sarà più una difficoltà, se la considererete come va considerata; vale a dire, come semplicemente una specie della ispirazione generale.
♦ • ♦
In quarto luogo, V Incredibile, o, come si suol dire, il soprannaturale. Quante volte mi son sentito dire, e avrete sentito dire anche voi: « Questo soprannaturale, questa continua violazione delle leggi della natura che tanto abbonda nel cristianesimo, mi rende impossibile la fede».
Prima di tutto : « Che cosa sono queste leggi della natura » ? Sono la sintesi scientifica di un certo numero di sperimenti. Lo scienziato osserva che certi fenomeni si riproducono sempre in certe date condizioni; ne conclude che ci son delle forze invisibili che agiscon sempre nello Stesso modo, e di questa regolarità delle forze fìsiche fa una legge, un principio permanente ed universale. Ora che avviene? Avviene che, siccome le osservazioni scientifiche son sempre parziali e fragmentarie, perchè per quanto grande possa esser la quantità dei fatti già studiati, quelli che rimangono ancora ad essere studiati son sempre in quantità immensamente maggiore, coteste leggi sono suscettive di modificazioni, e non di rado anche di rettificazioni. Badiamo dunque, quando parliamo di queste leggi, di non cadere in un dogmatismo scientifico, che non varrebbe gran che meglio del dogmatismo teologico!
In quest'ordine di fatti che escono dall’ordinario, noi abbiamo senza dubbio un problema grave, complicatissimo, ben lungi dall'essere ancora risoluto. Intanto, però, perchè ostinarci a chiamar «soprannaturale» quest’ordine di fatti? Per dirlo « soprannaturale », bisognerebbe che noi avessimo già una conoscenza certa, esatta, di tutta quanta la natura ; ma finché ’ tanta parte di questa natura ci rimane ancóra da esplorare, più savia cosa mi pare sia dire, con Sant'Agostino, che cotesti fatti pugnant non contra naturam, sed contra nobis cognitam naturarti. Io spesso mi dico : « Chi sa quanta parte dello straordinario che è in cotesti fatti ricordati nella Bibbia, si dovrà attribuire alle amplificazioni della tradizione orale! Que’ fatti, prima di esser messi per iscritto, passaron di bocca in bocca fra il popolo; e il popolo si sa come li racconta i fatti, specialmente quand’essi l'abbiano entusiasmato! E chi sa quant’altra parte se ne dovrà attribuire al modo con cui ne fu redatta la narrazione! E che sappiam noi delle relazioni che passano fra lo spirito e la materia? Noi diciamo « spirito »,« materia », e non sappiamo ancora che cosa realmente siano e l’uno e l'altra; quanto meno possiam quindi parlare delle relazioni che passan fra loro! Nella vita de’ grandijuomini di Dio, degli
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uomini che vissero veramente, come direbbe San Paolo, delle « vite nascoste con Cristo in Dio», (i) si verificarono dei fatti straordinari, che non-si possono negare. Le «stimmate» di San Francesco, in Francia, negate dal razionalismo protestante, furono difese da grandi scienziati, con la prova di fatti analoghi, inoppugnabili. E in Gesù, che fu ripieno del « divino » come.nessun uomo fu mai, fino a qual punto si sarà manifestato il dominio dello spirito sulla materia? E chi sa di quanta luce rivelatrice vedremo illuminarsi il così detto « miracolo », man mano che andremo acquistando una conoscenza più ampia e più profonda delle facoltà supranormali che sono nel «substratum» di questa individualità nostra, in questa «forza psichica», in questa conquista della psicologia moderna!
Intanto, per conto mio, io noto con sodisfazione profonda questo fatto: che, più s’allarga l’orizzonte delle nostre conoscenze scientifiche, e più si restringe la cerchia del così detto « miracolo-»; ed ho fede che, quando la natura ci avrà interamente aperti i suoi segreti e rivelate le sue leggi, tutto quello che oggi chiamiamo impropriamente « so^ranaturale », rientrerà semplicemente nell’ordine naturale delle cose.
E ora dite: Sarebb'egli ragionevole affermare che questa difficoltà teorica che il cristianesimo presenta per ora, rende impossibile l’atto pratico del diventar cristiani?
* ♦ *
In quinto ed ultimo luogo, la Chiosa. La Chiesa di Cristo, divisa e suddivisa, resa tiranna dalla ortodossia intransigente o minata dal razionalismo che snerva, e invasa dallo spirito del móndo, non attira più le anime, come le attirava ai tempi della prima dolce primavera dello Spirito; e siccome l’idea s’è sparsa ed è divenuta prevalente che Cristianesimo e Chiesa siano una identica cosa, molti, che pur sentono la nostalgia del divino, s’allontanano dalla Chiesa e dal Cristianesimo.
Ma anche qui giova -fermarsi un istante, e riflettere.
Gesù, come ho già detto, ebbe dei discepoli e fu circondato da credenti, vale a dire da cristiani, anche prima che la Chiesa nascesse ; il che prova come Cristianesimo e Chiesa non siano una identica cosa. La preoccupazione costante di Gesù non fu la Chiesa; fu il Regno di Dio: il che significa « la sovranità del Bene in tutte le estrinsecazioni della vita». In tutto il suo insegnamento, almeno nella forma in cui è giunto fino a noi, due volte soltanto egli parlò della Chiesa; parlò invece continua-mente del Regno di Dio. La Chiesa, ch’è « la società, la famiglia dei credenti », egli la volle; ma la volle come un mezzo per l’estendimento e per il trionfo del Regno; non come un finé a se stessa. E la Chiesa nacque, il giorno della Pentecoste, a Gerusalemme. Nacque, baciata dalle prime aure della Nuova Economia; crebbe bella, fremente di vita, e mostrando fin da principio quali sarebbero le sue gloriose caratteristiche: aralda di un Vangelo immutabile; una, di quella unità che Gesù, nella sua preghiera nel Getsemani, aveva chiesto al Padre di darle; libera, della libertà di quello-Spirito, che le avea comunicato la vita.
(i) Cól. 3- 3-
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Ma che avvenne? Per ragioni che. non è qui il momento di ricordare, la Chiesa dimenticò di non esser che un mezzo in vista del Regno, e diventò fine a se stessa; poi si divise in tre grandi frazioni, ognuna delle quali si appropriò uno degli elementi essenziali dell'intero corpo della Chiesa... e lo guastò. La frazione greca si appropriò l’elemento della immutabilità della dottrina, e si cristallizzò nei decreti dei primi sette Concili e nella teologia di Giovanni Damasceno; la frazione romana si appropriò l’elemento della unità, che non seppe mantenere all'altezza dell l spiritualità primitiva; la frazione protestante si appropriò l'elemento della libertà, t he non seppe tenere a freno e vide quindi degenerare in anarchia. Or io sono (scusate le barbare parole) un « unionista » o un « riunionista » caldo, convinto, appassionato. Io credo che, qualunque sia la frazione della Chiesa alla quale apparteniamo, noi dobbiamo lavorarvi alacremente a purificarla, a intensificarne lo spirito cristiano, a ridarle la grande visione del Regno di Dio, per affrettare il giorno in cui, risvegliate dal loro torpore, le tre frazioni acquistino chiara la coscienza di quello che sono, di quello che debbono essere; e, scambiandosi il bacio del perdono e della riconciliazione, tornino a* costituire la vera Chiesa ecumenica: una, nello spirito; santa, vale a dire separata dal male e consacrata al bene; cattolica, sicura cioè del giorno in cui non vi sarà più che « un solo ovile ed un solo Pastore »; (i) apostolica, ossia fondata sull' insegnamento degli apostoli, il quale, come dice San Paolo, è a sua volta basato su Cristo, « la pietra angolare ». (2)
E ai giovani che, incerti e titubanti, si tengon lontani dalla Chiesa, io dico: « Sì, voi potete essere cristiani anche senza appartenere alla Chiesa; ma poiché l'uomo fu fatto, non per la solitudine, ma per la società, perchè ve ne rimarreste solitari? Perchè, trovato che avete Cristo, non entrare in comunione fraterna con quelli che hanno i vostri medesimi sentimenti,, le stesse vostre aspirazioni, i vostri identici ideali? Perchè, nella parte della Chiesa che sentite meglio rispondere ai vostri bisogni spirituali, non vi mettereste a lavorare con tutta lena in vista del trionfo del Bene nel mondo, in vista di quell'ideale del Regno di Dio per cui Cristo dette il cuore e la vita? La vittoria definitiva del bene sul male, alla quale anche voi, perchè siete giovani generosi, anelate, non potrà esser riportata da individui isolati, ma sarà riportata dall’ unione delle forze di tutti i buoni, raccolti in eserciti disciplinati e compatti.
♦ ♦ *
È tempo ch’io concluda. Alla domanda che ci siam fatta cominciarido, mi pare che, dopo quanto son venuto esponendo, noi possiamo dare una risposta affermativa. « A uno studente del secolo ventesimo è egli ancora possibile d'-esser cristiano» ? Sì, è possibile. Le difficoltà ch’egli può a questo proposito incontrare per via, sono più apparenti che reali; sono in gran parte frutto di malintesi, e una retta intelligenza delle cose basta ad eliminarle. E la nostra Federazione, nell'ultimo Convegno
(1) Giov. io. 16.
(2) Efes. 2. 20.
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di Roma, fu bene ispirata quando rifiutò dì bandire il nome di Cristo dal suo Statuto. Essa fece quel che di meglio potea fare: rimase fedele al gran nome, che è tutto un programma, un indirizzo di vita ben delineato, uno scopo preciso, positivo.
Nella nostra Federazione, amica di tutte le Chiese e non infeudata ad alcuna Chiesa, i nostri giovani potranno darsi la mano, e fraternizzare sinceramente, uniti nel nome di Cristo. È giusto che al nome di « cristiano », venti volte secolare, e ricco di tanta gloria per le vittorie che riportò sul giudaismo, sul paganesimo e sulla barbarie, sia restituito l’onore che gli spetta, c che gli uomini han fatto di tutto per togliergli. Non mi si obietti che cotesta gloria è oscurata dai tragici avvenimenti di questi ultimi anni; e non mi si ripeta che la recente guerra mondiale ha dichiarato il fallimento del cristianesimo. La guerra mondiale ha dichiarato il fallimento del cristianesimo dogmatico, del cristianesimo politico, del cristianesimo mercantile, del cristianesimo ipocrita, ma non del cristianésimo di Cristo. Se gl’individui, le Chiese, i popoli fossero stati realmente animati dallo spirito del cristianesimo di Cristo, la guerra, l'orrendo fratricidio collettivo, non sarebbe stata possibile.
Ed è bene che a rimettere nel dovuto onore il nome sacro, s'adoperi la nostra cara gioventù studiosa. La nostra Federazione non si vergogni del bel nome che porta. Tenga pure alta la fronte dov’esso sta scritto. Per chi ben l’intenda, cotesto nome è segnacolo di libertà, d’incivilimento, di progresso. E chi finora non l’ha bene inteso, impari dalla vostra vita individuale e collettiva, o giovani, di quanta virtù moralmente redentrice e di quanta ispirazione sia fecondo il cristianesimo, quand'è retta-mente compreso e sinceramente vìssuto.
Giovanni Luzzi.
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LUETICA DELLA SIMPATIA,, nella “ TEORIA DEI SENTIMENTI MORALI ” di Adamo Smith ¡(Coittiouaiione. Vedi Btfycfinif, fate. di Novembre-Dicembre, 1919, pag. 2*6).
CONFRONTO DEL SISTEMA DI SMITH CON SISTEMI ANTERIORI DI MORALE
amo così giunti alla ?a parte e alla più ampia, nonché fra le più interessanti, della Teoria; nella quale Smith confronta la sua teoria'-con quella di tutti i sistemi anteriori di filosofia morale.
Nella i* sezione l’Autore si limita a mettere au point l’esame e la critica di cui si occuperà nelle altre tre sezioni. Premesso «he tatti i trattatisti del problema « della natura e della origine dei nostri sentimenti morali » hanno derivato i loro
sistemi dall'uno o dall'altro dei principi da lui esposti nel suo, riduce tutta la controversia a due questioni:
Prima. In che cosa consiste la virtù? — Cioè, come egli la traduce prammati-sticamente, «qual’è la tonalità morale e il tenore di condotta che costituisce il carattere perfetto e degno di lode: quel carattere che è oggetto naturale di stima, di onore, di approvazione? » o in termini moderni: « Qual’è il principio di moralità? »
Seconda. Qua!? la potenza o facoltà dell'animo che commenda questo carattere? o in altre parole: « come avviene che noi preferiamo un tenore di condotta ad un altro, e denominiamo l'uno buono e l'altro cattivo, considerando l'uno come meritevole di approvazione, onore e premio, e l'altro di biasimo, censura e castigo?» (Qual’è l'origine psicologica del senso di moralità?).
La prima questione viene dall'Autore discussa nel confronto con la teoria della « benevolenza » di Hutcheson; con quella sostenuta da Clarke, della condotta corrispondente alle relazioni necessarie fra le cose e condizioni in cui ci troviamo; e con l'altra della ricerca saggia e prudente della nostra reale e soda felicità.
La seconda questione viene discussa in confronto alla teoria dell'« amor proprio », che ripone la eommendabilità della virtù nella percezione che essa tende a promuovere l’interesse privato proprio ed altrui; a quella della « ragione » che addita la differenza tra un carattere e l’altro nello stesso modo che tra il vero e il falsò; a quella del « senso morale » che ammette una speciale facoltà morale soddisfatta o disgustata dall’uno o dall'altro carattere morale; e infine a quella che fa ricorso ad un altro principio della natura umana, quale la modificazione della simpatia.
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IN CHE COSA CONSISTE LA VIRTÙ O PRINCIPIO DI MORALITÀ
Cominciando dalla 1* questione in che cosa consista la virtù — cioè il carattere e la condotta lodevole — ci troviamo di fronte ai tre sistemi storici corrispondenti ai tre già sopra enunciati. Quelli .che fan consistere la virtù della proprietà o nel retto governo e direzione dei nostri sentimenti sia egoistici che sociali, in accordo coi loro oggetti e con l’intensità delia passione; nella prudenza, o ricerca giudiziosa dei nostri privati interessi e felicità, con la retta direzione degli affetti egoistici che solo a questo tendono; o nella benevolenza disinteressata, cioè nei soli sentimenti ed affetti che mirano alla felicità altrui.
L'Autore mostra come tutti gli altri sistemi coincidano in sostanza con questi tre,. che fan consistere la virtù nella proprietà in tutti i sentimenti, nella prudenza nei soli sentimenti egoistici, nella benevolenza nei soli sentimenti altruistici.
Nel primo capitolo, i sistemi presi in esame, come quelli che fan consistere la-virtù nella proprietà, sono quelli di Aristotile, di Platone e degli Stoici, e solò ih appendice quelli di Shaftsbury e di Clarke.
SISTEMI DI ARISTOTILE E DI PLATONE
Lasciando la critica particolare che Smith muove a questi sistemi, la critica comune è che la «proprietà » della condotta benché sia un elemento essenziale di ogni azione virtuosa, non ne è sempre l'unico. È vero che la «proprietà» merita approvazione e 1’« improprietà » disapprovazione, ma vi sono altre qualità che rendono l'azione meritevole di un grado anche più alto di stima o di biasimo, anzi di premio 0 di castigo» quelle cioè che rendono l’azione benefica o dannosa, ossia la tendenza a produrre risultati buoni o cattivi. Inoltre, questi sistemi mentre fanno consistere la virtù nella « proprietà » dei sentimenti, non assegnano alcuna misura pratica con la quale sia possibile discernere questa « proprietà »: e questa misura non può trovarsi, per lo Smith, altrove che nei sentimenti simpatici di uno spettatore imparziale e bene informato.
Notiamo incideritalmente l'attenzione che Smith volge al concetto di Platone, per cui «la virtù è una specie di scienza»: talché, a suo parere, nessuno poteva vedere chiaramente e dietro dimostrazione quale fosse il giusto e l'ingiusto, senza agire in conseguenza mentre: « per Aristotile, al contrario, nessuna convinzione dell'intelletto può prevalere su abiti inveterati, e la buona morale sorge non dalla conoscenza, ma dall'azione.
È da porre al credito di Smith la preferenza evidente che dà a questa concezione dello Stagirita, sì affine alla massima evangelica: « Chi opera la verità viene alla luce»..
STOICISMO
La critica speciale che lo Smith fa alle generali concezioni apatiche dello Stoa sono assai rimarchevoli, specie per la loro portata nella .comprensione generale della «Teoria». « È nell'ordine e nel piano della Natura... che gli eventi i quali affettano immediatamente il piccolo dipartimento del quale abbiamo noi stessi la direzione
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-e si riferiscono a noi stessi, agli amici, alla nostra patria, siano quelli che più c’interessano e più eccitano i nostri sentimenti e passioni. E se avvenga che queste siano troppo veementi, la natura ha provveduto il rimedio e là correzione appropriata; cioè la presenza reale o immaginaria di uno spettatore imparziale, l'autorità dell'Ospite del nostro petto... sempre pronto a ridurci nella giusta misura e moderazióne. Se nonostante tutti i nostri sferzi, tutti gli eventi che affettano il nostro piccolo dipartimento riuscissero i più disgraziati e disastrosi, la Natura non ci ha per questo lasciato senza conforto. Questa consolazione può essere tratta non solo dalla completa approvazione dell'ospite del nostro petto, ma, se è possibile, da un principio ancora più nobile e generoso, da una ferma fiducia e sottomissione a quella benevola sapienza che dirige tutti gli avvenimenti della nostra vita ».
Ed ecco un’altra osservazione, fondamentale nella «Teoria» di Smith.
« Tutti i ragionamenti della filosofia, benché possano confondere e rendere perplesso l’intendimento, non potranno mai spezzare i rapporti necessari che la Natura ha fissato tra cause ed effetti. Le cause che eccitano naturalmente i nostri desideri ed avversioni, le nostre speranze e timori, gioie e dolori, produrranno certamente, non ostante tutti i ragionamenti degli Stoici, sopra ciascun individuo, secondo il grado concreto della sua sensibilità, i loro effetti propri e necessari: benché qeste ragioni possano avere grande influenza sull’ospite del nostro petto, e insegnargli a contenere tutti i nostri privati, parziali, egoistici sentimenti entro una più o meno perfetta tranquillità— ».
Se alla parola Stoici si sostituisca quella di Teologi, si vedrà che queste parole sono null'altro che l'argomento principale in favore della morale autònoma.
SISTEMI DI CLARKE, WOOLLASTON E SHAFTESBURY
Un breve paragrafo è riservato dall'Autore all'esame dei sistemi più recenti che fan consistere la virtù nella proprietà: cioè quello del Clarke che la ripone nello agire in conformità alle relazioni fra le cose, nel regolare la nostra condotta secondo la convenienza o sconvenienza di applicare certe azioni a certi oggetti o a certe relazioni ; quello del Woollaston che la ripone nell'agire secondo la propria natura delle cose, cioè nel trattarle secondo quel che veramente sono; dello Shaftesbury che la fa consistere nel mantenere l'equilibrio dei sentimenti, e nell’impedire che una passione, vada al di là della sua propria sfera. Tutti, egli dice, si aggirano più o meno intorno allo stesso concetto fondamentale. « Nessuno fornisce, anzi neppure pretende di fornire, alcuna misura precisa e distinta per accertare o giudicare questa convenienza o proprietà delle affezioni, la quale può solo trovarsi nei sentimenti simpatici dello spettatore imparziale e bene informato.
Inoltre, se la descrizione della virtù fatta da ognuno di questi autori... è affatto' giusta per la parte a cui ognuno arriva — perchè non v’è virtù senza « proprietà », nè « proprietà » a cui non sia dovuto qualche grado di approvazione, — essa però è incompleta; perchè la proprietà non è il solo elemento dell’azione virtuosa, benché entri come costitutivo di ognuna di essa. Le azioni benefiche hanno in sé un’altra
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qualità, per la quale appaiono meritevoli non solo di approvazione, ma anche di ricompensa; ora nessuno di quei sistemi dà una facile o sufficiente spiegazione del grado superiore di stima che sembra dovuto a tali azioni, o di quella diversità di sentimenti che èsse eccitano naturalmente. E la loro descrizione del vizio non è più complèta.
CRITICA DEL SISTEMA EPICUREO
Dimostrata l’insufficienza dei sistemi che fan consistere la virtù nella « proprietà» di tutte le azioni, l’Autore passa a mostrare che la « prudenza », cioè la ricerca giudiziosa dei nostri personali interessi e felicità, e il governo per quanto « proprio » dei sentimenti egoistici, non è il costitutivo unico della virtù. (Gap. II).
Se vi è un sistema in cui la ricerca dei piaceri e l’avversione ai dolori fìsici — e coordinatamente a questi la cura dei beni superiori dello spirito — fosse prescritta nei termini più « propri », questo fu quello di Epicuro. Per lui « la più perfetta felicità che un uomo sia capace di godere, consiste nel benessere corporeo, e nella sicurezza e tranquillità dello spirito »: e l’oggetto unico di tutte le virtù era « il conseguimento di questo grande scopo dei naturali desideri».
« Sembra strano » — è là critica di Smith — « che Epicuro, che pure non ci è descritto come fornito delle più amabili virtù, non abbia mai osservato che qualunque possa essere la tendenza delle virtù o dei vizi contrari riguardo al nostro comodo e sicurezza corporale, i sentimenti che essi eccitano naturalmente negli altri sono l’oggetto di un nostro desiderio o di un’avversione ben più appassionata che tutte le loro ( personali) conseguenze; che ogni animo ben disposto valuta assai più l’essere amabile, rispettabile, l'oggetto proprio dell’altrui stima, che tutte le comodità e la sicurezza che possono essergli procurate dall’amore, dal rispetto e dalla stima stessa; e che al contrario l’essere odiosi, disprezzabili, l’oggetto proprio dell’indignazione altrui è più terribile che tutto ciò che noi possiamo soffrire nel nostro corpo, in conseguenza di quest’odio, disprezzo, indignazione, e che in conseguenza il nostro desiderio di alcune qualità morali e l'avversione di altre non può sorgere da alcun riguardo agli effetti che le une o le altre possono produrre nel nostro corpo.
Qui l'Autore fa un’osservazione di critica metodologica che non raramente abbiamo visto rivolta anche a tendenze del pensiero contemporaneo. «Nella sua riduzione di tutte le differenti virtù a questa sola specie di proprietà, Epicuro condiscese ad una tendenza che se è naturale a tutti, è la prediletta specialmente dei filosofi, come quella che fornisce loro il mezzo di -far pompa della loro ingegnosità, cioè la propensione a spiegare tutti i fenomeni («all'appearances») con il minor numerò possibile di principi ».
« Ed egli certo li passò tutti, quando riferì ai piaceri e ai dolori fìsici tutti gli oggetti principali del naturale desiderio e avversione. Il grande fautore della teoria atomica dovè provare grande soddisfazióne nel poter spiegare tutti i sentimenti e le passioni dell’animo per mezzo di quelle più semplici e famigliari, come aveva dedotto tutte le forze e qualità dei corpi da quelle più semplici e comuni, quali la fórma, il movimento, la disposizione delle particelle della materia ».
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CRITICA DEL SISTEMA DEGÙ ECLETTICI, O DEL PRINCIPIO DELLA BENEVOLENZA
Dopo il sistema di coloro che riducono la virtù ad una « prudenza » nella ricerca dei propri piaceri, viene il suo antagonista, il sistema che fa consistere la virtù nella benevolenza (Cap. Ili): «dottrina, sembra, seguita dalla maggior parte dei filosofi che si diedero per seguaci di Platone e Pitagora — donde il nome di neo-platonici, — ma che denominavano sé stessi eclettici »: poiché per essi la benevolenza e l’amore erano il solo principio che animava la divinità nell’esercizio di tutti i suoi attri* bufi, e l’intiera perfezione dell'uomo consisteva nel' rassomigliare alla divinità, animando tutte le azioni con questo unico sentimento.
« Solo quelle azióni sono veramente encomiabili e meritorie agli occhi di Dio, che emanano da questo motivo: per esse noi possiamo progressivamente avvicinarci alla divinità fino, a giungere a quell'immediato rapporto con essa, ch'è l'oggetto supremo della filosofìa».
Questo sistema è dallo Smith attribuito a molti « padri della Chiesa » e a pa- -recchi eminenti e pii filosofi inglesi, ma sopratutto all'Hutcheson, suo maestro, « il più acuto, il più distinto, il più filosofo e, quel che sopratutto importa, il più sobrio e giudizioso di tutti ». L'Autore fa osservare che la identificazione della virtù con la benevolenza ha infatti in suo favore molte apparenze. Inoltre egli accenna agli speciali argomenti dell'Hutcheson.
Il primo difetto che Smith riscontra nella teoria del suo maestro, si è che, come altri sistemi non dànno spiegazione dell'elemento costitutivo della particolare nobiltà della benevolenza, così questo sistema non riesce a spiegare donde sorga la nostra approvazione delle virtù secondarie della prudenza, vigilanza, circospezione, temperanza, costanza, fermezza: « esso non tiene alcun conto della proprietà o improprietà delle azioni, della loro convenienza ò sconvenienza per riguardo alla causa che le eccita », ma solo dei loro effetti benefici o dannosi.
Inoltre egli osserva che il motivo egoistico è spesso assai lodevole. Le abitudini di economia, industriosità, discrezione, attenzione, benché generalmente coltivate per interesse personale, pure sono assai lodevoli e lodate, essendo un naturale principio, che la natura ha affidato a ciascuno di noi la cura propria come alla persona più atta a farlo.
Che poi il criterio della casuistica morale ^ia spesso il bene o il male della società, ciò mostra solò che ogni qualvolta vi è contrasto fra i due interessi, egoistico e sociale, questo deve prevalere.
Qualunque sia infine il motivo di agire della divinità, « una creatura così imperfetta com'è l’uomo, alla cui esistenza si richiedono tante cose esteriori, deve spesso agire per differenti motivi, e le condizioni della natura umana sarebbero assai difficili se i sentimenti che... sì spesso debbono influire sulla nostra condótta non potessero mai apparire virtuosi e degni di stima»...
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CRITICA COMUNE A TUTTE LE TEORIE
Ricapitolando, l’Autore indica come difetto generale delle tre teorie precedenti, che estendono a esagerare T importanza di alcuni principi di azione in modo sproporzionato. Così quella della proprietà dava tutta l'importanza alle virtù forti e robuste, e trascurava le miti e gentili quasi come debolezze dell'animo;' e quella della benevolenza, mentre incoraggia sommamente le virtù benevole, nega quasi il nome di virtù a quelle più « rispettabili », che chiama soltanto « attitudini morali », indegne dell’approvazione accordata alla vera e propria virtù.
Ai tre sistemi suesposti si può ridurre facilmente qualunque altro sistema, « per quanto in apparenza differente ». E l'Autore mostra come il sistema che ripone la virtù ubbidienza al volere di Dio, si riduce a quello della prudenza — per quelli che motivano il dovere di ubbidire a Dio con il suo potere di premiarci o castigarci; — o a quello della proprietà per quelli che lo motivano dalla convenienza dei sentimenti di umiltà e sommissione al comando di sì eccelso superiore. Quanto al sistema utilitario, per cui sono virtuose le'azioni gradite ed utili al soggetto o agli altri, esso si riduce a quello della proprietà-, perchè qualunque sentimento è utile o dannoso secondo il suo grado moderato o eccessivo; e quindi Y utilitarista deve volere la proprietà di tutti i sentimenti. La sola differenza fra questo sistema e quello dell'Autore, è che esso fa dell’utilità anziché della simpatia o corrispondenza affettuosa dello spettatore, la misura naturale e originale della proprietà di questo grado. Così, quasi incidentalmente, Hume e là scuola utilitaria sono serviti allo stesso desco che la teoria eteronoma teistica.
Smith poi fa notare, che nonostante tutte le loro deficienze e manchevolezze, « la tendenza generale di ognuno dei tre sistemi è di favorire le abitudini migliori e più lodevoli: e che sarebbe bene per la società , che, o l’umanità in generale o anche quei pochi che pretendono di vivere secondo le norme della filosofia, regolassero la loro condotta sui precetti di qualsiasi di esse ».
E l’Autore s'indugia a mostrare quanto di utilizzabile vi sia in ognuno dei tre sistemi, dando mostra di una tolleranza e generosità filosofica, a dir poco, assai rara.
Spietato invece egli si mostra con un quarto sistema, a cui, non certo « honoris causa », dedica una trattazione separata, giudicandolo irriducibile a qualunque dei tre precedenti: quello del dott. Maudeville che sopprime ogni distinzione fra vizio e virtù, e la cui tendenza è perciò interamente perniciosa.
La sua critica termina con l'osservazione di buon sènso, che: «Sé un filosofo che pretenda assegnare le cause dei grandi fenomeni dell'universo... può acquistare la nostra fiducia sol che si tenga nei limiti della verosimiglianza,... ciò non basta quando si tratta di spiegare l'origine dei nostri desideri e affetti, sentimenti di approvazione o disapprovazione, di darci spiegazione non già solo degli affari del paese in cui viviamo, ma proprio di quelli di casa nostra... Chi volesse assegnare còme causa di un nostro sentimento qualche principio che con esso non ha alcun rapporto o rassomiglianza... ci sembrerebbe assurdo e ridicolo ».
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TEORIE SUL PRINCIPIO DELL'APPROVAZIONE MORALE
La 2a questione che Smith si pone, è, come si è visto, quella del princìpio del-l'approvazione morale, cioè della potenza o facoltà dell’animo che ci fa sentire alcuni caratteri come gradevoli e altri come sgradevoli, e ci fa preferire un tenore di condotta ad un altro, e denominar l’uno virtù, l’altro vizio, e considerar l’uno come degno di approvazione e premio, e l’altro di biasimo e castigo. (Sez. II).
Come le differenti teorie sulla natura della virtù, così anche quelle riguardanti l'origine del nostro principio di approvazione possono ridursi a tre: « dell'amor proprio », secondo la quale noi approviamo o disapproviamo le nostre e le altrui azioni per la loro tendenza a produrre, o no, il nostro vantaggio e felicità; della « ragione » secondo la quale la stessa facoltà che distingue il vero dal falso ci abilita a distinguere quel che è conveniente o sconveniente negli affetti e nelle azioni: dei sentimenti per cui questa distinzione morale è interamente l’effetto d’immediati sentimenti, e sorge dalla soddisfazione o dal disgusto che certe azioni o affetti c’inspirano.
Prima di passare in rassegna queste teorie, l’Autore fa osservare che «se la questione riguardo alla natura della virtù ha qualche influenza relativamente alla nostra nozione del giusto ed ingiusto in molti casi particolari, quella riguardante il principio di approvazione non può avere alcun effetto,... ed è pura materia di curiosità filosofica ». Bisogna però ben notare al proposito, che è appunto nella soluzione data a questa » curiosità filosofica » che si basa la critica delle teorie diverse sulla natura della virtù, o sul principio di moralità.
La teoria che fa dipendente dall'amor proprio la nostra approvazione morale, qual'é professata dà Hobbes ed altri, riduce questa approvazione ad una percezione remota della tendenza della condotta virtuosa dell'uomo sociale a favorire il suo proprio vantaggio.
L’Autore, pure ammettendo ampiamente questa tendenza della virtù a promuovere il bene sociale, fa osservare che questa considerazione può bensì essere conseguenza, ma non è causa del nostro operare virtuoso. Quando noi applaudiamo la virtù di Catone e biasimiamo la volgarità di Catilina, il nostro sentimento non è determinato da alcuna idea dei benefizi o danni remoti che riceviamo dalla loro condotta, bensì dalla indiretta simpatia che proviamo per la gratitudine o il risentimento di coloro che ricevettero da quelle azioni beneficio o danno: e tale era l'idea che questi autori intravedevano confusamente, quando dicevano che il nostro applauso o biasimo è provocato dall’idea imaginaria di quello che noi proveremmo se ci trovassimo in società con tali individui.
« Ora la simpatia non può affatto in alcun senso considerarsi come un principio egoistico »: e l'Autore dà la dimostrazione già altrove accennata di questo asserto, importante specie in considerazione delle critiche che alla sua «teoria» vengono tutt’ora opposte da « quella descrizione della natura umana, che deduce tutti i sentimenti e gli affetti dall’amor proprio..., e che sembra sia sorta da qualche confuso ed errato intuito del sistema della simpatia ».
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« Quando io simpatizzo con il vostro dolore o con la vostra indignazione, si potrebbe, è vero, sostenere che la mia emozione è fondata nell’amor proprio, in quanto sorge dal mio applicare il vostro caso a me stesso, dal pormi nella vostra situazione, e quindi concepire ciò che io sentirei in simile circostanza. Ma questo scambio imaginario di situazione non avviene a me nella mia propria persona, bensì in quella con cui simpatizzo...: io non considero quello che io, persona fornita di queste e quelle qualità, soffrirei se avessi un figlio e questi subitamente morisse, ma ciò che soffrirei io se fossi realmente voi che avete perduto il vostro unico figlio: io scambio con voi non solo le circostanze, ma la personalità e le qualità caratteristiche. Quindi il mio dolore riguarda interamente voi e niente affatto me, e non è punto un sentimento egoistico. E come potrebbe essere egoistica una passione che sorge senza neppure bisogno che l’evento sia accaduto, o che possa riferirsi a me alla mia propria individua persona, ma che si esaurisce tutta nel riguardo vostro?
Un uomo può simpatizzare con le condizioni di una partoriente; eppure non è possibile ch'egli concepisca sè stesso sofferente nella sua propria e individua persona, gli stessi dolori... ».
CRITICA DEL SISTEMA DEL RAZIONALISMO ETICO
L’Autore passa quindi dal sistema dell’amor proprio che ripone il principio dell’approvazione in prevalenza nella volontà, al sistema della ragione, che ripone cioè il discriminante del bene e-del male nello stesso principio che distingue fra Vero e falso. Egli lo presenta come una reazione, nelle sue forme recenti, alla teoria di Hobbes che identificò il giusto e l’ingiusto con il legittimò e l’illegittimo, e quindi lo fece dipendente dalla legge positiva, e come essa mutevole. Fu necessario di opporgli, che anteriormente ad ogni legge positiva e a base di essa, esiste una facoltà che distingue nelle diverse azioni e affetti le qualità di giusto, lodevole, virtuoso da quelle di ingiusto, biasimevole, vizioso: e che questa facoltà è la stèssa che distingue il vero dal falso. È con la ragione che noi scopriamo le regole generali della giustizia, e che formiamo le idee stesse di prudenza, convenienza, generosità ».„.che portiamo con noi, e in conformità alle quali noi ci sforziamo per quanto possiamo, di modellare il tenore della nostra condotta. Certamente anche le norme generali della morale sono formate, come tutte le altre, dall’esperienza e dall'induzione..., osservando in una gran varietà di casi ciò che piace alle nostre facoltà morali o che le offende, e da questa esperienza derivando per induzione quelle norme generali: e l’induzione è bène una delle operazioni della ragione. Ora, la maggior parte dei nostri giudizi morali sonò regolati dalle norme generali di condotta; chè se essi dipendessero intieramente dai sentimenti e dalle sensazioni immediate, mutabili sì radicalmente còl mutare delle condizioni di salute e di umore, sarebbero estremamente incerti e precari.
Perchè dunque i nostri giudizi più solidi riguardo alle idee di giusto ed ingiusto son regolati da massime e idee derivate dall'induzione della ragione, si può con tutta
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proprietà dire che la virtù consiste nella conformità con la ragione, e che quindi la ragione è la sorgente e il principio dell'approvazione e disapprovazione morale.
È notevole la dimostrazione che precede e quella che segue, in quanto differenzia la posizione di Smith, sia dal razionalismo morale che dal sentimentalismo empirico.
« Ma benché », egli prosegue, « la ragione sia indubbiamente la sorgente delle norme generali di morale e di tutti i giudizi morali che noi formiamo per loro mezzo, á affatto assurdo o inintelligibile supporre che le prime percezioni ài giusto ed in-giusto possano essere derivate dalla ragione anche nei casi particolari sull’esperienza dei quali le regole generali sono formate. Queste prime percezioni, non meno che tutte le esperienze su cui si fonda qualunque regola generale, non possono essere l'oggetto della ragióne, ma solo delle sensazioni e dei sentimenti immediati. È solo trovando che in un vasto numero di casi un tenore di condotta piace e l'altra costantemente dispiace, che noi formiamo le regola generali di morale. Ma la ragione non può da per si rendere piacevole 0 spiacevole alcun oggetto particolare: essa può solo mostrare che un oggetto è il mezzo di ottenerne un altro che per natura sua è piacevole 0 spiacevole, e in questo modo può renderlo gradevole o sgradevole per riguardo ad un altro oggetto. Se dunque la virtù In qualunque caso particolare piace per sé stessa necessariamente, e viceversa il vizio dispiace, non può essere la ragione ma il senso e il sentimento immediato che ci-attira a quella e ci allontana da questo. Il piacere e il dolore, i grandi Oggetti del desiderio e dell'avversione, sono distinti non dalla ragione, ma dal senso e sentimento immediato... ».
TEORIA DEL SENSO MORALE
Dopo la volontà e la ragione, restano da esaminare i sistemi che ripongono nel sentimento il principio dell'approvazione morale. L’Autore distingue al proposito nettamente il gruppo a cui appartiene il suo sistema, da quello a cui appartengono i sistemi di Locke e di Hutcheson, — passato alla storia sotto il nome di teoria del senso »forale — che fonda il principio di approvazione morale su sentimenti di una particolare facoltà dell’animo, che in presenza di differenti passioni ed azioni prova sentimenti gradevoli 0 sgradevoli, e qualifica gli uni di giusti, lodevoli, virtuosi, e gli altri d’ingiusti biasimevoli, viziosi.
L'altro gruppo invece ritiene, che per spiegare il principio di approvazione morale non vi sia motivo di supporre una speciale facoltà: poiché il sentimento della simpatia è sufficiente a dare spiegazione di tutti i fenomeni per cui gli altri invocano uno speciale senso morale.
Ad ammettere resistenza di uno speciale senso morale analogo ai sensi esterni, l’Hutcheson fu indotto dalla sua eliminazione deU'amor proprio e della ragione come speciali principi di approvazione. Egli ammise l'esistenza di un senso interno diretto (quello che Locke chiama « riflessione »), da cui derivano le idee delle diverse passioni ed emozioni dell’animo, ed un altro senso interno riflesso, con cui percepiamo la bellezza
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o deformità, la virtù o il vizio, delle diverse passioni ed emozioni. A conferma della sua teoria, l’Hutcheson invoca l'analogia con altri sentimenti simili al senso morale.
Sé noi diciamo che il risentimento è il senso delle ingiurie, e la gratitudine il senso dei benefizi, perchè l'approvazione o disapprovazione che sorge nell'animo alla vista delle differenti azioni non potrà esser chiamato il senso del bene e del male, o senso morale?
CRITICA DELLA TEORIA D’UN PARTICOLARE SENSO MORALE
Nella sua critica Smith insiste specialmente sull’argomento che « se l’approvazione e disapprovazione fossero emozioni di carattere speciale e distinte da tutte le altre, come la gratitudine o il risentimento, noi ci aspetteremmo che in tutte le loro variazioni esse ritenessero i lineamenti generali che le caratterizzano come emozioni di genere speciale, in modo chiaro, evidente, e facilmente ravvisabile. Ma il fatto è proprio l’opposto. Se facciamo osservazione, ciò che veramente proviamo quando in diverse occasioni approviamo o disapproviamo, troveremo che le nostre emozioni sono nei diversi casi affatto differenti l’una dall’altra, senza possibilità di trovare fra loro alcuna somiglianza di lineamenti. Così la nostra approvazione per un sentiménto tenero, delicato, umano, è affatto differente da quella che ci colpisce dinanzi ad un sentimento grande, audace, magnanimo... l’uno ci molce, l'altro ci eleva, e non vi è somiglianza di sorta fra le emozioni che essi eccitano »... L’Autore trova che questa differenza si spiega naturalmente nel suo sistema, nel quale l’approvazione non è che la partecipazione simpatica ai medesimi sentimenti di cui siamo spettatori: la quale quindi ha tante differenze quanti sono i diversi sentimenti con cui simpatizziamo; ma che non potrebbe spiegarsi se, invece, l’approvazione consistesse in una emozione speciale, che nulla avesse di comune coi sentimenti che noi approviamo, ma invece sorgesse alla vista di essi, come ogni altra passione sorge alla vista dell’oggetto suo proprio. Questa osservazione di Smith è molto importante, in quanto mostra come la simpatia, anziché essere per lui un sentimento speciale, può essere l’approvazione e riproduzione di tutti i sentimenti e quindi può conferire a qualunque azione quell’elemento che è costitutivo; secondo Smith, della sua moralità.
Lo stesso vale per la disapprovazione: il nostro orrore per la crudeltà non ha alcuna rassomiglianza col nostro disprezzo per la codardia: e ciò è naturale, perchè quella che chiamiamo in entrambi i casi disapprovazione, è in realtà una specie di discordia dai sentimenti altrui, tanto differente nei diversi casi, quanto sono differenti i sentimenti stessi da cui abboniamo.
Ma v’è di più. Noi approviamo o disapproviamo non solo un’azione, ma anche la stessa approvazione o disapprovazione di un'azione secondo che ci sembra propria o impropria. Ora l’unica spiegazione di ciò si è, che nel primo caso l'approvazione data da un altro di una certa azione coincide con l'approvazione nostra; nel secondo invece, noi disapproviamo e consideriamo come malfatto ciò che un altro approva : mentre la teoria del senso morale non sa che spiegazione darne, non trattandosi qui di un rapporto diretto fra il senso e l’azione approvata o disapprovata.
E l'Autore sussume: « Se, almeno in questo caso, è evidente che è la coincidenza
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od opposizione di sentimenti tra colui che osserva l'azione e colui che la fa che costituisce l'approvazione o disapprovazione morale, perchè dubitare che sia sempre così? A quale scopo imaginare una speciale facoltà di percezione per spiegare questi sentimenti? »
Ma Smith ha ancora un altro argomento da opporre alla teoria di un particolare senso morale', egli fa appello allo strano fatto che « ...questo sentimento che la Provvidenza indubbiamente destinò ad essere il principio direttivo della natura umana, è stato finora tanto negletto da non avere ancora neppure un nome in alcuna lingua; mentre lo hanno l'amore, l'odio, la gioia, la gratitudine..., e tante altre passioni che si suppone siano i soggetti di questo principio. Giacché la parola « senso morale» è assai recente...; quella di «approvazione» è stata applicata solo in questi ultimi anni a idee di questo genere...; la parola « coscienza » anziché denotare immediatamente la facoltà morale di approvazione 0 disapprovazione, suppone anzi essa stessa l'esistenza di una qualche facoltà di tal genere, e indica la nostra consapevolezza di aver agito, in conformità o in opposizione alle sue direttive ».
SORGENTI DEI SENTIMENTI MORALI
E conchiude la sua critica mostrando le quattro diverse sorgenti da cui derivano i sentimenti morali che determinano la nostra approvazione o disapprovazione.
« Dapprima noi simpatizziamo coi motivi dell' agente; in secondo luogo noi partecipiamo al senso di gratitudine di coloro che ricevono il benefizio della sua azione; in terzo luogo osserviamo che questa condotta concorda con le regole generali con cui queste due simpatie agiscono generalmente; ed in ultimo, quando noi'riguardiamo certe azióni come parti di un sistema di condotta che tende a favorire la felicità individuale o sociale, ci sembra che èsse derivino da questa utilità una certa bellezza paragonabile a quella di una macchina ben congegnata... Dopo dedotta in ogni caso particolare la parte che spetta ad ognuno .di questi quattro principi, sarò lieto di sapere se vi resta qualche cosa, e volentieri attribuirò questo residuo ad un senso morale o ad un'altra facoltà particolare... ».
La sez. IV ed ultirna di questa parte, con la quale si chiude la Teoria, tratta della maniera con cui i differenti autori hanno trattato delle regole pratiche di moralità e può considerarsi cóme un’appendice di essa, trascurabile per ló. scopo della nostra analisi.
Egli termina additando la lacuna non ancora riempita dagli antichi moralisti nè dai moderni giureconsulti, di indicare un sistema di giurisprudenza naturale, cioè una teoria dei principi generali di giustizia, che dovrebbero informare le leggi positive delle nazioni ed essere il fondamento di ogni civile società, e facendo una magnifica, quasi chimerica, promessa di riempire questa lacuna. « In un’altra dissertazione io tenterò di esporre i principi generali delle leggi e del governo e delle differenti evoluzioni da essi subite nel corso dei secoli e nei diversi periodi della civiltà, non soló per quel che riguarda la giustizia, ma anche per ciò che concerne la polizia, le entrate, gli armamenti e qualunque altro argomentò che è oggetto delle leggi ».
(La fine al prossimo numero} Giovanni Pioli.
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PER LA CULTURA i DELL’ANIMA
IL VELTRO DEL CIELO
Di FRANCIS THOMPSON
Versione di MARIO PRAZ
o Lo fuggii'per falbe e per le sere;
Io Lo fuggii, giù per gli archi degli anni; Lo fuggii per le vie labirintèe
Della mia mente; ed in nebbia di pianti— M’ascosi a Lui, tra risa che garrìano.
Su per speranze accorsi
Aperte agli orizzonti;
Piombai per tenebrori Titanii di spaventi inabissati. Per quei Piè forti che seguían, seguìano.
Con indefessa caccia
E imperturbata traccia. Franco incesso, solenne urgenza, i Piè
Risuonano — ed un Grido
Più d’essi urgente è udito — «Tradisce ognun te che tradisci Me».
Qual bandito, a finestre Cordiali implorai, velate in rosso. D’ingraticciate carità conteste;
(Chè, per saper l’amor di Quei ch'addosso
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PER LA CULTURA DELL'ANIMA 293
Mi dava, ero commosso Da téma, avendo Lui, non altro avessi). Ma, se una finestrella apriva i vetri. Al Suo arrivo un turbo li sbatteva.
Non sottrarsi il timore, ma Amor seguir sapeva. Io fuggii verso il limite del mondo.
Le porte d’òr degli astri osai turbare,
Pregando asilo a lor clangenti sbarre;
Trassi un trillo soave
D’argento ai pallidi usci della luna.
« Sii ratta » io dissi all’alba e all’ora bruna —
« De' tuoi celesti bòcci fammi scudo
Da quel tremendo Drudo!
Nel tuo vel vago a Lui nascondi me!
Tentai tutti i Suoi servi per scoprire
Mio tradimento in lor costanza, in fé
Ver Lui loro incostanza verso me,
Lor leal frode, loro infida fede.
Le cose preste implorai per prestezza;
D’ogni vento afferrai il fischiente crine.
Ma s’ei radean con volo lieve
L'azzurra in ciel savana immensa:
0 se, spinti dal Tuono,
Facean per l’aer clàngere il Suo cocchio Sprizzando lampi intorno all'urto dei lor piede: —
Non sottrarsi il timore, ma Amor seguir sapeva.
Con indefessa caccia,
E impertubata traccia.
Franco incesso, solenne urgenza, i Piè
Avanzano ed un Grido
Sopra il lor passo è udito —
« Niun t’accoglie, che non accogli Me ».
Non chiesi più quello onde erravo in cerca
Press’uomo o giovinetta;
Ma in pupille di bimbi, non so come, Qualcuno, sì, qualcun risponde.
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294
BILYCHNIS
Essi alfin son per me, per me davvero! Mi volsi ad essi pien di desidèro;
Già per risposte ivi albeggianti quelli Giovani occhi eran belli. Ma l’angel li rapì via pe’ capelli. « Figli della Natura, almen fratelli Siatemi voi » diss’io « dolci compagni;
Labbro a labbro ch'io vi baci. Ch’io v’allacci di carezze, Io ruzzando
Di nostra Madre con l’effuse trecce, Banchettando
Nella sua magion ventosa. Sotto la sua cesia volta. Alla pura usanza vostra Me da còppa
Chiara d'alba dissetando ».
Sì fu fatto:
Ed io tra loro fui dolce compagno -Io disserrai i segreti di Natura.
Seppi mobili sembianze
Sulla faccia capricciosa D’ogni cielo; seppi ancora Come sgorghin nubi, spuma Del fiero ànsito del mare;
Sorsi, giacqui in una
Con chi nasce e muor; pensieri Miei plasmai sulle cose, o tristi o gai M'ebbi d’esse duol, piacere.
Io fui grave con le sere
Che cirìgean di fiochi ceri Morte santità di giorni. Risi del mattin negli occhi. Con ogni ciel trionfai, m'attristai,
Piansi e i pianti suoi soavi Eran salsi dei pianti miei mortali; Il rosso ritmo del suo cuor-di-vespro Serrai contro il mio cuore.
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PER LA CULTURA DELL'ANIMA
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Spartii, mescei il calore;
Ma non per ciò, per ciò, mio spasmo avea sollievo. Invan bagnò mio pianto le grige gote ai Cieli. Ah! non sappiam quel ch’uno dica all'altro, Le cose ed io; in suono io parlo —
Lor suono è sol lor moto, chè parlan per silenzi. Non può Natura, povera matrigna, Me dissetar; dei cieli,
Se vuol ch’io l’ami; tolga il vel dai seni
Della sua tenerezza:
Mai suo latte alleviò l’asciutta ardenza
Della mia lingua.
« Via via m'urge la caccia Con indefessa traccia. Franco incesso, solenne urgenza, e i Piè
Vincendo in suono, un Grido Più ratto d'essi è udito — * Ah! niun te sazia, che non sazi Me! ».
Nudo, del Tuo amore il colpo attendo!
La cotta maglia a maglia strappata m’hai di dosso, A' ginocchi percosso M’hai, nè resister posso. Dormivo, io penso, e, desto. Guatai e vidi me nudato in sonno. Nell’émpito di mie giovani forze, Divelsi i fulcri d’ore. Su me crollai la vita; lordo, giacqui Tra il polverìo degli anni accumulati — Sei stesa morta a quell’ammasso sotto, Dilaniata giovinezza mia!
Miei dì cricchiarono, in fumo vanendo. Si dilatarono, scoppiaron via Come sbalzi di sol su correntìa.
La cetra pur tradìa
Il citarista, il sogno il sognatore; Pur le chimere, alle cui fila in fiore
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BILYCHNIS
Cullai, gingillo al polso mio, la terra, Cedon: corde assai frali per la terra Soverchiata da duoli così grevi.
È inver l’amor Tuo erba Selvaggia, se pur erba d'umarantó, Che lascia alzarsi il fiore suo soltanto?
Ah! devi —
Disegnatore immenso! —
Dei far.carbon del legno, pria di pinger con esso? E la freschezza mia sovra la polve Dissipò il fluttuar delle sue piove;
E il mio cuor ora è come un fonte infranto, Ove stille di pianti stagnan, sparse
Dagli umidi pensieri
C’han brividi sui queruli verzieri
Della mia mente. Così è, ma quale
Cosa avvenir dovrà?
Polpa sì agra quale scorza avrà?
A stento penetrar posson miei sguardi
In quel che il Tempo asconda
In brume, e tuttavia suona una tromba Ora e sempre dagli alti baluardi Invisibili dell’Eternità:
Si diradan le scosse brume un poco. Poi gl'intravisti spaldi lente annebbian di nuovo;
Ma non prima ch’io scorga
Chi bandisce l’appello.
In purpureo cupo vestimento
Avvolto, coronato di cipresso;
Suo nome io so, quel che dice .la tromba.
Sia cuor, sia vita d’uomo ciò che mieti. Concimar devi i tuoi maggesi Con la morte corrotta?
Dèi lungo inseguimento
La romba or m’è dappresso;
Qual mar ch’erompa il Grido intorno m’è: « La tua terra è sì guasta.
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PER LA CULTORA DELL'ANIMA
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Coccio su coccio infranta?
Ah, tutto sfugge te, che sfuggi Me!
Pietosa cosa, strana e vana!
Perchè dovrebbe alcun serbarti amore?
Io sol, tu vedi, fo, di nulla, tanto;
Merito umano vuol l’umano amore:
Come hai tu meritato — D’umana creta la più lorda zolla?
Ah, par tu non conosca Come poco sii degno d’ogrii amore! Chi mai troverai ch’ami, o ignobil, te,
Se non Me, se non Me?
Quel che rapii lo volli a te rapire.
Non per tuo danno. Ma perphè a Me tu lo cercassi in braccio.
Quel ch’error puerile Ti dice perso, Io t’ho Serbato; t’ergi.
Prendi Mia mano, e vieni». 1
Sta presso me quel passo: Ombra della sua mano. Stesa a carezze, la mia tènebra è?
< Ah, caro, frale, cieco, Quel che tu cerchi è Meco!
Via da te trai l’amor. tu che trai Me ».
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G. MAZZINI E IL CRISTIANESIMO
Dalle lettere inedite di Giuseppe Mazzini, pubb icate da Giorgio La Piana nell’Azione del 25-26 gennaio u. s. crediamo valga la pena di stralciare questa pagina che permetterà ai nostri lettori di farsi un concetto molto chiaro e preciso dell* opinione che il grande idealista aveva sulla religione di Cristo ed annunciamo nello stesso tempo, con piacere, che prossimamente pubblicheremo soWEducazione religiosa di G. Maz-iniz un’importante articolo del nostro chiaro collabotore prof. F. Momigliano.
« Voi pensate di Gesù in modo reazio; nano, che sarebbe proprio di coloro > quali sono sotto l’incubo della paura d’ ricadere nel Cristianesimo. Io mi sento Sedottamente tranquillo nel mio giu-izio su di lui, perchè io mi credo completamente emancipato e senza la minima paura di diventare un relapso.
« Mi páre che voi confondiate due cose che non sono assolutamente da confondersi. Io non parlo del Credo di Gesù, ma se mi è lecito esprimermi così, del suo metodo: della Fede in opposizione al calcolo ed alla pura ricerca scientifica. Mentre altri scrivevano libri su eclettiche combinazioni di vari sistemi religiosi, egli procedette in modo assiomatico partendo 4 priori da un principio religioso che era nuovo. Egli disse: voi siete fratelli in Dio; quindi egli visse e morì
per questo assioma, e in conseguenza egli fondò una religione che dominò, trasformandolo, il mondo per diciotto secoli, ciò che nè la scuola neo-platonica, nè il metodo del Panem et Circenses a-vrebbe potuto ottenére. Senza dubbio egli parlò di compensi celesti: ma noi pure quando parliamo dell’adempimento della legge e della perfezione da raggiungere attraverso una serie di esistenze progressive, non siano noi neppure degni dello stesso rimprovero? Non è questo pure un compenso? non è là che sta il male, non più che in ciò che io dissi sul fatto che Ogni grande rivoluzione produce come distinto ma infallibile risultato, un accrescimento di prosperità materiale. Il male sta, come voi ben dite, nel pensare che Gesù abbia dato solo la formula della perfezione àtWindividuo umano e non dell’uomo collettivo: sta nella teologia o- concezione del paradiso del Cristianesimo: ma ciò non ha che fare col contenuto che io intendo di assegnare a quel concetto, per via di paragone tra il modo di procedere di Gesù e’quello materialistico degli utilitari romani.
a Non prendete abbaglio sul Cristianesimo. Il Cristianesino, come tutte le religioni alla loro volta, era anche una teoria del dovere: però era deficiente nel-
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NOTE E COMMENTI
l’idea progressiva, e contemplando esclusivamente l'individuo non aveva altro da offrire che doveri verso sè stesso, mentre noi che conosciamo l’uomo collettivo, interpretiamo il dovere come tale anche verso (’Umanità. Non abbiate paura che io sia compreso a rovescio da alcuni di voi; quando io, dopo tutte le critiche, verrò a spiegare le nòstre idee, deducendo tutta la serie dei nostri doveri ed anche delle nostre speranze dall’idea di Dio, senza dire una parola su Gesù o sul Cristianesimo, allora io sarò compreso.
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> Inoltre e sènza pretenzione di usar diplomazia, io voglio riallacciare il cielo alla terra: io voglio condurre i miei lettori passo passo a riconoscere che la democrazia invece di essere cosa antireligiosa prende invece il suo punto di partenza da una religione è conduce ad un’altra. Vi è più pericolo per noi nel materialismo, che nella fede cristiana e tra l’essere preso a torto per cristiano da alcuni, o l’essere preso per uno che nega tutte le cose invisibili, io preferisco di correre quel rischio anziché questo».
RELIGIONE E
ALL* ESPOSIZIONE DI
SPIRITUALITÀ
BELLE ARTI IN ROMA
Io vado cercando, pellegrino errante della mia ossessione spirituale, l’anima delle cose di cui la mia forma mentis è disposta ad a-mare e considerare e sentire la sola bellezza esteriore, purché lo spirito che le animi sia quello dell’esteriorità. In altre parole io sono un pagano che. va cercando il cristianesimo, di cui sente il bisogno, ma che invano cerca in una società più pagana che mai. Risultato dì questo statò d’animo: un profondo scetticismo.
Col quale ho peregrinato nelle vaste sale del palazzo dell’esposizione per vederne respinti i principi!, ma purtroppo senza aver potuto convenire che il mio scetticismo aveva torto.
L’esposizione di via Nazionale è misera, ben misera: indarno tra la costante ricerca dello spirito moderno di rendere l’anima delle cose — il ritratto ed il paesaggio ne sono le espressioni — voi trovate qualche cosa che vi faccia fremere, un’idea e una passione.
Non vi è palpito di vita, non vi è sensazione di spirito. Com’è che io cerco in tanta miseria un aspetto religioso., un senso di spiritualità?
Il catalogo mi indica numerose «preghiere», ma è una denominazione che gli AA. anno posto alle loro opere, non un concetto che queste ànno loro imposto per esprimerlo in quelle parole. La testa di signorina elegante e sensuale che il Brignoli espone può pre
gare, ma evidentemente non lo esprime affatto; il bronzo che il Bossi à denominato nello stesso modo rappresenta un vecchio operaio immoto che à gli occhi fissi al cielo, ma non per questo prega; la giovine donna che Giacomo Caramel à voluto significasse la preghiera, non dice neppure che essa preghi. Gli occhi pesti e il volto cruciato colpito dalla luce fredda che lo investe direttamente potranno forse significare l’abbattimento, la disperazione, lo sconforto — veramente per me neppure tale espressione è evidente — non significano la preghiera. Non so se sia stato un bello spirito che vi abbia scritto sotto « per grazia ricevuta» perchè io vi vedrei una satira peggiore del mio giudizio...
Dunque niente preghiera... Nella stessa sala vi è una Fede di A. Bompiani: povera e volgare cosa invero. Il solito motivo della femminella innanzi all’altare, ma nè nell’ambiente, nè nella piccola figura nulla che giustifichi il titolo. La sala C pare, salvo qualche eccezione, di cui non è qui il caso di parlare, caratterizzata dal freddo nudo di R. Ufficialetto che si in titola Psiche e che non è affatto Psiche.
Non dirò nulla del Martirio di C. Barocelli, un disegno di una povertà veramente fenomenale. Il soldato che trascina la donna che alza in alto gli occhi senza espressione è anche tecnicamente brutto. La martire non à nulla che ci faccia inveire contro quel povero Dio-
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BILYCHNIS
cleziano il cui editto attaccato sulle colonne dell’edificio è l’unico elemento che par voglia giustificare il titolo.
An :he Lacrymae di A. M ¡struzzi, piccola scoltura di stile arcaicizzante, non dice nulla.
Un po’ più espressiva è invece la scoltura di G. Mazzini, Sola con Dio, una monacella seduta che, deposto sul sedile il libro di preghiera, congiunge le mani e abbandonatele sulle ginocchia, reclinata la testa sul petto, si raccoglie nella meditazione. Cionondimeno io non giurerei che, se invece di Sola con Dio, avessi letto nel catalogo, fantasticherie, ricordi, sogni o che so io, non sarei passato oltre. In altre parole c’è espressione sì, ma non quella espressione che era necessaria ad un raccoglimento con senso religioso, non umano.
L’unica pittura che in tanta superficialità à qualche cosa che può segnalarla per un giudizio meno severo è il Venite ad me di In Moretti. Una corsia di ospedale nella notte fonda, a pena a pena rischiarata da lampadine elettriche e sotto le tenebre che pesano tra quella luce azzurra le suore che si aggirano, pregano, si accasciano. Un gran Cro
cifisso sul davanti, del quadro a trittico, pare estollersi nell'ombra su tanta sofferenza, che si s**nte in quel doloroso teatro della vita umana attaccarsi con ultima speranza alla .speranza della croce. L’ultima illusione... venite ad me ed io vi consolerò, o voi che soffrite.
Ripeto non è perfetta, tutt’altro, questa piccola opera, ma è l’unica forse buona e come tale la segnalo.
E poiché non posso parlare qui di altre opere, dirò che per spiritualità valgono forse più di tante altre II viandante e sua sorella di Boris Georgieff, una pallida e triste figura d’uomo che nel suo viaggio à per compagna una figura femminile che si intravede, si sente, per dir così, senza risaltare, voluta-mente, accanto al viandante ; o quel cupo disegno in cui G. Rondini sente la maestà della via Appia, la regina viarum, avvolta doppiamente dall’onda del tempo.
• Dopo di che riprendiamo il cammino cercando in questo pagano mondo qualche cosa che lo elevi al suo vantato cristianesimo o qualche cosa che lo manifesti veramente, sentitamente pagano.
Giovanni COStA.
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CRONACHE
IL SECONDO CONGRESSO DEL P. P. I.
UNITÀ FITTIZIA
Scrivevamo nell’ultimo numero di Bilychnis che il compromesso tra le due correnti del Partito Popolare, che sarebbe uscito dai Congresso di Napoli, sarebbe risultato più da una mitigazione degli ardori estremisti che da una concessione strappata ai moderati. Infatti è avvenuto proprio così.
. Però il P. P. non ha superato affatto il dissidio che lo travaglia-: più che di due tendenze diverse nei metodi, ma identiche nella finalità, sono due anime che in esso coesistono l’una accanto all'altra: l’una preoccupata sopratutto da un problema di conservazione sociale, l’altra, a più diretto contatto con la massa popolare, ansiosa delle stesse conquiste che muovono anche le masse socialiste.
Nel partito ci sono due classi sociali con interessi addirittura antagonistici, con mentalità opposte, e che stanno insieme soltanto perchè tutte e due devono difendere interessi ecclesiastici.
L’ùnica unità del partito è costituita appunto dalla gerarchia ecclesiastica attorno alla quale si muove tutta la sua organizzazione ; poiché la gerarchia ecclesiastica è una, e una da un capo all’altro d’Italia, uno rimane e rimarrà il partito.
Che qualora i seguaci di Miglioli la rompessero con la Chiesa, non resterebbe loro che unirsi senz’altro ai socialisti, mentre i Meda, i Martire e compagnia, si distinguono dai conservatori liberali unicamente per ragióni confessionali.
. D’altra parte sono intuitive le ragioni che vietano il costituirsi di due distinti partiti cattolici; ecco perchè il Partito non si scinderà. E
ciò anche per una altra ragione : l’odio contro i socialisti, che nei destri si basa su ragioni di conservatorismo, nei sinistri ha ragioni altrettanto profonde nella rivalità quotidiana per la conquista delle masse Sul terreno dell’organizzazione economica, e costituisce un nuovo cemento che stringe insieme le due parti che si detestano cordialmente, ma ciascuna delle quali può però diré all’altra : nec tecUm possimi vivere nec sine te.
I CONTRASTI DELLE TENDENZE
Tutto il dibattito del Congresso e l’urto tra le tendenze si è manifestato a proposito della questione agraria e della tattica parlamentare; invece sulla questione della scuola è stata approvata la relazione Añile per acclamazione, e alle questioni di politica estera il Congresso ha mostrato di non essere affatto preparato e sensibile.
In proposito tutto si è ridotto ad un discorso, accompagnato da alcuni tumulti e da molta disapprovazione, del cattolico nazionalista Vassallo, e nessuno ha discusso quel progetto di internazionale bianca per cui la stessa Direzione aveva diramato un comunicato. Il Congresso ha dimostrato del resto una grande impreparazione e, più ancora, un’indifferenza completa per ogni problema di carattere ideale o semplicemente superiore alle immediate esigenze del proselitismo di partito.
L’on. Miglioli ha dichiarato di essere soddisfatto dell’esito del Congresso, nonostante alcune apparenze che potrebbero far credere il contrario. La verità è, ci diceva Miglioli subito dopo il Congresso, che noi abbiamo dominato con la nòstra presenza il Congresso,
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BILYCHNIS
costringendo la maggioranza ad accettare gran parte dei nostri postulati, come dimostrano l’ordine del giorno Martini sulla terra ai contadini, e gli emendamenti Milani all'ordine del giorno • Gronchi sull’indirizzo parlamentare, senza peraltro lasciarci assorbire. Insom-ma noi ci siamo nettamente differenziati, sebbene il Congresso tenesse a non discostarsi troppo da noi, mentre i liberaleggianti dì destra hanno dovuto invece riparare sotto le grandi ali di Don Sturzo confondendosi con i seguaci di Mauri e di Gronchi, che sono centristi di sinistra, dai quali essi sono e restano profondamente divisi.
Perciò, secondo Miglioli, il valore e il peso delia corrente da lui rappresentata non deve essere valutato soltanto sulla base del numero dei voti riportati.
LA VITTORIA DEI CENTRISTI
A nostro avviso Don Sturzo esce dal Congresso come un trionfatore, ed è stato l’idolo del Congresso. Però la sua posizione è oggi diversa da quella che aveva dopo il Congresso di Bologna. Con l’attuale Consiglio nazionale, e con la Direzione del Partito che ne deriverà, Don Sturzo ñon sarà più il dittatore e l’arbitro del partito.
Una parte della stampa ha decantato la vittoria di Meda: veramente Meda ha avuto un grande successo oratorio e personale, ma il Meda politico con le sue ben note simpatie e tendenze è stato assente dal Congresso, come assenti sono stati Crispolti, Micheli e gli altri della stessa tendenza.
Questa nostra impressione è anche quella espressa da un ottimo conoscitore del partito, l’on. Mauri, il quale nella discussione sulla questione agraria, fu indiscutibilmente il trionfatore nel Congresso.
Malgrado, tutto, egli ha detto, l’elemento propulsore del partito esce dal congresso sensibilmente rafforzato. Non solo perchè ha dissipato almeno in parte pregiudizi c diffidenze precostituite, recando una scossa profonda alle concezioni stàtiche con cui taluni erano venuti al congresso, ma anche, c sopratutto, perchè ha acquistato nel Consiglio nazionale — che è la delegazione permanente del partito — una rappresentanza più larga e fattiva, con elementi operosi ed esperti sia dcU’una che dell’altra lista. Quest’è il fatto concreto e saliente da cui la vita del partito potrà trarre nuovo impulso di sviluppo e d’ascesa, a contatto coi problemi gravissimi di quest’ora pensosa c penosa di travaglio universale. A contatto di questi problemi, imposti dalla fatalità storica più che dal volere degli uomini, anche il realismo di Meda, che oggi si
è affermato come stato mentale di perplessità di fronte all’oscuro domani, non potrà non tradursi in una cooperazione'di attività intelligente e provvida, alla maturazióne di quei nuovi destini delle genti a cui la parte più vivace del partito tende con un anelito cosi ardente verso la nuova democrazia del lavoro. Anche la possibilità d’una nostra collaborazione di governo cogli stessi socialisti è stata riconosciuta ed ammessa, per il momento in cui lo stato del paese avesse a reclamarla per il pubblico bene.
Questi propositi naturalmente, come tutte le deliberazioni che si votano nei congressi, hanno valore secondo l’applicazione che ne sarà fatta: i guai, per esempio, cominceranno quando la elastica formula la terra ai contadini dovrà tradursi concretamente; tuttavia sarebbe errore non tener conto delle formulazioni programmatiche e delle chiare indicazioni che sona uscite dal Congresso di Napoli, le quali, ad onta dèi molti ostruzionismi che saranno messi in opera dagli stessi organi dirigenti del partito, dovranno pure trovare un modo di realizzazione. Sotto pena, per il partito, di fallimento irrimediabile.
I PROPOSITI DI MIGLIGLI
È certo però che gli estremisti del Partito non saranno paghi e tranquilli, ma cercheranno di pesare sempre più sul partito. Miglioli, prima ancora che si aprisse il Congresso ha dichiarato che non in questo Congresso, ma in un avvenire non lontano il partito sarebbe stato degli estremisti.
Le votazioni nelle sezioni regionali hanno dato in molti luoghi, anche all’infuori del Cremonese e del Bergamasco, una maggioranza estremista; a Torino, Milano, Firenze, perfino in alcuni luoghi della Sicilia. Secondo Miglioli là propaganda costituita dalla presenza sua e dei suoi al Congresso, avrà una grande influenza nel Mezzogiorno, dove il Partito spera di organizzare le masse agricole, e dove finora la corrente estremista non era affatto rappresentata.
Queste stesse speranze ci esprimeva dopo il Congresso anche un semplice operaio, organizzatóre intelligentissimo del Partito. Bepi Zorzi è un ferroviere del Veronese che si è prodigato in durissime battaglie pagate di persona, e che all’ultimo sciopero ferroviario solidarizzò con gli scioperanti. A Napoli è stato oratore ascoltato e interruttore temuto ; contro un gruppo che egli capeggiava si scagliò una parte dei congressisti gridando teppisti. Nel suo resoconto \'Avanti ha raccolta e rilevata l’ingiuria come espressione d’uno stato
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CRONACHE
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d’animo profondamente antitetico tra i moderati e clericali, e i proletari fuori di posto, secondo [’Avanti, in un Congresso di signori e di preti.
L'Avanti! ha ragione, ci diceva il Zorzi;nel P. P. ogx> no> operai siamo una minuscola minoranza chiamata da lor signori teppistica. Sento però il dovere di fare non la difesa, ma la esaltazione di questi operai che dalle più lontane terre d’Italia vengono, a urlare tutto il loro sdegnò contro questi signori messisi nel partito solo perchè il partito è oggi contro l'abolizione dei privilegi-della loro proprietà privata.
Noi operai ci troveremmo a disagio nel P. P. se non fossimo sorretti da una grande fede.
Noi crediamo vivamente in tutti coloro che del P. P. vogliono fare veramente il partito popolare. Siccome .Ci teniamo attaccati disperatamente a questa credenza, noi vi restiamo, cóme resistono quegli operai che, sorretti da una fede che non si estingue, lottano contro gli insulti e il disprezzo dei compagni di lavoro negli stabilimenti', in una vita che sa di martirio, e son venuti poi al congresso, non potendo fare discorsi, ad urlare contro coloro che del P. P. e del Cristianesimo si servono per i loro interessi egoistici e materiali.
Noi non neghiamo che l'opera del socialismo abbia cooperato a portare ad una condizione di vita migliòre l’operaio. Ed io e molti operai benediciamo qualunque opera ch’io non esito a chiamare cristiana a prò dei lavoratori. Ma per tradizione familiare, per educazione e per il nostro sentimento noi non ci sentiamo di dividere l’idea di chi ci ferisce con la propaganda anticlericale, e tante volte antireligiosa, in ciò che abbiamo di più sacro.
Noi perciò non possiamo essere socialisti; ma, ripeto, il P. P., oggi come è, non è ancora il nostro partito. D'altra parte, siccome nel paese non ci sono partiti che, pur essendo favorevoli ai lavoratori, nella funzione economica, tutelino o rappresentino i sentimenti cristiani, noi combatteremo con tutte le nostre forze e abbiamo fiducia, profonda fiducia, che il partito nostro diventerà, se non il partito del proletariato cristiano (e questa sarebbe la nostra aspirazione), almeno il partito veramente popolare.
Abbiamo riprodotto queste parole cosi semplici ed efficaci non tanto perchè ci sembrino espressione di un pensiero logico e chiaro, quanto perchè esprimono vivamente uno stato d’animo assai intènso e diffuso nelle file dei gregari più umili del P. P.
GLI ESTREMI SI TOCCANO
È stata largamente distribuita ai congressisti una relazione a stampa sulla questione
romana del prof. Del Giudice, rappresentante della cosidetta ala destra (non quella di Meda o di Micheli), cioè di quella tendenza papista che una volta faceva capo aìV Unità cattolica. I pochi superstiti di questa tendènza sono dai centristi, e più ancora da Meda e compagni, considerati dei guastafeste. Don Sturzo con molto garbo eliminò l’ordine del giorno Del Giudice dalla discussione; dal canto loro i giornali tipo Corriere d'Italia hanno sabotato il discorso Del Giudice, come anche la sua relazione a stampa, la quale viceversa è interessantissima non tanto per qualche originalità nel modo di trattare la questione romana, che non esce in sostanza dal consueto modo dei canonisti ortodossi, quanto per le affermazioni arditissime circa il programma economico finanziario che contiene.
Vi si legge tra l’altro:
« Nessuno più di noi è audace nella impostazione e nella risoluzione dei problemi economici.
« Importa per il momento almeno questo : che il latifondo sia spezzato per produrre di più, che in base al concetto di pubblica utilità si espropri la terra che produrrebbe di più in mani altrui, rivalendo sempre con valore mobiliare i proprietari in relazione a quanto il terreno che si espropria oggi produce ; che siano confiscate le ricchezze che la guerra ha ingiustamente o casualmente accumulate nelle mani dei cosi detti pescicani salvo una piccola parte dovuta come interesse dei capitali impiegati o come giusta ricompensa dell’attività spiegata ; che, premessa la stampigliatura di tutti i valori mobili sia stabilita la imposizione di questi ad una imposta straordinaria che arrivi al 5 per cento del loro valore ; che sia garantito a tutti un pane e garantita una casa ; che siano istituiti nelle grandi industrie i consigli di fabbrica sia per la parte disciplinare, sia per il controllo dell’utile e sia anche per la spartizione dei guadagni ».
Naturalmente è avvenuto al Congresso che gli estremi si sono toccati, e applausi reciproci degli estremisti di destra e di sinistra hanno salutato i discorsi di Del Giudice e di Miglioli.
Tra le quali due correnti c’è un’altra ragione di affinità: V agnosticismo cioè degli e-stremisti di sinistra di fronte al regime politico italiano, verso il quale i vecchi clericali persistono nella loro ostilità; gli uni e gli altri ritengono di non dover fare del legittimismo in favore dell’attuale assetto politico italiano, mentre a molti della corrente cen-
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trista non no parrebbe vero di abbondare in esibizionismo patriottico per apparire i salvatori delle istituzioni.
LA POLITICA PARLAMENTARE
Il Congresso come risultato del dibattito sulla direttiva politico-parlamentare ha dichiarato di essere disposto a collaborare con chiunque, socialisti compresi, purché i nove Kunti proposti da Don Sturzo a Nini durante ultima crisi ministeriale, siano accettati. Qui, proprio qui è emersa chiaramente la mancanza nel partito di una personalità e fìsono-mia propria : nel suo programma figurano molte idee che possono essere accettate dal più acceso liberale ed anche dal più ardito socialista, ma le idee considerate nella loro astrattezza contano ben poco. Di specifico, di suo, il partito non ha null’altro che alcuni punti di un programma confessionalissimo da imporre in un modo o nell’altro, sfruttando le circostanze: oggi ha da sfruttare una situazione parlamentare favorevole, ma dovuta a circostante assolutamente eccezionali della psicologia delle masse all’ indomani della guerra, che nulla provano sulla intrinseca validità .del partito.
Che i collaboratori del Partito popolare siano i liberali o i socialisti poco gli importa : quello che preme è dare l’assalto al governo, imporre il proprio dominio alla politica italiana, fare accettare i nove punti di Don Sturzo. È difficile che i liberali si rassegnino a lungo ad abdicare alla propria personalità, e nonostante alcune semplicistiche affermazioni fatte al Congresso, la funzione del liberalismo è lungi dall’essere finita in Italia.
Dal canto suo l’on. Treves scriveva nella Critica sociale, poco prima dei Congresso di Napoli, che il socialismo aveva molte delle posizioni ideali proprie dei liberalismo da far proprie e difendere contro l’assalto clericale, ed avvertiva che proprio nel fatto che il Partito popolare tende ad organizzare le masse sopra un terreno confessionale rompendo perciò l’unità proletaria e sindacale, è la ragione della lotta contro di esso che deve essere considerato dai socialisti come il più vero nemico, più ancora in un certo senso che i partiti liberali e democratici.
Ciò che pel momento sembra acquisito é che il Partito seguiterà alla Camera nel sistema tenuto fino ad oggi : non partecipare direttamente al governo finché non possa stringersi con altri partiti una vera e propria alleanza sulla base dell’accettazione dei Suoi
postulati ccnfessionali ; intanto votare per il governo soltanto quando quest’ultimo garantisca la .piena libertà di sviluppo del partito stesso. È chiaro quale sia questo doppio giuoco : ad ogni vigilia di voto alla Camera avremo un nuovo ricatto per strappare qualcosa al governo, aspettando intanto una situazione propizia per costituire un governo in cui il P. P. sia rappresentato nei ministeri che egli più brama di conquistare.
11 governo cederà, pur cercando dal canto suo di ricattare il P. !*'. con lo spettro di nuove elezioni, che il Congresso unanime ha mostrato di deprecare.
In sostanza l'equivoco non soltanto non è stato tolto, ma non poteva non accrescersi dopo il Congresso, cosiché l’atteggiamento del partito resterà quello tenuto finora, a menoche circostanze impreviste, o l’abilità degli r»-versati. non io costringano ad assumersi responsabilità precise ed aperte. Per ora Don Sturzo sembra desiderare che continui l’attuale situazione, è, a giudicare dàlie dichiarazioni che egli si è affrettato a fare al Giornale d'Italia subito dopo il voto, nelle quali ha dichiarato che il Partito non desidera affatto il ritorno dell’on. Gioì itti, verso il quale Don Sturzo ha espresso anzi apprezzamenti poco benevoli, non rimarrebbe che pensare ad un accordo più o meno tacito già intervenuto tra i dirigenti del P. P. e l’on. Nitti.
Il quale Nitti, come è noto, gode la benevolenza speciale della Segreteria di Stato della Santa Sede...
ERUBESCO EVANGEL1UM
I fugaci accenni alla democrazia cristiana murriana dalla quale provenivano alcuni leader* e molti congressisti, se hanno attrattola attenzione del Congresso suil’on. M.urri, che vi assisteva come giornalista, hanno però fatto risaltare il contrasto del Congresso di oggi con quelli dei democristiani d’altri tempi, che pur professando l’autonomia politica de: cattolici italiani, non rifuggivano dall’aperta affermazione della fede religiosa. Don Sturzo ha fatto di tutto per far dimenticare il suo carattere ecclesiastico. Eppure nessuno ignora che il clero forma la ossatura del Partito, sorto sopratutto per ragioni d’interesse clericale, e che le sue sezioni trovano negli ecclesiastici la loro forza di unione. Tuttavia una rigida aconfessionalità è ostentatamente seguita nelle affermazioni ufficiali del Partito, tanto che il Congresso si è riunito e sciolto senza neanche inviare un telegramma di ossequio al Papa.
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CRONACHE
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Non un’alta parola vibrante di fede schietta e sicura si è udita a Napoli, ed un oratore che ha accennato alla grandézza che dall’idea cattoiica veniva agli iscritti del Partito, ha avuto scarsa fortuna.
Quei preti, che pure assistevano in grandissimo numero, avevano un’aria politicante e faziosa, e il cristianesimo, nei vari accenni che ad esso ha fatto il Congresso, appariva non un elemento di redenzione morale, ma un’arma di lotta partigiana.
Non potevamo fare a meno di ricordare una pagina acuta di Alfredo Oriani, il quale esaminando nel suo libro ormai celebre la funzione dei partiti nella lotta politica in Italia, rosi concludeva a proposito dei democratici cristiani :
« Adesso ancora sono un partito rudimentale, larva di un grande partito futuro, primo sintomo di un’altra grande epoca nel cattolicismo ; però il loro moto sarà religioso o non sarà. O aggiungeranno alla democrazia socialista tutto quanto le manca fatalmente : la carità vera nella fratellanza soltanto formale, il sentimento del divino nel dramma umano, la autonomia suprema dell’anima che può sola redimere sé stessa, e la necessità di spiritualizzare più tragicamente e delicatamente la vita, o dilegueranno senza traccia come tutte le forme vuote. I democristi non possono u-scire dallo spirito del Vangelo e della grande tradizione cattolica; l’uno e l’altra consentono moderni adattamenti ideal«: un socialismo cristiano sarà forse inevitabile come forma superiore, integrazione ed insieme negazione dell’altro ».
Se le parole di Alfredo Oriani sono vere, al Partito Popolare spetterà una funzione ben poco gloriosa nella vita italiana.
Quinto Tosatti.
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STORIA E PSICOLOGIA RELIGIOSA
VI.
Riforma. — x. Il centenario della unione delle due famose università tedesche, quella di Wittenberg e quella di Halle, à dato occasione a B. weissenhorn di pubblicare una monografìa dal titolo Die Univenitàt Halle-Wittenberg (Im Furche-Verlag Berlin, 1920) che si propone di esporre la storia di queste due università, prima e dopo la loro unione. L’università di Wittenberg, fondata nel 1502, è particolarmente interessante per noi non solo perchè ci rammenta di Giordano Bruno che frequentò quelle aule da studente e da insegnante, ma anche perchè questa storia è intimamente associata con quella della Riforma. Furono infatti Lutero e Melantone che ivi organizzarono l’insegnamento teologico destando così grande entusiasmo fra gli studenti che accorrevano da ogni parte sì numerosi da non poter più trovar posto in città. Fra i maggiori teologi di quel tempo, oltre a Lutero e Melantone, l’A. rammenta Andrea Bodenstein, Nicola Armsdorf e specialmente Giuseppe Jonas (così caro agli umanisti e a Lutero), Giovanni Bogenheim, Girolamo Schurff (il giurista svizzero, che fu per qualche tempo consigliere legale di Lutero.) Melchiorre Kling, Giovanni Ape!, Paul Eber ed altri. Ne) 1547 finiva il primo splendido periodo della vita universitaria di Wittenberg; e dopo la morte di Lutero veniva in prima linea Melantone; da ciò scissure interne nel protestantesimo e un nuovo orientamento nell’insegnamento teologico. Le tendenze principali erano per un'ortodossia luterana e per la scuola di Melantone. Da un
canto stavano Armsdorf, Fjacius, Wigand, Mòrlin; dall’altro i seguaci di Melantone (filippisti) come Camerarius, Major, Menius, Psessinger, Eber, Strige!. Nell’università di Wittenberg intanto, insegnavano Poli-carpo Leyser ed Egidio Hunn* (il fondatore dell’ortooossia luterana), Leonardo Htuter (che fu detto il Lutero redivivo), Federico Balduin (il fondatore della casuistica evangelica) Abramo Calov (chiamato dai suoi contemporanei il papa del luteranesimo). Dalla facoltà teologica di Wittenberg partivano anche due movimenti importanti per la storia della vita e del pensiero religioso di quel tempo: uno contro il pietismo, un altro contro l’illuminismo di Wolff. Il primo di questi due movimenti fu diretto dai teologi Deutschmann, Neumann e Wennsdorf; il secondo diede un visibile segno della decadenza in cui entrava l'università di Wittenberg, la quale più che a combattere l’illuminismo non riuscì che a tenerlo per qualche tempo lontano dalle sue aule. La serie dei valenti teologi di Wittenberg si chiude con Lodovico Nietzch, che sopravvisse a quella università. Ne) 1750 l'università di Wittenberg veniva riunita con quella di Halle, che era stati fondata nel 1694. Il pietismo vi entrava allora trionfalmente con Gioacchino I.ange. Poco produttiva questa università da) 1750 al 1760 ebbe un nuovo risveglio da quello anno sino al 1806. Fu in questo periodo che, fra gli altri professori, insegnarono in essa Semler e Schleiermacher. Il volume di B. Weissenhorn, riccamente illustrato, non è solo un contributo alla storia della facoltà di teologia, ma anche a quella della Riforma, ricco di interessanti notizie
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su la vita dei professóri e degli studenti in Wittenberg ed Halle, nonché sui monumenti artistici di queste città.
2. Le pubblicazioni tedesche che riguardano Lutero non si contano più. Ma la prima pubblicazione che su questo argomento ci perviene dopo la guerra, merita E articolare attenzione anche per l’autrice, learda Huch, ben nota per le sue poesie, i suoi romanzi e anche fra noi per un libro sul romanticismo. In questa sua pubblicazione su Lutero {Luthers Glaube. Insci Verlag zu Leipzig, 1919) l’A. si propóne di esporre in modo semplice e chiaro quanto pensa della religione di Lutero, volendo anche scagionare quest’ultimo da alcune accuse secondo lei ingiustificate. Da un passo del noto scrittore F. Th. Vischer e da altri di Gòthe, Lessing e Schiller. L’A. conclude che il popolo tedesco non conosce ancora veramente lo spirito e la religione del grande riformatore. Comincia Ricarda Huch ad esaminare nelle prime lettere (si tratta di 24 lettere scritte ad un amico) l'anima di Lutero, le sue intime lotte, le sue difficoltà, il suo ambiente, la sua vita interiore ed esteriore, pei- scagionarlo delle accuse più gravi, come quelle della superstizione e della bigotteria. Nelle seguenti lettere l’A. procede ad esaminare le vedute di Lutero circa la dottrina della grazia, della giustificazione, del libero arbitrio, della conoscenza di Dio, della .Trinità e del Cristo. Il problema centrale, quello della fede, dà occasione all'A. di dire la sua opinione tra sapere e credere. Come si sa, Lutero fondò il suo concetto di fède su quello paolino, espresso nella Epistola agli Ebrei : La fede è sicurezza di cose che si sperano e dimostrazione di còse che non si vedono (C. 11). L’A. analizzando il concetto di fede, trova che essa è anche devozione e obbedienza e distingue la fede dall’amore in quanto la prima si riferisce all'invisibile c il secondo al visibile. Questo però è evidentemente erroneo, perchè, l’amore può riferirsi tanto all’invisibile che ai visibile. La differenza tra sapere e credere non è una differenza tra oggetto veduto e oggetto invisibile; e per dimostrarlo basta pensare che noi diciamo con ragione di sapere molte cose che pur non vediamo, e non ne sappiamo molte altre che pur vediamo. È necessario affidarsi alla credenza per ammettere che i sensi non c’illudono; e alla memoria per ammettere la esistènza di ciò che non è più presente ai nostri sensi.
Con questi ed altri piccoli difetti non si può tuttavia negare che il librò di Ricarda Huch si legge con interesse e profitto. A tratti l’A. getta uno sguardo sui problemi religiosi che si agitavano al tempo di Lutero, per riannodare il pensiero del riformatore tedesco col movimento del pensiero religioso europeo. Noi avremmo desiderato conoscer qualcosa di più rispetto allo sviluppo della fede di Lutero e maggiori dettagli sopra un fatto così importante come quello dei rapporti tra Rinascenza e Riforma, qui appena accennati. A questo proposito mi piace avvertire la simpatia che mostra l’A. per la cultura e per il popolo italiano. Essa trova un legame indissolubile tra Rinascenza e Riforma; e riconosce in questo fatto un segno non dubbio che unisce l'Italia con la Germania. Che sarebbe il mondo, essa esclama, senza la Bibbia e la letteratura greca: che sarebbe senza l’arte, la poesia, la musica e la reli-Sione degli italiani e dei tedeschi ? Qual anno incalcolabile se i legami che uniscono il popolo italiano con quello tedesco,-dovessero rompersi!
3. Da un punto di vista opposto tratta della Riforma tedesca Hi’go Ball in un libro (Zur Kritik der deutschen Intelligenz. Der Freie Verlag. Bern., 1919), che si propone invero, di far la critica delle condizioni ideologiche, le quali resero possibile e sostennero quel governo che scatenò la guerra mondiale, ma in fatto poi, si risolve in una critica del luteranesimo. L’A. vuol cogliere l’origine e lo sviluppo dell’idea di Stato in Germania — idea di Stato che à, secondo lui, distrutto il pensiero, l’intelligenza tedesca — nella cospirazione della teologia protestante con la giudaica (dal tempo di Lutero) ed entrambe con lo spirito prussiano (dal tempo di Hegel), per scoprire la causa della distruzione della religione e della morale, e quindi la causa della recente guerra. Egli chiama il protestantesimo una dottrina errata e non vede in esso altro che una dottrina derivata dal cattolicismo. Condotto ad ascrivere in ultima istanza la colpa della guerra mondiale al papato, tenta di stabilire un nuovo ideale al di fuori dello Stato e della Chiesa in una — come egli la chiama — intelli-Senza religiosa internazionale. Il volume iviso in quattro capitoli è scritto con stile vivace ed è ricco di molte interessanti notizie. La lettura, specialmente di alcuno pagine, è piacevole ed istruttiva. L’impressione però che lascia questo libro, è di
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incertezza e disorientamento. Il passaggio rapido da uno ad altro argomento mostra incompletezza o superficialità. Le tendenze al misticismo c alla speculazione dell’A. lo fanno simpatizzare con Franz Von Baader del'quale esalta, secondo me ìi torto, il pensiero filosofico. Altra esagerazione ci sembra ascrivere la distruzione delia morale'-in Germania, alla cospirar zione giudaico-protéstante. La sua tendenza all'internazionalizzazione gli fa vedere però il reale valore che possiede Thomas Mtì.izer, il capo della rivolta dei contadini nel movimento religioso e sociale. Questo è il miglior capitolo del libro, e quanto l’A. à scritto sul famoso discepolo e ammiratore dell’abate calabrese Gioacchino di Flora, mettendolo in contrasto con Lutero, mi sembra giusto e degno di esser notato.
4. Il prof. Geza Lencz — noto in Ungheria come valente teologo per i suoi scritti su la scuola ritschliana, e per altri riguardanti diverse questioni di teologia moderna — affronta ora, dopo lunga preparazione, un poderoso lavoro intorno alla storia della Chiesa in Ungheria Der Auf-siand Bocskays und der V tener Friede (eine kirchenhislorische Stadie. Debrcczen; Hegedus und Sàndor 1917) per compiere il quale egli à consultato non solo una ricca letteratura, poco nota, ma anche •molti archivi. Dell’eroe ungherese Stefano Bocskay — nato in Kolozsvàr il i® gennaio 1557 — si era il medesimo A. brevemente occupato (Bocskay temi-tése) ma pochissimi sanno quanto sia stata grande la sua influenza in quel fortunoso periodo della storia della Riforma ungherese, ed il suo nome a stento si ritrova in qualche storia della Chiesa. Eppure è orecisamente dalla ribellione di Bocskay che il protestantesimo ungherése acquistò il diritto di esistenza, sancito poi dalla pace di Vienna. È noto come la Rifórma siasi rapidamente diffusa in Ungheria e quante lotte vi furono tra anabattisti e controriformisti; ma assai poco conosciuta è la influenza che ebbe la ribellione di Bocskay, determinata dalle condizioni politiche e religiose Create dalla controriforma in Ungheria. La cruenta lotta impegnata da Bocskay, col valido aiuto dei famosi Haj-ducki (ai quali nel volume che esaminiamo è dedicata un’ appendice} non ebbe per iscopo l’oppressione o il trionfo di una o di un’altra confessione, ma la libertà di tutte. L’A. considera con ragione questo
Princeps Transilvaniae come il salvatore della libertà di coscienza in Ungheria. Nei quattro capitoli del volume sono esaminati i rapporti di Bocskay con gli emigranti turchi, l’azione di Rodolfo, sui comitati e le città ungheresi, le particolari condizioni in cui vennero a trovarsi gli sloveni, la politica dei papi, le lotte.per la pace, la lega di Bocskay con la Turchia, l'or-Sanizzazione degli Hajducki sino alla pace
i Vienna con risultati, in più di un punto, nuovi. Questi ultimi potrebbero riassumersi nel modo seguente: 1® La vittoria della rivolta di Bocskay significa la fallita della politica del papa in Ungheria, di quella politica che aveva avuto nei paesi austriaci, con la Controriforma, un così efficace successo. 2° Sotto il punto di vista nazionale la rivolta giovò alla consolidazione della nazione ungherese 3® L’influenza tedesca contribuì a destare in Ungheria interesse per le questioni religiose. Ma fu la pace viennese che rese possibile quell’alleanza austro-ungarica su cui venne a fondarsi l’ulteriore unione del protestantesimo. 4® Per il protestantesimo ungherese, la pace viennese significò una nuova èra che poneva il passato su fondamenta legali e apriva le vie a ulteriori progressi con la parità tra le diverse confessioni, parità confessionale e non statale. Siacchè il clero cattolico continuò a go-ere di speciali privilegi.
Questo volume riccamente illustrato con riproduzioni di antiche stampe, ap-Krso nel tempo in cui si festeggiava negli
iperi centrali il IV Centenario della Riforma, voleva contribuire al movimento per l'unione delle diverse confessioni, e anche a questo titolo merita certamente lode l’A. Ma non possiamo convenire su l’analogia che a questo proposito l’A, vuole stabilire tra la ribellione di Bocskay, che si proponeva l’uguaglianza delle confessioni e la libertà di coscienza, e la guerra scatenata dagli Imperi Centrali le di cui diverse finalità sono ormai a tutti note.
5. Due brevi studi, scritti con chiarezza e sobrietà, pubblica Charles Martin ( John Wyclif - Les Lollards. Lausanne. Imp. La Concorde 1919). Uno scrittore già noto per altri lavori e specie per il suo volume su Les Prote+tanles anglais rejugés d Genève aux temps de Calvin, COSÌ benevolmente accolto dagli studiosi della storia del protestantesimo. Il primo di questi due studi appare ora per la prima
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vòlta; il secondo, quello Sui lollardi, è un estratto della Révue de Théologie et de Philosophie; n. 31. 1919). L’A, fa giustamente Osservare che per conoscere la Riforma in Inghilterra ed in Iscozia e per comprendere le due correnti che dominano nella storia della Riforma inglese — una politica aristocratica che si adatta all’ardore nazionale del popolo inglese, rappresentata dalla chiesa anglicana; l’altra più positivamente religiosa, democratica, ma non esotica, come da alcuni storici della riforma è stato pensato — bisogna risalire a Wyclif e. ai suoi discepoli, ai lollardi. L’A. mette in chiaro, e secondo me con ragione, il fatto che in Inghilterra ed in Iscozia, nel secolo XV], vi era' un forte gruppo di riformatori e riformati mossi unicamente da motivi religiosi e per 1 quali l’azione politica non era che un mezzo a cui molti, non senza ripugnanza, ricorrevano, e che la dottrina da costoro professata era attinta alle fonti sopra accennate. Ch. Martin, che anche in questi due saggi à dato prova di solida erudizione, avrebbe potuto però anche tener conto di altri autori, come W. B. Selbier. Nonconformily; Clark, History of English Nonconformity e specialmente Trevelyan, England in thè age of Wyclif; Gardiner, Loìlardy and thè Refortnation : Gasquet The Ève of thè Relormalion.
Cattolicismo. — 1. La letteratura inglese in difesa del cattolicismo si è arricchita di una nuova pubblicazione dovuta aMons. Benson. ritenuto dai suoi ammi-atori degno di stare accanto a Manning, Faber e a Newman. Di questo libro si è fatta recentemente una traduzione francese (Paradoxes du Catolicisme, trad. par Charles Grolleau. Zurich 1919) che é giunta già alla quarta edizione.' Sono diversi sermoni pronunciati in varie occasioni, parte in Inghilterra, parte a New York e nel loro insieme a Roma. Lo scopo che si propone l’A. è di rispondere ad alcune obiezioni che si fanno contro la Chiesa cattolica. Il metodo da lui adoperato è quello di mettere di fronte a ciascuna obiezione un’altra obiezione contraria. L’A. vorrebbe concludere perciò che le due contrarie affermazioni si distruggono scambievolmente. Così su la divinità e umanità di Gesù e della Chiesa cattolica, su la pace e la guerra; la ricchezza e la povertà, la santità e il peccato, la gioia e la tristezza, l’amor di Dio e quello dell’uomo, la fede e la ragione.
1 autorità, e la libertà, la società e "individuo, la dolcezza e la violenza, la vita e la morte. La soluzione di tutti i problemi della storia della Chiesa, e la migliore confutazione che si possa fare di tutte le obiezioni, vien data, dice l’A., accettando il punto di vista della Chiesa romana che è nel.o stesso tempo umana e divina. Cosi p. cs., le obiezioni che si fanno contro la sete di ricchezze e quella contro l'esagerato amore di povertà della Chiesa, essendo obiezioni contrarie si elidono e trovano la loro spiegazione nel fatto che una società umana vivente in questo mondo deve avere gli occhi rivolti alle condizioni che la rendono possibile, mentre una società divina dcv’esser esposta all'accusa di attaccamento alle cose temporali. Non si può negare che nella confutazione delle obiezioni, che si fanno contro la Chiesa cattolica l’A. sappia adoprare molta prudenza ed evitare i punti più difficili e pericolosi. Tuttavia il suo libro non perviene a sgombrare le difficoltà. Le obiezioni ai contrari difetti della Chiesa cattolica non si distruggono scambievolmente, come può parere a prima vista, giacché se anche l’una fosse la pura e semplice negazione di tutto quanto l’altra include, una delle due rimarrebbe sempre intatta.
Buddismo. — 1. August K. Reischauer pubblica uno studio sul buddismo giapponese (Studies in Japanese buddkisnte. New York and London, Macmillan 1919) dal punto di vista pratico e storico. Esaminato il periodo prebuddistico in India, l’A. passa a considerare la dottrina dei Budda e si domanda se questa sia atea. Egli non lo ammette, ma dice che il Budda faceva a meno dell’idea di. Dio. L’A. riconosce però che la gran debolezza del buddismo antico consiste appunto nell’ammet-tere che la religione sia possibile senza una idea positiva del grande problema di Dio. dell’anima e del destino umano. Esaminatoli progresso e il passaggio del buddismo in Cina e nel Giappone, ne rileva la trasformazione. Quantunque tutte le religioni siano esposte a trasformazioni, sembra all’A. essere il buddismo antico particolarmente sfortunato, giacché alcune” sètte si sono così allontanate da esso, da poter difficilmente essere autorizzate a chiamarsi buddistiche. Esse sono piuttosto una mescolanza di confucianismo, cristianesimo e maoismo (o adorazione degli avi). Esaminata -¡’A. l’arte giappo-
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nese ispirata al buddismo avverte la benefica influenza esercitata da questa religione sotto questo rispetto. Particolarmente interessante è il capitolo su l’etica buddistica, dove l’A. distingue tre modi di concepire il nirvana secondo il buddismo giapponese: come annullamento, come reincarnazione e come una serie di cieli.
Religione d’Israele. — 1. Mentre vede la luce una nuova edizione dell’ opera di A. Jeremías, Dos alte Testament im l.ichte des alten Oriente, e J. G. Frazer pubblica un poderoso lavoro su Folklore in thè old Testament (Studies in Comparative Religión), M. Milman scrive un interessante articolo (The Monist, 1919) su Noè e la sua famiglia, in cui riallacciando Noè ai miti salvatori e benefattori dell’umanità, agli iniziatori di una nuova èra (un tema questo già trattato da Jeremías e da altri) viene ad esaminare il simbolico significato del vino nelle antiche credenze religióse, ed a costruire un’ipotesi (questa è la parte più originale dell'articolo) che una tradizione- esistente in Palestina, rimasta fuori dalla rigida codificazione del Vecchio Testamento abbia dato luogo al quarto figlio di Noè, Canaan, nella letteratura religiosa dei maomettani. Si sa che a Noè viene ascritta l’origine del vino. L’A. ritiene che l’Egitto abbia influito in più larga misura, di quanto ordinariamente si ammette, alla formazione di questa leggenda e la riallaccia al mito di Dionisio, quantunque qui prevalgano sul vino altre bevande simili alla birra. Anche l’ubriacatura di Noè e l’arca vengono qui confrontate eoi miti egiziani, e l’A. vuol rintracciare la leggenda del diluvio nella leggenda , babilonese, riallacciando Noè con l’eroe diluviano, identificando Enoch con Noè, non essendo il primo che il nome originario del secondo. Riguardo alla famiglia di Noè. tutti sanno che a lui sono stati ascritti tre figli. Ma i maomettani parlano di un quarto figlio. Oggi gli studiosi delle antiche tradizioni rintracciano quella leggenda tra gli ebrei di alcune parti dell’Asia. Secondo questa leggenda, Noè ebbe quattro figli e l’A. non è contrario ad ammetterlo. Egli rileva inoltre le molte somiglianze che vi sono tra Noè ed Osiride al quale furono ascritti anche quattro figli. Questo numero si connette alla mitologia che à per temi oggetti naturali-, e ritornando l’A. alle tradizioni egiziane nel Vecchio Testamento, trova che anche l'idea dei
Suattro guardiani divini fu data agli ebrei agli egiziani, e cherubino non significherebbe altro che figlio di Osiride. Rimane tuttavia incerto il giudizio su la derivazióne della storia coranica da quella antica tradizione palestinese, giacché non sono rare le coincidenze accidentali nel fondo apparentemente comune delle tradizioni e delle mitologie.
2. Sull’originalità di Geremia pubblica -uno studio F. C. Jean nella Revue des Sciences Philosophiques et Theologiques (1918-19). L'A. si era già occupato di Geremia, considerandolo come politico e come teologo, ed ora torna a esaminare lo stesso soggetto ma per notare che le idee di Geremia intorno alla politica e alla teologia sono poco personali e non nuove. Geremia proclama Jahveh unico di fronte al culto lascivo e sensuale delle divinità locali che rappresentano le forze della natura e i loro benefici prodotti, e si riferisce a Osea ed anche ad Amos. Questa concezione di Dio non era certamente nuova nel secolo VII. L’A. passa ad esaminare la concezione delle predicazioni della rovina di Gerusalemme, quella della persona del Messia e l’altra riguardante la partecipazione al regno di Dio. Ma anche qui, secóndo l’A., Geremia ripete per Gerusalemme quanto era stato detto per la scismatica Samaria, senza nulla aggiungere all’ insegnamento profetico tradizionale. Quanto all'avvenire messianico il nostro profeta non lo descrive così dettagliata-mente come avevano fatto Isaia, Michea. Osea, Amos. Vi sono forse elementi più Originali nei passi in cui Geremia indica a quali condizioni si potrà partecipare al futuro regno di Dio? L’A. è proclive ad ammetterlo; tuttavia ritiene l'idea della responsabilità personale, essere di Ezechiele piuttosto che di Geremia.
3. Intorno all’Apocalisse giudaica e ai Misteri, scrive un interessante articolo il prof. E. J. Price neWHibbert Journal, 1919. La storia dèi giudaismo c dèi mondo ellenico presenta due grandi movimenti contesi poranci che èassai istruttivo comparare: l’Apocalisse giudaica e i misteri pagani. L’A. trova somiglianze tra queste due correnti nella dualistica concezione della salvezza, nella salvezza soprannaturale nel divino mediatore, nell'esperienza dell'estasi, nella concezione della gnosi, nel destino finale. Due deduzioni si possono fare da questa comparazione: i° giacché entrambi questi momenti rispondono alle medesime
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esigenze spirituali ed elaborano simili concezioni, possiamo comprendere come una propaganda, sorta nel suolo giudaico, abbia potuto diffondersi in quello ellenico: 2° considerando i punti di contatto tra Paolo e le religioni dei misteri, dobbiamo riconoscere il fondo apocalittico del suo pensiero: ma le concezioni che appaiono derivate dai culti pagani possono anche aver origine dalle apocalissi giudaiche. Stando in mezzo Paolo cerca di renderle intelligibili in base ai loro comuni elementi, e se egli usa il linguaggio dei misteri, rivolgendosi al popolo che à famigliarità con questi, non dobbiamo trascurare il fatto che quel medesimo avvicinarsi alla concezione dei misteri fiancheggia il cammino delle apocalissi giu
daiche. Questo fatto può avere notévole portata per la interpretazione, di alcune dubbie espressioni paoline. In ogni caso abbiamo torto di considerare il giudaismo di Paolo e il suo ellenismo come due elementi inconciliabili. Le grandi concezioni che egli adopera nella interpretazione della sua esperienza religiosa erano già presenti tanto nel giudaismo che nell’ellenismo. La forma era senza dubbio diversa in questo e in quello, ma la somiglianza rendeva facile tradurre le idee dell’uno col linguaggio dell’altra. È forse questo uno dei più grandi servigi resi da Paolo alla religione che poteva .abbracciare in una fede comune il mondo giudaico e quello ellenico.
Mario Puglisi.
IL CRISTIANESIMO IN DUE
RECENTI ROMANZI ITALIANI
L’ULTIMO ROMANZO DI GUIDO DA VERONA
Non si spaventino i lettori, non stupiscano i critici: anche noi intendiamo parlare di Guido da Verona! Bilychnis è sì un periodico dedicato a severi di studi di religione e di filosofia, ma è pur una rivista ricca di vita e piena di attività che vuol penetrare da per ogni dove aleggia una spiritualità da seguire o da segnalare.
E proprio in Guido da Verona volete trovare questa spiritualità, ghigneranno i critici?
Ebbene sì, anche nell’ultimo romanzo (Sciogli la treccia, Maria Maddalena) di Guido da Verona noi crediamo vedere ardere quella fiamma che tra le tenebre del momento che passa getta una luce che forse non perirà.
Gli uomini, colpiti dal grave cataclisma che à scosso il mondo, oscillano .tra le più opposte teorie, brancolano alla ricerca delle più contrarie fedi, tentano le vie solcate dai più strani principi e come avviene in una folla agitata e affetta da panico, si urtano, si accalcano gli uni sugli altri, cadono e si rialzano, si buttano in ginocchio o si elevano verso l’alto. Un vento di scetticismo e di pessimismo atterra le folle, un senso di amara tristezza le avvolge: si corre alla fnorte o urtando nelle rose colte pazzamente nel piacere o
incespicando tra i rovi del dolore. In tutto ciò vi è qualche cosa di vivo e di eterno che attrae, il divinò, e consciamente o inconsciamente l’uomo vi tende quanto ne sembra più lontano.
« Due strade — dice Guido da Verona—dividono gli uomini fra loro e nell’anima loro. Quella che dice: ” Io debbo godere nel tormento „ — quella che dice: ” Io debbo umiliarmi nel piacere „.
«Due strade che cercano entrambe la bellezza ed il senso della vita, senza forse intendere ch’entrambe conducono alla stessa finale uguaglianza: il cimitero.
■ Due strade: l’ostensorio e il bicchiere di sciampagna; Petronio e San Francesco; la Maddalena e Manon Lescaut.
«Due strade.
« Ma in entrambe manca il senso definitivo • (P- 252).
E le due strade sembrano confondersi ih Maria Maddalena, in colei che, cortigiana e schiava della voluttà, conobbe «l'amore, che seppe andar più lontano traverso la memoria degli uomini: pallido e voluttuoso amore della rinunzia, eterna poesia del mito cristiano » (p. 261).
Onde il ricordo della peccatrice di Màg-dala non è a proposito di Madlen Green, la viziata e viziosa creatura che allontana la suprema illusione dell’amore sol per allontanarne la suprema delusione, una profanazione ed un sacrilegio, come vo*
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gitano i critici, ma una necessità ed un naturale richiamo al punto fondamentale del mito cristiano per il romanziere pessimista e scettico che è condotto da lei a veder Cristo.
Ed ecco perchè, sebbene al pagano senso del romanziere la figura del Cristo non aleggi in tutta la sua potenza, neppur il ricordo augusto del Maestro divino può apparir irriverente a chi ben consideri.
« Ma Egli andava coi poveri, co' gli umili, con i buoni derelitti, e dappertutto era dove la fedeltà inestirpabile della razza batteva nelle vene de! popolo, c dappertutto era, dove il sogno dei mistici antichi rinasceva nella disperata nostalgia della gente semitica, e dappertutto era, dove i piagati, i flagellati, i curvi sotto le ingiustizie del mondo, ¡.preclusi al paradiso terrestre sognavano l'appressarsi del regno di Dio; c dappertutto era, dove la scintilla d’un sogno follo poteva incendiare, come un granaio ricolmo di biade aride, la infinita miseria del terribile mondo«, (p. 3x0).
E ometto per brevità delle pagine più belle e forse più profonde.
Certo è che Guido .da Verona sente « il grande spirito di Cristo elevarsi dalle oscene moltitudini • proprio in quella Lourdes, nuova Gerusalemme dei mercanti, ove «la sapienza degli uomini era caduta a ginocchi e taceva davanti al sogno d'un'adolescente » (p. 222).
Ora io non ò la pretesa di studiar qui l’opera e il pensiero di Guido da Verona, io che confesso di non aver letto che questo solo suo ultimo romanzo. Questo però posso dire francamente, che il pensiero dclf’A. è stato a torto travisato dai critici ed a torto ne è stata calpestata l’opera, se in tutti i suoi precedenti romanzi vi è qualche cosa di vivo come in questo.
Ah! lo so... la pornografia... Ebbene, a costo di scandalizzare 1 critici, io dichiarerò che... alla pornografia non credo: credo invece alla... starei per dire... pornolettura. o meglio al sentimento pornografico di chi legge e non dico altro per non intavolar qui con i lettori pazienti un’inùtile quanto non nuova discussione.
Oh! certo. Guido da Verona non sarà la guida morale di un’educanda, perchè non calmerà certo la sua sensibilità latente, ma a chi per poco abbia i nervi a posto e senta al di là del senso, la sua prosa cadenzata e un po’ stucchevole per il ripetersi di scene che... stancano per l’appunto, non potrà far male. Vi è tanto disprezzo in lui e sincero disprezzo per questa società.
ove tutto è falso e vano e mercanteggiato, vi è tanto sano pessimismo che basterebbe la figura di Lord Pepe per immortalarne il vivo senso di sprezzo e di derisione che gli eccita « questa oscena e miserabile commedia che si chiama la vita ».
Ora se a lui, cui piace vagare per il mondo, questa sozza vita appare nelle forme non saprei dire se più peccaminose o più strane, se sotto il fulgore d’una realtà senza veli egli conserva il senso pagano della vita perdurando più che gli è possibile nel desiderio c nel dubbio, dobbiamo noi dargli torto ogni qualvolta come artista se non completo, per lo meno molto progredito, viene a dipingerci questo suo stato d’animo, questo suo momento, questo suo bisogno e buttarcelo perchè lo afferriamo e constatiamo che è pur il nostro?
Forse anche Guido da Verona, come altri cerca con animo di pagano di veder a questa falsa e corrotta società l’anima cristiana che indarno tanti di noi attendono di poterle scoprire; forse anch’egli la vorrrebbe magari totalmente, sanamente pagana, piuttosto che mentisse questo suo cristianesimo formalistico e incolore. Ecco perchè egli sente nel momento di possedere Madlen « una grande malinconia, quasi una bontà nascosta, che non sapeva di portare in sè. Avevo trovata un’anima nel tuo corpo giovine come il sole.. » (p. 352). Ecco perchè egli che vuol andare a traverso il piacere in cerca della genuflessione» (p. 234) vuol immergersi nella gioia del mondo ancora c vivere in mezzo alla morte di Lourdes, ove à condotto Madlen «per intendere quale anima debba esser la sua » (p. 353). Ecco perchè egli che ritiene « veramente forti gli uomini che credono ciecamente in cose non vere » (p. 210), afferma l'importanza della fede quando dice: « Questo è ciò che importa, Madlen ascoltare un bel sogno e credere nella divina impossibilità. Lasciamo ai geometri l’esattezza: per noi basti un senso d’ideale » (p. 233).
io non so davvero* se Guido da Verona abbia con questo suo lavoro ritrovato so stesso, attraverso le sue peregrinazioni, i suoi scetticismi, i suoi pessimismi, la sua sete d'ideale e la sua fame di paganesimo. So che in lui pulsa qualche cosa di più di quel che concedono a denti stretti i critici, pulsano un sentimento ed un pensiero che non sono da d ¡sprezzarci perchè non sono forme pure, ricerca morbosa di piacere, vano sciupio di energie: essi Ànno una spi-
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ritualità veramente forte, e cosciente tale che se • nei libri degli antichi solitari cercherà l'esilio definitivo quest’anima vecchia su cui pesa la fatica dell’eterno viandante » (p. 268) — come ne à fatto il sogno — forse noi potremo dire di lui che egli era qualche cosà di più che • un pazzo, un pazzo, che voleva trovare, chissà perchè, nella fogna della vita il colore delle stelle... » (p. 270).
UN TENTATIVO DI ROMANZO SUL MONDO NERO
Ed ecco invece un romanzo che avrebbe potuto mettere in luce tutta la spiritualità che, in fin dei conti, à mosso 1' A. a scriverlo c far risaltare la religione dall’ambiente fosco del calcolo e della disonestà, sul fondo nero del pregiudizio e del formalismo, ed invece pei- mancanza d’arti è riuscito una povera, ben povera cosa. Parlo del romanzo di P. Molajoni. Crepuscoli e Bagliori (Roma, M. Carra c C. di Luigi Bellini,. 1920).
Il romanzo è indubbiamente a chiave: esso descrive e vuol far vivere la vita del cattolicesimo romano nel 1899-1900 sotto leeone XIII quando Umberto regnava e veniva poi tragicamente ucciso, e la Chiesa combatteva il modernismo con tutti i mezzi. Clemente Mari che pubblica il suo Vangelo ignorato, che è travolto dall’odio dei preti, sintetizza e rappresenta questa forza nuova irrompente contro il vecchio formalismo ecclesiastico, ma qual povera cosa egli è! L’A. non riesce a creare neppure in lui una figura che regga non dirò alla critica, ma al semplice urto della riflessione, come non riesce a dar vita neppure a quella povera sua Margherita che invece avrebbe potuto riuscire viva e vivace. Tutte le altre figure sono ombre ancor più evanescenti, intorno a cui gli episodi si raggruppano con una così faticosa uniformità, con una così scialba coloritura che l'interesse vicn meno,.la bellezza è cosa di sogno.
E l’ambiente? e lo sfondo su cui le figure si agitano? Non à nulla che ne dimostri la verosimiglianza, nulla che possa renderne interessante l’espressione. E sulla scena così pallidamente tratteggiata non si affacciano che appena appena un paio di volte il Cristo e il Cristianesimo con la loro voce di rimbrotto o di elevazione. Il Mari pubblica, lotta, muore per un’idea, ma nessuno sa capire quale questa idea sia in termini concreti e con quali mezzi egli voglia battagliare pei- essa: appena poche pagine alla fine del racconto dànno un
barlume fioco sull’opera sua. Peggio ancora: egli fa debiti ed è querelato per insidia dai suoi nemici e non si sa bene perchè abbia fatto i suoi debiti o, quel che è più, com’è che da un momento all’altro il lottatore pieghi e ceda quando proprio gli si porge l’occasione di mostrar la sua nobilitate e quando nell’infuriar della tempesta gli si offre, con tutte le sue ricchezze, una donna che l'ama con tutta la sua energia, con tutto il suo amore!
aure qual meravigliosa trama di epi-:gni a produrre grandi effetti avrebbe Sotuto trarre il Molajoni dal suo soggette!
2 con mano d'artista egli avesse mostrato la Roma giubilare un ricetto di mercanti da esser cacciati dal tempio del vero Dio — ed io pensavo con quanta maggior efficacia dipinge Guido da Verona Lourdes, la novella Gerusalemme dei mercanti' — se avesse grandeggiato nelle colpe le figure del formalismo cattolico non esagerandone i tratti, ma ravvivandone l’azione, se non avesse con stile da compilatore di « relazioni » burocratiche, ma con vitalità di artista destato in quel cinereo mondo di dormienti gli spiriti pulsanti di azioni, di idealità, di intenti.
Su re talvolta anche al Molajoni non il sentimento di aver trovato il punto in cui bisognava cogliere per ottenere che le pagine sue grondassero lagrime e sangue c fossero opera di bellezza, di verità, di spiritualità.
Anch’egli, che pur descrive con la sonnolenta pacatezza delle vecchie, gli amori fanciulleschi di una ragazza, pacatezza che può ristorarci deh'erotismo morboso delle creature del da Verona, ma non ci può ugualmente accontentare nel campo dell’arte — anch’egli, dico, sente come il Da Verona il crepitio della società che crolla, tanto che non sappiamo se egli lo riferisca al 1900 o non piuttosto al 1920: cionondimeno non sa trarre da tutto ciò la scintilla che deve infiammare d’una fiamma di bellezza il roveto ardente.
Si sente, purtroppo, il crepitare delle travi tarlate; i muri si tendono in alto, l’intonaco cado qua e là, si scoprono ogni giorno nuòve falle dovunque. L’edificio non regge più: il Grande restauratore non fu ascoltato. Ai suoi tempi lo perseguitarono e l’uccisero; nei secoli che seguirono fu adorato, a Lui si innalzarono ogni giorno nuovi tempi, ma la sua parola non fu ascoltata nè allora, nè poi.
Questa megera, che chiamiamo civiltà, pretese di inaugurare un’èra nuova dopo la barbarie e non fece che vestirsi d’ipocrisia e di ridicolo: salvò l’arte, ma non trovò la giustizia; parlò di leggi- e di diritto, ma non parlò d’amore, (p. 336).
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E qualche pagina prima:
Che scempio avevano fatto in 19 secoli della semplice e sublime legge nazarena, seguaci e nemici del Maestro!
A chi Egli aveva perdonato? A tutti. Con chi era stato severo? Soltanto con quelli che operavano secondo la lettera e non secondo lo spirito; con gli interpreti della Legge che si arrogavano il diritto di parlare in nome di Dio per condannare; con quelli che odiavano, che amavano se stessi soltanto, che si credevano — essi soli — i migliori. Ora, come allora, nulla era mutato; forse qualche-cosa era peggiorata, forse era divenuta impossibile, dopo tante chiare, solenni parole, la presunzione di buona fede. Il Vangelo! Ma chi dunque lo conosceva il Vangelo? Dove erano più i cristiani che lo leggevano? (E qui ritornano in menti i recenti articoli di Papinil). In un Congresso cattolico si era giunti al punto di non approvare un voto per la sua diffusione: i teologi invece di leggerlo al popolo, ne spiegavano il senso, parlandone, per abitudine, forzandone o snaturandone il chiarissimo, incomodo, significato, (p. 304).
Ma da questi sprazzi di luce, ahimè, non giunge la luce maggiore che noi chiediamo c di cui abbiamo bisogno: vi sarà mai un artista che più c meglio del Fogazzaro dia a noi la sensazione di questo oscuro mondo che à avuto ed à ancora tanta nefasta potenza in Roma? Vi sarà mai un artista che lo illumini dell’idea del Cristo, c dal contrasto tra le luci c le tenebre tragga l’opera di vita c di verità?
Pio Molajoni purtroppo vi si è mostrato inadatto. Guido da Verona à più arte, à più pensiero, à più forza, ma à altri intenti e forse non basta all’arduo compito.
Donde verrà la luce di bellezza che invochiamo noi che abbiamo sete d’idealità in tanto volgare materialismo, fame di sostanza in tanto vuoto formalismo?
Giovanni Costa.
FIIQJOHAE REUGIONE
!_____
Bergson, L’énergie spirituelle, essais et conférence. Paris, Félix Alcan, 1919, p. 227, frs. 7,20.
Non si tratta di un lavoro nuovo, ma come dice il sottotitolo di una semplice raccolta di
saggi e di conferenze ormai diffìcili a trovarsi e alcuni ancor rimasti in inglese come furono scritti o pronunciati. A questo seguirà un secondo volume in cui l’A. promette di darci degli studi di metodologia filosofica.
Gli studi qui raccolti sono: la coscienza e e la vita, l'anima e il corpo, interessante soprattutto per comprendere quale sia concetto di coscienza, spirito ed intelletto nella filosofia bergsoniana, concetto al quale può apportare un notevole contributo anche l’ultimo dei saggi qui accolti, il cervello e il pensiero. sebbene sia pure il meno felice di quelli racchiusi in questo volume. Vi si rannoda non solo con ripetizioni volute, ma con un’esemplificazione per dir così pratica il 30 e, in parte pure il 40 dei saggi: «fantasmi viventi » e « ricerca psichica » e il sogno. Molto discutibile il 5° saggiò, di carattere forse più speciale (psicologia patologica), benché tenda alla ricostruzione d’un principio generale. Interessante il 6° sullo sforzo intellettuale. Auguriamoci di aver presto il II volume.
G. Costa.
¡VARIAR®»!
Raccolta viadana presso l’Archivio storico del Comune di Milano, fase. X (nel IV centenario dalla morte di Leonardo da Vinci). Milano, 1919, p. 383.
L’interessante raccolta vinciana, la cui prima serie termina con questo fascicolo, non poteva chiudersi con un volume più degno della commemorazione del IV centenario vili-ciano. Vi ànno collaborato in memorie pregevoli, tra gli altri, il Reinach, il Ricci, il Favaro, il Cermenati, il Bruno, il D’Oehen-kowski.
Così il volume è riuscito vario e ricco di notevoli contributi alla conoscenza della multiforme attività vinciana: ne sono stati oggetto le sue opere di pittura, le sue opere di storia naturale è di medicina, le sue opere di ingegneria e di poligrafia.
Non mancano nella raccolta elementi preziosi per lo studio delle pubblicazioni vili-ciane ed un indice analitico di tutti i lavori contenuti nei dieci volumi fin qui pubblicati.
Il volume è illustrato da numerose riproduzioni di opere e disegni vinciani.
X. Y.
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Rileviamo dalle riviste francesi che ci pervengono» le Chrislianisme social, la Revue Chretienne, (gennaio) quale è stato il carattere fondamentale del congresso generale del protestantesimo francese, tenuto a Lione dal iS al 2i novembre scorso: È stato quello di un avviamento intenso e decisivo verso l’unificazione delle chiese protestanti di Francia, già tentata altre volte, ma sempre incompletamente condotta innanzi. In questo senso commenta con gioia i risultati del Congresso H. Dartigue nella Revue Chretienne, e G. Langa nel Chrislianisme social gli fa eco, accennando le speciali concentrazioni di forze affermate dall’assemblea mercè una comunicazione di E. Gounelle approvata all’unanimità per ottenere una federazione protestante che sotto il nome di < Protestantismo sociale » riunisca 1’ « Associazione protestante per lo studio pratico delle questioni sociali», l’«A-zione cristiana sociale » e il « Servizio sociale di 1 Fede e Vita, ».
Il Langa mette in luce con molta franchezza ed umiltà cristiana il lato rigeneratore del Congresso che ha messo :n evidenza la piaga della mediocrità di cui finora il protestantesimo francese fu affetto, ma che, confessata e riconosciuta come grave colpa, offre il modo di ripararvi e di avviarsi all’ unione sicura e sincera della volontà e degli affetti.
E. Gounelle ha potuto perciò nel Chrislianisme social fissare in poche pagine che egli ha qualificato con la parola « sogno » i sommi tratti di quello che dovrebbe essere V unione sacra dei protestanti francesi. Anzitutto l’U-nione per gl’ interessi comuni, per il fascio di forze religiose e sociali, per l’evangelizzazione; quindi l’istituzione della Società per la storia del protestantesimo francese con intènti di ravvivamento degli studi storici e biblici in ¡specie; la fondazione di una Commissione per l’educazione protestante con una grande università libera; una Commissione superiore di disciplina, delle’ unioni finanzia
rie e infine delle commissioni d’azione morale e sociale con la creazione di un grande giornale quotidiano!
• • •
Nella rivista bibliografica italiana II Raccoglitore (gennaio, pag. 25) C. Fabbricotti fa una rassegna molto diffusa degli studi della storia della Chiesa dei primi secoli, nella cultura nazionale contemporanea, trattenendosi sopratutto sull'opera del Buonaiuti e del Fracassini. Noi che ci siamo occupati già di questi studi anche più diffusamente e critica-mente (v. Bilychnis giugno e luglio 1915) crediamo che la rassegna avrebbe potuto essere più completa *• più esauriente, specialmente dal punto di vista dell’impostazione di alcuni problemi. Quello, per es., delle relazioni tra impero romano e cristianesimo fu nei fascicoli citati, prospettato e risolto con qualche novità, forse, di idee, dal Costa ed era il caso quindi di- esaminarlo, se non di approvarlo. Cosi pure nella nostra rivista la questione del mi-triacismo di Diocleziano, studiata più determinatamente in Religio dal Costa, venne ampiamente considerata sotto la luce della continuità dei culti tradizionali romani di Giove ed Ercole (v. Bilychnis, fase, ag., settem. e ottob. 1919), quindi il F. che pure ha con molta chiarezza esposto i risultati cui è giunto il C. e ne ha visto con altrettanta sagacia l’importanza, doveva esaminarla anche in relazione a quelle ricerche.
Del resto il F. omette anche altre opere nella sua rassegna, del Buonaiuti, del Giobbio e via dicendo, forse con l’intenzione di completarla un'altra volta. Gii siamo grati intanto della diligenza con cui egli si serve, citandoli naturalmente, dei bollettini della nostra rivista; il che dimostra che un qualche reale servizio agli studiosi essi arrecano. E perchè di questo siamo convinti cogliamo l’occasione di far conoscere che abbiamo creduto bene di disporne, per la fine dell’anno corrente la pubblicazione a parte con ricchi in-
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dici analitici che li rendano utili alla consultazione degli studiosi.
Nella Biblioteca municipale di Boston sono stati ultimamente collocati due nuovi dipinti facenti parte della serie di pitture religiose di John S. Sargent : uno rappresenta il giudaismo ed il cristianesimo e l’altro la Sinagoga. Senza commentarle, ma sottolineandone semplicemente le parti più interessanti, riportiamo le seguenti riflessioni fatte dalla Revue des Jeunes ( io febbraio, p 305) a conclusione dell’articolo che ne dà notizia.
< L’esecuzione di questa grandiosa serie di decorazioni è spesso meravigliosa: i particolari molto curati del soffitto, la ricca armonia dei colori ne compongono un bell’insieme: la maler dolorosa, e specialmente i profeti, sono opere geniali. ^'osservatore cattolico [perchè solo il cattolico ? e non il religioso in genere?] vi troverà forse una deficenza di fede', tali composizioni gli sembreranno talvolta belle interpretazioni di temi religiosi, nn po' troppo preoccupate delta loro bellezza, piuttosto che prodotti d’un arte essenzialmente religiosa. Ma è da notare in modo speciale che in questo monumento pubblico americano, un artista- non cattolico abbia rappresentato il cristianesimo come se il protestantesimo non avesse mai esistilo!».
• • •
L’Unione cristiana delle giovani di Torino, giunta da poco al suo 250 anno di età, ha iniziato la pubblicazione di un periodico bimensile La dovane, che è venuto alla luce nel febbraio decorso. Auguri.
.• • •
¿u Dalmazia di Zara nel suo numero del 28 febbraio scorso reca una violenta protesta da Sebenico, accompagnata da un commento editoriale ad hoc contro l’improntitudine con cui quel vicario vescovile sig. Skarpa (non Scarpa, naturalmente perchè slavo!!) ha negato un predicatore italiano. L’articolista domanda al Vaticano di dichiararsi 0 no solidale con il suddetto signore. A quando la risposta ?
• ♦ •
La Société biblique de Paris ha festeggiato nel 1918 il primo centenario della sua fondazione. Nella Revùe Chrelienne del gennaio scorso I. E. Roberty ne fa la storia e ne dice per sommi capi l’attività, cui si legano nomi cari non solamente al pensiero protestante, ma pur a quello filosofico, religioso e storico generale, nomi come quello di Guizot.
di Schikler, di Montandoli e, per non citare che due dei viventi, A. Sabatier e E. Stapfer.
All'intento di provocare un avvicinamento tra cristiani e musulmani, H. Alitcha nel Coenobium procura di dimostrare quanta notevole messe di’ errori gli uni e gli altri accolgano sul conto dei loro nemici : e difatti dei malintesi 'e degli errori giustamente si notano nelle opposte credenze. Quel che però risulta evidente dall’articoletto è la lunga strada che occorre percorrere per giungere ad un tale avvicinamento, visto che per natura di cose.’ per idee e per interpretazioni le due religioni sono più lontane, forse, di quel che l’A. non creda!
• • ♦
P. A. Palmieri nella Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliario, considera la missione politica e religiosa dèlia Polonia nella nuova Europa con molto ottimismo. Egli spera che la Polonia possa essere l'erede della Russia dal punto di vista politico e, grazie alla sua fede religiosa, un focolaio di civiltà cattolica tra « gli slavi immersi nel letargo dello scisma bizantino». Occorre però che per compiere questa missione si risolva il conflitto secolare fra polacchi, ruteni e lituani. L’A. ritiene che solamente con lo sviluppo del cattolicisino fra gli slavi del N. e del S. la Polonia raggiungerà tutta la sua grandezza storica, non diversamente dalla Francia che è grande moralmente, secondo il Palmieri, grazie al suo apostolato cattolico in Oriente.
• • •
Segnaliamo un interessante articolo di P. Bonté nella Revue des Jeunes (io febbraio), nel (piale sono esposte e analizzate molto chiaramente le simpatie cattoliche di G. Sorel per giungere alla seguente conclusione, che riportiamo testualmante :
«Concludendo, le simpatie di Sorel per il cattolicismo, ci sembrano evidenti. Ciò nondimeno non crediamo che la lettura dell’opera sua — naturalmente dai punto di vista religioso — possa recare un notevole profitto ai cattolici, giacché la sua nozione del misticismo è equivoca e le basi della sua apologetica sono caduche. Tuttavia la sua efficacia può essere salutare agli increduli, egli può condurli alla Chiesa grazie alle sue nobili preoccupazioni d’ascetismo e liberarli dagli ostacoli (storia, scienza, filosofia), che nell’avviarsi potrebbero incontrare. Sorel è un apologista dal di fuori >.
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317 Si terrà nei giorni 13-15 di maggio in Firenze il V Congresso per la pubblica moralità che il Comitato centrale sta pieparando. Fra i temi che vi saranno svolti, il primo (prostituzione e abolizione delle case di tolleranza) apparisce d’importanza capitale, giacché s’intreccia con mille altre questioni riguardanti l’assetto sociale dai punti di vista igienico ed economico, oltreché da quello morale.
L’influsso dei costumi sulla vita degli individui, la ripercussione palese sull’andamento della vita sociale ed anche politica, le grandi ingiustizie che pesano sulla donna, sfruttata ed oppressa, dimostrano che non si può pensare a un riassetto della società senza tener d'occhio anche la questione sessuale. Perciò il Comitato centrale a questo tema ha dato il primo posto e lo farà svolgere dal professore E. Catellani. Sarà opportuno che l’argomento sia, in precedenza, studiato e discusso dalle persone e associazioni competenti e dalla stampa.
♦ * •
Nella Rivista di filosofia neo-scolastica (novembre 1919), G. Semprini si occupa della morale nell’« Imitazione di Cristo », facendo rilevare come il pernio per tutta la condotta della vita, la prima delle virtù, sia per l’A. dell’ Imitazione, la pazienza. « Pazientare vuol dir sopportare, assumere su di se tutto il peso di responsabilità che alla nostra vita di uomini e di cittadini incombe, vuol dire non rifuggire dalla parte di travaglio che ad ognuno è stato assegnato, vuol dire accettare con animo ilare il fardello non leggero di dolori e di gioie, di difetti e di buone disposizioni, di cui la provvida o matrigna natura ci ha gravato le spalle, e che abbiamo il dovere di deporre solo quando il cammino a noi assegnato è stato tutto percorso. Chi cerca di sottrarvisi, dimostra più ridicolo che viltà. “ Ridiculum est currere ad mortém taedio.vi-tae” per ripetere.la frase di un filosofo che sovente ha smentito in pratica le sue più nobili sentenze». [Seneca]
* • •
Nella Rivista dì psicologia, G. Semprini studia il concetto della preghiera nell* * I-mitazione di Cristo » in rapporto di quello di altri mistici, e trovatine i gradi nella meditazione, riflessione, propiziazione, orazione, grazia e superamento dell’ individualità e sua trasfusione nella collettività, afferma l’importanza storica ed il significato filosofico della preghiera nella vita dello spirito, concludendo
col Segond che l'attività mistici non è sol la rivelazione dei me profondo, ma pur quella del me sociale, l'emanazione individuale della subcoscienza collettiva ed umana.
WeXV Azione del io marzo Felice Momigliano parla della fede religiosa di G. Mazzini, mettendone in evidenza l’elemento fondamentale nel giansenismo democratico che gl’impresse una forma mentis speciale di eretico, ma eretico cristiano. Egli in fondo è più cristiano di quel che non creda. Riconosce che vi è maggior pericolo nel materialismo che non nel cristianesimo, che egli voleva non annichilire ma superare, ritenendo che il mondo senza religione non potesse stare [v. p. 298].
• » •
L’Educazione nazionale bandisce alcuni interessanti concorsi, fra i quali ci preme segnalare ai nostri amici il seguente per l’attinenza che ha con i nostri studi :
Premio di L. 100 più un'annata, a scelta, delle seguenti riviste: Educazione nazionale. Unità, Ronda e Scuola e Vita alla migliore bibliografia sul problema della educazione religiosa.
Raccomandiamo ai nostri amici e lettori di occuparci della cosa, non per l’entità del premio, ma per l’interesse che la cosa merita specialmente in questo momento.
Per opera del Consiglio Direttivo della Sezione di Napoli, della Federazione italiana degli studenti per la cultura religiosa, si inizierà entro il 1920, una serie di pubblicazioni di cultura religiosa. Questi studi usciranno in fascicoli, di regola ogni due mesi, in modo da formare volumi annui di circa 500 pagine, e conterranno ricerche di religione e filosofia nelle quali l’attività religiosa sarà studiata come attività reale ed obbiettiva dello spirito. La raccolta avrà un titolo: Gnosis, studi storici di religione e filosofìa. Lo scopo di questa iniziativa è di creare in Italia una più profonda indagine del fenomeno religioso, che non sia uè il frutto di un irragionevole naturalismo, nè l’espressione di un eccessivo dommatismo, ma armonizzi le esigenze della scienza con quelle della fede. Per raggiungere questo intento, il nuovo organo mira, anzitutto, a valorizzare il movimento di cultura religiosa che la Federazione svolge nelle sue varie sedi, dando pubblicità a quelle ricerche il cui frutto sia stato esposto con corsi o con conferenze, presso le varie sedi sociali: per-
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ciò darà la preferenza a quei lavori che siano ampliamenti o rielaborazioni di tali corsi o conferenze.
Salutiamo con piacere l’apparizione di una nuova rivista mensile, Il Rinnovainetilo, organo indipendente per la redenzione del clero, del quale sulle orme del programma pubblicato nel primo numero, si può tracciare cosi la storia.
Un manipolo di giovani preti che durante la guerra aveva fatto l’amara constatazione delle manchevolezze della propria educazione e meditato sulle tristi condizioni della società c della Chiesa,-sentendo con fierezza tutta la nobiltà del loro carattere, appena smobilitati, si adunavano in convegno privato in Palermo, prima di tornare alle proprie case, per concretare un programma di riforme da caldeggiare tra i fedeli ed il clero e da sottoporre, quando ne fosse il tempo alle autorità superiori.
E cosi furono gettate le basi di una Federazione che fosse conre una chiamata a raccolta di tutte le energie spirituali {Fides) e di tutti i sacerdoti volenterosi, nei quali il comodo adattamento e l’ignavia tradizionale non avesse del tutto spento ogni nobile proposito di lavoro.
In seguito numerosi rappresentanti delle varie città di Sicilia, visto il rapido allargarsi dell’agitazione, considerando la necessità di un’organizzazione autonoma e di casta che inquadrasse le vecchie e le nuove reclute e regolasse tutto il complesso movimento, togliendolo all’entusiasmo tumultuoso del primo momento ed avviandolo ad un lavoro ordinato e proficuo, si adunarono in Palermo ed
altrove e, dòpo non breve discussione, decisero ad unanimità il distacco dalla Fides, fissarono i punti principali dello statuto interno e crearono un Comitato direttivo con sede a Palermo: per intensificare la propaganda decisero la pubblicazione del bollettino II Finnovatnetiio che fosse l’organo indipendente della Federazione per la redenzione del clero « indipendente » non per atto di ribellione, ma per assumere tutta intiera la sesponsabilità delle loro'azioni.
« Nostro intento generale — dicono nel programma questi audaci — è quello di promuovere una vita più intensamente cristiana tra le masse per opera della Chiesa ; intento particolare quello di richiamare l’attenzione benevola della società su i mali che travagliano e corrodono il clero, unico tramite ufficiale col quale possa esercitarsi l’opera benefica della Chiesa ; di scuotere e galvanizzare il clero avvilito, infondendogli fiducia ih se stesso e nelle istituzioni; d’apprestare una piattaforma alle- discussioni serene e spassionate sopra i vari punti del programma, per formare, così, un’opinione pubblica chiara ed esatta su molti punti della disciplina ecclesiastica ; d’invocare e conciliare, conseguentemente, l’opera di tutti, clero e fedeli, verso quelle riforme disciplinari che essi ritengono rimedio efficacissimo ai mali sopraccennati ».
Mentre beneauguriamo all’opera di questi giovani volenterosi ed audaci, pronti a sostenerla con tutti i nostri mezzi, esprimiamo il nostro dubbio sull’efficacia di questo movimento, perchè è noto che simili avvenimenti nella Chiesa hanno una breve storia : o sono soppressi o ne sono... espressi!
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TRA LIBRI E RIVISTE
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NUOVE PUBBLICAZIONI
A. Rostagni, Giuliano l’apostata, Saggio critico con le operette politiche e satiriche tradotte e commentate. (Il pensiero greco, voi. 12). Torino, F.llì Bocca, 1920, p. 399. L. 28.
R. Almagià, La Geografia, Roma, Istituto prop. cult, ita!., 1919, p. 109. L. 3,50.
Iu una settantina di pagine di testo ed in una trentina di bibliografia questa prima delle guide dell’ics, dedicata alla Geografia, dà un utile, per quanto sommario, ragguaglio degli studi geografici compiuti dagl’italiani nel sec. xix. L'A. stesso non pretende senza dubbio, d’aver dato con essa un complèto e preciso catalogo di tutto il nostro contributo geografico, poiché le omissioni in tal genere di lavori sono facili, ma per cominciare a far conoscere i nostri studi all’estero è già qualche-cosa. E di questa iniziativa va data lode al Pormiggini.
P. Gobetti, I partiti e la realtà nella vita politica, Firenze, Vita, 1920, p. 23. L- 0.50.
Brevi considerazioni sui partiti politici e sulla necessità di restaurare una elevazióne spirituale della concezione politica. È ricco di sano entusiasmo e di propositi fattivi.
H. Volkmann, Emanuel d’Asterga, II B., Leipzig, Breitkopf u. Hartel, 1919, p. 248.
H. Eliiot, Moderne Science and Materia-lisme, London. Longmans, Green a. Co.. 1919, p. 211.
G. Berkeley, Saggio di una nuova teoria della visione, trad. G. di Amendola. Lanciano, Carabba, 1920 (Cultura dell’anima, n. 63), p. 143. L. 2.
F. D. E. Schleiermacher, Monologhi, introduzione e traduzione di C. Dentice d'Accadia, Lanciano, Carabba. 1920 (Cultura dell’anima, n. 67), p. 159. L. 2.
Eraclito d’Efeso. Frammenti e testimonianze, introduzióne e traduzione di M. Cardini, Lanciano, Carabba. 1920 (Cultura dell’anima, n. 65), p. 136. L. 2.
Il protevangelo di Jacopo, prima traduzione italiana con introduzione e note di E. Pistelli, Lanciano, Carabba, 1920 (Cultura dell'anima, n. 66), p. 127. L. 2.
Fr. Thompson. Il celeste segugio - The Hund of Heaven - versione metrica di C. Magi, Lucca, Baróni, 1920, p. 14. L. 2.
Di questo breve poemetto diamo nel fascicolo presente una nuova traduzione di M. Praz, che ci sembra migliore di questa dei Magi.
Il cacciatore dell'isola d’Eubea, racconto morale di Dione Crisostomo, recato dal greco in italiano da A. Scarsella, Santa Margherita Ligure, D. Devoto, 1919, p. 47.
D'una traduzione si dovrebbe dir bene o male solo confrontando il testo con la versione, ma non est hic locns di far ciò per lo Scarsella e poi è tale e tanta la simpatica bonomia del traduttore e la grande onestà dei suoi intendimenti che, se pur critiche dovessero farsi all’opera sua, non verrebbe voglia di farle. Indubbiamente lo S. non è un futurista in materia di lingua e stile, di ma il suo scritto riposa, la sua semplicità rinfranca e finché gli studi classici non abbiano altro più moderno indirizzo nei loro cultori, lodiamo costoro che sembrano non potersi distaccare da essi nà nella forma, nè nella sostanza.
Z. Ardizzone, Canti stellari, Ragusa, S. Piccitto, 1920, p. 100. L. 5.
Molte «poesie», pochi versi, ma nessuna poesia/ Eppure una ricca gamma di sentimenti individuati e familiari avrebbe potuto svegliare il senso poetico dell* A. se esso avesse giaciuto non tocco nel penetrali dell'animo; disgraziatamente esso era assente; allora perchè affermarne coram populo la mancanza c sciuparne quella pallida forma che è pur cara se resta circoscritta dai termini familiari ?
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BILYCHKIS
L. Péscrico, Ricerche di Storia etrusco, Vicenza, G. Galla, 1920, p. 320. L. 25.
L. Péscrico, Indagini sul poema di Gil-games. (Appendice alla cronologia egiziana e alle ricerche di storia etnisca), Vicenza, G. Raschi, 1910, p. 84. L. 3.
P. Molajoni, Crepuscoli e bagliori, romanzo, Roma, M. Carra e C. di L. Bellini, 1920, p. 359. L. 6. [cfr.p. 313].
R. Corso, Il bacio nei canti popolari, p. 15; Estr.
Uno dei tanti contributi geniali c dotti del nostro amico prof. Corso allo studio delle tradizioni popolari.
Lettere d’amore scelte fra'le più belle. trad. pref. introd. e note di Ada e Giovanni
Meille, Milano, E. Sonzogno, 1920, p. 260, L. 3,50.
11 lettore à un debole per le opere di compilazione e per ciò questo lavoro à già un grande elemento per la sua approvazione: è vero che à un altrettanùÉXorte contro le antologie. Ma siccome in quest'ultimo campo si possono fare dell«* eccezion’, ne consegue che il lavoro dei coniugi Meille non può non meritare tutto il suo plauso. Vedcro e sentire come nei • grandi uomini » pulsi e frema quello stesso sentimento che freme in noi miseri mortali, saggiarne le debolezze e scorrerne le prove di semplicità, ò cosa che consola e che ravviva il senso Acìì’cterno umano che è in noi. Ringraziamo quindi i Meille che ce l’àn fatto sentire ed auguriamoci che continuino... la messe i tanta!
Ti. Lettore.
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