1
BIIYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno VI :: Fasc. II. FEBBRAIO 1917
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 28 FEBBRAIO 1917
DAL SOMMARIO: Fra Bernardo da Quintavalle: L’Avvenire secondo 1* insegnamento di Gesù - LUISA GIULIO BENSO: “ La Vita è un sogno „ di A. Farinelli (II) - MARIO PUGLIS1 : Le fonti religiose del problema del male - EDOARDO SOULIER : L'Attesa - GIOVANNI PIOLI : Il codice di Diritto canonico (Commenti) - r. e p. : Cronaca Biblica (IV) - GIOVANNI COSTA: Religioni del mondo classico (II) - m. Rassegna di filosofia religiosa (XI) - LA GUERRA: Requiescat in pace! -Voci di pace “ umana „ in Germania (G. Pioli) - Cimiteri di guerra (Tavola).
3
REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo # A?
------ Via Crescenzio, 2 - ROMA —
D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore peri’Estero
Via del Babuino, 107- ROMA AMMINISTRAZIONE
Via Crescenzio, 2 - ROMA
ABBONAMENTO ANNUO Per l'Italia L. 5. Per 1*Estero L. 8. Un fascicolo L. 1.
Si pubblica la fine di ogni mese in fascicoli di almeno 64 pagine, /F
RI
4
Estratti dalla Rivista “Bilychnis”
(In vendita presso la nostra libreria)
Giovanni Costa: La battaglia di Costantino a Ponte Milvio (con 2 disegni e 2 tavole).. . . 1,00
Giovanni Costa: Critica e tradizione (Osservazioni sulla politica e sulla religione di Costantino) . 0,50
Giovanni Costa : Impero romano e cristianesimo (con 3 tavole) . . . . . 1,00
Salvatore Minocchi : I miti babilonesi e le origini della Gnosi....... 0.60
Luigi Salvatorelli : La storia del Cristianesimo ed i suoi rapporti con la storia civile ...... 0,30
Calogero Vitanza : Studi commodianei (I. Gli anticristi e l’anticristo nel Carmen apologelicum di Commodiano; II. Com-modiano doceta?) . . . 0,30
Furio Lenzi: Di alcune medaglie religiose del iv secolo (con 1 tavola e 4 disegni) ........ 0,30
Furio Lenzi : L’autocefalia della Chiesa di Salona (con .11 illustrazioni) . . 0,50
F. Fornati: Inumazione e cremazione (con 6 illustrazioni)........ 0,30
C. Rostan : Le idee religiose di Pindaro .'.... 0,30
C. Rostan: Lo stato delle anime dopo la morte, secondo il libro XI del-1* «Odissea» ...... 0,30
C. Rostan : L'oltretomba nel libro VI dell’« Eneide» .......... 0,50
Antonino De Stefano: I Tedeschi e l’eresia medievale ih Italia . . . . . 1,00
Alfredo Tagliatetela: Fu il Pascoli poeta cristiano ? (con ritratto e 4 disegni) ......... 0,30
F. Biondolillo: La religiosità di Teofilo Folengo (con un disegno). . . . 0,30
F. Biondolillo : Per la religiosità di F. Petrarca (con 1 tavola) . . . . . 0,30
Giosuè Salatiello: Il misticismo di Caterina da Siena icon 1 illustraz.). 0,25
Giosuè Salatiello: L’umanesimo di Caterina da Siena (con i- illustraz.). 0,30
Calogero Vitanza: L’eresia di Dante ...... •. 0,30
Antonino De Stefano : Le origini dei Frati Gaudenti ......... 1 —
A. W. Müller: Agostino Favoroni e la teologia di Lutero ....... 0,30
Arturo Pascal: Antonio Caracciolo, vescovo di Troyes .......... 0,80
Silvio Pons: Saggi Pasca-liani (I. Il pensiero politico e sociale del Pascal;
II. Voltaire giudice dei
« Pensieri » del Pascal;
III. Tre fedi: Montaigne, Pascal Alfred, di Vigny) con 2 tavole...... 0,50
T. Neal : Maine de Biran, o 30 F. Rubbiani : Mazzini e
Gioberti ....... 0,50
Paolo Orano: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita
e ritratto) ....... 0,40 Angelo Crespi: L’evoluzione della religiosità . 0,30 Paolo Orano: La rinascita
dell’anima ....... 0,30 Angelo Gambaro : Crisi
contemporanea. . . . . 0,15 Giov. Sacchini: Il Vitalismo . . . . ...... 0,30 R. Murri : La religione nel-l’insegnamento pubblico
in Italia........ 0,40 Ed. Tagliatetela: Morale e
Religione «....... 1 — Mario Puglisi : Il problema morale nelle religioni primitive...... . ’. 0,50
A. Tagliatetela: Il sogno di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 5 disegni di P. Paschetto) . . 0,20
G. Luzzi : L’opera Spence-riana........ . . 0,15
IM. Rosazza: La religione del Nulla (con 6 disegni).
R. Wigley : L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa) .........
James Orr: La Scienza e te Fede cristiana. . . .
T. Fallot: Sulla soglia. (I nostri morti) con una tavola ..........
Felice Momigliano: Il Giudaismo di ieri e di domani .........
A. G. e Giov. Pioli: Intorno ad un'anima e ad un’esperienza religiosa (In memoria di G. Vitali) .
Mario Rossi: La Chimica del Cristianesimo . . .
G. E. Meille: Il cristiano nella vita pubblica. . .
F. Scaduto : Indipendenza dello Stato e libertà della Chiesa .........
Guglielmo Quadrotta: Religione, Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra. (Con ritratto ed una lettera di A. Sa-landra).........
Mario Rossi: Razze, Religioni e Stato in Italia secondo un libro tedesco e secondo l’ultimo censimento .........
D. G.: Verso il conclave .
E. Rutili: Vitalità e vita nel Cattolicismo (Cronache: 1913-1914) 3 fascicoli ..........
E. Rutili : La soppressione dei Gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi.........
Paolo Orano: Gesù e la guerra.........
Edoardo Giretti : Perchè sono per te guèrra . . .
Romolo Murri : L’individuo e la Storia. (A proposito di cristianesimo e di guerra) ......
Paolo Tucci : La guerra nelle grandi parole di Gesù. .........
Paolo Orano: Il Papa a Congresso .......
0,30
0,50
0,25
0,30
0,60
0,60
0.50
0,30
0,30
1 —0,60
0.15
0,90
0,15
0,30
0,20
0.40
1,00
0,5°
5
BIÙCHNB
1
RJVI51À DI STVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLATEOLOGICA BATTISTA
• DI ROMA&
SOMMARIO:
Fra Bernardo da Quinta valle: L’Avvenire secondo l’insegnamento di Gesù. - I. L’avvenire di qua dalla tomba: i. Il millennio; 2. Il ritorno di Cristo; 3. Il regno di Cristo; 4. La fine del mondo . ... ? ...... . . ...................Pag. 93
Luisa Giulio Benso : « La vita è un sogno » di Arturo Farinelli II. Concezione della vita e del mondo nel Calderon. Il dramma » 105
Mario Puglisi : Le fonti religiose del problema del male. - V. Primitiva sistemazione religiosa del problema del male...... > no
PER LA CULTURA DELL’ANIMA:
Edoardo Soulier: L’Attesa .............. >123 NOTE E COMMENTI:..
Giovanni Piòli : Il Codice di Diritto Canonico .............. » 129
TRA LIBRI E RIVISTE:
r e p.: Cronaca Biblica (IV) : Antologia dell'Antico Testamento - Archeologia biblica - Giudaismo antico e moderno - La questione sinottica - Circa
S. Paolo - Le origini cristiane.. > 132
Giovanni Costa: Religioni del inondo classico (II): 1. Cibele - 2. Deio 3. Religione egiziana - 4. Religione omerica - 5. Riti funebri etruschi - 6. Sacerdozio romano - 7. Simbolismo ............... ■ 136
m. : Rassegna di filosofia religiosa (XI) : Josiah Royce - L’idealismo etico - L’Io individuale - Dio - L'etica idealistica - L’idealismo costruttivo nella storia della filosofia - L’idealismo religioso .■ . . . . ......... » 144
Varia: A. Suarès, CervaMès (G. Costa) - Onomasiicon tolius lalihilatis (G. C.) - S. Slataper, Ibsen (Luisa Giulio Benso) .......... » 150
LA GUERRA (Notizie, voci, documenti):
Illustrazione: Cimiteri di guerra (Tavola tra le pagine 160 e 161)
Giovanni Pioli: Requiescat in Pace ................... » 153
Giovanni Pioli: Voci di pace «umana» in Germania ........... » 162
Giovanni Pioli: A Fascio: Perchè le madri non mandano i figli a vivere per la patria? ...................... > 167
«Fede e Vita» .. 1. :4 ........ . » 153
Croce Rossa ..................... ..... » 153
Libreria Editrice « Bilychnis » . . '................... » 162
7
L’AVVENIRE
SECONDO L’INSEGNAMENTO DI GESÙ
l mio studio ha per oggetto i novissimi, le cose ultime, o le dottrine' profetiche, come sono state chiamate da qualche teologo. Questo argomento mi preoccupa da vari anni; un po’ per una ragione’ tutta personale, direi quasi, egoistica; il sole va rapidamente tramontando sulla mia giornata, e non è quindi maravigliasela domanda: E poi?... mi tormenti il cervello ed il cuore; £ un po’ anche per una ragione di simpatia fraterna. Nessuno negherà il fatto che, se nella Chiesa cristiana le idee intorno a Dio, a
Cristo, allo Spirito, al peccato, alla redenzione sono, se non perfettamente, almeno sufficientemente chiare, quelle intorno ai destini finali dell’uomo e dell’umanità sono invec'e incerte, confuse; oscure. Ora io mi son chiesto: Non c’è proprio modo d’uscir da questa incertezza, da questa confusione, da questa oscurità? Gesù non ci ha proprio detto nulla di positivo, a questo proposito, che valga a « quotarci l’animo »? E il desiderio di fare un po’ di bene, non soltanto a me stesso, ma anche a molti miei compagni nel pellegrinaggio della vita, mi ha spronato a investigare l’insegnamento del Maestro.
Questa lunga, paziente investigazione mi ha persuaso di una cosa, ch’io debbo dir subito qui. Non è vero che Gesù non ci abbia detto nulla di positivo relativamente ai destini finali nostri e della umanità; molto egli ha detto; ma i suoi discepoli, poco preparati ad afferrare la grandezza e la spiritualità delle idee del Maestro, ci hanno tramandato coteste idee mescolate con altre idee loro o de’ loro tempi, e avvolte nello strano velame di quelle apocalissi giudaiche, delle quali tanto amavano le tinte vivaci e le immagini smaglianti. Il lavoro che dobbiamo quindi fare, se vogliamo qui venire a capo di qualcosa, è questo: sceverare quel tanto ch’è di Gesù da quel tanto' ch’è di coloro i quali ci tramandarono l’insegnamento di lui ne’ Vangeli che possediamo, e spogliare l’idea sua da ogni involucro giudaico, per restituirla alla forma nella quale fu veramente concepita dalla sua mente. Ora questo lavoro è arduo, delicatissimo; esige l'esame attento, scientifico, scrupoloso, di tutti quanti i testi che si riferiscono al soggetto; e ognun capisce che, in uno studio come questo, io non posso entrare in tutti i particolari, ma bisogna che mi limiti alle conclusioni a cui sono giunto, in seguito all’esame che ho fatto de’ testi.
Ciò detto, entro in materia; e, per procedere con ordine, divido il mio studio in tre parti:
i° L’avvenire di qua dalla tomba.
2° L’avvenire di là dalla tomba.
3° Le relazioni fra il di qua e il di là dalla tomba.
8
94
BILYCHNIS
I.
L’AVVENIRE DI QUA DALLA TOMBA.
In questa prima parte dobbiamo esaminare quattro fatti: Il millennio, il ritorno Ai Cristo, il Regno di Cristo, la fine del mondo.
x. .11 millennio.
Cristo regnerà trionfante sulla terra, per un periodo di mille anni. Questo è il fatto a cui si allude, quando si dice «il millennio». Ora, questo «regno» in che consisterà? Questo di Cristo sarà esso un « regnare » nel senso ordinario della parola, o in un senso più profondamente e spiritualmente cristiano? E questi mille anni come sono da intendersi: letteralmente o figuratamente? E poiché Cristo deve tornare, quando tornerà egli: prima o dopo il millennio? Intorno a. questi e a tanti altri punti interrogativi si sono accese dispute interminabili, si sono scritti volumi sopra volumi. Ma è proprio possibile?... io mi son domandato tante di quelle volte. L’unica allusione delle Scritture a cotesto fatto si trova nell’Apocalisse; (i) e a me pare che prendere un passo da un libro tutto simboli com’è l’Apocalisse, dargli una interpretazione, letterale e costruirvi su tutta una teoria di un’importanza come quella che molti danno al millennio, sia addirittura il colmo dell’arbitrio. Per poter ammettere che cotesto passo prometta proprio un periodo di trionfo di Cristo o del cristianesimo nell’avvenire, bisognerebbe poter provare che tutto quanto il libro, nel quale si trova il passo, si riferisce ad eventi che dovranno accadere nel futuro. Invece, neanche a farlo apposta, al principio e alla fine del libro stesso leggiamo tutto il contrario. Da principio, l’autore dice che scrive « per far conoscere ai servi di Dio quel che deve succedere in breve »; e aggiunge: « Beato chi legge, e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e osservano le cose che in essa sono scritte, perchè il momento è vicino! « (2) E alla fine l’angelo dice a Giovanni: «Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perchè il momento è vicino ». (3) Secondo lo scrittore, dunque, l’adempimento delle cose da lui annunziate doveva succedere non in un lontano avvenire, ma presto, «in breve».
Una volta si credeva che l'Apocalisse fosse un libro unico nel suo genere; oggi si sa ch’esso non è altro che un esempio, diciam pure l'esempio più bello, più nobile, di tutta quanta una letteratura apocalittica, che fiorì prima e dopo l’èra cristiana; e si sa pure che cotesti scritti apocalittici aveano Io scopo di recar conforto immediato a chi gemeva in mezzo ad angosce politiche o a persecuzioni religiose. Dico
(1) Cap. 20, 1-10.
(2) Cap. 1, 1,3.
(3) Cap. 22, io.
9
l’avvenire secondo l’insegnamento DI GESÙ
95
« immediato », perchè gli autori di cotesti scritti non pigliavano in giro i poveri tribolati, dicendo loro: «Fatevi animo, abbiate pazienza e fede, chè Dio fra tre o quattromil’anni vi manderà la liberazione», ma li confortavano con l'annunzio di una imminente manifestazione della potenza dell'Eterno a loro favore. E quest'annunzio davano, ritraendo in maravigliosi quadri simbolici le lotte contemporanee ed aprendo, dinanzi agli occhi de’ poveri oppressi, orizzonti nuovi, vasti, pieni di luce e di gloria. Il loro linguaggio era poetico, pittoresco, immaginoso, e non comportava una interpretazione letterale delle cose che descriveva o, meglio, trasfigurava, L’Apocalisse nostra è appunto uno scritto di cotesto genere. Con le sue visioni di lotte e di vittoria mirava a confortare la Chiesa primitiva ch’era oppressa, perseguitata. Essa esaltava la gloria di Cristo e preannunziava il vicino trionfo del Signore su tutti quanti i nemici della sua mistica Sposa. L’angoscia era angoscia presente; e a lenire cotest’angoscia e a terger le lacrime cagionate dalle sventure di cotesti tragici tempi si richiedeva l’annunzio di una redenzione immediata. Tale è appunto l’annunzio che l’autore dell’Apocalisse dà ai suoi contemporanei. Il problema teologico del millennio, quindi, secondo me, è bell’e risoluto, per la semplice ragione che non esiste. Il fatto del regno futuro di Cristo sulla terra rimane; ma rimane nel senso che vedremo tra poco, e non come una questione millenniale.
2. Il ritorno di Cristo.
Gesti predisse che, dopo aver lasciato questa terra, sarebbe tornato: preannunziò la sua parusia. Questa parola, nel Nuovo Testamento, si trova ventiquattro volte: diciassette è riferita alla persona di Cristo. Essa significa presenza; non la si può quindi tradurre venuta che, se mai, nel senso di venire per cominciare ad esser presente. Chi viene, con l’atto del suo venire, comincia ad esser presente. Per farci un’idea chiara di questa parusia di Cristo, rendiamoci ben conto:
z
a) della predizione del fatto come usci dalle labbra di Gesù e come ci fu tramandata dai Sinottici (vale a dire dai Vangeli di Matteo, Marco e Luca) è dal Vangelo di Giovanni;
b) del modo con cui cotesta predizione fu intesa dai discepoli e dai cristiani primitivi;
c) del modo con cui si avverò.
Dico: a) La predizione del fatto come uscì dalle labbra di Gesù e come ci fu -tramandata dai Sinottici e dal Vangelo di Giovanni. Secondo i Sinottici, Gesù, poco prima della sua dipartenza, annunziò che sarebbe tornato, (i) Egli era il Messia, e, da Messia, parlò di tornare come re e come giudice nel suo regno messianico. In tutte coteste espressioni, l'idea della dignità reale conferitagli dal Padre non si disgiunge mai dall’altra dell’ufficio di giudice. Egli tornerà come re per esercitare un giudizio. Sarà il giudice de’ mortali, li retribuirà secondo le loro azioni
(i) Matt., 16, 27; 24, 29-31: 25, 31.
10
9Ó BILYCHNIS
e assegnerà loro il destino che meritano. Mediante questo giudizio, raccoglierà nel suo regno messianico tutti quelli che saran trovati degni d’esserne cittadini.
Quando sarebb’egli tornato? Gesù lo disse: durante la vita della generazione in mèzzo alla quale si trovava: « Io vi dico in verità che alcuni di coloro che son qui presenti non morranno prima d’aver veduto il Figliuol dell’uomo venir nel suo regno ». (r) E disse pure, con altrettanta chiarezza, che, relativamente al quando, non c’era da saper altro di più definito; neppur lui sapeva altro a cotesto proposito. (2) Nel suo «discorso profetico», poi, Gesù mise il fatto della sua par usta in relazione immediata con i guai che doveano tosto colpire Israel, e specialmente con la distruzione di Gerusalemme e delle istituzioni giudaiche. Il suo ritorno sarebbe avvenuto « subito dopo la tribolazione di que' giorni ». (3)
In qual modo sarebb’egli tornato? Secondo i Sinottici, Gesù avrebbe descritto il modo del suo ritorno con un linguaggio vivido, immaginoso, apocalittico, tolto ad imprestito dai profeti dell’Antico Testamento. (4) Matteo e Marco (5) si somigliano molto nel loro linguaggio. Luca (6) ha anch'egli parte dello stesso linguaggio, ma aggiunge altri elementi descrittivi, che non sono di cotesta natura. Un fatto qui colpisce: ed è appunto il tono apocalittico di questa predizione; tono, che non ha riscontro in alcun altro discorso di Gesù. Come spiegarla questa differenza? Io me la spiego così: il tono non è di Cristo, ma degli scrittori che ci tramandarono i detti di lui, rivestendo le espressioni piane, semplici del Maestro, con le immagini apocalittiche così care alla gente di que’ tempi. La cosa certa è che Gesù era sicuro che sarebbe tornato, in un modo 0 in un altro, nel suo regno, e che vi sarebbe tornato quanto prima.
Nel Vangelo di Giovanni, la predizione del ritorno di Cristo è tanto chiara quanto ne’ Sinottici; però, il tono è differente,£e la venuta ch’esso annunzia è tutta di un altro genere. Gesù, infatti, vi parla di una presenza spirituale tra i suoi e nel mondo. A volte, chi è presente è lo Spirito Santo; (7) altre volte, è Gesù stesso, (8) e una volta è il Padre e Gesù. (9) Cotesta presenza spirituale, asseriva Gesù, sarebbe stata impossibile finch’egli fosse rimasto sulla terra; non poteva cominciare che dopo la dipartenza di lui, e in seguito alla discesa dello Spirito Santo, (io) Nell’atto d’accomiatarsi dai suoi, e’ diceva: «Non vi lascerò orfani; tornerò a voi. Fra poco il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete». (11) «Quel giorno», (12)
(i
2 (3
(7
(8 (9 (io (XI (12
Matt., 24, 36; Marco, 13, 32.
Matt., 24, 36; Marco, 13, 32.
Matt., 24, 26-30.
Matt., 24, 29. Conir. Isaia, 13, io; Ezech., 32, 7; e vedi Dan., 7, 13 e 27.
Matt., 24. Marco, 13.
Luca, 21, 5-38.
Giov., 14, 16.
Giov., 14, 18.
Gipvài 14, 23.
Giov., 16, 7; 15, 26.
Giov., 14, 18-19.
Giov., 16, 23.
11
L’AVVENIRE SECONDO L’INSEGNAMENTO DI GESÙ 97
il gran giorno, era imminente; dovea spuntare in breve, « fra poco »; (i) e, in quel giorno, fra il Maestro e i discepoli si sarebbero stabilite delle relazioni nuove, profonde, intime, per le quali le parole di Gesù « io in voi », « voi in me » (2) avrebbero cessato d'essere delle frasi misteriose, per diventare de’ fatti d’uña santa esperienza interiore.
Così, nei Sinottici, la venuta che Gesù predisse è la venuta imminente di un re e di un giudice: venuta intimamente connessa con la caduta di Gerusalemme*, e descritta, nello smagliante stile apocalittico, come un'apparizione visibile. Nel Vangelo di Giovanni, invece, è una venuta più imminente ancora che nei Sinottici, ma invisibile, e destinata a diventare una dimora spirituale di Cristo fra il suo popolo e nel mondo.
b) Il modo con cui cotesta predizione fu intesa dai discepoli e dai cristiani primitivi. La predizione di un ritorno del Messia combinava perfettamente cori quello che i Giudei speravano ed aspettavano. L'ideale messianico dei grandi profeti nazionali antichi era questo: Israel sarà l’evangelista del mondo; il Messia diventerà il re dell'universo; la conoscenza dell’Eterno riempirà tutta quanta la terra; le nazioni accorreranno a salutare la luce recata dal Messia, e i re saranno attratti dal fulgore di cotesta luce. (3) Ma la nazione/ come nazione, non assorse mai all'altezza di co-testo ideale; anzi, tanto più s’allontanava, da cotesto ideale, quanto più s’avvicinava la venuta del Messia. Al punto, che finì con l’immaginarsi d’avere addirittura lei il monopolio delle grazie divine, col restringere i confini del regno di Dio tanto da abbracciare solamente i figliuoli d'Àbramo, e col' figurarsi il Messia come una specie di secondo David, che sarebbe apparso, poi se ne sarebbe andato, ma per tornar di nuovo a cacciar l’oppressore straniero e distruggere le potenze ostili a lei e all’Eterno. Quest’idea popolare è evidente nel grido del pentito malfattore in croce:. « Gesù, ricordati di me quando verrai nel tuo regno! » (4) Ora è beri vero che Gesù avea ricondotto l’ideale messianico all’altezza del concetto profetico, e più in alto ancora; è ben vero che. nelle sue parabole e sempre e con insistenza aveva affermato che il suo era un regno spirituale, interiore, e non politico e terreno; universale, e non limitato ai figliuoli d'Àbramo; di tal natura, che si sarebbe propagato nel mondo per via di evoluzione e non per via di rivoluzione; ma i discepoli di Gesù eran Giudei; e si capisce che non potessero così facilmente sbarazzarsi delle idee messianiche succhiate, se posso dir così, col latte materno, e respirate fin dalla fanciullezza nell’ambiente in cui erano vissuti. Quali profonde radici cotesti concetti avessero messo nella mente de’ discepoli si può giudicare dalla difficoltà che le nuove e grandi idee del Maestro trovavano a far breccia nel loro cervello. Chi sa quale stretta al cuore deve aver provato Gesù quando, alla fine del suo ministerio terrestre, nell’atto stesso in cui lasciando questo mondo affidava agli undici il gran mandato « d'ammaestrare tutti i popoli », si sentiva dir da loro: « Signore, è questo il tempo nel quale intendi ristabilire il regno d’Israele?... » (5) Con cotesta mentalità era inevitabile che il
(2 (3
(4
Giov., 16, 16-24.
Giov., .15, 4-11.
Isaia, 60. 3,4; Ger., 31/34.
Luca, 23, 42.
Aiti, r, 6.
12
98
BII.YCHNIS
loro concetto del ritorno del Messia conservasse sempre qualcosa dell’insegnamento ch’essi aveano ricevuto nel nativo ambiente giudaico.
Mediante cotesto insegnamento, l’aspettazione del ritorno di Gesù divenne subito un fatto importantissimo nella vita della Chiesa. I primi credenti bramarono ardentemente il pronto ritorno di Cristo, sia perchè amavano il loro Salvatore, sia perchè desideravano lo stabilimento di quel regno messianico che tanta parte avea nelle loro più care speranze. I cristiani convertiti dal giudaismo comunicarono cotesta brama àrdente ai convertiti dal paganesimo. La prima c la seconda generazione de’ credenti crebbero sotto cotesta influenza; credettero fermamente che Gesù sarebbe tornato nel corso della loro vita. Gli apostoli e i loro compagni dimostrano d’aver anch’essi nutrito la stessa speranza, (i) E il ritorno se lo immaginavano in quella forma giudaica, ch’era loro così famigliare: se lo immaginavano, cioè, come il ritorno visibile, descritto dal linguaggio apocalittico: « A un dato segnale, alla voce d’ùn arcangelo e allo squillo della tromba di Dio, il Signore scenderà dal cielo, e i morti in Cristo risorgeranno i primi; poi, noi che vivremo e che saremo rimasti, saremo rapiti, nello stesso tempo che loro, sulle nuyole, a incontrare il Signore». (2)
Così, la predizione relativa al suo ritorno fu, fin da principio, interpretata alla luce del pensiero popolare giudaico: interpretazione inevitabile, per-la mancanza di conoscenza esatta delle profezie antiche, per la intuizione imperfetta dell’insegnamento del Maestro, e per l'influenza che la letteratura apocalittica esercitava sul pensiero religioso del tempo.
c) Il modo con cui si avverò la predizione di Gesù. Ora, la predizione di Gesù si avverò, ma non nel modo che i Giudei credevano. Il fatto che gli apostoli e i primi cristiani aspettavano, nel modo con cui l’aspettavano loro non avvenne mai e, dopo tanti secoli, non è ancora avvenuto. Che dire? che la speranza degli apostoli e della Chiesa fu una delusione? No, non fu una delusione, perchè Gesù, come avea promesso, tornò, e tornò come Messia nel suo regno.
Esaminiamo attentamente i fatti.
Prima di tutto: il ritorno invisibile, spirituale, di Gesù, il ritorno di cui parla il Vangelo di Giovanni, avvenne quasi immediatamente dopo la dipartenza dei Signore. La presenza spiiituale di Cristo per lo Spirito Santo divenne un fatto manifesto nel giorno della Pentecoste; e fu presenza continua, che adempiva in modo maraviglioso la promessa fatta da Gesù ne’ suoi discorsi di « a rivederci » eh’e’ tenne ai suoi discepoli. Gli apostoli e i credenti la riconobbero subito come la sorgente inesauribile della vita e della forza per la Chiesa. L’« ecco, io sono con voi tutti i giorni, (3) cominciò allora ad essere adeinpito; e, da allora, è stato ed è in via di continuo adempimento. A traverso tutte le età. Cristo è stato il re del regno messianico nel mondo: il re che, dalla destra di Dio. guida i destini della trionfante opera di redenzione, che a lui costò la vita. Con la sua venuta e con la sua dimora nel mondo mediante
(1) Atti, 3. 19-21; 1 Tess., 4,13-17; 1 Cor., 7.25-31; 15, 51-52;! Pietro, 4. 7; Ebre’ 10..37.
(2) I Tess., 4. 16-17.
(3) Matt., 28. 20.
13
l’avvenire secondo l’insegnamento DI GESÙ
99
lo Spirito Santo, il Salvatore Continuò e continua l’opera sua messianica e fondò e va espandendo il suo regno in mezzo alla umanità: regno, che non è esterno e terreno come i Giudei se lo figuravano, ma interiore e spirituale. In questo senso, dunque, il vero Messia tornò.
Ma non basta. La predizione di Gesù relativa al giudizio su Gerusalemme (i) fu pure adempiuta. Il giudaismo, che avea respinte? il proprio Messia e s’era messo in aperto conflitto col vero regno di Dio, non tardò a mietere quel che avea seminato. Il tragico avvenimento del 70 è noto comunemente come la distruzione di Gerusalemme; ma esso non fu soltanto la fine di una città; fu la fine di tutto quanto un ordine di cose, di tutta quanta una nazione, che pur si gloriava del nomedi Dio e del privilegio d'essere Stata scelta a dare al mondo il Messia. Gesù aveva associato l’annunzio del suo ingresso nel proprio regno al fatto della imminente ruma del giudaismo. I cristiani non interpretarono la caduta di Gerusalemme a cotesto modo, ma il fatto rimane che la distruzione di Gerusalemme fu un ritorno di Cristo per eseguire i suoi giudizi. Cristo venne, nella potenza dello Spirito Santo, a stabilire il suo regno; e la sua venuta fu provvidenzialmente accompagnata dalla remozione del giudaismo apostata, il quale, benché apostata, pretendeva d’essere fra gli uomini il solo e legittimo rappresentante di Dio in terra.
Ora, cotesta venuta spirituale di Cristo non può essere e non è un fatto isolato. Deve essere, ed é certamente, l’inizio di una Economia, di una Dispensazione. Considerare la parusia di Cristo come un fatto isolato e confinare questo fatto in un lontano, remoto avvenire, è un errore. La Parusia è l’Economia, la Dispensazione della Presenza di Cristo: Economia che, inaugurata il dì dell'Ascensione, dura ancora, e . non ha per limiti che i limiti del tempo. E la storia stessa del mondo che, dal giorno dell’Ascensione quando Cristo entrò in possesso del suo regno, va maestosamente evolvendosi a traverso i secoli. Durante questa Economia, Cristo, come dice San Giovanni con modo scultorio, è ho erchómenos, (2) il veniente, «colui che viene del continuo ». La distruzione del giudaismo, del paganesimo, di tutte le potenze ostili al Regno di Dio, l'opera delle Missioni, i « Risvegli », sono tante « venute » di Cristo, tante prove della sua continua e benefica attività, tante dimostrazioni della sua Parusia.
3. Il regno di Cristo.
Cristo, V erchómenos, il veniente, « colui che viene del continuo », in questa grande Economia dello Spirito, è il Re. Di qual natura sia la sua potestà reale egli stesso l’ha detto: « La mia potestà reale non viene da questo mondo... essa non è cosa di quaggiù. Pilato gli disse: Dunque tu sei re? Gesù rispose: Sì, è vero; io son re. Sono nato per questo, e per questo son venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque sta per la verità, ascolta la mia voce ». (3) Il regno di Cristo mira alla conquista spirituale della umanità tutta quanta. Arriverà essa mai a tale conquista?
(1) Matt., 24. 2. .
(2) Apoc., 1. 4.
(3) Giov., 18. 36-37.
14
100
BILYCHNIS
Spesso, e specialmente in questi tragici tempi nostri, dinanzi allo spettacolo dell’Europa in fiamme e degli sterminati campi coperti di cadaveri e di ruine, molti ne dubitano e inclinano a credere che cotesta speranza non si riduca ad altro che a una grande utopia di ottimisti. Cotesto dubbio nasce dal concetto meccanico che que' molti hanno del regno di Cristo, e che è la conseguenza logica del lóro concetto meccanico di tutto il cristianesimo. Abituati a considerare l’acqua battesimale come un lavacro che fa meccanicamente i cristiani, l'ordinazione come un atto che meccanicamente imprime un carattere indelebile, l’olio santo come una unzione che meccanicamente assicura alla gente il paradiso, e tutti i « segni visibili’ della grazia invisibile » come atti che operano per virtù’magica, costóro s’immaginano che anche il regnp di Cristo debba operare a quel modo; e siccome vedono che gl’individui e i popoli fra i quali il cristianesimo è stato predicato non sono diventati di punto in bianco « cristiani » nel vero e profondo senso della parola, sono tratti a dubitare della potenza redentrice di Cristo e a chiamare il suo regno una generosa utopia. Il vero concetto del regno di Cristo, però, non è cotesto, ma è il concetto dinamico. Esso è un regno spirituale, che mira a conquistare le anime, le coscienze, i cuori. Non s’impone con virtù magiche, ma, usando delle energie morali, cerca di conquistare degli esseri liberi, i quali, appunto perchè liberi, possono accettare o respingere l’offerta ch'è loro fatta della nuova cittadinanza. Il progresso di un regno di tal natura non può esser che lento; ma, quanto più è lento, tanto più è sicuro e durevole. Due divine parabole di Gesù spiegano come si effettui questo progresso. « Il regno de’ cieli è simile a un chicco di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è bene il più piccolo di tutti i semi; ma, cresciuto che sia, è maggiore di tutti gli erbaggi, e divien albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi fra i suoi rami», (i) Con questa parabola Gesù descrisse la potenza espansiva del suo regno. E aggiunse: < Il regno de’ cieli è simile al lievito che una donna prende e rimescola con tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata». (2) Con quest'altra parabola descrisse la virtù che il suo regno ha di trasformate la vita, di dare un nuovo indirizzo al pensiero, alla coscienza della umanità. Ora che vediamo noi? Il régno di Cristo, cominciato con Gesù e con la predicazione de’ suoi apostoli, si è a poco a poco sparso per il mondo, e gran parte della umanità sta già raccolta all’ombra dell’albero maestoso. Anche l’opera di trasformazione è andata man mano compiendosi: non di pari passo‘con l'opera di espansione; nondimeno, è andata compiendosi; e in tutte le nazioni non mancano persone, famiglie, chiese, che sono realmente passate dalla morte alla vita, che si conducono, come direbbe San Paolo « temperatamente, giustamente, piamente »: (3) che tengono cioè per sacrosanti i loro doveri vèrso Dio,' verso il prossimo, verso se stessi. Se l'umanità che si professa cristiana non si fosse contentata della vernice del cristianesimo, non avesse preso il cristianesimo come un mezzo per dei fini politici, come un manto d'ipocrisia, ma l’avesse accettato anche lei come* una divina forza vitale, come una suprema ed assoluta norma di condotta, le sopraffazioni.
(1) Matt., 13. 31-32.
(2) Matt., 13. 33.
(3) Tito, 2. 12.
15
l’avvenire secondo l’insegnamento DI GESÙ
IOI
le guerre sarebbero impossibili ira le nazioni, come le prepotenze e le risse sono impossibili fra individui e famiglie che si onorano del nome di Cristo e sono realmente compenetrate dello Spirito di Cristo.
Il male è all’opra ed è potente; ma chiuderebbe gli occhi all’evidenza delle cose chi asserisse che Dio, per lo Spirito di Cristo, non stia opponendo a cotesto male una resistenza energica. Il conflitto è tragico; è vasto quanto il mondo, dura da quanto ha durato il tempo; mai fu così tragico e tremendo com’è ai giorni nostri; ma non c'è da sgomentarsi; il male non prevarrà. Questo spaventoso momento del conflitto passerà, e anche questa crisi sarà superata. Poi, il conflitto, continuerà. Esso è ben lungi dal volgere alla fine. Le tendènze malvage sono-radicate profondamente nella razza, e a svellerle ci vorranno de’ secoli di lavorìo dello Spirito eterno e di perseverante attività del bene. La vita è complessa, abbraccia immensi interessi ed esige che la vittoria sia riportata in mille e mille forme diverse; ma, per quanto ancora lontana, la vittoria è sicura. L’ha promesso Iddio: « Io metterò inimicizia fra te e la donna; fra la tua posterità e la posterità di lei; questa ti schiac-cerà il capo e tu le ferirai i calcagno »: (i) « Io metterò inimicizia fra te, o serpe del male, e la donna; fra la tua satanica progenie e l’umanità; questa ti schiaccerà il capo; e sarà una santa vittoria, perchè riportata a caro prezzo di sangue ».
4. La fine del mondo.
I Cattolici romani che consultano il Nuovo Testamento nella loro traduzione ufficiale trovano de' passi come qufesti: «La raccolta è la fine del sècolo». (2) «Quale sarà il segno di tua venuta e della fine del secolo? » (3) « Io sono con voi per tutti i giorni sino alla consumazione de' secoli ». (4) E per « fine del secolo » o « consumazione de’ secoli » il Martini, come si vede dalle sue note, intende « la fine del mondo ». Gli Evangelici, seguendo il loro Diodati, là dove il Martini dice « la fine del secolo », trovano addirittura « la fine del mondo ». Nell’originale greco, la parola tradotta « secolo » o « mondo» è aiòn: termine che, nella fraseologia giudaica, non si riferisce mai alla terra come pianeta, ma è sempre designazione di tempo, e corrisponde aìl’aevum dei Latini o alla parola nostra evo o età. I Giudei consideravano il tempo come diviso in periodi successivi; dicevano: l'evo precedente alla creazione, l’evo antediluviano, l’evo delia teocrazia mosaica, l’evo del regno messianico; (5) e-quando gli scrittori sacri voleano parlare delle cose eterne, della retribuzione de’ giusti e de' malvagi, o della esistenza di Dio, intensificavano l’awn e dicevano « negli evi degli evi » o t< nei secoli* dei secoli ». (6) Gesù e i suoi discepoli, parlando della «fine dell’evo» usarono.
(?) Gen., 3. 5. .
(2) Matt., 13. 39. 40, 49.
(3) Matt. 24. 3.
(4) Matt., 28. 20. »
(5) E cotesto è probabilmente anche il senso di Ebr. 1.2, dov’è detto che, ' mediante Cristo, Iddio fece lùs aiònas {gli evi) * 2 3 4 5 6 Iddio, cioè, per mezzo di Cristo, stabilì, regge e governa il maraviglioso succedersi delle età ’.
(6) Gal-, 1. 5; Filipp., 4. 20: 1 Tim., 1. 17; 1 Pietro, 5. ir.
16
102
BILYCHNIS
naturalmente, il termine aiòn nel senso che gli era attribuito ai tempi loro; quando vollero significare la terra come pianeta o come abitazione dell’uomo, dissero invece cosmo: « tutti i regni del cosmo », (i) « fin dalla fondazione del cosmo », (2) « prima che il cosmo fosse », (3) « l’iddio che ha fatto il cosmo e tutto quel che vi si trova ». (4) Ora si noti bene: Gesù e gli apostoli non parlarono mai, nè esplicitamente nè implicitamente, di fine del cosmo: (5) anzi, dalla parola di Gesù: « È più facile che abbiano a scomparire il cielo e la terra, di quel che un apice solo della legge abbia a cadere», (6) si potrebbe arguire ch’egli, come del resto facevano tutti i profeti dell'Antico Testamento, considerasse la distruzione del cielo e della terra come una cosa del tutto inverosimile. (7) Ma che è avvenuto? Questo: s'è confuso Vaiòn col cosmo; nelle nostre lingue i due termini sono stati tradotti indistintamente per mondo, e di buon'ora s’è cominciato, e poi s'è continuato, a parlare della « fine del mondo » come di una dottrina cristiana.
Qui una pagina classica del Nuovo Testamento richiede qualche spiegazione. Alludo al « discorso profetico » di Gesù. (8) Il Maestro avea predetto la ruina di Gerusalemme; e i discepoli gli dicono: « Spiegaci quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine della età presente ». (9) I Giudei dividevano la storia del mondo in due grandi età o epoche: «l’età presente e l'età avvenire »0 «l’epoca anteriore e l’epoca posteriore alla venuta del Messia». Ora, i discepoli chiedevano al Maestro due cose, che nella loro mente piena di pregiudizi giudaici si confondevano in modo inestricabile. S'immaginavano che Gesù sarebbe tornato da un momento all'altro, e che con questo ritorno si chiuderebbe l’età anteriore e comin-cerebbe l’età messianica. Gesù, nella sua risposta, cerca di portar l’ordine in cotesto' disordine d'idee. Comincia col rettificare il concetto relativo alla sua parusia, dicendo ch’essa non sarà, come se la figuran loro, una venuta materiale, visibile; (io) continua affermando che la « fine dell’età presente » è ancora lontanissima, perchè, prima, bisogna che il Vangelo sia predicato a tutte le nazioni, (11) conformemente alle promesse degli antichi profeti, i quali annunziarono la conversione del mondo intero al
(1) Matt., 4. 8.
(2) Matt., 13. 35.
(3) Giov , 17. 5.
(4) Atti, 17. 24.
(5) Soltanto in II Pietro 3.6 è detto che‘il cosmo à 'allora perì sommerso (nel diluvio)’; ma, in questo passo, cosmo sta invece di umanità; il contenente v’è preso per il contenuto.
(6) Luca, 16. 17.
(7) Si potrebbe obiettare Matt., 24. 35: ' Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. ’ La contradizione però è più apparente che reale. Se io dico: ‘ Cascherà il mondo, ma voi non m’indurrete a far questo! ’ non vuol mica dire ch’io intenda affermare che un giorno o l’altro il mondo cascherà davvero!... Lo stesso qui: 'Quand’anche quello che c'è di più saldo e irremovibile dovesse crollare, le mie parole rimarranno’.
(8) MATT.r 24.
(9) Matt., 24. 3. Il greco dice: ' e qual sarà il segno della tua parusia e della suntèleia tu aiònos La parola suntèleia designa il punto dove due età s’incontrano.
(io) Matt., 24. 4. 5.
(n) Matt., 24. 6-14.
17
l’avvenire secondo l’insegnamento DI GESÙ 103
vero culto di Dio; descrive quindi la rovina di Gerusalemme; (1) poi insegna che la sua fiarusia non sarà un fatto locale, ma un avvenimento che riempirà tutta quanta la terra, (2) e finalmente aggiunge: « Subito dopo la tribolazione di que’ giorni il sole si oscurerà e la luna non darà la sua luce e le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconquassate. Allora’apparirà nel cielo il segno del Figliuol dell’uomo; allora tutte le nazioni della terra faranno cordoglio e vedranno il Figliuol dell'uomo venir sulle nuvole del Cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli, i quali a suon di squillante tromba raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, dall'un capo del cielo all’altro» (3). Linguaggio, che non può nè deve esser preso alla Ietterà, ma va interpretato tenendo conto del modo d'esprimersi de’ Giudei e risalendo agli scritti de’ profeti, di dove tutte coleste immagini son tolte ad imprestito. Tutto questo passo non si riferisce alla distruzione del cosmo, ma descrive, in modo figurato, la distruzione del paganesimo, del politeismo, de’ falsi dèi. Che in gran parte, a quei tempi, come ognun sa, erano identificati con gli astri. Qui non si tratta dunque di uno sfacelo della natura, ma d’uno sfacelo sociale, religioso, e fors'anche politico.
Il modo di spiegare questa « fine dell’età presente » è quindi trovato. A mente di Gesù, essa non è la fine, la distruzione di tutto e di tutti, ma il fine verso il quale l’umanità tende, e ch’essa è destinata a raggiungere quando che sia. (4) Gesù, in conclusione, non ha parlato della « fine del mondo », ma ha insegnato .ai suoi discepoli .ed a noi che l’umanità ha uno scopo. Il quale scopo sarà raggiunto quando, dice San Paolo, « Cristo rimetterà la sua corona reale nelle mani di Dio Padre, dopo aver annientato ogni principato^ ogni potestà ed ogni potenza »; (5) sarà raggiunto dopo un periodo d'una lunghezza indeterminata, durante il quale sorgeranno dei falsi cristi e de’ falsi profeti, scoppieranno delle guerre, sopraggiungeranno tante altre calamità, i cristiani saranno perseguitati, molti d'essi soccomberanno alla tentazione, ma « il Vangelo del Regno sarà predicato per tutto il mondo, affinchè ne sia resa testimonianza a tutte le genti ». (6)
E della terra che avverrà?
Gesù non ce lo ha detto. Se gli è avvenuto di fare qualche lontana allusione alla durata del mondo, l’ha fatto standosene al concetto de’ suoi tempi, ch’era quello della indistruttibilità de’cieli e dèlia terra. (7) E’ non venne nel mondo a correggere gli errori scientifici de’ suoi contemporanei; venne a portare la vita, una vita nuova
(1) Matt., 24. 15-22.
(2) Matt-, 24. 23-28.
(3) Matt., 24. 29-31(4) Gesù dice: ' Allora verrà to tèlos (Matt., 24. 14). Questa parola fine (tèlos), neutra in greco, ha due sensi distinti che noi, in italiano, determiniamo con l’articolo, dicendo: la fine, cessazione o distruzione d’una cosa; il fine, scopo verso cui la cosa tende.
(5) 1 Cor. 15. 24. I principati, le potestà e le potenze, nel linguaggio dell’Apostolo, designano tutto ciò che è ostile a Dio e al suo regno.
(6) Matt., 24. 4-14.
(7) Vedi Sa-l., 78.69; 93. 1; 104.5; Eccles., i. 4. Per farsi un’idea adeguata del pensiero giudaico a questo proposito, veggasi Filone, filosofo giudeo d’Alessandria, nato pochi anni prima di Gesù; e. fra le sue opere, quella intitolata: La incorruttibilità del mondo.
18
104 BILYCHNIS
alla umanità, morta nella corruzione e nel male. Il problema dei destini finali del nostro pianeta ha la sua importanza, come problema scientifico; dal punto di vista religioso e morale, non ha importanza di sorta. Il sapere come finirà questa terra ch'io abito non mi renderebbe migliore; Pignorarlo non mi rende peggiore. Un tempo, la scienza diceva che la terra sarebbe distrutta per opera del fuoco; oggi, invece, insegna che, per il graduale raffreddarsi del sole, la vita vi dovrà cessare a motivo del freddo. Ma quando il mondo perirà, distrutto dal fuoco o dal gelo, sarà forse distrutto l’universo? Questo mondo nostro, per rispetto agli altri infiniti che popolano il firmamento, non è forse come il granello nell'immensa rena del deserto? E che sappiam noi delle relazioni che passano fra il nostro e gli altri? Il piano di Dio non è un piano di redenzione universale?
Del resto, la scienza ci assicura che la terra, la quale ha già esistito per almeno un mille milioni d’anni e più, non giungerà alla sua fine prima che ne sian passate altre migliaia di milioni. In tutto questo tempo, non dubitate. Iddio troverà modo di compire i suoi disegni.
Fra Bernardo da Quinta valle.
Nel prossimo’fascicolo pubblicheremo il II Capitolo: • L’Avvenire di là dalla tomba ».
19
“ LA VITA E UN SOGNO ”
di ARTURO FARINELLI
(Continnazione e fine. Vedi Bilychnis, lite, di gennaio 1917, pag. 11 e ss.)
» En esta vida todo es verdad y todo mentira ».
Calderón.
II.
Concezione della vita e del mondo nel Calderon. Il dramma. (*)
arinelli fu attratto verso Calderon da una gentile affinità poetica, e dalla malinconia profonda e solenne che pervade gli « auto » del celebre drammaturgo. Nei libri dèi critico italiano, dai più giovanili a quelli composti in questi ultimi tempi; dallo Studio sul Don Giovanni, a quelli su Hebbel; dai volumi su Dante e la Francia, agli scritti su Michelangelo poeta, Miche-' langelo e Dante, La malinconia del Petrarca, Goethe et l’Espagne, Franz Schubcrt, Rousseau, Il romanticismo in Germania, ecc.,
in tutte le sue pagine vibranti, nervose, serrate, in cui con uno stile speciale, personalissimo, chiude in una linea tutto ciò che un mediocre scrittore stempera in un lungo periodò, ih ogni suo opuscolo, nelle sue lezioni all’Atenèo di Torino, s’agitano i suoi dolori, piangono le sue lacrime e colla figura dell'autore descritto s’erge la sua figura sempre appassionata e sentimentale, si indovina la sua anima profonda ed affettuosa ed il suo pensiero che dà anche all’opera più erudita un’attrazione particolare.
Il secondo volume del La vita è un sogno, questa grandiosa metafora dell’esistenza umana, ha quindi delle pagine altamente suggestive. Perchè non stringe soltanto in sè la Spagna coi suoi teologi ed i suoi hidalgos, coi suoi ardenti affetti e la sua natura, le leggende, la fede, gli aneliti del poeta, ma anche l'anima del Fai incili, che vibra in ogni capitolo, dà un’ampiezza nuova alla metafora, fa risuonare con novella armonia la solenne nota dominante nell’umanità e si eleva al disopra del presente conflitto, con la certezza che un giorno le razze si uniranno nel lavoro e nelle speranze, come si fonde in un solo concetto tutta l’illusione e la delusione terrena.
(1) Arturo Farinelli, La vita è un sogno, voi. II. Concezione della vita e del mondo nel Calderon. Il dramma. Edit. Bocca, forino, L. 8 (1916).
20
106
BILYCHNIS
Moltissimi scrittori hanno già pubblicato dei libri intorno a Calderon ed al suo dramma: La vita è un sogno. Nella Spagna, in Francia, in Italia, in Inghilterra, e specialmente in Germania, dove si volle vedere nel poeta spagnuolo il primo dei romantici, gli studi sui suoi « auto » furono abbondantissimi. Ma nessuno aveva concepito un così gran lavoro come il Farinelli, e nessuno come lui aveva passata in rivista tutta l'opera del Calderon, per esprimere le tendenze del suo spirito, le origini dei suoi drammi, il lento lavorio intellettuale da cui erano scaturiti, ed i loro rapporti con la letteratura di quel secolo. Nessuno ancora aveva Sviscerato con tanta pazienza ed amore quei volumi, per trarne fuori gli amóri, i dolori e la fede dello scrittore, nè la verità ed il simbolo che s’avvicendano in quelle pagine come i fiori sugli alberi in primavera.
Per quanto un severo studioso di letterature comparate potrà, forse, trovare in quest’opera troppo lirismo e passione, sembrandogli che un libro d’erudizione letteraria non possa dar adito a queirardente' fiamma di vita, con cui l’artista riveste ogni sua concezione, pure questo lavoro del Farinelli’sarà stimato il più esauriente ed il migliore che si compose su Calderon. Ampiissime note dànno il mezzo al lettore di conoscere e di consultare tutta la letteratura antica e moderna intorno a La vita è un sogno. E se qualche pedante potrà osservare che molti autori tedeschi vi sono citati, e che ciò può sembrar ostico agli italiani, si può obbiettare che il pensiero non lo si sopprime, e che Calderon, apprezzato specialmente dai tedeschi fra i quali fiorì rigoglioso il romanticismo, era naturale che avesse da loro le migliori traduzioni ed i più caldi lodatori, e che un critico calderoniano dovesse ricordarli, pur non ammirandoli nelle loro gesta presenti.
« « *
Calderon fu uno dei più grandi poeti spagnuoli. In lui non v’è la fresca arte vivificatrice del Lope, nè i cocenti ardori d'una Santa Teresa, ma pensoso e raccolto in sè non dà mai nessun segno di leggerezza, doma gl’istinti, vigila il sentimento, si sottomette all’imperativo del dovere. Consacratosi sacerdote verso i cinquantanni, dopo aver fatto il soldato ed esser vissuto a Corte, non tralasciò mai nei suoi drammi e nelle sue commedie, negli intrighi diversi e straordinari, che inventava con rara facilità, fra gli amori e gli odi a cui dava vita sulle scene, di far risuonare alta la fede. Egli conosceva profondamente i teologi del suo tempo e si era così abbeverato alle loro fonti, da procedere nelle sue creazioni tutto invaso dal suo Dio, nella persuasione che l'arte dovesse essere una sol cosa con la* religione. Questa sua fissità del pensiero, questa fede fermissima nella dipendenza assoluta dei destini umani dalle prescrizioni divine avevano lasciato credere a molti — e persino a Goethe — che vi fosse uno spiccato orientalismo nelle aspirazioni e nella coltura di Calderon, là dove non v’era (secondo il. Farinelli) che un pensiero foggiato dalla scuola dei maggiori teologi del ’6oo. La frequente lettura fatta dal Calderon della Bibbia) il suo tomismo, la libertà fittizia conceduta all’uomo da quella sua fede così rigida in un Dio che tutto regola e destina, ed una credenza, propria in quel secolo nel potere delle stélle, negl’influssi pioventi di cielo in cielo,, fecero sì che nei suoi drammi risuonassero le frasi solenni dei profeti, come un continuo monito all’umanità obliosa, si alternassero le lunghe
21
« LA VITA È UN SOGNO » DI ARTURO FARINELLI 107
dissertazioni teologiche sul libero arbitrio e che l’uomo, misero e grande nello stesso tempo, vi fosse foggiato come una festuca al vento, in continua balìa del suo Creatore, che, attraverso ad avventure straordinarie, colpe, amori, delirii brevi, lo conduce alla vittoria con improvvise conversioni, con stupefacenti miracoli per mezzo del Vangelo di Cristo. La natura e l’amore in Calderon sono conforto ai mortali, ma una natura che s’inquieta anch’essa; è anch’essa ministra degli alti voleri di Dio; presagisce con segni evidentissimi le sciagure e calamità che avverranno. Nel simbolo s’incontrano il genio dello spagnuolo e di Goethe, ma le virtù teologali, ignote al sommo tedesco, premono ognora sulle virtù .poetiche, quando Calderon è attivo alla sua creazione; e, quando varca la metà del cammino della vita, rendono tiranno e dispotico il loro potere. Nei suoi drammi « vi sono concetti, a cui nemmeno Dante riuscirebbe a dar foima e viva figura, e che il poeta di Spagna tenta pur di piegare alle personificazioni volute. Anche l’Eucaristia, anche la Trinità, tutti i dommi della Chiesa, anche il Tempo, la Preghiera, la Natura divina, la Natura umana, la Luce, il Sogno e l'ómbra dovevano acquistare sembianze, corpo e favella umana. L’assurdo non sgomenta il fermissimo proponimento; non iscote l’imperativo dell'allegorizzare pertinace. E noi restiamo attoniti dinanzi alle fatiche compiute, agli ostacoli affrontati con tanta temerità, eppure con tanta naturalezza, e, di.rebbesi, senza stento ». Goethe, entusiasmato dalla fecondità poetica di Calderon, da quel suo verso attraente e malinconico, da quelle fede ardente, da quei simboli singolari, sentì per lui un fascino grandissimo, benché, come osserva Farinelli, fra quei due non vi fosse quasi affinità spirituale.
Per l’uno il divenir della vita non aveva significato, l’altro invece sentiva insaziabile il bisogno di immèrgersi in ogni corrente di pensiero e di azione, per fortificarsi e temprarsi, onde ascendere ad una più splendida luce. Il sogno della vita ha per Goethe un tutt’altro significato che per Calderon. Il poeta tedesco si solleva alla contemplazione della vita eterna, senza rimpianti dolorosi e senza struggimenti. « Non lo commuovono le palinodie calderoniane alla fugacità del viver nostro; e nemmeno le ricorda», non vitupera la natura, ma la benedice, e, sentendo Dio dentro la coscienza dell’uomo, pensa al rinnovamento eterno delle creature, ed al cospetto della morte inneggia alla natura divina, la Goltnatur, che vi rimaneva infusa e la spiritualizzava. Eppure i maggiori drammi del Calderon furono fatti rappresentare in Germania da Goethe, e da lui e da Schlegel cominciò quel culto al poeta spagnuolo, quell’idolatria che il grande tedesco doveva poi tentar di smorzare nei suoi ultimi anni di vita.
In tutti i drammi di Calderon, dove s’agita un mondo da noi obliato, e v’è tracciata la storia degli Elisi perduti e dei Paradisi riconquistati, aleggia una soave rassegnazione. Egli è teneramente avvinto alla sua Dea del mite dolore e a differenza dei romantici, l’assillo dell’infinito non ha mai turbato il suo austero spirito.
Il verso di Calderon è dolcissimo, e si piega alle più graziose similitudini. « Più che altro fiore, quello che spunta sul mandorlo al primo riso di primavera, e s’imporpora rapido, per rapidamente languire e cadere, prestavasi a simboleggiare il pronto fiorire e trapassare della vita. Al “desvanecer ” “en un instante... losprimores — de lorojo y lo purpureo" accenna Cipriano, il “Magico prodigioso", quando gli cadono le prime illusioni. Quel rosseggiare tra le prime tenere fronde che verdeggiano non s.
22
108
BILYCHNIS
diparte dalla visione del poeta ». Altri scrittori di Spagna celebreranno il mandorlo sfuggito al gelo, ridente all’incanto della bella stagione, ma in nessuno è il ricordo insistente al « breve fiore » come simbolo di caducità, che ci sorprende nel Calderon.
Il dramma La vita è un sogno doveva scaturire quasi spontaneo da! concetto della vanità d’ogni cosa, e da quella rassegnazione fatalistica in un destino regolato dalla Provvidenza. « Ch’egli volgesse al tragico quella storia che prima di lui tendeva al comico, — Osserva il Farinelli — è giudizio infondato, che sempre odo ripetere ». Nella favola del dormente risveglio v’è un fondo drammatico, in cui s’annega il riso e fa persuasi alfine che tutto sulla terra è illusione ed inganno.
Quel re che temendo si avverasse il pauroso vaticinio formulato alla nascita del figlio Sigismondo, lo fa portare in una lontana torre, dove non conoscerà che un vecchio cortigiano e dove nessuno parlerà del regno che gli dovrà un giorno appartenere, s’era anch’esso ingannato. Il giovane trasportato fra il sonno—per ordine del padre — alla reggia, si risveglia, s’agita, infuria alla notizia dell'esser suo, del lungo inganno sopportato, dà in ¡smanie sgomentevoli. Sembra allora al re che i pro-nostici siano veri, che il figlio abbia un carattere tale da seminar la rovina e la morte fra i sudditi, e lo fa ricondurre, addormentato, nella torre lontana. Il risveglio dovrebbe essere tremendo, penosissima la delusione. Invece, ed è forse qui l’errore psicologico del Calderon, Sigismondo, riaprendo gli occhi alla luce, ritrovandosi nella solitudine, fra una tetra natura, col vecchio compagno al fianco, non impreca, non bestemmia al fato infido, non piange per le dolci immagini d’amore scomparse, che gli sorrisero per breve tempo (e gli fanno dubitare se veramente il suo destarsi fra le ricchezze fu un sogno), ma austero, solenne giudica le vanità della vita, l’illusione che seduce e mai si realizza ed afferma solo, grande, eterno regolatore d’ogni nobile esistenza umana il dovere. Condotto dagli eventi a ritornare fra il mondo ed a guerreggiare contro suo padre, vittorioso nella lotta terribile, non si gloria, non dà alle passioni troppo contenute uno sfogo, ma sapendo che tutto è chimera, che tutto passa, accede al trono annunciando ai popoli il vangelo del sogno della vita, forte d’ogni saggezza, staccandosi senza rimpianto dalle cose dilette, facendo sì che una volta ancora vinca la dottrina morale e soccomba il dramma
« Poteva, veramente, svilupparsi a dramma l’azione immaginata entro il sogno della vita? domanda Farinelli. Non doveva, per necessità, il simbolo assorbire per intero il concreto che si vagheggia, e render languido e vano ogni costrutto, ogni intreccio teatrale? A che l'involucro di una commedia d'intrighi per l’espressione della gran sentenza? Alla cima di tutto ponevasi il mistero impenetrabile di questa povera e fugacissima esistenza. Scompariva il particolàre entro il dominio dell’universale. Il dramma profano appena si delinea, e l’austera morale e l’assoluto arrendimento a Dio ci spingono taciti entro i sacri meandri della sacra rappresentazione. A forze intatte, dopo un simulacro vano di ribellione, senza lotta, senza sacrificio, senza lamenti e tremiti, fuori d’ogni elegia del cuore, avviene l’abbandono alla sentenza, il rifiuto alla terra, il passaggio all’ascesi.
« ...Veramente più facil giuoco dovrà avere chi dal sogno si proverà a trarre le fonti occulte della vita, e capovolgerà il Vangelo ammesso dal Calderon: nulla stagna e nulla si estingue, c la vita è un fluire perenne, un tramutarsi incessante di forme in forme».
23
« LA VITA È UN SOGNO » DI ARTURO FARINELLI
IO9
* * *
La critica del dramma calderoniano nel secondo volume del Farinelli è profonda ed esauriente. Tutto il sogno della vita che sorrise o turbò le menti umane, fino al ’600 vi si condensa, per dare maggior potenza all’elegia del grande spagnuolo, per aumentare l’importanza di quel dramma, in cui nel suo epilogo Si va estinguendo ogni traccia di travagli«,, e di dolore terreno, e l’anima s'avvia verso la pace suprema e gli altissimi silenzi, nell’oblio del mondo e della natura nel sogno di Dio.
Forse questo studio così denso ed appassionato, questa disamina continua di quell’austera anima spagnuola, vista sotto tutti i suoi vari aspetti, potrà sembrare ad un lettore superficiale, un po’ pesante. Ma a chi s’accingerà a questa lettura con amore, vi troverà invece una tale onda di alata poesia, una così rara robustezza di stile, una così singolare sintesi di tutta un'enorme creazione letteraria da restarne stupito ed ammirato (1).
I tempi fortunosi non permetteranno che Farinelli possa darci presto il terzo volume di questa importante opera, in cui si continuerà la storia della delusione e della melanconia espressa in diverse forme da tutta l’umanità dal ’600 sino ai giorni nostri. La tragedia infuria attorno a noi, l’elegia s’è mutata in dramma angoscioso e nella rovina di tante speranze l'uomo ripete il lamento di Giobbe e si domanda: « È la vita un sogno od è una triste illusione? »
Luisa Giulio Benso.
(1) Fra le molte belle pagine di questo volume la seguente mi pare degna di speciale attenzione: <« Compiuto il suo cammino, asceso il poeta tra gli spiriti puri, l’avrà salutato Platone, il maestro delle idealità più eccelse, e stretto a sè, e confortato col bacio fraterno. Più felice, in verità, Calderon nel suo tragitto terreno del filosofo degli Elleni non pati dolore per la scissura dei due mondi, e seguitò, senza scoramenti, senza le scosse e le ferite del dubbio, con interezza della fede e interezza dell’anima, la via della spiritualizzazione vagheggiata. Lo reggeva una mano provvida, la mano fermissima di Dio. E le spine si torcevano senza insanguinarlo mai; chiudevasi ogni precipizic, ogni baratro minacciato. Alla dottrina divina il poeta volle sommettere l’arte sua; volle congiungere alle tesi teologiche i drammi ed i misteri della vita. Dei tradimenti fatti dalla fantasia vigorosa e bizzarra alla ragione, si salda e tenace e dispotica, non parve avvedersene. La fantasia gli riereò quella vita che il domma tiranno distruggeva ed annientava; ritenne il bel corpo alle figure che il pensiero astratto scioglieva in larve vane ed ombre e spettri; all’instabile e oscillante diede, nella forma finita, fissità e determinatezza. E, tacitamente, bendando con le fasce Sue soavi gli occhi all’asceta, perchè non vedesse il portento sacrilego, e non si distogliesse dalla contemplazione assorbente dei miracoli della fede, con un raggiar del suo riso divino e un tremito d’amore, trasfigurò la terra, spregiata e vile, e la sollevò al fascino e allo splendore dei cieli ». Pagg. 245-246.
24
LE FONTI RELIGIOSE
DEL PROBLEMA DEL MALE
(Continuariono. Vedi Bìlyekait, (aie. di gennaio 1917. pag- 39 • *•.).
V. — Primitiva sistemazione religiosa del problema del male.
I. Condizioni per la nascita, sviluppo e progresso delle religioni. —- 2. La logica dei primitivi. — 3. Semplicità c omogeneità delle religioni primitive. — 4. I-a religiosa «classificazione .di conoscenze ed atti contro il male. —5. Le primitive religioni della comunità considerate come una progredita sistemazione di credenze ed atti contro il male, rispetto alle religioni individuali. — 6. Unità delle religioni primitive nelle loro funzioni e nel loro scopo
a quanto ò detto fin qui intorno ai principali motivi che conducono l’uomo a religione, e a porne i problemi, da quanto ò detto intorno agli elementi costitutivi delle religioni e del problema del male, e intorno ai rimedi offerti dalle religioni contro il male, ognuno à potuto vedere che le cause della nascita e dello sviluppo delle religioni, della loro durata e del loro progresso, non sono tutte poste al di fuori dell’uomo nè tutte in lui solo. Dall'uomo, senza le condizioni esterne che la rendano possibile, e che determinino a concezioni e ad azioni specifiche, non può nascere e svilupparsi religione. Non è dunque assurdo pensare esservi viventi e consapevoli che siano senza religione, ma inconcepibili sono uomini ¿he sentano, pensino e ragionino su le cose di cui anno esperienza, che abbiano curiosità di conoscere e amore di sapere, che abbiano idea del mistero che è in loro e al di fuori di loro, che sentano il contrasto del bene e del male, che ne indaghino la causa e la ragione, che provino il bisogno di dominare le forze avverse che a loro si manifestano, e di secondare le altre che contribuiscono al benessere e all’ordine, inconcepibili sono uomini così fatti che, posti in un mondo dove siano realtà che essi intravedono nel mistero, realtà che stimolano il pensiero e l’azione, che rivelano un perfezionamento raggiungibile, rimangano poi senza religione. Affinchè dunque le religioni nascano, si sviluppino e progrediscano, devono esser date non solo certe condizioni che ne determinano l’apparita, ma deve essere anche necessario che le religioni adempiano certe funzioni e mirino a scopi specifici. Condizioni che sono date dalla natura, esteriore e dallo spirito umano, fini .che sono soltanto intelligibili, se conformi alla medesima natura e a quanto il mondo in cui essa nasce e si sviluppa può permettere di concepire, e sperare di raggiungere.
25
LE FONTI RELIGIOSE DEL PROBLEMA DEL MALE
III
Non potevano dunque essere vane fantasmagorie quelle che mossero l’uomo a religione e che ve Io tennero avvinto; nè potevano l’ignoranza — semplicemente negativa — i sogni o le visioni, allucinare durevolmente l’umanità, e nemmeno efficaci resultati potevano avere i Governi teocratici, se la religione doveva esser creata da essi, o dalla furberia sacerdotale. Non nascono religioni se non rispondono a ideali, se non risolvono problemi che sono vivamente sentiti; nè possono esse durare se non esercitano particolari funzioni, come abbiamo veduto nei rimedi che esse offrono; nè progresso religioso è possibile dove non siano determinati fini che ne segnino l’accresciuto valore.
Se rammentiamo i motivi che anno determinato gli uomini a religione, non tardiamo a riconoscere Che fra i primi e più importanti è il male, sotto la specie di dolore, di errore e di cólpa; se guardiamo le funzioni che le religioni esercitano nell’economia della vita dello spirito» vediamo che essenziale è quella di guarire, di consolare, d’insegnare la via della perfezione, di fare partecipare alla vita divina; e se guardiamo gli scopi che le religioni si propongono, certo fra i primi appare quello di dominare il male nel mondo, di allontanarlo e distruggerlo nell’uomo, e di vincerlo ovunque, per raggiungere la liberazione e la salvezza. • ,
Tutto questo però non poteva avvenire —e certo non avvenne — senza che particolari leggi si fossero affermate nell’attività religiosa, la quale, determinata da' quei motivi, si volgeva a esercitare le funzioni e a raggiungere i fini di cui qui parliamo. Fra i principali motivi che sono comuni alle religioni e al problema del male, conosciamo l’esigenza di allontanare il dolore, di conoscerne e svelarne il mistero, la causa e le finalità. Ma questi motivi non potevano essere sufficienti, da soli, per segnare i limiti delle funzioni della religione, e nemmeno per segnarne il progresso nello scopo da raggiungere, senza un determinato aggruppamento e una sistemazione delle conoscenze, senza che un certo ordine si stabilisse tra conoscenza e azione, senza che una maggiore chiarezza nella conoscenza dei mezzi e degli scopi non fosse raggiunta.
Bisogna risalire alle forme rudimentali di civiltà più lontane dalle perfezionate, concezioni del .mondo, della vita e del divino, più remote dalle vette del progresso intellettuale e morale che le religioni'delle grandi civiltà storiche ànno raggiunto, per aver un’immagine di questi aggruppamenti, per seguire la linea di quei perfezionamenti. Una linea non consecutivamente tracciata, ma solo segnata nei punti principali che possano farci intendere lo scopo e le funzioni delle religioni nelle formazioni logiche del pensiero.nella maggiore correttezza che man mano si raggiunge intorno alla conoscenza della natura, dei limiti, delle origini e dello scopo del male, intorno a dottrine, precetti e rimedi che le religioni costruiscono e insegnano contro di esso.
Si vede così in qual modo si forma quell’insieme di dottrine e culti, d’insegnamenti e pratiche religiose, e in qual modo questi si elevano sempre più dalla vita corporea a quella dello spirito, acquistando man mano maggior valore; un valore che la coscienza religiosa riconósce nel suo ideale di perfezionamento e nella sua lotta contro tutto ciò che lo impedisce. E si vede come l’uomo, dal male, che lo minaccia e che sembra voglia spegnere al suo primo apparire, nella vita dello spirito, ogni ideale perfezionamento, sappia trovare non solo rimedi, ma anche argomenti per la via della salvezza e per acquistare certezza del suo dominio su le avverse potenze.
26
112 BILYCHNIS
Onde la storia della civiltà, che lasciava come un'incognita introvabile la nascita della religione, se la cercava nella vita brutale di esseri inferiori, nell’ignoranza, nell’istinto di conservazione, o nella paura del male, trova invece la sua spiegazione ih quelle funzioni che alla migliore attività umana sono assegnate, in quegli ideali e possibili perfezionamenti che essa tende a raggiungere. Chè se fosse mancata all’uomo la istintiva fiducia nella propria memoria, la fiducia nella regolarità e uniformità del processo degli eventi, la fiducia che la conoscenza può esser capace di suggerire opportuni rimedi; la fiducia infine nell'efficacia dell'azione contro il male, nessuna religione avrebbe potuto assumere la funzione qui accennata; il suo scopo non avrebbe potuto esser quello di liberare l’uomo dal male, di fargli vivere una vita perfetta; e di ulteriori progressi, nelle funzioni e negli scopi religiosi, non si sarebbe potuto parlare.
' 25
Prima.di cercare d’intendere, però, in che modo le religioni primitive si pongono e risolvono il problema del male, dobbiamo vedere se la sistemazione di conoscenze e precetti che esse ci offrono sono state costruite in modo diverso da quello che ci presentano le religioni più progredite.
Ò già avanti accennato alla logica dei primitivi e àgli errori che essi commettono; ma se volessimo accettare l’ipotesi fatta da alcuni moderni scrittori(i), i quali pretendono che il pensiero primitivo sia prelogico, noi ce lo renderemmo impenetrabile, e ci porremmo nella triste condizione di dover spiegare lo sviluppo delle arti, la invenzione degli strumenti — dove sono continuamente applicati princìpi logici come quelli della contraddizione e della causalità — con altri princìpi, che si applicano solo in un certo periodo della storia della civiltà e non in un altro. Chi abbraccia col pensiero le forme elementari della vita primitiva, nelle sue diverse manifestazioni, deve riconoscere che il pensiero umano, sia nelle èpoche preistoriche, sia nei bassi gradi delle civiltà ancora viventi, è governato dalle medesime leggi e tende a ordinare le conoscenze e a correggerle, seguendo norme e princìpi che sono, comuni a tutti i pensanti. La storia della civiltà móstra un logico processo di* premesse e conseguenze, nel suo sviluppo, una sostituzione di errori con verità, una sostituzione di falsi apprezzamenti con altri giusti; ma non si vede una fondamentale trasformazione, in qualche momento della sua evoluzione, una trasformazione delle leggi che gover • nano il pensiero umano.
Certamente nel lorq sviluppo e nella loro formazione le credenze non possono dirsi logiche perchè siano corrette, ma perchè seguono, sia pure inconsciamente ed erroneamente, l’applicazione di princìpi logici, e perchè pensieri, sentimenti e azióni devono avereuna logica correttezza. Così, riconoscere per vera e per falsa, per giusta e ingiusta la medesima cosa, nel medesimo tempo, e pel medesimo motivo, sarebbe una contraddizione della quale anche, il primitivo; appena se ne rendesse conto, non potrebbe fare a menò di rifuggire.
(i) Cfr. L. Lévy-Bruhl, Les fonctions mentales dans les sociétés inférieures.
27
LE FONTI RELIGIOSE DEL PROBLEMA DEL MALE
1*3
Non vi è dubbio Che nella vita mentale dèi primitivi vi siano molte erronee credenze ciecamente accettate e in numero assai maggiore di quante ve ne siano nelle civiltà più progredite. Or bene, queste accettazioni (le di cui origini sono da attribuirsi a diverse cause, tra cui l’ignoranza, la mancanza d’esercizio del pensiero lógico (i), l'imitazione, l'abitudine, il dominio dell'immaginazione e del sentimento, l’azione suggestiva-e autoritaria dell’ambiente), queste accettazioni, dico, sono quelle che non permettono ai primitivi di vedere le contraddizioni e le immoralità delle loro credenze, e che ànno dato occasione ai nostri sociologi di considerare la mentalità primitiva come se non avesse alcuna analogia con la nostra nel processo della conoscenza.
Ma, come ò detto, non è il caso di accettare questa ipotesi, perchè anche un’altra più semplice e più verosimile può spiegare quéste irrazionalità e immoralità (2). Dicevo che molte usanze, dapprima inesplicabili, si possono facilmente intendere se le consideriamo come logiche conseguenze ricavate da érronee credenze circa l’azione di occulte potenze — come il contatto col tabu, il trasferimento del male, la magia simpatica — e con altre superstizioni. Che se un’altra lègge avesse governato il pensiero dei primitivi, se essi fossero stati insensibili alle contraddizioni, come vuole Lévy-Bruhl, o se fosse vero che le mitiche contraddizioni mostrano delle variazioni nell’accettazione dei princìpi fondamentali della logica, come vuole Durkheim (3), e che il principio di contraddizione dipenda, in parte, da fattori storici e per conseguenza sociali, noi, in tal caso, avremmo non solo disconosciuta la costituzione della mente umana, ma anche la causa delle irrazionalità mitiche. Le quali più verosimilmente si devono ascrivere all’azione collettiva,'che crea diversi miti e con attributi contraddittori, senza avere la possibilità di eliminare le contraddizioni prima che nei sincretismi questi attributi vengano ascritti al medesimo mito. Questo viene talvolta rappresentato come immortale e talvolta come mortale, come uomo e come donna, non perchè sia cosa definitivamente accettata e riconosciuta, nè perchè sia oggetto di fede, ma perchè le credenze non sono ancora sistemate e corrette, e risentono della molteplicità degli elementi che le compongono. Pertanto, dico che queste contraddizioni si devono ascrivere piuttosto all’azione collettiva, anziché a quella del pensiero individuale, che dando un attributo non può, assai verosimilmente, per la medesima ragione e nel medesimo tempo, darne un altro contraddittorio allo stesso mito. Mentre nulla impedisce che miti contraddittori, una volta formati, vengano poi ciecamente accettati, come or ora ò detto, dai singoli individui che li conservano lungamente per abitudine, senza che si rendano conto delle loro contraddizioni e immoralità. Quando le credenze si trovano in contraddizione con le ordinarie esperienze, i
(x) Tipici sono alcuni casi di ignoranza e-di incapacità a contare, o a fare le più semplici operazioni aritmetiche, casi che sono stati ritenuti erroneamente come segni della primitiva radicale inferiorità e quindi della incapacità a idee religiose e morali. Le Roy confuta ciò che à scritto Lubbock a questo proposito, e dimostra come la incapacità a contare è spesso accompagnata, presso i primitivi, da idee religiose e morali piuttosto elevate.
(2) Cfr. il mio lavoro su 11 problema morale ‘nelle religioni primitive.
(3) Cfr. Emil Durkheim, Les formes ¿¡¿mentaires de la vie religieuse.
28
II BILYCHNIS
primitivi possono non tener conto di queste contraddizioni, così come i Bororò si credono di essere realmente e attualmente arare (i), mentre sono uòmini; ma i primitivi possono però piegarsi alla realtà dei fatti esperimentati e rigettare le erronee credenze, come abbiamo visto precedentemente in quelli che non ammisero più essere tabu ciò che venne riconosciuto innocuo, e come succede del resto tutte le volte che troviamo un progresso nella primitiva conoscenza; ma sempre, e in ogni caso, non si può parlare di un pensare prelogico, quando le più assurde affermazioni dei primitivi dipendono da cieche credenze come da logiche premesse; e quando la medesime credenze dipendono allo stesso modo da altre credenze, o da erronei procedimenti del pensiero. Stabilita, per esempio, l’identità di natura fra le associazioni totemiche, tutto deve procedere nella vita pratica e nel pensiero in modo che non sia in contraddizione con questa credenza. Ma se sorge una contraddizione fra le cieche credenze, e le conoscenze derivate dall'osservazione, il primitivo avrà sufficienti motivi per non avvedersene, come non se ne avvede ognuno che si trovi in analoghe condizioni. Ma se la contraddizione sorge nel campo delle medesime credenze religiose, se gli atteggiamenti non rimangono in armonia con esse, allora la contraddizione viene il più delle volte riconosciuta, come mostrano le condanne contro coloro che non sono ubbidienti ai comandamenti e 'alle inibizioni religiose. Tutta la vita primitiva móstra interesse di evitare queste’contraddizioni, e. noi solo in questo campo avremmo potuto trovare argomenti per affermare che il primitivo sia differente al principio di contraddizione, in questo campo, dove maggioie è l’interesse di non commettere errori.
Si dirà forse che un pensiero così difforme dal nostro, come quello che si vuole ascrivere al primitivo, non riconoscerà la successione causale, e ammetterà che la causa possa anche seguire l’effetto anziché precederlo? Questa è l'opinione di Lévy-Bruhl, secondo il quale nella mentalità primitiva i rapporti temporali sono rappresentati come rapporti di posizione, cioè a dire, di giustapposizione. Lévy-Bruhl ritiene che il tròvarsi uno dei termini avanti all’altro, nel tempo, o dopo, sia per il primitivo un fatto secondario o indifferente; onde i selvaggi dell’America del nord, per via di un’eclisse di luna, si spiegarono il perchè del massacro del quale erano stati vittime in addietro per causa degli Irocchesi. Questo scrittore, che vorrebbe con pochi fatti distruggere la credenza, dappertutto visibile, anche nella primitiva civiltà, che la causa precede l’effetto nel tempo, non avverte che questi fatti da lui rammentati si spiegano benissimo anziché con l’ipotesi di un assurdo pensare, con una relazione che non è causale.
Un segno di sventura non è un porta sventura, ma un fatto che può precedere, accompagnare o seguire la sventura, che può talvolta preannuciarla, come nel caso del cattivo augurio, ma che non ne è la causa.
Dobbiamo dunque rinunciare a questa ipotesi, e riconoscere invece che il primitivo, tanto nel campo della vita religiosa, quanto in quello della vita estrareli-giosa, evitando ogni conflitto che possa nascere tra religiose credenze e non religiose
(x) Cfr. K. Von Den Steinen, Unter den Naturvölkern Zentralbrasiliens.
29
LE FONTI RELIGIOSE DEL PROBLEMA DEL MALE 115
Osservazioni, adopera, nei suoi ragionamenti, i metodi di concordanza, di differenza e di variazioni concomitanti; adopera l’ipotesi come strumento d’indagine e ne ottiene grandi vantaggi. Egli fonda il suo ragionamento, come fa Mill, su la uniformità della natura, sul principio d’induzione, su quello di deduzione e di causalità. E se supponiamo un tempo in cui nessuna legge era scoperta, allora, come scrive Jevons (i) tutte le cose dovevano apparire come se accadessero a caso... L’uomo primitivo doveva vivere così in uno stato di perpetua sorpresa, e avrebbe dovuto meravigliarsi tutte le volte che trovava l’acqua umida, tutte le volte che vedeva sorgere il sole di nuovo; se egli avesse atteso gli stessi effetti dalle medesime cause, e peggio ancora, se avesse créduto possibile che le cause succedono agli effetti, si sarebbe trovato a ogni passo di fronte a una serie indefinita di eventi possibili e imprevedibili; eventi che non avrebbero più potuto dar ragione dei suoi comportamenti, nè sicura direzione alla sua azione, e l’avrebbero fatto precipitare, nella più inestricabile confusione di pensieri e di atti, in una confusione, dove il pensiero non trarrebbe le conclusioni dalle premesse, e dove non si saprebbe prevedere da quali motivi le azioni sarebbero determinate.
Ma persino gli animali conoscono che l’acqua estingue là sete e che il cibo appaga l'appetito. Dall’attesa che gli eventi si ripetano, come successivi alle medesime cause che li ànno preceduti, ne veniva di conseguenza che nessuna meraviglia doveva provare il primitivo degli eventi che attende dalle cause conosciute, e nessun timore che l’attesa fosse vana. Questa credenza nella regolarità del processo degli eventi e nella successione di causa e di effetto, che ne è il complemento, è così fermamente stabilita che la più piccola variazione di effetti, prodotti per l’intervento di nuove cause sconosciute, o per sconosciute modificazioni delle prime, viene infallibilmente appresa dal primitivo con senso di stupore e di meraviglia. Quando questa esperienza sopravviene egli sente di trovarsi di fronte a forze misteriose che sono al di là delle sue previsioni, dei suoi calcoli e del suo controllo; di cause che si sono introdotte nella successione regolare e normale degli eventi, di cause che possono recargli del bene, ma che possono anche nuocergli, che possono dargli di più di ciò che si attendeva, ma che possono anche togliergli ciò che si aspettava e ciò che possedeva. La meraviglia e lo stupore dònno luogo così ora a sentimenti di amore e venerazione, ora a sentimenti di odio, di paura e di dolore. Ma tutto questo non pòrta a concludere che i primitivi siano esseri incapaci di pensare logicamente; rivela invece una certa regolarità, un certo ordine nel loro pensiero; ordine e regolarità che ci aiutano a comprendere l’omogeneità fondamentale delle loro credenze e usanze religiose.
3Sono varie le credenze che posseggono i primitivi, ma le stesse credenze appaiono presso popolazioni che sono sparse in varie parti del globo, lontane fra di loro, e senza comunicazioni che avessero potuto diffonderle. Sono molte le usanze dei po(i) Cfr. F. 13. Jevons, An Introduction lo the history oi religion.
30
Il6
BILYCHNIS
poli primitivi e anche queste appaiono in diversi punti, e senza che gli abitanti d’una regione abbiano potuto insegnarle a quelli di un’altra. Da ciò si vede non solo che debbano essere date uguali condizioni di nascita, ma che anche uguale processo di ragionamento à guidato i primitivi. Se guardiamo attentamente, vediamo che ora sono le medesime credenze che determinano alcune usanze in queste e in quelle popolazioni; or sono abitudini e sentimenti che finiscono col determinare certe credenze; or sono giudizi che guidano i sentimenti; or sono quésti che costringono il giudizio per giustificarli, e così da per tutto. Ma siccome in ogni luogo, sempre e in ogni caso non si rinuncia alla pretesa di pensare logicamente e di agire correttamente, anche quando, come più spesso avviene, non se ne abbia coscienza, così si spiega come noi possiamo trovare, in certi periodi della civiltà, le medesime credenze e le medesime usanze; anzi, tanto più somiglianti quanto più derivano dalle medesime premesse, e quanto più corretto è stato il ragionamento che le à determinate; mentre queste somiglianze diverrebbero misteriose, se nelle medesime condizioni gli uomini procedessero senza alcun ragionamento, o incuranti di non mettersi in contraddizione coi loro sentimenti.
Per intendere però le primitive sistemazioni religiose del problema del male, non basta conoscere i motivi che lo determinano, gli eleménti che lo compongono; non basta seguire i rimedi che contro il male anno offerto le religioni, ma dobbiamo avere qualche notizia della primitiva conoscenza religiosa, e delle esigenze umane, così come si manifestano in quella cultura. Mancano, è vero, molti elementi per il giudizio, mancano prove dirette per farlo. Le difficoltà aumentano quando analogie, induzioni e deduzioni errònee alterano i giudizi e turbano i sentimenti dei primitivi, e quando, come abbiamo visto, non sono soltanto errori logici quelli che li fanno deviare, ma anche estralogici. Il primitivo, non abituato alla riflessione e all’osservazione, volge là sua attenzione alle cose che è preparato a vedere, ai nuovi e imprevisti eventi, specie se dolorosi, assai più che agli altri eventi che pur egli potrebbe osservare. Sono in gran numero i fatti che gli sfuggono; ma quando verranno scoperti contribuiranno agli ulteriori progressi, alla correzione dei pregiudizi e alla sua graduale liberazione dalla superstizione.
A compensare queste deficienze abbiamo però il vantaggio di trovarci di fronte a una relativa uniformità e omogeneità di credenze e usanze religiose.
4.
Dai motivi e dagli elementi comuni’ alle religioni e al problema del male, si deve riconoscere che un doppio interesse, pratico l'uno e teorico l'altro, li unisce indissolubilmente; e se rammentiamo i diversi rimedi offerti dalle religioni contro il male, questo doppio interesse ci si manifesta ancor meglio.
A chi ben guardi, si presentano due procedimenti ordinatori, ciascuno rispettivamente della conoscenza e della condotta umana di fronte al male. L’uno deriva da elementi’ conoscitivi, lentamente radunati, classificati, ordinati nella memoria dei singoli individui e quindi nella tradizione della famiglia, del clan e della tribù; l’altro deriva da istinti, da sentimenti, da particolari esperienze e interessi pratici, ugualmente tradizionali. Quando il procedimento pratico, per raggiungere il suo scopo
31
LE FONTI RELIGIOSE DEL PROBLEMA DEL MALE
II7
passa alla ricerca di causa, di legge, di finalità, esso viene a incontrarsi, e talvolta a confondersi con l'altro procedimento che cercava la conoscenza per se stessa. Ma da un canto l’insieme di conoscenze elimina man mano le contraddizioni, si perfeziona e si arricchisce; dall’altro le esperienze, venute in contatto con queste conoscenze, esercitano ed affinano l’osservazione, e permettono al sistema di conoscenze di divenire sempre più ragionevole. L’insieme di conoscenze, precetti e regole delle primitive religioni, subisce così-, man mano, disposizioni e classificazioni, che divengono sempre più corrette. L'opera della classificazione, sistemazione e logica coordinazione di conoscenze ed atti, deve guidare verso un unico fine l’intelletto e la condotta umana, epurando il nucleo primitivo da ciò che è contraddittorio, spurio e superfluo e in qualche modo nocivo, evitando un inutile spreco di forze.
Quest'opera progressiva avviene per via delle primitive religioni della comunità, e noi non abbiamo conoscenza di epoche prereligiose sfornite di elementi conoscitivi ed emozionali, di esigenze teoriche e pratiche, nè possiamo immaginare che questi elementi ed esigenze si siano manifestati improvvisamente nelle religioni. Possiamo invece ammettere religioni individuali dove già si preparano il teorico e il pratico procedimento che rendono possibile quell’insieme specifico di conoscenze ed atti circa il male, quell’insieme caotico e contradditorio che incontriamo in alcume primitive religioni della comunità. Dapprima sono logiche conseguenze che si vogliono affermare, sono i resultati dell’esperienza, i resultati della libera curiosità che tenta il mistero, i resultati della ricerca della causa e dei mezzi che si sono trovati per lottare contro il male; dipoi sono costruzioni basate su le qualità della causa e su i rapporti suoi con l’uomo e col mondo, e in seguito avvengono, ordinate classificazioni, sistemazióni di conoscenze più corrette, migliori adattaménti di mezzi al fine e una più ragionevole subordinazione della condotta alla conoscenza religiosa.
5L’uomo con limitate facoltà di percezione, di memoria, di abilità, di potenza; concatenato con una realtà la di cui conoscenza non è soltanto un piacere spirituale, un appagamento di curiosità, un libero esercizio delle sue attività mentali, ma una necessità e spesso una dura necessità per la sua esistenza e per la sua prosperità, è stato indotto a mettersi subito in relazione, col mondo estranaturale ed a cercare di mettere a profitto le benefiche e le malefiche potenze da lui intraviste nel sistema di cause e di effetti in cui si trova, per acquistare liberazione, immunità, dominio.
Ma come il bambino si affida alle cure ed all’esperienza materna per il suo nu? trimento e perchè gl’insegni i pericoli in cui può incorrere a ogni passo, come il cieco si affida a chi può guidarlo nel suo cammino, così il primitivo doveva fare ben presto esperienza dei buoni risultati che ottiene chi si affida al piti forte, al più abile, al più sapiente, e del massimo vantaggio così ottenuto col minimo sforzo. Cosicché dalla generale incapacità ad appagare le sue esigenze e dalla esperienza fatta di potere aumentare, senza grande sforzo, la conoscenza e la potenza sua, egli è stato naturalmente condotto a rivolgersi a uomini privilegiati, che à creduto possedessero estraor-dinaria sapienza e potenza, o a particolari oggetti, che à creduto contenessero speciali virtù capaci di permettergli la liberazione o almeno l’allontanamento dai mali.
32
118
BILYCHNIS
Ed ecco feticci, talismani, amuleti; ecco maghi, stregoni, incantatori, taumaturghi, veggenti, astrologi. Quelli devono rendere tetragoni contro il male, questi devono rischia • rare lo spirito dai dubbi, confortare nel dolore, curare le malattie, prevedere il futuro, conoscere la natura delle cose a dominarla. Essi devono avere anche altre virtù, devono appagare la curiosità e la fantasia primitiva, con gesta estraordinarie e devono contribuire alle mìtiche creazioni, col favoleggiare intorno all'origine di tutte le cose, e insomma con un sistema'esplicativo e valutativo capace di destare piacevoli emozioni.
Accanto a questa fase elementare della coscienza religiosa, povera di verità e di precetti morali e meno adatta agli ulteriori sviluppi, accanto a questa fase della coscienza religiosa che chiamo individuale, per gli individuali interessi che mira a garantire, sorgeva la religione dellq comunità.
Vediamo dapprima un insieme caotico, disordinato di conoscenze non ancora classificate e di atti contro il male non ancora logicamente coordinati, turbati invece da istinti ciechi, da passioni e da motivi inferiori. Nondimeno, la religione (Iella comunità, quantunque serbi tracce assai visibili di teurgia, taumaturgia e magia, rappresenta un movimento di progresso, rispetto a quelle forme di religioni individuali che sono il magismo e il feticismo. In essa possono sorgere, è vero, contrasti e opposizioni, che ivi non apparivano, possono nascere contraddizioni, ma' solo qui sono possibili classificazioni più vaste e sistemazioni più corrette di conoscenze e precetti, e qui solo è possibile un accrescimento'di energia. Questa religione deve poter dominare i contrasti delle individuali credenze, deve poter condurre l'ordine dov’era il disordine, l'armonia, l’unione, la forza al medesimo fine. E la religione della comunità perviene infatti, poco à poco, a stabilire una maggiore conoscenza della realtà, una efficace eliminazione di erronee credenze e di rimedi fittizi.
Nondimeno il progresso della religione della comunità, rispetto a quella individuale, è determinato anche da altre ragioni.
Anzitutto le tribù ànno linguaggio, costumi, leggi e religioni valide per tutti i membri di esse. L’individuo non può alla fine non accettare la tradizionale credenza della comunità, tanto più quando suggestione e imitazione ve lo spingono e quando non possiede ragioni e mezzi per oppugnarla, autorità per combatterla con qualche speranza di resultato favorevole. La religione individuale doveva allora o potersi coordinare con quella della comunità, o vivere una vita precaria, o sparire. La eliminazione di alcuni contrasti doveva così necessariamente avvenire, e contribuire a rendere più organica la religione della comunità per via di un’azione esteriore, diciamo così, di accentramento.
Oltre però a quest'azione/che costringe lejdiverse'credenze ad essere assorbite dalla religione della comunità, o a sparire, ve n’è un’altra, inferiore, che conduce al medesimo resultato. Questo avviene per la stessa natura della religione, giacché essa fonda ogni spiegazione e precetto su la soluzione che à dato del problema etio-escatologico, sui resultati cioè dell'indagine intorno alle origini e alle finalità. Le religioni, una volta costituite, rovesciano il procedimento che le à formate, e mentre prima si acquistava conoscenza della causa per via delle esperienze e del ragionamento, ora esse vogliono determinare il concetto del male, i suoi limiti, la sua natura e i suoi rimedi in dipendenza della causa prima; dalla quale non solo il male, ma anche il mondo e la vita umana acquistano un valore che prima non avevano.
33
LE FONTI. RELIGIOSE DEL PROBLEMA DEL MALE
HO
E questo è caratteristico della religione: chi si rivolge ad essa per la salvezza, non vi si rivolge perchè ne à visto in sè l’efficacia, ma perchè, come dicevo, à fede negli insegnamenti e nella pratica, come provenienti da potenza e sapienza estra-naturale. Chi à religione non à conoscenza di rapporti tra il male e il suo rimedio, ma à fede nella esistenza di questi rapporti; non à conoscenza della sua efficacia per induzione, ma per deduzione dalla propria esperienza o dall'autorità esteriore dell’insegnamento. E allora la sua conoscenza, specialmente nel primo e nel terzo caso, è cieca, come quella del malato che erede alla efficacia della sconosciuta medicina, perchè à fede nel medico o nell’arte medica. Il primitivo, che non à quelle eccezionali esperienze personali, è costretto a prestar fede all'autorità dei capi, dei maghi, degli esseri che si credono in comunicazione col mondo estranaturale o di coloro che più schiettamente conservano le tradizioni dei padri, e quindi alle medesime tradizioni religiose.
Ma un nuovo fatto appare nella religione della comunità, un fatto che era sconosciuto alla- religione individuale. E questo è la subordinazione dèlia condotta alla credenza religiosa, e specialmente la completa subordinazione, rispetto al male, in quanto una insubordinazione sarebbe causa di danno non solo al colpevole, ma a tutta la tribù. Nella religione individuale, invece, apparivano interessi esclusivamente individuali. Qui lo scopo della, religione era di garantire i beni dell’individuo anche in contrasto con quelli della comunità, e la colpa individuale non poteva estendersi, nelle sue conseguenze, oltre il colpevole, ma doveva rimanere limitata in lui. Nella religione della comunità, quindi, l’individuo non può appartarsi con le sue credenze e con la sua condotta, se questa dipende da quelle, e molto meno può a lungo opporsi a ciò che la tribù riconosce e accetta come giusto, più che nel pensiero, nell’azione.
E un’altra forza doveva contribuire a paralizzare le religioni individuali rispetto a quelle della comunità, una forza che è riposta nella ragione del progresso delle religioni della comunità, cioè nel loro maggior valore. Il primitivo, infatti, non si arresta alla religione individuale che pure è più pieghevole e adattabile alle sue esigenze. E per intenderla, questa ragione, dobbiamo tener presente che quelle forme di religione individuale, che sono il feticismo e il magismo, promettono di raggiungere beni, come ò detto, talvolta non compatibili con quelli della comunità; e da ciò resulta un contrasto tra interessi individuali e sociali, contrasto che deve condurre necessariamente alla condanna delle religioni individuali, come superstizioni perniciose al bene comune. Mentre le altre forme di religione accettate dalle primitive comunità, da noi conosciute sotto le denominazioni di politeismo, di teismo e monoteismo, sono rivolte tanto a beni individuali che a beni sociali. Quando il primitivo perviene a questo riconoscimento, egli non può non accordare maggior valore alla religione che promette un maggior numero di beni, senza nuocere agli interessi dell’individuo. Questo deve avvenire, tanto più sinceramente, quanto più la suggestione dell'esempio,' l’imitazione, devono contribuire a ritenere questa di maggior valore, anche quando la religione individuale possa talvolta offrire una maggiore utilità come avviene se il contrasto di interessi tra individuo e società si fa più vivo. Nondimeno la eliminazione dei motivi egoistici; la maggiore ricchezza di verità e di insegnamenti, le rappresentazioni estetiche delle religioni della comunità, le domande più essenziali del problema del male cui esse vogliono rispondere, sono ri-
34
120
BILYCHNIS
conosciute dal primitivo come di maggior pregio, anche indipendentemente dalla efficacia che possano avere nella lotta contro il male. Onde si vede che il riconoscimento del maggior valore non è nemmeno qui esclusivamente fondato su la utilità che potrebbe offrire una religione rispetto ad un’altra. La credenza della tribù che garantisce tanto al singolo individuo che alla comunità, ciò che è reputato giusto per tutti, ottiene la preferenza; e questo valore è tanto phi stimabile quanto più rende coloro che lo riconoscono realmente suscettibili di ulteriori progressi (i).
L'indagine, dei singoli individui rimane allora isolata, sterile ed avvizzisce. I benefici della conoscenza individuale, che si dipartono come da tanti centri di energia, s’irradiano e sembrano disperdersi invano, finché rimangono circoscritti agli scopi individuali; ma quando conoscenze e pratiche, dipartite dai singoli individui, dalle famiglie, dai clan, s’incontrano e intersecano, all'inizio dell’opera collettiva che si aduna, per così dire, nel serbatoio della conoscenza e dell’opera sociale che è la religione della comunità, allora comincia il progresso nelle credenze religiose. Ma come l’uomo che avesse perduta la memoria del laborioso acquisto delle conoscenze, non si renderebbe-conto del modo come è pervenuto alla robustezza e saldezza delle conoscenze presenti, così l’oblio dei singoli sforzi che la religione delle tribù accumula e mantiene, fa sì che questa reputi vano ed effimero, al suo cospetto, ogni sforzo individuale e anzi lo condanni come peccaminosa superstizione.
La religione della comunità deve così superare razione individuale, e questo avviene quando le credenze e pratiche circa il male, procedenti da cause diverse, condizionate da particolari contingenze di esistenza e di coltura individuale, si adunano nella tribù, con la vita in comune, e costituiscono un sistema di conoscenze e pratiche, che viene, per le ragioni anzidetto, riconosciuto come patrimonio essenziale per l’esistenza e la prosperità di tutti; come un corpo di credenze tradizionali e come un sistema di regole per la condotta che appagano le migliori esigenze. Così ognun vede che nell’autorità delle persone straordinarie, delle esperienze personali e della tradizione, abbiamo là spiegazione della potenza delle religioni; nella correzione e nella eliminazione degli errori, la ragione del loro progresso e nell’omogeneità fondamentale dell’esigenze umane quella dell’unità delle loro funzioni e del loro scopo.
6.
Se noi ora, consideriamo nell’insieme i motivi che ànno posto le religioni, e precisamente quelli che esse ànno in comune col problema del male, se teniamo contò dei rimedi offerti dalle religioni primitive contro il male, delle classificazioni delle conoscenze circa il male e dell’accentramento e sistemazione di queste nelle primitive religioni; sé osserviamo la crescente coordinazióne di queste conoscenze
(i) Fra i moderni pensatori, F. Brentano, nel suo importante lavoro intorno all’origine della conoscenza morale, à giustamente rilevato la preferenza che si deve accordare a un numero maggiore di beni rispetto a un numero minore, e come per quei beni il sacrificio di sé divenga un dovere. Nella primitiva civiltà come qui si espone, sono anche altri motivi quelli che determinano a riconoscere la religione della comunità come di maggior valore, e questi non sono tutti etici.
35
LE FONTI RELIGIOSE DEL PROBLEMA DEL MALE 121
e la conseguente, sempre più corretta, subordinazione ad esse dell’azione, possiamo acquistare’allora una maggiore visione della realtà e intendere meglio il particolare atteggiamento della primitiva coscienza religiosa di fronte al male, e sopratutto vedere che cosa essa cerca nella religione, qual funzione questa eserciti nella vita, quale scopo tenda a raggiungere.
Qui vediamo idee e sentimenti del male apparire nella coscienza umana o muovere all’azione per allontanarlo o dominarlo. Il problema che allora si presenta allo spirito è solo quello di trovare la potenza che permetta di raggiungere questo scopo. Il feticismo non à altra funzione nò altro scopo. Accanto al feticismo vediamo il magismo, la di cui funzione è quella di accordare una maggiore potenza e conoscenza all’uomo; esso deve permettergli così di dominare il male e di farlo servire anche al bene individuale. E accanto a queste fasi inferiori della coscienza religiosa ne appare un’altra che si manifesta nella religione della comunità, dove riesce perla prima volta possibile al problema del male di costituirsi. Idee e sentimenti del male sono così dominanti in queste religioni, da avere indotto alcuni filosofi e storici a credere che la religione, nata dal sentimento del dolore e dalla paura, altra funzione non avesse che alimentare illusorie speranze, e che vana quindi fosse l’opera sua e vano il suo scopo. Ma tutti coloro che ànno indebitamente escluso il fatto che l’oggetto primordiale, più interessante nelle particolari condizioni in cui fu posto l’uomo primitivo, era la vita, e che solo nella sua qualità di essere vivente l’uomo esplica le sue diverse attività, e tende a perfezionarle, non possono intendere lo scopo e le funzioni delle religioni.
La vita umana non comporta l’esercizio di una sola attività, ma di tutte, e poiché queste ànno proprie finalità e leggi proprie, così il perfezionamento della vita umana si ottiene col perfezionamento delle sue singole attività. E quando vediamo che ciascuna religione à una particolare idea del male, una particolare credenza intorno alla natura ed ai limiti suoi, che à precetti per particolari atteggiamenti pratici di fronte ad esso, allora dobbiamo riconoscere non solo che in fondo alle religioni vi è qualcosa di comune a tutte, — come noi diciamo, i loro morivi ed i loro elementi — ma che anch’esse si propongono scopi comuni che sono essenziali alla vita e alla natura umana, e quindi al perfezionamento di questa ultima.
Il sentimento del dolore e le idee del male infatti perdono ogni senso nella vita religiosa quando non siano connessi ad una concezione del divino che serva a spiegare e a valutare la vita umana. Le conoscenze della origine, della natura, dei limiti e dello scopo del male non Sonò conoscenze isolate, staccate dai rimedi che esse portano ad adottare contro il male. Ed è così che il corpo di dottrine e precetti, sia esso confuso quanto si voglia, deve esser capace non solo di appagare lo spirito e di giustificare la realtà del male, ma anche di difender l’uomo contro il male. E i rimedi religiosi, dal canto loro, siano essi fisici, morali, intellettuali o fisio-estesici, sono tutti insieme in armonia con un ordine di verità che deve sgombrare il contrasto, altrimenti insuperabile, tra la realtà del male e quella del bene.
Una religione, infatti, che non pretendesse di risolvere i problemi che sono inerenti al perfezionamento intellettuale e morale, una religione che non pretendesse di enunciare verità circa il male, precetti e rimedi per evitarlo, una religione
36
122
BILYCHNIS
Che non pretendesse di fornire all’uomo i mezzi opportuni per vincerlo, non potrebbe esistere e non esiste: se non avesse alcuna di tali pretese non troverebbe un solo credente. Noi vediamo .piegarsi pien di gioia e di meraviglia il selvaggio che crede di avère scoperto a terra un feticcio, lo vediamo accorrere con venerazione al mago, al veggente, al taumaturgo; vediamo adunarsi gli uomini della tribù ed eseguire scrupolosamente i loro riti; vediamo accorrere alle chiese i credenti, ma tutto questo perchè ànno fede nelle dottrine, nei precetti e nei rimedi religiosi. Mentre vediamo decisamente allontanarsi dalla religione tutti coloro che ne reputano confutate le dottrine, falsi gli insegnamenti, inefficaci i rimedi.
La funzione delle religioni primitive appare così nettamente definita: essa deve ottemperare a queste supreme esigenze dèlia natura umana, esigenze che sono relative alle diverse civiltà, e per le quali l’uomo trova nella religione la potenza, la fonte di ogni sapere, il conforto, la gioia e le speranze migliori, la persuasione che la vita non sia un sogno vanamente sognato.
Dal canto loro le funzioni delle religioni primitive mostrano qual sia il fine che queste religioni si propongono. Esse vogliono accrescere la potenza e la sapienza umana, specialmente rispetto al male; esse vogliono rendere immune l’uomo dal male; vogliono illuminarlo, se questo è concepito come errore o come ignoranza; vogliono guarirlo e confortarlo, se è concepito come dolore; vogliono educarlo all'amore dej bene e condurlo alla dignità morale, se è concepito come cattiva volontà; vogliono tenerlo lontano dalla volgarità e dalla bruttezza con visioni di bellezza, con estasi che gli fanno trascendere la sua natura, e permettono che -un raggio divino penetri in lui.
S'ingannerebbe però chi da queste considerazioni generali fosse indotto a credere che nello scopo delle religioni primitive sia chiaramente definito il molteplice perfezionamento che la vita umana domanda. Pertanto ò detto avanti che il primitivo è tutto preso dalle necessità di rispondere alle più urgenti domande e a quelle che la sua cultura gli presenta. Egli deve affrontare, con quasi tutte le sue energie, le questioni pratiche, e non può quindi convenientemente considerare quelle teoriche che dovrebbero correggerle e guidarle. Ed è per questo che non vediamo » sciupare le sue deboli forze ad elaborare teodicee, quando il primitivo non à nemmeno conoscenza dèi contrasti e delle incompatibilità che travagliano i più progrediti sistemi religiosi. Il primitivo però, come l'uomo incivilito, per mezzo della sua religione afferma fede nella vittoria contro il male, e tanto più questa vittoria deve apparire lo scopo finale della sua religione, quando, secondo lui, è possibile un mondo scevro d'ogni male. La sua concezione della natura e dei limiti del male lo convince che la distruzione delle potenze maligne sia sufficiente, ’ perchè il bene regni indisturbato.
Mario Puglisi.
37
PERI5G/EIVRA DELL'ÀNIMA
L’ATTESA-'
. ■ La messe e passata, l'estate è finita e non siamo salvi! »
• Geremia 7/jo.
Leggere I Re ’9/9 a 13 e Matteo 6/2J a 34overo spirito umano! è vero che tutto ciò che è spazio lo spaventa. Sia che il precipizio si spalanchi a fianco del viottolo dove si posano i suoi passi, sia che la strada seguita se ne vada attraverso le contrade e attraverso la vita senza che si possa sapere dove conduca, sia che la durata degli eventi apparisca tale da doversi prolungare senza limiti visibili e certi attraverso il tempo, l’uomo prova la vertigine. Gli è che lui, che ha tante pretese e che, a sentire i suoi discorsi, è diventato il padrone della natura ed esercita sugli avvenimenti un’influenza quasi sovrana.
lui, la grande luce che rischiara le azioni e i pensieri, la grande forza determinante nell’attività di-questo mondo, proprio lui, lo spirito umano, incontra in se stesso una insufficiente fermezza. Lungi dal poter dire al nostro cuore, alla nostra sensibilità, come Napoleone al re Carlo IV di Spagna: «Appoggiatevi su di me, ho della forza per due »; è lui, lo spirito umano, che prova ripulsione per tutto ciò che dimora vago, perchè sente il bisogno di riposarsi al di fuori di se stesso, su qualcosa di fisso.
È davvero rivelatrice, a questo proposito, l’espressione conente «afferrarsi ad una speranza ». Una speranza è ben poca cosa; può essere fugace e può essere fallace, eppure il nostro spirito, al suo apparire, si affretta a lasciarsi trattenere da essa.
Davanti al mare avviene talora che i nostri occhi si compiacciano per un poco
di tempo a seguire l’agitarsi delle onde e a contemplare le creste spumeggianti che svaniscono l’una dietro l’altra in un modo del continuo rinnovato; ma ben presto.
(♦) Discorso pronunziato a Lione il 12 settembre 1915-
38
124
BILYCHNIS
per istinto, cerchiamo un punto dove fermare la nostra vista: una vela, un fumaiolo, un oggetto che galleggia e che rappresenta qualcosa di preciso in mezzo a tutta quell’acqua che cambia, senza requie, di forma e di colore.
Nel cielo quel che ci attira sono le stelle; ci piace conoscere il loro posto e ritro-varvele, ed è perchè non offre alcun punto fisso, alcun puntò familiare, che un cièlo coperto ci angoscia.
Davanti a noi, per i nostri progetti e pei nostri pensieri, che si tratti della durata che avrà ancora l’evento cattivo o del momento in cui si verificherà l’evento felice che auguriamo, ci è neccessario di scorgere un termine.
Allora, siamo compenetrati come da una quietudine.
Quanto è facile in questi tempi cogliere sul vivo le esigenze del nostro spirito e l'incapacità sua d’assegnare al nostro sforzo una meta troppo lontana, troppo incèrta! Per condurre la nostra resistenza sino alla fine della guerra, procediamo a sbalzi successivi, da un palo indicatore collocato in avanti a un altro palo indicatore riportato più lungi, e in queste condizioni ci troviamo più a nostro agio che se dovessimo tendere del continuo, senza venir meno, verso un punto ignoto. Sembra che operiamo, come se avessimo conservato l’atavismo delle tappe e delle stazioni di posta.
Parlando gli uni cogli altri, sulla base « d’informazioni autorizzate » oppure di propria nostra ispirazione, consigliati dal senso delle cose, abbiamo fissato la fine della guerra successivamente alla primavera, o verso giugno perchè gli uomini fossero liberi al momento dei raccolti; poi al termine del primo anno di guerra oppure per celebrare la vittoria della Marna; poi prima che ricominciassero le pioggie e che venisse l’inverno.
E le messi sono state riposte, l’estate è passata; e non ne siamo ancora fuori.
I discorsi che si fanno in questi momenti concordano nel dire che, per giungere al fine delle ostilità, abbiamo ancora da contare non meno di un anno.
I.
Nel subire questo regime tormentoso dell’attesa e delle sue delusioni — che, per la nostra natura morale così gracile, il nostro spirito s’ingegna di attenuare frazionando la prova — siamo minacciati di cascare sopra scogli, dei quali non v’è alcuno che non abbia sentito, in un’ora o nell’afra, la pericolosa attrattiva.
La delusione opera una frattura in noi. Sotto il suo urto, il’ nostro contegno è sconvolto, la tensione regolare del nostro sforzo cade, l’armonia delle nostre facoltà può essere infranta, ed eccoci in balia della ventura.
È la stanchezza che sta in agguato col suo tremendo: « A che. vale! » Il tempo è trascorso; il termine previsto è passato c mancato. L’ispirazione subdola e malefica si presenta a molti: « Oramai, ciò m’è indifferente, me ne disinteresso! »
Oppure potrebb’essere V esasperazione, che non sa più badare ad alcuna considerazione e se la prende a ragione o a torto colle persone e colle cose a motivo della nostra imperizia, della nostra imprevidenza o della nostra ìnintelligenza.
39
PER LA CULTURA DELL’ANIMA
125
Oppure ancora la delusione potrebbe condurre alla disperazione: davanti a noi, intorno a noi tutte tenebre, nessuna luce. Non tacciamo più assegnamento su nulla di ciò Che fa vibrare, di ciò che rende pienamente felici.
Quel che ci salvaguarderebbe contro questi pericoli, se turbassero il nostro spirito, è il pensiero che siamo troppo personalmente afferrati dall’azione in corso, vi siamo troppo direttamente interessati. Non siamo spettatori che guardano e, dubitando degli altri, possono non credere al successo o rinunziare a tendervi coi voti, colle preghiere, con tutto il pensièro. Siamo tutti attori nel dramma che sta svolgendosi, ed abbiamo qualcuno dei nostri in prima linea; è torse possibile scoraggiarsi in piena azione?
Un altro scoglio sarebbe V agitazione. Essa prende facilmente il sopravvento quando si è lontani dall’azione principale. E ne abbiamo veduti di quelli che correvano qua e là, avidi di vedere o di sapere qualcosa, appostati alla caccia di notizie, agitati da esse se erano importanti, agitati prima ancora di conoscere, pel .timore che fossero cattive o per la speranza che fossero buone. Sempre sull’allerta, lo spirito errante, sembravano agitarsi nel vuoto, e, quando-si decidevano a provare di occuparsi, non potevano riuscire ad adottare un lavoro e passavano perdutamente da un’attività all’altra, senza che alcuna avesse il tempo d’imporre loro la propria disciplina e d’essere da loro posseduta.
E dall'agitazione non v’è altro che possa salvaguardarci se non l’attività regolare, in cui dobbiamo ostinarci nonostante le sue difficoltà o la sua monotonia. I modi di far del bene e di adempiere la propria parte di utilità —- per quanto piccola ed oscura questa parte possa essere — nella grande opera della patria, questi modi, dico, sono tanti che ognuno può trovare il lavoro confacente ai propri gusti.
Ecco uno scoglio ancora: Y ansietà. Come pararla? Essa nasce dalla stessa passione colla quale c’interessiamo agli avvenimenti e dal fatto che in questi avvenimenti siamo impegnati, e dal fatto ancora che abbiamo in pericolo degli esseri infinitamente cari. E l’attività meglio regolata e più assidua non ci salverebbe, dall’ansietà, poiché questa potrebbe persistei e nel nostro cuore serrato quand’anche le nostre dita e la nostra intelligenza fossero occupate.
Ma non vi pare che, in verità, da un anno s’è operata in noi una trasformazione facile a constatarsi? E diminuita di molto la nostra tensione e non siamo più febbrili; l’ampiezza degli eventi ha rassicurato la nostra sensibilità ed esaltata la nostra anima.
n.
Allontanati i pericoli dell’attesa, noi potremo valerci dei suoi benefici tanto meglio quanto più saremo premuniti contro di essa.
In molte pagine della Bibbia e della storia religiosa dell’umanità sono dimostrati i vantaggi, per la vita profonda, del deserto, della solitudine. L’attesa è, in certo qual modo, il deserto. Essa, in questo momento, è formata di vari elementi: la lontananza di molti d’infra coloro la cui compagnia ci era più preziosa; l’incer-
40
I2Ó
BILYCHNIS
tezza del domani per quanto concerne gli eventi militari. Come il deserto, l’attesa ci lascia molto vivere sopra noi stessi, sulla nostra forza d'anima.
E l’attesa è anche il silenzio, di cui avete presente ciò che ha detto con tanta potenza il grande scrittole belga (i). Coloro, le parole dei quali rappresentavano una parte notevole della nostra esistenza, si sono taciuti per molto tempo o per sempre. Le lettere di coloro che sono lontani ci sembrano sempre troppo lente a venire. Non ricerchiamo in questi tempi il rumore e le distrazioni. È nella natura delle cose e nella natura nostra di.ricercare adesso la solitudine e il silenzio.
Tanto è vero che nell'attesa anche V attenzione s'intensifica e che vi sono delle scoperte proprie appunto dell'attesa.
Il pensiero, abitualmente distratto, disperso, che passa da una cosa ad un’altra e corre sempre dietio quella più urgente, può finalmente abbandonarsi alla riflessione., E, nella storia del passato come al giorno d’oggi, è noto che delle soluzioni di problemi matematici o morali, sono state trovate in questo modo; esse sono saltate in mente a chi stava aspettando un mezzo di trasporto, o una persona poco precisa ad un appuntamento, o una notizia.
E ehi non ha fatto questa esperienza: che appunto quando si attraversa un periodo d’immobilità, di attesa, .si ritrova quello che s’era dimenticato? Ciò che era diventato incosciente risale dinanzi alle facoltà destate, non appena la fretta d’uno spirito ad ogni istante sollecitato non le scompiglia più.
Lentamente, tranquillamente si fa in noi, in simili momenti, una rivista, un inventario dei fatti e delle idee che ci hanno occupati abbastanza perchè ne abbiamo afferrato l’interesse, troppo poco perchè l’abbiamo esaurito.
E, tra queste voci che risalgono verso di noi, c’è quella della nostra coscienza. La nostra coscienza è la grande timida; essa non cessa d’esprimersi liberamente e francamente, ma non alza mai la voce; essa è tal persona la Cui dignità è intera e che esige un pieno rispetto. Quando i rumori esterni e anche il tumulto delle impressioni della nostra sensibilità si sono calmati, allora si ode, come una musica persuasiva, quella che maggiormente incanta la nostra natura per la quale è fatta: la voce della coscienza. Per quante peisone può avvenire in quei momenti una scoperta totale o parziale! E, se ci compiacciamo ad udire questa voce, a lasciarle dire tutti i suoi secreti, a lasciarle svelare tutto il suo sentimento vivo, perentorio dell’invisibile e dell’irragionato, in quelle ore di raccoglimento acquisteremo la convinzione che Dio è vicino, che il bene è realizzabile e che la vita non ha fine.
>. <*•
Colui che aspetta può essere comunicativo. Non vi è difatti un modo solo di trarre profitto dall'attesa, cioè isolarsi. Si può anche, e senza perdere i benefìci della solitudine, abbandonarsi a quel passatempo dell'attesa che è la conversazione.
(i) M. Maeterlinck, Il tesoro degli umili. Capitolo sul Silenzio.
41
PER LA CULTURA DELL’ANIMA
127
Uno dei benefìci dello stato d’attesa in cui ci troviamo da tanti mesi è certamente di avei fatto la conoscenza di molte persone. Non era nelle nostre abitudini d’entrare in rapporto coi compagni di lavoro, coi fornitori, coi vicini, la cui vita scorreva a fianco o in traverso della nostra senza che ci avessimo badato. Nel sopravvento preso dall’esistenza collettiva sull’esistenza individuale, abbiamo compiuto una specie di fusione con quegli sconosciuti.
Lo stato d’animo della trincea — la buona volontà reciproca e la limitazione allo stretto necessario delle distanze gerarchiche — ha avuto dalle nostre parti la medesima spontanea fioritura.
Laggiù è quel giovane ufficiale che, uscendo dal camminamento per dare l’assalto, invece di sguainare la sciabola, .prende un fucile o una baionetta, al pari dei suoi uomini, i quali gli sono grati di voler essere, così, simile a loro; altrove è quel generale che, colle insegne del suo grado dissimulate sotto un impermeabile, è preso da due cuochi per un compagno e si presta benevolmente ad aiutarli nella loro corvè (1) sino al momento in cui, riconosciuto e salutato da un ufficiale, egli calma paternamente la confusione dei soldati; altrove è quél gruppo d’ufficiali prigionieri che, meglio serviti dei sótt'ufficiali, e ricevendo del resto più frequentemente da casa dei pacchi di cibarie,, mandano ogni giorno un intero loro pasto ai sott'uffi-ciali; altrove ancora è quel colonnello che, nei pochi giorni della sua licenza, lascia là famiglia per recare personalmente ai genitori d’un soldato caduto l’espressione della sua simpatia, della sua ammirazione e della sua gratitudine:- ad unire cioè il suo lutto al loro lutto.
Qui, dove noi siamo, le manifestazioni, per essere diverse, esprimono i medesimi sentimenti, i medesimi riavvicinamenti.
E dalla conoscenza di persone che non erano nelle nostre abitudini e che sono molto diverse di noi, abbiamo ricavato una conoscenza più approfondita di noi stessi. La riflessione ci fa sempre afferrare in noi solo ciò che può essere sentito dal di dentro; è necessario, per completare quelle nozioni, che abbiamo imparato, osservandolo presso gli altri, ciò che può solo essere osservato dal di fuori. Ora, noi siamo degli esseri Complessi. Non rivivono in noi i soli nostri parenti immediati, non dipendiamo soltanto dal nostro ambiente abituale; vi sono, nel nostro carattere, dei lineamenti che ci vengono da lungi, da qualche antenato, da qualche contatto casuale. E, per giungere a conoscerci, non basta osservare coloro che ci circondano di solito; occorre aver guardato degli esseri molto diversi, molto vari; nei quali non avremmo mai pensato di cercare e di trovare degli elementi della nostra figura morale. Soggiungo che il trovarci tanto simili a loro non può che aumentare la nostra inclinazione ad essere loro devoti.
Ed ecco un risultato forse più meraviglioso ancora dei rapporti cordiali che si sono stabiliti: noi, così sospettosi riguardo agli sconosciuti e anche forse riguardo ai nostri amici, e che avremmo volentieri pensato che la diffidenza era una delle migliori
(1) In gergo militare certi «servizi comandati » si chiamano colla parola francese corvéè, italianizzata in corvè. (N. d. T.).
42
H« nini Ul HUÍ'IH" mi .1
128 . BILYCHNIS
lezioni della vita, ecco che diventiamo fiduciosi. V’è la fiducia di primo impulso, slancio del cuore verso coloro che ci sono simpatici; essa si sbaglia talvolta grossolanamente e può svanire colla medesima rapidità che l’ha vista nascere; e v’è quella fiducia* che ci compenetra dall’esterno. Non esiste una fiducia incrollabile all’infuori B • di questa fiducia acquisita. Attraverso i difetti e le difese degli uomini abbiamo
preso contatto coi buoni procedimenti ed i buoni desideri del loro cuòre. E l’accrescimento della nostra fiducia nell’uomo fa crescere la nostra fiducia in Dio. Dio, avendo voluto che fossimo intimamente uniti ai nostri fratelli, ha fatto in modo che siamo condotti alla Sua conoscenza gli uni per mezzo degli altri, che Lo serviamogli uni presso gli altri e che Gli portiamo dei sentimenti che si sono arricchiti e sviluppati, esercitati e rinfrancati nei rapporti coi nostri fratelli.
♦ * *
Si producono in noi trasformazioni sotto l’influenza dell’azione. Le trasiorma-zioni prodotte dall'attesa sono diverse. L’azione c’indurisce, ci acuisce e ci trascina: lotta, essa ci forgia per la continuità della lotta; emulazione, essa ci la acquistare le qualità preminenti di coloro coi quali ci troviamo in competizione o in collabo-razione.
Altra cosa è l’attesa. Essa ci conduce a svilupparci in un modo più personale, nella nostra propria direzione,^— intendiamoci bene— non voglio dire più egoisticamente, ma più originalmente, in tal modo che appunto le qualità a noi proprie, i doni nostri più ricchi e le profondità stesse del nostro io si sviluppano e che può essere con quelle doti costruita una personalità non fittizia, ma potente.
Noi possiamo assistere al pièno sviluppo dell’essere intimo. Esso cresce nell'attesa dell'evento che vogliamo, nell’attesa cioè del ritorno, nell’attesa del grande ritrovo; esso cresce l’essere intimo, pieno d’un vigore magnifico, fortemente religioso, davanti a Dio, nella Sua grazia e per la Suà gloria.
Edoardo Soulier.
43
IL CODICE DI DIRITTO CANONICO
La lungamente attesa codificazióne del Diritto Canonico — cioè, peri profani, delle norme di disciplina e di governo emanate lungo secoli di esistenza dai Concili e dai Papi della Chiesa cattolica — è ora condotta a termine, come è stato annunziato da Benedetto XV nel Concistoro dello scorso dicembre: ed il Codice sarà fra breve promulgato.
Lo scopo di questa codificazione è indicato nella stessa allocuzione pontificia, con le parole: « ...le leggi e gli ordinamenti emanati dalla Chiesa... attraverso i secoli della sua esistenza, si erano accumulati in tal copia, che una piena- conoscenza di essi era divenuta oltremodo difficile anche ai più versati nel diritto (Canonico). Inoltre molte disposizioni canoniche, per le mutate condizioni dei tempi, più non rispondevano ai bisogni, ed esigevano di essere prudentemente ed opportunamente rinnovate. Affinchè quindi meglio constasse... quali leggi e disposizioni vigessero nella Chiesa, conveniva redigere un Codice delle leggi ecclesiastiche il quale potesse andar facilmente per le mani di tutti; e già da tempo lo attendevano, non solo l'Episcopato ed il Clero, ma quanti si dedicano allo studio del Diritto Canonico... Or dunque bene a ragione confidiamo che quest’opera così importante ed opportuna varrà sempre più a consolidare la disciplina ecclesiastica, poiché, diffondendo la conoscenza delle leggi della Chiesa, faciliterà non poco la loro osservanza, con grande frutto delle anime e incremento della Chiesa medesima... ».
Che il desiderio di tale codificazione fosse generale, e specialmente vivo nel ceto degli studiosi, e più ancora degli $(«-denti di Diritto canonico, è del tutto esatto,, e spiegabilissimo specie in questi ultimi, che, gli ecclesiastici non meno che i laici, professano tenacemente il principio del « minimo sforzo », cioè del minimo studio. Eppure, considerando il Iato scientifico della questione, vi è motivo di lamentare .che gli studenti ecclesiastici vengano per tale riforma ad essere privati di una delle rare occasioni, nei loro studi, di rendersi conto dell’elemento storico e umano che s’intreccia nello sviluppo della società religiosa. Giacché con la annunziata codificazione, le disposizioni giuridiche del diritto canonico verranno ad essere presentate ai futuri ecclesiastici come la emanazione della volontà del legislatore, avulse cioè dalle vicende e contingenze storiche di luogo e di tempo che le hanno motivate e dai bisogni delle comunità che le hanno provocate. E ciò sarà un danno, non solo per la formazione della coltura storica e sociale dei candidati alle posizioni più elevate e di maggiore responsabilità nella Chiesa (è noto che la làurea in diritto canonico è condizione indispensabile o quasi, per la nomina alle funzioni gerarchiche di vescovi, vicari e&nerali, ecc., e per molti uffici nelle ongregazioni romane, nella Diplomazia pontificia, ecc.), ma anche più perchè, venendo il diritto ecclesiastico presentato, ad essi come incarnazione della volontà della Chiesa — cioè, prossimamente e immediatamente, del Pontefice in cui nome
44
BILYCHNIS
il codice canonico fu esteso e promulgato — l’opera secolare dei cristiani associatisi nella Chiesa, alla quale risale, oltreché le disposizioni del diritto canonico, la stessa situazione giuridica fatta ai Concili ecumenici e al Vescovo di Roma, he resterà dissimulata e obliterata, insieme alla origine democratica dell’autorità stessa. Sarà, insomma, un trionfo del concetto monarchico assoluto nella Chiesa, e la soppressione di un incentivo allo studio dell’evoluzione storica della società cristiana e del catolicismo.
Nè si dica che tali conseguenze non si sono verificate con la codificazione dei diritti civili nelle nazioni moderne. Giacché — anche lasciando da parte che nelle università dello stato esistono cattedre di storia del diritto, che mancano e mancheranno nelle università pontificie — la differenza sostanziale è questa: Che i codici civili sono notoriamente l'emanazione dei parlamenti, e sopratutto delle camere basse o dei deputati, che hanno pei- mandato del popolo discusso articolo per articolo, e approvato o rifiutato le disposizioni non credute corrispondenti ai bisogni e alla volontà della nazione, laddove la codificazione del diritto canonico è stata fatta da una commissione di cardinali di nomina pontificia, senza che i vescovi avessero in essa altra parte che quella di essere autorizzati, anzi invitati, ad esporre quelle che a loro giudizio sono le modificazioni da introdurre. Il popolo cattolico è stato tanto lontano dall’in-fluire in modo alcuno sulla elaborazione di quel codice che pure dovrà domani essere il suo codice, che la maggior parte dei fedeli ne ha inteso parlare per la prima volta il 3 dicembre 1916... quando Benedetto XV ha loro annunziato che il Codice del Sacro Romano Impero Pontificio è bello e pronto per essere promulgato. Inoltre, mentre tutti i sudditi di una nazione sanno che il Parlamento ha piena autorità non solo di modificare gli articoli del Codice civile, ma anche quelli dello Statuto fondamentale, e che di fatti l'opera di interpretazione, correzione, modificazione delle leggi è affidata ai rappresentanti del popolo benché in armonia con gli altri organi della sovranità, c procede continuamente alla luce del sole e con la cooperazione di tutte le forze vive della nazione..., gli studenti di Diritto canonico conosceranno perfettamente, anche prima di leggere una pagina del Codice di Be
nedetto XV, che il popolo cristiano non sarà ammesso a modificare uno iota del suo contenuto, più che sia stato ammesso ad esprimere, nonché la sua volontà, almeno i suoi legittimi desideri, nel periodo della sua elaborazione.
Ecco perchè il Codice di Benedetto XV sarà, per la forma stessa della sua promulgazione e per l’autorità di cui sarà emanazione, un monumento di autocrazia, e uno strumento di rafforzamento del despotismo papale: la corona e l’attuazione nell’ordine del governo, del processo di centralizzazione intensificatosi nel 1870 con la proclamazione non solo dell’infallibilità Pontificia, ma, ricordiamolo bene, anche del Primato universale del Pontefice Romano, cioè della sua autorità di reggere e governare i fedeli di tutta la Chiesa « immediatamente », senza l’intermediario dei loro vescovi immediati.
Se prima ancora della avvenuta promulgazione del Codice di Diritto Canonico è possibile formulare queste critiche — che ■non sappiamo se e fino a qual punto saranno condivise dai giuristi, e dalle persone che s’interessano alle diverse manifestazioni del fenomeno religioso — viceversa, non è possibile, fino a quel momento, apprezzare l’importanza delle riforme che, secondo fu annunziato da Benedetto XV, saranno incorporate nel nuovo •Codice « di molte disposizioni canoniche che per le mutate condizioni dei tempi più non rispondono ài bisogni, ed esigono di essere prudentemente ed opportunamente rinnovate ».
Se infatti il criterio delle mutate condizioni dei tempi e delia mancata rispondenza ai bisogni potesse servire come indice delle riforme che vi è motivo di attendersi, esso importerebbe nulla meno che l’abolizione del 90 per cento dell’attuale diritto canonico: e non abbiamo alcun motivo di sperare che l’opera di Pio X e di Benedetto XV abbia a passare alla storia come quella di due rivoluzionari triregnati. E d’altra parte, se si dia un’ interpretazione saggiamente restrittiva agli avverbi prudentemente e opportunamente, v’è a temere, che anche i modesti e legittimi voti che monsignor Lombardi esprimeva dalla sua cattedra di diritto canònico nell’università Pontificia del Seminario Romano, alcuni anni or
45
NOTE E COMMENTI
I3I
sono, cioè « che si abrogasse il divieto agli ecclesiastici di lasciar crescere sulla loro faccia la barba ed i baffi: ciò che li fa apparire come tanti eunuchi o cocchieri travestiti » possano apparire quali riforme talmente audaci, che sarebbe follia io spararle.
« Prudentemente e opportunamente » e avuto riguardo alle mutate condizioni dei tempi, si potrebbe — non diciamo « secondo noi ». chè potremmo essere sospettati... ìli poca prudenza e di minore opportunità, ma secondo il giudizio di migliaia di ecclesiastici e di laici in perfetta regola rispetto alle autorità ecclesiastiche, i quali non cessano di dirlo, a quattr’occhi, a chiunque non è sospettato di spionaggio — sopprimere, oltreché l’offesa recata alla natura dei sesso maschile dal divieto di barba e baffi, l’offesa ben più grave fatta ad ambedue i sessi con la legge del celibato ' ecclesiastico, che potrebbe con gran vantaggio della morale cattolica, e specie ecclesiastica, essere resa temporanea, 0 meglio abolita come nelle altre Chiese cristiane.
« Prudentemente e opportunamente, e con riguardo alle mutate condizioni dei tempi » si potrebbe, senza il minimo danno alia coscienza dei fedeli, ridurre del 99 per cento l'elenco interminabile delle censure ecclesiastiche «latae et ferendae sentcn-tiae » nonché delle scomuniche « simplices et vitandae », dei casi « riservati al vescovo o al papa » è simili anticaglie, considerato che le « mutate condizioni dei tempi » non permettono ai fedeli di accorgersi della loro esistenza, e al .clero stesso di prenderle su! serio. Come’ si potrebbero anche — sempre a titolo di esemplificazione — abolire un'infinità di prescrizioni e di divieti, a cominciare da impedimenti di consanguineità fino al quarto grado, e finire al... precetto della prima Comunione Crima dell’uso della ragione, che non anno altro scopo che o d’impinguare le
casse della Santa sede o delle Curie vescovili per mezzo della vendita delle-« dispense » o di assicurare alle autorità ecclesiastiche qualche occasione di far uso, fuor di posto, della loro autorità, e dar loro il senso di essere i depositari dei doni c delle grazie divine.
E non sarebbe anche prudente e opportuno, e un doveroso riguardo alle condizioni-dei tempi, mutare radicalmente il sistema di reclutazione del clero nei seminari, e più ancora dei frati negli ordini religiosi, e inoltre scarcerare tante migliaia di fanciulle irretite nei conventi di clausura o da sè imprigionatesi in qualche periodo di esaltamento religioso o di debolezza e disperazione, impedendo in avvenire ad altre illuse di cadere nel baratro?
Ma la prudenza e opportunità della « Santa Sede », benché di essa sia fatto garante nulla meno che lo Spirito Santo, manca della sola garanzia di èsser proporzionata e corrispondente ai bisogni e alle condizioni dei tempi che possa esser vantata da ùna legislazione, cioè quella di essere una emanazione cosciente della volontà espressa da un popolo, e di rispondere agli interessi reali da esso liberamente espressi per mezzo dqj suoi rappresentanti.
Nessuno quindi che dei bisogni e delle condizioni dei tempi moderni abbia una visione realista e insieme spirituale, senza pregiudizi di chiesa o di nazione, potrebbe rimanere disilluso se la promulgazione del Codice di Benedetto XV — attende egli forse per presentarlo al mondo cattolico la squilla dell’angelo della Pace? — dovesse, anziché una riforma, apparire come l’ultimo logico risultato della auto-proclamazione pontificia del settembre, 1870. degno « pendant » al risultato di un’altra auto-proclamazione imperialistica, quella che pochi mesi dopo impose alla Germania l'egemonia del prussianismo, e tanti dolori preparò alla Umanità.
Giovanni Pioli.
46
FISAII E>H taasffi
s>
II
H
CRONACA BIBLICA
IV.
ANTOLOGIA DELL’ANTICO TESTAMENTO
In Germania si ha cura di rendere noti alle persone colte i precipui resultati della scienza circa l’Antico Testaménto, in modo facile e piacevole. A questo scopo alcuni valenti studiosi hanno offerto ai loro connazionali una raccolta degli « scritti dell’Antico Testamento, scelti, tradotti e commentati modernamente » (Die Schriften des Alten Testament in Auswhal neu übersetzt und für die Gegenwart erklärt. Gottinga, Vandenhoeck, 1909-1915; sette volumi cospicui, M. 34). Questa grandiosa antologia consta di lunghi estratti da ogni libro registrato nel canone (luterano) dell’Antico Testamento, trascelti e disposti in tale ordine da costituire un complesso di documenti che bene legano e porgono ai lettori un’idea viva e chiara dell'evoluzione sociale e religiosa nella storia degli Ebrei. La traduzione tedesca è nuova e rispondente alle norme della critica più recente; reca inoltre l’indicazione dei vari supposti strati redazionali delle singole parti dell’Antico Testamento. Non mancano accurate introduzioni e note, sobrie e succose. L’intelligenza di ciò che ha tratto con la geografia e l'archeologia è agevolata bellamente da carte e figure, nitide e precise. Anche la veste tipografica non lascia nulla a desiderare. U merito scientifico di questa pubbJicaziohe spetta al celebre
prof. Gunkel e ad altri della sua scuola; della quale si possono rifiutare con ragione certe congetture, ma conviene lodare il metodo scientifico.
ARCHEOLOGIA BIBLICA
In un articolo, dove si parla delle recenti esplorazioni archeologiche palestinesi, pubblicato in The Harvard Theological Review (anno 1915, pp. 52'5-552), leggiamo che fu trovato un campione del talento usato nel tempio di .Gerusalemme: una pietra di forma sferica, recante una rozza iscrizione, del peso di chilogrammi 42 circa. Essendoci noto il peso ordinario del talento presso -gli Assiri, si può così stabilire che il talento ebraico lo superava di un terzo. ITche giova a, risolvere una difficoltà. Infatti nella Bibbia (II Re 18, 14) Si legge che Sennacherib «impose a Ezechia re di Giuda un tributo di 300 talenti di argento >; ed in una iscrizione“^! di una stela assira, conservata nel Museo Britannico, nella quale si vanta pomposamente il trionfo di Sennacherib sopra Ezechia, si afferma che questi pagò al vincitore 800 talenti di argento. La differenza del computo in questi due testi antichi si spiega ora facilmente, e sul fondamento di cosa certa.
Notiamo che alla collezione tedesca, popolare ma pregevole, intesa a illustrare con una serie di monografie storiche. il paese della Bibbia, P. ' Thomson ne ha contribuito una dal titolo: Monumenti
47
TRA LIBRI E RIVISTE
133
della Palestina ài tempo di Gesù (Das Land der Bibel: Il B., Dcukmàlcr Palästinas aus der Zeit Jesu. Lipsia. Hinrichs, 1916. pp. 39. in-8°). Le notizie raccolte dall’A., che è un dotto palestinologo, non sono copiose nè peregrine, ma chiare e precise.
GIUDAISMO ANTICO E MODERNO
Per lo studio storico del Nuovo Testamento ha grande importanza la conoscenza del Giudaismo coevo. Per ciò che riguarda il Giudaismo ellenistico, in generale gli studiosi apprezzano giustamente il valóre delle ricerche papirologiche ed epigrafiche fatte nel mondo greco-romano; per via delle quali l’esegesi neotestamentaria certo riceve nuova luce. Ma quanto al Giudaismo palestinese latente nel Nuovo Testamento, E»ochi sono gli studiosi che concedano alla etteratura rabbinica la dovuta importanza, come fonte di dati storici, linguistici c teologici, giovevoli a scorgere meglio l’intima natura giudaica degli scritti neo-testaméntari. Vero è che già taluni studiosi insigni spesero lunghi anni indagando pazientemente l’antica letteratura rabbinica, per raccogliervi elementi di utile confronto con il Nuovo Testamento. Se non che il materiale da essi radunato abbisogna di essere con più cura vagliato, aumentato, e coordinato con quello rinvenuto e da rinvenire altrove; in guisa che ne esca la fisionomia viva e intera di quel Giudaismo nel cui seno i vangeli c gli altri scritti neotestamentari germo-gìiarono. Così dice il valente studioso
. Box, professore, al « King’s College » di Londra, in un dotto articolo pubblicato in The Expositor (luglio 1916, pagine 1-25). Noi pure crediamo che il compito più urgente dell’esegesi del Nuovo Testamento, ora sia la ricostruzione del suo ambiente giudaico in ogni aspetto; e che a questo scopo si debba dai dotti cristiani studiare e valutare più di quanto non si suol fare l’antica letteratura rabbinica; nella quale, benché posteriore al Nuovo Testamento, è custodita pure l'antica e genuina tradizione farisaica in certa misura, rispecchiante la mentalità e il pensiero religioso de’ Giudei ,contemporanei di Gesù e degli Apostoli.
Anche la conoscenza del Giudaismo moderno giova a meglio penetrare nella storia religiosa dell’Ebraismo antico, e quindi allo studio della Bibbia. Ad esempio, non è cosa superflua il prendere cognizione
del programma che la * Società dei rabbini liberali in ’Germania » ha formulato recentemente in un congresso tenuto a Posen; il quale programma, che noi leggiamo nel periodico luterano tedesco Die Christliche Welt (anno 1916, col. 478 e seguenti), rappresenta presumibilmente l'atteggiamento spirituale degl'israeliti liberali anche fuori di Germania, ossia, degl'israeliti d’ogni paese più colti c meglio consapevoli delle esigenze religiose del tempo nostro. Non possiamo riferire per intero quel lungo programma di religione giudaica moderna, notiamo soltanto alcune dichiarazioni fondamentali.
Ivi è detto che « il giudaismo liberale vuole serbare l’essenza della religione israelitica, riposta in eterne- verità e precetti morali fondamentali che, per destino della stojia, hanno a costituire la religione unica mondiale »; in un tempo, come ognuno intende, ancora lontano. Tali verità essenziali si assommano in questa dottrina: ■ i° che esiste un Dio unico e solo, puramente spirituale, santo, giusto e misericordioso; 20 che l’uomo è formato a imagine di Dio, ha un'anima immortale; può e deve con le sue forze conquistarsi la libertà morale, tendere e pervenire a un grado vie più elevato di perfezione spirituale; 30 eie gli uomini tutti quanti sono figliuoli di Dio e hanno da lui nel mondo il compito di sempre più avvicinarsi al messianico ideale di pace, per via della verità, della giustizia e dell’amore ». Si aggiunge che « al popolo israelitico è stato intimato dalla Provvidenza il dovere di diffondere la sua religione, serbata nella sua pura forma originaria; di renderle testimonianza con il vivo, esempio . di opere generose, e così adoprarsi a che il regno di Dio divenga realtà terrestre ». Il fondamento dei giudaismo liberale riposa sulla « Scrittura sacra, sulla letteratura ebraica postbiblica, nonché sui postulati della moderna filosofia religiosa ». E poiché del pari che ogni religione storica 1‘Ebraismo ha dovuto esprimere la sua • dottrina teologica e morale con idee e cose propoizionate alle condizioni intellettuali e sociali mutevoli di età in età, il giudaismo liberale, conscio di ciò, mentre si propone di serbare integra la sostanza della religione israelitica antica, stima come suo diritto e dovere il repudiare o modificare concetti e pratiche serbanti l’impronta di tempi che passarono e non ritorneranno più. Il giudaismo liberale
48
^34
BILYCHNIS
vuole osservate le fèste religiose tradizionali nonché quella del .sabato. Rigetta la poligamia e mantiene, con certe limitazioni e cautele, il diritto del divorzio. Al rito della circoncisione il giudaismo liberale non osa rinunciare!
Quando, dunque, i seguaci più colti del giudaismo penseranno a sostituire un altro rito simbolico più umano alla pratica della circoncisione, barbara, penosa c anche gravemente pericolosa, ignominiosa e appena tollerabile presso le tribù africane, tra le quali appunto ebbe origine?
LA QUESTIONE SINOTTICA
La questione sinottica nasce, come si sa, dal fatto che i tre primi vangeli — chiamati pure sinottici — contengono uno strano miscuglio di rassomiglianze e dissi-miglianze reciproche. A risolvere tale questione fa d'uopo trovare una teoria genetica dei tre testi evangelici che, fondata sull’analisi critica di essi, ci spieghi soddisfacentemente il loro mutuo e complesso rapporto letterario. Circa il problema sinottico si è scritto molto a’ tempi nostri, però non sono molti i risultati accettati concordemente, o quasi, dai più autorevoli studiosi di esegesi evangelica. Quali siano può vedersi da chi legga la monografia intitolata: Fonti dei vangeli sinottici (Sources of thè synoptic gospels. Londra, Macmillan, 1915; pp. xiv-263, in-8®) di C. Patton, giovane studioso americano. Consta di due parti: nella prima (pp. 3-120) sono additate le principali conclusioni prevalenti ora tra gli studiosi più competenti; nella seconda (pp. 123-246) l'A. fa un particolare raffronto tra Matteo e Luca con l'intento di lumeggiare vie meglio una speciale ipotesi.
Le conclusioni esposte sono in sostanza le seguenti: Matteo e Luca — lasciati da parte i racconti intorno alla infanzia e resurrezione di Gesù — dipendono da Marco e riproducono le linee schematiche della sua narrazione. Però l'uno e l'altro hanno modificato variamente il materiale desunto da Marco, sopra tutto con l'intento di appagare le esigenze della coscienza cristiana, che già mal soffri va voci e accenni non rispondenti alla sublimità della figura del Salvatore. Matteo ne ha pure tralasciato alcun che, e Luca vi ha fatto trasposizioni. L’esame dei passi di Marco riprodotti, con modificazioni.
da Matteo e da Luca dimostra che l’uno e l'altro si giovarono di un documento sostanzialmente identico: ^superflua è l’ipotesi che Matteo e Luca abbiano utilizzato un vangelo di Marco — un proto-marco — diverso da quello che è pervenuto a noi. Matteo e Luca si giovarono anche di un’altra fonte scritta, designata dagli studiosi con la lettera Q-, giacché in tedesco « fonte » si dice Quelle. Tale documento, contenente detti attribuiti a Gesù, dovett’essere scritto originariamente in aramaico, cioè nella lingua stessa parlata da Gesù. Però Matteo e Luca, a quanto Pare, si giovarono di una traduzione greca.
robabil mente anche Marco conobbe quel documento, ma in una forma primitiva ovvero anteriore a quella più ampia che già aveva quando fu utilizzato da Matteo e da Luca. L’ordine della preziosa Q. è serbato meglio nel vangelo di Luca. Partendo dall’ipotesi che la Q. greca usata da Matteo fosse derivata da un testo aramaico non uguale a quello da cui fu tratta la Q. utilizzata da Luca, si può eliminare, in certa misura, la supposizione fatta da molti che Matteo e Luca abbiano attinto eziandio da altre fonti scritte: questa è la congettura illustrata dal P., non senza abilità, nella seconda parte del suo lavoro mediante l’analisi di certi passi di Matteo e di Luca. Il P. merita lode per avere sintetizzati i precipui resultati della critica moderna circa la questione sinottica con molta precisione, sagacia e chiarezza.
CIRCA SAN PAOLO
Nél volumetto sul « Giudaismo * e san Paolo » (Judaism and Si. Paul. Londra, Macmillan, 1914; pp. IV-240, in-8°) il dotto israelita liberale C. Montefiore si propose di dimostrare che l’Apostolo, nelle lettere attribuitegli, si palesa poco cognito del Giudaismo. Già il critico olandese Van Manen rilevò in esse questo presunto difetto; e da ciò trasse la conclusione che Paolo, nato e istruito nel Giudaismo, non può essere l’autore delle lettere che vanno sotto il suo nome. Il Montefiore, da buon conoscitore del Giudaismo talmudico, tratta tale questione più a fondo che non il dotto critico, cioè, reca in apparenza migliori prove per affermare la pretesa ignoranza di cose giudaiche nell’epistolario paolino, però ne trae una conclusione opposta: non la genuinità delle lettere ma l'educazione giudaica di san Paolo
49
TRA LIBRI E RIVISTE
135
si può negare. I! M. non ignora ciò che negli Atti degli apostoli viene narrato circa san Paolo, ma crede che tali notizie siano fondate su di una tradizione poco solida, ovvero, male interpretata. Secondo lui. Paolo ha vissuto a lungo non a Gerusalemme ma nella città di Damasco, ed ivi ha imparato quelle poche e non precise cognizioni giudaiche ch’egli aveva. Il M. richiama l'attenzione sul fatto che Paolo non conosceva il sommo sacerdòte Anania (Atti, 23, 5), e su alcuni passi della lettera ai Galah, da cui si dovrèbbe inferire che Damasco, e non Gerusalemme, gli era familiare. -«La religione precristiana di Paolo — dice il M. — è più misera, più fredda e più pessimistica che non -il Giudaismo rabbinico » (p. 126). Ma, pur tacendo altre domande lecite, si può chiedere: conósciamo noi veramente il Giudaismo rabbinico del tempo in che Paolo visse e insegnò? Il M. candidamente confessa che con i ragguagli fornitici dalla letteratura talmudica non possiamo rico-strurre con sicurezza e compiutezza il Giudaismo del primo secolo cristiano. E allora? Lo studio accurato, pieno di erudizione e di dignità, che il M. ci offre sul Giudaismo e san Paolo, rischiara le nostre cognizioni circa il Giudaismo, ma non quelle circa l’Apostolo delle genti, .la cui figura è davvero un formidabile enigma della storia umana.
Il -£ae- G. Zampini, conscio che « a Paolo di Tarso 'dobbiamo la prima e più ampia e profonda esposizione della complessa dottrina del Cristianesimo », in un volumetto intitolato: San Paolo (Milano, Hocpii, 1916), «se ne fa interprete cercando di ciascuna Epistola la nota che più suona e più dice e più di sé innamora ». Per lui le epistole paoline sono quattordici, e quella agli Ebrei è « delle più ricche e luminóse a rispecchiare l’alta mente del-l'àpostpló Paolo » (p.~ 83). Il commento a questa epistola incomincia così: « Musica di piena orchestra! dico così, guardando all'intera Epistola nel suo complesso, al suo tutto e alle sue parti; guardando specialmente al gran centro, che ha luce propria, e s’irradia, illuminando ogni cosa intorno co’ propri raggi. Là riconosco: è la luce di Paolo ». Origene il quale diceva che solo Dio sa ehi sia l'autore di questa epistola doveva avere una vista corta, non è vero? Lodiamo, com’è nostro dovere la pia intenzione dell’A., il quale dice nella prefazione di avere scritto queste
pagine affinchè « si diffonda sempre più sulla terra l’amore per G. C., insieme alla pratica della sua dottrina ». Però temiamo che la via da lui tenuta non sia quella da seguire oggidì per far intendere ai pubblico la dottrina di san Paolo, e per conciliarla con le esigenze del pensiero moderno. Per interpretare san Paolo bisogna anche conoscere quant’è possibile il Giudaismo e l’Ellcnismo del tempo suo; e bisogna prendere a fondamento esegetico non il testo latino, che formicola di errori e di controsensi, ma il testo greco nella lezione meglio accertata. Sotto il rispetto della critica, questo lavoro dello Zampini è un pietoso anacronismo.
LE ORIGINI CRISTIANE
E. Goodspeed, americano, valente cultore dì antica letteratura cristiana, ha curato una pregevole edizione degli « Apologeti più antichi » (Die àltesten Afiologeten, Gottinga, Vandenhoeck, 1915, pp. xi-380 in-80, M. 4,80); che sono Quadrato, Aristide, Giustino, Taziano, Melitene è Atenagora; i quali scrissero in difesa del Cristianesimo nel 11 secolo. Il testo dato dal Goodspeed è quello stabilito dàlia critica moderna; con l'indicazione delle ' varianti più notevoli, e con opportune referenze bibliche è classiche. Una breve introduzione storica è premessa ai singoli testi. Non occorre rammentare che la conoscenza di questi antichissimi testi, benché in parte frammentari e malsicuri, giova molto alla interpretazione storica del Nuovo Testamento.
L’opera di A. von Harnack sulla diffusione del Cristianesimo nei tre primi secoli è uscita in nuova edizione, accresciuta e ritoccata (Die Mission und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhun-derten. Lipsia, Hinriehs, 1915, terza edizione; due volumi di pp. xvi-483-387 in-8° gr., M. 15). A differenza delle due precedenti edizioni, questa è impressa con caratteri gotici invece che latini. Tale ostentazione di patriottismo teutonico ci sembra superflua in un’opera di tanta serietà scientifica, e incongrua al carattere di una storia dei trionfi del Cristianesimo nascente nell’impero romano: Roma non apprèse la civiltà dai barbari Germani descritti da Tacito in pagine risplendenti di genio latino!
Nelle riviste teologiche di lingua inglese si è parlato molto, e non concordemente
50
136
BILYCHNIS
con favore, del libro di Kirsopp Lake sull’« economia della fede » {The Stewàrds-hipp of Failh. Nuova York, Putnam, 1915, pp. vi 1-237, in-8®). L’Autore è uno studioso autorevole nel campo dell'antica letteratura cristiana, della quale è professore nell’università Harvardiana (Stati Uniti). La dottrina di Gesù, secondo lui, si deve rintracciare soltanto nel vangelo di Marco e in quei tratti di Matteo e .di Luca che la critica designa come provenienti da un documénto primitivo, utilizzato da entrambi. E tale insegnamento ha in prospettiva la speranza messianica, ovvero, escatologica: però col tempo la società cristiana, non vedendo giungere la palingenesi terrestre, tanto aspettata, trasferì dalla terra al Cielo la patria del regno di Dio; e nondimeno la parola di Gesù rimase vita e luce. Inoltre, la società cristiana gradatamente mutò pratiche e
formule per guadagnare seguaci nel mondo greco-romano. Poi, in contrasto con il paganesimo, in conflitto con l’intellettualismo (gnosticismo) dei dotti, e con la crassa superstizione del volgo, la Chiesa dei primi secoli cristiani non perì ma fiorì, perchè accortamente e insensibilmente si piegò, traducendo la sua fede in dottrine adatte alla mentalità dei sapienti e in pratiche rituali consone alle esigenze degli umili credenti. Il messaggio spirituale di Gesù al mondo, serbatoci nelle pagine più fedeli del Vangelo, si perpetuò tra gli uomini fino a ieri. Ma oggi quasi dilegua, in contrasto con il pensiero attuale, se la moderna Chiesa cristiana, presso' di Sii popolo, non imita la condotta della iesa antica, la quale bene intese il dilemma propostole dall’evoluzione dèlia vita spirituale: ‘mutare o morire.
r. e p.
RELIGIONI DEL MONDO CLASSICO
Ili
1. L’ampio ed accurato studio di H. Graillot, Le culle de Cybèle, mère des dieux à Rome et dans l'empire romain (Paris, Fon temei ng et. C., 1912 (?), fase. 107 della biblioteca delle scuole francesi di Atene e Roma), può essere ragionevolmente considerato come un completo e definitivo riassunto di lavori fin qui pubblicati su Cibele. L’A. à raccolto nella suà opera tutto il materiale rimastoci, sull’importante argomento, dalle fonti letterarie ed’ artistiche a quelle epigrafiche e numismatiche e l’à saputo elaborare in maniera da darci uno studio cui nulla manca non solo per l’economia del lavoro, ma pur anche per l’interesse che esso suscita. Tutta la letteratura sul tema assuntosi, letteratura nè ristretta, nè ridotta, passa nell’opera sua, che servirà d’or’innanzi di immancabile miniera per le consultazioni, come, del resto, in gran parte dei suoi capitoli, di attraente lettura per tutti gli studiosi di cose religióse. E se gli ampi indici, bibliografico, geografico, analitico, serviranno a tutti coloro che prenderanno l’opera con intento consultivo, le parti conclusive e-le parti ricostruttive saranno
gradite a quanti si limiteranno a voler apprendere la funzione sociale e storica del culto frigio.
Il lavoro, dopo un’introduzione sulle origini del culto della dea madre, fa la storia della sua introduzione e della sua diffusione ih Roma repubblicana ed imperiale (cap. I-III), quindi entra nel corso dell'argomento, trattando dei tauroboli, dèi misteri e della dottrina (cap. IV e V). Prosegue studiando il sacerdozio frigio ed in genere gli addetti, sotto qualsiasi forma, al culto (cap. VI-VIII), i santuari di Roma e di Ostia (cap. IX) e l’espansione del culto stesso in Italia e nelle varie provincie dell’impero (cap. X-XII) e per ultimo il suo stato nel IV scc. di fronte alla diffusione del cristianesimo, al quale resiste veementemente e fortemente (cap. XIII).
Sfogliando l’interessante studio, dopo averlo esaminato il più accuratamente possibile, segnalerò ai lettori alcuni punti che più sembrano degni di nota, sia per il loro carattere culturale, sia ancora perchè Sossono essere veduti in modo diverso a quello sotto cui apparvero all’A. Di difetti od errori non è il caso di parlare: chi conduce a termine opere come quella del Graillot à diritto, anche quando il
51
TRA LIBRI E RIVISTE
137
recensente li riconosca — e a me non è occorso di farlo in maniera tale da trovar necessaria la correzione — à diritto, dico, alla più ampia indulgenza; nessuno meglio dell'À. stesso, qualora non si tratti di errori di metodo o di sistema, in un proprio lavoro scientifico sa riconoscere quanto vada soggetto a rettifica e quanto possa essere modificato e come.
Piacemi anzitutto —. mi sia lecito questo piccolo sfogo di soddisfazione personale — che il G. sia d'accordo con me, all’incirca, sul l'identificazione di Rea Silvia con 'Pia ÌSaìa (p. 37 e p. 57), secondo quanto sostenni fin dal 1908 nella Jiivisla di storia antica: sulla quale identificazione, facendo tesoro .dello studio del dotto francese, io spero prima o tardi di poter dire qualche altra cosa non perfettamente inutile per i risultati storici che se ne possono trarre; è vero che questi forse potrebbero essere più contrari alla tradizione di quel che non lo creda il Gr. che non pare' abbia abbastanza valutato le ragioni negative addotte dallo Schmid t la cui opera egli pur conosce. Forse in quell’occasione vedrò di riprendere in esame anche la questione non molto chiara, sebbene trattata abbastanza minuziosamente dell’A., della Navis Salvia.
Non sono invece altrettanto d’accordo con il G. nel riconoscere nel l’abdicazione di Diocleziano dopo i presunti venti anni di regno un influsso di credenze orientali (pag. 156, cfr. 172) e ciò per le ragioni già note ai miei lettori e più volte pubblicamente sostenute. Della religione diocle-zianea per non averla bene esaminata si sono detti anche da competenti, il Cu-mont per ultimo in ordine di tempo, cose assolutamente inesatte, tanto che, come già ò promesso, sarò costretto a ritornare più ampiamente di quel che non abbia fatto finora, sull’argomento.
Interessante il ricordo a pag. 185 di un’iscrizione nota già, ma che non èra stata, se non erro, studiata ancora sufficientemente da quanti si sono occupati del refrigerare pagano e cristiano. E non sarà male prima o tardi ritornarvi con un esame d’indole generale sulla questione.
Non è esatto invece quanto l’A. afferma (p. 193) a proposito dell’esclusione dal culto mitriaco delle donne, essendosi trovato, com’è noto, fin dal 1911 in Tripoli il ricordo di una « leonessa ■ mitriaca: noi siamo forse un po' troppo imprecisamente informati del mitriacismo per soste
nere, come fanno alcuni, sulla scorta di un linguaggio « militaresco », usato allegoricamente, la severità di quel culto solare.
A proposito di quanto riportai in questo stesso bollettino (I, 1) sugli angeli del paganesimo dal recente studio del Cu-mont, segnalo il breve ma non inutile excursus del nostro autore a p. 217 sulla denominazione di Attis come « angelo » di Rea.
Giusta la concezione storica, contrariamente a quel che accade alla maggior parte degli studiosi, dell’opera di Èla-gabalo (p. 224); data la copiosa bibliografia cui l’A. vuol appoggiare la sua ricerca, non sarebbe stato male ricordare qualche opera che tentò di mettere a posto la realtà storica contro la tradizione falsificatrice: per esempio, il buon lavoro di J. Stuart Hay, The Amasing Emperor Heliogabalus (London, 1911), per non citare lavori tedeschi più noti e meno generali.
Accanto alle citazioni di culti in cui vi era una ripugnanza tradizionale, spesso codificata, di adoperare il ferro (p. 296) non sarebbe stato male citare anche il culto arvalico per il quale l’introduzione del ferro era permessa con la condizione però che il lucus fosse poi purificato dalla presenza del metallo impuro.
Trovo molto serene e misurate le pagine che il Gr. dedica (p. 403 sgg.) all’influsso esercitato dal culto di Cibele sul nascente cristianesimo sopratutto nell’Asia minore, ove le tradizioni religiose non potevano cancellarsi per il semplice avvento alla nuova religione. L’A. che quando gli capita il destro ricorda accanto alle caratteristiche del culto pagano quelle dei culto cristiano (v. per esempio a p. 128 sulla preghiera « frigia » per la salute deH'impe-ratore e dell’impero — cfr. quel che scrissi in questa stessa rivista a proposito degli Ebrei e dei cristiani, VI, 20—; a p. 135 per una consuetudine spaglinola indubbiamente d’origine pagana, nella processione del Corpus Domini; a p. 284 sulla denominazione de' fratelli « frigi » di religiosi, onde Tertulliano era costretto a distinguere i propri correligionari con il complemento Crucis religiosi, così come, aggiungo io, non erano, come alcuni crédono, solo i Cristiani, i cultores dei; e via dicendo), à dedicato qui alcune pagine all’infiltrazione del misticismo frigio nei substrati popolari o negli strati eretici del cristianesimo, come ad esempio nel montañismo.
52
BILYCHNIS
1’« eresia frigia ». Le pagine interessanti sono però fatte con tanto garbo che non credo possano urtare il più ortodosso dei lettori; d’altra parte anche altrove (pagina 546) l’A. à riconosciuto quanto poderoso sia il problema degl’influssi che recipro- ■ camente si esercitarono tra i culti viventi nell’impero dal 11 ai ly secolo, ed à lasciato a ricerche più speciali la soluzione dell’incognito, se una soluzione può darsi nelle nostre attuali cognizioni, a tale problema.
Ma delle due « religioni di schiavi » (p. 413) come venivano chiamati per disprezzo i due culti orientali, quello di Cibele c quello di Cristo, doveva rimanere il trionfo sociale a quest’ultimo: per persistenti che fossero le tradizioni di quello (p. 453)- Pcr tenaci clic nè fossero i suoi credenti (p. 542 segg.), il paganesimo, a malgrado del sincretismo filosofico e popolare (p. 473), a malgrado del suo disperato concentramento su questo culto orientale, che Grecia e Roma avevano concordemente disprezzato (p. 520), e nel quale gli ultimi illusi cercavano la suprema salvezza, precipitava. Restava un unico principio religioso in cui tutto il paganesimo si assommava, . l’eliolatria (p. 542): l’A. naturalmente, non poteva e non doveva dire e tanto meno dimostrare come essa fosse l'arca deH’alleanza che doveva congiungere il nuovo con l’antico patto, che doveva permettere a quello di sopravvivere in questo e purtroppo in tal modo che solo dopo venti secoli si doveva riconoscere grazie alla catastrofe sociale di cui siamo spettatori ed attori, che la religione di Cristo non aveva vinto, ma era stata vinta e che la dottrina del maestro era sparita con lui e quella de’ discepoli aveva piegato dinanzi itile forze del « secolo » e lo aveva subito tanto che gli uomini, venti secoli dopo, eran belve non come prima, ma più di prima!
E, pur prescindendo da queste considerazioni mie personali, bisogna concludere coll’A. che il trionfo apparente toccò alla religione degli schiavi semiti, non a quella degli schiavi frigi e fu bene se non altro perchè, prescindendo dalla sostanzialità delle dottrine, le forme del culto dei secondi erano ben più ferodi; ben più volgari di quelle dei primi. Quelli in ogni modo prepararono il terreno a questi ed il bisogno del cyIto della madre divina con le sue ineffabili bellezze sopravvisse al paganesimo. Era evidentemente un bisogno profondamente umano.
Con queste considerazioni all’in'circa si chiude (p. 535 segg.) la bell’opera del Graillot, alla quale, accanto alle dodici tavole che illustrano monumenti cibelici, non avrebbe dato se non maggior completezza una carta geografica, simile a quella che il Cumont à pubblicato nella sua opera; si sarebbe potuto così rilevare a colpo d’occhio' la diffusione e l’estensione del culto della madre degli dei e servirsene per le necessarie comparazioni.
l2. Sebbene lo studiò di S. Mounier nel fascicolo 3io della biblioteca della facoltà di lettere di Parigi (Z es « maisons sacrées » de Délos ati temps de l'indépendancc de l’tie. 315-166/5 a. J. Chr. Paris, F. Alcan, 1914) abbia carattere eminentemente giuridico e costituisca un buon contributo allo studio del diritto greco, non crediamo sia il caso di ometterne il cenno in questa rubrica, perchè il fenomeno religioso, a nostro modo di vedere, deve essere considerato sotto tutti i suoi molteplici aspetti. L’importanza di Deio nella storia politica e religiosa della Grecia non derivò, è vero, dalla sua forza economica, il santuario stesso avendo avuto delle risorse relativamente modeste (p. 92), che non possono quindi essere prese neppure dal più materialista degli storici come indice c coefficiente del valore che ebbe il culto apollineo in Grecia. Ciònondimeno è interessante seguire nel periodo durante il quale maggiormente abbondano i documenti che ci consentono lo studio, le forme sotto le quali gli hieropi, ossia gli amministratori dei beni del dio, sfruttavano le sue ricchezze fondiarie consistenti, tra l’altro, in stabili (le « case sacre » dei cónti degli hieropi) che erano affittate per essere usate a scopo di abitazione o per l’industria e che davano naturalmente un reddito di una certa importanza (p. 2). II M. esamina quindi amministrativamente, finanziaria-mente e giuridicamente come entrava a far parte del patrimonio divino questa forma di ricchezza e dal suo studio minuzioso e diligente, corredato di tavole, emergono dei risultati se non sorprendenti, per lo meno nella loro positività di qualche valore, sopratutto,, come dissi, dal punto di vi<ta giuridico (origine della proprietà immobiliare (p. 11 sgg.)» forme e carattere dei contratti (p. 43 sgg), carattere ereditario dell’obbligazione contrattuale (pagina 52 sgg.). Ma per rappresentarci in qualche modo, sia pur molto di scorcio, l'importanza dèi patrimonio del dio, al-
53
TRA LIBRI È RIVISTE
*39
meno sotto l'aspetto, studiato dall'A., delle case sacre, non sarà inutile il leggere le brevi pagine che egli consacra al reddito che esse producevano (p. 86 sgg.) ed alla conclusione del suo esame (p. 91 sgg.) che offre sinteticamente, a chi non abbia la pazienza di seguirlo ne* particolari, uno sguardo sui risultati ottenuti.
3. Di notevole importanza non solo* per lo studio della storia e della religione egiziana, ma pur anche per quello di tutta la preistoria umana è l’opera postuma di E. Amélineau, Profegomines à l’étude de la religion ¿gyptienne (Paris, E. Leroux, 1916) che costituisce la 2a Ì»arte del lavoro dedicato dall'A. ai pro-egomeni per lo studio della religione egizia. Il volume, che fa parte della collezione della scuòla di alti studi e della serie che à veduto già importanti lavori concernenti le scienze religiose, è dedicato più che a questioni mitologiche, le quali predominavano nella prima parte, a questioni che solo indirettamente riguardano il problema religioso. Per l’importanza di alcune conclusióni dell'A. anche per le indagini degli studi generali informerò più o meno estesamente i lettori dei contenuto dei capitoli che più ó meno mi sembrano meritevoli d’attenzióne.
Nel capitolo I è esaminata sagacemente la questione dell’origine del tempio e della tomba, riconoscendo nel palazzo reale, nella primitiva capanna del capo del clan, in ultima analisi, il punto di partenza de’ due monumenti, diro meglio dei due edifici centrali della vita delle comunità. L’A. prova con le figure geroglifiche come l’òriginale capanna dèi re servisse anche di dimora al suo cadavere, l’esistenza del quale non permetteva di credere alla completa sparizione dell'individuo; e quindi con l’andar del tempo come da questa dimora traessero origine da una parte il tempio e dall'altra la tomba. A completare lo studio — l’illustrazione dell’edificio primitivo divenuto palazzo reale, tempio o tomba trova un’efficace comparazione nell'opera stessa con la fig. 17 a P- 345- ove V r© è rappresentato sotto un baldacchino identico al grafico di pp. 12-17 — vengono opportunamente riportati da viaggiatori moderni dell'Africa i differenti usi e costumi di sepoltura che coincidono perfettamente con l'uso egiziano che del resto è attestato da Diodoro. Il lettore accorto e colto può estendere le sue comparazioni con gli usi di altri popoli che non
sta a me di ricordare e in modo speciale con ¡'interessante memoria presentata dal dòtto russo G. Lindemann al III Congresso archeologico internazionale (Roma 1912) sui penati russi e romani dal punto di vista archeologico, dove sono raccolti altri dat;i interessanti, sopratutto sulle abitùdini degli antichi slavi di seppellire nelle case i propri morti, conservatesi nella fede popolare russa ne’ penati.?!Nuova luce può provenire da questi studi sulle urne sepolcrali a forma di capanna e sull’inumazione del cadavere con intorno la suppellettile domestica, in quanto che si potrebbe vedervi, piuttosto che il bisogno di ri-dare^al morto cremato o inumato l’illusione di conservare anche nell'al di là, tutto ciò che, a cominciare dalla casa, gli era familiare, l’espressione del sentimento pavido dei viventi che, una volta mandato fuori dal recinto dell’abitazione il morto per ragioni igieniche, à creduto suo dovere di rendergli meno amara questa separazione col circondarlo di quanto gli era comune a cominciare dalla forma dell'urna in cui era raccolto).
Seguono tre capitoli (II, III e IV) sui sistemi cosmogonici che vennero attribuiti agli Egiziani dai moderni, e su quelli che possono essere ricostruiti secondo i monumenti, in relazione ai principi stabiliti dalle scuole eliopolitana ed ermopolitana. La difficoltà dell’argomento mi rende impossibile di esprimere in compendio quanto l’A. afferma in opposizione, dapprima, alle idee del Maspcro, su questo punto, e poi sul fondamento di acute sì, ma non sempre convincenti interpretazioni di alcuni monumenti egizi, sulla lettura dei quali poi faccio le mie riserve anche per la mia incompleta specializzazione in questa materia. Anche qui, però, accennerò ai risultati, che ànno maggior attinenza con gli stùdi più generali, sia dal punto di vista universale, sia da quello classico.
Così, per esempio, accennando al principio fondamentale di qualsiasi sistema cosmogonico egiziano — la generazione — l’A., ritenendo che la dottrina dell’emanazione derivi in linea diretta da quella della generazione, crede di spiegare con questa tradizione storico-filosofica il principio storico-egiziano, secondo cui la creazione del mondo avviene per emanazioni. E poiché le emanazioni perdono una parte della loro qualità allontanandosi dal centro emanatoré, l’Amélineau pensa che
54
I40
BII.YCHNIS
per questa ragione le eresie cristiane sorte in Egitto non potevano concepire la omou-sia, mentre ammettevano bene laomoiusia (P- '95)Altrove, dopo aver analizzato il sistema cosmogonico egizio secondo gli Eliopo-litani, l’A. che prima ancora di questo lavoro aveva sostenuto la derivazione egizia della dottrina di Tálete e di quella in genere della scuoia ionica sulla formazione del mondo, ritiene di poter insistere 'ancora sulla ispirazione venuta ai filosofi gnostici del secondo secolo dalle dottrine egizie (p. 209) e, ancor meglio, alla scuola pitagorica e, più che mai. al sistema platonico (p. 21 x). A tale proposito egli crede di poter dimostrare la logicità e la' chiarezza di un luogo del Timeo (c. 29. p. 52 D) che finora à formato la croce degl’interpre-tatori filosofici dell’opera platonica e che non troverebbe il suo Edipo se non in chi, come l’A., intendesse rimontare alle dottrine egizie. [Si veda la traduzione e il commento del Fraccaroli, nella sua versione, p. 260, cfr. p. 981.
Indubbiamente le osservazioni dell'A. sono importanti, sebbene per giungere dalla grossolana e primitiva concezione eliopohtana dell'origine della vita cosmica da una... masturbazione divina, sia pure attraverso la più evoluta concezióne er-mopolitana che attribuisce a Thot la creazione per • verba ».•per giungere, dico, alla teoria platonica (cfr. Timeo, 6, citato a p. 227) del deniurgo e del logos, ci voglia un certo sforzo, e l’A. stesso lo riconosce (p. 232), pur essendo largo di confronti e di identificazioni (p. 225) che appaiono veramente suggestivi.
Già in questi stessi capitoli. néll’esposi-zione delle sue osservazioni e dei suoi commenti religiosi e filosofici l’A. accenna alla sua opinione, che tenta qua e là di sostenere con argomentazioni c prove d’ogni genere, deH’origine degli Egizi e • della loro civiltà da una razza africana, anziché da una semitica, come abitualmente si ritiene (p. es., p. 122 segg.). Questa derivazione, che per me è plausibilissima, modificherebbe molte delle nostre credenze sulle origini della civiltà in Egitto e sull’evoluzione della religione e della letteratura egizia. Si può dire che i capitoli seguenti (V-IX) tendano per l'appunto ad approfondire questo problema ed a provarlo con l'aiuto specialmente dei monumenti sculturali i quali rappresenterebbero scene dell’invasione degli «• Spar
vieri bianchi ■ nella regione degli « Sparvieri neri » e quindi della definitiva vittoria e del definitivo impero degli uni sugli altri. 1 quali sarebbero stati una razza nubiana, agricola, stabilita lungo il Nilo in città murata, ricca di bestiame da un lato e di coltura religiosa ed artistica dall’altro, tanto che le si potrebbe ascrivere la redazione dello stesso libro dei morti e dei testi delle piramidi (p. 257). Questa razza, gli Anu, alla quale si riconoscerebbe l’invenzione della scrittura, la cultura della vite e dei cereali, sarebbe Suella cui spetterebbero la personalità di siride e le tradizioni che formano il suo ciclo. Ad essa rimonterebbero le divisioni amministrative del paese, rimaste con i loro emblemi, quasi intatte fino alia caduta del regno egizio. Più tardi questi Anu sarebbero stati massacrati dagl’invasori che avrebbero adottato civiltà, costumi, religione dei vinti, non totalmente scomparsi, e il ricordo della vittoria sarebbe stato consacrato nel calendario con l’istituzione della festa del massacro degli Anu » (p. 325 segg.).
Importante sopratutto per il quadro della civiltà egizia primitiva, l’esame che l’A. fa delle primitive opere artistiche nelle quali egli vede un notevole grado di sentimento estetico c di perfezione nel-l’esecuzione, concludendo che i monumenti, grandi o piccoli che siano, i quali ricordano gli antichissimi re Aha c Narmr che per l’Amélineau sarebbero dei primi che regnarono sull’Egitto intero, debbono aver preceduto la civiltà minoica, per antica che questa si faccia, ed anzi avere esercitato su di essa la sua efficacia (pagina 403 segg.).
La conclusione nella quale l’A. riassume in poche pagine (p. 427-432) tutti i risultati, cui crede di esser giunto nel suo volume dà un'idea della notevole importanza di questo studio che dovrebbe precedere lo studio «iella religione egizia rivelandoci specialmente, come accennammo, quella preistoria egiziana nella quale dovrebbe trovarsi la chiave di tradizioni, di miti, di principi, successivamente radicatisi nella civiltà di quel popolo meraviglioso. Ripeto quel che dissi, nessuno potrà dividere tutte le idee dell’autore. di molte cose egli non ci lascia convinti e per molte altre ci rimane il senso di dover ancora indagare e studiare; cionondimeno non si potranno trascurar questi contributi storici senza rendersi
55
TRA LIBRI E RIVISTE
I4I
colpevoli di pregiudizio e senza rendersi ingiusti verso uno scienziato che, sebbene variamente giudicato e aspramente combattuto, à, con sincerità d'opinione e con fede nella verità, lavorato perchè si discutesse sia pure, ma non si giudicasse superficialmente il risultato dei suoi lavori (1).
4. Della religione omerica si occupa in un’ampia ricerca A. Roussel. professore di sanscrito all’università di Friburgo, nell'opera La Religión dans Homère. pubblicata da J. Maisonneuve et fils (Paris, 1914), ma, a mio modo di vedere, nè compiutamente, nè metodicamente, nè conclusivamente. Il lavoro è sì diligente e molto chiaro nelle sue partizioni e nella sua esposizione, ma non mi pare definitivo. Il peccato originale suo, voluto però dall’A., consiste nel non I avere preso in esame in un’introduzione la questione omerica, esponendone i risultati al giorno in cui egli si accinse all’opera: non era necessario naturalmente che egli propendesse per una qualsiasi scuola, per lo meno a priori; bastava che tenesse d’occhio, nell'esame della religione omericà, alle questioni critiche che solleva se non lo studio, la semplice lettura dei due poemi. Non è improbabile che la sua ricerca lo determinasse poi verso una tesi piuttosto che verso un’altra e che quindi il suo contributo fosse maggiore di quel che così non sia agli studi omerici. Il Roussel invece (p. 2) à preferito prendere i poemi così come la tradizione ce li à conservati, aggiungervi la Batracomiomachia, gVinni e perfino gli epigrammi omerici, ed in questo corpus fare la ricerca delle tradizioni religiose di cui esso è l’eco. In tal modo è stato condotto a riassumere poi in poche pagine (p. 343-35.1) il risultato dei suoi studi analitici, delineanti la teologia omerica. Così anch’egli, dimenticando forse studi non recenti, in tal modo, denominanti la religione omerica (« la théologie d’Homère, dirais-je, si ce mot n’était trop ambitieux »), à creduto bene di chiamare quell'insieme di principi che si possono derivare da uña compilazione di tutti i passi « religiosi » dei due poemi.
Ma nelle conclusioni non è venuto a ri(1) L'A. à fatto di tanto in tanto degli excursus <li notevole importanza, quale quello sulle credenze egiziane delle origini del Nilo, nel quale è criticato il luogo di Herod. Il, 28, (cfr. pp. 108,1x2,1x9). Altro luogo studiato è Herod. II, 99 a p. 364. Non sarà male che gli studiosi di Erodoto se ne ricordino.
s.ultati maggiori o migliori di quelli cui giunsero i suoi predecessori anche meno specialisti. Naturalmente all’ingrosso noi possiamo stabilire che la religione dei tempi omerici sia .quale egli ce l’espone: nessuna luce con ciò ne deriva sull’epoca * omerica » o sulle fluttuazioni di credenze di cui ci dà prova. Ed ecco perchè, a mio modo di vedere, vi è un altro difetto nella ricerca, e cioè quello di non servirsi di mèzzi esteriori pei' lumeggiarne i risultati, quello di non usufruire di comparazioni e di raffronti, quello di non mettere a contributo le indagini archeologiche, pur ampie, degli ultimi anni e quello di non allargare il campo dell’esame, facendovi entrare come elementi diacritici i risultati dello studio delle religioni primitive. Si ricordi quanto preziosa riesca, per quanto limitata sia sul tema, la ricerca, condotta in questo modo, dal Rohde, per citare il solo studioso forse più conosciuto in questo campo.
Solo condotta così come dissi, se io non m’inganno, la ricerca del Roussel avrebbe segnato un progresso negli studi della religione omerica, forse non ancora bastantemente approfondita. Come attualmente si presenta l’opera può rendere un servizio sussidiario ai lettori dei poemi omerici e non altro. Lascia però sempre inappagati i desideri di quanti domandano di veder più chiaro in molte questioni importanti che lo stesso A. à visto sorgere dinanzi a sè senza avere ritenzione però di studiarle più intimamente. Una di queste, e non delle minori, certo, è quella del daipw, in cui si accentra forse il concetto del divinò ignoto, supremo, non individuabile e che conviene studiare in rapporto al 5tó; ed alle varie personalità divine. Orbene, questo esame, che doveva esser fatto anche non dimenticando le conclusioni degli studiosi precedenti che ne trattarono non di rado anche con esagerata ampiezza, mi sembra sia troppo facilmente chiuso con... un non farsi luogo a procedere un po’ troppo spiccio (v. passim e specialmente a p. 183, per esempio).
Ma non è mia intenzione di entrare qui in osservazioni speciali, le quali non mancherebbero indubbiamente ( a roo’ d’esempio io non son d’accordo nell'interpretazione di Iliade 25, 306 nel senso che Antiloco non è amato dagli dei « a causa della sua giovinezza ». — essi, essendo lui giovane non possono avergli dato maggiori attestati di benevolenza —-, sebbene sia d’accordo nelle conclusioni dell’A. a proposito dell’amore degli dei per i bambini; anche
■11 - rrr- -.
56
142
BILYCHNIS
questo però cum grano salís). Osserviamo piuttosto che l’opera, dotata di un discreto indice alfabetico, potrà portare i suoi frutti nel limite in cui io credo possa esserne circoscritto l’uso, grazie alla perspicuità della sua esposizione che in 3 parti raccoglie le testimonianze omeriche sugli dei (8 capitoli), sulle relazioni Ira gli dei e gli uomini (14 capitoli), sugli dei e la natura (2 capitoli). Un’appendice sul soggiorno dei morti c sui sacerdoti chiude la parte analitica ed apre, come vedemmo, quella sintetica.
Il Roussel, benemerito degli studi epici indiani, non à voluto darci un saggio che lo rendesse egualmente benemerito di quelli greci: forse nelle sue intenzioni questa opera non è se non la prima pietra, l’assaggio di un terreno dal quale, con l’appoggio della propria competenza, egli potrà trarre risultati fecondi per la scienza.
5. Sebbene non entri nel campo degli studi religiósi per gl’intenti che ànno spinto l'A. alla ricerca e per i risultati che sono di carattere puramente storico, non mi pare sia fuor di luogo fare menzione in queste pagine della diligente memoria di P. Ducati sui riti funebri dei sepolcreti etruschi felsinei, pubblicata negli Alti e memorie della Deputazione di storia patria per le Romagne (IV ser., voi. V, p. 416-469, in estr. p. 3-56), ove è raccolto un larghissimo materiale che, volendo, può servire anche agli studiosi di storia religiosa per la connessione che il rito del seppellimento à con le credenze dei popoli. Dal lungo e paziente esame fatto dell'ampio materiale sottoposto a studio, il Ducati, dopo avere accennato nell’introduzione alle opinioni manifestate dai suoi predecessori (p. 4 segg.), trae la conclusione che a Bologna nel vi secolo si infiltrò l’elemento etnico-etrusco nello strato italico preesistente e portò come rito prevalente di seppellimento la cremazione, mentre la civiltà villanoviana sotto i primi influssi etruschi usava tanto la cremazione quanto la inumazione. Questo stato di cose permane ne’ primi tempi della dominazione etnisca: ma progredendo la fusione delle due civiltà, trasformatisi nello strato etnico felsineo, l’inumazione prende il sopravvento (sec. v), fino ad essere quasi completamente preponderante alla fine della civiltà felsinea (sec. iv). La qual cosa non è peculiare del resto ai felsinei, in quanto che la si nota in tutto il popolo etrusco ove prevale l’uno o l’altro dei riti secondo i tempi ed
i luoghi, non altrimenti di quel che accade in Grecia. Se altri strati etnici od altre civiltà (es. egeo-micenea, neolitica, eneolitica, terramaricola, ecc.) ci mostrano viceversa- la persistenza rigida in un’unica forma di rito funebre, noi dobbiamo concludere che questo può essere la caratteristica di un popolo primitivo o immune da contatti o conservatore di una civiltà uniforme e antichissima. Gli Etruschi che, comunque si voglia oriundi, ànno passato tra genti e stirpi diverse e forse ànno lasciato il bacino dell'Egeo nel momento in cui il rito funebre era promiscuo, non poterono non dar saggio della stessa promiscuità quando vennero tra stirpi e civiltà che avevano differenti forme di seppellimento.
6. Della ’donna nel sacerdozio romano si occupa G. Giannelli in Atene e Roma (XIX, 60), limitando però il suo esame alle sacerdotesse della cosiddetta « religione di Numa », trascurando Cioè quelle dei culti importati e con ’’intenzione di rintracciare un principio informatore dei sacerdozi femminili romani e la causa prima, 3uindi, che determinò l’intervento della onna nel culto. Con questi intendimenti egli studia i tre sacerdozi prettamente romani che si denominano: flaminicae, virgines veslales e regina sacrorum, e che non è difficile vedere come siano un’emanazione della regalità, dalla quale'si svolse la costituzione repubblicana. Egli considera dapprima il maggiore ed il più venerato di tali sacerdozi, le Vestali, apportando alla teoria che fa della Vestale non la filia, ma la mater familias dello Stato, il contributo di alcune sue acute osservazioni sull’acconciamento e sul vestiario delle sacerdotesse, 'che gli sembrano eminentemente matronali in tutti i loro particolari. Collegati tali risultati con le osservazioni dello Jordan che per il primo sostenne appunto la seconda delle due tesi» l’A. se ne serve per indagare l’origine delle*Vestali. Accennato all’importanza comune a tutti i popoli della conservazione, del culto del fuoco, egli ritiene che le Vestali siano le sostitutrici della moglie del primitivo rex italico che fu a capo della tribù che si stabilì sul Palatino La regina sacrorum quindi nei tempi storici non fu più che un simbolo come il rex sacrorum. delle cui funzioni si impossessarono i Pontefici, come delle funzioni di quella furono continuatrici le Vestali, onde le due ombre della regalità non serbarono che la parvenza più che la sostanza dei loro compiti. Così intorno allo stesso
57
TRA LIBRI E RIVISTE
143
momento dovè staccarsi dal santuario della ¡»rimitiva divinità latina del fuoco. Caca, a Regina e si attribuì alle sue virginali custodi il carattere della male? familias che aveva avuto la custòdia del fuoco conservato nella Regia. Più tardi si introdusse il culto di Vesta e si affermarono i caratteri della diversificazione e distinzione dei sacerdozi che il G. enuncia nel modo che vedemmo. I risultati cui egli giunge sono senza dubbio notevoli, sebbene non convincano, perchè rimane insolubile, checché si dica dò. lui, in nota, il problema della verginità delle Vestali e del loro numero, le Suali cose costituiscono gli elementi irre-ucibili della tesi cara allo Jordan ed al G. stesso;
L’A. studia quindi brevemente le caratteristiche dell'altro importante gruppo sacerdotale femminile romano, le flaminicae, a proposito del quale non gli è difficile dimostrare come esso sia l’espressione più genuina e più persistente della primitiva religione domestica e come il rex a la regina sacrorum non siano se non una coppia sacerdotale di tipo (laminale, e quindi anche le funzioni delle flaminicae che assistono i mariti nel culto ed ànno lo stesso loro dio non siano se non le funzioni che aveva la male? familias primitiva.
Come conclusione a questo studio il G. pone la constatazione che le sacerdotesse romane fanno parte del collegio dei pontefici, ossia di quel sacerdozio che riunì in sè tutte le attività del rex. E poiché questi, assistito dalla regina, rappresentava l’antica coppia reale sacrificante agli dei per tutto il popolo, ne deriva la conclusione che le sacerdotesse romane, non sono altro che le rappresentanti nelle varie funzioni* del culto (custodia del fuoco: Vestali; e sacrificio alla divinità: flaminiche) della métter familias. Le donne romane dunque non entrano nel sacerdozio se non allo stesso titolo a cui la donna partecipava alla religione domestica. In tal modo all’assenza dell'elemento morale nella religione venne sopperito con la stretta connessione di questa alla famiglia, onde la famiglia fu 1 espressione più pura e più diretta della legge morale romana; e quando la religione da domestica divenne statale, fu facilmente volta dai governanti in strumento di coesione e di disciplina e quindi in forza ispiratrice di virtù civili.
7. Trovo perfettamente inutile l'opera di Lanoé-Villène, Principes généraux de la symbolique des religione (Paris, Fischbachér, 1916) perchè, per quanto lavoro possa aver costato al lettore ( vedi la nota che precede il testo), essa non à solamente il difetto originale di fare ancor oggi del simbolismo negli studi comparati di religione, ma è assolutamente priva di qualsiasi valore intrinseco anche quando.la si voglia giudicare al lume di quelle che furono le teorie simbolistiche. A mio modo di vedere il simbolismo non à dato nulla alla storia della religione e, sebbene non sia qui il luogo di trattare della cosa, basterebbe il suo fallimento per decretare la morte in fasce d’un’opera che volesse calcarne le orme. Si aggiunga che il far ciò, oggi .dimostra quella nessuna cultura neghlstudi di storia delle religioni, che rende il; volumetto del Lanoè vecchio di mezzo secolo, se non più, ad onta del millesimo notato sulla copertina.
Qualche lettore potrebbe osservare che in questo caso sarebbe stato meglio tacerne : a mio modo di vedere un’opinione simile è un errore, perché permette resistenza e... sit venia verbo, la riproduzione di opere che rendono un cattivo servizio sopratutto ai Siovani ed al mondo delle persone cosidette colte. D'altra parte se ne parlo qui è perchè degli li capitoli del libro 3 sono dedicati alla Grecia e circa 4 alle religioni del mondo classico. Per le dovute osservazioni sulle proporzioni del lavoro si consideri che un solo capitolo è riservato agli Ebrei ed ai cristiani!
Non so se meriti la pena di dar qualche saggio delle opinioni dell’A. quando esse differiscano e non ripetano quelle, note, del Creuzer, sulle cui orme è calcato lo studio;. perchè il lettore veda in ogni modo qualcuna delle stravaganze del simbolista io citerò senza commento pochi passi del suo lavoro, pur senza distinguere anche là dove avrei i miei dubbi, le idee prettamente sue da quelle de' suoi predecessori più o meno autorevoli. Si noti, per es., la strana comunanza della palma sotto cui nasce in Deio Apollo e quella sotto cui nella fuga d'Egitto, secondo gli apocrifi, riposa, la sacra famiglia, e i rami di palma che servirono alla folla per acclamare Gesù entrante in Gerusalemme (p. 130). Apollo prima d’ogni altr’opera ebbe per fine la distruzione (Pitone) ? Ecco subito il paragone con Gesù distruttore sociale; perchè comincia con il cacciare i mercanti dai tempio! (p. 134). Non meno interessanti... le comparazioni di carattere cromatico dove il celeste e bianco della Vergine, il rosso
58
I44
BILYCHNIS
di Gesù sono messi accanto all'azzurro mantello della dea Ragione del 1793 ed alla sua veste bianca, accanto al rosso del berretto frigio, che però è una concessione fatta agli intellettuali della rivoluzione (p. 166)! qui poi è esplicitamente scartata qualunque sacrilega osservazione degli scettici che potrebbero vedere nelle vesti... divine il tricolore. Così il lettore potrà leggere (p. 195) forse con una certa meraviglia che i satiri del corteo bacchico simbolizzano « gli uomini giusti visitati dallo spirito santo ».
Risparmierò al lettore altre peregrine invenzioni, o quasi, che si trovano a p. 215, 226, 232, 247. 253, ma non posso esimermi dal far notare come l’unione dei culti apollineo e dionisiaco sia per l’A. simboleggiata chiaramente nell’acqua e nel sangue che esce dal costato del Cristo, trafitto dal soldato sul Golgota (p. 285) e nel manto rosso e nella corona di spine del Cristo condotto al supplizio (p. 286).
E dire che la carta costa tanto!
Giovanni Costa.
RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
XI.
JOSIAH ROYCE
ideilo scorso anno, a poche settimane di distanza l’uno dall’altro, morivano due insigni filosofi, tutti c due professori nell’università di Harvard, Stati Uniti: Josiah Royce e Munsterberg; e tutti, e due per effetto della guerra. Royce, già indebolito dalla malattia, si gettò con tutte le sue forze nella propaganda contro la Germania, dopo il siluramento del Lusitania, nel quale era perito anche qualche suo caro allievo. Nato nel 1855, moriva il 14 settembre 1916. L’ultimo suo scritto: War and Insurance, riguarda appunto la guerra. Munsterberg, cittadino tedesco, si diede con tutta la forza del suo vigoroso intelletto a cercare che gli americani giudicassero la causa del suo paese come egli la giudicava: e un suo scritto, nel quale preconizzava una futura alleanza fra Stati Uniti e Germania, fu anche commentato e discusso dalla stampa europea. Ma questo atteggiamento gli procurò molte ed aspre inimicizie, anche fra i suoi colleghi, ed egli ne ebbe molto a soffrire.
Munsterberg, dei cui lavori anche il Tyrrell si giovò largamente, era uno psicologo; Royce merita un posto ragguardevole nella glande storia della filosofia dell’ultimo secolo. I suoi maggiori lavori furono da Giuseppe Rensi tradotti in italiano e pubblicati dal Laterza: la Filosofia della fedeltà, 1911; Lo Spirito della filosofia moderna, 2 voli. 1909-10: Il mondo e l'individuo, 4 voli. 1913-16.
Questi volumi non hanno sino ad ora avuto molta fortuna in Italia; e lo si spiega quando si confronti l’idealismo del Royce a quello che ha tenuto il campo presso di
noi, e raccolto tanti consensi, di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Muovendo dagli stessi principi, dalla Critica di E. Kant e dal superamento della cosa in sè o noumeno in un conseguente idealismo trascendentale, gli idealisti italiani, sulle tracce di Hegel e di B. Spaventa, hanno specialmente considerato lo spirito, o la realtà, come Siensiero, e risolto l’essere nella intima dia-ettica dell’atto del pensare, subendo il.fascino dell’astratta e formale universalità del pensiero stesso; ed hanno concluso ad un rigido immanentismo, per il quale il pensante in atto, l’individuo, se non si identifica totalmente con lo spirito assoluto, ne è, pur nelle forme contingenti delia sua empirica attività, l’attuale e intrascendibile manifestazione; e, compendiando nel suo processo tutta la realtà, unifica in sè, nella sintesi filosofica, il soggetto e l’oggetto, il passato e il presente, e dialettica-mente si svolge.
Sicché a ragione, non ostante la loro protesta, l’idealismo di questi filosofi fu detto intellettualistico; e parve a molti che esso trascurasse eccessivamente la volontà, e desse alla filosofia di questa una parte subordinata, ricadendo, per questo verso, nel formalismo etico di Kant, ed anzi aggravandolo, col sopprimere quella autonomia della ragione pratica che Kant derivava dalla trascendenza del noumeno, messa, •con i suoi celebri postulati, a portata della volontà pura.
L’IDEALISMO ETICO
Un’altra via ha seguito l’idealismo in Francia, in parte, e nel mondo anglo-americano. H. Blondel, nel suo celebre libro: L'Action, che egli ritirò presto dalla circolazione, per evitare una con dannaci Roma,
59
TRA LIBRI E RIVISTE
145
prendeva le mosse, invece che dal pensiero, dalla volontà ed in questa, con una meravigliosa, indagine psicologica, trovava la postulazione radicale e quindi l’immanente principio dell'Assoluto; e mostrava come l’azione e lo spirito come attività pratica, includendo in esso il pensiero, in ciascun momen t o del suo procèsso, non basta a se medesimo, ma postula, per l’interno determinismo della libertà, l’estensione sua alla totalità dell’essere e del valore. all’As-soìuto; senonchè poi, con un trapasso illogico, che il silenzio nel quale si è chiuso non gli ha permesso di provarsi a giustificare,. quell’Assoluto che implicava e includeva nella volontàcome causa efficiente, lo pone al di fuori di essa e lo fa soprannaturale e gratuito come causa finale.
In Inghilterra e in America l’idealismo etico o personalismo ha avuto assai più largo sviluppo ed ha tentato molteplici vie: un saggio perspicuo delle sue tendenze e del suo metodo è questo idealismo costruttivo del Royce, del quale, quindi, come è largamente espresso nel suo maggior la-* voro: II Mondo e l'indi vi duo, giova dar notizia, quant’è possibile nei limiti di queste rassegne.
Il punto di partenza della sua filosofia è il razionalismo critico. Analizzando infatti, nel primo volume, il realismo e il misticismo, egli mostra come sia ingenuamente illogica e insostenibile la posizione di quelli che ammettono una\ realtà indipendente dallo spirito che sente e vede e pensa la realtà; sia che si tratti, per il realismo, della realtà naturale, quella che è oggetto dei sensi e dell’esperienza, sia che della realtà divina, affermata dai mistici come la sola vera, in contrasto con le apparenze e la vanità dell’esperienza terrena. Quello, infatti, che è in qualunque modo conosciuto da noi, non è conosciuto se non in quanto è ìn noi, è noi; in quanto cioè l’alteritàsua si risolve nell'unita e nella sintesi dell’atto del conoscere. Noi possiamo, inseguendo le tracce del reale che ci apparisce .esterno, estendere e condurre la conoscenza sino ai confini dei mondo, dove ci è possibile giungere con l’esperienza e col pensiero; con ciò stesso noi non faremo che estendere i confini medesimi del nostro spirito, accogliere il mondo ìn noi, farne una nostra idea, un atto del nostro essere, uno scopo del nostro operare; e subordinarlo, spontaneamente e necessariamente, alla costituzione interiore del nostro spirito medesimo; così che la realtà che di esso affermiamo è appunto la realtà fatta pensiero e vo
lontà nostra, o, in altre parole, la realtà di un io che si fa oggetto.
Il realista che pone, in qualunque misura, un reale indipendente, lo annulla con ciò stesso, in quanto, ponendolo fuori dèi pensiero, lo fa impensabile, lo priva dello stigma del reale che solo e sempre lo spirito dà alla cosa; il mistico, che nella divinità annulla sè stesso, sopprimendo il soggetto, sopprime anche l’oggetto, che non può non essere oggetto di qualche soggetto.
E questo processo critico ci è noto ; senonchè l’originalità del Royce apparisce sin dal principio quando egli, includendo formalmente la volontà nella definizione del pensiero, dichiara e stabilisce come, punto di partenza che le idee sono fini e scopi. «Esiste», egli scrive, «una notissima tendenza in buona parte della filosofia; tanto antica quanto moderna, o a definire l’idea come un immagine destinata a dipingere fatti esterni all’idea, ovvero a dar peso in qualche altra forma al valore esternamente conoscitivo, ossia «rappresentativo» dell’idea, come all'aspetto di questa immediatamente evidente e più essenziale». Egli invece stabilisce, con una dimostrazione' acuta e, persuadente, che «un’idea apparisce nella coscienza come avente il significato di un atto di volontà » e fissa « lo scopo inferiore e non le relazioni esteriori come primitivo ed essenziale carattere d’una •idea». Quindi un’idea «deve anzitutto venire definita sulla base dello scopo interno, o, se preferite, sulla base della volontà, che essa esprime coscientemente, sebbene imperfettamente, nell’istante in cui viene in mente. Il suo significato esteriore, la sua funzione esternamente conoscitiva, in quanto essa conosce una realtà esterna, viene quindi, in queste conferenze, considerata come esplicitamente secondaria rispetto a questo suo valore interno, a questo carattere per cui essa tende al conscio adem-S¡mento di un fine, alla conscia espressione i un interesse, d'un desiderio, di una volizione ».
Abbiamo insistito su questo punto, perchè esso è fondamentale. In forza di esso lo sviluppo del reale non sarà pili la dialettica del pensiero ma la dialettica della volontà. Lo scopo è la realtà ultima. Ogni idea finita deve esser giudicata dal suo scopo specifico. Perchè secondo esso si ha o non si ha corrispondenza fra l’idea e l’oggetto: esso costituisce a sè il suo oggetto. È l’idea che decide il suo proprio significato; voi direte che è vera o falsa se in essa l’oggetto si
60
146
BILYCHNE
adatta e serve alla intenzione dell'idea. E c’è una logica interna dello scopo (quella che sotto altro aspetto e con altre premesse illustra meravigliosamente il Blondel). La ricerca dell'oggetto è la ricerca di uno scopo più preciso. Secondo la dottrina del R., quindi (II, 84), «ciò che è, od è reale, è, come tale, la completa incorporazione, in forma individuale, e con appagamento definitivo, del significato interno delle idee finite.
L’IO INDIVIDUALE
È facile vedere la differenza iniziale e radicale fra questo idealismo e quello che abbiamo chiamato intellettualistico. Essa Ìiuò essere paragonata a quella che corre ra le scienze deduttive e le scienze sperimentali. Le prime, infatti — la matematica e la geometria — costruiscono il loro oggetto con un processo di sintesi, muovendo dal semplice e dall’omogeneo, arbitrariamente assunti, per conchiudere il reale, ridotto a forme e a costruzioni logiche a priori, nell’unità astratta e pura di un sistema meramente formale; mentre le scienze sperimentali intendono alla conoscenza del particolare e del concreto e cercano la realtà per la quale ciascun essere e grado di essere è costituito nella sua viva e singola unità ed organicità; benché poi questa esigenza rimanga sempre di là dal loro sforzo, costretto ad intendere per rappresentazioni astratte e tipiche e leggi. Cosi, a un di presso, l’idealismo intellettualistico costruisce in formule a priori il reale e di sintesi in sintesi tutto riduce e risòlvè nell’unità fondamentale dell’atto del pensiero, dove i contrarii sono superati e ogni distinzione si annulla e il tempo stesso è veduto sub specie aeterni', mentre l’idealismo etico intende ad afferrare la concreta realtà del singolo e la costituzione dell’io e il processo con il quale esso svolgendosi si individua e si differenzia sempre più intimamente e, pur nel suo rapporto col tutto, si pone come unico.
L’idealismo anglo-americano, in contrasto con quello di diretta derivazione hegeliana, si è svolto come dottrina della personalità o dei molti nell’ uno. Ma la sua concezióne dell’individuo non deve, naturalmente, esser confusa con quella del realismo precritico. Caratteristiche della dottrina dell’io che il R. svolge sono: • il mio risoluto proposito di lasciar da parte ogni affermazione dell’esistenza di un'anima sostanziale; la mia accettazione sènza riserve dell’evidenza empirica circa la dipendenza
dell'io umano dalle condizioni fisiche e sociali per quanto riguarda la sua origine temporale, il suo sviluppo e il suo .mantenimento nella presente forma di vita ; la mia insistenza nell’affermare che vari Io Eossono possedere identicamente, in tutta 1 loro vita o in parte di essa, le medesime esperienze, cosicché un Io può originare e svilupparsi entro un altro Io, e le vite di più Io possono essere intrecciate nei modi più complessi... L'Io individuale umano apparisce, nella mia concezione, come una parte dell’io della razza. L’intercomunica-zione sociale fra gli Io viene spiegata come l’indizio fenomenico che essi partecipano ad un più largo Io comune. La dipendenza fenomenica dello Spiritodalla Materia viene interpretata come un’altra «peci e di evidenza indicatrice della nostra. partecipazione personale alle vàrie forme e ai vari stadi dell’ Io che sono presenti nella Natura • (III, 12).
Concezione originale e grandiosa, per la quale dovunque è uno scopo — e quelli che noi chiamiamo oggetti non sono, come abbiamo visto, che momenti e frammenti di uno scopo; sicché tutta la natura è risolta in questo universale personalismo — quivi é un inizio o uno stadio di personalità, una postulazione intima, più o meno consapevole, di un processo di esplicitazione dei fini, di assorbimento di personalità momentanee in personalità più durevoli, di Io individui in Io più vasti: gruppi, chiese, nazioni, ecc. Sinché si giunge ad un Io che è la somma e l’attualità eterna, pienamente sviluppata e consapevole, di tutti.
Due difficoltà, a questo punto, sembrano affacciarsi contro un tale personalismo: quelle che sempre si affacciano a chi voglia sistemare i molti nell’unità dell’Atto: la relatività e V impermanenza. Quanto alla {»rima, è notevole una grande differenza ra questo idealismo etico e l’altro, monistico. Nell’ultimo, la vita individuale è una serie, un processo; l’Atto che diviene e si fa in esso segue una dialettica immanente, nella quale, caratteristica di ogni momento o processo empiricamente definibile è l’inconsistenza, l’immediata e totale "risoluzione dei singoli nell’Uno. In altre parole, la metafisica è la forma ultima e definitiva dell’autocoscienza e la volontà sparisce in essa. Nel R„ invece, la metafisica stessa non è che parziale incorporazione di uno scopo: il pensiero è subordinato alla valutazione; il fine definisce l’idea. Ora se l’idea, intelletualisticamente considerata, è universalità, indistinzione, invariante, lo scopo
61
TRA LIBRI E RIVISTE
147
è concretezza, differenza, molteplicità, individuazione. La personalità, secóndo il R., « è una categoria essenzialmente etica ». Se essa ci si presenta come qualche cosa di relativo, avvolto ed assunto in uh determinismo più vasto, questa relatività deve essere spiegata, superata, nella costituzione propria ed ultima dei reali.
DIO
Ma dove l’idealismo costruttivo del R. si differenzia più nettamente dal nostrano è nella concezione di Dio. Il R. non solo ammette Dio, come piena e totale attualità del reale, infinita, onnipresente, senza tempo e senza molteplicità, interminabili* vitae Iota simul et perfecta possessio ; ma fa di questa concezione la base del suo sistema; cosa della quale non ha sufficientemente tenuto cpnto il De Ruggiero nel cenno che egli dedica al filòsofo americano nella sua Storia della filosofia contemporanea. '
Quella molteplicità infinita di scopi nella quale abbiamo visto chiarirsi il reale, dei quali ciascuno, definito nella sua attualità da qualche cosa che gli è esterno, che cioè postula ancora ed esige la sua comprensione in uno scopo più vasto e più pieno, è necessariamente frammentario, affaticato dall'esigenza di un superamento attraverso la negazione stessa (morte e male e dolore) implica una consistenza che non può venirgli se non da un ordine ideale ed attuale in cui tutta la molteplicità degli scopi, con tradd icen tisi e insieme integrantisi, e il loro vero significato e il loro preciso valore sieno assunti- e stabiliti nell’essere dalla totalità della infinita autocoscienza.
Conseguentemente al sistema, e contrariamente alla concezione che di Diosi faceva il vecchio realismo scolastico, nella definizione di Dio entra il mondo. «Dio è una persona. La sua vita, considerata temporalmente, è quella dell’intiera sfera della coscienza in quanto, ne’ suoi sforzi temporali'verso la perfezione, questa coscienza dell’universo passa da un istante all’altro dell’ordine temporale, da atto ad atto, da esperienza ad esperienza, da stadio a stadio. Ma, considerata dal punto di vista eterno, la vita di Dio è il tutto infinito che comprende questo illuminato processo temporale e che lo scorge coscientemente come un’unica vita, cioè la vita stessa di Dio. Dio è quindi una persona, perchè, pel nostro concetto, egli è autocosciente, e perchè l’Io di cui egli è cosciente è un Io la cui eterna perfezione viene raggiunta.mediante la totalità di questi sforzi temporali, eti
camente significanti, di questi processi di evoluzione, di queste attività collegate di Io finiti» (IV, 200-201).
Non bisogna tuttavia « considerare le perfezioni di Dio e la sua autocoscienza come il risultato temporale di un qualche processo di evoluzione o come un avvenimento che si produce alla fine del tempo 0 alla fine di un processo qualsiasi, per Stianto esteso, avente luogo nel tempo...
io, nella sua totalità come Èssere Assoluto, è cosciente, non nel tempo, ma del tempo, e di tuttociò che il tempo infinito contiene. Nel tempo si svolgono, nelle loro sequenze, gli accordi della sua infinita sinfonia. Per lui questa totale sinfonia della vita è tutta a un tratto».
In questa concezione è radicalmente tolta di mezzo la insuperabile difficoltà della antica trascendenza ontologica: l’atto infinito nel quale bisogna cercare il principio, la ragione e il fine ultimo di ogni realtà, e che tuttavia è e rimane f uori della realtà, esterno ad essa, altro, e quindi infinitamente distinto ed inaccessibile.
Ma un’altra difficoltà sopravviene: l’infinità asserita del reale primo discende e dilaga a tutti i reali: se essi non hanno il loro essere pieno e definitivo che in Dio, e se sono atti di una infinita potenza, Dio, come mondo, è attualmente infinito: infiniti scopi e processi e attuazioni compongono nel tempo la sinfonia della quale Egli è l'assoluta attualità.
L'analisi sottile con la quale il R., in un saggio complementare aggiunto al secondo volume, si sforza di rimuovere la contraddizione di questo infinito numero attuale, ricorrendo alla matematica e al calcolo del quale fondamento necessario è V infinito negativo, è la parte del suo sistema meno accessibile e forse più fragile. Il lettore che ne abbia voglia la assaggi, se può, da sè. Noi ci limiteremo a ricordare una confutazione di questa tentata costruzione di un concetto positivo del numero infinito fatta da un filosofo italiano molto sottile e poco noto. Cosmo Guastella {Annuario della Biblioteca filosofica di Palermo, voi. II, fase. I).
L’ETICA IDEALISTICA
Il principalissimo carattere e valore di questo sistema è di presenta rcisi come una nobile ed efficace dottrina etica. L’ideale, il dover essere, lo scopo più alto e pieno, la subordinazione della personalità umana, non per una sua consapevole scelta, ma
62
148
B1LYCHNIS
per un determinismo immanente nella natura stessa e nella concatenazione dei fini, e del quale la libertà è solo la espressione e l’accettazione consapevole, hanno qui la loro piena efficacia.
La trascendenza non è dal R., come dai filosofi cattolici della volontà o dell’azione, opposta all’immanenza sullo stesso terreno ontologico, ma risulta dalla definizione stessa della personalità come di categoria etica, sul terreno dell’etica. Il dovere è l’autocoscienza introdotta e stabilita nel regno dei fini. Ciò che tu sei, ciò che le cose intorno a te sono, è uno scopo che si cerca, si svolge, si esplicita: la verità stessa delle cose è la loro corrispondenza al fine di colui per il quale esse sono attualmente cose: ogni fine, necessariamente inconsapevole in parte e frammentario, cerca di tutto se stesso di integrarsi e di realizzarsi in un fine più alto,'sinché si invera pienamente nelrassoluto fine divino. L’azione di ogni Io ha due aspetti : il temporale e l’eterno: e il valore dell’uno è nel conformarsi al secondo.
Così ciò stesso da che l’io trae la sua individuazione è insieme la legge che lo trascende, la necessità che provoca la sua volontà ad una risposta, secondo la quale l’essere gli è misurato.
Dall’una parte «l’io umano non è una cosa, e nemmeno una sostanza, ma una Vita che ha un Intendimento. Io, l’individuo, sono ciò che sono in virtù del fatto che la mia intenzione, il mio intendimento, il mio compito, il mio desiderio, la mia speranza, la mia vita, stanno in contrasto con quella di ogni altro individuo. Se io sono una Realtà qualsivoglia, faccio qualche cosa; che nessun altro può fare, voglio qualche cosa che nessun altro può volere, e posseggo la mia volontà relativamente libera che nessun altro può possedere. L'unicità del mio intendimento è la sola cosa essenziale in me ».
Ma, dall’altra parte, « ogni qualvolta imprendiamo un cómpito, per quanto la sua espressione temporale sia transeunte, Suelconcettodell’unionedi Dio e dell’Uomo, ell’Eterno e del Temporale, su cui tutta la nostra dottrina è fondata, esige che noi teniamo ben fermo in mente che ogni frammento di vita, comunque arbitrariamente scelto, possiede il suo duplice aspetto. Esso è ciò che temporalmente è, in quanto è questa serie di avvenimenti collegata presente nel l’esperienza, e in qualche modo messa in contrasto con tutti gli altri avvenimenti dell’universo. È ciò che eterna
mente è; in virtù di quelle relazioni che ora, nella nostra forma umana di conoscenza, non si manifestano, ma che si manifestano invece dal puntò di vista, divino, precisamente come il mezzo per dare a queste nostre azioni passeggere tutto il loro significato. Considerare anche l’io che svanisce, anche gli atti deli-ora, come servizio di Dio, e considerare la vita del nostro io più frammentario come la vita divina che prende forma umana, fa parte dell’essenza più profonda della religione. Da questo pùnto .di vista è proprio vero che ora, anche mediante questi atti passeggeri,, esprimiamo ciò che possiede un essere ad un tempo eterno ed individuale in un modo unico. Sia fatta, ora la volontà di Dio come altrove nell’universo temporale non potrà mai di nuovo esser fatta, e come non fu ancora mai fatta: prendere questa risoluzione significa considerare il nostio dovere d’ogni giorno come nostro dovere e questo io passeggero come tale che possiede, pur nella sua fugacità, un significato eterno ».
L’IDEALISMO COSTRUTTIVO NELLA STORIA DELLA FILOSOFIA
Sarebbe ora interessante vedere come R. colloca il suo sistema nella storia della filosofia: e la critica che egli fa così dell’idealismo etico fichtiano, come di quello dialettico hegeliano, 0 degli altri principali e più noti aspetti della filosofia idealistica tedesca. Questo esame è da lui fatto nella seconda delle opere citate. Del sistema di Fichte egli scrive: « Non è questo un idealismo che abbia, come l'idealismo deve aòere, un profondo e sincero rispetto per l’ordine naturale e per l’esperienza. La facilità con cui Fichte dispone dell’intero ordine esterno e naturale è, infatti, non solo audace ma priva di ogni garanzia. Lo studioso moderno della fisiologia del sistema nervoso, dei fatti dell’evoluzione e in generale della interdipendenza dei mondi fisico e morale, non sarà probabilmente convinto che l'idealismo etico di Fichte sia in alcun caso prossimo alla parola definitiva ».
Arbitrario e fantastico il sistema di Schelling e dei molti che derivano da ini: e, in genere, del romanticismo religioso tedesco, con la sua esaltazione del sentimento e della genialità, col suo caotico individualismo, anche nella interpretazione divina della natura. A ogni modo i romantici, di
63
TRA LIBRI E RIVISTE
I49
contro a Fichte, videro che «per completare l’opera intrapresa dall’idealismo, occorreva una teoria dei fatti naturali che li interpretasse in modo da essere in armonia con la concezione che solo le idee sono realtà, eppure adattate all’esperienza, in modo da liberare l’idealismo dall’arbitrarietà della vita interiore degli io semplicemente finiti ».
Un più notevole passo innanzi fece Hegel, appoggiando lo spirito etico alla società ed alla storia, nella quale si svolge pieno e sicuro, per lui, quel processo di tesi e di antitesi e sintesi che lo incarna. E il mondo della natura, della società e della storia è da Hegel introdotto nella vita morale come contraddizione da vincere e da superare perennemente con una solida disciplina interiore della libertà. Ma anche Hegel fallì nel tentativo di spiegare la natura e la realtà esterna al soggetto idealisticamente. Queste ripugnano e si sottraggono alla sua logica (e la dimostrazione di ciò è stata anche fatta, sotto un altro punto di vista, da B. Croce): la sua sintesi idealistica non risolve in sè la totalità dell’essere e delle sue manifestazioni.
Anche l'analisi che il R. fa del positivismo e dell’insufficienza di esso è originale e suggestiva : ma non possiamo andar più innanzi nel riferire e riassumere.
L’IDEALISMO RELIGIOSO
L’idealismo del R. è una dottrina essenzialmente religiosa, una filosofia della religione. E ciò è mostrato dal posto che in esso occupa la personalità divina, e dal carattere essenzialmente finalistico ed etico del sistema. Questo aspetto di esso fu anzi il primo che il R., quando ne ebbe fissate in sè le linee fondamentali, incominciò daH’illustrare, nel suo primo lavoro: L'aspetto religioso della filosofia, pubblicato nel 1885. Ed egli ha anche chiamato la sua dottrina : filosofia della fedeltà ; essendo la fedeltà appunto il riconoscimento e l’accettazione volonterosa del vincolo che associa i nostri scopi alla pienezza immanente dello scopo divino ; e che si compie non solo nel rapporto immediato del nostro io individuale all’atto assoluto, ma anche nel rapporto nel quale siamo con degli io più vasti, nella storia e nello spazio, in cui la nostra personalità empirica è incorporata e fatta capace di elevarsi all'attuazione degli scopi che caratterizzano questi io complessi, assumendo con
ciò la sua stessa personalità un assai più ricco significato c valorq.
Il R. ha anche applicato la sua dottrina al cristianesimo. Nel 1913 egli tenne a Londra una serie di conferenze, raccolte poi e pubblicate in due volumi (London, Macmillan; su 11 problema della cristianità. Il R. muove in esse dal suo concetto fondamentale che la comunità è un io più pieno e più ricco. Egli vede uno dei più meravigliosi eventi della storia umana nella identificazione dello spirito della nascente Chiesa apostolica con Io spirito del Cristo misteriosamente risorto. È lo spirito di questa comunità nascente che parla come il Cristo del IV Vangelo. Con questa sintesi Paolo risolse concretamente per i cristiani del suo tempo, come R. vorrebbe fare per quelli del nostro, il problema di svolgere le attività umane a superare il « peccato originale » di opposizione e di odio che regna fra gli uomini, a scuoprire ed attuare l’unità. La salvezza deve essere cercata, insegna il R., non nell’imi-tare un uomo in particolare, ma col farsi ed essere attivamente membri di una comunità spirituale, religiosa, divina, nella cui vita le virtù cristiane debbono raggiungere la loro più alta espressione e lo spirito del Maestro ottenere il suo adempimento terreno.
Perciò il R. non tanto insiste sulla persona e sulla figura storica di Gesù — le testimonianze intorno alla quale egli trova difettose — quanto sulla Chiesa ; e dichiara: «sono nel giusto quelli i quali hanno sostenuto che la Chiesa, piuttosto che la persona del fondatore, è l’idea centrale della cristianità ».
Per quel che riguarda lo spirito e l’essenza del cristianesimo delle Chiese paoline noi abbiamo informazioni ampie e preziose. E come la salute sta nell’esser membri di questa divina 'comunità — un processo assiduo che Paolo chiama grazia e R. fedeltà — così il peccato sta nella separazione dell’individuo dalla comunità, nel contrasto, crescente via via che l’individuo diviene più e più autocosciente, fra la volontà individuale e la collettiva.
Questa divina comunità in cui noi possiamo trovare la salute è, per R., ancora una comunità invisibile, una specie di chiamata ideale dei fedeli, piuttosto che una già compiuta istituzione; una idea così fluente nella sua espressione come è universale nella sua esigenza ; e nel tentativo di realizzare storicamente questa Chiesa divina egli trova il messaggio es-
64
*5°
BILYCHNIS
senziale del cristianesinfo; « poiché la vera realtà dello stesso processo temporale consiste nel progressivo compimento di una comunità universale, traverso le asprezze, le vicissitudini, le tragedie e i trionfi di questo processo del mondo nel tempo », E appunto nella fede in questo avvento dell'unità spirituale e nel tentativo di realizzarla è consistita sempre l’unità del pensiero cristiano, quasi sempre, anche, misconosciuta; e nella stessa sintesi tutti i nostri sforzi possono trovare consistenza ed unità. Ed il R. suggerisce questo criterio pratico di condotta : è atto, questo che io voglio e fo, all'avvento della universale comunione?
Con questa sua concezione del cristianesimo, il R. corregge, ci pare, felicemente una sua veduta espressa nell’ultima delle conferenze: il Mondo e l'individuo, nella quale negava esservi nella realtà temporale e nella storia un reale progresso. *
Alla esposizione della filosofia del R. è dedicata una serie di articoli di F. Olgiati nella Rivista di filosofia neoscolastica, 1916, nn. x, 2, 3, 5. Lo studio è in continuazione.
m.
A. Suarès, Cervantes, Paris, Èmile-Paul ir. 1916.
Indubbiamente tutte le nostre forze e fisiche e morali, individuali e collettive tendono in questo momento .e debbono tendere ad un unico fine, alla vittoria; e non è meno indubbio che ognuno di noi, cui non è dato ancora di adoperare più direttamente le proprie forze, procuri di giovare indirettamente al raggiungimento dello scopo comune con ? mezzi che gli sono offerti dalla propria cultura e dai propri studi.
Ecco, quindi, come e perchè chi credesse di leggere sotto il titolo del libro del Suarès un saggio sulla vita e sull’opera dell’autore del don Chisciotte si ingannerebbe: in questo momento si deve diffidare <li tutto, poiché a buon diritto sotto qualsiasi veste si nasconde quello che è il pensiero dominante degl’individui e delle folle. Il centinaio di pagine o poco più che il S. presenta sotto
il nome del Cervantes e con il sottotitolo, anzi con il secondo frontespizio di « pour l’Espagne » non è altro, in fin dei conti, che un’esortazione alla nazione... sorella di essere se non con le armi, con lo spirito unita agli alleati che combattono per la causa della giustizia e della libertà. E naturalmente non si poteva trovare forma migliore per colorire quest’esortazione di quella di presentare agli spagnuolj» il chi-sciottismo degli alleati e dimostrare loro come don Chisciotte incarfii per essi stessi e per il nostro gruppo belligerante quell’idealità di fini che crediamo renda superiore la nostra causa a quella dei nostri avversari.
Insemina il Suarès fa in piccolo, in breve, in... pratico quanto in grande, in extenso, in teorico ha fatto Miguel de Unamuno con il suo insuperabile commento al don Chisciotte. E lo fa elegantemente, facilmente, leggiadramente, stavo per dire francesemente, come sanno cioè e possono fare i Francesi: se nel fatto il suo saggio possa trovare accoglienza onesta e lieta e per l’ambiente in cui dovrebbe entrare e per la sua forza probativa e per la sua energia spirituale è cosa di cui mi permetto di dubitare. Tanto più che al divino e, se si vuole, folle idealismo del suo predecessore in... commento, l’Unamuno, egli si ispira, in fin dei conti, più nella parvenza che nella sostanza. Il Suarès ha un bel credere all’idealismo, al chisciottismo, alle generosità spagnuole e formarne con il nostro e con il suo paese la trinità che incarna la forza della giustizia e della libertà: il suo geniale e sagace predecessore diceva che le nazioni « che si dicono chiamate a compiere il diritto e servire alla cultura e alla pace, sono società farisaiche »; egli a buon diritto si domandava se si conoscesse « qualche azione eroica, chisciottesca, dì una nazione d’uomini, come nazione ». E qui sta, quindi, il nòcciolo di tutta la differenza tra le due opere che pur sembrano, così unite, così collegate, anzi così dipendenti l’una dall’altra. Ciò che per il francese è la ragione suprema dell'opera propria e dello scopo per cui battagliano gli alleati, per lo spagnuolo non sembra abbia consistenza se ne’ principi teorici del suo .modo di filosofare viene negato in modo, come vedemmo, assoluto. E. questa negazione è tanto più giusta quanto scaturisce da una sensazione più profonda delle ragioni intime dell’azione collettiva delle nazioni: essa poggia sulla concezione storicamente esatta che non vi è giustizia ed ordine se
65
TRA LIBRI B RIVISTE
I5I
non là dove si vuol mantenere la violenza ed il disordine come eleménto di vita. Ed ecco perchè è, più o meno consapevolmente, già in revisione il principio, finora affermato come indiscutibile, grazie principalmente alla scuola tedesca, che le nazioni, o, per dir meglio secondo essa, gli Stati non osservano e non debbono osservare i èanoni morali che vigono tra gl’individui c che unica norma di vita tra essi sia la violenza, onde, chi sia il più forte sia anche il più degno. Infatti ciò è e si mostra supremamente falso in quanto che se le nazioni vivono grazie a questi principi, i popoli agiscono proprio grazie a principi del tutto opposti: perciò la ragione suprema delle vicissitudini attraversò le quali essi passano, sono loro ignote come è ignota agl’individui la causa in virtù della quale essi agiscono ed ha solo valore non tanto morale, quanto reale il movente idealistico per cui si muovono.
Ecco perchè se è vano col Suarès fare appello ai principi astratti di libertà e di giustizia per muovere, sia pure spiritual-mente, la Spagha vèrso di noi, sarebbe ancora più vano il credere che essa chisciot-tescamente brandirebbe la lancia e imbrac-cerebbe lo scudo all’unico intento di combattere contro chi afferma principi contrari ai nostri. Occorre, perchè essa provi un tale bisogno, che nell’offesa di quei principi essa senta lesi i suoi interessi e solo allora, abbia o no coscienza del valore realistico delle sue affermazioni, proclamerà alto il valore dei suoi principi idealistici e si disporrà a combattere per essi. Solo i popoli che combattono per interessi positivi e che ne hanno coscienza, falliscono l'opera propria o la rendono effìmera: per non costruire sulla sabbia o... per aria bisogna che popoli e individui facciano... castelli in aria. La violenza è la suprema regolatrice e fondatrice del diritto solo allora quando in chi l’adopera vi è la coscienza di servire a questo supremo principio: che se essa viene assunta per tale, chi l'adopera perde la coscienza del valore dell’opera propria, e prima o dopo precipita. In fin de’ conti bisogna dire per tutti quel che Gastón Riou dice pei tedeschi: «Ce que c’est que de n’avoir que la force! quand on la perd on n’a plus ríen! »
È in questo senso, se non mi inganno, che coll’Unamuno e col Suarès, vanno riveduti i valori storici e sociali delle lotte delle nazioni ora che la guerra odierna ci ha tolto dagli occhi la benda che a tutti più o meno era stata posta dalla concezione scientifica imperante. G. Costa.
Onomastico* totius latinitatis curante Jos. Perin. Padova, Tip. del Seminario, 1915, fase. VI e VII.
Ho dato a suo tempo notizia dei primi fascicoli di quest’opera e ne ho detto dei pregi, i quali sorpassano di gran lunga e nascondono i difètti, sé pur vi siano di notevoli in un tale lavoro. I fascicoli di cui parlo compiono Claudius e raggiungono Erythrae. Ira le voci più interessanti notiamo quindi Cornelius, Corsica (dove forse la citazione di un’opera generale sull’isola poteva non limitarsi a quella del Galletti del 1866, trovandosi facilmente opere più recenti e migliori). Creta (dove stupisce non vedere ricordato nessun lavoro delle missioni scientifiche italiane, pur così benemerite, accanto ai nomi di studiosi inglesi), Damasus (©ve non piace qualche acre spunto polemico inopportuno in dizionari): a proposito di Delmatia (o Dalmatia), e Delmi-niutn si nota malvolentieri la mancanza di qualche accenno etimologico moderno che in genere, quando si può farlo, non è omesso per altre voci. Naturalmente queste osservazioni non menomano la bontà dell'opera tanto più che essa acquista in molti articoli (Diodorus, Dyonisius, Domitius) più il carattere di una piccola enciclopedia classica, molto utile, di quello che quello di un semplice dizionario di nomi propri. Si notino ancora Eleusis, Ennius; viceversa trovo incomprensibile l'introduzione di Erenucius in un onomasticon latino sulla sola autorità di Diodoro; per me, come è noto, erronea: si può citare un solo esempio latino? no, e allora perchè mettere questa voce intrusa e barbara?
Ma questi son nèi che andranno’corretti in una seconda edizione: per ora affrettiamo, se possibile, la pubblicazione di questa, che sarà sempre, se compiuta, un’ottima cosa; e dico così perchè gli onomastici latini non hanno fortuna!
G. Costa.
P. S. Avevo finito queste righe quando mi pervenne il fase. Vili della bella pubblicazione, alla quale non negherò il mio assenso ed il mio plauso anche se a proposito di Costantino (le voci contenutevi vanno da Erythrae a Flavius per l’appuntò) il Perin trovi che io abbia giudicato inepte del notissimo instinctu divtnitatis (p. 620) ed anche se io trovi preposto, a mia volta • ineptissime », il monogramma cristiano alla riproduzione della celebre iscrizione. Dopo tutto, se ciò conferma quel che dissi
66
152
BILYCHNIS
sopra, sull’inopportunità dello spunto polemico in un dizionario, non è tale certo da rendermi ostile all’À. sebbene al suo' Costantino io sia ostilissimo!
Ibsen di Sci pio Slataper, con un cenno su ScipioSlataperdi Arturo Farinelli (i). Al maestro illustre, Arturo Farinelli.
Scipio Slataper prima di partire per gli ignoti lidi, aveva dato il manoscritto delIbsen, affinchè lo facesse pubblicare nella collana di studi che egli dirige. Sul campo lo scrittore incontrò la morte, ed il Maestro volle con pagine affettuose e belle, piene d’amore e di dolore, presentare al pubblico il volume, in cui il giovane ventiseienne aveva condensato tutto il suo sapere, già così profondo, e le sue concezioni della vita; descrivendo, analizzando un'esistenza che grandeggiò sul finire dell’altro secolo e commosse coi suoi drammi, e coi pro-- blemi in essi avanzati, la nostra società:
Enrico Ibsen.
Il libro» in cui l’opera del grande norvegese è studiata con una singolare percezione, è il frutto d’un’anima assetata di vita, come erano tutti i giovani che si* stringevano nel cenacolo formatosi attorno al giornale La Voce. E nello stesso contrasto fra quella gioventù rigogliosa che chiedeva alla natura, al sole, all'amore, sempre luove bellezze e profonde impressioni, con l’anima chiusa, rigida, austeramente apostolica dell’Ibsen v’è già un interesse speciale, una varietà di giudizio, un’interpretazione del pensiero da attrarre e da incatenare l’attenzione.
La vita d’Ibsen, compressa in sè fin dai primi anni giovanili, chiusa nel suo sogno di redenzione e di lotta ad oltranza contro la menzogna sociale, ebbe un biografo encomiabile nello Slataper. Egli segue il suo autore in tutta la sua lenta e graduale formazione, ne studia il carattere, ne scruta le tendenze, ne scandaglia il cuore ed in quei drammi in cui gli attori giudicano sè stessi con tanta, straordinaria
(i) Scino Slataper, Ibsen, con un cenno su Scipio Slataper di Arturo Farinelli.
severità, negli intrecci da cui scaturisce continua la condanna contro il mondo corrotto, che ha bisogno di nuovi ideali per elevarsi, il giovane scrittore cerca invano l'amore, il caldo appassionato amore che redime, e la via giusta da seguire per conquistare quella redenzione suggerita.
Ibsen aveva data la sua concezione della società presente in una parabola: « Nel piroscafo che è salpato per la nuova terra tutto è in ordine e ogni uomo a suo posto. Battello di ferro, pronostici favorevoli, capitano sicuro. Eppure i passeggeri si voltolano insonni nelle cuccette di bordo, presi da un’inesplicabile angoscia. È che c'è-un morto a bordo».
Anche nel vascello della civiltà europea c’è un morto a bordo. C’è l’oppressura del passato che nessun nuovo ideale ancora ha saputo buttare a mare con un energico e brutale atto di vita. Non c’è veramente un nuovo ideale. Ibsen dal 1850 al ’900 in venticinque drammi ha espressa la vita dei nostri babbi e dei nostri maestri; ed in quegli uomini pratici sconfitti dall’ambiente loro; in quella loro colpa di debolezza o d’incapacità; nella menzogna necessaria per poter volgere ogni cosa alla loro impresa, v’è tanta oppressi! ra. Ibsen tiene contro di loro un giudizio così solenne ed austero che. la nostra anima ne resta colpita, commossa e forse sconfortata. « Secchezza luterana e non comprensione cattolica », osserva Slataper. « Leggendo, rileggendo, tornando a rileggere Ibsen a un tratto vi prende una smania indicibile: aria! sangue! Riprendete Shakespeare ». In queste linee v’è tutto Slataper, con la sua gioventù esuberante; tutto il simpatico autore di II mio Carso. E pensando alle opere buone, belle, geniali che questo giovane ci avrebbe dato, se la morte non l’avesse coìto nel pieno suo rigoglio di vita, ci prenderebbe un vivo rimpianto, se il suo valore, il suo coraggio, l’esempio dato ai compagni col suo sacrificio non fossero la più grande opera che un uomo possa realizzare, la conclusione più nobile che-un individuo possa dare alla sua vita.
Luisa Giulio Benso.
67
“ FEDE E VITA
NOTIZIE a « • " VOCI DOGMENT!
REQU1ESCAT IN PACE
Ben prima che il Presidente Wilson facesse risuonare la sua voce, che insistentemente propone una pace stallile sulla base della libertà di tutti i popoli, limitazione degli armamenti, libertà dei mari, c garantita da «una forza talmente superiore a quella di qualsiasi nazione... o di qualsiasi alleanza, che nè una nazione nè una combinazione probabile di nazioni possa affrontarla e resisterle... s i voti' di pace espressi sia da individui che da potenti associazioni, erano già stati. accompagnati da proposte e da programmi più o meno elaborati, altri più idealistici ed altri più pratici e realistici, dei quali interessa dare qui un saggio e fissare il ricordo.
Sono note le intenzioni e i propositi degli uomini politici inglesi fissate nel documento ufficiale della risposta al presidente Wilson. I.a loro piena adesione al « progetto della creazione di una lega delle nazioni per assicurare la pace e la giustizia nel mondo »: il loro riconoscimento di « tutti i vantaggi che per la causa della umanità e della civiltà presenterà il fissare regolamenti internazionali destinati ad evitare i conflitti violenti fra le nazioni... e le sanzioni necessarie per assicurarne l’esecuzione »; gli scopi che essi si ripromettono di raggiungere con la presente guerra, fra cui « la riorganizzazione dell'Europa garantita da un regime equo e fondata nel contempo sul rispetto delle nazionalità e sul diritto alla piena sicurezza e alla libertà dello sviluppo economico che tutti i popoli, grandi e piccoli, possiedono, nonché su convenzioni territoriali e regolamenti internazionali atti a garantire i confini terrestri e marittimi contro attacchi ingiustificati », non sono che la consacrazione ufficiale dello vedute c dei propositi espressi in centinaia di discorsi c in documenti diplomatici, dal passato e dall’attuale ministro degli esteri inglese. Sir Eduard Grey e Lord Balfour, dall’attuale primo ministro Lloyd George e dal suo predecessore Mr. Asquith, da Lord Curzon e da molti altri.
Per non citare che le parole pronunziate nel maggio scorso da Sir Eduard Grey, il più candido idealista
n
San Remo, addì 38/2 19x7.
Sig. Direttore di « Bilychnis ", La prego di pubblicare nella Sua stimata rivista questa mia lettera, allo scopo di far sapere ai suoi lettori che « Fede e Vita-— il periodico che è organo della Federazione Italiana degli Studenti per la Cultura religiosa — ha ripreso regolari pubblicazioni, ed esce puntualmente il 15 d’ogni mese in fascicoli dalle 32 alle 40 pagine. Ci sarà cara la simpatia e l’incoraggiamento di quanti si occupano di cultuia religiosa e che s’interessano alla gioventù che nelle Scuole e nelle Università si prepara alla vita. Tutto ciò che concerne il periodico anche dal lato amministrativo, dev’essere indirizzato a ine che, per invito del Consiglio Direttivo della Federazione Studenti, ho assunta la direzione di « Fede e Vita ». L'importo dell’ abbonamento per un anno è di sole L 2.
Gradisca i miei ringraziamenti per la pubblicazione della presente, e mi creda
Devotissimo Suo Ugo Janni
Direttore di « Fede c Vita •
San Remo.
CROCE ROSSA
Le madri d'Italia, le spose d’Italia, non debbono temere d'abbandoni là dove la Croce Rossa leva le sue bandiere^ porta i suoi militi. La Croce santa di Dio supplisce la madre assente, la sposa assente al capezzale dei malati e dei feriti, o raccoglie amorevol-
68
154
BILYCHNIS
mente la ultima voce dei moribondi.
Ogni madre d'Italia, perciò, ogni sposa d’Italia dovrebbe sentire il dovere di farsi socia alla Croce Rossa.
Portando il nostro ausilio alla Croce Rossa noi portiamo soccorso a tutti quelli che soffrono, e prima ai nostri fratelli che combattono per la grande Italia.
Uno il dovere: farsi socio alla Croce Rossa, portando le 5 lire di retta annua a) Comitato locale o a quello Centrale in Roma, via Nazionale 149.
Il Padrenostro e il mondo moderno
Pietro Cuminelle Il Padre-nostro e il mondo moderno. Roma, L. 3, presso la Casa Editrice Bilychnis, via CreI scenzio, 2.
Un giorno, nella lontana Palestina, uno dei seguaci di Gesù chiese al Maestro quale fosse la preghiera che i nuovi credenti dovevano innalzare a Dio. Forse nell’animo di quell’ignoto ferveva un dubbio. • Quale è l’espressione, — avrà pensato talvolta nelle solitudini del deserto, o nel silenzio delle notti stellate, presso i solitari pozzi di Galilea o nel tempio di Gerusalemme — qual è la preghiera che può accogliere in sé tutti i nuovi aneliti del suo spirito; il mio affanno e la mia speranza; il mio ardore di sacrificio ed il mio pentimento? Quale la preghiera che d’un tratto potrà innalzarmi fino al
e caldo pacifista che sia mai stato assunto all’ufficio di ministro degli esteri, egli, ben prima che la guerra scoppiasse, aveva lavorato per promuovere « la formazione di una lega delle Nazioni, che fosse unita, pronta e sollecita, per prevenire e al bisogno punire, ogni violazione dei trattati internazionali, del diritto pubblico, dell'indipendenza nazionale, e che alla nazione che si fosse fatta innanzi lamentandosi di torti ricevuti e affacciando dei diritti, potesse dire: « Presentate i vostri lamenti e pretese dinanzi ad un tribunale imparziale. Se trionferete dinanzi a questa sbarra, otterrete quel che desiderate; se no, non otterrete nulla; e se voi tenterete di ricorrere alla forza delle armi, noi tutti vi dichiareremo nemico comune dell'umanità, e vi tratteremo in conseguenza».
Ma dei discorsi e delle proposte passate e recenti di uomini politici si diffida grandemente dall’una o dall’altra parte: di quelli dei « neutri » quasi altrettanto che di quelli di nazioni combattenti: e maggiore fiducia ispirano le associazioni private, sia quelli esistenti anteriormente allo scoppio della guerra, sia quelle sorte con questo scopo, le quali, animate da sentimenti idealistici e umanitari, benché illuminati da saggezza politica, non si propongono direttamente altro scopo che di preparare la pubblica opinione di tutti gli uomini di tutte le nazioni.
Le proposte di queste associazioni private, e i loro Hramini, possono raggrupparsi in due categorie:
a che chiameremo degli idealisti e pacifisti puri e radicali, e quella dei possibilisti, che credono di facilitare l’avvento del regno della pace proponendo accordi internazionali di più probabile accettazione dalle grandi Potenze, che rendano assai più difficile, se non impossibile, in avvenire il ritorno dell’immane disastro.
Fra le molteplici della prima categoria, ne citeremo soltanto tre, emananti la prima da una società di carattere religioso e cristiano; la seconda da un’istituzione e movimento di carattere umanitario-sociale; la terza da un gruppo di intellettuali e uomini politici non facenti parte dell’amministrazione dello Stato. L’appello internazionale lanciato dalla « Società per la pace » che conta cento anni di un'esistenza che è stata una continua protesta contro ogni guerra, insiste per l’assestamento avvenire di una repubblica europea, in cui, oltre al rispetto dei diritti di tutte le nazionalità anche nella delimitazione dei confini delle singole nazioni, siano rispettate le libertà di lingua e religione, siano ridotti gli armamenti con un sistema che riesca alla totale abolizione di essi, sia assicurata a tutte le nazioni la piena libertà di commercio col libero scambio e l’uguale trattamento di tutte le nazioni. Inoltre propugna, oltre alla conferma della esistente Conte di arbitrato internazionale, lo stabilimento di un Consiglio internazionale di conciliazione e di una Suprema corte internazionale di giustizia, per la risoluzione pacifica di tutte le contese fra nazioni.
Un altro appello, quello volti» dal « Settlement »
69
LA GUERRA
[Il Padrenostro] 155
della Browning Hall di Londra (del quale è presidente H. Stead, fratello del defunto W. Stead il noto pacifista fondatore della « Revicw of Revicws •), fu lanciato nel sedicesimo anniversario della fondazione del Tribunale dell’Aja, con un successo dovuto in gran parte al carattere definito c pratico delle sue proposte, ila molti tacciate fin dal principio come la più pura utopia. L’appello non domanda meno che « l’abolizione di ogni guerra, da decretarsi dalla terza conferenza dell’Aja non appena la pace verrà conchiusa ». Cioè: < I più valenti uomini di Stato dovranno essere inviati da ogni nazione; la Conferenza dovrà decretare l'abolizione per l’avvenire di ogni guerra; dovrà stringere tutte le potenze in un patto solenne, di sottoporre tutte le loro questioni, senza eccezione, che non si siano potute altrimenti risolvere, all’arbitrato del Tribunale dell’Aja; dovrà decretare la punizione del boicottaggio economico a ogni Potenza che si mostrerà refrattaria a tale decisione, e occorrendo, come ultima risorsa, anche della forza armata; per tale scopo, dovrà creare una polizia internazionale terrestre e marittima; e quindi dichiarare il disarmo obbligatorio di tutte le nazioni, lasciando solo ad esse forze bastevoli per le funzióni di polizia interna ».
La terza proposta, pubblicata dalla Rivista « War and Peace » (Guerra e Pace) e sottoscritta, fra altri, da Lord Courtney, da Edward Carpenter e da Sir Fry, anziché delle decisioni che dovranno esser prese dalla terza conferenza dell’Aja dopo la pace, si occupa di suggerire le grandi linee di quello stesso trattato di Kce, dal quale dipenderà la maggiore o minore pro-biiità di successo delle ulteriori trattative per rendere questa pace stabile e duratura. Eccone gli articoli-base.
i° Poiché l’invasione, di per sé, non giustifica l’annessione:
a) restaurazione dell’indipendenza belga, serba e montenegrina: ampio compenso al Belgio;
b) restituzione da ambedue le parti dei territori invasi, previo assestamento conforme all’art. 2 a). Perciò restituzione alla Germania dei suoi territori coloniali, o d’un equivaente.
2® Dare equa soddisfazione:
a) alle domande di applicazione del principio di nazionalità in Europa, mediante la rettifica di frontiere, autonomie, o altre opportune soluzioni;
b) alle esigenze delle Potenze centrali e d’altri Stati europei di maggiori opportunità economiche.
3® Promuovere la più estesa applicazióne possibile dei principio della « Porta aperta ».
4° Accettazione da ambo le parti di garanzie efficaci contro la guerra sia di terra che di mare, mediante un sistema giuridico permanente che permetta la pacifica soluzione delle contese internazionali; sistema che implicherebbe una limitazione degli armamenti.
Nel « Memorandum » che accompagna le proposte, sono indicati i principi di giustizia su cui esse si basano.
Creatore, ed esprimergli tutti i sentimenti del mio essere?».
Gesù all’interrogazione del suo seguace rispose col : « Padre nostro ». Non mai prima d’al-lora s’era ascoltata una preghiera che in poche frasi racchiudesse tutti i bisogni, le lotte, gli slanci e gli abbandoni, le elevazioni e le cadute, le tentazioni e la liberazione dello spirito umano. E non mai, prima d’allora recitandola, gli uomini s’erano sentiti cosi vicini a Dio ; così stretti a Lui da tutti i vincoli della carne, e dello spirito, nell’ora del dubbio ed in quella serena della fede, fra le miserie della vita e nelle gioie ' dell’intelletto liberato da ogni ombra di male. D’un tratto la terra si sentì unita al cielo; il regno di Dio potè essere non solò un’aspirazione, ma una realtà e l’uomo comprese che nell’equilibrio dell’ideale, racchiuso nella preghiera di Cristo, era possibile trovare la pace.
Quante interpretazioni, dilucidazioni, commenti si sono scritti per il « Padrenostro » ! Ed oggi che un’ansia nuova tormenta i nostri cuori, che, nel cozzo di straordinarie passioni, si trovano in lotta due formidabili tendenze dell’umanità, (posto com’essa è in quella fase acuta, la quale precede il suo orientamento verso l’ideale orientale e cristiano del perdono, oppure verso l’ideale occidentale e pagano dell’odio e della vendetta ad oltranza) il (rof. Chiminelli condensò in un bro la storia della nostra più bella preghiera, illustrandola brano per brano dimostrando come in essa e da essa, la generazione presente e le venture troveranno motivo onde perfezionarsi, e ricostruire quei valori morali e spirituali, che paiono travolti fra la bufera rovinosa che c’investe.
Il libro del Chiminelli è interessante. Nel volume ben illustrato dal Paschetto, che seppe esprimere in ardite e nobili fi-
70
156
BILYCHN'IS
gore od il tormento delle anime o la pace in Dio, vi sono pagine di grande valore. In esse sovrabbondano le citazioni, sempre appropriate, e ci appare tutta la storia di questa preghiera a seconda delle aspirazioni, dell’evoluzione del pensiero, dei dubbi, dei costumi, di tutto ciò che coni mosse da mille novecento anni l’umanità.
«Quali altezze c quali profondità si dischiudono alla mente di chi medita la introduzione della preghiera del Maestro!» esclama il Chiminelli ne! secondo capitolo del suo volume. « Di fronte alla lirica maestosità dei templi bizantini, romanici e specialmente gotici, par come di risentire la ispirazione alata, concretizzata in capolavoro sacro, di quel ' Padre nostro, che sei nei cieli ’ di Gesù. Quei templi paiono volersi spingere alla conquista di quei cieli dove abita il Padre e lo stile slanciato di quell’arte religiosa par secondare, con la linea verticale che ascende ascende, lo sforzo, il tentativo di volo dell’anima anelante verso le altezze di Gesù ».
Possono le filosofie creare nuovi sistemi. Può l’Hegel dare un’altra interpretazione alle parole « Padre nostro», stabilendo i postulati dell’immanenza; è possibile al filosofo trascendente porre un abisso fra la divinità e l’uomo; può il materialista e l'ateo tentar di distruggere in noi Dio, ma la preghiera detta per la prima volta a. Befania da Gesù, ritornerà nei secoli sulle labbra dell’uomo, risolvendo con poche frasi tutto il tragico problema della sua vita. Essa è un’affermazione ed una liberazione, nò so in quale altro fibrosi trovi così ben equilibrata la questione sociale del pane quotidiano, con quella tutta spirituale dell’elevazione a Dio, come nel volume del Chiminelli. E siccome in esso l’autore ha proprio voluto racchiudere
c le applicazioni principali di esse. Ad es., la ■ rinunzia alle conquiste » non deve significare il ritorno allo «statu quo ante bollimi », e il principio di nazionalità reclama l’autonomia della Polonia e delle regioni Jugo-Slave, la reintegrazione dell’Alsazia Lorena.
el Trentino, ecc. Così, sarà opportuno applicare estesamente il piincipio della ■ porta aperta ». realizzando quella libertà dei mari, che ossessiona le Potenze centrali, non meno che la distruzione del militarismo le Potenze dell'Intesa.
Venendo al secondo gruppo di proposte per preparare una pace, non relativa alla presente guerra soltanto, ma assoluta e duratura, c'incontriamo con i « possibilisti -, non meno idealisti dei precedenti, ma più di essi. (orse, rotti all’esperienza della lentezza del ritmo de! progresso umano, e della necessità di salire faticosamente uno ad uno i gradini incavati dalla volontà umana nella roccia di granito dell'egoismo individuale, prima di raggiungere la vetta del ■ delizioso monte » della fratellanza universale.
Essi sembrano professare i sentimenti espressi da! poeta americano Longfellow nella nota poesia:
Noi non abbiamo ali per levarci «li volo.
Ma noi abbiain piedi per dar la scalata c inerpicarci
A grado a grado, sempre più in alto.
Fino alle vette nuvolose...
Le sommità raggiunte c mantenute dai grandi
Non furono conquistate con lo slancio di un volo: Essi, mentre i loro compagni dormivano. Salivano faticosamente, su su. nella notte.
È ad una « salita faticosa, su su nella notte » dei secoli, che sembravano appunto credere i duecento rappresentanti di società pacifisti*, che il 17 giugno 1915 si adunavano nella « Independence Hall » di Filadelfia (« Filadelfia », nome augurale!) sotto la Sresidenza di William Howard Taft, l’ex Presidente egli Stati Uniti; per costituirsi in una « Lega per imporre la pace » o per •> differire la guerra », come i pacifisti radicali l’hanno battezzata.
L’importanza pratica della Lega è data da! fatto, che il suo programma è stato accettato in blocco dal partito democratico americano, che ha dietro a sè una falange di personalità attive e influenti e tesori di danaro, e che conduce un’attiva propaganda, sia diffondendo le sue pubblicazioni tradotte in tutte le lingue, sia inviando propagandisti e assicurandosi la coopcrazione di scrittori in diverse nazioni di Europa.
Il prologo premesso alle sue proposte suona così: « Attraverso cinquemila anni di storia conosciuta, la pace, quando ha potuto stabilirsi qui e là, è stata conservata e poi estesa a più vaste regioni, in una sola maniera: cioè per l’associazione di sforzi individuali, diretti a sopprimere la violenza nella loro communità...
« Anche gli Stati hanno così formato leghe o confederazioni. o hanno altrimenti cooperato a stabilire fra loro la pace. Sempre, la pace è stata fatta e conservata
71
LA GUERRA
(Il Padrenostro) 157
— quando è stata fatta e conservata — in forza del potere superiore della maggioranza, »inita nel perseguire un bene comune.
« Memori di questa lezione dell’esperienza, noi crediamo e solennemente insistiamo, che sia venuto il tempo di progettare c di creare una unione attiva di nazioni indipendenti, per stabilire la pace fra loro e assicurarla con tutte le sanzioni note e praticabili di cui possono disporre, per la conservazione della civiltà e la continuazione del progesso dell’umanità nel benessere, nella coltura e nella felicità ».
I segnatari quindi esprimono il desiderio che gli Stati Uniti entrino in una lega di nazioni, che obblighi i componenti ai seguenti doveri internazionali:
« Primo. Tutte le questioni che sorgano tra le Potenze firmatarie, e che siano suscettibili di essere esaminate da una Corte di giustizia, e che d’altra parte non siano state appianate per mezzo di negoziati, dovranno entro i limiti dei trattati, essere sottoposte a un tribunale giudiziario per essere esaminate e giudicate...
Second^. Tutte le altre questioni fra le stesse Potenze non decise per mezzo di negoziati, saranno sottoposte a un Consiglio di conciliazione, per l’esame, e la raccomandazione di proposte.
Terzo. Le Potenze firmatarie dovranno, non appena una delle stesse Potenze firmatarie muovesse guerra o commettesse atti d’ostilità contro un’altra delle nazioni firmatarie prima di aver sottoposto le sue differenze, qualunque esse siano, all’esame di cui sopra, usare immediatamente le loro forze economiche e militari contro di quella che ha mosso la guerra.
Quarto. Di tempo in tempo si terranno dei Congressi fra le Potenze firmatane, per formulare e codificare regole di diritto internazionale, che sotto certe condizioni, diverranno criteri definitivi per il giudizio delle questioni che potranno eventualmente insorgere ».
I critici del programma osservano che, oltre al non imporre esso la Pace, ma solo differire la guerra, esso ristabilisce sotto altra forma due gruppi rivali di Potenze, quello delle Potenze segnatario e quello delle Potenze che resteranno .fuori della Lega; che esso non sopprime la concorrenza degli armamenti, e non riesce a foggiare un potere esecutivo automatico autorizzato all'azione immediata ma si rimette ai metodi lenti della diplomazia. Si potrebbe anche osservare che, poiché il programma suppone che le Potenze segnatario possano disporre di un esercito nazionale, ed entrare in campo prima di avere ottem-Serato agli obblighi internazionali assunti, assai dif-cile riescirebbe alle altre Potenze della Lega mettersi d’accordo nel giudizio della priorità deli’una o dell’altra Potenza nel commettere atti ostili. La discussione non ancora terminata su «quale fu'la Potenza aggredi-trice nel presente conflitto », nella quale la stessa opinione pubblica degli Stati Uniti non è punto d’accordo, mostra quanto sia difficile anche a neutrali prendere quella decisione » immediata » di cui all’articolo terzo, per venire in soccorso dell’aggredito.
l’impeto dantesco, paolino, cristiano della spiritualità ; impeto ri vibrante nei cuori migliori, ripercotentesi nelle basiliche d’oro, ne’ templi austeri, nelle pagode di porcellana come nelle chiesette arrampicate sulle coste montane o sperdute fra i gelidi climi polari ; nei palazzi c nelle casupole; nelle isole e ne* continenti, dovunque insomma parli una coscienza, palpiti un cuore, splenda un'intelligenza ». così vorrei che certe frasi, indicanti unilateralità di giudizio, non vi fossero scritte.
Qualche apprezzamento — sia pur fugace — sull’infallibilità dei papa e sul papato, daranno purtroppo facile motivo ai clericali di ostacolare la diffusione del buon libro fra i cattolici.
L’opera del Chiminelli, illustrando il « Padre nostro » è per lutti i credenti come uno spiraglio di luce fra le tenebre, la sintesi delle nostre speranze, la base del nostro rinnovamento futuro; c dovrebbe stringere le anime in una sola aspirazione, facendo che prima dell’unione delle Chiese, gli spiriti armonizzassero in pace, in Dio.
Luisa Giulio Benso.
LA BIBBIA
E LA CRITICA *
Mentre le armi s’affilano per la rovina degli uomini, gli odii dividono popoli e popoli, la miseria dilaga in molti paesi di
(•) In vendita presso la Libreria Editrice Bilychnis, via Crescenzio, 2, Roma. Prezzo L. 2.
72
158
BILYCHNIS
Europa cd il dolore serra i cuo ri come in una morsa possente, alcune persone, pensando al domani, hanno cercato ciò che può stringere in una santa speranza questa povera società umana, tanto dilaniata, al disopra delle lotte, della carneficina, ed in un libro che pare di solo studio, si è racchiusa la più gran speranza dell’umanità: quella d’elevarsi un giorno tutta unita, a Dio, per mezzo di Cristo.
Fede e Vita, il bollettino della Federazione Italiana degli Studenti per la cultura religiosa, indisse un concorso fra quegli studiosi italiani, i quali si occupano di critica biblica, affinchè scrivessero un volume, in cui la Bibbia e la critica religiosa moderna vi fossero presentate, in modo da togliere molti dubbi dalle coscienze giovanili, da indicare la verità sotto la sua più splendida luce, invogliando allo studio storico e critico, con quella serenità e quella preparazione necessaria a chi s'accinge ad un tale lavoro.
II libro doveva esser succinto, sereno, esauriente. Una specie di guida ed uno sprone alla calma indagine, che non potrà mai distruggere una vera fiamma di vita religiosa, ma servirà a comprenderla meglio per alimentarne le anime.
Il concorso fu fortunato, ed un volume quale nessuna letteratura possiede, venne alla luce, dando alle anime assetate di verità il mezzo per attenuare la loro sete ed indicando la via per cui i popoli dovranno camminare, se vorranno realizzare in terra la fratellanza cristiana.
L’anonimo autore del volume: La Bibbia e la critica, per esaminare tutto il problema dei risultati della critica biblica, e del valore religioso che i libri eterni ed il Cristianesimo conservano, a dispetto delle più assidue e contrarie
Non sarà inutile fare osservare che il programma della n Lega per imporre la pace » ha un precedente di attuazione pratica che gli conferisce una superiorità su tutti gli altri, per quanto più completi ed elaborati, che sono pure creazioni teoriche, non saggiate al cimento dell’esperienza politica. Infatti, esso non è che un allargamento internazionale del trattato bilaterale e temporaneo, conchiuso separatamente dagli Stati Uniti durante la presidenza di Woodrów Wilson, con ben trenta nazioni, rappresentanti i tre quarti della popolazione mondiale: cioè, oltre a tutte le repubbliche del Sud-America, in Europa la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna, la Russia, l’Italia, la Olanda, il Portogallo, la Svizzera, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, la Grecia, e in Asia la Cina e la Persia.
• ♦ *
Affine al programma della I.ega americana è quello tutt’ora in elaborazione, ma comunicato già nelle sue bozze a un numero limitato di persone con una introduzione del visconte Bryce, che rappresenta l’atteggiamento e i propositi di un gruppo di personalità inglesi.
Nell’Introduzione alle proposte, si leggono le parole: ■ ...Noi non inculchiamo qui il progetto di uno Stato mondiale, e neppure di una Federazione Europea. Questa è una ben lontana possibilità, che meritava bensì di essere discussa, ma che non crediamo di pratica attuazione in una prossima data. Il nostro scopo è piu modesto. Noi desideriamo di dare una forma definitiva a quella idea di una unione fra Stati indipendenti, che molte personalità proclamano in Europa e in America, e che noi crediamo potere essere attuata immediatamente alla conclusione'della pace ». Gli articoli del programma corrispondono nella sostanza a quelli già accennati dalla lega americana. Una differenza notevole è quella del punto di partenza. che, per il gruppo inglese, dovrebbe essere quello della lega di almeno tutte le grandi Potenze di Europa e gli Stati Uniti d’America. « Il successo della Unione dipenderà dal numero e dall’importanza degli Stati che entreranno nella Lega..., A nostro parere, essi dovrebbero essere, anzitutto, le otto grandi Potenze (Stati Uniti, Austria-Ungheria, Francia, Germania. Gran Bretagna, Italia, Giappone, Russia) e qualunque altro Stato di Europa desideroso di appartenervi: ulteriormente essa potrebbe svilupparsi sì da divenire una Unione mondiale, ma non occorrerebbe che lo fosse fin dal principio ».
Anche in questa, come nella proposta americana, non si parla di disarmo delle nazioni: anzi neppure di un esercito internazionale e di un comitato esecutivo internazionale, per sanzione del patto violato da alcune delle nazioni segnatane. Ed è detto espressamente: « Nessuno pretende che dà tale Unione sarebbe scongiurato il pericolo di una guerra, ma vi è motivo di credere che la dilazione imposta, l’esame fatto da un
73
LA GUERRA
[La Bibbia]
159
Consiglio imparziale, e la pubblicità data alle proposte da esso fatte, riuscirebbe probabilmente a impedire la guerra, chiamando a raccolta la pubblica opinione del mondo in favore della pace; e che, nella peggiore ipotesi, la guerra verrebbe circoscritta, giacché la Potenza che facesse la guerra a dispetto della raccomandazione del Consiglio, non potrebbe trovare appoggio nelle altre Potenze segnatarie ».
D’altra parte si fa notare che la unione proposta differisce essenzialmente da quella conosciuta sotto il nome di « Concerto Europeo ». Anzitutto, l’Unionc non è confinata alle Potenze europee; secondo impone alle Potenze segnatarie di sottoporre le loro differenze, come sopra si è detto, sotto le sanzioni indicate; in terzo luogo, essa crea'un Consiglio permanente e imparziale per la discussione delle pili difficili questioni: al quale Consiglio dovrebbero anzitutto affidarsi poteri per preparare uno schema di riduzione degli armamenti, e formulare principi tali da prevenire eventuali conflitti su questioni più suscettibili di suscitarli (quali, ad es., i problemi della immigrazione, della colonizzazione, espansione commerciale, eccetera).
Nel terminare questo accenno alle proposte di diverse leghe e gruppi, specie in Inghilterra e in America (di quelle delle nazioni centrali abbiamo parlato altrove), per assicurare una pace stabile e universale, è opportuno citare dal discorso dell’ex-pre-sidente degli Stati Uniti W. H. Taft al Congresso 5er un Tribunale mondiale, « La Corte suprema degli tati Uniti, prototipo di una Corte mondiale », alcuni passi più significativi, che mostreranno come molte delle proposte tutt’ora tacciate di utopia, in realtà appartengono di già alla storia.
All'indomani della dichiarazione dell'indipendenza degli Stati Uniti si sentì il bisogno d'inserire fra gli articoli della Confederazione una disposizione « per determinare per mezzo di un tribunale le questioni e le divergenze che potessero insorgere fra due o più Stati della Confederazione riguardo ai limiti della loro giurisdizione ed a qualunque altro oggetto ». Con tale «recedimento, molte differenze fra i diversi Stati della ederazione che, nel caso di Stati non federati, avrebbero forse provocato una guerra, furono appianate. « Per coloro — osserva il Taft — che diano solo uno sguardo superficiale a questa giurisdizione della Corte suprema (degli Stati Uniti) essa non sembrerà diversa da quella di una comune corte municipale che giudichi delle questioni fra privati cittadini. Sembra che gli Stati non differiscano, per tal riguardo, da corporazioni municipali o di carattere privato, sottomesse a citazioni, processi, e sentenze... L'apparenza può dare a credere che la costituzione abbia, così, distrutto l'indipendenza e la sovranità dei diversi Stati, e resa la questione della loro conciliazione un affare di carattere domestico. Ma si tratterebbe di una falsa
indagini, per dimostrare la luce nuova che acquistano dalla critica, l’importanza viva ed intensa che ne viene loro per essa, stimò opportuno di scrivere in forma di lettere, dirette ad un giovane studioso.
Dalle prime pagine di questa lettura, chi legge comprende d’avere fra le mani l’opera di una persona che è passata attraverso al dubbio; che s’è affinato lo spirito nello studio severo della filosofia ed ha fatto più ardente, profonda, solenne la sua fede provandola al fuoco della critica ed alle interrogazioni assillanti della ragione. Noi che abbiamo letto volumi e volumi di esegesi, di apologetica, di teologia modernissima sulla Bibbia, sul Vangelo, sulle diverse religioni, abbiamo guardato con un po’ di stupore le 145 pagine di cui si compone il nuovo libro, e le dodici lettere, che in forma piana e chiarissima dovevano racchiudere tanta scienza, ed esaurire uno dei temi più difficili dei nostri tempi, in poco spazio.
Si sprecò tanto inchiostro Sr scrivere del mito di Cristo, 1 giorno preciso in cui è nato, di coloro che compilarono i Vangeli; si sono intessute tante favole, si sono fatte tante polemiche intorno al Genesi, al serpente tentatore, alia debolezza di Èva, al Cantico dei Cantici, alla creazione; si è sofisticato con così singolare acrimonia sulla resurrezione di Cristo ed anche sui profeti e le loro profezie, che il vedere condensate in un volumetto tutte Ìiuelle diatribe, quelle proonde elocubrazioni, quei sofismi, quella metafisica distillata e quella critica scientifica e storica mi pareva quasi impossibile ed ho temuto che il libro fosse impari al suo mandato, uno di quei molti lavori cioè, nati da un’illusione e che muoiono inonoratamente sepolti nel silenzio generale;
74
160
BILYCHNIS
Invece, dalla lettura del primo capitolo, la mia anima s'è confortata. L’autore del volume è una mente analitica e sintetica in modo singolare; chiarissima e serena; ricca di fede e sinceramente pronta ad accogliere la verità dove la vede splendere in tutta la sua possanza. Nessuna delle scuole filosofiche moderne gli è ignota; non le teorie di Darwin. dei Vries, di Bergson; non il pragmatismo, l’idealismo, l’intellettualismo, l’immanentismo e tutte quelle scuole attraverso a cui pulsò la generazione nuova, cercando una verità ed una fede più esaurienti e più pure, onde alimentarne la mente ed il cuore. Tutta la critica biblica coi suoi errori ed i suoi grandissimi meriti fu vagliata dall’autore delle dodici lettere, e, forte del suo sapere e della sua fede, s’avanza come un generoso cavaliere antico verso il giovane studioso, mostrandogli nel difficile arringo la via delia vittoria.
lì primo sbaglio, secondo l’autore de La ¡Ubbia e la critica, in chi s’accinge a studiare il Vecchio ed il Nuovo Testamento e le religioni che da essi scaturirono, si è di voler cercare nel loro complesso la verità scientifica, non pensando che sono permeati di religiosità, e che la religione è l’unica cosa di cui dobbiamo interessarci leggendoli. Che importa a noi, per la nostra fede, il credere che discendiamo materialmente in linea più o meno retta da una scimmia o fumino impastati da Dio con un po’ di creta, quando lo spirito che ci animai è veramente un’emanazione dell’Altissimo? Che importa, per stabilire il grande ardore profetico d’Isaia, di Daniele, di Geremia il conoscere che si sono citati non troppo a cappello nei Vangeli, e che le loro parole avevano un valore particolare per il secolo e per la generazione fra cui viin ter prelazione. L’analogia, al contrario, fra la funzione della Corte suprema che decide questioni fra i diversi Stati e quella di un tribunale internazionale che giudica una causa fra nazioni sovrane è assai stretta. Quando la questione di uno Stato contro un altro è regolata da speciali disposizioni della Costituzione federale, non vi è naturalmente ne! procedimento della Corte nulla di internazionale.... Ma per •molti riguardi gli Stati sono sovrani indipendenti, e non già sotto il controllo federale...: entro certi contini, ognuno di essi è l’autorità suprema in materia di potere ad essi conservato, ed esercitando tale potere, essi potrebbero venire in conflitto con gli Stati loro vicini ».
« Tali conflitti potrebbero venire composti per vie diplomatiche: me la Costituzione impone in tali casi il consenso del Congresso. Potrebbero esser risolti con la guerra, ma la Costituzione proibisce che vi si ricorra, e Io Stato invaso per forza di armi potrebbe esigere dal Governo generale che respingesse l'invasore, prescindendo dal merito della questione. In altre parole, uno degli attributi della sovranità c indipendenza di cui gli Stati furono privati nell’ordinamento della Costituzione fu il potere illimitato di fare accordi privati per la definizione dei loro rispettivi diritti; e l’altro fu il diritto di farsi reciprocamente !;uerra quando ogni altro mezzo di accomodamento osso venuto meno.
< E che cosa questi Stati ottennero, per mezzo della Costituzione, invece di quelle prerogative di illimitati negoziati diplomatici e compromessi, e del diritto di farsi guerra per contese interstatali? Ottennero il diritto, che lo Stato che si reputa offeso può trascinare lo Stato offensore dinanzi alla Corte suprema, e far decidere la controversia con un giudizio di valore coattivo... " Se il Missouri — suona la sentenza di un magistrato della Corte suprema in una controversia fra lo Stato del Missouri e dell'Illinois — fosse uno Stato indipendente e sovrano, tutti ammetterebbero che esso potrebbe procurarsi soddisfazione per mezzo di negoziati; e se questi non bastassero, con la forza. Ma poiché i poteri diplomatici e il diritto di far guerra sono stati ceduti al Governo Generale, era da attendersi che questo dovesse assumersi il compito di provvedere. come infatti la Costituzione ha provveduto... „ Prendiamo ora l’esempio — continua il Taft nel suo discorso — dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. Da cento anni noi stiamo in paco, benché la frontiera tra gli Stati Uniti e la colonia inglese del Canada si distenda per quattromila miglia, senza nè un forte nè una nave da guerra a sua difesa. Eppure le occasioni di conflitto fra le due nazioni si sono frequentemente ripetute, e tali che per la loro natura avrebbero potuto provocare una guerra. Ma noi le abbiamo tutte risolte o per mezzo di negoziati, o, quando questi fallirono, Ìer mezzo di arbitrati: talmente che al presente non
esagerato dire, che V abitudine degli arbitrati fra le due nazioni è talmente inveterata, che un trattato
75
[1917-11]
77
LA GUERRA
[La Bibbia]
161
j>er assicurare tale metodo di risolvere le controversie future non aggiungerebbe nulla alla saldezza della pratica già esistente. È vero che vi sono stati motivi speciali alla creazione di questa pratica abituale irai due popoli: comunanza di lingua e letteratura, di leggi, libertà civili, origine e storia; vastità di territori in cui le energie c le ambizioni delle due nazioni potevano restare assorbite, ecc. Ma pure... molte delle controversie da noi risolte pacificamente sembrarono, quando sorsero, refrattarie ad una soluzione pacifica. Ed è interessante notare che al presente noi abbiamo due commissioni arbitrali permanenti per le questioni eventuali fra l'Inghilterra e gli Stati Uniti: e l’analogia fra queste, e quelle che decidono le controversie fra Stati della Federazione americana è perfetta.
• E avendo, così, raggiunto in pratica l’istituzione di una Lega e Corte arbitrale fra l’Inghilterra ed il Canada per preservare la pace fra di noi, non possiamo noi sperare di allargare la portata e il numero dei suoi firmatari, e largire così i suoi benefici al mondo intero?
« L’esaurimento — continua il Taft — in cui tutti i belligeranti si troveranno, vincitori o vinti, dopo questo orribile sagrifizio di vite umane e di ricchezze, non li farà desiderare di rendere meno probabile il ritorno di tale guerra? Non saranno essi disposti a prendere in considerazione qualche proposta ragionevole per decidere le questioni internazionali con mezzi pacifici? E non è possibile escogitare questo piano? Io per me, credo di sì... Per costituire una Lega di Pace abbastanza efficace, non v'è bisogno che di essa facciano parte tutte le nazioni. Un accordo fra le otto q nove principali potenze di Europa, Asia ed America costituirebbe di già un utile freno alle possibili guerre: e le nazioni di minore importanza sarebbero presto attirate nella Lega ». Segue la esposizione delle proposte di Taft che, naturalmente, coincidono con quelle della « Lega per imporre la pace », della quale egli è presidente, della quale abbiamo sopra parlato.
• • •
Quale potrà essere l’esito di tutto questo lavorio c fermento di cui le leghe e i movimenti per la pace sono j’espressione, in un giorno non lontano ci auguriamo sarà a noi dato di vederlo. Certo si è che, dando uno ’guardo retrospettivo alla storia dell’umanità, noi ‘corgiamo che è solo attraverso grandi dolori, la Coscienza ch’ossi possono essere alleviati, e la volontà matura e forte di adottare riforme atte a scongiurare il ricorrere delle, loro cause, che l'uomo e la civiltà han progredito attraverso le fasi ascensionali della storia.
A chi domanda inorridito e scandalizzato, quale possa essere la finalità, immanente o trascendente, di un mondo la cui legge di progresso è il dolore, lo strazio, la distruzione dell’individuo umano, non vi d forse ipotesi più plausibile da additare, che quella che vede nell’esistenza delle generazioni come degli individui
ve vano? Noi sappiamo sicuramente che furono dei rinnovatori e che prepararono le vie al Cristo. Che importano infine le date della nascita di Gesù, le diatribe intorno ai sinottici, i volumi contradditori scritti intorno alla sua infanzia, alla risurrezione materiale, ai dogmi che generò? Gesù è azione e vita. Egli s’innalza da ogni misera contingenza tei rena, da ogni forma, nell'immortalità dello spirito e risorge senza fine nei secoli nelle anime dei credenti. La scienza, quale la nostra istruzione raffinata e la nostra mentalità educata all’ indagine vorrebbe trovare nella Bibbia, è uno sbaglio. L’Antico ed il Nuovo Testamento furono scritti per gli Uomini della loro epoca, coi loro errori, le loro lacune intellettuali, la loro istruzione. Ciò che il nostro intelletto deve cercare è la fede, l’alito possente di Dio che s’innalza al disopra di ogni manchevolezza di re e di popoli; la continua ascensione dello spirito, che da Giobbe all’ultimo profeta ha dato una splendida fioritura.
Noi dobbiamo cercare l’anima di Gesù, nei Vangeli, attraverso l’anima umana che li ha compilati. E se vi fu errore c trasposizione di date, se la leggenda s'è sovrapposta talvolta alia realtà, se le filosofie greche ed egizie hanno guastato, forse, la divina semplicità della morale di Cristo, nessuna di queste cose può turbare la nostra fede in Colui che ci ha elevati a Dio con un solo volo del suo genio, ci ha proclamati suoi figli e ci ha comandato l’amore.
La Bibbia c la critica nelle sue conclusioni può, in certi casi, stupire qualche anime ingenuamente credente, la quale non deve dimenticare che il libro fu fatto per i giovani studiosi, abituati alle severe indagini storiche e critiche, che
78
IÓ2
BILYCHNIS
sovente isteriliscono le pure fonti della fede o ne guastano il, concetto. Ma dove tutti troveranno bello, buono il lode-volissimo libro è nelle pagine su Gesù, nelle ultime osservazioni sull’unione delle Chiese. Ed anche noi, animate dalla stessa speranza dell’ ignoto scrittore, diremo che se i dogmi o la Bibbia, le bolle pontificie o la teologia di Lutero si porranno avanti dai cristiani delle Chiese, fra loro dissidenti, per cercare un punto di unione, quest’unione non sarà Eossibile. Ma se le persone di nona volontà, non guardando alle forme ed alla parola, si stringeranno in fraterno legame, nello spirito di Cristo, per agire, per rinnovare l’umanità, per fare il bene, allora l’unione verrà spontanea e tutti si sentiranno uno in Colui che|ci comanda.
(Da L'Alba di Torino).
Luisa Giulio Benso.
EIBRERIB EDITRICE " BILYCHNIS ”
Via Crescenzio 2, ROMA
Un soldat sans peur cl sans reproche. Pages dediées aux jeunes pour leur servir d’exemple - En mémoire de André Cornet-Auquier. . . L. 1,50
Sans peur et sans reproche. Le soldat selon la Bible. Sous la direction de M. Henry Soulié ....... L. 1,25
Alfred Loisy: Guerre et religan.................. L. 3,15
umani una « chance » accordata allo spirito umano Sr perfezionarsi attraverso un'esperienza penosa, per
: prevalere in sé — attraverso la disintegrazione, via ad una integrazione superiore — il principio unitario. il senso profondo e costituzionale delle anime, l’armonia delle cellule e degli organismi nel principio vitale che è amore, che è Dio.
Ed è perciò che, quando, in un giorno forse non lontano, il ricordo delle lotte cruenti di nazioni civili fra loro sarà tanto lontano dall’orizzonte sociale dei nostri posteri quanto lo è dal nostro il ricordo delle lotte intestine che dilaniarono in tutto il Medio Evo le nostre pili belle città éd armarono comuni contro comuni, e signorie contro signorie, anche allora la cessazione delle guerre non sarà — non potrà essere — Pace.
Forse, all’indomani dell’ultima guerra cruenta fra nazioni, sorgeranno forme nuove di competizioni industriali e commerciali non più di carattere nazionale, ma non per questo meno accanite e fatali: e quando anche l’epoca di esse sarà tramontata, un’altra se ne aprirà, che in una forma più elevata, sempre più umana, sempre più diretta verso forme superiori di esistenza, ripeterà in un’ottava superiore il motivo eterno della emulazione, via all’elevazione.
< Per crucem ad lucem! »
Dio è vita: e tutto ciò che vive è passaggio dalla potenza all’atto, è realizzazione di un programma, è superazione, è integrazione, è conflitto e trionfo. Sperare la cessazione della lotta, di ogni lotta, emulazione, dolore, è non solo utopia, ma contradizione al concetto stesso di vita quale a noi è dato concepire; sperare, volere che alle forme inferiori della lotta vitale ne succedano altre sempre più alte, sempre più nobili e spirituali, sempre più dominate dalla bontà e dallo amore, è invece l’aspirazione legittima ed il « Credo • di tutti coloro che credono all’avvento di un Regno di Dio perchè hanno coscienza di volerlo addurre sulla terra: di tutti coloro che « al suono melanconico d’una notturna squilla » invitante gli umani al pensiero dei defunti, in tempo di « pace », ed ogni volta che alla loro mente si presenta il fantasma sanguinoso della carneficina umana in tempo di guerra, inviano al Cielo, fiduciosi, il sospiro c la preghiera del: « Rcquiescal in Paceì »
G. Pioli.
VOCI DI PACE “UMANA” IN GERMANIA
Abbiamo recentemente assistito a polemiche fra i due gruppi di nazioni combattenti, proponenti o rifiutanti condizioni di pace dichiarate reciprocamente assurde e inaccettabili, e tacciate dall’uno o dall'altro gruppo quali « Pax Germanica * o « Pax Anglica ». Ma poiché una nazione non può mai perdere intieramente la sua « umanità » neppure in tempo di guerra.
79
LA GUERRA
[Libreria]
non fa maraviglia ehe voci e proposte di una « pax fiumana » si siano levate ripetutamente, fin dal principio della guerra, anche in Germania.
Eccone alcune:
Già nel principio dell’anno 1015, Gustavo Hoch, membro del Reichstag, pubblicava sulla Neue Zeit un articolo in cui rappresentava la determinazione dei democratici sociali (partito socialista) di adoperarsi per la pace alle condizioni seguenti:
i° Nessuna conquista;
2® nessuna sottomissione di alcun popolo;
3° concorrenza illimitata di tutte le nazioni in terre straniere;
4° accordi per regolare amichevolmente le differenze fra i diversi governi;
5° riduzione sistematica degli armamenti.
Ecco un passo dell’articolo:«... Questa guerra coi suoi spaventevoli sagrifizi... non gioverà che ai capitalisti, i quali otterranno nuovi territori da sfruttare: il risultato sarà la ricostruzione, in Germania, della macchina degli armamenti su di una base la più forte possibile, allo scopo di mantenere l’ascendente sui popoli soggetti. Le altre nazioni non si lasccranno superare nella gara, e così il militarismo assorbirà somme sempre crescenti, le quali non potranno essere fornite che da uno spietato sfruttamento della classe operaia. E poi seguirà, dopo la perdita di tanti dei più forti e più utili individui e la devastazione di sì vaste regioni e la distruzione di tante ricchezze, ancora una altra e spaventevole guerra... ».
• • •
Pochi mesi dopo si formava in Germania un’associazione dal titolo « Centralstelle Völkerrecht >• (Ufficio centrale di diritto internazionale), allo scopo di stabilire fra le nazioni una pace e armonia permanente. Nel suo programma essa insiste, naturalmente, sull’integrità, l'indipendenza e la libertà della nazione e del territorio della Germania e la tutela dei suoi interessi economici all’estero e all’interno. Ma, poiché acciò una pace sia durevole « è necessario che essa sia considerata come un assestamento soddisfacente dei loro rapporti internazionali da tutte le nazioni implicate», l’Associazione insiste che la pace non debba conchiudersi a condizioni di annessioni forzate o violando la libertà altrui, o con altre condizioni intollerabili; tali da spingere coloro a cui essa sia imposta ad una guerra di rivendicazione in avvenire. Inoltre vuole che si provveda ad un’istituzione permanente, per la decisione pacifica delle contese internazionali per mezzo di arbitrati o decisioni legali, mettendo così fine alla gara di armamenti. I.’Associazione riconosce che per l’accettazione del suo programma è un nuovo spirito che si richiede: ma essa crede che nella nazione tedesca questo spirito esista non meno che nelle altre nazioni civili.
Il fatto che rami di questa associazione si fondarono
Kanso Outchimoura: La crise d’âme d'un Japonais ou comment je suis devenu chrétien? ................L. 3,50
Fumi Luigi: Eretici e ribelli nell'Umbria .... L. 2 —
Opuscoli e lettere di Riformatori Italiani del Cinquecento. A cura di Giuseppe Paladino.
Vol. I........ L. 5,50
Ottolenghi Raffaele: I Farisei antichi e moderni . . L. 4 —
Farinelli A.: Lavila è un sogno. ParteI. Preludi al dramma
di Calderón . . . . . L. 6 —
Parte II. Concezione della vita e del mondo nel Calderón. Il dramma. . L. 8 —
Gabetti G.: Il dramma di Zacarías Werner . . . . L. 8 —
Alierò G. A.: Novalis e il suo a Heinrich von Offerdingen •
L. 7 —
Slataper S.: Ibsen L. 7 —
Pietrobono L.: // poema sacro.
2 volumi ...... L. 6 —
Mistral Federico.: Mirella. Poema. Traduzione di M. Chini
L. 4Chini M.: Federico Mistral
L. 1 —
Di Soragna Antonio.: Profezie di Isaia figlio^d'A mqz. Tra^ dotte c chiarite da A; di SòTa~gña¿ ...... . . . . . L. 5 —
Tagliatatela Alfredo.: I sermoni della guerra........L. 3,50
Sheldcn Carlo M.: Che farebbe Gesù ? Romanzo religioso' sociale. Traduzione di E. Tagliatetela ...... L. 2 —
Tyrrell Giorgio.: Medioevalismo [Ultime copie] . . . L. 2,50
Z/ programma dei modernisti
L. 2,50
Skeleton Carlo> yi i,CrQcifi&^f Romanzo religioso sociale, tradotto da E. Tagliatetela.
L. 2 —
80
164
BILYCHNIS
Mussolini Benito.: Giovanni
Huss. Il Veridico . , L. o,8o
Asioli Luigi.: Manuale di eloquenza civile e sacra . L. 3 —
Murri Romolo: La croce c la spada.................L. 0,95
Quadrotta Guglielmo: Il Papa, l’Italia c la Guerra. Con prefazione del Prof. Francesco Scaduto . . . . . . L. 2 —
000
presto in tutte le città della Germania, tende a mostrare che il programma non si è ingannato quanto alle disposizióni’ di una parte della popolazione.
11 giornale svedese Soziai Dentokraten. commentando il detto programma, osservava che. per quanto una pace che possa esser riguardata da ambo le parti come soddisfacente sappia un po’ di utopia, pure, il desiderio anche sólo di essa è immensamente di più di quanto fino allora si era inteso in Germania.
Novità.
la deposito:
È uscito il IV volume di Jean Lafon: Evangile et Patrie. Discours religieux. Voi. di 257 pagine. L. 3.75Sommario: Ne jugez pasta minorité protestante et l’union sacrée - La loi du Christ - Semailles et moisson - Le réveil - Le vertige de l’orgueil - La gloire-Le Vivant - L’héroisme chrétien -Pour eux! - Les sources - Les déguisements de Satan - Ce qui manque aux souffrances du Christ.
000
Cumont Franz. Le religioni orientali nel paganesimo romano. Traduzione di Luigi Salvatorelli, pag. 309. L. 4.
000
Profezie di Isaia, figlio di Amoz. Tradotte e chiarite da Antonio Di Soragna, pag. 186. Lire 5.
000
Opuscoli e lettere di Riformatori italiani del Cinquecento a cura di Giuseppe Paladino. Volume primo, pagine 291. L. 5,50.
000
Santa Caterina da Siena. Libro della divina Previdenza volgarmente detto Dialogo della Divina Provvidenza. Nuova
« * •
Nell'anno scorso, in una rivista trimestrale « Die Eicke » (La Quercia) pubblicata in Berlino, un intiero numero èra composto di articoli, traduzione di scritti di cristiani inglesi relativi alla guerra, tra cui quello del direttore del Browning Settlemcnt di Londra, e una « sfuriata • di una signora inglese, in tono talmente conciliativo da chiamare il Kaiser «< un indemoniato ». Eppure, nè editore, nè libraio, nè tipo-Srafo fu fucilato o imprigionato come reo di delitto i < Majestàtsbeleidigung » (lesa maestà).
Ma ben più sintomatico, quale indizio del cammino percorso dall’idea che la giustizia e non la forza dovrà regnare sulle nazioni, è l’articolo scritto più recentemente sul Berliner Tageblatt dal dott. Bernhard Dernburg, ex segretario di Stato, in cui fra altro si dice che: « il punto debole dei trattati internazionali è la mancanza di una - sanzione • cioè di una forza che li spalleggi, imponendo il loro rispetto. Ma se i trattati internazionali abbisognano di questo sostegno della forza materiale, ciò non implica necessariamente c sempre la forza armata. Noi vediamo oggidì che cosa significhi boicottare una nazione e isolarla. Se tutte lo Grandi Potenze adottassero quest’arma, essa diverrebbe mortale... lo credo che l'opera del Tribunale dell’Aja deve essere ripresa e spinta più innanzi ancora e che bisogna superare i pregiudizi! che esistono contro ogni sorta di accollo internazionale ». Ed egli conchiude, perorando per la costituzione di un diritto internazionale di pace, poggiato su fondamenti che trascendano gli Stati individuali, e riposto sotto una conveniente e adeguata sanzione, costituita dalla coscienza morale, e poi in ultimo dalle risorse materiali del mondo civile.
• • ♦
Abbiamo altra volta accennato all'assistenza prestata da un’associazione di dame tedesche ai prigionieri di guerra. In una lettera scritta dal Comitato centrale, in risposta a un indirizzo fraterno inviato dal Comitato inglese avente lo stesso scopo, notiamo il seguente periodo: « Sì, noi osiamo di considerarci come una cosa sola con voi, nella brama che le ferite che una nazione deve infliggere all’altra, siano da parte nostra compensate, per quanto in un grado impercettibile, nella raddoppiata attività dell’amore, in quei dipartimenti della vita sociale che si sottraggono all’impero
81
LA GUERRA
[Libreria] 165
inesorabile della guerra... Piene di fede nella forza della Volontà di Bene, e fiduciose nell'eventuale avvento di una Pace duratura, noi' vi salutiamo come amiche... ». Dal gruppo amburghese delle medesime dame, viene descritta in una lettera recente l'opera prestata a beneficio dei prigionieri di guerra in quella città: ed in essa troviamo la frase: « Noi siamo solo dolenti di non poter fare di più. di più assai: ma anche questo poco è un seme che potrà in avvenire produrre sensi di riconciliazione fra le nazioni ».
È così che il sacro dovere di alimentare anche in mezzo a un diluvio di odi il sacro fuoco della carità è compiuto anche in Germania. In un articolo comparso nel mese di settembre nel Berline* Tagcblatt, il professore Forster, già segnalatosi per le sue franche critiche delle autorità tedesche, ha scritto:
■ Per usare le parole di Lord Courtney: " Noi siamo stati ingannati e abbiamo, alla nostra volta, ingannato’’ Chi può in tale caos «li inganni, desiderare di gettare tutta la colpa su di una sola parte? Che colui che è senza peccato scagli pure la prima pietra. Le tradizioni di tutte le nazioni sono macchiate di sangue e di delitti, o questa guerra mondiale è il risultato dell’accumularsi «lei lavoro lento di un giudizio universale sul terribile corso della storia europea del passato... Per noi qui, dietro le linee, è un sacro dovere di fare tutto ciò che possiamo per addurre un’atmosfera in cui le passioni possano venire mitigate e la voce della ragione possa farsi sentire... Ciò che importa è uno spirito nuovo. In ogni nazione è necessario che si levino voci a proclamare apertamente che non vi è via di uscita da questo Inferno di pazzia e di ostinazione, a meno che noi tutti risolviamo di liberarci dallo spirito maligno che presiedeva ai rapporti internazionali, c confessiamo apertamente ed onestamente la nostra parte di colpa, e dal fondo del nostro cuore apprendiamo ad amare e a progettare una nuova Europa ».
In tutti 1 passi che abbiamo citato, che non vogliono essere che un piccolo saggio frammentario non è una «pax germanica» che s’invoca, ma la «pax homi-nibus bonae voluntatis », la pace permanente della giustizia, della libertà, della fratellanza «delle nazioni.
edizione secondo un inedito codice senese, a cura di Ma-tilde Fiorini, pag. 474. L. 5,50.
000
[Novità] J. E. Roberty: Pour l’Evangile et pour la France. Pag. 132, !.. 2,65.
Sommario: Les tourments de la guerre-Les prières non exaucées - Heureux les morts! - La marche en avant - Le désir «le mourir - Le patriotisme de Jeanne d’Arc - La recherche de Dieu - Le doute -L’amour vient de Dieu.
000
[NovifÀ] Lanoë-Villène: Principes généraux de la symbolique des religions. Pag. 293. Prezzo L. 4.
Sommario: I. Introduction: 1. Les origines. 2. L’évhémé000
[NovitàJ Avec le Christ dira- . vers la tourmente. Sermons d’un pasteur brancardier.
Pag. 127, L. 2,30.
Sommario: Prière - Comment expliquer la douleur humaine — La présence du Christ - Pour ne pas fléchir -Mon Royaume n’est pas de ce monde - Noël 1915 - Aimez vos ennemis - Prière.
Dai diario della scrittrice americana Madeleine Doty, intitolato La mia visita alla Germania, pubblicato dalla rivista inglese The Nailon, estraggo un biano della sua dimora a Monaco di Baviera, in cui dopo aver presentata una sua amica tedesca, signorina W., direttrice del ramo tedesco del movimento internazionale femminile per la pace, descrive una scena di un « meeting » pacifista.
« ...Se non fosse stato per le vie piene di soldati e di gente triste, « la penuria di cibo, io avrei dimenticato di trovarmi in Germania. Queste tre amiche (tedesche) amavano gli stessi libri, le stesse pitture ed opere d’arte, avevano le stesse abitudini, costumi • c parlavano
000
(Novità) Antonio Di So-ragna: Profezie d’Isaia figlio di Amoz. Traduzione e commento. Voi. di pag. xxvin-186 Lire 5.
[Novità] Frank Thomas:, ¿es.
heureux. Etudes pratiques \ “dès Béatitudes. Pag. 181: \
prezzo L. 3.25.
Sommario: Heureux! - Les humbles - Les affligés - Les doux - Affamés, altérés de justice - Les miséricordieux -Les purs-I.es pacifiques-Les persécutés - Le soleil levant.
o o
82
i66
BILYCHNIS
{Novità] Pendant laguerre. (Discorsi religiosi), volumetto 12° di pagine ioó, L. 1,25. Sommario: Qui est digne de Lui? (di N. Weiss) - Là vitalité française (di J. Viénot) -Le prix du sang (W. Monod) -Heureux quand même! (J. Calas) - Luther et l’Allemagne contemporaine (Ch. Mened’Au-bigné) - L'anniversaire de la mobilisation (W. Monod).
000
Pendant la guerre. Volumetto 130 di pag. 100, L. 1,25.
Sommario: Rendez à César (J.-E. Roberty) - Pour les découragés (J.-E. Roberty) -Les causes ultimes: IV. Nobles et justes causes (L. Monod) - L’Oubli des morts (J. Viénot) - L’attente (E. Soulier) - Jusqu'au bout (J.-E. Neel).
000
[Novità] G. Boissonnas: La foi mise à l’épreuve. Pendant la guerre 1915. Discorsi religiosi. Pag. 223. L. 3,75.
Sommario: L’homme, un sol dat - Comment souffrir - Où est ton Dieu? - La foi disparaîtra-t-elle de la terre? - J’ai gardé la foi - Les neutres et la conscience - Le rôle de la vérité - Le monde haï et vaincu - Aimer c’est vivre - La fatalité dans l’Evangile - Aux sans-abri -Contre le découragement - En souvenir des infirmières mortes au service de la France - Noël «915000
[Novità] J.-E. Roberty: Nos raisons d’espérer. Deux sermons, L. 0,60.
000
[Novità] Mario Rossi: Giovanni Huss, l’eroe della nazione boema nel secolo xv - Conferenza commemorativa del V centenario della sua morte (1415-1915): L. 0,40.
000
degli stessi argomenti, che un gruppo corrispondente di donne inglesi o americane. Supporre che i Tedeschi appartengano ad una razza straniera alla nostra civiltà è assurdo. Se mai, queste donne tedesche erano superiori a qualunque altra conosciuta da me. Esse avevano penetrato il fondo delle emozioni umane, possedevano una energia più appassionata, ed erano meno legate dalle convenzioni, che un simile gruppo di mie connazionali. Ecco un elemento con cui la Germania avrà' da fare i suoi conti.
« Una sera noi ci recammo ad un grande comizio per la pace, indetto sotto gli auspici dell’ala maggiore del partito socialista. Ai seguaci di Liebknecht non è permesso di tenere comizi, in Monaco più che in Berlino: ma quanto ai comizi per la pace, essi, a dispetto delle limitazioni, sono popolari. Le autorità militari si contentano di imporre che le condizioni di pace proposte siano limitate alla domanda dello «status quo » quale era prima della guerra, e di proibire la pubblica discussione. Al comizio erano presenti circa un duemila persone: esso si teneva in una grande sala di una birreria... e sì la platea che le gallerie erano affollate, in maggioranza, di uomini, fra cui dei soldati in uniforme. Le mie amiche ed io ci sedemmo presso la piattaforma. È da notare che la mia amica signorina W. non appartiene nè al gruppo di Liebknecht nè alla maggioranza del partito socialista, sembrandole il primo troppo eccessivo e il secondo non radicale abbastanza. A eccezione del nostro gruppo, l'udienza era composta specialmente di operai di officine: era una folla desta, intenta, acuta, dai volti pieni d’intelligenza e di forte carattere: non pecore, ma lottatori... L’oratore disse in sostanza: « 1 giorni del Goti strafe England (« Dio punisca l’Inghilterra ») sono passati: e noi speriamo che presto giunga il tempo in cui i Tedeschi non saran più chiamati "Barbari,, e "Bo-clies,,. Forse il miglior modo di affrettare quel giorno è quello di promuovere la causa della pace. Certo, è penoso sapere che le altre nazioni odiano la Germania, e sarà difficile dopo la guerra di mandare avanti le industrie: e non vi sarà lavoro sufficiente per gli operai. È quindi essenziale che la pace sia fatta il più presto possibile. Quando essa verrà, allora forse le inimicizie cesseranno. Ne abbiamo un esempio nel modo con cui la Germania e l'Austria hanno superato le differenze reciproche ed ora sono alleate, e nell’amicizia che ora lega la Prussia e la Baviera. (A questo punto sorsero risa clamorose che obbligarono l’oratore ad arrestarsi per qualche secondo).
«Egli parlò quindi delle sofferenze dei poveri: "Il Governo ha mancato intieramente alla sua promessa di prendersi cura delle donne e dei fanciulli, perchè non avessero a soffrire mentre i loro uòmini erano in guerra „.
• Lodò quindi la politica pacifista di Von Hollweg che contrappose a quella del 'terrore dei sottomarini,, di Von Tirpitz; e lesse le sue proposte di pace sulla base dello status quo prima della guerra, per le quali
83
LA GUERRA
[Libreria] 167
chiese un voto di approvazione per alzata o seduta. Tutti nella sala si levarono in piedi, ad eccezione delle mie amiche. La ragione era che la signorina W., come membro dell'Associazione Internazionale Femminile, voleva, anziché lo statuì: quo, la libertà per la Polonia e la concessione di un plebiscito all’Alsazia e la Lorena; Anche l’altra mia amica berlinese, come seguace di Liebknecht, voleva termini più liberali. Ma l’udienza non comprese che fossero queste le ragioni, e credette che noi fossimo contrarie alla pace. Subito una folla di persone infuriate ci si strinse attorno, e a urti e spintoni ci cacciò verso l’uscita. Io temetti che la mia amica W. fosse percossa, perchè molte donne tendevano verso di lei i loro pugni, ed una di esse gridava: “Come osate voi non volere la pace, quando il mio marito è stato ucciso al fronte,,, e un'altra “ Come osate voi ricusare di firmare la petizione per la pace mentre il mio figlio è stato ucciso, e il mio marito ferito?,,. Io feci del mio meglio per tener testa alla folla, ma prima di arrivare all'ingresso che metteva sulla via, avemmo da lottare, e fummo maltrattate seriamente, e la mia amica W. ebbe i capelli strappati. Giunti sulla via, essa si volse ai suoi persecutori. Entro la sala essa non aveva potuto parlare, perchè la polizia glie lo aveva proibito, ma all'aperto si arrischiò a farlo. Essa è una creatura alta e gracile, con capelli d'oro e occhi azzurri, una vera madonnina, ma entro di lei arde un fuoco inestinguibile. Essa si voltò alla folla, e mostrando i suoi pugni urlò: " Anch’io voglio la pace, ma una pace vera! Io sono più radicale di voi!,,
■ Dalla folla si distaccò un uomo, evidentemente uno dei capi del partito socialista, e avvicinandosi a noi, fece sapere al popolo chi fosse quella signorina e quali fossero gl’ideali che essa sosteneva. La gente vergognosa si allontanò, e noi riuscimmo a porci in salvo nel buio della notte... ».
G. Pioli.
A FASCIO.
Perchè le madri non mandano i figli
a vivere per la Patria?
« Lessi un giorno sul Times. » scrive Bernard Shaw sul Brotherhood « che Lord Curzon chiedeva la soppressione del “ Derby ”, per la ragione che gli sembrava sconveniente di “far feste” in presenza delle privazioni, delle ferite e della morte: e gli domandai se si ricordava di alcun “Derby ” corso durante la sua vita, o di qualunque altra “ festa ” di qualunque genere, che non fosse stata celebrata in faccia dei più abominevoli, eppure evitabili, mali sociali, compresa
[Novità] Alfred Loisy: Guerre et religion. (Deuxieme édition).
Sommario: Guerre et religion (I. La guerre-II. Les religions - III. La religion) - David et la neutralité belge - Les Allemands et le règne de Dieu -Deux philosophies dé la guerre
Vol. di pag. 200: L. 3.
000
[Novità}
Volumetto 10®: Le Message de l’église en temps de guerre (W. Monod) - Les Causes ultimes. I. (L. Monod) - A la Lumière de l’invisible (H. Mon nier) - Les Mains sur la Montagne (A. Wauthier d’Aygal-liers) - Prières nationales (W. Monod) - Les Causes ultimes. II. (L. Monod).
000
Jean Lafon, Evangile et Patrie. Discours religieux (2 aout-25 décembre 1914). Pagine 210, L. 3-2.5Sommario. — 1. Notre forteresse - 2. Patriotisme chrétien-3. Aux femmes-4. Royaume et Justice de Dieu-5. L’attitude de Jésus devant la doïeur - 6. Le but de la vie -7. Temple en ruines et Temple Eternel - 8. La jeunesse de demain - 9. Foi et délivrance -10. Nos morts-ii. Comment 6rier?-i2. Pourquoi célébrer L fête de Noël?
000
L'Eglise et la guerre par Mgr.
Batiffol, MM. P. Monceau, E. Chenon, A. Vanderpol, L. Rolland, ecc. L. 4. Ecco i soggetti di alcuni capitoli: Les premiers chrétiens et la guerre. Saint Augustin et la guerre. Saint Thomas d’Aquin et la guerre. Les applications pratiques de la doctrine de r Eglise sur la guerre.
84
i68
Synthèse de la doctrine théologique sur le droit de la guerre, ecc.
o o o
Guglielmo Quadrotta. H Papa. l'Italia eia Guerra. Con prefazione di Francesco ¿caduto. Milano, 1915. Voi. di pag. 175.L. 2. Estero L. 2,25.
Sommario: La chiesa romana alla morte di Pio X -11 conclave di Benedetto XV -La figura del Papa e la sua preparazione politica - La caduta del potere temporale e la politica ecclesiastica del nuovo regno-La legge delle Guarentigie e il suo valore - Il Vaticano e la partecipazione dell’Italia alla guerra delle nazioni - Benedetto XV e l’Italia-Il papato in Europa -Documenti.
BILYCHNIS
la mortalità dei fanciulli, la prostituzione forzata, il vizio artificiale, malattie, sofferenze, degradazioni, squallore, frodi, violenze, carestie, assassini, morti istantanee c guerre. Sidney Webb aveva proposto di metter fine alla disoccupazione e alla miseria, con tutti i danni e la demoralizzazione conseguente, per la meschina somma di un due milioni di sterline; Horace Plunkett aveva proposto uno schema per quadruplicare il raccolto dell'Irlanda, e così evitare la lotta fra proprietari e lavoratori che incombe sull’Irlanda: 'e ciò al prezzo di tre mila sterline all’anno, spese per diffondere una coltura agricola razionale. Macché! Sarebbe stato più facile ottenere il Sole e le stelle!...
- Laddove per questa insensata carneficina suicida della civiltà, quest'odio fatto d’illusioni, questo mostruoso frutto di egoismo e apatia misti a enormi dosi di falsità, noi immoliamo avidamente miliardi di sterline, e padri e madri mandano i loro figli ad uccidere ed essere uccisi, a mutilare ed essere mutilati — benché nessuno di essi si sia mai curato del bene dell’Europa più che del lucido delle proprie scarpe, — nessuna madre, invece, manda i propri figli a vivere per la patria: nessun padre stringe la mano al suo figlio dicendogli: Vorrei essere ancora tanto giovane, da poter combattere al tuo fianco per la conquista di una patria decente e degna di vivervi ». G. Pioli.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell'Unione Editrice, Via Federico Ce»i. 45
86
Prezzo del fascicolo Lire 1 —