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LA BUONA NOVELLA
GIORNALE RELIGIOSO
A'ir.Qz-jO'jtt; Sì h iyirtu
Srgueodu la verità nella carità
PRUZZO
(.1 domicilio)
Torino, per nn anno L. 0,00 L,7,00
— per sei mesi » 4,00 « -i,SO
Per le provincie e l’esiero franco sino
ai conlini, un anno . . L. 7,20
per sei mesi, » 3,20
. ...... ,.^..a canta
Em. IV. 45.
La Direzione della 15U0NA NOVELLA è
in Torino, casa Bellora, a capo del Viale
del Ue, N 12, piano 3 '.
Le associazioni si ricevono dalla Direzione
del Giornale, e dal Libraio G. SERRA,
conlrada Nuova in Torino.
Gli Associali delle Provincie miranno provvedersi di un vaglia postale,
inviandolo franco alla Direzione.
La successione apoi^tolica VII. — Contenzione tra la potestà civile e la potestà eccle•■•■tìnn ni tJimpi d« Vstitacio .Amedea II dì Savoia^ — L’Inghilterra.-—• U CattoKoiamo ed il Cattolico.— Notizie Religiose. — Cronachetta politica.
LA SUCCESSIONE APOSTOLICA
VII.
Dopo la morte del santissimo Ca listo (1124). due personaggi egualmente potenti si disputavano in Roma
l’onore di dare un successore di san
Pietro alla Chiesa: Pietro Leone giudeo riccliissimo, da poco divenuto
cristiano a suo modo, e Leone Frangipane. Il giudeo voleva papa il suo
figlio, il Frangipane voleva Lamberto
vescovo d'Oslia, ma il clero e popolo
voleva il cardinale di s, Stefano. La
mattina nella quale doveva farsi
l’elezione tutti i cardinali portarono
nascostamente seco loro la cappa
pontificale, e si raunarono nella Chiesa
Lateranense. La elezione fu pacifica,
ma nessuno de’ tre pretendenti fu
eletto: la-elezione cadde invece sopra
Gionata cardinale de’ ss. Cosma e Damiano, il quale col consenso di tutti
indossò la cappa pontificale e prese il
nome di Celestino. Compita la installazione, si cantava pacificamente il
Te Deum, e Lamberto vescovo d’Osti»
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cantava cogli altri. Non era ancora
compiuto il canto dell’inno , quando
la voce possente del Frangipane gridò:
('Lamberto siail papa» ! Le spade brillarono in mezzo alla paciQca moltitudiae: Lamberto indossò la cappa, ed
i Frangipane erano pronti a sostenerlo
coll’armi: il sangue andava a correre
a torrenti, se il buon Celestino non
si fosse spogliato dello insegne del
papato, e non avesse pregato il popolo
a cedere. In questa guisa Lamberto
divenne santissimo successore di san
Pietro, e prese il nome di Onorio II
e fu papa 6 anni. Egli è vero che otto
giorni dopo chiamati i cardinali finse
di dimettersi dalla carica; ma la sua
fazione essendo potentissima, i cardinali furono costretti a dichiarare legittima la di lui elezione.
Nel 1150 il santissimo Onorio
morì. Erano allora in Roma 48 cardinali, i quali vedendo Onorio moribondo, combinarono fra loro di riunirsi nella chiesa di s. Marco subito
dopo la morte del papa per eleggere
il successore. Appena morto Onorio,
28 cardinali si raunarono Ln s. Marco
secondo il convegno ed eressero alla
unanimità Pietro cardinale di s. Maria
in Trastevere figlio del celebre Pietro
Leone, che prese il nome di Anacleto li; mentre gli altri 20 cardinali
della fazione Frangipane non andarono
a s. Marco, e nascostamente elessero
papa Gregorio, Cardinal di s. Angelo,
che preseli nome d’Innocenzo li. Egli
è vero che papa Anacleto era un mostro d’immoralità, ma la sua elezione
era stata regolare. 1 due partili presero le armi ; il sangue corse a torrenti ; ma Anacleto restò vincitore e
Innocenzo fu obbligato a fuggire.
Un monaco era in quei tempi quello
che era stato altra volta Ildebrando,
sebbene con maggiore modestia, e con
più cristiana moderazione.
Questo monaco era Bernardo diChiaravalle, il quale regolava i destini della
Chiesa; Bernardo si decise per Innocenzo, e dichiarò antipapa Anacleto,
e la voce di Bernardo fu abbastanza
potente peressere ascoltata. Innocenzo
si ritirò in Francia ove era Bernardo,
il quale tanto fece per lui che lo fece
riconoscere per papa legittimo in un
concilio a Chiaramonte, e poscia in
un altro a Reims. Il papa Anacleto,
senza essere neppure ascoltato fu condannato e scomunicato. Innocenzo
sostenuto dalla Francia entrò iu Italia,
tenne un concilio a Piacenza ove scomunicò il suo competitore ; andò a
Roma accompagnato dall’armata di
Lotario, e là coronò imperatore il suo
protettore. Intanto Anacleto si era
fortificato nella mole Adriana, e di
là occupava il Vaticano, ed incomodava Tarmata di Lotario, il quale non
volendo azzardare un assalto si decise
di partire.
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Allontanatosi Loiario, Innocenzo
dovè per la seconda volta abbandonare
Roma, e si riliiò a Pisa, ove raunò un
altro concilio, nel quale scomunicò
ancora Anacleto ed i suoi aderenti.
Intanto Lotario scese di nuovo in Italia con un potente esercito per combattere Ruggero re di Sicilia che stava
per papa Anacleto: Ruggero uon potendo resistere a tante forze, abbandonò i dominii di terraferma e si ritirò nella Sicilia. Innocenzo era al
colmo di sue contentezze, quando inopinatamente il suo protettore Lotario
morì. Ruggero riprese allora i suoi
dominii c divenne l’arbitro dei due
papi, i quali mandarono ciascuno tre
cardinali per dibattere la loro causa
dinanzi a Ruggero acciò la giudicasse:,
ma quesli da abile politico mantenne
lo scisma pe’suoi interessi. Intanto
papa Anacleto mori, e Ruggero permise ai cardinali del suo partito di
eleggere altro papa, che prese nome
di Vittore IV, il quale dopo due mesi
rinunciò il papato ad Innocenzo per
una grossa somma che questi fece distribuire lanto a lui che ai suoi cardinali.
Circa 20 anni la Chiesa fu governala da un solo papa: ma alla morte
di Adriano iv (1159) un più terribile
scisma venne di nuovo a spezzare la
catena dell’ apostolica successione.
Erano clero e popolo raunati per eleg
gere il successore di Adriano: la fazione contraria all’imperatore voleva
eleggere Rolando; appena questo nome fu pronunciato che la fazion imperiale gridò papa Ottaviano : gli avversarli incominciavano già a vestire
della cappa pontlQcale Rolando, quando Ottaviano gli si fe’ sopra e gli
strappò la cappa per rivestirsene egli
stesso: ma un senatore saltò sopra
Ottaviano e lo spogliò a sua voltii:
allora Otlaviano presa dal suo cappellano la cappa che a tale effetto aveva
portatala indossò; fu proci amalo papa,
prese il nome di Vittore IV, e fu su
lui cantato il Te Deum. Intanto Rolando si ritirò con alcuni de’ suoi, e
fu guardato dalle guardie di Viltorc
per 12 giorni, fino a che liberato dai
Frangipane potè, uscire da Roma, e fu
consacrato papa sotto il nome di Alessandro III in un luogo chiamalo sanla
Ninfa, lo miglia distante da Roma.
I due papi mandarono ciascuno 1
loro legati aU’imperatore, che era allora il celebre Federico Rarbarossa,
il quale non volendo prendere sopra
di sè la decisione di una tale queslione, raunò un concilio a Pavia, cd invitò ¡.due pretendenti a comparire
per dire ciascuno la sua ragione. Papa
Vittore obbedì senza esitare, ma papa
Alessandro si ricusò di comparire.
II concilio dopo maturo esame che
occupò sette sedute, cinque ad ascoi-
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tsre i testimooii, e due a deliberare,
decise alla unanimità a favore di papa
Vittore, diciiiarò Rolando antipapa, e
scomunicollo soleanemente.
Rolando dal suo lato tenne un concilio a Anagni, nel quale scomunicò
Vittore, l'imperatore, e sciolse i sudditi dai giuramento di fedeltà. Intanto
papa Alessandro era sostenuto dai re
di Francia e d’Inghilterra, i quali a
loro volta fecero tenere dei concilii e
scomunicare papa Vittore. L’imperatore in questo raunò un concilio numerosissimo a Lodi al quale assistè egli
stesso, ed il concilio ad una voce scomunicò l’antipapa Alessandro e dichiarò vero papa Vittore. Le cose
passarono in tal guisa fino a che
Vittore mori nel 1164.
Dopo la morte di Vittore fu eletto
in suo luogo il Cardinal Guido da Crema, che prese il nome di Pasquale|III.
L’imperatore lo riconobbe per papa legittimo e giurò, e con lui tutti gli ecclesiastici de’ suoi dominii, di non riconoscere per papa che Pasquale e i
suoi successori, e di ritenere per antipapa Alessandro. Intanto il cardinale di s. Giovanni e Paolo che teneva
in Roma le parti di Alessandro profondeva tesori per comprare aderenti
al suo papa; le mene del cardinale
ottennero il loro eiTetto, il partito di
Alessandro prevalse in Roma e questi
tornò trionfante! L’Imperatore scese
in Italia col suo esercito; 40,000 romani si fecero a combattere per Alessandro, ma in breve ora 8,000 restarono morti sul campo, il resto prese
la fuga, e l’imperatore entrò col suo
esercito vittorioso a ristabilire il suo
santissimo Pasquale, dal quale ricevè
la corona. Però l’imperatore per amor
della pace propose ai Romani di far
rinunciare il papato a Pasriuale, ( e
questi vi acconsentì), purché anche
Alessandro ^i rinunciasse, e si elegesse uu altro papa. I Romaui acconsentirono, ma il santissimo Alessandro
si ricusò, e cercò aiuto dai Normanni.
Papa Pasquale morì, e fu eletto iu
sua vece Giovanni abbate di Sturma,
che prese il nome di Calisto III. Intanto gli filTari dell’impera tore presero
cattiva piega; papa Alessandro, affettando cuore italiano, promosse la famosa Lega lombarda, la quale in suo
cuore non aveva altro scopo chc il
proprio interesse nella caduta dell’imperatore: papa Calisto allora abbandonato si sottomise, ed il santissimo
Alessandro lo fe’ condurre ben legato
nel monastero della Cava ove in dura
prigione morì.
Non diremo nulla dello scisma fra
papa Giovanni XXIleNicolòV(1328)
sembrandoci cosa chiara che Nicolò
fosse veramente illegittimo, e perciò
non può, secondo noi, il suo scisma
formare un argomento contro la sue*
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cessione aposlolicn. Accenneremo brcvemcnle, per finire, la storia del grande
scisma d'Occidenle.
CONTENZIONE
Fn\
LA POTESTÀ CIMI.E
E LA POTESTÀ EfXLESL\STICA
A* TFMPI
(li Vi((ovio Amedeo II i\\ Sinoia.
NeH’altijale vertenza fra il nostro Governo e la Corte romana, oggi chc gli
animi de’ cittadini, ini^srli deiresilo, ondeggiano fra’ timori e le speranze, ed il
Governo si mostra indeciso di ricorrere
alle misure necessarie, non men che
giuste, per risolvere la questione in
un modo convenevole alla dignitii della
Corona'e'‘ài diritti delio Stalo; non è
fuori di proposito, anzi giova moltissimo
di consultare la storia del paese, per sapere come siansi regolati i passati Governi in simili casi, c metterci sulle loro
tracce, se mai la via da loro battuta conducesse a Imoni risultamenti.
La storia è piena di conflitti fra la polestà civile e la potesià ecclesiastica; imperciocché siffatta piaga può dirsi antica
quanto il papato; e da Gregorio VII ai
nostri lempi, imperversando sempre più,
ha cagionato nel mondo ogni sorta di
mali. Ma noi preferiamo la quistione siciliana del secolo scorso, perchè di sommo
interesse ed avvenuta sotto il dominio di
uno de’ più gloriosi duchi di Savoia, e
perciò formante parte della storia nostra.
Intanto, per l’intelligenza de’ fatli che
ci proponghiamo di narrare, è mestieri
premettere un breve cenno sulla legazia
apostolica di Sicilia.
Il papa non ha io Sicilia che la semplice potestà dell’ordine; ogni altra potestà appartiene al capo dello Stalo, il
quale o la esercita direttamente da sè, o
per mezzo di un magistrato detto Giudice
della monarchia, o della leqazìaapostolica.
Infatti il re stabilisce diocesi, nomina vescovi, esercita potere giurisdizionale sulle
persone e sui beni dei chierici. Le cause
ecclesiastiche hanno coniinciamento e fine
in Sicilia, sotto l'autorilà e la sorveglianza regia, senza chc se ne possa appellare a Roma. Nissuo legato o nunzio
pontificio può essere invialo neH'isola ad
esercitarvi alcun potere, essendo il capo
dello Stato investito di tutte le facoltà e
del tilolodi legalo a latere nato; insomma
ogni principe e qualunque allro capo del
Governo siciliano, senz’essere scismatico,
è autocrate nè più, nè meno dello czar di
Russia; cd è perciò che alcuni pontefici,
decidendo qualche cosa riguardante la
Sicilia, hanno detto più volle; mandiamo
halle dove non siamo papa.
Questo diritto ebbe origine colla monarchia siciliana. — Quando Ruggero, il
normanno, conquistò l’isola dai Musulmani, e restituì sotto la disciplina di Roma
la chiesa di Sicilia, già soggetta al patriarca di Costantinopoli, Urbano H, per
compensarlo dell’insigne servigio, e per
tenerselo amico in avvenire, a di lui richiesta, gli concesse a voce, per sè e suoi
successori, la potestà sopraccennala; ma
con la secreta intenzione (abitudine per
allro della Curia romana) di spogliamelo
allorché gliene sarebbe venuto ii destro.
Ma egli non polè farlo, perchè quel re
prode e polente, non rulcndo essere «i-
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gnore a meli, non permise mai ehe un
principe straniero si mischiasse negli affari del suo regno, e presso lui tutte le
sofisticherie della Curia romana aveano
poca fortuna; sicché il mentovato pontefice dovette sanzionare in una bolla ciò
che avea prima accordalo verbalmente.
Nè per questo i successori di Urbano
si acchetarono. Da Innocenzo li ad Innocenzo XIII, una guerra più o meno aperta
fu mossa contro 11 tribunale della sicula
monarchia, guerra, com’era ben naturale,
d’intrighi e raggiri e suggestioni vergognose, avvalorate bene spesso da monitorii e interdetti. — E se il tribunale della
sicula monarchia esiste sino a’ giorni nostri, e forma una parte essenziale del
diritto pubblico siciliano, ciò si deve alla
longanime fermezza de’ governanti e dei
cittadini di quell’isola, i quali, forti del
loro diritto, han sempre trionfato delle
pretensioni e delle minacce pontificie.
Non la finiremmo se volessimo qui rammentare tutte le transazioni avvenute fra
i papi e i principi di Sicilia. Ma quelli
hanno sempre trattato con tale dissimulazione e tanta malafede, che ad ogni minima occasione , e contro la data fede,
sono ritornati sempre a negare il tante
volte riconosciuto tribunale di monarchia,
facendo sorgere de’ pretesti per ricominciare la lotta e tentare nuovamente la fortuna onde sbarazzarsene.
La controversia che abbiamo scelto per
argomento di questo articolo ebbe uo'origine veramente ridicola, ed avvenne
nel 1711, mentre la Sicilia vivea sotto la
dominazione spagnuola.
Era vescovo di Lipari Nicolò Maria Tedeschi, monaco benedettino, allorquando
due villani portaoli al mercato della città
certi ceci o fagiuoli, furono fermati alla
porla da’ doganieri e costretti a pagare ii
dazio che, fatto il calcolo, sommava ventisette quallnni. Or quesli ceci o fagiuoli
appartenevano al vescovo, per cui, sdegnati di avere inutilmente invocato il privilegio deirimmunità, i contadini ne fecero aspre lagnanze al vescovo; e quesli,
servendosi della famosa bolla in ernia
Domini, minacciò di scomunica i dazieri
ed altri uffiziali di dogana siccome violatori diquel privilegioecclesiastico. I conduttori del dazio, per evitare un molesto
litigio, restituirono i 27 quattrini. Laonde
il vescovo, sì per il rimborso della miserabile somma, sì pure per l’indiretto riconoscimento dell’immunità, arrebbe dovuto rimanersi pago e tranquillo; molto
più chei giurali e il governatore di Lipari
andarono a visitarlo, scongiurandolo di
scordare l'accaduto. Ma il Tedeschi, pessimo pastore e accattabrighe, volle scomunicare ad ogni costo i gabellieri, e fulminare l’interdetto contro la città, anzi
contro tutta la diocesi, come se tutta la
diocesi fosse rea di aver preso pochi soldi
a due villani.
Allora i dazieri chiesero al tribunale di
monarchia ed ottennero l’assoluzione
cum reincidentia, per la quale erano assolti provvisoriamente della censura e
abilitati ad appellarsi davanti al tribunale
della sicula monarchia, come di dritto,
non a quello di Roma.
Di ciò istruito il vescovo e inviperito
più che mai, appiccò l’interdetto alle porte
della chiesa, e fremente d’ira e di rabbia
se ne partì per Roma, dove giunto, come
narra Carlo Botta, con prospero vento,
si presentò con singhiozzi egeniiti a’piedi
del pontefice, e conoscendo di essere
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— USI —
con favorevole orecchio ascoltato, chiesegli assistenza, aiuto, danaro e protezione. l'area ohe per quei quattro ceci o
fagiuoli, l’avessero reso il più sventurato
uomo del mondo; chiamava se stesso vittima dulia tirannide, come se fosse caduto
nelle mani di Nerone. 11 papa lo accolse
benignamente, lo additò a'circostanti siccome un martire glorioso, col mollo di favori e di donare tanto per indennizzarlo
del martirio, e fu contento di afferrare
quel pretesto per risuscitare la vecchia
controversia della legazia apostolica.
Scrisse o fece scrivere a tutti i vescovi di
Sicilia, dichiarando nessuno nc vescovo,
nè cardinale, nè legato avere la facoltà di
assolvere cum reincidentia, ma spettare
esclusivamente al poutefìce.
Intanto in Sicilia il giudice di monarchia, per ordine del viceré Los Barbcs e
col consiglio di circa cento teologi, esaminò nelle forme la quistione, e reputandosi, comedi fatto era, fornito delle corrispondenti potestà, liberò i gabellieri
dalla scomunica, ordinò si aprisse la
chiesa di Lipari, già chiusa per 1’ interdetto del vescovo, che dichiarò nullo e
invalido, vi fece celebrar messa dal ca-.
Donico Ancello, e in testimonianza de’
suoi poteri, procedette ad altri alti di
giurisdizione ecclesiaslica.
Il papa — era Cleraeate XI — i nforma to
di queste cose e mosso da sdegno, confermò l’inteidello del vescovo di Lipali,
dichiarò inique e nulle tulte le operazioni
del giudice di monarchia, e sentenziò il
cjinonico Àncello e i suoi complici incorsi
nella scomunica maggiore, riservando a
se solo, come somm& pontefice, la facoltà
di assolvere da silTatle scomuniche, — con
la quale sentenza aboliva indirellamente
l’autorità del tribunale di monarchia — e
io pari tempo ordinò a tutti i vescovi di
Sicilia di avvenire i popoli a non comunicare con gli anatcmizzati, ancorché
fossero assolti dal giudice di monarchia.
Il viceré, con una grida del 7 aprile
1715, ordinò, alla sua volla, che nissuno
desse retta a ribelli editti de’ prelati, e
comandò a quesli di ritirarli subito, pena
la disgrazia regia. L’arcivescovo di Messina cd altri condiscesero, altri no. i più
renitenti furono quelli di Catania e di
Girgenti, e la disgrazia regia piombò sul
loro capo. Il viceré fece intimare al vescovo di Catania la partenza dal regnu
infra due giorni. E il vescovo, pria di
partire, si vendicò cristianamente, lanciando la scomunica su’soldati apportatori del bando, sulla città, sulla diocesi,
e poco mancò non iscomunicasse lutto il
genere umano. L’arcivescovo di Messina,
rimproveralo dal papa ed ammonito severamente per la condiscendenza usata
inverso al governo, volle riacquistare in
faccia a Roma la reputazione di buon prelato alla foggia de’preti, e scomunicò tulli
coloro che avean preso parte agli atti di
Catania; fu espulso anch’egli per ordine
del viceré, e con tanta celerilà, che non
ebbe nemmeno il tempo di vomitare l’interdetto contro la ciltà e dincesi di Messina; cosa che avrebbe fallo immancabilmente, ad esempio de’ vescovi di Lipari e di Catania.
Ma l’eroe, il vero Rodomonte fra’ vescovi siciliani, fu quello di Girgenti, un
cerio Ramirez, spagnuolo e monaco domenicano ; il cervello gli si scaldò a segno che, in un solo fiato, emanò tre
editti: col primo scomunicò i traviati-,
col secondo avverti i fedeli a nou obbc-
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— km —
dire agli ordini del viceré; col terzo scomunicò i minisliM della Camera regia, che
avevano pofto in sequestro i beni de’vescovi esiliati. Fu anche egli caccialo dal
regno.—Quesli Ire vescovi di Catania,
Messina, Girgeiili, divenuli martiri alla
foggia del nostro Fransoni e Marongiou,
andarono a Roma carichi di sdegno, di
veleno e di querele, e furono accolli palern;:mente dal papa. E siccome i tre vicarii generali di Girgenti, ed altri ecclesiastici, co’ loro ribelli clamori, turbavano la tranquillità pubblica , per ordine
del viceré vennero arrestati e messi in
prigione.
Dopo questi fatti l’orizzonte intorbidatosi vie più, minacciava un diluvio di
scomuniche da parte del papa, e altri severi atti di giuslizia da parte del governo
siciliano; ma un avvenimento impreveduto apportò tregua, nou pace.
L’Europa insanguinata e stanca per la
famosa guerra della successione di Spagna, ollenea finalmente un principio di
pace col trattalo di Utreclh ; e per questo
trattato la corona di Sicilia passava sul
capo di Vittorio Amedeo li di Savoia, il
quale acquistava con essa, e per la prima
volta, il titolo di Re. Egli vi si recò alla
fine del 1713 e vi fu coronalo.
Il duca Vittorio viveva già in manifesta
discordia con la Curia romana. Le cagi otii
erano molle, ma tulle relative a materie
beneficiali cd a pretensioni di immunità
ecclesiastiche e di giurisdizione feudale s»
alcune terre dell’Asligiano, del Vercellese
c del Cauavese. Piovevano dal Valicano
monilorii e scomuniche formali, e dalla
Corte di Torino si fulminavano pene contro chi ardisse pubblicarle. 1 soldati del
duca entravano nelle terre papaline con
dimostrazioni ostili, e nel Piemonte le
scritture pontificie erano divelle e stracciate dalle porle e dalle mura, e lacerate
e peste con segni di scherno. — Le contese sardo-romane continuavano con mollo
odio e accanimento, allorquando il regno
di Sicilia passò sotlo il dominio del duca
Vittorio : queslo fatto non fece che aggiungere legna al fuoco.
Il papa, sperando che il re, per consolidare la sua piitenza nel nuovo regno, sarebbe pieghevole alle sue voglie, si affrettò a compiere tali atti chc, non osservali dui governo, gli avrebbero forse assicurato la vittoria. Infatti ordinò all’arcivescovo di Palermo di uniformarsi a
quanto avean praticato i vescovi di Catania e di Girgenti, mandò monitorii a lutli
coloro che avevano avuto parte al bando
de’ due vescovi, e al giudice di monarchia per avere dichiarale nulle le censure
e gl’interdetti di costoro. Fece scrivere a
lulti i frali di Sicilia di osservare i lanciali
interdtlti e predicare, in mezzo al popolo
la necessità di osservarli; e ciò, frale
altre, sotto pena della sospensione a divinis. Vietò in Sicilia la pubblicazione
della crociata, onde togliere a quell’isola
i consueti sussidii per difendere le coste
contro a’Turchi ; e lutto ciò fu fatto palesemente. In secreto poi furono mandali
in Sicilia preti e frati travestiti per seminare nel popolo—al solito — malumori
e zizzanie contro al governo ; e con vili
suggestioni e spauracchi d’inferno, di
dannazione, d’ira celeste e finimondo,
sorprendere i deboli, ingannare gli ignoranti e incitarli tulli a fuggire gli scomunicali, motteggiarli, ingiuriarli, e resistere agli ordini del governo; era una
scellerata propaganda.
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Il re Viltorio, da una parte deciso di
voler tutelare lo franchigie, di cui i .suoi
nuovi sudditi erano gelosissimi, e quindi
di non recedere dalle deliberazioni prese
dal governo antecessore ; e dall’altra parie
volendo dar (ine a queste diffi’reiizce calmare l’animo irritato del papa, stimò bene,
per quanto il suo onore e la inviolabilità dei
suoi dritti comportava, di procurare una
amichevole composizione. Mandò a ftonia
l’abate Barbara, per supplicare il papa a
riguardare con occhio piìi benigno , la
turbata Sicilia-, pregò il cardinale Ti eiiiouille, che era in gran credilo a Roma, di
interporsi, come si interponevano molti
vescovi italiani e stranieri e gli stessi re
di Francia e di Spagna. Il .san/o padre
fu inesorabile , e poco mancò che nou
¡scomunicasse il povero abaie liirbara,
cui di più fece palesare la sua pontiiicia antipatia, e l’ordine di lasciare la
città san/a. La premura dimoslrata dal
re Viltorio di voler comporre, la discordia, invece di rabbonire l’animo di Clemenle, lo fece inorgoglire in modo da
pretendere, prima di parlare di alcun
accomodamento, come preliminari del
trattalo, le seguenti soddisfazioni : Che i
vescovi e tulli gli allri ecclesiasiici espulsi dal regno fossero richiamali : che
si liberassero dal carcere tulle le persone imprigionate per queslo fallo : che
si osservassero puntualmenle gli inler(lelti. Le qLiali pretensioni, non so se più
ridicole o petulanti del papa , facevano
reputare ogni aggiustamento iriipossibile;
per la qual cosa l’abate Barbara lasciò
Roma senza aver nulla conchiuso; come
due anni fa successe al defunto commendatore Pinelli
Eppure il re, volendo fluirla, si mostrò
pronto ad annullare tulli gli atti e processi
falli nel regno per quella controversia,
quante volle il papa, dal canto suo, annullasse gli atti emanali da lui e da’vescovi di Lipari, di Catania e di Girgenti.
Il papa volle scnlire suH’assunlo il parere di una congregazione straordinaria
di cardinali; ed avendo costoro opinato
favorevolmente alla proposta del re Vittorio, come il mezzo più logico, più dignitoso per ambe lo parli, e più conducente a un deffinilivo aggiustamento;
Clemente, ches’era prefisso di abolire interamente il tribunale di monarchia, discre|iò dalla loro sentenza, e ritornò alle
prime pretensioni. Malgrado ciò, Viltorio
reputando il rilorno de’ vescovi in Sicilia
siccome un tacilo annullamento degli interdetti, si mostrò non lontano dall accordarlo; ma Clemente ricusò i|uest’altro parlilo, minacciando la sua collera a’vescovi
che l’abbracciassero. Chc .più?... per piegarloa condiscendenza, il re fece scarcerare
i Ire vicarii generali di Girgenli ; ma più
egli concedeva, più l’animo del pontefice
si indurava— antica abitudine della Curia
romana! — Sicché finalmente dichiarò
abolilo il frihiinale della monarchia, apocrifa la bolla di Urbano II, o se autentica,
non contenente tulli i pri( ilegi che i principi siciliani si arrogavano; o per lo meno
acrordati al solo Ruggero e suo figlio
Simono, non agli altri successori della
Sicula monarchia. Nel tempo stesso fulminò l’anatema contro il giudice e gli ufficiali di quel tribunale, e coniro tutti
gli ecclesiastici che non a\ evano osservato
l’interdetto.
I Gesuiti, comecbè fossero sfati prediletti, beneficati, arricchiti da’principi e
dal po|)olo, con ogni ingratitudine vollero
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parteggiare per il papa; e il governo, di
ciò inclegnalo, li cacciò dall’isola e pose
i loro beni a confisca. — Fu organizzata
una .sorveglianza per impedire cbe nel
regno penetrasse qualunque ordine, o
provvedimento di Roma ; c il papa —
vedi malizia e fraude pretesca! — il papa
mandò cinquanta Copie della sua bolla
dentro certi fiaschi che sembravano pieni
di vino, e trovò modo di farli penetrare
furtivamente a Palermo. Questo fallo, attcstato dallo storico Carlo Rolla, indegnò
il popolo ed il principe ; il quale a rigore opponendo rigore, e difesa a difesa,
esiliò tutti gli ordini secolari e regolari
chc davano segni patenti di obbedienza
alla bolla pnntiricia e a tulli i decreti di
lloma; scacciò dalla capitale l’arcivescovo
cbc si convertiva alla causa del papa, incarcerò i pili turbolenti partigianidi Roma,
a’ renitenti sequestrò o confiscò i beni.....
Cus) la lolla incominciata da un vescovo
avaro e mallo, alimentala dalla ambizione
e caparbielà di un pontefice, divenne terribile e tenne la Sicilia divisa e scissa per
più anni, e oppressa da innumerevoli calamilà.
Per giustificare la sua condotta innanzi
a’ fedeli, il papa fece scrivere un libro intitolato: Della pretesa monarchia di Sicilia: un allro libro fu scrilto, per ordine
del re, col titolo : Difesa islorica della
monarchia di Sicilia ; in quello con sofismi e menzogne si negava all’isola il
dirilto antichissimo della legazia apostolica ; in questo con diversi e irrefragabili
argomenti si propugnava. Inoltre il governo decretò multe, galere ed esilii contro i detentori o venditori del libello romano, e del volume XI degli annali di
Baronio, conlcncnle gli iitcssi principii, c
si punivano quali rei di allo tradimento
i tipografi che avessero stampalo la bolla
in coena Domini, e i librai che l’avessero
venduta.
La caparbietà del papa dispiaceva già
a molli cardinali, ad alcuni potenti principi, e a quanti avevano a cuore la concordia e la giustizia. Ma Clemente XI, timido nel cominciare le deliberazioni e tenace nel sostenerle, chiudeva l’orecchio a
chi esortavalo a migliori consigli. Sperava
che Vittorio Amedeo, perchè principe di
non molta potenza, sarebbesi finalmente
inchinalo alla volontà di lui, sommo pontefice; ma nei sei anni che Vittorio regnò
in Sicilia, gli mostrò cbe il drillo del debole è uguale a quello del potente, e che
un buon principe deve difendere i dritti
de’ suoi popoli ad ogni costo, e non arrestarsi, nè cedere davanti alle lusinghe,
alle minacce e molto meno tradire gli interessi dello Stato per ¡sciocchi pregiudizii.
Quando poi la Sicilia passò sollo il dominio delTAustria, Clemenle, avendo da
fare con l’imperatore Carlo, cominciò a
rimettere dalla sua durezza, e nel 1719,
instando l’imperatore, quel papa levò gli
interdelt¡ contro le diocesi, ed assolse
dalle censure il giudice della monarchia.
Così il drillo siculo, venuto nelle mani di
un principe potente, divenne più giusto
che non era sotlo il governo d¡ un pr¡ncipe d¡ minore importanza — i papi sogliono pesare gli altrui diritti in questo
modo; pesano colla bilancia degli umani
r¡guard¡. — E Benedetto Xlll, successore,
dopo Innocenzo Xlll, d¡ Clemenle, con
bolla del 30 agosto 1758 restituì le cose
iu pristino stalo, riconfermando il celebre privilegio del tribunale della sicula
11
monarcliia ; e ciù, lo ripeliamo, non si deve
che alia lunganinie fermezza de’gover
nanti e dei ciiladini di queirisola.
E di vero basta leggere lastoria per giudicare la Curia romana,—Superba, minacciosa, pretendente sempre co’governi cbe le
si mostrano deboli ed oscillanti; ma in faccia a chi sa resistere ad essa, saldo nella
coscienza de’ proprii dirilli, e superiore
ai pregiudizi!, la Corte romana smette infine il suo orgoglio e finisce per condiscendere.
Possa queslo esempio servire, nell’attuale controversia con Roma, di norma al
governo, e di conforto a quanti hanno bastante spirilo per non ¡scambiare la vera
religione colla superst¡zione e col fanat¡smo, ie sacre colle cose profane, e a
quanti bramano ¡I pieno esercizio delle
patrie liberlà, ¡1 decoro della Corona, e la
indipendenza dello Sfato.
li’ ISrCHlliTEllRA
Non vi è paese più caluunialo dai clericali che l’Inghilterra. A sentirli l’Inghilterra è ¡1 focolare del socialismo, ii paese
dell’irreligione e della incredulità, il
centro di tutte le rivoluzioni, la terra
della confusione, del disordine, della miser¡a, del liberlinaggio. Sono i clericali
che nei loro giornali, sui loro pulpiti, nei
loro confessionari gr¡da^o a p¡ù non
posso contro una da loro sognala cospirazione dciringhilterra per rovesciare la
felicità, l’ordine, la moralità, e la vera
liberlà di quei paesi ilalian¡ che hanno
ancora la fortuna di essere dominati
dai chierici. È la perfida Albione, essi dicono, che vorrebbe colle sue Bibbie avvelenare i uoslri cari figli.....
Ma si troveranno a’giorni nostri persone per credere a tali sfacciale menzogne ?
Il sig Danjou, cattolico di buona fede
ed amante della sua patria, aveva prestalo fede alle calunnie dei clericali francesi contro ringbillerra, e non già perchè
dubitasse della veracità dell’t/^niuers e
coDsorU', ma solo per vedere coi proprii
occhi, e fornire forse lumi ulteriori a
scoprire e sventare la orribile congiura
della immorale cd irreligiosa Inghilterra,
si decise ad andarvi, e scelse il tempo più
opportuno, cioè quello di maggiore confusione; ¡1 tempo della esposizione del
1851. Ecco però ciò cbe l’onesto cattolico
sig. Danjou ba dovuto d¡re ad onore del
vero:
0 lo vorrei potermi persuadere cbe non
bo ancora abbandonata la Francia; che
queslo popolo così religioso, cosi dolce,
cosi laborioso, co.«! rispelloso verso la
legge, ma cosi geloso della sua liberlà è
il popolo francese; che questo paese cosi
prospero, cosi ben guarantilo contro ogni
anarchia è il mio caro paese: che questo
governo cosi paterno è il governo della
Francia: die quesla stampa così indipendente, così veracemente liberale, così potente è la stampa francese. Sarebbe ben
così la Francia, s¡ccome da lungo tempo
la desidero, se in luogo dei soflst¡ cbe la
governano essa avesse uom¡^¡ di buon
senso e di libertà.
« Ah! èqui (in Inghilterra)che bisogna
venire per comprendere i beni, per sentire la dolcezza ineffabile, e per respirare
il soave profumo di quella vera libertà
che ¡1 Cristianesimo ha data al mondo. È
qui chc essa regna in tulla la sua gloria
e la sua macsfà, che essa spiega i suoi
12
tesori, che opera i suoi prodigi. È qui
lioaliiienteove essa dà allo spirilo umano
queU’aUivilà, quel genio, quella energia,
quella fede santa die trasporla i niouli e
cambia la faccia del mondo.......
0 Quello die colpisce prima d’ogni altra
cosa l’osservatore a Londra è l’aspetto
religioso delle cose e degli uomini. Bisogna esser cieco per non vedere al primo
colpo d’occbio che la religione esercita io
Inghilterra la sua induenza su tutto e per
tutto; quesla influenza brilla in lutli gli
alti della vita, nelle arli, negli usi, nel
portamento, e perfino nei divertimenti e
nei piaceri profani.
«.....Finalmente in Londra io noto
dapertutto cbe il senlimenlo crisliano sussiste in lutla la sua energia. Così questo
senlimenlo cristiano, austero, religioso,
forma senza poterne dubitare il foudodel
carattere della nazione inglese: queslo
sentimento religioso è la regola dei suoi
costumi, il priucipio delle sue islituzioni,
la guardia di salvezza di sua libertìi, il
principio di sua potenza, di sua grandezza
6 della sua prosperitii u.
Clericali! paragonate l’Inghilterra di
oggi colla Iiigbillerra altra volta dominata
da voi, e liacciulene la differenza: paragonate la da voi odiala Inghilterra ai
paesi ove voi dominate e diteci ove maggiore è l'ordine, la moralità, la religione,
I.J liberlà !
11/ CAT'rOI-ICISJIO
ED IL CATTOLICO.
11.
Il sig. Leo, secondo la versione del
Catloìico, risponde cosi al suo avversario : « Egli parla di una chiesa cattolica
« romana, nella quale si prostra il fedele
Il innanzi alle immagini invece di adoH rare 1' unico Salvatore, ed io non ne
Il conosco che una, in cui si venera la
Il croce di Gesù Cristo, e nei suoi santi
Il ciò che hanno fallo e sopportalo per la
it glorificazione della chiesa di Cristo ».
Se noi abbiamo bene compresa quesla
versione, sembra che il sig. Leo ed il
Cattolico sei'O lui, sostengano che nella
chiesa callolica romana i fedeli non si
prostrino innanzi alle immagini, ma adorino l’uNico S.vlvatore; che la croce di
Cristo sia venerata non adorata, e che nei
santi sia venerala non la loro persona nè
la loro immagine, ma ciò che hanno fallo
o sopportato per la glorificazione della
chiesa di Crislo. Che il sig. Leo protestante di nome avanzi tali dollrine gli si
può perdonare, consigliandolo a studiare
un poco la teologia cattolica cbe sembra
non conoscere punto : ma che i teologi
del Cattolico lodino ed approvino una
tale dottrina in contraddizione manifesta
colla dottrina della loro chies.i queslo non
possiamo assolutamente comprenderlo ;
perciò ci proveremo di dare una lezioncella di teologia ai reverendi del Cattolico.
Il concilio di Trento nella sessione xxv
traila del culto delle immagini e delle reliquie, ma ne parla in modo così equivoco
che non si potrebbe mai comprendere la
dottrina che stabilisce, se non richiamasse
in vigore la doltrinà del secondo concilio
di Nicca, Per conoscere dunque la dottrina del concilio di Trento, ossia della
chiesa cattolica romana intorno alle immagini, vediamo quale è la dottrina de*
secondo con<ilio di Nicea. NeH’azione iv
di codesto concilio sta scritto ; a Tutli
13
coloro che confessniio di venerare le inimagini, ma che negano loro ['adorazione,
sono dichiarati ipocriti dal s. padre Anastasio i>. Reverendi del Cattolico il coniplimenlo del concilio Niceno II ci sembra
diretto a voi che prendete a difendere la
dottrina del sig. Leo. Nell’ azione vn il
concilio ordina che sia reso : « l’onore, il
saluto, e Vadoraziorie alla immagine del
nostro Dio e Salvatore Gesù Crislo, di
nostra Signora la .Madre di Dio immacolata, degli angeli, e di tutti i santi : » e
conchiude ; « noi crediamo senza alcun
dubbio che è necessario adorare e salutare le immagini. E chiunque non ha un
tale sentimento, ma è angoscialo c dubita
intorno alla adorazione delle venerabili
immagini, il nostro sanlo e venerabile
concilio lo anatematizza n. Fxco quale è
la dottrina alla quale allude il concilio di
Trento nel suo famoso decreto. E dopo
una lale dottrina come potete o reverendi
del Cattolico lodare la dollrina del signor
Leo che è precisamente la dottrina opposta a quella della chiesa callolica?
Uniforme alla dollrina sopra citata è la
dottrina del sommi teologi della chiesa
romana. S. Tommaso chiamato da celesta
chiesa il Dottore angelico; quel medesimo
s. Tommaso di cui il Breviario romano
dice che Gesù Cristo stesso dalla sua immagine gli disse: — hai scritto bene di me
0 Tommaso, qual mercede ne riceverai ?—
Ebbene o reverendi del Callolico, ascoltate come questo grande vostro dottore
la pensi intorno al culto delle immagini,
e poi unitevi se potete a sostenere le
menzogne deH’eretico dott. Leo. S. Tommaso dunque nella terza parte della sua
Somma Teologica allu queslione 23, ari. 3,
dice cosi: « Deve dunque dirsi in tal
guisa che nnn si deve alcuna riverenza
alla immagine di Cristo in quanto che
essa è una cosa qualunque (a cagione di
esempio legno o scolpilo o dipinto ecc.),
resta dunque che le si debba riverenza
in quanto è immagine, quindi ne viene
che la stessa riverenza si debba alla immagine di Cristo quanla se ne deve a
Crislo stesso. Essendo dunque Cristo adorato con adorazione di latria, ne viene in
conseguenza che la di lai immagine debba
ESSURE ADonATA coH adoroziouB di latria ». Se il sig. Leo avesse lelto s. Tommaso, ed avesse saputa la storia dell'approvazione di sua dollrina da Gesù Cristo
stesso, come 1’ hanno lelto, e la sanno i
reverendi del Callolico, avrebbe egli dello
quello che ba detto?
Il celebre teologo Bellarmino nel libro
secondo delie reliquie, al capo xxi, espone
cosi la dollrina della chiesa romana intorno al cullo delle immagini : • Le immagini di Crislo e dei santi debbono essere venerale non solo per accidens ,
ovvero impropriamente ; ma per se stesse
e propriamente, inguisachè la venerazione
termim nella immagine considerala in se
stessa, e non solamente come facendo la
vece del suo esemplare u. Se il sig. Leo
leggesse tale dottrina nel Bellarmino non
crederebbe ai suoi occhi ; ma il Caltolico
chc la sa, con qual fronte può sostenere
Terrore del sig. Leo ?
Dalla dollrina dei teologi passiamo ai
libri officiali della chiesa romana. Cbe vi
troviamo ?
Il pontificale romano corretto per ordine di Clemenle Vili, e stampato in
Roma sotlo gli occhi dello stesso papa
nel 1593 alla pag. 672 ove parla del modo
di ricevere T imperatore, per quello cbe
14
riguarda la nostra questione, dice così:
« Se poi ua legato apostolico ricevesse
l’imperatore, ovvero entrasse nella città
con luì, o in qualunque modo andasse
seco; il crocifero del legato, e lo scudiero
che porta la spada dell’ imperatore debbono andare insieme di pari passo a cavallo, la croce del legato però avrà la
destra, imperciocché h si deve il cullo di
latria, e la spada dell’imperatore a sinistra ». Lo stesso pontificale prescrive il
rito che deve seguire il vescovo nel benedire r immagine della croce, e fra le
altre cose in quel riio il vescovo dice;
« Ti supplichiamo o Signore santo. Padre
onnipotente, Dio sempiterno: affinchè
voglia degnarli di benedire queslo legno
della tua croce, acciò sia un rimedio di
salvezza all’uman genere-, sia la solidità
della fede, l’accrescimento delle buone
opere, la redenzione delle anime, e sla il
conforto, la protezione, e la difesa contro i terribili dardi degli Hemifiu. Poscia il
vescovo dice: « Che questo legno sia santificato in nome del Padre, del Figlio, e
dello Spirito Sauto ecc ». Finita la benedizione il vescovo è il primo, non a venerarla come dice il sig. Leo, ma ad adorarla devotamente genuflesso, dice il
pontificale romano — Tum pontifex, flexis genihus, ipsam devote adorai — Che
ne dice il sig. Leo? è questa la chiesa
romana cbe egli conosce ?
Ma ci permetta a maggiore sua edificazione ancora due citazioni. La prima
è tolta dal messale romano, ed è nella liturgia del venerdì sanlo, in quella parte
che riguarda l'adorazione della croce: traduciamo letteralmente il testo del messale: « Finite le orazioni, il sacerdote,
deposta la pianeta, va dal lato dalla epi
stola, e quivi nella estrema parte dell’angolo dell’altare riceve dal diacono la croce
già apparecchiata nell’ altare, la quale,
volta la faccia verso il popolo, scuopre
alcun poco verso la sommità incominciando solo l’antifbna: ecco il legno della
croce nel quale pendè la salule del mondo:
VENITE ADORIAMO. Tulti SÌ prostrano eccettuato il celebrante. Quindi va dalla
parte anteriore dello stesso lato della epistola, e scoprendo il braccio destro della
croce, ed elevandola alquanto, con vocè
più alta incomincia: ecco il legno della
croce, gli altri cantando ed adorando come
sopra. Quindi il sacerdote va in mezzo
dell’altare, e scoprendo interamente la
croce ed elevandola per la tèrza volta in
tuono più alto dice: ecco il legno della
croce, gli altri cantando ed adorando come
sopra. Poscia il sacerdote solo porta la
croce al luogo preparato innanzi all’altare,
ed inginocchiatosi la pone colà: e toltosi
tosto le scarpe, va ad adorare la croce,
genuflettendo tre volte prima di baciarla. Ciò fatto ritorna e prende le sue
scarpe e la pianeta. Dopo i ministri dell’altare, quindi i chierici e laici due a due
genuflettendo tre volte siccome si è detto
adorano la croce. » Queslo documento
parla da sè per non aver bisogno di commenti.
La seconda è tolta dal breviario romano
in un responsorio del secondo notturno
nella festa della esaltazione della croce,
14 settembre: la chiesa romana canta in
quel responsorio « Signore, noi adoriamo
la tua croce ». E per togliere il pretesto
ad ogni cavillo intorno a questa adorazione, per far conoscere cioè iu qual senso
la chiesa adori la croce nel celebre inno
Vexilla, ripetuto più volte e nel breviario
15
e nel messale, la chiesa canta: « Ti salutiamo, 0 croce unica nostra speranza-, in
questo tempo di passione tu accresci la
grazia ai pii, e scancella i peccati ai rei».
Dopo tali fatli con qual fronte il Caltolico
dirà col sig. Leo che nella sua chiesa la
croce si venera, non si adora?
Una parola riguardo ai santi, senza mai
lasciare l'autorilà del breviario romano,
giacché noi non vogliamo quivi accusare,
raa solo esporre. Nel famoso inno alla
Vergine Avemaris stella, la chiesa romana ,^
dice alla Vergine; « Sciogli a’ rei i loro
legami (cioè i peccali), dà lume ai ciechi,
allontana da noi i mali, e ci procaccia
tutti i beni..... 0 Vergine singolare, la
più dolce fra tutte le altre, rendici sciolti
dalle nostre colpe, e ci fa miti e casti:
tu ci accorda una vita pura, ci prepara
un sicuro cammino affinchè possiamo eternamente rallegrarci allorché vedremo
Gesù ». In un inno del comune degli
Apostoli il breviario romano dice cosi:
n 0 voi (Apostoli) che con una vostra parola aprite e chiudete il cielo, voi per
pietà ordinate che noi siamo sciolti dal
peccato ». Nell’ ufficio del giorno di san
Pietro (29 giugno) dice; « 0 Pietro beato
pastore, tu accogli clemenle le voci dei
supplicanti, e con uua tua parola sciogli
i ceppi del peccato ». Nell’uflicio di san
Pietro in vfiiculis (1 agosto) in un inno
dice il breviario che san Pietro dovrà giudicarci alla fine del mondo; In finemundi
judìcabis scBculurn. NelTufficio di s. Maria
Maddalena in un inno il breviario dice
che i nostri peccati ci possono essere rimessi per le lagrime della Maddalena :
per Magdalenm lacrimas peccata nostra
diluas. Nel comune dei confessori i preti
pregano Dio che per la grazia del santo
di cui celebrano la festa gli sieno rimesse
le pene dovute (senza dubbio per i peccati Prohinde te piissime prcecamur
omnes supplices, nobis ut hiijus gratta
pcenas remitías debita. NelTulTicio di s.
Teresa così pregano i preti secondo il
breviario romano ; «0 vittima di amore,
tu brucia i nostri cuori, e liliera dal
fuoco deH’infcrno le genti a le aflìdate!!»
Noi lo domandiamo ancora, dopo tali
documenti ed infiniti altri che polrcbbero
aggiungersi, venga il sig. Leo a dirci che
egli non conosce una chiesa romana nella
quale il fedele si prostra innanzi alle immagini, invece di adorare l’unico Salvatore. Se egli noa la conosce tal sia di
lui ; ma il Cattolico può dire anch’egli di
non conoscerla ? E se egli la conosce,
percbè far plauso alle menzogne del sig.
Leo? Ci sarebbe pericolo che il Cattolico
si vergognasse di sostenere apertamente
le doltrine della sua chiesa?
In un altro articolo continueremo ad
esaminare il paralello del D. Leo.
IVO'TIZIE REl.IGiIO.<«E
Roma. — Domenica d maggio il papa ha
fallo un nuovo beato; questi è il P.
Paolo della Croce fondatore dei passionisi!.
Scozia. Edimburgo. Leggiamo nella
Semaine religieuse die un pastore di Edimburgo, traversando un giorno una
delle strade di quella vasta citlà, vide
avvicinarsi a lui un giovane ch’egli non
conosceva.
— lo credo, disse il giovane accostandosi urbanamente, io credo avervi sentilo predicare nella cappella di Spafiuld.
— Può darsi : vi ho predicalo molle
volte.
— Vi rammentate del biglietto di una
vedova aflliUa che domandava le preghiere della Chiesa per la conversione
del suo empio figlio?
16
— Me ne rammcnlo beDÌssimo.
- - Ebbene, son io quel (ìgiio per il
quale voi avete pregato. La vostra preghiera è stata miracolosamente esaudita,
lo passava in Spalìeltl per rendermi ad
una partita di piacere con alcuni miei
compagni di crapola ; era domenica. La
cappella wesleyana si trovava sul nostro
lassaggio. Risolvemmo di entrare per
)urlarsi del pastore e del popolo docile
che lo ascollava. Voi leggevate in quel
momento un biglietto che v’era stato dalo.
Era di una madre alllitla che domandava
le preghiere della Chiesa per la conversione ciel suo figlio. Invano cercherei ora
descrivervi ciò chc si passò allora dentro
di me: il mio animo era sossopra. Io flou
immaginava ehe quel figlio fossi io, ma
comprendeva il dolore che aveva dettato
quel biglietto. Pensava alla mia madre,
alla mia empielù, alle lacrime cbe la mia
condotta le faceva versare. La mia pazza
allegria mi aveva abbandonato. Restai al
sermone e lo ascoltai colla più profonda
attenzione, ed uscii dalla chiesa penetralo
da pensieri serii e profondi che facevano
ammirabile conlrasto colla empielù ed inciedulitù colla quale era entrato.
L’Evangelo aveva spezzato il ghiaccio
del mio cuore, lo mi unii alla chiesa, mi
prostrai avanti a Dio per domandargli
piangendo il suo perdono e la sua grazia,
e trovai per la fede in Gesù Cristo la pace
dell’anima mia. lo era altra volta la disperazione della mia madre, e da quel
momento divenni la sua consolazione.
Fino a questo momento la misericordia
del mio Signore mi ha manlenuto nella
Luona via. Noi viviamo insieme, felici,
contenti, e lodando Dio delle continue
manifeslazioni del suo amore. Penelralo
dalla gratitudine io benedico ogni mattina
Colui che mi ha condotto nella cappella
di Spaiield.
CUOXACílETTÁ POLITICA
Torino. — Le feste dello Statuto sono
riuscile magnitìche olire ogni dire: non
si è dovuto lamentare il menomo disordine. 11 Sindaco ha pubblicato un proclama di ringraziamento ai cittadini,
- La camera si occupa con grande im
pegno sul progetto di legge della ferrovia da Novara al Lago Maggiore.
— Il Senato del regno nella tornata
deiril approvò i seguenti progetti di
legge, l^per alienazione di beni demauiali
con voli favorevoli 47 contro 3; 2" per
l’aumenlo della relribuzione della gente
di mare alle casse di risparmio e beneficenza per la marina mercantile ; 3” per il
riordinamento del baraccellato in Sardegna: -i“ per lo stabilimenlo di quattro lince telegrafiche eletiro-magnetiche.
Roma, ii papa è stato a far visita al
cardinal Fransoni, e si è trattenuto in privato colloquio con lui. Un tale onore reso
^air em.'“» Fransoni è cosa assai rimar^chevole; non essendo costume che ii papa
renda visite che ai grandi sovrani.
— La camera apostolica ha comprato
in Porto d’Anzo l’antico palazzo del patrimonio Albani, c il minisiro delle Finanze vi ha fatte fare tutte le riparazioni,
e lo ha apprestato per la prossima villeggiatura di maggio di sua Santità. Il santo
Padre passerà due settimane nella nuova
villeggiatura, e poscia passerà alla antica
di Castel-Gandolfo, da dove tornerà a stabilirsi nell’antica residenza del Quirinale,
il minisiro delle Fuianze lia fallo acquisto por ordine del papa dei terreni appartenenti alla famiglia llencacci in Porto
d’Anzo, e ue ha fallo grazioso dono alla
nuova chiesa coslruila pure a spese della
rev." Camera apostolica.
— Il generale de’gesuiti è ancora in
uno stalo di gravissimi patimenti, non
può più muovere nessuno de’suoi memliri : egli spera che la Madonna gli faccia
la grazia di farlo morire nel mese di maggio, e lo tolga a tanti dolori.
Presso Stefano Giistetti,
via della Provvidenza, immero 8.
L’UOMO
DIRIMPETTO ALLA RIBBIV
ossia
Diritti rispettivi delia Bil>bia nell'Lomo, e deli'Honio nella Bibbia.
Direfiore G. P. MÈILLÉ^
Rinaldo Bacchetta gerente._
TIP. gOC. PI A. PONS P COMP.