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LA BUONA NOVELL
GIORNALE DEI,LA EV.\NGELIZZAZIONK
-wvV>^3\ArvA/^
PKE'/XO DI ASSOCIAZIONE
Ter il Uegno [franco a destinazione] 3 00 <
Per la Svlr.zera e Francia, iti........... „ 4 25
I*er r Inghilterra, id..................... 6 50
Per la Germania id.................... 5 óO
N'on si ricevono associazioni per meno di
un anno.
Andate per tutto il mondo e i»redicate TEvanpelo
(la Buona ?iovcUa) a<) ogni creatura.
Matteo xvi. Ij.
LK ASaOCIAZIONI SI lUCKVONO
In FiREsrK, (Li Leopoldo Pindli, via Tomabuoni
al Deposito di libri rcliftiosi.
In LITOEXO, via Siin Fmncesco, idem.
In Torino, via Principe Tommaso dietro ilTempio Valdese.
Nelle Pkovixcik, per mezzo di froncn-hoììi yostali, che dovranno essere inviati frane«» In Firenze, via Tomabuoni al Deposito libri religiosi.
AU’estcro, a’segueuti indirizzi; Parigi, dalla libreria C.Mcyrueig, me Rivoli;
Ginevra, dal signor E. Beroud libraio; Inghilterra, dal Bignor G. F. Muller,
Gelerai Merchant, 2G, Leadenhall Street. E. C.
SOMMAEIO
L’indemoniato dì Gadara — Lutero, IV.— I^ lettera della Madonna a’ Messinesi — Corrispondenza
della B. Novella : Brescia, 18 Settembre 1862.
L’INDEMONIATO DI GADARA
I>!ggete — Marco v, 1-8.
Gesù, nel suo amore, non ha lasciato luogo nella terra d’Israele,
che non abbia visitato. Andava attorno di città in città, c di castello
in castello, predicando ed evangelizzando il regno di Dio; iacendo
benefici, e sanando tutti coloro cli’erano posseduti dal Diavolo, jiercioccliè Dio era con lui (Luca viti, I; Atti x, 38). La contrada de’
Gadareni, situata come a parte, al mezzogiorno del piccol lago di
Gennesaret, e sulla sinistra riva del Giordano, ebbe essa pure il suo
giorno di grazia. Il Signore vi sbarcò con i stioi discepoli, per glorificare il Padre con le oi»ere della sua inesauribile carità
Oh mille volte benedetto quel giorno, nel quale il Figlio di Dio
si avvicina ai peccatori, e fa risplendere ai loro occhi le maraviglie
df.lla sua grazia! I Gadareni erano certamente indegni di ,■<1 gran
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fiivore: int» .1 dii il Signore raccorderebbe egli, se riguardasse ai
meriti deU’uomo? Ove il Signore crede trovare, egli và; tra noi come
fr.a i Gadareni, vi sono malati da guarire, indemoniati da liberare,
morti da risuscitare, poveri peccatori da salvare. Oh! che ascoltando
la sua voce, ciascuno interroghi se stesso, e dica : non sono io degno
di lui? ma di qual peccato mi confesserò! di qual male domanderò
la guarigione? Dammi, 0 mio Dio, la conoscenza della mia mi.‘ieria e de’ miei bisogni, chc le chiamate della tua carità sieno udite
dal mio cuore, e il giorno nel quale tu mi visiti pel tuo Figlio, sia
per me im giorno di grazia e di liberazione.
Molti mali sulla terra reclamano la presenza del Salvatore. Gesù
appena disceso dalla barca, ha innanzi a sè uno spettacolo dei più
dolorosi. Un %iomo ‘posseduto da uno spirito immondo, uscito dai
sepolcri, venne innanzi a Lui. Un uomo! la più eccellente creatura
che la mano di Dio ha formata per divenire l’abitazione dello Spirito Santo, per regnare un giorno con il Signore sul trono della sua
gloria, e per essere l’erede dei suoi beni; un uomo posseduto da uno
spirito immomlo! Qnal degradazione ! e tiel medesimo tempo quale
afflizione per Gesù Cristo! qual esempio dei danni cagionati <Ìal
peccato! Questo disgraziato non è più libero. Volendo scuotere
il giogo della Parola dinna, è camminato come il sno cuore lo
guidava, e i suoi occhi lo conducevano, ed eccolo caduto nel potere del diavolo, divenuto schiavo delle più vili passioni, tormentato
da una malefica potenza, dalla quale indarno cerca liberarsi. E diffìcile trovare nel mondo una jnù sorprendente e più umiliante applicazione di questa verità uscita dalla bocca del Salvatore: “ Chi
fo il peccato, è servo del peccato ” (Giov. vm, 34). Tal dominio,
ordinariamente meno apparente che in questo caso speciale, non e
frattanto meno reale: “ Volendo fare il bene, il male è appo me ”
(Rom. VII, 21), diceva l’Apostolo Paolo. E chi di noi, se ha cercato
davvero faro la volontà di Dio, non ripeterà con lui: “ Nella mia
carne non abita alcun bene: misero me, uomo! chi mi trarrà di
questo corpo di morte? (Rom. vn, 18, 24). E invero miserabile è
colui che il Figlio non ha per anche liberato da tale tirannia!
Pensate al disgraziato indemoniato di Gadara: la sua dimora è
nei sepolcri. Odia gli uomini, fugge la loro società, ne diffida e cerca
di nuocergli. Nessun altro luogo li sembra assai oscuro e assai appartato da metterlo al sicuro dei loro sguardi; è fra i morti, in
mezzo allo aride ossa e alla putredine dei sepolcri, cbe quest’es.<5ere
vivente cerca un abituro. Niuno potea te-ìierlo. Il furore di questo
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ilisgrnziato non aveva freno. Li nomini, in generale, non si abbandonano, senza ritegno alle passioni. Sono ritenuti dn leggi imiwste
loro dalla società ove sono chiamati a vivere, per rispetto alla opinione, per timore dei gastiglii, per le sociali convenienze. Ma l’abitudine dei peccato può esercitare un tale imiterò sul cuore deiruomo,
che nessuna considerazione, nè divina, nè umana, neppure la certezza di nuocere ai suoi interessi i più im{>ortanti, neanche la cer-,
tezza della morte, non giunge a contenere. Legami, catene, nulla
ritengono il furore di un peccatore divenuto maniaco. Spaventevole
stato, causa del suo tormento! Il conforto, che crede trovare lontano
dagli uomini, sulle montagne e nei sepolcri, fuggì da lui. Porta
dentro di lui il male che lo rode; e facendosi il suo carnefice, grida
e si percuote con le pietre. Grazie sien rese a l)io, che solo può arrestare lo sviluppo in noi di sì terribil male! Ah se sapessimo
quante pene, tormenti, e maledizioni sono nel peccato, con quale
ardore non diremmo ogni giorno: Padre liberaci dal maligno; con
quale allegrezza non ci getteremmo ai piedi di Colui ch’è venuto a
cercare chi era perduto!
Appena l’uomo indemoniato vide Gesù, corse, e l’adorò. La condotta
di questo sventurato è strana. Un interno sentimento l’avverte che
Gesù è il Figliuolo deH’Iddio altissimo, il Re dei re, il Santo dei
Santi. Sa che davanti a Liù il potere di Satana svanisce, e con questo pensiero viene, e si prosfema a’suoi piedi. Ma nel medesimo
tempo grida ad alta voce: “ Che v’è fra me e te, Gesù figliuolo dell’iddio altissimo. Io ti scongiuro {>er Iddio, che tu non mi tormenti.”
Se egli teme la potenza di Gesù Cristo, perchè non fuggire al suo
av\ncinarsi? Se viene a lui nella speranza di essere soccorso e liberato, perchè lo scongiura egli di lasciarlo in riposo? Il fatto è, cari
lettori, che una tal contradizione si trova nell’anima del peccatore.
Jlentre che il sentimento dei suoi bisogni lo spinge a Gesù e gli
inspira segrete preghiere, il Diavolo, con il quale confonde la sua
causa, si sforza di tentarlo, ripetendogli che il Signore non salva un
colpevole senza distruggere il peccato, idolo del suo cuore. E allora
che cosa fare? Fuggire lungi da Gesù, e rinunziare per sempre alla
s(\a grazia; egli non può risolversi; l’anima sua angosciata lui bisogno di appoggiarsi sulla salvazione che è in Cristo. Ma rinimziare
a’ suoi peccati, ai suoi cattivi pensieri, alle abitudini \nziose, alla sua
propria volontà, è troppo duro alla carne. Nella sua perplessità, gli
viene allora alla mente rendere un culto al Signore, prostrarsi a suoi
piedi, prodigargli tutti i titoli che rammentano la sua autorità e il
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siio'potere, e nel nieilesÌHio tempo snppUcailó di non iìwgli tormento,
di lasciargli almeno, in considerazione dei bnoni sentimenti dei
quali fa prova, alcuni suoi fixvoriti idoli, alcuno dei suoi vecchi peccati che impediscono alla di lui anima di gustare il riposo. Il Signore, che sci che cosa è l’icomo, rivelerà un giorno, che bene spesro
preghiere simili a questa: “Dammi la tua pace, salvami, perdoiwimi, aiutaini, ” non hanno altro significato che questo: “ Lasciami godere in riposo del mio peccato!” Oh se il Signore ci prendesse alla parola, cari lettori, da molto tempo ci avrebbe lasciati
l»erire nei nostri peccati. Che sarebbe divenuto, vi domando, l’indemoniato di Gadara, se Gesù avesse avnto riguardo ai di lui insensati desideri? Ma il Signore l’ama troppo per esaudirlo. Con la sua
l>erfetta c divina carità che sa scuoprire i bisogni i più nascosti dell’anima, dà alle nostre parole il miglior significato, il più vero, che
noi stessi neppur pensiamo, e ci guarisce malgrado le nostre grida
e le nostre supplicazioni. Lasciamolo agire senza timore, preghiamolo, dicendogli; “ Signore, liberami dalla potenza del diavolo e
salvami senza aver riguardo ai miei timori, alle mie repugnanze,
alle mie preghiere! ” Allora il giorno non sarà lontano, nel quale,
seduti in buon senno ai piedi del Salvatore, contempleremo con
adorazione tutto quello che ha fatto per noi, prendendo la nostra
difesa contro lo spirito maligno, cagione di tutti i nostri mali.
Sii benedetto, Salvatore onnipotente e buonissimo, di ciò che
lungi dal distogliere con orrore i tuoi sguardi al disopra di noi,
triste vittime del Demonio, sei venuto a contemplare la nostra miseria, e dire al maligno .spirito, con l’autorità della tua divina parola; “ Spìrito immondo, esci fuori di costui. ” Una parola della
tua bocca basta per liberarmi dai miei tormenti. Parla, o Signore,
I>er la pace delFanima mia. Parla, e il tuo servitore sarà guarito.
LUTERO
(V. N. 5, 6 c 7)
III
11 Convento — Ardore religioso — Angosce — Sete di verità e pace — Falsi compensi — Il frate — Il prete — La buona via — S. Agostino — La Bibbia —
Staupitz.
Li anni che Lutero passò noi convento di Erfurt furono i più decisivi e
i più rimarchevoli per lo sviluppo morale e religioso al quale andò soggetto.
Nella .«lolitaria cella, corca ardcut«meiite la verità, la pace; prega, piange;
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ìu quella si sviluppano i geniii della sua ppiritmilc rigeiioriiüioiic ; hi cella
ò la vera culla della Kiforina. Martino offre un drammatico spettacolo,
uii'aninia nel medesimo tempo ribelle e sottomessa, timida c piena di coraggio, che lotta con lo Spirito di Dio, c trova finalmente la pace in fì. C.
Entrato in convento, Martino dovè mutare vesti e nome: in onore del
fondatore dell' ordino si chiamò Agostino, ciò gli spiacque, ei dice :
« Quando fui battezzato mi chiamarono ciarlino, nel conveuto Agostino.
Vergogna! è cojitrario alla divina volontà! disprezzare c rigettare il nome
di battesimo pel berretto da frate! Cangiando nome, sì mostra il disprezzo
di Cripto, e del suo battesimo ».
La cercmonia del vestimento fece grande impressione su lui: per li sta
tuli deH'ordine, erano presenti tutti i frati, 11 l’riorc domandò al novizio,
se sontivasi forte per intraprendere la nuova vita che sceglieva. (ìli mostrò
l’austerità della vita, la neccssilìi di renunziare a se stesso: il parco nutrimento, c il grosso vestiario de’ frali : le vigilie, le fatiche, la povertà, li austeri
digiuni, le dure penitenze, le annegazioni, la trista solitudine del convento
Il novizio aderì a tutto, c promise sottomettersi umilmente a tutto. Dopo
di chc il Priore soggiunse: « Ti riceviamo come novizio. Chc Dio, il quale
ha cominciato la buona opera, la compisca ». Amen, risposero tutti, e cau '
tarono l’inno a S. Agostino. Lutero s’inginocchiò: il Priore implorò ,su lui
le benedizioni del cielo; c lo stimolò a camminare degnamente nella intrapresa carriera.
Li statuti dell’ordine, redatti dal pio e dotto Staupitz, erano rigorosis
fiimi: prescrivevano le occupazioni, le ptirole, i gesti, il modo di portare il
cappuccio, di stare a tavola, di pregare, salutare, ringi’aziare : la infrazione
di queste prescrizioni era un delitto punito più o meno gravemente.
Staupitz aveva raccomandata l’assidua lettura della parola di Dio, e severi studi ; ma i frati gelosi del talento di Lutero gli fecero sentire che il
suo principal dovere non era lo studio, ma la scrupolosa osservanza delle
regole dcU’ordine.
11 sapiente membro della Universitìi, divenuto frate Agostino, era costretto ai più umili servigi: i fr.ati si compiacevano umiliarlo: and.ava per
la città col sacco sulle spalle, apriva e chiudeva la porta, spazzava la chiesa,
caricava l'orologio, ripuliva le cloache: i frati quasi a scherno gli dicevano:
non sono gli studi che onorano la vita monastica, ma la cerca del pane,
grano, ova, pesce, carne, danaro.
11 maestro del convento gli faceva tutti quei dispetti chc poteva immaginare : era scrupolosamente sorvegliato. Tutti i giorni oltre il Lavoro, a sette
intervalli, doveva recitare lunghe preghiere: a mezza notte, al cantar del
gallo, alle sei della mattina, alle nove, a mezzogiorno, alle tre, alle sei; gli
si ripetevano fino alla nausea i precetti, i delitti, i gastighi prescritti e iu
fliiti dulli statuti.
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Non si aveva nessun riguardo nò ai suoi taleuti, nfe ai suoi bisogni intellettuali, e con immensi pretesti si toglieva dallo studio e dalla meditazione.
Lutero ei prestava a tutto con umile sommissione ; se credeva commettere la più leggiera negligenza, suppliva con aumentare di zelo, e fu la ammirazione dei suoi compagni, sia per la scrupolosa esattezza nella pietà, e
per l’eccessivo zelo di santità cbe spinge fino allo scrupolo. Era una lotta
veramente tebanica: Lutero voleva prendere d’assalto il cielo; « Io era frate
sincero, ei dice, ed umile senza mai lamentarmi, e posso vantarmene. Ho
eseguite le regole del mio ordine con gran rigore, c se mai un frate è entrato
in paradiso per le sue fraterie, io doveva esser quello. Tutti i miei confratelli mi hanno conosciuto, e possono farmene testimonianza ». Credeva
morire per le molte vigilie, preghiere, macerazioni, penitenze e fatiche di
ogni genere.
Kiuseito nelle prove del noviziato, Martino prestò nelle piani del Priore
del convento il triplico voto, di obbedienza, povertà, e castità; la cosceiiziosa esecuzione di questi voti, gli sembrava l’ideale della santità cristiana.
La parola di Dio, che leggeva con infaticabile ardore, non ostante la golosa
vigilanza dei frati, era per lui lettera morta, non gli dava la pace dell'anima
che cercava. « Lascia, gli dicevano i frati, lascia quel libro pericoloso, che
non 6 buono che a fare delli eretici, ed eseguisci, come figlio obbediente della
Cliiesa, le opere del nostro Santo Ordine ». Martino era per soccombere
sotto queste insinuazioni, se i principali membri dell’Univcrsità, la visita
di Staupitz non avessero frenato tali indegni trattamenti. Il Vicario Generale che divenne per Lutero possente strumento di consolazione e di religioso conforto, ingiunse al Priore del convento, di trattarlo con maggior
riguardo, lasciarlo accudire ai suoi studi. Da quel momento la vita di Lutero divenne più facile, ma i combattimenti interni continuarono; lo sdegnato padre nou gli aveva per anche perdonato, e quest’era l’ultima gocci»
dell’amaro calice che doveva sorbire ; infatti il padre non lo perdonò che
quando fu consacrato sacerdote.
Il ‘2 Maggio L507, doveva aver luogo la cercmonia; racconta Lutero:
« Scrissi a mio padre che doveva venire alla mia consacrazione, per mio
cuore, e per l'amore di Dio. Venne al convento con venti cavalli, e mi dette
in dono venti fiorini ».
La lettera che Lutero gerisse a Braun, curato di Eisenaco, per invitarlo
alla cerimonia, mostra la grande importanza che vi annetteva: gli diceva :
« Poiché ò piaciuto a Dio sovranamente adorabile e santo in tutte le sue
opere, di riguardare a me miserabile e indegno peccatore, ed innalzarmi
talmente, e chiamarmi al suo glorioso servizio per la sua ricca compassione,
sono per certo obbligato ad adempiere con ardore l’ufficio che mi è confidato, onde esser riconoscente per una sì gloriosa bontà, per quanto almeno
è posaibilo alla polvere ».
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L» cerimonia ebbe luogo. « 11 Vescovo che mi consacrò prete, racconta
Lutero, mi pose in inano il calice dicendomi: Iticevi il potere di offrire i
sacrifizi per i vivi e per i morti. Fu uu effetto della grande longanimità di
Dio, so in quel momento, la terra non ci inghiottì tutti e due ».
Lutero era giunto al compimento dei suoi desideri; era frate, o sacerdot«; separato dal moudo, libero di dar^i alla sola cosa necessaria, alla
santificazione della sua anima, alla pace con Dio. Ma nè la messa, con la
sua mesteriosa solennità, nè le pratiche monastiche, con le loro rigido esigenze, non jwterono far cessare il grido della coscienza, continuamente tormentata dal sentimento dei suoi peccati, e dalla collera del giudice celeste.
Quali tristezze, quali perplessità, eguali tentazioni, quali tormenti spiri
tuali, quali lotto nou soffre nella sua cella il povero Martino! Egli stesso
ce le racconta, ascoltiamo. « Ilo osservate le Regole dell'ordine con grande
ardore. Spesso per il digiuno era malato c credevo morire. Ho orribilmente
mortificato e martorizzato il mio corpo, col non dormire, con le preghiere,
con le vigilie spinte all'eccesso. Ci avviavano a tutte <jueste opere umane,
che ci coprivano Cristo, e ce lo rendevano inutile. Credeva piacere a Dio
cou la mia frateria. Ohi nou aveva allora fede iu Cristo! Me Io rappreseti
tava corno un giudice terribile, assiso suU'arco baleno, come lo dipingono.
Più torturava la mia coscienza ad acquietarsi coi digiuni, veglie, preghiere,
meno aveva riposo, poichò mi si era tolta la vera luce. Più cercava il Signore
c credeva accostarmi a lui, più me ne allontanava.
« In questa vita non vi è più di peggio che i dolori e le angoscio di un
cuore senza consiglio c senza appoggio. La tristezza del cuore, è la più
spaventevole delle pene, e la morte, è l’inferno. Se si può salvare un cuore
così angosciato, ah! non lo lasciate perire, nò lo lasciate indurire nei tormenti del peccato! lo sono stato frate venti anni, ho sofferto pene delle
quali non vorrei mai più farne la prova, quando anche potessi. In mezzo
a tutti i miei dolori, non cercava chc Dio, ma dimenticando Cristo, mi
rivolgeva ad altri intercessori : a Maria, ai Santi, alle opero, ai meriti dell’ordine. Ed era in una falsa via, e tutte le mie azioni non erano che idolatria, perchè non conosceva Cristo e non cercava in lui solo la mia salvazione.
« Se vi fu mai, prima del ritorno della luce evangelica, uno zelante partigiano del papat«, era io. Nessuno più di me ha lottato per i precetti papisti, nessuno più di me lo ha adorato con tanto ardore. Sì, adoravo il papa
con tutto il mio cuore, non per danaro, non per benefizi e dignità; ma unicamente per la gloria di Dio e la salvazione dell'anima mia. Ma i miei nemici, egoisti e rilassati, non vollero credere che lottassi con tanto ardore
per acquistare la pace dell’auima che nou poteva trovare nelle tenebre.
« Ah! se San l’aolo vivesse oggi, vorrei sapere da lui quali tentazioni ha
sofferte. Le tentazioni della carne non sono che infantili balocchi, in con-
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fronto di quelle cbe parla il Salmo xxii. Dio mio, Dio mio, pcrchò mi hai
lasciato? Come so volesse dire; Tu mi sei nemico senza ragion«. È l’angelo
di Satanno che picchia dei pugni. So vivo ancora voglio scrivere un libro
sulle tentazioni, senza delle quali un uomo non può, nè comprendere la
Santa Scrittura, nò conoscere il timore e l’amore di Dio ».
Appena Lutero fu consacrato sacerdote, gli fu tolta la Bibbia, e gli si
dettero a leggere le opere di S. Agostino e delli scolastici: difensori, quest’ultimi, del papato e della vita monastica, erano in grand’onore nei con
venti. Obbediente, Martino leggeva quelle opere : ma la Bibbia era sempre
il suo libro favorito. « Andava a leggerla di nascosto, ei racconta, e me la
resi tanto familiare che di ogni versetto, sapeva indicare la pagina e il
luogo: niun altro studio mi attirava tanto, quanto quello della Santa Scrittura: spesso tutto un giorno l’ho passato a meditare un sol versetto ».
Ma la pace dell’anima non l’acquistava: l’idea del peccato, come uno
spaventevole fantasma, come una macchia indelebile, era sempre davanti ai
suoi occhi: le piccole mancanze alla divina volontà, gli sembravano gravi
delitti. « Quando ero frate, ei narra, mi credeva immancabilmente perduto :
ogni volta che sorgeva nella mia mente un impuro desiderio, un atto di
collera, uu pensiero invidioso, e d’odio contro alcuno dei frati. Tentava
tutti i mezzi per libcranni dalle angoscio: mi confes.sava tutti i giorni;
ma le medesime tentazioni mi assalivano: mi sentiva veramente disgraziato,
c la mia coscienza non mi lasciava alcun riposo. Vedi tu, ella mi diceva,
anche un peccato ! A che dunque ti gioverà il sacro abito chc hai vestito,
tutte le tue buone opere saranno perdute ».
La coscienza di Lutero non s’ingannava: doveva conoscere la inutilità
delle opere, per ottenere la riconciliazione dcH’uomo con Dio, ed essere
condotto passo a passo, al vero Mediatore. Dio non voleva rompere il suo
strumento, ma temperarlo alla lotta, e prepararlo per i suoi misteriosi disegni. Lutei-o non avrebbe potuto protestare con tanto diritto ed energia,
contro li errori ed abusi del papato: ma sarebbe stato un avversario cosi
convinto e cosi eloquente della propria giustizia, se egli stesso non avesse
provati dolorosi disinganni.
« Quando era frate, ei dice, era esteriormente piiì santo che adesso. Pregava di più, digiunava di più, macerava la mia carne. Alli occhi delli uomini, ciò aveva grande apparenza, ma non ai miei propri occhi; imperocché
il mio spirito era rotto, e sempre tristo. Giorno e notte osservava scrupolosamente lo regole del convento, e non pertanto non ti'ovava riposo, perchè
lo cercava nella mia propria giustizia.
« Io, io l’ho provato che cosa è un cuore rotto, allorché, come frate, mi
macerava cou veglie, studi, e preghiere. 11 dubbio continuamente assaliva
la mia coscienza, e domandava a me stesso: ìi chc! tutte queste opere
sono, 0 nò, piacevoli a Dio!
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« La vanità Ji tutte le opere che si fanno per placare la collura di Dio
consiste in questo, che nou fanno che aumentare le angoscie del cuore.
Sotto il papato, molti vanno al convento per fuggire le tentazioni del
mondo: ma invece di migliorare il loro stato, non incontrano, ordinariamente, che tentazioni maggiori e più numerose. Tutte le anime veramente
pietose hanno fatto l’esperienja, chc, nessuno resta ritto davanti al giudizio
di Dio, per le sue proprie opere.
« Una volta nel papismo, imploriamo a grandi grida la salvazione delle
nostre anime, e il regno di Dio. Facciamo male a noi stessi : martorizziamo
i nostri corpi con i digiuni e le macerazioni : notte e giorno cerchiamo e
picchiamo alla porta per trovare riposo. E io stesso, se non fossi stato salvato per la consolazione del A'^angelo, non avrei più a lungo sopportata una
vita piena di tormenti, nella quale io fuggiva la collera di Dio, e ove non
mi mancavano mai sospiri e lacrime. Con tutte le nostre pene non arriviamo
ad alcun resultato : disperiamo della compassione di Dio : corriamo verso
Cristo, Ei non ci fugge ».
Il benefico Staupitz, in una visita che foce al convento di Erfurt, restò
sorpreso della pietà del giovane Agostino. Il viso emaciato, l’occhio vivace
ma profondamente incavato; ne ebbe compassione. Gli donò uua Bibbia
in latino, impegnandolo vivamente a bandire le vane teorie, per darsi tutto
alle semplici promesse del Vangelo.
Un tal dono saziò la sete di Lutero, ma le ideo clericali prevalevano su
lui, e non considerava che le minacce di Dio verso i peccatori, e nel
leggero lo divine promesse diceva sospirando. « Non sono per me, non sono
abbastanza santo per appropriarmele: » e tornava alle monacali penitenze,
per espiare i suoi peccati, o guadagnare la grazia di Dio.
« La grazia, la grazia! diceva, chc parola difficile per l’uomo! Resta
sempre nel nostro cuore il desiderio di essere qualche cosa e di non mettere tutto sul conto di Cristo. Noi vogliamo far tanto, e sì bene servire Dio
con le nostre opere, che egli sia obbligato di riguardarci favorevolmente e
perdonarci i nostri peccati. E frattanto ciò non può essere, altrimenti la
fede e Cristo intiero, cadono a terra. Se Cristo fa tutto, io non faccio niente.
Cristo ed io non possiamo nel medesimo tempo regnare nel mio cuore e
esigere fiducia: bisogna che uno osca, o Cristo, o le mie proprie opere, ciò
è chiaro ».
Incoraggiato dall’affettuosa familiarità del vicario generale, Lutero gli
raccontò le sue angosce, i suoi dubbi. Staupitz divenne per Lutero una
preziosa guida spirituale, e verso la fine del 1507, nacque fra loro scambievole fiducia, divenuta più grande per il mutuo amore per la Bibbia; i loro
colloqui mostrano che per chi s’incontra sul medesimo terreno, e nei medesimi bisogni, l’amicizia diviene indissolubile.
« Io no 30 farmi idea dol tuo spavento, gli diceva : io non ho provato nulla
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(li uguale. Ma perchè tornieutarti inutilmente con tali peuijiert: liguai'da
Cristo che ha sparso il suo sangue per te.
« Inutilmente adempio i miei voti monastici, replicava Lutero, sempre
il peccato domina in me.
« Io ho fatto i medesimi voti a Dio, riprese Staupitz, ho peccato come te.
Qui in terra dobbiamo continuamente combattere contro il peccato : la vittoria non ci sarà data che al di là della tomba. Se Dio per l’amor di Cristo
non volesse perdonarmi o procurarmi una morte felice, io non potrei sussi
stere dinanzi a Lui, con tutti i mici voti con tutte le mie buone opere : Oh
allora sarei dannato 1 >
K chi potrà reggere al giorno del giudizio, chi all’ultima ora? domandava
con atfaiino il frate.
« Colui che poissiede la grazia per Gesù Cristo, rispose il dolce confessore.
Non ti sgomentare! Gettati nelle braccia del tuo Salvatore. Affidati a Gesù
.solo, nella buh giustizia, nella redenzione per 1^ sua morte. Non fuggire.
Dio non è sdegnato contro di te, tu lo sei contro Dio. Ascolta il figlio di
Dio; si ò fatto uomo per darti la certezza del suo divino favore, Egli te lo
ha detto; « Tu sei la mia pecora, tu intendi la mia voce, c nessuno mi ti
rapirò »,
Mft come posso io credere al favore divino, obiettò Lutero, finche non
sono veramente conciliato? Bisogna chc mi converta, affinchè Dìo mi riceva
nella sua grazia.
«E certamente risposo, Staupitz, bisogna che l’uomo si converta, ma non
perchò Dio lo riceva in grazia ; Dio lo riceve affinchè si converta. Così finché
l’uomo non vede in Dio, che un terribile giudico, non può veramente convertirsi. La vera conversione nasce dall’amore. Mio caro, vuoi tu amare il
bene? bisogna prima di tutto iimare Dio. Ama Colui, che ti ha amato il
primo ».
La corrispondenza di Lutero col Vicario fu attiva e di grande efficacia
per il futuro Riformatore. Egli stesso ci racconta; « Quando era frate scri» vcva al dottor Staupitz: 0 peccato, o peccato, o peccato! Mi rispose.
« Che cosa significano i tuoi peccati? Cristo è il perdono dei veri peccatori,
« dei parricidi, dei bestemmiatori, delli adulteri. Ecco i veri peccati. Tu
B dovresti avere un registro nel quale tali peccati fossero scritti. Se vuoi
« che Cristo ti sia utile, non andare a Lui con tali scherzi fanciulleschi, nè
n della più piccola mancanza, fatti un peccato mortale.,. Tu non vorresti
* essere chc un peccatore in miniatura; e per te, Cristo non è che un Sai« vaAore in miniatura. Abituati dunque a rigutudarlo come un vero Salva<i toro, o tu come un vero peccatore. Dio dandoci il suo figlio, non ei è
« burlato di noi ». Lutero scriveva per essere illuminato nei suoi dubbi.
Un giorno ebbe la seguente replica da Staupitz; rispondeva alle sue incertezze sulla predestinazione. * Nelle piaghe di Cristo dobbiamo cercalo lapre
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destinazione, l’crchò tormentarti con tutte le sottigliezze teologiche? Fuori
di Cristo, Dio è incomprcnsibile. Tienti alla sua Parola. In quella è rivelato,
là ò la vera via della salvazione : ma vi vuole la fede ». — Questa lettera
contiene il germe della Riforma — la giustificazione per la fede c non per
le opere. — Lutero non poteva appoggiare questa dottrina con ragionamenti ecclesiastici: i dottori scolastici, sembra chc trascurassero la consolante dottrina della grazia, ma esaltavano lo opere. Tommaso d’Aquino il
principe delli scolastici, dice chiaramente, che Gesù Cristo non ha sofferto
per il peccato originale, c che ognuno deve satisfare ai suoi peccati con le
sue proprie opere.
La malinconia assale Lutero: si rinchiuse nella sua cella c per molti
giorni non volle vedere alcuno. Un giorno. Luca Edenbergcr, nella speranza
di trarlo di là, accompagnato da alcuni fanciulli, picchia alla porta: nessun
risponde: aperto a forza l’uscio, trova Martino disteso in terra privo di sensi:
ritornò in sò al suono della musica eseguita da quei fanciulli.
A poco a poco Lutero conobbe che per aver la pace dell’aninia, vi era
bisogno della verità deU'Evangelo, deH’amor di Dio; conobbe per propria
esperienza la verità delle parole di santo Agostino, del suo santo favorito.
« Che il nostro cuore non trova calma e riposo che in Dio ».
Dalle tenebre della scolastica, e dall'ascetismo, parto deU'umana immaginazione, il futuro apostolo della grazia, s'innalzò poco a poco alle serene
altezze del cristianesimo primitivo. * Dio ha voluto, ci racconta, che imparassi a conoscere per mia propria esperienza la scienza delle scuole c la
falsa santità dei chiostri, cioè li innumerevoli peccati, c le empie opere che
vi si commettono, afFinchò fossi meglio armato contro i miei futuri avversari, e che non mi potessero rimproverare chc io condannavo «jucllo cho
non conoscevo ».
A calmare la sua alterata immaginazione, contribuì grandemente il suo
pietoso c venerabile confessore, il quale gli rammenta solo l’articolo del
simbolo delli apostoli: Io credo al perdono dei peccali; c glie lo spiega in
modo che Lutero non lo dimenticò più. « Non basta, gli diceva, credere ifi
genere, come fanno anche i diavoli, chc Dio perdona od alcuno i loro
peccati, per esempio, a David o a Pietro. Dio vuole che ognun di noi
in particolare, sia pienamente convinto che i suoi propri peccati gli sono
perdonati. Il significato di questo articolo ò che « L’uomo è gratuitamente giustificato per la fede. » In queste parole sta tutto l’Evangelo ».
Il Riformatore lo ha inteso, e da quel momento la riforma tutta, poggia su
queste parole: « Gratuita salvazione, per la fede in Cristo ». San Paolo
con le sue lettere, Sant’Agostino, S. Bernardo coi loro scritti, lo conducono in questa via; Lutero stesso ci narra nella prefazione delle sue opere,
fatte di pubblica ragione nel 1M5, come avvenne il suo primo sviluppo
religioso. « Mi posi a studiare con gran zelo le lettere di S. Paolo, c spe-
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uialinente quella ai Romani. Una sola parola mi fermava, c non poteva
intendere. Odiava la parola - giustizia di Dio - pcrehè io l’aveva sempre
presa por giustizia attiva, per la (juale Dio è giusto, e punisce li ingiusti cd
i peccatori. Io che conducevo una vita da frate irreprensibile, e che non
pertanto era tormentato dalla coscienza del peccato, e non perveniva a rassicurarmi sulla satisfazionc che io poteva oiFrirc a Dio, io non amava, no,
10 odiava, Dio Giusto, vendicatore del peccato. Era irritato contro di lui,
3li lasciava trascinare dall’angoscia della mia coscienza, e spesso tornava
a picchiare al medesimo luogo di S. Paolo, desiderando ardentemente d’impadronirmi del suo pensiero. Siccome io meditava giorno e notte questo
parole : « La giustizia di Dio ò rivelata di fede in fede, siccome è scritto ;
11 giusto viverù per fede s (Rom. i, 17. Abacuc ii, 4). Iddio ebbe alfiije
pietà di mo: compresi come la giustizia di Dio, non è la giustizia che Dio
esige dalli uomini; imperciocché in questo caso tutti sarebbero eternamente
condannati, ma la giustizia che oi dà nel suo figlio Gesù Cristo, a condizione chc co ne impadroniamo per la fede. Lessi dopo il libro di Sant'Agostino, chc avea per titolo: Delia lettera e dello sjjirito, o vi trovai ch’egli
pure intende per giustizia di Dio quella, per la quale Dio ci riceve giustificandoci. Me ne rallegrai, abbenchè la cosa sia in quel libro detta imperfettamento, e questo Padre non si spieghi chiaramente sulla dottrina della
imputjizione dei meriti di Gesù Cristo ».
Il giusto viverà per fede. Lutero trova in questa verità il più prezioso tesoro, la dolce ricompensa delle sue penose lotte; la brillante luce, dopo tanti
anni di tenebre. Il giusto vivrà per fede: questa celeste voce resterà da qui
innanzi l’eco costante del suo cuore, l’inno di vittoria nei suoi più terribili
combattimenti, la più possente chiamata alla fedeltà nel servigio del Signore.
Ma il frate non si liberò ad un tratto dai suoi dubbi e dalli orrori chc
avevano avvinta la sua coscienza. Le prime impressioni sono le più difficili a cancellarsi. Ha da fare molti altri combattimenti, deve comparire
sopra un’altra scena.
Verso la fine del 1508 Federigo il Savio, elettore di Sassonia, incaricò
Staupitz di chiamare i più famosi professori aH’Università di Wittemberg,
fondata dalla generosità di quel principe. Lutero fu nomin.ato professore di
Filosofia, e dovè lasciare la cella del convento per montare sulla cattedra
deirUnivcrsitii. Entrando nel convento delli Agostiniani, aveva creduto
abbandonare l'insegnamento universitario, per darsi tutto alla monacai devozione, Dio aveva deciso diversamente.
La scolastica e il monachiSmo, la teoria c la pratica della Chiesa romana
del medio evo, hanno per loro acerrimo nemico, colui chc con il più fervente ardore si era gettato nelle loro braccia.
Wittemberg diverrà per l’AUemagua, quello chc fu finora Ginevra per la
Svizzera, la culla della Riforma.
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LA LETTERA DELLA MADONNA
A’ MESSINESI
Un giornale, la Vera Buona Nwelìa, ohe raccomanda le Rivelazioni di
Assunta Orsini, non desta meraviglia se, facendo spreco del buon senso,
voglia far credere ai suoi associati come cosa da non mettersi in dulhio da
nessuno, che Maria Vergine ahhia ricevuto in Oerusalemme una solenne ambasceria a Lei inviata dalla città di Messina, e che di jyropria mano essa firmasse la lettera di risposta al Senato e Popolo di quella città. E la nieravi
glia aumenta, se si rifletta che quella lettera non esiste nel suo originale,
(si asserisce chc fosse in ebraico) ma che esistono due traduzioni, una in
latino fatta dal greco, da Costantino Laseari, morto a Messina nel 1493,
l'altra in arabo, nella quale si riscontrano molte differenze dalla traduzione
latina, che mostrano chiaramente la falsità della lettera Mariana.
Leggano i nostri associati questa curiosa lettera, e la traduzione italiana ;
la estragghiamo dal N° 60, 30 Agosto 1862 della Vera Buona Novella, e
la riportiamo, non per attribuirle importanza, ma per mostrare quale e quanta
fanciullesca semplicità vi vuole, per crederla vera, e per giustificarci, so
non crediamo alla religione di coloro, che la annoverano fra le cose sacre, e
gli attribuiscono la virtù di fare miracoli.
« Maria Virgo — Joachim filia — Dei humillima Christi CrucifixiMali ter—ex tribù Juda, stirpe David, Messanensibus omnibus salutem, et Dei
» Patris omnipotentis benedictionem. Vos omnes, fide magna, legatos et
» nuncios per publicum documentum ad nos misisse constat. Filium no» strum, Dei genitum, Detim et hominem esse fatemini, et in cœlum post suam
)) resurrectionem ascendisse, Pauli apostoli prœdicatione mediante, vitam
» veritatis agnoscentes. Oh quod vos et ipsam civitatem henedicimus, cujus
» perpetuam protectionem nos esse vohmus. Anno Filii nostri XLll. Indi
» ctione 7“ III nonas Junii. Luna XXVII. Feria quinta, ex Hierosolimis
« Maria quce supra confirmât prœsentem chirographum manu propria »
« Maria Vergine, figlia di Giovacchino, umilissima madre del Cristo Cro
» cifisso, della tribù di Giuda, della stirpe di David, a tutti i Messinesi
» salute e benedizione del Dio Padre Onnipotente.
« Da pubblico documento risulta che voi ci avete spedito, con gran fede,
» legati ed ambasciatori. Voi, conoscendo la vita della verità per la predi» cazione di Paolo apostolo, confessate che il nostro Figlio, generato da Dio,
)) è Dio ed uomo, e chc dopo la sua Risurrezione è salito al ciclo. Per que-
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» sto benediciamo a Voi ed alla stessa città della quale vogliamo assùmere
» il perpetuo patrocinio.
« L'anno 42, del nostro Figliuolo, Indizione I'^ III delle none di Giu» gno. Luna 27.
» Maria Vergine che sopra conferma, di propria mano, il presente chi« rografo ».
Molte c molte ragioni avremmo da addurre in prova della falsità di
quella lettera : i lettori facilmente da per se stessi le rileveratino : ma non
possiamo però faro a meno di rimarcarne due potentissime, o di riferire la
autoritìi di dotti Cattolici romani che la ritengono apocrifa.
Le due ragioni si poggiano sulla data e sulla parola Indizione.
La data fc dell’aimo 42 del nostro Figliuolo : nella lettera è detto che i
Mes.sinesi « hanno conosciuta la vita della verità per la predicazione di
Paolo apostolo », ma se neU’anno 42 Paolo non aveva abbandonato l'Oriente, e non fu condotto in Italia prigioniero che nel 62, nel qual anno
giunse a Reggio, dalla qual città, secondo che asseriscono i Messinesi, sarebbe andato a predicar loro l’Evangelo. Ciò posto, la Madonna commette
un imperdonabile anacronismo.
La Indizione, è detta la prima. Ma se la Indizione non si usò che ai tempi
di Costantino nel 313? Come poteva la Madonna scrivere la parola Indizione, cho non si usò che due secoli dopo? In ogni non concessa ipotesi
l'anno 42 di Cristo, non sarebbe la Indizione prima, poiché sia chc si cominci dalla nascita o dalla morte di Gesù Cristo, essendo la indizione un
periodo di 15 anni, l’anno 42 preso dalla nascita darebbe l’indizione XII,
presa dalla morto darebbe la Indizione IX.
Delli scrittori che ritengono falsa la lettera, tralasciati i molti, fra i quali
primeggia il cardinale Baronie, citeremo il Calmet, frate dell’ ordine di
S. Benedetto, o i Padri Richard e Giraud. Ci dice il primo nel suo Dizionario storico-critico della S. Scrittura, alla parola Maria: « Epistolce tandem nommlloe Virginis ad 8. Ignatium Märtyrern, et vicissime circumferuntur S. Bernardi olim probates, nunc vero ab omnibus rejectce. Nec sane
^quiorem sententiam de epistoUs nomine B. Virginis ad Messinenses et florentinos datas ferunt, quas scriptas dicunt Hierosolymis, et vernáculo Hebreorum sermone, dein a S. Paulo (de Epistola ad Messineìises loquor) Gnecc
ac tandem a Costantino Laseari latine reddito!s ». Si hanno varie lettere della
Madonna a S. Ignazio Martire e viceversa, una volta credute vere, sull'autorità di S. Bernardo, ma adesso da tutti rigettate. Nè certamente migliore
opinione godono le lettere che a nome della B, Vergine si dicono scritte da
Gerusalemme ai Messinesi e Fiorentini, in Ebreo, tradotte poi da S. Paolo,
(parlo di quella ai Messinesi), in Greco, e quindi in Latino da Costantino
Laseari.
I padri Richard e Giraud nel loro Dizionario universale delle scienze
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ecolosìastiche, alla parola Maria dicono: «Si mosirano alcune lettere (della
B. Vergine) a S. Ignazio Martire, agli abitanti di Messina, ed a quelli di
Firenze, ma nessuno dubita che esse non sieno Bupposte ».
Tn questo stato di cose «jual considerazione dovremmo noi avere, quale
stima accordare ai Redattori di « un periodico della Cristianità, della Vela
Buona Novella, » ehc chiamano sacra una lettera manifestamente falsa, e
che han data ai loro lettori come il più prezioso oggetto firmato dalla mano
di Maria? Ci duole, raa non possiamo a meno di esclamare col Marini :
, . . Chi di fraudo si diletta
Nei propri lacci suoi cade alle volte.
CORRISPONDENZA DELLA Ti. ATJVFLLA
Brescia, il 18 Settembre 18fi‘2
Sig. Direttore.
a Nei primi giorni dello scorso agosto mancava ai vivi in questa città,
un bambino lattante, figlio di tm evangelico; era il primo evangelico al
quale dovevasi dare sepoltura (|ul da noi, ciò che produsse somma curiosità
per conoscere ove sarebbe permessa la tumulazione.
Condottosi il piccolo convoglio funebre a questo cimitero comune, accompagnato da vari nostri confratelli, venivi deposto iu lui luogo appmrtato
e ristretto del cimitero, ove soglionsi inumarsi i bambini ché non sono battezzati dalla Chiesa Romana, e che serve anche al sotterramento dei suicidi; tal cosa produsse in noi spiacevole sorpresiv vedendoci designato tale
luogo, non perchè ritenessimo che deposto in un sito, anziché in un altro,
portasse al trapassato una miglior vita futura, ma soltanto per vedersi così
obiettamente contrastati i nostri diritti già assentiti e sanzionati dall’attuale
C! overno.
Alcuni giorni dopo, e précisamente 11 giorno 31 detto agosto, soccombeva
la giovine Luigia Huling figlia del sig. Roberto e della signora Stacher
d anni 24 nativa di Gibilterra, e professante il rito Evangelico, qui venuta
a visitare una sua sorella moglie del colonnello dei Cavalleggieri qui stanziati, sig, Beretta, i di cui parenti informati deU’esistenza qui di una Chiesa
Evangelica Valdese, invitarono il Pastore sig. Turin residente in Milano,
a voler intervenire per assistere alla tumulazione della trapassata, ciò che
premurosamente eseguì nel successivo giorno 5 deiranJante mese: la onorevole deees.'a, veniva deposta nel lu(^o sopraccennato.
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Il sottoscritto interprete del sentimenti dei propri confratelli, protesta
nel modo più formale contro un tale adottato provvedimento, in aperta
contraddiziono al tenore della circolare diramata il 31 marzo 1861 dal signor >Iinistro deH’interno, a tutti i Prefetti e sotto Prefetti di Circondario,
con la qaalo veniva a loro ingiunto di provvedere a che fosse nei recinti
dei cimiteri comuni, destinata agli acattolici una parte dell’area, da distinguersi dalla rimanente, «on fossa, muro o siepe, a seconda dei casi e dell’importanza, affine di segregare i tumulati dei diversi culti professati dalle
popolazioni.
Stabilita in tal modo la massima che la separazione & unicamente richiesta polla differenza dei culti professati dai regnicoli; domando io perchò
ci venga designato un luogo che serve al seppellimento dei suicidi e bambini nati da genitori cattolici e morti prima del rito battesimale? Un tale
adottato sistema è incompatibile, ed è perciò che il sottoscritto nel mentre
Tende pubblica la presente protesta, invoca il patrocinio dei sigg. Preposti
alla Commissione dell'Evangelizzazione Italiana, affinchè s’interessino onde
venga i-iparato a tale inconveniente, a decoro del proprio culto, cd a tranquillità delli Evangelici.
a. D.
E in vendita, la recentissima pubblicazione illustrata
LA
PRIMA ISTRUZIONE
LIBEO elementare
PEE
L’INSEGNAMENTO PUBBLICO E PRIV'ATO D’AMBO I SESSI
Parte prima : Il Sillabario.
Parte seconda : Nozioni intuitive, a imegnamenio per oggetti
reali, per imagini e storie.
Leopoldo I’inIìli.i gerente
FIUESZli ^ Tiiioprafll OLAUUIANA, Uiretla da RilHaele Trombelta.