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Anso X — N. 8. * II SEKIE 30 Aprile 18C1
LA BUONA NOVELLA
GIORNALE DEIiLA EVANGELIZZAZIONE ITALIANA
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Seguendo la verità nella carità. » £f£S. >1.15.
PREZZO DI ASSOCIAZIONE
Per lo Stato [franco a destinazione]____ £. 3 00
LE ASSOCIAZIONI SI IlICEVONO
In Toarao aU’UlHzio del Giornale, via del Principe
Per la Svizzera e Francia, id........... „ 4 25 ^ Tommaso dietro il Tempio Valdese.
Per ringhilten-a, id................... „ 5 60 > Nelle Provijìcib per mezzo di franco-bolli po
Per la Germania id................... „ 5 50 ) stali, che dovranno essere inviati franco al Di
Non si ricevono aasociazioui per meno di un anno. rettore della Buona Novella.
AU’estero, a’ seguenti indirizzi : Parigi, dalla libreria C. Meyrueis, me Rivoli ;
Ginevra, dal signor E. Beroud libraio ; Inghilterra, dal signor G. P. Muller,
General Merchant, 20, Leadenhall street. E. C.
SOMMAEIO
Ptìinnica: Come t Clericali intendano la libertà — Storia.- Saronarola IH. — Varietà: Comitato
Clerico~liberale — Notizie relieiose : Torino, Firenze, Livorno, Pisa.
P01iEni€A
COME I CLERICALI INTENDANO LA LIBERTA’
La Stella dEtmria (chi ne avesse dubitato si affretti a ricredersi)
è giornale ispirato da un’amore svisceratissimo alla libertà; e infatti
di amor di patria, non che lasciare lungi dietro di sè gl’italiani
tutti, e sin quelli che sagrificarono la vita a questa santa causa,
potrebbe farla da maestro jierfino ad un Leonida, perfino ad un
Curzio !
Come però intenda questa libertà il ruggiadoso giornale, lo ricavi
il lettore dal seguente brano di un articolo intitolato: La Sicilia e
la libertà religiosa, che leggesi nel numero del 20 aprile.
« La libertà sociale consiste nella facoltà di fare il bene, garantita dalla
legge. Il bene è di sua natura immutabile e si converte col,vero. Il vero ù
sempre uno, come uno ed indivisibile è l’Ente supremo. Questa 6 la dottrina
filosofica rivelata da Dio alle menti umane, registrata da Moisè, insegnata da
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Aristotele, illustrata da Platone e tenuta sempre in onore da tutti i sapienti
de’ tempi antichi e moderni. Da questi principj risulta che la legge dovendo
tendere al vero ed al buono, i quali in sostanza sono la stessa cosa, non
abbiamo una legge ma un tradimento, ma una falsificazione della legge, se
gli esecutori della legge stessa riguardino con indifferenza la verità e Terrore, Dio e Satana, il male ed il bene. Questa insipida ed immoralissima
interpretazione della legge non potè applicarsi in Sicilia. Ivi il popolo è
sinceramente cattolico, mentre sente di essere italiano al paro di t^ualunque
altra popolazione d’Italia. Ivi, clero e laicato, ricchi e poveri, donne e fanciulli, tutti come un uomo solo hanno gridato contro la profanazione di chi
voleva introdurre l’eresia in nome della santa cristiana libertà, tutti insorsero unanimi contro la pazza e servile dottrina di chi vorrebbe rapire i
beni della Chiesa e de’ cenobiti in nome della libertà , di chi vorrebbe introdurre la vendita di scritture immorali, anticattoliche ed irreligiose in
nome del bene pubblico e della libertà di coscienza ! Il popolo siciliano ha
conosciuto che il permettere tali disordini non era libertà ma sfrenatezza ,
raa un favore prestato dalla legge alle arti subdole della corruzioue e della
depravazione. Il popolo cattolico della Sicilia non ha voluto e non vuole
che in nome della legge si possa impunemente offendere il bene della
società.
« Ed a coloro che volevan sedurlo con dottrine religiose o politiche,
d'importazione inglese o francese, ha risposto : Andatevene, o corruttori, o
nemici crudeli del vero, della Italia e della libertà. Andatevene coUe buone.
La nostra coscienza è liberissima. Andatevene o uomini pseudo-liberali,
pseudo-cristiani, retrogradi, schiavi, ignoranti e miserabili. Andatevene
colle buone. Siamo cattolici, viviamo cattolicamente ; siamo italiani ! Andatevene, 0 nemici della nostra patria. Andatevene in nome di Dio 1 Chi
NON e’ cattolico non e’ italiano. Andatevene, in nome della legge che
vuole la quiete , la concordia sociale e la pubblica moralità. Andatevene ,
perchè non siete de’ nostri. E se gli esecutori della legge non avranno forza
per espellervi, rammentatevi che nelle nostre vene scoerb il sangue di
QUEGLI antichi I QUALI TECER SAPERE ALLA FkANCIA , IN QÜAL METRO SUONINO LE CAMPANE Be’ NOSTTI VESPRI » .
Come ognun vede, i signori redattori della Stella non sono logici per metà, essi lo sono usque ad extremum, proprio come si conyiene ad infalliUli. La libertà sociale, essi dicono, consiste nella facoltà
di fare il bene, garaatita dalla legge ; ma il bene non esiste diviso
dal vero ; ora il vero siamo noi ; chiunque adunque non è con noi,
non pensa e non sente come noi è nel falso, cioè a dire nel male.
Chiunque adunque non è con noi, non solo non è italiano, ma egli è
uu nemico d’Italia, un uomo da additare al pugnale dei nostri
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... iiy ...
satelliti, se gli esecutori della legge non si atfretteranuo ad espellerlo,
foss’egli pure cittadino al pari di qualunque altro ! ! ! C’è forse da
l’idire a questo raziocinio ? Il sillogismo non è egli perfetto ? Per
cui, lasciateli fare, e sì che, fra non molto, per efletto di quel grande
zelo per la libertà che li corrodo, non sentirassi j)iù su tutta l’estensione della penisola altra voce che la loro : il che è giustizia, poiché
bontà e verità (la storia è lì che lo attesta) non esistono all’infuori di loro, e quindi loro soli devono essere lasciati liberi, e tutti
gli altri legati, incatenati, imbavagliati e se occorrerà scannati, come
nemici ostinati della patria, i quali pongono a grave repentaglio i di
lei destini.
Ma, signori redattori della Stella, se agli Inglesi, a mo’ d’esempio,
saltasse il grillo di farlo anch’essi questo raziocinio, e di applicarlo
a quello sciame di preti e di frati di ogni colore che dalFItalia, dal
Belgio e dalla Francia si abbatte, ogni anno, sulle spiaggie della
protestante Albione, allo scopo di propagarvi quello che gl’inglesi
chiamano l’idolatria di Roma, ed introdurvi la vendita di scritture
anti-evangeliche......, ditelo su, ma con franchezza, senza distinguo, chè io non ne voglio, lo trovereste ancora così buono, così irriprensibile come vi pare che sia, applicato a quelli fra i vostri
concittadini, che avendo convinzioni religiose diverse delle vostre, si
sentono l’obbligo di farne partecipi altri ancora P Non lo trovereste
tutt’allincontro pessimo, inammessi bile ?
— Sicuro, voi mi rispondete, perchè noi, possedendo la verità,
abbiamo ancora il diritto di farlo questo raziocinio , mentre non
l’hanno un tal diritto gl’inglesi che sono eretici !
— Ma, signori della Stella, quella testimonianza che wi’soli siete
in possesso della verità, chi ve la rende ? È una vostra pretesa, lo
so. Ma, in questo mondo, ioasta egli adunque di aflacciare una pretesa
jierchè subito diventi realtà cui non è più possibile di contrastare ?
Ma in tal caso la ragione sarebbe sempre dalla parte dei più audaci,
stavo per dire dei j)iù sfacciati.
Che voi diciate: noi siamo nella verità, e chiunque la pensa diversamente da noi è nell’errore, è questo un linguaggio di cni io mi fo
lienissimo capace : le convinzioni forti non devono e non possono
parlarne un’altro ; e voi non farete che il vostro obbligo bramando
che tutti, un giorno, la pensino come voi, credano quello che credete,
e sforzandovi con tutti i mezzi legittimi a raggiungere un tale scopo.
Ma tra questa vostra persuasione e la realtà, e più ancora, tra
questa vostra persuasione ed il ricorso alla violenza contro chi non
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divide la %'ostra fede, può darsi che passi, e, nel secondo caso, passa
effettivamente uu gran divario.
E valga il vero, signori della Stella, quella pretesa da voi stoltamente aiFacciata, fra gli attributi proprii della Divinità è uno dei
più spiccanti. Iddio non solo possiede la verità, ma Egli stesso è la
verità; e di Lui si può dire, con ogni ragione, che chiunque se ne
stacca, di necessità cade nell’errore.
Ora quel Dio che è verità, è altresì onnipotente; l’eiFettuare quindi
ciò che voi inutilmente tentate, il costringere cioè tutti ad abbracciare quella verità, schiacciando quanti facessero mostra di resistergli,
è cosa per Lui agevolissima. Eppure Ei non lo fa! Anzi, si può dire
che da nessun uomo, nè da nessun consorzio d’uomini fu mai la libertà
dell’uomo, rispettata come da quel Dio che pure pretende su di noi
(e con ragione vi pretende) al dominio il più assoluto! E ciò che
Iddio non fa, siete voi uomini di fango e di peccato al pari di tutti
che vi ascrivereste a diritto di farlo !
Che dire poi del vostro aforismo che chi non è cattolico non è
italiano, se non che è questa una melensaggine che proprio non ha
nome ?
E che? se dii non è cattolico non è italiano, gli antichi abitatori
d’Italia, che cattolici non lo erano per certo, che cosa erano adunque ?... Ma lasciamo gl’ Italiani dei tempi andati e scendiamo a
quelli dei dì nostri: che cosa, di grazia, si richiede egli per essere
cattolici, cattolici di vaglia s’intende, cattolici da essere riconosciuti
per tali dal Papa? Se sarete sinceri, mi risponderete, che conviene
esserlo a modo vostro, a modo Armonia, del Campanile, del
Cattolico e di tutti i fogli di questa risma, i soli che si siano meritata
l’approbazione del Papa.
Chi Io fosse altrimenti, ai vostri occhi non potrebbe più passare
per tale.
Ora, ditemi, di grazia, signori redattori della Stella, quanti credete voi che se ne possano annoverare di cattolici di questo conio,
in Italia, al giorno d’oggi ? Quanti credete voi che vi venisse fatto
di rinvenirne frugando ben bene sulle scanne del nostro Parlamento,
così alto che basso ? — Io son sicuro che al pari di me dovrete rispondere: ben pochi, quasi nissuno!
Ma se non vi hanno italiani se non quelli che sono cattolici, e
cattolici a modo vostro..., quel Parlamento che noi, nella nostra
ingenuità, chiamavamo cou orgoglio il primo Parlamento Italiano,
che cosa è egli dunque...? Un Parlamento turco, senza dubbio! E
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se uon vi hanno Italiani se non quelli che sono cattolici, e cattolici
a modo vostro.....perchè gli Austriaci, quegli amanti così sviscerati d’Italia, che non si possono risolvere a lasciarla, se ne stanno
ancora là sulle rive del Po e del Mincio, e non si affrettano di
accorrere a Milano, a Firenze, a Roma ed a Napoli, a stringere iu
tenero amplesso i soli Italiani rimasti in Italia, i quali sono in pari
tempo i loro pili costanti e più sfegatati fautori ?
Aspettiamo dalla Stella la risposta a questo nostri quesito.
STORIA
S A V 0 N A R 0 I. A
La Storia di Girolamo Savonarola e de’ Buoi tempi, narrata da Pasquale Villari cou
l'aiuto di nuovi documenti. Voi. l.™« pagine 489. Firenze. F. Le Monnier 1859.
Ili
(Continuaz-, ved. ì numeri 6 e 7)
Entrato in Toscana l’esercito francese, lo stolto Piero dei Medici,
preso da subita paura, andò incontro al re Carlo VIII, e gli cedette
vilmente le tre fortezze di Pietrasanta, Sarzaua e Sarzanello, le quali
con piccola guarnigione potevano facilmente chiudere il passo a più
formidabile nemico. Questa pazza politica sdegnò il popolo fiorentino, il quale sarebbe corso facilmente in deplorabili eccessi contro
i Medici se il Savonarola avesse voluto pronunciare una parola sola.
Ma il frate si astenne da ogni discorso politico e contribuì assai colle
sue prediche a mantenere la pace nella tumultuante città. Ad ogni
modo però si compieva la rivoluzione, benché tranquillamente, in
Palazzo Vecchio ; e il giorno 4 di novembre, in un Consiglio radunato dalla Signoria, l’ardito Pier Capponi, iu un discorso breve, ma
risoluto, disse “ ch'egli era tempo d’uscire di questo governo di fan“ ciulli, che Piero de’Medici non era più capace di tenere lo Stato ;
“ che la repubblica doveva provvedere a sò stessa, e mandare a
“ Carlo VIII ambasciatori, per dirgli che la città gli era amica, e
“ screditare Piero dei Medici come la cagione di ogni male. ” Finiva
col raccomandare si mandasse cogli altri il Padre Girolamo Savonarola “ il quale ora ha tutto l’amore del popolo. ” Difatti il giorno
dopo, partivano gli ambasciatori per Lucca, e in quel momento
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stesso, alle grida: “ abbasso le palle, ” di un popolo venuto iu furore,
i Medici erano solennemente cacciati dalla città.
Intanto il priore di San Marco, presentatosi al re che lo accoglieva lietamente, gli diceva in tuono imperioso; “ 0 cristianissimo
“ re, tu sei uno strumento nella mano del Signore che ti manda a
“ sollevare i mali d’Italia, come io già da più anni ho predetto; e ti
“ manda a riformare la Chiesa, che giace prostrata in terra. Ma se
“ tu non sarai» giusto e misericordioso ; se tu non rispetti la città di
“ Firenze, le sue donne, i suoi cittadini, la sua hbertà; se tu di“ mentichi l’opera per cui il Signore ti manda, Esso allora sce“ glierà un’ altro per adempierla, aggraverà la sua mano adi“ rato sopra di te, e ti punirà con flagelli terribili. Queste cose io ti
“ dico da parte del Signore. ” Queste minacciose parole misero un
certo terrore nell’animo del re, che nutriva una grande venerazione
per colui il quale aveva profetato la sua venuta ed i suoi successi.
Lo stesso sentimento provò egli pure più tardi, quando, nel novembre del 149-1, metteva sempre nuovi indugi alla sua partenza da Firenze, che lo vedeva già di marocchio. Il Frate fu invitato di andare
una seconda volta dal re Carlo, onde persuaderlo di partire, e accettò l’incarico. Egli usò brevi parole : “ O cristianissimo principe,
“ la tua dimora riesce di grave danno alla città ed alla tua impresa.
“ Tu perdi il tempo, dimenticando il dovere che la Provvidenza ti
“ ha imposto, con grave danno della tua salute spirituale e della
“ gloria mondana. Ascolta la voce del servo di Dio. Prosegui oltre
“ il tuo cammino, senza indugio. Non voler fare la rovina di questa
“ città e promuovere contro di te lo sdegno del Signore. ” Infatti il
re si partiva, il 28 di novembre, lasciando cattiva opinione di sè nel
popolo di Firenze, non senza mandare a sacco lo splendido palazzo
dei Medici dove alloggiava.
Ripresa la sua spensierata allegrezza, dopo la partenza di quei ladri francesi, la città pensò di provvedere agli stringenti bisogni dello
Stato. La confusione era grandissima ; non si sapeva come assettare
le cose politiche, e il caos minacciava la nascente repubblica. Ma vi
era un’uomo dotato di buon senso, di un vero amore del bene, di una
forte ed ardente volontà, che poteva salvare il popolo, e fu il Savonarola, trascinato inevitabilmente e suo malgrado nella carriera politica dalla necessità delle cose. Nelle prcdiclie sopra Aggeo e sopra
i Salmi egli andò mano mano proponendo la forma del nuovo governo, insistendo sulla necessità di esordire dalle cose spirituali, cioè
dalla riforma dei costumi, e dal timore di Dio. La sua voce tuonò
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¡a favore della libertà e del partito popolare; venne eletto un Coneiglio grande al modo veneziano, poi un Consiglio degli Ottanta,
i quali erano come il Senato e l’Assemblea del popolo ; furono
riordinate le gravezze e stabilite, per la prima volta, iu Firenze
ed in Italia , le imposte fondiarie ; fu fatta uua pace universale,
0 dato il perdono a tutti gli amici del passato regime ; rinacque
l’antica cd illustre Casa della Mercatanzia; furono aboliti i parlamenti, cagione in Firenze di tutti i disordini, di tutte le tirannidi,
di tutte le mutazioni ; fu spenta l’usura e sollevata la mis'ei'ia del
popolo, fondando il Monte della Pietà ; fu riordinata la giustizia, cfurono concesse le armi al popolo. Tutto questo venne fatto in un
anno, dal dicembre 1494 al dicrmbro 1495, senza sguainare una
spada, senxa ver.sare una goccia di sangue, senza una sola discordia
cittadina, e ciò in Firenze, la città dei tumulti, per opera d’un frate
democratico che non sedeva in Palazzo, nè parlava in jnazza, ma
reggeva dal pergamo tanta impresa e la guidava sempre al bene !
Esempio unico nella storia della onnipotenza della parola e della
umana volontà. Perchè lo storico imparziale dev’egli accusare il Savonarola di essere talvolta caduto in un certo irritamento ed una
asprezza di parole che in lui non erasi mai veduta, di essersi lasciato trasportare a tenere sul pergamo un linguaggio insolito, indegno di un ministro di pace? Se non fossero questi trasmodamenti,
la gloria del Frate come uomo politico sarebbe stata pura di ogni
macchia. Diranno forse essere questi momentanei eccessi ; ma ciò
uon può aifatto scusare il Savonarola, tanto è vero l’antico detto :
“ Una goccia d’aceto guasta una botte di mele ! ”
Ma più dell’uomo di stato ci attrae nel Savonarola l’uomo religioso, il predicatore, il profeta. Egli nou si mostrò nè superbo, nè
lieto del successo ottenuto; l’animo suo era invece occupato da tristi
presentimenti sull’avvenire dell’Italia, l’avvenire della Chiesa e il
suo proprio ; un fuoco interno,^o]eva dire, bruciava le sue ossa e lo
forzava a parlare ; il suo esaltamento, nella cella solitaria o sul pergamo, superava spesso tutto ciò che la penna può descrivere, ed
eccedeva ogni limite. Si vedevano allora tutti gli uditori prorompere
in un pianto dirotto che echeggiava sotto ramj)ia volta del Duomo.
L’oratore stesso sedeva esausto e qualche volta rimaneva ammalato
per più giorni. Per fermo egli aveva un singolare ed inesplicabile
presentimento dell’avvenire che gli dava una straordinaria potenza.
Non solo era dotato di un maraviglioso acume politico, ma sentiva
che si avvicinava un gran rinnovamento nel genere umano, il quale.
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attraverso sauguinose battaglie, avrebbe ripreso vigore, e ritrovato
la sua unità nel trionfo del Cristianesimo. La Chiesa, egli diceva nelle
sue famos« conclusioni, sarà rinnovata, ma prima flagellata ; e ciò
sarà presto. Egli lo ripete con costanza, con insistenza, colla certezza
di vederlo verificato, e ce davvero d^rimanere maravigliati. se
iu genere egli può dirsi l’uomo dellavvenire, nel particolare poi e
nell’accessorio, retrocedeva sempre nel {gassato, sicché in lui erano
come due nature di uomini diversi. Questo nacque dagli studi eh’ egli fece nella sua giovanezza. La scolastica gli aveva dato una grandissima disposizione al sottilizzare e sofisticare. “ Aveva poi sin da
“ fanciullo preso una strana passione nel leggere e studiare in San
“ Tommaso tutto ciò ch’esso dice sulle operazioni angeliche, sullm“ dole dei profeti e delle loro visioni: andava e riandava senza posa
“ quelle minute e sottili distinzioni del dottore angelico, le accom“ pagnava con una lettura continua del Vecchio Testamento e del“ l’Apocalissc; onde non vi era sogno o visione dei profeti e patriar“ chi, che a lui non fosse divenuta ffimiliarissima. Queste cose for“ mavano, per giorni intieri, l’occupazione della sua mente giovanile ;
“ accendevano la sua fantasia già per sè stessa esaltata ; e la sua
“ fibra, assai nervosa, ne veniva scossa ed eccitata in maniera, che
“ la penna non potrebbe descriverlo. I sogni e le visioni, che aveva
“ avute sin da fanciullo cominciavano a moltiplicare; si aiFollavano
“ intorno alla sua mente, e nella notte ne veniva quasi assalito.
“ Quando poi s’avvide che la lettura della Bibbia e dei Padri, la
“ fervida preghiera, le notti vegliate, le facevano crescere ogni
“ giorno, incominciò a crederle ispirate dal Signore, prodotte nella
“ sua mente dagli angeli, in quel modo appunto che San Tommaso
“ dice avvenire dei profeti. Allora non vi fu piiì sogno da lui fatto,
“ non vi fu strana immaginazione cui non trovasse un riscontro nella
“ Bibbia, che non mettesse a scrutinio colle regole dell’ angelico
“ dottore. Passava, inginocchiato nella sua cella, le notti intere in
“ preda a queste visioni, le quali esaurivano semprepiù le sue forze,
“ esaltavano il suo cervello ; ed egli finiva col vedere in ogni cosa
“ rivelazioni del Signore ” (Villari, p. 295).
Sarebbe difficile il descrivere più maestrevolmente che noi fece il
Villari il carattere visionario del Savonarola, la sua ingenua credulità, e la strana confusione ch’erasi fatta nella sua mente di teorie
opposte per niuna delle quali sapeva assolutamente decidersi. Ora lo
vedi parlare delle ragioni naturali che profetizzano il futuro, e chiamar la profezia parte della sapienza: “ Inter alias partes pruden-
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“ tica ires principales ponuntur ; vidclicet: memoria praiteritorum
“ intelligcntia p>r<:esentium et previdentia futurorum ; " onde parrebbe che profetizzi per semplice ragionamento, fondandosi sullo
studio della Bibbia e sulla considerazione dei corrotti costumi della
Chiesa. Ora invece egli crede conoscere il futoro per via di celesti
visioni 6 di rivelazioni divine, indipendenti, secondo lui, dal suo
carattere di buon cristiano. Con tale concetto, calcato sulla dottrina
di S. Tommaso, assumeva dunque esplicitamente il carattere di profeta, e diceva : “ Le visioni vengono direttamente da Dio, e sono
“ dagli angeli cKpinte nella parte dello intelletto e ?ion dello affetto,
“ senza che per esse l’uomo debba esser salvo. ” Questo concetto era
frutto di un cervello poco sano; sarebbe inutile il negarlo. Pare anzi
che il Savonarola stesso ne fosse consapevole, perchè a mente riposata, egli diceva ben altre cose. Nelle prediche sopra Amos (1497)
per esempio egli esclama: “ Io non sono nè profeta uè figlio di pro“ feta ; io non voglio questo nome terribile; ma io sono certo che le
“ cose che annunzio seguiranno, perchè esse partono dalla dottrina
“ cristiana, dallo spirito di carità evangelica... In verità, sono i
“ vostri peccati, i peccati d’Italia, che mi fanno per forza profeta,
“ e che dovrebbero far profeta ognuno di voi ... Se voi avete lo spi“ rito di carità, voi tutti vedrete, come lo vedo io, il flagello che
“ s’avvicina. ” Questo è un concetto profondo e degno di seria considerazione ; la ispirazione venuta da Dio non p. ò essere indipendente dalla grazia e dalla salute, ed è anzi come un risultato e quasi
una parte essenziale dello spirito evangelico di cui il cristiano deve
essere informato ; onde in un certo senso possiamo dire che il cristiano è profeta anch’esso.
Dalle spesse contraddizioni che ad ogni piè sospinto si urtano negli scritti del Frate, si potrebbe trarre questa conclusione ch’io credo
fondata, ch’egli cioè s’ingannasse di buona fede quando voleva entrare in ispeculazioni intorno al suo mirabile istinto dell’avvenire.
Quaudo vuol provare la certezza ch’egli ha delle sue rivelazioni, è
singolare veramente, osserva il suo sapiente storico, il vederlo dibattersi fra mille argomenti, fra mille sillogismi, che sono altrettanti
sofismi. Il Savonarola camminava incautamente sopra un terreno
pericoloso perchè, nella sua smania di voler provare colla ragione
ch’egli era al disopra della ragione, i suoi ciechi ammiratori e i suoi
avversarli stessi potevano un giorno domandargli un miracolo, solo
modo irrecusabile di provare la sua soprannaturale potenza. D’altronde egli rassomigliava in ciò a’ suoi più celebri contempoianei, e
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tra loro non passava altra differenza, se non ch’esso attribuiva a cause
tutte religiose e soprannaturali, quelle cose medesime che gli altri
filosofi e pensatori, come il Ficino, il Guicciardini, il Landino, il
Pomponaccio, il Cardano ecc., attribuivano alle potenze occulte. E
valga il vero, i sogni di questi arditi ingegni erano tali da lasciare
di gran lunga addietro quelli del Frate di San Marco.
A dispetto della violenta opposizione degli Arrabbiati, o repubblicani aristocratici, i quali cominciarono a muovergli guerra sin dal
j)riucipio del 1495, il Savonarola continuava la sua predicazione,
adoperandosi a conciliare gli animi, a calmare e spegnere le parti.
Il suo Avvento sopra Aggeo rimarrà un monumento eterno di quella
singolare e stretta mescolanza della politica e della religione. Nella
sua famosa ^jrecizca della Fiinnovazione (13 Gennaio 1495) egli descriveva con ardore incredibile le sue immaginazioni intorno al lume
profetico e la necessità del flagello, e il popolo estatico fremeva di
maraviglia e diletto nello stesso tempo. Questa predica fu subito
stampata e corse tutta Ita'ia, diffusa dagli amici e dai nemici del
Savonarola. Nelle mani di questi fu un documento utile assai per
muovere lo sdegno del Borgia, il quale intimò al Frate di andare a
predicare in Lucca. Ma i Dieci di libertà e pace erano favorevolissimi al Savonarola, e dietro le loro istanze, sostenute dall’opinione
universale, il papa revocò il breve. Questo fatto, di poco momento
in apparenza, produsse nel Frate una profonda impressione e scosse
fortemente la sua fede nella infallibilità del papa, vedendo che quest’ultimo non dava alcun peso alle proprie decisioni. Ciò poteva dare
un nuovo coi'so alle sue idee, senonchè egli si fece forza allora per
iscacciare questi pensieri come importune tentazioni, e si pose subito
a predicare la quaresima, prendendo per soggetto il lihro di Giobbe
«d astenendosi, per quanto poteva, dal discorrere di politica, onde
non dare nuovo appiglio ai suoi nemici. Si mise con tutto l’animo
alla riforma dei costumi, non meno utile, non meno necessaria della
politica da lui così felicemente iniziata e condotta a buon fine, —
inculcando costantemente la necessità del ben vivere, dell’unione e
della concordia, con tanto affetto e tanta commozione che l’amanuente incaricato di raccogliere le prediche era interrotto più volte
dal dolore e dal pianto. “ Egli discorreva un soggetto che gli stava
più d’ogni altro a cuore, e la sua debolezza fisica cresceva il suo morale esaltamento ; i suoi occhi fiammeggiavano, il suo gesto era \'ibrato, il suo accento oltre il solito passionato e pietoso ; e se un po’
troppo si perdette nelle visioni, questo veniva facihoente perdonato
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al suo straordinario eccitamento. Era in lui tanta l’espressione di
sincerità, di bontà e di benefico desiderio, che mai non si vide una
così grande moltitudine essere così pienamente dominata dalla pietà,
così facilmente dare in pianti dirotti. Ed alla fine della quaresima,
il Savonarola aveva ottenuto un trionfo quasi maggiore di quel trionfo
politico che gli aveano dato le prediche sopra Aggeo" (Vili. p. 327-28).
Invano gli Arrabbiati gittavano a piene mani il ridicolo sopra il
Savonarola, e chiamavano i suoi seguaci Piagnoni e Stropiccioni e
Masticapaternostri,—l’entusiasmo in favore di S. Marco e del Priore
andava sempre crescendo. “ L’aspetto della città era tutto mutato.
Le donne abbandonavano i loro ricchi ornamenti, vestivano semplici
e andavano dimesse ; la scorretta gioventù era come per incanto divenuta modesta e religiosa; i canti carnascialeschi cedevano il luogo
alle canzoni religiose. Nelle ore di riposo, si vedevano gli artigiani
seduti a bottega, con iu mano la Bibbia o le opere del Frate ; si riprendevano le orazioni, si frequentavano le chiese, si facevano limosine. Ma quel che più di tutto riuscì mirabile, fu il vedere banchieri
e mercanti restituire, per scrupolo di coscienza, somme di danaro
che montavano a più migliaia di fiorini male acquistati. Tutti gli
uomini restavano maravigliati di questo singolare e quasi miracoloso
mutamento ; e se il Savonarola era stanco, affranto e malato, noi
possiamo facilmente immaginarci che grande consolazione dovette
essere per lui, vedere il suo popolo divenuto più cristiano...” (Viilari p. 326).
Il Duomo non bastav'a più a contenere la folla che traeva dalle
ville, dalla campagna e fino da Bologna. Molti conventi chiedevano
di nuovo unirsi alla Congregazione Toscana, ed il numero dei novizi
di San Marco si moltiplicava in modo incredibile, benché il Priore
andasse con una prudenza grandissima e fosse lungi dall’incoraggiare le subite risoluzioni e i troppo facili entusiasmi. Potrei ad
esempio raccontare la conversione di un tale Bettuccio, miniatore
fiorentino, noto col nome di Frà Benedetto e uno dei più fedeli seguaci del Savonarola. Ma non posso dilungarmi tanto ; chi e vago
di saperne di più veda quel che ne dice il Villari (pp. 330 e seg.), o
meglio ancora legga il poemetto Gedrus Libo,ni, opera dello stesso
Frà Benedetto nel quale egli narra la propria vita, pubblicato dal
Padre Marchese nell’yi rc/iiyio storico del Vieusseux. A noi basti il
dire che tutti gli scrittori contemporanei riferiscono quei fatti esprimendo la loro maraviglia, e che tutti concordano nel dire che il
Savonarola fu l’unico autore del mutato costume. (continua)
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VARIETÀ
COMITATO CLERICO-LIBERALE
Sotto questo titolo si è costituita in Modena una Congregazione
di Sacerdoti presieduta da un tale teologo Sciocchi, allo scopo di
opporsi così alla propaganda protestante come alla reazione polìtica
clericale, due tendenze che, quantunque apparentemente opposte,
non possono però, dice il programma, che condurre al medesimo
risultato: ad una divisione religiosa in Italia. Poveri preti liberali,
che vogliono e non vogliono nello stesso tempo, e mezzo migliore
non trovano, onde farsi perdonare le loro velleità liberali, che di gridare la croce addosso ai propagatori dell’Evangelo! Quale sia per
essere la sorte della loro associazione, lo vedranno fra poco essi
stessi, e fin da ora possiamo loro profetizzarlo : quelli che chiamano
protestanti non se ne cureranno nè punto nè poco, mentre la setta
politico-clericale, cui vogliono contrastare, e che non è in fin dei
conti se non la vera chiesa di Eoma, presto li costringerà ad una
ritrattazione, cui, {>er un tempo, resisteranno, ma alla quale finiranno
per acconciarsi, quando la stanchezza, da un lato, e dall’altro la fame
li costringeranno a questo passo. E non è stata questa infatti la sorte
toccata, a tutti quei preti che, a nome del liberalismo soltanto, sono
sorti contro quello che chiamano le esorbitanze vescovili, e non sono
ohe conseguenze ineluttabili di un erroneo sistema?—Ecco intanto,
e a titolo di documento, il programma in discorso :
« Dal giorno in cui l’immortale Carlo Alberto accordava al popolo del Piemonte
le libertà Costituzionali cd iniziava colle franchigie civili il movimento del riscatto
ed unità nazionale ; da quel giorno cominciarono a svilupparsi due tendenze malefiche all’ordine sociale, tendenze che apparentemente opposte non possono tuttavia
che condurre al medesimo risultato, ad una divisione religiosa in Italia.
« Queste due tendenze sono la propaganda protestante e la reazione politica clericale. La propaganda protestante che insinuando nel popolo meno colto il dubbio
e 1" incredulità minaccia di scindere l’unità di credenza rimasta incorrotta in questa
terra di benedizione per un singolare privilegio della Provvidenza. La reazione clericale ohe rinnegando ogni principio di giustizia sociale e nazionale disonora il
Sacerdozio, lo degrada in faccia al corpo dei fedeli, rende inefficace la sua azione
morale ed impotente a resistere al torrente ereticale.
« La pertinacia Protestante neH’assalire l’unità cattolica italiana, l’ostinazione
politica clericale nel resistere all’indipendenza ed unificazione patria, questi due
fatti non possono avere altro risultato che la perdita della fede nella parte meno
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colta della Nazione e cagionare un immenso dolore al cuore di tutti i sinceri cattolici.
« Il Cleio liberale d'Italia se non fu insensibile ai patimenti della Nazione, tanto
meno potrà mostrarsi indifferente ai pericoli della Religione. Se la Setta politica
clericale fosse meno numerosa e non godesse la protezione d una gran parte dell’episcopato italiano, i Sacerdoti liberali d’Italia si sarebbero contentati di piangei’e
nel silenzio sulle aberrazioni umane, confidando nel Padre dei lumi che suscita bene
spesso dalle fitte tenebre la luce più sfolgorante ; ma considerando che questo detestabile partito ; e per gl’ incoraggiamenti che gli vengono da uua potente influenza ;
e per le ispirazioni che riceve da certi giornali notati d’infamia dalla pubblica opinione; e più ancora per l’accordato patrocinio episcopale diventi sempre più ostinato
ed incorreggibile; il Clero liberale dell’Italia centrale sia per soddisfare agl’imperiosi doveri della propria vocazione, come anche per secondare il desiderio universale de’ Cattolici sinceri, non che per riparare ad uno scandalo dato alla Chiesa
universale, e finalmente per impedire una grande sciagura qual sarebbe quella di
vedere l’Italia politicamente unita e religiosamente divisa: sentito anche il parere
dei dotti ecclesiastici delle altre provincie è venuto nella determinazione di formare
una vasta associazione che accolga nel suo seno tutti i Sacerdoti Liberali della Penisola.
« Il Comitato Clerico liberale permanente di Castel Franco manda perciò in tutte
le città d’Italia il presente schema di Statuto provvisorio organico della futura Associazione.
PROGRAMMA
1. È instituita in Modena una Congregazione centrale d’Ecclesiastiei liberali
allo scopo di rivendicare coll’ajuto delle libertà civili la pienezza delle libertà eccle
siastiche e di ordinare la civile ed ecclesiastica libertà alla difesa della fede ed al
trionfo della Religione Cattolica.
2. Son invitati gli ecclesiastici liberali delle altre provincie Italiane a costituirsi
in congregazioni succursali sul modello delle già esistenti a Milano cd a Bergamo
per quindi mettersi in immediata communicazione colla centrale Modenese. I promotori delle dette Congregazioni avranno cura di non iscrivere soggetti d’una condotta notoriamente immorale e anticanonica
3.' Appena stabilito un certo numero di Congregazioni Provinciali si terrà a
Modena, o a Bologna, o a Firenze un’adunanza generale di tutti i Deputati delle
congregazioni parziali per la discussione dello Statuto organico. Le Congregazioni
non manderanno più di due deputati.
4. Appena finita la discussione fed approvato lo Statuto organico si prow-ederà
alla pubblicazione di un giornale col doppio scopo di a%’visare ai mezzi di resistere
alla propaganda protestante e di richiamare in osservanza le ordinazioni de’ Concìlii generali e provinciali.
5. La Congregazione Centrale e le Congregazioni Provinciali nelle loro tornate
procureranno di risolvere le controversie politiche religiose secondo i canoni de’
Concilii e non mai secondo i consigli inspirati dagli organi della Setta.
6. Siccome scopo dell’associazione è anche di paralizzare l’influenza di quel
partito, che si serve del nome di Religione per avversare il ben’essere della patria
ed ordina 1 destini immortali della Chiesa alla conservazione di un sistema politico
riprovato dalle nazioni ciìili; così volendo l’associazione battere la via diametralmente opposta e ordinare i portati della scienza e della civiltà al trionfo del vero
rivelato; ogni Sacerdote che vorrà essere ascritto alla fntura associazione dovrà pro-
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fessare il principio della libertà civile e politica, rispettare il diritto Nazionale e
riconoscere colle parole e coll’esempio l'Italia una e indipendente sotto il governo
di Vittorio Emmanuele II Eo eletto.
Il Comitato confida ohe, attesa la grave umiliazione a cui è ridotta la Chiesa, il
Cloro liberale risponderà all’appello e il giornalismo cattolico si .mostrerà cortese
col pubblicare il presente invito.
Castelfranco di Bologna 13 Aprile 1861
Il Presidente
OnO.'V.RDO TeOI,. SCLOCCHI
Il Segretario
A. Magrassi Prevosto.
NOTIZIE RELIGIOSE
Toeino — ScuoleEvangelìche-Valdesi. — Nella scorsa settimana, ebbero
luogo, per le tre scuole annesse all’Evangelizzazione della Chiesa Yaldese
in questa città, ed alla presenza e col concorso delle signore visitatrici, del
pastore evangelista e di altri benemeriti signori, gli esami annuali delle
medesime : il risultato dei quali mentre riuscì agli astanti di vera consolazione per i molti progressi fatti dagli allievi, fece palese, una volta di più,
in pari tempo clic la perizia e l’abilità degl’insegnanti, il loro zelo e l’intiera divozione colla quale tutti disimpegnano 1’ arduo compito a loro
affidato. — Sentiamo cou piacere che trattasi di aggiungere, col vegnente
anno scolastico, all’asilo infantile gratuito diventato insufficiente, un’altra
scuola infantile, ma questa pagante, e destinata a quei bimbi di civile condizione pei quali è necessità ognor più urgente l’apertura di siffatto stabilimento.
Firenze —^ Ac(iidsto di un locale per la Scuola di Teologia. — Coloro
che in Italia o fuori d'Italia tengono dietro con cristiano interesse alle
sorti della Scuola di Teologia evangelica apertasi l’anno scorso in Firenze ,
sentiranno con piacere che mercè la liberalità di alcuni generosi, incitati
a sì nobile impresa da queU’indefesso amico della Chiesa Valdese che è il
dottore II. Stewart, pastore della Chiesa Scozzese in Livorno , il presidente della Commissione di evangelizzazione , sig. professore Revel, ha
potuto, non è molto, firmare, a nome della Chiesa, il contratto di compra
del palazzo Ricasoli, già Salviati, posto in via Chiara, vasto fabbricato in
cui avranno comodo ricetto, culto, Scuola di Teologia, scuole elementari,
non che i professori, gli studenti ed i maestri e maestre di quest’ultima.
■Livorno — Lettera ai jtreti Livornesi. —E questo il titolo di una
pregievole scrittura dettata dal sig. pastore Riletti in risposta alle calun-
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niose contumelie a cui da molto tempo il medesimo è fatto segno per parte
del clero livornese. Schiettezza e coraggio uniti a cristiana moderazione
sono fra le doti che più spiccano in questo scritto, di cui, a Dio piacendo,
trascriveremo nel prosssimo numero i brani principali, nò il tempo , nè lo
spazio concedendoci di farlo per oggi.
Pisa — Ancora dello scandalo avvenuto in Fisa — Ecco la lettera di cui
femmo cenno, in un num. antecedente, e che stimiamo di pubblicare, perchè come avvertimmo, essa rettifica alcuni errori incorsi nel resoconto dei
giornali su questo sgraziato avvenimento.
8 Caro sig. Direttore,
« Già da piiì settimane in qua, si manifestavano quei frutti che dovean
di necessità produrre nel cuore degl’ignoranti e bigotti seguaci dei clericali,
la Pastorale di Mons. Corsi cardinale-arcivescovo di Pisa, e le prediche del
suo clero nel tempo di quai'csima.- Le calunnie le più spudorate (non lo
dico per far loro ingiuria, ma perchè tale è il sentimento di chi le udì) venivano scagliato da tutti i pulpiti papisti contro agli Evangelici. Le passioni
erano così risvegliate, e non ci mancava altro che un'occasione, perchè la
scintilla diventasse incendio.
c< Domenica scorsa un evangelico della chiesa dei Fratelli toscani, volendo far battezzare una sua bambina secondo i riti della Comunione sua,
si recava in vettura alla riunione. 3Ia una folla di gentame prezzolata, memore del detto di Monsignore, che il battesimo degli Evangelici invece di
rigenerare a vita danna a morte (vedi la sua Pastorale per la Quaresima
del 18C1) si scagliò contro al padre che a mala pena venne messo in luogo
sicuro sotto la protezione dei R. Carabinieri, e rapita la bimba, la portarono
al Duomo ove la si voleva far battezzare dai preti. Essendo impossibile di
compiere la cerimonia senza il consenso del genitore, la folla portò la bimba
agl’innocenti, e si rivolse quindi ad insultare gli Evangelici, ad interrompere il loro culto ed a spaccare i cristalli della loro cappella.
« Per più ore furono attorno cercando di penetrare nella sala di riunione,
e non si dispersero se non al giungere di due drappelli di Guardia Nazionale.
« Alla cappella Yaldese poi, dove si faceva pure la spiegazione del Vangelo, v’era un chiasso spaventevole: urli, fischi, schiamazzi e suon di corna
musa calabrese nella via, facevano un tumulto da non si dire. Ma quando,
a mezzogiorno e mezzo circa, si uscì, si fecero viemaggiormente minaocio.se
le grida, e ben tosto facendosi animo quei miserabili cominciarono ad insultare una signora svizzera che per mal ferma salute era venuta a passar
l’inverno a Pisa. Un bracciante che sì accinse a difenderla toccò due ferite
nel braccio e non è ancor guarito ora. Al mio apparir sul soglio della porta
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s'udirono parecchi urlare: «Dagli! dagli!—ammazzalo! ammazzalo! Fu per
vera protezione divina cho non sia stata eseguita la minaccia, chè di certo
non mancava il volere. Uno fra quei fanatici mi scagliò addosso un grosso e
nodoso bastone che teneva in mano, ma la rabbia mal diresse il colpo ed
invece del capo fu colto solo il cappello che andò rotolando a parecchi passi
distante. Raccoltolo riuscii ad entrare in casa senza essere più molestato,
ma per più ore ancora la tempesta ruggiva, e solo al comparir della Guardia Nazionale si dileguava.
« Tali sono i fatti. Commentarli sarebbe inutile, o piuttosto le manderò
i commenti del cav. Prefetto di Pisa (1) nell’Ordine del giorno alla Guardia Nazionale che quell’esiraio magistrato che cosi degnamente cuopre la
carica affidatagli dal Governo faceva affiggere alle cantonate delle vie.
Onoro a chi seppe così bene immedesimarsi collo spirito di vera libertà, e che scevro affatto di quella malsana pazienza che si chiama da
alcuni vii-tù, ma che nei magistrati è mera vigliaccheria, squarciò la maschera ai Giuda traditori e ne palesò le tenebrose trame ! Il sig. Luciani
ha compito nobilmente il dovere impostogli da Dio ; « H magistrato è ministro di Dio per te nel bene, ma se tu fai male temi ; perciocché egli non
porta indarno la spada ; poiché egli è ministro di Dio vendicatore in ira
eontr’ a colui ehe fa ciò che è male (Epistola ai Bomani xiii, 4) — Onoro
alla Guardia Nazionale che accorse in numero appena fu udito il tamburo
battere a raccolta !
« Voleva far citazioni dell’Ordine del giorno ma desso è troppo, bello e
ve lo mando colla presente pregandovi d’inserirlo nella B. Novella.
« Suo di cuore
G. P. S. M.
(1) Il proclama del sisnor Prefetto alla Guardia Nazionale die pubblicammo nel
num. sesto.
Woigt Giovanni gerente.
TOKTNO — Tipf>itnifia OLAnDIANA, diretta da R. Trombetta,