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BIBLIOTECA VALDESE
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DELLE \MU VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 110 - Num. 7 ABBONAMENTI 1 L. 3.500 per l’interno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 1 TORRE PELLICE - 16 Febbraio 1973
Una copia Lire 100 l L. 4.500 per l’estero Cambio di indirizzo Lire 100 1 Amm. : Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
NOI PROMETTIAMO, la mano sulla Bibbia e davanti a
Dio, di sostenerci coraggiosamente gli uni gli altri per la
testimonianza della nostra fede, senza pregiudizio dei nostri
doveri civili.
schio della vita, affine di trasmetterla ai nostri figli intatta
e pura, come Tabbiamo ricevuta dai nostri padri.
NOI PROMETTIAMO di mantenere
la Bibbia interamente e senza aggiunte, secondo l’uso della vera
Chiesa apostolica, perseverando in
questa santa fede, foss’anche a ri
NOI PROMETTIAMO aiuto e
perseguitati
soccorso ai nostri fratelli
non badando ai nostri
interessi personali, ma alla causa comune, non confidando negli uomini
ma in Dio.
Dall’impegno dei Valdesi delle Alpi, di Francia e di Piemonte, il 22
gennaio 1561, al Podio di Bobbio, in risposta all’alternativa loro intimata dal Duca di Savoia : « l’abiura oppure il fuoco o le galere! ».
E quasi inevitabile che nei prossimi mesi si parli, tra noi, della
« celebrazione » del centenario:
questa è infatti, respressione che
si usa in questi casi. In realtà, la parola non è molto adatta, perché fa venire
alla mente dei pensieri di solennità, di
trionfalismo: di solito si celebrano i
successi, le vittorie, le glorie.
Ora, chiunque conosce la storia valdese — ma quanti, tra quelli che la
snobbano (Genesi 25: 29-34) conoscono
per davvero la storia valdese? — sa
molto bene che essa conta ben poche
vittorie, nessun successo, e soltanto la
gloria tragica degli impiccati e degli
esclusi.
Ricordare,
non celebrare
La storia negli uomini
e nei libri
CENTENARIO VALDESE E DIASPORA EVANGELICA
Il Centenario; occasione o tentazione?
Uno sguardo al passato per capire il pre sente e prepararci all’avvenire
struzione della chiesa riformata nel
marchesato di Saluzzo, con i suoi sinodi numerosi e le sue chiese di popolo:
tre esperimenti significativi, tutti e tre
stroncati daH’implacabile repressione
di quella Controriforma che, sola, può
vantarsi di aver « fatto Fltalia » in cui
viviamo.
in un angolo d'Italia un pugno di lavoratori che prende in mano il suo destino, e assume in prirna persona la responsabilità della predicazione: se que^ sto non è fare la storia, allora la storia
è proprio solo quella dei ricchi e dei
potenti, dei vincitori e degli scribacchini.
C’è dunque ben poco da celebrare: in
compenso, c’è molto da ricordare: ed
è per questo che abbiamo deciso di fare il centenario, perché riteniamo che
sia necessario ricordare, e che non sia
lecito dimenticare la storia che sta alle nostre spalle. Basta dare un'occhiata alla splendida collana degli « Storici
Valdesi », che la Claudiana ha cominciato a pubblicare, per rendersi conto
che c'è lì un passato che non si può
trascurare: come mai questa piccola
minoranza di eterni sconfitti ha saputo
produrre, o accogliere, una tale attenzione alla storia? Come mai questi autori, talvolta anonimi, talvolta fin troppo personali, dimostrano sempre una
così acuta tensione e partecipazione
alla realtà? Perché dietro le storia dei
libri c'è la storia degli uomini: non solo la storia di un piccolo nucleo di provinciali emarginati, ma una storia più
ampia, di cui essi sono stati talvolta le
comparse, talvolta gli umili protagonisti.
Non c'è dubbio che uno di questi protagonisti sia stato Valdo (mi perdonino
gli storici se insisto a chiamarlo così:
certo, sarebbe più scientifico chiamarlo
Valdès, o Vaudès, o Valdesio, come sarebbe più scientifico chiamare Lutero
Luther, Calvino Cauvin, e Stalin Josif
Djugashvìlj, ma anche la semplicità ha
i suoi vantaggi): ma quel che lo rende
interessante è proprio il fatto che i
contorni della sua vita siano quasi
inafferrabili, che le sue idee non Siano
inquadrabili con assoluta precisione:
questo è un vero testimone di Cristo,
che non avrà capito la giustificazione
per sola grazia, ma l’ha vissuta, e non
ha imposto il ricordo di sé stesso come la reliquia ingombrante di un santo
che obbliga i suoi seguaci a viaggiare
sempre sulle stesse rotaie (ornières, si
dice in francese); ma ha dato, o valorizzato, un impulso sufficiente perché
una folla di « umiliati ed offesi » sfidasse per tre secoli la Santa Inquisizione, riportando su di essa una vittoria
morale che solo chi oggi vuol deliberatamente rinnegare la fede evangelica
ha il diritto di disconoscere.
Il trionfo del l’autonomia
contadina
I valdesi
tra Giolitti
Giolitti
Certo, di fronte a questo panorama
cinquecentesco, può apparire modesto
il ruolo di quei quattro contadinacci
delle montagne del Pellice e del Chisone che creano una chiesa e una società
riformata, e poi la difendono, armi alla mano: sono dei marginali, e la cultura (pardon, la Cultura) italiana dell’epoca non li menziona neanche. Sono
lì per caso, più che vivere sopravvivono. Da Engels a Coppellotti, questo è
il giudizio che si dà su di loro. Ma è
un giudizio sbagliato: i valdesi del ’500
non sono dei marginali: proprio nella
débàcle della riforma italiana, Chanforan rappresenta il trionfo dell’anonimato e dell’autonomia contadina: c'è
Si potrebbe però dire: è vero, allora
i valdesi erano nella storia, ma adesso
ne sono usciti: questo è possibile. Se
esaminiamo la nostra storia nel secolo
XX, dobbiamo riconoscere alcuni fenomeni inquietanti: :rel 1900, intorno alla
chiesa valdese si muovono soprattutto
degli intellettuali: Giovanni Luzzi, che
ci regala una traduzione biblica criticabile ma splendida; Ugo Janni, che ci
costringe a prendere sul serio la realtà
del movimento ecumenico; Giuseppe
Gangale che ci rinfaccia di non essere
abbastanza calvinisti. E dalla chiesa
stessa emergono soprattutto degli uomini di pensiero; e basti qui fare il
nome di Giovanni Miegge. Ma cosa
rappresenta questa collana di nomi?
Sono essi l’equivalente teologico e
« provinciale » di quello che ad es.
Thomas Mann è stato per la società
occidentale, cioè il « canto del cigno »
di una civiltà al tramonto? Non mi pare: la Massello in cui Miegge pensa i
suoi libri, non è la « montagna incantata » da cui si scende solo per morire:
è il punto di guardia d’una sentinella
attenta al nuovo che arriva. In realtà,
questo coro complesso di voci che si
leva, dentro e intorno alla chiesa valdese nella crisi del ’900, è un insieme
di indicazioni per il futuro: è lina promessa, come tutti i doni dello Spirito
sono segno d’una benedizione e d’una
promessa.
Sia chiaro: Questa promessa non riguarda solo la chiesa valdese: se così
fosse, questa schiera di pensatori sarebbero solo i corifei delTinevitabile
evoluzione d’un piccolo gruppo umano
che deve adattarsi ai cambiamenti storici per non scomparire: ma possibile
che il Signore ci abbia dato Luzzi e Janni, Gangale e Miegge, Bruno Revel e
Tullio Vinay solo per aiutarci a passare dall’era di Giovanni Giolitti a quella
di Antonio Giolitti? In realtà questi uo
AJfinità e diff-^renze tra due forme di dissidenza cristiana
Dissenso valdese e dissenso cattolico
In altri momenti, ai valdesi è forse
toccato il ruolo di semplici comparse:
ad esempio in quella vicenda appassionante (e anch’essa dimenticata) che è
stata la Riforma in Italia nel 1500: c’è
stata la diffusione dell’ondata luterana,
che è andata via via stemperandosi da
proposta di chiesa alternativa a semplice stimolo del rinnovarnento cattolico, non senza però lasciare qualche
traccia nella fede di uomini della tempra di Michelangelo Buonarroti (di cui
si scopre ora la sensibilità verso la
dottrina della giustificazione per fede);
c’è stata la diaspora di migliaia di intellettuali italiani che hanno collaborato alla costruzione delTEcumene riformata, talvolta in posizioni di piena responsabilità (Ginevra, Inghilterra,
Magdeburgo), talvolta con italica indisponente indisciplina; ci sono stati almeno tre tentativi di costruire una
chiesa riformata in terra Italiana: l’autentico tentativo di riforma di base
condotto a Lucca; la diffusione del protestantesimo nella Valtellina, in connessione (forse un po’ troppo stretta) con
la politica elvetico-grigionese; la co
ll tema dei rapporti tra dissenso valdese medioevale e dissenso cattolico
odierno è tuttora quasi inesplorato ma
merita di essere proposto all’attenzione
della chiesa, non solo per il suo interesse sul piano storico ma soprattutto per
la sua portata sul piano vocazionale.
Ci si chiede: Fin dove giunge l’analogia, che indubbiamente esiste, tra queste due forme di dissidenza cristiana, e
qual è la sua consistenza effettiva? A
prima vista i due movimenti, per quanto lontani nel tempo, presentano singolari affinità: sono formali o sostanziali?
Evidentemente, sembra eccessivo dire
che i cattolici del dissenso sono oggi
quello che nel 12“ secolo furono i primi
valdesi e considerare il dissenso cattolico odierno come la replica storica, a
distanza di secoli, del dissenso valdese
medioevale. Ma forse non è eccessivo
sostenere che i cattolici del dissenso
sono, almeno per alcuni aspetti non secondari, più simili ai primi valdesi di
quanto non lo siano i valdesi di oggi.
Ma se così fosse, quali conseguenze dovremmo trarne per i nostri rapporti
con la dissidenza cattolica odierna e
con la dissidenza valdese originaria?
Entro certi limiti questi due ordini di
rapporti procedono appaiati e si richiamano a vicenda: il desiderio di rivivere
qualche momento delTesperienza valdese medioevale dovrebbe indurci a incrementare, dove è possibile, i contatti
con le comunità cattoliche dissidenti.
Che la chiesa valdese si stia orientando verso il ricupero a livello non solo
teologico ma pratico di alcuni temi caratteristici del valdismo medioevale pare evidente, anche se non si può in alcun modo parlare di una decisione definitiva e vincolante. L’ultimo Sinodo
comunque ha individuato una serie di
motivi evangelici propri del primo movimento valdese e li ha elencati additandoli come « elementi della fede cristiana di assoluta attualità »; evangelizzazione, povertà evangelica, libertà
critica nei confronti di ogni ordinamento politico-religioso assoluto, libertà
dello Spirito, carattere comunitario
della vita cristiana. È implicito l’invito
alle chiese a ricercare e rivivere in termini moderni queste realtà.
Questo eventuale e a nostro avviso
auspicabile ricupero è da configurare
non come un ritorno al passato ma come un ritorno all’Evangelo o meglio
come un ritorno dell’Evangelo, di certe
sue linee e istanze, nella nostra storia.
Ma siamo pronti e disponibili per questo innesto di motivi del valdismo originario nelle nostre chiese di oggi? Abbiamo la fede e il coraggio necessari
per percorrere, in condizioni diverse e
quindi anche in modi diversi, lo stesso
cammino percorso da Valdo e dai suoi
primi seguaci? Rivivere anche solo parzialmente l’esperienza valdese delle
origini sarebbe tutt’altro che una operazione indolore;: comporterebbe non.
poche innovazioni pel modo di intendere la nostra cotìdizione cristiana nel
mondo e nel modo di vivere la nostra
vocazione come singoli e come chiesa.
Siamo disposti a questi cambiamenti
che per certi aspetti esigerebbero da
parte nostra una vera e propria conversione? Il dissenso cattolico odierno, almeno in parte analogo a quello valdese
di un tempo, non costituisce forse per
noi un invito e una sollecitazione a ricollegarci con le nostre origini lontane
ma non dimenticate, a rinsaldare i nostri rapporti con quella che a buon diritto è stata chiamata la « prima Riforma » della cristianità ed ebbe, come
protagonisti, insieme ad altri, appunto
i « poveri di Lione »?
Le maggiori affinità tra l’antico dissenso valdese e l’odierno dissenso cattolico sono le seguenti:
— la natura popolare ( « di base » si dice oggi) dei due movimenti e il loro
carattere sovente semi-clandestino,
per cui i loro confini restano fluttuanti;
— là loro indole non-istituzionale e, nei
momenti di conflitto, apertamente
anti-istituzionale (si crede e afferma
la libertà dello Spirito anche contro
la legge della istituzione ecclesiastica) senza che peraltro vi sia nei dissidenti una volontà scismatica o uno
spirito settario (settaria è la gerarchia che scomunica e condanna, è
lei che « rompe », non il dissenso);
— la comprensione del cristianesimo
mini ci sono stati dati non per noi, ma
per la testimonianza evangelica in Italia, di cui molti altri fratelli portano
la responsabilità insieme con noi: dal
1860 non c’è più una « storia valdese »:
c’è una storia della predicazione evangelica in Italia (e anche questa la Claudiana ce la sta restituendo, con dei volumetti belli, seri e stimolanti, diretti
da Giorgio Spini, che non a caso è metodista).
Questa predicazione evangelica è ben
inserita nella moderna storia d’Italia,
e i valdesi non ne sono che una parte,
e neanche la più importante; ma anche
questa è una storia di sconfitte, di sofferenze, di impopolarità: noi evangelici
in Italia non andiamo mai bene: prima
eravamo venduti allo straniero, adesso
siamo « integrati al sistema » a differenza, perbacco, della CISL e delle
AGLI che sono sulla via del socialismo,
e di numerosi preti anticostantiniani
che combattono la struttura cattolica... insegnando religione nelle scuole.
E in parte queste critiche che riceviamo sono vere: la nostra realtà attuale
è modesta, talvolta meschina.
Ma abbiamo un compito, e tocca a
noi svolgerlo. Ed è a motivo di questo
compito che « ricordiamo » il centenario valdese.
Non siamo
una sottocultura
come vita più che come dottrina, nel
senso deH’unità necessaria tra parola e azione (per essere « apostolica »
non basta che la chiesa parli come
gli apostoli, deve anche vivere come
loro);
— il primato della Parola di Dio sulla
chiesa e quindi la libertà cristana di
disubbidire all’autorità religiosa infedele (« Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini » — compresi gli
uomini di chiesa);
— la coscienza che la comunità del Signore non può lasciarsi integrare nel
sistema politico-sociale in cui vive
(rifiuto del « costantinianesimo »,
cioè delTalleanza tra chiesa e poteri
costituiti);
— la consapevolezza del rapporto pri’■ vilegiato e necessario esistente tra
Evangelo e mondo dei poveri, tra
esistenza cristiana e povertà evangelica.
Accanto a queste affinità, vi sono naturalmente delle differenze. La più significativa sembra essere questa: la
predicazione delI’Evangelo aveva nel
valdismo un posto molto più rilevante
di quanto non ce l’abbia nel dissenso
cattolico, forte più sul piano della protesta evangelica che su quello dell’annuncio evangelico. Il dissenso cattolico
è essenzialmente un movimento di liberazione. Il dissenso valdese fu essenzialmente un movimento di predicazione. Liberazione e predicazione costituiscono « lo specifico » (come oggi si
dice) rispettivamente della dissidenza
cattolica odierna e di quella valdese
originaria.
Va da sé che liberazione e predicazione non si escludono affatto, sono an-'
zi destinate a integrarsi a vicenda; lo
Evangelo comprende entrambe. La loro compenetrazione è auspicabile specialmente nel nostro tempo e potrebbe
nascere dalTincontro e da uno scambio
di doni (Romani 1: 12) tra. chiese evangeliche e comunità cattoliche di base.
La loro diversità, storica e teologica,
non comporta divisione, piuttosto sollecita il dialogo e il confronto; la loro
affinità è premessa e, promessa di una
possibile comunione.
Paolo Ricca
Visto nel quadro globale della testimonianza evangelica in Italia, il centenario cessa dunque di essere il rito
pomposo e vuoto di una piccola sottocultura che si dibatte per sopravvivere
e attirare Tattenzione dei contemporanei: la caratteristica propria delle sottoculture è infatti la marginalità rispetto ai processi storici reali. Ricordare il
Centenario significa affermare con tutta chiarezza che, durante òtto secoli di
protesta evangelica in Italia, questa
marginalità non c’è mai stata; potrà
esserci domani, se noi rinnegheremo la
nostra vocazione, o se la mistificheremo: questo è possibile. Ma se la famiglia evangelica italiana terrà in onore
i doni dello Spirito, non ci sarà marginalità, ma fedeltà ed efficacia; non certo vittorie: chi vuole vittorie non vénga con noi. Non ci saranno successi,
perché « un discepolo non è da più del
suo maestro », ma come il Maestro è
stato sconfitto ma non marginalizzato,
così non ci sarà marginalità per la testimonianza evangelica: piuttosto una
« via stretta » che qualcuno avrà certo
il coraggio di percorrere.
In questa prospettiva, tocca forse alla chiesa valdese, in occasione del centenario, un compito molto modesto:
ricordare, alla diaspora evangelica, che
essa ha un passato, che questo passato
appartiene a tutti, che può essere studiato, che merita di essere amato.
La cerniera della Valli
Ma come conoscere questo passato?
Noi commetteremmo un errore molto
grave se facessimo del Centenario una
faccenda da intellettuali: litiri, ricerche, studi, dibattiti; occorre che questi
otto secoli di storia siano illustrati in
un lin^aggio comprensibile a tutti: ai
giovani, ai lavoratori, a chi non è credente. Occorre trovare un simbolo per
il centenario. Bisogna che il Museo
rinnovato sia visto da tutti per quello
che può essere: una narrazione vivente
d’una storia che non è finita; bisogna
rivalutare i luoghi storici delle Valli dove passato e presente, uomini e documenti si confondono in un insieme che
non mi vergogno di definire affascinante. Ma qui il discorso (già abbastanza
confuso!) ci porta a un punto cruciale:
l’assunzione da parte delle Valli Valdesi d’una funzione di cerniera nella testimonianza evangelica in Italia, e il
riconoscimento di questa funzione da
parte di tutti coloro ai quali sta a cuore che questa testimonianza non sia
una somma di casi individuali, o di
esperienze di generazioni staccate le
une dalle altre, ma una storia capace
di continuità responsabile.
Ma su questo punto, se il direttore
pensa che ne valga la pena, si potrà
tornare un’altra volta.
Giorgio Bouchard
i
2
pag. 2
N. 7 — 16 febbraio 1973
LA VIA PER ECCELLENZA
della carità mi
Clitsa cattolico-rimana
fascismo
« £ paziente e benigna; soffre ogni
cosa, crede ogni cosa, spera ogni
cosa, sopporta ogni cosa »
(I Corinzi 13: 4-7)
Nel primo articolo di questa serie
abbiamo detto che, secondo l’apostolo, ciò che conta più di tutto è la carità, cioè l’agape. Ora Paolo parla della carità e degli aspetti in cui essa si
manifesta nella vita della comunità
cristiana.
La nostra prima impressione è che
l’agape, come Paolo l’intende, sia qualcosa di troppo alto per noi, inattuabile e molto spesso inattuato nei nostri
rapporti umani, all’interno della comunità e all’esterno. Soltanto Gesù
Cristo ha vissuto l’agape nella sua nienezza al punto che potremmo leggere
il testo paolinico in questo modo:
« Gesù Cristo è paziente e benigno...
Gesù non si vanta, non sospetta il male, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa ». Tuttavia questo riferimento alla
carità di Gesù Cristo non ci lascia tranquilli, non ci libera dalle nostre responsabilità. Il linguaggio di Paolo non
è fatto di belle frasi, non è un discorso teorico, ma scende nel vivo della
comunità cristiana di Corinto e, per
riflesso, nelle nostre comunità, nei rapporti reciproci fra credenti. La « carità » che vince è la carità che si oppone al male in tutte le sue manifestazioni. La vera carità non è indifferenza o debolezza d’animo; richiede invece una profonda sensibilità e spirito
di sacrifizio. In certe situazioni ci vuole più forza per amare che per abbandonare il prossimo a se stesso ed al
suo destino.
Ecco ora il testo biblico nella sua
ricchezza e varietà. La carità è « paziente e benigna »; essa sa attendere
e sa anche perdonare. L’amore cristiano attende pazientemente che i frutti
maturino nella vita del credente, non
esige una conversione immediata, riconosce che Dio opera quando vuole e
come vuole. L’agape non si stanca, anche se l’attesa è lunga e lo scoraggiamento ci assale. L’agape è benigna,
colma di bontà; nel linguaggio neotestamentario la « benignità » e la
« bontà » hanno anche gli accenti del
« valore » e della « volontà » per entrare in azione al momento opportuno,
sull’esempio del buon samaritano nella parabola evangelica.
La chiesa cristiana di Corinto, come
Paolo la descrive nella sua prima lettera, era tutt’altro che una chiesa senza difetti; accanto a molti doni spirituali, c’erano divisioni, gelosie, orgoglio e pretese di superiorità, liti e processi, disordini nei pasti in comune
per la celebrazione della Cena del Signore. L’esortazione alla carità era rivolta ad una comunità che ne aveva
estremamente bisogno.
Ascoltiamola come se fosse rivolta
alle nostre comunità: « La carità non
invidia, non si vanta, non si gonfia,
non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non
s’inasprisce, non sospetta il male, non
gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la
verità ».
Come si vede ce n’è per tutti: cadiamo tutti nella stessa rete, nessuno può
uscirne per meriti speciali. Gli ambienti ecclesiastici sono il terreno dove
spesso prosperano la stima di sé, l’invidia e la gloria personale. È triste riconoscerlo, ma è così: anche un buon
credente, un pastore, un teologo, un
cristiano impegnato possono cadere
nel laccio della presunzione di sé e dei
propri meriti. Siamo tentati di far conoscere il nostro nome, di correr dietro al successo; ci gonfiamo e ci mettiamo in vetrina, come se la sorte della chiesa dipendesse da noi, dalla nostra cultura, dalla nostra conoscenza
e dimentichiamo ciò che Paolo dice a
questo riguardo: « la conoscenza gonfia, ma la carità edifica» (I Cor. 8: 1).
Facciamo un passo avanti: « la carità non si comporta in modo sconveniente ». A Corinto, alcuni con il pretesto che la carità è al di sopra di tutto, si conducevano in modo sconveniente, senza riguardi per il prossimo.
L’agape, però, non apre la porta al
malcostume, come anche il fatto d’essere salvati per la grazia di Dio non ci
libera da ogni vigilanza e da ogni controllo morale. La carità e la libertà
non diventano licenza. Ci sono delle
norme di rispetto e di decenza che i
cristiani debbono osservare per primi
se non vogliono essere di « scandalo »,
cioè di ostacolo al prossimo. « La carità non cerca il proprio interesse »,
non è ripiegata su di sé, non pensa
unicamente a se stessa, è invece amore che si dona. « Eros » è l’amore che
si concentra sui propri desideri, « Agape » è la carità che si dona. Perciò « la
carità non s’inasprisce, non sospetta il
male, non gode dell’ingiustizia, ma
gioisce della verità ».
A questo punto il riferimento al
prossimo è ancora più evidente e impegnativo, non soltanto fra uomo e uomo, ma anche fra uomo e comunità,
fra uomo e società. Neppure quei cristiani i quali si ritengono « spirituali »
hanno una natura angelica! Anzi, proprio nella chiesa ci si irrita facilmente
e ci si giudica severamente l’un l’altro.
(Non credete, cari lettori, che un po’
più di carità non starebbe male anche
sul nostro settimanale, dove il dissenso diventa spesso aspra polemica, a
base di severi giudizi personali, lonta
ni dall’agape di cui parlano volentieri
gli uni e gli altri?) « Colui che ama veramente », scrive il teologo K. Barth,
« non tiene un ’dossier’ sul suo prossimo »! Come cristiani non possiamo
godere dell’ingiustizia commessa dal
prossimo; anzi ci rallegriamo con lui
della verità. E la verità è questa: che
anche il nostro prossimo è figlio di
Dio, pggetto deH’amore di Cristo, chiamato insieme con noi, ad essere rinnovati interamente dalla potenza delTEvangelo.
I connotati dell’« agape » sono come
gli anelli di una preziosa catena: la
carità « soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa ». Chi è da tanto? A che cosa si riduce la nostra « carità » di fronte a
queste definizioni?
« Soffre ogni cosa »; il testo greco
contiene anche l’idea di « coprire » e
di « perdonare ». Vero è che bisogna
anche soffrire per perdonare; ad ogni
modo, la carità non aggrava le colpe
altrui, ma le copre con il perdono, secondo la definizione dell’apostolo Pietro: « Abbiate amore intenso gli uni
per gli altri, perché l’amore copre moltitudine di peccati ».
«La carità crede ogni cosa»: qui
Paolo non fa l’elogio della stupidità o
della credulità umana. La carità che
crede è fondata sulla Parola di Dio e
sa discernere il vero dal falso; diventa anche una « carità che spera ogni
cosa ». Crede e spera nelle infinite possibilità di Dio più che nelle limitate
possibilità dell’uomo. Tuttavia è sempre una carità che crede e spera in favore del prossimo. L’uomo può avere
il volto del sofferente e del peccatore;
non abbiamo il diritto di disprezzarlo
o di ignorarlo, possiamo sempre credere in lui e sperare per lui.
« La carità sopporta ogni cosa »: il
termine « sopporta » possiede un significato più ampio e più preciso del
nostro. Non si tratta di una carità che
sopporta tutto passivamente, fatalisticamente. La sopportazione è anche sinonimo di « costanza » nella prova, di
« perseveranza », quando verrebbe voglia di abbandonarci al corso degli
eventi. È una carità che sopporta e
che « resiste » nell’ora della prova. È
una carità che trionfa sul male e su
noi.
L’« agape » di cui parla l’apostolo
non è un termine retorico e decorativo, È una parola che ci fa pensare a
Gesù Cristo, perché Lui solo è stato in
realtà « la carità che soffre, crede, spera e sopporta ogni cosa ».
Ermanno Rostan
Ogni anno, di febbraio, un irritato
malessere riaffiora tra noi protestanti
italiani. Non siamo ancora riusciti a
digerire il Concordato del febbraio
1929, anche se la Corte Costituzionale
qualche buona volontà l’ha messa a
rendercelo meno indigesto.
Propriamente, più che le persecuzioni di cui quell’avvenimento fu la
prima avvisaglia, più che la farsa penosa di vedere inserito paripari nella
Costituzione repubblicana un testo
zeppo di dettati farsesco-archeologici,
noi protestanti abbiamo accusato un
colpo: il tradimento della borghesia
« laica ». Quest’ultima, abbandonato
progressivamente il separatismo (almeno programmatico) del Cavour, accantonate le non richieste tirate anticlericali, per la paura dei « rossi » non
aveva esitato — a partire dalla fine
’800 — a fare proprie troppe aspirazioni dei « neri », aprendo la strada
al logico sbocco clerico-fascista del ’29.
C’è un bel libro (P. Scoppola, La
Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, ed. Laterza, Bari 1971)
che aiuta a capire la situazione, anche perché è decantato da pregiudiziali anticlericali, ma cerca di capire
la posizione della Curia romana.
All’indomani della prima guerra
mondiale, stava maturando una situazione nuova, favorevole a una siste
NOTE DI STORIOGRAFIA VALDESE
1 3
Gli ultimi anni di Valdesio
L'ultimo messaggio di Valdesio: nella comunità valdesiana non vi dev'essere altro capo o rettore se non Cristo,
« l'unico Signore, vescovo, pastore e prevosto degli apostoli e dei predicatori apostolici »
Che cosa avvenne dopo l’esilio
Lione e la condanna di Verona? Dove
e con chi se ne andò Valdesio? Quali
sono stati i suoi rapporti con i gruppi
di Poveri dissenzienti che presto si formarono qua e là in Francia e in Italia?
Quando e dove morì? Le fonti al riguardo sono mute o quasi. Sull’opera
missionaria di Valdesio fuori di Lione
non abbiamo nessun dato, a meno di
voler prestar fede a quella fonte tardiva e poco sicura costituita dal già citato carteggio del 1368 tra Valdesi d’Austria e di Lombardia (v. puntata 8),
secondo il quale Valdesio avrebbe fatto dei discepoli durante il suo breve
soggiorno romano del 1179 e, al ritorno, avrebbe fondato delle comunità in
parecchie regioni della penisola. Una
leggenda, che risale alla fine del secolo
XVI e in cui si confondono Valdesi e
Picardi, lo faceva morire in Boemia
verso il 1217. Certo è che un anno dopo egli non era più, se nel 1218, in un
incontro tra delegati valdesi di Francia e di Lombardia tenutosi nei pressi
di Bergamo, si discusse addirittura se
egli fosse ormai in paradiso o all’inferno! Gli accenni fatti allora alla sua persona suggeriscono che fosse morto da
parecchio tempo. D’altra parte le fonti
tacciono su un’eventuale reazione di
Valdesio circa il rientro di suoi collaboratori in seno alla Chiesa Romana,
benché la cosa si sia ripetuta ben due
volte, una prima nel 1207/8 con Durando d’Qsca e la seconda con Bernardo
Prim nel 1210, e ogni volta con un buon
seguito di ex-compagni. Ciò tuttavia
non ha impedito qualche storico di fare delle curiose ipotesi: così Christine
Thouzellier, pur osservando che la storia non ci dice se Valdesio abbia visto
tale ritorno, pensa tuttavia che Valdesio non fosse molto lontano dal fare un
uguale passo; e il domenicano Vicaire
giunge alle stesse conclusioni quando
scrive che l’iniziatore del movimento
valdese « morì forse da buon cattoli
dico » (cf. Christine Thouzellier, Catharisme et Valdéisme cit., p. 217; M.-H.
Vicaire, Les deux traditions apostoliques ou l’évangélisme de saint Dominique, in « Cahiers de Fanjeaux » 1, Toulouse 1966, p. 83).
Tra tutte queste lacune e incertezze
di documentazione emerge una sola notizia sicura. Quando verso il 1205 i
Lombardi, separandosi dai loro confratelli francesi, si elessero un capo nella
persona di Giovanni di Ronco, Valdesio ne fu sensibilmente contrariato. La
cosa merita di essere un pò più approfondita, perché da tutto l’insieme della
disputa esce confermato uno dei pricipi fondamentali della protesta valdese,
che va ben al di là di una semplice riforma morale — come spesso si è pensato — per acquistare un profondo significato ecclesiologico: Valdesio non
voleva che nessuno, lui vivo o morto,
fosse nominato « prevosto » o « rettore » della societas valdesiana né in
Francia né in Italia, poiché — come
vedemmo nell’ultima puntata sulla base di quanto affermava Durando d’Qsca nel suo « Liber antiheresis » — il
solo « prevosto » ammissibile per lui
e per i suoi sodi era Cristo, « l’unico
Signore, vescovo, pastore e prevosto
degli apostoli e dei predicatori apostolici ». Questo fu uno dei tanti motivi
di contrasto che, come risulta dal resoconto delle discussioni fatte a Bergamo nel 1218, opponevano i Lombardi ai
Francesi fin dalla loro scissione. Su di
essa, oltre che dal suddetto resoconto,
siamo informati da due polemisti cattolici, il laico piacentino Salvo Burci
e il domenicano Anseimo d’Alessandria.
Il primo, autore di un « Liber supra
Stella » redatto all’incirca tra gli anni
1235 e 1240, nel polemizzare coi Valdesi
che già in quel tempo pretendevano di
discendere direttamente dagli apostoli, scrive che « Valdesio di Lione fu il
loro capo, e prima di lui non ebbero
La voce
dei profeti
UN DIO INUTILE?
E II profeta Sofonia dichiara da parte di Dio: « Punirò gli uo- s
i mini che, immobili sulle loro fecce, dicono in cuor loro: l'Eterno E
1 non fa né bene né male » (Sofonia 1: 12). Pensiamo dunque alla |
1 nostra colpa quando, oggi come allora, noi pensiamo a Dio come ^
1 a qualcuno che non agisce, che non interviene nella storia degli =
= uomini, e che quindi è come se non ci fosse. Dobbiamo ricono- 1
E scere che, purtroppo, è questo il modo col quale molti di noi pen- 1
E sano a Dio. Invece di riconoscerlo come il Padre celeste dal qua- E
E le deriva e dipende la nostra vita, per noi l’Eterno è un essere =
§ inutile che non fa nulla per noi, e quindi, praticamente, non c’è. E
i Ma questa affermazione è menzognera: qualunque concet- i
1 to abbiamo di lui, l’Eterno, il nostro Dio è e rimane l’Iddio vi- |
i vente, che agisce in oi e attorno a noi e conduce l’umanità al fine =
s che ha stabilito per essa: la vita eterna. C’è però una verità nel- =
E l’affermazione condannata dal profeta: Iddio non fa il male, per- §
1 mette solo che esso avvenga, affiriché il male si distrugga da se E
= stesso. E
E Dal momento in cui Adamo volse le spelle a Dio, deside- E
E rando di far da solo, una mole immensa di peccato si è andata |
E sviluppando e accumulando nella natura e negli uomini, per di- ^
i mostrar loro che tutto quello che essi fanno senza Dio e quindi E
E contro Dio è vano e finisce nel nulla: il male, che è in realtà il E
E nulla, si esaurisce in sé stesso in una serie lunghissima di azioni E
i e di reazioni che finirà con il suo definitivo annullamento, quan- |
E do Dio, sviluppando contemporaneamente la sua azione benefica, s
E trionferà nella persona del suo figlio Gesù Cristo. 1
1 Lino De Nicola =
altri capi se non la Chiesa romana...
Anche i Poveri Lombardi appartenevano prima alla Chiesa romana; poi, tale Chiesa non essendo più di loro gradimento, si unirono ai Poveri di Lione,
rimanendo qualche tempo con essi sotto la giurisdizione di Valdesio; ma in
seguito si nominarono un altro capo,
Giovanni di Ronco, e ciò dispiacque a
Valdesio e ai Poveri di Lione ». Anseimo d’Alessandria è più sbrigativo: soffermandosi nel suo « Tractatus de hereticis » sulle differenze tra francesi e
lombardi, nomina anche lui Giovanni
di Ronco, primo dei Lombardi e responsabile della loro scissione, causa
la quale « gli Ultramontani — cioè i
Francesi — scomunicarono i Lombardi » (cf. « Cahiers de Fanjeaux » 2. Toulouse 1967, pp. 108-109).
Un altro polemista, contemporaneo
di Salvo Burci, c’informa su una scissione ulteriore avvenuta in seno agli
stessi Lombardi: è Pietro da Verona,
diventato poi S. Pietro Martire dopo
il suo assassinio nel 1252, responsabile
della conversione del cataro Rainerio
Sacconi diventato anche lui inquisitore
e polemista. In una sua « Summa contra hereticos », dopo averci dato un
racconto delle origini dei Poveri lombardi molto simile a quello del Burci,
vi aggiunge un dato nuovo che il primo editore del testo non esitava a chiamare piccante: « L’eresia dei Leonisti — egli scrive — pullula da quasi 60
anni e trae la sua origine da Valdesio
di Lione... In principio fedeli all’ortodossia romana, se ne allontanarono per
orgoglio, diventarono contumaci, furono scomunicati, caddero in molti errori e infine si divisero in due gruppi,
gli Ultramontani con Valdesio, i Lombardi con Giovanni di Ronco che era
piacentino... Poi i Lombardi si divisero
a loro volta in due frazioni ad una
riunione tenutasi nei pressi di Milano,
in seguito al rovesciamento causato da
una gallina di un gran calice pieno di
vino, il cui contenuto, poco prima consacrato da Giovanni di Ronco, era stato calpestato dalle donne che lo assistevano. Ciò vedendo, un gruppo, detto
de prato, protestò pieno d’indignazione, proclamando che solo un prete ordinato dalla Chiesa romana poteva
consacrare il corpo e il sangue di Cristo ». Anche qui l’accenno a Valdesio
è fatto in modo da suggerire che fosse
vivo al tempo della prima scissione
ma non all’epoca della seconda, che si
suppone essere avvenuta nel 1209, per
cui, tutto sommato, la morte sua sarebbe avvenuta tra la prima scissione,
che è del 1205, e il ritorno di Durando
d’Osca e compagni in seno alla Chiesa romana, che è del 1207/8. Di più non
è possibile aggiungere.
Giovanni Gönnet
(segue: La crisi degli anni 1205-1209)
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllilllllllllllllllllllllllllHIIIIK
Doni pro Eco-Luce
Da Luserna S. Giovanni: Franco Bonnet
500; Umberto Rovara 500; Elio Peyrot 500:
Enrico Gay 500; Elisa falla 500; famiglia
Migliotti 500; Stefano Danna 100.
Da Torre Pellice: Gustavo Comba 5.000;
fam. Bellion-Jalla 300; Herbert Stollreiter
500; Tullio Beux 1.500; Mirella Bert 1.500;
« Les Pausettes » 1.500; Antonio Kovacs 500;
Cesare Malanot 300; Graziella falla 5.000.
Da Roma: Gabriella Titta Dreher 1.500;
Giovanni Giuliani 500; Maria Lamberti 500;
Manlio Gay 1.500; Virginia Scimone 1.000;
Emilia Albo Ayassot 500; Lina Sommani
1.500; Enzo Lumachi 500; L. e T. Ade 500;
Franco Michelangeli 6.500.
Grazie ! /continua)
mazione della questione romana. A
Parigi si svolse nel ’19 un colloquio
fra Qrlando e mons. Cerretti, e trasparì il desiderio della Curia romana
di giungere a una soluzione: essa
avrebbe portato a un trattato, ma
non a un concordato ed a una convenzione finanziaria (come avvenne nel
1929). Purtroppo la miopìa di Vittorio Em. Ili chiuse il discorso. Lo stesso Partito Popolare di don Sturzo non
premeva per un concordato, ma guardava più lontano: da un rinnovamento dello Stato giungere a un ’clima’
nuovo, evitando di fare del partito
cattolico lo strumento delle rivendicazioni vaticane (cosa che invece l’odierna D.C. ha puntualmente fatto).
È in questa fase aperta, ancora ricca di fermenti democratici, che si inserì il fascismo; Mussolini non mancò occasione per amicarsi l’alto clero:
riconoscimento dell’Univ. Cattolica di
Milano, il crocifisso nelle scuole, i
fondi per la costruzione delle chiese,
l'aumentato assegno a vescovi e cardinali, ecc. Con abilità, convinse la
Curia della inutilità di un partito cattolico così faticosamente manovrabile
come il P.P., ora che lo Stato fascistizzato si era messo sulla buona strada.
E il Partito Popolare fu abbandonato alla reazione fascista, mentre i cattolici antifascisti erano seccanti individui non utilizzabili: la loro denuncia del clerico-fascismo è utilizzata
oggi, ma allora non di rado fu osteggiata dalle autorità ecclesiastiche.
Nell'estate 1926, agli albori del « regime fascista », cominciarono le trattative tra i vertici dello Stato e della
Curia; il popolo, quello italiano come
quello « di Dio », erano drasticamente esclusi da un discorso che pure concerneva proprio lui. Apparve subito
chiaro che Mussolini, per ragioni di
politica interna come di prestigio internazionale, aspirava a un trattato
col Vaticano; ma la Curia voleva invece anche un Concordato e altro: rincarava le sue pretese lavorando sul
corpo inerte dell’Italia. L’il febbraio
1929 fu chiaro che il Vaticano aveva
partita vinta; al fascismo bastava per
contropartita la copertura della chiesa romana: in effetti il clero fu mobilitato a sostegno del regime e del suo
uomo della Provvidenza.
Quattro mesi dopo Pio XI commentava: « ...la religione cattolica è, e sol’essa, secondo lo Statuto ed i Trattati, la religione dello Stato con le logiche e giuridiche conseguenze di una
tale situazione di diritto costitutivo,
segnatamente in ordine alla propaganda... Non è ammissibile che siasi intesa libertà assoluta di discussione, comprese cioè quelle forme di discussione che possono facilmente ingannare
la buona fede di uditori poco illuminati... Anche meno ammissibile ci
sembra che si sia inteso assicurare incolume, intatta, assoluta libertà di coscienza... In fatto di coscienza, competente è la Chiesa... ».
Fascismo e Vaticano avevano derubato il popolo italiano della sua libertà, mortificavano e violentavano le coscienze. Ma, come accade al momento di spartirsi le spoglie d’una rapina,
non sempre andarono d’accordo: nel
1931 ci furono i dissapori per l’Azione
Cattolica, dei cattolici si ribellarono e
— più avveduti delle loro guide —
tentarono un’opposizione che, almeno,
ebbe un valore simbolico. Però -la
guerra d’Abissinia, con la cacciata delle missioni evangeliche e la manomissione romana, e la guerra di Spagna,
all’insegna della crociata antibolscevica, galvanizzarono il clerico-fascismo,
che per l’italiano medio fornì l’esatta
carta d’identità del Ventennio.
L’impossibile (da un punto di vista
cristiano) convivenza tra fascismo e
cristianesimo cattolico-romano finalmente apparve chiara quando fu varata la pazzesca politica razziale: fu da
parte fascista un errore provvidenziale, che permise al Vaticano di prendere le sue distanze e superare la tormenta della guerra senza essere in sostanza messo in causa col suo vecchio
compagno di ventura, il gruppo di potere fascista.
Alla Costituente repubblicana pagò
il P.N.F., pagò la monarchia: il Vaticano non fece neppure un « mea culpa », ma si vide offrire con l’art. 7 dai
furbissimi (!) del P.C.I. il vecchio Concordato pari pari. Il concetto della
pluralità degli ordinamenti giuridici
in uno Stato moderno aveva permesso a P. Togliatti di ritentare, nientemeno, la strada furba di Mussolini nei
rapporti con la Curia romana. Come
se la lezione, così recente, non avesse
insegnato nulla, e la nuova D.C. non
fosse sorta con una buona vaccinazione antifascista (e anticomunista).
Qggi, in una situazione di pericolo
per le istituzioni democratiche, non
sembra che l’abrogazione del Concordato sia realisticamente pensabile: si
otterrebbe solo un rafforzamento del
clericofascismo, già largamente infiltrato nelle maglie dello Stato. Sembra
addirittura che, da pavidi e prepotenti che ci governano, non si osi neppure pretendere una radicale revisione:
si aspetta il beneplacito della Curia,
si armeggia nell’ombra e si guadagna
tempo. Tutta l’abilità, l’arte politica
di chi ci governa sta qui: guadagnare
tempo, domani è un altro giorno. Ma
un popolo non deve difendere la libertà delle coscienze? un popolo « di
Dio » non deve sapere imporre a una
Istituzione avida di potere, di danaro, di ingerenze mondane, l’umile e
umanamente indifeso servizio proprio
del mandato apostolico?
Luigi Santini
3
16 febbraio 1973 — N. 7
pag. 3
^ Il problema di una legislazione che liberalizzi, almeno in qualche misura, Tabor
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
te giovani Chiese del Terzo
Mondo, il panorama delTecumene cristiana — come di
to, e dei termini in cui elaborare questa legislazione, va acquistando attualità e urgenza in molti paesi, fra cui l'Italia ; parallelamente aU'intensìFicarsi del dibattito ( in Italia l'on. Loris Fortuna ha
presentato, proprio in occasione dell'anniversario del Concordate, un progetto di legge al riguardo) sì moltiplicano
le prese di posizione cattoliche, sia a livello pontificio, sia
da parte di sempre più numerose conferenze episcopali nazionali. Anche fra i protestanti il dibattito è aperto, e dovrebbe cominciare pure fra noi ; a tale scopo è interessante
riflettere su una recente presa di posizione del Consigliò
della Federazione protestante svizzera. ^ L'Africa per
metà cristiana fra meno di un decennio? E' un'ipotesi che
ha una forte consistenza, poiché il continente nero conosce
una profonda penetrazione della predicazione cristiana, come d'altra parte deirislam. Con la vitalità mostrata da mol
quella umana — si presenterà
a scadenza non lontana profondamente diverso, e non sole
da un punto di vista numerico. ^ Anche a questo le
nostre chiese, parte integrante della CEVAA, potranno riflettere vivendo la « domenica della missione » e, almeno
alcune di esse, l'incontro con il past. V. Rakotoarimanana.
La Federazione delle Chiese protestanti svizzere Entro il 1980 ¡’Africa
pubblica un documento suiraborto sarà per metà cristiana?
La Federazione delle Chiese Protestanti
Svizzere pubblica un documento sull’aborto.
Il problema dell’aborto, che occupa e preoccupa per ragioni diverse l’opinione pubblica
del nostro paese, non manca di suscitare prese
di posizione ufficiali o meno anche all’estero.
Com’è noto, negli Stati Uniti si è autorizzati
a praticare l’aborto nel corso dei tre primi mesi della gravidanza. In Belgio, il dibattito su
questo problema ha assunto toni drammatici
quando un ginecologo di Namur, professore
all’Università libera di Bruxelles, è stato arrestato per aver interrotto la gravidanza di
una giovane che era stata violentata dal proprio padre. Tre professori premio Nobel —
tra i quali Jacques Monod — hanno apertamente difeso il loro collega cattolico belga.
In Svizzera, Tiniziativa popolare federale
per la « decriminalizzazione dell’aborto », nata a Neuchâtel, suscita numerose discussioni,
spesso appassionate. Le opinioni divergono da
un cantone all’altro e da una regione all’altra,
il problema delle differenze linguistiche e sopratutto confessionali rivestendo naturalmente un’importanza assai grande.
Sabato 3 febbraio ha avuto luogo a Berna
l’assemblea costitutiva delTet Unione per la
decriminalizzazione dell’aborto ».
il personale infermieristico, di perseverare nella loro collaborazione una volta che la decisione di interrompere una
gravidanza è stata presa in modo legale.
Dal canto loro i membri della Società svizzera dei ginecologi si oppongono a una liberalizzazione totale ed incondizionata dell’aborto,
auspicando tuttavia delle leggi comuni per
tutto il territorio svizzero.
Il Consiglio della Federazione delle Chiese Protestanti Svizzere ha nominato una commissione di studio che ha appena pubblicato
un documento su « Interruzione della gravidanza, per una decisione responsabile ». Eccone il testo, che i nostri lettori potranno inserire nel « dossier-aborto ».
7) Un’interruzione di gravidanza non
interverrà che in condizioni estreme.
La nostra responsabilità nei confronti
di qualsiasi nuova vita implica l'obbligo di un’efficace contracezione. Si tratta di prevenire e non di distruggere
una vita non desiderata.
La libertà deH’uomq ,e della donna interviene a questo stadio e non soltanto
quando la gravidanza è già in corso.
Per questo, è importante che l’uomo e
la donna siano debitamente informati
di tutte le possibilità contracettive.
Secondo informazioni date nel quadro della
Conferenza mondiale di Bangkok, sui 363,3 milioni di abitanti del continente africano circa
149,3 miiioni (il 40,6%) appartengono a una
confessione cristiana, mentre ia percentuale dei
musuimani è del 41,7%. Il rapido sviluppo delle Chiese indigene Fin d'ora indipendenti dall'attività missionaria dei bianchi fa prevedere
che entro il 1980 circa la metà degli Africani
apparterrà a una confessione cristiana. Ciò vorrà dire lo spostamento del tradizionale centro
di gravità del cristianesimo mondiale. Perciò, ha
dichiarato Bethuel Kiplagat, dei Consiglio sudanese delle Chiese, si può prevedere che abbia presto fine « ii senso unico missionario ».
Presto compiti evangeiistici, in Europa e neiia
America del Nord, saranno affidati a cristiani
africani. Il liberiano Burgess Carr, segretario
generaie delia Conferenza delle Chiese di tutta
l'Africa (CCTA) avente sede a Nairobi, come
pure John Gatu, segretario generale della Chiesa presbiteriana nell'Africa orientaie, si sono
espressi con vigore contro la prosecuzione della
missione 'bianca' vecchio stile. Questo non vuol
dire che nelle giovani Chiese si voglia rinunciare a cristiani specializzati provenienti dalia
Europa e dall'America del Nord, e rinchiudersi
in se stessi : si tratterà piuttosto di un dare e
ricevere reciproco, li missionario bianco non si
prenderà più come norma, come unità di misura. Quale modello di attività missionaria nuova si può citare ia comunità riformata di Nairobi, cui appartengono su un piede di assoiuta parità membri provenienti da 27 nazioni.
ÊnterruÆÊone della gravidanza s
per una decisione responsabile
INTRODUZIONE
Quando cerchiamo di prendere posizione di fronte alla questione tanto
controversa dell’aborto, dobbiamo confessare che la fede cristiana non fornisce alcuna soluzione bell’e pronta che
convenga a qualsiasi situazione. La
Chiesa si trova nelTimpossibilità di dare una risposta valida in tutti i casi
che sì possono presentare. Perciò do’•rerno limitarci a mettere in evidenza
i soli punti di vista e le sole prese di
■r dizione che obbligano ogni credente
a manifestare personalmente la sua
: c ;c,onsabilità di cristiano.
1) Ogni vita nuova è un dono meraviglioso. La facoltà di trasmettere la vita
che ci è stata affidata mette in gioco ed
aumenta la nostra responsabilità nei
confronti di ogni vita. Non possiamo
rimanere impassibili di fronte alla distruzione di una vita, che essa sia causata dalla guerra, dalla fame, dalla miseria o daH’aborto.
In quanto cristiani, abbiamo sempre
e dovunque il compito di difendere la
causa dei deboli e, in conseguenza, di
proteggere ogni vita nascente.
2) Una gravidanza dovrebbe sempre
poter essere accettata con gioia dalla
madre. I genitori dovrebbero essere
pronti a compiere con amore e dedizione il loro compito di educatori.
Tuttavia l’esperienza e le statistiche
dimostrano che non tutte le madri e
non tulle le coppie sono in grado di accogliere una gravidanza con questi sentimenti. Ecco perché la protezione di
una vita in formazione non può costituire un principio assoluto in ogni caso
che si presenta. In certe circostanze,
l’aiuto da dare ad una donna prevarrà
su qualsiasi altra considerazione. Una
gravidanza indesiderata può porre una
donna di fronte a difficoltà insormontabili c immergerla nell’angoscia e nella
disperazione. In un caso simile, dopo
aver esaminato tutti i dati del problema, un’interruzione di gravidanza può
giustificarsi come il solo aiuto possibile ed essere assunta in modo pienamente responsabile.
ta che otterrà ogni informazione circa
l'aiuto messo a disposizione della madre e del bimbo. In caso di necessità, il
centro dovrebbe essere in grado di
offrire un aiuto durante la gravidanza,
dopo la nascita ed anche dopo un
aborto.
4) Le condizioni che giustifichino una
interruzione di gravidanza devono essere fissate dalla legge. La decisione di
mettere fine ad una vita in formazione
non deve dipendere dalla decisione arbitraria di una sola persona. La legge
deve precisare che interrompere una
gravidanza, significa distruggere una
vita in formazione e che tale atto deve,
in conseguenza, rimanere un’eccezione.
Inoltre, una regolamentazione legale
è anche necessaria, tenuto conto dei
pericoli imprevedibili di conseguenze
fisiche e psichiche.
5) Bisognerebbe che in avvenire le disposizioni legali suH’interruzione di
gravidanza siano interpretate ed applicate nello stesso modo in tutti i cantoni
e che in tal modo scompaiano le disparità e le ingiustizie attuali. È essenziale che ogni donna abbia la possibilità di abortire nella città o nel cantone
in cui è domiciliata e ciò in condizioni
finanziarie e psicologiche accettabili.
8) Attiriamo ugualmente l’attenzione
su certe situazioni e contraddizioni che
caratterizzano la nostra società. Le appassionate arringhe a favore dell’interruzione legale di una gravidanza sono
spesso accompagnate da belle frasi sulla comprensione che dobbiamo avere
per il prossimo, ma in effetti tale comprensione è singolarmente assente in
noi nei confronti dei bimbi illegittimi e
delle loro madri.
Più ancora che il carico sociale spesso pesante che rappresentano i figli illegittimi, le madri nubili, le vedove e le
donne divorziate in stato di gravidanza
paventano il pubblico disprezzo che le
segue.
L’esiguità degli appartamenti, le reazioni di un « entourage.» troppo spesso
ostile ai bambini, le condizioni sfavorevoli offerte ai figli di madri che assumono un’attività professionale pongono dei gravi problemi.
È dovere di noi tutti di consentire
degli sforzi in vista di far cessare le ragioni economiche e sociali che hanno
come conseguenza il rifiuto di una nascita.
L’umanità di Gesù Cristo ci impegna
a prendere sul ser'u i,problemi di tutti
gli uomini. Cristiani, pappiamo che rimaniamo imperfetti, .peccatori; ma la
nostra fede in Gesù Cristo ci permette
di vivere in queste, condizioni perché
sappiamo che siamo dei peccatori perdonati.
Il compito permaoente
mondo di domani in nna
deiia Riforma por ii
prospettiva economica
6) Va da sé che l’interruzione di gravidanza non verrà praticata che da medici specialisti. Il loro concorso ci è indispensabile e li preghiamo, così come
Alla redazione di questo numero hanno
collaborato Roberto Coisson^ Giovanni Conte, Bruno Corsani, Ermanno Geme, Berta
Subilia, Elsa e Speranza Tron, Giorgio
Tourn.
Il compito permanente della i Riforma è di aiutare la chiesa a ricuperare
la sua identità. Questa è la tesi sostenuta dal prof. Valdo Vinay in una lezione pubblica tenuta nell’Aula Magna
della Facoltà Valdese di Teologia sabato 20 gennaio, in coincidenza con la
«settimana dell’unità». Il titolo della
conferenza era: Il compito permanente della Riforma per il mondo di domani in una prospettiva ecumenica.
La chiesa, a sua volta, ritroverà la
sua identità se riuscirà ad essere nel
mondo un signum elevatum: anche se
alTEvangelo si possono dare molte interpretazioni (costantiniana, mistica,
pietista) l’essenziale è che la chiesa
sappia annunziare il Cristo della croce. La via della chiesa, anche nel mondo di domani, non può non essere quella' della croce, il « seguire nudi un Cristo nudo ». Questo non significa necessariamente cessare d’essere chiesa di
popolo per diventare chiesa di diaspora; ci sono chiese di popolo che sono
libere nel loro annuncio e chiese-diaspora che non lo sono. Ma la chiesa
dev’essere libera per essere liberante.
Il mondo sa le cose tecniche rhegliò
della chiesa, la quale non è chiamata
a dare la ricetta per curare le singole
piaghe di questo mondo; il mondo però ha bisogno da parte della chiesa
dell’annuncio dei nuovi cieli e della
nuova terra che libera dalTangoscia
del tramonto della nostra civiltà e
può produrre una rottura come fece
la Riforma.
La conferenza si è chiusa con un ap
pello a sostituire al dialogo la conversione delle chiese a Cristo — ovviamente, al Cristo della croce. Dio, infatti, si è dichiarato per questo Cristo.
L’Aula Magna della Facoltà era affollata di pubblico attento, di varia estrazione; alla conferenza hanno fatto seguito due o tre brevi interventi, ma è
mancato, forse anche per l’ora tarda,
un vero e proprio dibattito.
Diplomazia dietro le quinte
Mancato viaggio
di Paoio Vi
neii’irianda dei Nord?
Roma (Relazioni Religiose) - Da fonte confidenziale certa risulta che Paolo VI aveva
deciso di recarsi nell’Irlanda del Nord per celebrare la messa natalizia a Belfast e a Londonderry. Secondo il progetto, il Pontefice sarebbe stato accompagnato in questo suo viaggio dal nuovo segretario del Consiglio Ecumenico delle Chiese, il pastore Potter, metodista negro. Si sarebbe trattato di un gesto
simbolico per invocare la pace tra cattolici e
protestanti irlandesi. Il progetto non si è realizzato, per intervento confidenziale da parte
del governo inglese. Tale governo ha fatto
presente a Paolo VI il rischio che gli estremisti potessero sfruttare la presenza del Papa
per commettere atti sconsiderati al fine di
dare maggiore pubblicità alla loro causa.
4 marzo ; domeoica della missione per le chiese valdesi
3) Un esame approfondito della situazione e delle possibilità di aiuto precederà qualsiasi decisione di provocare
l’aborto. Del resto, la donna deve .avere
il diritto e la possibilità di formulare
apertamente i suoi timori, sia a un medico liberamente scelto sia ai responsabili di un centro medico-sociale. In
tal modo essa sarà aiutata a vedere
chiaramente le ragioni profonde del
suo rifiuto della gravidanza e messa in
condizione di giudicare più lucidamente la sua situazione personale, poi di
prendere coscienza, tenuto conto delle
conseguenze che ne derivano, della responsabilità che implica la decisione
che prenderà.
Attualmente, molte città mettono a
disposizione delle donne, ed eventualmente dei medici, dei consultori. Dei
medici, dei consiglieri coniugali e familiari, degli assistenti sociali e degli ecclesiastici vi svolgono la loro attività.
Sarebbe auspicabile che questi collaboratori disponessero di fondi che permettessero loro di accordare un aiuto
materiale.
In tali centri, tutte le questioni relative ad una interruzione di gravidanza
possono venire discusse con Tinteressa
Con la CEVAA (Comunità Evangelica di Azione Apostolica) non si parla
più di Missioni, ma di missione. Non
è un gioco di parole o qualcosa di simile. Non sono più le missioni degli
europei verso le terre oltre mare, i noveri africani e così via. La domenica
della missione ricorda a noi valdesi
quale è la nostra vocazione missionaria in Italia, nelle nostre città e nei
nostri paesi, di fronte alla scristianizzazione delle masse, alle ingiustizie,
alle lotte in atto nel nostro paese; come ricorda alle chiese africane la loro vocazione missionaria in paesi in
via di sviluppo, di fronte ai problemi
del neocolonialismo, della indipendenza, del risorgere dell’antico paganesimo; come ricorda alle chiese del Madagascar, dell’Oceania, dell’Asia, dell’America Latina le loro particolari responsabilità, i problemi, le possibilità di testimonianza cristiana, di annunzio dell’Evangelo che il Signore
apre davanti a loro.
Missione e non missioni. Non possiamo metterci la coscienza a posto
perché c’è Anita Gay nel Madagascar,
Laura Nisbet in Zambia ed i Tron in
Eritrea e dire; « anche la piccola Chiesa valdese ha i suoi missionari, tutto
è quindi in ordine ».
misura in cui noi stessi siamo evangelizzatori e testimoni del Vangelo di
Cristo nelle varie forme che lo Spirito del Signore ci indica qui ed ora.
DOMENICA DELLA SOLIDARIETÀ'
Non pensiamo subito alla colletta!
Sarebbe sbagliato. La solidarietà che
la CEVAA ci aiuta a realizzare fra
chiese evangeliche di tre continenti
dà all’Europa più di quanto non chiede. La storia della chiesa ci dimostra
la parola evangelica che per la Chiesa
di Gesù Cristo ci sono cose ben più
importanti e decisive che il denaro, i
mezzi materiali, l’organizzazione e così via. Ed in questo momento le realtà di fronte alle quali tutto il resto
è il « sovrappiù » sono presenti nelle
chiese oltremare più che in quelle europee: spontaneità di fede, slancio
evangelistico, impegno per la costruzione di un mondo nuovo, fantasia
spirituale. Abbiamo molto da riceve
re e riceviamo molto da queste chiese unite a noi dal patto di fraternità
e di collaborazione che è la CEVAA,
attraverso alla presenza di pastori e
laici nel nostro lavoro in Europa (solo la difficoltà di lingua rende coinplicata una di queste presmze in Italia),
attraverso alla meditazione teologica
dei fratelli africani e malgasci, agli
esperimenti fatti in tante parti del
mondo, diverse da noi, ma pure simili per molti problemi comuni.
Certo l’Europa ha ancora qualcosa
da dare, una collaborazione necessaria
alle altre chiese: l’esperienza di secoli
di lotte e di fede, personale qualificato di cui il terzo mondo scarseggia,
credenti chiamati a vivere la fede ed
il loro impegno accanto ai fratelli degli altri continenti, le briciole di un
benessere che riteniamo relativo, insufficente etc. etc. ma che ci fa essere
ii ricco della parabola (Le. 16: 19) di
fronte a Lazzaro che, anche questa
volta, si deve accontentare di quel che.
cade dalla tavola del ricco.
La colletta è necessaria, ma deve ricevere il suo giusto significato; tanto
più che le chiese CEVAA del III mondo (come e più che la Chiesa valdese)
vivono la loro vita interna con le contribuzioni raccolte fra i loro membri
di chiesa ed il denaro che viene dall’Europa (circa 500 milioni previsti per
il 1973) serve a sostenere le « ope
re » delle chiese ed il personale europeo che vi lavora.
LA NOSTRA COLLETTA
Visita in Italia del past. Rakotoarimanana,
segretario generale della CEVAA
Il segretario della Comunità Evangelica di Azione Apostolica, il pastore malgascio
Rakotoarimanana, visiterà alcune delle nostre comunità dell'Italia Settentrionale dal 25
febbraio al 4 marzo, col seguente programma :
DOMENICA
DELLA NOSTRA RESPONSABILITÀ’
Costituita a Salisburgo
l'associazione «Stille Nacht»
Salisburgo (Relazioni Religiose) - A Salisburgo è stata fondata un’assoeiazione per la
nota canzone natalizia « Stille Nacht ». Essa si
propone di raccogliere in un museo tutti gli
oggetti storici relativi a tale canzone e le incisioni magnetofoniche di tutti i paesi nei
quali la canzone viene oggi cantata.
La CEVAA invitandoci a partecipare con tutte le altre chiese membro
in Europa, Africa, Madagascar e Oceania alla domenica della missione ci
chiede prima di tutto di prendere atto del nostro impegno in Italia, della
missione che dal tempo di Valdo il Signore ha rivolto e continua a rivolgere alle nostre comunità. Il discorso Io
conosciamo tutti e non è il caso di
ripeterlo, ma vorrei sottolineare il fatto che appartenere alla CEVAA significa prima di tutto prendere atto della
nostra responsabilità missionaria nel
paese in cui viviamo e nella situazione nella quale ci troviamo in questo
momento. Non ci sono scappatoie e
non ci sono alibi che tengano. La CEVAA vive in mezzo a noi solo nella
Domenica 25 febbraio, ore 10.30: Culto in francese nel tempio di TORRE PELLICE ;
ore 15: Incontro di tutti i concistori del I Distretto, a PINEROIO, aperto a tutti i
membri di chiesa che s'interessano ai problemi delia Missione Cristiana
nel mondo.
Lunedi 26 febbraio: mattino: Incontro con gli studenti del Collegio di TORRE PELLICE;
ore 15: Incontro con le Società Missionarie nella Sala delle attività a Torre Pellice.
L'invito è esteso a tutti i membri delle Comunità della Val Pellice.
Martedì 27 febbraio: POMARETTO : Incontri con gli studenti della Scuola Latina e la
Comunità.
Mercoledì 28 febbraio: S. GERMANO - PRAMOLLO.
Giovedì 1° marzo: ore 15: PINEROLO : Lega femminile
ore 20.30: SAN SECONDO ■ PRAROSTINO.
Venerdì 2 marzo: TORINO.
Sabato 3 marzo: BERGAMO.
Domenica 4 marzo: MILANO e COMO.
Crediamo che tutti capiranno il grande interesse della visita di uno dei principali responsabili delia Comunità Evangelica di Azione Apostolica, e dell'opportunità che ii più
grande numero possibile di membri di Chiesa possane sentire il suo messaggio, dato
che la nostra Chiesa Valdese è ora direttamente impegnata in questo nuovo modo di
capire e di attuare la Missione della Chiesa Cristiana nel mondo. R. C.
La Chiesa Valdese si è impegnata
per il ’73 a raggiungere la somma di
3.000.000 (meno di 150 lire per membro comunicante della Chiesa Valdese). Essa permette di coprire una delle seguenti spese: il materiale necessario al lavoro del gruppo interconfessionale e intercontinentale della
Azione Apostolica Comune che lavora
nel Dahomey con notevole successo
da alcuni anni e di cui daremo prossimamente maggiori notizie; si tratta
di medicinali, libri scolastici, attrezzi
agricoli etc. da fornire ai villaggi del
paese Fon in cui lavora il gruppo. Oppure acquisto e manutenzione di una
campagnola Land Rower per il lavoro
nella regione montagnosa del Leshoto; in questa zona si richiedono macchine di particolare robustezza. Oppure l’acquisto di 2 Renault R 4 (versione africana) per le chiese del Togo,
dove bastano macchine più modeste a
causa della minor difficoltà dei percorsi. Oppure il costo di un posto pastorale con una coppia senza figli in Oceania. Naturalmente si tratta del costo
e non dello stipendio netto del pastore! In questa somma è compresa la
quota del viaggio intercontinentale,
l’alloggio, i viaggi per lavoro etc.
Non si tratta di grandissimi progetti, ma della possibilità di impegnarci
per una azione concreta e particolare.
Naturalmente perché questa possa avvenire occorre che la colletta raggiunga la meta fissata e non resti per
strada.
Franco Davite
4
pag. 4
CRONACA CELLE VALLI
N. 7 — 16 febbraio 1973
L’esperienza di due
famiglie valdesi
Chi o'è stato
ierim.m
Come tante altre famiglie delle Valli, la famiglia R. (padre, madre e 6 figli), di Angrògna, partì verso l’Uruguay in cerca di lavoro :
era il 6 giugno 1954.
Dopo 18 giorni di navigazione eccoli a
Montevideo : « Non fummo molto bene accolti dal Comitato locale che sapeva del nostro
arrivo e non riuscendo a capire una parola di
spagnolo abbiamo avuto difficoltà alla dogana :
tutte le nostre casse furono aperte e rovistate».
Da Montevideo proseguono dritti verso Colonia Vaidense dove li aspetta una casa presa
in affitto. E inverno ed il lavoro non è molto :
si aspetta la primavera per rimboccarsi le maniche.
I tre figli maggiori lavorano col padre nei
campì del padrone e ricevono imo stipendio
per il loro lavoro; a parte un piccolo orto devono comprare dal proprietario ogni prodotto
della terra. Gli altri tre figli frequentano la
scuola; la madre governa la casa.
A dicembre il padre si sposta col figlio
maggiore al Nord per la campagna del grano;
(c In 15 minuti abbiamo trebbiato 100 quintali
di grano... roba da non crederci ». I 10 giorni
prospettati per questa campagna sono poi
42; ma la paga è misera nonostante il duro
lavoro, e chi ci guadagna è il proprietario
della trebbiatrice.
L’anno successivo prendono in affitto una
vigna al 50%; il raccolto è buono. E poco per
volta riescono ad acquistare un campo, del bestiame; e via via la cascina si ingrandisce.
Oltre all’allevamento del bestiame (« abbiamo avuto oltre 120 mucche e vitelli, tutti
fuori all’aperto, senza bisogno di stalle ») si
coltiva grano, mais, orzo, patate (due raccolti
all’anno), girasole, eec.
La Cassa di Risparmio valdese offre la possibilità di prestiti a bassissimo interesse; il
che permette agli immigrati l’acquisto di terreni, bestiame, macchinari agricoli (costosissimi perché provenienti dall’estero) con cui
organizzare il lavoro nelle cascine.
Ma quando le cose sembrano procedere per
il meglio, ecco che la svalutazione del « peso » viene a compromettere tutto. Il lento ma
inesorabile processo di svalutazione della moneta rende vano ogni risparmio : « La situazione andava di anno in anno peggiorando;
così non si poteva tirare avanti ».
Questo fa si che il pensiero di un prossimo
ritorno alle vaRi, un giorno abbandonate per
cercare altrove il pane, si faccia sempre più
consistente; anche se ciò significa ritornare in
Val d’Angrogna e ricominciare una vita prima
rifiutata.
Ma quando la decisione del ritorno sembra
ormai presa, ecco ancora una grossa occasione
che si offre: l’acquisto di una cascina. La decisione del ritorno viene rimandata, ma per
poco tempo. All’ultimo momento il prop’-ietario ritorna sulla sua decisione e rinuncia alla
vendita. Ormai non c’è più alcun motivo valido per rinunciare al ritorno. Occorre però
vendere ogni cosa per trovare i soldi del
viaggio: campi, bestiame, macchine agricole,
tutto quanto.
Nel marzo 1968 il ritorno alle valli.
Dal novembre 1969 affittano una cascina a
S. Giovanni dove vivono tutt’ora : « Siamo
stati fortunati perché abbiamo avuto la possibilità di ritornare; conosciamo molte altre
famiglie che avrebbero voluto tornare indietro
ma che non hanno potuto ».
Valdesi in Sudamerica
Spesso dimentichiamo che una grossa fetta della nostra chiesa valdese vive in Sud America. Per renderci conto delia consistenza numerica di questa « fetta » basta dire che i valdesi che oggi vivono nella Regione Rioplatense sono
piu numerosi dei valdesi delle valli. La Relazione al Sinodo 1972 ci informa che la popolazione valdese nella Regione Rioplatense è di 13.220 persone contro i 13.074 membri delle comunità delle valli. — La maggior parte delle
comunità valdesi sudamericane vivono nella Regione Rioplatense, in Uruguay e in Argentina — Ve ne sono altre,
disperse a centinaia di Km, a Nord e a Sud — E' il caso di Jacinto Arauz di cui ci parla il pastore Carlos Delmonte
(era presente al nostro ultimo Sinodo), piccola comunità che si trova nella provincia argentina di «La Pampa»,
all interno di Bahia Bianca — In occasione del XVII febbraio, ricordo della ottenuta libertà civile e politica, ci sentiamo profondarnente uniti ai fratelli sudamericani che vivono in un clima di dittatura militare (è di questi giorni
Il colpo di stato in Uruguay) in cui la libertà è repressa e la loro testimonianza evangelica messa a dura prova.
Jacinto Arauz
re oggi
La famiglia M., ritornata alle valli nel
1968, dopo 13 anni di vita in Sud America, ha
fatto recentemente (dicembre-gennaio) un
viaggio in Uruguay per visitare i parenti:
« La situazione è cambiata radicalmente dal
1968; lo abbiamo notato subito, al nostro arrivo a Montevideo. Abbiamo notato ovunque
dei posti di blocco che controllano tutto; dappertutto circolano dei poliziotti. Non ne avevamo mai visti tanti! Ci è stato detto che da
un giorno all’altro, senza alcun permesso, la
polizia entra nelle case e butta tutto per aria.
Per le strade sono proibiti gli assembramenti,
altrimenti arriva subito la polizia. Le imposte
governative sono paurosamente aumentate;
talvolta riesce difficile trovare succhero, olio,
farina, fiammiferi, e tante altre cose. Tra dicembre e gennaio il prezzo del kerosene è aumentato di ben 80 pesos, da 30 a 110: sempre in questo periodo il « peso » ha subito due
svalutazioni. Quando siamo arrivati in dicembre, un dollaro corrispondeva a 840 pesos,
quando siamo ripartiti, in gennaio, occorrevano 950 pesos per un dollaro. E’ una situazione insostenibile; un giorno o l’altro scoppia
una rivoluzione.
Quando sono partito dalle valli nel 1955
guadagnavo 1600 lire al giorno; in Uruguay
la mia giornata era pagata 8 pesos, circa 3000
lire; oggi un muratore guadagna 2000 pesos.
Ci si accorge subito che cosa significhi la svalutazione della moneta. Quando a Montevideo
abbiamo cambiato dei soldi, il cambio era di
160 pesos per 100 lire italiane.
Il governo cerea di arrangiarsi e non si
preoecupa della gente; basta pensare che
l’Uruguay è un paese che esporta molta carne bovina. Ora per 7 mesi, a cominciare da
marzo, nessuno potrà più trovare nei negozi
della carne bovina; tutto deve essere esportato. Questa è la politica del governo; pensa oer
sé senza preoccuparsi della gente. .Ma cosi
non può andare avanti ».
Questa testimonianza è confermata dalla
lettera di una valdese che in data 14 dicembre 1972 scriveva ai parenti alle valli: « Non
sappiamo eome vanno a finire le co.se, ogni
volta peggio; siamo già stati diversi giorni
senza pane, né farina, né riso, pasta, zucchero e tante altre cose. Adesso almeno e’è verdura ma nell’inverno il raccolio di patate era
« fracasado » e per 4 mesi siamo stati senza
carne perché era proibito uccidere bovine per
il consumo. Si poteva solo esportare; per questo a Montevideo facevano salami di carne bovina... Tutto è tanto caro che fa paura; si lavora tutto l’anno e alla fine non si ha niente ».
Jacinto Arauz è una località della
provincia di La Pampa che conta, seS dell'ultimo censimento
2.000 abitanti. Benché sia un nucleo di
popolazione relativamenté esiguo, copre una vasta estensione di territorio.
L economia è basata sulla produzione
di frumento e suirallevamento del beche dà vita, con i suoi derivati,
ad una piccola industria lattiero-casearia. Un rnulino che dà lavoro ad una
decina di operai rappresenta l’unica
industria della zona, e l’unica presenza
di un sindacato. In una zona vicina esiste un altro sindacato in una piccola
industria di lavorazione del sale.
La proprietà terriera ha come unità
dorninante la media proprietà. Trattandosi di zone semi aride, dominate da
una costante erosione del suolo; l’estensione della proprietà media oscilla fra
i 1.000 ed i 1.500 ettari. La pioggia è
scarsa ed il raccolto irregolare. Questa
situazione determina l’intera vita della
famiglia: un’annata cattiva significa
l’arresto della vita, non si fanno più acquisti, non si importano macchine, si
riducono tutti gli impegni. Quando viceversa le piogge sono abbondanti tutto cambia: si estinguono i debiti e si
realizzano nuovi investimenti.
Questa piccola società rurale ha come caratteristica tipica l’assenza di situazioni sociali estreme; non esiste miseria insostenibile, né ricchezza tale da
indurre a fare grandi investimenti. Qltre ai lavoratori agricoli o fittavoli vi
sono i proprietari di fattorie fra i 300
ed i 400 ettari che danno il tono alla
vita del paese. Il primo gruppo è condannato all’emigrazione dalle tecniche
moderne di produzione e non esiste
nessun settore di mano d’opera « fluttuante » come in altre province argentine. Questi due gruppi sociali principali trovano il loro complemento nella
classe media che risiede nei centri cittadini ed è impegnata nel settore terziario: commercianti, impiegati, artigiani e funzionari.
La popolazione è composta da immigrati europei: cattolici di origine italiana e spagnola, valdesi di origine piemontese, ebrei e russo-tedeschi. Questi
ultimi formano le due chiese luterane:
Chiesa evangelica del Rio de la Piata e
Chiesa Evangelica Luterana Argentina
(Sinodo del Missouri). La maggioranza
dei proprietari provengono da questa
prima ondata migratoria.
Un gruppo particolare è rappresendagli « intellettuali »: parroci, medici, pastori, professori delle scuole secondarie e maestri elementari che
quasi sempre si trattengono nella zona
solo per un certo tempo. .
Si può notare subito che il carattere
distintivo della zona è l’assenza di tensioni sociali; non ci sono né sfruttatori
né sfruttati. La crisi attualmente vissuta dalla zona non è imputabile a nessuno dei gruppi sociali e quindi il contadino non sa contro chi lottare ed accetta la sua condanna economica come
un segno del destino. Indubbiamente
la crisi della piccola proprietà, l’emigrazione che conduce all’abbandonc
dei campi, problemi che sono oggi all’ordine del giorno, sono conseguenza
della trasformazione dell’Argentina nel
suo insieme.
Tutta la zona dipende, sotto il profilo economico, dal mercato del grano,
dalla sua produzione e dal suo smercio
ed in forma complementare dal bestiame bovino. Gli uomini di Jacinto Arauz
non sono però in grado di controllare i
meccanismi che influiscono e determinano la loro storia e che gli sono esterni, e si ripete perciò nel suo interno,
in piccolo, ciò che si verifica nell'intero continente. Jacinto Arauz è una
estrema periferia di quei poteri che risiedono a Bahia Bianca o più ancora
a Bueno Ayres, o meglio ancora a Londra e New York. In questo senso la
condanna economica si ripercuote .su
tutte le sue iniziative locali.
L’organizzazione sociale argentina
basata su un sistema economico che
risulta per quanto detto sopra parecchio instabile, produce situazioni che
forse risultano difficili da capire per
una persona che abiti fuori del continente latino-americano. Una delle voci
della spesa pubblica più trascurata è
quella relativa all’istruzione. Alcune cifre possono aiutare a capire questa situazione.
BILANCIO NAZIONALE
(in milioni di pesos)
Difesa 3.474.000
Previdenza sociale 1.730.000
Sanità 1.267.000
Sviluppo dell’economia 7.557.000
Cultura ed educazione 3.141.000
Spese militari e polizia 4.318.000
Deficit 2.780.000
« Lo sviluppo non si riduce semplicemente ad incrementi economici, per
essere autentico deve essere integrale »
ebbe a dire il presidente Lanull La
Una vecchia
fotografìa :
studenti e
professori
della Facoltà
teologica di
Buenos Aires.
Il secondo
da sinistra è
il past. Carlos
Delmonte ;
riconoscibile
anche II prof.
B. Corsani
allora docente
di Antico
Testamento.
^ . .5
nusse presentando questo bilancio per
il 1972. Vi si può notare la sproporzione fra voci come Difesa nazionale. Scese militari e Cultura-Educazione.
L’Argentina vive in un sistema di dittatura militare.
Una scuola
per il popolo
In una zona impoverita, con un sistema economico logorato, la popolazione di un piccolo centro come Jacinto
Arauz è condannata a vivere nell’isolamento e deve procurarsi da sola gli
strumenti per offrire alle nuove generazioni delle possibilità di vita migliore e l’apertura di orizzonti necessaria.
E’ proprio con questa coscienza che un
gruppo di persone decise di costituire
una commissione per realizzarse una
scuola media. Questo comitato iniziò
sin dal 1968 i passi necessari presso le
autorità provinciali e nazionali per realizzare questo progetto. Raccolti i dati
necessari, iniziarono i lavori. Il risultato di questa prima fase di attività fu il
rifiuto delle autorità, in linea di principio, a contribuire con finanziamenti,
e la decisione della popolazione di realizzare egualmente il progetto.
Nel 1970 iniziò, nei locali della chiesa
valdese, l’attività dell’« Istituto Secundario », l’anno seguente il primo corso
ottenne la legalizzazione da parte delle
autorità ed inizjp, il secondo corso (riconosciuto a sua volta l’anno seguente). Nel marzo 1972 ebbe inizio il terzo
corso che speriamo sia seguito nel 73
dal quarto e nel 74 dal quinto che
completeranno il ciclo di studio previsto dall’Istituto per il « diploma di
orientamento agrario ».
L’Istituto « Josè Ingenieros » a Jacinto Arauz, nella Pampa.
struzione di una biblioteca fornita di
volumi necessari agli studenti; la maggior parte di questi volumi è stata acquistata col denaro raggranellato dagli
Studenti col provento delle merende
vendute a scuola durante l’intervallo ed
offerte di alcuni negozi del luogo.
Qgni sforzo che abbia la scuola oer
oggetto è compiuto da tutti con grande
entusiasmo talché si può affermare che
la scuola rappresenta la popolazione e
quest’ultima si riconosce nella scuola.
Perché la scuola?
Perché abbiamo sentito il bisogno di
creare una scuola secondaria a Jacinto
Arauz? L’idea nacque direttamente dall’analisi fatta sul processo di trasformazione in atto nell’ambiente e sulle
possibilità che i nostri adolescenti diventassero l’elemento propulsore di
questa trasformazione. Il progetto realizzato da una minoranza convinta del'e finalità della scuola ha trovato pronta accoglienza nella comunità. Tutti
hanno capito infatti che non era solo
un mezzo per fornire una migliore
istruzione ai giovani ma sopratutto lo
strumento per permettere loro di capire le ripercussioni che nella nostra
zona hanno i processi sociali mondiali,
quindi di aiutarli a partecipare in modo diretto a queste trasformazioni.
Durante l’anno 1966 fu detto nel corso di una assemblea popolare: « Per facilitare l’azione sociale e penetrare profondamente nella mente della gente è
necessario trasformare i loro figli in
elementi di chiarificazione ».
La scuola cominciò a funzionare rispondendo alla necessità di educare e
formare una gioventù in funzione di
nuovi tempi, con una profonda convinzione della necessità di integrarsi nell’ambiente, dando la possibilità ai figli
dei coloni della zona di accedere liberamente alla scuola. Fino al 1969, su
trenta ragazzi usciti dalle elementari
solo 10 avevano la possibilità economica di proseguire gli studi nelle scuole
secondarie vicine; per gli altri non
v’era altra alternativa che il lavoro dei
campi o invischiarsi rapidamente nell'ambiente dei bar e del gioco.
Di fronte a questa situazione abbiamo ora la nostra scuola con 48 allievi.
La mancanza di aiuto da parte delle
autorità statali non ci spaventa, la speranza nelle capacità di servizio della
comunità non sono state deluse, sia
pur con enormi sacrifici abbiamo costruito l’edificio e sono stati pagati 1
professori. La scuola funziona, non solo, i ragazzi aprendosi alla riflessione
ed al metodo di lavoro scientifico portano nelle case un bagaglio di idee che
permette loro di analizzare meglio la
situazione in cui vivono. La comunità ò
per la scuola e la scuola per la comunità. In questo processo di reciproco
scambio sta il nostro obiettivo; e questo malgrado le molte difficoltà.
Prospettive e contatti
con altri gruppi
di giovani
(Irientando in questa linea la nostra
attività abbiamo cercato di stabilire
contatti sempre maggiori con altri
gruppi giovanili. Si è così organizzato
in luglio, nelle vacanze invernali, una
visita di un gruppo di studenti di Buenos Aires per favorire e permettere ai
nostri studenti di prendere conoscenza
di problemi studenteschi nella capitale.
Il collegamento fu stabilito dalla chiesa riformata svizzera di Bueno Aires,
Difficoltà finanziarie
ed organizzative
Gli stipendi dei professori sono stati
sin qui reperiti localmente con iniziative più diverse: collette, festivals, gare
di corsa, spettacoli, ecc. Deve essere
sottolineato il fatto che questo sforzo
è stato compiuto negli anni 68-71, anni
in cui reconomia della zona è stata
gravemente colpita dalla perdita quasi completa del raccolto a causa della
siccità. Ciononostante la gente ha compreso che l’istituto secondario doveva
disporre di un edificio proprio e ne decise la costruzione. I locali della chiesa valdese non potevano infatti ospitare più di una classe. Anche la costruzione dei locali fu effettuata con risorse locali dopo che il comune aveva
posto a disposizione una modesta somma per iniziare i lavori. In un primo
tempo vennero costruiti due aule ed
i servizi igienici, ora è iniziata una seconda tappa con la costruzione di altre
due aule ed un locale di segreteria.
La scuola ha inoltre iniziato la co
Lavorando in un corridoio in attesa di un'auia.
un gruppo di giovani di questa comunità venne da noi e visse nelle famiglie
per una quindicina di giorni. Obiettivi
immediati erano la conoscenza reciproca dei ragazzi ed un campo di lavoro
per collaborare alla costruzione dell’edificio. Durante questo periodo gli
studenti hanno naturalmente condiviso il lavoro e le occupazioni ma hanno anche trascorso parte del tempo in
riunioni per trattare argomenti direttamente riferiti alla loro situazione (diversità tra un giovane in ambiente rurale e cittadino, conflitto di generazioni, ecc.). Questi dibattiti hanno permesso di mettere più chiaramente a fuoco
la posizione dei giovani in questo ,mo
mento della vita nazionale.
Furono giorni di grande arricchimento per tutti e ci furono di grande
aiuto. Sorsero naturalmente alcuni
problemi dovuti per lo più al contrasto
fra lo stile di vita regolare dei giovani
di campagna e quello più dinamico ma
più irregolare dei cittadini; nel complesso però il bilancio dell’incontro c
risultato nettamente positivo e tutto la
scia prevedere che l’esperienza acqui
stata in questa circostanza ci sarà di
aiuto per incontri futuri.
Scuola fuori deH’aula
La scuola ha così preso un suo ritmo
di vita perché in queste attività « fuori
dell’aula» si rivela chiaramente la gran
de influenza che essa può avere sul!e
famiglie. Le assemblee popolari in cui
si discutono i problemi che si presen
taño man mano permettono a tutta la
popolazione di partecipare in modo diretto alla conduzione deH'istituto facendo sì che esso sia sentito da ognuno come cosa propria. Le riunioni dei
professori con i membri della commissione direttiva consentono uno scambio che determina un arricchimento
per una formazione più completa.
Qgnuno al posto suo ricopre un ruolo
importante dato il modo degli studenti
in cui si va organizzando il lavoro comune; i professori da parte loro fanno
si che le lezioni siano un momento di
formazione non solo intellettuale ma
Istituto Josè Ingenieros: studenti che hanno terminato il ciclo di studio nel 1970.
totale, cercando di educare per la vita
e non solo accrescere le conoscenze degli studenti.
Questi ultimi per parte loro vanno
prendendo coscienza del ruolo che dovranno svolgere nel loro paese e fra la
loro gente e imparano perciò ad autodisciplinarsi non solo nel lavoro scolastico ma in tutta la vita. I genitori seguono i figli nei loro studi non tanto
per stabilire se hanno o meno fatto
fruttare il loro tempo, quanto piuttosto
per confrontare il loro modo di comprendere il mondo e la vita con questa
nuova visione che si sta elaborando nella scuola. Si può dire di conseguenza
che ciascuno ha la possibilità di educare, educando.
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIHIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIilllllllllllllllll
BREVISSIME
Organizzata dairU.D.A.V.O. martedì 20
c. m. alle ore 21, nella Sala Operaia di via
Roma, a Torre Peliiee, si terrà una riunione d'in*
formazione sul problema dei Trafori e in parti*
colare sul Traforo del Colle della Croce; riferirà assieme ad altri esponenti politici l'ex Pres.
Consiglio di Valle Celeste Martina.
II 24*25 febbraio presso il Castagneto di
Villar Pollice avrà luogo il primo incontro sulla
scuola materna sul tema: e I bambini scomodi »
Diagnosi e tentativi di recupero. Relatori il prof.
Andrea Canevaro e il prof. Paul Henri.
Per ulteriori informazioni e per l'iscrizione
rivolgersi al Servizio Sociale della Val Pellice,
tei. (0121 ) 91514.
Al prossimo numero il programma completo.
5
i J6 febbraio 1973 — N. 7
pag. y
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
li Moderatore Aldo Sbaffi, preso contatto nei primi mesi con il lavoro più
amministrativo dell'ufficio della Tavola, dedica questa seconda parte dell'anno alla conoscenza diretta delle nostre comuntà; egli è ora, per circa un mese,
nelle Valli Valdesi, reduce da un giro di visite nelle chiese siciliane: ecco l'intervista che ha avuto, al termine, con il presidente della Commissione del VI
Distretto (ci ripromettiamo un analogo colloquio con lui dopo la tournée
nelle Valli!)
In Sicilia, dopo dioci anni
Un’intervista con il Moderatore Aldo Sbaffi, dopo la sua
visita alle chiese dell’isola
Essere con gli oppressi
Tullio Vinay ha parlato alla Chiesa di Torino, il 6 febbraio
Signor Moderatore, Lei non è più
venuto in Sicilia da qualche anno.
Quali sono state le sue impressioni?
Non sono più stato in Sicilia da 10
anni... e devo dire che sono rimasto meravigliato dei cambiamenti che sono
intervenuti, in particolare nell’agricoltura. Ho avuto la possibilità di spostarmi da Palermo a Messina, viaggiando lungo il mare o all’interno del paese ed ho notato uno sviluppo notevole
delle culture. Certo, ci sono ancora
delle zone povere, aride, che non offrono molte possibilità di reddito, ma
neH’insieme le condizioni sono migliorate.
Inoltre ho notato un cambiamento
importante della mentalità; non vorrei
generalizzare, ma mi sembra che certi
« tabù » siano crollati. Si vedono donne
in giro, ragazzi e ragazze che passeggiano insieme; si nota che la donna è più
libera di dieci anni fa.
Ma la trasformazione che mi pare
più importante è quella che mi è venuta in mente vedendo le serre di Scicli;
che i siciliani fanno uno sforzo per risolvere da loro stessi i loro problemi.
Tl suo desiderio era di prendere
contatto con le comunità che cosa
ne pensa dopo questa visità?
La visione è molto diversa ed ampia.
Ci sono alcune comunità che rimangono molto attaccate al passato e soffrono nell’affrontare situazioni nuove;
hanno qualche difficoltà ad accettarle.
Ma questo è in parte dovuto ad una
mancanza di informazione nei confronti della ricerca della chiesa, oggi, e in
parte ad una mancanza di preparazione a scoprire i loro vari doni e ministeri. Cioè la responsabilità è nostra.
Altre comunità hanno adesso un
orientamento diverso. Dopo aver conosciuto un periodo di crisi, esse cercano
di impegnarsi in modo diverso, si sforzano di farlo pensando al futuro della
comunità e della città dove sono chiamate a testimoniare.
Altre comunità hanno scelto la via di
un impegno sociale più vivo. Possiamo
non condividere pienamente tutta la
loro linea di lavoro, ma è chiaro che
dobbiamo avere un atteggiamento di
solidarietà critica. Possiamo discutere
del loro impegno politico, ma è certo
che in queste città, la chiesa valdese
ha suscitato e suscita interesse.
Altre ancora fanno uno sforzo di ricerca in vista di un impegno più concreto dei membri della comunità, ricer
ca che comincia aU’interno della comunità, ma in vista di una testimonianza al di fuori di esse.
Poi ci sono le opere sociali della
chiesa, come Riesi, Palermo, Vittoria,
Agrigento e Pachino. C’è un impegno
della chiesa nel campo sociale legato
alla testimonianza di Cristo, questa testimonianza essendo più o meno implicita od esplicita. Certo ci sono diversi tipi di opere; ci sono delle differenze notevoli fra Palermo e Riesi, fra
Riesi ed Agrigento o Pachino.
Penso che resperimento fatto a Riesi
sia valido, che ha già portato qualche
frutto, che indica una nuova via; le attività sono sotto la responsabilità di
tutti i membri della comunità.
Per quanto riguarda Vittoria e la casa di riposo, penso che ci siano diverse
possibilità di sviluppo e credo che queste possibilità siano in via di realizzazione.
Le chiese possiedono degli stabili non tutti redditizi: cosa ne
pensa lei?
Gli stabili, per una parte importante,
sono talmente vecchi che non servono,
come per esempio quelli di Grotte o Catania. Ci sono proprietà della chiesa locale che non hanno un reddito normale e non possono esser utilizzate dalla
comunità per il suo lavoro di testimonianza. Come Tavola, non possiamo in
nessun caso spendere milioni e milioni
per niente. Bisogna studiare le diverse
possibilità di soluzione a questo problema, affinché le comunità possanp
trovare un’utilizzazione migliore dei loro stabili.
Se mi permettete, cari amici, alla
fine di questa intervista, vorrei esprimere a tutti la mia profonda riconoscenza per Taccoglienza che mi è stata fatta dappertutto. Sono profondamente cosciente di ciò che è stato fatto
nel passato e penso a tutti pastori e
membri di chiesa che hanno sofferto
per la loro testimonianza. Oggi, dobbiamo essere aperti al futuro, accettare questo tempo che è un tempo di gestazione, di preparazione di qualche cosa che sta per venire. Ci sono già dei
segni di rinnovamento, c’è una grande
diversità di tentativi, ci sono tensioni
ma soprattutto c’è uno sforzo per rendere testimonianza a Cristo. Perciò
dobbiamo rimanere nella comunione
fraterna e nella solidarietà critica. A
tutte le chiese di Sicilia e Calabria, la
mia profonda riconoscenza.
Aldo Sbaffi
Un’azione concreta di lotta di liberazione che va al di là della [del concetto marxiano di] lotta di classe è la
testimonianza che la Chiesa dovrebbe dare al mondo.
Più che alle divisioni dell’umanità
elaborate da Marx e Perroux, Tullio
Vinay preferisce ricorrere, spinto dalla critica guidata dall’Evangelo, a
un’altra grande divisione universale:
quella che passa tra il mondo della
vita ed il mondo della morte. È una
divisione che può sembrare semplicistica e semplificante e non può essere
così netta come una divisione di classe perché questi due mondi sono in
conflitto perenne anche dentro di noi.
Il mondo della morte è vastissimo
e ad esso appartengono tutti quelli
che vivono della morte degli altri.
Questo concetto tuttavia non esclude
la lotta di classe.
A seguito di questa analisi il Servizio Cristiano di Riesi è pienamente
convinto che una rivoluzione non violenta rimane la sola via d’uscita per
il nostro mondo, nel quale i cristiani
sono tenuti a testimoniare del mondo
dell’Agape. Di fronte ad esso né l’economia dei profitti, né l’alienazione politica, né altre io mie di oppressioni
stanno in piedi.
Lo testimoniano c:hiaramente le scelte intraprese da Riesi che mirano alla formazione di una nuova generazione e alla lotta coni io la rassegnazione
affinché gli uomini riescano a dissociarsi da un sistema come il nostro
che è in larga misura ladro e omicida.
In effetti, sostiene Tullio Vinay, tutto è frutto di furto; la Chiesa dovrebbe cominciare a sabotare certe iniziative del- sistema. Dovrebbe, ad esempio, giungere ad appoggiare i sindacati nella loro lotta e in particolare
in quella per il controllo della produzione. Sarebbe questo un passo verso
la denuncia aperta dell’enorme produzione di armamenti che, oltre a rendere sempre più difficile la liberazione
degli oppressi, diviene elemento essenziale nell’impiego di capitale e conseguentemente della mano d’opera.
Il messaggio di Tullio Vinay, espresso con sensibilità e vigore, è senz’altro un incentivo p; i' la Chiesa di Torino a darsi da i t e, in un contesto
socio-poUtico così ■> ario e complesso
quale quello della nostra città, e compiere un lavoro concrèto nei vari settori della società, dato che Cristo è la
verità non solo della fede ma anche
della politica e deH’economia. Così si
eviterà una svalutazione del messaggio cristiano a pura dottrina. A questo proposito i grandi complessi come la FIAT sarebbero un buon campo d’azione. ....
Per quanto riguarda la città di Riesi più in particolare, Vinay ha fatto
osservare come esso sia un tipico
esempio di mutamento senza svilup
NOTIZIARIO LIGURE
SAMPIERDARENA
Comunità di diaspora, tra Pontedecimo e Prà, quella di Sampierdarena,
è composta di fratelli e sorelle di estrazione sociale diversa e con un passato
interessante sotto il profilo della testimonianza; chiesa ultracentenaria,
ha fruito di ministeri pastorali più o
meno lunghi e, di recente, in collaborazione con la comunità metodista di
Sestri. La comunità si ritrova in via
Buranello dove, grazie al Signore, un
locale è stato acquistato recentemente dalla Tavola, dopo l’infelice parentesi dell’alienazione del vecchio, ampio edificio con alloggio, avvenuta nel
1920 con conseguente aggravio di spese per il fitto, diventato insostenibile
negli ultimi anni, cioè fino a pochi anni fa.
La commissione distrettuale, nelle
persone di Paolo Ricca e Aldo Rùtigliano, ha avuto un incontro col Consiglio e ha presieduto il culto e l’assemblea.
Si è discusso la predicazione, in sede di consiglio, con un interessante
scambio di idee sull’incidenza che comporta l’annunzio della Parola e se sia
conforme all’evangelo il preciso riferimento a fatti del presente. La riflessione del gruppo responsabile della
chiesa ha rivelato un interesse per la
Parola di Dio, con spirito evangelicamente critico sul modo di annunziarla.
Il messaggio di Paolo Ricca, riferito
all’armatura del credente di Efesini 6,
ha ricordato l’urgenza di rivestire tutta l’armatura, compresa la verità e la
giustizia per misurarsi contro le « forllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll
AVVISI ECONOMICI
CERCASI donna per lavori foresteria.
Adeguato salario, assicurazioni, alloggio. Scrivere: Foresteria Valdese - Castello 5170 - 30122 Venezia Tel. 041/27549.
ze spirituali della malvagità » che minacciano tutta la vita dell’uomo e che
sono sottoposte all’unica Forza, quella del piano di Dio mosso dalla « forza della Sua Possanza ».
Il tema: evangelizzazione ha consentito un ampio scambio di pensieri sui
metodi del passato e le linee nuove
del presente: contatti personali, sempre molto efficaci nel lavoro e nel tempo libero, testimonianza in casa, nei
confronti dei figli, manifestazioni alVaperto, nei teatri, valendosi dello ste.sso locale della chiesa con collaborazione della comunità nel tempo libero.
È stata ricordata anche la responsabilità della chiesa, in riferimento agli incontri con gruppi di giovani, comunità del dissenso, evitando la chiusura,
l'accartocciamento che non consente il
rinnovamento dell’ossigeno e perciò
determina la fine della testimonianza.
Il discorso previsto dal Sinodo sulla toga è rimasto a mezz’aria, perché
comporta un lungo discorso sui ministeri, sul sacerdozio universale. Un indumento in più o in meno non ha importanza, se non fosse collegato con la
importanza eccessiva che si dà alla
persona che lo riveste e che, nella
mente dei più detiene il monopolio
dei doni che il Signore ha comunque
dato a tutta la chiesa. Eventualmente
si potrebbe accettare la toga unicamente se tutti, laici e pastori, coloro
che salgono sul pulpito la rivestissero,
anche se comunque nessun argomento
può essere di conforto per rivestirla.
Il discorso è aperto é consente alla
comunità di esaminare a fondo i vari
testi biblici sul problema dei doni e
quindi di approfondire la conoscenza
delTEvangelo.
Ringraziamo la Commissione distrettuale per la visita costruttiva che è
stata fatta, nella fiducia che le commissioni medesime siano formate da
due pastori e due laici in modo da
avere comunque, in sede di visita di
chiesa, la presenza laica, laddove motivi di forza maggiore non consentano
la presenza d’uno dei membri. Questo
per evitare la « clericaìizzazione » delle visite.
SESTRI
La comunità sorella metodista ha anch’essa una tradizione interessante fin
dalle sue origini, con l’apporto di attività pastorale notevole e conseguente
presenza cospicua di membri nel periodo iniziale. Attualmente la comunità si ritrova in Via Guazzo con dei locali ammodernati, grazie al contributo
efficace degli artigiani della chiesa. La
comunità ha un nucleo più consistente nella città, mentre varie famiglie
sono dislocate da Arenzano aH’estremità di Genova; anche qui il ceto sociale
è vario e prevalentemente operaio.
Sestri fa parte del Circuito ligure e
del basso Piemonte. Recentemente si è
tenuto a Savona il Consiglio di Circuito con una delegazione di Sestri, nel
quale si è discusso il problema della
Foresteria di San Marzano, dove da
qualche anno a questa parte evangelici di varie parti d’Italia s’incontrano
in un clima familiare; si prospetta
una utilizzazione maggiore anche a beneficio della popolazione del paese.
La diaspora del circuito è grande
e occorre la collaborazione di laici per
poter predicare nei vari gruppi e comunità; con metodo squisitamente
« metodista » la predicazione è programmata per alcuni mesi, con la partecipazione di laici pastori consentendo alle comunità di conoscere pastori
e laici impegnati di tutto il circuito.
In questa occasione la collaborazione
valdo-metodista è preziosa per la reciproca conoscenza e lo scambio di esperienze.
In questi mesi abbiamo avuto la
gioia di ricevere la visita di predicatori laici e pastori sia a Sestri che a
Sampierdarena: Enos Mannelli, Paolo
Marauda, Marcello Rizzi, Emanuele
Tron, Ulrico Cassano, Carlo Baiardi.
Gustavo Bouchard
po, inteso come un senso nuovo d’esistenza. La città diventa più ricca,
ma l’economia è sempre più povera.
L’agricoltura è in decadenza anche
perché ha perso molte braccia a causa dell’emigrazione. Per quanto riguarda l’industria, la chiusura della miniera di zolfo ha provocato una grande disoccupazione ed il denaro della
liquidazione dei minatori circola senza investimenti.
Questo stato di cose è provocato
dalla corruzione politica a livello statale e regionale ed il continuo susseguirsi di governi non ha certo giovato all’economia siciliana. In 24 anni
di autonomia, la Regione Siciliana non
può certo reggere il confronto con
Israele che nello stesso arco di tempo
ha raggiunto un notevole livello economico. È chiaro che in queste condizioni in Sicilia non si può avere
che un atteggiamento di sfiducia e rassegnazione.
A questa situazione quanto mai complessa e problematica il Servizio Cristiano di Riesi risponde con un lavoro ed un dialogo nel contesto di realizzazioni concrete. La realizzazione a
mio avviso più significativa è la co
struzione di una fabbrica con posti
per 50 operai, preparati in loco, interamente autogestita.
Dal momento che si crede indispensabile che il risveglio di un popolo
parta dal popolo stesso, è stato pure
organizzato a Riesi un Centro dibattiti, ove tra l’altro, si è anche discusso
sul fermo di polizia che lede la libertà dei cittadini ed è violenza nei confronti della persona umana.
Nell’insieme, il lavoro di Riesi costituisce una testimonianza cristiana tradotta in opere nel quadro di una scelta non violenta, non intesa come passività, che T. Vinay e l'équipe di Riesi
si sentono disposti a seguire fino in
fondo. L’elezione, ha ricordato T. Vinay, è elezione a percorrere la via della croce, a essere « pecore da macello », secondo quanto afferma Paolo
nell’epistola ai Romani: « Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, o la distretta, o la
persecuzione, o la fame, o la nudità,
o il pericolo, o la spada? Come è scritto, per amor di Te noi siamo tutto il
giorno messi a morte, siamo stati considerati come pecore da macello ».
Erica Tomassone
HI IL PAPA E IN LA
sulla facciata della chiesa valdese di Piazza Caveur
e della Libreria di Cultura Religiesa, a Roma
La mattina di domenica 11 febbraio,
l’attenzione dei passanti e di coloro
che si recavano alla manifestazione
anticoncordataria indetta nel Teatro
Adriano, in Piazza Cavour a Roma, era
attirata in modo inconsueto dalla facciata della chiesa valdese e della contigua Libreria di Cultura Religiosa:
mani gentili avevano arricchito Tornamentazione e ai due lati del portone
si stagliavano due ampie scritte a
biacca, W IL PAPA - W LA MADONNA; i fregi — o sfregi — proseguivano, con ampi spruzzi di biacca sui
portone, sulle vetrine e sul portone
della Libreria; sulla fiancata dello stabile, su Via Marianna Dionigi, la firma: «Civiltà cristiana» (sic!). Si tratta con evidenza di un gruppuscolo clerico-fascista che ha voluto protestare
contro la manifestazione anticoncordataria indetta lì accanto da varie organizzazioni, su iniziativa del Partito
radicale, e al tempo stesso ha voluto coinvolgere nello sfregio (e nel danno) le facciate (notturne, per prudenza) di un luogo di culto e di una libreria di una comunità cristiana che
non ha nascosto, da anni, la propria
avversione a ogni politica concordataria, e l’ha anche motivata, non con
seiiiplici motivi anticlericali (per altro
più che comprensibili, in questo regime!), ma con precise motivazioni evangeliche, teologiche.
Quanto alla Libreria di Cultura Religiosa, è la terza volta che è coinvolta in uno sfregio del genere, in occasioni consimili; già altre due volte ha
subito danneggiamenti, e in particolare, in occasione della prima assemblea del movimento « 7 novembre »
nella vicina aula magna della Facoltà
Valdese di Teologia, era stata fatta
bersaglio di una bomba che solo per
la prontezza e il coraggio di un collaboratore aveva fatto sì danni non indifferenti, ma non vittime.
Da molte parti, nel quartiere e oltre, sono venute espressioni di solida
lllllllllllllllllllUllllllllllllllllllllllllllllllllillllllllllllllllllllllll
I LETTORI
ci scrivono
Una lettrice, da Roma:
Caro direttore,
ti sarei molto grata se tu volessi pubblicare queste mie due righe che desidererei servissero a meglio esprimere il mio pensiero nei
confronti della Facoltà Valdese di Teologia.
Nella corrispondenza « a bruciapelo » nella
pagine dedicata alla Facoltà, nel numero 5
de L’Eco-Luce, indubbiamente per mancanza
di spazio, il mio giudizio è stato riportato in
modo incompleto. Ho espresso ed esprimo
tuttora il mio rammarico per l’assenteismo
degli studenti della Facoltà da tutte le diverse attività della Chiesa : ecco perché io, non
come persona singola, ma come membro attivo di una Comunità, non avverto differenze
quando vi sono tanti o pochi studenti. E rimpiango periodi, non poi così lontani, in cui
questa comunione si sentiva e molto, e tu
ben lo sai!
Ho altresì espresso però e tengo a ribadirlo, la gratitudine mia personale e come membro di una Comunità verso i Professori della
Facoltà la cui presenza è sempre viva ed attiva e fa sentire veramente vicina a noi la
Facoltà.
.Ti ringrazio per l'ospitalità e formulo i migliori voti per il « nostro » giornale.
Lia Teresa Taliento
rietà; e invece l’unico quotidiano romano che ha riferito, con foto, la notizia, « Il Tempo », lo ha fatto con un
distacco che nascondeva a stento la
soddisfazione e il consenso con i coraggiosi paladini di ’civiltà cristiana’. Pare giusto che le Chiese evangeliche
siano unite nelTaffrontare i danni che
l’attacco ha fatto ricadere su pochi,
un attacco motivato dalia posizione
nettamente assunta da tutti noi in
merito alla questione concordataria.
Sarebbe stata, poi, significativa una
parola di solidarietà da parte ufficiale
cattolica, e di sconfessione del gesto
civilmente e cristianamente abnorme;
una parola che, però, non è venuta;
forse è anche così che si intende difeso e preservato il carattere cattolico della Capitale. Prendiamo atto.
g. c.
PERSONALIA
A Katharina e Bruno Rostagno, della Comunità di Apage, è nata la primogenita, Giovanna: un augurio affettuoso a tutti e tre!
* * *
Luisa Prelato e William Tousijn si
sono sposati, a Torino: auguriamo loro fraternamente una vita felice e utile, insieme.
Il 2 febbraio 1973, il Signore ha richiamato a sé
Sita Rivoir
Addolorati i familiari e i parenti ne
danno il triste annunzio.
La salma si trova nel cimitero di
St. Mary’s Abbey - West Molling-Kent.
RINGRAZIAMENTO
La moglie ed i familiari del compianto
Aurelio Maero
Cavaliere di Vittorio Veneto
profondamente commossi della grande dimostrazione di affetto e di stima tributata al loro caro, nell’impossibilità di farlo singolarmente, ringraziano di vivo cuore, tutte le gentili
persone che con scritti, parole di conforto e di presenza hanno partecipato all’immenso dolore.
Un grazie particolare al medico curante dott. Bertolino di San Germano Chisone, ai sigg. Pastori Conte di
S. Germano Chisone, Genre di S. Secondo, Deodato di Pinerolo e Bertinat di S. Giovanni; al presidente Associazione Combattenti e gruppo Alpini di Prarostino; ai parenti tutti e
ai vicini di casa che tanto si prodigarono nella luttuosa circostanza.
S. Germano Chisone, 3 febbraio 1973.
RINGRAZIAMENTO
La famiglia del compianto
Enrico Bounous
commossa per la grande dimostrazione di affetto ricevuta in occasione
della dipartenza del suo caro congiunto, ringrazia in modo particolare i vicini di casa e quanti si sono
prodigati durante la lunga malattia
e hanno preso parte al loro vivo dolore.
Pomaretto, 12 febbraio 1973.
6
pag. 6
I CORPI SEPARATI DELLO STATO
I NOSTRI GIORNI
N. 7 — 16 febbraio 1973
Burocrazia, scuola, magistratura, polizia
servizi pubblici essenziali e delicati da mantenere nella dialettica democratica
viva, senza pretese di una apoliticità molto discutibile nell’attuale clima italiano
In una precedente nota abbiamo
cercato di porre in evidenza la necessità che la RAI-TV fornisca un servizio di informazione non subordinato a
interessi governativi. Si tratta di studiare un controllo democratico diretto ed efficiente, che eviti il crearsi di
un centro di potere autonomo, che potrebbe costituire la base per un processo involutivo della democrazia italiana. Ma non è questo il solo strurnento che potrebbe prestarsi per una
simile manovra politica capace di snaturare i fondamenti costituzionali della nostra Repubblica, trasformandola
in senso « gollista ». Esistono nella
nostra società alcuni organismi, o alcuni gruppi di persone, che, per il ruolo che esercitano, godono di un’autonomia che potrebbe essere facilmente e pericolosamente strumentalizzata.
Sono questi i corpi separati dello
Stato, e con questa espressione intendiamo riferirci ad istituzioni che, fin
dal loro costituirsi, sono state collocate al di fuori della dialettica democratica, perché la loro funzione dovrebbe
essere apolitica; tali sono la burocrazia, la scuola, la magistratura e la polizia e, se oggi ci interessiamo di esse,
è perché taluni episodi di cronaca ed
il clima generale politico attuale destano una certa preoccupazione in chi
vedrebbe come un passo indietro un
eventuale esautoramento del Parlamento ed una gestione autocratica della cosa pubblica.
Il primo di questi corpi separati e
la burocrazia e non vi è chi non veda
l’influenza che essa può esercitare in
qualunque campo della società sia per
la sua efficienza che per la sua inefficienza. Si è parlato a lungo di una riforma della burocrazia italiana e vi è
anche in preparazione un progetto di
legge in proposito. È certo significativo che, come primo passo per questa
riforma, l’attuale governo abbia aumentato fino al cento per cento gli
stipendi agli alti dirigenti statali, comunemente detti superburocrati. E
questo avveniva nel giugno dello scorso anno, mentre si lesinava sugli aumenti dei minimi delle pensioni. Fin
da allora risultava chiaro quale scelta politica facesse il governo Andreotti, mirando a riscuotere consensi, non
tanto in ampi strati popolari, quanto
in una ristretta cerchia di circa settemila superburocrati.
* * *
Ma il compito di mediare il consenso (cioè insegnare ad obbedire e
ad accettare come ben fatto tutto ciò
che proviene da chi sta gerarchicamente più in alto), è sempre stato caratteristico particolarmente della scuola. Ed è così ancora, anche se, negli
ultimi anni, l’enorme crescita della
popolazione scolastica e le rapide trasformazioni economiche della nostra
società hanno fatto esplodere una serie di contraddizioni, tali da rendere
sempre più difficile il suo compito. Se
da un lato la scuola educa al consenso, fornisce per molti versi (con la
sua arretratezza nei programmi e nei
metodi didattici, con le sue carenze
di attrezzature e di locali, etc.) occasioni per il nascere del dissenso, che
si fa sempre più cosciente, mano a
mano che le lotte degli studenti ner
una scuola « efficiente », si saldano
con quelle più ampie, di carattere sociale economico e politico, della classe'operaia per una nuova società.
Gli stessi insegnanti sentono semore più fortemente la crisi del ruolo tradizionalmente loro assegnato,
acuendo quella crisi di identità della
scuola italiana (ma il fenomeno è
esteso a moltissimi altri paesi) che è
al centro di tante discussioni. Si è talvolta amaramente osservato, da parte degli interessati, che l’inadeguato
trattamento economico degli insegnanti dipenda ahcfìe dal fatto c^e essi non, fanno, più' « il loro dovere », dal
fatto cioè che .essi non giovano più
abbastanza a chi sta al potere.
Ma da un anno a questa parte la ripresa di sistemi educativi repressivi e
una lunga serie di provvedimenti disciplinari nei confronti degli studenti
più attivi nella protesta lasciano intendere che la scuola può ancora fornire, a chi lo volesse, un potente appoggio politico. Solo nel giro di quest’ultimo mese si è avuta notizia di
tre casi di punizioni della massima severità: allontanamento da tutte le
scuole della Repubblica comminato a
un giovane del liceo « Beccaria » di
Milano; un anno di sospensione ad
uno deiri. T. per Geometri di Modica
(Ragusa); sospensione dalle lezioni fino a giugno a tre del liceo « Tasso »
di Roma. Inoltre vari insegnanti in
più parti d’Italia si son visti contestare dai presidi il diritto di aderire
allo sciopero generale del 12 gennaio
c taluni di essi per questo motivo hanno subito provvedimenti disciplinari
e persino il licenziamento, sebbene
poi tali provvedimenti siano stati revocati per l’intervento dei sindacati.
zione al di fuori di qualsiasi condizionamento. Ma un episodio, che nel
mese scorso ha destato grande scalpore, ci ha spinto a riflettere sui modi in cui questa autonomia si realizza. Intendiamo riferirci al discorso di
inaugurazione dell’anno giudiziario, tenuto a Roma dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione Dott. Ugo
Guarnera, il quale, dopo esplicite accuse rivolte a chi tende a politicizzare
il ruolo della magistratura, ha sviluppato ampiamente un’interpretazione
politica dell’attuale situazione dell’amministrazione della giustizia in Italia,
caldeggiando un progetto governativo
di legge (quello sul fermo di polizia),
sul quale il Parlamento non si è pronunziato ancora. Si tratta di un progetto di legge ampiamente criticato
da molti esponenti di vari partiti e
della stessa D.C., ma ritenuto necessario dagli attuali governanti. Ci sembra allora di capire che per il Dott.
Guarnera non sia un male che un magistrato faccia politica, ma che sia un
rnale che faccia una politica contraria
ai governanti del momento. Solo preservando la magistratura dall’accusa
di fautrice delle opposizioni, sia pure
democratiche, si può garantirle l’attributo di orbano al di sopra delle parti: al di sopra di tutte le parti, dalla
parte di chi comanda. Ma questo modo di concepire il ruolo della magistratura è particolarmente pericoloso
perché essa potrebbe, come e forse più
degli altri corpi separati dello stato,
fornire un avallo ad eventuali scelte
autoritarie governative.
Solo per rifarci agli ultimi mesi, vai
la pena di ricordare alcuni episodi
che dimostrano un tentativo di epurare la magistratura da elementi che
fanno una politica « sbagliata » agli
occhi dei superiori. Il più clamoroso
è stato la sostituzione del giudice Fiasconaro (che indagava sulle responsabilità di Freda e Ventura a proposito della strage di Piazza Fontana)
pochi giorni dopo aver indiziato di
reato tre funzionari di Polizia. Ma per
il Procuratore Mazzocchi è bastato
avere azzardato un’ipotesi di interpretazione politica del drammatico caso
Lavorini, per vedersi minacciato di
CUI
trasferimento. Uno dei campi m__________
la magistratura oggi si dimostra quanto mai discorde è quello del diritto del
lavoro, specialmente per quanto riguarda l’applicazione dello Statuto dei
Lavoratori. Sul picchettaggio e sulla
serrata i giudizi sono stati spesso contraddittori. È significativo tuttavia
che i Pretori milanesi che avevano
espresso sentenze favorevoli ai diritti
dei lavoratori, si sono visti, ai primi
del mese scorso, aspramente criticati
dal Presidente della Corte d’Appello
Dott. Trimarchi, che apertamente ne
ha richiesto la sostituzione. Ai primi
di febbraio il giudice Francesco Misiani della VI sezione penale del 'Tribunale di Roma è stato trasferito per
analoghi motivi alla sezione civile.
Perplessità ha destato pure la sostituzione, giustificata dall’accusa di aver
violato il segreto istruttorio, del sostituto procuratore Pivotti con Vaccari nelle indagini sugli incidenti della
« Bocconi » di Milano, in cui uno o
più agenti di Pubblica Sicurezza (o
forse, come pare testimoniato, qualche borghese che stava tra le forze
dell’ordine) hanno sparato, uccidendo
lo studente Roberto Franceschi e ferendo gravemente l’operaio Roberto
Piacentini.
* * *
Ma è chiaro che il corpo separato
dello Stato più efficiente, in quanto
non tenuto a rispondere direttamente
a nessun organismo democratico e in
quanto, per la propria specifica funzione, è chiamato ad operare direttamente nel tessuto sociale, è la Polizia.
Recentemente essa ha visto accrescere notevolmente i suoi organici e ad
essa si cerca di attribuire una maggiore libertà di azione attraverso la legge su] fermo di polizia. E il fatto che
contro questa legge (con buona pace
del Dott. Guarnera) si siano espressi
tra gli altri anche numerosi magistrati (nella sola circoscrizione di Napoli
più di ottanta hanno firmato una petizione), non serve ad altro che a sottolineare quanto tutti gli altri corpi
separati perdano di importanza al confronto con la polizia.
Anche la recente pubblicazione della « relazione riservata » del Questore
di Milano, Dott. Allitto Bonanno, del
luglio 1972 sui gruppi sovversivi operanti nella zona di sua competenza,
consente due riflessioni. In primo luogo colpisce che ci si preoccupi esclusivamente della « guerriglia urbana »
dei gruppi extraparlamentari di sinistra, ignorando le azioni teppistiche
delle squadre della destra, parlamentare e non; vorrebbe questo significare addirittura che quelle solo sono
realmente contrarie agli interessi dell’attuale governo, e per converso queste gli sono, se non addirittura favorevoli, indifferenti? In secondo luogo
il fatto che la « fuga » di questa relazione riservata sia avvenuta in direzione delle redazioni del Secolo d’Italia e del Borghese, giornali della Destra Nazionale, ci lascia intendere da
parte di chi c’è la speranza di poter
utilizzare i corpi separati dello Stato,,
che, con la loro efficienza tecnica in
una sfera di pretesa « apoliticità », potrebbero fare da paravento ad una
forma di governo non più democratico.
* * *
Non vogliamo, con queste nostre righe, suscitare inutili allarmismi, ma
ci è sembrato bene riflettere sul delicatissimo momento politico che stiarno vivendo, ricollegando sparse notizie di cronaca in una visione organica
che rende tutti più vigili, affinché le
conquiste democratiche non venganovanificate dalle manovre politiche O'
« tecniche » di chicchessia.
Emilio Nitti
La Conferenza generale deU^UNESCO
Novanta lire a testa per i 783 milioni
di analfabeti del mondo
Una « croce rossa » per la salvaguardia delle antichità e della natura — Contro l'informazione e l'educazione a senso unico
La Conferenza generale dell’UNESCO, che si riunisce ogni due anni a
Parigi per decidere il programma e il
bilancio dell’organizzazione, ha avuto
luogo dal 17 al 21 novembre u. s. Ha
espresso la volontà di dare all’organizzazione internazionale un carattere più
universale sul piano della rappresentanza e la preoccupazione di un maggior rigore nel realizzare i propri obiettivi.
INSEGNAMENTO - Le somme devolute a questo settore sono di una certa importanza, ma restano deboli rispetto ai compiti che l’UNESCO si prefigge. Rappresentano circa 15 cents (90
lire) a testa per i 783 milioni di analfabeti del mondo. I delegati hanno approvato il programma di attività che
punta su una educazione permanente
la quale vada oltre il quadro dell’insegnamento tradizionale: riforma delle
strutture istituzionali, del sistema di
formazione degli insegnanti, rinnovo
di programmi e di metodi pedagogici,
soprattutto in vista dei paesi del terzo
mondo. Nel 1973 avrà luogo la seconda
conferenza europea dei ministri dell’educazione, dedicata ai problemi dell’insegnamento superiore.
DOPO
LA GUERRA
DEL VIETNAM
Che la magistratura sia un corpo
separato dello Stato non fa meraviglia a nessuno, anzi è un bene che essa assolva la sua delicatissima fun
Nessuno al mondo, crediamo, è in
grado di prevedere
le conseguenze della guerra del Vietnam. Queste saranno
certo grandissime, soprattutto d’ordine
morale: il fatto che la nazione che aveva promosso il processo di Norimberga
si sia nuovamente resa colpevole (nuovamente, perché resta imperituro il ricordo d’Hiroshima), vent’anni più tardi, di delitti contro l’umanità altrettanto gravi quanto quelli condannati nella Germania vinta, sarà per generazioni
la camicia di Nesso del mondo cosiddetto civile e cristiano.
Non ci meraviglia perciò la notizia
(che abbiamo appresa da « Nuovi Tempi » del 4 c.) d’una manifestazione pubblica avvenuta a Bonn lunedì 29.1, nella
quale « circa 200 teologi cattolici e protestanti, ira cui Martin Niemoeller, Dorothee Soelle, i professori Gollwitzer,
Kaesemann, Bartsch, Braun, Mezger,
Bahr, hanno redatto un documento di
condanna contro i responsabili della
guerra. La dimostrazione è stata promossa anche dalla Facoltà di teologia
evangelica, dalla Comunità studentesca
di Magonza e da due gruppi cattolici ».
Sul « Nouvel Observateur » (n. 429
del 29.1 - 4.2.’73) Jean Daniel scrive:
« Secondo James Reston, dopo il Vietnam il suo paese (cioè gli USA) non è
più lo stesso. Nessun conflitto, dopo la
guerra di Secessione, l’ha mai tanto
profondamente lacerato. Il Reston arriva ad aggiunger persino che la guerra del Vietnam ha fatto più danni nell’anima americana, di quanti non ne
fecero in Europa le due grandi guerre
mondiali. La grande vittoria della resistenza vietnamita è questa: la disgregazione interna del capitalismo americano. Questa crisi di fiducia nella propria
civiltà, gli americani la vivono in diversi modi. È una crisi che conduce gli uni
a una revisione mortificatrice degli antichi valori americani, ma che guida gli
altri verso una strategia diabolica: questa consiste, per Nixon, nel recarsi a
Pechino e poi a Mosca, nel massacrare
il Vietnam e richiedere il premio Nobel della Pace ». (Quanto gli piacereb
bei).
« Henry Kissinger ha detto al giornalista Jean Lacouture: “Fra vent’anni si
sarà dimenticato il Vietnam, ma ci si
ricorderà del nostro avvicinamento a
Pechino ed a Mosca". Anche lui pensa
che il sangue s’asciuga presto. In ogni
caso, noi non avremo la scusa dell’ignoranza ».
Ma infine desidereremmo sapere quali sono le vere motivazioni che hanno
condotto, se non alla pace (non siamo
ancora certi che sarà pace!), almeno all’armistizio. Su « L’Express » del 29.14 c., Pierre Salinger ha raccolto le opinioni più correnti in USA su quest’ar
Echi della settimana
a cura di Tullio Vioia
gomento. Ne riportiamo qualcuna.
« Nell’ambiente vicino al Presidente,
non vi sono dubbi. L’occasione, al Presidente e al suo consigliere Kissinger,
di togliere gli USA dal vespaio indocinese, è stata offerta dal deterioramento
dei rapporti fra l’URSS e la Cina. Nessuno sapeva se l’intesa fra la Cina e il
Presidente era tacita od esplicita. Ma
una cosa era certa: la Cina non desiderava la vittoria totale d’un Nord-Vietnam troppo infeudato ai Russi e che
avrebbe costituito, nei suoi riguardi,
l’ultimo anello del suo accerchiamento
da parte dell’Unione Sovietica. La Cina
preferiva ancora una presenza limitata
degli USA nel Sud-Est asiatico, per farvi da contrappeso ai Russi.
Quando si decise a minare il porto di
Haiphong (dopo l’offensiva nord-vietnamita di primavera), Nixon era certo
che Pechino avrebbe approfittato dell’occasione per frenare i rifornimenti
di materiale russo al Nord-Vietnam. È
precisamente quanto è accaduto.
Martellato dagli Americani, deluso
nel vedere illanguidirsi in America il
movimento di protesta contro la guerra, e cominciando a scarseggiare i soccorsi, il Nord-Vietnam s’è visto costretto a negoziare "seriamente".
Da parte russa, il blocco di Haiphong
avrebbe provocato una furiosa polemica al Cremlino. Ma, a partire dal momento in cui Leonid Brejnev ebbe partita vinta e rifiutò di disdire il viaggio
a Mosca del presidente Nixon, questi
comprese che l’URSS aveva deciso di
farla finita con quella guerra.
Così, agli occhi degli Americani, il
nuovo triangolo Washington-Mosca-Pechino che domina ora la politica mondiale, ha avuto questo primo risultato
fondamentale: facilitare la pace nel
Vietnam. Ne consegue che uno degli
obiettivi principali della diplomazia
americana del dopo-Vietnam, è quello
di migliorare, in direzione parallela, i
suoi rapporti con la Cina e con
l’URSS ».
Se ed in qual misura cotali congetture delle alte sfere politiche americane
corrispondano alla realtà, diranno i mesi e gli anni venturi.
IL TRAVAGLIO DELL’URUGUAY
È un travaglio estremamente oscuro
ed incerto e che, particolarmente come
valdesi, ci preoccupa molto. Crediamo
che il travaglio sia quello d'una crisi di
passaggio, ma non abbiamo fiducia in
possibilità non diciamo di sbocco in un
regime che (in qualche modo) possa
dirsi socialista, ma neppure in un ritorno allo stato di democrazia di cui
quel paese godeva in anni non lontani.
Sappiamo che l’esercito, fino a poco
tempo fa spoliticizzato, ora è intervenuto in maniera
massiccia: un segno minaccioso, funesto!
Arlette Marchal inizia, come segue,
un lungo commento della crisi (sul « Figaro » del 12.2.’73).
« Senza appoggio popolare, senza sostegno politico, abbandonato dalla sola
forza che gli era rimasta fedele (la marina), il presidente Bordaberry ha dovuto cedere ai militari. Egli non soltanto ha rinunciato ai provvedimenti che
avevano provocato l’ira dei generali,
ma ha accettato di concedere loro,
d’ora in poi, un diritto di consultazione sulla politica del paese e, più ancora, di permettere loro d’imporre al governo un programma di riforme. Tradizionalmente parlamentare, il regime
uruguayano passa, d’ora in poi, sotto
la tutela dell’esercito.
Questo "colpo di Stato camuffato’’
(secondo l’amara definizione d’un deputato) non soltanto dimostra la fragilità delle istituzioni più radicate, quando nessuno gli concede più solidarietà
e quando la corruzione dilaga alla luce
del giorno, ma è anche un nuovo esempio della presa di coscienza politica di
un esercito che venga messo a contatto
della cosiddetta "sovversione".
In Uruguay, come ad es. in Perù o
più ancora in Turchia, il governo, per
lottare contro elementi rivoluzionari,
ha dovuto ricorrere all’esercito. Sono
nove mesi che i militari uruguayani,
avendo a disposizione poteri eccezionali, hanno perseguitato i “Tupamaros",
riuscendo del resto a smantellare i loro
principali centri operativi. Ciò facendo,
i militari sono venuti a contatto di certe realtà economiche e sociali. E se la
loro ideologia li colloca molto lontano
da quella dei loro avversari, e se il loro
nemico numero uno è e resta il comunismo, essi non sono rimasti insensibili alle aspirazioni di giustizia e di riforma dei rivoluzionari.
Qggi il programma che i militari intendono imporre al presidente Bordaberry, contiene numerose rivendicazioni, per così dire "socialiste": riforma
agraria, partecipazione operaia alla gestione delle imprese, lotta contro i monopoli, ecc. Per quanto paradossale, il
fatto è che l’esercito intende, in una
certa misura, raccogliere l’eredità dei
Tupamaros che ha vinti.
Ma, poco formato al gioco politico,
tradizionalmente rispettoso del potere
civile, l’esercito intende, come in Turchia, “guidare" il governo e non governare. Un’avventura di tal genere ha il
vantaggio di preservare un’immagine
democratica del paese, evitando una
dittatura militare. (...)
Due anni d’esperienza in Turchia
hanno dimostrato che colà una siffatta
avventura non potè aver seguito ».
SCIENZA E AMBIENTE - Una decisione particolarmente importante è
stata quella di istituire un sistema
mondiale di informazione scientifica
(UNISIST) che deve permettere a ogni
studioso di tenersi al corrente su tutto ciò che è fatto, nel mondo, nel suo
campo di attività. Analoghi obiettivi si
propone il programma di correlazione
geologica, una tappa nella esplorazione
delle risorse naturali del nostro pianeta. Nel quadro di un programma di ricerche ecologiche intitolato « L’uomo
e la biosfera », la Conferenza ha approvato 13 progetti che interessano le zone dei pascoli, le terre aride, le paludi,
le montagne ecc.
SALVAGUARDIA DI MQNUMENTT
E LUQGHI - I problemi dell’ambiente
non sono solo di carattere scientifico.
La Conferenza ha promosso una convenzione per la protezione del patrimonio mondiale. Si tratta sia del patrimonio culturale dell’umanità — monumenti, complessi architettonici, siti
archeologici — sia del suo patrimonio
naturale — parchi nazionali e altri
luoghi, come potrebbe essere la farnosa baia di Capri —. Questa convenzione prevede la formazione di una vera Croce Rossa per la salvaguardia delle antichità e della natura. Già sono in
azione i restauri di Venezia, Tunisi,
Cartagine, Borobudur, Philae ecc.
MEZZI DI INFQRMAZIQNE - U>
Conferenza si è interessata ai programmi di utilizzazione dei satelliti per la
radiodiffusione. Mentre la Conferenza
prevede la necessità di una autorizzazione da parte dei paesi riceventi a
quelli che trasmettono via satelliti programmi educativi, culturali o di informazione, essa afferma il diritto delle
nazioni di proteggere la propria identità culturale, la propria autonomia. Se
certi paesi hanno visto in questa affermazione un ostacolo alla libera diffusione dell’informazione, molti delegati
del terzo mondo hanno sottolineato
che oggi questa diffusione viene fatta
effettivamente a senso unico: dai paesi che possiedono importanti mezzi di
comunicazione a quelli che non ne
hanno. In questa ottica sono state votate misure destinate ad aiutare i paesi in via di sviluppo a crearsi le proprie agenzie di stampa e a ricercare
programmi di pianificazione dei mezzi
di informazione.
(Informazioni Unesco).
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Un apparecchio anti^^g
scarico
deiie automobiii
Milano (L Espresso) - La Borletti sta ampliando le proprie attività nel settore prodotti
per l’automobile. L’ultimo prodotto è un dispositivo che serve a ridurre l’inquinamento
generato dai gas di scarico degli autoveicoli. Si
tratta di una « soffiante d’aria » che rende
quasi totale la combusione mediante iniezione
di aria fresca subito a valle delle valvole, riducendo drasticamente il contenuto di elementi nocivi nei gas di scarico.
La Borletti dovrà fronteggiare presto un
nuovo concorrente. È stato concluso infatti da
poco un accordo di collaborazione industriale
tra la Jaeger e la Vdo Adolf Schindling. Le
due società sono le più importanti fabbriche di
Francia e di Germania di equipaggiamenti
per l’automobile nel settore dei cruscotti e
degli strumenti di bordo; assieme forniscono
equipaggiamenti per 7 milioni di automobili
l’anno, circa il 20 per cento dell’intera produzione mondiale. La Schindling prende una
partecipazione di minoranza nel capitale della Jaeger e quest’ultima riceverà il 50 per
cento del capitale della Vda Luftfahrtgeraete,
filiale aeronautica della Schindling.
Direttore responsabile: Gmo Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino)