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Anno 117 < N. 29
17 luglio 1981 - L. 300
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SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
VERSO IL SINODO
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L’argomento del giorno è stato quello della chiusura della
Borsa. Ne abbiamo letto di tutti
i colori, fino al punto di rievocare Caporetto.
Ma, Caporetto a parte, il panico di oggi che ha provocato l’ordine più o meno coraggioso del
ministro Andreatta di porre il
catenaccio alla porta delle Borse
da cosa trae origine?
Perché non avere il coraggio
di chiamare pane il pane e vino
il vino?
Giochi più o meno occulti di
potere e di interessi sono stati
tollerati, l’uno dopo l’altro da tutta una serie di governi, con una
permissività che a volte ha avuto dello sbalorditivo.
Si è così tollerato — ad esempio — che lo sprovveduto risparmiatore, goloso di veder miracolosamente moltiplicato il suo piccolo gruzzolo frutto di sudata
fatica, venisse imbonito da funzionari più o meno preparati di
organismi finanziari, che solo nel
loro lucro trovano la ragion di
essere, per l’acquisto di titoli
azionari, che incrementavano il
loro valore. Questi risparmiatori, in gergo bancario, hanno un
nome : « parco buoi ». È facile
dar loro il fieno della credulità;
ci si buttano sopra e mangiano!
Poi qualche fatto apparentemente estraneo provoca il primo disorientamento, successivamente il panico. I buoi si trasformano allora in bufali ed arriva la
carica.
Questo panico è sempre frutto
di speculazione e la speculazione
è parola che fa a pugni con il
lecito. Quali sono state le cause
che hanno acceso il fuoco dell’immorale sul quale si sono poi innestati quegli altri giochi non
morali di cui ho già detto?
È il 20 maggio: giunge in Borsa, a trattazioni appena iniziate,
la notizia dell’arresto del Presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, nonché di Carlo Bonomi, nome ai vertici del regno
della finanza. Perplessità, sgomento e poi comincia l’azione
« camomilla » per calmare il nervosismo. Gruppi finanziari con
pochi scrupoli e molti denari cominciano ad innalzare, con poderosi acquisti di azioni, la cortina fumogena sul traumatico fatto Calvi-Bonomi che ha per piedistallo il caso P 2. E cosi fino al
giorno 10 del mese di giugno,
quando con la ripresa del processo a Calvi & C., cominciano
a delinearsi circostanze non tranquillizzanti sulla regolarità (vogliamo meglio chiamarla onestà
o moralità ) di quanto è realmente accaduto dietro le quinte.
Ed il parco buoi comincia a
capire che il gioco si inverte;
non più acquisti « politici » per
illudere la buona gente che la
Borsa è in rialzo, ma lo scricchiolio di qualche finanziaria e
la raffica ribassistica del valore
delle azioni.
Di conseguenza il panico aumenta, il ribasso dei valori è
inarrestabile, le grandi banche
ora stanno a guardare e, finalmente, l’8 luglio si arriva alla
decisione di chiudere la Borsa.
lia storia sembra, per ora, finire qui, ma vorremmo che da qui
iniziasse un nuovo tempo: quello
del coraggio di un governo in
cui la forza laica trova il gusto
di attuare la lotta che ha promesso sarà la base e la giustificazione del suo esistere, cioè che
dopo tanta attesa la parola « moralità » abbia un vero significato.
Ugo Zeni
L'impegno del governo per l'Intesa
Il Presiedente (del Consiglio Spacdolini (dichiara di voler « dare concreta attuazione all’Intesa »
che, dopo un’ultima approvazione da parte del Sinodo, potrà diventare legge della Repubblica
Il discorso programmatico esposto in Senato il 7 luglio dal
presidente del Consiglio Spadolini, come ha riferito la grande
stampa di informazione, con toni
vari e differenti sfumate colorazioni, è articolato in 4 punti
orientativi circa la grave situazione del paese che il nuovo governo intende affrontare con
l’impegno di pervenire ad alcune
concrete suadenti soluzioni.
Dopo aver indicato i caratteri
e gli obiettivi del nuovo governo,
il presidente si è soffermato : sulle esigenze morali e i temi istituzionali da affrontare; sulla emergenza economica e la lotta alla
inflazione; su quella civile e la
lotta al terrorismo, e, dopo aver
considerato le tensioni internazionali e la tempesta valutaria
abbattutasi sul nostro paese, ha
concluso dando particolare risalto all’impegno con cui il nuovo
governo si accinge a compiere la
sua opera precisando tra l’altro
di avvertire « per il fatto stesso
dell’alternanza del vertice del potere politico, il senso di novità
che corrisponde a esigenze profonde della società civile ».
Nella conclusione del suo discorso non poteva mancare un
richiamo significativo alla politi
ca ecclesiastica del paese, espressione di quella competenza specifica nella materia che è propria
del senatore Spadolini. Merita
riportare in questa sede tale parte conclusiva del discorso, per
lo più trascurata dalla grande
stampa di informazione: «E”,
sempre nella coscienza, che in
noi è vivissima, per scelta politica, per abito culturale, per lunga meditazione sulla storia dell’Italia moderna e della sua stessa formazione risorgimentale,
della necessaria compresenza di
forze cattoliche e di forze laiche
nell’esercizio delle responsabilità
politiche, compresenza che corrisponde alla complessità e talvolta perfino alla indecifrabilità
della nostra composizione unitaria, secondo uno sforzo di sintesi che non può non richiedere
anche nei rapporti tra chiesa e
stato, tra società civile e società religiosa, il più fermo richiamo ai valori della tolleranza, del
mutuo rispetto, della fede nel dialogo e nel confronto: valori che
di per sé trascendono gli steccati
tra clericalismo e anticlericalismo ».
Una tale precisazione conclusiva dà risalto a quanto è detto,
nel quadro dei temi istituzionali.
sulle concrete questioni pendenti
circa la legislazione ecclesiastica e il suo necessario ed ormai
inderogabile rinnovamento. Vi si
legge infatti:
« Nel quadro degli adempimenti costituzionali, sarà costante
l’attenzione del governo alle relazioni dello Stato con la Chiesa
cattolica e con le altre confessioni religiose: nello svolgimento
dei negoziati in corso per la revisione del Concordato. Sarà altresì nostra cura dare concreta
attuazione all’Intesa raggiunta
con la Chiesa valdese ».
Espressioni brevi, concise, dove caduto ogni aspetto retorico
in cui può sempre nascondersi
uno spirito di facile rinvio, è
evidente la volontà di azione del
nuovo governo. L’impegno circa
la « concreta attuazione dell’Intesa » trova inoltre preciso avallo nella espressa volontà di « attenersi rigorosamente al dettato
costituzionale » ; nella « ampia
convergenza politica delle forze
politiche » che formano lo schieramento di maggioranza; sulla
« mozione motivata di fiducia »
con cui nel rispetto della norma
costituzionale (art. 94), « i gruppi parlamentari della maggioranza si impegnano a un sostegno
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
Gesù non accetta la malattia
« Erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori
quelli di cui egli si era caricato» (Isaia 53: 4).
La malattia è un’esperienza vasta, diffusa, profonda; prima o
poi tocca tutti, a volte con intensità sconvolgente per l'esistenza dei singoli, delle famiglie, delle comunità. L’Evangelo ci dice
a tutte lettere e in quasi tutte le
sue pagine che Gesù si è trovato
continuamente di fronte questa
dura realtà, e l'ha presa molto
sul serio, si è battuto contro di
essa.
Bisogna tener conto del fatto
che una 'struttura sanitaria’ e assistenziale era, nella Palestina
del Nuovo Testamento, praticamente inesistente. Pochi potevano permettersi dei medici; ospedali e ambulatori non ve n’erano, chirurgia, medicina, farmacologia erano delle più rudimentali. Le città, i villaggi, le case
formicolavano di malati; salvo i
lebbrosi, essi avevano il relativo
conforto di rimanere nel consorzio dei vivi e dei sani e di non
essere emarginati in ospedali e
cliniche, ma nella stragrande
maggioranza dei casi erano praticamente privi di cure cliniche.
Case, villaggi, città presentavano costantemente il triste spettacolo, esibito sulle soglie e per
le strade, di handicappati fisici
e psichici di ogni genere, di malati di malattie molteplici. Oggi
ci colpisce la presenza di un
handicappato che ci sfiora per
strada o in autobus: ci è difficile anche solo immaginare cosa
era l’ambiente palestinese in cui
Gesù si muoveva, ne ritroviamo
qualcosa solo girando per un
ospedale o per un ricovero per
anziani.
Ebbene, gli evangeli ci dicono
che Gesù ha preso di petto que
sta dolorosa realtà: la sua attività è stata la predicazione, l'annuncio del regno di Dio; e di
questa predicazione, di questo
regno che in lui si è avvicinato,
i segni privilegiati sono le guarigioni che egli ha operato. Spesso gli evangelisti possono riassumere la sua attività dicendo
che andava attorno predicando
il regno di Dio e facendo del bene guarendo malati, di malattie
fisiche o nervose o mentali. Quest’ultima è stata anzi — e ben lo
comprendiamo! — la sua attività più appariscente, che più faceva notiz.ia e attirava a lui folle, verso le quali da un lato si
muove a compassione, ma ha
pure un atteggianiento di tristezza e di rimprovero: perché i più
di loro, quasi tutti, vogliono il
recipiente, pur prezioso, e non
il contenuto, vogliono la guarigione e non la fede nel regno di
Dio del quale la guarigione è segno: « Venite a me perché vi ho
dato da mangiare e vi ho guariti,
ma non volete credere in me... ».
Che vuol dire tutto questo per
noi, oggp Mentre guardiamo con
compatimento a quelli che corrono da santoni e 'guaritori', e
consideriamo con biblico sospetto i patetici pellegrinaggi a Lourdes e simili, come affrontiamo il
rapporto fra malattia e fede?
Qualche tempo fa ho letto sulla rivista « Protestantesimo » il
resoconto della ricerca di un
gruppo di lavoro di medici evangelici svizzeri. Il succo era che
l’atteggiamento di fondo di medici e malati di fronte alla malattia è apertamente o segretamente ateo. Sia che si tratti di
un ateismo convinto e totale, sia
che si tratti invece di quello che
in questo resoconto viene chiamato « l'ateismo clandestino dei
cristiani », quest'alienazione 'cristiana' da Dio che consiste nel
mettere soltanto l'anima in rapporto con Dio e nell'estraniare
(alienare) da Dio il corpo e il
mondo a cui appartiene, abbandonandolo alle proprie leggi. Dio
riguarda la sfera religiosa, le ore
spirituali, solenni della vita. Ma
per la sfera mondana, per le ore
quotidiane, normali e banali della vita, tanto più per i travagli
corporali ci si affida come tutti
gli altri ai garanti ufficiali della
salute, e ci si lamenta e si inveisce all’unisono con tutti gli altri quando questi garanti fanno
cilecca. Di fronte ai problemi
della salute e della malattia si
mette fra parentesi la nostra
condizione cristiana, ci si comporta da pagani. Il pagano antico idolatrava le forze cosmiche
della natura e si sottometteva al
rituale del sacerdote che doveva
padroneggiarle; il pagano moderno, anche se verniciato con vernice cristiana, si prosterna davanti alle forze della scienza e
della tecnica e si sottomette al
rituale della competenza dello
specialista e dei suoi strumenti.
Insomma, si attua un travisamento della parola di Gesù, « Date a Cesare quel che é di Cesare
e a Dio quel che è di Dio », che
nel nostro caso suonerebbe: Date
al medico quel che è del medico
( il corpo, nelle sue funzioni fisiche e psichiche), e a Dio quel
che è di Dio, l’anima, la vita spirituale ed eterna. Quel convegno
accusava esplicitamente i cristiani di essere corresponsabili della
Gino Conte
(continua a pag. 8)
meditato e senza riserva circa
i punti qualificanti del programma concordato tra i partiti »;
sulla utilizzazione del « previsto
ufficio analisi e verifica del programma di governo »; ed infine
nella circostanza che il presidente Spadolini « non intende gestire equilibri di immobilismo » ma
« è pronto ad ogni sforzo di sintesi propulsiva ». È opportuno
sottolineare che il programma
dell’attuale governo, nel confermare l’impegno assunto il 21 ottobre 1980 dal governo Forlani
circa l’Intesa lo ha enunciato in
modo ancor più concreto e incisivo. La « cura di rendere operante » l’Intesa è avvalorata con
un « dare concreta attuazione »
all’Intesa stessa. Questa più marcata accentuazione giova e dimostra la volontà di agire in modo
nuovo per continuare un cammino che conduca veramente
questo annoso problema alla sua
conclusione definitiva.
V’è da augurarsi che il Sinodo
di agosto, esaminato il testo definitivo dell’Intesa, possa rimettersi con fiducia al nuovo presidente del Consiglio perché, con
la necessaria tempestività, venga inviato alle Camere il disegno
di legge volto a dare piena e completa esecuzione all’Intesa medesima.
Un problema costituzionale di
politica e legislazione ecclesiastica pendente da oltre 35 anni potrà così finalmente pervenire alla sua naturale soluzione.
Giorgio Peyrot
Iscrizioni alla
Facoltà Valdese
di Teologia
Le domande per l’iscrizione alla Facoltà Valdese
di Teologia vanno redatte
su un modulo-questionario
fornito dalla Facoltà stessa. Esso può essere richiesto alla segreteria, via P.
Cessa 42, 00193 Roma, oppure, durante l’estate, alla
Casa Valdese, Via Beckwith 2, 10066 Torre Penice (To).
La Facoltà offre un corso triennale di cultura teologica protestante e un corso di cinque anni (di cui
uno all’estero) per il conseguimento della licenza
teologica. Per il corso di
licenza la frequenza è obbligatoria. La licenza può
esser finalizzata al pastorato o no.
La tassa d’iscrizione è
unica : lire 20.000. La quota
di studio è di lire 48.000
annue per la licenza e di
lire 15.000 annue per il diploma del corso triennale.
Per il versamento servirsi
del conto corrente postale
n. 24717001 intestato a Facoltà Valdese di Teologia Segreteria.
La Facoltà gestisce un
convitto per studenti (camere a due letti con pensione).
Borse di studio. Gli studenti che si preparano al
pastorato possono richiedere un aiuto finanziario
per il convitto e le tasse di
studio.
Roma, 30 giugno 1981.
La Segreteria
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17 luglio 1981
UNA RIFLESSIONE DI UN GRUPPO DELLA COMUNITÀ’ DI MESSINA
La verità vi farà iiberi
SANREMO: RICORDO DI
Antonio Miscia
Viviamo immersi nel mondo e
siamo influenzati senz’altro dalle questioni che mobilitano le
masse, e perciò non sorprende
se anche i membri del nostro
gruppo di studio biblico sentono l’anelito comune d’essere liberi dalle varie « oppressioni »
subite. Allora, quale gioia sentivamo nel leggere in Giovanni 8:
32: « Conoscerete la verità e la
verità vi farà liberi ». Con il desiderio di capire cosa intende la
Bibbia per questi due termini
abbiamo dedicato gli studi di tutto l’anno a questo tema.
Un segno che siamo riusciti a
lasciarci interrogare dalla Parola e guidare dallo Spirito Santo è
che le soluzioni umane che intravedevamo prima di iniziare sono
state capovolte da ciò che la Parola insegna.
I primi studi erano dedicati
alla Lettera di Paolo ai Calati, seguiti da un re-esame della storia
della creazione, della ribellione
umana, e della storia della salvezza attraverso le vicende del popolo d’Israele. Infine ci siamo soffermati sulla persona di Gesù
Cristo e la sua missione. Tutto
questo con particolare attenzione alla presenza o assenza di libertà in ogni vicenda.
Se per un qualsiasi dizionario,
libero è colui che non deve sottostare a nessun padrone o costrizione, per la Bibbia, libero è
colui che riconosce la propria appartenenza a Dio e ubbidisce ai
suoi comandamenti.
La Parola ci annuncia che,
creata libera, l’umanità è presto
decaduta da questa libertà, volendo essere signore del suo proprio destino, ed è rimasta schiava: dell’egoismo, della paura,
della vergogna, di altri uomini e
situazioni, del peccato. Perciò
non possiamo parlare tanto di
desiderio di libertà umana che di
necessità di liberazione. Non
possiamo strappare la nostra libertà da chi ci opprime perché
cadiamo soltanto sotto un altro
padrone, non fosse altro che il
nostro « io ». È un altro che ci
deve liberare, e quest’altro è Gesù Cristo.
Sia nell’Antico che nel Nuovo
Testamento, abbiamo visto come
Dio opera la liberazione dell’uomo e parallelamente, come il
popolo ed il singolo perdono la
libertà, cercando di salvare se
stessi, perché non hanno fiducia
nella capacità di Dio di operare
per il loro vero bene.
Naturalmente, molto tempo è
stato dedicato allo studio della
persona di Gesù-Uomo libero e
liberatore. L’inno cristologico di
Pii. 2 è un buon riassunto di ciò
che ci ha più colpiti e convinti.
Pienamente libero — anche dalla
schiavitù del peccato — Gesù si è
sottoposto con amore alla volontà del Padre, e con lo stesso
amore ha servito l’umanità. Non
ha cercato se stesso, ma Dio gli
ha dato la vittoria.
Come credenti in Lui, quali
conclusioni dobbiamo trarre per
la nostra vita? Anche se le verità umane sono decisamente più
liberanti che la menzogna, e se
la libertà umana è preferibile all’oppressione, la verità che rende
veramente liberi è Dio stesso.
Egli, in Cristo, ci libera soprattutto dalla nostra schiavitù
interiore: dal desiderio di autoaffermazione, dall’affanno per
salvarci, dalla paura, dalla morte. Ma non ci libera necessariamente dalla nostra condizione
umana; dal nostro carattere, stato civile, condizione di salute o
finanze. Piuttosto, ci chiama a
testimoniare là dove ci ha chiamati.
Soprattutto, non ci libera dalla sua legge di amore totale per
Dio, il quale si esprime anche
nell’amore e nel servizio del prossimo. Né ci libera dalla necessità di seguire la guida dello Spirito Santo piuttosto che i nostri
criteri umani.
Ecco, potremmo dire che, come Gesù sapeva chi era e quale
era lo scopo della sua vita e co
Protestantesimo
in TV
Lunedi 20 luglio
ore 22.50
II rete
Il denaro ti uccide
Continua la serie di trasmissioni dedicate alle parabole. E’ il turno di uno
studio biblico registrato a
Torino sul racconto del
ricco e Lazzaro.
me ha accettato la sua missione
e tutte le sue implicazioni, anche
noi sappiamo chi siamo — figli
adottivi di Dio — e lo scopo della nostra vita « essere una lode
alla sua grandezza» (Efes. 1).
Anche noi dobbiamo calcare la
via della rinuncia a noi stessi e
così « trovarci », pienamente
compiuti in Cristo.
È inutile dire che prima di
poter vivere così dobbiamo essere in uno stato di libertà esteriore per poter scegliere la via
della rinuncia. Non siamo liberi
affatto, se non in Cristo, e in
Lui non c’è altra scelta che il
servizio, che morire a se stessi e
vivere in Lui. Anche se una nostra rivendicazione di autonomia può sembrare giusta e piacevole, a guardarla meglio si rivela un cedere all’amor proprio
che porta ad uno stato egoistico
da cui è difficile uscire.
Quale sarà lo stile di vita di
persone che intendono così la loro libertà? Se affrontano situazioni di oppressione, dovranno adoperarsi per la giustizia che salva
e non per una condanna che
schiaccia. Non potranno annunciare nessuna liberazione al di
fuori di quella vera offerta in
Cristo e nella ubbidienza ai suoi
comandamenti. Liberazione e ubbidienza sono inseparabili. Non
potranno incoraggiare gli oppressi a contraccambiare la prepotenza dei forti con quella dei
deboli, ma dovranno lavorare affinché i forti si ravvedano e che
sia loro che i deboli si misurino
con l’esempio di Gesù, il quale
« sapeva di aver avuto dal Padre ogni potere; sapeva pure che
era venuto da Dio e che a Dio
ritornava. Allora si alzò da tavola, si tolse le veste e si legò un
asciugamano intorno ai fianchi,
versò acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi ai suoi
discepoli. Poi li asciugava con il
panno che aveva intorno ai fianchi... Poi disse: se io. Maestro e
Signore, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete fare come ho fatto a voi... Ora sapete queste cose... ma sarete beati quando le
metterete in pratica» (Giov. 13).
Come chiunque, ci piace stare
bene. Gesù ci ha mostrato la
via. Peccato che non lo prendiamo in parola invece di affannarci
tanto per costruire sulla sabbia
una nostra « beatitudine » effimera.
Peggy Bertolino
Domenica 28 giugno, dopo alti
e bassi nelle condizioni della sua
salute, si è serenamente spento,
all’età di 87 anni, il pastore emerito Antonio Miscia.
Era nato a Catanzaro il 12 settembre 1893, da famiglia cattolica (il padre era ufficiale del Regio Esercito). Ancora ragazzo cominciò a frequentare la chiesa
valdese della città natale, alla
quale finì per aderire totalmente.
(Congedato dal servizio militare
alla fine della guerra ’15-’18, si
diplomò in pochi mesi come ragioniere e si mise a lavorare. Rispondendo alla vocazione del Signore, frequentò i corsi di Teologia a Firenze negli anni 1921-1924;
diede la sua tesi a Roma (ove,
nel frattempo era stata trasferita la Facoltà) nel giugno del ’24.
su « Il Vangelo di Cristo e il vangelo di Krishna ». Fu consacrato
al Sinodo di quello stesso anno.
Aveva intanto sposato Maria
Trani, proveniente da una famiglia evangelica di Grottaglie (Taranto), che gli fu zelante compagna nel lungo ministero nelle varie chiese affidate alle sue cure.
Dal loro matrimonio nacquero
due figlie: Flavia e Laura.
La prima chiesa ove il pastore
Miscia svolse il suo ministero fu
Taranto, ove rimase cinque anni
(dal ’24 al ’29). Era già ben conosciuto nella comunità e ciò gli
permise di mettersi subito al lavoro con profitto. Vi lavorò con
entusiasmo e con zelo. Nell’autunno del ’29 fu trasferito a Reggio Calabria, ove rimase per quattro anni (fino al ’33). La comunità, forse anche perché di modeste proporzioni numeriche, .si
dimostrò subito molto affiatata
col nuovo Pastore e la sua compagna. La casa patorale era un
po’ la casa di tutti. Ci fu un’ottima collaborazione col Pastore
Seifredo Colucci che, in quegli
anni, curava la chiesa di Messina.
Nell’autunno del ’33 fu nuovamente trasferito, per le esigenze
dell’opera, a Brindisi, ove rimase
per due anni. La comunità, non
molto numerosa, si reggeva soprattutto per l’apporto di alcune
famiglie molto ferventi, venute
a mancare le quali, la comunità
conobbe una crisi durata vari anni. Il Pastore Miscia profuse tutte le sue forze per superare il difficile momento.
Ma la chiesa ove più a lungo
durò il ministero del Pastore Miscia fu Bari, con la cura anche
della vicina Corato. Quattordici
anni (dal ’35 al ’49): gli anni difficili della seconda guerra mondia
DALLE CHIESE
Firenze: inaugurata la Casa di Tresanti
In occasione dell’« incontro di
estate » tradizionalmente organizzato dal Centro Sociale Evangelico (CSE) di Firenze e quest’anno effettuato presso la Casa
Comunitaria di Tresanti, si è
avuta domenica 21 giugno la .semplice ma significativa cerimonia
dell’inaugurazione ufficiale della
« Casa » con la gradita presenza
del Sindaco di Montespertoli nel
cui territorio è situata.
Hanno partecipato gli evangelici fiorentini ed in special modo
battisti metodisti e valdesi ed
inoltre gli abitanti del luogo. Dopo il culto presieduto dal pastore Alfredo Sonelli che ha predicato sul testo tratto dall’evangedi di Giovanni al cap. 15 richiamando i presenti al valore dell’amore e della solidarietà umana, il Presidente del CSE, Lando Mannucci, ha detto il discorso ufficiale rivolto al Sindaco di
Montespertoli, dott. Luigi Nigi,
che aveva seguito con vivo interesse il culto svoltosi all’aperto,
ai rappresentanti delle Chiese
fiorentine e agli altri presenti.
Subito dopo è stato effettuato
dal Sig. Sindaco il tradizionale
taglio del nastro tricolore e la
visita alla Casa.
Il programma è seguito con il
pranzo, quindi giochi vari dalla
corsa nei sacchi, al tiro alla fune, alla pentolaccia che hanno
divertito grandi e piccoli.
Ha funzionato anche un banco di libri della « Claudiana » organizzato e controllato dal fratello Giorgi.
Una giornata felice, ben riuscita, che ha visto ancora una volta gli evangelici fiorentini delle
varie denominazioni riuniti in allegrezza e grandissimo affiatamento a dimostrazione della fraternità che il Centro Sociale è
riuscito a creare fra gli evangelici che consente una più facile
realizzazione operativa anche in
altri campi. La solidarietà di intenti e lo spirito di cooperazione
esistente specialmente tra battisti, metodisti e valdesi e con altre denominazioni a Firenze è
ormai molto conosciuto e significativo. Ci auguriamo continui e
si rafforzi sempre più e possa
essere d’esempio agli evangelici
di altre località.
Buon successo ha avuto anche
la sottoscrizione pro casa comunitaria. Fra i sottoscrittori sono
stati estratti alcuni premi fra i
quali di grande interesse una
bella litografia prova d’autore
del notissimo pittore Gino Beverini ed un disegno della apprezzata pittrice M. Cristina Mannucci.
Avevano calorosamente aderito alla cerimonia dell’inaugurazione il Presidente della FCEI,
past. dott. Piero Bensì ed il dott.
Jean Leon Steinhauslin, dispiaciuti di non poter essere presenti per altri impegni. Sono stati
presenti, fra tanti, alla giornata
veramente gioiosa i pastori battisti Marziale di Firenze e Pistone di Pistoia e tanti cari fratelli
sempre pronti al richiamo del
CSE.
Nel parco
dei divertimenti
GENOVA — All’Acquasola di
Genova normalmente adibito
per le giostre dei bambini e luogo di incontro per anziani le varie comunità genovesi sì sono
date appuntamento per un pomeriggio evangelistico ; la corale
interdenominazionale guidata da
Domenico Carreri ha eseguito
numerosi cori alternandosi ai
messaggi dei vari rappresentanti
delle chiese delle Assemblee di
Dio, Avventiste, Fratelli, Battisti, Metodisti e Valdesi. Con l’altoparlante i messaggi raggiungevano i punti più lontani del parco consentendo a tutti di cogliere almeno un pensiero, una testimonianza.
Apparentemente è parso strano quel gruppo di credenti raccolti per l’ascolto, per il canto,
per un momento di riflessione
nel clima della festa, del divertimento, del non dover pensare a
cose troppo serie... Eppure ritengo che proprio in quel quadro poco « sacro » la Parola lascia una traccia... Certo si preferisce rincontro in chiesa, in un
luogo raccolto e non disturbato... eppure Gesù ha preferito la
strada, i luoghi più impensati
per annunziare la Speranza. Ci
siamo rallegrati dell’incontro con
tutte le comunità per una comune testimonianza e soprattutto
della corale quale prezioso anel
lo di congiunzione in vista di una
comune testimonianza nella città.
Professioni di fede
FELONICA PO — La domenica di Pentecoste è stata per
la nostra comunità particolarmente gioiosa, perché tre catecumene hanno fatto pubblica
professione della loro fede, decidendo così: di far parte in modo
più impegnato della comunità
anche se, come giustamente hanno sottolineato nella professione
da esse stesse redatta, « della vita comunitaria hanno sempre
fatto parte anche prima, come
bambine e poi come catecumene ».
A Gabriella Costabel, Luisella
Trazzi e Daniela Vallini, ora
iscritte nella lista dei membri di
Chiesa, auguriamo di trovare e
di potere esse stesse contribuire
a creare, nella comunità, una atmosfera di serenità, di impegno
e di serio studio della Parola che
non permetta a nessuno di avere delusioni.
Domenica 28 giugno abbiamo
avuto la gioia di ospitare un
gruppetto dell’Unione Femminile di Como, venuta a Felonica
per un incontro con la comunità
tanto informale quanto gradito.
Speriamo che questa visita sia
stata, come qualcuno ha auspicato, un’avanscoperta per un futuro incontro più numeroso delle donne evangeliche comasche
con le felonichesi.
le e poi della ricostruzione. Fu
nell’autunno del ’46 che lo scrivente ebbe il privilegio di conoscere il pastore Miscia, essendo
stato inviato dalla Tavola, per
l’anno di prova, a Orsara di Puglia e Cerignola. Lo ricordo simpaticamente in occasione di convegni giovanili (a cui partecipavano, allora, intere comunità con
i loro membri senza distinzione
di età), conferenze distrettuali, incontri di gruppi vari ecc. Le nostre chiese del Sud erano uscite
dalla guerra particolarmente provate, forse non tanto da distruzioni materiali quanto da disastri economici (disoccupazione,
miseria, mancanza di tutto). Le
chiese tagliate fuori dai contatti
con la Tavola e le altre chiese del
Nord. Il Pastore Miscia, come
tanti altri colleghi del meridione,
non potendo ricevere lo stipendio, dovette darsi da fare per
mandare avanti la famiglia (e
non era facile trovare nemmeno
del lavoro occasionale!). Egli si
trovò a dover affrontare non solo la fame di verità evangelica ui
quelle popolazioni (che in quegli
anni sembrava manifestarsi con
segni particolari) ma anche la fame di pane, di lavoro e di ogni
altra cosa sul piano materiale.
Fu con grande sollievo che, passata la guerra per l’arrivo degli
« alleati », cominciarono a giungere i primi soccorsi alimentari
delle chiese sorelle americane. Il
pastore Miscia fu tra i primi a
prendere contatto con cappellani
protestanti e a mettere a disposizione dei militari di confessione
protestante i nostri locali di culto per i loro servizi religiosi, che
spesso venivano celebrati in piena comunione fraterna contemporaneamente, in due lingue (italiano ed inglese). Lo ricordo ancora mentre egli accompagnava
i rappresentanti di grosse organizzazioni ecclesiastiche d’oltreoceano in visita alle nostre comunità per rendersi conto delle necessità più urgenti, viaggiando
sovente su carri merci, camion
ed altri mezzi di fortuna.
Dopo il lungo periodo di Bari
e Corato, il Pastore Miscia fu
trasferito, nell’autunno del ’49 a
Siena ove rimase fino al ’52. Il
periodo senese fu un periodo
tranquillo e sereno (dopo la burrasca della guerra!). A Siena, la
comunità era molto unita, una
famiglia e non fu difficile un perfetto affiatamento col nuovo conduttore e la sua famiglia. Il Pastore Miscia intensificò il lavoro
nella comunità e neH’ambiente
cittadino. Questo periodo veniva
ricordato spesso dai signori Miscia con particolare nostalgia.
L’ultima sede fu Sanremo, ove
rimase dall’autunno del ’52 all’autunno del '63. Data la composizione eterogenea della comunità, il pastore Miscia si sforzò di
intensificare la cura d’anime mediante contatti personali non solo tra la famiglia pastorale e i
membri di chiesa ma anche tra
le famiglie ed i membri di chiesa stessi al fine di rompere l’isolamento in cui, talvolta, vivono i
nostri membri di chiesa. Incrementò le riunioni di studio biblico settimanali; tentò di istituire un culto serale la domenica, senza riuscire nell’intento.
Fatto nuovo, verificatosi nel ’58
tu l’inizio di riunioni con gruppi
cattolici per lo studio della Bibbia. Nel ’63 si ritirava in emeritazione per sopraggiunti limiti di
età, continuando però a far parte
della chiesa locale avendo fissato la residenza della sua famiglia a Sanremo. In tutti questi anni (18 anni!) è sempre stato presente nella vita della comunità
partecipando regolarmente ai culti, alle riunioni di studio biblico
settimanali ed altre attività che,
occasionalmente, avvenivano nella chiesa (anche quando la salute
e la vista cominciarono a dargli
qualche fastidio, che alla fine
fu molto .serio). E’ ricordato, a Sanremo, in ambienti fuori delta nostra comunità, come
profondo cultore anche di filosofia orientale e scienze metafisiche.
Giovanni Peyrot
Le sue esequie hanno avuto
luogo martedì 30 giugno, con la
partecipazione di un vasto pubblico che ha riempito il tempio:
membri della comunità e della
diaspora, amici personali e di famiglia.
3
17 luglio 1981
L’ATTIVITA’ DEL « NEV
Far conoscere i protestanti
Intervista al pastore Girardet responsabile dell’agenzia stampa FCEI
L agenzia stampa « nev » della Federazione delle chiese evangeliche in Italia pubblica un bollettino mensile « nev ». destinato soprattutto ai giornalisti
e agli organi di stampa. L indirizzo del « nev » è via Firenze 38, 00184 Roma,
tei. 483768 e 4755120; il costo di un abbonamento annuo è di lire 5 000 (estero
7.000) L'Agenzia stampa «nev» è parte del Servizio stampa radio e televisione della Federazione, che cura il Culto evangelico e la rubrica televisiva « Protestantesimo ».
— Nel gennaio 1980 la Federazione delle chiese evangeliche rilanciava la sua agenzia stampa
e dava vita al mensile « nev ».
Perché?
— Si voleva rompere il muro
di silenzio, o di giudizi convenzionali. che circonda il protestantesimo italiano. Accadeva infatti, e accade ancora, che pur
partecipando come protestanti
ai problemi e alla vita della società, pur offrendo un contributo che credo originale, venivamo
poi ignorati o relegati nello spazio destinato alle curiosità o al
folklore. Quando qualche giornale si interessava a noi ci preoccupavamo, perché il giorno dopo poteva capitare di leggere le
cose più strane sul nostro conto. Ed eravamo giustamente anche diffidenti verso la stampa.
— In che modo allora lavora
il « nev »?
— Vorrei precisare. Il « nev »
come bollettino mensile è solo
una parte, quella più visibile,
del lavoro avviato dalla Federazione. Esso serve come base di
appoggio per altre forme di informazione, che si realizzano in
modo più diretto. Siamo soprattutto un’agenzia e il compito di
un’agenzia è quello di diffondere le notizie nel modo più appropriato in modo che esse vengano ricevute, capite, inquadrate e di conseguenza pubblicate o
trasmesse. Il mensile è un appuntamento fisso, che ricorda
che ci siamo e che dà un’informazione di base: quali sono i
temi, le tendenze, i dibattiti che
si svolgono nel mondo protestante, in Italia e all’estero. Alcune
schede informative, qualche documento importante completano
il quadro.
— Cosa fate oltre al mensile?
— C’è appunto l’altra faccia
della luna. Ci sono cioè i comunicati che vanno direttamente
alle agenzie stampa e ai giornalisti, per trasmettere nel giro di
due-tre ore una dichiarazione,
una presa di posizione, un fatto
che tocca da vicino i protestanti, un avvenimento ecumenico di
cui non si parla in Italia; ci sono le conferenze stampa, come
quella prima del viaggio di Giovanni Paolo II in Germania, per
far sentire anche l’altra campana e farsi eco di voci critiche o
di interrogativi che nessuno in
Italia ha interesse a sollevare;
ci sono i servizi stampa che si
organizzano intorno ad un avvenimento di rilievo, per esempio i nostri sinodi. E c’è infine
la fornitura diretta di informazioni, di contatti, di chiarimenti,
il suggerimento di persone da
intervistare.
— Il « nev » mensile è anche
un hollettino di interesse generale. Non può servire anche all’informazione degli evangelici?
— Certo il « nev » mensile può
servire anche a quello, anche se
per questo scopo esistono i giornali, che escono più spesso e danno più notizie. Stampiamo solo
750 copie, ma ci interessano più
le caratteristiche professionali
dei destinatari ciie il loro numero. Cioè, l’informatore religioso
di un grande quotidiano « vale »
per i nostri fini non per la sua
persona, ma per tutto il pubblico potenziale che è dietro a lui.
Del resto, dato che si fa tutto in
casa, ciclostilatura, spedizione
ecc. ci sarebbe diffìcile aumentare di molto la nostra tiratura,
per i tempi tecnici che richiederebbe.
— Quali sono gli argomenti che
avete affrontato più .spesso?
— Gli argomenti ci vengono
dettati dall’attualità e dalla sensibilità del pubblico. Se c’è un
grande tema nell’aria, si ascolta
volentieri quello che abbiamo da
dire in proposito, per esempio
sull’aborto, o sulla questione morale, e anche sull’ecumenismo e
sul papa. A volte ci dispiace, ne
faremmo volentieri a meno, ma
data la struttura dei mezzi di informazione, tocca anche a noi
di andare idealmente dietro al
papa, ai suoi viaggi. Per esempio, l’ultimo Kirchentag ad Amburgo a metà giugno era oggettivamente più importante del
viaggio di papa 'Wojtyla in Germania, in novembre. Invece solo
in quell’occasione si è potuto
parlare del protestantesimo te
desco, non nei giorni del Kirchentag. Finché l’opinione pubblica sui fatti religiosi dipenderà
dagli avvenimenti cattolici e dal
papa, anche noi in qualche modo ne dipenderemo.
— Si può dire allora che l’iniziativa della Federazione ha avuto successo?
— E’ troppo presto per dirlo.
E’ vero che in questi ultimi anni sì è parlato di più del protestantesimo e in modo più corretto. Ma potrebbe trattarsi anche di un momento passeggero,
una specie di moda, il piacere
di sfuggire ogni tanto alla cappa opprimente dell’informazione vaticana. Soprattutto, non si
può parlare di un servizio stampa come di un fatto puramente
tecnico, come alzare una chiusa
a senso unico che immette un liquido colorato in un grande serbatoio e tutto si tinge un po’ di
quel colore.
— In che senso non è un fatto
tecnico?
— Un mezzo di comunicazione come l’agenzia stampa si limita ad accelerare i tempi di
scambio : per esempio aiuta il
grande pubblico a conoscere il
protestantesimo per quello che
è e aiuta anche noi protestanti
a vedere come il pubblico reagisce, in modo che anche noi impariamo, quando è necessario,
a spiegarci meglio. Ma, una volta stabilito questo contatto, una
volta che si è fatta conoscenza,
potrebbe benissimo accadere che
l’interlocutore ci dica : « grazie
tanto, ma non mi interessa ». O
anche : « vi apprezziamo, vi stimiamo, magari foste dieci volte
più numerosi... ma vi sentiamo
ancora diversi, estranei ». Allora
potrebbe scendere di nuovo su
noi la cortina del silenzio e dell’indifferenza. Ora, a questa diversità di fondo (se si tratta
davvero di una diversità) un
servizio stampa non può porre
rimedio; non si può obbligare la
gente ad occuparsi di cose che
non interessano. La questione
dunque, mi sembra, è tutta qui :
se le nostre parole, il nostro modo di essere, di affrontare i problemi, il nostro modo di leggere
la Bibbia e di pregare, di fare politica, di vivere in famiglia e di
organizzare la chiesa è rilevante,
è importante per chi non è membro delle nostre chiese, oppure
no; se è un bene particolare o
se invece fa parte di un patrimomonio comune a tutti.
In questo caso un’agenzia e
ogni altro mezzo di comunicazione è utile per spiegare, per
mediare, per far comprendere.
Esso alza la chiusa che separa le
acque interne del nostro spazio
ecclesiastico dal grande bacino
della società nella quale operiamo e rende possibile un flusso
nei due sensi : un flusso dalla
chiesa alla società, per farci meglio conoscere e comprendere ;
ma anche, in senso inverso, un
flusso dalla società alla chiesa
per farci sempre più partecipare alla vita del nostro paese, proprio come cristiani, come protestanti, come responsabili insieme a tutti gli altri.
Ospitiamo in questa rubrica
una serie di lettere dedicate al
tema dei rapporti tra appartenenza alla massoneria e fede cristiana. Un dibattito che trae origine da alcune valutazioni pubblicate come « punti di vista »
sul nostro giornale.
Mentre ci proponiamo di tornare sull'argomento con uno studio storico sul problema, chiediamo a quanti vogliono ancora
intervenire di farlo sollecitamente e in maniera concisa.
Massoneria e
riservatezza
Gentile Signora Argentieri Beili,
sono certo anch’io, massone, che Lei
non è la sola a porsi gli interrogativi che presenta nella Sua lettera all’Eco e Le sono grato di averlo fatto
con tanta cortesia e imparzialità, senza unirsi intendo alla campagna attuale di denigrazione indiscriminata, nella quale non so se prevalga la meschina malafede o l’ignoranza.
In breve, per quanto possibile, cercherò di risponderLe dicendo per cominciare che è vero che le condizioni
storiche oggi sono diverse da quelle
che erano per esempio nello scorso secolo, ciononostante il clima creato in
Italia dalla costante opposizione della
Chiesa cattolica ha consigliato sin qui
i massoni a mantenere una relativa riservatezza (non direi segretezza) per
non esporsi inutilmente a rappresaglie
purtroppo ancora possibili. Una riservatezza che però in tempi come quelli
attuali finisce purtroppo per volgersi
a danno dell’Istituzione poiché suscita
nei non massoni, in modo particolare
in quelli che non si sono mai preoccupati di leggere qualcosa sull’argomento, curiosità e sospetti che non hanno
invece per le riunioni del Rotary o
dell’Esercito della Salvezza dei quali
non sanno probabilmente di più.
Naturalmente sarebbe preferibile che
come in USA e in Inghilterra, dove la
Massoneria gestisce ospedali e scuole e
i massoni portano il distintivo aH’occhiello (qualcuno però lo porla anche
da noi), anche questa riservatezza potesse venire meno e non c’è chi non
se lo auguri, tanto più che nulla di segreto, nel senso di non comunicabile o
di disonesto, viene dibattuto in loggia,
poiché il famoso segreto massonico
consiste essenzialmente nella attitudine che il massone riesce ad acquisire
(se ci riesce) ad un maggiore rigore morale, aH’autocritica, alla tolleranza, al rispetto di sé e degli altri,
anche quando sono portatori di convinzioni polìtiche e religiose differenti: attitudine che la frequentazione
della loggia sicuramente aiuta a destare e a rafforzare.
Va da sé che questo richiede un impegno attivo, un indirizzo di vita e dei
sacrifìci (anche finanziari, dato Taspetto filantropico della Massoneria) cui
non tutti sono disjwsti a sobbarcarsi.
Ecco dunque la ragione, o una delle
ragioni, della presenza di certe persone
e non di altre nelle logge che peraltro
sono aperte a chitinque. Aggiungo che
vi sono delle riunioni alle quali partecipano anche i familiari dei massoni
tra cui, per rispondere ad un altro
punto della Sua lettera, le mogli e le
figlie, ossia le donne, che inoltre possno iniziarsi tra le Stelle d’Orìente. il
corrispondente femminile della Massoneria; e le riunioni avvengono tutte
a viso scoperto come usa tra amici, a
dispetto delle vignette dei detrattori: il
cappuccio, o una semplice mascherina,
a colloquio con i lettori
Chiesa e massoneria
sono usati solamente per un momento
nella festosa occasione dell’arrivo di
un nuovo fratello.
In ragione deH’impostazìone generale che Le ho delineato, i disaccordi
con l’Evangelo che Lei paventa non
possono esservi. Lei sa certamente che
non vi sono massoni atei e che le logge lavorano con la Bibbia aperta come
nei templi valdesi, ma forse non sa e
tengo a dirLe che la possibilità di colloquio fraterno e di frequentazione
amichevole che la Massoneria consente
ha fatto maturare approcci al valdismo
ed agganci diversi con questo che altrimenti non si sarebbero avuti.
Case di vetro i templi non sono, ma
non v’è idea, proposta, dibattito che
non esca dalle loro mura, nei contatti
giornalieri dei massoni con le altre persone ; se non fosse così il lavoro di loggia non avrebbe senso. Le assicuro infine che non ho mai avuto notizia di
vantaggi o spinte che qualche massone abbia ricevuto per la carriera o altro. L’adesione di chiunque, anche dei
valdesi, alla Massoneria è un modo
per impegnarsi di più per il bene di
tutti, per conoscere altre persone disposte a fare lo stesso, per scambiare
liberamente (cosa che fuori non è
sempre facile fare) le proprie opinioni
su situazioni e problemi, per migliorarsi. Amnesty che in questi giorni si
è indicato come scelta scoperta alternativa per ì massoni non è che un
aspetto di questo impegno.
Chiarito questo, comprenderà con
quale animo i massoni si vedano oggi confusi da qualcuno con i responsabili delle squallide vicende che ruoterebbero intorno alla P2; tacciati (da
Luigi Firpo sulla Stampa) di arrivismo e di c( vendersi l’anima » (a chi?)
quando il metro che guida il comportamento del massone è la conoscenza
e soprattutto la propria coscienza; e
chiamati sottosviluppati mentali da
Biagi e Gorresio. Un giudizio, l’ultimo, che in sé non disturba molto (soprattutto se si pensa che tra i campioni di questo sottosviluppo vi sono, per
ricordare alcuni dei nomi « che contano », come Lei dice, personaggi quali Locke. Newton, Desaguliers (un pastore), Swedenborg, Voltaire, Montesquieu. Lessing, Franklin. Goethe, De
Maìstre, Fichte, Mozart. Maine de Biran. Meucci, Galileo Ferraris, Carducci, Pascoli. Cavour, Ciaikowski, Fleming. Enrico Fermi, ecc.), ma un giudizio che rivela unitamente ai richiami
ironici alla simbologia massonica (« i
patetici grcjnbiulì »), preoccupanti stati d'animo latenti, gli stessi che spinsero il fascismo sulla via della prevaricazione anlilibcrtaria. cominciando
appunto colla chiusura delle logge (che
avevano ripetutamente rifiutato, pare,
ringresso del postulante Mussolini).
Pensi come facilmente questa ironia
corrosiva e disfattista potrà rivolgersi
domani contro atti ed oggetti simbolici e rituali come la croce, Timposi/ione
delle mani, la benedizione, la Santa
Cena, la toga, il candelabro con le selle stelle...
La ringrazio dell’occasione che mi
ha dato per questo che spero sia un
chiarimento, almeno parziale, che potrà passare se vuole all’Eco e La prego
dì scusarmi se resto per ora « reticente » nel .sotlo.scrivermi. Fraternamente.
Una storia di lotta
contro la cultura
cattolica
Caro direttore,
il « Punto di Vista » dell’amico Platone sulla massoneria merita qualche
commento, almeno per la parte che riguarda i motivi per cui nel passato
molti evangelici, pastori e no, aderirono alla massoneria. Chi qui scrive
non è massone, ma è figlio di un pastore metodista, che fu apertamente e
dichiaratamente massone, fino a quando il fascismo non mise fuori legge la
massoneria. E vale, incidentalmente, la
pena di ricordare che questa messa
fuori legge, e le relative persecuzioni
di cui anche mio padre sofferse, avvenne nel quadro delle vicende che
precedettero e seguirono la conclusione
del Concordato, e cioè anche come soddisfazione alle pressanti richieste di
parte cattolica.
E’ ben vero che, quando, dopo la
fine della seconda guerra mondiale, la
massoneria riapparve all’onor del mondo, molti, ed io fra questi, non ritennero attuale riprendere l’attività massonica dei padri, nella fiducia (rimeritata poi dal centrosinistra, dal compromesso storico e dallo sfascio attuale)
che ì riapparsi partiti facessero propria, con mezzi più attuali e con maggior concretezza, non solo la lotta sociale, ma anche quella politico-culturale al predominio temporale papalino.
Ma questo non deve permettere di
dimenticare che, quando molti evangelici, pastori e no, aderivano alla massoneria, ciò accadeva perché essa rappresentava, in Italia e non solo in Italia, l’unica organizzazione, certo dì
origine illuministica, che lottava apertamente contro le velleità temporali
del papato, non sopite allora e ancor
vive oggi, come le campagne referendarie hanno insegnato.
In ambiente storico diverso, quando i problemi sociali assunsero un’importanza primordiale, molti evangelici,
pastori e no, ritennero giusto affiancare nel mondo, con una partecipazione
diretta, i partiti e le organizzazioni sindacali, che dei problemi sociali si facevano più carico.
E' con lo stesso spirito che gli evangelici, pastori e no, aU’inizio del secolo,
e almeno fino agli anni venti, convinti
che la loro partecipazione al mondo storico in cui vivevano fosse un dovere
piij che un diritto, essendo allora la
lotta alle invadenze papaline il punto
cruciale della lotta politica, cercarono
e trovarono nella massoneria l’ambiente entro il quale partecipare a que.sta
lotta.
Dovremmo del resto non dimenticare che ancor oggi, come allora e forse
più di allora, la lotta alla « cultura
cattolica » e ai suoi riflessi politici ®
per noi protestanti una cosa seria. E
non sembra quindi serio condannare
la massoneria, in quanto tale, per il
suo passato.
Se dovessimo realmente colpevolizzare. ad esempio, i rotariani, se è vero
come è vero, che tutti e sette i finanzieri sotto processo per reati valutari
aderiscono al Rotary; o i tifosi del cal
cio, se è vero come è vero, che alcuni di loro si lasciano domenicalmente andare a manifestazioni di stupida
violenza.
Ben vengano quindi identificati, processati e colpiti tutti coloro, massoni o
meno, che si sono resi colpevoli di
reati; ma evitiamo di contribuire a
sollevare quel velenoso polverone da
cui siamo infestati e che permette ad
un Piccoli di parlare di « congiura
massonica antidemocristiana », trovando conforto in chi in questo poco intelligente polverone si crogiuola. E dando l’impressione, una volta di più, che
in Italia gli scandali si sollevano non
per eliminare le cause, ma per distogliere l’attenzione da altri e più gravi
scandali, ,o per strumentalizzarli a fini
non sempre confessabili.
Niso De Michelis, Milano
D accordg sul passato, tuttavia continuo a pensare che la massoneria, con
tutti i suoi riti e giuramenti al Mastro Venerabile sia una società di tipo
pseudo-religioso, elitaria dal punto di
vista di classe, in cui militare per un
evangelico dovrebbe essere per lo meno problematico. Quanto poi alla battaglia alla cultura cattolica e ai suoi
riflessi politici, mi sembra che i protestanti, oggi, possono condurre questa battaglia alla luce del sole senza
ricorrere alla segretezza di una loggia.
Infine, per quanto riguarda la lettera rivolta alla signora Bein^ sarei interessato a sapere come un protestante,
oggi, valuta (sempre che ci sia) la
propria fede massonica. E sarei lieto
se questo contributo fosse firmato con
nome e cognome, come si usa tra persone che non hanno timore di professare le proprie convinzioni. A partire
da questa chiarezza iniziale, il dibattito, se ci sarà, potrà chiarire il senso,
a me oscuro, di questa doppia appartenenza.
g. P*
Anche le donne
possono essere
massoni
Egregio Direttore,
perdoni Tincomodo. Ho avuto occasione di leggere sul n. 23, 5 giugno
c.a., de « L’Eco delle valli valdesi »,
nella rubrica « A colloquio con i lettori », un’interessante lettera della
prof.ssa Mirella Argentieri Beìn, Preside della Scuola media statale di Torre Pellice, che, da un paio d’anni scolastici, ho Tonore d’avere come mia
Preside. Faccio lo scrittore per una
sempre sentita esigenza; per vivere,
insegno. Comprentlo le argomentazioni della signora Bein riguardo alla
Massoneria. Personalmente, finora, mai
ho avuto a che fare con compassi, cazzuole ed altri simili segni dell’iniziazione massonica.
Tuttavia, mi permetto di far cortesemente osservare che, stando alle mie
conoscenze, da quest’anno almeno, nella Ma.ssoneria, o quanto meno, in molte logge massoniche, vengono ammesse anche persone <lì sesso femminile. Sta a provarlo anche un .servizio apparso poche settimane fa sul settimanale milanese « Gente », in cui ha preso la parola pure una Gran Maestra,
se non erro, di Firenze.
Ciò per una precisazione che può
anche contare in sede storica.
La ringrazio per l’ospitalità e mollo
cordialmente La saluto e La ossequio.
Dott. Prof. Teresio Raineri,
Pinerolo
4
17 luglio 1981
UN CONTRIBUTO IN VISTA DEL DIBATTITO SINODALE
La diaconia
nelia chiesa apostolica
PRECISAZIONI DI UN RABBINO
La “sindone" di Gesù era
un abito a forma di toga
Il libro degli Atti ci fa assistere alla crescita e allo sviluppo della comunità di Gerusalemme. Il numero dei discepoli « si moltiplicava grandemente » (6/7) — «la Parola di
Dio si diffondeva » (6/7) — « la
Parola di Dio progrediva e si
spandeva di più in più» (12/24)
— « il Signore aggiungeva ogni
giorno alla loro comunità quelli
che erano sulla via della salvazione » (2/47). Si tratta di un fatto meraviglioso che si ripetè al
tempo della Riforma protestante del XVI sec. e che auspichiamo si possa sempre ripetere in
ogni tempo.
Aumentava il numero dei credenti, ma aumentava anche il
numero delle persone che avevano bisogno di assistenza, sorgevano nuovi problemi organizzativi. In certo senso si può dire
che il problema del ruolo diaconale sorse fin da allora nella
Chiesa. Infatti ad un certo momento da quella assemblea da
cui normalmente si levavano preghiere di lodi e di supplicazioni,
canti di gioia e di allegrezza, si
leva invece un mormorio, si odono delle lamentele : le vedove
degli ellenisti (cioè dei giudei
della diaspora) sono trascurate
nell’assistenza della comunità. A
che giovava dunque l’avere messo ogni cosa in comune se poi
in pratica non era dato a tutti
secondo il bisogno di ciascuno?
Mormorii, lamentele, malcontenti ce ne sono sempre anche nelle
nostre chiese sia che si pratichi
sia che non si pratichi la diaconia. Ma è inevitabile che questo
accada e non ci dobbiamo meravigliare, né scoraggiare nel fare
il bene.
Ma occorre subito cercare e
trovare i rimedi, come fecero
gli apostoli a Gerusalemme. Essi non potevano essere coinvolti
in responsabilità che non avevano. Riaffermarono innanzitutto
il primato assoluto della predi
cazione. Se oggi nelle nostre
chiese ci sono molte lamentele,
ciò deriva dal fatto che molti di
noi pastori siamo in mille faccende affaccendati, al di fuori
del compito specifico assegnatoci. Io credo che resistenza di un
ruolo diaconale nella Chiesa,
consentirebbe ai pastori di fare
i pastori e ai diaconi di fare i
diaconi. E’ la predicazione che
fonda la Chiesa e rende anche
possibile la diaconia. La Chiesa
dunque predica, prega; la diaconia opera laddove l’azione si rende necessaria.
La Chiesa antica non rifiuta
la diaconia come la Chiesa di oggi non rifiuta quello che chiamiamo anche impegno politico.
Dimenticare che l’uomo è anima
e corpo, che in Cristo ci è annunziata una salvezza totale, che
non aspettiamo solo i nuovi cieli,
ma anche la nuova terra, sarebbe come mutilare l’Evangelo.
Dire che la testimonianza cristiana si muove su di un binario :
la predicazione e la diaconia, la
predica e la pratica dell’amore,
non vuol dire ritornre alla dottrina delle buone opere che abbiamo rifiutato fin dal tempo
della Riforma, ma evitare l’equivoco della grazia a buon mercato e della grazia che non costa
nulla che ha pesato tanto negativamente nella storia millenaria
della Chiesa.
Ci sono varie forme di diaconia che si allargano come cerchi
concentrici. Paolo dice (1 Tim.
5/8) che ogni credente deve rendere partecipi gli altri dei beni
materiali e spirituali che possiede cominciando « da quei di casa
sua » per arrivare « a quei di fuori » (Gal. 6/10). C’è la diaconia
della Parola e quella delle mense
per chi ha fame. E’ stato detto
che chi indossa la toga per predicare e chi invece indossa il camice bianco per apparecchiare
la mensa o per assistere un infermo, ha la stessa dignità.
Si potrebbe fare un lungo discorso sui criteri selettivi con
cui gli apostoli procedettero alla
nomina dei sette diaconi. Per
servire alle mense noi non saremmo andati troppo per il sottile, avremmo scelto i più modesti spiritualmente e intellettualmente della comunità. Bastava
infine sapere fare il pane, cuocere la minestra, apparecchiare
e sparecchiare, sapere fare la
spesa. I sette diaconi dovevano
essere invece ben qualificati. Dovevano avere una « buona testimonianza » (da quei di dentro e
da quei di fuori) dovevano essere conosciuti come buoni amministratori, onesti, scrupolosi, non
proclivi a favoritismi, a discriminazioni... Dovevano essere « pieni di sapienza e di Spirito Santo ». Lo Spirito è il crisma di cui
tutti i credenti dovevano essere
dotati, spirito di sapienza, di intelligenza, di conoscenza pratica
della vita e degli uomini.
Bonhoeffer dice che per l’uomo di oggi, non più accessibile
ad una predicazione tradizionale, può essere più efficace una
predicazione senza parole. Io
credo che la diaconia non può
essere separata dall’annunzio
dell’Evangelo. Né ha senso, neppure oggi, di parlare solo di predicazione implicita. Se è vero
che nella Chiesa tutti dovrebbero essere profeti, è auspicabile
che nella Chiesa siano tutti diaconi. Ciò non esclude che ci siano diverse reciproche vocazioni.
I sette diaconi di Gerusalemme furono consacrati al loro ministero mediante l’imposizione
delle mani, segno e canale della
benedizione del Signore. Diaconi
cosi preparati potrebbero, anche
oggi, nella nostra Chiesa, come
nella Chiesa apostolica, essere
anche diaconi della Parola per
annunziare che l’uomo non vive
di solo pane, ma di ogni parola
che procede dalla bocca di Dio.
Pietro Valdo Panasela
Un dotto rabbino ebreo, Dan
Cohn-Sherbok — docente all’Università del Kent a Canterbury,
Inghilterra — ha dimostrato, fornendo ampia documentazione,
che il corpo di Gesù morto —
come quello di qualunque altro
ebreo palestinese del tempo —
è stato lavato, cosparso di aromi
e vestito con un normale abito
a forma di toga (detto in greco
sindón o, più genericamente,
othónia); e infine attorno al viso
gli è stata avvolta una piccola
pezzuola detta soudàrion. Il Vangelo di Giovanni dice testualmente che Gesù è stato sepolto « com’era usanza di seppellire presso i giudei » (Giov. 19: 40) e quella ora descritta era appunto l’usanza comune attestata da numerose fonti sia bibliche sia extrabibliche.
Nessuna fonte dell’epoca o dei
secoli seguenti attesta invece la
usanza di stendere il cadavere
su una lunga e stretta striscia di
tela di oltre quattro metri x 1,10,
da ripiegarsi poi sul capo per coprire la parte anteriore del corpo, così come vorrebbero i sostenitori dell’autenticità della
Sindone torinese per giustificare
le misteriose « impronte » o « immagini » del « sacro lino ».
In un dettagliato articolo apparso sull’ultimo numero di
«Protestantesimo» (n. 2/1981,
pp. 103-109: Un rabbino ebreo
sulla Sindone di Gesù), Carlo Rapini dà ampio rilievo a queste
precisazioni, di particolare importanza per Ja competenza dell’autore e per la sua estraneità
alle recenti polemiche. « A nostra conoscenza — egli dice — è
la prima volta che un esponente
di primo piano delta cultura
ebraica, un esperto in materia,
prende posizione sulla autenticità della Sindone di Torino. Il suo
giudizio è netto: sia le fonti
ebraiche sia quelle evangeliche
concordano. La ’sindone’ dei Vangeli non era uno strano ’lenzuolo’
dalle misure fuori del normale,
ma un comune abito a forma di
UNA PROPOSTA ALLA EGEI
Parlare all’«area protestante»
Il discorso sull’area protestante ha un senso preciso solo se
si arriva — prima o poi — a colmare la formula di contenuti
concreti. Se siamo d’accordo che
quella dell’area protestante è la
via giusta — o meglio : una delle
vie giuste — occorre fare un passo più in là, passare dalla teoria
alla prassi. Una ipotesi che merita di essere adeguatamente
esplorata è quella delle trasmissioni radiofoniche.
In questo settore gli anni trascorsi hanno indubbiamente consentito, a chi se ne è costantemente occupato, una crescita di
esperienze e una maturazione
non solo nelle forme, ma anche
nei contenuti della testimonianza. Ciò a fronte di una significativa evoluzione della società
italiana, all’interno della quale
sono rilevabili tentativi, magari
confusi, di identificare nuovi valori, dopo le delusioni succedute
alla rovinosa caduta di tanti miti. Nell’ambito di questo quadro,
in campo evangelico si è andata
radicando una maggiore consapevolezza riguardo all’importanza che i mass-media rivestono
per stabilire e sviluppare un costante e produttivo rapporto con
la società. Che delle possibilità
in questo senso esistano è confermato dalle indagini demoscopiche della RAI : i programmi
evangelici, benché trasmessi in
orari quasi impossibili, sarebbero sistematicamente seguiti da
poco meno di un milione di
ascoltatori. In realtà, tra i vari
mezzi a disposizione, sembra
che la radio sia quella tutto sommato più interessante, sia per
l’estensione della audience immediatamente raggiungibile, sia
per i costi-contatto estremamente bassi ( in confronto, ad esempio, ad una iniziativa nel campo
della stampa periodica, a parità
di copertura).
Il problema ora va posto in
questi termini : possiamo continuare ad accontentarci delle sporadiche e fugaci apparizioni presso le radio altrui (in un contesto che molte volte non è il nostro), oppure dobbiamo proporci degli obiettivi più ambiziosi,
come sarebbe quello di impiantare e gestire direttamente una
emittente evangelica?
Senza sottovalutare i grossi
problemi che il progetto comporta, è forse giunto il momento
di esaminare con attenzione
questa ipotesi. Del resto non si
tratterebbe di un salto nel buio:
sono già parecchie decine le
emittenti evangeliche operanti in
Italia.
Per ottenere dei risultati apprezzabili occorre evidentemente una presenza continuativa, occorre condurre una vera e propria opera sistematica di acculturazione; bisogna cioè che gli
evangelici entrino a far parte
stabilmente e significativamente
del « paesaggio » culturale italiano.
Oltreché nei confronti dell’esterno, l’esistenza di una radio
evangelica avrebbe un’influenza
grandemente positiva all’interno,
sostenendo, motivando, galvanizzando la nostra diaspora. Un
esperimento iniziale potrebbe essere condotto in una grossa area
urbana, dotata di un vasto hinterland. Tra le varie alternative
possibili, Milano meriterebbe
forse di essere presa in particolare considerazione.
Europea e cosmopolita, essa è
la città italiana che registra il
grado di sviluppo socio-economico-culturale più elevato, costituendo senza dubbio, nel bene e
nel male, un modello per tutto
il Paese. E’ inoltre un importantissimo centro dell’industria culturale e uno dei principali luoghi per il dibattito delle idee (anche nel campo religioso ed etico :
si veda, ad esempio, il « Corriere
della Sera »).
Milano e il suo hinterland, infine, costituiscono uno dei principali conglomerati di uomini e
di popolazione attiva di tutto il
Paese (1 milione e 700 mila abitanti in città, 4 milioni nell’hlnterland, 8 milioni 800 mila nella
regione : due milioni e mezzo più
dell’intera Svizzera).
In termini economici, l’investimento per un impianto sarebbe
relativamente modesto. Ipotizzando un trasmettitore da 1 KW
(si tenga presente che Radio Regione, una delle principali emittenti democratiche, con 1,5 KW
copre l’intera Lombardia ed oltre) il costo dell’intero impianto
potrebbe essere inferiore ai 15
milioni di lire. Quanto alle spese
d’affitto dei locali, vi sarebbe la
possibilità di evitarle, venendo
ospitati presso qualcuno degli
organismi religiosi esistenti. Un
problema consistente sorge semmai a livello di personale, in
quanto non è ipotizzabile un lavoro continuativo e di tale impegno basandosi esclusivamente
sul volontariato. Occorre pertanto prevedere almeno una persona a tempo pieno (pastore? diacono?).
Le trasmissioni potrebbero venire sviluppate su tre aree principali :
a) Programmi evangelici (circa due ore ogni sera), basati su
studi biblici, schede informative, letture, risposte a quesiti degli ascoltatori, dibattiti, telefono
aperto, notiziari.
Andrebbe parimenti sviluppa
ta una attività di « servizio » per
la collettività in generale:
b) Voce degli emarginati, che
dia spazio agli « ultimi », cioè a
tutti coloro — singoli o gruppi —
che non hanno mezzi per esprimensi ;
c) Cultura popolare, con programmi estremamente divulgativi, corsi scolastici e non, conferenze, lingue straniere, musica,
narrativa, ecc.
In termini istituzionali-finanziari, l’attività di questa radio
potrebbe essere gestita da una
cooperativa, magari sotto l’egida della Federazione Chiese
evangeliche; per una attività del
genere non dovrebbe essere impossibile ottenere anche qualche
aiuto internazionale.
Val la pena da ultimo sottolineare che se si volesse affrontare questo tipo di esperienza sarebbe opportuno muoversi subito, per occupare quantomeno
una lunghezza d’onda anche con
una organizzazione minima, profittando dell’attuale situazione di
fluidità, prima che le prossime
leggi in materia rendano più difficile l’accesso a nuove emittenti.
Aurelio Penna
toga, come quelli che vediamo
in tante statue o in dipinti dell’epoca ellenistica. La differenza
non è data solo dalle misure, ma
anche dal taglio della stoffa e dal
modo di avvolgerla al corpo: la
toga aveva infatti un taglio caratteristico, il bordo concavo formava una curva ellittica; circa
un terzo del vestito, raccolto sulla spalla sinistra, pendeva in
avanti ».
Certo è difficile escludere in
modo assoluto — prosegue il rabbino — che il termine greco
« Sindón » (abito di lino) potesse
anche indicare una lunga pezza
di lino e quindi un « lenzuolo »,
ma i verbi usati dagli evangelisti
(«avviluppò», «infilò dentro»)
stanno a dimostrare che la « sindone » era avvolta attorno al corpo forse proprio come una toga,
ma certo non nel modo che sarebbe richiesto dalle « immagini » della Sindone di Torino.
Non possiamo qui neppure accennare alla vasta e convincente
documentazione fornita dal rabbino di Canterbury, ma consigliamo agli interessati di leggere
l’aiticolo citato di « Protestantesimo » in cui la documentazione è chiaramente esposta.
Se ne conclude che, se il corpo
di Gesù è stato lavato (come prescriveva esplicitamente la Mishnah ebraica) e avvolto in un normale vestito dell’epoca con una
pezzuola sul capo, la nostra « Sindone » di Torino — con le sue
« macchie » di presunto sangue e
le sue misure fuori del comune
per qualunque abito — non può
essere una reliquia funeraria
ebraica del I secolo, cioè non può
essere autentica. Chi l’ha abilmente « fabbricata » (in Oriente
o in Occidente ma almeno 7 secoli dopo Cristo) non conosceva
più esattamente le abitudini funerarie ebraiche del tempo di
Gesù e ha erroneamente creduto
che la « sindón » dei Vangeli fosse un lungo « lenzuolo » con il
quale venisse avvolto l’intero
corpo, compreso il volto.
Precisa testualmente il nostro
rabbino: « tutti i dati che si possono trarre sia dalle fonti bibliche sia da quelle extrabibliche —
nessuno escluso — sono contrari
all’autenticità del ’lenzuolo’ di
Torino ». Cioè, in altre parole:
nei Vangeli (come negli scritti
apocrifi) non c’è posto per una
« Sindone » come quella conservata a Torino.
Dopo tutto il « polline » che,
ancora di recente, la grande
stampa nostrana ha gettato negli occhi del pubblico (dimostratosi tuttavia molto meno credulone del previsto), ecco un serio
motivo di riflessione per gli illustri « sindonologi » di ogni nazione!
Sempre, naturalmente, in attesa che sia finalmente autorizzata dalla gerarchia la famosa « indagine del carbonio 14 » che fornirebbe la prova decisiva, già
sperimentata con pieno successo
sui famosi « rotoli del Mar Morto », scoperti a Qumran nel 1946,
e su mille altri preziosi reperti
archeologici d’ogni epoca, veri o
falsi. Perché questa autorizzazione tarda ancora? Si vuol forse
insinuare che una prova scientifica su un lino così « sacro » sarebbe un « sacrilegio »?
Doni Eco - Luce
DONI DI L. 2.000
Abbadia Alpina: Rivoir Carla — Magenta: Dal Secco Raffaella — Milano:
Santinello Armando, Manfredi Pier Francesco — Pinerolo: Barandun Miranda —
Roma: Baret Corrado — S. Piero in Bagno: Ceseri Samory Vincenza — Torre
Pellice: Borgarello Ezio. Borno Luciano — Venezia: Nordio Giannina.
DONI DI L. 5.000
Albenga: Ricci Mingani Lisetta — Almese: Giordan M. Luisa -— Firenze:
Milazzo Elio — La Maddalena: Albano
Vallaro Olga — Milano: Milanese Matilde — Pinerolo: Montaldo Milena —
Prarostino: Parisa Paolo e lima — Torre Pellice: Gay Lidia, Rivoir Elda, Ey
nard Franca — Reggio Calabria: Romeo
Domenico.
ABBONAMENTI SOSTENITORI
Milano: Rochat Renata, Gilioli Mirte
— Napoli: Decker Franco — Roma:
Introna Ida.
ALTRI DONI
Argentina: Saracco Cesare L. 182.000
— Francia: Long Gabriel 6.450; Mauri
ce M. J. 7.000 — Marina di Massa:
Pucciarelli Emma 10.000 — Milano: Cameran Sergio 10.000 — Pordenone;
Chiesa evangelica battista 20.000 —
Svizzera: Long Silvio 12.000 — Torre
Pellice: Ganz Emilio 3.000; in occasione
del battesimo di Viola Newbury, Erica
Scroppo e Richard Newbury 50.000 —
Verona; De Ruepprecht Ernesto 10.000.
5
17 luglio 1981
TERREMOTO:
OTTO MESI DOPO
Il terremoto del 23 novembre non ha
solo distrutto le cose e ucciso migliaia
di persone, ma ha evidenziato i mali antichi del Mezzogiorno e Timportanza
della questione meridionale per lo sviluppo anche morale dell’Italia. I protestanti italiani sono stati chiamati — grazie anche al generoso aiuto dei fratelli
all’estero — ad un importante lavoro di
solidarietà e di predicazione dell’Evangelo alle popolazioni colpite.
Mentre oggi il terremoto non fa più
notizia ed è scomparso dalle prime pa
gine dei giornali e dalla televisione e si
affrontano i problemi di fondo del tipo
di sviluppo, del tipo di assetto sociale ed
economico, i protestanti italiani hanno
deciso di non dimenticare e di continuare
nel loro impegno. Presentiamo in questa
pagina alcune delle riflessioni fatte al
convegno FCEI di Ecumene il 13 e 14
giugno scorso, una riflessione che proseguirà, tra l’altro, il 4 agosto a Lusema
San Giovanni e il 31 ottobre -1 novembre nel convegno FCEI di tutte le comunità evangeliche italiane.
La tenda che ha ospitato la mensa a Senerchia fin dai primi
giorni dopo il terremoto.
Il protestantesimo nelle classi subalterne meridionali L'azione
Credo che non si sia mai abbastanza
approfondilo il peso che negli anni che
hanno seguilo l’unificazione d’Italia
ebbe sul piano socio-culturale la presenza protestante in regioni quali la
Puglia^ la Sicilia, la Campania ecc.
Presenza che, partita da premesse indubbiamente ’’missionarie” (tanto per
i valdesi che per i metodisti e i battisti) significo ben presto una vera e
propria rottura con la cultura di appartenenza da parte delle comunità
che si andavano formando in seguito
alla predicazione protestante.
Tale rottura si esprimeva in prevalenza in ambito religioso con il rifiuto di un cattolicesimo popolare di tipo
magico-sacrale (culto di santi, madonne. reliquie, processioni ecc.): ma
aveva nella acquisizione di una cultura diversa, basata sulla Scrittura (importanza della lettura della Bibbia) lo
strumento più immediato.
La scelta religiosa diversa rispetto
al proprio contesto sociale veniva ad
essere sancita da una gratificazione
culturale: Valfabetizzazione. lo studio,
la conoscenza di un modo diverso di
vivere i ruoli familiari (importanza
della «famiglia del pastore»), Vorganizzazione della vita comunitaria, ecc.
sono gli elementi attraverso cui la presenza del protestantesimo storico prende corpo nelle regioni meridionali dalla fine del secolo scorso fino agli anni
20. La nascita di « opere sociali » improntate quasi esclusivamente sulla
istruzione elementare e in questo senso estremamente significativa. Sempre
a questo riguardo non è senza significato il fatto che queste comunità più
vicine alla storia ed alle lotte del nascente movimento socialista siano altro da questo: vi è confluenza talvolta. ma mai una esplicita scelta che di
fatto dissolverebbe la qualità religiosa
delUi esistenza di queste comunità
(penso a Grotte. Scicli, Cerignola.
ecc.). Con il fascismo questa presenza
si attesta sempre più su posizioni denominazioiiali (battiste o metodiste o
valdesi), sia pure in mezzo alle difficoltà del ventennio di dittatura e poi
della guerra. E in questo periodo, e
soprattutto nelle zone piu interne e
più povere di queste regioni si fa
massiccia la presenza di un evangelismo di tipo popolare (pentecostali, avventisti. assemblee dei Fratelli) importato in maniera disorganizzata dall'emigrazione negli Stati Uniti.
Anche per questo tipo di evangelismo la rottura con la cultura di appartenenza si compie attraverso Vacquisizione della cultura scritta: ma diversamente che. per le comunità appartenenti al protestantesimo storico, si
tratta di una rottura che non investe
i livelli più profondi della percezione
collettiva del sacro.
Si sviluppa così una ritualità di tipo intenso in cui gli aspetti collettivi
e comunitari manifestano una risposta
che soddisfa e compensa sul piano
emotivo: si sviluppa anche una tensione apocalittica, escatologica, che
emerge daìVinterpre.tazione della Bibbia: inoltre è presente un'attenzione
od elementi quali i sogni, i presagi, le
visioni. le guarigioni, che non sono
altro se non una lettura simbolica che.
fazionalizza e cancella nel metastorico
le crudezze di una realtà di stenti e di
miseria. Tutto questo caratterizza l’evangelismo popolare in maniera tanto
determinante da renderlo lontano e diverso rispetto al protestantesimo storico. E questa la vicenda deU’immediato secondo dopoguerra e degli anni '60.
Dopo quegli anni le trasformazioni
subentrate nel sud incidono su le due
presenze protestanti che abbiamo descritto. Fenomeni quali Vemigrazione
nel nord e nei paesi del Mercato comane. la scolarizzazione di massa, l'urbanizzazione di gro.ssi centri rurali, can
cellano definitivamente la realtà di un
« profondo sud » statico e immoto.
Emergono nuovi soggetti sociali che
fanno proprie le richieste di un protagonismo che urta talvolta contro un
certo istituzionalismo dei partiti della
sinistra tradizionale e che spesso non
riesce a superare la profonda, endemica, sfiducia nello stato percepito come
presenza estranea ed ostile rispetto ai
reali bisogni di queste zone. Bisogni la
cui qualità muta in rapporto al cambiamento sociale che Ìia investito la
realtà meridionale dalla fine degli anni ’60 ad oggi.
Come qualificare in questo quadro
un intervento del protestantesimo storico che non sia puro assistenzialismo?
1) Anzitutto occorre svolgere una
attenta analisi sociologica della realtà
che ciascun paese presenta: non parlare dei terremotati in maniera indefinita e vaga, ma individuare la composizione sociale e di classe degli individui che si hanno di fronte, la loro
appartenenza sociale^ il loro lavoro, la
scolarizzazione, le composizione familiare, ecc.
2) Avviare poi su questa base ricognitiva una fase di verifica correttiva dei reali bisogni e di risposta istituendo centri sociali che servano come tappa fondamentale ma non esclusiva, di coscientizzazione rispetto alle
possibilità di una gestione democratica della propria realtà sociale;
3) Questo dovrebbe condurre alla
preparazione di quadri locali, evangelici o non, che sappiano avere nelle
istituzioni e negli enti locali l’interlo
culore immediato su cui premere per
la soluzione dei loro problemi;
4) Questa presenza e senza dubbio una cosa diversa da quello che era
e che tuttora è la cosiddetta «opera sociale ». E’ una presenza che rischia,
molto più che nel passato, la perdita
della propria « identità protestante »;
c una presenza che non dovrebbe ignorare la qualità « popolare » di tanti
evangelici che vivono nelle zone terre
motate, ma che dovrebbe anzi assumerli come primi, anche se a volte difficili, interlocutori; è una presenza infine che è molto lontana dalle ipoteche missionarie ed assistenziali che
caratterizzano in genere ogni intervento di questo tipo.
Miriam Castiglione
per la predicazione evangelica
nelle zone terremotate del sud
1. - Se tentiamo di esprimere la stessa predicazione
di Gesù Cristo a Torre Peliice, a Milano, a Riesi, non
v'è motivo per cercare una predicazione diversa per
la zona terremotata: « nessuno può porre aitro fondamento che Cristo Gesù » (I Cor. 3: 11).
2. ■ Neiie situazioni di emergenza, tuttavia, abbiamo un riscontro preciso ail’efficacia delia nostra predicazione. Possiamo in quaiche modo misurare quaii
sono state le solidarietà umane che abbiamo saputo
intrecciare prima deii'emergenza, possiamo constatare tutta ia nostra inadeguatezza (« noi siamo servi
inutili », Luca 17: 10), e allo stesso tempo possiamo
avvertire tutta la necessità della predicazione [« se
i discepoli si tacciono, le pietre grideranno », Luca
19: 40).
3. - Di buon grado o controvoglia, siamo « costretti » dal Signore stesso a predicare [« necessità ce
n'è imposta», I Corinzi 9: 16).
4. - Il modo di predicare non è scelto soltanto da
noi: sovente anche questo ci è dato. Dalla situazione,
ma soprattutto dagli uomini a cui la predicazione
deH'Evangelo è promessa. Sono le popolazioni terremotate quelle che concretamente ci impongono dei
modi di predicazione piuttosto che altri.
5. - Ci è dunque chiesta oggi una predicazione
non solo a parole, ma nei fatti (« non amiamo a parole e con la lingua, ma a fatti e in verità », I Giovanni 3: 18).
6. - Anche se avessimo voluto predicare solo a
parole, senza correre il rischio di impoverire la Parola con azioni sociali, sempre soggette alle limitatezze umane, oggi non è più così, perché molti fratelli, dalle nostre chiese italiane e dall'estero, ci
hanno scelto per amministrare i doni che hanno voluto inviare per le popolazioni terremotate. Siamo
loro grati sia per la fiducia che ci hanno dimostrato, sia perché ci hanno in questo modo stimolati ad
un'azione che va al di là delle nostre forze, ma che
tuttavia siamo in obbligo di portare avanti nel migliore dei modi.
7. - Potremmo scegliere di concludere la nostra
azione al momento in cui sarà terminata l'opera per
il limitato, ma significativo, settore di ricostruzione
che ci è stato affidato. Ma ci sembra che le sollecitazioni che provengono e dalle popolazioni terremotate, e dai donatori, ci chiedano di più: di contribuire cioè anche ad una ricostruzione morale e spirituale, che di per se stessa richiede tempi lunghi.
8. - È nostro compito tentare di comprendere come si articolerà il rapporto tra il nostro intervento
nel sociale e il nostro intervento più specìficamente
di predicazione.
9. - Dobbiamo con realismo ed umiltà limitare
drasticamente il nostro intervento nel lungo periodo
a quanto riteniamo onestamente di poter mantenere.
10. - Nel concreto nessuna opera sociale potrà
permettersi di essere tecnicamente inadeguata rispetto al servizio che sarà chiamata a dare. Il personale
chiamato ad operarvi dovrà essere competente, i
costi (economici, sociali, ecc.) di ogni intervento dovranno essere ben studiati in partenza, non per
sfiducia verso un Signore che provvede ai suoi tutto
quello di cui hanno bisogno, ma perché, volendo
edificare una torre, prima ci si nrtette a sedere per
calcolarne i costi (Luca 14: 28 e seguenti).
11. - Intendiamo comportarci con la massima lealtà anche rispetto all'autorità sul nostro paese, quali
che siano le sue colpe, quali potranno essere le contestazioni che ci sembrerà giusto rivolgerle, e intendiamo quindi procedere con essa nel piano di
ricostruzione del paese.
12. - Disposti a rendere conto della speranza che
è in noi, a tempo e fuori tempo, non vogliamo tuttavia prestarci ad alcuna tentazione di « colonizzazione », culturale o spirituale. Saranno in ultima analisi
i fratelli delle zone terremotate, che condividono le
condizioni delle popolazioni, che potranno indicare
i metodi cui dovrà ispirarsi la nostra predicazione.
13. - Dovremo chiedere, a chi sentirà rivolgersi
una vocazione specifica all'impegno nella zona terremotata, di essere innanzitutto se stesso: la predicazione intanto può essere vera ed efficace in
quanto si collochi nella libertà. Non potremo chiedere a nessuno di adottare questa o quell'altra teologia o linea di azione prestabilita, ma dovremo essere tutti disposti a lasciare coesistere diverse linee e teologie per assicurare una predicazione viva
e non astratta.
14. - Dovremo d'altra parte non avere paura di
chiedere un confronto e un coordinamento, nell'azione e nella predicazione, fra quanti vorranno collaborare in questo servizio. Non ci possiamo permettere
il lusso di disperdere le forze, di fare e disfare a
seconda dei nostri umori del momento.
15. - Riteniamo quindi che sarà opportuno istituire un coordinamento stabile tra le opere che potranno
essere attuate, in vista della ricostruzione morale e
spirituale del paese, nel pieno rispetto delle diverse
linee teologiche e politiche presenti tra di noi, ma
in una chiara volontà di una testimonianza unitaria
pur nelle diversità, coerente pur nella dialettica.
16. - Nel rapporto tra azione sociale e predicazione
in senso proprio, la massima attenzione dovrà essere
posta a non esporre il fianco neanche al sospetto
di privilegiare i fratelli di chiesa nei confronti di
quanti non lo sono. Se è vero infatti che il bene va
fatto « specialmente a quei della famiglia dei credenti » (Calati 6: 10), non sta scritto che il privilegio
sia una base, al contrario. Ricordiamo che Dio « fa
levare il suo sole sui giusti e sugli ingiusti » (Matteo 5: 45), e che di questo Padre siamo figlioli.
17. - La dialettica, che da tempo si ha nelle nostre chiese, tra l'importanza della predicazione implicita, nel lavoro che si svolge, nell'etica, ecc., e
quella della predicazione esplicita, che non si vergogna dell'evangelo, non deve essere risolta anzitempo. Il nuovo campo che ci si apre davanti, la porta che ci è stata aperta, sono l'occasione per vivere
questa dialettica e non per soffocarla.
18. - Sappiamo, in partenza, che realizzeremo meno di quel che vorremmo, e che non ci verranno
risparmiati errori, ma questo non ci scoraggia né ci
dà un alibi per non partire, e intraprenderemo anche
questo servizio cui siamo stati chiamati con la serenità e la fiducia che ci provengono dalla consapevolezza che non siamo salvati per la tede nelle nostre
opere, ma per la grazia che ci rivolge Dio.
19. - Nonostante questo, proprio per questo, osiamo
chiedere in preghiera: « La grazia del Signore Iddio
nostro sia sopra noi, e renda stabile l'opera delle
nostre mani». (Salmo 90: 17). Sergio Ribet
della FCEI
L'azione di aiuto alle popolazioni terremotate coordinata dalla FCEI può essere così riassunta: trenta case già ultimate (non
ancora abitate perché mancano
ancora i lavori di urbanizzazione) a Monteforte, altre 100 case
da costruire o in corso di costruzione, 51 bovini già consegnati
a contadini o cooperative, ed altri 75 in arrivo ad ottobre, due
stalle sociali (di cui una ultimata) e nove centri sociali, la fondazione di due cooperative agricole zootecniche, il tutto in otto
comuni diversi.
Come si può vedere un intervento importante, di circa sei miliardi di lire, che ha richiesto
alla struttura della Federazione
un grosso sforzo organizzativo.
Il comitato che è stato formato,
comprendente la Giunta della
FCEI ed un rappresentante per
ogni esecutivo delle chiese federate ed alcuni altri, ha svolto un
gran lavoro. In assenza di strutture preesistenti, di interlocutori
pubblici organizzati (chi non ricorda il « caos » dei soccorsi nei
primi mesi!) e soprattutto sotto
la spinta di una risposta solidale
sia delle chiese evangeliche italiane che estere, il comitato ha
dovuto, per così dire, imparare
il mestiere lavorando. Nonostante queste difficoltà non da poco,
il lavoro è stato fatto bene. In
alcuni luoghi l’intervento della
Federazione è stato l’unico intervento effettuato!
L’intervento della FCEI, pur
avendo un carattere « straordinario » nei tempi e nei mezzi finanziari, si è posto in un’ottica
di rinascita economica e morale
delle zone terremotate, che dovrà continuare anche dopo la fine degli aiuti straordinari.
Così ad esempio ci si è sforzati di inserirsi in un quadro di
programmazione economica pubblica. Non si sono costruite solo
case per dare un ricovero ai senzatetto, ma ci si è scorzati di costruire dei quartieri, dei villaggi
in cui il problema della qualità
della vita associata sia determinante altrettanto quanto il tetto.
Sono sorti così i « centri sociali »
polivalenti che saranno gestiti
con la partecipazione della gente
e degli enti locali.
Sono sorte inoltre le cooperative zootecniche che permetteranno a molte famiglie di continuare a vivere nelle zone e a non
emigrare.
Oggi i problemi che deve affrontare la FCEI sono quelli del
reperimento del personale (assistenti e animatori sociali, agronomi) capaci di proseguire il lavoro iniziato e che sappiano collocarsi nella linea di intervento
della Federazione. Per questo è
stato deciso di dar vita ad un
rinnovato Servizio di Azione Sociale.
Oltre a queste caratteristiche
l’azione della FCEI è stata unitaria; insieme valdesi, battisti, metodisti, chiese libere, evangelici
senza etichetta, si sono impegnati nell’opera di soccorso, non pella propria autorealizzazione, ma
per testimoniare dell’amore di
Cristo che ci spinge ad essere solidali.
Giorgio GardioI
6
17 luglio 1981
orondea delle valli
ALLE VALLI OGGI LUSERNA S. GIOVANNI: DOPO LO SCIOPERO AL CARLO ALBERTO
Una
scuola
che
boccia
E’ soltanto questione di soldi?
intervista al pastore Taccia sui problemi della diaconia nella chiesa
Il fatto che alle scuole medie
di stato si sia tornati, anche qui
in Val Pellice, con un pesante
incremento rispetto allo scorso
anno, a bocciare non può passare sotto silenzio.
La linea della non-selezione è
naufragata. Rispunta così la vecchia mentalità meritocratica per
cui se la cavano solo i cosiddetti
migliori. Sappiamo tutti (e lo
documenta bene Tarditi su «Cronache del Pinerolese ») che la selezione da sempre è più che mai
di classe. Non solo. Ma una volta bocciati gli alunni "fagnani”
c’è da chiedersi cosa si fa l’anno
dopo, a livello scolastico, per recuperarli ad un livello culturale
migliore.
Si dirà che molti alunni arrivano alla media con una scarsa preparazione, cioè in pratica sanno
a malapena leggere e scrivere. Si
dirà che gli organi collegiali sono anch’essi naufragati se è vero
che quella partecipazione dei genitori, tanto auspicata, tutto
sommato, almeno qui in Val Pellice, deve ancora decollare. Si potranno addurre tutte le ragioni
di questo mondo, e alcune sono
fondate, ma resta il fatto concreto della bocciatura che — girala
come vuoi — è l’ultimo assurdo
mezzo a cui ricorrere, nella scuola dell’obbligo, per rispondere al
problema del diritto allo studio.
A livello popolare la bocciatura è spesso intesa come segno di
serietà dell’ Istituzione, perché
una scuola che boccia è una scuola che non fa andare avanti —
così si dice — chiunque, ma appunto vaglia, decide, giudica e si
ha ormai l’impressione che all’interno della scuola dell’obbligo i
rapporti si siano, nel giro di pochi anni, singolarmente capovolti: quella maggioranza dei docenti che sino a ieri era per la promozione massiccia si è convertita alla logica della bocciatura
come mezzo educativo. Certo, si
sa, il ragazzo bocciato presenta
atteggiamenti fortemente contraddittori: o non sa niente ma è
un tantino volonteroso o sa qualche cosa però non ha voglia di
fare nulla. Ma la scuola tiene sufficientemente conto delle ragioni
familiari, sociali che stanno dietro a questi atteggiamenti negativi? Non è forse un segno di debolezza, di resa da parte della
scuola nei confronti della società
il non sapere trasformare in positive situazioni familiari o sociali negative? La bocciatura punisce determinati atteggiamenti
ma non convince perché coglie
solo un aspetto del problema
senza andare alle cause che lo
hanno prodotto. Eppure la scuola non è avulsa dalla società,
essa dovrebbe proporre — proprio nell’ambito degli otto anni
scolastici obbligatori — nuovi
strumenti: da un più intenso sviluppo del tempo pieno a una seria programmaz.ione del consiglio di classe sino ad una riqualificazione della preparazione dei
docenti.
Il ritorno alla bocciatura è sintomatico del fatto che quella
strada del rinnovamento, delle
riforme che avrebbe dovuto agganciare maggiormente i contenuti e i metodi della scuola alla
società, si è troppo presto rivelata una strada tortuosa che pochi percorrono. Ed è appunto su
questa attuale minoranza di insegnanti convinti della inutilità
della bocciatura che grava la responsabilità di rilanciare il discorso del diritto allo studio in
modo coerente ed aggiornato;
partendo magari più che dalla
critica sull’ozio degli allievi, da
una seria autocritica della scuola nel suo rapporto con la società.
G. Platone
Lo sciopero iniziato mercoledì 8 c.m. da gran parte del personale
del Rifugio Carlo Alberto (vedi nostro articolo su Eco-Ltjce n. 28)
è stato sospeso sabato II mattina, sospensione che ha coinciso con
il rientro del personale al proprio posto di lavoro. Durante lo sciopero il personale ha distribuito un volantino, della CGIL, CISL, UIL
per informare la popolazione sui termini della vertenza. « Chiediamo
alla CIOV — afferma il volantino — e ai Comitati di gestione delle
opere della Chiesa valdese di accettare da subito di aprire un confronto di merito per ottenere e aggiornare i contratti dei dipendenti
tenendo a riferimento gli attuali livelli contrattuali e normativi
dei dipendenti pubblici ». Venerdì 10 sera la CIOV e il personale del
Rifugio in sciopero hanno deciso, in presenza dei rappresentanti sindacali, di iniziare la trattativa per addivenire ad un contratto. Durante lo sciopero (a cui hanno aderito 13 persone su 25) la CIOV ha immediatamente ospedalizzato i casi più gravi ed ha organizzato, in
collaborazione con le chiese del 1° Circuito, squadre di volontari, per
garantire un minimo di assistenza (diurna e notturna) alla vita dell’Istituto. Ora, per inquadrare in modo approfondito tutto il problema che questo sciopero ha evidenziato abbiamo intervistato il past.
Alberto Taccia che nel passato si è particolarmente interessato al
lavoro diaconale nella nostra chiesa.
— Quale è stata la tua reazione allo sciopero indetto dal personale del Rifugio?
— Molto negativa, come puoi
immaginare. Si è trattato di un
provvedimento di notevole gravità che ha causato, anche solo
per pochi giorni, un grave disagio agli ospiti. Tuttavia ha avuto il merito di mettere in evidenza una serie di carenze di cui, almeno in parte, siamo responsabili. Non parlo delle difficoltà
obiettive in cui la CIOV si trova
effettivamente impastoiata per
quel che concerne l’adempimerito di mille formalità burocratiche che appesantiscono i movimenti delTamministrazione e rinviano a tempi lunghi tutta una
serie di provvedimenti spesso urgenti, ma mi riferisco soprattutto alla effettiva mancanza di dialogo con il personale che questo
avvenimento ha evidenziato. Le
decisioni relative alla politica
diaconale della Chiesa si assumono fuori dagli Istituti, al Sinodo, alle Conf. Distrettuali, nei
Comitati di gestione e non sempre il personale, che pure opera
in prima persona, è direttamente messo al corrente e coinvolto.
— Ma queste informazioni vengono normalmente date attraverso la nostra stampa, i bolettini di Chiesa, le relazioni dei
delegati.
— E’ vero, ma non basta. Per
quel che concerne soprattutto gli
istituti assistenziali, in cui la
maggioranza del personale è
evangelico, occorre non solo una
informazione diretta, ma anche
un maggior coinvolgimento dei
lavoratori nei programmi operativi dell’Istituto, una maggior
corresponsabilizzazione nelle fasi decisionali immediate, una discussione a libro aperto sui problemi economici e finanziari, una
verifica dei progetti e così via.
La Chiesa non può comportarsi
come un « datore di lavoro » secondo la logica corrente, ma è
chiamata a compiere un’azione
di servizio e di testimonianza nel
nome di Cristo anche attraverso la propria opera assistenziale
e nel modo come la gestisce. E
la gestione di questo servizio non
può essere che collettiva e coinvolgere prima di tutto chi vi lavora, fatte salve le responsabilità specifiche dei comitati arnrninistrativi. Anche i lavoratori, in
quanto valdesi, devono sentirsi
corresponsabilizzati nella conduzione delle opere di cui sono dipendenti e nello stesso tempo
proprietari e gestori in quanto
membri di Chiesa. Bisogna trovare i modi e creare gli strumenti per rendere effettivo questo
discorso, da tempo ripetuto, ma
mai veramente attuato.
GIORNATA
DEL RIFUGIO
Ricordiamo agli amici
dei Rifugio Carlo Alberto
che domenica 26 luglio alle ore 14.30 avrà luogo la
« Giornata del Rifugio ».
Tutti sono cordialmente
invitati.
— Ma cosa c’entra tutto questo con i soldi? Non rischia di
essere questo un discorso mistificante, di copertura a un trattamento economico insufficiente?
— Il rischio esiste e non nego
che a volte siamo incappati in
questa trappola più o meno inconsciamente. Credo tuttavia che
oggi il trattamento del personale non sia più cosìi inadeguato
come lo era un tempo, almeno
nella maggioranza dei casi. Certo in fase di inflazione progressiva ogni adeguamento rischia
di essere subito superato. Resta
il fatto che le nostre uscite non
possono superare di troppo le
entrate che, come si sa, sono essenzialmente costituite dalle ret
te pagate dagli ospiti, spesso a
livello pensionistico bassissimo.
La Chiesa deve essere in grado
di accogliere nei suoi istituti non
solo chi può pagare, ma anche
chi è in condizioni disagiate.
— C’è tuttavia una situazione
particolare del Rifugio che è una
IPAB (Istituzione Pubblica di
Assistenza e Beneficienza). Questo sembra essere l’argomento
di base da cui è partita la rivendicazione del personale per Tapplicazione del contratto di lavoro degli Enti Pubblici.
— E’ vero, anche se sotto vi è
una distorsione non imputabile
però alle generazioni viventi. Il
Rifugio, che in origine aveva le
caratteristiche giuridiche di tutti gli altri Istituti della Chiesa,
come gli Asili di San Giovanni
e San Germano, ha assunto in
un momento successivo la veste
di Opera Pia e, in seguito di
IPAB, ricavandone di fatto tutti
i vincoli burocratici pubblici,
senza alcun utile diretto. Infatti,
in seguito al famoso decreto 616
che prevedeva il passaggio ai Comuni delle IPAB, il nostro ricorso di opposizione è stato accolto, avendo riconosciuta la natura non pubblica del Rifugio.
Con l’approvazione delle Intese
il Rifugio dovrebbe alfine spogliarsi di questo vestito inadatto
e diventare un ente autonomo
nell’ambito dell’ordinamento valdese. Ecco perché la CIOV non
ha ritenuto di accedere alla richiesta del personale, perché basata su un principio del tutto
formale e discriminatorio nei
confronti degli altri Istituti analoghi. L’adozione del contratto
degli Enti Pubblici non può essere compatibile con un ente
privato non finanziato da pubblico denaro.
— Pensi che il miraggio della
grossa eredità Bellion, abbia in
qualche modo incoraggiato e influito sulla decisione del personale di chiedere più soldi?
— Può darsi. Purtroppo finora
l’eredità Bellion ha costituito
per la CIOV una fonte inesauribile di pratiche burocratiche, di
tasse e spese di ogni genere, senza realizzi consistenti. Inoltre è
impensabile ritenere che i capitali possano essere impiegati per
integrare gli stipendi: è vietato
per legge. La CIOV ha già però
preventivato un investimento
produttivo di parte dei capitali
per il sostegno della gestione.
Piuttosto a questo punto il problema è un altro e cioè se vale
la pena mettere in atto il grosso
progetto di ristrutturazione del
Rifugio, se i costi di gestione saranno tali da non poter essere
sostenuti.
— Qualcuno ha però affermato
che le rette possono essere addossate in ogni caso agli enti
un negozio
di fiducia
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pubblici che devono farsi carico
delle necessità dei cittadini non
in grado a provvedere al loro
mantenimento.
— La questione non coinvolge
soltanto una questione economica, ma una scelta politica di
fondo.
Non dimentichiamo che le nostre opere assistenziali e in modo del tutto particolare le case
per anziani, non sono solo al servizio del territorio immediato,
ma di tutta la Chiesa Evangelica in Italia. Questo è un punto
importante, sempre sostenuto
nel dialogo con gli enti e che costituisce una grossa eccezione al
principio della territorialità del
l’assistenza pubblica. In base a
tale principio gli enti pubblici
assumono la responsabilità solo
nei confronti dei residenti sul
territorio.
— Quindi ribaltare sugli enti
pubblici il costo delle nostre opere vuol dire rivedere del tutto la
nostra politica e rinunciare alla
nostra autonomia. Capisco che
l’autonomia abbia un costo, ma
è giusto farlo pagare interamente al personale?
— Certo che no. Ecco perché
il discorso non può essere limitato al dialogo ClOV-personale,
ma deve coinvolgere tutta la
Chiesa. Si tratta di sapere se la
Chiesa Valdese vuole che le nostre opere sussistano e fino a
che punto è disposta a pagare
il prezzo di una autonomia di
gestione (che non vuole essere
privatizzazione) oppure preferisce riconoscere l’impossibilità di
sostenere il peso sempre crescente di tali opere e accettare le conseguenze che derivano da questa
scelta. Si tratta certo di una decisione gravida di grosse conseguenze, sia che rivendichiamo la
nostra autonomia, sia che vi rinunciamo per cedere il passo
definitivamente all’azione pubblica.
__ Il problema è dunque più
complesso e articolato di quanto non sembri e le decisioni sono tutte aperte e mi pare che il
Sinodo dovrebbe essere coinvolto ,
— Certo, ma ancora una volta, il dibattito deve essere portato nelle Chiese e negli istituti
stessi, dove il personale (almeno quello evangelico) non deve
sentirsi o essere considerato soltanto come una controparte, ma
come elemento attivo e responsabile per contribuire alla costruzione di una soluzione che non
umili nessuno, ma salvaguardi
(0 restituisca) il carattere di testimonianza evangelica delle nostre opere.
Intervista raccolta da
G. Platone
Hanno collaborato a questo
numero: Thierry Benotmane,
Anna Bosio, Gustavo Bouchard, Bruno Costabel, Franco Davite, Dino Gardiol, Lando Mannucci, Luigi Marchetti Carlo Rapini, Cipriano
Tourn, Giorgio Tourn.
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7
17 luglio 1981
CRONACA DELLE VALLI
AGAPE
Fede cristiana
e omosessualità
ITINERARI ALLE VALLI - 5 Circuito Val Pollice
Al secondo incontro degii omosessuali cristiani, che si è svolto
ad Agape dal 18 al 21 giugno, dominava anche quest’anno un’atmosfera serena, che rendeva possibile rincontro e lo scambio reciproco delle esperienze. L’anno
scorso sono venuti ad Agape come in un luogo di rifugio, perché
non avevano trovato chi li accogliesse: quest’anno Agape, che
ha anche collaborato alla preparazione dell’incontro, era un luogo noto, dove era possibile andare al di là del piacere di vedersi e conoscersi, per approfondire, nei gruppi di discussione, i
diversi temi particolari, in riferimento alla Bibbia, al mondo
del lavoro, alle prospettive del
movimento omosessuale, ai rapporti fra omosessualità e eterosessualità. Tuttavia, più che il
contenuto teorico ha avuto importanza la capacità dello scambio personale, che permetteva
per esempio a un partecipante di
scoprire e di manifestare la profonda somiglianza, anzi l’identità
che egli aveva sperimentato fra
l’amore « omo » e quello « etero ».
All’incontro hanno partecipato
circa 80 persone, tutte in un modo o nell’altro interessate al problema dell’omosessualità; invece,
secondo uno dei presenti, è mancato uno scambio più approfondito fra « omo » e « etero »,
per un arricchimento e una presa di coscienza reciproci, che
PRAROSTINO
Domenica 4 luglio abbiamo avuto una
importante e interessante Assemblea
di Chiesa.
Abbiamo anzitutto ascoltato la relazione sul lavori della recente Conferenza Distrettuale di Angrogna. fatta
da uno dei nostri deputati, il fratello
Sergio Montalbano, il quale, in modo
semplice e chiaro ha puntualizzato i
vari argomenti trattati e gli ordini del
giorno più importanti.
Dopo la relazione, l'assemblea si è
fermata ancora per esaminare il problema delle nostre Scuole Valdesi: il
Liceo e le due Scuole Medie di
Torre Pellice e Pomaretto. Era presente
la Signora Ive Theiler, Vice-presidente
del Comitato del Collegio, che ha illustrato la situazione difficile In cui
si trovano le nostre scuole, sla finanziariamente, sia per gli insegnanti, sia
ancora per la prevista diminuzione
della popolazione scolastica alle Valli.
La Signora Theiler ha poi risposto ad
alcune domande rivolte dai presenti.
L'assemblea tuttavia, non si è sentita
in grado di esprimere un parere unanime con un o.d.g.
L'assemblea ha poi accolto la proposta di alcuni di avere durante l'estate una giornata comunitaria. Tale giornata avrà luogo domenica 26 luglio a
Roccapiatta col seguente programma:
ore 10.30 Culto nel tempio di Roccapiatta; pranzo al sacco nel prato davanti alla Chiesa: nel pomeriggio, passeggiate varie alle Borgate della zona.
Essendo la 4" domenica del mese,
avrà luogo ugualmente II culto alla Cappella del Roc alle ore 8.30, mentre
non avranno luogo I culti a San Bartolomeo delle ore 10.30, né quello al Rostagni delle ore 15.
ANGROGNA
Domenica 19 ore 14.30 culto all'aperto al Bagnau
• Ci sono ancora posti per la gita
alle Cevenne (4-7 settembre) in occasione del « Rassemblement protestant ».
Telefonare al pastore: 94.41.44.
• Una folla commossa si è raccolta. mercoledì 8. Intorno ai familiari di
Adelchi Ricca, perito, in tragica circostanza. all età di 34 anni. Autodidatta,
amante della lettura, fu anche collaboratore del nostro giornale. Nella luce
del Cristo risorto la comunità si stringe intorno ai genitori colpiti da questa
improvvisa perdita.
TORRE PELLICE
Sabato 1” agosto 1981 si terrà alle ore
20.45 nel Tempio valdese di Torre Pellice un concerto di organo e flauto.
Il programma verrà reso noto in seguito.
avrebbe potuto far tesoro della
grande intensità e della carica
umana nei rapporti interpersonali che si sono manifestati nell’incontro, superiore, come è stato detto, a quello che avviene in
occasioni simili.
Per gli omosessuali credenti,
0 cristiani, il problema più grave è che essi non sono accettati
dalle rispettive comunità: sono
costretti perciò a fìngere, oppure a separarsi, che è quello che
appunto non vogliono perché
non desiderano affatto di costituirsi come un ghetto di omosessuali cristiani.
Nel corso dell’incontro sono
stati presentati il « Gay Christian
Movement » e una storia dei modi con cui le chiese e la teologia
cristiana hanno, secondo i momenti, accettato, o rifiutato, o
perseguitato gli omosessuali. Interessanti sono stati anche i rapporti su : « Omosessualità e giornali » di Ferruccio Castellano e
di Franco Barbero : « Dalla tradizione marxista alla lotta per
1 diritti umani ».
Al termine dell’incontro si è
costituito un comitato per preparare rincontro dell’anno prossimo, con una durata maggiore
e, possibilmente, internazionale.
(nev)
Società
di Studi
Valdesi
Domenica 26 ■ ore 17, nei
locali del Collegio Valdese
sarà inaugurata la mostra
allestita in occasione del
centenario della Società :
« 100 anni di cultura alle
Valli Valdesi ».
SAN SECONDO
Esprimiamo le nostre fraterne condoglianze a Wirma Besson v. Long (Centro) per la morte del fratello avvenuta
in Svizzera venerdì 10 luglio.
POMARETTO
La comunità si congratula con Silvana Marchetti e Maura Balma che si
sono laureate presso la Facoltà di Magistero di Torino con una tesi di sociologia: Stratificazione sociale e religiosità in una comunità valdese.
• Sabato 11 luglio sono stati benedetti i matrimoni di: Renzo Gaydou di
Pomaretto e Luciana Giai di Porte; Renato Ribet di Pomaretto (direttore della locale corale e dei trombettieri vaidesi) e Milena Faraud di Roure.
Che lo Spirito del Signore accompagni questi due nuovi focolari durante
tutta la loro vita coniugale, e vegli
sempre su di loro.
Giungano a questi sposi gli auguri
più fervidi della Comunità tutta.
VILLASECCA
A distanza di due giorni soltanto, la
nostra comunità si è riunita per ascoltare il messaggio della resurrezione e
della vita per la morte di Renè Menusan ed Enrico Costantino.
Ai due nuclei familiari giunga l'espressione della simpatia cristiana nella comunione di fede e di speranza in
Cristo, Il Signore della vita.
BOBBIO PELLICE
Venerdì 10 è stato celebrato il funerale di Costanza Artus In Rostagnol
deceduta a 79 anni dopo una lunga
malattia. Alla famiglia la nostra simpatia cristiana.
Domenica 19 luglio
INCONTRO AL
COLLE DELLA CROCE
ore 10: Culto;
ore 15: Testimonianze su:
Società di Studi
Valdesi e Ernesto
Buonaiuti.
La Ciabrarèssa
a cura di Raimondo Genre
e di Valdo Benech
Luogo di partenza: ponte Pautas
1015 m
Dislivello: 720 m
Tempo complessivo h 4.
□
L’itinerario che proponiamo
con questa gita si discosta da
quelli precedenti perché si colloca sul versante nord della Val
Pellice. Il percorso che descriveremo sarà, di massima, il più
facile da seguire, il meglio tracciato e permetterà di toccare i
punti più significativi della zona,
lasciando poi al turista ampia facoltà di allungare o abbreviare il
percorso, imboccando sentieri
che indicheremo nel corso della
descrizione. Essendo la zona volta a nord, sia la vegetazione che
la tonalità dei colori, verde in
estate, e di multiformi sfumature di giallo rosso e verde in autunno, assumono un tenore del
tutto diverso.
Fitti boschi di faggi larici pini
e abeti, spesso frammisti, costituiscono la vegetazione d’alto fusto. Il sottobosco e la zona più
in quota presentano i tipici aspetti di vegetazione ombrofila quali lamponi, drauss (ontano alpino), rododendri, ecc.
In agosto-settembre il bosco è
ricco di mirtilli e funghi, specie
i laricini (boletus elegans). Per
quanto concerne la fauna, in questi luoghi regna il fagiano di
monte, non rara è la lepre di
montagna « biancoun »; tra i predatori, la volpe la poiana e non
di rado l’aquila.
Trovandoci nel vallone dei Carbonieri, ci succederà abbastanza
spesso, passeggiando nel fitto del
bosco di imbatterci in bellissime
piazzole di circa 50 m^: sono le
vecchie carbonaie dove un tempo
si faceva il carbone di legna.
Ma torniamo al nostro percorso. Lasciata la strada provinciale
Villar Pellice - Bobbio Pellice circa 1 Km prima di Bobbio P. seguiremo l'indicazione "Valle dei
Carbonieri”, proseguendo su strada asfaltata per 5 Km ed al termine di una salita ripida, poco
dopo l’abitato di Romana 932 m
troveremo il Ponte Pautas in
basso a sinistra 1015 m. Sulla destra, nei pressi di un grosso roccione nero, si potrà posteggiare.
Attraversato il ponte, seguiremo
la strada carrettabile per circa
300 m finché sulla sinistra imboccheremo la vecchia strada che
sale a Sapichiot su un tracciato
leggermente più ripido, ma con
fondo assai meno sassoso, più
piacevole ed all’ombra di un bel
bosco.
Mezz’ora di salita e ci troveremo alle miande di Sapichiot
1280 m; due gruppi di case in
prossimità di bellissimi prati circondati da boschi. Al centro del
secondo grui^no ci disseterà una
deliziosa fontana donde saliremo
diritto in mezzo ai faggi ed in
cinque minuti ci porteremo sulla
strada carrettabile che avevamo
lasciato poco sotto. Proseguiamo
quindi a sinistra, direzione nord,
per circa un Km. in piano, finché
sbucheremo sulla parte alta del
vasto pendio erboso di Moumaou
d’amount o Mamauro superiore,
1287 m (luogo panoramico). A
questo punto, invece di scendere,
voltiamo a destra e saliamo per
una strada carrettabile dove alla
seconda curva si innesterà la mulattiera per la Ciabrarèssa; il sen
tiero è ben marcato, direzione
sud, (segnavia EPT 110) nuovamente tra boschi di larici che ci
accompagneranno fino alla meta,
salvo qualche intermezzo di pascoli erbosi ricchi di flora alpina.
Il sentiero sale dolcemente salvo
qualche lieve tratto, fino a raggiungere a quota 1638 m, la "bealera della Ciabrarèssa" che ci accompagnerà fino all’ alpeggio
omonimo 1735 m, h 1,30 da Moumaou d’amount. Questa bealera
o canale di irrigazione portava
un ternpo Tacqua ai casolari della Bouissounà su un percorso di
circa 4 Km, il che sta a testimoniare come la zona fosse intensamente abitata tanto da giustificare un’opera del genere, che
in alta montagna presenta le sue
difficoltà, considerando anche la
sua_ origine assai remota. Si ritiene infatti che le vecchie opere di
canalizzazione delle acque, molto
diffuse nell’alta Val Pellice, traggano origine addirittura prima
dell’insediamento Valdese e precisamente dai saraceni già presenti in zona. All’alpeggio della
Ciabrarèssa, un tempo molto frequentato, sale oggi un solo nucleo
farniliare ed i pascoli sono sfruttati quasi esclusivamente da pecore e capre.
Dopo ristorati, il ritorno si farà per la stessa via della salita
fino a Sapichiot, con la possibilità però a quota 1460 m circa di
imboccare un sentiero, invero un
po’ incerto, ma non pericoloso e
senza possibilità di errore, che
scende diritto in mezzo ai boschi
a monte di Sapichiot e sbucherà
sulla carrettabile più in basso; è
un po’ incerto perché usata solo
dagli alpigiani per salire ai pascoli dai casolari e può presentare quindi alcune diramazioni che
conducono comunque sempre
sulla carrettabile nei pressi di
Sapichiot dove potremo di nuovo
scegliere tra la mulattiera della
salita, oppure la strada che, inoltrandosi nel fitto del bosco scenderà più o meno dolcemente fino
al rio Ciabrarèssa o Tournaou
nei pressi di una cava di pietra
ancora in attività. Di qui seguiremo il fresco rumoreggiare del
torrentello che ci accompagnerà
fino alla confluenza con la comba dei Carbonieri al ponte Pautas.
Ha termine così la nostra
escursione attraverso una zona
fresca ombreggiata e accogliente,
ove la sua natura selvaggia è ancora ben conservata.
I mezzi pubblici, fanno servizio solo sulla provinciale Torre
Pellice -Bobbio e la fermata è
proprio al bivio dianzi menzionato. Per questo itinerario, i periodi di percorrenza variano a
seconda dell’innevamento da fine
giugno alla prima nevicata autunnale.
Grande Traversata delle Alpi
Domenica 19 luglio verrà inaugurato un nuovo settore della
Grande Traversata delle Alpi. Si
tratta di un percorso che interessa le valli Stura, Grana, Maira,
Varaita e Po.
La gita inaugurale riguarda il
percorso da Pontechianale (1614
metri) a Bellino (1488 m) attraverso il colle della Battagliola
(2260 m), con un percorso di
quattro ore su un facile sentiero.
Il programma prevede la partenza alle ore 8.30 da Pontechianale (Frazione Maddalena, in
punta al lago artificiale), pranzo al sacco e danze popolari al
Colle della Battagliola, quindi discesa a Bellino dove i partecipanti troveranno il ballo in piazza
e polenta e salciccia. Tutti possono partecipare a questa gita.
Il Consiglio del 1“ Circuito nell’ultima riunione del 6.7. ha deciso di ripubblicare, rivisto e aggiornato, il pieghevole storico e d’informazione sugli
orari dei culti della Val Pellice. La tiratura è limitata alle chiese alle quali
però viene chiesto di far conoscere il
« pieghevole » alle pensioni, negozi,
bar, ecc.
Il Consiglio è impegnato per la
« Giornata dell’Eco delle Valli Valdesi » all 8 agosto ed ha inviato una propria valutazione alla Tavola sulla carenza di forze pastorali nel Circuito.
Prossimo incontro del Consiglio il
30.7 : annotare la data per chi intende
presentare eventuali problemi.
RINGRAZIAMENTO
Le famiglie Stucchi, Taglierò ed
Agli della compianta
Albina Agli ved. Stucchi
impossibilitate a farlo personalmente,
ringraziano per la dimostrazione di affetto loro manifestato in occasione del
lutto che le ha recentemente colpite.
Torre Pellice, 10 luglio 1981
« Il Signore è il mio pastore
nulla mi mancherà »
(Salmo 23)
E’ mancata
Marìuccia Decker
le amiche della Società di Cucito
« DORCAS » che l’hanno avuta per
tanti anni impareggiabile Presidente e
Maestra, la ricordano con infinito affetto e rimpianto.
Torino, 7 luglio 1981
AVVISI ECONOMICI
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minialloggio. Cerco in alternativa la
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dal sabato ore 14 al lunedi ore 8
dalle ore 14 della viglila del giorno festivo Infrasettimanale alle
8 del giorno successivo presso
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A Torre Pellice; martedì chiusa
la farmacia Muston, giovedì chiusa la farmacìa Internazionale
A Luserna San Giovanni: mercoledì chiusa la farmacia Preti,
giovedì chiusa la farmacia Gaietto.
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Luserna S.G.: Tel. 90884 - 90205
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GUARDIA MEDICA
dal sabato ore 14 al lunedi ore 8.
dalle ore 14 della vigilia del
giorni festivi alle ore 8 dei giorni
successivi al festivi
le notti dalle ore 20 alle 8.
Il recapito del servizio è presso
la CROCE VERDE di Porosa Ai^
gentina ■ Tel. 81.000.
GUARDIA FARMACEUTICA
festiva e notturna
DOMENICA 19 LUGLIO 1981
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Croce Verde Plnerdo - Tel. 22884
Croce Verde Porte - Tel. 74197
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8
8
17 luglio 1981
Informazioni dalla CEvAA
A cura di Franco Davite
Cambio di
responsabili
La CEvAA riunita
ad Ecumene
Provenienti da 8 Paesi dell’Africa Occidentale, Equatoriale ed
Australe, dal Madagascar, dalla
Polinesia, dalla Nuova Caledonia e dalle chiese di Francia,
Svizzera e Italia, si sono riuniti
ad Ecumene (Velletri) i deputati delle Chiese che costituiscono
la Comunità Evangelica di Azione Apostolica. Ad essi si sono aggiunti i membri del « Bureau »
che scadeva e doveva essere rinnovato, i segretari dei vari dipartimenti, alcuni invitati rappresentanti organizzazioni missionarie francesi e svizzere ed alcuni
traduttori per assicurare il collegamento fra la maggioranza di
lingua francese e gli anglofoni del
Lesotho e della Zambia. In tutto
una quarantina di persone che
hanno trascorso una dozzina di
giorni per fare un lavoro biblico, decidere le linee del lavoro
CEvAA per il futuro e distribuire
le risorse in uomini e denaro fra
le varie chiese e loro opere a seconda delle necessità e delle disponibilità.
Un bilancio
’’teologico”
Uno dei fatti qualificanti di
queste sedute è stato lo stretto
collegamento fra il lavoro biblico e la distribuzione delle risorse comunitarie.
Per tutta la prima settimana
i membri del Consiglio e gli invitati hanno dedicato la prima parte di ogni giorno a studiare Luca
12: 13-34 a gruppi ed in sedute
plenarie. Si tratta di alcuni passi
che hanno come centro la ricchezza e la povertà. « Gesù rifiuta di dividere l’eredità fra due
fratelli, la parabola del ricco
stolto, le sollecitudini ansiose, il
tesoro che non si consuma ». Negli stessi giorni, nel pomeriggio ci
siamo dedicati ai problemi finanziari, sempre diffìcili e complessi.
Non credo mi fosse mai successo finora di toccare con mano fino a che punto il pensiero biblico può orientare una discussione finanziaria con tutti i problemi tecnici e di bilancio che essa
comporta. Eppure l’esperienza di
tutti è stata proprio la constatazione che questo non solo è possibile, ma anche vero e estremamente illuminante.
La CEvAA è una comunità di
chiese che si mettono insieme per
potenziare l’annunzio dell’Evangelo nei rispettivi Paesi e dovunque questo sia possibile. Per questo il bilancio 1982 che si prevede
in 2.263.000.000 dà la priorità al
le azioni comuni o delle singole
chiese che potenziano il lavoro
di evangelizzazione e di testimonianza nelle varie parti del mondo dove le chiese CEvAA sono
presenti.
Questo significa che, oltre all’azione comune che continua nel
Nord della Zambia a Kaputa e
di cui abbiamo già dato notizie,
si è privilegiata l’animazione
teologica in vista della evangelizzazione che è svolta dal segretario aggiunto Ametefe Nomenio
della chiesa evangelica del Togo,
sia in Africa che in Europa. Accanto a questo lavoro vi è un
grosso sforzo per le borse di studio in Europa ed in Africa (259
milioni) per preparare i predicatori dell’Evangelo ai vari livelli
(pastori, evangelisti, catechisti,
predicatori laici ecc.). Un’altra
somma importante è destinata a
sostenere il lavoro delle varie
scuole teologiche e delle Facoltà
di Yaunde (Camerún) e di Suva
(Nuova Caledonia). A proposito
di Yaundé c’è la buona notizia
che questa Facoltà si prepara a
dare anche il dottorato in teologia in modo che tutta l’Africa
francofona non dovrà più inviare
in Europa i suoi studenti per
preparare gli insegnanti delle facoltà africane. Questo non significherà soltanto un notevole risparmio di denaro a favore di
altre attività, ma permetterà anche di evitare i molti problemi
connessi con un lungo espatrio
(lontananza dalla famiglia per
molto tempo, inserimento della
moglie e dei figli nelle società e
nelle scuole europee per un periodo limitato di tempo ecc.) e
permetterà una preparazione non
più effettuata in un mondo molto diverso da quello in cui dovranno predicare ed insegnare.
Questa parte del bilancio (con
le spese amministrative) impegna quasi metà della somma disponibile, mentre l’altra metà è
distribuita fra le varie chiese a
seconda delle loro esigenze di
preparazione locale degli evangelizzatori, del lavoro di testimonianza evangelica, nuove traduzioni della Bibbia, attrezzature
per la comunicazione di massa
(radio e audiovisivi), lavoro dei
Comitato ifi Radazioiw: Franco
Becchino, Dino Ciesch, Niso Do
Michelis, Giorgio GardioI, Moroolla Gay, Aurelio Penna, Jean-Jacques Peyronel, Roberto Peyrot,
Giuseppe Platone, Luciano Rivoira,
Liliana Viglielmo.
Editore: AlP, Associazione informazione Protestante - Torino.
Direttore Responsabile:
FRANCO GIAMPICCOLI
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Intestato a • L'Eco delle Valli La Luce ».
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• La Lece »: Autor. Tribunale di
Pinerolo N. 176, 26 marzo 1960.
« L’Eco delle Valli Valdesi >; Reg.
Tribunale di Pinerolo N. 175, 8 luglio 1960.
Stampa: Cooperativa Tipografica
Subalpina - Torre Pelllce (Torlnc)
giovani e delle donne. Solo una
piccola parte è dedicata alle spese amministrative delle chiese
ed al mantenimento degli stabili.
Alla formazione di questo bilancio tutte le chiese contribuiscono con la loro propria offerta, anche le più piccole e le più
povere in modo che anche il finanziamento della « impresa »
CEvAA è il frutto della collaborazione e dello sforzo di tutti.
Una riflessione e uno
stimolo per le chiese
L’altro aspetto del lavoro di un
Consiglio della CEvAA e che si
basa anch’esso sullo studio biblico fatto insieme, è la ricerca
delle linee di studio e di azione
per una maggiore e più incisiva
predicazione dell’Evangelo intorno ad ognuna delle nostre chiese. Gli incontri della CEvAA, anche quelli non particolarmente
dedicati al lavoro teologico vogliono essere uno stimolo per
tutte le nostre chiese in questo
lavoro fondamentale e che deve
essere svolto in tutto il mondo.
È passato il tempo in cui ci potevamo illudere che l’Europa fosse un continente cristiano e che,
perciò, potesse « esportare » il
Vangelo nel resto del mondo. In
una nostra grande città c’è una
percentuale molto più alta di
gente che si dichiara non cristiana che nel Lesotho in piena Africa Australe o nelle isole della
Polinesia, sperduta nel Pacifico.
Quest’anno il lavoro biblico ci
ha condotti a riflettere come poter annunziare l’Evangelo ai disoccupati, agli emigrati che sono
milioni in tutti i continenti, ai
piccoli contadini che vivono in
uno stato di effettiva emarginazione in tutti i paesi del mondo;
ci siamo anche chiesti come annunziare il Vangelo ai « ricchi »
cioè agli europei che, lo vogliamo riconoscere o meno, sono i
ricchi di questo mondo, ma anche a quelle persone ed a quelle
classi che emergono finanziariamente nel III mondo e che ricreano nei loro paesi le ingiustizie, le divisioni e le lotte che
conosciamo nei nostri Paesi.
I pastori Eugenio Hotz (Presidente) e
Victor Rakotoarimanana (Segretario generale) sono giunti al termine del loro
mandato, assieme ad alcuni altri membri del Comitato esecutivo della CEvAA.
II pastore Hotz della Chiesa Riformata evangelica del Cantone Svizzero
di Neuchâtel è stato ri primo presidente della CEvAA, fin dalla fondazione e,
dividendo la sua attività fra la chiesa
in cui è pastore e la presidenza della
CEvAA, ha svolto un lavoro importante in questi primi dieci anni di vita
della Comunità.
il pa,store Victor Rakotoarimanana
è venuto alla CEvAA lasciando il suo
posto di segretario generale delia Chiesa di Gesù Cristo in Madagascar. Di
lui possiamo dire che è stato il realizzatore della CEvAA. Victor ha tessuto pazientemente e quotidianamente la
tela che man mano è diventata la
CEvAA con i suoi mille rapporti fra
chiese, fra esperienze di predicazione
e di vita cristiana in continenti diversi, fra scuole e facoltà teologiche, fra
chiese di invio, chiese di accoglienza
e gli inviati stessi.
Ora essi lasciano questo lavoro, il
primo per ritornare a pieno tempo nella chiesa svizzera, il secondo per assumere il compito di pastore dei molti
malgasci evangelici sparsi in Europa.
Il nuovo comitato
esecutivo
Samuel Ara, segretario generale. Pastore della chiesa evangelica del Togo
(Africa Occidentale), finora professore
e direttore della Scuola Teologica di
Porto Novo (Benin) che prepara i pastori per le chiese evangelica e metodista de! Togo, Benin e Costa d Avorio. Membro del dipartimento « Fede e
Costituzione » del Consiglio Ecumenico.
René Lacoumette, presidente. È un
laico, professore di matematica che ha
accettato di dedicare i primi anni del
suo pensionamento a questo impegnativo lavoro al servizio di tutte le nostre chiese. È anche presidente della
Commissione missionaria della Chiesa
Riformata di Alsazia e Lorena e membro del Consiglio della CEvAA quale
rappresentante di quella Chiesa.
Gli altri membri del Comitato esecutivo sono:
Jean Kotto, vicepresidente. È uno degli ideatori della CEvAA. È camerunese, già segretario generale ed ora presidente della Chiesa Evangelica.
(segue da pag. 1)
crisi attuale della medicina « con
la loro parzialità di fiducia verso
Dio ».
Si dirà: non è affatto sempre
così. Più d'uno fra noi, anche ultimamente, visitando un fratello,
una sorella, duramente alle prese con la sofferenza, l’ha udito
dire, magari in un soffio stanco:
« Sia fatta la volontà di Dio ». O
lo abbiamo detto, dopo una morte. Qui, siamo sul filo del rasoio;
può essere la più alta e profonda professione di fede, di fiducioso abbandono al Signore, ma
può anche essere una rassegnazione pagana al Destino ineluttabile, una rassegnazione che, filtrata largamente fra noi cristiani, ha contribuito e contribuisce
largamente a diffamare il cristianesimo, l’Evangelo.
L’Evangelo, la buona Notizia
è questa: che Gesù non ha accettato la malattia, la sofferenza e
la morte, ma vi si è rivoltato
contro; ha guarito, in qualche
caso ha persino risuscitato: queste erano le opere che il Padre
lo aveva mandato a fare, questa
era la volontà di Dio che egli viveva fra noi. E’ anche in questo
senso che ha vissuto e adempiuto la profezia messianica: « erano le nostre malattie che egli
portava, erano i nostri peccati
quelli di cui si era caricato » (Is.
53 ’4). Generalmente pen.siamo
subito all’« uomo di dolore », alle
ore terribili della Passione. Ma
quello è stato solo il culmine.
Certo, gli evangeli non ci dicono
di malattie di Gesù: lo vediamo
avere fante, .sete, essere stanco,
triste; non lo vediamo mai a letto, malato. Ma lo vediamo instancabilmente fra malati, caricandosi della loro condizione di
sofferenza, di angoscia, di in
Robert Brecheisen, tesoriere. Laico
di Strasburgo, segretario del Consiglio
Missionario delle chiese luterana e
riformata di Alsazia e Lorena.
Jean Piguet, segretario. Pastore della
Chiesa Evangelica Riformata del Cantone svizzero di Neuchâtel.
Joel Chisanga, consigliere. Un africano della Zambia, segretario generale della Chiesa Unita di Zambia.
Paul Ramino, consigliere. È il segretario generale della Chiesa di Gesù
Cristo in Madagascar.
I supplenti sono
Michel Marlier, pastore della Chiesa Luterana di Francia.
Benjamin Massilo, laico, vicepresidente della Chiesa Evangelica del Lesotho.
Thérèse Lehartel, laica, membro del
Consiglio Superiore della chiesa evangelica della Polinesia francese. È la
prima Sorella ad avere una responsabilità diretta nella direzione della
CEvAA.
Emmanuel Mbangue-Eboa, pastore
della Unione delle Chiese Battiste del
Camerún.
Ragioni di spazio ed esigenze di tempestività ci hanno costretti a tagliare,
a ridurre il corpo tipografico, ed a
cambiare collocazione ad alcuni articoli.
Ci scusiamo con i collaboratori e
coi lettori.
Unione
predicatori
locali
Venerdì 7 agosto,
presso la sala dell’Asilo valdese di Torre Pellice, alle ore 17 (al termine delle elezioni sinodali) si terrà un incontro informale dei
predicatori locali sui
problemi generali dell’Unione, a cui tutti sono cordialmente invitati.
Il Segretario
Claudio Tron
UN LIBRO IMPORTANTE
Gesù non accetta la malattia
L’obiezione di coscienza
quietudine, con tale intensità
che si sente come indebolito
quando la sua forza vitale passa
nella donna malata che lo tocca,
e la risana (Marco 5/30). Anche
in questo senso va intesa quella
meravigliosa parola profetica:
Gesù si è "speso” per noi in una
lotta senza quartiere contro la
malattia, certo legata alla nostra
condizione di rivolta, di peccato,
di aperto o latente ateismo o paganesimo, ma non in un rapporto che possa essere definito in
termini contabili (cfr. il dibattito con gli spettatori della guarigione del cieco nato, Giov. 9).
Non è dunque un caso che l’Evangelo di Marco raccolga, subito dopo l’annuncio prograinmatico di Gesù, tutta una serie
di guarigioni: segni eloquenti —;
per la fede — di quel regnare di
Dio che in lui si è avvicinato. Segni, non più che segni, che il passare del tempo ha fisicamente
cancellato, ma che per la fede
restano indelebili, indicatori.
E ci richiamano a uscire dal
nostro ’ateismo clandestino’ o
dal nostro paganesimo latente,
di fronte alla malattia, alla sofferenza, e alla morte: quella di
altri, quella nostra. Il Dio in cui
crediamo, siamo chiamati a credere, non è un Dio della malattia e della morte, ma il Dio vivente e vivificante; il Cristo che
ce lo ha fatto conoscere non .si
è rassegnato, ma ha lottato a
morte contro malattia e morte.
Ha accettato di patire e di morire, ha detto « sia fatta la tua
volontà, non la mia », ma con un
progetto ben chiaro: la vittoria
sulla malattia e sulla morte. Così ci ha amati e ci ama. Questo
vuole che viviamo, così ci offre
di credere in lui, fiduciosi.
Gino Conte
L’autore, magistrato e docente
universitario, esamina analiticamente e criticamente la vigente
normativa italiana sull’ obiezione di coscienza al servizio militare alla quale il nostro legislatore è pervenuto - come esattamente si pone in rilievo - legiferando affrettatamente, dopo
aver seguito con lentezza e malcelata riluttanza il crescere della
presa di coscienza sul problema
e tardando poi ben cinque anni
a dare il regolamento di attuazione alla legge 15/12/1972 n. 772.
L’opera ha natura essenzialmente giuridica, ma si raccomanda all’attenzione di una cerchia di
lettori più vasta di quella degli
addetti ai lavori, per alcune particolarità.
La prima è data dallo spirito
con il quale l’indagine è affrontata e la partecipazione con la
quale è condotta, rivelati sin
dalla «Premessa», dalla quale
stralcio alcuni brani significativi: «Per me, cattolico, è stata una
gioia riscoprire attraverso la storia dell'obiezione di coscienza
figure di obiettori per i quali
l’obiezione di coscienza fu espressione di una purissima testimonianza evangelica; ed è stata una sofferenza incontrare anche talune pesantezze e intolleranze della mia chiesa. Credo
proprio che la storia dell’obiezione di coscienza possa suggerire
un profondo esame di coscienza, e che un onesto, obiettivo esame di coscienza porti il cattolico a vedere con occhi nuovi i
cristiani separati e a porre su
nuove basi i rapporti con essi ».
«Non sono marxista, ma non
sono manicheisticamente chiuso
alle istanze umane di cui il marxismo si è fatto interprete: perciò ho ricavato una grossa lezione anche dal riflettere sul fervore con cui obiettori di matrice
marxista, animati da motivi
esclusivamente o prevalentemente politici, hanno saputo vedere
nell’obiezione di coscienza un’occasione di impegno alla solidarietà sociale e di servizio alla
promozione umana ».
La seconda particolarità è costituita dall’intero capitolo I,
«L’obiezione di coscienza in generale», nel quale trova posto
una breve ma succosa storia dell’obiezione di coscienza attraverso il periodo pre e post costantiniano, e sino ai nostri giorni: vi
sono esposte, con esatta collocazione, le posizioni, oltre che dell’area cattolica, di quella evangelica (...« in sostanza, i cristiani
riformati mantennero vivo, ben
più dei cattolici, il senso contestativo, liberatorio e rivoluzionario del messaggio evangelico: anche se non mancarono, pur in
campo riformato, cedimenti e
compromessi »), e di quella laica; e vi si rinvengono puntuali
riferimenti anche all’atteggiamento del movimento valdese
prima della Riforma.
Suggestive, infine, mi .sono appar.se le indicazioni sulla proiezione della tematica dell’obiezione di coscienza al di là e dello
specifico settore del servizio militare e degli aspetti giuridici e
normativi del problema: come,
ad esempio, l’avvio o addirittura
la spinta a scelte obiettrici che
si intendono cogliere in alcune
pagine musicali di Mozart e di
Beethoven, in proposte pittoriche di Goya e di Picasso, o nelle
esplicite cariche pacifiste di noti films.
Ve n’è abbastanza, mi pare,
per segnalare il volume ai lettori del nostro giornale.
Aldo Ribet
' R. Vf.ìvditti: L'obiezione di coscienza al servizio militare - (ed. Giuffré. pagg. 172. 1981).