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Anno 116 - N. 19
9 maggio 1980 - L. 300
ARCHIVIO TAVOI.A VALDES
10066 TORRE FELLICE
Spedizione in abbonamento postale
Gruppo bis/70
ddk valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
% punti
di vista
Da quando il brigatista « pentito » ha aperto il sacco, l’universo del terrore, apparentemente
monolitico e irraggiungibile, ha
cominciato rapidamente a sgretolarsi. E in molti hanno tirato
un sospiro di sollievo. Sono le
clamorose rivelazioni di Patrizio
Peci — che le cronache dipingono come un emotivo, im insicuro,
in sostanza uno studente fallito
— che hanno permesso a milioni di italiani di gettare uno sguardo nella nebulosa del terrorismo.
Oggi, chi ha creduto, per mesi,
alla ferrea militanza ideologica
del mondo brigatista o chi ha
temuto il suo parziale radicamento nel mondo della fabbrica,
deve rivedere le sue posizioni alla luce dei fatti. L’ultima raffica
di rivelazioni ha messo in chiaro
la disgregazione della forza ideologica dei terroristi e la loro
scarsa spinta motivazionale. Parlando di loro il 25 aprile a Milano, il presidente Pertini ha notato che si tratta di gente priva di
una vera fede ideologica, perché
se l’avessero avuta non avrebbero parlato.
INTERVISTA AL PASTORE METODISTA EMILIO CASTRO
I poveri, una sfida per ia Chiesa
1 poveri possono insegnare al resto della cristianità il senso profondo dell’evangelo, possono sfidarci a vivere in uno stile di vita che confermi la nostra appartenenza al regno
Alla vigilia della conferenza missionaria mondiale organizzata dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, che si apre a Melbourne in Australia il 12 maggio, il pastore Emilio Castro, direttore della Commissione per la missione e l’evangelizzazione
del CEC, ha rilasciato im’intervista che in Italia è stata diffusa
dal « nev ». Emilio Castro è stato professore di teologia a Montevideo e successivamente presidente della chiesa metodista
unita deirUruguay; da 7 anni lavora a Ginevra presso il CEC.
— Il tema della Conferenza è:
Il tuo regno venga! Non è questo un tema un po’ superato?
Come è possibile parlare oggi di
Dio e di Gesù Cristo in termini
di «regno»?
serio tutti questi « piccoli »: i
poveri intorno a noi, coloro per
i quali il re ci viene incontro.
— Qual è il problema centrale
della conferenza di Melbourne?
Ma per fortuna qualcuno parla. Perché? Il termine che in queste settimane ha accompagnato
Patrizio Peci è un termine evangelico, « pentimento » (per quanto tra virgolette) e su questo termine ci siamo interrogati. Si
tratta di un pentimento da infiltrati nell’organizzazione del terrore, tipo quello di ’’fratello Mitra” ormai eclissato all’estero?
O di un pentimento vero, ispirato magari da una severa autocritica o dal crollo psicologico prodotto dal carcere speciale? O di
un pentimento dettato dalle nuove disposizioni legislative che
prevedono trattamenti di favore
in caso di collaborazione? Il dubbio è svanito con la pubblicazione di stralci dei verbali delle
confessioni del « pentito ». « Di
fatto ho raggiunto la convinzione che la lotta delie BR porta
solo danno alla classe operaia »,
ha affermato Peci; ma per soggiungere subito dopo che questa
ammissione, e la conseguente collaborazione, è data sulla base di
una riscontrata disponibilità da
parte delle autorità a ripagare
questa collaborazione « in termini di grazia o di annullamento
della pena, di possibilità, cioè, di
ricostruirsi una vita », all’estero.
Diventa cosi evidente che il termine che è stato usato per qualificare il brigatista che parla è
una povera caricatura del ravvedimento biblico. Anche qui, come
nei racconti degli evangeli, c’è
una sconfessione del proprio
operato, una speranza di liberazione (!), un desiderio di vita
nuova. Ma quanto è appiattito
tutto questo, schiacciato sul livello infimo del calcolo, del tornaconto personale, della cura del
proprio interesse sopra ogni altra cosa!
— È vero, per molti questo
termine non ha più un grande
significato, tuttavia il « regno »
di Cristo si presenta in modo
così diverso dalle comuni immagini di un regno, cioè di una realtà che è sostanzialmente potere e
privilegio, che parlare del « regno » di Cristo ci obbliga a rifiettere proprio sul senso di questo
re che è stato perseguitato dai
soldati e crocifisso sulla croce
per decisione di Ponzio Pilato;
un re che si è reso simile ai dannati, ai poveri, agli emarginati
della società; un re che è nato e
vissuto ed è stato assassinato in
mezzo alle lotte storiche. Questo
ci mostra in che modo a nostra
volta dobbiamo impegnarci.
— Per me è il tema della prima sezione, che sarà dedicata a
discutere la relazione fra i poveri e il regno. Quando Giovanni
Battista chiede a Gesù se è il
messia, Gesù non risponde con
un ragionamento o una dimostrazione ma la presente un certo numero di fatti legati al suo ministero e conclude: « e l’evangelp
è annunziato ai poveri ». Dio è
il difensore dei poveri, egli manifesta un amore particolare per
loro. Questo è chiaro in tutta la
testimonianza biblica e particolarmente nella vita e l’opera di
Gesù.
Una veduta di Melbourne, Australia.
fronte a questo messaggio biblico non possiamo dire altro che il
fossato che aumenta fra i ricchi
e i poveri è una bestemmia, ima
offesa agli occhi di Dio.
— Allora la conferenza di Melbourne ripeterà semplicemente
quello che è stato già detto e cioè
che la chiesa si deve impanare
nella lotta per una maggiore giu^
stizia sociale?
Un regno diverso, dimque?
— Allora la Bibbia indica i
poveri come luogo privilegiato
per conoscere Dio?
— Sì, Cristo è venuto ed ha
messo in questione tutte le nostre concezioni sul potere. È un
avvertimento che a Melbourne
dovremo prendere sul serio. Se
entriamo in questo « regno » di
Cristo siamo veramente impegnati a vedere e a prendere sul
— Non direi, la Bibbia non
idealizza i poveri: non c’è nessun merito ad essere povero. Ma
il Dio di Israele e Gesù Cristo
si sono preoccupati con un’attenzione particolare della sorte dei
deboli della società: le vedove,
gli orfani, gli oppressi, gli emarginati; cioè appunto i poveri. Di
— No, perché nella prospettiva
del regno — che è quella in cui
cercheremo di situarci — il problema dei poveri non è anzitutto
una questione di economia e di
giustizia sociale: si tratta di comprendere quello che è la stessa
evangelizzazione.
— È gpusto che l’evangelizzazione sia al centro di una conferenza missionaria. Ma cosa intendete per evangelizzazione?
MARIA NELLA PROSPETTIVA PROTESTANTE - 2
Maria riconoscente
— Per me il dovere dell’evangelizzazione nasce dal fatto che Dio
vuole che l’evangelo venga annunciato alle masse dei poveri
alle quali non è mai stato annunziato. La nostra coscienza
cristiana viene sfidata dal fatto
che vi sono tante persone, tra
i più poveri in tutta la terra, che
non hanno alcuna possibilità di
accesso a questa conoscenza della grazia di Dio manifestata in
Gesù Cristo. Evangelizzare significa trasmettere loro le promesse, che sono appunto per loro.
Inoltre il cristianesimo per
troppo tempo è stato dominato
dagli ideali della classe media
che vive in una società capitalista. Nei paesi poveri il cristianesimo appare spesso come un invito a salire nella scala sociale
uscendo dai legami familiari tradizionali e dal proprio ambiente
culturale. Troppo spesso i cristiani, anche in quei paesi, sono diventati dei privilegiati che hanno accesso alla cultura degli stranieri e partecipano al loro potere. Bisogna invece riscoprire lo
appello che Gesù ha rivolto ai
poveri e bisogna anche riscoprire il fatto che egli era uno di
loro.
Continuiamo la serie di meditazioni di Giorgio Tourn sul
« Magnificat » (Luca 1: 46-55). Per un errore la prima meditazione apparsa sul numero scorso portava l’occhiello « Maria
nella prospettiva mariana » anziché « Maria nella prospettiva
protestante ».
E tuttavia sarebbe sbagliato
farne un giudizio su un singolo
individuo: mai come in questo
il profilo di un brigatista ha coinciso con quello di tutti, di una
generazione privata di spinte
ideali, ricacciata nella palude del
materialismo spicciolo, ridotta al
valore dominante del tornaconto
personale. Pentimento tra virgolette: un sospiro di sollievo per
tanti; ma per chi vuole vederlo,
anche un marchio amaro del ’nostro tempo.
La fede di Maria è una fede
convinta, certo, ma non è questa
la sua caratteristica peculiare.
La Bibbia è piena di uomini e
donne dalla fede convinta, salda,
forte: i patriarchi, i profeti, gli
apostoli; quelli erano credenti
duri come la roccia, che hanno
sfidato opposizione, sofferenze,
martirio senza spostarsi di un
dito, sembrano montagne avvolte dalla bufera.
E non solo la Bibbia, la storia
della chiesa è ricca di esempi
di fede coraggiosa, virile, potremmo dire, di martiri che sfidano la morte e di missionari
che si buttano allo sbaraglio.
Maria, invece, non fa nulla,
non si impegna in nulla, se ne
sta tranquillamente seduta in casa, con le mani in grembo; nemmeno si preoccupa di testimoniare con la parola, con il discorso; la chiacchierata con Elisabetta è una confessione tutta
privata, trepidante di emozione,
fremente di pudori, è la confidenza di una ragazza preoccupata, emozionata ad una vecchia
parente per ottenere conforto,
non è una predicazione in piazza.
La caratteristica della sua fe
de non è infatti la forza, il coraggio, la fermezza ma la riconoscenza. Se scavi sotto le sue
parole ed i suoi sentimenti, nel
profondo della sua anima non
trovi slancio, compattezza, solidità ma un sentimento generale
di stupore, quasi di incredulità,
come fa uno quando se ne sta
con gli occhi e la bocca aperti
a guardare una cosa che gli sembra irreale, impossibile, imprevista.
Che cosa stupisce Maria? Il
fatto di essere stata inserita da
Dio nel suo piano di salvezza, di
poter diventare nelle sue mani
strumento di rinnovamento, di
poter rendere grande, nella sua
esistenza, Dio. E Maria sa molto
bene che tutto questo non viene
da lei, non è frutto della sua intelligenza e delle sue virtù e neppure della sua pietà, sa molto
bene che la grazia consiste nel
fatto che l'Altissimo si abbassa
fino a prendere, quali suoi strumenti, esseri deboli e fragili come lei, contadina analfabeta.
Di qui la riconoscenza, di cui
è espressione il suo "cantico",
che è appunto un canto di ringraziamento. Come definire però
questa sua fede riconoscente?
Sembra un modo nuovo di vedere la vita, come se all’improvviso una immagine sfocata si fosse messa a fuoco e tutto diventasse chiaro. Le cose sono come
prima ma sono diverse, è lei ma
non è più lei e questa diversità
nasce dal fatto che si sa al centro di una vicenda senza essere
egocentrica, si sente attrice di
una storia senza esserne protagonista, prende coscienza del fatto che è indispensabile a Dio ma
senza che possa nascere in lei
orgoglio e presunzione.
Questa è riconoscenza: non un
sentirsi debitore, dipendente, sottoposto ad altri ma un sentire
che quanto ti è stato dato ti fa
altro da prima, nuovo, diverso
perché ti ha fatto scoprire che
non sei solo. La riconoscenza nasce solo quando è stato vinto l’egoismo. Lm fede è anzitutto riconoscenza perché è coscienza del
fatto che quanto Dio ci ha dato,
e la sua vocazione, fanno di noi
esseri nuovi. Sei diverso perché
hai molto ricevuto, perché hai ricevuto tutto, il tuo avere ed il
tuo essere.
Questa è la fede che manca a
noi, troppo impegnati per essere
riconoscenti, proiettati fuori di
noi, nel dibattito, nell’azione,
nella testimonianza; alla ricerca
perenne di un ruolo da incarnaGlorgh) Toum
(continua a pag. 10)
— C’è dunque anche un messaggio che i poveri portano oggi
aUe chiese?
— Sì, i poveri sanno per esperienza che cosa significa vivere
nelle stesse condizioni materiali
in cui è vissuto Gesù. Per questo
essi possono insegnare al resto
della cristianità il senso profondo dell’evangelo; possono sfidarla a vivere in uno stile di vita
che sia una conferma della nostra appartenenza al regno. L’evangelo del regno, che ci porteranno i poveri, sarà un giudizio
che ci invita ad una maggiore lucidità e al pentimento dei nostri
peccati strutturali: parlo dello
sfruttamento economico e delle
politiche che lo sostengono. Ma
sarà anche un appello ad accettare la grazia di Dio.
— E per noi che viviamo in
una società ricca?
— È chiaro che nel Nuovo Testamento c’è un evangelo anche
per i ricchi: quindi anche per coloro che vivono in ima società
occidentale e ricca come la nostra società del consumo. Questo
evangelo è che la conversione è
possibile e dimque è necessaria:
possiamo ripensare il nostro stile di vita, dobbiamo quindi ripensare le nostre priorità in funzione dei poveri del mondo, dei
piccoli... delle vedove, degli orfani. Dobbiamo diventare «poveri
in spirito » cioè metterci al ser
(continua a pag. IO)
2
UN DOCUMENTO DELLA CHIESA VALDESE-METODISTA Dì VENEZIA
Per la dignità dell’uomo anche
nella malattia e nella morte
Questa riflessione della comunità evangelica valdese-metodista
di Venezia sui diritti dei malati e dei morenti vuol essere soprattutto im contributo per continuare il dibattito su scienza e condizione dei malati nel nostro paese.
Una delle principali critiche
che i malati fanno alla moderna
medicina scientifica è la incapacità dei medici a comunicare in
modo adeguato con loro. Il progresso tecnologico in campo medico tende sempre più a mediare
il rapporto medico-malato con la
macchina, il dato di laboratorio,
l’esame strumentale; i medici
devono riconoscere questo ed essere convinti che il dialogo col
malato è essenziale. Così conversando coi malati iil medico dovrebbe evitare ima conversazione
superficiale e dare invece peso
a tutto ciò che si dice al malato
e che il malato dice, evitare un’aria paternalistica qualunque sia
il livello intellettuale del malato,
usare parole e concetti semplici,
facilmente comprensibili, dire la
verità al malato infondendo sempre la speranza e la fiducia con
la propria serietà ed attenzione.
Condividiamo le affermazioni di
W. F. Peabody il quale scriveva
nel 1927Un quadro clinico
non è solo la fotografia di un
uomo malato a letto; è un quadro del malato circondato dalla
sua casa, dal suo lavoro, dalle
sue relazioni, con le sue gioie,
preoccupazioni, speranze, timori!
Così il medico che tenta di curare un paziente ma trascura i fattori che contribuiscono alla vita
emotiva del malato, è così poco
scientifico come il ricercatore
che trascura di controllare tutte
le condizioni che possono influenzare il suo esperimento ».
Ciò premesso, facciamo alcune
considerazioni.
1) Pur allo stato attuale delle conoscenze mediche, della biochimica e della farmacologia, si
sente ancora da qualche parte
sostenere che la sofferenza è redentrice, una sorta di espiazione
delle nostre colpe e di riscatto
dei nostri errori. Poiché invece
esistono i mezzi per mitigare la
sofferenza, bisogna usarli senza
esitazione. Il medico che lascia
soffrire col pretesto di non dover in nessuna forma, in nessun
momento assumersi la responsabilità di abbreviare la vita del
malato inguaribile, non rispetta
affatto la vita, come dice, ma
l’avvilisce. E con essa se stesso.
2) Riteniamo che si debba
lottare per una salute per la liberazione dell’uomo; per il diritto dei malati ad avere una società umana che li circondi, una
società che senta le sofferenze
altrui come proprie; contro le
forme di potere della scienza e
della medicina che vogliono opprimere e strumentalizzare l’uomo. Riteniamo, quindi, che nessun trattamento medico o chirurgico deve essere intrapreso, né
nessuna sperimentazione farmacologica, senza il consenso del
malato, quando sia cosciente ed
informato sul suo stato.
3) Esprimiamo una chiara
posizione di rifiuto contro l’accanimento terapeutico nel caso di
malati inguaribili, di «morti cerebralmente», e di malati in
condizioni fisiche terminali i quali solo chiedono di morire in pace senza subire ulteriori trattamenti che risulterebbero inefficaci o mutilanti senza apportare
un apprezzabile vantaggio per le
loro condizioni.
4) La nostra società dovrebbe porsi il problema dell’educazione di fronte alla morte, e del
diritto alla morte, così come si
pone il problema del diritto alla
vita e ad una società più giusta.
La paura della morte, così molto diffusa nella cultura dei paesi
occidentali e ad alto sviluppo,
non ci sembra disgiunta dai sistemi di produzione e di accumu
lazione e dai modelli di vita im
posti dalle classi che detengono
il potere economico in quei paesi. A ciò bisogna aggiungere che
nei paesi in cui la maggioranza
della popolazione si dichiara
cristiana, si è perso (per colpa
dell’istituzione ecclesiastica che
ha spesso predicato dei « valori »
anziché il vangelo) il senso della
speranza evangelica che è liberazione da ogni potere, anche da
quello della morte.
5) Pensiamo che si dovrebbe
maggiormente esaminare il problema di quei medici che affrettano la morte di malati certamente inguaribili che chiedono di
porre fine alle loro atroci sofferenze; e questo al fine di evitare
ingiuste condanne penali per
quei sanitari che pure si pongono
di fronte alla loro coscienza, in
un atteggiamento di responsabilità e di servizio anziché di critica obbedienza a leggi e principi. A questo proposito riteniamo
non ci sia sostanziale differenza
tra « eutanasia passiva e attiva »,
cioè tra rastensione terapeutica
e l’intervento attivo del medico.
Tuttavia, come comunità, non ci
sentiamo di esprimere un giudizio definitivo su questo problema.
6) Non si deve considerare
Teutanasia (morte pietosa) come
un trattamento che abbandona,
uccide l’ammalato; questo ci pare riduttivo ed equivoco perché
esiste una sorta di abbandono e
di noncuranza dell’ammalato che
si manifesta quotidianamente in
molti luoghi di cura anche nel
nostro paese: trascurare l’ammalato, trattarlo come un numero
o come un « caso più o meno
interessante », non dargli attenzione né curarsi dei suoi bisogni, non fargli sentire la solidarietà di chi è sano, tutto questo
è già togliere la vita al malato.
7) Per quanto riguarda la
cappellania negli ospedali pubblici italiani, i malati dovrebbero
ricevere l’assistenza spirituale so
lo se consenzienti e non indistintamente come avviene nella maggioranza degli ospedali, violando
la libertà dei sentimenti di coloro che non desiderano tale assistenza. Ribadiamo che l’assistenza religiosa nei luoghi di cura
dovrebbe essere sostenuta economicamente dai fedeli e non dai
cittadini e dallo stato italiano.
8) Un ripensamento e una
ristrutturazione architettonici,
organizzativi ed igienici sarebbero auspicabili in molti luoghi di
cura in Italia, veri posti di emarginazione e di degrado. Ogni malato dovrebbe avere diritto alla
propria libertà fisica, psichica e
igienica, e a conservare la propria intimità, se lo desidera.
9) Aderiamo alle iniziative e
alle proposte del « Tribunale per
i diritti del malato » che si è costituito recentemente a Roma,
e che vuol essere un primo passo di un processo che vede i
malati e i cittadini impegnati
non solo sui diritti del malato,
ma anche sulla condizione della
salute nella società. E questo senza pregiudizio per la competenza
dei tribunali ordinari.
La comunità evangelica valdese e metodista di Venezia
in assemblea il 19.4.’80
CALABRIA
Questo numero
in contrassegno
Come annunciato due imesi fa,
questo numero viene inviato in
contrassegno a quanti non hanno risposto al sollecito che chiedeva un impegno a pagare al più
presto, l’indicazione dell'avvenuto pagamento o la disdetta. Su
600 morosi, circa 150 non hanno
risposto e dovranno cosi pagare
al postino L. 10.000 (compreso
il sovraprezzo del contrassegno
che supera le 1.000 lire). Ci dispiace dover far ricorso a questo
Sistema, ma non è possibile
« trascinare » abbonamenti ritardati, dimenticati, trascurati...
Del resto è un sistema non
simpatico ma neppure costrittivo: chi ha già pagato — e la
comunicazione non ci è ancora
giunta — lo respingerà.
Speriamo vivamente che una
maggiore coscienza contributiva
si sviluppi e che l'anno prossimo si sia in grado di chiudere
molto prima i rinnovi e senza
dover ricorrere al contrassegno.
DALLE CHIESE
Sicilia: “la
è di tutti”
Il consiglio del XVI circuito
(Sicilia) ha preparato e stampato un volantino pieghevole dal
titolo : « La libertà è di tutti :
una proposta delle chiese cristiane evangeliche all’uomo d’oggi ».
Questa iniziativa — attuata
nell’ambito della proposta evangelistica delle chiese battiste, metodiste e valdesi — vuole offrire
una informazione corretta sui
contenuti della lede evangelica.
Il volantino non contiene contrapposizioni polemiche nei confronti del cattolicesimo ma cerca di presentare la radicalità e
la positività dell’Evangelo all’uomo d’oggi.
I temi affrontati sono:
— L’Evangelo ci libera da una
falsa concezione della religione.
— L’Evangelo ci libera da una
falsa concezione di Dio.
— L’Evangelo ci libera da una
falsa concezione del mondo.
— L’Evangelo ci impegna per la
costruzione di una società
nuova.
— La Bibbia ci libera dalle false autorità.
— L’Evangelo fa nascere la
chiesa.
Chi è interessato a riceverne
copie può rivolgersi ai pastori
Mario Berutti (via Canterella 6,
Catania) e Luciano Deodato
(via Faraci 65, Riesi).
Evangelizzazione
BERGAMO — Fin dall’autunno, con frequenza quindicinale,
un gruppo di studio si riunisce
per studiare e dibattere i problemi della testimonianza delle chiese evangeliche nel nostro paese,
adoperando i materiali di studio
che sono stati forniti dalla Tavola Valdese. L’argomento è stato proposto alla nostra attenzione da un ordine del giorno
del Sinodo 1979, ed è evidentemente il problema centrale dell’esistenza della chiesa nel mondo. Già da molti anni, sul piano
ecumenico, si è rilevato che la
dimensione missionaria della
chiesa è la sua ragion d’essere.
Nel corso delle riunioni si sono esaminati diversi aspetti del
problema: quale è stata l’opera
di evangelizzazione delle chiese
evangeliche in Italia dal secolo
scorso ad oggi ; quale l’apporto
tipico della nostra comunità ;
quali i problemi e i tipi di testi
monianza evangelica nel nostro
ternpo; quali i ministeri e i servizi che occorre riconoscere ;
quali i rapporti tra la testimonianza individuale e la comunità
nel suo insieme.
Incontro Giovanile
ROMA — Il 20/4 si è svolta
presso la chiesa un’agape seguita da riunione, di giovani
evangelici romani. È il quarto incontro di questo tipo che si tiene
a Roma e che ha avuto una partecipazione più che doppia della
volta precedente, 80 giovani di diversa provenienza: battisti, chiese libere (anche da Ostia), pentecostali, Nazareni, Esercito della Salvezza, I.B.E., ecc. Tali riunioni non hanno niente di ufficiale o di organizzato, né luogo
fisso, né dirigenti di alcun tipo.
Il clima fraterno, Taccoglienza
calorosa reciproca, la partecipazione attiva con la quale ognuno
ha contribuito alla crescita comune (giochi, canti, testimonianze, letture bibliche, predicazione,
progetti), hanno provocato una
edificazione generale.
È stata una maniera di stabilire contatti non più a livello individuale, ma di comunità, di scambiare esperienze e soprattutto di
conoscersi. È molto importante
oggi che il giovane evangelico
non rimanga chiuso nella sua
denominatone come in una camera stagna ma, pur conservando la propria identità, si apra
a più ^perienze per evitare una
fede limitata o addirittura una
reazione a tutto Tambiente, come spesso capita. Tutti dunque
si sono ritrovati d’accordo su
questo punto; novità di vita e
unità nella diversità.
Per la volta prossima è già stata prospettata una evangelizzazione per la strada: domandiamo
a tutti di mettersi in preghiera
con fede.
NOVITÀ’
«MASSA E MERIBA»
Itinerari di fede nella storia delle Comunità di base
pp. 704, L. 17.000 (coed. «Tempi di fraternità»).
— l’atteso volume che fa il punto su 10 anni di esperienze e
di riflessioni del « dissenso » cattolico.
— Contributi di comimità, scritti di Barbaglio, Barbero, Cuminetti, Franzoni, Giudici, Piana, Ramos Regidor, Girardet, ecc.
« Il Signore è in mezzo a noi sì o no? » (Es. 17: 5-7).
CLAUDIANA - Via Pr. Tommaso 1 - 10125 TORINO
c.c.p. 20780102
NOVITÀ’
Franco BARBERO
SOLITUDINE:
BENEDIZIONE 0 CONDANNA?
Introduzione di Francesca Spano
pp. 84 (« dossier » 7), L. 2.000
— L’esperienza più frequente nella società odierna PnmA vi
vena? Un libro «vissuto» nel confronto co™la Sa e
la cultura moderna. mooia e
Ireneo BELLOTTA
ENGELS E LA RELIGIONE
Gli aspetti attuali della prima critica marxista alla religione.
Introd. di A. Donini - Pref. di S Merlo
pp. 128, L. 3.600 (P.C.M. 39)
CLAUDIANA - Via Pr. Tommaso 1 - ioi25 totìtmo
c.c.p. 20780102
I giovani
nella
comunità
Nei giorni 29 e 30 marzo ultimi
scorsi a Catanzaro si sono svolti
i lavori deH’Assemblea Regionale
dei gruppi Fgei della Calabria e
Messina.
Il programma prevedeva un
confronto sulle varie attività in
cui i gruppi locali sono impegnati, nonché l’elezione del nuovo
Comitato Regionale.
All’incontro si è notata la scarsa partecipazione dei gruppi di
Dipignano, Messina e, in modo
particolare, di Catanzaro, il quale si è preoccupato soltanto delr ospitalità, rendendosi quasi
completamente indisponibile a
seguire i lavori dell’Assemblea.
La Fgei si impegna anche ad
essere di stimolo per la riforma
della Comunità, ma non si pone
come alternativa alle Comunità
stesse, per cui è necessario risolvere le difficoltà rimanendo e lavorando all’interno.
Credo che nessun gruppo, qualunque ne siano i motivi, possa
ritenersi soddisfatto di come si
stia portando avanti la linea Fgei,
sia a livello locale che Regionale.
Se da un lato, 1’incontro è Servito a riprendere le ormai vecchie polemiche tra giovani ed
anziani della Comunità di Catanzaro, dall’altro ha fatto risaltare
lo scarso impegno, l’indisponibilità, la carente preparazione, evidenziando in modo particolare la
mancanza di una identità dei giovani e le conseguenti difficoltà,
per rendere concreta ed operante la loro testimonianza di giovani evangelici impegnati.
Il problema « giovani - anziani »
non riguarda solo la Comunità
di Catanzaro, ma tutte, comprese quelle in cui gli anziani lasciano « campo libero » ai giovani, disinteressandosi cornpletarnente se questi hanno un’attività, in che cosa sono impegnati...
Sarebbe opportuno allora rivedere il significato di « Comunità ». In una Comunità si presuppone siano presenti una varietà
di doni e ministeri, che si dovrebbero concretizzare attraverso le varie attività verso cui ogni
credente si sente più portato a
partecipare, assumendosene l’impegno; è errato, quindi, considerare l’attività giovanile come
indipendente da quelle della « Comunità »; di contro queste ultime, non devono essere d’intralcio, ma devono sostenere e incoraggiare i giovani nel lavoro che
cercano di portare avanti.
Perché il gruppo giovanile evangelico possa esistere è necessario
considerare due aspetti: da una
parte un gruppo è tale solo e se
al suo interno esistono rapporti
di amicizia, di confronto, che
stanno alla base e vanno al di là
della riunione di studio settimanale; dall’altra è necessario chiarirsi perché ci si riunisce, chi si
è, che senso ha fare un lavoro
come giovani protestanti...
I due aspetti non possono essere scissi o rimanere staccati;
senza un programma di lavoro,
un gruppo ha scarsa incisività e
poco senso perché esista; al di
fuori di un’atmosfera di affettività tale da creare « amici », un
gruppo non si coinvolge personalmente.
Solo così si possono creare dei
gruppi di credenti consapevoli e
responsabili, che si pongono davanti ai problemi in maniera critica e costruttiva, e perché tutto
ciò possa avvenire è necessario
sviluppare la disponibilità individuale e mettersi al -servizio del
gruppo, tralasciando ogni remora. Concludo queste brevi note,
augurandomi di non essere considerata da nessuno come un giudice che, al di sopra di ogni sospetto, pronuncia le sentenze sugli altri: io non sono migliore degli altri e come tutti vivo le mie
contraddizioni.
Spero vivamente infine, che
tutti i gruppi possano uscire,
una volta per tutte, dal torpore
in cui si trovano, per una responsabile, incisiva attività di
presenza evangelica nell’attuale
momento storico.
Antonella Violi
3
9 maggio 1980
UN PRIMO RESOCONTO DEI RECENTI INCONTRI
Donne evangeliche a congresso
Federazione Donne
Evangeliche in Italia
Con il tema « Impegno e testimonianza di donne evangeliche »
sulla base del versetto: « Chi
ama rifiuta l’ingiustizia, la verità è la sua gioia » (/ Cor. 13: 6),
il II congresso della Federazione
Donne evangeliche italiane si è
tenuto ad Ariccia dopo i due
congressi denominazionali, il 2627 aprile 1980. Cerano circa 130
partecipanti, tra cui 74 delegate
in rappresentanza di altrettanti
gruppi. Era presente il pastore
Densi presidente della FCEI.
Dal rapporto del comitato naz.
si nota che in 4 anni di vita
la FDEI ha iniziato a sviluppare un lavoro regionale, serve da
coordinamento per la giornata
mondiale di preghiera, collabora
alla « conferenza ecumenica europea delle donne cristiane », ha
elaborato studi sul filone dei diritti umani (ospedali psichiatrici nel quadro della riforma sanitaria, difesa dell’ambiente, anno internazionale del bambino) e
studi in vista del congresso (insegnamenti biblici e donne, il
movimento femminista, il lavoro, l’ecumenismo); attualmente
è impegnata nella divulgazione
dello studio del Consiglio ecumenico sulla « comunità delle donne e degli uomini nella chiesa »;
ha preso posizione pubblicamente a favore dei Consultori familiari (1976), contro lo spostamento di orario della rubrica televisiva «Protestantesimo» (1977);
ha organizzato una raccolta di
firme nelle comunità a favore del
disarmo in occasione della sessione speciale delle Nazioni Unite (1978); ha partecipato ad una
tavola rotonda su « la donna nella chiesa e nella società » in ambito esterno nel XII circuito; ha
firmato attraverso il MIR ed altri gruppi non-violenti una petizione delle donne argentine per
avere notizie sui familiari detenuti; è presente in comitati operanti per l’emancipazione della
donna.
Durante il congresso uno dei
punti più controversi del dibattito sull’approvazione dello statuto definitivo è stata la richiesta di indipendenza da qualsiasi
organismo ecclesiastico. Le sorelle che si sono impegnate in consulte, consultori, ecc. sulla base
dello statuto provvisorio a carattere molto autonomo, avrebbero voluto mantenere una completa indipendenza limitandosi a
caratterizzare il movimento col
nome « federazione donne evangeliche », dal momento che libertà e autonomia sono segni distintivi del nostro essere protestanti. E’ stato infine raggiunto
un accordo su un nuovo statuto
che fa esplicito riferimento alla
FCEI.
Due ordini del giorno sono stati centrati sulla lotta contro la
violenza e la pena di morte e a
favore del disarmo totale; uno è
rivolto al Consiglio nazionale;
l’altro precisa: ...la FDEI si rivolge... alle chiese perché la loro
fedeltà ail’Evangelo e quindi per
la loro missione nel mondo, promuovano iniziative concrete per
la realizzazione della pace tra i
popoli ».
Un altro ordine del giorno
chiede un impegno per l’abolizione dell’insegnamento religioso
nelle scuole di stato in quanto
tale compito spetta alla famiglia
e alla comunità.
E’ previsto un lavoro sempre
più unitario con incontri dei consigli denominazionali e il comitato FDEI, programmazione comune, studi ecc.
Nella seconda giornata, dopo
il culto con Santa Cena presieduto dalle sorelle stesse, è stata
presentata una relazione degli
studi preparatori al congresso,
seguita da una vivace discussione e scambio di esperienze sugli
impegni svolti in altri campi al
di fuori dell’ambiente ecclesiastico, ad es. a Venosa, Scicli, Civitavecchia. Quando le sorelle si
impegnano localmente « affrontando le difficoltà della gente...
con una testimonianza anche negli impegni civili... questi impegni in prima persona diventano
parola di vita » (mozione conclusiva).
Il nuovo comitato nazionale è
composto da Lidia Aquilante,
presidente. Dina Eroli e Maria
Grazia Sbaffi (metodiste), Piera
Mannuci, vice-presidente. Maria
Chiarelli, Elena Girolami (battiste). Toti Bouchard, segretaria,
Licia Cielo, cassiera, Marie-Erance Cóisson (valdesi).
Marie France Coiisson
Federaz. Femminile
Valdese e Metodista
Con una meditazione biblica,
Maddalena Costabel, la sera del
24 aprile ha dato inizio ai lavori
del XII Congresso della FFV,
svoltosi ad Ariccia presso il centro studi della CGIL-INCA, alla
presenza di delegate valdesi e
metodiste, provenienti da tutta
Italia. Tema dell’incontro: l’integrazione tra le sorelle valdesi e
metodiste ed esame dello statuto
che regola questo avvenimento.
Nel corso del Congresso, sul quale prossiiMftnente verrà data più
ampia informazione, si è discusso a lungo sugli scopi degli studi
proposti nel corso dell’anno ai
gruppi sia dalla FFV che dal
SAFM (Segretariato attività femminili metodista) rilevandone, in
positivo, il carattere formativo
in vista di un’evangelizzazione
espressa nel vivo della realtà sociale. Si è così richiesto alla
FDFI di continuare a far pervenire ai gruppi studi e proposte
che mantengano in rapporto
aspetti biblici e realtà sociale.
Come appunto lo studio dell’americana Costance Parvey, pastore
della chiesa luterana, su: « La
comunità delle donne e degli uomini nella chiesa » che verrà ripreso e ulteriormente divulgato
tra i gruppi femminili.
Nel dibattito sullo statuto, momento centrale del breve Congresso, un intervento introduttivo del past. Taccia, che ha assistito in rappresentanza della Tavola Valdese, ha messo in rilievo
l’importanza dell’integrazione valdese-metodista collegandola alle
esigenze della testimonianza fuori del nostro mondo evangelico.
Affinché l’integrazione rappresenti veramente una svolta qualita
tiva è necessario — si è detto —
che ogni gruppo pur mantenendo
la propria identità e la propria
libertà sviluppi il reciproco scambio dei doni. In questo spirito la
nuova FFVM, che è la componente più numerosa della FDEI, collegherà e svilupperà un lavoro
d’informazione tra i gruppi senza interferenze nelle singole attività e programmi. Naturalmente,
delegate valdesi e metodiste si
alternano nella nuova composizione del consiglio che il congresso ha votato alla fine dei
suoi lavori: presidente: Maddalena Costabel (v). Felónica Po;
vice-presidente: Eva Rostain
(m), Bologna; cassiera: Maria
'Tamietti (v). Torre Pellice; verbalista: Lidia Noffke (v), Livorno; rapporti con l’Eco/Luce: Carmela Manocchio (m), Napoli e
Niny Boer (v), Luserna S. Giovanni; coordinamento studi: Clara Ronchetti (v), Napoli; corrispondenza con l’estero: Letizia
Sbaffi (m), Bologna.
lozione morale sull’attività svolta dalle Unioni Femminili e, dal
dibattito che ne è seguito, è
emersa 1’« esigenza di una collaborazione sempre piu stretta ver
operare nel campo della evangelizzazione, intesa come testimonianza evangelica ed impegno:
questo ovviamente nella diversità dei doni e dei ministeri di
ognuno ».
Si è passati, poi, a discutere
sull’identità del movimento femminile in rapporto alle chiese,
airUCEBI, alla FDEI ed alla società, rilevandone l’importanza
nell’ambito delle chiese battiste,
come forza trainante e stimolo,
soprattutto in vista dell’educazione spirituale dei bambini e
dei giovani.
Inoltre si è ribadita la volontà
di collaborare con TUCEBI, pur
mantenendo l’indipendenza del
movimento stesso, e il desiderio
di continuare ad essere parte attiva della FDEI.
Si è parlato anche della nuova
suddivisione dei compiti da assegnare alle responsabili, istituen
do due nuovi incarichi: la cura
del settore-stampa, affidata alla
sorella Mercedes Ricci e la cura
della preparazione degli stampati necessari per l’offerta d’amore,
affidata alla sorella Loide Mollica.
Nel corso del convegno si è
proceduto all’elezione del nuovo
organico del movimento femminile battista. Si sono dimesse dal
loro incarico la presidente Elena Girolami e la cassiera Ada
Landi, che per molti anni, si sono dedicate al lavoro con passione e dedizione. A loro va il ringraziamento e l’apprezzamento
delle unioni femminili che troveranno sempre, in queste sorelle, un valido aiuto.
Le nuove elette sono: Mary Lu
Moore, presidente; Rosanna Di
Passa, vice-presidente; Vera Jafrate, cassiera.
Il Signore ci guidi e ci conduca, in questo programma, con la
Sua benedizione. Arrivederci al
prossimo convegno!
Lucìlia SantiUì-Bo
ROMA
Daniela Ferraro Platone
Movimento
Femminile Battista
Assemblea di CNT
Nel centro di Rocca di Papa
(Roma) si è tenuto il 25 aprile
u.s. il convegno del Movimento
Femminile Battista.
Erano presenti una cinquantina di donne provenienti dalle
Unioni Femminili Battiste di tutta Italia. E’ stata una grande
gioia ed anche motivo di arricchimento spirituale, per tutte
noi, incontrarci insieme e poterci scambiare le esperienze fatte
neH’ambito dei nostri gruppi.
I lavori sono iniziati con un
breve culto tenuto dalla presidente uscente, sorella Elena Girolami, nel corso del quale ci è
stata rivolta l’esortazione a considerare il valore dell’« essere »,
quale valore primario della vita
del credente, al posto di quello
dell’« avere », così predominante
nella vita dell’uomo (Le. 14: 25-35;
9: 1-25).
Ha avuto quindi inizio la discussione con la lettura della re
(nev) - Si è svolta il 20 aprile a
Roma l’assemblea della Cooperativa oom-nuovi tempi a r.L: circa
70 presenti, più una cinquantina
di deleghe. Anche quest’anno è
stato confermato che all’iniziativa partecipano in modo qualificato dei protestanti italiani. Così avviene nella redazione romana, dove i membri protestanti
sono Maria Bonafede, Giorgio
Girardet, Franca Long Mazzarella, Silvana Nitti e Gianna Urizio
e nelle diverse redazioni locali;
in particolare a Milano, a Bari e
a Torino, dove si cura una serie
di paginoni sulla storia del protestantesimo.
L’assemblea ha preso atto che
su un bilancio di 136 milioni il
deficit era di circa un milione e
mezzo, subito ripianato dalla sottoscrizione dei soci ed amici. Tiratura 8.500 copie in media, 5.500
abbonati, più una media di 1.800
copie vendute ogni settimana. La
cooperativa pubblica anche un
bollettino mensile in inglese,
ntc-news; il libro di sua edizione,
« L’altra metà della chiesa », di
Rita Pierre e Franca Long Maz
zarella è stato ristampato.
L’assemblea ha discusso il programma di lavoro, che comprende fra l’altro un inserto speciale
sulla funzione e il significato attuale del protestantesimo italiano, per aprire un dibattito. Sarà
fatta inoltre un’inchiesta sui lettori e sul pubblico per comprendere che cosa è cambiato a sei
anni daU’inizio di com-nuovi
tempi.
È stato eletto il Consiglio di
amministrazione, per scaduto
triennio. Ne fanno parte otto
consiglieri di cui tre protestanti
Lucia Corbo, Sandro Mazzarella
Giorgio Girardet, Mario Peyro
nel, Carlo Rubini, Rosario Moc
ciaro. Massimo Silvestri e Mas
sìmiliano Tosatti.
MAGGIO - CONFERENZA MISSIONARIA A MELBOURNE
Limiti e grandezze delie missioni
Concludiamo con questa seconda parte l’articolo di Gino
Conte « La missione attraverso i secoli » pubblicato la settimana scorsa.
Con una gamma vastissima,
che va dalla saldamente luterana
Missione di Brema alle più settarie missioni fondamentaliste
nordamericane, l’epopea missionaria evangelica del XIX sec.
reca il segno più o meno marcato
di questa matrice: ardente
passione per le anime da convertire e salvare, sradicandole però
dal loro contesto culturale (un
fatto anche comprensibile, dato
il carattere profondamente pagano di tali culture, ma che ha indubbiamente prodotto un estraniamento oggi spesso rimproverato dai cristiani del Terzo
Mondo); importanza centrale attribuita alla conversione e alla
esperienza personale della salvezza, con un’accentuata impostazione individualista (contraria
alla ricca, anche se ambigua,
esperienza comunitario-tribale);
deciso prevalere del sentimento,
dell’esperienza, della prassi etica sulla riflessione teologica, sicché si è sviluppata più la pietà
(sempre toccanti il fervore gioioso del culto, del canto indigeni! )
e la morale (il pastorato indigeno anziano è stato spesso di un
rigore morale severo, ma anche
molto tradizionale e non di rado
legalistico), più che la formazione teologica: e il fervore non ha
compensato la debole preparazione ad affrontare, con coscienza
teologica maturata e salda, le
grandi questioni culturali che i
cristiani indigeni si son trovati
davanti nei loro paesi in crescita: la ricerca deH’autenticità indigena, il confronto con le religioni, la secolarizzazione ecc. Del
resto, questo scompenso fra pietà e coscienza teologica non è as
sente nemmeno nelle chiese occidentali...
Questa riserva, che è seria, non
sminuisce l’opera profonda e durevole svolta dai missionari, non
solo con capacità e dedizione, ma
anche con rispetto per la cultura indigena: per quante tribù la
fissazione scritta della lingua e
la stesura di antiche tradizioni
orali e di saggezza indigena è
stata l’opera piena di rispetto e
di amore di missionari!
fra i quadri indigeni di tanti
paesi, i quali anzi cominciano
ad essere toccati dalla ulteriore
ondata, quella della secolarizzazione. Certo, la missione ha condiviso con tutta la chiesa cristiana la scarsa capacità di vedere
tutte le dimensioni dei problemi
umani, anche sociali e politiche;
come la sua fede, anche la sua
etica era più individuale che sociale, ’’promuoveva” più le persone che le strutture.
Melbourne un’altra assemblea,
centrata sul Regno di Dio.
Nasce la CEvAA
Nel contesto
ecumenico
Fiancheggiatori
della colonizzazione?
Sono stati i fiancheggiatori della colonizzazione, questi missionari? Certo, comparivano spesso,
anche nelle ’’stazioni” isolate, insieme al colono e al funzionario
coloniale, avevano frequenti rapporti con l’amministrazione coloniale che affidava spesso alla
missione l’attività educativa e
assistenziale. Lo volessero o no,
erano i portatori della civiltà
occidentale e non era sempre facile per l’indigeno distinguere
Evangelo e cultura occidentale.
Ma non è un caso affatto isolato
quello del governatore francese
del Madagascar che deplorava,
con un responsabile missionario:
« Abbiamo bisogno di buona mano d’opera indigena, e voi di questa gente fate degli uomini ». La
predicazione missionaria, nella
misura in cui è stata — e lo è
stata — predicazione delTEvangelo, sotto ogni forma, è stata
un fattore possente di ’’crescita”
umana ed è sintomatico, almeno
in Africa, il numero dei cristiani
Nel 1921 fu costituito il Consiglio internazionale delle missioni, che però non le raccolse tutte, bensì solo quelle più legate
alle Chiese storiche e al movimento ecumenico. Tuttavia, secondo statistiche serie, circa 2/3
delle missioni evangeliche operano fuori di quest’area! Il CIM
riunì tutta una serie di importanti conferenze missionarie, parallele alle assemblee ecumeniche.
Del resto, fin dalla Conferenza
missionaria di Edimburgo (1910)
la missione è stata una componente essenziale del movimento
ecumenico, e attraverso questo
ha riportato al centro della vita
delle Chiese la missione evangelizzatrice. Nel 1961, alTAssemblea
del Consiglio ecumenico a Nuova
Delhi il CIM confluì nel CEC, di
cui divenne una delle branche:
la Commissione per la missione
e l’evangelizzazione mondiale.
Questa nel 1973 ha tenuto a
Bangkok una importante conferenza su « La salvezza oggi », piena di vita e di contrasti; per la
prima volta in un’assise ecumenica i rappresentanti delle Chiese
del Terzo Mondo erano in maggioranza. Tra poco si terrà a
Intanto, spesso parallelamente
all’indipendenza delle rispettive
nazioni, ma spesso precedendola,
le Chiese indigene diventavano
autonome, e assumevano esse
stesse la responsabilità evangelistica, missionaria: questa grande svolta è alla base della reimpostazione dei rapporti nella
Comunità evangelica di azione
apostolica (CEvAA), dopo Tautoscioglimento della Société des
Missions Evangéliques di Parigi.
La proposta del « moratorium »,
deU’interruzione dell’invio di uomini e mezzi, affinché le ’’giovani” Chiese indigene imparino a
vivere con le proprie forze, fidando nella potenza del Signore,
benché non attuata in nessuna
Chiesa, esprime questa ansia di
crescita, e lo stesso vale in campo teologico nella ricerca, ancora parecchio a tastoni, di « teologie indìgene ». In ogni caso, sta
di fatto che molte ’’giovani”
Chiese sono ormai e saranno
in misura crescente missionarie
esse stesse, talvolta con sensibilità e passione più intense di
quelle riscontrabili in Chiese
’’storiche”.
Anche per la Chiesa Valdese
l’adesione alla CEvAA, votata dal
Sinodo 1971, ha segnato l’integrazione del compito missionario
nella vita della Chiesa in quanto
tale, senza lasciarlo più a gruppi di « amici della missione ».
Quanto quel voto si rifletta nella
vita effettiva delle chiese, nel loro interesse per Tevangelizzazione e la missione, nel sorgere di
vocazioni missionarie...è il problema che vi lascio davanti
aperto, come lo è per me.
Gino Conte
4
9 maggio 1980
CONCLUSO A TORINO IL SEMINARIO DI STORIA SUL VALDISMO MEDIEVALE
Per rimettere in questione
i’istituzione ecclesiastica
St è concluso il 17 aprile il Seminario di studi sul Valdismo
medievale che per quasi tre mesi ha interessato un vasto pubotico. Su questa iniziativa abbiamo chiesto una valutazione
« dall esterno » a Carlo Ottino, professore di storia e filoso^
al Liceo classico Alfieri nella cui aula magna si è svolto settimanalmente il seminario.
Ho seguito con molto interesse e sincera partecipazione quasi tutte le sedute del Seminario
di studi sul Valdismo medievale
e credo possibile esprimere in
proposito alcune impressioni e
giudizi: s’intende, non da indifferente, ma da profano, non solo per il fatto di vedere le cose
dairesterno delle Chiese evangeliche valdesi e metodiste, ma soprattutto nella constatazione di
non essere un esperto in materia. Debbo anzi rilevare la felice
opportunità di una simile iniziativa allo scopo di richiamare la
attenzione e gli interessi di studio su tutta la prima fase della
tormentata e complessa vicenda
valdese, dal momento che — e
10 dico anche per me, maggiormente rivolto ai problemi di storia moderna e contemporanea —
11 Valdismo è certo più noto negli eventi successivi all’adesione
alla Riforma, dalle strenue lotte
dei secoli XVII e XVIII alla lenta operosa ripresa del « ghetto
alpino » e alle nuove aperture
dopo l’emancipazione, nell’Italia
e nel mondo contemporanei.
Degno di riscoperta
In effetti il Valdismo medievale
mi pare degno di un’adeguata riscoperta, e non per il semplice gusto di un ritorno alle
radici di questa « singolare vicenda di un p>oiwlo-chiesa », al
di là degli stimoli generali e degli apporti anche seriamente divulgativi che possono provenire
da opere quali il libro di Giorgio
Tourn (con la sua prima parte
dedicata alla diaspora dissenziente » dal 1170. al 1530) o il volumetto di Franco Giampiccoli e
Carlo Rapini, L’eredità del Valdismo medievale, che non a caso
coniuga nelle tre parti di cui
consta i « dati storici » con il
« problema oggi ».
E’ una coniugazione effettivamente da fare, anche solo considerando il fatto che il Valdismo non è un reperto archeologico, una « gloria del passato »,
ma una piccola sostanziosa realtà operante che traduce l’ispirazione cristiana — di cui non è
certo unico e autorizzato portatore — nella complessità contraddittoria e critica del mondo
contemporaneo, nelle vicende religiose e politiche di una società di transizione. Pensando tra
l’altro a queste cose ho partecipato al seminario; e, prescindendo qui dai risultati conseguiti,
credo che ci abbiano abbastanza
pensato anche gli organizzatori.
Due finalità
Che cosa ne è venuto fuori?
Anzitutto l’articolazione di otto
sedute che — con l’utile sussidio
del Quaderno dell’Assessorato
per la Cultura del Comune di
Torino, positivo specialmente
per l’indicazione e il florilegio
delle fonti — hanno cercato volonterosamente di rispondere a
due esigenze: inquadrare la genesi del Valdismo nella società
medievale dopo il Mille, con il
chiarimento delle linee e tendenze della sua diaspora; porre in
evidenza i temi salienti della vita e del pensiero valdese nei loro aspetti ecclesiologici ed etici.
Sotto il primo aspetto, mi sono
sembrati rilevanti e pertinenti
i richiami alle peculiarità e differenziazioni tra « poveri di Lione » e « poveri lombardi », agli
sviluppi nell’area « alemanna » e
soprattutto all’incontro col movimento hussita che ha raffinato
e problematizzato l’elaborazione
teologica del Valdismo preparandone l’adesione alla Riforma del
1532: evento quest’ultimo che,
come ha sottolineato il prof. Valdo Vinay, è stato tutt’altro che
indolore, cancellando « tutti i caratteri tipici della pietà valdese
medievale » e segnando traumaticamente rincontro-scontro fra
due culture che ha tra l’altro lasciata aperta fino a noi la questione della conciliabilità tra il
« radicalismo » di una teologia,
quale quella originaria, fondata
sul discorso della montagna e la
teologia di stampo paolino (anche a prescindere dal particolare occamismo della posizione luterana) della giustificazione per
sola fede mediante la grazia.
Sotto il secondo aspetto, meriteranno senza dubbio discussione
e ulteriore approfondimento gli
elementi ecclesiologici enumerati da Mario Polastro, dalla libera predicazione alla scelta di
principio della povertà e alla critica anticostantiniana, che oltre
tutto proiettano nel tempo una
esigenza antigerarchica di fondo
rispecchiata in Durando d’Osca
nell’istanza essenziale che « il
Signore Gesù è il nostro vescovo »; e inoltre— con riferimento
all’apporto ai Giovanni Scuderi
— taluni elementi densi di significato non soltanto per quell’epoca, come il criterio normativo riposto nella Parola di Dio, l’etica
della responsabilità e in special
modo la radicale nonviolenza che
anticipa in chiave evangelica le
ben più tarde e non necessariamente religiose elaborazioni di
quel pregnante concetto e della
prassi conseguente. Si tratta, mi
pare, di tematiche che, al di là
di ogni possibile riserva, hanno
risvolti non meramente storici
ma attuali: e ciò non solo per
quanto può riguardare la vita
interna delle chiese e il comportamento dei loro aderenti,
bensì per rimettere in salutare
discussione il carattere stesso di
chiesa, in quanto istituzione più
o meno cristallizzata, a favore
di una ripresa del « movimento »; e altresì, ad esempio, per
proiettare i ridessi democratici
ed egualitari — religiosamente
configurati nelle origini, ma già
variamente dispersi e modificati
nei successivi sviluppi, ben prima della confiuenza nella Riforma — nei princìpi impegnanti
individualmente ciascuno e nelle stesse opzioni « laiche » di ordine politico e sociale odierno
Analisi storica e
significato presente
L’istanza di deistituzionalizzazione, prospettabile nell’intero
discorso ecumenico, è del resto
apparsa per cenni fra i tanti temi toccati, peraltro poco omogeneamente, nella Tavola rotonda
finale. A proposito della quale
mi sembra che si possa parlare di una serata che, nelle stesse differenze di impostazione e
di accentazione fra « storici » e
« teologi », ha segnato un certo
salto rispetto agli incontri di seminario ed ha messo abbastanza
in risalto le difficoltà di saldare
le considerazioni storiche sul fenomeno medievale e la valutazione del suo « significato » in
ordine al presente. Così si è sentita affermare (ed è per lo meno
opinabile) l’eredità « globale » di
quel Valdismo, con la stigmatizzazione dell’arbitrarietà delle
scelte attualizzanti: e ciò nel
quadro di alcuni argomenti specifici quali la differenza fra let
tura « storica » e lettura « simbolica » dei fatti e documenti o
la questione del « coinvolgimento emozionale o ideologico » di
chiunque ad essi si accosti, argomenti che hanno rischiato di
infirmare o almeno di incrinare
alla radice i) tema stesso della
Tavola rotonda. Ma non sono
mancati riferimenti a problemi
più generali, e assai stimolanti
per la coscienza del cristiano come del non cristiano e del non
credente, quale quello del millenario impatto drammmatico
del cristianesimo con la storia,
sempre verificatosi nel segno
della contraddizione.
Non c’è stata in definitiva una
conclusione, né poteva esserci;
ma piuttosto uno stimolo all’approfondimento e all’attualizzazione — credo proprio con le
opportune scelte e i relativi coinvolgimenti — che mi pare sintomatico possa venire dal Valdismo. Da un antico movimento,
cioè, che è diventato chiesa ma
appunto ripensando criticamente il suo passato medievale può
tentare di tradurlo, per sé e per
la realtà contemporanea non
soltanto cristiana, in istanze dinamiche non gerarchiche e non
violente certo valide a contribuire alla costruzione di un miglior
avvenire dell’uomo.
Carlo Ottino
La comunità cristiana toscana nella dialettica religiosa del ’500
Firenze: una mostra da vedere
La città di Firenze ospita fino
al 15 giugno la XVI Esposizione
d’Arte, Scienza e Cultura promossa dal Consiglio d’Europa.
Titolo: Firenze e la Toscana dei
Medici neH’Europa del ’500.
Fra le nove mostre in cui si articola l’esposizione, « La Comunità cristiana fiorentina e toscana nella dialettica religiosa del
’500 » è l’unica ad affrontare tematicamente il binomio RiformaControriforma. Sede, la Chiesa
di S. Stefano al Ponte. L’allestimento è a cura dell’Episcopato
fiorentino, ma si avvale di numerosi contributi esterni. Arnoldo
d’Addario — ordinatore della
mostra — ha infatti voluto evitare una « documentazione partigiana », attenendosi, nell’impostazione, ad un buon rigore scientifico.
La storia
visualizzata
Nell’abside, oggettistica varia,
a prevalenza cultuale: cibori!, paliotti, pissidi, reliquari, turiboli.
Le altre navate ospitano invece
lettere, documenti e pubblicazioni.
Fra i più rilevanti una versio
ne in lingua « toscana » di « Letture » (A.T. e N.T.) che l’ordinaraento liturgico dell’epoca assegnava ad ogni Festa di Precetto.
Largamente testimoniata, p>oi,
quella che può, a buon diritto,
denominarsi "Riforma Cattolica”, rivolta a un miglioramento
delle condizioni « civili e spirituali » entro cui si muovevano
gli ordini monastici e il clero regolare. Non sono però gli « abusi » quanto le « pratiche segrete »
dei religiosi toscani — magia
bianca e negromanzie — a muovere l’autorità episcopale. I provvedimenti adottati nei loro confronti risultano tuttavia, il più
delle volte, inefficaci.
Il Savonarola medesimo inveì
lungamente contro i frati dediti
alle scienze occulte, ma invano.
Intanto la Curia fa stampare
opuscoli di pietà, improntati a
difendere il decoro e la decenza,
Tordinamento familiare, la pudica moderazione, contro la « matta bestialità » incarnata dal movimento luterano.
Se in Toscana fu Lucca —
— antimedicea per eccellenza —
ad ospitare lungamente Ochino,
Vermigli e Caracciolo —^ uomini
insigni progressivamente guadagnati alla Riforma — Firenze
non mancò di svolgere la sua
TELEVISIONE
Un King laicizzato e impoverito
Diverse stazioni televisive private hanno trasmesso nel Veneto (e, non è improbabile, anche altrove) un programma intitolato « King » che segnaliamo ai nostri lettori per il particolare interesse: è una biografia del pastore Martin Luther
King.
Passato il primo fastidio di
vedere una marcia per l’integrazione o il boicottaggio degli autobus interrotti dalla pubblicità
di un brandy o di un detersivo,
il programma si segue con interesse. L’ambiente è reso bene;
l’azione ben situata nel contesto
sociale e politico ; i personaggi
seguiti nella sfera pubblica e in
quella privata; anche gli attori
hanno una buona aderenza fisica ai personaggi, o per lo meno
sono verosimili nel proprio
ruolo.
Eppure a un certo punto si comincia ad avvertire una sensazione di disagio ben più grave
che per le interruzioni pubblicitarie : che dire infatti di una biografia di Martin Luther King
completamente laicizzata, in cui
il pulpito è solo la tribuna per
i discorsi di rivendicazione civile; in cui le comunità si ritrovano nel tempio solo per organiz
zare il boicottaggio o i cortei;
in cui mancano quasi compietamente preghiere e sermoni; In
cui si parla molto della nonviolenza di Gandhi, ma mai della
nonviolenza di Cristo; in cui il
pastore King vince i momenti
di dubbio e di sconforto con la
sua sola forza di volontà, mentre da altre sue biografie — prima fra tutte quella della moglie, che pure è seguita in vari
particolari — sappiamo che era
il cristiano travagliato che riacquistava forza nella preghiera;
in cui perfino delle bambine della Scuola Eiomenicale massacrate da una bomba gettata in chiesa si dice — forse un errore della traduzione italiana — che
« frequentavano un doposcuola »?
Anche il concetto di nonviolenza è grandemente impoverito :
nel telefilm è vista solo come
metodo, certo di valore morale.
ma sfugge completamente il suo
significato attivo, di amore cristiano, di « agape ».
Ma « King » è la biografia dell’oratore King, non del predicatore King, deirattivista politico
King, non del pastore King; del
laico King, non del cristiano
King; dell’eroe King, anche, ma
non del credente King. Ora,
King è stato anche l’oratore, l’uomo politico, l’uomo impegnato
nel mondo, l’eroe ; ma è stato anche e soprattutto il cristiano,
anzi, è stato un oratore, un uomo politico, un uomo impegnato, un eroe, proprio perché cristiano. Togliere dalla sua biografia la caratteristica di uomo di
fede, non significa solo tagliare
un lato della sua personalità, ma
svisarla completamente, come
togliere il significato di amore
attivo alla non-violenza significa
non comprenderne tutta la portata.
Vorrei aggiungere un’altra considerazione. Le uniche manifestazioni religiose mantenute nel
filmato sono dei grandi « amen »
con cui le comunità punteggiano
i discorsi di Martin Luther King,
e il canto di un paio di inni e
Spirituals, il cui significato però sfugge, essendo naturalmente
cantati in inglese; viene cioè accentuato, in queste comunità negre, il lato più emotivo e sentimentale; perciò, se da una parte ci viene presentata una piccola minoranza di organizzatori
(Andy Young, King), dall’altra
la maggioranza della gente di
colore ci viene mostrata indirettamente secondo una vecchia
formula razzista: il negro emotivo e irriflessivo, che canta e
sospira, che agisce, magari, se
guidato, ma che non pensa. Sappiamo al contrario che per le
sue comunità di Montgomery e
di Atlanta il pastore King aveva
scritto la maggior parte dei suoi
sermoni più significativi ; pur nel
clima emotivo delle chiese del
profondo Sud, perciò, non si limitava, come sembrerebbe nel
telefilm, a far leva sul lato sentimentale della fede dei suoi parrocchiani, ma ne stimolava piuttosto la riflessione e ne coltivava
la conoscenza. Anche qua, perciò, un’omissione rende la descrizione parziale e riduttiva.
Ben vengano, dunque, sulle televisioni statali o private, biografie di questo genere; ma solo se presentano i personaggi
con quanta più completezza possibile, senza ridurli e senza svisarli.
Roberta Colonna Romano
parte. Le opere del monaco wittenberghese — tradotte in lingua italiana generalmente a Venezia — trovarono infatti pronta
diffusione anche aH’interno del
granducato. Nasce allora, per
reazione una violenta libellistica
curiale, che demonizza gli avversari prima di confutarne le tesi.
Dietro questa, prendono vigore
gli studi sull’eresia: appositi manuali « adversus Haereses » compendiano gli « errori » di scismatici e settari nel Cristianesimo
primitivo e nel Medio Evo.
Medici e papato:
tensioni e cautele
Fra i Medici e la Corte di Roma — nonostante i Pontefici della Casata — non mancarono le
tensioni. Galilei, Pico e Ficino —
lungamente invisi all’autorità ecclesiastica — trovarono a Firenze rifugio; protezione, assistenza.
Né si può dire che Tentourage
paganeggiante — un paganesimo
greco, ispirato alle forme e ai valori della classicità — di un Cosimo o di un Ferdinando, venisse
favorevolmente accolto daH’episcopato.
I Granduchi rimangono, tuttavia, « Sovrani Cattolici » a pieno
diritto; ne testimonia la ben documentata sollecitudine ch'essi
pongono a Bologna prima, ed a
Trento poi, nel seguire le fasi del
Concilio.
I diplomatici toscani accreditati in quella sede vengono scelti fra i più esperti, ed inviano
periodicamente al sovrano — ove
questi non sia presente ai lavori
del Concilio — precisi e dettagliati resoconti. I Medici temono
infatti un blocco delle frontiere,
le cui inevitabili ripercussioni
commerciali danneggerebbero
non poco l’economia di scambio
fiorentina garanzia unica dell’espansione produttiva e del benessere sociale.
Nella mostra carteggi, documenti, autografi risultano direttamente leggibili: le teche presentandoli in successione cronologico-tematica, ne agevolano la
visione.
Nonostante il successo di critica e di pubblico, notevole, ci sono tuttavia alcuni rilievi da
muovere a questo impianto. Innanzitutto quello di « situare »
l’oggetto, la voce di catalogo, senza inquadrarlo connettendolo ad
un « ambiente ». Manca cjoè un
« discorso generale » inevitabilmente arbitrario, ma efficace.
Comprendere un fenomeno storico significa infatti, esaminando
una mostra, passare da una visualizzazione aH’intendimento. Ed
in questo caso varrebbe la pena
fornire ai visitatori un supporto
storico-critico più consistente.
Enrico Benedetto
5
9 maggio 1980
UN’INTERVISTA A MARIO MIEGGE SULLA FIGURA DEL FILOSOFO FRANCESE RECENTEMENTE SCOMPARSO
Jean-Paul Sartre: il coraggio della speranza
Le idee di Sartre presentano un grande interesse in un tempo in cui vengono ridimensionati molti miti sullo Sviluppo e il Progresso storico e in cui riemerge l’attenzione (non necessariamente reazionaria) per il ’’soggetto”
^ « > IV ! Sartre e ì comunisti
Jean-Paul Sartre è morto a Parigi il 15 aprile. Era giunto a 75 anni in condizioni di salute assai precarie. Negli ultimi anni aveva perso la vista: una prova durissima per un uomo che aveva passato la vita nell’impegno della scrittura. Ciò
nonostante Sartre ha continuato a lavorare con straordinaria tenacia, avvalendosi
della viva voce, delle registrazioni, e soprattutto del dialogo con i suoi amici e
collaboratori. Abbiamo posto alcune domande a Mario Miegge, che insegna filosofìa all’Università di Ferrara.
— In questi giorni si è parlato molto
di Sartre su tutti i giornali e alia televisione. Egli appare dunque un personaggio
di primo piano nella vicenda politica e
culturale del nostro secolo. Ma quelli che
hanno parlato di lui incontrano difficoltà
a definire la sua opera e pronunciano su
di essa giudizi diversi e contrastanti.
Chi era Sartre? Uno scrittore? Un filosofo? Un militante delia sinistra?
•— Sartre era tutte queste cose insieme.
Pur avendo conseguito brillantemente la
« agrégation », che apre la via all’insegnamento nelle scuole superiori, Sartre non
ha mai svolto attività di docente universitario. Le sue due principali opere filosofiche (L’être et le néant, del 1943, e la Critique de la raison dialectique, del 1960),
sono libri di non facile lettura, eccessivamente lunghi e ricchi di digressioni, non
sempre rispondenti a quei criteri di imita
sistematica che caratterizzano la scienza
accademica. La sua scrittura, esuberante
e non sempre levigata, non è neanche
quella dei grandi capolavori letterari.
L’interesse politico di Sartre è stato costante negli ultimi 35 anni, a partire dalla
seconda guerra mondiale. Sartre ha
espresso le sue posizioni nelle varie forme di scrittura: saggistica, narrativa, teatro, giornalismo. Ma non ha mai fatto parte di gruppi politici importanti. Soltanto
quand’era già vecchio, dopo il 1968, ha
svolto alcune attività che caratterizzavano un tempo la militanza nei partiti di
massa. Ma lo ha fatto, non a caso, all’interno di gruppi minoritari della nuova
sinistra francese, e questo suo impegno
diretto è apparso a molti abbastanza patetico e irrilevante.
Il filosofo
nella piazza
— Dopo la morte di Sartre, alcuni esponenti della cultura, anche italiana, hanno
sostenuto che egli non è stato un grande
filosofo. Cosa pensi di questa valutazione?
— Gli intellettuali che rilasciano i loro
giudizi ai rotocalchi farebbero bene a precisare innanzi tutto che cosa intendono
col termine « filosofo ».
L’immagine comune della filosofia rimane anche oggi quella di un discorso astruso, incomprensibile ai non addetti ai lavori, un discorso che, tutto sommato, lascia il tempo che trova, non avendo né la
certezza della Scienza né la piacevolezza
della Letteratura. Questa opinione, per
fortuna, non è condivisa da tutti. Antonio
Gramsci sosteneva che « tutti gli uomini
sono filosofi », perché la filosofia non è altro che l’impegno della riflessione sui problemi che ogni uomo incontra nella sua
storia. Nella età moderna i grandi filosofi (come Cartesio, Kant, Hegel e Marx)
sono quelli che hanno formulato in termini più stringenti e più generali, e quindi spesso forzatamente astratti, le nuove
idee che si venivano formando nell’esperienza quotidiana dei loro contemporanei,
attraverso conflitti sociali e politici che
mettevano in questione le antiche visioni
del mondo e i valori tradizionali. Questi
IN ITALIANO
Diamo un elenco delle opere di narrativa
e teatro tradotte in italiano e di alcuni dei
maggiori titoli delle opere filosofiche.
Il muro, Einaudi 1947; Le mosche Bompiani 1947: La nausea, Einaudi 1948; Il rinvio, Mondadori 1948; La morte nell'anima,
Mondadori 1954; Teatro (Morti senza tomba, La sgualdrina timorata, Il gioco è fatto,
Le mani sporche, Il diavolo e il buon Dio,
I sequestrati di Altona), Mondadori 1963;
Le parole. Il Saggiatore, 1964; L’ingranaggio, Mursia 1965; Nekrassov, Mondadori
1968; L'età della ragione, Mondadori 1972.
L’essere e il nulla, Mondadori 1958; L’antisemitismo, Comunità 1960; Critica della
ragione dialettica. Il Saggiatore 1963; Ribellarsi è giusto, Einaudi 1975; Universale
e Singolare, Il Saggiatore 1980.
pensatori hanno avuto rapporti assai diversificati con la pratica politica. Ma nel
clima delle rivoluzioni borghesi e proletarie degli ultimi tre secoli le idee filosofiche
non sono certo rimaste chiuse nelle aule
universitarie. Marx ha sostenuto che la
classe operaia era l'erede della filosofia
tedesca. E alcuni dei principali dirigenti
rivoluzionari del Novecento (come Lenin,
Mao Tse-dong e, in Italia, Antonio Gramsci) hanno un posto sicuramente rilevante
anche nella storia della filosofia contemporanea.
L’attività intellettuale di Sartre va vista
in questo quadro. La convinzione del significato politico della filosofia, maturata
in lui soprattutto dopo l’esperienza della
prigionia in Germania, ha portato Sartre a
riformulare continuamente le sue idee in
una scrittura largamente aperta al pubblico. Se pochi hanno letto L’essere e il
nulla, milioni di persone conoscono i
drammi di Sartre (in particolare Le mani sporche e II diavolo e il Buon Dio). E
i concetti fondamentali della Critica della
ragione dialettica sono stati riproposti,
negli anni '60, nelle vivaci e impegnative
discussioni e interviste del filosofo francese (per esempio quella al Manifesto
del 1969, che è stata felicemente ripubblicata da questo giornale il 17 aprile 1980).
Ma questo è stato possibile perché Sartre rifletteva con grande libertà sui drammi e sulle alternative politiche e morali
del nostro tempo. In tal modo è avvenuto che un uomo che non ha mai praticato la ricerca sociologica « sul campo » e
passava buona parte del suo tempo a
scrivere centinaia di pagine in un caffè
della Rive Gauche della Senna, ha potuto
fornire chiavi di lettura importanti per
fenomeni storici come lo stalinismo o le
rivolte studentesche della seconda metà
degli anni ’60; fenomeni di fronte ai quali
le scienze sociali ufficiali e lo stesso marxismo sono apparsi alquanto disarmati.
A 63 anni dunque Sartre, a differenza
della maggior parte degli scienziati universitari e della maggior parte dei dirigenti del movimento operaio, si è trovato
abbastanza a suo agio nei cortili della
Sorbona occupata dagli studenti del
« maggio ». Ma di questa imprevista « apocalissi » (uno dei termini che ricorrono
nella Critica della ragione dialettica, pubblicata otto anni prima) Sartre non ha
fatto un mito e neppure una occasione
di pubblicità per se stesso e per le sue
idee. Egli sapeva bene che questi sommovimenti sono di enorme importanza ma
anche di breve durata, rapidamente riassorbiti nella contraddittoria « inerzia » dei
gruppi e delle istituzioni.
Un filosofo
deli'individualismo
borghese
— Dunque tu sottolinei roriginalità dell’opera di Sartre per il suo significato
pubblico e poUtico. Ma, se riconosciamo
che Sartre ha un posto rilevante nella cultura del nostro secolo, è possibUe indicare
alcuni dei temi principali della sua riflessione filosofica, sviluppatasi su un arco di più di quarant’anni?
— Intanto bisogna dire che il pensiero
di Sartre ha avuto una cospicua evoluzione nel tempo e, se lo si vuole considerare
nel suo insieme, appare anche ricco di
contraddizioni. Ma, a mio parere, questo
non significa affatto che Sartre fosse un
pensatore incoerente. I filosofi veramente « grandi », come Platone, Kant e Hegel,
hanno rielaborato più volte la loro visione
del mondo e hanno continuato a porre
dei problemi ai loro contemporanei, ai
loro discepoli, ai loro interpreti. E proprio per questo rimangono, a distanza di
secoli, vivi interlocutori di quelli che
leggono le loro opere. Non voglio dire
con questo che Sartre abbia la statura di
Platone o di Kant! Questo nessuno lo
sostiene. Ma voglio dire che le contraddizioni presenti nell’opera di Sartre sono
vive e ricche di significato. Sono in larga
misura le contraddizioni della nostra cultura.
Sartre al tempo dsl maggio ’68
— Si potrebbe dire, allora, che Sartre,
uomo di sinistra sul piano politico, esprimeva però, sul piano filosofico, essenzialmente i temi e le contraddizioni della cultura borghese?
— È sicuramente vero che Sartre è partito dal problema dell’individuo, del soggetto, e ha continuato ad assumerlo come
punto di osservazione privilegiato. Porre
l’individuo pensante e agente, per l’appunto il « soggetto », al centro della riflessione
è una delle caratteristiche della filosofia
moderna e borghese, da Cartesio (« cogito
ergo sum ») a Kant (il filosofo della autonomia del soggetto), all’idealismo tedesco
(Fichte e Hegel) e fino all’esistenzialismo,
di cui Sartre è stato uno dei principali
esponenti.
Ma, a differenza delle filosofie dell’Ottocento, il « soggetto » di cui si occupa Sartre non è quello che « pone il mondo » e
realizza necessariamente i fini universali
dello Spirito. Il soggetto si trova ad agire in un mondo estraneo e questa estraneità caratterizza innanzi tutto i rapporti
tra gli uomini. Per Hegel (il più grande
filosofo dell’idealismo tedesco) i molti
soggetti umani si incontrano e si unificano nel lavoro dello Spirito, che non è una
astrazione intellettuale ma è la produzione di un mondo umano: economia, istituzioni politiche, arte, vita religiosa e infine la filosofia stessa, il Sapere dello Spirito. Ma in questo « lavoro » si manifesta
una trama provvidenziale. La Storia è la
manifestazione di Dio, anzi il « farsi » di
Dio. È proprio questo presupposto teologico dell’idealismo che Sartre ha sempre
respinto. È vero che nella sua prima grande opera filosofica (L’essere e il nulla)
Sartre ha sostenuto che l’uomo è « l’essere
che progetta di essere Dio ». Ma questo
progetto è destinato a fallire. Dell’idealismo però Sartre ha mantenuto il concetto che l’uomo è essenzialmente « coscienza di sé » e (come pensava Hegel) è attiva « negazione »: è il continuo movimento dell’andare-oltre; ciò che viene designato col termine « trascendenza » (non la
« trascendenza » di Dio ma il « trascendersi » dell’uomo).
— Ma allora come si spiega che Sartre abbia potuto avvicinarsi al marxismo,
che è una filosofia materialistica?
— Intanto, il marxismo è un « materialismo » molto ’’sui generis”. Marx era anche lui un discepolo di Hegel, e la sua è
una filosofia della attività dell’uomo. La
« materia » per Marx è la natura elaborata dal lavoro umano. In secondo luogo,
come ho detto prima, Sartre parte comunque dalla considerazione che l’uomo è un
essere finito, delimitato: è certo « coscienza di sé » ma lo è in quanto esiste e ha
un corpo. Ma nelle opere degli anni ’30
e ’40 Sartre descriveva un soggetto chiuso nello « scacco » della sua libertà personale. L’esperienza della guerra lo ha invece condotto ad una visione morale molto più aperta, ad una ricerca della solidarietà umana nella lotta contro la estraneazione e la oppressione dell’uomo. Sartre
paladino dei movimenti di liberazione e
difensore dei diritti umani non poteva fare a meno di modificare gli elementi più
pessimistici della sua filosofia. In questo
quadro egli sì è avvicinato al marxismo,
come concezione critica della storia e come progetto rivoluzionario.
— E tuttavia i suoi rapporti con i comunisti sono stati sempre piuttosto tempestosi. E i comunisti hanno continuato
per io più a considerarlo come un intellettuale borghese, e a respingere la sua
filosofia come xm irrazionalismo decadente!
— Sarebbe difficile qualificare come
« irrazionalismo » una rifiessione lucida
come quella di Sartre. Un « irrazionalista » non passa la sua vita a scrivere per
comunicare con gli altri e per cercare
di modificare la realtà attraverso l’impegno critico della rifiessione e la dimensione pubblica del discorso.
C’è però sicuramente un contrasto di
fondo tra la concezione della storia di
Sartre e quella che è prevalsa, fino ad
anni recenti, tra i marxisti. Sartre non ha
mai avuto una visione trionfalistica della
Storia e della Rivoluzione. Ha sempre sostenuto (e in particolare nell’opera in cui
ha maggiormente cercato di avvicinarei
al marxismo, la Critica della ragione dialettica) che i momenti di trasparenza della storia (quelli che egli chiamava « apocalissi ») sono precari e limitati nel tempo. Le rivoluzioni e i movimenti di liberazione possono realizzare ima vera solidarietà tra i soggetti, ma non durano. La
vita sociale è fatta di estraneazione, di
« perdita di sé » nella « materialità » della
prassi e delle istituzioni. Ma questa « materialità » è anche ciò che assicura la
continuità e nello stesso tempo la novità
della storia umana.
Ma non tutti i marxisti hanno avuto lo
stesso atteggiamento nei confronti di Sartre. Con i comunisti francesi, un gruppo
molto dogmatico e intollerante, Sartre ha
avuto in effetti rapporti piuttosto tempestosi. Egli si trovava molto più a suo agio
in Italia, dove Antonio Gramsci ha parlato
di « pessimismo della ragione e ottimismo della volontà ».
Con questo non intendo affatto affermare che le idee di Sartre sono indiscutibilmente valide. Penso però che esse presentano un grande interesse, soprattutto in
questi anni, in cui vengono nuovamente
ridimensionati molti miti ritardo allo
Sviluppo e al Progresso storico, e nello
stesso tempo sta riemergendo l’attenzione
per il « soggetto », che non è necessariamente un fatto reazionario!
— Se si può^dire che Sartre era legato
alla tradizione filosofica dell’idealismo,
non si può dire a maggior ragione che la
sua condotta sul piano politico era caratterizzata da im inguaribile « ideaUsmo »,
nel senso della eccessiva fiducia nella denunzia verbale della oppressione e dell’ingiustìzia? Insomma, Sartre non si compiaceva un po’ troppo nel farsi il difensore di
tutte le « cause perse »?
— Questo aspetto della attività di Sartre ha sicuramente disturbato la gente.
Sartre aveva una concezione molto elevata del compito degli intellettuali. E, come
la maggior parte degli intellettuali parigini, non era sicuramente modesto. Ma occorre riconoscere che la sua attività pubblica di denunzia (molto simile a quella, instancabile, di un altro grande intellettuale francese di due secoli fa, Voltaire), è stata caratterizzata dalla autonomia di giudizio e dalla costante ricerca
della verità. Fin dal 1945 Sartre aveva denunziato i campi di lavoro forzato in
URSS. Ma questo non gli ha impedito,
negli anni successivi, di collaborare con i
comunisti, poiché riteneva che il maggior
pericolo per la pace provenisse allora
dall’imperialismo americano. Ma, quel che
più conta, Sartre ha esercitato questo
impegno politico prima di tutto nel suo
paese, a suo rischio e pericolo. Egli ha
sfidato apertamente il colonialismo e il
nazionalismo dei francesi. Durante la
guerra d’Algeria Sartre e i suoi amici hanno collaborato con il Fronte di Liberazione Nazionale algerino, esponendosi a tutte le accuse di tradimento della Patria.
Ma non si è trattato di una «causa persa»: De Gaulle ha dovuto dar ragione al
FLN e ai filosofi dissidenti! E sarà bene
ricordare che, nei confronti della guerra
di Algeria, i comunisti francesi hanno
avuto posizioni molto meno chiare di Sartre, e molto meno efficaci sul piano politico. In quel periodo invece Sartre ha
avuto la solidarietà dei comunisti italiani, che gli hanno aperto la loro stampa
ufficiale. Cosa che non accadeva sicuramente in Francia!
{continua a pag. 10)
6
9 maggio 1980
cronaca delle valli
ALLE VALLI OGGI
PINEROLO - CONVEGNO OCCITANO
Bambino Uno tero qu© parlo
e famiglia
Recentemente un amico, impegnato anche lui in un lavoro coi
minori, sosteneva che occorrerebbe liberalizzare maggiormente la pratica dell’adozione per
quei barnbini che, pur avendo
una famiglia, sono praticamente
abbandonati e lasciati a se stessi. Si riferiva in particolare ad
alcuni dei minori accolti presso
i riostri istituti: nessuno di questi è ottano, sono tutti figli di
genitori divisi oppure di famiglie
distrutte da problemi economici,
sociali, psichici, ecc. A questi
bambini capita spesso di dover
vivere per anni e anni in istituto,
staccati dalla famiglia con la
quale hanno rapporti a volte regolari, spesso saltuari, qualche
volta inesistenti. In questo ultimo caso, diceva l’amico, sarebbe
rneglio decidere subito per l’adozione, dare cioè una vera e propria famiglia a questi ragazzi
piuttosto che farli crescere per
anni in una situazione di insicurezza affettiva e psicologica, a
metà strada tra una famiglia-fantasma e un istituto forse fin
troppo reale.
Se cosi stanno le cose — e per
troppi bambini in Italia stanno
effettivamente così — la risposta
più logica e più efficace sembra
essere appunto quella dell’adozione. Personalmente, però, penso,
che l’adozione sia uno strumento
di cui è meglio non abusare. Non
sono per l’adozione facile. Perché? Non certo per tenere in piedi l’attuale sistema assistenziale
che giustifica la presenza, altrimenti ingiustificabile, di troppi
istituti per minori in Italia. Né
tanto meno perché io non creda
alla validità dell’adozione. Anzi.
Ma proprio perché l’adozione è
una scelta seria, difficile e impegnativa che non può essere fatta
alla leggera. Ora, adozione facile significherebbe sicuramente
mercato dei bambini, nel senso
che: a) vi sarebbe il pericolo reale di sottrarre, senza criteri plausibili, bambini alle famiglie, soprattutto alle famiglie più sprovvedute sul piano economico, sociale, culturale; b) non ci sarebbe un sufficiente controllo sulle
motivazioni reali che spingono le
persone a richiedere l’adozione;
c) in ogni caso il bambino non
verrebbe trattato come una persona a tutti gli effetti ma come
un oggetto in balia di decisioni
altrui.
Detto questo, dalla mia esperienza in Convitto, osservo che il
legame affettivo, o meglio viscerale del bambino con la famiglia
naturale c’è sempre. Anche nei
casi in cui tale famiglia non è sicuramente un modello positivo.
Certo, in molti casi, gioca più
rimmagine idealizzata che la
realtà della famiglia, ma anche
quando un ragazzo è in grado di
analizzare criticamente la propria famiglia, il legame affettivoviscerale rimane... Cosa significa
questo? Che il modello familiare
è insostituibile ed eterno? Lascio
ad altri la responsabilità di affermare questo oggi, in un’epoca
e in una società che hanno messo profondamente in crisi la famiglia. Fatto sta però che attualmente, modelli alternativi alla
famiglia non esistono: i kibutzim
sono in Israele e, da noi, l’esperienza delle comuni è ancora
troppo fragile — e soprattutto
troppo spesso fallimentare —
per poter costituire un’alternativa alla famiglia. Allora?
Allora, se è vero che l’adozione
va usata solo in casi limitati, per
bambini piccolissimi, rimangono
solo le nuove forme di intervento
che sono quelle stesse assunte
dai nostri istituti per minori negli
ultimi anni: la comunità-alloggio
e /’affidamento familiare. La prima offre al bambino un ambiente e un sistema di vita qualitativamente e quantitativamente diversi dall’istituto tradizionale; tl
secondo gli offre una vera e propria famiglia in cui crescere serenamente. In ogni caso, vengono mantenuti contatti regolari
con la famiglia d’origine nella
quale, prima o poi, ritornerà.
Queste, mi sembra, sono due forme di assistenza alternativa che
rispettano, nel miglior modo possibile, i diritti del bambino.
Jean-Jacques Peyronel
Forse il fatto che alle votazioni per il Parlamento Europeo la
lista dell’Union Valdótaine che
raggruppava le minoranze linguistiche della Repubblica Italiana
abbia raccolto alcune migliaia di
voti nella zona delle vallate eccitane, ha suscitato l’interesse di
molti partiti, per cui ora le manifestazioni occitane travalicano
i confini delle valli stesse e vediamo una delle città fra le più
antiche del Piemonte storico, Pineiolo, ma posta allo sbocco delle tre vallate più a nord della zona occitana, organizzare, il 3 e 4
maggio, un convegno su Lingua
e Cultura delle Valli Occitane
« Uno tero que parlo » (una terra che parla).
Oltre a una serata ed un pomeriggio dedicati alle musiche ed
alle danze caratteristiche della
regione, la manifestazione è articolata in una mostra bibliografica di quanto si pubblica sull’argomento (letteratura, storia e linguistica), in cui la nostra Claudiana fa la parte del leone con le
sue pubblicazioni, e in due convegni culturali, il primo il sabato
pomeriggio dedicato alla lingua
e alle tradizioni ed un secondo la
domenica mattina consacrato alle esperienze nella scuola.
Nel primo, davanti a un numeroso pubblico che gremiva il salone del Municipio, sono intervenuti: G. Casca Queirazza che ha
illustrato i progressi fatti specie
in questi ultimi dieci anni nella
ricerca, sia attraverso fonti orali,
ma particolarmente attraverso
fonti di archivio, della evoluzio
PINEROLESE
Un appello a favore
dei bambini
Il Gruppo di lavoro tra operatori sociali del Pinerolese interessati ai problemi minorili lancia un appello per trovare alcune
famiglie disponibili a prendere in
affidamento dei bambini.
Ci sono attualmente due bambine di dieci anni ed una di tredici anni in istituto, senza che le
loro famiglie (disgregate) siano
in condizione di ritirarle; per
aiutare queste bambine (e altre
bambine e bambini, quando se
ne presenterà la necessità) e sottrarle così al ricovero in istituto,
si cercano delle famiglie affidatarie.
Nel Pinerolese ci sono già molti affidamenti familiari, specie in
Val Penice; il Gruppo di lavoro
degli operatori sociali sui problemi minorili, operando in collaborazione con il Tribimale per
i Minorenni, vorrebbe far conoscere al maggior numero possibile di persone questa possibilità
di svolgere un prezioso servizio,
accogliendo un bambino o un
ragazzo di un’altra famiglia in
difficoltà.
ne delle parlate dell’arco provenzale cisalpino, in particolare nelle zone di tradizione non valdese,
poiché per queste ultime è più
conosciuta l’ampia letteratura di
cui però deve ancora essere precisata l’area di origine. Corrado
Grassi che ha presentato un’ampia panoramica degli studi linguistici suirOccitania d’Italia dove
sono concomitanti tre o quattro
sistemi linguistici di cui uno, la
lingua nazionale, tende ad essere
egemonica, subordinando le altre.
Sul tema socio-linguistico si è
soffermato anche Tullio Telmon,
prendendo anche ad esempio la
tesi di laurea di Rossana Sappé
che ha svolto un’indagine sul
francese parlato a S. Germano
Ohisone dove vediamo che il 54%
degli inquisiti dichiarano di avere come lingua materna il natouà, il 16% il piemontese, il
12,2% l’italiano, il 7,6% il francese, il 5,6% un bilinguismo e il
4,5% altri sistemi linguistici. Ma
mentre il 7,6% di francofoni risultano anche essere al 100% in
grado di parlare sia l’italiano che
il piemontese e al 90% il patouà,
i parlanti le altre lingue sono bilingui o trilingui in percentuali
molto più basse.
Gianpiero Boschero ha parlato
sulle danze tradizionali, con particolare riferimento a quelle della Valle Varaita e sul ricupero
del patrimonio etnofonico. Ultimo intervento quello di Sergio
Arneodo sui metodi per inserire
l’insegnamento delle tradizioni
occitane negli ambienti socioeconomici delle nostre vallate
dove l’antico mondo contadino
tende ad essere sostituito da un
modello di vita urbano e borghese.
Più specificatamente dedicato
alle esperienze nella scuola rincontro di domenica mattina con
un primo intervento di Vittorio
Caraglio che ha delineato la storia della legislazione scolastica
dall’Unità, quando nel 1861 appena il 2,5 della popolazione parlava l’italiano, fino ai giorni nostri
in cui purtroppo, a oltre 30 anni
dalla (Costituzione non sono ancora state emanate le norme di
attuazione dell’articolo 6 che deve tutelare le minoranze linguistiche. Vanda Chiapperò e Daria
Giordano hanno illustrato le loro esperienze di insegnanti e i
metodi di insegnamento adottati.
Ugo Piton ha riferito sulla iniziativa del comune di Roure che ha
TORRE PELLICE
La donna e il lavoro
La sera del 30' aprile, nel salone comunale a Torre Pellice,
Ivetta Puhrmann del Sindacato
Unitario Confederale ha parlato
sul tema La donna e il lavoro. Il
quarto di una serie di sei incontri organizzati dalla Comunità
Montana come Corso di Formazione per Operatori ha visto la
partecipazione di una sessantina
di persone per lo più operatori.
Affrontando il problema dal
punto di vista della grande fabbrica, la Fuhrmann ha illustrato
alcuni dei problemi specifici delle donne lavoratrici in questi ultimi anni : difficoltà del reinserimento lavorativo delle donne
licenziate da industrie in crisi,
tipo quella tessile, difficoltà di
trovare momenti unificanti con
gli operai, pochi strumenti e
nessun modello salvo quello maschile per affrontare i problemi
sul lavoro, stanchezza e poco
tempo disponibile (per es. per
impegno sindacale) dovuto al
doppio lavoro. Cosìi che, anche
se il lavoro nella grande fabbrica toglie la donna dall’isolamento, le permette di discutere e
maturare, la disparità fra uomo
e donna nella società si riproduce nella fabbrica e nel sindacato.
La legge sulla parità nel diritto all’accesso al lavoro ha significato masse enormi di assunzioni femminili intorno al 1977-78.
I tentativi aziendali di selezio
Scheda sairaffidamento familiare
1) Che cos’è Taifidamento familiare?
Una famiglia si assume il compito di mantenere ed
educare, per un periodo breve o un tempo indeterminato,
un bambino o un ragazzo di un’altra famiglia in difficoltà
al fine di prevenire danni al minore e farlo star meglio
possibile « oggi » perché possa essere « domani » un adulto il più equilibrato possibile.
2) Che differenza c’è tra affidamento e adozione speciale?
L’affidamento non crea nessun legame giuridico con la
famiglia affidataria, anche quando è a tempo indeterminato.
L’adozione speciale invece rompe ogni rapporto con
la famiglia naturale del bimbo e gli dà una famiglia nuova; riguarda minori abbandonati che abbiano un’età inferiore agli otto anni, crea un vincolo simile a quello della
filiazione legittima.
3) L’affidamento è retribmto?
Sì, la famiglia affidataria riceve un contributo per le
spese che incontra per mantenere ed educare il minore
che sarà anche assicurato per infortuni, responsabilità
civile ecc.
4) Come avere dei bambini in affidamento?
Chi è interessato direttamente o conosce famiglie disponibili per il servizio-affidamento familiare è invitato a
rivolgersi al Servizio Sociale di zona, dichiarando la propria disponibilità all’affidamento ed a collaborare con il
Servizio Sociale per « far star meglio possibile » il minore.
Per rULS n. 42 (Valli Chisone e Germanasca) alla Comunità Montana Val Chisone - Pomaretto tei. (0121) 81190.
Per l’ULS n. 43 (Val Pellice) alla Comunità Montana Vai
Pellice - Servizi Sociali Torre Pellice telefono (0121)
932262/91514/91836.
Per rULS n. 44 (Pinerolo e pinerolese) al Comune di Pinerolo - Ufficio Servizi Sociali tei. (0121) 22011.
nare prima attraverso una visita
medica e ricattare poi dando alle donne i lavori più pesanti sono stati tutti e due combattuti
dal sindacato. Ma sulla questione dei lavori pesanti, le donne
hanno risposto che se erano pesanti per loro, lo erano anche
per gli operai, intavolando così,
discussioni sulla ristrutturazione
del lavoro insieme agli operai
più giovani. Malgrado i limiti
elencati sopra, l’apporto delle
migliaia di donne e giovani assunti in questi anni è stato grande nel sollevare il problema: libertà nel lavoro.
In secondo luogo, la sindacalista ha descritto il processo di
decentramento produttivo ed i
suoi effetti sulla condizione lavorativa della donna. La crisi economica ha provocato la moltiplicazione delle piccole e medie
aziende anche create dalle grandi fabbriche (es. Fiat) in ristrutturazione. La creazione di piccole fabbriche per alcune lavorazioni molto costose e molto
pericolose permette ai padroni
di evitare così, il controllo sindacale in questi settori dove vengono assunti soprattutto donne
e lavoratori in cassa integrazione. Né le leggi sul collocamento,
né il contratto di lavoro vengono rispettati, aumenta il lavoro
nero e a domicilio. Questa situazione naturalmente porta a guadagni altissimi per l’industria e
condizioni di sfruttamento di tipo ottocentesco per molte operaie.
Della situazione delle donne
nell’agricoltura invece non si sa
molto. Il sindacato non è ancora presente in questo settore se
non in qualche esperienza in
meridione.
I temi di mobilitazione delle
operaie sono passati dal problema dei servizi dell’inizio degli
anni settanta al tema della salute propria e dei consultori, un
salto visto come positivo. Ma
purtroppo, sottolinea la Fuhrmann, si va solo avanti a campagne; una volta raggiunto l’obiettivo cessa la mobilitazione e
la gestione viene lasciata ad altri.
La relazione è stata seguita da
un ricco dibattito tentando una
verifica della situazione in Val
Pellice sia di programmazione
industriale che di condizioni attuali della donna occupata in
Valle. Altri temi importanti ad
esempio il part-time, il rapporto
tra occupazione e servizi, la scarsa partecipazione nel controllo
della gestione dei servizi, come
superare lo scontro culturale tra
uomo e donna sia fuori che dentro la fabbrica sono stati dibattuti.
Judith Elliott
istituito nelle scuole del comune
dei corsi di lingua occitana. Paola Revel, della scuola media valdese di Pomaretto, descrive
l’esperienza di insegnamento dei
balli tradizionali della valle, in
particolare la « courénta » agli
allievi della 2“ e 3“ media.
A tutti gli interventi è seguito
un dibattito cui hanno partecipato molti dei presenti, indice
dell’interesse con cui il pubblico
ha seguito gli oratori.
Significativa la presenza a questo convegno del Sig. Vincenzo
Perrone, sindaco di (juardia Piemontese, accompagnato da due
ragazze guardiole nel loro tipico
costume, in rappresentanza della
lontana isola occitana di Calabria
dove ancora si parla l’antico dialetto degli immigrati valdesi.
Osvaldo Goìsson
PEROSA ARGENTINA
I diritti
dei malati
Sui diritti dei malati e dei morenti si è già detto e scritto molto, anche nelle pagine del nostro
settimanale; durante l’inverno
tutte le comunità della vai Germanasca hanno dedicato un ciclo
di riunioni a questo argomento.
Per concludere la discussione è
stato molto utile rincontro organizzato dal Consiglio del III circuito nella sala Lombardini di
Perosa.
Il tono del dibattito è stato dato dal pastore Paolo Spanu, il
quale ha sottolineato come la lotta pef l’affermazione di un diritto sia il compito della società civile, ma che ai credenti evangelici in modo particolare competa una ben più difficile serie di
doveri nel manifestare concretamente amore per chi soffre.
Il dottor Baschera, che lavora
nell’ospedale di Pomaretto, ha invece esposto il suo punto di vista su queste officine di riparazione della macchina umana che
sono gli ospedali, i grossi ospedali soprattutto, dove il paziente
si spersonalizza e diventa soltanto più un caso clinico da risolvere.
L’interesse dei presenti si è
acuito quando il medico ha parlato dell’opportunità di informare o meno i malati gravi del loro
futuro. Il malato dovrebbe avere
il diritto di sapere se lo chiede
e i morenti il diritto di non avere un’agonia prolungata oltre
ogni limite umano.
Ma che cosa si aspetta la gente da un ospedale e dal servizio
sanitario in genere? A quest’ultima domanda ha risposto il pastore Aldo Rutigliano, riferendo
il risultato di un’indagine condotta durante le riunioni quartierali nella comunità di Villasecca.
Normalmente l’ospedale di Pomaretto è gradito, soprattutto
per la possibilità di ricevere visite frequenti, ma l’opinione più
diffusa è che i ricoveri non risolvono tutti i problemi e che occorrerebbe invece una migliore
assistenza sul territorio.
Nella discussione è ritornato
con frequenza il tema della qualificazione evangelica dei nostri
ospedali e della preparazione del
personale ad un tipo di assistenza più umana e partecipe. Il dottor Dario Varese, presente tra
il pubblico ma lui stesso parte in
causa come membro della CIOV,
ha dichiarato che la Chiesa valdese, laicizzando gli ospedali, li
ha avvicinati alla popolazione
della valle, però si è anche detto
certo che l’impegno di testimonianza è possibile anche in strutture pubbliche. Non in senso
confessionale, ha aggiunto il dottor Baschera, ma in una riflessione con tutti quanti, laici e cattolici, perché il malato sia visto
sempre come un essere umano
che ha bisogno di aiuto e di
comprensione.
L. V.
1° CIRCUITO
L’Assemblea del 1° Circuito è convocata per venerdì 9 maggio a Rorà alle ore 20.30, col seguente
o.d.g.:
a) Relazione del Consiglio;
b) Varie;
c) Elezione del Consiglio.
7
maggio 1980
CRONACA DELLE VALLI
DAL CENTRO D’INCONTRO DI POMARETTO
L’alcoolismo in casa nostra
Accanto alla pagina sull'alcool, curata dal doti.
Buschera e pubblicata sul numero scorso, è interessante riferire come questo problema è sentito nel
nostro ambito. Su questo argomento un altro contributo dello stesso autore.
Di alcoolismo si è parlato al Centro d’incontro di
Pomaretto con la partecipazione di un bel gruppo
di frequentatori che si sono avvicendati in un serrato susseguirsi di interventi durati quasi tre ore. Dico questo per sottolineare
l’interesse con cui si è affrontato il problema: le
zone di montagna sono infatti investite dal fenomeno dell’alcoolismo in modo particolare per via di
una serie di fattori che qui
si concentrano con maggior frequenza che in altri
luoghi.
Si è cominciato appunto discutendo sulle motivazioni che spingono un
individuo a bere: da una
parte un gruppo che ravvisava tali motivazioni in
fattori esterni o ambientali, come ad esempio le
compagnie (in « piola » si
sta insieme e si beve); l’abitudine, magari contratta nello stesso ambiente
familiare in cui spesso tutti bevono, così che qualcuno può eccedere senza
crearsi problemi. E ancora il fatto di svolgere lavori faticosi nei campi, in
miniera, oppure il fatto
di avere il vino a disposizione perché lo si produce in proprio. Un altro
gruppo invece ha spinto la
mia analisi verso motivazioni interne, cioè individuali, additando lo stato
di insoddisfazione, i dispiaceri, le sfortune e le tristi
vicende familiari quali fattori che spingono a bere.
Un terzo gruppo sosteneva
che il bere è un vizio e
che molti bevono per soddisfare il palato, in quanto amanti del vino che è
una bevanda piacevole, e
per godere di quel certo
stato euforico che si accompagna ad una buona
bevuta.
Tutti erano concordi nell’ammettere che la nostra
società è troppo permissiva, anzi che esiste addirittura un atteggiamento di
favore verso le bevande alcooliche: si dice che il vino fa buon sangue, si beve durante le feste, si offre vino o il classico « cicchetto » agli ospiti. Per
non parlare della pubblicità: contro la propaganda
a favore degli alcoolici at
traverso radio, televisione
e giornali le voci di dissenso sono state aspre:
« condannabile, condannabilissimo... »; « Pubblicità
contro la pubblicità... »;
« Bisogna proibire la pubblicità degli alcoolici come
è stata proibita quella perle sigarette », hanno sostenuto a viva voce e con convinzione molti dei presenti.
E in tutto questo dire si
sentiva come dietro a tanta partecipazione ci fossero esperienze vissute accanto ad alcoolisti, iparenti od amici, che avevano
lasciato il segno di un rabbioso dolore. Rabbioso
perché tutti sentivano che
qualcosa si dovrebbe e si
potrebbe fare per eliminare o almeno ridurre una
piaga che miete in silenzio
e con la corpplicità di tutti tante vite umane.
Messa da parte la pubblicità, alcuni interventi
sono ritornati sull’aspetto
individuale del problema,
sottolineando come chi è
triste e depresso riesca a
trovare nel « bicchierino »
un po’ di tono ed a vedere
meno nera la vita. Questo
è anche un motivo per cui
l’abitudine a bere sta diventando più frequente tra
le donne e non risparmia
tra gli anziani quelli che
sono rimasti soli e si sentono emarginati: qui spesso il discorso si è fatto personale e carico di vibrante
sentimento.
La comprensione e la
commozione durano poco,
e qualcuno insorge sostenendo che si tratta pur
sempre di deboli, deboli di
carattere, rievocando il fiero spirito dell’Italia umbertina. Ma i più propendono per altre interpretazioni: « non bisogna colpevolizzarli », « la società è
colpevole perché non informa e inoltre con l’alcool
ci guadagna ». Ma anche
questo non soddisfa: « non
è vero che basta Tinformazione — dicono alcuni —
infatti chi è più informato
dei dottori, eppure se ne
conoscono molti che bevono... ». L’informazione dunque non basta, anche chi.
sa beve, anzi quasi tutti i
bevitori sanno che l’alcool
fa male, si è sostenuto, e
pur tuttavia continuano a
bere. Devono esserci per
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ciò cause molto importanti e gravi per cui Talcoolista, pur sapendolo, continui à distruggersi col tossico di cui non può fare a
meno. A questo punto alcuni hanno sostenuto che l’alcoolismo non può essere un
problema di sola pertinenza medica o psichiatrica,
ma che, essendo un problema sociale, appartiene
a tutta la società.
I gruppi sociali, il quartiere, la borgata, la fabbrica, la scuola, le varie associazioni devono farsene
carico, sentirsi responsabilizzati verso coloro che
hanno contratto questa
grave forma di tossicomania.
Se da un lato c’era il desiderio di una maggiore
responsabilizzazione di tutti, dall’altro si è constatato con rammarico che ben
poco si sta facendo per gli
alcoolisti: l’apparato sanitario li umilia e li colpevolizza, la famiglia li sop
porta come un peso e a
volte con vergogna li nasconde, la società li emargina ed insieme li sfrutta,
così che di alcool si continua a morire. Piano e mestamente in fondo alla sala qualcuno ha mormorato: « Siamo tutti assassini ».
Alla fine un proposito:
portare il discorso in altre sedi, là dove la gente
si riunisce, per tenere vivo
l’interesse su questo grave
problema, per cercare almeno di determinare un
cambiamento nel comportamento verso gli alcoolisti.
L’assemblea si è sciolta
mentre ancora in piccoli
gruppi la discussione continuava con immutato fervore: gli unici assenti loro, gli alcoolisti, che in
quel momento forse cercavano in fondo al bicchiere
una solitaria e traditrice
felicità.
Pierangelo Baschera
Doni CIOV
NEL MESE DI MARZO
PER I. O. V.
L. 10.000; Costabel Aldo. MI.
L. 20.000: Baccella Rosetta,
Roma.
L. 30.000: Chiesa Valdese di
Biella.
L. 50.000: Chiesa Valdese di
Prarostino.
L. 107.212: Unione Valdese di
Parigi.
PER RIFUGIO CARLO ALBERTO
L. 5.000: Lilia Malactida, Como.
L. 10.000: Pini Ernesto, Gorle;
Magliaia Lidia, Torino.
L. 25.000; La mamma in mem.
di Charles Salvagiot, Torre Pellice.
L. 30.000: Comunità Valdese di
Bari.
L. 32.000: Amici e colleghi di
Bruna, in mem. di Charles Salvagiot.
L. 50.000; Cesare Linette, in
mem. di Monnet Giovanna.
L. 52.000: In ricordo di Giacomo Codino, i compagni di lavoro
della figlia.
L. 60.000: Laura Jon Scotta,
Torino.
L. 70.000: Chiesa Valdese di
Prarostino; In mem. di Charles
e Costanza Salvagiot, Edy, Maurizio e Bruna.
L. 100.000: In mem. di Margherita Sommani, i membri di
Chiesa di Piazza Cavour, Roma.
L. 120.000: In mem. di Bartolomeo Malan, la famiglia.
L. 200.000: Rotary Club di Pinerolo.
L. 495.002; Donazione Pauline
Mazzali, New York.
PER ASILO DI SAN GERMANO
L. 5.000: Lilia Malacrida, Como; Elsa Belleard, S. Germano
Ch.; Adele, In mem. di Paolina
Bleynat.
L. 10.000: Jean Gazzoni, in memoria della mamma; Long Emilio; Forneron Silvano e Rina;
GardioI Vicino Ada; Nelda e Mercede Grosso, S. Germ.; Roberto
e fam.; Adriano e fam.; Graziella
e Nino Coucourde; Dolores e
Aldo Arese; Maria Josè e Piero
Bianciotto; Umberto e Vittorio
Reviglio; Bosio Lina ved. Bounous; la suocera di Nino Peyran; Griot Ferruccio e fam.;
Ada e Aldo.
L. 15.000: Richiardone Ada e
figli.
L. 20.000: Vairolato Maria;
SAI
AGENZIA GENERALE DI
VILLAR PEROSA
VIA NAZIONALE, 58 - TEL. 51052
1 scriveteci^
I vi risponderemo
a cura di GIORGIO GAROIOL
In questa rubrica ospitiamo le risposte dei nostri esperti ai quesiti dei lettori.
Se avete domande sui problemi più vari, dal diritto all'economia, dall’agricoltura all'urbanistica, ai servizi sociali, ma anche di
cucina, di giardinaggio e bricolage scrivete a Eco delle valli valdesi ■
Rubrica « scriveteci vi risponder emo » - casella postale - 10066
Torre Pellice. Risponderemo a Tutti sul giornale.
Per i vostri doni
Non sarebbe possibile
attraverso il giornale, sollecitare tutte le nostre opere (soprattutto quelle del
sud) ad inviare il loro nuovo c.c.p.? Io non mi fido a
mandare offerte sui vecchi
numeri. Grazie.
Evelina Pons
Torino
Abbiamo chiesto a tutte
le opere valdesi e metodiste (vedi sul calendario
‘”Valli nostre” l’elenco e i
relativi indirizzi) di segnalarci i loro numeri di conto corrente postale. Pubblichiamo le risposte finora pervenute. Non tutti sono numeri automatizzati
perché la trasformazione
del servizio non è ancora
ultimata.
Clemente, Angelina e fam.; Bertalot Gina e llda, Pinerolo.
L. 25.000: Unione Femm. S.
Germ., in mem. Fornerone Giuseppina.
L. 50.000: Peyronel llda; In 'icordo di Peyronel Luigia, i cugini di Massello; Jenny Griot Richiardone; TEV 23.3.’80.
L. 85.000: Assoc. Comm. ed
Artigiani di S. Germano, in ricordo del Sindaco Oscar Bouchard.
L. 110.000: Chiesa Valdese di
Prarostino.
PER OSPEDALE TORRE PELLICE
L. 10.000: Chiesa Valdese di
Prarostino.
L. 25.000: Lisa Maria, Torre
Pellice.
L. 60 000: Dardanelli Romolo
e Anita, Pinerolo.
L. 1CO.000; Coniugi Gallo, Torre Pellice.
L. 495.002: Donazione Pauline
Mazzoli, New York.
PER OSPEDALE POMARETTO
L. 10.000: Avondet Irene, S.
Germano; Bosio Lina ved. Bounous; Tron Enrico, Massello; Pascal Ermanno, Prali.
L. 20.000: Ughetto Giuseppina,
Moncaiieri; Bau Maria, Inv. Pinasca; Brunet M. Maddalena, Perosa Arg.; Challier M. Angela,
Fenestrelle; Scattolin Elisa, Perosa Arg.; Fanny e Mario Bleynat, S. Germano.
L. 25.COO; Ribet Flavio, Pomaretto.
L. 30.000: Vinçon Evangelina,
Roreto Chisone.
L. 35.000: Long Reynaud Letizia, Pomaretto.
L. 40.000: 1 frateiii, sorelle, cognati e cognate di Comba Paolina.
L. 42.000: I condomini di via
Cavalieri d’Italia, 54 in mem.
di Giacomo Godino, Pinerolo.
L. 50.000: Dardanelli Romolo e
Anita, Pinerolo; Barai Edoardo,
Inv. Pinasca; Long Ernesto e figli, Pramollo; Farand Luigia, Dubbione.
L. 78.000: Amici e colleghi di
lavoro di Godino Fulvio, in memoria della mamma.
L. 79.000: Chiesa Valdese di
Prarostino.
L. 110.000: Sorella, fratello,
cognate e cognato, in mem. di
Eli Travers.
L. 260.000: In mem. di Peyronel Emilio, la moglie e familiari
tutti.
assicura
Facoltà ’Valdese di teologìa, Roma ccp n. 00998005 (è lo
stesso ccp della Tavola occorre perciò specificare
« per la Facoltà »).
Istituti Ospitalieri Valdesi, Torre Pellice, ccp 22725105
(specificando a quale opera si vuole destinare il
dono: Ospedale Valdese di Torre Pellice, Ospedale
Valdese di Pomaretto, Rifugio Re Carlo Alberto di
Luserna S. Giovanni, Asilo per Vecchi di San Germano Chisone).
Istituto Medico Pedagogico « Uliveto », Luserna San
Giovanni, ccp 17277104.
Casa di Riposo «ViUa Olanda», Luserna S. Giovanni,
ccp 28628105.
Convitto Valdese, Pomaretto, ccp 13251103.
Agape - Centro ecumenico, Prali, ccp 20378105.
Asilo Valdese, Luserna S. Giovanni, ccp 18961102, c/c CRT
dip. Luserna S. G. n. 169328.
Scuola media pareggiata valdese. Torre Pellice - Ginnasio liceo pareggiato valdese. Torre Pellice - Scuola
Latina, Pomaretto, ccp 25016106 intestato a Comitato
Collegio Valdese - c/c presso I.B.I. Torre Pellice intestato Collegio Valdese n. 56760.
Casa Valdese delle Diaconesse, Torre Pellice, ccp
28243103.
Convitto Femminile valdese. Torre Pellice, ccp 30008106.
Casa evangelica metodista, S. Marzano Olivete, ccp
23/21424.
Ospedale evangelico valdese, Torino, ccp 21872106.
Centro culturale «J. Lombardini», Cinisello Balsamo,
ccp 38509204 intestato a Bogo Marcella Gìampiccoli,
via Monte Grappa 62/B 20092 Cinisello Balsamo;
c/c bancario n. 3462/0040 intestato a Sergio Gay,
Banco di Desio e della Brianza, 20092 Cinisello Balsamo.
Centro Comunitario «Pietro Andreetti», S. Fedele Intel vi ccp 18/13990.
Foresteria valdese, Venezia, ccp 12897302.
Casa valdese per la gioventù evangelica, Vallecrosia,
ccp 4/15506.
Casa di riposo « Il Gignoro », Firenze, ccp 18978502.
Istituto Evangelico « Ferretti », Firenze, ccp 5/24933.
Istituto Gould, Firenze, ccp 19830504; c/c bancario presso Cassa di Risparmio di Firenze, agenzia 2, n. 2888.
Casa valdese per ferie. Rio Marina, ccp 22/1654.
Centro evangelico di servizio. Villa S. Sebastiano (inviare vaglia postali o assegni bancari a; Domenico
Aquilante, via S. Barbara 26 - 67060 Villa S. Sebastiano).
Casa materna per bambini. Portici, ccp 13741806.
Centro sociale evangelico, Rapolla, ccp 12/2162 intestato a: Scuola materna non statale di Rapolla presso
Chiesa evangelica, via Melfi 63; 85027 Rapolla (Pz).
Asilo Infantile valdese « Il Redentore », Pachino, ccp
16/3531.
Centro diaconale « La Noce », Palermo, ccp 7/11528 Istituto-Convitto Valdese, Via G. E. Di Blasi 8,
90135 Palermo; Banco di Sicilia, ag. 3, conto n.
41/0110312 Centro Diaconale, via G. E. Di Blasi 8,
90135 Palermo.
Servizio Cristiano, Riesi, ccp 7/4093 intestato a Tullio
Vinay.
C.E.S.E. (Centro emigrazione siciliana in Europa), Palermo, c/c bancario n. 213079 Banco di Sicilia succ.
Piazza Unità d’Italia, Palermo intestato a nome di
Enrico Ciliari e Emera Napolitano.
Centro cristiano per l’infanzia - Scuola materna « Lucio Schirò », Scicli, ccp 16/1668.
Casa di Riposo, Vittoria, ccp 16/1018.
Centro Evangelico Sociale « Betania », Orsara di Puglia, ccp 12382719.
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8
CRONACA DELLE VALLI
9 maggio 1980
VERSO LE ELEZIONI - RORA’
Partecipo se sono 'toccato'
Intervista a Aladino Rivoira, muratore e cavatore, membro della Giunta
In vista delle elezioni, anziché esporre programmi
di forze politiche diverse, abbiamo ritenuto opportuno
venere alcuni problemi in situazioni concrete esposti da
persone diverse. Pubblicheremo quindi una sene di inlerviste che riguardano due piccoli comuni delle valli
Penice e Germanasca, le due Comunità montane e la
Comunità pedemontana del Pinerolese.
— Aladino, ho notato in
questi anni, con rammarico, cne la partecipazione
popolare alia vita del comune e piu o meno nulla;
come te io spieghi? h: perciie 11 comune si è rassegnato a questa situazione
senza promuovere delle iniziative per iavorire l’iniormazione e la discussione,
come in altri comuni si è
continuato a fare?
in tutti i modi di far capire
alla gente che tutti sono
responsabili.
— Quali sono a tuo avviso i problemi più urgenti
da ahrontare nei prossimi
anni?
— iV'on è facile rispondere; in fondo vorrei saperlo
ciiicnio. ve comunque da
dire che ancne qui come
un po' dappertutto Tinteresse per la cosa pubblica
nasce soltanto nel momento in cui sei toccato personalmente; per il resto la
cosa è estranea. Un motivo
è forse quello che ciascuno
ha la tendenza a non volersi assumere delle responsaDilità per evitare le ìmmaricaoiii grane; un evitare le
responsabilità che si manifesta fra gli stessi consiglieri! Qui non si può proprio parlare della sete di
potere: qui capita il contrario: ciascuno cerca di lasciare fare agli altri.
E vero che Tamministrazione non ha promosso sufficienti incontri con la popolazione. Si era cercato
di farlo alTinizio, ma visti
i risultati... la cosa è andata spegnendosi; non ricordo un solo caso in cui siano emersi dei contributi
positivi, dei suggerimenti,
delle scelte alternative rispetto a quelle proposte in
sede di amministrazione.
Certo è stato un nostro errore non insistere, cercare
— Due prima di tutto,
che non possono essere rimandati; il primo concerne la necessità di una rete
di fognature per il concentrico, il secondo, fornire
la zona delle Fucine di un
acquedotto. Quale che sia
Tamministrazione che uscirà alle prossime elezioni,
dovrà per forza confrontarsi con questi due problemi. C’è poi da ultimare il muro della piazza e
la sua definitiva sistemazione, le migliorie da apportare alla viabilità interna e, non per ultimo, la
questione del trasporto
pubblico; si tratterà di discuterne con la popolazione, verificare bene le necessità e poi prendere una
decisione. Comunque sia
si dovrà acquistare un nuovo autobus perché l’attuale
adibito a scuolabus è insufficiente.
Rorenghi al lavoro nelle cave del Bonetto.
— Che cosa dici sul turismo estivo?
familiare, domenicale, non
stabile. Certamente, data la
nostra situazione anche
questo piccolo afflusso turistico estivo (che raddoppia la popolazione locale)
crea non pochi problemi all’amministrazione: in questi anni per esempio l’acqua scarseggiava. La cosa
dovrebbe essere ora risolta
con il potenziamento delTacquedotto e con la vasca
di riserva costruita Testate
scorsa. Per la ricezione del
turismo domenicale abbiamo potuto allestire, con
l’intervento della Provincia
e della Regione, il Parco
Montano, praticamente tenuto in ordine dalla Pro
Loco. In ogni caso per questo piccolo turismo siamo
arrivati alla saturazione.
— Beh, negli ultimi anni
le cose sono cambiate notevolmente. Un tempo- il fenomeno era ristretto a chi
aveva qui una casetta, dei
parenti e basta. Oggi le cose sono cambiate; molte
case sono state ristrutturate e vengono affittate a
gente di fuori; si tratta però di un piccolo turismo
REGIONE PIEMONTE
COMUNITÀ’ MONTANA VALLI CHISONE-GERMANASCA
UNITA’ LOCALE DEI SERVIZI N 42
SERVIZIO GUARDIA MEDICA
prefestiva - festiva - notturna
Il servizio funziona:
— daiie ore 14 dei sabato alio ore 8 dei iunedì
— daiie ore 14 deiia vigiiia dei giorni festivi
aiie ore 8 del giorno successivo ai festivi;
— le notti, dalle ore 20 alle ore 8.
Il recapito del servizio è presso la
CROCE VERDE di Porosa Argentina
81000
Il servizio è gratuito per tutti i cittadini italiani e
per le persone tutelate da assistenza sanitaria internazionale;
Il servizio può essere utilizzato SOLTANTO PER
CASI DI VERA URGENZA e non per bisogni lievi: una chiamata inutile può mettere in pericolo
la vita di chi ne ha veramente bisogno;
Il servizio decorre da sabato 10 maggio 1980.
L’assessore alla Sanità
(BLANC arch. Giulio)
Il Presidente
(MACCARI dr. Eugenio)
domani ci fossero solo 3-4
bambini che la frequentano non credo che avremmo il diritto di volere una
insegnante a tutti i costi,
però se la situazione si
mantiene alTincirca sui livelli attuali sarebbe una
follia pensare di chiudere
la scuola. Senza pensare ai
rischi che comunque esistono in inverno per il trasporto. E poi, con tutti gli
insegnanti disoccupati che
ci sono in giro la cosa mi
pare proprio un controsenso.
— Se non erro, nel piano di sviluppo varato dalla
Comunità Montana, si prevede la chiusura della scuola elementare locale ed il
trasporto dei bambini a
fondo valle: qual è il tuo
parere in proposito?
— 5 anni fa, in un’intervista al Sindaco, si sottolineava il latto che Rorà « è
stato il primo comune della valle ad istituire e gestire a livello comunale il servizio di raccolta dei rifiuti », pur limitato al concentrico. Questo è vero, non
credi però che bisognerebbe trovare una soluzione
alternativa a quella attuale
che consiste nel riversare
lungo una scarpata le immondizie?
— In linea di principio
sono contrario. Certo, se
— Già, questo è un altro
grosso problema a cui non
siamo oggi in grado di dare la risposta che vorremmo. Abbiamo interessato
diverse ditte ma i costi che
ci sono stati presentati sono proibitivi. Se non fossimo in montagna, con tutti i problemi della neve,
ecc. si potrebbero considerare altre soluzioni; per
ora non ne abbiamo. Bisognerà comunque continuare a pensarci.
— Il fatto che il sindaco
non risiede in loco non
pensi che infiuisca negativamente sul problema della partecipazione e deU’interesse della popolazione?
— Non credo proprio, anzi, per la nostra situazione
credo sia un bene! In un
comune così piccolo, dove
tutti sanno tutto di tutti,
questo è un vantaggio e
per la popolazione e per il
sindaco. La cosa non ha
mai fatto problemi; forse
è una cosa positiva, permette di vedere le cose con
maggiore distacco e quindi
con maggiore imparzialità.
— Un’ultima domanda:
tu sei un credente, fai parte della chiesa valdese locale; vorrei domandarti:
vedi un qualche rapporto
tra il tuo impegno nell’amministrazione comunale ed
il tuo essere credente, oppure sono due cose che
vanno ciascuna per conto
proprio?
— Bisogna rilevare subito due cose: a Rorà la quasi totalità della popolazione residente è valdese, in
secondo luogo il comune è
molto piccolo, per cui è
scontato che alcune persone svolgano al tempo stesso attività amministrative
ed ecclesiastiche (ad esempio: membri del consiglio
comunale e del concistoro). In una diversa situazione e ad altri livelli, questo potrebbe essere una
cosa negativa e sarebbe be
Dati e cifre
Rorà è il più piccolo comune della Val Penice
(278 abitanti), nel vallone omonimo che si stacca
da Lusema lungo la strada provinciale che raggiunge il capoluogo dopo 8 Km. 1/2. Falcidiato dall’emigrazione (nel 1881 la popolazione residente era
di 762 persone; nel 1951 di 427) il comune ha comunque resistito, grazie soprattutto alle cave di
pietra (gneiss lamellare) che oggi ancora danno
lavoro a numerose famiglie (solo il 5% del materiale estratto, è però sito sul comune di Rorà). Numerosi sono i muratori, non mancano i contadini,
pochi sono coloro che lavorano in fabbrica. L’indice della mortalità è doppio o triplo rispetto alle
nascite. La popolazione residente si mantiene su livelli stabili grazie anche al rientro di alcune famiglie, in questi ultimi anni.
Il comune è gestito da una giunta socialista: il
sindaco è TArch. Piercarlo Longo, presidente della
Comunità Montana Val Pellice, il vicesindaco è il
geometra Giorgio Odetto. Gli altri tre membri della
giunta: Aladino Rivoira, Emilio Giusiano e Giorgio Durand.
ne separare nettamente le
due cose. Nel caso di Rorà
invece credo che la cosa
abbia un senso e dico perché. Se vogliamo salvaguardare ciò che ancora è rimasto del patrimonio spirituale e materiale che i
nostri padri ci hanno lasciato è necessaria questa
collaborazione, altrimenti
il rischio è che fra alcuni
anni Rorà diventi una « colonia » amministrata da
gente di fuori che con Rorà e con i valdesi non
hanno niente a che fare.
Non ci sono quindi due discorsi da fare, ma uno solo. Ed è chiaro che non è
una cosa tanto semplice: la
possibilità di non vedere il
collegamento è sempre presente e non so fino a che
punto noi stessi ne siamo
pienamente coscienti,
a cura di
Ermanno Genre
Notizie utili
Assistenza termale pensionati INPS
L’INPS di Torino comunica che, contrariamente a
quanto annunciato dalla televisione, le persone assistite
dalTINPS che hanno necessità di cure termali non dovrarmo pagare le spese alberghiere in caso di soggiorno
presso stabilimenti termali.
Infatti la cura termale ha importanza nella prevenzione delle malattie e sarebbe contradditorio con Timpostazione della riforma sanitaria che chi ha questa necessità dovesse pagare di tasca propria le cure oppure
rinunciarvi per mancanza di risorse finanziarie.
Val Chisone-Germanasca: chiusura
infrasettimanale delle farmacie
Pubblichiamo qui di seguito le giornate di chiusura
infrasettimanale delle farmacie delle valli:
San Germano: giovedì pomeriggio e venerdì mattina.
Villar Perosa: mercoledì mattina e sabato pomeriggio.
Perosa Argentina: Farmacia Casolati: mercoledì; Farmacia Bagliani; lunedì mattina e sabato pomeriggio.
Pinasca: lunedì.
Perrero: mercoledì.
Fenestrelle: mercoledì.
Mobilificio
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e trasporti funebri
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decessi
Prelievo salme da tutti gli ospedali
Trasporti in Italia e all’estero
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privativa ai trasporti nei Comuni di Torre Pellice e Luserna S. Giovanni.
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TORRE PELLICE - Via Matteotti, 8, - Tel. 932052
LUSERNA S. GIOVANNI - Viale De Amieis, 6 - Tel. 90771
BIBIANA - Via Pinerolo, 6 - Tel. 932052
PEROSA ARGENTINA - Piaiza III Alpini, 3 - Tel. 81688
MONTANARO - Piazza L. Massa, 17 - CALUSO . Via Mieheletti, 3
NOTTURNO E FESTIVO TELEF. 932051
T
9
9 maggio 1980
CRONACA DELLE VALLI
Insieme oggi per
costruire il domani
FERRERÒ - 25 MAGGIO 1980
Il quarto testo che vi proponiamo;
GIOVANNI 15: 15
Io non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi
ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere tutto quello che ho udito dal Padre mio.
Uno degli atteggiamenti più diffusi tra i membri di chiesa è quello di disinteressarsi
delle decisioni che riguardano la vita della comunità. I problemi della chiesa? Riguardano i
pastori, o al massimo gli anziani e i diaconi. L’educazione in vista della fede? E’ compito dei
monitori. E così via. Non è un atteggiamento giusto: tu sei responsabile, con tutti i tuoi fratelli. Non perché la chiesa abbia bisogno, in qualche modo, di un’opera di salvataggio, in cui
serva la generosa collaborazione di tutti i volontari. Ma perché non siamo più schiavi, ma
amici di Gesù. Siamo schiavi quando non sappiamo mai bene quello che Dio sta per fare;
quando viviamo nella segreta paura che Dio ci chiami alla resa dei conti. Siamo amici
quando comprendiamo che Dio ci ha amati in Gesù Cristo. La causa di Gesù diventa la nostra causa .Ma allora possiamo ancora disinteressarci delle decisioni comuni?
QUALE SIGNIFICATO PER UNA FESTA?
La Pentecoste è stata un momento importante, una svolta decisiva per quel pìccolo
gruppo che si riuniva attorno ai discepoli.
Proprio a quei pochi e timorosi veniva affidato un incarico la cui portata non aveva limiti: quello di annunziare l’Evangelo a tutto
il mondo, partendo da Gerusalemme. « Il Signore è veramente risuscitato e fa ogni cosa
nuova ».
A quasi 2000 anni di distanza, quest’annunzio è pervenuto sino a noi, componenti di
piccole comunità di montagna. Anche noi, in
una situazione di incertezza e di debolezza.
L’emigrazione, nel tentativo di raccogliere
qualche briciola di benessere non ha poi dato i frutti desiderati. I miti del progresso
continuo sono presto caduti e le crisi di valore oltre a quella energetica ed economica
del nostro paese, coinvolgono pesantemente
anche noi. La violenza nella quale siamo immersi è solo un sintomo di quella perdita di
ideali, di obiettivi e di sbocchi che si sperava
di aver ritrovato alla fine della guerra. Siamo quindi in una situazione in cui si pone
il problema di ricominciare da capo.
In questa realtà, sentendo la debolezza
delle nostre forze e l’enorme compito che ci
sta dinnanzi siamo tentati come la piccola
comunità di Gerusalemme di rimanere all’interno delle nostre mura.
Il messaggio che viene dalla Pentecoste è
quindi una sfida!
Può essere questa l’occasione per riscoprire una vocazione specifica rivolta a noi, comunità delle Valli?
L’annunzio di salvezza dell’Evangelo ci
chiama a questo?
Quale sarà il nostro domani di comunità
che constatano la loro debolezza ma sanno in
Chi hanno creduto?
E quale sarà il domani della società civile
di cui facciamo parte?
Riteniamo che a noi pure è stato affidato
un compito preciso come credenti e cittadini?
La festa verso cui ci avviamo è un’occasione per noi di sentirci uniti nella gioia e di
riflettere su questi interrogativi.
Gli stand che troveremo sono la fotografia
di ciò che siamo e contemporaneamente rappresentano ciò che di nuovo si muove nelle
nostre vallate.
Prossimo incontro di tutte le commissioni Mercoledì 14 maggio, ore 20.30 a Ferrerò.
La Commissione Coordinamento
Nuovo
bollettino
È in corso di spedizione il Bollettino dell’ultimo semestre del
1979 n. 146, che per una serie di
motivi indipendenti dalla volontà
del seggio esce con insolito ritardo; il n. di giugno 1980 è già
in composizione e ci auguriamo
riprendere il ritmo abituale di
pubblicazione.
• La Mostra realizzata a Torino, in collaborazione con il Museo della Montagna, ha avuto notevole successo, ringraziamo tutti coloro che vi hanno collaborato per la guida volontaria e
per l’allestimento, in particolare
i sigg. Guido Pasquet e Giorgio
Armand Pilon che hanno provveduto a smontare e trasportare
a Torino il pulpito della chiesa
dei Coppieri.
• Le notizie riguardanti la vita della Società sono state pubblicate in un apposito Notiziario
inviato a tutti i soci. Segnaliamo
due notizie di interesse generale:
Il XX Convegno Storico avrà
luogo quest’anno nei giorni divenerdì 12 e sabato 13 settembre, come tutti gli anni nella Sala sinodale a Torre Pellice. Il
programma è in fase di elaborazione e sarà comunicato quanto
prima.
La seconda iniziativa è l’organizzazione di una serata della
Società aperta al pubblico sabato 31 maggio, nel corso della
quale saranno presentate opere
recenti di storia valdese e verranno dibattuti problemi di interesse generale in vista del potenziamento della Società.
• Il prof. Armand Hugon aveva scritto, una ventina di anni
or sono, una Storia di Torre Pellice che, esauritasi rapidamente,
non è più in commercio. Ci sembra opportuno che venga ristampata in suo ricordo e come strumento di informazione per molti. Le offerte che sono state raccolte in sua memoria da amici
e trasmesse alla Società di Studi
Valdesi saranno impegnate in
questa ristampa e ci auguriamo
che altre persone si uniscano a
questa iniziativa.
LA CORALE DI VILLAR-BOBBIO IN CIOCIARIA
Capire il senso del canto
Da alcuni anni la Corale di Vii
lar-Bobbio programma, verso la
primavera, un viaggio in cui si
fondono l’interesse « turistico » e
quello di incontro con altre comunità evangeliche. Quest’anno
questo secondo aspetto l’ha fat
ta decisamente da padrone! E sì
che la Ciociaria (Basso Lazio)
non manca di attrattive turistiche!
Eppure rincontro con i membri delle piccole chiese di Ferentino, Sant’Angelo in Villa e Colleferro ha avuto il potere di far
passare in secondo piano tutto
il resto. Li scopri così vivi nella
loro fede, così impegnati, che sei
costretto a chiederti se tu, così
compassato e preoccupato di non
assumerti alcuna responsabilità,
hai il diritto di chiamarti evangelico, protestante, come loro. E
senti che il loro affetto, la loro
accoglienza, sono genuini come
il vino che ti offrono da bere.
E quando ti dicono che canterai nell’auditorium di Prosinone,
proprio quello in cui si tengono
i concerti del Conservatorio, ti
rendi conto che devi mettercela
tutta: non puoi permetterti il
lusso di cantare così così, perché
loro si aspettano di più da te, si
aspettano che tu non deluda gli
estranei che sono venuti ad
ascoltarti. E sai -che devono ca
pire il senso del tuo canto: annuncio dell’Evangelo di Gesù
Cristo.
E allora tutto il lavoro (che
ti è anche sembrato tante volte
noioso!) ti tornerà utile e sei
contento di avercela fatta.
E quando canti insieme alla
comunità riunita e scopri che
non solo i corali di Bach, ma
anche i «semplici» inni dell’innario sono belli, è una scoperta
che ti affascina.
E allora anche la sommetta
che hai speso per questo viaggio,
consumando anche i fondi che
avevi lì per ogni evenienza, ti
sembra ben spesa. E sei contento di avercela fatta.
Peccato che non tutti i componenti la Corale abbiano potuto
partecipare!
Grazie ancora, fratelli e sorelle della Ciociaria, per quanto ci
avete dato. Ci avete insegnato
molte cose, ci avete arricchiti!
Pur sapendo che non saremo
capaci di accogliervi con lo stesso calore, ci piacerebbe vedervi
l’anno prossimo qui da noi!
b. b.
Corali a Cuneo
CORALI DELLE VALLI VALDESI E DI TORINO
CUNEO - Domenica 11 maggio 1980
Programma:
ore 9.30: Ritrovo delle Corali a Cuneo, Piazza Virginio
(parcheggio PuUman e auto),
ore 10.30: S. Francesco - Culto presieduto dal Pastore
Marco Ayassot.
ore 15 : S. Francesco - Festa di Canto: Il canto corale
nelle sue espressioni:
a) di fede cristiana;
b) di presenza storica;
c) di canto popolare;
con brevi introduzioni dei Pastori Alberto Taccia e Giorgio Tourn.
La Giunta esecutiva
Assemblea Corali Valdesi
L’assemblea di cbiesa del 20
aprile ha lungamente discusso
il problema della frequenza al
culto. Anche se non bisogna mai
stancarsi di ricordare ai membri di chiesa la funzione centrale
del culto. Si è pure deciso di sperimentare l’anno prossimo un tipo di incontro aperto, con possibilità di discussione, per coloro che per motivi diversi non
partecipano al culto domenicale.
• Deputato al Sinodo per il
1980 è Renaldo Ghigo. Deputate
alla Conferenza Distrettuale Ida
Baud e Laura Turchi.
• Due persone, tra le più anziane della comunità ed entrambe di Villa, ci hanno lasciati.
Giovanni Alberto GriU aveva 89
anni, da alcune settimane era ricoverato all’ospedale di Pomaretto. Il 20 marzo, 60° anniversario del suo matrimonio, era
già molto sofferente. La moglie
Susanna Peyrot, che ha già compiuto i 90 anni ed è la più anziana della comunità, è ora privata
del suo compagno; a lei il Signore dia fede e accordi il suo
sostegno in questo tempo di distretta.
Lidia Richard ved. Perrou, di
83 anni, aveva passato la sua vita a Cugno, dove aveva perso
uno dopo l’altro il marito e i
quattro figli. Gli ultimi anni li
ha trascorsi a Villa, accanto ai
nipoti, portando la sua sofferenza con fede e dignità.
TORRE PELLICE
• L’Assemblea di Chiesa è
convocata sabato 10 alle 20,30
per discutere la contribuzione
alla Tavola per l’anno 1981.
• Venerdì, 9 alle ore 18 alla
casa Unionista si terrà una riunione di preparazione alla Missione di evangelizzazione a Cuneo in occasione della Pesta di
Canto delle Corali. ’Tutti gli interessati sono invitati a prendere parte all’iniziativa dei nostri
fratelli di chiesa.
• Domenica 11 maggio alle
ore 15 si riunisce l’Unione Femminile per ascoltare dalle delegate la relazione sul Congresso
di Ariccia.
• E’ deceduta all’età di 90 anni la signora Margherita Kertaaker ved. Micol. Alla famiglia
la comunità è vicina con simpatia fraterna.
LUSERNA
SAN GIOVANNI
Dopo alcuni mesi di infermità
e sofferenze, è deceduto nella
sua abitazione ai Nazzarotti, all’età di anni 85, Gaydou Guido
Ottavio, Cav. di V. V.
I funerali hanno avuto luogo
sabato pomeriggio nel tempio e
le numerose persone intervenute
sono state una chiara testimonianza dell’affetto che lo circondava.
Alla famiglia la comunità
esprime la sua solidarietà nel
dolore con tutta la simpatia cristiana.
• Sabato 10 alle ore 20,45 alla
Sala Albarin il Gruppo Filodrammatico Giovanile di Torre
Pellice rappresenterà ; « 2003,
guardiamoci indietro », una riflessione sulla comunità di oggi.
FRALI Concerto a Bobbio
La Corale valdese di Villar e
Bobbio terrà, venerdì 16 maggio
alle 20,45 un concerto aperto a
tutti nel tempio di Bobbio Pellice.
__________ANGROGNA
Sabato 10 maggio alle 14,30
si terranno gli esami di catechismo per i primi tre anni al Presbiterio; in serata, alle 21, s’incontra il Concistoro per Tordinaria seduta mensile.
1° DISTRETTO
Incontro
pastorale
Il prossimo incontro pastorale del 1° distretto
avrà luogo lunedì 12 maggio a Pomaretto, nelle exscuole elementari. Via Balziglia 46. Si consiglia di posteggiare le automobili davanti al tempio e proseguire a piedi,
ore 9.15: Riflessione biblica
su Isaia 28: 7-13 (B. Rosi agno).
Schede di catechismo:
Chiesa-Mondo, Famiglia,
ore 13.30: Agape anni ’80.
Questioni organizzative.
a Combatti il buon combattimento della fede, afferra la vita
eterna » (I 'Tini. 6: 11)
E’ serenamente mancata la nostra
mamma
Margherita Kerbaker
ved. Micol
Fernanda, Licia con Piero, Marco e
Miti, Frida, Adriana con Eugenio le
rivolgono un saluto riconoscente.
Torre Pellice, 2 maggio 1980
Eventuali doni in ricordo al Rifugio
Re Carlo Alberto.
AVVISI ECONOMICI
Per esigenze di fatturazione chi invia
un annuncio (economico, mortuario,
ecc.) è pregato di indicare il n. di codice fiscale personale, della chiesa,
dell’azienda, a cui la fattura va intestata.
TRASLOCHI e trasporti per qualsiasi destinazione, preventivi a richiesta : Sala Giulio, via Belfiore, 83 Nichelino, tei. (011) 62.70.463.
FOMARETTO
Mercoledì 30 aprile ha avuto
luogo il funerale del nostro fratello Genre Francesco deceduto
presso l’Ospedale Valdese di Pomaretto all’età di anni 78. La famiglia Genre era già stata colpita dal lutto. I suol due figli Gino
e Ugo, erano caduti durante la
guerra di liberazione quali Partigiani.
Ai familiari nuovamente colpiti
dal lutto nella dipartenza del marito e padre tutta la simpatia
cristiana della comunità.
• Domenica 4 maggio, durante il culto, Loredana Micol e Armando Bertetto di Perosa Argentina, hanno annunciato alla comunità presente in chiesa, la loro volontà di unirsi in matrimonio. Ai futuri sposi gli auguri sin
d’ora di felicità dalla comunità
tutta. Che lo Spirito del Signore
sia sempre presente in questo
nuovo focolare che si sta formando.
COMUNITÀ' MONTANA VAL PELLICE
SERVIZIO
GUARDIA MEDICA
notturna - prefestiva - festiva
— dal sabato ore 14 al lunedì ore 8
■— dalle ore 14 della vigilia del giorno festivo infrasettimanale alle ore 8
del giorno successivo presso l'OSPEDALE MAURIZIANO ■ Luserna San
Giovanni - TEL. 90884
— nella notte dei giorni feriali, dalle
ore 20 alle ore 8 (escluso sabato, domenica e vigilia dei festivi) presso
l'OSPEDALE VALDESE - Terre Pellice TEL. 932433.
FARMACIE DI TURNO
festivo e notturno
Domenica 11 maggio
Torre Pellice: FARMACIA MUSTON
- Via Repubblica, 25 - Tel. 31328.
Domenica 11 maggio
Luserna San Giovanni : FARMACIA
PRETI - Via Inversegni - luserna Alta
- Tel. 909060
CHIUSURE INFRASETTIMANALI
A Torre Pellice: martedì chiusa la
farmacia Muston, giovedì chiusa la
farmacia Internazionale.
A Luserna San Giovanni : mercoledì
chiusa la farmacia Preti, giovedì chiusa la farmacia Vasarìo.
AUTOAMBULANZA
Torre Pellice : Tel. 90118 - 91273
Domenica 11 maggio
AVONDET - Tel. 91418
o tei. 91288 - Vergnano "Noccioleto"
VIGILI DEL FUOCO
Torre Pellice: Tel. 91365 - 91300
Luserna S. G. : Tel. 90884 - 90205
COMUNITÀ' MONTANA
VAL CHISONE - GERMANASCA
FARMACIE DI TURNO
Domenica 11 maggio
FARMACIA DI VILLAR PEROSA
AUTOAMBULANZA
Croce Verde di Porte - Tel. 74197
Croce Verde di Perosa • Tel. 81000
10
10
9 maggio 1980
LE DROGHE CHE UCCIDONO - L’ALCOOL
Mi stavo cancellando
bicchiere dopo bicchiere
A seguito della pagina sull’alcool pubblicata la settimana
scorsa, pubblichiamo in forma anonima questa testimonianza
diretta.
Non mi è facile ricordare con
esattezza « quando » ho cominciato a bere. Credo verso i 16/17
anni, ma comunque già da prima
(verso i 14, credo) in occasione
di cene e cose simili non bevevo
certo moderatamente, nel senso
che già cercavo di ubriacarmi.
In principio il bere non solo
mi dava sensazioni piacevoli e
durature (distacco dalla realtà e
dai suoi problemi, euforia e facilità di comunicare con gli altri) ma rendeva anche estremamente naturale e semplice l’esprimermi con la scrittura ed il disegno. A tal punto che, quando
sentivo il desiderio di scrivere
o di disegnare, prima di iniziare
bevevo sempre — liquori, quando avevo soldi per comprarli,
altrimenti birra o vino con molto zucchero dentro — e continuavo a bere anche durante la
esecuzione per non perdere quel
certo stato d'animo che — credevo — mi era indispensabile
per esprimere tutto me stesso,
senza dimenticare nulla, nel lavoro.
Non mi dispiaceva affatto che
gli altri si accorgessero di « come reggevo bene » il bere: era
anzi un ottimo motivo per sentirmi (credermi) superiore o migliore, ma soprattutto diverso.
Questo della diversità a tutti i
costi è stata sempre una costante dei miei motivi reali del bere: se gli altri riuscivano ad evidenziarsi per meriti propri di
studio o di lavoro, io mi costruivo falsi meriti reggendo bene
l’alcool.
Andò avanti così per due o tre
anni, poi cominciai a non sentire più così forti e piacevoli le
sensazioni dell’ubriachezza: non
solo non riuscivo più a scrivere
o disegnare (benché ne sentissi
fortemente lo stimolo), ma erano peggiorati decisamente i miei
rapporti con gli altri, con tutti
gli altri.
Mi ero isolato parecchio: la
I poveri
(segue da pag. 1)
vizio dei poveri per abolire lo
sfruttamento.
È un cammino rischioso. Se
si seguirà Gesù si perderà la stima dei potenti di questo mondo;
e al termine del cammino c’è
forse la croce. Molti miei compatrioti dell’America del sud, che
si sono pienamente impegnati al
servizio dei poveri, hanno perduto ogni cosa a causa di questo,
anche la loro vita.
— Tutto il discorso a Melbourne sarà allora concentrato sui
poveri?
— Il tema dei poveri sarà
quello della prima sezione; ma
darà in qualche modo il tono a
tutta la conferenza. Il tema della
seconda sezione è: Regno di Dio
e lotte umane; della terza: la
chiesa testimone del regno ; della
quarta: il Cristo crocifisso mette
in questione il potere dell’uomo.
Si tratta come si vede di temi
collegati. Ora a Melbourne questi
temi che riguardano in qualche
modo tutti gli aspetti della vita
della chiesa, saranno trattati in
modo particolare sotto l’angolo
missionario.
— Ma per missione si deve intendere sempre, come in passato, un allargamento anche numerico della chiesa?
— Ovviamente ^r svolgere
un’azione missionaria è necessario che vi siano delle persone nelle chiese; tuttavia il centro della
nostra preoccupazione non deve
mai essere la chiesa, ma il regno,
cioè la salvezza del mondo. Bisogna comunque evitare una falsa
polarizzazione fra una crescita
della chiesa e il suo servizio al
mondo. Il fattore di controllo
della stessa crescita della chiesa
deve essere appunto il regno cioè
la giustizia di Dio fra gli uomini.
cosa più importante era il bere;
il resto, tutto il resto, mi interessava poco o nulla. Riuscivo
a bere molto il sabato sera, iniziando nel pomeriggio da solo e
proseguendo la sera con gli altri, in genere amici, e poi anCO;
ra di notte, a casa da solo di
nuovo.
Il fatto di bere, in sé e per sé,
non mi portava molti problemi;
del fatto che mi facesse male
non mi importava, la memoria
mi era diminuita in modo sensibile e capivo a volte con fatica ciò che leggevo o che mi dicevano. La mia attenzione era rivolta solo ed esclusivamente all’occasione per bere: prima di
parlare con una persona antipatica per prepararmi all’incontro;
prima di fare un lavoro sgradevole e dopo, per premiarmi; per
concentrarmi su qualcosa (!);
per dimenticare dopo aver litigato o discusso con qualctmo;
per ridimensionare gli effetti di
ima litigata con la mia ragazza. (...)
Mai ho pensato di smettere
di bere: mi trovavo « bene » e
non vedevo perché avrei dovuto cambiare modo di vita. In realtà, senza rendermene conto, desideravo uscire dal problema del
bere; senza accorgermene cercavo una ragione, anche una sola,
per decidermi a cambiare. Ma
da solo non riuscivo a decidere
nulla, avevo paura di tutto e di
tutti; non solo non avevo il coraggio di decidere autonomamente qualcosa, ma avevo anche perso del tutto il significato
del termine « decidere », dell’essere responsabile di me stesso
di fronte a me stesso ed agli altri. Ogni cosa mi era estranea ed al tempo stesso cercavo
di appropriarmi di tutto, calando una mia impronta su tutto
ciò che mi passava per le mani,
sia materialmente che metaforicamente. Questa era diventata
una vera e propria ansia, che
andava a sommarsi a tutte le
altre preesistenti. Inutile dire
che questo desiderio di possesso si rifletteva anche e soprattutto sugli affetti: ero geloso non
solo della mia ragazza ma anche
dei miei amici. Se qualcuno di
loro formava una nuova coppia
me la prendevo col suo partner
perché ero convinto che si portasse via qualcosa di mio. Inoltre i problemi degli altri non mi
interessavano più ed i miei mi
stavano soffocando poco a poco.
Mi stavo cancellando giorno
dopo giorno, bicchiere dopo bicchiere, e non mi importava.
Aspettavo di vedere cosa sarebbe successo di me ad un certo
punto e sotto sotto desideravo
giungere a quel « certo punto ».
Forse uno svenimento e poi qualcuno che si rendesse conto della
mia situazione, forse un mio gesto esasperato che potesse richiamare su di me l’attenzione.
Già una volta avevo picchiato
mia madre perché mi aveva rimproverato di essere arrivato a
casa ubriaco. Durante la lite che
seguì avevo cercato di uccidermi. Dopo l’ospedale entrai in cura da uno specialista e non bevvi
per qualche settimana ma il problema non era risolto perché ancora non vedevo ragioni sufficienti per decidere di non bere più,
ed inoltre l’idea di rivolgermi ad
uno specialista non era partita
da me, e la cura mi pesava come un’imposizione, un obbligo,
una punizione.
Già negli ultimi tempi della
cura avevo ricominciato a bere,
con la speranza che il mio terapeuta se ne accorgesse e mi desse una mano.
Passò un anno in cui bevvi
molto e molto spesso, direi quasi ogni sera. (...)
Fin quando una sera non misi
le mani addosso alla mia ragazza. Non le feci male (nel senso
che non la picchiai, la trattenni
solo perché, dopo averla insultata, lei voleva andarsene via).
La Chiesa Presbiteriana USA sul raid in Iran
“Non per potenza,
nè per forza...
91
ma mi terrorizzò oltre ogni immaginazione il prendere coscienza del fatto che non ero più padrone delle mie azioni, quando
ero ubriaco. Non lo ero più assolutamente, e bastava una banalità da nulla per perdere il
controllo di me. L’ira mi cancellava qualsiasi forma se non
di amore, della più elementare
prudenza. Volevo imporre la mia
forza fisica dato che non riuscivo più, parlando, ad esprimermi
compiutamente. Il fatto in sé
non gravissimo di aver messo le
mani addosso alla mia ragazza
mi spaventò talmente che appena tornato a casa telefonai al
mio terapeuta e pochi giorni dopo cominciavo la cura. Ho detto
« cominciavo » e non « ricominciavo », perché la prima volta non
ero convinto e non sentivo in me
motivi sufficientemente validi per
smettere di bere.
Ora sono passati quasi tre mesi e non ho più bevuto nulla che
sia alcoolico: niente aperitivi,
niente digestivi o caffè corretti,
niente vino a pranzo, niente liquori fuori pasto. Niente di
niente. Non mi costa fatica: per
la prima volta in vita mia ho deciso qualcosa e ne gusto il sapore di vittoria su me stesso,
sull’alcool, sugli altri. I primi
giorni era la paura di ricaderci
che mi teneva lontano dall’alcool (anche se a dire il vero non
ne sentivo il bisogno), poi la paura ha lasciato il posto alla determinazione ed alla lealtà verso
me stesso, anche se a sentirlo
può sembrare ridicolo; ho deciso
una cosa (di non bere più) ed è
quindi come se avessi promesso
qualcosa a me stesso: mancare
di parola avrebbe lo stesso sapore delle paure, degli inganni, della sconfitta di prima.
Da un po’ di tempo mi sono
accorto che la memoria comincia a funzionare meglio; capisco
meglio le cose e le persone perché posso dare loro tutta l’attenzione che ho; i rapporti con me
stesso sono più sereni, e da poco
ho sentito la gioia di non avere
più paura irrazionalmente. Per
quanto riguarda gli altri mi si
sono chiarite molto le idee: ora
non ho più quel disperato bisogno di stare con gli altri a tutti
i costi per la paura di restare
da solo (anche se, a conti fatti,
da solo lo ero sempre: un po’
per il mio isolarmi ed un po’
perché gli altri più che starmi
vicino mi erano intorno e basta); ora posso scegliere con chi
stare, come e per quanto tempo.
Non sono più geloso. Non sono
più possessivo. Lascio vivere ai
miei amici i loro amori, perché
non mi turbano più; ho un altro
rapporto col mio lavoro, che
continua a non soddisfarmi, ma
per il momento oltre ad essere
l’unico che ho, mi toglie dalle
spese, e in un certo senso mi basta. Ho anche un altro modo di
vedere lo studio: ora non lo
escludo più a priori come in precedènza, ma lo prendo in considerazione come una possibilità
a cui dare un seguito o meno,
molto serenamente.
Anche la mia ragazza si è accorta che non bevendo le appartengo molto di più, e che sono
veramente io sempre; il rapporto con lei è più soddisfacente
perché più personale e quindi
vissuto meglio; ci si parla di
più e facciamo meglio l’amore,
senza ansia da parte mia (— riesco o non riesco, questa volta? —
pensiero che mi accompagnava
sempre, quando bevevo).
Non riesco ancora a scrivere
o disegnare come vorrei, ma ho
riscoperto le possibilità enormi
delle parole e del discorso. In
breve, del dialogo.
Non ho deciso di non bere
:< mai » più. Per due ragioni: la
prima è che non mi sento di fare
programmi a lungo termine, per
ora mi basta non bere giorno per
giorno; la seconda è che saprò
di essere definitivamente uscito
dal problema quando, bevendo
vino a pranzo, o un liquore poi,
non sentirò il bisogno incoercibile di berne un altro, e poi un
altro ancora.
Pubblichiamo questa significativa presa di posizione emessa « a caldo » subito dopo l’incursione americana in Iran. L'ha
firmata il pastore Howard Rice nella sua qualità di moderatore
della 191“ Assemblea Generale della Chiesa Presbiteriana Unita
in U.S.A., anche a nome della Mission Board dell’Assemblea,
l'organismo che coordina il settore missionario presbiteriano.
Il testo è stato portato in Italia dalla Sig.a Toti Bouchard che
ha preceduto di pochi giorni il rientro del Moderatore Bouchard.
Mi rammarico che il Presidente sia stato condotto al punto di
credere che l’azione militare fosse necessaria in Iran. La morte
di otto americani aggiunge solo
del dolore alla nostra nazione.
Violenza produce violenza. Prego
che la tragedia di quest’azione ci
riconduca al riconoscimento che
solo pazienti negoziati possono
evitare ulteriori morti. Gli sforzi diplomatici devono continuare. Occorre che manteniamo la
fiducia dei nostri alleati, che trattiamo le piccole nazioni con dignità e che riconosciamo i nostri
errori passati per essere membri responsabili della comunità
mondiale.
Credo che noi come popolo abbiamo ricevuto una insolita lezione di umiltà. Siamo stati orgogliosi di essere i più forti, i più
avanzati, i più potenti e i più
ricchi. Ora noi scopriamo che siamo in molti modi vidnerabili e
che non possiamo usare il nostro
potere e la nostra forza per fare
le cose per conto nostro. Credo
che le parole « i primi saranno
ultimi » assumono un nuovo significato per noi oggi e dobbiamo ricercare una nuova comprensione di noi stessi. « Non per
potenza, né per forza, ma per lo
spirito mio, dice l’Eterno degli
eserciti » (Zaccaria 4: 6).
Howard Rice
Jean - Paul Sartre
(segue da pag. 5)
Sartre e i cristiani
— Vorrei porti un’ultima domanda sui rapporti tra Sartre e
la religione. Sartre è stato considerato un tipico rappresentante dell’ateismo contemporaneo.
E questo giudizio negativo viene
mantenuto anche in occasione
della morte del filosofo, per esempio su « L’osservatore romano ». Cosa ne pensi?
—Sartre è stato un duro critico della religione. Ed è evidente che non può essere visto di
buon occhio da quei Sacerdoti e
Vicari di Cristo che considerano
la cultura moderna (dalla riforma protestante alla rivoluzione
francese e al marxismo) come una delle principali cause dei presenti mali dell’umanità.
’Tuttavia (e questa è un’altra
analogia tra Sartre e Voltaire),
il filosofo parigino ha continuato
a utilizzare nella sua opera i simboli e alcuni termini della tradizione ebraica e cristiana. Abbiamo già menzionato « l’apocalisse ». Alcuni anni prima, nella presentazione di uno dei suoi lavori teatrali più noti (Le Diable et
le Bon Dieu), Sartre scriveva:
« Il dramma tratta, dall’inizio
alla fine, dei rapporti tra l’uomo
e Dio, o, se si preferisce, dei
rapporti dell’uomo con Tassolu
Maria
(segue da pag. 1 )
re o di una realtà da trasformare, non. sappiamo più vivere questo sentimento. Sentimento sì,
perché bisogna pur chiamarlo
col suo nome, modo di sentire,
di percepire la realtà e se stessi,
modo di leggere le cose e gli
uomini.
Per paura dell’interiorità, del
rinchiuderci in noi stessi, del
fermarci a guardare ci proiettiamo sempre in avanti, fuori di
noi, per prendere o per dare, per
dire o per fare, senza vedere che
il mistero della fede sta nel saper ricevere, più esattamente
nel lasciarsi rinnovare, trasformare, permeare da ciò che abbiamo ricevuto e riceviamo.
Maria ha ricevuto tutto, nella
misura in cui ha ricevuto il Cristo in sé, la sua riconoscenza è
totale, assoluta perché è totale
ed assoluto il dono; è dalla qualità e misura del dono fatto, cioè
dalla grazia, e non da lei stessa,
che nasce la qualità e la misura
della sua riconoscenza.
La nostra condizione non è diversa, ma i nostri occhi sono diversi, non vediamo e non sentiamo di essere creature che esistono solo in quanto ricevono.
E non solo l’Evangelo ma la sostanza della vita, dalla giornata
di sole alla serata con gli amici,
dal sorriso di un bambino al ciliegio in fiore.
Giorgio Tourn
to ». È vero che, come abbiamo
detto prima e come risulta chiaramente per l’appunto da quell’opera teatrale, l’uomo fallisce
nel suo progetto di realizzare
l’assoluto. Ma questa affermazione, che distingue Sartre dalTidealismo di Hegel, è proprio in contrasto con gli interrogativi della
fede biblica e di una «teologia
dialettica »? Non si tratta tuttavia ora di usare Sartre per fini
apologetici: di questo si occupano già molti teologi cattolici e
protestanti! È ben vero che
Goetz, il protagonista de II Dia^
volo e il Buon Dio, esprime coerentemente, nelle ultime battute,
il moralismo ateo di Sartre:
« Rimarrò solo con questo cielo vuoto sopra la mia testa, perché non ho altro modo di essere
con voi. C’è da fare questa guerra e la farò ».
Il discorso di Goetz, nel 1951,
non era rivolto ai cristiani ma
piuttosto ai comunisti, o, più in
generale, a quelli che pensano di
poter fare la Rivoluzione (il
profeta popolano Nasty e i contadini del dramma).
Dopo queste parole Sartre ha
combattuto per altri trent’anni.
E non ha mai pensato che tutte
le battaglie fossero uguali e che
l’importante fosse di affermarsi,
come « soggetto », nella lotta!
Al contrario Sartre ha scelto accuratamente le sue battaglie, riferendole sempre alla liberazione
e alla dignità dell’uomo.
Dal punto di vista della Chiesa
e'jli è sicuramente un senza-Dio.
Ma non molti uomini del nostro
tempo hanno saputo manifestare
come lui la fame e la sete della
giustizia.
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