1
LA BUONA NOVELLA
GIORNAT.K DELLA EVjVNGELIZZAZIONK
~-AAA/>^^XAAAr'
Andate per tutto i! mondo e predicate l'KvaiiijeU»
(la Buona Novella) ad ogni creatura.
Matteo ivi, 15.
PIIKZZO DI ASSOCIAZIONE ' ^ LE ASSOCIAZIONI SI IllCEVONO
Per il Uegno pranco a dcstinaaione].... £. 3 00 i In Pirexzk, da Leopoldo Pindli, via Tomabuoni
T, , ^ • .j 1 oe ì Deposito di libri religiosi.
Per la Svizzera e Francia, id........... ,, 4 25 ^ ^ ® ,
) In Livor.n'0, via San Francesco, idem.
Per l'Inghilterra, id.....:..........................„ 5 50 > Toai.vo, via Principe Tommaso dietro ilTem
Per la Germauia id.........................„ 5 50 ? pio Valdese.
Non ricevono assocla^ioaipe,„.noai |
un anno. j renze, via Tomabuoni al Deposito libri religiosi.
All'estero, a'seguenti indirizzi: Parigi, dalla libreria C. Meyrueis, rue llivoli;
Oinevra, dal signor E. Beroud libraio; Inghilterra, dal signor G. F. Muller,
General Merchant, 26, Leadenhall Street. E, C,
SOMMARIO
L’albero si conosce duJ frutto. — Se la religione sia il risultato deirimpofitura. —
Educazione. — Cenno necrologico.
L’ALBERO SI CONOSCE DAL FRUTTO
« Fate l'albero buono, e il suo frutto sarà buono; o fate
l'albero malvagio, e il frutto sarà malvagio; conciosia
cosachè dal frutto si conosca l'albero », Matt. sii, 33.
La natura dellalbero si conosce ai suoi frutti : l’uomo si fa conoscere, per le sue azioni, Clii ha buoni sentimenti, farà buone azioni.
I campi e giardini, offrono innumerevoli esempi per vieinaggiovnjente far comprendere le cose che alla religione si riferiscono.
Non vi è cosa piii asi>ra e cattiva di una mela selvatica : ma trapiantato l’albero in buona terra, e innestato con un buon melo, cangia del tutto di natura, e fa squisite mele.
Lo stesso è deU’uomo. Nel suo stato naturale, i suoi pensieri, le sue
parole, le sue azioni, hanno qualche cosa di duro e rozzo: nulla è buono
in lui. La educazione, la istruzione possono migliorare l’uomo, raa
non cangiare la perversa natura che per la sua caduta si è acquistata.
2
E come la coltura fa molto per l’albero selvatico, la educazione
può ugualmente far molto per l’uomo naturale : ma, {>ercl^è l’uno e
l’altro possano produrre dei frutti veramente buoni, bisogna che la
natura sia cangiata. Prima che l’uomo possa realmente glorificare
Dio con una vita santa, è necessario che divenga uno con Cristo,
per mezzo di una fede sincera. È così che si manifestano, la sapienza e la misericordia di Dio. Egli ha mandato sulla terra il suo
diletto Figlio perchè rivestisse la nostra natura e la ristabilisse nello
stato di santità dal quale era caduta: e il soccorso del suo Spirito
può operare la trasformazione necessaria, perchè l’uomo peccatore e
miserabile divenga un vero cristiano. Colui che chiede, e riceve da
Dio un profondo pentimento, ed una fede sincera, è in certo modo
ammesso di nuovo nel paradiso del Signore, è rinnuovata la sua natura per la unione con Cristo, e può portare frutti di santità.
I giardinieri tutti, sanno che, quando l’albero selvatico è stato
trapiantato e innestato, e che anche dopo aver dati buoni ftutti,
spuntano dei rami selvatici, in guisachè se non si tagliassero, l’albero si indebolirebbe, i buoni frutti diminuirebbero, e i rami selvatici farebbero perire i buoni.
Approfittiamo di questa lezione. Ancorché una nuova vita ci fosse
data, che la santa natura di Cristo fosse stata innestata in noi, e che
per il suo potere, fossimo divenuti capaci di portar buoni frutti, la
nostra natura, dedita al peccato, sussiste sempre e lotta per riprendere il disopra: dobbiam dunque come il giardiniere, vegliare e lottare per impedire il male inerente alla nostra natura, che prenda
nuovo sviluppo, far di tutto per abbattere l’orgoglio, la tendenza
alla collera, alle dispute, aH’egoismo, alla vanità, all’avarizia, all’invidia, i cattivi pensieri e gl'insensati desideri che sono^ polloni della
nostra mala natura. Bisogna lottare contro queste cattive disposizioni con tanta maggior cura, in quanto che ben spesso ingannano
per il rassomigliarsi ai buoni sentimenti, come le foglie dei rami
selvatici somigliano quelle dei buoni; ma “ le conoscerete ai frutti.”
La storia del mondo, tale quale è descritta nella Bibbia e in altri
libri, è ripiena di tristi esempi di uomini pii caduti in gravi peccati:
e si scorge quasi sempre, che nei primi momenti avrebbero potuto
resistere alla tentazione.
Se David fosse uscito dalla terrazza, e avesse pi-egato Dio di allontanare dal suo cuore il primo cattivo pensiero quando vide Betsabea, non avrebbe commessi, nè l’adulterio, nè l’omicidio.
Ognun di noi sa come s’innestano i buoni frutti sul selvatico.
3
S. Paoio rappresenta la Chiesa di Dio come un olivo, sul quale, Ebrei
0 Gentili debbono essere innestiiti, onde partecipare della grazia di
Dio e della redenzione che è in Cristo. Rom. xi, Ki-24.
Conosciamo, e possiamo immaginarli con quella similitudine, corno
Dio agisce nel cuore di ciascuno. Non si può innestare un albero di
una specie, con un albero di specie diversa. Uno spino selvatico innestato che sia, può dare una bella rosa da giardino, così: l’olivo
selvaggio innestato che sia, dà olive migliori : ma il fico non jiuò
portare olive, nè la vite fichi {Giac. iii, 12). Bisogna che l’innesto
sia della mede.sima natura dell’albero sul quale si Inette. Non può
esservi fra loro differenza di specie, ma di qualità. L’innesto che
deve esser posto sull’albero selvatico, sia vegeto e buono : tutti i
giardinieri lo sanno. Il gran Giardiniere fa così.
Il peccato aveva deteriorata la natura umana fino alla radice.
Non poteva produrre buoni frutti, e nello stato naturale del peccalo,
gli nomini non potevano più essere santi, in pensieri, parole, e azioni :
raa nella sua infinita misericordia, Dio risolvè di rimettere l’uomo
nello stato in cui Adamo fu creato, onde potes.se servirlo sulla teira,
e abitare con Lui nel cielo : a questo scopo dette il suo unico Figlio,
che rivestì della nostra carne, lo ha fatto nascere dalla donna, onde
in Lui la decaduta nostra natura umana potesse in qualche maniera
essere innestata con la natura divi'rtft',' ^ di esser così cap'atìè di portare buoni frutti.
I profeti che molti secoli avanti, hanno parlato di Cristo^lo chiamano “ germogUo ” e confrontando la profezia di Zaccaria, che lo
chiama germoglio, con quello che ne hanno detto li altri profeti, e
particolarmente Isaia xi, vedremo perchè Geremia ha chiamato il
figlio di David ch’era stato premesso “ tm germoglio giusto , il Signore nostra giustìzia. ” Egli è veramente la nostra giustizia, imperocché non è che per lo Spirito Santo che ci da Cristo, ohe [wssiarao
fare quel che è giusto : e non è ugualmente che per la sua giustizia
e per la sua perfetta obbedienza, che possiamo essere accettati come
giusti davanti a Dio. E come l’albero selvatico, non ha alcun valore,
e non può portare buon frutto fino a che un buon innesto nou vi sia
innestato, così, quando l’uomo è rigenerato e divenuto nuova creatura in Gesù Cristo, è capace di portare i suoi frutti piacevoli a Dio.
Rammentiamoci che “ i frutti dello Spirito sono carità, allegrezza,
poce, lentezza alt ira, benignità, bontà, fede, viansueiicdirt^e, continenza ” Gal. V, 22. Queste virtù differiscono tanto dalle cattive passioni naturali al cuore dell’uomo, quanto il buon frutto di un albero
4
buono (liiferisce dallaspro frutto dell’albero selvàtico, sul quale è
innestato. Assicuriamoci dunque, che Cristo è innestato in noi, e
rammentiamoci che le nostre parole, le nostre azioni devono manifestare la nuova natura che abbiamo ricevuta da Lui : se l’albero è
veramente buono, il frutto deve esserlo pure.
SE LA RELIGIONE
SIA IL RISULTATO DELL’IMPOSTURA
Ncll’uscir di casa, poche settituane addietro, m’imbattei in un mio conoscente siciliano, col quale di tempo in tempo son solito trattar qualche
quistione di morale, di dottrina, o anche di religione. Don Giovanni — è il
suo nome — appartiene ad una classe numerosissima di persone, che l'orrore della tirannide, lo sprezzo della superstizione e la lettura degli scrittori contemporanei, hanno spinti nella via della negazione, sino a far loro
ripudiare tutte le opinioni religiose del volgo, e formarsi una tal quale filosofia propria, che sembra loro sufficiente per mantenerli nelle loro abitudini di moralità.
Difatti non è per lui la corruzione del costume che abbia generato il
dubbio della mente. Don Giovanni è buon padre, sposo fedele, gentile nel
trattar con altri, zelante pel bene della patria, non poco amante della cultura dell’intelletto, ma con tutto ciò vittima d’un sistema che, mescolando
il vero col falso, ha saputo render dubbiose le verità le piii inconcusse, e
si trova, come tanti altri generosi spiriti in Italia, nella più assoluta ignoranza quanto all’unica cosa necessaria.
« Che v’ha di nuovo, Don Giovanni? » dissi scorgendo nel fondo della
via Toledo una serie di equipaggi rossi, con lacchè in splendida livrea, e
cocchieri in gala? « Che sono forse arrivati i principi d’Italia? o pure il
generai Garibaldi? ¡> — « No, no, rispose; per noi Palermitani non v’è cosa
piiì ordinaria di questa, la conosciamo fin dalla infanzia; è oggi la festa del
Corpus Domini, e l’eccellentissimo Senato, dopo aver assistito alla funzione detta, Cappella reale, ritorna ora al Duomo; quanto a me, non vado
mai a simili pompe, che non fanno su di me il minimo effetto : poi aggiunse,
con quella gentilezza propria al siciliano ben educato nel trattar con forestieri che conosco; « se lei desidera di veder la funzione mi farò un onore
di accompagnarla >i. Accettai, e passando per alcuni vicoli, raggiungemmo
la parte superiore della processione, vicino la magnifica fontana pretori.1,
che è una delle curiosità artistiche di Palermo, le più degne di essere ammirate, benché risenta uu poco troppo deirimitazione del Buonarroti. La
5
procesíioue avauzava per Toledo; ¡ilcuui santi già erano passati, tì per 1 appunto portavano iu quel moiueiito due sauti di legno indorati, che ini dissero rapprc.sentarc i, Ss. Cosimo e Damiano, tanto conosciuti dai Cattolici
romani, quanto ignoti a uoi Evangelici. Giunti che furono alla piazza detta
dei quattro Cantoni, li fecero ballare in tutta regola, ed un poco prima vidi
due uomini vestiti di bianco, i quali salirono sulltì spallo di altri duo, od
eseguirono auch’essi una specie di valzer; appena credevo ai propri occhi,
e m’accorsi con piacere che la maggioranza della gente colta, divideva il
doloroso risentimento onde ero pieno. Giunto il Santissimo, ci ritraemmo
iu uu vicolo per non offendere la gente, poi lasciammo difilare il lungo cor
teggio di frati neri, bianchi, bruni, marroni ecc..... e fummo un poco compunti neH’ammirare il buon contegno della Guardia Nazionale, che chiudeva la marcia. Al Duomo ci separammo dalla moltitudine, ed il mio amico,
interrompendo il primo il lungo silenzio, mi disse: « Ebbene, signore, come
ha trovata la processione; non è stata numerosa e brillante.’ » Stentavo a
rispondere, temendo Ji offoudere il mio interlocutore, se avessi manifestato
il ribrezzo che sentiva; ma egli stesso me ne dispensò, e senz’aspettare la
mia risposta, aggiunse: « per me, ritengo un simile spettacolo essere
cosa assai istruttiva, poichò c’insegna chiaramente quali sieno lo origini
delle religioni positive: in testa la plebe, nel centro i preti, in fondo il go
verno ed i soldati ; ecco le tre sorgenti dei culti diversi e di tanti riti : iguo
ranza, impostura e politica! » — « Ohibò! ripre.si io, voi ci andate uu
po’ precipitosamente ». — « E non è questo il vostro modo di pensare, domandò D. Giovanni; anzi quello di tutti i protestanti? » — « No, no, l’avete
affatto sbagliata! e trovo chc traete dalla religiosa pompa, di cui per caso
fummo spettatori, conseguenze che non sono contenute nelle premesse; il
fatto universale del culto religioso non può spiegarsi con simili puerilità ».
« Capisce bene, riprese D. Giovanni, che la processione non fa altro che
fornirmi l’opportunità d’esternare una opinione, che già dalla prima gioventù ho nutritii, o che le esperienze dell’età matura hanno vieppiù consolidata. E per certo, non mancano gli argomenti; passi in rivista i culti chc
legnarono sin dai tempi più remoti nei nostri paesi, e ritroverà in tutti,
poco più, poco meno i medesimi caratteri. Cosa dirò delle religioni dei nostri proavi? Cosa furono i culti di Baal o Belo fra gli antichi Fenici, di
Giove, di Venere, di Giano fra i Greci che occuparono queste contrade
dopo i Fenici, di Maometto fra i Saraceni del medio evo? o degli altri
santi che s’invocano oggidì? Non vede lei, appunto qui nel centro del largo
la statua della vergine di Palermo, Santa Rosalia? Ne conosce senza dubbio
l’origine; sa come noi lfi21 le ossa della figlia di Sinibaldi, ritrovate in una
grotta del monto Pellegrino, fecero subito sparire il contagio della pesto,
chc allora infuriava in Palermo. Questa coincidenza chc lei chiamerà prov
6
videnziale, io fortuita, sembrò un miraooloj e S. llosalia divenne la patrona
della città.
Lei troverebbe ancora nelle antiche monete del paese nostro, una moneta di rame, ohe da un lato ha la testa di Giano, daU’altro un covone di
biada con uu becco, e che i periti spiegano come essendo stata coniata in
memoria d’una fame, cho l’intervento del Dio Giano fece scemare. Così si
mostra oggidì sulla grande entrata della chiesa della Kalsa una bella statuetta di S. Cristina, oon una iscrizione latina, la quale riferisce che una
processione fatta in onore di detta santa, fu premiata coll arrivo in porto
di un vascello di grano, e che salvò dalla fame l’intera città. Si dice che il
ballo dei Ss. Cosimo e Damiano, che osservò testé con tanto stupore, o iu
ogni caso la fondazione della loro chiesa nel 1575, dedicata anticamente a
S. Rocco, rammenti una liberazione di simil genere. — La plebe non conoscendo le leggi della natura, colpita da qualche insolito fenomeno, e sempre pronta ad ammettere un miracolo, moltiplicò i prodigi; le selve, le vie,
i campi, i fiumi, le città furono popolati di esseri misteriosi; si videro ovun
que santuari delle divinità pagane o dei santi cristiani; si moltiplicarono le
processioni, le saturnali, le funzioni notturne p diurne, ed avvenendo chc
nuovi eroi sorgevano di secolo in secolo, gli antichi furono surrogati dai
nuovi.
« Ercole succedette Augusto, ad Augusto il Cristo, al Cristo succederà
forse Garibaldi. » Questo modo di mettere il Salvatore fra Ercole e Garibaldi mi offese; ma Don Giovanni era in troppo bella voga di ragionare per
lasciarmi protestare contro il suo modo d’argomentazioni, poiché di già
avea trovato una nuova prova; « la guardi qua quel monaco veocliio e bar
buto, mi disse additando un’immagine sacra che si vendeva nella strada ;
ecco il buon S. Francesco di Paola chc risuscita un agnello. Foree nou
conosce la bella storia : alcuni ladri aveano rubato a povera gente un loro
agnello; furono presi e gittati in una fornace; il santo Padre, come lo chiamano, sopraggiunse in questo momento, e fece uscire vivo dalle loro ceneri
l’agnello che non aveano ancora digerito. Ecco come si fabbricano i miracoli, i quali sono in tutte le religioni uno dei loro più saldi puntelli.
All'ignoranza delle plebi si aggiunga l'impostura dei preti, i quali sempre seppero, a forza di sofismi, rendere ragionevoli le più assurde superstizioni, aumentarono la loro autorità col mezzo di orafcoli ambigui, che iu
ogni guisa potevano avverarsi, o ebbero la fortuna di approfittarsi del volo
di qualche aquila, di alcune macchie nelle viscere delle vittime, d una
grandine, d’una cornetta per far credere alla bassa gente che conoscevano l’avvenire, come oggidì pretendono alcuni sapere il miglior numero
del lotto. Infine vennero i despoti, i quali servendosi della impostura dei
preti per dominare l’ignoranza del popolo, presserò sopra questo doppio
fondamento l’cdifizio della tirannide.
7
Però, io dico, clic l'uoiuo istruito deve farsi una filosotia della vita, avere
una morale ben appoggiata, odiare la tirannide e l'ipocrisia, e quanto al
culto popolare, non urtarlo, anzi rispettarlo, perchè sempre rispettabile
come mezzo di mantenere gl'ignoranti nella via della moralità. ”
Aveva lasciato parlare il mio amico; l'ascoltava con quella soddisfazione
mista a dolore, che prova l'osservatore quando giunge ad accertarsi della
natura e deirorigine d’un male, dol quale nou conosceva altro che l’esistenza.
« Caro D. Giovanni, ripresi io, se non abitassimo in un paese uel quale
al cristianesimo si sono uniti tanti elementi desunti dal culto dei Pagani,
non avreste potuto rinvenire tanta copia di argomenti per la vostra tesi,
sino negli accidenti della strada; nè Londra, nò Berlino, nò Nuova York
ve li avrebbero forniti; il vostro stato di mente, ò quello di molti nostri
concittadini talmente disgustati da un culto materiale C superstizioso, chc
mettono sul conto della religione tutto lo assurdità, tutte le superstizioni
dei bigotti, e cercano mischiare la dottrina del Vangelo con quella del paganesimo, fin di menarne più facile trionfo. No, la religione di Gesù Cristo
non si spiegherà così. L’invenzione d’un Numa Pompilio o d’un Licurgo,
l’impostura d'un Maometto e le fantasie d’un Buddh Gautanio, potranno
render ragione, in parte almeno, dello cerimonie del culto romano, o del
fanatismo dei Musulmani, o dello strano panteismo dei Buddisti; l’avarizia
d’un prete varrà a spiegare il miracolo della Salette, o l’ambiziosa ignoranza
d’una S. Elena, quello dell invenzione della così detta Vera croce. Ma ci
vuole ben altro per renderci conto del fatto universale della religione, e
più specialmente per spiegarci onde sia nata la fede cristiana, poiché l'accusa d’ignoranza cade dinanzi alla parola dei grandi ingegni, quali furono
un S. Paolo, un S. Agostino, un Calvino; l’impostura non regge ai docu
menti autentici incontrastabili, quali sono gli Evangeli e le Epistole, e quanto
alla politica, lei sa che in ogni tempo, lungi dal sostenere il cristianesimo,
essa gli ha dichiarato una guerra accanita.
Del rimanente bisogna trattare le quistioni con ordine, e siccome lei mi
ha presentato alcuni fatti per trarne le conseguenze che le sembravano derivarne, mi lasci opporre ai suoi, altri fatti d’esperienza che potranno fornir
materia ad altri ragionamenti. Ilo appunto da far una visita ad una povera
inferma, ini vuole accompagnare? » — « Perchè no? Andiamo ». — C’innoltrammo neirinteruo della città, e traversando nn zig-zag di piccoli vicoli,
ci trovammo in uu cortile, al piè d’una scala stretta ed oscura in cima della
quale dimorava la malata. Questa povera donna c la sposa d’un ufficiale
dell’armata garibaldina, il quale ha conosciuto l’Evangelo nel Piemonte in
parte almeno per opera del nostro amico capitano S., e dopoché é ritornato
nel suo paese ha cercato di farlo conoscere alla propria famiglia. Sotto l’infame governo dei Borboni, egli era stato condannato a lungo e penoso
8
carcere, e dovette lasciar la famiglia nella più assoluta miseria, e distretta,
cosicché le lunghe privazioni han ridotto la povera di lui moglie ad uno
stato assai miserabile di salute. « Come va, donna Peppina, » diss’io aprendo
la porta sopra la quale erano dipinti in color rosso i due santi Cosmo e Damiano? Il volto contratto dal dolore, la bocca torta per la lunga malattia,
insomma l’intero contegno della povera inferma, erano una bastante risposta; e la vecchia madre la quale viene per aiutarla qualche ora del giorno, si
strinse nelle spalle, con un ghigno che sembrava dire; mi pare che Dio potrebbe far sosta! ^—• « Ebbene come va ripetei io? » — « Come vuol Iddio,
risposo l’ammalata. Jeri credevo che l’ora fosse venuta di trapassare, tanto
erano forti i miei dolori di stomaco, tutta la notte l’ho passata sulla seggiola, senza poter nemmeno stendere le gambe. Ahi ! Signor Gesù, abbiate
pietà di me ! » gridò essa sopraffatta dal dolore ; « cosi ho pregato Tintera
notte, gridando ad alta voce; non v'è che la preghiera che valga a rendermi
un poco di calma «. — Presi la Bibbia che era sul tavolino e domandai
alla malata se voleva che leggessimo qualche cosa; annuì, ed aggiunse;
« Povera me! Se i miei genitori m’avessero almeno mandata a scuola, potrei
ora nelle lunghe giornate di dolore sollevare un poeo l’anima mia colla lettura di questo eccellente libro che il mio marito portò dal continente?
Poco fa mi lessero alcuni brani del libro di Giobbe e della passione del
Nostro Signore, mi pareva che tutti i miei dolori fossero spariti. Tu, Teresa,
almeno saprai leggere ! » disse essa rivolgendosi alla figlia. Apersi il capitolo XII dell'Epistola agli Ebrei dove sta scritto : « lìiguardate a Gesù, capo
« e compitar della fede : il quale, per la gioia che gli era posta innanzi, sof
« ferse la croce sprezzando il vituperio, e s’è posto a sedere alla destra del
« trono di Dio. Perciò considerate Colui che sostenne una tale contradizione
« dei peccatori contro a sè; acciocché venendo meno nell'anima non siate
« sopraffatti,... avete dimenticata l'esortazione che vi parla come a figlinoli:
« Figliuol mio, non far poca stima del gastigamento del Signore, e non perii. dere animo quando sei da Lui ripreso. Perciocché il Signore gastiga chi
« egli ama, e flagella ogni figliuolo ch'egli gradisce. Se voi sostenete il gasti« gamento, Iddio si presenta a voi come a figliuoli ». •— Ah! sì, queste
sono parole dolci che confortano l’anima, disse la povera donna. Se io non
potessi pensare a G. Cristo ed ai suoi patimenti, non so come avrei resistito
sin a questo momento; ma lo prego dol continuo; e così parlando, si rivolse
come per istinto al piccolo crocifisso d’avorio che avea appeso sopra il capezzale. « Si, risposi, questo é il vero consolatore, perchè conosce per esperienza propria i nostri dolori, però non dovete invocare altri ». — « Non
temete, signore, prima che io avessi sentito leggere il Vangelo, invocav:i
San Francesco, San Giuseppe e molti altri santi e sante, ma ora non conosco ne voglio conoscere altro intercessore fuorché Cristo crocifisso! »
« Addio, donna Peppina, oli dissi dopo un momento, il Signore sarà con
9
voi, cei'taiuentc egli è già con voi non perchè ne avete 1 iiumagiuo sul ca
pezzale, ma perchè Egli ha detto che sarebbe vicino a coloro che l’invocauo
nella distretta ». L'inferma ci salutò con un segno di testa, e lasciammo la
stanza, ripetendo ancora una volta; « rammentatevi la parola che abbiam
« detta; il Signore gastiga chi Egli ama. » Don Giovanni avea assistito al
nostro dialogo col coutecno rispottuoso di un iiomo che non è insensibile ai
dolori altrui, quando fummo di nuovo iu mezzo al rumore della strada, non
potendo nascondere una certa soddisfazione interna; « Or sù, gli dissi, Don
Giovanni, sarà forse Timpostura, la stupidità o la politica che valgono a
rendere una povera creatura Uilmente rassegnata sotto dolori tanto crudeli?
Direte ancora che la menzogna sia l’origine della religione? »
Io l’avea sbagliata tentando di rientrar subito nel terreno della discus
sione, poiché l’auiico, vincendo facilmente l’impressione passeggiera della
pietà, mi disse; « Signore, le ripeterò ciò che mi diceva poco tempo fa; non
traete delle premesse, conseguenze che non vi sieno contenute. Questa povera è degna di compassione e merita rispetto, ma che sarà forse il suo ingegno la misura di tutti gli spiriti? Beati i poveri in spirito! Non è dato ad
ognuno di potere ripetere con Tertulliano : credo jicrchè assurdo ! Poi osservi,
signore, io non ho detto che l'impostura e la menzogna sFano l’origine di
ogni religione; nè protendo nemmeno negai-e essere qualche cosa di divino
nelle pagine del Vangelo dal quale lei ricavò le belle parole di conforto che
scrisse San Paolo; anzi ho detto sempre che la bassa gente ha bisogno di
simili conforti, poiché la provvidenza ha loro negato i doni più elevati e più
divini del ragionamento e dell’ingegno ».
« Non scapperete così, ripresi io, mio caro Don Giovanni, prendete gli
iugegui i più grandi, un Newton, un Dante, un Michelangelo, un Galileo,
fate che sieno neirinfermitù o stesi sopra un letto di morte, che mai potrete
lor dire senza le verità eterne ed indubitate della religione? Basta la filosofia pel tempo della salute e della forza, basta il ragionamento pei forti e
più specialmente por quelli che non patiscono, ma giunta l'ora della debolezza, della sofferenza, dell'angoscia e della morte, l'anima vuol certezza, vuol
una parola sicura che la trasporti al di là del mondo, un’àncora, come
dice San Paolo, che penetri al di là del velo, di quel velo misterioso che ci
nasconde il futuro, rcternità cd i nostri destini. Senza la religione, cd una
religione sicura, la morto e la sofferenza sono sinonimi di disperazione! Ma
non è nemmeno questa necessità alla quale io vorrei oggi rendervi attento ;
mi basti avere stabilito con un esempio il quale, si potrebbe moltiplicare con
una infinità di altri simili, che la religione è un fatto sui (jencris, chc non si
può troncare rimandandolo agli impostori, agli ignoranti, ossia ai politici, attesoché la piota è uno dei seiltimcnti che merita non solo il più profondo rispetto
da p;irte nostra, ma la cui sincerità è provata, dalla sofferenza, cimentati);
e si può dire mallevata dalla rassegnazione chc ispira alle anime credenti.
10
Vale dunque la pena ohe oi occupiamo seriamente del fatto dell» religione , che ricerchiamo le origini, la natura, e che scegliamo la vera, dopo
aver dato le prove dèlia sua divinità. E non mi dica che basta avere una
religione generale, cioè, scegliamo in tutte le religioni positive il concetto
comune e primario; sarebbe lo stesso che negare la religione; un culto non
si è mai renduto ad un essere indeterminato e assolutamente sconosciuto ;
gli si fabbricherà un altare come lo fecero gli Ateniesi, ma il deismo non
è che un primo passo che conduce verso l’ateismo, come avvenne al
deismo inglese e francese il quale più poi coll’ateismo del 1793, ossia cede
il campo alla religione positiva, come avvenne del culto dei teofìlantropi di
Laréveillère in Francia, il quale sparì subito che si rialzarono i santuari del
culto cristiano. Quel deismo indeterminato nel quale, lei mio caro Don Gio
vanni, con tanti altri ha cercato una specie di riposo momentaneo della
mente, non può neppure appagare i suoi propri bisogni. Lei stesso deve di
necessità progredire, e giungere ad una persuasione positiva e seria intorno
alla fede, poiché la sua indole morale ed il suo rispetto per le cose sante,
mi sono mallevadori che non troverà mai tranquUlità, nè in uno impotente
scetticismo, nè in una negazione materialista delle verità dello spirito e
della fede. Accingiamoci dunque a trattare nel nostro futuro colloquio della
base comune di tutte le religiom, cioè dell’esistenza di Dio. Stabilita questa,
studieremo insieme le prove della religione cristiana. Prepariamoci per la
prossima volta a svolgere tuttociò che si può dire pro o contro nella questione dell’esistenza di Dio; non già che vogliamo nè l’uno nè l’altro faro
la parte dell’ateo, ma affine di non appoggiare la nostra comune persuasione
che sopra un fondamento che sia solido e incrollabile; e voglia Iddio darci
l'acume, la luce, la sincerità dell'intelletto per non contentarsi d’una argomentazione dubbiosa, nè fare inutili obiezioni, per respingere il peso delle
prove che appoggiano la fede cristiana.
EDUCAZIONE
(Continuaz. V. N. 9 e 12)
Guimps. Bar. R. La filosofia e la pratica dcll oducazione.
III. Lo svolgiìnento morale e religioso.
« L'uomo è libero di disporre delle forze del suo corpo e della sua intelligenza, libero di dar sfogo alla sua attività e di contenerla, e libero ancora
di sceglierne la direzione e l’oggetto; insomma egli è dotato di volontà.
Da un altro canto egli è suscettibile di sentir il piacere cd il dolore, e la
sua volontà lo porta naturalment^j a ricercar quello e ad evitar questo.
11
Ma 1 uomo possiede puro la uozionc del beue e del male che nou gli
viene fornita nò dalla sensazione, uè dall’opera dell intelligenza. Appena
invocata, il bambino l’ammette quasi riconoscesse appartener alla sua natura, cioè per un atto d’intuizione che chiameremo intuizione dcH’anima o
■inluizimie morale.
La nozione del bene c del male implica l'idea intuitiva del dovere, il
quale consiste a voler soltanto ciò che è bene.
Il piacere cd il dovere sono dunque due motori difierenti cho tendono a
determinare la volontà, e spesso la sollecitano in versi opposti. La moralità
consiste a subordinar sempre il piacere al dovere.
Tutto ciò chc contribuisce a darci un'idea chiara e completa del dovere,
cd a farne il principio determinante della nostra volontà, costituisce la vita
morale ».
Ecco i principj primordiali dell’autore su questa matei'ia. Tutti i sentimenti che concorrono a determinare la volontà, c la volontà medesima come
potenza speciale, e variabile nella sua intensità e persistenza costituiscono
assieme la vita morale.
Tutti i sentimenti motori della volontà, ma distinti da essa, fanno parte
di tre tendenze diverso ohe si trovano nella natura umana, e sono:
1° La tendenza personale, o l’amore di se medesimo;
'1° La tendenza sociale, o l’amor del prossimo, e
o° La tendenza, rdiyiosu, o l'amor di Dio.
Studiando scparamente ciascuna di (juesto tre tendenze e la volontà,
l'autore ci scuopre la medesima legge organica già esposta per lo svolgi
mento fisico e intellettuale.
La tendenza personale comprende: il desiderio di esser stimato, il desi
derio di possedere, ed il desiderio de’ godimenti fisici. Necessaria alla conservazione ed al progresso dell umanità, questa tendenza è legittima e benefica in se medesima; ma abbandonata a se stessa senza il governo delle
altre due tendenze, ella diventa il principio di ogni male morale ; e mentre
l’amor del prossimo e l’amor di Dio ci portano all’adempimento dei nostri
doveri, quella si oppone come un ostacolo tra il dovere e noi. Quindi l’opera
duplice dell’educazione: un'opera positiva ed un’opera negativa; quella
consistendo a svolgere, promuovere e fortificare la tendenza sociale e la
tendenza religiosa, questa a contenere, modificare, raflronare la tendenza
personale : opere necessarie ambedue, e pur troppo con grave daimo trascurate a vicenda, ora stimandosi, tutto e.sser fatto col reprimere nel fanciullo
le nascenti brame e passioni, ed ora lasciandolo crescere imprudentemente,
lusingandosi di venirne poi a capo eolia coltura della parte migliore delhi
sua natura. L’opera positiva dell’educazione è certo più nobile e più degna
della natura spirituale dell’uomo; ma l’altra la prepara e la sostiene, e senza
il suo concorso, quella rimane spesso inefficace, anzi non può neanche allignare in certe natui’e ribolli. Ad una età più provetta poi la repressione non
riesce più possibile.
Ma il lato negativo dell'educazionc morale è stato rifiutato ancora per
un'altra ragione. Lasciamo parlare l'autore: « Taluni hanno voluto chc
tutto fosse svolgimento morale; ed invece di combattere l'orgoglio, la ghiottoneria e via discorrendo, si sono proposti di coltivare le virtù contrai-ie :
l'umiltà, la temperanza ecc. Ipotesi falsa che può parer innocente non viziando la pratica dell'educazione, ma non è ammissibile nella teoria Hclrpducfizioiie; la quale ha da prender l'iioniri tale quale è.
12
Or i iiioviniouti clic provengono dalla nostra teiidcHza personale c natu
raímente agiscono in noi, son quelli chc menano al vizio; le virtù opposte
invece come la umiltà, la temperanza, non esistono per se medesime nell’animo nostro, ma vi prendon nascimento soltanto in conseguenza d’una
vittoria della nostra ragione e della nostra coscienza.
Dall'altro cauto i moventi della tendenza sociale son realmente e uatu
raímente la riconosccnzx, l’amore, la devozione; mentre i vizi contrari non
esistono nelUanimo nostro se non che per l’effetto d’una vittoria della nostra
tenderzi personale.
Così reducazione per esser efficace dee conoscere i buoni come i cattivi
uioventi che concorrono a determinare la volontà, per cui Io studio della
legge secoudo la quale gli uni e gli altri si svolgono, è di prima necessità.
E dopo questa legge dovrà studiarsi la volontà in se medesima ; la quale
non è solamente una risultante passiva de’ moventi che la determinano; ma
ima potenza libera e variabile nella sua intensità e persistecz i.
Per la rcvjione, facoltà che partecipa al tempo stesso del cuore e dell intelligei z i, apprezziamo, compariamo e subordiniamo gli uni agli altri secondo il loro merito i diversi motivi stimolanti la volontà. La ragione ri
schiara l’animo nostro, ma la coscieiixa è quella che giudica. La coscienz»
è nei nostri cucr', la voce cbe proclama il dovere quale risulta dalla nostra
educazione, cioè dalle nozioni intorno al bene ed al male, dai nostri principj
morali, e pur troppo anco dai nostri pregiudizj. Noi cuor dell’uomo veramente religioso, la coséienza è la voce di Dio.
Stimolata adunque da una parte dall’amor di noi medesimi che facilmonte pervertisce e conduce al male, dall’altra daU’amor del prossimo e di
Dio che sono le tendenze nobili della nostra natura, la volontà fatta forte e
costante per l’esercizio, dee lasciarsi illuminare dalla ragione e guidare
dulia coscienza, dominare la tendenza personale, e secondare le altre; c di
perfezione in perfezione rialzarsi all’unione con la volontà di Dio ; ecco
l’uomo morale c religioso, ecco la meta che l’educazione si propone. Quanto
sia grande quest’opera sua, apparisce dal paragone che si voglia istituire a
tal riguardo fra il bambino ancora abbandonato ai primi movimenti de’ suoi
istinti, e l’uomo fatto padrone di se medesimo; tra l’uomo ineducato o corrotto, ludibrio delle sue passioni, e l’uomo morale e religioso che s’attiene
con fede ferma e sicura alla volontà di Dio, quale gli si manifesta nella coscienza illuminata dalla divina parola. Sia scendiamo ad alcuni particolari.
La tendenza personale, legittima sotto il governo della ragione, comincia
col dominar sopra lo altre. In questo predominio, considerato come fatto
primordiale o spontaneo, si manifesta in noi il peccato originale. Per esso il
desiderio di stima si fa on/oi/ìio, il desiderio di possedere diventa avariiiu,
ed il desiderio di godimenti fisici degenera in sensìialiià. L’orgoglio, l’avarizia e la sensualità sono in certo modo i vizj semplici del nostro cuore; ma
non tardano a combinarsi tra loro ed a produrre altri effetti che potrebbero
chiamarsi vizj composti, come l’invidia, misto di avarizia e d’orgoglio, la
gelosia, l’ambizione, l’ostinatezza, l’impazienza e la collera. Ne’quali l’orgoglio entra quasi sempre come parte principale combinandosi a vicenda
con l'avarizia e colla sensualità, e con ambedue assieme. Se lo spazio esiguo
d’un giornale ce lo permettesse, vorremmo qui seguire l’autore no’ suoi studj
de’ fatti, vorremmo mostrare come i moventi viziosi della tendenza pcisonale si manifestano e vanno crescendo, pur troppo per la nostra stessa convivenza, fin dalla nascita. Sì, « la tendenza personale s'annunzia per i.'^tinti
13
viziosi che arrecano elementi di disordine intorno alla culla dove iivreniino
soltanto .‘iognat« innocenza e pace. 11 bambino che riceve il huo unico ali
mento dal seno materno, e non sa ancorane camminare, nè parlare, ha jfià
notato d’esser l'oggetto dello nostre sollecitudini e della nostra ammirazione,
e vuol essere ammirato e servito. A suo capriccio egli si fa portar (jua e là;
ei conosce il suo potere e ne abusa. Se non obbediamo uell'istante alla
sua volontà, ei piange, grida, s'irrita, ed i suoi eccessi di collera diventano
spesso spaventevoli crisi nervose. Già la tendenza personale ha prodotto la
vanità, l’orgoglio, l’ostinatezza, la collera ». Come questi agenti viziosi
siano nati nel cuore del bambino, e come ci si vadano fortificando in modo
oosì tremendo, ognuno potrebbe saperlo dalla trista esperienza propria; e
l’autore ne fa una pittura vera. Generalmente i genitori non considerano
abbastanza che la educazione, por esser efficace, deve cominciar dalla culla ;
le manifestazioni irragionevoli, e quasi direi idolatre di un amore d'altronde
legittimissimo, son quelle che spargono ne' cuori dei loro figli idolatrati i
primi semi de' vizj. K con ogni trionfo, e per la stessa ripetizione la tendenza viziosa s’accresce e uu poco per volta si fa prepotente, irresistibile,
mentre una prima repres.sione l'avrebbe smorzata e indebolita. — Ne risulta
che ogni ])rogres.so, della tendenza personale nell'animo nostro diventa
causa e mezzo d’un progresso nuovo. Questo accrescimento del male nel
cuore deiruomo non procede se non per gradi insensibili, perchè ogni atto
vizioso gli dà soltanto un debole aumento; raa ei può però effettuarsi incessantemente nella volontà pel solo effetto del pensiero, e soprattutto deli’imniaginazione, quand'anche non si manifesti per alcun atto esteriore; e siccome il male è una causa che va crescendo per ognuno de' suoi effetti, il
suo svolgimento segue una proporzione ascendente di cui la rapidità ci fa
spesso stupire. Quindi avviene che talvolta vediamo apparir il vi¿io ad un
tratto con effetti spaventevoli ed inaspettati. Ma egli è allora un errore di
crederlo nato e cresciuto subitaneamente, e se noi avessimo potuto leggere
nel cuore del colpevole, avremmo visto il male lavorare ed accrescersi
molto tempo prima di manifestarsi al di fuori.
Quest’osservazione vera previene un obbiezione che altri avrebbe potuto
fare aU'articolo quinto della legge organica cosi concepito:
« Questi progressi della tendenza personale formano una conraienazione
continua e senza lacune i cui gradi son insensibili. « La sua importanza ò
manifesta. L'educatore non deve aspettare che gli effetti del male si manifestino al di fuori; egli dee prevenirli e allontanar dall’animo dell’educando fin da’ più teneri anni tutti gl’inñussi maligni, os.servare con la più
scrupolosa attenzione tutti i movimenti segreti, e reprimere nel germe qualunque tendenza viziosa; sia direttamente, sia indirettamente per la coltura
delle tendenze sociali e religiose che meglio la neutralizzano». Imperocché
(principio sesto). «. La tendenza personale nmi ha alnin tempo di fermata
assoluta nel suo svolgimento ; se non diminuisce, aumenta ».
Abbiamo già visto che i tre principali moventi della tendenza personale
non restano isolati, ma si combinano tra loro per comporre vizi nuovi. Possiamo aggiungere che si danno il più delle volto reciprocamente alimento e
forza, seppure (caso non considerato daU'autore), una o due di loro non assorbiscono tutta l’anima con straordinaria potenza, e paralizzano le altre. In
tal caso vediamo una passione scacciare le altre ed imporre all’uomo una
certa riserva che è però ben lungi daH’esser dovuto ad un motivo nobile e
virtuoso : la tendenza personale non rimane per ciò iu alcun modo diini-
14
nuita, e relativamente al fine morale che l’educazione deve aver in vista, il
terio principio della logge organica riman verissima;
« L'azione dell’uno de' moventi concorre jnit o metto al poi ere dtijli altri,
e.d allo svolgìmeìito di tutta quanta la potenza ijersonale 'it.
Seguitiamo ora l’autore nei suoi studj sulla tendenza sociale.
La signora Necker de Saussure (Éducation progressive i, 394). Si esprime
così sulla prima apparizione di questa tendenza nel bambino :
« V’è luogo di maravigliarsi delle poche conoscenze necessarie al bambino acciocché il suo senso morale si manifesti. Prima ch’egli si sia servito
delle sue manine, ed afferrando le cose ch’ei vede, si sia persuaso della
realtà, della loro esistenza, un oggetto è escito per lui dalla nebbia che avvolge l’universo. Quest’oggetto è una fisonomía espressiva, un viso che gli
sorride. A questa nuova apparizione, la sua anima si è lanciata verso un’altr’anima; egli ha riconosciuto il suo simile quando non discerneva ancora
nessun’altra cosa. Cosi s'annunzia la simpatia, istinto stupendo, divinazione
maravigliosa, la quale, indipendente dall’esperienza fin dal principio, inizia
l'età più tenera a que’ misteri del cuore che nessuna età arriva a conoscere
a fondo.
La natura di questo sentimento, continua il nostro autore, e la sua spontaneità nel bambino in culla non permettono di attribuirlo nè all’esperienza,
nè al ragionamento ; convien dunque che l’anima umana sia botata di una
potenza speciale per riconoscerlo in altrui, e parteciparne; questa potenza
è l'intuizione morale. Tutte le nostre virtù sociali procedono dalla simpatia,
e sono al pari di essa nella loro origine un effetto della intuizione morale.
Così dall’amore, e dalle premurose e tenere sollecitudini, e dalla veracità
della buona madre nascono nel bambino l’amore, la riconoscenza, la veracità
e la coìijìdema, prima manifestàzione di fede. Presto la simpatia ohe la
madre ha saputo destare, si va estendendo alla famiglia, e quelle virtù diventano successivamente virtù domestiche e virtù sociali. Per la simpatia
che trasporta l’animo nostro in certo modo nell’animo altrui per farci sentire le gioie ed i patimenti di essa, produce la compassione, la beneficenza,
l'abnegazione di se medesima. L’esempio materno nel governo de’ suoi figli
e della famiglia dà al bambino la prima nozione intuitiva di giustizia ; la
bontà unita alla fermezza autorevole, al sapere ed al potere ch’egli ammira
ne’ genitori, e speciahnente nel padre, fan nascere nel suo cuore il rispetto
che lo dispone sempre più a piegare la propria volontà sotto la volontà di
persona migliore che vuole la sua felicità; la ubbidienza volontaria, la sola
che sia un elemento di vita morale, è un sentimento spontaneo nel cuore
del bambino condotto cou sapiente fermezza; lo spirito ribelle, o l’esuberante predominio della tendenza personale proviene quasi sempre da errori
commessi nella sua educazione. Così nascono nel seno della famiglia i sentimenti di perdonare, e compatire, ed il sentimento d’onore. Tutto ciò è
svolto dall’autore per disteso e veramente con mano maestra.
Noi non possiamo seguirlo in tutti i particolari, ma come saggio de’ suoi
studj ed insieme dell'importanza di essi, traduciamo ciò che dice della veracità, disposizione primordiale e spontanea che il bambino conserverebbe
molto più tempo, se vedesse sempre la verità rispettata intorno a lui, e bisogna che le passioni portino una violente perturbazione nella giovine anima,
perchè la men-jogna ci trovi la sua ragion di essere.
« La veracità del bambino non può manifestarsi finché comincia a parlare. Dapprima è un fatto naturale anziché una virtù. Il linguaggio gli è
15
dato eoTiie nn mezzo d’esprimere il suo pensiero tale quale ù, nò potrebbe
esser per lui altro che un istrumento di verità, specialmente ove conservi
costantemente questo carattere in coloro che lo circondano. Ma allorquando
per la prima volta il bambino crede aver interesse ad alterar la veritìi o
])er nasconder un fallo, o per ottener un favore, un fiero combattimento
sorge nell’anima sua, che si manifesta nel suo contegno imbarazzato, nel
rossore del suo viso. E questo un momento di cri.si importantissimo pel suo
avvenire, e l'esito può spesso dipendere dalla condotta de' parenti chc l'osservano.
Se la veritH resta vittoriosa, la veracità da un mero fatto ch'ella era, ò
diventata una virtù: ella ha fatto atto di potere, ha preso possesso del cuore,
e non se ne lascierà più tanto facilmente detronizzare. Il bambino si sentirà
ricompensato dalla testimonianza della sua coscienza, dalla soddisfazione
sicura e tranquilla che dà sempre una posizione netta, e finalmente dalla
indulgenza colla quale buoni genitori sanno sempre accogliere una confessione franca. D’allora in poi la veracità aumenterà di forze ad ogni nuom
trionfo, e diventerà im’abitudine, un bisogno.
Ma se invece la menzogna è uscita vittoriosa da quel primo contrasto,
allora la veracità vinta ha perduta molta forza; ogni nuovo atto troverà in
essa meno resistenza, ed ogni nuova sconfitta la lascierà più indebolita, e
per mancanza d’esercizio, il suo potere alla fine sparirà del tutto.
La veracità è dunque una disposizione naturale la cui forza s'accresce
coU’esercizio e diminuisce nell’inazione. Se il suo svolgimento non è nn
effetto necessario di quello degli altri sentimenti, egli non è però affatto indipendente da essi. Così l'amore, la riconoscenza, la fiducia che un bambino
sente per i suoi genitori, producono un felice effetto sulla sua veracità verso
di essi. E questa alla volta sua tende a fortificare que’ sentimenti nel cuore
del bambino, mentre la menzogna li altera profondamente; esempio di reciprocità dei sentimenti morali fra di loro, e della solidarietà c'he li collega
nel loro esercizio, e nel loro svolgimento ».
Il lettore ritroverà facilmente in queste osservazioni i principj della legge
organica che si applica in'modo identico anco allo svolgimento della tendenza sociale. Il primo ed il secondo principio son così concepiti:
1° « L'anima si appropria i sentimenti della tendenza, sociale soltanto
dopo averli provaii per nn atto d'intuizione morale ».
2° « Questi sentimenti son le facoltà morali; ciascheduna delle quali
»’accresce e si fortifica coll'esercizio in ragione della sua attività, mentre m
diminuendo ed indebolendosi nell'inazione ».
Apparisce dalle coso dette che la prima educazione morale nella sua
parte positiva stà, più ancora della intellettuale, tutta quanta nel destamento e neU'esercizio. Parole ci possono poco o nulla per se sole; l’e.sempio,
il vero amore, il contegno vero nei genitori o nella famiglia possono tutto.
16
Unde viene che in tempi Ji decadenza morale, quando tutti i viucoli si
vanno rilas-sando e tutti gli affetti s’iudeboliscono e perdono in serietà, santità e costanza, la prima a soffrirne è l'educazione morale della gioventù.
Senza moralità manca non solo la scuola dell’esempio, ma non c’è, nè ci può
più essere nel nostro contegno quel contemperamento d’amore e d’autorità,
di spontaneità e di costanza che lo rende atto ad operare efficacemente sull’anirao altrui. Allora si ricorre alla parola, e tutta si aspetta da’libri
da’racconti, da’discorsi : educazione loquace che fiacca l’animo, non lo
esercita nè Io fortifica. E il caso di esclamare col Salmista; « Io odio i discorsi; ma amo la Tua ìegge» (Salm. cxix, 113). In tali condizioni sociali
l’unico rimedio infatti è il ritorno alla legge di Dio; perchè gli stessi studj
di sana psicologia di cui il Guimps ci dà un così luminoso esempio, rischiano
di riuscir sterili, una lettera morta, per difetto di serietà e costanza in chi
dovrebbe applicarli.
Passiamo ora ai nostri ragguagli sulla tendenza religiosa. Saremo brevi,
poiché crediamo che il lettore abbia ormai afferrato l’idea madre di tutta
l’opera, Vorganismo della nostra natura. (continua ')
CEIVÌVO l^ECROliOClCO
La Chiesa Ev'angelica Italiana Yaldese ha perduto unfl dei più validi
suoi protettori. Nel 19 luglio, alla Torre, è morto il generale Bechwith :
egli era conosciuto come «lil benefattore delle Valli del Piemonte » e que.sto nome non le fu dato invano, imperocché per le sue cure, templi, scuole,
spedale, comode abitazioni per i pastori furono costruite o restaurate nelle
diverse Valli. Il magnifico tempio di Torino, si deve alle premure del generale Bechwith. La Chiosa Cattolica lìomana, lo vide sempre di mal occhio:
e aveva potuto ottenere la di lui espulsione dal Piemonte : ma scoperta la
mala arte, fu l’ordine sospeso. Nel 1848, mutate le politiche e religioso
condizioni dell’Italia, la medesima mano che segnava l’esilio del Generale
dal Piemonte, gli accordava, come benefattore delle Valli, la croce di San
Maurizio e Lazzaro. Speriamo che, altri più di noi informati delle innumerevoli benefici prodigati dal Generale alle Valli, vorrà dettare un- articolo
in giusta lode del defunto. Noi non abbiamo voluto peccare d’ingratitudine,
dimenticandolo, e queste poche parole, sieno di sdebito nostro verso di Lui
che reputiamo uno strumento del quale Dio si è servito, per preparare la
diffusione del Vangelo in Italia.
Leopoldo Pineili gerente
FIRENZE —Tipografia CLAUDIANA, lUl-etla il» nnfTiieli Troml.,;tt».