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AnnoX —N. 5. II SERIE 15 Marzo 1801
LA BUONA NOVELLA
GIORNALE DELLA EVANGELIZZAZIONK ITALIANA
Seguendo la veritìi nella carità. — Efbs. VI. 15.
PREZZO DI ASSOCIAZIONE i LE ASSOCIAZIONI SI RICEVONO
Per tostato [franco a destinazione]____£. 3 00 : In Torino airUffizio del Giornale, via del Principe
Per la Svizzera e Francia, id........... „ 4 25 • Tommaso dietro il Tempio Yaldese.
Per ringhilterra, id................... „ 5 60 Nelle Pbovimcib per mezzo di franco-òolU
Per la Germania id..................... 6 50 ; itali, che dovranno essere inviati franco al Di
Non si ricevono associazioni per meno di un anno. ; rettore della Buona Novelli.
Airestero, a’seguenti indirizzi; Parigi, dalla libreria C.MeyrueÌB, me Rivoli;
Ginevra, dal signor E. Beroud libraio ; Inghilterra, dal signor G. F. Muller,
General Merchant, 26, Leadenhall Street. E. C.
SOMMARIO
Storia: Savonarola, J.— Meditazioru biblica: L'amor di pio. ^ Corriapondema fiorentina: XI —
Corrispondenza della Buona Koveìla: Napoli, 24 febbrajo 1861. — Genova, 7 Marzo 1861. — AV
tizie réligioie : Chiesa Valdese, Valle d’Aosta, Inghiltena, Irlanda.
STORIA
SAVONAROLA
La Storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi, narrata da Pasquale Villari con
l’aiuto di nuovi documenti. Voi. l.mo pagine 489. Firenze. F. Le Monnier 1869.
Il padre Vincenzo Marchese dei Predicatori, n&W'Arcìdvio storico
italiano (appendice n.° 25) faceva voti perchè il Savonarola “ rin“ venga finalmente uno storico grave, diligente, lontano da ogni
“ esorbitanza, e sinceramente cattolico; il quale, rimosse le impron“ titudini delle sètte politiche e religiose, ci dia le vere e maschie
“ sembianze di quel grande, che in tempi difficilissimi e corruttis“ simi conseguì una gloria, che l’onta del patibolo e quattro secoli
“ di calunnie non hanno potuto menomare. ” *
_ Fin qui, il Burlamacchi ( Vita del Savonarola. Lucca, 1764) e Gio-
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vanni Francesco Pico della Mirandola, autore anch’esso di una vita
del Savonarola, (V. 1 ediz. del Quétif. Parigi, 1674) sono stati la sorgente principale di tutti i biografi posteriori, i quali, qual più, qual
meno, li hanno copiati od imitati. Un dotto tedesco, Eudelbach, fu il
primo a dare alle stampe un lavoro più originale (Savonarola e il suo
tempo, Hamburg, 1835). La parte più importante del suo libro è quella
in cui prende ad esaminare il concetto filosofico e teologico del frate
di Fen’ara; ma egli vi si mostra troppo intento a cercare le idee protestanti. Un’anno dopo (1836), un’altro tedesco, il Meier, pubblicava
a Berlino una pregevolissima biografia di Savonarola. Egli fu il
primo che pubblicasse le poesie del Frate, il primo a servirsi e valutare l’importanza degli scritti di Fra Benedetto, suo amico e discepolo. Combatto vittoriosamente il Eudelbach, forte sostenitore di
quella opinione secondo la quale il Savonarola sarebbe, nel domma,
affatto concorde coi Riformatori : vorrebbe, almeno in parte, moderare le esagerazioni del suo connazionale. Il padre Marchese, nella
Storia di san Marco (Firenze, Le Monnier, 1855) e nàïArchivio,
ha fatto pazienti ricerche intorno alla vita e la morte del Frate. Egli
ha il pregio di avere con molta diligenza riordinata la Cronologia,
correggendo non pochi errori degli altri biografi. Nel 1853, il signor Perrens pubblicò un lavoro intitolato : Jérôme Savonarole, sa
vie, ses pì'édicatioìis et ses écrits (Paris et Turin). Egli è talvolta
inesatto e superficiale. Dopo aver dato il Savonarola per cattolico,
riporta nell’appendice un Capitolo del Eudelbach, come la vera
esposizione delle dottrine del Frate, senza riflettere che l’autorità del
Eudelbach, quando fosse valida, rovescerebbe la sua. Questi sono i
principali precessori del Villari, nella difficile impresa di stendere
la vita,di Fra Girolamo; e se non m’inganno a partito, il volume
pubblicato da Le Monnier è tale, per la profondità e l’acume, da
meritare il più splendido elogio e corrispondere al voto espresso dal
padre Marchese. Colla scorta dell’autore andremo notando le principali vicende della storia del Frate, persuaso che ai lettori della
Buona Novella non sarà discaro di aver trovato nel Villari una guida
sicura e piacevole in argomento così controverso.
Terzogenito di sette figli, Girolamo nacque in Ferrara il 21 settembre 14^2 da Niccolò Savonarola ed Elena dei Buonaccorsi di
Mantova. L’avolo Michele era un medico assai famoso della scuola
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Padovana, e s’era trasferito a Ferrara nel principio del s-ccolo XV,
dietro invito degli Este. Nella sna tenera età Girolamo nou era nè
bello nè ridente, ma serio e tranquillo ; nondimeno, non appena fu
uscito dalla fanciullezza, che verso di lui si rivolsero tutte le speranze
della famiglia, la quale sognava di farne un gran medico. Da quel
momento l’avo Michele rivolse al nipote tutte le sue cure pili affettuose ed il giovinetto, corrispondendo a quel paziente e tenero amore,
s’innamorava dello studio e dei libri quasi prima di poterli comprendere. Ma sfortunatamente Michele morì nel 1462, ed a Girolamo non
rimase altra guida che quella del padre, il quale prese ad in.segnargli
la filosofia nei libri di S. Tommaso d’Aquino e nei commenti arabi
sopra Aristotele. In questi stud] preparatorj il giovinetto si abbandonava con delizia, e rimaneva estatico a meditare i giorni inteii
sopra le opere delI’Aquinate che lo attiravano con una forza incredibile, talché con diflìcoltà potevano ricondurlo agli altri studj piiì
necessarj alla medicina. “ Così da un lato lo trasportava e chiamava
“ la natura della sua mente, da un’altro lo trattenevano i suoi geni“ tori; e già senza che alcuno se ne avvedesse, era cominciata quella
“ lotta che doveva piiì tardi decidere il suo avvenire e deludere le
“ speranze della famiglia. ” Lo feste, i sollazzi, il lusso sfolgorante
della Corte di Ferrara, l’indifferenza, la corruzione, il paganesimo
rinnovellato, la spiensierata allegrezza del popolo italiano, la tirannide trincerata iu tutte le città della penisola, produssero poi anche
»ma profonda impressione su quel giovane animo, e scossero fieramente il suo entusiasmo religioso. Fin d’allora, il suo cuore veniva
travagliato da passioni diverse e si trovava in guerra aperta col
mondo in cui viveva. Egli diventò tristo e solitario ; andava dimesso
e sconsolato, senza quasi mai parlare, dimagrava in modo visibile,
pregava sempre più fervidamente, passava lunghe ore nelle chiese e
digiunava di frequente. Immerso nella lettura della Bibbia e di
S. Tommaso, non pigliava riposo se non per sonare qualche mesta
melodia o sfogare in versi energici e semplici i dolori del suo cuore.
In quel tempo appunto un’amaro disinganno d’amore riempiva il
suo cuore di desolazione, e nel trovarsi nuovamente solo e da tutti
respinto, quand’era appena ventenne, egli cercò ove riparare l’animo
affaticato e stanco e si volse allora spotaneamente a Dio, a cui diceva
sempre nelle sue preghiere ; “ Signore, fammi nota la via per cui
deve camminare la mia anima. ” Nel 1474, ritrovandosi a Faenza, la
predica di un frate agostiniano diede l’ultimo crollo, e si decise irrevocabilmente di darsi alla vita claustrale. Il Villari ci narra in una,
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... 68 ...
pagina piena di affetto l'ultinie ore che il Savonarola passò in casa
dei genitori ;
“ Tornando a Ferrara, era per la via tutto lieto; ma quando mise
il piede sotto il tetto domestico, s’avì'ide che cominciava per lui una
prova durissima. Bisognava celare la sua deliberazione ai genitori ;
e la sua madre, quasi fosse consapevole di tutto, lo fissava con uno
sguardo che pareva volesse penetrargli il cuore, ed egli non ardiva
più guardarla in viso. Questa L tta durò un’anno, e più volte il Savonarola ue rammentò i supremi dolori; “ Se io avessi manifestato
“ il mio animo, egli diceva, io credo ehe il cuore mi sarebbe scop“ piato, e mi sarei rimosso dal proponimento già fatto. ” E fra gli
altri giorni, il 23 aprile 1475, il Savonarola sedutosi, prese in mano
il liuto e .suonò una canzone così mesta, che la madre, quasi mossa
da uno spirito di divinazione, rivolgendosi ad un tratto pietosamente
verso di lui, gli disse: “ Figliuolo mio, questo è segno di partenza. "
Egli allora si fece forza, e colla mano tremante continuò a toccare
il liuto, senza punto rimuovere gli occhi da terra ” (Villari p. 15).
L’indomani, 24 aprile, era il giorno di S. Giorgio. Approfittando
dcU’assenza dei genitori e degli altri membri della famiglia, il Savonarola si pose in viaggio per Bologna ove s’indirizzò al convento di
S. Domenico, e quivi fece un severo noviziato, “ a penitenza dei suoi
peccati. ” Appena fu egli solo, scrisse al padre una lettera assai affettuosa per consolarlo e rendergli ragione della sua decisione. Fra
le carte da lui lasciate a casa, il padre ritrovò uno scritto sul dispregio del mondo, notevolissimo per chiarire lo stato d’animo del giovane novizio. Fin d’allora egli prevedeva flagelli all’Italia e si trovava in lui il sentimento d’una straordinaria missione affidatagli da
Dio. Le mura del chiostro, separandolo dal mondo, gli avevano restituito una certa calma dello spirito, e pareva ch’egli allora non.
desiderasse altro che obbedire e pregare. Dimorò sette anni in Bologna, occupato deir insegnamento dei novizj al quale fu posto dapprima suo malgrado ; ma vi si piegò poi volonterosamente. A dispetto
però della sua ubbidienza ed umiltà, le tristi condizioni in cui versava la Chiesa, facevano una profonda impressione sul suo spirito
pieno di fede, d’impeto e d’ardore ; e l’animo suo ribolliva di sdegno
e concepiva pensieri strani ch’egli invano si adoperava a frenare. In
una canzone intitolata De Buina Ecclesia}, parlando di Roma, egli
la chiama una fallace, superba meretrice ed esce in questa parola
audace che rivela tutta la sua anima :
Se romper si patria quelle grandi ale !
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Sotto Paolo II e Sisto IV la corte ili Euina presentava, difatti, uw
quadro tristo e osceno, il quale, messo dinanzi ad un’anima così esaltata, doveva finalmente accendervi un fuoco inestinguibile, uno sdegno irrefrenabile. Si aggiunga poi lo stato delle cose politiche in
Italia! La libertà soffocata dalla tirannia d’infiniti signorotti, senza
energia nè certezza, era naturalmente nuovo fonte di dolore e di lamenti. Le frequenti congiure risultavano tutte a danno di chi le
tentava, nè facevano altro che peggiorare le sorti del j>opolo e ribadire le sue catene. In mezzo a quei fatti s’andava formando l’animo
del Savonarola. Egli disimpegnava da qualche tempo con molto ardore l’ufficio della predicazione, allorquando, nel 1482, andò a predicare in Ferrara, mandatovi dai superiori. Egli visse solitario e vide
assai poco i parenti per non ridestare affetti ancora vivi nel suo
cuore. D’altronde i suoi concittadini non fecero gran plauso al suo
predicare e in lui si verificò l’antico detto: Nemo propheta injMtria. In quell’anno medesimo si addensava soi)ra Ferrara una guerra
mossa daU’ambizione dei Veneziani e dal nepotismo vergognoso di
papa Sisto, — percui il Savonarola fu cacciato verso Firenze, ove
arrivò per la prima volta nel 1482 ed entrò nel convento di S. Marco.
Nei primi giorni egli sembrava inebriato di tutto ciò che vedeva nell’Atene italiana dove la natura e l’arte gareggiano di bellezza, ed
egli aprì nuovamente il suo cuore alla speranza.
Dominava allora in Firenze Lorenzo il Magnifico, uomo di perduti
costumi, dotato di sottile astuzia, pieno di prudenza e d’acume,
abilissimo nello spegnere i nemici, ardito e crudele quando gli
j'areva che l'opportunità lo permettesse. Per mantenere un dominio
ingiustamente acquistato da lui e da’suoi, egli sparse rivi di sangue,
espose a sacco l’infelicissima città di Volterra ; per sopperire alle
sue strabocchevoli spese rubò gli averi del comune e prese danari
dal monte delle fanciulle, per cui moltissime, rimaste senza dote si
diedero alla pessima vita ; “ nelle cose veneree maravigliosamente
involto, ” dice il Machiavelli, studiò di continuo con tutte le forze
e la capacità del suo animo alla rapida ed infernale corruzione del
popolo ; e i suoi laidi Canti Carnascialeschi gli davano fama, presso
i contemporanei avviliti, d’ingegno nobilissimo e superiore al Dante!
Egli secondò il secolo in tutte le sue tendenze ; di corrotto che era
lo fece corrottissimo, spingendolo a ciò per tutte le vie, ubbriacando
e addormentando il popolo con vane apparenze di libertà. Vero è
ch’egli aveva un gusto squisito per le belle arti, e che a’ suoi temj)i
la cultura classica era universalmente diffusa. Ma non esisteva iiis-
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suno sentimento morale ; solo regnava una fredda indifferenza per
ogni principio; e sulle labbra di tutti avresti veduto spuntare il
sorriso della superiorità e della compassione quando vedevano sorgere qualche entusiasmo per le idee nobili e generose. La cultura
intellettuale ^rasi ridotta ad erudizione ed a fredda imitazione degli
autori pagani ; e le stesse belle arti avevano perduto i concetti arditi
ed universali delle precedenti età.
La universale mancanza di principii e di fede in quei tristissimi
tempi fece di nuovo rientrare il Savonarola in sè stesso e lo disgustò
fieramente. Egli cominciò a nutrire nell’animo un certo sdegno e
quasi disprezzo per tutti gli eruditi, letterali e filosofi, dai quali lo
separava una diversità d’indole profonda ed irreconciliabile. In lui
l’impeto gereroso del cuore moveva i pensieri stessi della mente ;
nel suo predicare egli era ruvido e negletto ; fulminava i vizi e la
poca religione del clero e dei secolari, condannava lo strano fanatismo per gli antichi e non voleva citare altro libro che la Bibbia,
la quale pochi volevano leggere, per non guastarsi lo stile ! Così avvenne che nella chiesa di S. Lorenzo, ove predicava nel 1483, non
ebbe mai più di venticinque uditori, mentre a S. Spirito, un tale frà
Mariano di Glennazzano attirava una folla immensa colla canora
voce, le grandi sentenze, le parole elette e lo strascico dei periodi,
Savonarola era persuaso con ragione che la eleganza di parole deve
cedere innanzi alla semplicità del predicare sana dottrina, e non fu
umiliato dal trionfo di un tale emulo. Non essendo però indiflerente
alla freddezza con cui veniva accolto, egli pensò un momento di
lasciare il pergamo per darsi tutto all’insegnamento; ma il suo
impeto naturale fu più forte del suo scoraggiamento ; la sua fantasia già si popolava di molte e diverse visioni e s’andava esercitando
su quelle del Vecchio Testamento e dell’Apocalisse, nelle quali egli
raffigurava le sventure dell’Italia e della Chiesa, mentre esse ne
simboleggiavano la futura rigenerazione per opera sua.
{ continua )
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meditazionp: biblica
L AMOR M DIO
Come il Padre mi ha amato, io altiosì ho amato voi
Giov. xv, 9.
Non è forse questo il più stui>endo versetto che trovisi nella Bibbia ? Chi mai potrà scrutare la profonda incommensurabilità dell’amore che, da tutta l’eternità, era nel seno del Padre per il Figlio delle
sue compiacenze? Eppure si è questo l’amore che serve di comparazione al Salvatore quando vuole esprimere la sua tenerezza per il
popolo suo !
Nulla havvi di più misterioso che la mistica comunione esistente
tra la prima e la seconda, persona dell’adorabile Trinità, sin dall’eternità, prima della creazione del mondo. La Scrittura su tal punto
non ci dà che oscure e vaghe rivelazioni — deboli raggi di luce —,
ma che devono bastarci “ Io era appo Ini come un allievo, ci dice la
Parola increata, ed era le sue delizie tutto dì, io mi sollazzava in
ogni tempo nel smo cospetto. ”
Ci è noto che le nostre terrene affezioni sono suscettibili di accrescimento in profondità ed in intensità: la grandezza dell’amicizia di
jeri non è ancora ciò che essa potrà divenire, quando sarà stata consacrata e maturata per molti anni, dai mutui rapporti. Ebbene se ci
è permesso di applicare, senza mancar di riverenza questa regola al
tipo il più sublime della più santa tra le affezioni, che sarà dùnque
mai questo vicendevole amore del Padre e del Figlio, che si perde
nei giorni senza principio e senza fine deH’eternità ? Questo amore
che non è come il nostro, capriccioso, passaggero, vacillante, soggetto a mille instabilità, ma che è al contrario puro, immutabile, e
senz’ombra di cangiamento ? Eppure udite ciò che Gesù ci dice :
“ Come il Padre mi ha amato, io altresì ho amato voi. ”
Certamente se egli ci avesse detto: “ Come il Padre mio ha amato
gli Angioli, così io amo voi, ” ciò sarebbe stato già ben più di quello
che noi avremmo potuto attenderci ; ma il vero simbolo dell’amore
non poteva essere che un amore infinito ; e questo amore esisteva
ben prima che i giorni e i mondi non fossero creati. L’amor del Padre, e l’amor suo pei peccatori: ecco i due soggetti della gioja eterna
del Salvatore.
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Affine poi di compiere l’immagine che ci offre questo passo della
Scrittura, diamo uno sguardo alla descrizione dell’amor del Padre
per noi: “ Per questo mi ama il Padre, dice altrove Gesù, perciocché io dono la mia vita! ” Dio possedea in sè stesso l’amore intiero e perfetto, e non avea bisogno dell’amore delle sue creature per
aggiugnere alla propria gloria e felicità cosa alcuna; eppure sembra
ch’ei ci dica che l’amor suo per noi è sì intenso, che ama ancor più
il dilettissimo Figlio suo (se un amore infinito è suscettibile di accrescimento), per ciò solo che diede la vita pei colpevoli figli di Adamo! E si è appunto parlando dei redenti che fu detto: “ JEgli si
riposerà nelVamor suo;—si rallegrerà in essi col canto del trionfo.”
E per vero, questa espressione: Dio è amore, ci fu sovrabbondantemente provata, e ormai non ci è più possibile il considerare l’amore
come un’astratta perfezione della natura divina. “ Da questo, ci dice
un’apostolo, noi conoscemmo la carità, perchè egli diede la vita
per noi. ”
Dopo questa prova della tenerezza di Gesù, non possiamo più stupire alla vista di molte altre ancora. Oh! quanto sono deboli le nostre
più tenere affezioni a fronte di quella ch’egli ci dimostrò ! l’amor
nostro non si è che un riflesso ben pallido di quello di Dio ; esso è
freddo come il raggio della luna, paragonato a quei del sole. — Ci
rifiuteremo noi dunque ad amare Colui che ci ha amati pel primo,
e che ci ha tanto amati ?
Giammai uomo parlò come quest’uomo !
CORRISPONDENZA FIORENTINA
XI
Firenze, 8 Marzo 1861
Amico carissimo,
Vi dissi altra volta esser mio desiderio che i preti nostri si svegliassero,
essermi buon augurio che da qualcuno di loro si fosse cominciato a mostrar
d’accorgersi che un movimento religioso in Firenze da parecchi anni pure
esiste, e vi sono (e sempre ne cresce il numero) persone le quali non vogliono più preti, nè Chiesa, così detta, cattolica, ma però sentono il bisogno
di adorare o pregare Dio. Ora mi pare di aver ottenuto la grazia di S. Prospero, che chiese un canchero e n’ebbo due, come dice il proverbie toscano.
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Da qualche settimana in poi è una vera crociata (a parole, ben inteso !) dei
preti, e dei predicatori contro il protestantismo, e contro gli evangelici : e
mi par divenuta oramai cosa di tanto rilievo, che interrotta la mia solita
corrispondenza, quasi direi, teoretica sui nostri bisogni religiosi, mi accingo
a parlarvi di questi fatti.
T preti dunque hanno evidentemente formato una lega fra loro, si son
dati l’intesa per cominciare una guerra
E non con saracin, nò con giudei,
Chè ciascun loro nemico è pur cristiano,
lo scopo della quale è questo: Oramai l’Italia si f;i, i principini amici nostri
non vengono più, Koma vien reclamata altamente dalle convenienze nazionali per essere la metropoli del nuovo regno d’Italia : ma dovremo noi darci
per vinti ? Dovremo noi deporre le armi, mentre ancora godiamo (un po’ è
vero, un po’ se lo esagerano per la loro incredibile ignoranza degli uomini
e delle cose) una grande autorità, abbiamo il sacro Pergamo, e il sacro Tribunale di penitenza a nostra disposizione, e tante mogli e tante mamme
dalla nostra. E poi ci sono tutti i codini, e poi i malcontenti per ambizione
delusa, per interesse non appagato, insomma possiamo far gente, e forse,
chi sa ? le circostanze son tante ! la vitalità del cattolicismo romano così
tenace, i bisogni a cui corrisponde così potenti nella natura umana, che si
potrebbe anche dare il caso di un ritorno al potere : e se torniamo ! — Ma
bisogna andare per benino. Non son più i tempi che Berta filava: le carote
ehe piantarono i nostri proavi, ed anche i padri nostri, nel terreno guasto
e dissegato dalla filosofia che è passata oramai irreparabilmente allo stato
di opinion pubblica, non verrebbero a bene: nullum numen abest si sii prudentia, occhio dunque alla penna.
« Eccolo il modo », esclamò in una congrega nera di lucerne, di cocolle
e di mitre, uno più nero degli altri, una specie di Satana fra i demoni minori, « diamo addosso al protestantismo, diciamone di tutti i colori, mostriamo i protestanti asini, birbanti, poltroni, menzogneri, e, bisognando,
ladri. 0 alle nostre declamazioni furiose non si risente nessuno, e noi bel
bello dai protestanti passeremo ai liberali, e cominceremo a mostrare dal
pulpito qualche pezzetto di coda, o qualche lembo della bandiera gialla e
nera ; fuor di chiesa naturalmente qualcuno ci ajuterà, e chi sa che nou
possa nascere qualche bella baraonda, formarsi qualche palude da chiappare
anguille, o almeno una pozzanghera da prender ranocchi; o i protestanti si
risentiranno, faranno chiasso, si mostreranno in numero, e allora sì che il
trionfo è probabile più che mai; noi potremo dire all’Italia, anzi all’EuTopa: Vedete a che riescono tutte le spampanato dei liberali? Alla mina
delia religione ! Come se non bastassero i mali de' quali è stata, ed è an-
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cora afflitta questa povera Italia: anche lo scisma religioso! miseri noi! ” —
E con quel tuono medesimo col quale gl’inquisitori compiangevano le vittime da loro condannate al fuoco, o alla tanaglia, seguitò quel cotale : —
“ Tempi infelici, nei quali il male vien chiamato bene, e il bene male, e la
Religione di Cristo ne’ suoi ministri vien conculcata, e il rappresentante di
Cristo è abbeverato di fiele ”—pel resto, vedile pastorali de’ Vescovi d’OrIcans e Poitiers—“ Quando poi avremo strillato e pianto assai in quel tuono,
mostreremo che il Papato 6 la sola vera gloria, la sola felicità vera dell’ Italia, andremo spigolando nelle opere del Ventura e del Gioberti (senza
rammentarli però, specialmente quest’ultimo) tutti i migliori squarci che
faranno per noi, che recitati poi colla debita prosopopea del pulpito ad
una numerosa udienza, produrranno certamente l’effetto. E se possiamo
persuadere alla gente che il movimento italiano è essenziahnento irreligioso,
che la politica è un pretesto ed un mezzo, che tutti i liberali, cominciando
da Vittorio Emmanuele (badiamo bene, per ora, di non nominarlo !) sono
scomunicati, scismatici, eretici dannati, siamo a cavallo ». —
Non aspettar già l'alme a Din rubelle.
Che fosser queste voci al fin condotte.
Ma fuor volando a riveder le stelle.
Già se n'uscian dalla profonda notte :
E dispiegando in varj lati i vanni
Incominciaro a fabbricare inganni.
La prima lancia la spezzò un certo frate Sensi che nella Chiesa la quale
era già parrocchiale della Corte, ed è ancora di molti codini (il posto fu
scelto sapientemente) ; Chiesa innanzi alla quale è una piazzetta su cui sorge
una colonna ivi eretta in memoria d’una strage di Paterini (1) circa al 1250
(il luogo fu scolto sapientissimamente) in Santa Felicita, dico, il caro Sensi
cominciò ad abbajare contro i Protestanti.
(1) » Giunta al colmo l’insolenza dei Paterini ed occupati i principali posti della
città, si venne a formai battaglia. Frà l'ietro da Verona di età piuttosto giovane, e
di corporatura alta e robusta, portando in mano una bandiera bianca con croce rossa
(stendardo che si conserva tuttora tra le reliquie nella sagrestia di S. Maria Novella,
e si mostra al popolo ogni anno il dì 29 aprile, giorno della festa del santo) precedeva le truppe de’ crocesignati, animandoli nel tempo del combattimento con la
sua solita possente eloquenza. Le due celebri giornate, in cui gli eretici furono sconfitti e messi in fuga fuori della città, furono quelle di Trebbio, e di Santa Felicita.
Il nostro Arcivesco S. Antonino ne ha lasciata nelle croniche distinta memoria :
Ceriamen itaque invicem ineuntes CatkoUci ìtcereticos superarmi ultra Ami ftuvium, in platea Sancla- Felicitatis, .. . eoaque de cidtate egredi compuUrunt. Le due colonne che si
vedono al pubblico, una sulla Piazza della Chiesa di S. Felicita, e l’altra al Trebbio, servono a constatarci la verità di questi fatti ». (Osservatore Fiorentino)
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Accadde però che nel suo uditorio si trovava un giovane valdese per
nome Cesare Gai, che non potendosi contenere a quelle indegnità così sbordellate, parlò apertamente contro il Sensi, e dalluditorio ignorante o retrogrado, fanatizzato per le parole del frate, venne percosso. Vittoria, vantarono i preti e i codini! e uno di costoro, o da costoro, inconsapevole,
mandato, riferì ai Compilatori della Gazzetta del Popolo (accreditato e simpatico giornale che si stampa dal Le Monnier) come qualmente un cerio
Gai, cangiando la Chiesa in una palestra accademica, si era fatto ardito di
mostrare al frate, mentre predicava, la Bibbia, ed esclamare, li in mezzo di
Chiesa : Questa è la verità, questa sola è la verità. “ Il popolo, segue a
dire il giornale citato, giustamente se ne sdegnò, e trasse a viva forza di
Chiesa l’intollerante ascoltatore, il quale sarebbe mal capitato, se non se
ue fossero assicurati alcune guardie di pubblica sicurezza, e non lo avessero tradotto nelle pubbliche carceri. ” — Vengono poi parole di forte disapprovazione contro il Gai, che si arriva quasi a chiamare fanatico e agente
perturbatore.
Ai preti, sebbene l’articolo non sia punto pretofilo o religioso, parve d'aver toccato il cielo col dito, e menavano vanto dicendo (lo so da fededegno) :
vedete questi protestanti ! Neppure i liberali li possou sofl'rire. Canaglia !
8e hanno tanta smania di predicare le loro dottrine, e di far chiasso, perchè non vanno là fra gl'infedeli, o fra i turchi? Faranno forse un po' di
bene : ma qui non si vogliono; siamo tutti cristiani, costoro non ci hanno
che far nulla.
Così disse un prete, così forse pensavano tutti, e gongolavano; ma avevan fatto i conti avanti l’oste ; non si erano accorti che ora ogni bugia può
essere smentita, ogni impostura smascherata, ogni esagerazione rettificata,
e ridotta alla giusta misura.
Venti giorni dopo, esaminati con tutta esattezza i fatti fu scritto un articolo nella Gazzetta medesima (V. Gazzetta del Pojiolo. 28 febbraio 1861)
il quale cambiava intieramente l’aspetto dell'imprudenza del Gai. Non dentro la Chiesa, nè in tempo di prtidiea, ma escendo, egli aveva mostrato ad
una signora che diceva male dei Protestanti, e prendeva di mira, come assurdità, la pretensione buifa, a dir suo, che hanno i Protestanti di essere
tutti sacerdoti, aveva mostrato, dico, a costei un Nuovo Testamento dicendo : “ Eppure è così, e questa è la Parola di Dio dove sta scritto, e
posso provarlo. ”
« A que.ste parole, alcuni che erano presso la signora sì fecero intorno,
anzi addosso al povero evangelico, e lo cacciarono verso la porta. Il Gai,
non per se, ma per amor della causa, volle resistere, e si voltò indietro alzando la mano col suo Nuovo Testamento, ma poco mancò che non gli accadesse come a Gracco, a quel liberale antico, quando oppresso dalla mol
titudine si mise la mano sul capo ; quell’atto ii'ritò di più la folla ehe gri-
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dando : “ Protestante, Protestante ” lo cacciò e lo strascinò fino in mcEzo la
piazza. E li due guardie di pubblica sicurezza arrestarono l’incauto propugnatore dell’Evangelo. E siccome le ingiurie e gli urtoni de' riscaldati dal
frate Sensi continuavano, il Gai, prendendo forza e coraggio dagli strapazzi,
si voltò a quelli sciaurati (che se fosse stata lì una catasta, ce lo avrebbero
messo, e legato, e poi ci avrebbero appiccato il fuoco), e mostrando di nuovo
il Vangelo gridò le parole che venne poi detto a torto aver pronunziate in
Chiesa, nel tempo della predica : « Si, questa e’ la verità’, questa sola
e' la verità’». — Condotto alle Murate, esaminato regolarmente, trattato
per vero dire con giustizia ed urbanità, fu il Gai ben presto rilasciato libero.
Questo è il fatto, e l’estensore deU'articolo, dopo averlo narrato, ne cavava per conseguenza legittima che se il Gai era stato imprudente, il Sensi
era stato reo, facendo appello alle più ignobili passioni, e riscaldando in
snodo gli uditori da farli pronti non già al perdono, all’amore, alla carità,
ma alla persecuzione, all’odio all’intolleranza : onde, bene aveva scritto il
gran Niccolini nell’Arnaldo da Brescia che nel libro deU’amore, per opera
de’ proti, s’impara l’odio.
Così è finita la cosa, e per questa volta il frate n’è andato di sotto. Speriamo andrà sempre più giù in avvenire. Intanto segue la missione villana,
per non dir altro, contro i Protestanti in quasi tutte le chiese ; e so che nel
Duomo, e nella chiesa di Castello son accaduti tafi’erugli ; ma siccome non
ho potuto ancora appurar bene le cose, non ve ne scrivo. Sarà per quest’altra volta. Vi racconterò pure un saporito dialogo che due evangelici
ebbero col frate Sensi suddetto, essendo andati da lui por avere una nota
esatta delle mutilazioni portate dai Protestanti, diceva egli, alla Bibbia.
CORRISPONDENZA DELLA B. NOVELLA
Napoli, 23 Febbraio 1861.
Carissimo signore e fratello.
Desiderando che tutto ciò che qui in Napoli si opera per la diffusione del
vero e primitivo Cristianesimo fosse conosciuto da tutt’ i fratelli veramente
cristiani, che sono in Italia ed altrov«, mi prendo la licenza d'indirizzarle
questo mio foglio, pregandola di pubblicarlo (qualora Ella lo stimerà opportuno) nel suo accreditato giornale dell’Evangelizzazione italiana La Buona
Novella.
Se l'oppressione e hi tirannide, sotto le quali sono state queste parti me-
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ridionali d’Italia, me l'avessero prima permesso, io Dii sarei da più tempo
rivolto a lei per renderla consapevole delle mie disposizioni religiose, e per
mezzo del suo giornale manifestarle a tutto il mondo. E veramente sono
decorsi più anni da che io fui, come Io sono tuttavia, profondamente convinto e persuaso che la Chiesa Cattolico-Komana non è la vera Chiesa del
benedetto Gesù Cristo, unico e solo Mediatore tra Dio e gli uomini. Io co
nosco assai bene che la conoscenza del vero impone grandi doveri a coloro
cui Dio si 6 degnato di manifestarlo, e tra gli altri quello di professarlo
francamente, e di diffonderlo per quanto più è possibile. A me però sotto il
già distrutto borbonico governo non fu dato mettere in esecuzione tutto
questo. E come difatti riuscire nell’intento, se schiava era la parola, schiava
la stampa, e si faceva ogni sforzo per rendere schiavo lo stesso pensiero ?
Ora che quei tempi di errore sono spariti per sempre, non avrei più motivo
di discolpa alcuna se continuassi nel mio silenzio, e mi appagassi soltanto
a gelosamente custodire il prezioso dono fattomi dal misericordioso Gesù,
con darmi la conoscenza della sua vera dottrina. Sì, il silenzio sarebbe ormai per me una gravissima colpa, e quindi io alzo liberamente la voce e
confesso all’intero universo, che quantunque io sia stato educato nelle dottrine cattolico-romane, quantunque io sia stato innalzato al grado di sacerdote nel senso cattolico-romano, io più non appartengo alla communionc
della Chiesa del Papa, per non partecipare alle sue superstizioni, alle sue
idolatrie, alle sue imposture, a’ suoi traffichi ed alla sua apostasia dalla vera
dottrina di Gesù Cristo. La mia professione di fede io l’ho fatta qui in Napoli nella sala, dove fa le sue riunioni evangeliche il sig. Cresi, cui sarò
sempre grato di avermi permesso di sostituirlo per una volta nel suo ministero. Il sermone, eh’ io feci, e nel quale inserii la mia professione di fede,
si aggirava tutto a dimostrare che Gesù Cristo, Uomo-Dio, è il nostro
vero ed unico Salvatore e Mediatore, ritenendo per base unica ed assoluta del domma e della morale ]a Bibbia, tutta la Bibbia, e non altro che
la Bibbia, nella quale è la pura verità, e tutta la verità. Bando quindi alla
tradizione, come ancora bando all’intercessione della Madonna e de’ Santi,
bando al culto delle immagini, alle indulgenze, alla confessione auricolare,
al purgatorio ecc. Tra gli uditori che mi onorarono della loro presenza, e
del loro compatimento, vi fu ancora il celebre Padre Alessandro Gavazzi.
Profitto della menzione che qui ne ho fatta per ringraziarlo pubblicamente
di avermi ammesso nel novero de’ suoi più confidenti ed intimi amici. Il
mio cuore sente pure il dovere di manifestare a tutti che a’ Pastori signor Giorgio Appia, T. Roller ed al Dottore inglese sig. Roberto Strange
io debbo infinita gratitudine, e riconoscenza. H nostro Gesù si degni rimeritarli di quanto hanno fatto a mio riguardo ! Ritornando ora al Gavazzi
dico ch’Egli è qui tutto intento a propagare il vero Evangelo. La sua maravigliosa eloquenza, il suo genio, le sue profonde e varie conoscenze, e
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specialmente la grazia e la misericordia di G-esù Cristo attirano a' suoi sermoni molti uditori, tra i quali ho veduto assiduamente buon numero di
preti. In ciascuna settimana egli, da due mesi, predica quattro volte, e spesso
la sala non è sufficiente a contenere quelli che intervengono per essere
ammaestrati nella verità del primitivo Cristianesimo. Non vi ha esagerazione alcuna nel mio linguaggio, e sfido tutta la popolata Napoli a smentirmi. Io qui mi rivolgo a tutt’ i seguaci della vera dottrina della Bibbia, e
li esorto (come S. Paolo suggeriva agli Efesi, nel capo sesto, v. 19 della
lettera a loro indirizzata) a pregare fervorosamente Iddio acciocché si degni
concedere al P. Gavazzi, a tutt’ i pastori e ministri ed anche a me, che mi
sono consacrato alla vera Evangelizzazione, la grazia di poter parlare francamente, per far conoscere con libertà il misterio dell’Evangelo.
Qui dunque la predicazione evangelica progredisce. Rallegriamoci, carissimo ed amato fratello in Gesù Cristo, di quanto Iddio opera in queste
meridionali parti d’Italia, mediante gli Evangelizzatori, e teniamo ferma la
speranza di vedere la nostra bella Italia rigenerata cosi civilmente e politimente come ancora religiosamente.
Rinnovandole la preghiera di pubblicare quanto le ho scritto, ho l’onore
di essere: ^
Suo umiliss. servo e cristiano fratello
Vincenzo Calfa ex Sacerdote
AL DIRETTORE DELLA BUONA NOVELLA
Ponte Carignano n. 9 — Genova 7 Marzo 1861
St.““ Signore e fratello in G. C.
Ho letto questa mattina nell’ Evangelical Chrìstendom una corrispondenza di Firenze, del signor M’DougaU, dalla quale apprendo ehe si stanno
pubblicando in Firenze alcuni nìiei Trattati, cioè — Il primato del Papa,
la Confessione, il Celibato dei preti. — Finché Fautore è vivo, le leggi del
nostro paese sulla proprietà letteraria, e le convenienze che si debbono usare
fra uomini onesti, vietano la riproduzione di scritti senza il consenso dell’autore. Io non avrei forse reclamato, se non si trattasse di un Trattato che
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nou posso permettere che aia ristampato col mio nome, e questo è il Trattato sul Celibato dei preti. Voi mi domandaste stamparlo, ed io vi negai il
permesso, fino a che non lo avessi rifatto. Vi sono in quel Trattato delle
cose che non solo oggi non sosterrei più , ma che uno studio più accurato
della Parola mi ha fatto conoscere essere false ; quindi non posso permettere
che quel Trattato sia ristampato in mio nome.
Vi prego dunque pubblicare nella Buona Novella- questa mia protesta; e
prego i Direttori de’ giornali evangelici di annunziare che io non riconosco
e non autorizzo la riproduisione di quel Trattato.
Ed aflinahè il pubblico possa avere quel Trattato come si deve, mi propongo di rifonderlo al più presto che mi sarà possibile, e vi pregherò di
ripubblicarlo nella Tipografia Claudiana, sotto la mia responsabilità.
Aggradite gli attestati della mia stima
vostro servo e fratello
Tj. Dr Sanctis
NOTIZIE RELIGIOSE
Chiesa Valdese — Due mioi-e stazioni. — Due nuove stazioni di evangelizzazione vennero teste stabilite dalla Chiesa Valdese ; una in Milano,
avendo a capo il sig. Ministro 0. Cocorda, e l’altra a Palermo affidata allo
zelo del caro nostro fratello il sig. Ministro Appia.
Valle d’Aosta — Progressi consolanti. — « Pare che l’Evangelo voglia
mettere profonde radici nel villaggio di B.....La penultima domenica es
sendomici recato, vi predicai l’Evangclo a più di 80 persone che mi scongiurarono di ritornarvi quanto prima. Il povero curato non potè ad onta di
tutti i suoi sforzi trattenere i suoi parrocchiani dal venire ascoltare la Parola di Dio, percui la susseguente domenica dopo i graziosi epiteti di canaglie, di demonii regalati dal pulpito ai lettori dell’ Evangelo, egli terminò
esternando l’ardente suo desiderio di vedere il villaggio di B.....fatto preda
delle fiamme o dell’inondazione piuttosto che convertito alla predicazione
dei sedicenti evangelici !... Questi progressi del regno di Dio hanno por
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effetto di ravvivare tutta la rabbia dei preti valdostani contro l'Evangelo ;
per cui non havvi calunnia, nè mezzo qualunque per immorale che sia cui
non ricorrano allo scopo di nuocerci. Ma il Signore regna e darà libero
corso alla sua Parola ancora fra noi ». (da lettera)
Inguilterba — Adunanze dette della mezzanotte. — Quest’opera, il di
cui scopo è di ricondurre nella via del bene le donne traviate, proseguesi a
Londra con energia e gran successo. Da un anno a questa parte oltre 500
di queste infelici sono state o restituite alle lor famiglie, o maritate, o
poste in grado dì campare la vita in modo onorato. Il numero di quelle fra
loro che si possono ritenere come veramente convertite a Dio e camminando di piè fermo n«Ue vie deUa salvezza è anche considerevole. In parecchie altre grandi città del Eegno-Unito opere consimili sono state intraprese
o oyunque coronate dai successi i più consolanti.
Irlanda — Progressi dell’Evangelizzazione. — Una lettera scritta dalla
signorina Wathely di Dublino contiene ragguagli interessantissimi, intorno
ai successi della missione della Chiesa Anglicana fra i Cattolici romani. —
H numero di coloro che dipartonsi apertamente dalla Chiesa romana va
crescendo di giorno in giorno ; tuttavia egli è piccolo posto in confronto con
coloro ehe trovansi sotto l’influsso dell’Evangelo. Importa di porre mente
che coloro, fra gl’irlandesi, che al loro giungere in America si uniscono
alle chiese evangeliche, hanno attinto in patria le prime impressioni l’eligiose. Ed il numero di costoro è così grande ehe convien credere parecchi
fra loro aver lasciato l’Irlanda, col fermo proponimento di lasciare del pari
la Chiesa in cui sono nati......La stessa lettera c’informa che in una delle
contee dell’Ovest dove, anni sono, non trovavansi che due congregazioni
evangeliche, ora se ne annoverano vent’otto, parecchie delle quali di più
centinaja di membri. Le Missioni provvedono, in varie parti d’Irlanda, al
mantenimento di 76 scuole, frequentate da circa 4,000 bambini.
(Bullettin dii Monde Chrétien)
Woigt Giovanni gerente
TORINO — Tipofrrafia CLAUDT.4.NA, tiii-etta (In R. Trombettii.