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Battisti, metodisti, valdesi hanno vissuto nei giorni 1-4 novembre scorso, a
Roima, un avvenimento eccezionale. L’Assemblea battista e il Sinodo
delle chiese valdesi e metodiste, per la prima volta insieme nella storia del
nostro paese, hanno deciso di riconoscere reciprocamente i ministeri di pastore,
predicatore e diacono e di ricevere pienamente la comunione e la fraternità in Cristo.
Ciò avrà conseguenze rilevanti sul piano della organizzazione territoriale
delle chiese. Battisti, metodisti e valdesi potranno avere piena parte
in uno stesso consiglio di chiesa senza dover rinunciare alla loro ’’confessione”,
si avrà una formazione diaconale e pastorale comune, si avranno comuni
iniziative evangelistiche e, dall’autunno ’91, si stamperà un
settimanale comune. Battisti, metodisti e valdesi hanno scoperto — e di ciò
rendono grazie al Signore — che sono più uniti di quanto pensassero e hanno
confessato insieme la fede nell’unico Signore. Questo segno di unità,
all’interno di un mondo cristiano ancora troppo frammentato, non
è però un fine in sé e neanche un compiacersi delle convergenze
raggiunte, ma è un atto di fede che dà nuova forza alla testimonianza,
all’evangelizzazione, al rinnovamento della vita dei singoli e delle chiese.
Anno 126 - n. 45
16 novembre 1990
Numero speciale L. 2.000
Sped. abbonamento postale
Gruppo II A/70
in caso di mancato recapito rispedire
a : casella postale - 10066 Torre Pellioe
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
ASSEMBLEA DELL’UCEBI
L'Unione si amplia
Un «connubio» tra spirito congregazionalista e ricchezza
dell’Unione - E’ stata approvata la Confessione di fede
Chiese proiettate verso
il futuro, convinte deU’importanza di un’organizzazione adeguata ai nostri
tempi, consapevoli del ruolo primario dell’evangelizzazione e della testimonianza della Parola del Signore nei confronti della società.
Può essere questa un’ardita sintesi della prima
parte dei lavori della XXXI
Assemblea dell’Unione cristiana evangelica battista
d'Italia (UCEBI). La prima parte si è svolta nel
Villaggio della gioventù
(Santa Severa) dal 29 ottobre al 1" novembre; poi,
senza soluzione di continuità, l’Assemblea ha abbracciato in sessione congiunta nei giorni seguenti
il Sinodo delle chiese vaidesi e metodiste.
Proprio questa seconda
parte ha compresso, faticosamente ma gioiosamente per il profondo significato deH’evento, i lavori
deH’Assemblea. Un'Assemblea delle chiese battiste è
sempre un incontro ricco
di dibattito, discussione,
contributi teologici e pratici, preghiera, canto, decisioni e messaggi.
E’ un felice connubio fra
lo spirito congregazionalista, che spinge all’autonomia, e la comprensione
della fraterna ricchezza,
anche spirituale, dell’unione e del lavoro in comune. Appare evidente come
questo sentimento sia sempre più presente, infatti
negli ultimi anni ad ogni
Assemblea si assiste alla
toccante presentazione di
chiese che richiedono di
entrare nella comunione
rappresentata dall’UCEBI
(quest’anno ben quattro;
Arzano, Rapallo, Casavatore e Foggia Lucerà).
Dicevamo: un’Assemblea
compressa, che in poco più
di tre giorni (e notti!) ha
prodotto una mole di decisioni e spunti che coinyolgeranno in maniera non
indifferente le chiese aderenti all'Unione. Un nuovo
presidente, il pastore Saverio Guarna, subentra,
al termine del mandato, al pastore Paolo Spano, salutato e ringraziato dai delegati presenti con un lungo, commovente e sincero applauso. Un nuovo, anzi « una
nuova », segretaria del Dipartimento per l’evangelizzazione: il pastore Adriana Gavina.
E’ questo un segno della
sempre più rilevante importanza delle donne nella
vita, finalmente anche decisionale, delle chiese. Un
nuovo segretario del Dipartimento di teologia, il pastore Salvatore Rapisarda.
Questa elezione è stata accompagnata da un’impor
tante ed ampiamente dibattuta decisione che prevede lo studio della possibilità di trasferire la sede
del Dipartimento stesso
nel Sud Italia.
Ma l’Assemblea non si è
occupata esclusivamente di
fatti interni. Una rilevante mozione, al termine di
un appassionato dibattito,
ha confermato il dovere
delle chiese di dire la propria parola profetica sui
venti di guerra che stanno scuotendo il mondo.
Michele Campione
(continua a pag. 16)
L’ASSISE DELLE CHIESE RIFORMATE IN ITALIA
I frutti dello Spirito
Alcuni «nodi» fondamentali nel documento sul reciproco
riconoscimento - Una risposta all’azione dello Spirito
Battisti, metodisti e vaidesi hanno tenuto un’assgmblea che avrà durevole e benefico influsso sul
loro lavoro in Italia. Giuridicamente, si è trattato
di una sessione congiunta
del Sinodo valdese e metodista e dell’Assemblea
battista; nel modo di pregare, di discutere, di vivere insieme, si è trattato di un’assemblea animata dallo stesso intendimento e fortemente omogenea.
Il reciproco riconoscimento è stata la decisione, non
priva di solennità e di commozione, che ha dato forma concreta a questo comune intendimento.
L’ottimo documento che
ha preparato la decisione,
riuscendo a formulare con
grande chiarezza sia il consenso, sia il disaccordo,
costituisce anche la base
per proseguire la riflessione. Vorrei dare un modesto contributo alla riflessione indicando, nel documento, due punti forti e
una lacuna.
Cominciamo dalla lacuna. Il documento dedica
molta attenzione alla questione del battesimo, ma
si limita a menzionare la
questione della costituzione sinodale; sul battesimo
procede a un’eccellente
opera di chiarificazione.
PROSPETTIVE DOPO L’ASSEMBLEA-SINODO
Le chiese riformate e l’Italia
Un quotidiano italiano ha titolato per tre giorni la cronaca dell’Assemblea-Sinodo: « Assise delle chiese riformate », e giustamente; si è
trattato di un grande incontro spirituale, teologico, decisionale: il terzo, in ordine di tempo, dopo i Congressi evangelici del 1920 e 1965.
Ma proprio questo accostamento ci
deve far riflettere: dopo i due grandi Congressi è sempre venuta ima
fase di prudente riflusso, durante
la quale le spinte emerse in quelle grandi assise hanno potuto farsi
luce solo molto lentamente.
Questa volta non può andare così: c’è molta attesa nelle comunità,
per il giornale comune, per gli scambi pastorali, per tante altre cose
piccole e grandi. Un movimento reale nato già nel 1946 (fondazione del
Consiglio federale) e nel 1951 (primo congresso della Gioventù evangelica italiana) non può restare senza
sbocco: bisogna tenere alta la tensione.
L’area protestante
L’Assemblea è stata bella per la
sua capacità di pregare, di sperimentare nuove forme di predica
zione, ma soprattutto ha saputo
discutere di teologia: cosa rara. Orbene, il dibattito ha segnato una
chiara superiorità della teologia che
sostiene il battesimo dei credenti
rispetto a quella che difende il battesimo dei fanciulli. Personalmente
non ho dubbi sulle conseguenze di
questa vittoria battista; in seno alle chiese valdesi e metodiste le tendenze battiste, già incoraggiate dal
Sinodo 1970, nel giro di qualche
anno o di qualche decennio diverranno maggioritarie: i pedobattisti
come me dovranno rassegnarsi a
passare in minoranza.
Questa « vittoria battista » ci costringerà ad impostare in modo
nuovo il rapporto tra chiesa evangelica e « area protestante »: in
particolare, si porrà in termini nuovi il rapporto tra la comunità dei
credenti e il « popolo valdese », in
Piemonte come in Calabria. L’antico binomio di « popolo-chiesa » è
finito: tra cinquant’anni solo una
piccola parte dei valdesi delle Valli saranno membri di chiesa battezzati. E gli altri? Li abbandoneremo a una deriva sociologica che
li conduca al cattolicesimo per soddisfare i loro bisogni culturali, sociali e religiosi? O sapremo inven
tare un nuovo rapporto, fondato
su un racconto storico (i musei,
gli spettacoli, la festa del XVII
febbraio), una proposta etica (giustizia, libertà, rispetto del creato)
e un sistema di simboli aperti alla
trascendenza (i riti per matrimoni
e fimerali, la musica, l’architettura), senza dimenticare l’immenso
valore pedagogico della gestione
democratica delle nostre opere sociali'?
Com’è noto, per un paio di secoli i longobardi hanno governato
l’Italia in modo singolare: avevano
un regno abbastanza compatto nel
Nord, e poi qualche principato disperso nel Sud (Salerno, Benevento). La situazione delle chiese vaidesi e metodiste è molto simile:
le grandi istituzioni, le grosse comunità sono quasi tutte nel Centro-Nord; nel Sud vive soltanto
l’ll% dei membri di chiesa (anche
se vanno in chiesa tre volte più degli altri) e qualche nobile principato come Portici, Palermo, Riesi.
Ben diversa è la situa-done dei
battisti: quasi metà dei membri di
chiesa vivono al Sud, e continua
no a crescere.
Giorgio Bouchard
(continua a pag. 16)
indica la possibilità di un
accordo, elenca in 10 punti le premesse essenziali
per raggiungerlo. Sarebbe
stato molto utile se un lavoro simile si fosse fatto
per la questione della costituzione della chiesa. Quale rapporto c’è tra il fondamento della chiesa e il
modo che ha la chiesa di
disciplinarsi, di organizzarsi? Che tipo di rapporto
hanno, tra di loro, le chiese locali? Quali elementi
vengono accentuati nel
congregazionalismo da un
lato e nel sistema sinodale dell’altro? Esistono le
premesse per un accordo,
e quali? Queste domande
dovranno, in qualche sede,
ricevere una risposta.
Sul battesimo, come si
è detto, il documento è
molto più articolato; il
punto che vorrei toccare è
quello che riguarda i « frutti del battesimo ». Il disaccordo sul battesimo, dice il documento, è serio,
ma non è tale da impedire la piena comunione tra
le nostre chiese. Come motivo si adduce tra l’altro
il fatto che « nel Nuovo
Testamento viene dato più
rilievo ai frutti del battesimo che alla sua forma ».
Su questo motivo si dovrà
continuare a riflettere, perché non tutti se ne sono
dichiarati convinti. Se ho
bene inteso, questo basarsi sui « frutti » per riconoscersi come chiesa sarebbe
problematico; il battesimo
ha un carattere oggettivo,
riconoscibile, i suoi frutti
hanno un carattere molto
più soggettivo. Eppure, mi
sembra, la fede del fratello o sorella non può restare nascosta, quindi dev’essere riconoscibile. Non
vorrei banalizzare la questione e mi piacerebbe,
quindi, proseguire il confronto con chi ha sollevato il problema.
Un altro punto forte del
Bruno Rostagno
(continua a pag. 16)
2
assemblea battista e sinodo valdese-metodista
16 novembre 1990
LA PREDICAZIONE AL CULTO DI APERTURA
La verità vi farà liberi
Un dono di Cristo al credente, che è stato interpretato in vari modi dalla Riforma in poi - La fede non può essere oggetto di costrizione - Il rischio che le identità storiche prevalgano sui « contenuti di fedeltà al Signore »
« [Gesù disse:1 Conoscerete la
verità e la verità vi farà liberi.
(...) Se dunque il Figlio vi farà
liberi, sarete veramente liberi ».
(Giov. 8; 32, 36).
Questi versetti fanno parte di
quei testi biblici che hanno plasmato la formazione spirituale
dei credenti evangelici dalla Riforma in poi e, per noi valdesi,
anche prima della Riforma.
Potremmo formularne il messaggio così:
Solo Gesù, il Cristo, il Figlio
di Dio, colui che è la verità, può
renderci veramente liberi. Capovolgendo la frase, potremmo affermare: E’ veramente libero solo colui che è stato liberato da
Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio.
La liberazione è un dono, non
una conquista; una azione che
si subisce, non si compie. Bisogna prima divenire dei liberati,
per potere essere poi in grado
di agire da uomini liberi.
E’ questa, in sintesi, la vera
libertà del cristiano. Il nostro
agire da credenti liberi è un reagire all’azione oggettiva e reale di liberazione compiuta fuori
di noi e senza di noi, sulla croce, dal Signore Gesù Cristo.
Questa libertà del cristiano,
dono di Cristo al credente, è stata intesa in vari modi, tutti motivati.
Caratteristica della
nuova nascita
In quanto caratteristica della
nuova nascita, è stata intesa, in
chiave etica, quasi esclusivamente come libertà dal peccato; come un « non potere più peccare », perché « chiunque è nato
da Dio non commette peccato »
(1 Giovanni 3: 9). A questa sottolineatura, oggi particolarmente cara alle comunità fondamentaliste, ma che molto ha influito sulla formazione di intere generazioni protestanti, in coscienza, non saprei dare torto.
In altri casi tale libertà è stata intesa piuttosto in chiave spirituale, come libertà interiore che
il cristiano sperimenta in sé, e
in virtù della quale riesce ad opporsi e resistere alle imposizioni dei potenti. Questa libertà interiore ha costituito la forza intima, profonda, che per secoli
ha reso capaci i credenti evangelici di affrontare con coraggio avversità, restrizioni e persino persecuzioni, e di sentirsi liberi anche dietro le sbarre di
una cella.
Lutero, nel 1520, inizia il suo
scritto « Sulla libertà del cristiano » affermando: « Un cristiano è un libero signore sopra
ogni cosa e non è sottoposto a
nessuno » (WA 7, 21, 1-2).
E Calvino richiama la necessità che « la libertà spirituale ri
manga salva per noi », cioè che
le coscienze dei credenti « riconoscano quale loro re e loro liberatore il Cristo soltanto, e che
siano governate dalla sola legge di libertà, che è la sacra Parola dell’Evangelo, se vogliono
trattenere la grazia che una volta hanno ricevuto in Gesù Cristo, senza essere assoggettate ad
alcuna servitù, né rese prigioniere di alcun legame » (I.C. IV,
10, 1). Anche a questa sottolineatura, in coscienza, non saprei dare torto.
Libertà e
conoscenza
Altri invece, pure con motivata ragione, sottolineano lo stretto rapporto esistente in questo
testo giovanneo tra libertà e conoscenza della verità (v. 32); verità che, nel messaggio cristiano, si identifica con la persona
di colui che l’ha annunciata. Per
cui, argomentano, conoscere la
verità non equivale ad acquisire
certe verità o accettarne le dottrine, bensì vuol dire conoscere
Cristo e credere in lui, attenendosi fermamente e soltanto alla testimonianza resagli dalle Sacre Scritture. Costoro non si
stancano di ribadire che la libertà del cristiano si manifesta
e si realizza nel concreto del
vissuto quotidiano solo dove e
quando il credente mantiene vigile e costante la tensione di
una ricerca teologica rigorosa
entro i limiti posti dalla teologia della Riforma: il « solus
Christus » e la « sola Scriptura ».
La vera libertà cristiana sarebbe allora fmtto di una sana teologia. Neppure a costoro, in coscienza, saprei dare torto.
In termini di libertà del cristiano vorrei anche rileggere la
predicazione del prof. Sergio Ro
stagno in apertura del Sinodo
di agosto. Saper coscientemente
vivere il paradosso di una forza che si manifesta nella debolezza significa, per la nostra
chiesa, essere stati liberati dalla acquiescenza acritica, secondo lo slogan che proclama la
forza Sempre vincente e la debolezza sempre perdente.
Ma la libertà in Cristo è libertà anche dalla equivocità insita proprio nei concetti di tolleranza e di libertà della fede,
o libertà di fede.
Secondo il messaggio del Nuovo Testamento la fede è un evento di liberazione. E’ in virtù della fede che il cristiano riceve in
dono da Dio in Cristo quella libertà che lo fa divenire « un libero signore sopra tutte le cose », per cui « non è sottomesso a nessuno ».
Essendo originata dalla fede,
la libertà del cristiano è liber
Roma. Il culto di inaugurazione nel tempio valdese di Piazza Cavour.
tà nei confronti del mondo, della sua mentalità secolarizzata e
delle sue norme impositive anche sulle coscienze; ma è allo
stesso tempo sottomissione alla
Parola di Dio. A Worms (il 26
aprile 1521) Lutero sperimentò
e manifestò la forza di questa libertà-sottomissione quando, esortato a sconfessare le sue idee
compiendo una pubblica autocritica in ubbidienza alle ingiunzioni delle autorità presenti, sia
religiose che civili, rispose fermamente: « (...) poiché la coscienza è prigioniera della Parola di Dio, non posso né voglio ritrattare alcunché ».
La vera libertà è libera proprio pei'ché è prigioniera della
Parola di Dio.
Per un fenomeno di secolarizzazione negativa, oggi, invece di
ricercare la libertà che proviene dalla fede, si esige, in nome
di un principio, libertà per la
fede e per la sua pratica e si
propugna una tolleranza religiosa generalizzata che è sinonimo
di indifferenza verso ogni tipo
di fede, anche di quelle sedicenti fedi che rendono schiavi. In
tale ottica, purtroppo attuale nel
nostro paese, la vera libertà per
la fede la si attende dallo stato e non più dal Cristo. Si comprendono allora le motivazioni
di chi oggi, non protestante, sostiene che in tema di libertà religiosa competa allo stato legiferare unilateralmente. Si comprende meno, però, come sia
possibile che questa posizione
possa trovare oggi consenzienti
anche alcune chiese e movimenti evangelici. Tutti concordiamo
nel ritenere che la fede non può
essere oggetto di costrizione. Essa esige libertà. Una fede imposta si trasforma in caricatura.
Religione ufficiale
e minoranze
Un generico principio di libertà di fede, nell’accezione moderna del termine, promosso e garantito per normativa statale
unilaterale, rischia di favorire il
riaffermarsi proprio di quella deleteria concezione, mai mutata,
che in Italia, nonostante i principi sanciti dalla Costituzione, vi
sia una duplice realtà: da una
parte una religione ufficiale o
della maggioranza, che lo stato
praticamente riconosce e quasi
fa sua, e quindi si sente in dovere di tutelare e privilegiare;
dall’altra l’insieme delle frange
di minoranze varie, di cui si
prende atto perché esistono di
fatto, ed alle quali si concede
uno spiazio di azione nel contesto di una cultura di indifferenza a proposito del tipo di fede
professato. Ma questa indifferenza, che accomuna tutti i cosiddetti « non cattolici », si ripercuote anche sulla possibilità
di una incisiva testimonianza resa dalle chiese della Riforma al
messaggio della libertà cristiana
che viene dalla fede e che è vincolata alla Parola.
Se tale è la vera libertà a cui
noi lutti siamo stati chiamati
(Galati 5: 13), essa allora esige
una verifica anche sulle motivazioni teologiche che fondano in
noi l'autocoscienza di una «pienezza ecclesiale », ' pur essendo
soltanto una chiesa tra altre chiese.
E' doveroso pertanto interrogarci almeno su due aspetti del
problema:
1 ) Interrogarci sul modo in
cui intendiamo le nostre identità denominazionali e quale valore attribuiamo loro nel contesto delTecumene cristiana in cui
viviamo in comunione con tutte
le chiese evangeliche del mon
II pastore
Scuderi
pronuncia
il sermone
al culto
di inaugurazione
dell’Assemblea/
Sinodo.
do, recandovi il contributo della nostra testimonianza.
2) Interrogarci sulla misura
in cui la dimensione della storicità, che è insita in ogni identità confessionale e che si formalizza in tradizioni dottrinali,
cultuali, liturgiche e di pietà, è
divenuta o rischia di divenire
per noi, nel concreto dei nostri
rapporti ecumenici, un elemento
condizionante a tal punto da
prevalere sui contenuti di fede
e di fedeltà al Signore, di cui
noi siamo portatori nella storia.
Un esempio. Tutti concordiamo nel ritenere che il battesimo, che per ovvi motivi contingenti viene amministrato in una
chiesa storica particolare definita da una indicazione denominazionale o confessionale, è l’atto ecclesiastico, il segno esteriore e visibile che presenta, rappresenta e indica l’opera redentrice di Cristo e che. sancisce,
tra l’altro, il nostro entrare pubblicamente a far parte della santa ed unica Chiesa universale,
che è il corpo di Cristo.
L’identità
denominazionale
V’è dunque in ciascuno di noi
una duplice identità, se così ci
è permesso esprimerci: l’identità cristiana in quanto credenti
e membra della Chiesa del Signore Gesù Cristo, e l’identità
denominazionale in quanto credenti e membri di una chiesa
particolare, secondo lo specifico
modo di intendere e vivere la
fede proprio di quella denominazione evangelica in cui abbiamo parte.
Affermando ciò, non intendiamo affatto sottovalutare le diversità dottrinali, cultuali, di
tradizione e di sensibilità spirituale che caratterizzano le diverse denominazioni evangeliche.
Esse anzi potrebbero essere paragonate ai suoni emessi da strumenti diversi, ognuno dei quali
però ha un suo ruolo specifico
nel creare, insieme agli altri, la
grande sinfonia della lode cora
le e della testimonianza all’unico Signore.
In fedeltà alla propria identità denominazionale ciascuno di
noi esprime e vive la propria
fedeltà al Signore nel concreto
storico di una comunità locale.
Ed è giusto che sia così, purché
alla identità denominazionale
non vengano attribuiti valori che
esulano dai suoi limiti. Nel passato questa tentazione è stata
ben reale!
Identità cristiana e identità
denominazionale non sono sullo
stesso piano, né sono interscambiabili. Tra di esse non vi è
rapporto di uguaglianza, bensì
di dipendenza, nel senso che, come abbiamo osservato, tutto ciò
che costituisce la peculiarità di
una denominazione cristiana, soprattutto nel contesto dei rapporti ecumenici, deve essere costantemente sottoposto a verifica sui fondamento di Cristo-Parola di Dio. In altri termini la
priorità va riconosciuta a Cristo e non alla chiesa, e il nostro
essere membri di una chiesa
particolare è secondario al nostro essere Chiesa di Cristo, che
è primario. Cristo infatti costituisce l’essere della chiesa, la
denominazione invece fa parte
del suo bene-essere, cioè del modo in cui la fede ha trovato espressione in una particolare vicenda storica di una parte della
Chiesa.
Non è per puro caso che il
documento n. 5 battista-metodista-valdese (BMV), che andremo
a discutere, propone una « comprensione del reciproco riconoscimento e deU’unità della chiesa che è basata sulla presenza
vivente e dinamica del Cristo
nella chiesa, attuantesi per la
potenza dello Spirito, accolta per
fede e realizzantesi nella pratica dell’amore », e non su una
ipotetica identità di vedute, di
prassi liturgiche omogenee, di
elementi formali o sacrameiitali
e di enunciati dogmatici. Poiché
il riconoscimento « attiene alla
natura intima della chiesa, cioè
al suo essere chiesa in quanto
comunità convocata e raccolta
dal Signore Gesù Cristo », esso
non può che formularsi praticamente come l'atto in virtù del
quale una chiesa locale riconosce che un’altra chiesa, diversa
da sé, è anch’essa pienamente
chiesa di Cristo. Solo in tal modo, non in teoria, bensì nella
realtà della vita ecclesiastica, diviene possibile e positivo attuare un cammino di comunione e
di fiducia reciproca tra chiese
diverse che predicano il medesimo evangelo, nel rispetto delle specificità di ognuna di esse,
senza paure e nella libertà che
viene dalla fede.
Se dunque Cristo ci ha fatti
liberi, possiamo essere veramente liberi anche da ogni arroccamento denominazionale.
Chiediamo quindi al Signore di
benedire questo Sinodo affinché
esso divenga per ciascuno di noi
un’occasione per conoscere sempre meglio Cristo-Verità e spe;
cimentare quella libertà che ci
rende veramente liberi.
Giovanni Scuderi
3
16 novembre 1990
assemblea battista e sinodo valdese-metodista
ASSISE DI BATTISTI, METODISTI E VALDESI
L’informazione negata
Gli organi di stampa italiani hanno praticamente ignorato un evento
« unico » nel mondo - La collocazione dei protestanti nella società
I protestanti italiani sono una
realtà difficile da decifrare, specie se li si guarda con occhiali
deformati dal pressapochismo
culturale oggi in auge in molte
redazioni di giornali. Così un fatto « unico » nel mondo — come
ha detto bene Emilio Castro, segretario del Consiglio ecumenico
delle chiese — è passato sotto
silenzio dai principali giornali italiani e dalla RAI, che pure è un
servizio pubblico; unica eccezione l’Unità, che ha dedicato tre
servizi airavvenimento. I protestanti italiani continuano a non
fare notizia.
Gli operatori dell’informazione
preferiscono un discorso del papa
ai farmacisti, cosa su cui — per
carità! — bisognava anche informare, alla « notizia » che tre chiese nazionali come quelle battiste,
metodiste e valdesi, per la prima
volta al mondo, si riuniscono in
assise comuni per prendere
decisioni relative alla loro organizzazione, alla loro testimonianza comune in Italia.
Nella storia dell’Italia, dall’unità in poi, i protestanti italiani non
sono stati quasi mai oggetto di
interesse politico e perciò si sono
salvati da strumentalizzazioni e
inquinamenti, ma ciò ha contribuito al loro isolamento. Certo in
questo ci sono anche responsabilità degli stessi protestanti che
per molto tempo si sono sentiti
estranei alla cultura del paese in
cui vivono, preferendo mantenere legami culturali col mondo
protestante europeo ed anglosassone. Però, almeno dal secondo
dopoguerra in poi, le cose sono
cambiate: battisti e metodisti si
sono resi indipendenti dai comitati esteri, americani e inglesi,
che li sostenevano; nel '65 si è tenuto il II Congresso evangelico
(il cui motto era « Uniti per l’Evangelo ») da cui è nata, nel ’67, la
Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCBI), nel ’75 le
Chiese metodiste e valdesi si sono integrate in un unico corpo
ecclesiastico su base sinodale.
Le tre chiese che si sono incontrate a Roma dal 1" al 4 novembre sono ormai una realtà nazionale che ha una propria cultura, un proprio « ethos », cioè
una maniera originale di vivere
e vedere le cose che segna in profondità le persone nei differenti
contesti geografici e sociologici.
Il protestantesimo riformato
italiano, di cui battisti, metodisti
e valdesi sono la parte più nota,
rappresenta un modo diverso dal
cattolicesimo di vivere la stessa
fede in Cristo. Il protestantesimo
italiano non ha solo differenze
teologiche col cattolicesimo, non
manifesta solo qualche divergenza nella concezione di Dio e di
Cristo, ma ha una visione diversa
della figura dell’uomo e della donna, delle istituzioni e del potere,
ha in sostanza una propria cultura. La cultura dei protestanti
italiani è pluralista, multiforme:
le divisioni confessionali ed ecclesiastiche non sono vissute come
uno scandalo, ma al contrario
rappresentano il rifiuto protestante dell’idea che una — ed una
sola — istituzione ecclesiastica
abbia il monopolio della verità
cristiana.
La cultura dei protestanti è an
UN VOLUME CLAUDIANA
Evangelici in Italia
C’è un libro, tempestivamente
edito dalla Claudiana’, che —
dopo quest’assemblea — dovrebbe entrare nelle case di tutti
ì battisti, metodisti, valdesi.
E’ Evangelici in Italia. Si
tratta della raccolta dei principali documenti elaborati dalle
chiese negli ultimi trent’anni. E’
« un piccolo consuntivo delle
speranze e dei progetti » elaborati da queste chiese per la loro testimonianza del Signore che
libera.
Un libro che rappresenta « un
po’ della nostra storia — come
scrive nella presentazione Eugenio Rivoir — che può essere presa da chiunque, che è messa lì
a disposizione, perché chi vuole
se la prenda e la adoperi ».
La raccolta di documenti (curata da Emmanuele Paschetto
per quelli battisti, da Paolo Sbaffl per quelli metodisti, e da Eugenio Rivoir per quelli valdesi)
presenta una breve, ma essenziale introduzione sulla storia e
sull’ecclesiologia delle tre chiese,
che aiuta a ripercorrere e a conoscere il contesto in cui i documenti sono stati prodotti. Una
utile introduzione per chi si accosta per la prima volta alla
materia, una carta d’identità
delle chiese che può essere proposta a quanti vogliono conoscerci, ma anche un quadro ragionato per quanti nelle nostre
chiese hanno vissuto da protagonisti o da spettatori gli ultimi trent’anni.
Così possiamo leggere utilmente, a vent’anni di distanza, il documento battista sul « senso della nostra fede» (1969), il documento metodista su « evangelizzazione, testimonianza e cultura
che una cultura dell’individuo,
che si basa sulla libertà e sulla
responsabilità. Il protestante italiano non delega la fede alla chiesa come non scarica la responsabilità delle proprie azioni sulle
istituzioni. Etica della responsabilità e libero esame vanno insieme per ogni protestante.
Ciò non significa che i protestanti italiani non ricerchino
l’unità, non si diano organizzazioni e strumenti per la loro azione in una situazione di diaspora,
di dispersione come quella in cui
vivono in Italia.
Ciò è successo nel ’67 quando
hanno dato vita alla FCEI, il cui
scopo è stato quello di dotare le
chiese di strumenti comuni per
l’istruzione ed educazione religiosa, per la presenza nella radio e
nella televisione pubblica; come
10 anni fa, quando insieme hanno organizzato l’azione sociale
tra i terremotati dell’Irpinia, come alcuni anni fa quando,
sempre sotto l’egida della FCEI,
hanno organizzato un servizio sociale comune a favore dei migranti e dei rifugiati; come quando, pochi anni fa, hanno organizzato insieme con quasi tutte le
confessioni evangeliche italiane
una commissione per i rapporti
con lo Stato.
Quello che è successo a Roma,
nei primi giorni di novembre, è
però un qualcosa di qualitativamente diverso: tre chiese si sono
riconosciute reciprocamente, hanno creato ima rete di collaborazione su tutto il territorio nazionale, si sono date uno strumento
di informazione comune. Peccato
che pochi nostri compatrioti l’abbiano saputo.
Giorgio Gardiol
IL SEGRETARIO DEL CEC
Un avvenimento
rilevante, forse unico
Care sorelle e fratelli in
Cristo,
è con particolare gioia
che vi saluto in occasione
di questasessionecongiunta. Avrei voluto essere con
voi, ma. questa settimana
siamo impegnati in intense sedute di preparazione
della prossima Assemblea
del Consiglio ecumenico,
che mi trattengono a Ginevra.
E’ motivo di grande
gioia che le vostre tre
chiese si siano accordate
per tenere queste assise
comuni. E’ questo un avvenimento rilevante e anche unico nella storia recente del movimento ecumenico. Voi recate così
una testimonianza che per
tutti noi è segno di incoraggiamento e di speranza.
Nella particolare situazione del protestantesimo
in Italia il vostro approccio potrebbe indicare il
cammino che si dovrà seguire in futuro. Avvicinandosi in maniera tanto concreta, le vostre comunità
potranno trovare nuove
forze, nuove risorse per
essere fedeli all’Evangelo
e per compiere la loro
missione.
Nell’unione esse potranno trovare il rinnovamen
to spirituale di cui ogni
comunità ha bisogno per
vivere e condividere la
pienezza di vita che ci è
offerta in Gesù Cristo.
Spero in particolare che
questo avvicinamento, che
celebrate oggi a livello nazionale, possa domani realizzarsi anche sul piano locale, tra le parrocchie delle vostre chiese.
Conoscete il tema della
prossima Assemblea del
Consiglio ecumenico:
« Vieni, Spirito Santo,
rinnova tutta la creazione ».
Questa preghiera coinvolge anche le nostre chiese, che tanto hanno bisogno di riscoprire la potenza dello Spirito di Dio. Insieme a voi invochiamo lo
Spirito nel momento in
cui voi cominciate i vostri lavori, e vi chiediamo di unirvi nella preghiera con tutte le chiese della famiglia ecumenica nel
momento in cui, nel mondo intero, ci apprestiamo
a riunirci, a Canberra, nel
nome di Dio Padre, Figlio
e Spirito Santo.
Vi auguro una buona
riunione, e vi invio i miei
cordiali saluti in Gesù Cristo.
EmiUo Castro
SCHEDA
La chiesa valdese di piazza Cavour
cattolica» del 1962, e la lettera alle chiese sui « rapporti tra evangelici e cattolici » del Sinodo valdese del 1962. La lettura ci fa
scoprire l’attualità delle parole
etiche sulla nonviolenza e l’obiezione di coscienza, sull’insegnamento della religione nella scuola pubblica, sui rapporti con lo
stato, sulla pace, sulla critica ai
modelli politici corrotti, sull’azione sociale delle chiese in uno
stato di diritto, ed altro ancora.
G. G.
' AA.VV., Evangelici in Italia. Documenti delle chiese battiste, metodiste e valdesi (1961-1990), Torino, Claudiana, ottobre 1990, pp. 224, L. 19.000,
I testi scolastici di storia non
lo dicono ma il 20 settembre
1870, subito dietro i bersaglieri
che sfondarono Porta Pia, a Roma, realizzando la piena unità
d’Italia, veniva un carretto carico
di Bibbie trainato da un cane a
cui era stato messo nome, provocatoriamente, Pionono (dal nome
dell’allora pontefice — quello del
Sillabo » e del « Non expedit »
•— da anni rifugiato a Gaeta).
Fu quella la prima volta in cui
una Bibbia entrava in Roma, almeno ufficialmente. Nei giorni immediatamente successivi i valdesi fondavano una comunità in via
del Gambero che dopo vari traslochi (via Gregoriana, via della
Vite, via dei Pontefici e altre ancora) si attestò, grazie anche all’aiuto non indifferente della Chiesa di Scozia, in via IV novembre
dove fu eretto un tempio, nel
1883, a due passi dal Colosseo.
Pastore fu Matteo Prochet.
Divenne presto evidente l’esigenza di ampliare questa sede, di
essere più incisivi in una città in
grande crescita; bisognava passare il Tevere, andare proprio là,
a esternare la presenza protestante ai piedi del Vaticano. Fu così
che, lavorando di concerto con alcuni esponenti della Chiesa presbiteriana e in particolare con la
sig.ra J. Kennedy e con Emma
Baker, moglie di John Stewart,
facoltoso impresario ferroviario
morto nel 1909 che aveva devoluto un generoso lascito alla Chiesa presbiteriana stessa, si acquistò un’area di 2.566 mq. in località Prati di Castello, ai piedi di
Castel Sant’Angelo, dove nel 1561
era stato messo al rogo Gian Lui
gi Pascale. E là, all’ombra del
’’cupolone” di San Pietro, sorse il
nuovo tempio su progetto dell’arch. Bonci e la direzione delTing. Rutelli. Abbandonato lo stile gotico che caratterizza alcuni
altri templi valdesi, come quello
di Torino, venne scelto un discusso « stile ’300 » che, come riportano le cronache del tempo su ”La
Luce”, « più si ispira all'idealità e
alla tradizione della Chiesa evangelica ». Ad ammorbidirne l’austerità vennero le magnifiche vetrate istoriate da Paolo Paschetto,
ispirate ad episodi del Nuovo Testamento al pianterreno e dell’Antico nelle gallerie.
Il nuovo tempio fu inaugurato
l’8 febbraio 1914 con un culto presieduto dal pastore Ernesto
Giampiccoli, alla presenza del
moderatore Léger, dei ministri di
Olanda, Danimarca e Svezia, di
numerosi parlamentari italiani e
del rabbino capo di Roma. Scriverà su queste colonne, cinquant’anni dopo, il pastore Carlo Gay:
« Non sarà certo mancato un po'
di spirito di "Breccia di Porta Pia"
ma è immaginabile che erano
molto più presenti la gioia e la
riconoscenza verso Dio nel poter
essere a Roma, nella quale i partecipanti non vedevano solo la
"grande Babilonia" ma anche la
comunità cristiana primitiva, alla
quale si era rivolto l'apostolo
Paolo ».
Predica il prof. Giovanni Luzzi
(il curatore della ’’riveduta”) sul
testo di Efesini 4: 6: « Non c'è
che un Dio e Padre di tutti, che è
sopra tutti, che agisce per mezzo
di tutti, che è in tutti ».
Da allora molti passi sono stati fatti, molti gradini superati.
Nel 1922 arriva la Facoltà di teologia, da Roma piazza Cavour
partono le iniziative di collegamento sul territorio nazionale e
internazionale, inizia, o meglio va
avanti , il discorso ecumenico. Da
piazza Cavour il pastore Paolo
Bosio riesce, nel pieno del secondo conflitto mondiale, a lanciare
il culto radio della domenica mattina.
Sono passati settantasei anni e
la Chiesa di piazza Cavour è oggi
testimone di un altro avvenimento storico, che vede il protestantesimo italiano, allargato in forme diverse e diversamente ufficializzate, sempre più unito, affrontare insieme un nuovo capitolo della sua storia. E non è retorico il pensiero che corre alle
parole di Charles Beckwith che
esortava: « O sarete missionari o
non sarete nulla ». Un avvenimento, questo, che sarà storico ma
non nuovo, non inatteso ma forse
previsto in un disegno che non è
nostro, o comunque non solo nostro. Rileggiamo un passo della
predicazione di Giovanni Luzzi,
in que]T8 febbraio 1914: «La chiesa non è una disposizione più o
meno artistica di pietre morte.
La chiesa è la riunione dj. pietre
vive (...). A voi, fratelli. Iddio, con
la erezione di questo tempio, allarga il campo. Egli pianta una
nuova tenda per voi, e vi invita a
passare da questa parte del Tevere
e a fare della nuova tenda il centro di una raddoppiata attività
vostra in vista del Regno di Dio ».
Stello Armand-Hugon
4
4 assemblea battista e sinodo valdese-metodista
16 novembre 1990
Il prof. Paolo Ricca mentre illustra il documento sul reciproco riconoscimento in assemblea plenaria.
1. Che cosa succede oggi sotto i nostri occhi? Di quale evento siamo, allo stesso tempo, attori e spettatori? Che cos’è questa seduta congiunta dell’Assemblea deU'UCEBI e del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste in
Italia? E’ un incontro che, in questa forma, non è mai accaduto
prima nel nostro paese. E’ im
novum nella storia dell'evangelismo italiano. E’ ima primizia.
Si incontrano delle chiese che
si qualificano tutte come « evangeliche » e che hanno già vissuto tra loro momenti importanti
e permanenti di collaborazione e
comunione (in tempi più vicini
nel quadro della Federazione delle chiese evangeliche in Italia e
della Federazione donne evangeliche italiane, e, più ancora, nella Federazione giovanile evangelica italiana). Ciò nondimeno esse non vivono ancora in piena
comunione tra loro. Ma la desiderano e chiedono a Dio di manifestarla.
Queste chiese hanno alle loro
spalle una lunga storia. Non sono solo le storie rispettive del
battismo, del valdismo e del metodismo in Italia che oggi si incontrano. Ciascuna di esse è a
sua volta parte di una storia più
ampia, europea e mondiale. Tutte e tre si collocano nell’alveo
della cristianità protestante, cioè
del cristianesimo rifondato biblicamente e rimodellato di dentro
e di fuori dalla Riforma del XVI
secolo. Ma già prima della Riforma si erano manifestati, nel
valdismo e in altri movimenti
tardomedievali. dei fermenti di
rinnovamento evangelico e, in
particolare, di superamento del
regime « costantiniano » della
chiesa, che furono più tardi operanti sia nella riforma anabattista sia, successivamente, in quella battista.
Un comune
patrimonio di fede
Malgrado il ricco patrimonio
comune, valdismo, battismo e
metodismo non sono finora riusciti a scrivere, neppure nel nostro paese, una storia comune:
hanno scritto storie simili ma parallele. Dopo più di im secolo di
esistenze relativamente separate,
nel 1975 le chiese valdesi e metodiste si sono unite mediante
un « patto d’integrazione ». Ora
si incontrano con le chiese battiste. A quale scopo? Per vedere
se è possibile passare insieme dalla fase delle storie parallele a
quella di una storia comune. E’
la storia della nostra fede, di
quella che fu dei nostri padri e
che, se Dio vorrà, sarà dei nostri
figli, che d’ora innanzi vorremmo
scrivere insieme. Riteniamo, anzi confessiamo, che la nostra fede di battisti, metodisti e valdesi è « una » (Efesini 4: 5), anche se sappiamo che non è identica, Essere uniti, nella Bibbia,
non significa essere identici. Es.sere uniti, nella Bibbia, significa
.scoprire il dono dell’altro come
opera dello Spirito (I Corinzi 12:
li) e la varietà dei doni come
ricchezza comune, come bene
condiviso (I Corinzi 12: 7).
2. Perché ci incontriamo? Perché abbiamo scoperto e stiamo
scoprendo che siamo più uniti
di quel che pensavamo. La separazione reale, anche se in molti
casi solo parziale, nella quale siamo vissuti per tanto tempo ci
ha impedito di condividere tutto
ciò che, come cristiani evangelici, avevamo e abbiamo in comune. Divisi o, comunque, di diversa convinzione su due questioni
soltanto (il pedobattismo e la costituzione sinodale della chiesa),
siamo vissuti, sovente, come se
fossimo divisi su tutto. Il patrimonio comune, che ci era stato
affidato per affratellarci e farci
vivere in comunione, è stato vissuto spesso separatamente, come
se ciascuna delle nostre denominazioni fosse l’unica a possederlo. Abbiamo finito per dimenticare tutto ciò che esso comprende.
Il Rannorto redatto nel 1977
al termine di 4 anni di dialogo
ufficiale patrocinato dall’AHeanza
riformata mondiale e dall’Alleanza battista mondiale parla della
« scoperta » fatta da riformati e
battisti nel corso delle loro conversazioni di essere « unanimi su
tanti aspetti fondamentali della
fede cristiana e della risposta
all’Evangelo nella testimonianza e nel servizio » {Enchiridion Oecumenicum, I, a cura
di S. J. Voicu e G. Cereri, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1986, n.
595). Così è infatti.
Condividiamo l’intero patrimonio della fede cristiana, che si
trova attestata in maniera normativa nei libri dell’Antico e del
Nuovo Testamento. Le confessioni della chiesa antica le rendono autorevole testimonianza e sono state attraverso i secoli fino
a oggi un importante vincolo di
comunione tra i cristiani.
Condividiamo la sostanza del
patrimonio della Riforma del
XVI secolo, in particolare nella
sua versione e linea ’’riformata".
Questo significa che abbiamo la
stessa comprensione del cristianesimo, della salvezza per sola
grazia e della sua appropriazione mediante la fede, della centralità della parola evangelica nella
quale ogni cosa ci è offerta e donata gratuitamente; dei due grandi segni e suggelli dell’opera di
Dio nella vita della chiesa: il battesimo e la Cena; della vita cristiana nella libertà e nell’amore;
della chiesa come fraternità cristocentrica, suscitata e animata
dallo Spirito mediante la Parola
della grazia, fornita di carismi e
servita da ministeri; della vocazione cristiana alla missione, cioè
a comunicare l’Evangelo ad ogni
creatura con la parola e la vita,
confessando Gesù Cristo come liberazione, speranza e salvezza del
mondo e testimoniando del Regno di Dio « vicino » (Marco 1 :
15) che ci mobilita a lavorare per
un mondo giusto, pacifico, libero
e fraterno.
Condividiamo infine l’esigenza
e la visione ecumenica della chiesa, partecipando insieme al movimento ecumenico, alle iniziative del Consiglio ecumenico delle chiese, in particolare — in questo tempo — al programma « Giustizia, pace, integrità del creato ».
Ma siamo uniti non soltanto —
assai più di quanto immaginiamo
— da ciò che già ora condividiamo e abbiamo in comune. Siamo
uniti anche dalla promessa delle
« cose maggiori » (Giovanni 14:
UN SOLO SIGNORE,
Malgrado il patrimonio ricco di affinità finora le chiese battiate,
metodiste e valdesi non avevano potuto scrivere una «storia comune»
Il documento che presentiamo in queste due pagine è il testo del
« reciproco riconoscimento ». Ampiamente discusso, e in alcune parti emendato, è stato accolto dall*Assemblea/Sinodo con un ampio
consenso. Ciò significa che, pur nella provvisorietà e parzialità di
ogni dichiarazione, inserita, come questa, in un determinato tempo
e luogo, i membri dell*Assemblea/Sinodo Vhanno ritenuta una base
sufficiente per il lavoro com,une che le chiese vogliono intraprendere. E* ovvio che la questione teologica del battesimo non è qui risolta. Il «Quarto documento BMV» ne aveva messo in luce le diversità; il « Quinto documento BMV » prendeva atto delle divergenze. Uattuale documento non vuole ignorare il problema, ma esso non deve costituire un impedimento per lo svolgimento di una
comune missione: la predicazione dell*Evangelo, (red).
12) che Dio vuole compiere in
mezzo a noi: la promessa cioè
di una comunione più piena in vista di una testimonianza evangelica più autentica. Siamo insomma uniti anche da ciò che non
abbiamo ancora insieme, ma che
il Signore ha promesso.
Non saremmo davvero degli ingrati se, considerando tutto quello che Dio ci ha dato come patrimonio da condividere e quello
che ci ha promesso come progetto da costruire assieme, non
riuscissimo ad attuare tra le nostre chiese delle forme di ’’unità
nella diversità” più coraggiose e
più coinvolgenti di quelle realizzate (o non realizzate!) finora?
Le differenze
sul battesimo
3. Malgrado il ricco patrimonio comune c’è tra noi — come già
s’è detto — diversità di vedute
e disaccordo più o meno grande
(dato che non è avvertito o vissuto da tutti con uguale intensità) su due questioni particolari:
il battesimo dei bambini e la costituzione sinodale della chiesa. Si
può presumere che anche altre
questioni siano oggi controverse
nelle nostre chiese e tra di loro.
Mia le due ora menzionate sono, come si dice, ’’classiche", hanno accompagnato fin dalla prima ora
la storia dei rapporti tra battisti
e riformati, fanno parte del nostro contenzioso tradizionale.
Anzi, il rifiuto del battesimo dei
bambini e il principio congregazionalista sono stati e restano oggi ancora elementi caratteristici,
tratti tipici (anche se non esclusivi) del cristianesimo battista e
inversamente la pratica del battesimo dei bambini è abbastanza
consueta nel mondo valdese e metodista (anche se non è generale)
e l’esperienza sinodale è certamente costitutiva del modo riformato di essere chiesa e di vivere
la chiesa.
Delle due questioni che fino a
oggi ci hanno impedito di vivere
in piena comunione ecclesiale,
quella più spinosa è certamente
il battesimo dei bambini. Ci dobbiamo chiedere: è possibile, per
le nostre chiese, raggiungere su
questo punto un accordo non tattico o diplomatico ma di fondo e
di sostanza, « in spirito e verità »,
cioè nell’esercizio della fede evangelica comune, nella responsabilità condivisa di ubbidienza alla
Parola di Dio e nella lealtà senza
riserve o sottintesi che deve in
ogni caso caratterizzare i nostri
reciproci rapporti? Un accordo
che non significhi la capitolazione degli uni rispetto agli altri e
che d’altra parte, valorizzando
1’« essenziale evangelico » di ciascuna posizione, quindi senza ledere o coartare la coscienza di alcuno, consenta di istituire tra le
nostre chiese e i loro membri pie
ombre né riserve? Perché questo
possa accadere, la condizione necessaria e sufficiente per quanto
concerne la questione battesimale
è che vi sia tra noi accordo sui
seguenti pimti.
3.1. Il battesimo fa parte integrante della rivelazione cristiana, essendo direttamente collegato sia con la storia di Gesù e gli
inizi del suo ministero pubblico,
sia con la sua morte e risurrezione, che costituiscono il centro
stesso della rivelazione, sia infine
il battesimo d’acqua e quello di
d’acqua, perciò, può essere sia
suggello sia invocazione del battesimo di Spirito, può avvenire in
risposta e in vista del battesimo
di Spirito; è un atto personale e
comunitario di grande valore. « È
la porta che conduce alla casa del
tesoro di tutti i doni dello Spirito
preparati per il popolo di Dio »;
ma è « anche l'atto di passare attraverso questa porta... » (Rapporto battista-riformato 1977, cit.,
20.3 - Ench. Oec., I, 630).
Un battesimo di credenti adulti e per immersione.
Questa forma mantiene la ricca simbologia del battesimo evangelico: il « sì » della fede, la morte e resurrezione con Cristo.
na comunione ecclesiede, senza
con l’effusione dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste.
3.2. E’ dunque perfettamente
comprensibile che nella prima
comunità cristiana costituitasi il
giorno di Pentecoste « ciascuno »
sia stato « battezzato nel nome di
Gesù Cristo per il perdono dei
peccati » e in vista del « dono
dello Spirito Santo » (Atti 2: 38).
Il battesimo sta tra il ravvedimento e il discepolato. Esso segnala, accompagna e suggella la
conversione o il suo inizio. Annuncia la « nuova creatura » che
siamo in Cristo, nel quale « le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove » (2 Corinzi
5: 17).
3.3. E’ significativo che « nel
Nuovo Testamento il battesimo
non è presentato come segno "nudo” o semplice, come un segno
meraviglioso ed espressivo e null'altro, ma è intimamente legato
a delle realtà quali il perdono dei
peccati, l'unione con Cristo e la
ricezione dello Spirito (cfr. Atti
2: 38; 19: 2; 22: 16; Colossesi 2:
12; Romani 6: 1-11). Il segno non
dev'essere separato da ciò che significa » (Rapporto battista-riformato 1977, cit., 19.2 - Enchiridion Oecumenicum, I, 629).
3.4. 11 battesimo cristiano è
d’acqua e di Spirito. Il battesimo
d’acqua è azione umana, il battesimo di Spirito è azione divina.
Non sempre, nel libro degli Atti,
3.5. La forma normale e ordiSpirito coincidono. Il battesimo
naria del battesimo cristiano è
quella di persone adulte giimte
a una convinzione e confessione
di fede. Nel Nuovo Testamento
il battesimo di bambini, pur non
essendo esplicitamente escluso o
vietato, non è neppure chiaramente attestato. Comimque è solo in epoca subapostolica (il Periodo esatto è difficile da determinare) che il battesimo dei bambini si è progressivamente affermato fino a diventare la forma
consueta e generalizzata del battesimo, tranne che in situazione
di missione.
3.6. La Riforma del XVI secolo ha profondamente modificato
e rinnovato biblicamente la teologia del battesimo, non però
la prassi battesimale del battesimo dei bambini, che anzi
ha difeso e mantenuto, in
aperta polemica con le posizioni
e la critica anabattista. L’anabattismo, da parte sua (come pure
più tardi il battismo), considerò
il battesimo dei bambini, anche
dopo la sua rifondazione teologica da parte dei Riformatori, come cristianamente illegittimo,
come un non-battesimo.
3.7. Le chiese valdesi e metoy
diste sono oggi in grado — più di
quanto non lo fossero i Riformatori nella loro particolare situazione storica ed ecclesiale — di
apprezzare il valore della critica
anabattista (e successivamente
5
16 novembre 1990
assemblea battista e sinodo valdese-metodista 5
IL DOCUMENTO SUL RECIPROCO RICONOSCIMENTO
UNA SOLA FEDE
Ora esse si riconoscono chiese sorelle, e lo dichiarano pubblicamente: si tratta adesso di concertare insieme l’opera della missione
battista) al battesimo dei bambini, in particolare nel quadro della
cristianità ’’costantiniana”, e possono oggi meglio comprenderne
le ragioni evangeliche. Esse perciò accolgono con gioia e gratitudine la testimonianza delle chiese battiste in ordine al battesimo
dei credenti, e lo praticano da
tempo al loro interno, benché
non in maniera esclusiva. Esse
non ritengono però che il battesimo dei bambini, praticato nel
contesto di una famiglia credente
e di una comunità confessante,
sia un atto di infedeltà alla parola di Dio o un atto arbitrario della chiesa compiuto fuori dalla
volontà di Dio per essa.
3.8. Le chiese battiste condividono oggi con le chiese valdesi
e metodiste alcune delle affermazioni teologiche che accompagnano il battesimo dei bambini (ad
esempio l’insistenza sulla priorità
della grazia di Dio nel battesimo).
Non per questo però si sentono
autorizzate a riconoscere la legittimità cristiana della prassi
del battesimo dei bambini. Esse
lasciano alle chiese valdesi e metodiste questa responsabilità. Qui
c’è una differenza tutt’altro che
irrilevante, che è oggi la maggiore tra le nostre chiese: su di essa il dialogo e il confronto tra
valdesi, battisti e metodisti dovranno continuare perché la questione non è né risolta, né accantonata. Ma malgrado la sua serietà e il suo peso, non è una
differenza che impedisca la piena
comunione tra le nostre chiese.
Questo essenzialmente per due
motivi, presentati nei due punti
successivi.
Le convergenze
sul battesimo
3.9. Il primo motivo per cui
le nostre diverse prassi battesimali non impediscono la piena
comunione ecclesiale è che pur
adottando forme battesimali diverse c’è tra noi una base teologica largamente comune. Condividiamo infatti tutto quello che
la Scrittura dice del battesimo,
senza aggiungere o togliere nulla
— questo almeno è il nostro intento sincero. In F*articolare concordiamo sulla stretta correlazione tra battesimo e confessione
di fede e sul fatto che « in merito al battesimo non esiste una
fede vicaria » (Rapporto battistariformato 1977, cit., 26.9 - Ench.
Oec., I, 636). E’ senz’altro vero, e
non va taciuto, che dietro le diverse prassi battesimali ci sono
diversi modi di intendere talimi
aspetti costitutivi del battesimo,
in particolare il rapporto tra predicazione dell’Evangelo, catechesi
battesimale, battesimo e confessione personale della fede. Ma è
anche vero che nelle prassi battesimali diverse ci sono elementi comuni che ricevono nell’una o nell’altra particolare accentuazione.
Nel battesimo dei credenti per
immersione vengono accentuati,
oltre al primato della grazia, la
comunione con la morte e la resurrezione del Signore, nella fede,
la decisione personale di rispondere alla chiamata di Dio confessando la fede in lui e iniziando un cammino di conversione.
Nel battesimo dei fanciulli per
aspersione si accentuano il primato della grazia, cioè dell’opera
salvifica di Cristo perfettamente
compiuta e offerta a ciascuno, il
valore del patto di Dio nel anale si iscrive la storia della fede
di più generazioni e infine la responsabilità della famiglia e della
chiesa nei confronti della creatura battezzata. Così le chiese battiste che non condividono la prassi del battesimo dei bambini possono far propri taluni dei pensie
ri che la ispirano, mentre anche
quelle chiese valdesi e metodiste
nelle quali solo raramente vengono celebrati battesimi di credenti
per immersione possono apprezzarne sia le motivazioni teologiche, sia la ricca simbologia.
3.10. Il secondo motivo per
cui le nostre diverse prassi battesimali non impediscono tra noi
la piena comunione ecclesiale è
che nel Nuovo Testamento viene
dato più rilievo ai frutti del battesimo che alla sua forma. Le nostre chiese sanno, con l’apostolo
Paolo, che « tanto la circoncisione che Vincirconcisione non sono
nulla; quello che importa è essere
una nuova creatura » (Calati 6:
15). L’albero — anche quello del
battesimo — si riconosce dai
frutti. Perciò là dove, indipendentemente dalla forma e dal
tempo in cui il battesimo è stato
celebrato, si riscontra in chi l’ha
ricevuto la realtà dei suoi frutti,
per cui grazie all’azione dello Spirito la sostanza del battesimo è
Cristo, del suo corpo, della sua
comunità.
E' un’operazione — si badi —
temeraria e non priva di rischi.
Infatti, chi siamo noi per distribuire ad altri e a noi stessi, forse molto a buon mercato, patenti di cristianesimo e di evangelicità? Chi ci autorizza ad autoproclamarci ed autopromuoverci « cristiani », sia pure per
interposta chiesa o persona? Non
è forse Dio l’unico che conosce
i segreti dei cuori ed è quindi
in grado — lui solo — di dire
chi è cristiano e chi non lo è,
con tutte le sorprese del caso
(Matteo 25: 31-46!) e indicare, al
di là delle buone intenzioni e
delle pie convinzioni, dove c’è
la realtà della chiesa e dove, invece, c’è solo la sua apparenza?
Non è forse Gesù Cristo stesso
colui che — solo — ha il diritto
di « riconoscere » davanti al Padre (Matteo 10: 32-33), fra tutti
quelli che « dicono: Signore, Signore » (Matteo 7: 2\), i suoi.
La comunità battista di Catania, raccolta per il culto domenicale.
Anche l'ascolto della Parola è frutto dello Spirito Santo.
presente in quella persona, ed è
quindi avvenuta « una [sua] reale incorporazione nella chiesa di
Cristo nel pieno significato neotestamentario della parola "membro" » (Rapporto battista-riformato 1977, cit. 27.10 - Ench. Oec.,
I, 637), in tal caso le chiese battiste sono dispvoste a riconoscerla a pieno titolo come fratello o
sorella cristiana accogliendola
a tutti gli effetti nella loro comunità. Lo stesso criterio vale per
le chiese valdesi e metodiste nei
confronti dei credenti battisti. È
anzitutto e principalmente in
questo che consiste il « reciproco riconoscimento » che, a
partire da questa Assemblea/Sinodo, le chiese valdesi, battiste e
metodiste intendono attuare tra
loro.
Riconoscimento come
atto di ubbidienza
4. Che cosa significa riconoscersi reciprocamente come chiese e come membri di chiesa?
Lo illustra aippiamente il già citato « Quinto Documento BMV »,
specialmente àlle pagine 15-19. Il
« reciproco riconoscimento » è
un atto meditato e motivato, solenne e impegnativo, mediante il
quale chiese diverse si riconoscono come chiese sorelle, lo dichiarano pubblicamente e ne
traggono tutte le conseguenze.
Riconoscersi come chiese sorelle significa che chiese diverse riconoscono che esiste tra loro un
grado e una qualità di comunione sufficienti per consentire di
rispecchiarsi l’una nell’altra, non
però per ritrovare, nell’altra, la
propria immagine ma quella di
cioè quelli che davvero non si
sono vergognati di lui (Marco
8: 38) e lo hanno « riconosciuto »
e confessato davanti agli uomini? Il nome e la qualifica di « cristiani » non sono forse del tutto immeritati, per cui possiamo
riceverli da Dio soltanto, come
atto della sua benevolenza?
Operazione temeraria per i
motivi ora detti, è però xm’operazione necessaria, se vogliamo
realmente avvicinarci gli uni agli
altri e scoprire quante cose grandi il Signore ha fatto e quanti
doni ha distribuito anche fuori
dai nostri piccoli cortili denominazionali. Questa operazione
ha già avuto luogo più volte in
questi ultimi decenni, specialmente nell’ambito della cristianità evangelica: chiese e confessioni diverse hanno attuato tra
loro il « reciproco riconoscimento » nel senso detto sopra. Ricordiamo in particolare la Concordia di Leuenberg tra chiese
riformate, luterane e unite d’Europa (1973) e il progetto unitario Churches in Covenant Communion (1988), non ancora concluso ma già positivamente avviato tra nove chiese americane
di tradizione e confessione metodista, presbiteriana ed episcopale.
Sul piano dei contenuti, il riconoscimento reciproco è un atto di fede e di discernimento.
E' un atto di fede nel senso
dell’affermazione del Simbolo
(detto) Apostolico: « Credo... la
chiesa... » Noi crediamo la chiesa nel senso che la consideriamo non in se stessa ma in Cristo: la vediamo divisa ma la
crediamo unita, vediamo i suoi
peccati ma crediamo il suo perdono, vediamo la sua miseria ma
In questa antica
incisione della
Pentecoste si noti
il particolare
delle lingue di fuoco
che escono dalla
bocca dei discepoli:
la potenza dello
Spirito
rende possibile
la predicazione.
crediamo il suo riscatto. Il « riconoscimento reciproco » non
può avvenire se non sulla base
di questo « essere in Cristo » della chiesa: fuori di Cristo la chiesa è irriconoscibile!
Il riconoscimento reciproco è
poi im atto di discernimento,
mediante il quale ima chiesa
scorge nell’altra i tratti distintivi essenziali di una comunità
cristiana (le notae ecclesiae, si
diceva un tempo). Quali sono
questi « tratti distintivi essenziali »? Per la fede evangelica essi
sono: il messaggio cristiano (o
« evangelo ») secondo la norma
biblica, il battesimo e la Cena
secondo l’istituzione neotestamentaria, la vita comunitaria secondo il principio della fraternità, reciprocità, corresponsabilità e collegialità, la ricerca quotidiana della « vita nuova » secondo la parola di Dio, che ha
nel comandamento dell'amore la
sua espressione suprema e riassuntiva. Questo significa che per
poter attuare tra loro il « reciproco riconoscimento » due chiese devono avere una comune confessione della fede, quindi una
comune comprensione delTevangelo; una comune comprensione
del battesimo e della Cena (anche se possono variare le forme
della loro celebrazione); ima comime comprensione dell’articolazione e funzione dei ministeri
nella chiesa; e infine una comune comprensione delle linee fondamentali della vita e testimonianza cristiana nel mondo d’oggi
Con gratitudine a Dio jxrssiamo oggi dichiarare che esiste tra
noi un grado sufficiente di comunione e condivisione nel modo di comprendere e vivere tutte queste realtà, come appare
dai punti 1, 2 e 3 di questo documento.
Perciò ci riconosciamo reciprocamente manifestando la nostra
realtà di chiese come pratica di
fraternità e condivisione in Cristo.
Questo reciproco riconoscimen
to, per quanto positivo e rallegrante, non è però fine a se stesso. Le nostre chiese entrano in
una più stretta comunione e si
danno « la mano d’associazione »
come un tempo se la scambiarono a Gerusalemme gli apostoli Giacomo, Pietro, Giovanni,
Barnaba e Paolo (Galati 2: 9),
non per compiacersi delle convergenze raggiunte ma per concertare insieme l’opera della
missione. La ragione del nostro
incontro come chiese, e del nostro voler vivere e crescere insieme, è l'evangelizzazione. E’
importante riconoscersi reciprocamente, se contribuisce a una
testimonianza comune più incisiva e più autentica, a una ripresa corale dell’iniziativa evangelistica, a un rinnovamento
complessivo della nostra vita come singoli e come chiese.
Conclusione. Il nostro proposito è di fare un atto di ubbidienza — per quanto modesto —
a una grande parola evangelica: «V’è un solo Signore, una
sola fede, un solo battesimo, un
Dio unico e Padre di tutti, che
è sopra tutti, fra tutti e in tutti » (Efesini 4: 5-6), ponendo così un piccolo segno di unità nel
mondo evangelico italiano ancora troppo frazionato.
L’unità cristiana e, al suo interno, l’unità evangelica non sono un optional. Là dove una separazione tra le chiese viene
mantenuta anche quando npu è
imposta dalla fede, diventa colpevole, sia j>erché contraddice
l’unicità del Signore e l’unità
della fede, sia perché indebolisce la testimonianza comune,
frammentandola.
Abbiamo molto cammino da
percorrere, e « il tempo stringe »
(I Giovanni 2: 18). Abbiamo
molte cose da ricevere, dare e
imparare gli uni dagli altri. Abbiamo soprattutto un grande
compito comune da svolgere in
questo paese.
Il Signore ci chiede di svolgerlo insieme.
L'ORDINE DEL GIORNO APPROVATO
La chiamata comune
L'Assemblea e II Sinodo,
a conclusione della discussione sul tema del reciproco riconoscimento
ricevono e fanno proprio
il documento sul « Reciproco riconoscimento fra chiese battiste, metodiste e
valdesi in Italia », presentato da apposita commissione, che viene perciò
a costituire parte integrante del presente atto;
affermano con gioia
che le chiese battiste e quelle metodiste e valdesi si riconoscono reciprocamente quali chiese di Gesù Cristo
sulla base di una comune comprensione dell'Evangelo, una comune vocazione di testimonianza e di servizio nel
nostro Paese e una condivisione delle
posizioni di fede espresse nel documento predetto;
in conseguenza invitano;
— le chiese battiste a ricevere a
pieno titolo fra i loro membri i metodisti e i valdesi e le chiese metodiste e valdesi i battisti, ciascuno conservando la propria qualifica denominazionale, sulla base della comune professione di fede evangelica;
— le chiese battiste ad accogliere
il servizio di fratelli e sorelle pastori,
predicatori e diaconi metodisti o vaidesi e le chiese metodiste e valdesi
quello di fratelli e sorelle pastori, predicatori e operatori diaconali battisti
sulla base di una comune concezione
dei ministeri nella chiesa;
rivolgono appello
alle chiese battiste, metodiste e valdesi
a percorrere questo cammino con coerenza e spirito di gratitudine al Signore che ci ha condotti fin qui.
6
6 assemblea battista e sinodo valdese-metodista
16 novembre 1990
DALL’AUTUNNO ’91 I 500 ANNI DALLA SCOPERTA DELL’AMERICA
Un settimanale
Conquista o
per i protestanti italiani accoglienza?
Uno specchio della realtà delle chiese, in cui possa riconoscersi
ogni membro di chiesa - L’importanza di avere una redazione al Sud
Mobilitazione delle chiese contro una concezione celebrativa che ignora il grave eccidio
La discussione nel gruppo di lavoro sulla stampa.
Toccherà ad una commissione,
che sarà nominata dagli « esecutivi » battisti, metodisti e valdesi,
■dare un nome alla nuova testata
giornalistica che sarà edita dalTautunnno '91 e che supererà l’attuale « La Luce » ( dei valdesi e
metodisti) e «Il Testimonio» (dei
battisti). La stessa commissione
dovrà occuparsi della proposta
organizzativa editoriale, della
struttura redazionale e della grafica. Il settimanale comune avrà
una redazione articolata in due
sedi; Torino e Napoli, quest’ultima a significare che per le chiese
l’esperienza di testimonianza e di
evangelizzazione che si fa nel Sud
è quanto mai importante.
L'Eco delle valli valdesi continuerà le pubblicazioni come
« segmento autonomo » del settimanale comune. Sarà cioè una testata che accompagnerà — in modi tutti da definire — il nuovo
settimanale.
Questa l’importante decisione
che TAssemblea/Sinodo ha preso
quasi alTimanimità dopo ima discussione appassionata svoltasi in
un gruppo di lavoro.
Nella discussione del gruppo si
è raggiimto un consenso generale
sul fatto che il settimanale dovesse essere rivolto verso il « medio
membro di chiesa », ed essere
uno specchio della realtà delle
chiese in cui ciascimo possa ritrovarsi. Un settimanale attento
all’attualità (ma senza velleità di
essere un settimanale d’attualità),
un prodotto protestante e quindi
con pagine di informazione e formazione biblica. Insomma si vuole un prodotto per l’interno, che
possa essere anche presentato
agli amici, ai simpatizzanti.
Qualche problema ha suscitato
nel gruppo di lavoro la permanenza dell’Eco delle valli valdesi.
Chi lo paga? Solo gli abbonati
che lo vogliono con una quota aggiuntiva? Qppure tutti gli abbonati? Tutti sono d’accordo però che
LA DECISIONE SULLA STAMPA
Dall’autunno ’91 un
settimanale comune
L’Assemblea e il Sinodo, nella loro
sessione congiunta,
considerano l'edizione del settimanale
comune elemento di fondamentale importanza nel cammino unitario di testimonianza di battisti, metodisti e vaidesi nel nostro paese, coerente con
il riconoscimento reciproco espresso.
Indicano nei membri di chiesa battisti, metodisti e valdesi i destinatari
principali, ma non esclusivi, della nuova pubblicazione, la quale dovrà:
— essere strumento di raccordo e di
informazione sulla vita delle comunità;
— riflettere la realtà evangelica italiana ed internazionale;
— testimoniare in modo attento e partecipe di fermenti ecumenici e degli sviluppi culturali del nostro tempo;
— dare ampio spazio alla riflessione
biblica;
— trattare argomenti vicini alla sensibilità e al vissuto quotidiano;
— prestare attenzione ai temi deil’attualità.
L'Assemblea ed il Sinodo in sessione
congiunta chiedono agli esecutivi di
nominare un gruppo di lavoro con il
compito di predisporre, in stretto accordo con gli esecutivi stessi, un progetto organico che permetta la realizzazione del settimanale entro l'autunno del 1991.
Sarà compito di questo gruppo di lavoro definire, nel quadro delle richieste espresse dall'Assemblea e dal Sinodo congiunti e di concerto con gli
esecutivi delle chiese;
— il titolo;
— i criteri di gestione;
— la composizione equilibrata della
struttura redazionale e di quella
editoriale;
— le tecnologie da adottare;
— gii opportuni accorgimenti per il
lancio e la diffusione.
La struttura organizzativa prevederà
una redazione articolata in due sedi,
una a Torino e una a Napoii, con redattori in sede e collaboratori qualificati dislocati sul territorio nazionale.
Il nuovo settimanale dovrà prevedere la periodica pubblicazione del notiziario FGEI, sotto forma di inserto,
e dovrà assicurare una effettiva presenza nelle valli valdesi, differenziando le pagine ad esse destinate, con
la continuazione della testata « L’ECO
DELLE VALLI VALDESI », come segmento autonomo di un unico progetto.
Dopo alcuni mesi di attività gli esecutivi convocheranno un convegno per
valutare, sulla scorta delle indicazioni pervenute dalle chiese, la prima fase di realizzazione e l'impatto della
pubblicazione al fine di garantire un
appoggio proporzionato alle reali necessità.
deve rimanere perché le Valli vaidesi sono l’unico luogo in Italia
in cui i protestanti sono una minoranza significativa sociologicamente.
Nella discussione plenaria invece la discussione si è centrata
sul problema della seconda redazione al sud. Le chiese in questi
anni si sono sviluppate soprattutto nel mezzogiorno. Hanno elaborato modelli di evangelizzazione, di testimonianza, di azione sociale che devono essere conosciuti da tutti. Ecco l’importanza
della seconda redazione. « Nel
mezzogiorno si gioca una grossa
partita evangelistica — ha afferrnato Giorgio Bouchard — e il
giornale può essere uno strumento prezioso ». « Non chiediamo
una decisione in stile Cassa del
Mezzogiorno, ma un investimento
là dove vive una parte consistente
dell’evangelismo italiano » ha aggiunto Piero Trotta. E TAssemblea/Sinodo alla fine ha deciso.
G. G.
Nel 1992 si celebrerà il 5“ centenario della scoperta dell’America. In Italia le celebrazioni, che
vanno sotto il nome di « Colombiadi » (da Cristoforo Colombo),
verteranno più sull’aspetto della
conquista del « nuovo mondo »
che su quello della « scoperta ».
Contro questa impostazione, che
è diffusa anche in USA, molte
chiese si stanno mobilitando perché la riflessione storica sia critica e non celebrativa, perché i
cristiani confessino le proprie responsabilità storiche nell’eccidio
di 8 milioni di persone commesso per quella conquista. Proposto da un gruppo di deputati
e pastori per lo più appartenenti alle chiese liguri, l’Assemblea/
Sinodo ha approvato a maggioranza il seguente ordine del giorno:
L’Assemblea e il Sinodo invitano le
chiese membro a porre la loro attenzione sulla « celebrazione » del V centenario della « conquista » deH’America, nel 1492, esaminandola nell’ottica
dei rapporti Sud-Nord del mondo, della colonizzazione, della cristianizzazione di un continente che si è accompagnata, a quell’epoca, allo sterminio
di otto milioni di donne, uomini e
bambini.
Le conseguenze di tale conquista si
manifestano, oggi, come prosecuzione
degli squilibri prodotti da quel primo
contatto, fra culture e popoli, che è
avvenuto sul piano dei rapporti di forza e non di reciproco arricchimento.
Deve farci riflettere, inoltre, il grave debito estero dei paesi del Sud
in quanto esso pesa gravemente sulla
qualità di vita e sullo sviluppo di quelle popolazioni.
Tale esame, condotto dentro e fuori deH'ambito BMV, dovrebbe portare
a contrapporre all’idea della « conquista di un mondo nuovo » l’atteggiamento dell’« accoglienza del nuovo mondo » costruito da Dio.
Conseguente a questa posizione è il
prodigarsi anche per la costruzione di
un nuovo ordine sociale e economico
nel mondo, nonché il favorire il rispetto e l’amore per la vita di tutti.
DEPUTATI LAICI DELLE VALLI
E’ necessario
un risveglio spirituale
Pressoché unanime l’atteggiamento dei deputati delle Valli di fronte
a nuove aperture - « Dobbiamo imparare dalla voglia di fare del Sud »
Che effetto fa un Sinodo svolto
per la prima volta, almeno a memoria delle generazioni attuali,
fuori della sede « istituzionalizzata » di Torre Pellice? E che effetto fa un Sinodo non « sovrano »
ma condizionato da im elemento
esterno quale era fino a ieri l’Assemblea battista? L’abbiamo chiesto ad alcuni deputati delle chiese valdesi delle Valli, confluiti a
Roma per TAssemblea/Sinodo ’90
dal 1“ al 4 novembre.
« Si tratta sicuramente di una
esperienza positiva, forse avevamo bisogno anche di respirare
un’aria diversa, di vedere le stesse cose sotto una diversa angolatura — afferma Luciano Ribet, di
Pomaretto —; abbiamo vissuto
una vera prova di apertura, abbiamo notato la nostra staticità
nel toccare con mano gli impulsi costruttivi di altre realtà. Dovremo certo molto imparare dai
fratelli battisti, dal loro modo
dinamico di vivere l’evangelizzazione che è per loro prioritaria,
dalla loro sete di "risveglio" ».
Sostanzialmente simile la reazione degli altri deputati dei
« valdesi DOC ». Le diversità teologiche, prima fra tutte ovviamente il battesimo, non paiono
essere di alcun ostacolo, spesso
vengono sorvolate come marginali, così come nessuno intravede una qualche forma di perdita
di identità. « Questo atto di riconoscimento reciproco non pone in
discussione proprio nulla — sostiene Daniela Boldrin, di Luserna S. Giovenni — e non si pone in
opti caso nei termini di alcun
tipo di iniziativa comune, anche
sicuramente appoggiare qualsiasi
tipo di iniziativa comune anche
se per noi alle Valli questa non è
che una dichiarazione di intenti
perché non abbiamo battisti fra
noi ». Ma non è necessario andare molto lontano per avere contatti con comunità battiste; lo
ricorda il deputato di Bobbio, Andrea Molli; « Già l’anno scorso
Per
i rappresentanti delle Valli valdesi l’esperienza dell’Assemblea/
Sinodo può essere un trampolino di lancio.
abbiamo avuto alcuni incontri in
comune a Busca (convegni culturali storici nell’area del Saluzzese, n.d.r.) e parlando di collaborazione territoriale vediamo davanti a noi molte strade aperte,
molti punti di intervento comune; un cammino giusto che d’altronde è nella linea delle chiese
riformate, basato cioè su un’unità formata dal consenso, sia pur
fatte salve le differenze, che
non sono fondamentali ».
La chiesa di Angrogna ha inviato a Roma Marina Bertin che ha
alle spalle, attraverso il suo impegno nella FDEI, l’esperienza di
un lavoro svolto in comune con
le sorelle battiste e metodiste.
« Qui non si pone in discussione
alcun tipo di integrazione — dice — ma si vuole individuare una
linea comune di intervento sui
grandi temi. Il riconoscimento reciproco è ormai acquisito sulla
carta, siamo noi a dover lavorare
perché divenga costruttivo e sia
l’espressione di un nuovo impe
gno verso il fuori, verso l’esterno,
un cammino che rimane quello di
una minoranza ma, da oggi, una
minoranza numericamente e qualitativamente più forte ».
Secondo Valdo Plavan, che arriva da Prarostino, le comunità
delle Valli tendono a stabilizzarsi
e a rifugiarsi in una sorta di limbo, facendo della delega un uso
di comodo: « Dobbiamo importare nel Nord — propone — la voglia di fare del Sud. E quando dico Sud penso alle reali difficoltà
di una società che si dibatte in
gravi crisi, anche economiche, e
che pure riesce a "produrre" di
più sul piano spirituale. Un risveglio è necessario, soprattutto
alle Valli: oggi ne abbiamo messo
le basi, starà a noi assumerci un
impegno vero anche verso quello
che per noi è "l’esterno’, cioè una
realtà poco nota di un mondo
evangelico che abbia veramente
un carattere nazionale e non settoriale ».
Stello Armand-Hugon
7
16 novembre 1990
assemblea battista e sinodo valdese-metodista 7
EVANGELIZZAZIONE
Il tempo strìnge
L’annuncio evangelico come azione tesa alla liberazione della singola persona e di tutta la comunità umana - Strutture e prospettive
Come tutte le chiese cristiane
anche le chiese battiste, metodiste
e valdesi in Italia evangelizzano,
annunciano cioè la « buona notizia » dell’Evangelo alle persone
con cui vengono in contatto. E’
una delle caratteristiche costitutive delle chiese. L’Evangelo non
può essere tenuto per sé, ma deve
essere condiviso, proposto agli altri.
Oggi l’azione evangelizzatrice è
oggetto di un dibattito all’interno
delle chiese protestanti. Le conferenze missionarie sono divise non
tanto su cosa, su chi annunciare,
ma sulle conseguenze etiche e su
la forma dell’annuncio dell’Evangelo. Alla conferenza missionaria
di Melbourne (1980) Emilio Castro ha così definito l’evangelizzazione: « Abbiamo ¡’obbligo di far
conoscere la fede cristiana a tutti.
Ma questa non è un prodotto che
si può diffondere come la cocacola. La fede cristiana passa per
il cammino della croce verso il Regno. Il solo modo di presentare
VEvangelo è quello di andare in
mezzo alla gente e vivere con loro... L’evangelizzazione — l’annuncio della buona notizia di Dio
per mezzo di Gesù Cristo — non
si fa fuori della storia, ma in mezzo alla storia ».
E’ questo un modo di evange
ll moderatore Giampiccoli interviene nel gruppo dì lavoro dedicato
alla collaborazione territoriale.
¡t\ % *
Il post. Sanfilippo, 87 anni, è intervenuto all’Assemblea/Sinodo.
lizzare, molto attento al contesto
socio-culturale in cui si inserisce
l’azione delle chiese, che è proprio di molte esperienze di battisti, metodisti e valdesi. Basti pensare, ad esempio, all’azione evangelizzatrice operata dai battisti a
Senerchia, dove non solo è nata
una comunità evangelica, ma dove il pastore è anche entrato nell’amministrazione comunale, o alla riflessione, in ambito metodista
e valdese, sulla diaconia della
chiesa e sul suo rapporto con l’evangelizzazione.
Per alcuni questo tipo di evangelizzazione è •« implicita », una
forma che bisognerebbe abbandonare per accoglierne una « esplicita», che chiede cioè all’interlocutore una decisione, l’invito a seguire
Gesù. Per costoro, presenti in
buon numero anche nelle nostre
chiese, l’azione evangelizzatrice è
un’azione di diffusione e di trasmissione del messaggio evangelico che si attua con la diffusione
della Bibbia innanzitutto e, poi,
della letteratura cristiana, che fa
largo uso di mezzi di comunicazione di massa e che si attua attraverso « campagne evangelistiche ».
Nella linea del Risveglio evangelico del secolo scorso, questo stile
di evangelizzazione è molto centrato sull’individuo e sul suo rapporto con Dio. L’evangelizzazione
di questo tipo sottolinea la necessità della conversione e del rinnovamento della vita personale che
questa comporta.
L'ORDINE DEL GIORNO
Priorità e urgenza
L'Assemblea e il Sinodo affermano
che:
Gesù Cristo è la decisione di Dio
a favore della salvezza delle donne
e degli uomini. La chiesa cristiana, comunità dei credenti in Cristo, riceve
con gioia l'annuncio di questa iniziativa divina e si sente chiamata a testimoniare e raccontare la vicenda della grazia in modo che Cristo sia rappresentato al vivo (Calati 3: 1).
Questo racconto ha tra i suoi elementi costitutivi l'appello al ravvedimento, alia conversione e al discepolato personali.
Esso deve poter provocare in chi
ne è raggiunto la domanda: « Che cosa devo/dobbiamo fare? » (Atti 16: 30).
L'unica risposta è: credi in Gesù Cristo e sarai salvato.
Vivendo di questo annuncio la chiesa è coinvolta dallo Spirito nell'opera
del suo Signore.
Nel tentativo di essere fedeli a questo mandato, l’Assemblea e il Sino<h>. nella loro seduta congiunta, ribadiscono:
1) la priorità e l'urgenza dell'azione
Vi è poi un terzo stile di evangelizzazione, proprio di numerose
chiese locali che, in maniera molto diversificata, cercano di testimoniare la loro speranza cristiana
nel quartiere o nella città dove
vivono. Azione diaconale, manifestazioni culturali, conferenze, feste, raduni, relazioni interpersonali sono l’ampio spettro di questa
evangelizzazione quotidiana. Tutti e tre questi stili d’evangelizzazione, qui forse eccessivamente
schematizzati, erano presenti nelle assise battiste, metodiste e vaidesi e non è sicuramente facile indicarne i confini nell’esperienza
dei fratelli e delle sorelle presenti.
Di una cosa però tutti sono convinti. Le forme possono essere diverse, ma il contenuto dell’evangelizzazione è l’annuncio della salvezza in Cristo, l’appello al ravvedimento, alla conversione e al
discepolato personale. C’è urgenza
e necessità di rinnovare spesso
quest’annuncio per fare sì che « ogni occasione nella nostra vita di
singoli e di chiese sia vissuta come
possibilità di comunicare ¡’Evangelo, per aiutare chi ci sta accanto
ad incontrare Cristo il vivente, per
consentire ad ognuno di scoprire la
fondamentale esperienza della pace nella libertà », come dice il documento introduttivo dell’Assemblea/Sinodo.
L’evangelizzazione non esclude
l’invito a « vivere il proprio discepolato cristiano assieme a noi ».
Cioè niente paura del proselitismo.
L’evangelizzazione ha un carattere profetico e si traduce in una
azione « tesa alla liberazione della
singola persona e di tutta la comunità umana ».
evangelistica, da parte dei singoli e
deile comunità (1* Corinzi 9: 16), in
vista del ravvedimento e della fede;
2) la legittimità dell'invito rivolto alle persone che hanno ricevuto la proclamazione delle grandi gesta di Dio
a vivere il proprio discepolato cristiano assieme a noi nella ricerca comune di una costante e crescente coerenza di fede e di vita;
3) il carattere profetico dell'evangelizzazione, che è essenzialmente una
azione tesa alla liberazione della singola persona e di tutta la comunità
umana.
L’Assemblea e il Sinodo nella loro
seduta congiunta, in vista di un'evangelizzazione comune che esprima l'azione profusa dalle chiese battiste, metodiste e valdesi nell'unità deH'amore,
della fiducia e della stima reciproca,
invitano il coordinamento interdistrettuale per l'evangelizzazione delle chiese metodiste e valdesi e il Dipartimento di evangelizzazione dell'llCESI a
ricercare un rapporto di collaborazione
in uno scambio di esperienze e di
persone.
COLLABORAZIONE TERRITORIALE
Nasce la rete
Dopo l’Assemblea/Sinodo battisti, metodisti e valdesi hanno
una rete di chiese e gruppi locali che copre tutta l’Italia. Si
riducono i chilometri che una
persona, battista, metodista o
valdese, deve fare per partecipare pienamente alla vita della sua
chiesa.
Succedeva in molti casi già
così. L’Assemblea/Sinodo non ha
fatto altro che prendere atto di
una prassi in corso. A Ferrara,
ad esempio, un valdese partecipava già alla vita della locale
chiesa battista. Così accadeva
che a Massello, nelle valli valdesi, i battisti che hanno una casa per i fine settimana partecipavano alla vita della chiesa
valdese.
Con l’atto del riconoscimento
reciproco (vedi a pag. 4 e 5) la
collaborazione sul piano territoriale ora può essere più intensa. Ci sarà da subito ima collaborazione sul piano delle attività (scuole domenicali, studi
biblici, evangelizzazione, attività
culturali, predicazione), i pastori e i consigli di chiesa si incontreranno regolarmente per
coordinare le loro attività e le
iniziative. Ciò vale soprattutto
per le grandi città, dove esistono più chiese di diversa denominazione. Potrà succedere, ad
esempio, che si organizzino le
zone per le riunioni di quartiere ed i battisti che sono inseriti in quel quartiere partecipino ad una riunione presieduta
o che si svolga in un luogo metodista o valdese, e viceversa.
Sul piano del dislocamento più
razionale delle forze pastorali
gli « esecutivi » si incontreranno per organizzare la cura delle diaspore in maniera congixmta. Ciò si potrà fare solo se ci
sarà pieno consenso delle chiese locali coinvolte.
Un po’ di tempo in più dovrà
essere impiegato perché si rag
giunga l’obiettivo, ad esempio,
che un valdese partecipi a pieno titolo al consiglio di chiesa battista, restando valdese, e
viceversa. Occorrono infatti aggiustamenti nei regolamenti delle chiese locali e nei rispettivi
ordinamenti.
Da subito invece sarà possibile l’inserimento di rappresentanze delle diverse denominazioni nelle commissioni e nei comitati delle varie organizzazioni delle chiese a livello nazionale.
La formazione dei pastori e
degli altri ministeri potrà essere fatta in comune, dopo che gli
esecutivi avranno fatto uno studio operativo in questo senso.
A livello regionale o circuitale si avranno iniziative comuni
per la formazione di predicatori
locali, per l’evangelizzazione, per
la diaconia, per l’animazione giovanile.
Insomma quasi all’unanimità
battisti, metodisti e valdesi hanno posto le premesse per la costruzione nel paese di una rete
protestante i cui punti di snodo
sono le comunità locali. Ogni
punto sarà in relazione con altri, direttamente o attraverso i
canali dell’organizzazione denominazionale. All’interno di ciascuna comunità ognuno sarà accolto con la propria identità.
Quella che è nata dall’Assemblea/Sinodo è una forma originale — che ovviamente andi^
sperimentata e verificata — di
collaborazione. La prassi battesimale potrà essere diversa, ma
ciò non potrà essere di ostacolo a che venga celebrata in diversa forma in una stessa chie
sa.
La rete è pronta. Il compito
delle chiese nei prossimi anni
è quello di elaborare programmi concreti perché questa possa operare concretamente.
G. G.
La decisione assunta
« E’ chiaro che per noi riformati
— ha detto in un applaudito intervento il past. Paolo Sbaffi ■— ciò
che ci sfida ad evangelizzare non
è il contesto storico in cui viviamo,
ma la Parola del Signore; noi evangelizziamo per l’amore di cui
ci ha amati il Signore e non per
paura della morte. Siamo consapevoli della vocazione che Dio ci ha
rivolto ».
Ed Elena Girolami ha ricordato
a tutti la necessità di parlare
meno delle forme dell’evangelizzazione e più delle esperienze fatte.
L’azione evangelizzatrice ha però bisogno di coordinamento, di
formazione, come ha ricordato il
past. Claudio Martelli, ed allora
l’Assemblea/Sinodo ha chiesto ai
due organismi che sono di supporto alle chiese, sia in ambito battista che in ambito metodista e valdese, di coordinarsi e di collaborare tra loro affinché siano conosciute le esperienze compiute e l’evangelizzazione sia fatta in comune.
Giorgio Gardiol
L'Assemblea e il Sinodo, nella loro
sessione congiunta,
esaminata e discussa la parte seconda del V documento BMV sulla
« collaborazione territoriale » e la sintesi ragionata delle risposte delle chiese al questionario relativo,
prendono atto che la collaborazione
territoriale si verifica già da tempo a
vari livelli, anche se spesso in maniera non continuativa e più legata alle
attitudini, alla buona volontà o ad esigenze contingenti di comunità, diaspore, singoli e pastori. Non si tratta quindi di una realtà sconosciuta, ma della
necessità di rendere più continuativa,
estesa, profonda, strutturata questa collaborazione;
rilevano che la forte istanza alla sperimentazione di forme nuove e più
avanzate di collaborazione da parte delle chiese locali, che è emersa dal dibattito, richiede una mentalità nuova,
estroversa e missionaria, e una più approfondita conoscenza di ciò che siamo e pensiamo oggi, della nostra teologia, storia, ordinamenti, prassi. Per
questo ritengono che si debbano estendere le occasioni di incontro e confronto a tutti i livelli possibili;
raccomandano:
— alle chiese locali battiste, metodiste e valdesi di ricercare, iniziare o
approfondire tutte le possibilità di collaborazione (scuola domenicale, studi
biblici, azioni diaconali, evangelizzazione, attività culturali, giovanili, femminili, predicazione, ecc.), promuovendo
l'incontro regolare dei pastori al servizio delle chiese viciniori e dei consigli di chiesa o concistori, mettendo
insieme attività comuni, coordinando e
informando sulle diverse iniziative;
— alle chiese battiste di riflettere sul
propri statuti o regolamenti locali affinché in essi si possa compì endere
la piena comunione e partecipazione di
membri metodisti e valdesi, consentendo loro di mantenere la propria
identità denominazionale, come già pre
visto in alcuni statuti e regolamenti
locali;
— alle chiese locali metodiste di riflettere sulla possibilità di prendere
l’iniziativa affinché il Sinodo inserisca
nel regolamento che le riguarda, accanto alla già prevista ricezione fra
i membri comunicanti di membri battisti, la conservazione della loro qualificazione denominazionale;
— alla commissione discipline delle
chiese metodiste e valdesi di:
a) predisporre uno studio sulla possibilità di conservare la propria identità denominazionale da parte di membri battisti accolti a pieno titolo all'interno delie chiese locali valdesi e metodiste;
b) predisporre uno studio sulia possibilità di inserire nel consiglio di circuito una rappresentanza deil’associazione regionaie delle chiese battiste;
— ai circuiti deile chiese metodiste e
valdesi e alle associazioni regionali
delle chiese battiste di promuovere attività comuni per la formazione dei
predicatori locali, di evangelizzazione,
di diaconia, di predicazione, di animazione giovanile, ecc;
— alle associazioni regionali delle chiese battiste di studiare la possibilità di
inserire una rappresentanza del circuito nel proprio organo esecutivo;
— agli esecutivi BMV di:
a) studiare, col pieno accordo delle
chiese locali coinvolte, la sperimentazione della cura pastorale congiunta
per ie diaspore o della cura pastorale abbinata di chiese viciniori;
b) studiare e sperimentare forme di
razionaiizzazione di diversi servizi ecclesiastici, d'intesa con ie persone,
istituti e chiese coinvolte;
c) estendere il più possibile l'integrazione di rappresentanze battiste in organismi metodisti e valdesi e viceversa;
d) studiare ia possibilità delia formazione comune dei pastori e dei diversi
ministri nelle chiese.
8
8 assemblea battista e sinodo valdese-metodista
Ora, fratelli, io v’esorto,
per il nome del nostro Signor Gesù Cristo, ad aver tutti un medesimo parlare, e a
non aver divisioni fra voi, ma
a stare perfettamente uniti in
una medesima mente e in un
medesimo sentire. Perché,
fratelli miei, m'è stato riferito intorno a voi da quei di
casa Cloe, che vi son fra voi
delle contese. Voglio dire che
ciascun di voi dice: Io son
di Paolo; e io d’Apollo; e io
di Cefa; e io di Cristo. Cristo
è egli diviso? Paolo è egli stato crocifisso per voi? O siete
voi stati battezzati nel nome
di Paolo? Io ringrazio Dio
che non ho battezzato alcun
di voi, salvo Crispo e Gaio;
cosicché nessuno può dire
che foste battezzati nel mio
nome. Ho battezzato anche la
famiglia di Stefana; del resto non so se ho battezzato
alcun altro. Perché Cristo
non mi ha mandato a battezzare ma ad evangelizzare;
non con sapienza di parola,
affinché la croce di Cristo
non sia resa vana.
Poiché la parola della croce è pazzia per quelli che periscono; ma per noi che siamo sulla via della salvazione,
è la potenza di Dio; poiché è
scritto: Io farò perire la sapienza dei savi, e annienterò
l’intelligenza degli intelligenti. Dovè il savio? Dov’è lo
scriba? Dov’è il disputatore
di questo secolo? Iddio non
ha egli resa pazza la sapienza
di questo secolo? Poiché, visto che nella sapienza di Dio
il mondo non ha conosciuto
Dio con la propria sapienza,
è piaciuto a Dio di salvare i
credenti mediante la pazzia
della predicazione. Poiché i
Giudei chiedon dei miracoli,
e i Greci cercan sapienza; ma
noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per i Gentili pazzia;
ma per quelli i quali son
chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia
di Dio è più savia degli uomini, e la debolezza di Dio è
più forte degli uomini.
Infatti, fratelli, guardate la
vostra vocazione: non ci son
tra voi molti savi secondo la
carne, non molti potenti, non
molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo
per svergognare i savi; e Dio
ha scelto le cose deboli del
mondo per svergognare le
forti; e Dio ha scelto le cose
ignobili del mondo, e le cose
sprezzate, anzi le cose che
non sono, affinché nessuna
carne si glori nel cospetto di
Dio. E a lui voi dovete d’essere in Cristo Gesù, il quale ci
è stato fatto da Dio sapienza,
e giustizia, e santificazione, e
redenzione, affinché, com’è
scritto: Chi si gloria, si glori
nel Signore.
I Corinzi 1: 10-31
Il brano della I Epistola ai
Corinzi or ora letto ha perno! un messaggio che ci riguarda direttamente. Il fermo richiamo di Paolo alla
unità dei cristiani di Corinto
ci assicura che con questa assemblea delle chiese battiste,
metodiste, valdesi abbiamo
imboccato una strada giusta.
Siamo incoraggiati a procedere in questo cammino di
unità, anche se per avventura
dovessimo incontrare qualche difficoltà o pagare qualche prezzo.
Dobbiamo però evitare di
leggere nel nostro testo un
incoraggiamento a vantarci
perché siamo stati bravi. A
volte noi delle chiese cosiddette storiche, battisti, metodisti, valdesi, ci diamo grandi
arie di essere la personificazione di tutto il cristianesimo
evangelico in Italia, o almeno
della sua parte più eletta. In
realtà siamo al massimo un
20-25% degli evangelici dell'Italia. V'è da chiedersi se
non parli anche per noi l’apostolo Paolo quando denuncia
le discordie — érides — e le
Umiltà e gloria della die
i
Il richiamo di Paolo all’unità dei cristiani di Corinto - La divisione injippi corris
forma di sapienza: ma nel testo è ben chiara l’alterità totale della sapieijjo - Uno sf
L'assemblea al culto nel momento del canto.
suddivide in tanti gruppi. E
anche noi facciamo a volte
un’esperienza amara di pochezza e di paralisi.
divisioni — Schismata — fra
i cristiani: non saremo per
caso, proprio noi, uno di questi Schismata? Come minimo, dobbiamo domandarci
se le nostre separazioni hanno motivi teologici seri, oppure nascono da fattori non
teologici molto, molto umani. Dobbiamo impegnarci a
evitare che la fraternità tra
battisti, metodisti, valdesi
sia chiusura ad altri fratelli
evangelici e a fare sì che si
costituisca un passo avanti
verso una fraternità più ampia.
Il richiamo di Paolo ci riguarda direttamente anche
perché le nostre chiesette
hanno più o meno le stesse
dimensioni che verosimilmente aveva la chiesa di Corinto. Si tratta di comunità
formate da un numero di uomini e di donne quasi insignificante rispetto alla massa della gente che passa loro
accanto indifferente, badando ai fatti propri. Una comunità così piccola è già debole
di suo: rischia davvero la paralisi o la scomparsa se si
Però, leggendo più attentamente il nostro testo, constatiamo che Paolo non insorge
con tanta passione contro le
divisioni della chiesa di Corinto solo per via di questo
effetto paralizzante. Non dobbiamo staccare il richiamo
dei versetti 10-17 aH’unità
contro le divisioni dai versetti 18-25 successivi con la loro
contrapposizione tra la sapienza del mondo e la follia
• della croce, fra la sophia
dell’ intellettuale (sia egli
« scriba » presumibilmente ebreo o « disputatore » probabilmente greco) e il Cristo
crocifisso, che è scandalo ai
giudei e follia ai greci. Una
lettura filologicamente corretta del nostro testo ci convince che la divisione in tanti gruppi fa tutt’uno con le
pretese di chi vuole ridurre
l’Evangelo ad una sophia,
una sapienza da collocarsi accanto ad altre sapienze umane. Corinto era una città dell’Ellade e anche i cristiani di
La Corale battista di Civitavecchia ha partecipato al culto.
Corinto vivevano come immersi dentro l’ambiente ellenico, la sua cultura, i suoi
modi di pensare e di esistere, anche se alcuni di loro
erano giudei ed altri greci,
almeno di origine. Caratteristica della cultura ellenica
era la sua articolazione in
tante scuole di pensiero, ciascuna con un caposcuola:
per esempio, i peripatetici
con Aristotele, gli stoici con
Crisippo, gli epicurei con
Epicuro, i cinici con Diogene
ecc. Ognuna di queste scuole
offriva la chiave per interpretare la realtà naturale e
quella umana e offriva al
tempo stesso la liberazione
dal male e dalla sofferenza:
per esempio attraverso la
« apatia », la non-sofferenza
degli stoici, la « atarassia », la non-inquietudine
degli epicurei, oppure la
soppressione dei bisogni attuata dai cinici. Non c'era
nulla di male in questo pluralismo intellettuale: anzi,
proprio la fioritura di tante
scuole costituiva la ricchezza
spirituale dell’Ellade. Del resto nello stesso cristianesimo
apostolico c’era una pluralità
di voci: lo dimostra la diversità che esiste nel Nuovo Testamento fra i Sinottici e il
IV Evangelo, oppure tra l’epistola ai Romani e quella
di Giacomo. Il male stava
nell’appiattimento dell’Evangelo sulla cultura ellenica,
cioè la sua riduzione ad una
filosofia con la divisione conseguente in tante scuole,
ognuna con un eponimo:
Paolo, Apollo, Cefa e persino
— assurdamente — Cristo.
Per questo. Paolo pone una
contrapposizione così netta,
un’alternativa senza compromesso tra la croce che è
scandalo e follia da una parte e la sapienza degli intellettuali dall’altra. L’unità dei
credenti, dunque, non sta in
un’operazione di diplomazia
ecclesiastica, né in una formula dottrinale così abile da
contentare tutti: sta nella fede in Cristo crocifisso, nella
sua potenza salvatrice. L’unità è esistenza in Cristo. Quindi anche questa solidarietà
fraterna tra battisti, metodisti, valdesi che vogliamo attuare non può essere una
faccenda di buona amministrazione, anche se è nostro
dovere amministrare bene e
non sperperare i mezzi che il
Signore mette a nostra disposizione. Ha senso solo
nella presenza vivente di Cristo e nella predicazione della
salvezza in Cristo. E’ detto
nel versetto 21: « E’ piaciuto
a Dio, attraverso la follia di
quello che predichiamo, di
salvare coloro che credono ».
L’impegno unitario di questa
assemblea di chiese deve essere un impegno esistenziale
e al tempo stesso un impegno all’evangelizzazione. Il
che, nella nostra realtà concreta, significa tornare ad essere come i nostri padri, che
fondarono le nostre chiese
un secolo fa perché per loro
l’evangelizzazione era passione ardente e preoccupazione
prioritaria su ogni altra.
Dio ha scelto
i deboli
cultura toù aiónos toùtou,
la cultura del modo presente
di esistere: la cultura ellenica allora, la cultura del nostro tempo oggi. E badiamo
bene che la messa in guardia
viene da un uomo come Paolo, che di cultura ellenica non
era digiuno davvero. Si tratta di una tentazione di tutti
i tempi: per esempio, la tentazione di fare di Cristo un
maestro di morale oppure un
pensatore dalle intuizioni
profonde sui rapporti fra Dio
e l’uomo. Ricordate certamente Harnack e la Essenza del cristianesimo, una
delle cui componenti sarebbe
l’idea della paternità di Dio.
E ricorderete anche quel
critico di Harnack che obiettò che il concetto della
paternità di Dio esisteva già,
prima del cristianesimo. Oppure la tentazione di fare di
Cristo un rivoluzionario, o almeno un apostolo della giustizia sociale: Cristo sanculotto oppure Cristo il primo
dei socialisti. Col risultato
magari di fare di Cristo un
galoppino di questo o quel
partito e della croce un simbolo elettorale. Oppure può
essere la tentazione, così attuale in questi tempi, di appiattire l’Evangelo sulla nostra cultura a tal punto
da ridurne l’ascolto ad un
confronto fra élite intellettuali o élite di governo ecclesiastico, che dalla realtà
delle comunità si sono da sé
estraniate. Sì che assistiamo
ad un proliferare di teologie
dai nomi seducenti, nomi « à
la page », ma che tendono a
relegare in secondo piano la
teologia della croce. Purché
accettiamo di trasformare
l’Evangelo in un discorso
umano, magari molto profondo, molto suggestivo e anche
molto « avanzato », il mondo
è disposto ad aprirci le braccia e a lodarci . Ma il nostro
testo ci sbarra duramente
questa strada: ci inchioda alla coscienza della alterità totale della sapienza e potenza
di Dio rispetto alla sapienza
e potenza di questo mondo.
Se ci pensiamo bene, possiamo scoprire che, per una
singolare ironia, proprio il
riconoscimento della alterità
potente e misericordiosa di
Dio rende possibili una filosofia e una scienza veramente autonome da interferenze clericali e una politica
veramente laica ed autonoma. Però il nostro testo, da
Non a caso il nostro testo
è così esplicito nel combattere la tentazione dell’appiattimento dell’Evangelo sulla
queste premesse, giunge a paradossi sconvolgenti con i
versetti 26-27-28: « Infatti,
fratelli, guardate la vostra
vocazione: non ci sono fra
voi molti savi secondo la carne, non molti potenti, non
molti nobili; ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo
per svergognare i savi; Dio
ha scelto le cose deboli del
mondo per svergognare le
forti; e Dio ha scelto le cose
ignobi
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assemblea battista e sinodo valdese-metodista 9
LA PREDICAZIONE DEL CULTO DI CHIUSURA
abdicazione evangelica
le
in iippi
sapieijjo ■
ignobili e le cose sprezzate,
anzi le cose che non sono,
per ridurre a niente le cose
che sono ».
Forse, di fronte a questo
colpo d’ala stupendo dell’epistola di Paolo ci sentiamo un
po’ come il povero don Abbondio del Manzoni davanti
all’eletta parola del cardinale
Borromeo. Ancora il versetto
26 ci va bene: neanche nelle
nostre novere chiesette ci sono molti « savi secondo la
carne », molti potenti, molti
di quelli che il nostro testo
chiama «nati bene» — eughenùs — cioè nobili. Ma il resto ci lascia allibiti. Forse era
vero al tempo di Paolo e dei
primi cristiani, ma oggi come
si fa a dire che Dio ha scelto
le cose deboli per svergognare quelle forti? Il nostro quotidiano e la nostra televisione ci assicurano che il mondo moderno appartiene ai detentori del più alto livello di
sophia scientifica e tecnologica, della migliore synesis
in fatto di sistemi politici,
della maggiore ricchezza e potenza, magari militare. Perfino fra le chiese, ci assicurano questi nostri persuasori^
c’è una bella differenza fra
una chiesa potente, capace di
affermazioni spettacolari e di
abili manovre diplomatiche,
con tutti i mass media a disposizione e una chiesetta
povera qualsiasi, che non fa
notizia al telegiornale, non ha
persone illustri nelle sue file
e magari è derisa perché
« fondamentalista ».
Eppure, se rifiutiamo il lavaggio dei cervelli dei mass
media e guardiamo con realismo a quello che sta accadendo nel mondo, ci accorgiamo che siamo davanti a
novità che confermano in
modo impressionante i paradossi del nostro testo. Non
per nulla, almeno qui in Italia, i mass media stanno facendo sforzi eroici, al limite
del grottesco, per nascondere
Il prof. Giorgio Spini
tiene la predicazione
al culto finale dell’Assemblea/ Sinodo.
ai nostri connazionali la verità. Come diceva quel tale,
la verità è sempre rivoluzionaria: e in Italia la rivoluzione, ormai, è piuttosto giù di
moda. Molto meglio che gli
italiani siano convinti che
non c’è niente altro che la solita storia di don Camillo e
Pappone, con l’immancabile
successo di don Camillo e
smacco di Pappone.
corrisponde all’atteggiamento di chi vuole ridurre l’Evangelo ad una
Uno sforzo unitario che si colloca in un quadro mondiale di mutamento
ne profetica dei suoi Desmond Tutu e dei suoi Allan
Boesak e pure fra difficoltà
e tragedie spaventevoli sta
sfondando la barriera dell’apartheid, che ancora ieri
sembrava invincibile. V’è la
cristianità evangelica nera
degli Stati Uniti con le sue
folle di battisti e metodisti,
con la luce del martirio di
Martin Luther King e con la
fermezza di Tesse Jackson
nelle sue lotte di riscatto. Sono i nipoti degli schiavi e i
figli di un passato di emarginazione, di spregio, di linciaggi magari, gli ultimi che
stanno diventando primi, nel
senso più letterale del termine: il primo cittadino della
più grande città del mondo,
New York, David Dinkins, è
uno di loro. C’è l’esplosione
dell’Evangelo fra le plebi miserabili dell’America centrale
e meridionale. Poco tempo fa
su II Sabato, un periodico
certamente insospettabile di
simpatia filo-evangelica, sono
comparsi dati statistici sulle
conversioni alle chiese evangeliche, soprattutto pentecostali: 16 milioni nel Brasile
delle favelas; 2 milioni nella
Colombia avvelenata dai narcotrafficanti; un milione nel
Perù insanguinato e così via
per gli altri paesi. Un articolo del Corriere della Sera di
un anti-protestantesimo viscerale, quasi isterico, e quindi insospettabile anch’esso,
valutava due mesi fa in
45 milioni i convertiti
deU’America Latina, per lo
più in questi ultimi cinque
anni. Del resto anche negli
Stati Uniti chi si affacci
nelle luride baraccopoli dei
latinos alla periferia delle
grandi città vede da ogni parte le baracche-cappella delle
Assemblee di Dio, con le
scritte in spagnolo: Iglesia
Evangelica del Redentori
Iglesia Pentecostal de la Resurrección, e così via. Possiamo avere, e magari dobbiamo avere riserve su questo o
quell’aspetto di questa ondata evangelistica. Però non
possiamo tapparci gli occhi e fingere di non vedere
che si tratta degli ultimi,
che a milioni si sono messi in marcia. Non è possibile che un movimento di
massa come questo non incida presto o tardi nella società, nel costume, nella vita politica stessa di un continente
che è stato vittima per generazioni di nefaste dittature
militari e di oligarquias ancora più nefaste.
Guardate al centro Europa e constatate l’inattesa resurrezione della cristianità
evangelica della Germania.
Ancora ieri un nostro potente statista, maestro di astuzie sopraffine, ci assicurava
con un sorrisetto ironico di
superiorità che mai e poi
mai l’unificazione tedesca
sarebbe stata possibile. L’im
Una realtà
in movimento
Guardate ad Est e constatate come dalla crisi dell’ateismo di stato sovietico, per
tanti decenni potentissimo,
arrogante, intollerante, stia
emergendo una cristianità
rinnovata della Russia, che
con la parrocchia di don Camillo non ha proprio nulla a
che fare perché è la millenaria cristianità ortodossa, oppure la cristianità degli evangelici russi, specie battisti,
che esce dalle catacombe. I
credenti russi sono stati disprezzati, emarginati, spesso
perseguitati per settant’anni: un tempo spaventosamente lungo, più che bastante a
vista umana per spegnere anche gli ultimi resti della fede.
Dopo settant’ anni, eccoli
qui, miracolosamente viventi. E questa loro vittoria noii
è stata procurata con abili
trattative o con manifestazioni di potenza umana: è stata
il frutto della sofferenza umile, tenace, oscura di deboli
uomini e povere donne, ludibrio quotidiano di chi vantava di avere dalla sua la storia e la verità scientifica.
Guardate ad Ovest e a Sud
e constatate questo fenomeno di massa che è il nuovo
protestantesimo dei poveri e
dei disprezzati, con la sua varietà sconcertante e magari
contraddittoria di forme. C’è
la cristianità evangelica nera
d’Africa, che sta emergendo
nella storia con la predicazio
Uno scorcio del tempio di piazza Cavour dalla galleria.
possibile è accaduto da un
momento all’altro, come per
miracolo. Ma non c’è miracolo, neanche l’unificazione
politica della Germania, che
eguagli quello della sopravvivenza vigorosa della fede
cristiana evangelica in Germania Est, malgrado quasi
ottant’anni di calamità spaventevoli. Tutto hanno dovuto provare quei nostri fratelli: catastrofi immani, ondate di follia criminale, decenni implacabili di scristianizzazione sistematica nel
nome del sapere filosofico e
scientifico. Eppure oggi l’Europa deve prendere atto della forza evangelica risultante dalla riunificazione della
Germania. E al solito, anche
di questo miracolo non sono stati protagonisti diplomatici astuti, o statisti potenti, o generali coperti di galloni: sono stati innumerevoli, umili, tenaci credenti, uomini e donne di una fede più
forte di qualunque potenza
e sapienza di questo mondo.
Davvero « Dio ha scelto le
cose pazze del mondo per
svergognare i savi; e Dio ha
scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti;
Dio ha scelto le cose ignobili del mondo, e le cose
sprezzate, anzi le cose che
non sono, per ridurre al
niente le cose che sono ».
Come dice l’apostolo, abbiamo il tesoro della fede in
vasi di terra. Non dobbiamo
meravigliarci o scandalizzarci se anche in fratelli tedeschi, africani, americani, imssi riscontreremo la fragilità,
la povertà, magari la grossolanità di un recipiente di
coccio. Non dobbiamo più
avere tanta paura di quel
termine «fondamentalismo»
che ogni tanto ci viene agitato davanti come il babau.
I riformatori riscoprirono il
fondamento della fede nella
Scrittura, disboscando la sel
va frondosa che la Scolastica vi aveva fatto crescere sopra.
In un certo senso, furono
i primi fondamentalisti e c’è
da chiedersi oggi se proprio
in certe chiese « evangelical »
facilmente derise come « fondamentaliste » non riviva
con particolare vigore il « sola Scriptura » dei riformatori. Se queste chiese ottengono risultati talvolta imponenti non è forse perché chiamano il più umile popolo a
riappropriarsi della Scrittura e a riporre in ciò che sta
scritto una fiducia limpida e
schietta?
Anche i nostri padri crearono le chiese evangeliche in
Italia sul fondamento di ima
fede semplice e chiara, che
non aveva paura né della
violenza della reazione, né
del dileggio degli spiriti forti. Volendo, potremmo chiamare fondamentalisti anche
loro. Ma potremmo anche fare ridere. Via, siamo seri e
non scambiamo una fede evangelica umile e fervida
con il fanatismo sanguinario
degli ayatollah. Oltretutto il
tempo in cui l’evoluzionismo
darwiniano era il problema
dei problemi è passato da
un pezzo.
Piuttosto chiariamo a noi
stessi che neanche lo sforzo
unitario tra battisti, metodisti, valdesi che stiamo perseguendo avrà un futuro se
non nel quadro di questi
grandiosi mutamenti a scala
mondiale, che stanno creando davvero una nuova geografia della fede. E diamo
lode a Dio, come dice alla
sua conclusione il nostro testo, a cui « voi dovete di essere in Cristo Gesù, il quale
ci è stato fatto da Dio sapienza e giustizia, e santificazione e redenzione, affinché, come è scritto, ”chi^ si
gloria, si glori nel Signore” ».
Giorgio Spini
10
10 assemblea battista
16 novembre 199o
UN’ASSEMBLEA RICCA DI CONTENUTI
Una veduta dell’Assemblea battista al «Villaggio della gioventù:
Liberi in Cristo
Tutto l’andamento dei lavori è ruotato intorno all’esigenza dell’evangelizzazione - Ricordati i quarant’anni del « Villaggio della gioventù »
di Gesù, della sua vita, delle sue
parole, dei suoi atti, rapportato all’uomo; messaggio di riconciliazione e di consolazione, appello al
ravvedimento e al discepolato. E’
il senso della diaconia che si attua
nei confronti dei meno fortunati e
della catechesi agli adulti, ai bambini e agli adolescenti; è la parola di liberazione e di riscatto sociale. Non per nulla il Dipartimento si è occupato, tra l’altro, del
sostegno alla lotta dei neri contro
l’apartheid in Sud Africa.
Le chiese battiste, realtà minoritaria e dispersa in Italia, vivono
un rapporto di fraternità con le altre chiese battiste disseminate in
tutti i continenti del mondo. I battisti sono una realtà in crescita
neirUnione Sovietica, dove hanno
subito in passato dolorose discriminazioni e persecuzioni; sono
una realtà effervescente e solida
negli Stati Uniti, dove hanno avuto testimoni come Martin Luther
King. L’estate scorsa, a Seoul, si è
tenuto l’incontro della Federazione battista mondiale, al quale anche i battisti italiani hanno preso
parte.
La XXXI Assemblea si è svolta
nel « Villaggio della gioventù » di
Santa Severa. Ricorreva quest’anno il 40° anniversario della fondazione di questa struttura, pensata
per avere un luogo di aggregazione e d’incontro. Veramente, sulla
data di nascita si è un po’ incerti.
Una mostra retrospettiva raccoglieva, in una serie di pannelli, fotografie dell’epoca e altri documenti. Si vedevano le prime tende,
praticamente sulla spiaggia, i primi battesimi nel mare, gruppi di
ragazzi e di giovani, poi le prime
strutture in cemento di quello che
oggi è divenuto un bel complesso,
gestito con cura e intelligenza,
quasi una parabola del cammino
compiuto in questi decenni dall’Unione: la chiesa è cresciuta, si
è consolidata, si è data delle
strutture, ma è rimasto lo spirito
fresco e giovane, la gioia dell’incontro, la fraternità e la passione
per l’evangelizzazione.
Luciano Deodato
Pur essendo stata contenuta, riguardo al tempo a disposizione
(neanche una settimana), l’Assemblea battista è stata particolarmente ricca di contenuti, prolifica di
mozioni e di tematiche affrontate.
Nelle pagine che seguono non si è
potuto dare spazio a tutto, e pertanto è stato giocoforza operare
una scelta, approfondendo solo alcune tematiche.
Ma al di sotto delle discussioni
e delle decisioni assunte da questa
assemblea, che ha compiuto un
enorme lavoro, riuscendo a varare
perfino una confessione di fede, a
procedere avanti nel cammino della revisione dei regolamenti, a discutere argomenti complessi e a
rischio, come la questione del Golfo o_le inquietanti, gravi rivelazioni intorno alla questione «Gladio»,
o ad affrontare ampie tematiche
come quelle collegate all’Assemblea ecumenica di Seoul della
scorsa primavera, al di sotto, dico, di tutto questo è rintracciabile
un’anima sola, la passione per
l’evangelizzazione.
E’ intorno a questo problema
che si ritrovano insieme le comunità battiste della grande diaspora
italiana, collocate non sempre nelle grandi città, ma sparse nei piccoli centri o nei grossi borghi meridionali.
L’Unione è nata per questo, e ciò
che veramente unisce l’un l’altra le realtà locali, fortemente gelose ognuna della propria autonomia, e contrarie del tutto ad ogni
forma di centralismo o di dirigismo, anzi preoccupate che qualcuno possa eventualmente un giorno
lasciarsi sia pure solo accarezzare
dall’idea di assumere un « potere » ciò che unisce le chiese le
une alle altre è, appunto, il tema
dell ’evangelizzazione.
E’ stato, alcuni anni fa, creato
un Dipartimento apposito che, in
tempi più recenti, ha assunto un
nome lungo e impegnativo: Dipartimento per l’evangelizzazione e
per i diritti umani. E’ diviso in alcune sezioni che si occupano di
tutto ciò che riguarda la chiesa,
fatta salva l’amministrazione vera
e propria.
Per questo il Dipartimento si
occupa della predicazione, della
catechesi, delle pubblicazioni, ed
anche della preparazione biblicoteologica dei laici. Organizza corsi
per corrispondenza che si sono rivelati un vero successo, facendo
moltiplicare per venti (!) il budget
delle pubblicazioni.
Evangelizzazione non è da confondersi con proselitismo, ma è
tutto ciò che riguarda l’annuncio
FINANZE
La decima come riconoscenza
Le chiese battiste si reggono
in modo indipendente, sulla base del contributo libero e spontaneo di ogni membro battezzato.
Da alcuni anni a questa parte
è stata lanciata una campagna
perché ogni membro di chiesa
versi la decima parte dei suoi
redditi.
« La decima non deve essere
concepita come un dovere da
compiere per la pace delle coscienze, ma come l’espressione
gioiosa di cuori nutriti dalla Parola di Dio e animati dall’amore
per il Signore. La decima deve
essere data nella consapevolezza
che stiamo partecipando ad un
progetto visibile (la glorificazione di Dio, ogni cosa in tutti)
che affonda le sue radici nella
storia e si proietta verso il compimento del regno di Dio. La
decima ha si riflessi finanziari
ed amministrativi, ma anche il
valore di una concreta azione di
grazie per colui che non ha dato solo una parte di sé, ma tutto se stesso per la salvezza del
mondo ».
Nel 1987 il gettito complessi
vo delle offerte era di poco più
di 520 milioni, a fronte di una
spesa di circa 1.100 milioni.
Nel 1988 le contribuzioni hanno lambito la soglia di 600 milioni, a fronte di una spesa di
1.147 milioni. Dunque v’è stato
un incremento del gettito, pari
al 13,2%, mentre le spese generali sono salite solo del 5,12%.
Nel 1989 il versamento delle
chiese si è nuovamente alzato,
raggiungendo quasi i 670 milioni, mentre le spese dell'Unione
sono state di 1.248 milioni, con
un incremento dell’8,82% rispetto all’anno precedente.
Dal raffronto di queste cifre
emerge che, complessivamente,
nel triennio, le chiese hanno aumentato il loro contributo del
28%, mentre le spese dell’Unione sono aumentate solo del 14%.
Giustificato quindi il commento del CE: « Gli aumenti del contributo al Piano di cooperazione
hanno superato sensibilmente il
tasso di incremento del costo della vita. Senza cullarci sugli allori, questa considerazione va pur
fatta. E noi la facciamo per dire alle chiese una calda, convin
ta, fraterna parola d’incoraggiamento: Andiamo avanti, il Signore ci sta benedicendo, ’’crediamo grandi cose, aspettiamoci cose ancora più grandi” »! Un altro
modo per dire: « Ove la fede abbonda, la grazia sovrabbonda ».
L’Assemblea generale, valutati positivamente gli esiti del convegno dei
cassieri di chiesa,
delibera che
1) il Comitato esecutivo convochi un
convegno dei cassieri ogni autunno e
che ad esso prendano parte, oltre ai
cassieri stessi, i membri del Comitato
esecutivo e un responsabile per ciascuna istituzione;
2] gli scopi prevalenti di tali convegni siano;
a) informare i rappresentanti delle
chiese circa l’andamento amministrativo generale e le sue necessità finanziarie;
b) concordare con i cassieri l’ammontare delle richieste da presentare
alle chiese, in vista dell’adeguamento
del loro Impegno al « plano di cooperazione » per l’anno seguente;
c) verificare come le chiese stiano
facendo fronte all’impegno assunto per
l'anno in corso.
IL DISCORSO DEL NEOPRESIDENTE
Chiamati a servire
Saverio Guarna, neopresidente dell’UCEBI.
Nelle questioni che il Comitato esecutivo dovrà affrontare cercherò di servire al meglio delle mie possibilità; ma
quello che chiedo è che voi mi
siate vicini perché, come ha
detto giustamente il pastore
Rapisarda, se non c’è il consenso e il calore dei fratelli
che stanno intorno, non solo
si fanno sbagli, ma certe volte non si riesce nemmeno ad
avere la forza di andare
avanti. Io accetto questo vostro mandato con spirito di
servizio.
Le parole che mi sono venute in mente, del Nuovo Testamento, e alle quali ispirerò il
mio servizio tra voi, sono quelle che si trovano nell’evangelo
di Luca quando Gesù, dopo la
Santa Cena, nel corso della
quale osò chiamare traditore
uno di loro, continua il discorso e dice: «1 re delle nazioni le signoreggiano e quelli
che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori; ma per voi non deve essere così. Anzi, il maggiore
tra voi sia come il minore e
chi governa come colui che
serve. Perché, chi è il maggiore, colui che è a tavola o colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono
venuto in mezzo a voi come
colui che serve ».
La cosa preoccupante è il
collegamento che c’è nel testo: l’associazione tra il tradimento e il rifiuto del servizio.
Cioè chi rifiuta di servire è colui che tradisce. E allora io
non vorrei che nella nostra
Unione si facessero discorsi tipo « chi ha il potere », « chi
ha il potere decisionale », « chi
accentra»... Siamo tutti chiamati a servire e solo di questo
dobbiamo preoccuparci, nella
maniera possibile, certamente
con i nostri errori, ma anche
con un senso di carità e di
amore fraterno gli uni per gli
altri.
Io sono molto fiducioso per
il futuro dell’Unione battista,
e per le chiese battiste. Io spero che possiamo tutti lavorare
insieme, che voi siate molto
onesti e sinceri con me, e io
cercherò di esserlo anche con
voi, in modo che contemperiamo, diciamo così, le nostre
manchevolezze, i nostri limili
reciproci, con l’aiuto che possiamo darci gli uni gli altri.
Grazie.
Saverio Guama
UCEBI
Le nuove chiese
Situazioni cJiverse, storie (diverse: le unisce
la comune volontà di testimoniare l’Evangelo
Il gruppo di Rapallo è nato nel
1986. In precedenza, per diversi
anni c’era stata una piccola comunità collegata con la chiesa
battista di Genova, ma nel 1985
era scomparsa.
La nuova testimonianza è nata
dal trasferimento a Rapallo di
due famiglie di estrazione pentecostale, una proveniente da Genova, l’altra da Caserta. AH'inizio
vi sono state trasmissioni presso
una radio locale e riunioni in famiglia, poi, nel 1988, è stato affittato un locale di culto e si è costituita la chiesa. Nel frattempo
infatti si erano aggiunti al nucleo
originario fratelli e sorelle di diverse denominazioni, principalmente battisti. Oggi il gruppo è
costituito da 12 membri effettivi
ed una trentina di persone in totale.
Culto, studio biblico, scuola domenicale sono le principali attività, insieme ad un intenso impegno evangelistico.
La comunità, che si proclama
evangelica senza altri aggettivi,
è stata fraternamente aiutata nella sua crescita dalla vicina chiesa
battista di Chiavari, con cui mantiene rapporti privilegiati. Essa
aderisce alla Federazione delle
chiese evangeliche liguri ed è guidata dal pastore locale Enrico
Reato.
I grunpi di Foggia e Lucera sono nati dalla testimonianza del
pastore Angelo Matera e raccolgono evangelici della zona e neoconvertiti. Le riunioni si svolgono
per ora in casa privata, sia a
Foggia, sia a Lucera, ma si spera
di poter aprire presto dei locali
di culto, a cominciare dal capoluogo.
Ci sono buone prospettive di
crescita che fanno intravr^^edere
un consolidamento delle due piccole comunità, nonostante vi siano alcune difficoltà con altre denominazioni evangeliche.
Le due nuove comunità battiste
di .Arzano e Casavatore, in provincia di Napoli, hanno una storia
parallela. Entrambe nascono circa quattro anni fa dalla testimonianza di famiglie appartenenti
alla chiesa battista di Napoli Arenella, abitanti nelle due località
o lì trasferitesi. Entrambe sono
cresciute velocemente in questi
anni: Arzano conta ora 70 membri e una popolazione di circa 120
persone, Casavatore 51 membri
e una popolazione di circa 100
persone. La chiesa di Arzano è
guidata dal pastore locale Pasquale Corrado, quella di Casavatore dal pastore locale Vincenzo
Arduino. I locali per il culto e le
altre riunioni sono in affitto ed
accolgono le comunità per le varie attività di studio biblico, di
scuola domenicale, per le riunioni di preghiera ecc.
Le due comunità si situano nel
contesto dell’hinterland napoletano, con i suoi enormi problemi
di degrado morale, di disgregazione sociale, di criminalità. La
particolare spinta evangelistica attuata insieme alle chiese di Bagnoli ed Arenella ha portato Is
due comunità a incontrarsi e
scontrarsi con questa realtà. Non
sono poche le conversioni e le
adesioni provenienti da questi
ambienti, con tutte le difficoltà
pratiche che ciò può comportare
per le comunità e per le persone
stesse.
Emmanuele Paschetto
11
16 novembre 1990
RAPPORTI CON L’ESTERO
assemblea battista 11
EUROPA
I battisti e la
Missione del Sud
Le diverse matrici del battismo italiano: l’ingresso nell’LICEBI di
chiese evangeliche di tipo libero e pentecostale è un arricchimento
Collaborazione
tra le Unioni
Rapporti bilaterali con i fratelli polacchi e
di Gran Bretagna - Un progetto per il futuro
L’arrivo in Italia di due nuovi missionari provenienti dalla
Southern Baptist Convention
(SBC) e l’accoglimento nella
Unione battista (UCEBI) di alcune chiese provenienti dall’area
dell’evangelismo libero hanno posto a qualcuno il problema della
presenza fondamentalista nell’UCEBI. Il timore espresso è
quello che ci si avvii verso sterili polemiche interne tra opposte fazioni e si perda di vista
il compito della testimonianza
cristiana. Per diversi motivi questo timore sembra infondato.
Il battismo italiano è nato dalla predicazione evangelica di
missionari anglo-svedesi prima e
statunitensi subito dopo. Il Foreign Mission Board (FMB) è
presente in Italia da oltre cento anni. Il sostegno ricevuto dalla Missione non ha mai compromesso le relazioni ecumeniche
dell’Unione né con l’evangelismo
italiano, né con quello internazionale.
scono nell’ordine delle centinaia
di membri all’anno e che pullulano di giovani e bambini).
Quindi l’arrivo di nuove sorelle e di nuovi fratelli evangelici
così zelanti nell’evangelizzazione e nella spiritualità non può
essere altro che salutato come
un maggiore arricchimento; come è parso a loro un arricchimento entrare in comunione con
l’Unione battista, che ha un’adeguata struttura e un’adeguata
teologia che, nella libertà e nel
vincolo dell’amore, permette la
crescita insieme nella comune testimonianza fedele a Cristo.
Denominazione
indipendente
Oggi rUCEBI è una denominazione evangelica indipendente
dalla Missione ed il FMB continua a sostenere il suo lavoro, anche se la collaborazione tra i
due si è trasformata notevolmente.
Il programma odierno di collaborazione tra Missione ed Unione è imperniato sul sostegno della predicazione. Ciò significa che
i missionari che l’Unione battista richiede svolgono tutti il
ministero pastorale nelle sedi
che ruCEBI ritiene più opportuno servire. Quindi il lavoro dei
missionari è strettamente pastorale, specie in quelle zone dove
la testimonianza evangelica e
battista è più scarsa e necessita
di una spinta evangelistica.
Oggi la SBC attraversa un momento di prova. Gli elementi fondamentalisti della Convention
mantengono la guida della denominazione da oltre dieci anni, e
controllano quasi tutte le agenzie ecclesiastiche. Ciò non è suc
Una giovane coppia di missionari
americani appena arrivata per
servire le chiese battiste in Italia.
cesso però con il FMB, che è riuscito a mantenersi fedele a quei
principi che lo hanno guidato
fino ad oggi e che lo hanno fatto crescere fino a diventare la
più grande impresa missionaria
protestante. Oggi in Italia il FMB
lavora in stretto contatto ed in
piena lealtà con l’UCEBI, come
sua centenaria tradizione. I nuovi missionari venuti in Italia a
servire nell’Unione si sono bene
integrati nella nuova situazione
sociale, comprendendone profondamente lo spirito.
Chiese evangeliche
neirUCEBI
Per quanto riguarda l’ammissione neirUCEBI delle molte
chiese evangeliche dì tipo libero
e pentecostale e quindi dell’area
fondamentalista, c’è da dire che
queste chiese non appartengono
a quel fondamentalismo aggressivo rivolto essenzialmente alla
preservazione dell’ortodossia dogmatica e alla ricerca continua
del controllo denominazionale
per imporre le proprie scelte e
le proprie aspirazioni, ma al contrario appartengono ad un evangelismo tutto proteso all’evangelizzazione e aila spiritualità cristiana (vi sono chiese che cre
R ¡formati
e risvegliati
I battisti italiani sono certamente figli dell’evangelismo risvegliato che ha portato in Italia la testimonianza battista, e
quindi sono figli di quel protestantesimo acceso di zelo missionario, di profonda spiritualità pietista ed anche di pensiero
liberale. Ma i battisti sono indubbiamente anche figli di quel
protestantesimo storico legato al
pensiero calvinista, fatto di una
spiritualità sobria, di profonda
consapevolezza dei limiti umani
e di grande attenzione alla predicazione della Parola. Per questo essi sentono la loro vicinanza sia al protestantesimo riformato, sia a quello risvegliato. La
presenza nell’UCEBI di credenti
e di chiese legati all’evangelismo
risvegliato e fondamentalista insieme con coloro che avvertono
un maggior legame con i temi
della spiritualità riformata e liberale non implica necessariamente l’esplodere di contraddizioni.
L’esperienza della XXXI Assemblea dell’UCEBI ha chiarito
che i battisti italiani sono giimti ad una maturazione teologica
tale da non permettere che un
fondamentalismo dogmatico ed
aggressivo distrugga il lavoro
umile e fedele di tanti anni di
testimonianza battista in Italia.
Italo Benedetti
L’Europa del 1992, con l’abolizione delle frontiere economiche,
primo passo concreto verso l’integrazione europea, ha dato una
impronta particolare alle discussioni assembleari. I battisti italiani, a Santa Severa, hanno affermato di sentirsi « europei »,
legati alle altre Unioni battiste
d’Europa da molto più di una
generica fratellanza.
Due mozioni approvate dall’Assemblea a grande maggioranza
hanno segnato con un impegno
preciso l’inizio di un progetto di
vasta portata. Nei prossimi anni
verranno approfonditi e concretizzati rapporti bilaterali con le
Unioni britannica e polacca e, in
prospettiva vicina, anche con
l’Unione tedesca.
La relazione presentata ha richiamato i battisti italiani ad allargare i confini del proprio modo di vivere e di progettare il
lavoro futuro ed iniziare a pensare in modo europeo, nella consapevolezza di non essere più
una piccola denominazione italiana, bensì una parte di una grande famiglia battista europea che
oggi, dopo gli avvenimenti dell’ultimo anno, può allacciare con
facilità rapporti stretti ad Est
come ad Ovest, a Nord come a
Sud.
Finora questi rapporti avevano
rivestito un carattere generale,
a livello degli esecutivi nazionali,
attraverso rincontro nella Federazione battista europea; oggi si
evidenzia per i battisti italiani
la necessità di portare avanti rapporti bilaterali nell’ambito di una
strategia europea, basata su un
nuovo modo di collaborazione attuata con ii coinvolgimento della base.
Si è parlato perciò di un piano di lavoro con l’Unione battista britannica che prevede scambio di personale (ministri, tecnici,
assistenti), gemellaggi tra chiese locali, invio di giovani per
campi di lavoro, reciproco utilizzo di risorse umane e di mate
riale educativo, borse di studio
per studenti in teologia. Un progetto ampio ma molto concreto,
che verrà attuato nel corso dei
prossimi anni. Del resto l’Europa
battista sta passando una fase
cruciale di crisi e di crescita.
L’apertura dei paesi dell’Est e
la crisi economica di questi paesi sta impegnando molte Unioni
battiste nazionali in un piano di
aiuti capillare e al tempo stesso
sta mettendo in contatto un gran
numero di battisti per la prima
volta.
L’Assemblea di Santa Severa
ha mostrato di accogliere il senso della proposta « europea », approvando l’inizio dei rapporti bilaterali con un piano di sostegno finanziario alla Polonia. Un
impegno che avrà inizio la prima domenica del prossimo mese
di aprile, una domenica che da
qualche anno, nelle chiese battiste, viene dedicata ai diritti umani in ricordo di Martin Luther
King.
Dalle parole di Paolo Spanu,
presidente uscente, e di Saverio
Guarna, presidente neoeletto, sarà proprio il progetto europeo
a caratterizzare nell’immediato
futuro il lavoro delle chiese battiste. Si tratta di andare oltre il
sostegno economico o lo scambio di conoscenze ed impegnarsi tutti insieme in un progetto
missionario verso tutta l’Europa,
attuato con una testimonianza
comune. L’Est europeo porta sulla scena battista delle Unioni di
chiese numerose e salde, fortemente impegnate nello sforzo evangelistico anche in mezzo a
molti travagli di tipo economico.
L’Assemblea di Santa Severa ha
dato prova di avere recepito questo messaggio con apertura ed
entusiasmo. Gli anni ’90, quelli
che si aprono con ima nuova presidenza, potranno quindi essere
per i battisti italiani gli anni dell’evangelizzazione europea.
Adriana Gavina
«IL TESTIMONIO»
Una voce storica
COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE
Le decisioni assunte
Polonia
L'Assemblea generale, avendo udito
la relazione sulla situazione attuale delle chiese battiste nei paesi dell’Europa dell’Est e sul piano di aiuti predisposti dalla Federazione battista europea,
prende atto di quanto espresso nella relazione.
accoglie l'invito rivolto a tutte le
Unioni e Convenzioni battiste aderenti
alla Federazione europea,
approva e fa sua la richiesta del
Dipartimento di evangelizzazione di dedicare la prima domenica di aprile
1991, domenica per i diritti umani, alla solidarietà con le chiese battiste
dell'Europa orientale,
chiede alle chiese locali di impegnarsi, nell'ambito della promozione di
rapporti bilaterali con le Unioni battiste europee, valendosi anche delle iniziative del MFEB, nella misura concreta dei sostegno finanziario del progetto di aiuto all'Unione battista della
Polonia.
Gran Bretagna
L'Assemblea generale, dopo aver
ascoltato la relazione sul piano di collaborazione bilaterale con l'Unione battista di Gran Bretagna e con la Baptist Missionary Society,
— si rallegra per la ripresa di rapporti stretti con i fratelli e le sorelle
dell'Unione battista di Gran Bretagna;
— riafferma i legami che ci uniscono ai battisti britannici fin dal primo avvio della missione battista in
Italia e il profondo senso di solidarietà fraterna che ha sempre improntato i numerosi contatti mantenuti attraverso gli anni;
— fa appello alle chiese perché accolgano il progetto e si facciano promotrici, per quanto di loro pertinenza,
nello stabilire legami reciproci concreti ed incrementarli; inoltre, perché si
impegnino a sostenere nella preghiera questo nuovo progetto affinché l'opera missionaria nei nostro paese e
in tutta l'Europa trovi sviluppo ed espansione;
— approva l'operato del Comitato
esecutivo svolto finora in questo senso;
— dà mandato al Comitato esecutivo di mettere in atto tutte quelle iniziative (incluse le operazioni di finanziamento del progetto), necessarie per
l'attuazione di uno scambio collaborativo proficuo che includa anche l'invio di personale battista inglese in
Itaiia presso la nostra Unione;
— invia ai fratelli e alle sorelle dell'Unione battista di Gran Bretagna un
messaggio caloroso di saluto e di pieno consenso, con l'augurio che l'avvio di questi rapporti sia l'inizio di
una collaborazione reciproca aperta e
fattiva nel contesto dell'impegno comune di testimonianza, sia verso l'Europa degli anni '90, sia verso i nostri
rispettivi paesi, e che lo stabilirsi dei
rapporti di collaborazione bilaterale
concorra anche all'arricchimento dell'impegno comune nei riguardi della
Federazione battista europea e del Seminario teologico battista di Riischlikon.
L’assenza del direttore uscente
(a Firenze per impeci di lavoro), la giornata faticosa, l’ora
piuttosto tarda lasciavano prevedere che la discussione sul periodico « Il Testimonio » si sarebbe trascinata stancamente, fra
la distrazione e il disinteresse
di molti. ^ .
E invece non è stato cosi, i
fatti hanno contraddetto largamente le previsioni. Dagli interventi che si sono avvicendati sono emersi alcuni punti che cerco brevemente di sintetizzare.
1) E’ stata dichiarata riconoscenz.a e gratitudine al direttore uscente, prof. A. Mannucci, che
per otto anni ha portato avam
ti, con spirito di sacrificio e di
servizio, il faticoso lavoro della
direzione del «Testimonio». Nato 107 anni fa, «Il Testimonio»
ha rappresentato la voce « ufficiale » del battismo italiano. Lo
ha fatto con alterne vicende, sernpre ispirato dall’esigenza di fornire una riflessione teologica fortemente ancorata alla vita delle
chiese battiste nel loro contesto.
2) La consapevolezza che l’auspicata creazione di un giornale
unico che riassuma l’eredità de
« La Luce » e de « Il Testimonio » non è dettata da esigenze
di opportunità economica o da
altro, ma dalla sentita vocazione di presentarsi alla società e
alle chiese con quel volto unitario che abbiamo imparato a scoprire in un dialogo di collaborazione fraterna. La mozione è stata approvata con 62 voti favorevoli, 21 contrari e 7 astenuti.
Interpretare questa mozione
nel suo significato più vero e profondo è difficile. Ho l’impressione, tuttavia, che mentre da una
parte esprime la volontà dei battisti di muoversi verso un progetto di collaborazione auspicato e voluto da tutti, dall’altra
denuncia il desiderio di mantenere salda 1’« identità » battista,
con il suo passato ed i suoi « luoghi » storici d’incontro e di dialogo.
Franco Casanova
L’Assemblea dell'UCEBI delibera che,
nel caso che si realizzi l’auspicata pubblicazione BMV di un giornale unico
che si sostituisca a <■ La Luce » e al
« Testimonio », la testata del « Testimonio » venga preservata ed utilizzata
per la pubblicazione di un bollettino
interno a periodicità ridotta dell'UCEBI
che serva ad agevolare l'informazione
reciproca fra organismi e chiese delruCEBI medesima, in forma sobria e
con tiratura limitata.
12
12 assemblea battista
16 novembre 199o
LA CONFESSIONE DI FEDE
Impegnati nel discepolato di Cristo
Le chiese battiste guardano alla loro missione di evangelizzazione nella chiarezza della loro identità di fede e
nella consapevolezza che la testimonianza dell'amore di Dio si rende neM'aiuto, nella riconciliazione e nella pace
Preambolo
Le chiese, che in Italia sono
sorte dalla proclamazione di predicatori battisti aH’indomani del
conseguimento dell’unità politica italiana e quelle che nel tempo hanno stretto legami di fraternità con esse, ora si riconoscono nella comunione deH’Unione cristiana evangelica battista
d’Italia.
Esse si collocano storicamente nella tradizione che risale alla Chiesa degli apostoli e che
nel tempo ha tenuto a riaffermare la fede primitiva cosi come espressa nella Scrittura, nei
termini del rinnovamento dello
Spirito (Medio Evo), della Riforma (secoli XVI e XVII) e
dell’impegno missionario (secoli XVIII e XIX).
Oggi dichiarano di volersi impegnare nel discepolato di Cristo, nella chiarezza della loro
identità di fede e nella ricerca
di una consapevole etica di testimonianza, e quindi affermano
di voler esprimere questo vincolo, oltre che nella pratica collaborazione, con le seguenti dichiarazioni di fede.
Sola Grafia
Dio compie l’opera di creazione, di giudizio e di salvezza
del mondo e di ogni singola persona, per la sola sua grazia.
Solus Christus
Dio Padre compie la sua opera per mezzo del suo unigenito
figliolo Gesù Cristo, Parola fatta uomo, morto sulla croce per
il peccato dell’umanità, risorto
per la giustificazione dei credenti, Signore e Salvatore del mondo.
Soia Scriptura
La Bibbia è la sola testimonianza autentica e normativa dell’opera di Dio per mezzo di (3e
sù Cristo. In quanto lo Spirito
Santo la rende Parola di Dio,
essa va studiata, onorata e obbedita.
La natura umana
L’umanità, estraniata da Dio
e divisa al suo interno, nulla
può operare né sperare per la
propria salvezza; Dio solo. Padre, Piglio e Spirito Santo, compie per grazia la salvezza dell’umanità e del mondo.
Sola Fide
La Parola di Dio, incarnata
in Gesù Cristo, testimoniata nella Bibbia ed annunciata nella
predicazione dell’Evangelo, può
essere accolta solo per fede.
L’umanità in quanto peccatrice,
ottiene per fede, nel ravvedimento, la giustificazione e la riconciliazione.
Lo Spirito Santo
Lo Spirito Santo, ispiratore dei
profeti e degli apostoli, testimone della verità e santificatore,
dà ai credenti certezza della fedeltà di Dio e si manifesta nei
vari doni e nelle vocazioni al
servizio del Signore nella Chiesa e nel mondo intero.
li discepolato
cristiano
Quanti ascoltano e accolgono
la parola di Cristo sono chiamati a seguire il Si^ore come discepoli. Questo itinerario comporta l’assunzione, per amore, di
gravi responsabilità storiche,
mai esenti da contraddizioni e
pericoli di compromessi, ma sempre animati dalla speranza del
Regno di Dio.
La Chiesa
Ovunque i credenti sono rac
NO VITA’
daudiana editrice
Libretti tascabili per evangelizzazione:
RICHARD BEWES
Un nuovo inizio
Per una scelta di vita
pp. 48, ill.nl a colori, L. 3.500
« Ma io, dove mi trovo? Dio si prende cura del mondo? ».
Questo libretto esamina l’offerta che Oesù Cristo ci fa di una
vite nuova al posto della vecchia. Ci dice che possiamo ricominciare daccapo. Tutto ciò è detto con un linguaggio molto
facile, moderno. Un primo approccio al messaggio evangelico.
NORMAN WARREN
Unaìfede certa
Alla ricerca di speranza in un mondo confuso
pp. 48, ilLni a colori, L. 3.5(X)
« Dio mi sembra molto lontano da me, mi ama veramente?
Mi sembra di essere im piccolo ingranaggio di im gigantesco
meccanismo ». Tutti noi abbiamo dubbi, paure e domande.
Questo libretto, scritto in modo semplice, esamina come possiamo essere sicuri, avere ima fede certa, anche se viviamo in
un mondo dominato dalla confusione e dall’incertezza.
Libretti tascabili (10x15 cm.) pensati particolarmente per
l’evangelizzazione e la testimonianza.
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FONDATA NEL 1855
Vìa P. Tommaso, 1 - 10125 Torino - Tel. 689804
C.C.I.A. n. 274.482 - C.C.P. 20780102 - cod. fise. 00601900012
colti insieme dalla Parola dell’Evangelo per ascoltarla sempre di nuovo, per condividere
la Cena del Signore, per coltivare il vincolo dell’amore, per fare discepoli mediante l’insegnamento e il battesimo, là s’individua la Chiesa di Cristo, perché egli è là in mezzo a loro.
Ciascuna chiesa così raccolta
si organizza in un luogo e in un
tempo determinati secondo la
parola dell’Evangelo e sotto la
sola autorità di Cristo. Tutte le
chiese hanno davanti al Signore
pari dignità, tutte sono fornite
dallo Spirito dei ministeri atti
a rispondere efficacemente alla
loro vocazione e tutte sono chiamate a coltivare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace.
Noi crediamo che la Chiesa
del Signore, così determinantesi
nella storia, è una in Cristo, santa nello Spirito, apostolica nella sua derivazione e nella sua
missione, universale nel suo orizzonte in virtù dell’Evangelo di
cui vive e che annunzia.
Il battesimo
Il battesimo nell’acqua di quanti confessano la fede è il primo atto di obbedienza del cristiano. Esso è amministrato dalla Chiesa nel nome del Padre,
del Piglio, dello Spirito Santo.
In virtù del battesimo nello
Spirito, che rende efficace quello dell’acqua, i credenti nascono a nuova vita e sono uniti
nel corpo di Cristo.
La Cena del Signore
La Cena del Signore, che noi,
uniti neH’unico corpo di Cristo,
facciamo condividendo pane e
vino, è memoria dell’opera compiuta dal Signore per la nostra
salvezza ed è predicazione della
sua morte per noi fino al giorno in cui il Signore risorto venga.
Il Signore ci invita a mangiare il pane e bere il vino per
riaffermare nel presente l’impegno che ci unisce e la promessa del tempo quando egli raccoglierà i suoi nel banchetto dei
nuovi cieli e della nuova terra.
Il sacerdozio
universale
dei credenti
Gesù Cristo è l’unico mediatore tra Dio e l’umanità. Le discepole e i discepoli di Cristo
hanno accesso a Dio solo per
mezzo di lui.
Santa Severa. Un momento dei lavori dell’Assemblea UCEBI.
Anna Maffei, vicepresidente dell'Assemblea battista e poi del
VAssemblea-Sinodo a Roma.
Il compito, ad essi affidato dal
Signore di condividere coi loro
contemporanei l’Evangelo, li costituisce messaggeri autorevoli
della Parola del Signore, sotto
la sola autorità di Cristo e per
l’opera efficace dello Spirito Santo.
I ministeri
Al fine di dotare la Chiesa
dei doni necessari per essere
corpo vivo del Cristo, lo Spirito
Santo chiama credenti diversi
per adempiere i vari ministeri.
Noi riconosciamo che oggi essi
si configurano in primo luogo
come ministeri della proclamazione evangelica, dell’ammaestramento biblico e teologico, del
governo della Chiesa, del servizio nella Chiesa e nel mondo;
ma siamo anche pronti a riconoscere ogni altro dono che lo
Spirito susciti nella Chiesa.
I ministri non stanno tra loro
in subordinazione gerarchica, ma
in rapporto organico; tutti, e
ciascuno per parte sua, concorrono alla vita della Chiesa.
La missione
della Chiesa
La Chiesa è chiamata ad attuare il mandato di Cristo. Essa, dunque, ha il compito di predicare l’Evangelo del Regno che
viene, impegnarsi nella guarigione dei malati e nell’emancipazione degli oppressi.
La testimonianza comunitaria
all’amore, che Dio ha per tutto
il mondo, diventa credibile allorquando è pratica dell’amore
che si manifesta nel reciproco
aiuto, nella riconciliazione e nella pace.
L’etica
Le decisioni etiche, che qualificano il discepolato cristiano,
vanno prese in virtù della forza dell’amore manifestatosi in
Cristo e con responsabilità verso Dio, verso le persone e verso il creato. Tali decisioni sono ispirate e orientate dalla Parola di Dio e si traducono in
comportamenti ora conformi ai
valori comunemente riconosciuti, ora dirompenti e innovatori.
La riconciliazione
L’impegno delle chiese battiste
è volto a promuovere la riconciliazione con Dio e fra gli esseri umani. Nel nostro tempo
ci sentiamo chiamati all’impegno
per la giustizia, la pace, la libertà, il rispetto dei diritti dell’umanità e dell’intera creazione.
Chiesa e Stato
Noi crediamo che l’autorità
stabilita da Dio è ordinata alla
convivenza pacifica, libera e giusta dei singoli e dei popoli. Noi
riconosciamo che lo Stato democratico moderno, pur nelle
contraddizioni che sono proprie
di tutte le strutture umane, conserva elementi inequivoci dell’opera di redenzione di Dio nella
storia. Il ruolo della Chiesa di
Cristo, distinto e separato da
quello dello Stato, consiste nel
perseguire la propria missione
ora in coordinazione con gli ordinamenti dello Stato, ora in
contestazione delle sue degenerazioni, che limitano la libertà
e corrompono la giustizia.
Ecumenismo
La Chiesa è una in Cristo. Il
Signore ci chiama a realizzare
in modo visibile questa unità.
Pertanto siamo chiamati a lavorare perché le divisioni che permangono tra le chiese siano abolite in spirito di preghiera, nell’ascolto comune della Parola del
Signore, mediante il confronto
fraterno. Confidiamo che l’impegno ecumenico che si produce tra Chiese evangeliche affini,
lungi dall’escludere rapporti più
problematici con altre chiese,
prepara la strada al pieno riconoscimento reciproco fra le chiese che è al tempo stesso salvaguardia delle specificità di ciascuno e cammino verso il giorno in cui Dio sarà tutto e in
tutti.
La religione
e le religioni
La religione è l’attività umana universale e molteplice atta
a coltivare il rapporto con ciò
che si ritiene trascendere la realtà mondana in tutte le sue dimensioni. Essa, come opera umana, è sotto il giudizio di Dio.
Perciò, nell’attuare la nostra
vocazione ad annunciare TEvangelo della grazia di Dio in Cristo, non è nostro compito giudicare, ma rispettare le espressioni religiose di ciascuno e vigilare sui diritti di libertà di tutti.
La speranza
cristiana
Il Signore Gesù Cristo, secondo la sua promessa, tornerà a
raccogliere la sua Chiesa, a giudicare il mondo, a sconfiggere
la morte mediante la risurrezione e a stabilire il suo Regno.
Nuovi cieli e nuova terra aspettano i redenti. Maràn-atà.
13
16 novembre 1990
LE MOTIVAZIONI E GLI SCOPI
assemblea battista 1-^
FORMAZIONE DIACONALE
I battisti italiani e
la confessione di fede
Dal Convegno sull’ecclesiologia ad un’identità propria del battismo
italiano - Una « carta d’identità teologica »: e ora, che uso farne?
Un progetto
internazionale
L'Unione battista italiana si è
data una confessione di fede; è la
prima nel corso della sua storia.
L’Assemblea generale del 1990 infatti, continuando il lavoro lasciato a metà nel 1988, ha definito la seconda parte del testo e
quindi ha deliberato l’adozione
della confessione di fede completa.
Al momento della proclamazione del voto deliberativo, tutti
hanno percepito l’importanza dell’avvenimento, che anche il seggio deH’Assemblea ha saputo cogliere e sottolineare con parole
di circostanza e con l’invitare tutti ad una preghiera di ringraziamento al Signore.
Questa confessione deve essere
letta da diversi punti di vista
complementari, ma ciascuno con
una sua legittimità.
Innanzi tutto il contesto storico per cui siamo arrivati ad una
simile adozione. Quando nel 1983
si è avuto il Convegno sull’ecclesiologia battista, nel documento
finale si formulavano tre richieste precise: la preparazione di
una confessione di fede, per poterci identificare e riconoscerci
l’uno con l’altro, l’una chiesa con
l’altra; un patto, con il quale si
esprimeva la volontà di impegno
reciproco come singoli e come
chiese; ed infine un piano di cooperazione con il quale venivano
identificati gli obiettivi di lavoy
ro comune e gli impegni specifici
di ogni chiesa membro dell’UCEBI. Il percorso che le chiese battiste hanno fatto finora si è
mosso lungo queste linee, e si ritiene che sia un percorso irreversibile. L’adozione della confessione di fede è quindi consapevolmente inserita in un quadro di
rinnovamento e di crescita delle
chiese battiste italiane e dell’Unione battista nel suo complesso.
Il secondo punto di vista è anch’esso orientato storicamente.
La fase di rinnovamento delle
chiese e dell’Unione è passata attraverso conflitti teologici e spirituali (e talvolta anche umani)
che hanno portato le chiese e
rUCEBI ad assumere una identità propria rispetto all’agenzia
missionaria americana a cui erano collegate (Comitato delle missioni estere della Convenzione
battista del sud). Quando nel 1978
si è raggiunta una base di intesa
per il lavoro in Italia, si è precisato che i due enti, oltre ad una
comune eredità spirituale e storica, avevano anche ima propria
idendità culturale, storica e politica. Ma avevano anche una visione teologica specifica, per cui ciascuno si impegnava a rispettare
le specificità dell’altro. Con l’adozione della confessione di fede,
l’identità teologica dei battisti
italiani viene delineata in un testo scritto e condiviso. Quanti
fanno riferimento aU’UCEBI dovranno tener presente non soltanto le norme statutarie, ma anche
gli elementi di fede condivisi fra
le chiese.
Un terzo punto di vista può
sembrare più tecnico, riservato
solitamente agli studiosi della
materia, ma è stato ben presente
in tutti questi anni di elaborazione e anche al momento delle delibere assembleari. Si tratta della
« autorità » di una confessione di
fede e delle cause che l’hanno
determinata. Di norma si fa ima
confessione di fede quando esiste, appunto, lo « status confessionis », cioè la minaccia portata
contro la fede creduta dalla chiesa. Tutte le grandi confessioni di
fede ricordate nella storia hanno
avuto questo aspetto alla loro base. Per la nostra confessione di
fede questo elemento non c’è:
non era messa in pericolo la fede
creduta nelle nostre chiese, non
c’era minaccia di eresia né di persecuzione a motivo della fede.
Fra le nostre chiese c’era un consenso teologico non scritto, né
definito; ogni tanto si parlava di
« princìpi battisti », ma niente di
scritto e comunemente condiviso
o accettato. Sul piano locale qualche chiesa aveva preparato o ripreso da altri una dichiarazione
di principi o di fede, ma èra riservata all’uso interno delle singole comunità. La confessione
adottata dall’Assemblea generale
nasce dall’esigenza di poterci
identificare confessionalmente e
teologicamente. Si tratta di un testo di « basso profilo storico-teologico », che esprime un consenso già presente nelle nostre chiese, un documento che raccoglie
l’eredità teologica, più ohe delineare una nuova identità per rispondere alle sfide che la storia
attuale ci presenta. E’ una « carta di identità teologica » della fede condivisa dalle nostre chiese.
UNA VOCE DI DISSENSO
Il rischio
della separazione
L’apologia, cioè la difesa della
fede, ovvero la confessione della
fede in tempi contrastanti, è elemento fondamentale della vita
cristiana.
Ma lo è appunto in tempi contrastanti (per esempio quando la
chiesa è perseguitata, oppressa,
quando rischia di essere confusa
con un potere iniquo). Ma in
tempi in cui le chiese, o la Chie■5it, devono mandare segnali di
unità e di solidarietà, la compilazione di una confessione di fede
mi sembra controproducente, inutile, arida (soprattutto se è vero
che per noi, battisti italiani, la
confessione di fede adottata serve per le probabili Intese con lo
Stato italiano), e settaria, se la
confessione non si limita a ri
badire il «Credo» che collega universalmente ed ecumenicamente
tutte le chiese.
Inoltre, qualsiasi confessione
di fede può calzare apparentemente bene al momento; ma
quando si tenta di calarla nel
quotidiano, nei rapporti che si
instaurano via via, ecco che appare troppo stretta o troppo larga,
troppo dottrinale o troppo poco
ortodossa, ma comunque ferma
in un tempo che non si vive.
Infine, in un tempo di omologazione, si sente invece il bisogno
di pluralità e, a mio parere, la
confessione di fede con connotazioni dottrinarie peculiari non
concede pluralità, ma può produrre separazione.
Gioele Fuligno
E’ un documento di sintesi, descrittivo, più che un documento
analitico. Nella nostra tradizione
battista non ha valore « dogmatico » vincolante, ma soltanto di
proposta e di riferimento nella
misura in cui viene adottata. Non
può essere imposto alle chiese.
Ogni chiesa locale potrà elaborare una sua confessione scendendo
in una analisi più dettagliata dell’uno o dell’altro articolo; ma
dovrà avere anche chiaro il collegamento con la fede condivisa
dalle altre chiese battiste italiane
legate all’UCEBI.
Un altro aspetto rilevante, e
forse il più importante, è l’uso
da fame. Si è sempre detto, fin
dall’inizio della sua elaborazione,
che la confessione di fede non
doveva essere usata all’interno
per dividere le persone nella chiesa e le chiese fra di loro, né per
dare patenti di « evangelicità battista » alle une e negarle alle altre. E’ un testo di base sul quale
possiamo riconoscerci tutti. Ma
la cosa più rilevante è l’uso esterno: ora possiamo presentarci
pubblicamente con una configurazione teologica ben precisa. Alla richiesta di indicare la specificità battista, ciascuno rispondeva elencando alcuni elementi (o principi) caratteristici, non sempre paralleli o simili a
quelli di altri, e spesso le cose rimanevano piuttosto sfumate nei
loro contorni. La confessione di
fede approvata ci aiuta nel formulare risposte più chiare e precise, divenendo così un grande
aiuto nell’evangelizzazione, nell’istruzione religiosa e nella catechesi battesimale.
Punti di osservazione diversi, si
diceva, ma non per questo mutualmente esclusivi. Insomma:
avevamo bisogno di una confessione di fede per molti motivi e
ora finalmente ne abbiamo una.
Osservando l’articolato si nota
un impianto sintetico, ma classico. Per il suo contenuto si inserisce nella linea teologica riformata (che è appunto la casa d’origine dei battisti), con i punti di
distinzione caratteristici della tradizione battista (vedere gli artt.
8 e 9 sulla chiesa e sul battesimo). La parte etica (artt. 14-16)
si inserisce anch’essa nella linea
classica, con le attualizzazioni oggi necessarie; mentre gli artt.
17-18 affrontano temi che il nostro tempo ha posto prepotentemente all’attenzione delle chiese
(ecumenismo e altre religioni, o
« fedi viventi »). Tutta la prima
parte si pone chiaramente nella
linea riformata, facendo proprie
le sue formulazioni teologiche
con un linguaggio non tecnico.
Per quanto riguarda la struttura
dei singoli articoli si troverà una
forte affermazione teologica iniziale. da cui si fa derivare una
comprensione specifica dell’argomento.
Questa confessione di fede si
configura come indicazione della
nostra crescita e assunzione di
responsabilità, come documento
dell’identità condivisa e accettata
dalle chiese battiste italiane, come segno della nostra comune appartenenza confessionale e come
strumento di istruzione e di evangelizzazione. E’ una base minima
di unione, un contributo all’espl,etamento della missione della chiesa. Dopo averla scritta e adottata,
chiediamo ora al Signore di aiutarci a viverla giorno per giorno.
Altrimenti non avrà neanche il
valore del pezzo di carta su cui
è .scritta.
Domenico Tomasetto
Villa Grazialma ad Avigliana: un’importante opera diaconale.
L’esigenza di una preparazione
specifica è scaturita in questi ultimi anni dall’esperienza, che ha
evidenziato in modo particolare
la difformità di formazione degli operatori diaconali e, in alcuni casi, una insufficiente preparazione ad affrontare, sia sul
piano professionale che vocazionale, la varietà dei servizi richiesti all’interno delle chiese e delle opere diaconali.
In questi ultimi tempi la maggior parte di queste ultime è stata ampiamente rinnovata nelle
strutture ed ha notevolmente migliorato i suoi servizi; esse si
trovano però spesso in difficoltà nel reperire personale preparato professionalmente e vocazionalmente motivato. E’ quindi necessario ed urgente trovare i modi ed i luoghi per incoraggiare
lo studio e la riflessione per dare alle opere chiara consapevolezza del loro ruolo nella chiesa
e nella società.
In questa prospettiva la diaconia si muove chiaramente nella direzione di un superamento
del tradizionale concetto di assistenza ed è chiamata a sperimentare nuovi modelli di gestione dei servizi.
In un numero sempre crescente di comunità locali — a cui
l’opera diaconale deve poter fare riferimento — la presenza di
persone espressamente^ preparate potrebbe favorire la formazione di « équipes » di lavoro formate da operatori diaconali e
dai diversi ministeri riconosciuti dalla chiesa, in vista di una
migliore utilizzazione delle energie e di una migliore distribuzione del campo di lavoro.
La proposta di istituire un centro di formazione diaconale intende rispondere all’esigenza di
situare in una prospettiva evangelica la formazione professionale acquisita nelle scuole pubbliche.
In questi ultimi anni si è andata sviluppando una stretta collaborazione nell’impegno diaconale fra realtà ecclesiastiche
molto diverse, e queste esperienze hanno portato alla convinzione che non solo sia possibile
una collaborazione, ma che la
diaconia possa rappresentare il
terreno privilegiato su cm coltivare rapporti interdenominazionali.
Per il momento questo progetto è condiviso nell’ambito delle
Assemblee dei Fratelli, delle
Chiese battiste e delle Chiese
valdesi e metodiste. Si auspica
tuttavia che anche altre denomi
nazioni evangeliche partecipino
all’iniziativa.
Nel campo della diaconia le
chiese evangeliche hanno maturato esperienze diverse. Nel Nord
Europa hanno raggiunto elevati
livelli di servizio, frutto di una
lunga e consolidata esperienza,
mentre noi evangelici italiani abbiamo maturato una riflessione
critica, frutto della nostra storia, sui rapporti chiesa-opere, società-stato: queste diverse esperienze, integrate, possono rappresentare un servizio fedele ed autentico alle esigenze dell’Evangelo.
Quindi, per noi evangelici italiani, promuovere e mantenere
contatti con chiese di altri paesi vuol dire soprattutto accrescere il nostro potenziale di scambio di conoscenze, idee, ipotesi
di servizio e valorizzare e trasmettere anche quanto va maturando nel nostro ambito.
Nella elaborazione di un progetto di formazione non bisogna
sottovalutare questa più ampia
prospettiva europea, avvalendosi
delle esperienze maturate in altri contesti nazionali e sociali dove le chiese evangeliche sono impegnate nella loro testimonianza.
La mozione è stata successivamente approvata con 61 voti a
favore, 5 contrari e 22 astenuti.
Nella Righetti
L'Assemblea generale, letta la relazione sul « Progetto di formazione diaconale > da attuarsi a Firenze che II
Sinodo delle chiese valdesi e metodiste ha approvato (art. 31/Sin. 1990);
preso atto che tale progetto prevede la costituzione presso il Contro giovanile protestante di un Centro di formazione diaconale che si prefigge di
conseguire con l’apporto di vario chiose evangeliche i seguenti scopi:
1) mirare aila preparazione di membri di chiesa, in grado di raggiungere
periodicamente il CFD, come diaconi
nella famiglia, nella società e nella
chiesa;
2) offrire la possibilità di una preparazione specifica a coloro che Intendono svolgere il servizio di «operatori/trici diaconali » nell'ambito delle opere delle chiese o il servizio professionale al di fuori di esse nella prospettiva evangelica;
accoglie con gioia l'Invito della Tavola valdese rivolto anche aU'Unione
battista di partecipare alla realizzazione di questo strumento di servizio e
qualificazione dei futuri operatori diaconali;
dà mandato al Comitato esecutivo di
sostenere tale progetto e di nominare
i due membri battisti del Consiglio del
Centro di formazione diaconale.
14
14
assemblea battista
16 novembre 199o
FORZE PASTORALI
Limportanza crescente
del pastorato locale
Il sacerdozio universale e il binomio ministeri-comunità: un rapporto proficuo - Verso la collaborazione con i metodisti e i valdesi
La recate Assemblea dell’Unione battista ha permesso di focalizzare due fenomeni molto
importanti nella vita delle chiese: viviamo la scarsità di vocazioni a tempo pieno e riceviamo
la richiesta di ammissioni alruCEBI di diverse comunità già
dotate di propri conduttori.
Questi due aspetti hanno un
collegamento fra di loro nella figura del pas'tore locale; infatti,
data la rilevanza delle sedi pastorali scoperte e il vuoto di regolamentazione sul ruolo del pastore locale occorrerà produrre
una necessaria chiarezza sull’argomento visto che, secondo le
proiezioni del Dipartimento per
l’evangelizzazione, tale modo
sembra destinato ad avere sempre più incidenza nella struttura ecclesiastica.
A tale proposito l’Assemblea ha
potuto vivere momenti molto stimolanti e costruttivi, divenendo
sede di im appassionato confronto tra i partecipanti.
Il Collegio pastorale, dalla cui
sollecitazione era nato uno specifico emendamento, risentiva
della necessità di definire alcuni importanti aspetti del ministero locale: preparazione teologica, diritti e doveri, durata dell’incarico, rapporto chiesa/pastore locale/società. Tale istanza
voleva esprimere il desiderio di
una più accurata esplicazione di
una differenza che il nostro or
dinamento prevede tra pastore
dell’Unione (titolo capo 1°)
e pastore in servizio locale (art.
17).
Il binomio ministeri-comunità
evidenzia un concetto molto caro a noi protestanti: il sacerdozio universale, con cui la comunità manifesta i doni, e in cui
il pastore lavora ponendo a disposizione i suoi (predicazione,
insegnamento e cura d’anime).
Legati a questo aspetto si sono manifestati, in ambito assembleare, perplessità e timori sulla staticità di predicazione e stimoli che un prolungato servizio
locale potrebbe produrre generando delle comunità « dormienti » che possono essere indotte
a spinte separatistiche oppure
che rischiano la condanna ad un
decremento fisiologico. I ministri locali dovranno, dunque, acquisire una adeguata preparazione teologica, da integrare con
tm lavoro di supporto e di formazione da parte dei due dipartimenti dell’Unione. L’idonea preparazione si manifesta come una
inderogabile necessità se si pensa alla rilevanza esterna del pastore, che dovrebbe prodigare i
suoi sforzi nell’ambito sociale e
territoriale in cui la comunità
opera.
Non bisogna dimenticare, poi,
il lavoro in collaborazione con
le chiese valdesi e metodiste con
cui ci dovremmo rapportare con
linearità e chiarezza, non solo di
forma ma anche di contenuti. E’
evidente, comunque, che suggerire un appropriato ordinamento, che dovrà scaturire anche dopo un convegno specifico nel
prossimo 1991, non vuole assolutamente ledere o ridurre la
sfera di autonomia delle chiese
battiste ma rispondere ad un
principio di uguaglianza e di serena valutazione della specificità
della figura del ministero del pastorato dell’Unione e di quello
locale.
Date queste premesse il convegno del 1991 si presenterà
senz’altro ricco di stimoli e proposte su un problema così attuale e scottante per la nostra
vita comunitaria.
Massimo Torracca
L'Assemblea generale
— sentito il dibattito assembleare;
— valutate le relazioni del CE, del
Dipartimento di teoiogia e del Collegio dei revisori,
affida ii seguente mandato ai Dipartimento di teoiogia, in collaborazione
con il Collegio pastorale e il Dipartimento di evangelizzazione:
avviare uno studio finalizzato ad
un convegno « sul senso della vocazione pastorale, sul ruolo, e sul rapporto pastore-chiesa », del ministero pastorale nell’attuale società italiana e
sullo status giuridico/contrattuale dei
pastori.
IN PROVA DALL’AUTUNNO ’88
Cinque nuovi pastori
Dall'autunno 1988 all’autunno
1990 nelle chiese battiste abbiamo avuto cinque nuovi pastori
in prova.
Antonio Di Passa, nato nel 1961
a Roma, di famiglia battista, è
cresciuto nella chiesa battista di
Ariccia. E’ sposato con una ragazza. tedesca laureata in teologia ed ha compiuto gli studi a
Rùschlikon e ad Hannover.
La vocazione al pastorato è
maturata nella comunità d’origine, nel lavoro fra i giovani e nei
diversi campi studio che si tengono a Rocca di Papa.
Antonio è pastore in prova
presso le comunità battiste di
Fioridia e Siracusa. Il suo impegno vuole essere particolarmente per una evangelizzazione ancorata ad una teologia solida,
non disincarnata, che tenga conto della situazione in cui si vive, e per un’etica del sociale che
affronti particolarmente i problemi della società disgregata de]
nostro Meridione.
Martin Ibarra y Perez, 34 anni, è nato a Cartagena in Spagna. Di famiglia battista, il padre è predicatore locale e diacono. Dopo la maturità classica
ha studiato storia e filosofìa all’Università di Valencia e teologia ai seminari battisti di Madrid e Rùschlikon. Ha conseguito il baccalaureato all’Università
di Salamanca.
La sua vocazione è nata nella
famiglia e nella chiesa: a 17 anni era il più giovane diacono di
tutte le chiese in Spagna. La maturazione è venuta attraverso le
lotte studentesche e sindacali
dell’ultimo periodo del franchismo.
Martin è già stato cinque an
ni pastore in Spagna, prima per
i giovani, poi nella chiesa di Sabadell. Ha chiesto di lavorare
in Italia perché ritiene che fra
le nostre chiese sia possibile coniugare l’impegno socio-politico
con quello ecclesiastico.
E' attualmente in servizio di
prova ad Altamura ed è sposato con Elizabeth Green, anche
essa pastore in prova a (bravina.
Dudley Graves, 40 anni, è nato
a Birmingham (Alabama) negli
Stati Uniti. Di famiglia numerosa, molto attiva nella chiesa battista, specie nel lavoro fra i giovani e i bambini. E’ sposato con
Janet, nata nello Zimbabwe da
una coppia di missionari, laureata in didattica religiosa. Ha già
lavorato fra i giovani in Italia
nel ’72-’74 come animatore sociale e sportivo presso il Centro Filadelfia di Rivoli e si è laureato
in teologia al South Western
Baptist Theological Seminary di
Fort Worth (Texas).
E’ stato pastore a Kaiserslautern (Germania) dall’82 all’85
presso la chiesa battista di lingua inglese e poi per un anno
negli USA. Attualmente è pastore in prova presso la chiesa battista di Roma Montesacro. E’ interessato soprattutto alla missione interna ed all’evangelizzazione e per questo vuole conoscere a fondo la realtà del nostro
paese alla cui vita la famiglia
partecipa con il massimo coinvolgimento (scuola, quartiere,
ecc.).
Elizabeth Green è nata a Walsall in Gran Bretagna ed è cresciuta nella chiesa metodista. Venuta assai giovane in Italia, è
stata membro della chiesa di Cuneo verso la fine degli anni ’70,
ed in questa comunità di fondo
battista ha maturato la sua vocazione.
Ha fatto i suoi studi al seminario battista di Rùschlikon ed
ha preso il dottorato a Salamanca con una tesi' sulla teologia
femminista.
Sposata con Martin Ibarra, pastore in prova ad Altamura, è
anch'essa in servizio di prova
presso la chiesa battista di Gravina.
Elizabeth è particolarmente interessata alla teologia femminista ed ai problemi sociali ed è
lieta di trovarsi nel Meridione
dove le sembra di poter mettere a frutto gli studi fatti e la
propria vocazione in un contesto sociale particolarmente travagliato.
Adriana Pagnotti, sposata, due
figli, è laureata in lingua e letteratura inglese ed in filosofia
con specializzazione in psicologia. Dopo aver insegnato per diversi anni ha frequentato la Facoltà valdese di teologia e l’Istituto superiore camilliano specializzandosi in teologia pastorale
sanitaria.
Uscita per delusione dal movimento studentesco e da certe
esperienze cattoliche della Firenze del primi anni ’70, ha passato lunghi anni di ricerca, per approdare alla chiesa battista di
via Urbana a Roma, dove ha maturato la sua vocazione al pastorato. Attualmente è in prova
presso la chiesa battista della
Garbatella a Roma, presiede la
Federazione donne evangeliche
italiane ed è segretaria del Dipartimento per l’evangelizzazione deiruCEBI. Si sente fortemente interessata nella pastorale agli ammalati, agli emarginati, agli anziani.
Emmanuele Paschetto
_______UNA DISCUSSIONE DA AVVIARE
Questione pastorale:
quali risposte?
La « questione pastorale » è stata uno degli argomenti più sentiti deH’ultima Assemblea. E’ un
problema che investe un po’ tutti: quelle chiese o gruppi senza
conduttori che richiedono una
presenza pastorale; i pastori stessi, provati spesso da un sovraccarico di lavoro; gli studenti in
teologia o altri che approdano al
ministero pastorale.
Dalle statistiche fornite dal Comitato esecutivo le 53 sedi pastorali (che comunque comprendono più di 100 luoghi di predicazione) sono servite da soltanto
46 pastori.
Per di più l’età media del corpo
pastorale rimane alta e alcuni pastori continuano ad essere occupati nelle strutture dell’Unione e
non presso le chiese. A questo
quadro poco rassicurante si aggiunge il fenomeno della « crisi »
di vocazioni, cioè, secondo la relazione del Dipartimento di teologia, « il fatto che studenti in
teologia, al termine degli studi,
decidono di non svolgere il loro
ministero come pastori dell’Unione ».
Sono state fondiamentalmente
due le risposte date dall’Assemblea a questa situazione. La prima cerca di venire incontro alla
mancanza di pastori attraverso
una « razionalizzazione delle sedi
pastorali », un piano ancora da
studiare che dovrebbe distribuire i pastori tenendo conto (si
presume) della collocazione geografica delle chiese, del numero
dei loro membri, della situazione
delle diaspore e delle eventuali
zone di sviluppo. Fa parte di tale
piano, pensato per sfruttare al
massimo le forze esistenti e che
sarà sottoposto al giudizio delle
chiese, la collaborazione dei pastori MV, approvata poi dall’Assemblea-Sinodo congiunti.
Per urgente e necessario che
sia, il «piano di razionalizzazione delle sedi pastorali » rimane, a
mio avviso, una misura « tappabuchi » che non affronta le questioni di fondo. Infatti bisogna
chiederci il perché di questa crisi di vocazioni pastorali. La discussione deU’Assemblea si è
soffermata su quest’ultima. Pur
riconoscendo la complessità dell’argomento, c’era la tendenza ad
addossare al singolo il peso (e
quindi la colpa) della scelta di
abbandonare gli studi o di non
esercitare più il ministero pastorale, senza considerare le eventuali responsabilità di quella rete
di relazioni (chiese, pastori, orga
ni dell’Unione, parenti) di cui lo
studente fa parte. Per quanto mi
riguarda non ritengo che ci sia
mancanza di vocazioni, non credo
che Dio abbia smesso di chiamare, di sfidare, di interpellare ministri per la sua chiesa. Forse non
rispondiamo, noi pastori, in modo
adeguato alla loro chiamata, riconoscendola e incoraggiandola.
Forse carichiamo i pastori di
aspettative fuorvianti.
Tutti sappiamo che i ministeri
delle chiese neotestamentarie erano alquanto fluidi, che si sono
evoluti, adattandosi per meglio
rispondere a circostanze e esigenze nuove. La nostra comprensione del pastorato non è forse legata a schemi superati? Questa
necessità di mettere al vaglio la
vocazione pastorale è stata accolta diall’Assemblea attraverso una
mozione presentata (fatto strano)
da un gruppo di « laici ». Si è affidato agli organi competenti dell’Unione uno studio del « senso
della vocazione pastorale» e del
« ruolo del ministero pastorale
nell’attuale società italiana ».
Se consideriamo il ruolo pastorale com’è vissuto attualmente in
seno alle chiese battiste si ha la
sensazione che al pastore si chiede già troppo e soprattutto si richiedono attività o funzioni troppo diverse tra di loro: animatore,
responsabile della vita cultuale,
teologo, psicologo, portavoce della comunità. Ognuna di queste attività, nelle quali la figura pastorale è normalmente
coinvolta, presupporrebbe una
preparazione specializzata. Per
quanto egli desideri tenere uniti
i diversi aspetti del suo ministero, il portare avanti queste diverse attività è oggi difficile.
Non credo che le chiese debbano necessariamente imboccare la
strada dell’ iperspecializzazione,
ma ritengo che potremmo parlare non tanto di « razionalizzazione di sedi pastorali » quanto
di, .una razionalizzazione dei
ministeri. Ciò che ho in mente è un’ équipe pastorale ~
pastori, laici, esperti diversi —
a disposizione di un gruppo di
chiese. Un lavoro di équipe che
risponderebbe forse meglio alle
esigenze mutevoli della società e
delle comunità che in essa convivono, nonché alle aspirazioni
personali dei pastori, ai quali non
sarebbe più chiesto di « farsi ogni
cosa a tutti » e ai quali sarebbe
risparmiata soprattutto la tentazione di diventare « tutto e in
tutti ». Elizabeth Green
L’ORDINE DEL GIORNO
Razionalizzazione
L’Assemblea generale, constatato che
il numero limitato dei pastori dell’Unione non permette a tutte le chiese di
essere « sede pastorale », consapevole
delia necessità di assicurare ad ognuna di esse un servizio teologico qualificato, vista l’urgenza di avviare la
« missione interna », impegnando in essa alcuni pastori con la funzione precipua di evangelizzazione,
dà mandato al Comitato esecutivo
di approntare un « piano di razionalizzazione delle sedi pastorali » che tenga conto dei seguenti requisiti:
a) la necessità di ogni zona, ove è
presente la testimonianza battista, la
storia di ogni comunità e le prospettive di espansione;
b) l’opportunità, sentiti gli interessati, di includere o meno nel novero dei
pastori disponibili quelli che dovrebbero andare In pensione entro i successivi cinque anni e quelli che si prevede possano iniziare il ministero nel
biennio successivo;
c) la possibilità di una cura pastorale comune BMV;
d) l’indicazione di una graduatoria
di chiese che potranno essere « sedi
pastorali » quando il numero di pastori
disponibili dovesse essere maggiore;
e) la fissazione delie modalità con
le quali il Comitato esecutivo renderà
conto della realizzazione del « piano »
all Assemblea generale e delle procedure per proporre modifiche per il
biennio successivo;
delibera che:
1) una bozza del « piano » sia inviata dal Comitato esecutivo alle chiese entro un anno;
2) le chiese siano invitate a discutere la bozza, e da sole e con le altre chiese dell’associazione regionale,
facendo poi pervenire osservazioni e
proposte di modifica entro tre mesi
dal ricevimento della stessa;
3) il Comitato esecutivo, valutate le
osservazioni e le proposte delle chiese, rielabori il « piano » e io presenti
per l’approvazione all’Assemblea generale 1992;
4) il « piano » preveda e indichi la
gradualità della sua attuazione, in modo che, alla scadenza del mandato,
ogni pastore risponda unicamente alla
chiamata delle chiese che sono riconosciute « sedi pastorali ».
15
assemblea battista 15
16 novembre 1990
RAPPORTI CON LO STATO
Nuova legge,
nuove discriminazioni
Un progetto che suscita diverse perplessità - Bisogna evitare che
sia sancita una differenziazione tra le varie confessioni religiose
NELLA STORIA E NEL PRESENTE
I battisti e lo Stato
Una separatezza che non sarà mai preconcetta
Le chiese battiste non hanno
una Intesa con lo stato italiano: i loro rapporti continuano
ad essere regolati sulla base delle
leggi emanate dallo stato fascista
nel 1929-30.
Quando, infatti, dopo la stipula
dell’Intesa con le chiese rappresentate dalla Tavola valdese, i
battisti furono a loro volta chiamati la situazione era cambiata.
Racconta Franco Scaramuccia:
« Allora ci fu chiesto di nominare
quattro nostri esperti da inserire
nella commissione governativa
che doveva predisporre le Intese.
Ben altra, invece, era stata la pro-_
cedura usata per le intese con i
valdesi e i metodisti, dove la commissione governativa e quella valdo-metodista si erano incontrate
su un piano di parità. Ci fu detto
che non si voleva più usare quello schema, che esso era un ’’unicum" irripetibile. A parer nostro
invece quella era una corretta applicazione del terzo paragrafo dell’art. 8 della Costituzione. Altre
confessioni evangeliche hanno invece accettato la nuova procedura proposta allora dal governo.
Nel frattempo, com’è noto, il
governo intende presentare all’approvazione del Parlamento una
legge sulla « libertà religiosa ». Il
testo del progetto, che è già stato
depositato il 14 settembre, non è
ancora stato reso pubblico. Se ne
conosce il contenuto, grazie ad alcune indiscrezioni trapelate, ma
ce n’è abbastanza per avere motivi di preoccupazione. Intanto
pare che questa legge chiuderebbe, almeno per il momento, la
stipula di nuove Intese. Alcuni suppongono che lo stato temerebbe il proliferare incontrollato di nuove intese creando situazioni troppo complesse, se costretto a negoziare con la moltitudine e moltiformità dei movimenti religiosi attualmente presenti in Italia. « Ammesso che si
possa capire il buon diritto del
governo italiano di stabilire un
disegno di legge sulla libertà religiosa dei cittadini — dice Scaramuccia — secondo me non
è necessario. Il carattere precettivo delle norme costituzionali
dovrebbe essere più che sufficiente. Non vedo perché lo stato
si dovrebbe spaventare, agitando lo spauracchio di ’’cento intese
per cento chiese". Se non erro,
in Danimarca le intese con le
chiese sono più di duecento, perché questo ha voluto una Costituzione veramente libera. Se allo
stato non va bene, allora si riscriva l’articolo 8 della Costituzione repubblicana ».
Ma, entrando nel merito, il progetto di legge solleva altre preoccupazioni in quanto rappresenta il passaggio dai « culti ammessi », ai « culti riconosciuti ».
« Qui non ci siamo proprio —
continua Scaramuccia —, perché
dove hanno trovato nella Costituzione il principio del riconoscimento? Che poi, si badi, non è
un riconoscimento come mero atto conoscitivo, ma diventa costitutivo. Come a dire: ci sei, esisti,
solo se io ti riconosco! ». Su questo punto del riconoscimento le
chiese battiste sono particolarmente sensibili: esse, come quelle valdesi, come altre, esistevano
prima ancora della fondazione
dello stato italiano moderno; ed
esistono per la volontà di Dio,
non certo per gentile concessione
di qualcuno. Esistevano anche
prima, "uando non solo non erano riconosciute, ma addirittura
perseguitate; quando cioè si cercava di negarne resistenza. «A
me pare — dice Aldo Oampennì,
magistrato ora in pensione —
che la chiave di volta del progetto di legge stia nella questione
del riconoscimento, che diventa
la "conditio sine qua non” per
l’attribuzione dei diritti che lo
stato vuole riservare o estendere
alle confessioni senza Intesa. Lo
stato è certamente legittimato
all’individuazione di una confessione religiosa. Lo stato ha il
diritto di stabilire se la sedicente
confessione, con la quale vuole
entrare in rapporto è effettivamente tale. L’art. 8 della Costituzione prevede che la confessione
con la quale intende stipulare
un’intesa non abbia statuti che
contrastino con l’ordinamento
giuridico italiano. Una volta verificato questo, e identificata come tale la confessione, il compito
dello stato sarebbe esaurito. Invece la legge prevede non un
semplice controllo di legittimità,
ma anche di merito: un controllo
penetrante, che si estende al substrato sociale, (cioè alla consistenza numerica della confessione), alla capacità economica, con
criteri assolutamente discrezionali che ti lasciano alla mercé del
funzionario statale ».
Molte altre critiche potrebbero
essere fatte alla legge. Ma c è
un proiblema di fondo sul quale
la classe politica, e non solo
quella, dovrebbe essere molto
sensibile e attenta; con la legge
si verrebbe a sancire una differenza tra le varie confessioni religiose. L’ordinamento italiano assumerebbe infatti al suo interno
rapporti privilegiari e quindi discriminanti tra le confessioni. Si
avrebbe un rapporto del tutto
privilegiato con la chiesa cattolica, regolato in base al Concordato; un rapporto conforme alla
lettera e allo spirito dell’art. 8
della Costituzione con le chiese
rappresentate dalla Tavola valdese; un rapporto più o meno
larvatamente giurisdizionalista
con le chiese avventiste e pentecostali e con le comunità ebraiche; un rapporto regolato in base
alla nuova legge con tutta una
serie di altre confessioni, le quali
faranno con lo stato delle intese
diverse dalle precedenti. Infine
c’è tutta un’altra categoria di
chiese, confessioni, movimenti
che il nuovo progetto di legge
non prende in considerazione.
Questo non è pluralismo religioso. Sarebbe bene che il governo si muovesse nella chiara linearità prevista dalla Costituzione.
Luciano Deodato
L’articolo 16 della confessione
di fede approvata dalla XXXI
Assemblea battista recita testualmente:
« Noi crediamo che l’autorità
stabilita da Dio è ordinata alla
convivenza pacifica, libera e giusta dei singoli e dei popoli... ».
Essendo uno dei luoghi comuni quello che i battisti sarebbero su una linea di separatismo
nei confronti dello Stato, perché
congregazionalisti, può essere
utile sentire questa opinione,
raccolta di sfuggita, del pastore
Paolo Spanu:
« Uno può essere benissimo separatista, senza essere congregazionalista. La questione del
congregazionalismo è importante
per noi perché, come è stato
detto con una battuta, stiamo
cercando ima via italiana al battismo. Ma tutt’altra questione è
quella del separatismo. Il separatismo battista affonda le sue
radici nell’esperienza inglese del
1600 e non ha quindi nulla a
che vedere con il separatismo
di Vinet o con la formula cavouriana ’’libera chiesa in libero stato”. Non è neanche il separatismo maturato in certi ambiti della rivoluzione francese; è
precedente e soprattutto va letto nella storia della rivoluzione
inglese e di quel che ne è derivato.
Noi riconosciamo che lo Stato in quanto istituzione ha una
sua funzione che l’Evangelo gli
assegna nella sua accezione più
generale di autorità. Non siamo
contrari allo Stato. Lo consideriamo una struttura umana fondamentale, ordinata dal Signore
al bene, alla convivenza pacifica, giusta, libera dei cittadini.
Sappiamo benissimo che, come
qualsiasi struttura umana e, come del resto, gli umani, è corruttibile e spesso corrotta. Allora qual è la funzione d.ella chiesa? E’ di vivere in una condizione di non ingerenza reciproca, ma allo stesso tempo vivere
con questa passione civile che
tende a contribuire criticamente
alla lotta contro la degenerazione dell’autorità e dello Stato in
senso anti-libertario, ingiusto,
ecc.
La nostra separatezza dallo
Stato non è una separatezza preconcetta o astratta, basata su
una concezione ontologica. No, è
una separatezza strategica, perché noi crediamo che la missione che il Signore affida alla chiesa è anche quella di anima critica, non solo verso se stessa,
verso le proprie strutture, che
sono sempre da riformare, ma
anche verso quelle statali; e ciò
attraverso individui, che sono
inevitabilmente cittadini (quindi
lo faranno anzitutto come cittadini), ma anche attraverso la
chiesa come istituzione, con una
sua identità e personalità. Nel
gioco delle parti sociali, anche
la chiesa ha un suo ruolo ».
FRA LE MOZIONI APPROVATE
Un futuro di responsabilità
LIBERTA’ RELIGIOSA
Viva preoccupazione
L’Assemblea generale, informata sulla sostanza del disegno di legge sulla
libertà religiosa che la stampa quotidiana indica come approvato dal Consiglio dei ministri il 14.9.’90,
esprime forte timore per le sorti deil’indipendenza e deil'autonomia deila
vita delle confessioni reiigiose in italia, perché dal disegno in questione
traspare una concezione inaccettabile
di rapporto fra Chiesa e Stato (che
i battisti hanno da sempre inteso coeie di non ingerenza reciproca) e un
progetto di nuovo giurisdizionalismo
che contrasta con ii dettato della Costituzione repubbiicana;
chiede alle denominazioni evangeliche in Itaiia di unirsi nel resistere
al tentativo governativo, che tende a
disciplinare II « fatto » religioso introducendo, al posto del pieno esercizio
delle libertà garantito dalla Costituzio
ne, la nozione di « confessione riconosciuta »;
manifesta viva preoccupazione per la
disparità che verrà a crearsi di fatto
fra le confessioni religiose operanti
in Italia, visto che una è protetta in
maniera particolare dall'art. 7 della
Costituzione, altre sono garantite da
Intese stipulate prima dell'entrata in
vigore della nuova legge, altre non
potranno o non vorranno riconoscersi
nelle fattispecie previste dal progetto
in questione;
dà mandato al Comitato di operare
con tutti i mezzi a sua disposizione
perché sia rispettato il terzo comma
dell'art. 8 della Costituzione, che prescrive che i rapporti con le confessioni religiose siano regolati su base
bilaterale pattizia, e di appellarsi al
Presidente della Repubblica come supremo garante della Costituzione contro ogni prevaricazione.
Riischiikon
L’Assemblea generale, ascoltata la
relazione sull’incontro di Riischiikon
nel quale le rappresentanze del FMB
e deiruCEBI hanno discusso il passaggio delle proprietà americane ai
battisti italiani, prende atto con gioia
che è stato convenuto dalle parti che
tutte le proprietà ora intestate al FMB
passino all'Unione secondo le modalità concordate.
L'Assemblea generale riconosce in
questo accordo preliminare la conclusione di un’era e l'inizio di un'altra
nella storia secolare della collaborazione tra la SBC e le chiese battiste
italiane. Questo momento, infatti, costituisce il punto più alto della fraternità, della lealtà, della fiducia e della generosità che hanno caratterizzato
con vicende alterne i rapporti tra la
Missione battista in Itaiia e l’UCEBI.
Guardando indietro, fin dagli inizi
della Missione battista, l’Assemblea
generale riconosce e dà atto al FMB
della generosa e scrupolosa osservanza degli impegni da esso assunti di
tempo in tempo, della pazienza e magnanimità con cui ha superato crisi
e lacerazioni nei nostri rapporti reciproci e deila grande disponibilità, sempre onorata, a sovvenire ai bisogni ricorrenti delle chiese battiste italiane,
specie negii anni difficili della recessione e in quelli tragici delle due
guerre mondiali.
L'Assemblea generale sottolinea la
consapevolezza che deve animare gli
organi dell'Unione e le chiese nell'assumersi la totale responsabilità connessa alla proprietà di tanto patrimonio, in quanto essa non attiene soltanto alla gestione materiale degli immobili, ma soprattutto alla capacità di
elevare e qualificare i nuovi rapporti
di collaborazione tra SBC e UCEBI nel
senso di una sempre più profonda fraternità, nella pari dignità e nel comune sforzo di evangelizzare il nostro paese.
Infine, l'Assemblea generale esprime
formalmente la sua profonda gratitudine al Signore e la sua riconoscenza al FMB e alla Missione battista
in Italia, perché questa affermazione
rimanga un ricordo indelebile nella me
moria delle future generazioni dei battisti italiani.
Preparazione teologica
L’Assemblea, in vista di un rapporto proficuo tra chiese e DT, inteso a
favorire la preparazione di quanti scelgono di servire il Signore in un ministero pastorale o diaconale, invita
il DT a osservare la seguente prassi:
a) Mantenere uno stretto rapporto di
consultazione tra DT e chiesa di provenienza del candidato/a. Ciò allo scopo di;
— meglio valutare e risolvere le questioni che dovessero insorgere;
— coinvolgere la chiesa nella preparazione teologica del candidato/a;
— evitare lo sradicamento del candidato/a dal contesto ecclesiastico di
provenienza.
b) Avviare tempestivamente colloqui
personali col candidato/a al fine di:
— conoscere al meglio le aspirazioni
del candidato/a;
— concordare col candidato/a tempi,
luoghi, modi e contenuti della preparazione teologica;
— risolvere di concerto eventuali controversie o conflitti che dovessero insorgere durante la preparazione teologica, ivi compreso il periodo di studio
propedeutico.
c) Intrattenere con ogni candìdato/a
un rapporto all’insegna della cura pastorale per (scoraggiare ogni possibile
« abbandono » e) favorire l’inserimento dei candidati/e nel lavoro delle nostre chiese.
d) Collaborare con le chiese, suscitando e fornendo contenuti teologici. In ciò attingendo e stimolando, fra
l'altro, le molteplici potenzialità presenti tra i membri delle nostre chiese.
D¡partimento teologico
L'Assemblea, nell'ambito di una ristrutturazione e di un rafforzamento
degli studi teologici battisti in Italia,
dà ampio mandato al Comitato esecutivo, di concerto con il Dipartimento teologico e le chiese, di predisporre per la prossima Assemblea ordina
ria un progetto di trasferimento della
sede del Dipartimento teologico nel
Sud Italia, perché possa nascere una
riflessione teologica che scaturisca da
un contesto vivo e problematico delle
regioni meridionali che riassume I problemi e le contraddizioni dell'intera società italiana.
Regolamenti
L'Assemblea generale, considerato
che il nuovo regolamento entra in vigore (sia pure sperimentalmente) subito mentre l'approvazione degli statuti delle singole istituzioni non potrà
avvenire almeno prima del 1992, incarica il Comitato esecutivo di:
a) presentare all’Assemblea generale per l’approvazione gli statuti delle
istituzioni, utilizzando le proposte provenienti dalle stesse, inquadrandole nella nuova regolamentazione, tenendo distinte la funzione « politica » da quella esecutiva, facendo in modo che a
istituzioni simili corrispondano situazioni normative omogenee;
b) nominare, nell'attesa, gli organi
responsabili delle diverse istituzioni,
sentito il parere delle chiese direttamente interessate ove è possibile.
Delibera di:
mantenere in via transitoria i regoiamenti e statuti provvisori delle istituzioni, il cui esercizio già fu autorizzato in via sperimentale dalle Assemblee generali precedenti, in quanto e se compatibiii con il regolamento
dell’UCEBI.
Basilea e Seoul
L'Assemblea generale battista, riunita a Santa Severa dal giorno 29.10.’90,
accogliendo i risultati delle convocazioni ecumeniche di Basilea e Seoul,
— sottoscrive i patti di alleanza
deH'Assemblea di Seoul assumendosene gli impegni,
— pone all’attenzione delle chiese
ii problema cruciale degli anni '90 che
vede nel confronto diretto tra riflessione teologica e modello economico
imperante il luogo dove la nostra testimonianza all'Evangelo diventa credibile.
16
16 assemblea battista e sinodo valdese-metodista
16 novembre 1990
L’Unione si amplia
{segue da pag. 1 )
sottolineando come « ...ribadendo la nostra fede nell’unico Principe della pace, Gesù Cristo Signore e
Salvatore, non accettiamo
la logica della guerra come risolutrice delle contraddizioni tra i popoli...;
condanniamo l’invasione
militare del Kuwait...; sottolineiamo l’ambiguità che
ha caratterizzato l’operato
dei governi occidentali... e
dell’Unione Sovietica... ».
L'Assemblea ha anche
deciso di inviare una lettera, alle autorità politiche,
di decisa protesta nei confronti del disegno di legge sulla libertà religiosa
che il Consiglio dei ministri ha approvato e che
prevede un'inaccettabile
concezione, per i battisti,
di rapporto fra Stato e
Chiesa.
Ma il momento teologicamente più rilevante dell'Assemblea si è avuto con
la discussione e definitiva
approvazione della Confessione di fede. Sei anni di
lavoro di commissioni, delle chiese, di diverse Assemblee ha prodotto infine la
prima Confessione eli fede dei battisti italiani. Un
canto ed una preghiera
Le chiese
e l'Italia
(segue da pag. 1)
Sapremo cogliere questa
occasione per sbilanciare
verso Sud l’asse vitale delle nostre chiese (e delle
nostre iniziative culturali,
come il settimanale), o resteremo sostanzialmente
fermi sulle posizioni dell’«Italia longobarda»? Spero molto che questo spostamento avvenga; non solo perché al Sud vivono i
3/4 degli altri evangelici,
ma perché è nel Sud che
si sta consumando la tragedia della nostra Italia:
qui dove la mafia spara e
la camorra corrompe, dove la miseria e la menzogna rischiano di vincere
e di trascinare tutto il paese verso ima tragica regressione. Proprio qui noi
possiamo, insieme, fare
qualcosa.
Giorgio Bouchard
hanno sottolineato questo
rilevante passaggio nella
vita deirUCEBI.
Appassionato dibattito e
conseguenti decisioni sono
state prese anche sul tema del ministero pastorale. Prendendo spunto dalla relazione del Comitato
esecutivo (C. E.) e dai numerosi interventi di delegati delle diverse chiese è
stata votata una mozione
che impegna il C. E. a predispoiTe un « piano di razionalÌ7.zazione delle sedi
pastorali » al fine di permettere un'omogenea cura
pastorale delle diverse
chiese. E' stato inoltre deciso uno studio, affidato ai
due Dipartimenti di teologia ed evangelizzazione, sul
I frutti dello Spirito
(segue da pag. 1)
documento riguarda il senso stesso dell’atto che abbiamo convenuto di chiamare « riconoscimento »;
questo atto, dice il documento, ha due momenti: è
innanzitutto un « atto di
fede », e poi un « atto di
discernimento ». Vorrei che
questi due momenti fossero chiaramente individuati nel loro oggetto. Nell’atto di fede riconosciamo la
grazia di Dio che ha operato; nell’atto di discernimento riconosciamo la risposta data da una persona o da una chiesa. Vi è
reciproco riconoscimento
non soltanto perché riconosciamo l’azione dello
Spirito, ma anche perché
la risposta che diamo nella predicazione, nel battesimo e nella cena, nel servizio, nella vita cristiana,
è largamente comune, tale da poter essere vicendevolmente accolta. Questo
accoglimento non è possibile tra tutte le chiese; tra
battisti, metodisti e valdesi è stato possibile, e ciò
ci consente di operare insieme, nella gratitudine al
Signore.
Bruno Rostagno
PRESA Di POSIZIONE
L'Italia delie stragi
Non è stato necessario avere un lungo dibattito in assemblea sull’incredibile e preoccupante vicenda emersa
recentemente circa la organizzazione « Gladio » che potrebbe fornire la chiave di tanti fatti delittuosi nella storia recente del nostro paese. L’indignazione è stata spontanea e il voto a larghissima maggioranza.
La XXXI Assemblea generale
deiruCEBI
denuncia che gravi elementi di
incostituzionalità sono venuti alla luce nelle ultime settimane,
grazie all'inchiesta del giudice
veneziano Casson;
Abbonamenti 1991
ITALIA
Ordinario annuale L. 46.000
Semestrale L. 25.000
Costo reale L. 70.000
Sostenitore annuale L. 85.000
ESTERO
Ordinario annuale L. 80.000
Ordinario (via aerea) L. 140.000
Sostenitore L. 150.000
Semestrale L. 45.000
Da versare sul c.c.p. n. 20936100 intestato a A.l ;P. - via Pio
V, 15 - 10125 Torino.
A chi si abbona per la prima volta, gratis ii settimanale
fino alla fine del 1990.
Chiedete tre copie saggio gratis telefonando al n. 011/
655278 o inviando un fax al n. 011/657542.
L'ECO DELLE VALLI VALDESI
Via Pio V n. 15 - 10125 Torino
tei. 011/ 655278 - fax 011/657542
Registrazione Tribunale di Pinerolo n. 175
Stampa Coop. Tipografica Subalpina - Torre Pellice
Resp. F. Giampiccoli
ritiene che sia indegno per una
democrazia costituzionale e per
i governi che si sono succeduti alla sua guida utilizzare le
strutture di potere politico-militare occulte, per fini estranei
a qualsiasi qualificazione costituzionale;
esprime una vibrata e forte
protesta per la delegittimazione subita dal Parlamento della
Repubblica italiana, il quale non
è stato messo nelle condizioni di esercitare in pieno il proprio potere sovrano.
Chiede il pieno conseguimento della verità storica sulla vicenda delle stragi terroristiche
che hanno sparso lutti nel nostro paese in passato, rispetto
alla quale sempre più gravi appaiono le connivenze di apparati dello Stato;
aùspica altresì che le determinazioni che seguiranno a livello delle nostre istituzioni
italiane siano congrue alla gravità dei fatti emersi.
LA CRISI DEL GOLFO
ruolo e sulla vocazione del
pastore nella società attuale, che sfocerà in un convegno nazionale dedicato a
questo tema.
La chiusura della prima
parte è avvenuta in un clima particolare. L'emozione e l'attesa per l'inizio
della seconda parte, che
prevedeva la sessione congiunta con il Sinodo delle
chiese valdesi e metodiste,
spingeva tutti i delegati a
lasciare Santa Severa con
la convinta speranza che
un momento importante,
fondamentale si andava a
realizzare non per la vanagloria degli uomini, ma
per la Gloria di Cristo Gesù.
Michele Campione
Non c’è pace senza
giustizia per i popoli
Una questione che suona come un avvertimento; l’assetto del Medio Oriente è una sfida per tutti i pacifisti
Com’era prevedibile, la « questione del Golfo » ha infiammato anche l’Assemblea battista. Non poteva essere
diversamente. Le chiese battiste, infatti, si sono qualificate in quest’ultimo decennio per un impegno costante,
chiaro, evangelicamente motivato per la pace e la giustizia. Ma i termini della questione erano relativamente
semplici.
Col « Ciolfo » tutto si è fatto più complicato. Intanto
per la difficoltà di comprendere un personaggio come
Saddam Hussein, che i mass media occidentali continuano a descrivere come tiranno sanguinario, mentre per le
masse dei diseredati arabi è un liberatore; poi per la
questione del \Kuwait stesso: si può scindere la figura
degli sceicchi, ricchi di petrodollari, da quella del popolo? Inoltre come non comprendere che, al di là di tutti i problemi che si presentano in superficie, sta dietro
la grossa questione di un giusto controllo delle fonti di
energia e di un loro equilibrato sfruttamento?
L’esplosione della « questione del Golfo » non è soltanto dovuta alle mire espansionistiche di un dittatore o
al delirio di una nazione, ma ha radici che vanno lontano, che affondano nella storia del passato; getta ombre
preoccupanti sul futuro. Comunque sarà risolta la questione del Golfo (e ognuno spera in modo pacifico)
essa oggi suona come un sinistro avvertimento. Il problema economico dello sfruttamento delle risorse energetiche, la tragedia infinita del popolo palestinese, l’assetto
politico del Medio Oriente, la convivenza pacifica di
razze, culture, religioni diverse costituiscono oggi unò
degli impegni prioritari delle chiese e dei movimenti per
la pace.
L'Assemblea dell'llnione cristiana evangeiica battista d'Itaiia, riunita a Santa Severa dai
29 ottobre 1990, ribadendo che,
in quanto credenti, abbiamo riposto la nostra fede nell’unico
Principe della pace, Gesù Cristo Signore e Salvatore, non
accettiamo la logica della guerra come risolutrice delle contraddizioni tra i popoli, ma al
contrario affermiamo che non
solo l'amore è più grande di
ogni odio, ma che non può esserci pace senza giustizia.
In questo senso vogliamo
confessare il nostro peccato in
quanto parte di una civiltà che
ha preteso di imporre una pace
senza giustizia, che non ha rispettato i diritti « della vedova, dell'orfano e dello straniero », che si è garantita uno
sviluppo economico sulla mancata ridistribuzione della ricchezza e delle risorse del creato, dinanzi al rischio sempre
più concreto di un nuovo conflitto militare che potrebbe estendersi dal Medio Oriente su
scala mondiale, l'Assemblea
condanna l'invasione militare
del Kuwait da parte dell'Iraq considerandola una aperta e gravissima violazione delle norme
della convivenza internazionale
e del diritto all'autodeterminazione;
sottolinea l’ambiguità che ha
caratterizzato l'operato dei governi occidentali i quali, da una
parte, sono i principali responsabili della creazione del dispositivo militare iracheno e, dall'altra, non accennando alla minima autocritica hanno avviato
una campagna militare ed ideologica che rende sempre più
remota la possibilità di una soluzione diplomatica del conflitto;
ribadisce che questa ambiguità di molti paesi occidentali.
a cui va affiancata quella delrURSS co.n la sua assistenza
e relative forniture militari, è
tanto più evidente se si confrontano le vicende del Gólfo
con quelle che nel passato e
nel presente vedono come vittime, ad esempio, il popolo palestinese o quello curdo;
ravvisa l'assenza della stessa
fermezza nei confronti di Israele, quando quest'ultimo occupò
i territori di Gaza e della Cisgiordania, e dello stesso Saddam Hussein, quando quest'ultimo era il principale alleato
arabo dell'occidente;
rifiuta fermamente l'idea di
una soluzione militare della crisi
e, riaffermando il primato della
politica, protesta contro l'invio
di forze militari italiane nel Golfo poiché contrario allo spirito di
pace della nostra Costituzione;
individua nelle questioni relative ai popoli senza terra, alla
democratizzazione del Medio
Oriente e, in questo quadro, all'esercizio del rispetto reciproco tra i praticanti le diverse
fedi monoteistiche, i nodi fondamentali da sciogliere per una
giusta riappacificazione;
chiede per quanto già detto il
rilascio degli ostaggi, il ritiro
delle truppe irachene dal Kuwait e di quelle straniere dall'area del Golfo, nonché l'apertura di una conferenza internazionale di pace sul Medio Oriente;
auspica una valorizzazione del
ruolo dell'ONU attraverso l'abolizione delia procedura del diritto di veto, e criticando lo
stato attuale di subalternità delle Nazioni Unite agli interessi
dei membri di diritto del Consiglio di Sicurezza, sostiene
tuttavia l’idea di una autorità
mondiale legittimata ad operare un controllo politico sulle
controversie di carattere militare, fondata sul principio della
pari dignità fra i membri della
comunità mondiale;
invita le chiese locali a promuovere iniziative pubbliche allo scopo di accrescere la consapevolezza dei rischi legati alio scoppio di una guerra dalle
conseguenze incalcolabili.
RINGRAZIAMENTO
« Gesù disse: Io sono la risurrezione e la vita; chi
crede in me, anche se muoia, vivrà ».
(Giovanni 11 ; 25)
La famiglia di
Silvio Long
pastore valdese emerito
ringrazia tutti coloro che hanno manifestato con scritti, presenza e parole di conforto il loro
affetto e la loro simpatia.
Un ringraziamento riconoscente ai pastori Paolo Ribet e Sergio Ribet, a Giorgio Baret e Anna Celli Di Gennaro e a chi gli
è stato vicino, in questi ultimi
mesi.
Asilo dei Vecchi,
S. Sermano Chisone, 6.11J990.
RINGRAZIAMENTO
c< Il Signore è il mio pastore, nulla mi mancherà »
(Salmo 23 : 1)
I familiari del caro
Paolo Cesare Fornerone
riconoscenti ringraziano il dott.
Rolfo. Un grazie particolare alla
USSL 44, ai medici e paramedici ed alla suora deirOspedale
civile di Pinerolo, reparto medicina, al pastore Langeneck, all’Amministrazione comunale e a
tutti coloro che con presenza,
scritti e fiori hanno partecipato
al loro dolore.
Prarostino, 16 novembre 1990.
RINGRAZIAMENTO
cc Ho combattuto il buon
combattimento^ ho finito la
corsUj ho serbata la fede »
(II Timoteo 4: 7)
I familiari della cara
Lidia Bertalot
in Bertalot
commossi per la grande dimostrazicwie di affetto, ringraziano
tutti coloro che hanno preso
parte al loro dolore.
Un ringraziamento particolare al dott. Broue, ai medici e al
personale dell’Ospedale valdese
di Pomaretto, al past. Ruben
Vinti, ai vicini di casa e ai
compagni di lavoro della Boge
Italia.
Pramollo, 16 novembre 1990.
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