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Anno 126 - n. 8
23 febbraio 1990
L. 1.000
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G*-uppo II A/70
In caso d; mancato recapito rispedire
a : casella postale - 10066 Torre Peliicc
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
SUD AFRICA
IN DISCUSSIONE I PROVVEDIMENTI DEL GOVERNO
Un Mandela
non fa primavera
La sua liberazione non può far dimenticare la
legislazione razzista, che è ancora vigente
Come tanti bravi italiani, anch’io nel pomeriggio di domenica 11 febbraio mi sono piazzato davanti alla TV per assistere
aH’uscita di Nelson Mandela dal
carcere: non ho voluto perdermi
questo avvenimento storico. E
devo dire che mi ha fatto veramente molto piacere vederlo finalmente libero, al fianco della
moglie, salutato dalla folla, accolto dalla sua gente. Era ora!
Certo, mi ha fatto impressione
quel volto segnato dalla sofferenza di lunghi, interminahili
anni di prigionia. Il prezzo di
quella liberazione è stato altissimo: lo ha pagato Mandela con
ogni minuto passato in galera,
lottando contro se stesso, senza
cedere né alla violenza né alle
lusinghe dei bianchi, ma lo ha
pagato anche il popolo nero del
Sud Airica. Quanti sono i bambini, le donne, i vecchi, gli uomini incarcerati, torturati, assassinati in tutti questi anni di
politica delFapartheid? Chi restituirà loro la vita, le famiglie
distrutte, gli affetti spezzati, i
beni sottratti, il sorriso spento,
la gioia, la speranza...? Mandela,
in un certo senso, ha sopportato
nel carcere, oltre alla propria
sofferenza, anche quella dell’intero popolo nero sudafricano; ne
è ^ventato come il simbolo. Perciò la sua liberazione è anche
simbolo, segno di speranza della
liberazione di tutti gli oppressi
e non solo del suo popolo.
« L’Eterno mi ha inviato per
proclamare la libertà a quelli
che sono in cattività, l’apertura
del carcere ai prigionieri... » ( Isaia 61: 1). La liberazione dei
prigionieri è un segno anticipatore del Regno di Dio.
In questi giorni, dalla TV ai
giornali, tutti hanno fatto a gara nel dare una massa d’informazioni sulle iniquità dell’apartheid, facendo nascere in me un
senso di rabbia perché per la
prima volta si è parlato apertamente di un sistema disumano,
con dovizia di particolari. La mia
rabbia nasce dal fatto di venire a scoprire solo ora tante cose che per anni ci sono state
celate, negate. Perché non ci sono state dette? Perché ci hanno defraudato di tante cose? Se
ci fossero state dette prima forse la pressione intemazionale
avrebbe potuto smuovere il governo di Pretoria già da tempo,
e rompere la catena d’ingiustizia disumana. Invece in questi
anni solo « Conto alla rovescia »,
un umile foglio mantenuto da
Meno 5
Invieremo ancora 5 numeri del
settimanaie a colloro che non hanno rinnovato l’abbonamento. In seguito spediremo il giornale, a chi
non avrà fatto pervenire la disdetta,
in dontrcssegno. gravato delle spese postali.
Per il rinnovo utilizzare il ccp
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Pio V, n. 15 - 10125 TORINO, oppure rivolgersi all’incaricato locale
delle chiese.
400 abbonati, ha cercato di spezzare il muro di omertà.
Ma c’è un altro motivo di rabbia: ora tutti si scoprono antiapartheid. Io, francamente, non
me n’ero accorto; mi pareva che
ci fosse molta indifferenza intorno a questo problema. Ed anche nelle nostre chiese, a parte
alcune lodevoli eccezioni, chi in
questi anni ha pregato con costanza perché cessasse il regime dell’apartheid? E quanti di
noi hanno provato un senso di
disagio nel sapere che uno dei
padri fondatori dell’apartheid fu
un certo Malan, originario delle
Valli valdesi?
E infine, da tutto il gran parlare che si sta facendo, sembra
che l’apartheid sia finito o stia
per finire; sembra che vi sia una
sorta di alleanza Mandela-De
Klerk. A me pare che invece si
tratti di un’operazione di maquillage del regime. Forse non è
così. Ma i problemi del Sud Africa sono ancora tutti da risolvere. I mass media tendono a
tranquillizzarci. Ma io non mi
stupirei che i morti di questi
ultimi giorni, anziché le ultime
vittime della fase terminale di
un regime, fossero le prime di
una nuova, ancora più dura fase
di lotta contro l’idra dalle sette
teste dell’apartheid.
Per questo, per una volta almeno, sono d’accordo con la
prudente cautela di Bush che,
prima di sospender© le sanzioni contro il Sud Africa, ha chiesto ulteriori, sostanziali segni di
un mutamento reale dell’attuale
regime sudafricano. Come a dire
che un Mandela liberato non fa
primavera.
Luciano Deodato
Clandestini per sempre?
La questione richiede soluzioni urgenti ma non di carattere di « emergenza » - Il problema della casa - Il convegno promosso dalla FCEI
Un quartiere si è ribellato, a Milano, contro la decisione dell’amministrazione di destinare agli immigrati una sorta di megatendopoli in periferia. Come nel novembre ’,87 (allora fu un sobborgo rombano a rivoltarsi contro gli zingari) dalla gente comune, che ogni
giorno incontriamo sull’autobus,
proviene un segnale del rischio,
tante volte segnalato dalle chiese e
dal volontariato, che in assenza di
leggi adeguate, si manifesti anche rabbiosamente una reazione
popolare.
Il decreto legge
del 30 dicembre
A dire il vero, una nuova legge (o meglio: decreto legge) c’è
dal 30 dicembre scorso. E’ un
provvedimento di sanatoria che
consente agli stranieri che si trovano in Italia di regolarizzare la
propria posizione: chi sia giunto
sul nostro territorio anteriormente al 1° dicembre ’89 ha tempo
fino al 30 aprile prossimo per presentarsi in questura e richiedere il
permesso di soggiorno, anche se
entrato senza visto d’ingresso.
Può iscriversi al sistema sanitario
e nelle liste di collocamento come
i cittadini italiani. Inoltre il decreto ha abolito la squallida « riserva geografica », che limitava
agli europei i rifugiati a cui il nostro paese avrebbe accettato di dare asilo.
11 provvedimento (in questi
giorni al vaglio del Parlamento per
la sua conversione in legge) è stato salutato da molte parti come
Un provvedimento di sanatoria, da molti considerato giusto, riuscirà a sottrarre gli immigrati alla precarietà?
innovativo, come una legge che
finalmente rende gli stranieri non
solo un problema di ordine pubblico, ma una realtà innegabile di
partecipazione alle nostre vicende.
Naturalmente c’è anche chi ritiene che questa legge sia troppo
permissiva: l’estrema destra e le
liste autonomiste (Lega lombarda
in testa) agitano lo spettro di vere
e proprie invasioni; il PRI, nel
presentare 60 emendamenti al testo governativo, fa presente che
mancando le condizioni per dare
una sistemazione dignitosa agli
stranieri, occorre limitarne l’ingresso in Italia. E, in ultimo, forse proprio in seguito alla protesta
di Milano, il governo ha per ora
messo da parte il provvedimento
relativo alla concessione di abita
CONTRO LA TENTAZIONE DEL PASSATO
Afferrato da Cristo
« Anch’io sono stato afferrato da Cristo »
(Filippesi 3: 12)
L'apostolo Paolo scrive ai suoi amici di Filippi;
ricorda i volti, il sorriso, i pianti di uomini e donne provati dalle vicende correnti: lavoro, malattia,
schiavitù e, pensando alla loro spiritualità, evoca
le immagini più varie. Più che ai templi, accenna
ai tre pilastri della vita pubblica e privata: la scuola, il teatro, lo stadio. La scuola è il centro di formazione dei fanciulli per una conoscenza indispensabile alla formazione del carattere. Il teatro ripropone alla gente il senso delle vicende pubbliche, il dramma degli eroi, dei vincitori e degli
sconfitti. Lo stadio esprime la gara, l'ardimento,
la competitività. Presso i greci il gioco cerca di
forgiare una umanità che lavora, cammina, gioca, corre, tende verso un traguardo. Paolo ripen
sa a Lidia, negoziante di porpora, che forma il
nucleo della comunità nella sua casa, pensa al
suo compagno di carcere Sila, al carceriere convertilo. La Sua parola diventa dialogo, conversazione, confessione della sua fede, della sua speranza, della sua lotta, della sua corsa.
.Anche lui. Paolo, prende parte alla gara, alla
corsa, con lutti i suoi amici. Le sue immagini sono
.solari, comunicano slancio e passione ai suoi compagni. Non vi è nulla di ripetitivo, di banale: vi
è passione per giungere al traguardo. Che cosa va
cercando? Dove si dirige il corridore? Paolo « fotografa » se stesso in un preciso momento: nell’ora nella quale ha la visione del premio, la luce
della « perfezione ». Il premio, la perfezione è il
Regno di Dio, che verrà, è il compimento, che si
sostituirà al frammentario, è la luce piena, che
vince le tenebre. In quella tensione egli è attratto
dalla realtà della « conoscenza di Cristo », cioè
dalla rivelazione del mistero della grazia di Cristo, dalla « potenza della sua risurrezione », cioè
vita nuova che si comunica a uomini resi viventi
dal Vivente, e dalla « comunione delle sue sofferenze », cioè dalla partecipazione al travaglio petit sorgere del mondo nuovo di Dio.
Ma l’apostolo confessa di non avere ancora
raggiunto il premio, la perfezione. Ritorna Firn
magine del corridore: « Dimenticando le cose che
stanno dietro e protendendomi verso le cose che
stanno davanti, proseguo il corso verso la meta,
verso il premio della vocazione suprema di Dio
in Cristo Gesù ».
La tentazione umana della chiesa è sempre
quella di guardare verso il proprio passalo, la
sua storia di ieri, i suoi dogmi, le sue etiche. Occorre vincere questa tentazione, superare quello
che pure aveva valore, e raggiungere, nel premio,
nuovi cieli e nuova terra.
Carlo Gay
zioni popolari agli immigrati, rinviandone l’esame. Lo stesso sindacato degli inquilini aveva richiamato l’attenzione sulla necessità
di evitare una guerra fra poveri:
il problema della casa è già gravissimo per gli italiani.
Un’iniziativa
del Servizio migranti
In vista di un approfondimento
e di un confronto con il mondo
politico (il vicepresidente del consiglio, Martelli, e altri interlocutori sono stati invitati per un convegno che si terrà a Roma all’inizio
di marzo), il Servizio migranti della FCEI ha chiesto a Christopher
Hein. già responsabile a Roma
dell’ulficio legale dell’Alto commissariato ONU per i rifugiati, di
elaborare un documento preparatorio.
In un interessante fascicolo, dopo aver ripercorso le motivazioni
delle migrazioni, i problemi del ricongiungimento familiare e lo status dei migranti in diverse realtà
mondiali (ci sono paesi che hanno
bisogno di immigrazione, come
USA, Canada e Australia, ma che
ne quantificano annualmente l’entità), Hein delinea la proposta di
« una struttura di "counselling"
presente in tutte le province,
presso i consolati nei principali
paesi di provenienza di immigrati ». Tale organismo, oltre a « raccomandare soluzioni al ’’microlivello"», dovrebbe «cooperare con
le istituzioni statali di pianificazione ». Allo Stato verrebbe richiesta una capacità di pianificare
una serie di parametri che incidono sulle possibilità di accoglienza, tra cui quelli relativi allo sviluppo dell’economia e del mercato del lavoro, l’equilibrio demografico, urbanistico ed ecologico,
quello sociale e culturale nelle diverse zone del paese, la disponibilità di alloggi e di strutture di servizio, ecc.
Alberto Corsani
(continua a pag. 3}
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commenti e dibattiti
23 febbraio 1990
LO SCOOP
DI MIXER
lo sono repubblicana e nel referendum del 1946 votai contro la monarchia, eppure non solo la discussa puntata di Mixer non mi ha scandalizzata, ma mi è parsa un’efficace lezione
di sana diffidenza verso qualsiasi tipo
di indottrinamento. Minoli ci ha dimostrato come sia facile mescolare alcuni elementi reali ed altri inventati (in
questo caso volutamente grotteschi e
poco credibili), dando alla gente l'impressione che tutto sia ugualmente
vero. E per di più, a differenza di Orson
Welles, ha avuto il buon gusto di scegliere avvenimenti da cui ci separa
quasi mezzo secolo, in modo da evitare confusioni e paure.
Così mi hanno stupita gli scandalizzati commenti di quasi tutti i quotidiani di qualsiasi colore politico, ed
ancor più la virtuosa indignazione
di quegli stessi parlamentari che non
sembrano altrettanto scandalizzati sapendo che fra loro siedono persone
elette in seguito a brogli ben documentati dalla nostra magistratura.
Alcuni hanno motivato le loro critiche alla RAI sostenendo che non
c'è nessun bisogno di dimostrare
quanto sia facile manipolare i documenti. perché tutti ormai lo sanno
e diffidano anche troppo.
Anche qui non sono d'accordo. Conosco persone che chiamano abitualmente ■ la bugiarda » un quotidiano
piuttosto diffuso, e poi citano come
vangelo tutte le notizie e i giudizi da
questo pubblicati. Se ciò avviene con
la carta starrtpata, tanto più si verifica
con le immagini, davanti a cui abbiamo tutti l’impressione di essere
testimoni diretti degli avvenimenti.
Perciò, in mezzo al coro delle critiche, non posso che ripetere: « Grazie, Mixer. Grazie, Rai 2 », anche perché
per me il diritto-dovere di scegliere
in prima persona, pur con il rischio
di sbagliare, non è solo caratteristica
del cittadino che non accetta di essere ridotto a suddito, ma anche effetto della fede in quel Dio d'amore
che non ci ha voluti schiavi, ma figlioli.
Marcella Gay, Pinerolo
PREDICAZIONE E
IMMAGINE PUBBLICA
La nostra chiesa, unica denominazione evangelica in Italia, continua a
vivere una preoccupante emorragia di
membri di chiesa: le statistiche ci dicono che ogni anno scompare una
chiesa di media grandezza (100 membri valdesi e metodisti in meno o giù
di lì) e le nuove ammissioni, che
pure grazie al Signore ci sono, non
compensano le pesanti perdite.
Qualche tentpo fa un collega più
anziano mi faceva notare che il valdismo medioevale, la cui consistenza
numerica ci è ignota, cresceva e si ramificava in Europa grazie alla predicazione deH’Evangelo (la Parola di Dio
non è mai incatenata!) dei nostri padri, pagata sovente a caro prezzo,
come è noto. Sembra proprio, come
ricordava anche il Moderatore in una
sua circolare dello scorso anno, che
sia la predicazione (o « non predicazione ») il problema di fondo del nostro
essere chiesa. Ed è su questo punto,
poco importa se al culto c’è Cossiga
o le telecamere, anche se mi e ci
imbarazza, che bisognerebbe aprire
una discussione fraterna.
La grossa obiezione che viene rivolta alla predicazione evangelica udita nella Chiesa valdese, e non solo
dagli altri evangelici ma anche da alcuni nostri simpatizzanti, è la sua
■< difficoltà di linguaggio ». Se non si
ha una pratica assidua, « l'uditore
che entra », per dirla con Paolo, ha
notevole difficoltà a entrare in sintonia con noi; e se la fede nasce dall'ascolto della Parola di Dio, non è
sufficiente rimanere affascinati — può
anche accadere — da un bel sermone, se non si comprende l'annunzio
evangelico!
Ma vi è un altro aspetto sul quale
desidero soffermarmi: la « predicazione
scontata ». Per la nostra formazione
teologica, può accadere, nonostante
l’accurata esegesi del testo, che la
predicazione ■■ non accada ». Scavare
nel testo originale, leggersi il « commentario » e qualche raccolta di sermoni non basta: la predicazione evangelica, come ci ricordano i riformatori, avviene allorquando lo Spirito del
Signore rende vivente la parola scritta. Le nostre predicazioni sono « richieste » al Signore, o già scritte il
sabato sera? L'azione dello Spirito è
libera e rende » efficace » il sermone
pronunciato in umiltà e in preghiera.
Il terzo aspetto della nostra predicazione è quello che può sembrare il
migliore: l'attualizzazione.
Ma anche qui dobbiamo chiederci
se « Bibbia e giornale » significa una
semplice sovrapposizione del giornale
sul testo biblico o piuttosto, viste le
concentrazioni monopolistiche della nostra stampa e dei media in generale,
una accurata, faticosa e (perché no?)
parziale ricerca dell'«attuale» non spettacolare e affrettata, ma sostanziata
da una robusta argomentazione biblica
e teologica. Linguaggio, azione libera
dello Spirito, attualizzazione appropriata sono problematiche complesse; le
ho solo accennate, altri potranno meglio svilupparle.
Ma vi è un quarto aspetto della nostra predicazione che suscita perplessità: è la ricerca « in crescendo » di
immagine. Paradossalmente mentre
numericamente diminuiamo o comunque,
anche nelle grandi aree urbane, siamo
in « stagnazione », è aumentata la nostra presenza nei media.
In tutto questo vi è un aspetto positivo: Giorgio Girardet ci ha spiegato
molto bene in questi anni l'importanza
dei media e di un loro uso appropriato, anche in vista di « una predicazione evangelica extra muros ». Ma vi de
Fondo di solidarietà
Nel pubblicare qui appresso
l’elenco dei doni iiervenuti nello scorso mese di gennaio, comunichiamo di aver raggiunto
l’obiettivo della cifra di L. 6 milioni a favore del Centro agricolo e socio-sanitario di Nyengo in Zambia: provvederemo
pertanto a inoltrare detta somma tramite la Tavola valdese.
E’ tuttora in corso la raccolta di fondi a favore della Chiesa
presbiteriana in Mozambico e
del suo lavoro per i profughi e
per le vittime della guerriglia
e delle sue devastazioni. Attualmente vi sono in cassa circa L.
4 milioni e mezzo: anche in questo caso attendiamo di raggiungere la cifra di 6 milioni.
Infine, ricordiamo l’iniziativa
già segnalata nel numero del 9
febbraio scorso, e cioè il progetto salute della Chiesa di Gesù
Cristo in Madagascar (si tratta
di una unione di chiese evangeliche che comprende un milione
circa di credenti). Come abbiamo già preannunciato, si tratta
di sostenere la creazione di una
rete di farmacie di villaggio per
raggiungere così molto più facil
mente le esigenze della popolazione, per lo più ora costretta a
riversarsi con grossi disagi nei
grandi centri urbani. Parallelamente a questa diffusione di
farmacie, verrà curata una più
diffusa educazione sanitaria. Avremo certamente ancora modo
di parlare dì questo progetto.
Frattanto invitiamo i lettori ad
inviare le loro offerte al conto
corr. postale n. 11234101 intestato a La Luce, fondo di solidarietà, via Pio V, 15, 10125 Torino. R. P.
Offerte pervenute nel gen-taio 1990
L. 1.000.000: Giuliana e Italo Eynard.
L. 240.000: Gino e Lalla Conte.
L. 149.060: Scuola domenicale Centro
e Coppieri. Torre Pellice.
L. 100.000: Delia Fontana.
L. 65.000: Lidia Buttazzoni.
L. 60.000: Giovanni e Rosalba Giambarresi.
L. 50.000: Anonimo veneziano; Davide Czermely; Chiesa valdese, Mantova: Odette Bai mas.
L. 20.000: Primo Violo.
L. 10.000: Elena Rosanda.
Totale L. 1.844.060 — Totale precedente L. 8.674.359 — In cassa lire
10.518.419.
ve essere, almeno così mi pare, visto
che non intendiamo essere televangelisti, un rapporto equilibrato tra la
nostra predicazione e l'immagine che
intendiamo offrire ai nostri concittadini.
Se la strada intrapresa del « culto »
televisivo porterà, come avviene in altri
paesi, ad un appuntamento domenicale fisso, come già accade con il « Culto radio », allora saranno, a mio avviso,
essenziali due cose: presentarci come siamo, e farci capire dai nostri
connazionali. E' una sfida — chissà
che essa non ci venga dal Signore —
ad essere comprensibili, in una crescente « Babele linguistica ed ideologica » ed in un mondo unificato dal
potere dei media. Forse, per vie inedite, indicateci sempre dallo Spirito
del Signore, siamo chiamati a rivivere l’antico sogno risorgimentale: « Innalzate il vessil della croce... Dell’Italia fra il duplice mar! Proclamate la
Buona Novella ».
Eugenio Stretti, Taranto
...INTANTO
I SEQUESTRI
CONTINUANO
Egregio Signor Direttore,
« brutta faccenda l’uccisione dei
quattro malviventi che si apprestavano a compiere un sequestro di persona » (n. 26.1.90)? Può darsi, ma
personalmente avrei preferito che la
“ brutta faccenda » fosse stata analizzata imparzialmente sotto il profilo
cause-effetto. Perché di brutte faccende, sempre in tema di sequestri, ve ne
sono purtroppo molte altre di certo
non meno preoccupanti, come ad esempio:
— il fatto che i banditi possano
contare sull'omertà delia loro gente,
così » degnamente » rappresentata da
quel tale che, venutosi a trovare per
caso nei pressi della prigione di un
sequestrato, all’invocazione di aiuto,
si copre il volto, fugge e si cuce la
bocca;
— il fatto che non esista la volontà politica, che a qualcuno fa evidentemente comodo, di estirpare il vergognoso tarlo dei sequestri: è infatti impensabile che lo Stato, con i mezzi di cui oggi dispone, non sia in grado, sol che lo voglia, di instaurare la
legalità in quel famigerato lembo del
territorio nazionale:
— il dubbio che il banditismo goda
della protezione di certi ambienti politici, nella classe che da noi prospera (purtroppo!) dei politici « a vita »,
largamente votati nelle regioni « protette » da organizzazioni criminose;
— il fatto che lo Stato mandi allo
sbaraglio alti funzionari e carabinieri, senza adeguata protezione, o deleghi all'iniziativa di qualche magistrato coraggioso la responsabilità di interventi decisivi contro i terroristi:
— il fatto che i sequestrati possano essere trasportati per oltre 1.000
km. senza che vengano istituiti ovunque adeguati controlli e posti di blocco, a costo di paralizzare la circolazione su tutto il territorio nazionale.
E ancora un appunto a stampa e
chiese valdesi, che non si sono mai
preoccupate dell’angoscioso dramma
delle vittime dei sequestri e delle
loro famiglie, almeno per esprimere
loro solidarietà e partecipazione.
D’accordo, « i nodi della società
vanno sciolti con la forza del diritto,
con la giustizia sociale, con una nuova
cultura », iniziative queste che possono però dare risultati a lungo termine; ma intanto i sequestri di persona
continuano, per cui occorrono misure
decisive e ad effetto immediato.
Direi, per concludere, che l'Italia
merita di essere cacciata dal consesso
delle nazioni civili se non si decide
a porre fine una volta per sempre, in
un ragionevole termine di tempo, a
questa vergogna nazionale.
Guido Baret, Pomaretto
MOGLI DI PASTORE
E OPERAI
DELLA CHIESA
Caro Direttore,
sono spinta a fare alcune considerazioni dalla lettura del primo » pensiero molesto », a firma di Elsa Rostan,
apparso sul n. 3 del giornale.
Innanzitutto non riesco a comprendere perché Elsa debba mettere le
mogli di pastore (e i mariti?) sullo
stesso piano degii operai della chiesa: pastori e diaconi. Quando ho fatto la confermazione ho promesso di
essere un membro di chiesa, e come
tale mi sono assunta dei precisi doveri che cerco di rispettare.
Sono sempre stata un membro di
chiesa impegnata in vari settori della comunità, da ben prima di conoscere mio marito. Ed anche ora che
ho sposato un pastore cerco di continuare a mantenere degli impegni precisi, come membro di chiesa che accetta gioiosamente la vita comunitaria,
e non già come moglie di pastore che
ha dei doveri. Se così fosse mi sentirei sminuita nelle mie qualità di membro di chiesa e di donna, poiché credo
sia finito ii tempo delie mogii che
brinavano deila luce riflessa del marito e che erano costrette a vivere ia
vocazione del coniuge.
Elsa Rostan però continua ed il tono diventa ancor più inquisitoriale:
come donna che ha sposato un pastore debbo anche essere disposta a
fare sacrifici in più, senza lamentarmi, senza dire nulla... altrimenti è
meglio che me ne vada. Questo potrà
andar bene per chi è cresciuto ai
tempi del « credere obbedire combattere », ma oggi ritengo che non si
possa più proporre.
Certo, quando ho sposato mio marito sapevo benissimo che gli impegni
del suo lavoro, il suo basso stipendio, le sue assenze avrebbero costituito dei disagi e non me ne lamento. Però non accetto il discorso; «E’
così o te ne vai », perché non tiene
conto deila comunione fraterna che
ci dev'essere fra noi per sostenere
chi non ce la fa, o è stanco, o sfiduciato e anche perché nessuno ha il
diritto di ecprimere sentenze così po
co evangeliche sull’impegno o meno
dei propri fratelii e delle proprie sorelle di chiesa: non dimentichiamo che
ii « prossimo » che incontriamo nella
chiesa (mogli di pastore comprese) è
un dono di Dio che va accettato anche
se più debole, se disposto a fare
meno sacrifici di altri, perché Gesù è
venuto non solo per i martiri, gli eroi
o aspiranti tali.
infine Elsa Rostan tocca un altro tasto: compito della chiesa è predicare
i'Evangelo, senza per forza risolvere le
difficoltà di chi si incontra. Ma se incontriamo qualcuno che non ha lavoro
e non facciamo il possibile per risolvere le sue difficoltà anche pratiche,
che chiesa siamo? La moltiplicazione
dei pani non ci insegna forse che Gesù riusciva a predicare anche attraverso gesti ben concreti e materiali?
Con affetto.
Giulia D’Ursi, Bobbio Pellice
SCRIVIAMO
CON SEMPLICITÀ’
Caro Direttore,
dopo anni che leggo il suo giornale
desidero anch'io scrivere un appello
che è rivolto a tutti i cari fratelli e sorelie deile nostre comunità.
Il mio appello vuole essere più una
preghiera. Vorrei pregare tutti i giornalisti e lettori che scrivono: per favore, siate più semplici. Permettete
anche a me di capirvi.
'li giornale è un mezzo per conoscerci e comunicare... ma se siamo
così complicati come potremo capirci? Vi pregherei... se proprio dovete
scrivere paroioni e parole straniere,
aprite semplicemente una parentesi
(con spiegazione di ciò che volete
dire).
Parliamo, scriviamo, ma facciamolo con chiarezza e semplicità... e ricordiamoci che gli errori sono umani...
ma se noi chiediamo aiuto a Dio uniti
in preghiera, Dio ci ascolta.
Grazie.
Lidia Comba, Borghetto
delle valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi e metodiste
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Redattori: Alberto Corsani. Luciano Deodato. Adriano Longo, Plervaldo
Rostan
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10125 Torino
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n. 20936100 intestato a A.I.P. ■ via Pio V, 15
Il n. 7/90 è stato consegnato agli Uffici postali di Torino e a quelli delle
valli valdesi il 15 febbraio 1990.
Hanno collaborato a questo numerio: Paolo Angeleri, Maria Luisa Barberis,
Carla Beux, Renato Coi'sson, Luigi Marchetti, Bruna Peyrot, Lucilla Peyrot, Roberto Peyrot, Sergio Ribet, Grazia Schirò.
V_
3
f
23 febbraio 1990
commenti e dibattiti
DI FRONTE Al MUTAMENTI MONDIALI
DIBATTITO
Il catto-comunismo
era e rimane pura utopia
Mio caro amico, tu non sei meno commosso di me per la svolta
della storia a cui stiamo assistendo. Anche tu vedi gli eventi correre verso mete che ieri sembravano utopistiche e adesso stanno
diventando realtà. Per esempio,
la distensione fra Occidente e
Oriente, il disarmo progressivo
delle super-potenze, la fine dell’incubo della guerra atomica; oppure l’esplosione di libertà da cui
l’Europa orientale è scossa, l’avvio della costruzione di una casa
comune europea, la prospettiva
di ima riunificazione pacifica della Germania; oppure la sconfitta
del razzismo in Sud Africa e l’annuncio della liberazione di Mandela. Presumo che anche tu volessi qualcosa di analogo ieri,
quando partecipavi a marce per
la pace e dimostrazioni contro i
missili o firmavi manifesti contro • l’oppressione dei popoli e
partecipavi a comitati di lotta
contro l’apartheid. Dovresti essere felice oggi, tanto da scendere
in piazza a manifestare in favore
di questa svolta mondiale per la
pace. Ma sul tuo viso si legge più
amarezza che gioia. Perché?
Un prezzo
intollerabile?
Forse è perché questa ondata
di pace è stata pagata ad un prezzo storico che a te sembra intollerabile; una crisi del comuniSmo, che tutto fa pensare irreversibile. E ciò ti cruccia perché
avevi nutrito grandi speranze nell’avvento di una società cristiana
e comunista insieme, o almeno in
un’alleanza tra cattolicesimo e
comuniSmo, che sconfiggesse le
forze bieche della conservazione.
Nella tua visione, Roma cattolica
e il Terzo Mondo degli ignudi e
degli oppressi dovevano trovare le vie dell’intesa con la Rivoluzione russa e con Mosca, nel
nome della giustizia e della carità, contro il capitalismo borghese e gli Usa.
Oggi quel tuo ideale è sconvolto e calpestato dalla rivolta contro il comuniSmo delle masse dell’Europa orientale in marcia verso le libertà occidentali, da te disprezzate come « borghesi ». Per
te la lotta aH’America, baluardo
dell’anti-comunismo, dell’imperialismo, del consumismo, era un articolo di fede da professare con
periodiche liturgie. Ti sembra intollerabile che l’America esca vincitrice dalla partita quarantennale della guerra fredda. E quanto
è avvenuto a Panama, dopo le insolenze della soldatesca alla Nunziatura papale, non ti consola
davvero.
Ieri una posizione cattolico-comunista, o almeno in qualche mi
sura filo-comunista, poteva ritenersi posizione di avanguardia,
non solo rispetto al cattolicesimo moderato, ma anche a posizioni liberal-socialiste, social-democratiche o democratico-liberali- Oggi chi non sta dalla parte
delle masse insorte nel nome della libertà ha un bel professarsi
«di sinistra ». Di fatto è alla retroguardia. Capisco che la crisi
della sinistra cattolica porta acqua al mulino della destra e ohe
ciò è un’altra fonte di amarezza
per te. iPuò darsi che si arrivi ad
una rappacificazione generale nel
capace ventre della balena bianca, ma può darsi anche che si arrivi ad un pogrom contro la sinistra cattolica, come quello che
a loro tempo subirono i Murri e
i Buonaiuti. Però la sinistra cattolica non ha nessuna probabilità
di salvarsi se non trova il coraggio di smetterla di piangere sui
sogni infranti e di portarsi davvero all’avanguardia, cioè' di impostare essa per prima il proble
ma del rapporto tra fede cattolica e istanze moderne di libertà,
che resta pur sempre il problema
basilare del cattolicesimo italiano.
L’Italia fu fatta nel Risorgimento grazie a mangiapreti come
Garibaldi e Mazzini ed a statisti
laici come Cavour, ma anche grazie a cattolico-liberali come Gioberti e Manzoni, Lambruschini e
Ricasoli. Furono davvero cattolici
di avanguardia perché osarono
fare i conti fino in fondo col
pensiero liberale del loro tempo,
con gli albori del socialismo, con
Sismondi e la sua critica del capitalismo, con Vinet, il suo Risveglio evangelico e la sua dottrina della separazione tra Chiesa e Stato. E lo furono tanto da
affrontare i fulmini della Mirari
vos e del Sillabo e da salutare
con gioia la breccia di Porta Pia.
Non c’è e non ci sarà mai un cattolicesimo italiano veramente di
avanguardia se non nel solco
ideale di questi spiriti magni.
Ci si illude di essere « a sinistra » quando si distingue tra libertà e giustizia sociale, privilegiando questa come più « cristiana » di quella. In realtà si ricalca il vecchio anti-liberalismo clericale. Ma soprattutto ci si illude
quando si tenta un bel volteggio
sulla storia per cui da Sant’Ignazio e Bossuet si salti a Gramsci
senza avere fatto i conti prima
con Cromwell e Locke, con Rousseau e Kant, con la Rivoluzione
americana e con la Rivoluzione
francese (compresa la Costituzione civile del clero e l’abbé
Grégoire), le esperienze del liberalismo ottocentesco e quelle del
socialismo moderno. Si crede di
arrivare all’Europa e in realtà ci
si ferma a Ñusco o a qualche altro paesetto del genere. Per l’affetto fraterno che ti porto, caro
amico cattolico, spero proprio
che non sia questo il tuo approdo.
Giorgio Spini
IL DIBATTITO SUL COMUNISMO
Masse invincibili
Il fascismo, che a detta degli
allora sparuti antifascisti poteva contare nel 1935-36 su un sostegno generale nel paese, in una
diecina d’anni vedrà tale situazione capovolgersi completamente. Tale è l’effetto degli accadimenti, ma anche della moda, sui
movimenti politici. L'onda di riflusso tuttavia non ha solo effetti negativi, siccome abbandona sulla rena le scorie che conteneva. In altri termini, la sfortuna dei movimenti politici consiglia la gran massa degli pseudo-aderenti, degli adepti per convenienza, a svignarsela alla chetichella per lidi in quel momento più pescosi. Cosicché l’organizzazione interessata si trova
improvvisamente purificata, alleggerita dalla annebbiante presenza dei profittatori e del loro
confuso chiaccherio slegato da
ogni principio che non sia il sostenere degli interessi particolari, nascondendoli.
E’ ciò che oggi, dove più dove
meno, sta capitando al comunismo, per non parlare del marxismo che conta ormai meno discepoli che non la religione del
dio Sole, dopo esser stato per
anni l’ideologia ufficiale dei salotti e delle università. Va da
sé che tale situazione incoraggia attacchi da ogni parte, ma
Clandestini per sempre?
(segue da pag. 1)
Che cosa succederà? Avrà la
meglio lo spirito di accoglienza o
la demagogia di chi ritiene i lavoratori stranieri diffusori di epidemie? Prevarrà la chiusura delle frontiere (peraltro tecnicamente pressoché impossibile) o la ricerca di altre strade? Forse sarà
difficile fare passi avanti finché si
riterrà il problema dell’immigrazione come problema riguardante
solo gli stranieri: mentre lavoro
nero, economia sommersa, traffico
di stupefacenti e carenza di alloggi sono problemi che già erano
sul nostro tappeto politico. Oc
corre uscire dalla logica dei provvedimenti d’emergenza e impostare una politica sociale che tenga
conto dei bisogni di tutti i più deboli che (italiani o no) nel nostro
paese sono tanti.
1 datori di lavoro senza scrupoli, che sottopagano gli africani, li
fanno lavorare in condizioni deplorevoli, senza nessuna forma di
controllo, hanno fatto il bello e il
cattivo tempo per anni proprio
giocando sulla posizione irregolare
dei ’’clandestini”: vogliamo ributtare questi ultimi nelle braccia della delinquenza organizzata, facendo finta di niente?
Alberto Corsani
gari da quelli stessi che prima
guadagnavano tessendone le lodi. Tuttavia, per quanto ciò possa apparire strano, proprio per
basarsi su fatti e su problemi
concreti, il dibattito sul comunismo e sulla « sua » crisi ha acquistato un tono quasi dignitoso, che certo non aveva la precedente servile agiografia di regime e il suo contrario. Di più:
nel silenzio creatosi attorno alla
difesa del comunismo e del
marxismo, si possono intendere
finalmente le flebili voci di coloro che a tale movimento avevano aderito solo per convinzione intellettuale, per amore del
prossimo, per esperienza di vita
e per passione rivoluzionaria.
Passiamo ora ad esaminare, dei
due articoli in materia comparsi sul numero del 12 gennaio
scorso, quello di Alfredo Sonelli, che molto correttamente inizia citando un passo di Lenin
su alcune caratteristiche che secondo questi avrebbe dovuto avere il partito rivoluzionario, per
concludere che « il fallimento
del comunismo si è verificato
proprio perché le condizioni presupposte da Lenin non si sono
verificate, né si potevano verificare ». Perché non si potevano
verificare non ce lo dice. Ci piacerebbe saperlo, anche se suonerebbe beffardo nei confronti di
quei milioni di militanti comunisti che sono morti, con la direzione rivoluzionaria praticamente al gran completo (la « vecchia guardia »), proprio per impedire che il partito perdesse tali caratteristiche.
Questo fatto, poi, è onesto tacerlo? V’è un altro partito (a
meno che si vogliano considerare anche alla stregua di un partilo i primi cristiani), v’ò un altro partito che possa vantare di
essersi fatto sterminare nel tentativo di impedire che ne venissero mutate le caratteristiche?
V’è Un altro partito che possa
ascrivere a sua gloria legioni di
militanti che si son sacrificati
per impedire che ne fosse mutato il programma, ingannando così, come poi avvenne, masse immense di diseredati sulla terra?
Tacere questo grandio.so fatto,
forse unico nella storia, che separa opponendoli mortalmente,
insieme a folle di seguaci, Lenin
da Stalin, a quale diabolico disegno soggiace, cui prodest? Alla verità, no, ma alla infame calunnia irridente al martirio dei
valorosi, sì, certo! Come ciò potè
succedere? Ne abbiamo per il
contrario accennato all’inizio. Il
partito bolscevico, vittorioso, divenne luogo di richiamo di ogni
sorta di sbandati e arrivisti, che
ebbero buon gioco neH’eliminare
i comunisti, che si stavano svenando sui campi di battaglia e
nel disperato lavoro di ricostruzione dell’apparato produttivo,
indispensabile affinché la popolazione non morisse di fame e
di freddo, con il che l’emancipazione dall’oppressione e dallo
sfruttamento se la sarebbe goduta al cimitero.
Le scrivanie dell’apparato di
partito e dello stato non restarono vuote; burocrati, arrivisti,
affaristi e arricchiti avevano bisogno di consolidare le loro posizioni, che la Russia diventasse una potenza e partecipasse
al bottino imperialista: altro che
socialismo, fratellanza con gli
oppressi e gli sfruttati, antimperialismo, parole buone a condizione di servirsene solo per la
propaganda in favore dei propri
affari internazionali.
Ma fra Stalin e... Gorbaciov,
quale distanza passa? Quante prigioni, quanti campi di concen
Iramento sono stati chiusi, quanti prigionieri liberati? La differenza chiediamola alle folle che
fanno la fila, con i rubli falcidiati daH’inflazione, per acquistare
i generi di prima necessità testé
tesserati, senza osar parlare per
paura dell’accresciuto controllo
poliziesco!
Esiste certo, nel mondo, un
uomo egoista che — come dice
Sonelli — ha « le sue storture
consce e inconsce, con lo sfrenato amore del potere e con le
ambiguità dei suoi idealismi e
integrismi » ma esiste anche il
suo contrario, che se è salito
sulla ghigliottina in Francia e
poi ancora fucilato cent’anni dopo a Parigi e infine sterminato
con un colpo alla nuca in Russia, risorgerà ancora e troverà
ad attenderlo le masse immense... che fanno la fila, e che sono
potenzialmente invincibili.
Roberto Morìena
Proseguiamo con questi due
interventi il dibattito che abbiamo aperto sulla destinazione da
dare all’otto per mille del gettito fiscale in occasione della prossima scadenza di maggio.
Bioo ai
Pentecostali
Penso che la posizione dei
valdesi e metodisti di fronte a
tale opzione appaia quasi una
scelta obbligata; viste le conseguenze pratiche che deriverebbero da una non-scelta e considerata la scelleratezza delle forze
politiche che dovrebbero amministrare il patrimonio dell’8 pei'
mille messo a disposizione dello
Stato per interventi straordinari
di assistenza (sono le stesse che
da anni ci malgovernano sperperando denaro pubblico), altro non
resta da fare, secondo me, che
optare in favore della chiesa pentecostale (Assemblee di Dio in
Italia) o della chiesa avventista.
Personalmente sceglierò di dare il mio 8 per mille alla prima,
tuttavia non senza un briciolo di
rammarico se penso alle difficoltà economiche in cui versano
molte delle nostre opere a cui
l’8 per mille avrebbe potuto essere destinato.
Sergio Franzese
Bioo allo
Stato
Una delle argomentazioni più
diffuse per indurre a scegliere
gli avventisti o i pentecostali delle Assemblee di Dio per la destinazione deH'8 per mille del
proprio gettito fiscale è lo sperpero di denaro pubblico di cui
lo Stato italiano si mostra spesso campione. Impedirgli di sper
parare una piccola quota come
i’otto per mille sembra essere
di per sé una scelta di alto valore civile. L’argomento non è
privo di verità e di forza di convinzione. Eppure credo che in
maggio sceglierò di destinare
proprio allo Stato la mia quota.
Non mi sembra corretto, infatti, prescindere dalla legge che
ha dato il via al sistema; la 222
del 1985, prevista e formulata
per la chiesa cattolica e solo successivamente « base » per il trattamento assimilato delle chiese
che hanno raggiunto un’intesa
dopo questa legge (valdesi ed
ebrei sono stati tagliati fuori oggettivamente da questi « benefici » avendo concluso prima le loro intese, e chiunque abbia avuto a che fare con un ente pubblico conosce la difficoltà di far
« riaprire una pratica »). La «buona sorte » ha dunque « avvantaggiato » avventisti e pentecostali.
La 222f85 è una legge concordataria, quindi privilegiaria. E’
una legge fatta su misura, non
è una legge per le chiese ma per
la chiesa cattolica. Vi troviamo
per esempio la norma per cui
la chiesa cattolica riesce ad accaparrarsi anche i soldi di chi
non effettua una scelta (certo
non tutti, ma in percentuale!),
oppure quella che obbliga le chiese a rendere conto delle somme
ricevute al ministero degli Interni... Che, come è noto, si occupa di fisco!
Tnsomma, non per sfiducia verso gli avventisti o i pentecostali, ma per il rifiuto verso norme non 'rispettose delle diverse
identità religiose e che comunque discriminano non solo le associazioni non religiose, ma anche quelle che non vogliono o
non possono raggiungere un’intesa con lo Stato, la mia scelta
andrà, a malincuore, allo Stato.
Eugenio Bernardini
4
fede e cultura
23 febbraio 1990
CONVEGNO FCEI
Venticinque anni fa si riuniva il secondo « Congresso evangelico » e ventidue anni fa nasceva la « Federazione delle chiese evangeliche in Italia » Ambedue si
proponevano il medesimo scopo: una maggior comunione tra gli evangelici, nella fedeltà al loro mandato di predicazione e di testimonianza. Questi scopi sono stati raggiunti solo in parte, e nel frattempo il paese è cambiato,
l'evangelismo è cresciuto e si è ulteriormente articolato:
come possiamo valutare questi cambiamenti? Quali mete
dobbiamo prefiggerci per i prossimi anni?
E’ possibile, realisticamente, rilanciare un discorso
sull’« unità evangelica »?
Per rispondere a questi interrogativi e in obbedienza
a un mandato dell'Assemblea, il Consiglio della Federazione indice un convegno sul tema:
Comunione e fedeltà
l’evangelismo italiano alla prova degli anni ’90
31 marzo - 1° aprile
Firenze, Centro giovanile protestante
(via dei Serragli. 49)
Presidente del convegno: Piero Bensì
VENERDÌ’ 30 MARZQ
sera: arrivo dei partecipanti, loro sistemazione
nei locali del Centro giovanile protestante
SABATQ 31 MARZQ
ore 9,00: apertura del convegno; studio biblico a cura
di Mario Affuso
Domenico Maselli: l’evangelismo italiano:
sua storia, identità e ruolo spirituale
— discussione
pomeriggio: Giorgio Girardet: le frontiere dell'evangelismo italiano
— discussione
sera: Luigi Santini: esperienze di comunione tra
evangelici italiani
— discussione
UN QUESTIONARIO FCEI
DQMENICA 1° APRILE
ore 9,00:
ore 11,00:
pomeriggio:
ore 18,00:
tavola rotonda sul tema: le prospettive comuni deH'evangelismo italiano negli anni
'90
culto in comune con la chiesa battista di
Borgo Ognissanti, 6. Predicazione: Giovanni
Leonardi
discussione generale
chiusura del convegno.
Pasti e pernottamenti verranno forniti nella sede del Centro giovanile protestante, via dei Serragli 49 (15 minuti
a piedi dalla stazione centrale): costo globale della partecipazione al convegno: lire 60.000.
Per le prenotazioni rivolgersi a: Federazione chiese evangeliche in Italia - via Firenze 38 - 00184 Roma - telefono
4825120.
Mercoledì 28 febbraio — Brescia;
per la serie di studi biblici sulla prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi,
alle ore 20.30, presso la Chiesa valdese (via dei Mille, 4) si tiene uno
studio sul tema: « L'Evangelo accolto »,
a cura del past. Salvatore Ricciardi.
Giovedì 1° marzo — Roma: Presso
l'Aula magna della Facoltà valdese di
teologia, con inizio alle ore 10, per iniziativa del Servizio migranti della FCEI,
si tiene un convegno dal titolo; « Ipotesi
per una politica di immigrazione », introdotto da uno studio elaborato da
Christopher Hein, funzionario delle Nazioni Unite, Partecipano Fon. Claudio
Uguaglianza e differenza
La necessità di far emergere un contributo specifico - Fare le stesse cose in modo diverso; un’effettiva parità ne sarà la condizione
Abbonamento
1990
Italia
Annuo L. 42.000
Costo reale L. 65.000
Sostenitore L. 80.000
c.c.p. 20936100 intestato AIP
- via Pio V, 15 - 10125 Torino
Martelli, vicepresidente del Consiglio,
gli onn. V. Spini, G. Lanzinger, il sen.
G. Napolitano, P. Naso, M. Mansoubi,
F. Bertinotti, P. Ungaro, T. Zevi e il
delegato ACNUR per l’Italia Waldo VIIlalpando.
Giovedì 8 marzo — Napoli: Presso il
centro ■ Emilio Nitti » di Ponticelli, per
gli incontri di medicina preventiva, la
dott. Patrizia Zuccaia parla alle ore
16.30 sul tema: • Contraccezione e probiemi ginecologici ».
Domenica 11 marzo — Roma: Nell'ambito del ciclo su « La riscoperta
ecumenica della festa », organizzato dal
SAE, si tiene, con inizio alle ore 16.15,
presso il SAE (v. Giusti, 12) l'incontro sul tema ■ L'attualità delle feste
bibliche ». Introduce il prof. Daniele
Garrone.
Lunedì 12 marzo — Torino: Per l’organizzazione di « Città amica », alle
ore 18, presso le ACLI (v. Perrone, 3),
si tiene un incontro sul tema: « L'immagine dello straniero così come ci
viene proposta attualmente attraverso
la stampa e i vari mezzi di comunicazione ».
Sabato 17 e domenica 18 marzo —
Corato; Con inizio alle ore 18 si
tengono presso la Chiesa valdese le
lezioni bibliche a cura del prof. Bruno
Corsani dedicate all'Evangelo di Marco.
Uguaglianza e differenza: sembra un esempio di antitesi, come uno e molti, amore e odio,
vita e morte. Eppure è questa la
rivendicazione apparentemente,
e forse non solo apparentemente, contraddittoria espressa in
questi ultimi anni da tante voci
di donne. Le donne che si incontrano, studiano, scrivono, in ambiti diversi partono dalla loro
esperienza storicamente subalterna e anche da quella vissuta
nel confronto ormai libero e paritario con gli uomini, assumendo le contraddizioni della loro
vita, fatta di indipendenza e al
tempo stesso di desiderio di dipendenza, di razionalità e di emotività, di paura e di coraggio,
di agio e di disagio. Sono convinte che l’attuale organizzazione sociale, politica, economica
del vivere umano non tenga conto di tutto ciò, ma sia connotata
al maschile, abbia cioè ricevuto
finora, nel bene e nel male, solo
il contributo creativo « maschile », di quel « maschile » che è
in ognuno di noi, uomo o donna che sia, ma di cui gli uomini
CATTOLICESIMO
Santi
a centinaia
Il pontificato di papa Wojtyla
è fecondissimo di beati e di santi. Con le più recenti beatificazioni e canonizzazioni (il proclamare « santo » qualcuno, atto che
impegna l’infallibilità pontificia)
in dieci anni il papa regnante
ha proclamato 105 beatificazioni,
alcune collettive, per un totale
di 234 persone; e ha celebrato
19 canonizzazioni, alcune « multiple », per un totale di 254 persone elevate « agli onori degli altari ». Una proliferazione già iniziata con Paolo VI, che aveva
sveltito le procedure, ma che
con Giovanni Paolo II ha subito
un'accelerazione notevole: le canonizzazioni sono più che raddoppiate, le beatificazioni sestuplicate. Caratteristica wojtyliana è la
estrema varietà delle persone
proposte alla venerazione dei fedeli: laici del terzo mondo, frati al seguito dei colonizzatori,
martiri della guerra civile spagnola, della rivoluzione francese,
delle persecuzioni in Inghilterra.
Corea, Vietnam nel ’500 e nel
’600... E’ vicina la canonizzazione di Pio IX.
« Santo, santa, santi, sante » è
l’appellativo che i testimoni apostolici danno a tutti i cristiani,
a ognuno di noi; non è un appellativo onorifico, è un appellativo vocazionale; non descrive le
nostre (o altrui) virtù, ma l’intento e l’azione di Dio: metterci
a parte e impegnarci al suo servizio.
E siamo « beati » non per ciò
che possiamo fare noi, ma per
ciò che fa e farà Dio! Lo stesso
Salmo 1 non canta le perfezioni del credente, ma la gioia —
certo impegnata e operante —
di chi si sente inserito nel « consiglio di Dio », nel suo disegno,
per sua iniziativa. Lt si tratta di
vivere e camminare; ma non solo alcuni, tutti! E chi veramente cos) cammina Dio solo lo sa.
Davvero non comprendiamo
come una chiesa cristiana cornpia atti simili, che sono empietà; e non comprendiamo come
credenti vivi, che sanno che il
Nuovo Testamento chiama santi noi tutti, e in che senso, accettino che la loro chiesa compia tali empietà.
C. G.
sono storicamente portatori. Ora,
dicono, bisogna far emergere il
« femminile » che è in ognuno
di noi, perché il mondo ne sia
arricchito e forse trasformato.
Serve poco che le donne siano
più presenti in parlamento o nella direzione delle aziende o negli esecutivi delle chiese se non
possono portare il contributo della loro differenza: una varietà
di saperi legati, ad esempio, all’esperienza della maternità e alla gestione del « privato », tutti
ancora da ripiensare e rielaborare insieme. Condizione perché
questo avvenga è certamente la
parità reale tra i due sessi, il
superamento dei « ruoli » (anche
psicologici), l’assunzione comune
delle responsabilità nei confronti dei figli, della casa, del lavoro,
il rispetto reciproco, la consapevolezza profonda della propria
dignità e libertà.
Affermare la differenza sessuale non vuol dire fare cose diverse, ma fare le stesse cose in modo diverso nel « privato » come
nel « pubblico », per dirla con
le parole della teologa Adriana
Zarri. Leggevo in questi giorni
un articolo che parlava delle tendenze che si svilupperanno nell’Europa integrata degli anni novanta. Si parlava di carriere rapide, altamente selettive e remunerative che pretenderebbero disponibilità a continui trasferimenti, nonché a ' corsi intensivi
di aggiornamento extra orario lavorativo. Questo è un modo di
pensare il lavoro al « maschile »,
prescindendo totalmente dai
compiti familiari e dai legami
affettivi. Se poche o molte donne vi accederanno non ci interessa, non cambia nulla. Le don
ne dovrebbero avere invece ia
forza di imporre un modello economico e lavorativo diverso da
questo, ma lo dovrebbero ottenere per tutti, maschi e femmine, non solo per le donne; solo
così ci si muoverebbe nel segno
del rinnovamento della società.
Impossibile? Non per la logica
dei numeri, dato che sono (siamo) più della metà e non mancano gli uomini alleati. Ma le
donne non sono affatto unite in
questa ricerca; anzi, spesso sono
le prime nemiche del cambiamento.
Si tratta di un processo lungo
e incerto che fa i conti con tempi, bisogni, situazioni molto diverse Luna dall’altra.
E’ attualmente in distribuzione tra i membri e simpatizzanti
delle nostre chiese un questionario sulla vita quotidiana preparato dalla Federazione delle
chiese evangeliche come stimolo alla riflessione sul rapporto
uomo-donna, all’inizio del decennio di solidarietà delle chiese
con le donne indetto dal Consiglio ecumenico. Se è evidente
che nelle nostre chiese donne e
uomini sono tenuti in eguale considerazione (creature peccatrici a
cui è rivolto l’unico evangelo della libertà e della grazia), non è
chiaro se e quanto questa consapevolezza abbia modificato la
nostra vita personale e la nostra
mentalità, soprattutto nell’educazione dei piccoli e dunque nella
formazione delle nuove generazioni. Rispondere al questionario
e discuterne insieme con serenità e rispetto per percorsi e
scelte diverse può essere occasione di « crescita » per tutti noi.
Franca Long
Claudiana editrìce
NOVITÀ’
È appena uscito il n. 62 della « Piccola collana moderna » :
S. ROSTAGNO, S. QUINZIO, F. GENTILONI
M. MIEGGE, G. TOURN
Dio e la storia
Introduzione di Elena Bein Ricco
pp. 134, Lire 15.000
La storia umana ha un senso, una direzione? È possibile
riproporre oggi la questione del senso del divenire storico e
del suo significato per l’uomo? Come dice P. Ricoeur ; « ...si
può ancora pretendere di pensare la storia e il tempo della
storia? ». I saggi qui raccolti offrono un contributo per la chiarificazione del « grande problema irrisolto della teologia cristiana moderna» (G. Tourn).
FONDATA NEL 1855
Via P. Tommaso, 1 - 10125 Torino - Tel. 689804
C.C.I.A. n. 274.482 - C.C.P. 20780102 - cod. fise. 00601900012
5
w
23 febbraio 1990
fede e cultura 5
TORINO
BELLUNO
Oltre il muro
Una sensibilità
Il ruolo delle chiese protestanti nel processo di democratizzazio- europea
ne - La prospettiva dell’unificazione: verso una nuova incognita?
Su invito del Centro evangelico di cultura Johannes Langhoff,
pastore della Martin Luther Gemeinde di Berlino Est, ha parlato a Torino domenica scorsa sui
problemi e sul futuro della Repubblica democratica tedesca,
anche alla luce dell’azione svolta dalle chiese protestanti. Una
azione, ha sottolineato LanghofF,
assolutamente determinante nella misura in cui in passato ha
contribuito ad attenuare il rigore del regime di Honecker e in
futuro rappresenterà un punto
di riferimento indiscusso per il
popolo tedesco. Mentre oltre
2.000 persone al giorno, al 70%
uomini in età lavorativa, si lasciano alle spalle carenze, non
solo materiali ma di ogni genere,
passando nell’altra Germania,
quella federale, la Chiesa evangelica cerca di tenere insieme
un popolo lasciato a se stesso,
angosciato e spaesato. Il 9 novembre delTanno passato, che ha
visto crollare il muro di Berlino, ha segnato per i tedeschi dell’Est l’inizio di una nuova stagione storica, maturata e voluta
per 40 anni, che li rende nuovamente e improvvisamente protagonisti delle proprie scelte. Ma
nel momento in cui quel muro
terribile si è sgretolato e con
esso sono cadute le paure, i complessi, le angosce di un’intera
generazione, è balenata subito la
temuta incognita delTunificazione tedesca. Unificazione, ha ricordato sottilmente Langhoff, e
Una manifestazione nella nuova Germania orientale.
non riunificazione, come vorrebbe qualcuno, perché altrimenti
significherebbe andare incontro
consapevolmente alla rifondazione dell’intramontabile, unica
« grande Germania », dai « poco
simpatici » trascorsi storici. A
giudizio del pastore berlinese la
fretta è cattiva consigliera e negli attuali termini l’accelerazione del processo di unificazione
tedesca rischia di configurarsi
come una nuova « Anschluss » da
parte della Germania federale.
Un’annessione probabilmente
attuata in buona fede, con risultati economici quasi sicuramente formidabili, ma che rischia di
stravolgere l’identità del fratello
dell’Est, sottraendogli comunque
il frutto della sua rivoluzione pacifica. Prima dunque le riforme
democratiche nella politica e
quelle economiche nel mercato e
poi, eventualmente, un’unificazione concertata in sede europea
e non attuata sotto la spinta emotiva di un nazionalismo germanico sempre in agguato. Langhoff ha infine insistito sulla necessità di una discussione del
problema nell’ambito dell’integrazione europea, cosicché, dopo che per due volte in questo
secolo dal territorio tedesco è
scaturita la guerra, questa volta possa diffondersi la pace.
Michele Vellano
UN CARTEGGIO
Bruno ReveI
mksf-.
e G. Tornasi di Lampedusa
Siamo in molti a ricordare Bruno Revel nei suoi interventi sinodali aperti, intelligentemente
polernici con le sue osservazioni
barthiane, anche nelle giornate
teologiche al Ciabas, a cavallo
degli anni ’50.
Ma i suoi contatti con gli ambienti culturali non valdesi sono
certo meno noti alle nostre comunità, perché, come opportunamente scrive Giorgio Tourn nel
suo eccellente articolo, apparso
sul nostro giornale il 9 febbraio
1990, la complessa attività di Revel — insegnante, storico, saggista, traduttore — si svolse prevalentemente fuori delle valli.
L’accostamento del nome del
nostro correligionario a quello di
Giuseppe Tornasi di Lampedusa
può forse essere giudicato una
metaforica forzatura letteraria,
rnentre esso è in realtà un avvenimento storicizzato da molte attendibili pubblicazioni riguardanti lo scrittore siciliano, rivelatosi strepitosamente trentadue
anni fa con il suo romanzo II
Gattopardo.
■Mi riferirò soprattutto alla sua
recente biogialìa, ampia ed acuta, scritta da Andrea Vitello per
l’editrice Sellerio neH’87. Nel libro di Vitello figurano alcune
lettere di Lampedusa indirizzate all’amico Bruno Revel, e molte notizie riguardanti i personaggi di cui intendo brevemente occuparmi. Apprendo che la loro
amicizia risale ai lontani tempi
della I guerra mondiale. Entrambi ufficiali d’artiglieria, si conobbero in prigionia; ma la loro frequentazione, per via delle affinità culturali, durò a lungo perché l’irrequieto Tornasi, in giro
per le capitali europee, trovò il
tempo di scrivergli o recarsi a
Luserna San Giovanni, Como e
Milano per incontrare Revel...
« molto stimato da Lampedusa.
Aito, robusto, sportivo, aveva un
temperamento diverso dal suo,
gioviale ed esuberante; due doti
aveva in comune con l’amico:
la modestia e Tintelligenza ».
Appena pubblicato nel 1930,
nella prestigiosa editrice Boxa di
Gangale, il lucido saggio su
Cromwell, ne spedì una copia
a Lampedusa, che quasi immediatamente rispose: « Caro Revel, soltanto ieri mi viene inviato da Palermo il tuo "Cromwell".
Ti ringrazio tanto della cordiale premura... Non ho potuto per
ora dare altro che la più rapida
delle scorse ma ne ho riportato
una vera e propria sensazione di
"potenza", di una bella austerità,
che contrasta tanto felicemente
con la "milk-and-water" che siamo costretti ad ingoiare quotidianamente. Ti prego di credere
alla assoluta sincerità di quanto ti scrivo; sarebbe del resto
ridicolo che mi mettessi a farti
dei complimenti... ».
Dell’intero carteggio e delle
molte concordanze di giudizio
tra Lampedusa e Revel non abbiamo notizie precise, ma è pensabile che tra i due non siano
mancali gli argomenti sulla trascendenza e la condizione delrnomo. A pensarlo ce ne autorizza il loro amore, dichiarato
a più riprese, per il rigore morale del puritanesimo, per Oliver Cromwell, per John Milton,
appassionati credenti nell’ideologia puritana, per la Bibbia, per
il giansenista Blaise Pascal...
Per quest’ultimo Lampedusa aveva grandissima ammirazione;
secondo lui i suoi Pensieri
costituiscono una lettura d’obbligo per chiunque voglia chiamar
si « uomo e non un animale a
due gambe ».
Il biografo Vitello ci informa,
fra l’altro, che Revel fu un competente musicologo, collaboratore di un periodico milanese, traduttore nella nostra lingua del
Rossini di Stendhal... ma che,
fuori d’ogni convenzionalità, amava le relazioni amichevoli nella villa dei genitori a Lusema
San Giovanni, « una villa sorridente, solatia, animata da un
tennis, che richiamava giovani e
ragazze attorno a Bruno, alla
signora Emilia e alla sorella
Medi ». Quando Lampedusa allude, in una sua lettera, ai « troppi fantasmi » che lo consigliano
a star lontano dalle valli. Vitello non dubita che le allusioni si
riferiscano al ricordo di più di
una passioncella per ragazze del
luogo... perché egli fu, per molte estati, frequentatore dell’ospitale Villa Miravalle dei Revel
nelle valli valdesi,
A giudicare dal recente risveglio critico sull’opera di Lampedu.sa, si può dire che per lui la
stagione del successo non accenna a finire. Per la Mondadori, nel
gennaio ’90, sono apparsi i suoi
originalissimi saggi sulla Letteratura inglese dalle origini al
Settecento; per la Feltrinelli
L'ultimo Gattopardo di David
Gilmour, ottimo storico inglese
delle leve giovanili; per l’editrice
Sellerio, nel 1989, Fatti diversi
di storia letteraria e civile di
Leonardo Sciascia e, sempre per
la Sellerio, il citato Giuseppe
Tornasi di Lampedusa di Andrea Vitello, dal cui libro scompare assai presto, e inspiegabilmente, il nome del nostro amato personaggio valdese.
Filippo Scroppo
Ecumenismo e storia deH’Agordino: una figura di eretico e un grande fermento culturale
Nella sala del palazzo Crepadona, il 18 gennaio scorso il pastore Jùrg Kleemann, delle Chiese evangeliche luterane di Firenze e Venezia, ha tenuto una conferenza, ben annunciata dalla
stampa locale, sul tema dell’ecu:menismo.
Erano presenti un centinaio di
persone, segno dell’interesse suscitato anche nella nostra città
dalle tematiche protestanti. E
d’altro canto, nei primi decenni
del ’500, la provincia di Belluno,
in seguito alla presenza considerevole di minatori tedeschi —
che venivano chiamati « canopp »
— nella zona dell’Agordino, fu
essa stessa uno dei primi centri di diffusione delle idee della
Riforma.
In particolare, la Riforma protestante ebbe un suo grande martire nella figura del frate Giulio
Maresio; bellunese, quest’ultimo
fu arso per eresia a Roma nel
1567.
Se si aggiunge il fatto che i
bellunesi sono da sempre attenti
ad un certo « respiro » europeo,
vicini al cuore dell’Europa moderna e progressista, per motivi
di vicinanza geografica e a causa
delle tradizioni culturali e commerciali, come ha rilevato lo
stesso pastore Kleemann, il quadro è completo.
Anzi, Kleemann ha parlato anche, fra l’altro, della necessità,
sempre attuale per i cristiani, di
« aggiornare » le proprie carte
geografiche mentali; è necessario abbandonare i concetti più
obsoleti, frutto di tradizioni non
sempre fondate, per dividere la
« casa comune », cercando prefe
ribilmente la riconciliazione con
i fratelli separati, almeno sulla
base essenziale del messaggio di
Cristo.
Dopo aver accennato a ciò che
ancora divide soprattutto le Chiese luterane da quelle cattoliche
(usando volutamente il plurale,
poiché — come egli ha osservato — esistono diversità di vedute anche tra i cattolici, e, per
esempio, una cattolica di Londra
sarebbe stupefatta dalle idee di
una cattolica di Palermo), il pastore Kleemann ha posto l’accento sul fatto che sia dalle esperienze di fede romana, sia dalle
esperienze protestanti — specie
per quanto riguarda l’ambito della vita sociale e di quella politica — è opportuno trarre reciprocamente degli insegnamenti
nella diversità delle vocazioni
spirituali.
Ora, questo vale tanto più al
cospetto dei complessi problemi
che ci si presentano : siamo in un
mondo che — caduto anche il
muro di Berlino — diventa sempre più piccolo e unito, al di là
di ogni barriera culturale, religiosa e politica.
All’introduzione di Kleemann è
seguito un breve ma intenso dibattito sui temi più vari : dal
primato del vescovo di Roma, al
sacerdozio femminile, alla sessualità, e altri ancora.
E’ stata quindi una buona giornata, per gli incontri e per la possibilità che si è avuta di distribuire materiale pubblicistico evangelico. Siamo dunque grati al
Signore perché ci aiuta a crescere nel suo Spirito.
Rio Gnech-Verdini
LA RIVISTA DELLA FACOLTA’
E’ in distribuzione il n. 1/1990
della rivista « Protestantesimo »
(gennaio-marzo). Dal sommario
rileviamo i testi relativi alla inaugurazione dell’anno accademico
alla Facoltà valdese di teologia
di Roma: la prolusione del prof.
Ermanno Genre sul rapporto tra
oggettività della predicazione e
soggettività del predicatore (sulla base di un’attenta analisi delVOmiletica di Alexandre Vinet)
e il sermone di apertura del
prof. Giorgio Girardet (con un
interessante esperimento di attuai izzazione del « testo predicato » in termini di « testo letto »
da chi consulta la rivista).
Segue un articolo del prof.
Sergio Rostagno; « La contraddizione ci farà liberi », sulla metodologia da seguire quando si
parla di omosessualità; una sintesi del documento preparatorio
della conferenza di Seoul del
prossimo marzo su pace, giustizia e salvaguardia del creato.
con una valutazione di Pietro
Comba; un ricordo dello scrittore Leonardo Sciascia, da poco
scomparso, a cura di M. Grazia
Mazzola; rassegne e recensioni.
Abbonamento annuo L. 28.000,
estero 33.000. Ccp. 14013007 intestato a Libreria di cultura reli
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6
ecumenismo
23 febbraio 1990
UN DOCUMENTO DA DISCUTERE E RECEPIRE
IVREA
Una carta dei diritti delle ii papato nell’attuale
coppie interconfessionali ecumenico
I contraenti devono essere in condizione di fare scelte consapevoli Le obiettive difficoltà e gli arricchimenti di questa scelta di vita
Una struttura priva di fondamento biblico Evangelo e figura pontificia: incompatibilità
La redazione di questo documento è stata curata da alcune coppie del pinerolese, di Torino e di Milano^ con la consulenza di preti
e pastori.
Esso ha un duplice scopo:
— aiutare le coppie interconfessionali a conoscere i propri diritti, in quanto l’esperienza dimostra che, almeno in alcune occasioni, le coppie interconfessionali non vengono considerate sullo
stesso piano delle coppie monoconfessionali;
— ricordare alle chiese di mettere in pratica le indicazioni contenute nei documenti ufficiali da loro stesse emanati, ma che troppo
sovente non sono conosciute o vengono disattese.
I documenti cui si fa riferimento sono:
Direttorio ecumenico della Diocesi di Pinerolo (1970)
Documento sul matrimonio del Sinodo valdese (1971)
indicazioni pastorali della Diocesi di Pinerolo (1981).
Naturalmente coloro che hanno steso questo testo sono consapevoli che le coppie interconfessionali, come quelle monoconfessionali, oltre che dei « diritti », hanno anche dei « doveri » nei confronti
delle chiese: per esempio il dovere di partecipare alla vita delle comunità e di dare un contributo di stimolo e di proposta per tutto
il cammino ecumenico.
Le coppie interconfessionali non devono essere emarginate, ma
è anche necessario che esse vincano la tentazione costante all'autoemarginazione.
Questo documento viene inviato alle chiese perché ne facciano
oggetto di discussione e lo recepiscano.
cali, cui appartengono rispettivamente i coniugi, devono farsi
carico della crescita spirituale
della coppia interconfessionale.
4. Catechesi
ecumenica
4.1. Le coppie interconfessionali sollecitano ognuna delle due
chiese a dare un’impronta ecumenica alla propria catechesi, la
quale dovrà essere perlomeno rispettosa delle esigenze e delle posizioni dell'altra chiesa.
4.2. La catechesi dovrà essere
predisposta in modo da permettere ai figli delle coppie interconfessionali di acquisire una
formazione religiosa che favorisca la maturazione della loro
scelta di appartenenza definitiva
ad una delle due chiese.
1. Preparazione
del matrimonio
1.1. I fidanzati che intendano
contrarre matrimonio devono essere messi in condizione di operare scelte consapevoli. E’ quindi necessario che trovino la massima disponibilità ed informazione presso i ministri di culto
delle rispettive chiese di appartenenza.
1.2. E' auspicabile che ci sia
collaborazione fra il sacerdote e
il pastore, affinché il cammino
della preparazione si svolga nella chiarezza.
Si ritiene opportuno che le
chiese prendano in considerazione la possibilità di mettere a
punto una pastorale prematrimoniale comune.
1.3. Per superare eventuali difficoltà e controversie, le coppie
siano messe in contatto con persone particolarmente competenti.
Questo non deve però esaurire la responsabilità dei rispettivi ministri, ma anzi coinvolgerli
masgiormente affinché la prenarazione non sia sempre demandata ai soliti pochi « esperti ».
1.4. Sia evitata ogni forma pregiudiziale di dissuasione o di
scoraggiamento. La coppia deve
essere correttamente informata
non solo delle difficoltà ma anche degli arricchimenti derivanti dal vivere una condizione biconfessionale.
E’ consigliabile che i fidanzati
vengano messi in contatto con
il gruppo delle coppie miste, ove
questo esista, per avere un aiuto
determinante nell’affrontare la
realtà a cui vanno incontro.
2. Liturgia
matrimoniale
2.1. I fidanzati devono essere
a conoscenza delle possibili forme di celebrazione del matrimonio, tra le quali essi possono cf
fettuare la loro scelta:
— matrimonio in chiesa cattolica;
— matrimonio in chiesa evangelica (con la dispensa dalla forma canonica per la parte cattolica);
— matrimonio civile (con validità sacramentale per la parte
cattolica in virtù della dispensa
dalla forma canonica, limitatamente, per ora, alla Diocesi di
Pinerolo, non avendo le altre Dio
cesi italiane la suddetta facoltà
di dispensa).
2.2. La liturgia matrimoniale
deve essere preparata e concordata fra gli sposi e i rispettivi
ministri di culto.
2.3. Se il matrimonio è celebrato in una delle due chiese,
si ritiene fondamentale che sia
garantita la partecipazione attiva di una rappresentanza dell’altra comunità confessionale.
2.4. Si auspica che gli organi
ecclesiastici rispondano con celerità e senza inutili complicazioni burocratiche alle richieste
delle coppie in ordine alla celebrazione liturgica.
3. Pastorale
comune
3.1. Si ritiene indispensabile
che venga predisposta da entrambe le chiese una pastorale
per le coppie interconfessionali
già sposate che permetta ai coniugi di approfondire le rispettive posizioni confessionali.
Tale pastorale comune deve
affrontare le differenze e le peculiarità confessionali in modo
non polemico ma costruttivo; essa deve essere intesa come servizio nel nome dell’unico Signore e deve essere svolta dai ministri di entrambe le chiese o
da persone preparate, apposita
mente designate.
3.2. Entrambe le comunità lo
5. Battesimo
dei figli
5.1. Alle coppie interconfessionali che, per legittima scelta, desiderino battezzare i propri figli
in età infantile deve essere fornita tutta l’assistenza necessaria
da parte dei ministri delle due
comunità per individuare una
forma e una liturgia battesimale che incontrino il consenso convinto di entrambi i genitori.
5.2. Si ritiene necessario che
entrambe le chiese stabiliscano
di comune accordo le modalità
per una celebrazione in forma
ecumenica del battesimo dei figli delle coppie interconfessionali. Per esempio:
— liturgia concordata tra le
due comunità;
— partecipazione attiva (con
una preghiera o un messaggio
di una persona qualificata dell’altra chiesa).
Tale forma non è affatto concclebrazione, ma assume il valore di testimonianza di una tensione ecumenica verso l’unità e
sottolinea il coinvolgimento delle due comunità ai fini dell’educazione religiosa dei battezzati.
La celebrazione non dovrà significare scelta di appartenenza
definitiva a una delle due chiese,
perché tale scelta sarà liberamente fatta dagli interessati in età
adulta.
5.3. Entrambe le chiese devono farsi carico della crescita spirituale dei figli delle coppie interconfessionali, indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano stati battezzati o meno.
Questo il titolo della conferenza-dibattito a due voci che si è
svolta ad Ivrea, nella nostra chiesa, venerdì 2 febbraio, a un mese
e mezzo dalla visita del pontefice alla città.
Davanti ad un pubblico molto
numeroso hanno parlato il teologo cattolico Gianni Cereti e il
pastore Gino Conte.
Gianni Cereti ha centrato la
sua lunga esposizione sul cammino ecumenico che le diverse comunità cristiane stanno percorrendo per abbattere le divisioni, nel rispetto delle tradizioni
e della pluralità dei doni, in vista di una unione nella fedeltà
a Cristo e al suo Evangelo.
Si è quindi soffermato a leggere diversi testi di documenti
che fanno riferimento ad alcuni
momenti del dialogo ecumenico per quanto riguarda l’accettazione del servizio petrino e
del primato d’onore del vescovo
di Roma.
Ha accennato alle difficoltà di
questo dialogo, ma ha fortemente sottolineato lo spirito di unità
che emerge negli incontri con ortodossi, anglicani, luterani americani e alcuni teologi dell’area
riformata francese (gruppo di
Domb), anche per una possibile accettazione del papato come
ministero di comunione nella
chiesa universale, a condizione
che sia per il servizio delTEvangelo e per la libertà.
Don Cereti ha quindi letto alcune proposte per la conversione delle chiese: di quella cattolica in vista di un rinnovamento
nella dimensione comunitaria,
nella dimensione collegiale e
nella dimensione personale, in
modo che il servizio petrino sia
un sostegno per tutti i cristiani
come servizio di animazione nella trasparenza evangelica. E conversione delle chiese riformate
perché accettino il ministero di
comunione, il segno visibile dell’universalità della chiesa che
esse rivendicano nel credo apostolico.
Gianni Cereti ha terminato
con una nota particolare sulla
duplice veste del vescovo di Roma, successore di due apostoli: di Pietro, come organizzatore, e di Paolo, come missionario, per esortare, incoraggiare
e sostenere i fratelli nella fede.
In questo senso sono i viaggi di
Giovanni Paolo II.
Il pastore Gino Conte è stato
molto chiaro nel ricordare subito che se nella storia del cristianesimo ci sono state critiche
al papato o ai singoli papi per
motivi etici da parte di quasi
tutti i movimenti ereticali, la Riforma ha attaccato alla radice la
struttura del papato. E ancora
oggi l’accettazione del papato,
seppur rinnovato, costituisce un
grosso problema per i cristiani
che si rifanno alla Riforma perché la sua istituzione non può
esser fatta risalire ad alcuna
documentazione neotestamentaria. Quindi non solo il papato è
assolutamente privo di fondamento biblico, rha, così come si
è evoluto, è addirittura confutato in diverse parti del Nuovo
Testamento. Nel vangelo di Giovanni non si promette un vicario
di Cristo naa lo Spirito legato
alla Parola e nel dibattito sui
primi posti nel vangelo di Matteo si sottolinea come Gesù si
metta al servizio degli altri fino alla croce. Inoltre non affiora
mai un primato di Pietro; egli
è soltanto il portavoce dei discepoli.
Gino Conte ha poi spiegato
che parlare del papato come
ministero di unità e di comu
nione è una petizione di principio in quanto storicamente esso
è stato fattore di divisione. Certamente il papato è parte inte
grante della costituzione gerar
chica delia chiesa cattolica, di
cui costituisce il vertice.
Anche per quanto riguarda la
successione apostolica c’è una
contraddizione rispetto alla Bibbia, in quanto la successione non
deve essere delle persone ma
della retta dottrina, cioè deH’Evangelo.
Il pastore Conte ha concluso
ribadendo ancora una volta Tincompatibilità evangelica di una
figura come quella pontifìcia che
rappresenta un ministro di uni
tà.
Cristo basta come ministro di
unità ed è bastato alla chiesa pri
mitiva che non ha mai voluto
avere alcun primato, tanto meno infallibile.
Nel corso del lungo dibattito
sono state poste diverse domande, quasi esclusivamente all’oratore cattolico, su temi che erano stati solo accennati, quali
l’autorità del papato, Tinfallibilità, l’unità, la libertà e l’obbedienza.
Cinzia Carugati Vitali
LUTERANI E RIFORMATI IN OLANDA
Verso runificazione
Un processo auspicato da ormai ventanni - Un
costante calo fra i membri di chiesa luterani
La « Carta dei diritti » è una base per una discussione allargata:
importante il coinvolgimento delle comunità.
La Chiesa evangelica luterana
dei Paesi Bassi ha deciso di unirsi alle due grandi chiese riformate olandesi. Lo afferma una
raccomandazione dell’ultimo sinodo, tenutosi nell’autunno scorso, che ha richiesto che un consigliere della Federazione luterana mondiale partecipi agli incontri preparatori.
Non è stato tuttavia stabilito
il termine entro cui si dovrebbe avviare il progetto e concretizzare ravvicinamento. Era da
vent’anni che le chiese riformate auspicavano la progettata
unione. Ora, nello spirito della
Concordia di Leuenberg, la chiesa luterana d’Olanda ha deciso
di prendersi le proprie responsabilità di fronte alla sua condizione di chiesa sempre più minoritaria. Ha pertanto proposto, nel 1985, di dare una vera
dimensione ecumenica all’organismo « Samen op Weg » ( Insieme per strada, movimento finora non istituzionale). La chiesa luterana perde ogni anno il
tre per cento dei suoi membri.
Per proseguire il dialogo con le
due chiese sorelle è stata formata una commissione che potrà
fornire le direttive necessarie per
compiere un lavoro comune e
per « sperimentare » a livello locale, in alcune comunità, uno
spirito di collaborazione in vista
di ulteriori avvicinamenti.
7
23 febbraio 1990
obiettivo aperto
AMERICA LATINA
Offensiva vaticana
contro la chiesa dei poveri
Un caso emblematico: un progetto « di base », volto a venire incontro ai poveri e ai diseredati ma che cozza contro
altri interessi, economici e politici, viene bloccato; nessun appello, nessuna possibilità di rispondere alle accuse
E’ una nuova prova di forza che da Roma colpisce le istanze
di liberazione di ehi crede in una chiesa al servizio dei più poveri e sfruttati.
Si impone una constatazione, ed è una constatazione che
non permette appello e che parla chiaro: la Confederazione latinoamericana dei religiosi (CLAR) è stata «uccisa mentre era
in piena vitalità».
Che cosa è successo? E’ successo che, una volta di più,
Roma ha condannato, senza neppure istruire una causa deg<ia
di questo nome, e rispettosa dei diritti dell’uomo, quarantacinquemila religiosi e trecentomila religiose impegnati, nella quasi
totalità, nel servizio ai più poveri.
« Won sappiamo ancora — scrive il presidente dimissionario
della CLAR — di che cosa siamo accusati, chi ci accusa e perché ci accusa... ». Senza dibattito, un ampio programma di educazione biblica elaborato dai teologi della CLAR è stato bloccato.
Come se non bastasse il Vaticano ha imposto un segretario
generale alla Confederazione...
Medellin, 1968: la scelta prioritaria in favore dei poveri è definita come linea direttrice della pastorale e della teologia. Questa scelta è oggetto di critiche
dalla maggior parte delle forze
politiche del continente e dagli
Stati Uniti. Essa incontra anche
l'opposizione totale di una parte dell’episcopato latinoamericano e della curia romana.
Nel 1972 il CELAM tei’mina
il suo primo mandato di quattro anni, ma il Vaticano interviene: la Congregazione dei vescovi interrompe le elezioni e
impone un presidente, monsignor
Pironio, aperto ma debole, e un
segretario generale. Alfonso Lopez Tnijillo, conservatore parti■cclarmente duro, che prenderà
in mano il segretariato per « ripulirlo ».
« Parola e vita »
sotto accusa
Puebla (1979) è sede di scontri molto duri e di manipolazioni da parte delta curia romana.
E tuttavia una netta maggioranza ratifica le scelte fatte a Medellin. Ma il segretariato resta
al .suo posto. Inoltre la Congregazione per la dottrina della fede passa all’offensiva contro la
teologia della liberazione: sembra possibile un compromesso,
ma lo scontro prosegue su altri
terreni, le nomine dei vescovi e
dei sacerdoti. La CLAR resta fedele a Medellin: scelta per i
poveri, comunità di base, teologia della liberazione.
In vista del V centenario dell’evangelizzazione del continente
(1992), il papa invita ad una nuova evangelizzazione. Il CELAM
chiede alla CLAR la sua collaborazione, e questa imposta un ampio programma di lettura della
Bibbia insieme alle comunità popolari: il progetto « Parola e vita », che dà nuovo impulso alla
tradizione monastica della «lectio divina », lettura meditativa
della Bibbia che accompagna
tutta l’esistenza in funzione dei
frangenti di vita in comunità segnate dalla povertà, dalla sofferenza, dalle oppressioni e dalle
lotte.
Nel giugno ’88 il progetto è
nronto, così come un primo libro di lavoro dal titolo « La Parola convoca ». In vari paesi i
religiosi lo adottano, e nel febbraio ’89 una riunione della
CLAR, a Bogotá, deve valutare
il lavoro e programmarne il seguito.
Ma il 10 febbraio il CELAM
condanna senza appello tutto il
progetto: la Santa Scrittura «non
è interpretata alla luce della fe
de e del magistero ecclesiastico, e dà luogo ad una lettura
ideologica e riduttiva ».
Qualche giorno più tardi l’episcopato colombiano accusa il
progetto di « manipolare » la
Scrittura e di condurre ad una
« chiesa di popolo ».
Il .3 marzo LOsservatore romano pubblica i commenti del
CELAM e dell’episcopato, mentre
il 3 aprile la Congregazione per
i religiosi e gli istituti secolari
(CRIS) riprende la condanna.
TI 5 giugno la CRIS nomina
d’autorità un segretario generale per la CLAR. E’ di fatto un
intervento nei confronti della
presidenza. « Intervento » è il termine tecnico con cui nel corso
della dittatura brasiliana si è indicato l’atto di potere che destituiva una direzione sindacale eletta legittimamente, per imporne una addomesticata.
Il 12 luglio padre Luis Coscia,
presidente della CLAR, è convocato dal nunzio di Bogotá che
gli conferma queste decisioni. Coscia risponde che non può accettare una tale nomina senza che
la presidenza sia stata consultata. Il 28 luglio è convocato a San
Paolo, dove il segretario della
CRIS gli consegna il testo
del decreto. Padre Coscia « riceve il decreto, specificando di
ritenerlo in sospeso finché non
si apra un dialogo con Roma... ».
Il 5 settembre un documento
della CRIS afferma che la CLAR
ha accettato la nomina. Quest’ultima protesta.
Il 12, la presidenza CLAR incontra il cardinale Hamer, prefetto della CRIS, a cui aveva
scritto: « Non sappiamo di cosa
veniamo accusati. Rifiutiamo categoricamente l’imputazione di
fomentare una chiesa popolare ».
Quanto aH’imposizione di un segretario generale: « Il fatto di
non aeccttare una donna come
segretai’io generale equivale a
non riconoscere la capacità di
vita religiosa delle donne, ignorarne la presenza maggioritaria
nella chiesa latinoamericana ». E
poi: « Non riteniamo che un organismo possa lunzionare in maniera efficace se lo si mette sotto tutela ».
Una richiesta
di obbedienza
Dopo rincontro con il cardinale Hamer, la CLAR constata che
ciò non è servito a niente: la
Congregazione rifiuta ogni argomento c richiede obbedienza. E'
il muro contro muro. La CLAR
deve accettare la nomina, in seguito alla quale Hamer .scrive:
« Questa misura eccezionale è
Una manifestazione
dei contadini
brasiliani,
diversi anni fa:
le loro condizioni
di vita
non sono cambiate.
prova dell’interesse, della stima
e della sollecitudine con cui il
dicastero segue la potente e dinamica vita religiosa latinoamericana, e la CLAR nella sua funzione di ’’accompagnamento” ».
Il 18 settembre la presidenza
incontra il card. Ratzinger. Anche qui, ogni argomentazione viene respinta. Il prefetto scriverà
a padre Coscia ringraziandolo
per aver accettato la decisione
e per « l'accettazione del giudizio dottrinale del nostro dicastero ». Contro questa affermazione,
il 10 ottobre, c’è la protesta della presidenza della CLAR: « In
nessun momento dell’incontro ci
è stato richiesto di accettare o
meno un giudizio dottrinale da
parte del dicastero sul progetto
’’Parola e vita”, né noi abbiamo
manifestato spontaneamente la
conferma di questo giudizio. La
presidenza (...) accetta le misure
disciplinari che vengono dall’autorità competente. Ma non può
essere d’accordo con alcuni giudizi emessi il 1» luglio da questo
dicastero ».
Il progetto è
abbandonato
Infine, essendo impossibile ogni collaborazione, la presidenza
della CLAR accetta le dimissioni
dell’équipe di biblisti che lavoravano al progetto « Parola e vita », c dichiara di abbandonare definitivamente il progetto.
Luis Coscia dirà in un comunicato del 12 ottobre: « E’ per me
evidente che l’organismo della
CLAR è stato ucciso mentre era
in piena vitalità ».
I riflessi di questo drammatico conllilto sono di due ordini
complementari. Si tratta del sen
so della scelta a favore dei poveri e della concezione stessa
della chiesa.
La scelta per i poveri si era
concretizzata nel l’espressione:
essere con e fra i poveri, sposare il loro modo di vivere, le loro sofferenze, e quindi le loro
lotte in situazioni contrassegnate dalla violenza istituzionalizzata c dall’oppressione. Con i poveri, in comunione, leggere la
Bibbia, e scoprirne la forza liberatrice. Questa pratica aveva so
stenuto l’emergere delle organizzazioni popolari e aveva cominciato a mettere in questione
i poteri c l’ordine costituito e
le molte compromissioni della
chiesa con il sistema.
Tale opzione, inoltre, urtava
con un’altra concezione della
chiesa e della solidarietà con i
poveri. Secondo quest’ultima,
l’interlocutore dei poteri non sarebbe il movimento popolare, ma
la gerarchia ecclesiastica, unica
portavoce del popolo, con lo scopo di ottenere la « conversione »
dei potenti. I governi erano così « partner » privilegiati della
chiesa.
La salvezza
viene dal vertice?
La profonda preoccupazione
del papa per i poveri e la sua
volontà di giustizia sono certamente sincere. Ma una concezione teologica della salvezza che
non può che venire dall’alto, con
la mediazione dei ministri della
chiesa, si proietta sulla rappresentazione della società: anche
la giustizia non potrebbe che
essere concessa dalTallo, dal potere...
In questo quadro, i movimenti di ba.se sono pericolosi, e per
questo sistema di potere le alleanze vanno a scapito dei poveri. Sul piano continentqle, ciò
significa alleanza con gli USA.
Il rapporto Rockefeller (1969), il
rapporto Santa Fé (1980), la XVII
conferenza degii eserciti americani (1987) e Santa Fé II (1988)
vanno nella stessa direzione: la
teologia della liberazione e la
scelta a favore dei poveri sono
tentativi di inserire il marxismo
in America latina, e per questo
vanno combattute.
Interessi politici
ed economici
Le intenzioni c le motivazioni che animano la politica USA,
onell ’ di Giovanni Paolo II e
del Vaticano sono lontane fra
loro: l’interesse economico e politico degli USA, da una parte,
una concezione religiosa della
salvezza e dell’umanità dall’altra.
Ma le due hanno un nemico comune dichiarato nel comunismo,
e di fronte a ciò si sceglie la
repressione. Con la massima evidenza in Nicaragua.
Ma il conflitto della CLAR mette in luce un secondo aspetto:
la chiesa come popolo di Dio.
Esiste un’altra ecclesiologia caratterizzata dal centralismo autoritario. Il magistero è al di sopra della chiesa e non all’interno di essa. I vescovi sono definiti come « maestri della fede e
della verità » (nota della CRIS,
DIAL 1408). Sembra cioè che ormai ogni parola, ogni lettura della Scrittura che non sia stata
preventivamente controllata, sia
espressione di un « magistero parallelo », e, nel quadro latinoamericano, sia ispiratore della « chiesa popolare », cioè di una chiesa privata di ogni comunione
con i vescovi. In questo contesto, tutti i mezzi sono buoni. La
menzogna: la CRIS dichiara che
la CLAR accetta la sua decisione rnentre questa ha formalmente dichiarato di ritenere in sospeso Taccettazione.
Un comportamento
poco coerente
E poi: le congregazioni romane e il CELAM si riferiscono esplicitamente alla scelta per i
poveri mentre, con tutta evidenza, questo criterio non ispira il
loro comportamento.
L’ipocrisia delle dichiarazioni
benevole e di stima, così come
gli atti che seguono, sono chiari.
Il rifiuto del dialogo: nessuno
spazio per difendere le idee o
per correggere le dichiarazioni
false è stato concesso.
E’ richiesta l’obbedienza assoluta. Non vengono presi in considerazione il diritto e gli statuti
vigenti, anche quelli ratificati dalle istanze stesse che vi contravvengono, il tutto senza dame
spiegazioni verificabili. Si ascoltano solo gli accusatori, senza
che gli accusati abbiano diritto
di parola.
In un tale quadro, se si vuol
prendere sul serio la scelta per
i poveri, non c’è altra strada che
quella della resistenza e della
dissidenza intellettuale c spirituale.
L’obbedienza disciplinare: sì,
per non giungere alla rottura. La
sottomissione, no; in nome della libertà che viene dall’Evangelo, nella solidarietà e nella speranza, nella ricerca di una vera
comunione.
Ignace Berten
domenicano
(da « Témoignage chrétien »)
8
8 vita delle chiese
23 febbraio 1990
UNIONE PREDICATORI LOCALI
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
2 giornate di entusiasmo
Le riunioni coincidono con la visita alle comunità - La preparazione e l’aggiornamento - Ampia collaborazione alla vita delle chiese
Da qualche anno a questa parte il Comitato direttivo della
U.P.L. (Unione predicatori locali) ha ritenuto opportuno fai
coincidere le sue riunioni con
delle visite alle comunità, cercando di privilegiare quelle che
non sempre avevano potuto essere presenti alle assemblee annuali dei predicatori con qualche delegato. Si era andati a
Bergamo, l’anno seguente a Napoli, quest'anno siamo stati a Intra, Omegna e Duino, nei giorni
20-21 gennaio. Sempre si è potuto constatare che l’iniziativa era
più che mai valida e presentava
risvolti oltremodo positivi: possibilità cioè di incontri a vari
livelli, reciproca conoscenza, chiarimenti su problemi contingenti,
riscoperta di doni e vocazioni,
confronti sul piano di studio e
di lavoro.
Anche questa volta si sono avute giornate intense, piene, ricche, sia per il numero dei partecipanti che per l’entusiasmo. Le
riunioni particolari del sabato
sera culminate con l’agape fraterna, ottimamente organizzata
dalla comunità di Intra con la
partecipazione di Omegna e Luino, in un’atmosfera calda e gioiosa, i culti domenicali tenuti dal
segretario della U.P.L., Leonardo
Casorio, e da Laura Carrari, nelle tre comunità affollate di gente, hanno dimostrato una volta
di più quale posto abbia e quale interesse susciti il servizio del
« laico » e quale importanza ri
IJn’immagine del gruppo di predicatori locali nel loro incontro con
la comunità.
vesta la fi^ra del predicatore
o prédicatrice che sia, quanto
necessaria sia la sua costante e
approfondita preparazione e il
suo aggiornamento, sia a cura
della Commissione permanente
studi sia dei circuiti, quale il
suo impegno. Si è ribadito il concetto che tale impegno non si
esaurisce entro i limiti di una
saltuaria sostituzione sul pulpito in caso di emergenza, ma è
una collaborazione cosciente e
responsabile nei vari settori e
aspetti della vita delle chiese:
testimonianza, istruzione, propagazione della Parola di Dio al
l’interno e all’esterno della comunità.
Predicare, infatti, è stato detto, non è solo parlare o stendere un sermone, ma è un atteggiamento che investe totalmente
la personalità del credente che
ne sente la vocazione e che deve coinvolgere gli altri, se si vuc>
le che le comunità crescano spiritualmente e in numero, escano
dal ristretto ambito ecclesiale, si
facciano conoscere e prendano
posizione chiara e precisa fra le
contraddizioni confuse della nostra epoca.
Leonardo Casorio
CORRISPONDENZE
Accoglienza a pentecostali del Ghana
VERONA — A partire dal novembre 1989 siamo felici di dare
ospitalità nel nostro tempio ad
un gruppo di fratelli pentecostali di colore, principalmente del
Ghana, appartenenti alla Holy
Pire Pentecostal Church. Il consiglio di chiesa infatti era stato
interpellato a suo tempo per decidere se accogliere la richesta
di un gruppo di lavoratori africani, trasferitisi per lavoro nel
territorio veronese. Cercavano
un ambiente in città, dove potersi riunire per le loro attività di
culto. Il Consiglio di chiesa l’ha
accolta favorevolmente e ha avuto il consenso anche della comunità. Sono una quarantina di giovani, alcuni con moglie e figli,
che tengono i loro incontri sabato sera e domenica dalle 12,30
alle 16,30. Desideriamo, in un
prossimo futuro, superati i problemi della conoscenza della lingua, conoscerci reciprocamente
meglio, per non sentirci del tutto
staccati da credenti che frequentano i nostri locali di culto.
• Quest’anno abbiamo notato
una maggior partecipazione alle
manifestazioni ecumeniche alle
quali noi evangelici siamo stati
presenti. Anche il culto, tenuto
nel nostro tempio con la duplice
predicazione del past. G. Vicentini e di don G. Gottardi, direttore del Seminario diocesano, ha
fatto registrare una affluenza di
pubblico assai interessato all’ecumenismo. Le celebrazioni della
settimana si sono concluse con
una tavola rotonda sul tema
« Basilea, giustizia, pace e salvaguardia del creato ». C’è stata
una relazione di padre Tede, direttore del Centro di studi ecumenici di S. Bernardino, in sostituzione di monsignor Abiondi
ammalato, e del pastore P. Ricca,
decano della Facoltà valdese di
teologia.
Anche in tale manifestazione vi
è stato un grande interesse della
base cattolica al dialogo ecumenico ed un lungo applauso di consenso al messaggio evangelico del
pastore Ricca.
Una casa per
i malati di AIDS
PADOVA — Ne ha dato notizia il Gazzettino di Padova, ne
ha parlato il TG3 nel Notiziario
regionale con una intervista al
pastore Costabel e a Giovanni
Luigi Giudici andata in onda il
14 febbraio; direttamente contattati, hanno promesso il loro
appoggio ed interessamento sia
il sottosegretario on. Valdo Spini, sia l’on. Giovanni Berlinguer,
membro del governo ombra del
PCI.
Il progetto di una Casa di accoglienza per malati di AIDS
sta ricevendo consensi da ogni
parte. In verità si tratta di iniziativa degna di ogni encomio:
partita da una idea di Giovanni
Luigi Giudici, accolta dalla Chiesa metodista di Padova, si propone di promuovere forrne di
assistenza nei confronti di malati di AIDS abbandonati o comunque bisognosi di cure presso centri ospedalieri specializzati (quello di Padova, per esempio), ma non in condizione di
sopperire alle costose spese di
soggiorno.
Lavoro dunque di supplenza
nei confronti di uno stato che
non riesce a far fronte ai suoi
doveri assistenziali, ma anche
opera di aiuto fraterno a favore
di una delle fasce più deboli e
meno protette della nostra società.
Il malato di AIDS proviene
ormai dalle più disparate aree:
non solo da quella degli omosessuali e dei tossicodipendenti, come comunemente si crede, ma
anche degli eterosessuali. Sono
ormai comprovati numerosi casi di contagio ospedaliero avve
nuti negli scorsi anni a causa di
trasfusioni di san^e infetto.
Esistono malattie socialmente
« antipatiche », ver.so le quali la
solidarietà della gente si crea
con difficoltà: una di queste è
l’AIDS, molto spesso legata all’idea del sesso e dunque del peccato.
L’equazione peccato/punizione,
tanto cara ai moralisti di ogni
tempo, non solo è ingiusta e ingiustificata, ma si trova contraddetta nella realtà quotidiana. Se
la malattia fosse diretta punizione di qualche colpa, difficile sarebbe da capirsi la sofferenza
del giusto e la prosperità dell’empio: vecchia questione che
già ebbe a tormentare Giobbe e
che dovrebbe aiutarci a riflettere
sulla inopportunità di ogni pregiudiziale condanna.
La Chiesa metodista di Padova — e il suo pastore Bruno Costabel — da tempo ha deciso di sostituire al giudizio impietoso l’accoglienza e l'aiuto
fraterno.
Chi ci sta accanto e soffre è
prima di tutto un fragile essere
umano che chiede aiuto. Questo
è ciò che dovrebbe costituire il
punto di partenza per l’azione
di ogni credente.
Accanto all’assistenza ai malati di AIDS, la comunità di Padova ha mostrato la sua disponibilità nei confronti degli emarginati — degli omosessuali in
particolare — interessati in qualche modo al messaggio evangelico. Si è venuto formando così
fin dal 1983' un gruppo di credenti omosessuali — « L’in
contro » — che fa capo alla chiesa di Padova per riunioni periodiche destinate a letture bibliche
e alla discussione.
Iniziative esemplari sul piano
umano, sociale e evangelico, senza dubbio in sintonia con la tradizione metodista, legata da sempre all’impegno e all’azione fra
i socialmente più deboli.
Ecumenismo
su basi chiare
TORRE PELLICE — Un’assemblea di chiesa per dibattere
la questione dell’ ecumenismo ;
perché? Perché il Sinodo con un
o.d.g. lo raccomanda alle chiese.
Avremmo avuto a Torre Pellice
un’assemblea di chiesa su questo argomento se il Sinodo non
ce lo avesse chiesto?
La risposta è senz’altro positiva. Ma ne avremmo dibattuto,
per così dire, in astratto. Il fatto
invece che il concistoro abbia invitato la corale a soprassedere
all’invito rivolto alla Schola cantorum della parrocchia S. Martino per eseguire insieme il concerto di Natale ha posto il problema in termini molto concreti.
Finanche esasperati, per la verità.
Nell’assemblea di chiesa abbiamo verificato che ci sono almeno
due posizioni ben definite, la prima: dobbiamo difendere la nostra identità protestante dal cattolicesimo di sempre, strisciante
ed ambiguo, e da quello «nuovo»,
molto più battagliero, del papa
polacco. Gli esempi non mancano per sostenere questa tesi; basta guardarsi intorno con un po’
di attenzione.
La seconda posizione è più sfumata; pur riconoscendo la assoluta necessità di difendere la cristologia, si dimostra meno arroccata, più disponibile al confronto, perché è dal confronto
che nascono le diverse identità e
non dalla chiusura.
La terza posizione, presente
nella chiesa ma mai apertamente espressa in assemblea (non si
è più consapevoli del senso dell’assemblea di chiesa?), è che siamo tutti fratelli, tutti uguali, che
ormai non vi sono più differenze.
Di fronte a queste posizioni ci
viene un dubbio:
— stiamo forse distorcendo il
senso della parola ecumenismo
per darle il significato che ci
conviene di più? Non è che quello che veramente vogliamo discutere è la nostra capacità o incapacità di irradiare intorno a noi,
all’interno e all’esterno, quelli
che sono i punti fondamentali ed
irrinunciabili della nostra fede
riformata?
Forse è giunto il momento in
cui nuovamente dobbiamo interrogarci sulla chiesa riformata
che deve sempre riformarsi, anche nel concreto dei piccoli problemi quotidiani.
Dunque l’altro cristianesimo,
quello cattolico-romano, che è da
sempre di fronte a noi, minaccioso o accattivante, altro non fa
che rimandarci l’iinmagine della nostra forza o dei nostri cedimenti?
Il nuovo
Centro culturale
ANGROGNA — Nella giornata del XVII febbraio abbiamo
ascoltato con grande interesse la
predicazione e la conversazione
di Giorgio Tourn sul Centro
culturale valdese a Torre Pellice.
La serata, allietata dalla Corale e dalla visione di due film sulla storia valdese, è stata anche
un’occasione per riflettere sulla
nostra identità protestante, che
ha in queste valli il suo « cuore
antico ». L’interesse per il nuovo
Centro culturale deriva anche dal
fatto che praticamente tutta la
Val d’Angrogna è un grande museo all’aperto di storia valdese,
non per nulla la sensibilità per i
fatti del passato è realmente diffusa tra gli angrognini.
Ma il passato ha molto più
senso se, in questa vallata, i
giovani e i meno giovani continueranno a viverci (anche a costo di sacrifici dovuti alle distanze e alla vita montanara), a lavorare e a progettare il proprio
presente prima che glielo progettino « quelli di fuori ». Purtroppo la tendenza ad andare a
risiedere fuori della valle e la
tendenza a lasciare gli studi dopo
la terza media continuano a rafforzarsi, insieme all’impressione
che è sempre più difficile difendere una realtà che rischia di
scivolare sempre più nell’isolamento e nella passività della sua
gente.
Rendersi conto di queste difficoltà è il primo passo per assumersi nuove responsabilità. Occorre dire che segni di speranza
non mancano, ma si può fare
molto di più.
Sistema
contributivo
PERRERO-MANIGLIA — Do
menica 25 febbraio avremo il culto unico a Perrero, alle ore 10,
con discussione sul nuovo sistema contributivo delle chiese.
• Mercoledì 28 febbraio alle
ore 20,30, nel corso della riimione di Perrero, Guido Baret parlerà sul tema ; « Un’antica tradizione vinicola a Pomaretto »,
con proiezione di diapositive. Rivolgiamo un caldo invito alla
partecipazione !
Agape fraterna
MASSELLO — Domenica 25
febbraio, dopo il culto delle 11,
la comunità si ritrova per un’agape fraterna. Per prenotazioni ed
ulteriori informazioni rivolgersi
al pastore o alla sorella Erminia
Tron del Reynaud.
L’incendio e la
solidarietà
PRAROSTINO — L’incendio
che ha colpito il nostro comune
è stato vissuto come una esperienza terribile, lunga ed estenuante. Eppure la solidarietà si
è manifestata ovunque immediatamente e ognuno di noi sente il
bisogno di esprimere gratitudine
verso coloro che ci hanno aiutati
a spegnere gli incendi, dai vicini
di casa, ai Vigili del fuoco, ai volontari.
Sappiamo ora che si sta pensando di aiutare più concretamente quelle famiglie della comunità che hanno perso la casa
e i loro beni e ne siamo grati al
Signore.
Il concistoro si riunirà la prossima settimana per esaminare la
situazione e decidere quali interventi adottare, anche per riparare i danni causati agli stabili
dal vento.
• Il 17 gennaio scorso la famiglia di Brunella e Ivano Maero
di Pralarossa è stata allietata
dalla nascita della piccola Katìa.
Felicitazioni e auguri per una
crescita sotto lo sguardo del Signore.
• La comunità esprime la sua
solidarietà alle famiglie delle sorelle Elizia Grill ved. Rostagno e
Irene Gardiol, decedute nelle
scorse settimane.
Benvenuti!
POMARETTO — Un fraterno
benvenuto a Nicolas Chines, di
Emanuele e Tiziana Genre, e rallegramenti ai genitori.
PRALI — Ci rallegriamo con
il past. Gregorio Plescan e Enrica Rostan per la nascita del figlio
Stefano.
9
23 febbraio 1990
valli valdesi
MANIFATTURA DI REPOSA
Un XVII
febbraio
senza
falò
Otiesfanno per il 17 febbraio
niente falò. Era già successo —
oltre ai periodi bellici — che il
falò e la festa non si tenessero;
per esempio nel 1898, a causa di
un vento violentissimo e pericoloso proprio come abbiamo sperimentato in questi giorni. A volte falò e festa non si tennero
a causa di vaste epidemie, come
quella di scarlattina del 1889, o
di angina del 1900, o di vaiolo del
1902. Un’altra volta, a causa di
un’abbondantissima nevicata, nel
1878, si bloccò per il 17 febbraio ogni iniziativa poiché la
stragrande maggioranza dei paesi delle Valli erano bloccati.
Allora come oggi non c’è stato bisogno di decreti o di ordinanze del sindaco per capire che
non era il caso di festeggiare
intorno al falò. Il tam-tam della libertà e della responsabilità
ha persuaso tutti del fatto che
in certe circostanze il falò è rinviato all’anno dopo. In particolare quesfanno il disastro causato dal fuoco inarrestabile su
di un fronte di decine e decine
di chilometri ha prodotto in molti angoscia legata ai disastri, particolarmente gravi a Prarostino.
Ma tetti ne sono saltati un po’
dappertutto, come a Pradeltorno,
dove il vento ha completamente
scoperchiato la Foresteria valdese « La Rocciaglia ».
Una tacita solidarietà ha fatto
Si che nessuno accendesse il falò la sera del 16 febbraio — salvo la patetica eccezione del « bastimi contrario » di turno — ed
e la stessa solidarietà che il giorno dopo si è espressa nelle offerte durante il culto per l’opera
della chiesa valdese in Uruguay
e m quelle per le famiglie che hanno perso la casa
e le vigne nell’incendio di questi giorni. E’ la stessa solidarietà che ha spinto molte persone
a collahorare nello spegnimento
del fuoco. Quesfunità nella solidarietà, che sa esprimersi non
solo in buone intenzioni ma in
fatti concreti, ci rende, in qualche modo, più forti, più uniti ma
anche più consapevoli di come
sia complesso il nostro rapporto
con la natura che ci circonda.
/■-a natura maltrattata si vendica (era già successo neU’alluvione del 1977) e non la si può
sempre e comunque « assoggettare»; Se muore la natura in
cui viviamo, sia per cause violente che di progressivo inquinamento, finiremo con il morire anche
noi con lei. Rispettare la natura
vuol dire rispettare il nostro
prossimo. E rispetto non può
mai significare depredare, arraffare o, al contrario, abbandonare
la natura al suo destino ma significa « custodirla », ovvero salvarla da se stessa e da chi vuole rapinarla o distruggerla. Il nostro rapporto con l'ambiente è
specchio del rapporto che abbiamo con i nostri simili. Non sogniamo ambienti puri né rapporti umani idilliaci ma siamo convinti, allo stesso tempo, che in
un ambiente naturale degradato
la qualità della vita non può essere che pessima. Al contrario
un rapporto equilibrato con l'ambiente non può che giovare all’umanità che vive sotto l’unico
cielo (purtroppo già bucato come una groviera).
Giuseppe Platone
Lo "sciopero” del XVII
Un esperimento di pieno utilizzo degli impianti - I costi sociali La programmazione delle ferie - Anche le chiese si faranno sentire?
La notizia ha fatto il giro delle redazioni dei giornali di tutta
Italia. Alle valli valdesi ci sarebbe stato uno sciopero il 17 febbraio per difendere il diritto dei
valdesi a celebrare l’anniversario della loro emancipazione. Lo
sciopero, però, non era indetto
dalle organizzazioni sindacali ma
da un partito politico — e questa era la seconda novità —, da
Democrazia Proletaria.
Anche la nostra redazione è
stala interpellata dai giornalisti,
volevano sapere se la chiesa valdese in qualche modo c’entrasse
nella vicenda, se c’era una sorta
di cinghia di trasmissione tra
DP e i valdesi. Ed abbiamo risposto ovviamente di no, che la
chiesa non è integralista, e che
la gente qui da noi è laica e pensa con la propria testa e se le
operaie aderenti a DP avevano
promosso in quel giorno uno
sciopero, lo avevano fatto di testa propria e che a loro andavano poste le domande. Ed allora la notizia si è sgonfiata...
La realtà del lavoro di oltre
300 operaie della Manifattura di
Penosa non fa notizia, invece lo
sciopero « integralista » sì.
La realtà di questa fabbrica
è quella di un esperimento sul
pieno utilizzo degli impianti. Le
operaie sono divise in due gruppi, uno che lavora dal lunedì al
sabato mattina, l’altro dal sabato pomeriggio alla domenica. Su
questo c’è un accordo sindacale
ottenuto con il ricatto della pos
sibile chiusura dello stabilimento. Di più, nella fabbrica si è
arrivati alla « programmazione
delle ferie individuali », cioè di
quei 12 giorni che ogni operaia
ha per contratto: non se ne
può usufruire che due volte ogni quadrimestre e per non più
di 5 operaie contemporaneamente in ogni turno. Questo fatto
non era stato accettato dalle operaie, che però facevano buon
viso a cattivo gioco.
Quando la direzione non ha
voluto concedere un giorno di
ferie a quelle operaie che volevano ricordare il 17 febbraio, il
malcontento è esploso ed allora
il collettivo operaio di DP, vista
la « latitanza » sindacale, ha dichiarato lo sciopero.
« Molti lavoratori infatti hanno visto in questo ulteriore atto, che metteva, al centro unicamente i valori della produttività e del profitto, senza tener conto in alcun modo dei bisogni da
loro espressi, un vero e proprio
sopruso. Per molte operaie non
si trattava solo delle normali difficoltà che devono subire quotidianamente (come capita quando non ci si può mettere in ferie per curare il figlio malato, o
quando si deve portare la giustifica per essere andati al funerale di un proprio caro — eventi^ chiaramente non programmabili secondo la logica aziendale), ma della messa in discussione di una componente importante della loro identità », dice
Paolo Ferrerò, della segreteria
provinciale di DP.
« Quest’episodio ha chiarito alle operaie più di mille discorsi
il fatto che l'azienda le considera unicamente delle braccia, delle appendici delle macchine, non
delle donne portatrici di bisogni, di valori, di diritti, di una
memoria.
Uno sciopero "politico e morale", come abbiamo scritto nei
volantini, per il ripristino delle
libertà in fabbrica. Uno sciopero che a partire da un episodio
emblematico dicesse basta e cercasse di invertire la rotta ».
Dopo questa inusuale dichiarazione di sciopero il Consiglio di
fabbrica della Manifattura ha
minacciato anch’esso una dichiarazione di sciopero e, a quel punto, la direzione ha comunicato
ai lavoratori che tutti coloro che
volevano potevano stare in ferie
il 17 febbraio.
« La pianificazione produttivistica della Manifattura di Perosa
— continua Paolo Ferrerò —
ha quindi subito una battuta d’arresto. Si tratta ora di proseguire su questa strada; DP ha già
invitato le lavoratrici a muoversi per ottenere maggiore flessibilità nell’uso delle ferie individuali e per migliorare l’ambiente di lavoro (caldo, rumore, carichi di lavoro). Il C.d.F. pare
intenzionato a muoversi sulla
stessa strada. Sarebbe bene che
anche le chiese facessero sentire la loro voce ».
Giorgio Gardiol
VILLA OLANDA
Moratoria fino al Sinodo
Di fronte ai problemi economici alla base della decisione di vendere la casa, si costituirà un gruppo di "amici” a sostegno dell’opera?
Nei primi mesi del 1989 la Tavola valdese ha preso la risoluzione di alienare il complesso di
Villa Olanda. La decisione è
diventata di pubblico dominio
all’indomani della conferenza delle chiese valdesi del I distretto,
lo scorso giugno.
Nel corso del Sinodo ’89 l’argomento venne soltanto ripreso
brevemente, tuttavia, poche settimane dopo, alcune persone che
hanno a cuore il mantenimento
di questo servizio cominciarono
a mobilitarsi in questo senso.
Nei mesi scorsi abbiamo pubblicato sul nostro giornale diverse lettere inerenti la questione
e, per fornire dei chiarimenti sulla decisione della Tavola, è stata indetta una riunione « informale », aperta a tutti gli interessati, nel corso della quale il
moderatore della Tavola, Franco
Giampiccoli, ha esposto le ragioni che hanno portato alla decisione di vendere ed i numerosi
membri di chiesa presenti hanno ribadito le motivazioni in base alle quali si dichiarano contrari a questa scelta.
V’illa Olanda, una casa nata
certo non con le caratteristiche
di un edificio per persone anziane, ha svolto in passato un ruolo assai importante; da alcuni
anni la sua attività è legata a
due settori; da un lato vi trovano alloggio le persone a suo
tempo ricoverate nel « padiglione » psicogeriatrioo dell’ospedale
valdese di Torre Pellice, dall’altro sono ospiti della casa anche
delle persone anziane relativamente autosufficienti. In tutto si
tratta di 18 persone con problemi psichici e di altrettante che
nella casa rimangono o tutto
l’anno o solo d’invemo.
« I posti letto — ci dice il direttore Franco Peyronel — sarebbero una settantina, in 46 camere, ma in realtà ogni camera
ospita una sola persona ». Le
rette si aggirano sulle 800.000
lire al mese e le persone impegnate nel servizio sono in tutto
dieci.
In un contesto in cui la popolazione della valle è sempre
più anziana e le richieste di istituzionalizzazione saranno sempre maggiori, perché vendere?
La casa presenta una situazione non florida dal punto di vista economico (ci sono debiti
per oltre 100 milioni, più altri
elevati oneri passivi che gravano sulla Tavola e sempre legati
all’attività di Villa Qlanda) e soprattutto è critica la situazione della struttura in sé, dove
sarebbero necessari lavori di notevole entità, sia per renderla
funzionale che adeguata alle nor
me che le leggi italiane pongono
per questo tipo di istituti.
«Abbiamo affrontato in questi
ultimi anni grossi lavori di ristrutturazione per la diaconia —
ha detto il moderatore —, l’Asilo
di San Germano, il Rifugio Re
Carlo Alberto, gli ospedali di
Torre Pellice e Pomaretto. Tuttcivia rispetto a questi interventi dobbiamo ancora fare passi
importanti per la copertura totale della spesa ».
In queste condizioni, come ipotizzare investimenti su altre case? Non va dimenticato che altre spese sono preventivabili a
breve termine anche alla Casa
delle diaconesse. Si tratta, se
condo i piani della Tavola, di
razionalizzare, di reinvestire i
proventi derivanti dalla vendita
di Villa Qlanda su altre opere
diaconali.
E che ne sarà degli ospiti?
Quale soluzione si troverà per
il personale dipendente?
Le possibili risposte a questi
fondamentali interrogativi sono
venute: per quanto riguarda il
settore psicogeriatrico, l’USSL
sta già valutando il trasferimento in un’altra sede, mentre gli
altri ospiti dovrebbero trovare
posto lentamente negli altri istituti della chiesa. Anche rispetto
al personale, da tempo è stato
comunicato alle varie opere presenti sul territorio di tener conto, nel momento in cui si parli
di nuove assunzioni, delle persone operanti a Villa Qlanda con
le rispettive competenze.
Alla fine è stata espressa comunque, da parte delle persone
che vorrebbero mantenere in vita Villa Qlanda, la disponibilità
a dar vita ad associazioni a sostegno di questa opera, nell’intento di raccogliere fondi per i
lavori necessari.
Del resto la possibilità di raccogliere fondi a favore della casa era già stata avanzata alla
Tavola nello scorso settembre e
la prima risposta era stato un
rinvio a fine dicembre di ogni
trattativa di vendita. Qra si rilancia; se ne potrà riparlare al
prossimo Sinodo, « ma solo —
ha detto Giampiccoli — in presenza di prospettive e mandati
credibili presentati in tempo utile alla Tavola valdese ».
Piervaldo Rostan
Divieto di pesca
FRALI — Nel quadro della
programmazione e della gestione
tecnico-scientifica della pesca nei
laghi alpini della provincia di Torino, nel corso degli anni 1988 e
1989 la Provincia ha provveduto
al ripopolamento attraverso la
reintroduzione di salmonidi della
specie Salmerino Fontinalis, allevati dagli incubatoi ittici di valle, nei seguenti laghi siti nel Comune di Frali :
— Lago dell’uomo;
— Lago primo;
— Lago d’Envie.
Perciò, al fine di salvaguardare
la crescita del patrimonio ittico
introdotto e in relazione alla tutela e conservazione degli ecosistemi acquatici, la Provincia ha
richiesto alla Regione di stabilire, nei predetti laghi, il divieto
assoluto dell’esercizio dell’attività piscatoria per il triennio
1990-1992.
Sinistra unita
in una lista civica?
PINEROLO — Con un articolo apparso in prima pagina sull'Eco del Chisone, il giudice Elvio Passone, pinerolese e presidente di sezione della Corte di
Appello di Torino, ha lanciato
la proposta di una lista civica
per le prossime elezioni amministrative in città. La proposta
è rivolta a tutti i cittadini e avrebbe come obiettivo quello di
« garantire che gli eletti gestiscano le risorse non a fini clien
telari, ma nel rigoroso rispetto
delle regole date ». Si tratterebbe di una lista « di persone che
si impegneranno al debito di verità e trasparenza: a dire quel
che si fa e si intende fare, ad
informare non per accreditare
la propria frazione o per screditare gli avversari, ma semplicemente per esporre le cose e
suscitare partecipazione ».
Una proposta che si rivolge in
primo luogo al PCI, a cui è richiesto esplicitamente di rinunciare
al proprio simbolo e, indirettamente, a DP e ai Verdi arcobaleno. Forze, queste, alTopposizio^
ne finora in consiglio comunale,
che hanno evitato comportamenti dettati dall’arroganza del potere. Una lista insomma del tipo « città per l’uomo » di Palermo o simile alle liste Natan proposte dal partito radicale.
Finora poche le reazioni; PCI,
DP, Verdi arcobaleno, settori del
PSI guardano alla reazione che
questa proposta avrà nella società civile pinerolese. Ci sono
persone che raccoglieranno la
proposta? Se sì, potremo avere
anche in città una lista civica,
basata innanzitutto Su regole etiche, da reimmettere nella politica locale.
Lavori di
arginatura
TORRE PELLICE — Non sembri strano, ma in questo periodo di grave e perdurante siccità
le amministrazioni pubbliche si
trovano anche a preoccuparsi di
evitare possibili e per nulla nuove alluvioni. Cosi, proprio nei
giorni scorsi, la giunta della Comunità montana vai Pellice ha
incaricato una ditta, già operante sul territorio della valle, di
eseguire lavori di disalveo e protezione nel tratto terminale del
torrente Angrogna, in una zona
che già in passato si era segnalata per la pericolosità che potrebbe comportare per parecchie
abitazioni degli Appiotti. La spesa prevista per i lavori (che dovranno essere realizzati prima
delle auspicate piogge primaverili) è di 100 milioni.
10
10 valli valdesi
23 febbraio 1990
PRAROSTINO
VAL PELLICE
Fiamme, vento e paura una notte di fuoco
Raffiche di vento a oltre 100 km/ora - Un immenso rogo avvolge in poche ore la collina, fra case, colture, animali: un danno incalcolabile
Prarostino: una delle case di abitazione andate distrutte. A fianco,
non visibili nella fotografia, altre case hanno subito danni parziali.
Vento e fuoco, fuoco e vento.
Un incedere prepotente, inesorabile, inarrestabile. Le origini, è
ovvio, non sono note. In molti
affermano, a San Secondo, che
il vento ha abbattuto un traliccio elettrico e che il fatto abbia
causato delle scintille che avrebbero incendiato il sottobosco.
Quello che è certo è che il vento, che quel giovedì 15 febbraio
soffiava ad oltre cento chilometri
all’ora, si è appropriato di una
qualche scintilla e l'ha moltiplicata per cento, per mille, per
miliardi. Ha acceso in pochi minuti tutta la collina.
A San Secondo, dove già si contavano edifici danneggiati, tetti
volati via, attrezzature sportive
distrutte e alberi abbattuti, il
fuoco ha semidistrutto un capannone industriale, una casa di a
bitazione e numerose strutture
agricole. Proseguendo poi verso
l’alto l’incendio si è sviluppato
ancora, divorando tutto quanto
trovava sul suo cammino. Cosa
fare contro le fiamme ruggenti
che ti aggrediscono da ogni parte? Prarostino è un paese agricolo, un paese vissuto e non un
dormitorio; la gente c'era, ha
reagito, ha lavorato: e ha vinto
parte della battaglia. Chi vede
Prarostino oggi, una collina resa nera dalla vegetazione incombusta e ormai morta, i vigneti
desolati e desolanti, non si spiega come sia stato possibile sopravvivere.
Fra le centinaia di case coloniche, a conduzione agricola, le
decine di « seconde case », tutte
sparse sui dolci pendi! della collina, la gente di Prarostino ha
Prarostino: centinaia di ettari di vigneto sono bruciati, ci vorranno
cinque anni per ripristinarli. Negli ultimi anni i viticoltori avevano
iniziato il rilancio di un vitigno « storico », il Doux d’Henri.
Scatta la solidarietà
Immediatamente, il giorno dopo i gravissimi incendi, è scattata la solidarietà verso le popolazioni più duramente colpite. Il
quotidiano « La Stampa » di Torino ha portato i frutti di ima prima serie di doni dei suoi lettori,
il comune di Prarostino ha aperto un conto corrente bancario
presso l’agenzia CRT di San Secondo (n. 1675063/67), creando da
subito un fondo di solidarietà.
Anche le chiese valdesi del 1°
distretto, approfittando della ricorrenza del XVII febbraio, hanno deciso di organizzare, presso
ogni àgape, delle collette speciali
che secondo una prima stima
hanno raggiunto la significativa
cifra di 18 milioni di lire, somma
combattuto, in prima persona e
poi con l’aiuto dei vigili del fuoco, del servizio civile e dell’esercito, e ha vinto. Ha vinto, anche se il bilancio delle perdite
è pesante: sedici case sono andate completamente distrutte,
tre seriamente danneggiate. Altre centinaia hanno avuto danni
non lievi, pollame, conigli e maiali sono andati arrosto, sono praticamente distrutti 500 ettari di
bosco ceduo e condannati a morte gran parte dei vigneti. E que^
sto è il danno irreversibile di
un paese che proprio nell’attività vitivinicola sembrava aver
trovato, negli ultimi anni, uno
sbocco economico.
« Percorreremo tutte le strade
possibili per ottenere un aiuto
dalle strutture di governo — dichiara Mario Mauro, sindaco di
Prarostino — ma nessuno potrà
far rifiorire le vigne, nessuno pagherà il mancato guadagno dei
cinque anni necessari per far ricrescere un vigneto ».
Mauro è sindaco da tre legislature, lotta per il recupero della zona e dell’economia montana in genere. « Prarostino ha oggi 999 abitanti, eravamo riusciti
— afferma — a frenare l’esodo
e a recuperare qualche nucleo
familiare di ritorno; questa mazzata è una battuta d’arresto, un
passo indietro ».
Ma se i danni economici (centinaia, migliaia di milioni) potranno essere quantificati solo
nei prossimi giorni, ci sono altri danni che nessuno quantifi
cherà mai perché non sono vaiutabili; raccontano i soccorritori
di una coppia di anziani che si
è rifiutata di andarsene dalla
casa in fiamme: « Non ce ne
andiamo — dicevano piangendo
—, vogliamo rimanere qui e morire qui, insieme alla nostra casa ». Sono stati portati via di peso, e sono oggi ricoverati all’ospedale sotto choc; la casa è andata distrutta e forse ne moriranno. Altri sei nuclei familiari
(19 persone) hanno perso tutto
e sono ospitati da parenti o amici. Ma quanto vale la Bibbia di
famiglia, e una fotografia ingiallita, e il primo giocattolo di tuo
figlio, e una vecchia pipa, e la
tovaglia ricamata dalla bisnonna? Questo è quanto non si può
quantificare e valutare, questo è
il vero lutto di Prarostino, delle
valli, di noi tutti.
Il sindaco Mario Mauro ha le
lacrime agli occhi quando parla
della solidarietà che ha visto
raccogliersi intorno alla gente di
Prarostino e dice: « Abbiamo avuto molto, abbiamo sentito la
solidarietà della gente, non ci
sentiamo soli. L’umana comprensione ci fa sentire un tutt’uno
con gli altri, la disgrazia ci ha
fatto capire che il mondo non
è brutto come sembra ».
Stello Armand-Hugon
Torre Pellice. Il tetto di una casa è finito sui platani di viale Dante
(Sotto) La zona dell’inverso in fiamme.
Altre decine di ettari di territorio della vai Pellice andati in
fumo; dopo gli incendi della settimana precedente, un rogo spaventoso ha imperversato giovedì
15 e venerdì 16 nell’Inverso di
Torre Pellice e Luserna e, con
altrettanta violenza, sul versante
opposto, fino al comune di Rorà.
Originato intorno a mezzogiorno di giovedì, non lontano dal
colletto Rabbi, da una delle tante ceppale rimaste accese dopo
incendi precedenti, il rogo ha
ben presto raggiunto i boschi
della zona della Gianavella da
un lato e quelli immediatamente
prossimi al letto del torrente
Pellice dall’altro. Le fiamme, propagate da un vento impetuoso che
ha molto ostacolato l’intervento
delle squadre antincendio, si
spandevano qua e là come impazzite in un sottobosco secco come
poche volte, per gli ormai lunghi mesi di siccità.
E’ stato con enorme fatica che
molte case sono state salvate
dalle fiamme; oltre ai volontari
locali sono intervenuti anche i
vigili del fuoco di Pinerolo, e,
verso sera, oltre 100 militari (carabinieri ed alpini). Naturalmente la forza del vento impediva
qualsiasi intervento di mezzi
aerei e di conseguenza in serata le fiamme hanno raggiunto
rocca Berra, minacciando da vicino le abitazioni di Rorà. Con
che verrà quanto prima versata
al concistoro di Prarostino il quale provvederà a sua volta a ripartirla fra le famiglie colpite.
Presso molte chiese rimangono
comunque aperte delle sottoscrizioni.
Anche gli Enti istituzionali (Regione, Provincia) hanno promesso ulteriori interventi, anche se
questi avverranno probabilmente
in un secondo tempo.
Del resto parecchie aziende agricole della zona interessata dal
fuoco si trovano nelle condizioni
di ripartire da zero, reimpiantando i vigneti bruciati, con la
prospettiva, per parecchi anni, di
non percepire alcun reddito.
P. V. R.
.4 causa del forte vento i mezzi aerei .sono stati a lungo bloccati.
la notte il vento è via via calato, restituendo agli uomini impegnati maggiori possibilità di
intervento; soltanto nella giornata di venerdì, però, con l’intervento dell’elicottero della Regione, l’incendio si è potuto considerare circoscritto. Non domato, però; tant’è che nel corso
della giornata di lunedì 19 le
fiamme si sono nuovamente levate alte sopra Rorà: sono infatti moltissime le ceppale che
in questi giorni continuano a
bruciare e che ogni tanto lasciano cadere verso il basso delle
parti accese.
Sempre giovedì, anche sulle
pendici del Vandalino ricompariva prima una esile colonna di
fumo e poi, in pochi minuti, larici ed abeti erano avvolti dalle
fiamme in un’opera distruttrice
che proseguiva quella della settimana precedente. Alla fine i danni risultano ingentissimi al patrimonio boschivo (faggeta, ceduo
di castagno, lariceto); sfiorate
dal fuoco molte baite e, purtroppo, anche una casa a Luserna è andata distrutta.
Ma fra i danni non va dimenticata l’azione diretta del vento:
le raffiche, fortissime, hanno
sradicato alberi, piegato antenne, sollevato tegole e coppi, scaraventato a terra grondaie; a
Torre Pellice una intera casa è
stata scoperchiata, facendo letteralmente volare il tetto in
parte sugli alberi del viale Dante, in parte addosso ad un’abitazione vicina, che ha ricevuto
a sua volta notevoli danni.
Mancano stime precise sull’ammontare del disastro; per i
soli edifìci comunali di Torre Pellice e Luserna si tratta di
svariate decine di milioni.
Non possiamo, a chiusura di
queste note di cronaca, non far
menzione brevemente sullo scoordinamento dei soccorsi. L’intervento dei militari è stato sollecitato nel primo pomeriggio di
giovedì, ma solo in serata è stato possibile; ma ciò che è più
grave è stata la mancanza di
preparazione ad affrontare la situazione: autobotti vuote, soldati
sprovvisti anche di semplici pale;
sono questi gli strumenti che lo
stato mette a disposizione in caso di « calamità naturali »?
Piervaldo Rostan
11
23 febbraio 1990
valli valdesi 11
COMUNISTI NEL PINEROLESE
REGIONE PIEMONTE
70% al nuovo corso
Ampia la partecipazione ai congressi di sezione - Una buona accoglienza al progetto di rinnovamento ideato in novembre da Occhetto
I comunisti del pinerolese hanno al 71% approvato la mozione Occhetto per il rinnovamento del
partito, al 18% si sono schierati con la mozione 2
(Ingrao e altri), e al 9% con la mozione Cossutta.
II rinnovamento del partito e l'apertura di una
nuova fase costituente sono dunque graditi ai comunisti pinerolesi che hanno votato ai congressi in
una percentuale maggiore che nel resto della pro
Sezione
Iscritti votanti moz. 1 moz. 2 moz. 3 astenuti
delegati
moz. 1 moz. 2 moz. 3
VILLAPRANCA 20
VIGORE 8
LUSERNA SAN GIOVANNI 58
INVERSO PINASCA 24
PEROSA - POM ARETTO 61
PISCINA 12
AIRASCA 32
VIRLE 11
CUMIANA 37
SAN GERMANO 30
CAVOUR 22
BRICHERASIO 20
torre PELLICE 31
PINEROLO 274
VILLAR PEROSA 41
PORTE 22
8
6
21
10
16
8
23
9
15
15
6
9
20
108
20
10
5
3
19
10
8
8
19
9
7
9
4
9
15
70
15
6
5
19
3
4
17
2
1 —
Totale
703
304
216
54
27
19
aventi diritto. La mozione 1 ottiene il 70.9% dei consensi; la mozione 2 ottiene il 17,8% dei consensi; la mozione 3 ottiene l’8,9% dei consensi. Astenuti il 2,4%.
Lettere all'Eco delie Valli
QUEL FUOCO
SULLA COLLINA...
Signor Direttore,
dopo averlo detto personalmente, vorrei qui esprimere pubblicamente la mia
Indignazione per il fatto che la sera del
16 febbraio Carlo Bàchstadt-Malan abbia
acceso, unico in tutta la Val Pellice,
una pira (che non mi sento di chiamare
falò) nei suoi prati sulla collina di San
Giovanni.
Avevo negli occhi, ed ho ancora mentre scrivo .. a caldo », i bagliori degli
incendi della sera del 15 e delle sere
prima; gli sguardi arrossati dal fumo e
dalla stanchezza di chi ha lottato per
ore contro il fuoco che bruciava boschi,
vigneti, frutteti, case; gli sguardi di
amici ed amiche ancora segnati dalla
paura, dall’angoscia, per aver visto la
casa propria, o di parenti, o di amici,
lambita dalle fiamme, se non addirittura
devastata perdendo tutto.
Avevo nel naso, ed ho ancora, l'odore di fumo e di cenere che quelia sera
ristagnava per l’aria a San Secondo e
a Prarostino, dove ero passato poco
prima per vedere alcuni amici, o che
emanava dai vestiti di una guardia forestale che, indignata e rassegnata,
guardava la pira ardente poco lontano
chiedendosi se era giusto che dovesse
star lì a sorvegliare un fuoco acceso
per chissà quale divertimento o soddisfazione, dopo aver passato otto giorni a correre su e giù per i monti a
spegnere fuochi.
Quelle fascine accese erano un’offesa. una presa in giro per tutte queste
persone.
I falò del XVII febbraio hanno un
senso se testimoniano e sono espressione dell’esistenza di una comunità, di
un comune sentire, di un comune
desiderio e affermazione di libertà, di
un sapere che, come v’è un legame
tra coloro che sono intorno al falò
con me, così v’è il medesimo legame
con chi è intorno agli altri falò che si
vedono brillare nella notte, una comune fratellanza, una comune fede, una
comune solidarietà, una comune e reciproca simpatia (nel senso etimologico
di . condivisione di sofferenza o di
gioia »).
L’accendere il fuoco sotto alcune fascine la sera del 16 febbraio ha un senso nel gesto collettivo di tante mani
che accendono tanti falò, e che si
stringono intorno ad essi. Il falò del
XVII non è un fatto personale, privato;
un falò solo acceso nella notte è segno
di solitudine, isolamento, di desiderio
di autoaffermazione, di incomprensione
del senso della festa del XVII febbraio,
riducendola a fatto folkloristico, ad autoesaltazione di elementi che poco, se
non nulla, hanno a che fare con gli elementi identificativi di quello che è stato definito un popolo-chiesa.
Lo spirito di solidarietà, fratellanza,
comune fede, simpatia, si è espresso
questa sera nel fatto che nessun falò
è stato acceso (eppure tanti ne erano
stati preparati, e la nevicata di lunedì
12 aveva destato qualche speranza per
un XVII « bagnato » e quindi senza pericoli) .
Il sapere che nell’ordinario (ma questa sera straordinario) buio rotto dall’illuminazione pubblica vi erano tante
persone che, come me, pensavano ai
falò spenti, con gli occhi ancora pieni
dei bagliori degli incendi di ieri, ha
creato un comune sentire di fratellanza,
simpatia, solidarietà, che si esprimerà
domattina, 17, nella consueta affollata
partecipazione al culto di lode nei templi.
Carlo Bàchstadt, e coloro che erano
con lui nel suo prato, ben avrebbero
potuto a loro modo, riuniti sotto il tendone con le bandiere del RIGRAP, entrare in sintonia con questo comune
sentire, da cui non va disgiunto il rallegrarsi per lo spegnimento degli incendi, il cessare del vento, il venir meno di uno stato di all’erta e di pericolo, Quella pira ardente li ha isolati,
additandoli ad uno sdegno che so non
essere soltanto mio.
Sappiano però che il dialogo è ancora sempre possibile, innanzitutto ogni
domenica mattina in occasione del culto. nel quale tutti si ritrovano nel nome
del Signore, in spirito di solidarietà,
fratellanza, simpatia.
La ringrazio per la pubblicazione.
Paolo Gay, Luserna S. G.
e solidarietà per la nostra valle, per i
boschi andati in fiamme, per chi ha
perso la casa, per chi ha sudato
con le pale in mano.
E voglio chiedere ai pochi (spero!)
riuniti intorno a quel falò; perché festeggiare la gioia con un simbolo che
ultimamente non ha significato altro se
non distruzione?
Barbara Malanot, Luserna S. G.
Quest'anno abbiamo trascorso una
vigilia del XVII febbraio assai particolare: nonostante ohe da giorni tutto fosse
pronto come sempre, non sono stati
accesi i falò e non sono state effettuate fiaccolate.
In tutti (o quasi...) è prevalso un senso di responsabilità e sensibilità dopo
quanto accaduto in zona nei giorni precedenti; non accendere i falò ha rappresentato un gesto di solidarietà verso coloro per i quali il fuoco ha significato paure, sofferenze, fatica.
Tutti i fuochi in Val Pellice erano
spenti, tranne uno; a tutti noi quel fuoco è risuonato come un’offesa verso
chi ha lottato contro le fiamme nei
giorni scorsi e verso chi ha addirittura
perso la casa tra le fiamme.
Quel fuoco ha rappresentato inoltre
motivo di preoccupazione per chi è
già stato impegnato per giorni; ed è
in questo « clima » che avremmo dovuto gioire intorno a un falò? Che tristezza quell’unico fuoco solitario, che
arroganza quelle uniche fiamme nella
valle...
Nella festa della libertà dei più quel
falò ha rappresentato la licenza del
pochi. Ma è questa la libertà che si
festeggia il XVII febbraio?
Il Gruppo giovani della Chiesa
valdese di Luserna San Giovanni
*Le ragioni ¡degli altri’
vincia di Torino: il 43% contro circa il 30%, rispettivamente. Tra le curiosità di questo voto occorre notare come la sezione di Pomaretto-Perosa si
sia divisa quasi al 50% tra favorevoli e contrari,
mentre invece in Val Pellice la stragrande maggioranza dei votanti è invece con Occhetto.
Pubblichiamo qui sotto una tabella riassuntiva del voto nelle varie sezioni del PCI.
Speravo di non vedere i falò, quest’anno. E non perché io abbia dimenticato il valore del nostro 17 febbraio
0 perché mi sia scordata l'atmosfera
fraterna di tante serate intorno al fuoco. Volevo solo un po’ di sensibilità.
Non accendere quell’unico falò sulla collina avrebbe avuto questo significato. Non è stato così, abbiamo perso l’occasione di un gesto importante,
ci siamo privati di un gesto di rispetto
GRAZIE!
Un profondo e sentito ringraziamento
ai vigili del fuoco e volontari di Torre
Pellice e Luserna San Giovanni, al corpo forestale della stazione di Torre
Pellice nonché agli amici Aldo Visco
Gilardi e Adriano Lciigo che, nell’incendio deila scorsa settimana, hanno impedito che le fiamme distruggessero le
storiche case della « Gianavella », di
proprietà della Tavola valdese.
Il presidente del Comitato
luoghi storici valdesi
Edgardo Paschetto
Il consiglio regionale del Piemonte e il Comitato per l'affermazione dei valori della Resistenza in collaborazione con
l’AIACE di Torino, propongono
per il terzo anno una breve rassegna cinematografica rivolta alle scuole superiori della regione.
Dopo aver indagato i temi della violenza, delTintolleranza e del
razzismo, le proposte filmiche di
quest’anno concentrano l’attenzione su alcuni casi esemplari
H Oggi
e domani
Amnesty International
TORRE PELLICE — Venerdì 23 feb
braiP, ore 17, avrà luogo al Centro
d'incontro una riunione con il seguente
o.d.g.; a) Azione urgente per le Filippine, per II timore della reintroduzione
della pena di morte; b) Azione in favore di Valéry Avdeyev, detenuto in
ospedale psichiatrico in URSS, in adozione al Gruppo della Val Pellice; c) 8
marzo: Giornata internazionale della
donna, azione per tre casi di vioiazione dei diritti umani (Perù, Jugoslavia,
Myanmar-Birmania) ; d) Consigiio circoscrizionale a Torino il 24.2.90, via Pescatore 7. Invito ai soci delia Val Pellice a partecipare.
Riunioni
LUSERNA SAN GIOVANNI — Domenica 25 febbraio, alle ore 9.30, presso la sede AVIS in via Roma 41, si
svolgerà l’assemblea annuale della
AIDO (associazione donatori organi)
ohe, tra gli altri argomenti, prowederà
ad eleggere il nuovo consiglio direttivo.
Incontri
LUSERNA SAN GIOVANNI — « Pensare al femminile» è il titolo di una
serie di incontri organizzati dal « Gruppo donne vai Pellice » e che vedrà una
prima serata venerdi 23 febbraio, presso la sala consiliare, alie ore 20.45 sul
tema: «Sentirsi bella», con la partecipazione di Paola Taccia, fisioterapista,
e Maria Mancuso, consulente psicoioga.
Cinema
POMARETTO — L’attività del cineforum prevede, venerdì 23 febbraio, alle
ore 21, la proiezione del film: « Black
comedy ».
TORRE PELLICE — Il cinema Trento
ha in programma sabato 24 e domenica 25 II film: « Ho vinta alla lotteria di
Capodanno ».
TORRE PELLICE — Si conclude lunedì 26 febbraio la serie di film programmati da Spazio giovani presso
il convitto di via Angrogna: alle ore
20.30 verrà presentato il film « Romuald & Juliette ».
Programmi dì Radio Beckwith
91.200 FM
Fra I programmi settimanali segnaliamo: « A confronto » di martedì 27, ore
11.30 e lunedì 5 marzo, ore 17, dedicato
alla situazione ed alle prospettive della casa « Villa Olanda »; «Rendez-vous»
di mercoledì 28, ore 11.30 e di martedì
6 marzo, ore 17, con riflessioni inerenti
l’asilo nido di Torre Pellice a 10 anni
dall’Inizio del servizio; « Filastin », in
onda ogni venerdì alle ore 18.45 e sabato alle ore 9.30; il culto evangelico
di domenica 25 febbraio, ore 11.30 e
mercoledì 28, ore 19.15, sarà presieduto dal pastore Platone.
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di disagio e di conflittualità generati da diverse forme di emarginazione individuale e sociale:
disagio giovanile, inquietudini individuai; e collettive, situazioni
di separatezza prodotte da handicap fisici, differenze etniche,
culturali e psicologiche, situazioni di discriminazione razziale.
L’intento di questa iniziativa
è quello di stimolare nei giovani una riflessione critica sulle
ragioni sociali e culturali che sono all’origine di queste condizioni di disagio, contribuendo a
creare una coscienza più aperta.
Il ciclo di 5 film si svolge in
19 città piemontesi dal 2 febbraio
al 7 maggio; a Pinerolo è iniziato il 6 febbraio al cinema Ritz.
Le scuole e gli insegnanti interessati alle proiezioni devono
contattare direttamente la sala
cinematografica.
Le proiezioni iniziano alle ore
10; sono previsti i film « Mignon
è partita », « Rain man », « Un
mondo a parte », « Salaam Bombay ».
RINGRAZIAIMENTO
I familiari di
Mario Bertot
commossi per la dimostrazione di stima e affetto tributata al loro caro, nell’im'possibilità di farlo singolarmente,
ringraziano tutti 'coloro che con presenza, fiori, scritti, opere di bene, parole
di conforto hanno preso parte al loro
dolore.
Un particolare ringraziamento al
personale infermieristico e medico dell’Ospedale valdese di Torre Pellice, alla dott.ssa Pisani, al pastore Platone,
al Coro alpino Val Pellice.
Angrogna, 12 febbraio 1990
« Louez l’Eternel, car il est bon,
car sa miséricorde dure à toujours »
(Ps. 118: 1)
Emma Micol, sa soeur, ses neveux et
nièce Leadh, Pascal et Pons ont la
tristesse de vous faire part du décès
de
Aline Pascal
survenu le 2 février 1990, dans sa
89ème année.
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12
12 fatti e problemi
23 febbraio 1990
UNA DENUNCIA DALL’ALTO COMMISSARIATO ONU
Quale diritto dei rifugiati?
CATANIA
Nel corso degli anni
strittivi da parte di
'80 si sono manifestati atteggiamenti più realcuni stati - Le interpretazioni limitative
Non è un caso che il diritto
contemporaneo dei rifugiati sia
nato immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, quando
si elaboravano gli strumenti internazionali ed i principi del diritto umanitario. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1950 che istituiva
l’Acnur e la Convenzione del
1951 sullo status dei rifugiati sono tutte nate nella stessa epoca.
Tutte queste iniziative si ispiravano allo stesso obiettivo; salvaguardare e proteggere la dignità dell’individuo. Mentre il diritto internazionale tratta dei diritti e libertà di ogni individuo
sul territorio di uno Stato, il diritto dei rifugiati mira ad assicurare che tutti coloro che sono
privati dei loro diritti nel proprio
paese beneficino della stessa protezione nel paese in cui si trovano, conformemente alle stesse
norme e principi internazionali.
Ma negli anni ’80 molti Stati,
tra quelli che hanno contribuito
a stabilire il quadro giuridico di
protezione dei rifugiati, hanno
adottato un atteggiamento sempre più restrittivo nei confronti
dei richiedenti asilo. Benché i testi giuridici siano rimasti immutati, sono sorti gravi problemi di
interpretazione ed attuazione.
L’utilizzazione sempre più diffusa di ’’procedure accelerate”, e la
sbrigativa applicazione di decisioni negative risultanti da tali
procedure, sono oggi una delle
principali preoccupazioni dell’Acnur. Si osserva un’erosione
dei principi fondamentali di protezione e dei diritti dell’uomo,
giustificata dalla pretesa necessità di ’’equilibrare” i’equità e l’efficienza nella procedure di determinazione dello status di rifugiato.
E’ naturale che i governi siano
preoccupati per il numero dei richiedenti asilo che arrivano nel
loro territorio, tanto più che è
evidente che alcuni richiedenti
non harmo assolutamente lasciato il loro paese per timore di
persecuzioni, abusando così, delle
procedure di richieste di asilo.
Ma una procedura basata più su
criteri di controilo dell’immigrazione che su preoccupazioni per
i diritti dell’uomo non può che
risultare pregiudizievole per i rifugiati. Una decisione erronea e
frettolosa può avere conseguenze
tragiche per gli interessati.
L’Acnur segue da vicino queste nuove procedure per vedere
come esse sono applicate nella
pratica. Si pongono molte questioni. Queste procedure rispondono realmente all’obiettivo per
il quale sono state istituite, cioè
distinguere rapidamente i richiedenti asilo che hanno un fondato
motivo per fare tale richiesta da
quanti presentano una domanda
infondata? C’è il rischio che rifugiati genuini vedano respinta
la loro domanda? Esistono garanzie di protezione, o esse sono
assenti dalle procedure? Possono le organizzazioni non governative svolgere un ruolo utile, ad
esempio assicurando una presenza negli aeroporti ed altri punti
d’ingresso?
Anche quando i richiedenti asilo possono fornire una giustificazione credibile a sostegno della
domanda di asilo in prima istanza, quali sono le loro probabilità
di successo nelle tappe successive? Anche a questo proposito, alcuni recenti sviluppi sono motivo
di preoccupazione. Nel mondo
occidentale, appena il 10-15''/o dei
richiedenti asilo vede accettata
in prima istanza la propria domanda di asilo. Questo rispecchia una situazione reale, o non
è piuttosto una conseguenza dell’applicazione restrittiva del cri
terio di determinazione dello status di rifugiato? Il fatto che le
percentuali di eleggibilità possono variare sensibilmente da un
paese all’altro o per persone della stessa nazionalità sembra indicare che le decisioni prese possono essere influenzate da considerazioni che non sono quelle del
merito di ciascun caso.
Sembra delinearsi una tendenza crescente a rifiutare lo status
di rifugiato per mancanza di credibilità. Di solito si oppone un
tale rifiuto quando si sia riscontrata qualche irregolarità nel
modo in cui il rifugiato è entrato
nel paese: uso di passaporto falso o distruzione deliberata del
documento d’ingresso. Oggi, tale tendenza potrebbe condurre al
rifiuto dello status di rifugiato
nella maggioranza dei casi. Un’altra questione critica è quella della « valutazione delia testimonianza di un richiedente, il suo
valore, quando la testimonianza
è la sola prova prodotta a sostegno della domanda di asilo ».
Sembra che ci sia ormai una tendenza deplorevole, tra coloro i
quali prendono le decisioni in
materia di asilo, a considerare
come prove insufficienti le testimonianze non avvalorate. Ma
questa tendenza può essere contenuta. Bisogna compiere degli,
sforzi per rafforzare la natura
umanitaria di ogni procedura di
determinazione dello status. La
congruenza tra la testimonianza
del richiedente asilo e la situazione nel paese di origine, tale
quale essa è conosciuta, può costituire una importante prova a
sostegno delle sue dichiarazioni.
Qualunque incongruenza che, nella testimonianza del richiedente
asilo, non sia essenziale ma marginale non deve quindi essere
utilizzata contro di lui per rifiutargli lo status di rifugiato.
Un’altra preoccupante evoluzione è i’accezione sempre più
restrittiva dei termini ’’persecuzione” e ’’opinione politica” nella
definizione del rifugiato. In un
certo numero di recenti decisioni
amministrative e giudiziarie, adottate sia in Europa sia in Nord
America, il termine ’’persecuzione” è stato definito in modo più
limitato. Ad esempio, è stata
avanzata l’ipotesi che, essendo la
violenza inerente ad ogni guerra
civile, un’azione intrapresa dal
governo o da forze di opposizione contro un individuo non costituisce una persecuzione. Azioni del genere non sarebbero intraprese a scopo di persecuzione,
ma per fini politici.
L’interesse
nazionale
Questo argomento nega virtualmente il concetto dei diritti
individuali. Quale governo ammetterebbe di avere perseguitato
i propri cittadini? Il diniego dei
diritti individuali risultante dalla
persecuzione è sempre giustificato dallo Stato in questione sulla
base di un qualsiasi interesse nazionale supremo. E’ in parte per
evitare questo conflitto tra gli
interessi individuali e quelli collettivi che la Convenzione del
1951 insiste sulla natura umanitaria del problema dei rifugiati.
Il termine ’’opinione politica”
è anch’esso definito in modo più
ristretto. Ad esempio, in alcune
decisioni, il rifiuto dell’interessato ad unirsi alle forze governative o a quelle della guerriglia
non è stato considerato come
un’espressione di opinione politica. Così, anche se l’individuo è
perseguitato a causa della sua
neutralità, si sostiene che la persecuzione non è basata su alcuno
degli elementi che figurano nella
Convenzione e che può permette
re il riconoscimento dello status
di rifugiato. Fortunatamente, altre decisioni hanno riconosciuto
che il rifiuto di unirsi all’altro
campo in una guerra civile rappresentava l’affermazione di una
opinione politica e giustificava il
riconoscimento dello status, almeno quando la scelta di neutralità era deiiberata e rischiava di
far pesare minacce specifiche sull’interessato. E’ quindi doveroso
insistere suli’importanza di seguire questa posizione se si osserva il grandissimo numero di richiedenti asilo che, oggi, appartengono a questa categoria.
Paradossalmente, un altro motivo di preoccupazione per
l’Acnur è la pratica discrezionale, largamente diffusa, di concedere io status di residenti ai richiedenti asilo venuti da paesi
dove un ritorno in sicurezza non
può essere garantito. L’ammirevole carattere umanitario di una
tale politica può in effetti mascherare un reale indebolimento
dei diritti dei rifugiati.
In numerosi casi, il numero di
persone autorizzate a rimanere
in uno Stato su basi umanitarie
(ciò che a volte è chiamato ’’status B”) è più elevato di quello
delle persone che presentano i
requisiti per ottenere lo status di
rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951 e del Protocollo
del 1967. Questo causa numerosi problemi. Lo status discrezionale può assicurare una protezione minore rispetto allo status
giuridico di un rifugiato, in particolare in materia di protezione
contro il refoulement e di diritto
di ricongiungimento familiare.
Impedisce anche ad altre persone provenienti dallo stesso paese
di ottenere lo status di rifugiato, privandole del valore che la
loro testimonianza potrebbe avere per comprovare quella di altri
richiedenti.
Norme umanitarie
Ci sono, certamente, individui
privi dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione ma
che, ciò nonostante, non possono
far ritorno al proprio paese, dove
la loro vita e sicurezza sarebbero in pericolo. In tali casi, la risposta del paese ospitante è puramente umanitaria. Si dovrebbe
cercare di definire una norma
umanitaria per il trattamento di
tali persone? Lo status umanitario dovrebbe avere durata limitata? In caso affermativo, quale?
In quali situazioni i beneficiari
di tale status possono essere rinviati in patria contro la loro volontà?
Anche la prassi di porre in stato di detenzione i richiedenti asilo in attesa di determinazione del
loro status sì è diffusa negli ultimi anni, creando grave preoccupazione per l’Acnur, che mantiene un dialogo costante su questo argomento con i governi.
Anche in questo caso spesso ci
si chiede se non andrebbe riconosciuto l’interesse legittimo degli Stati di ricorrere aila detenzione per verificare l’identità del
richiedente asilo, e salvaguardare la politica di immigrazione di
fronte alle domande di asilo infondate. Ma dove si dovrebbe
tracciare una linea di demarcazione tra l’immigrazione e gli
altri interessi degli Stati, ed i loro obblighi di rispettare i diritti
ed i principi della protezione dei
rifugiati? Secondo me, si dovrebbe, in ogni caso, promuovere instancabilmente il rispetto degli
individui ed allo stesso tempo
sollecitare gli Stati ad esercitare
con moderazione il loro potere.
Shamsul Bari
I diritti umani
nel Medio Oriente
Un problema che risale all’occupazione europea - Israele non si considera paese occupante
( da I Rifugiati )
Il Centro di ricerca per la pace nel Mediterraneo (CRPM)
ha organizzato il 1° febbraio
scorso, nell’ambito dei programma di iniziative per l’anno 19891990 intitolato Europa e. Medio
Oriente: interdipendenza, conflitti, cooperazione, sviluppo,
un primo incontro dal titolo I
diritti umani nei Medio Oriente.
Alla conferenza, svoltasi presso la Camera di Commercio di
Catania, sono intervenuti quattro relatori.
Il dott. Ahmed Othmani, dell’ufficio internazionale di Amnesty International di Londra, ha
aperto la giornata con una relazione dal titolo I diritti umani
nel Medio Oriente: uno sguardo d’insieme.
Il dott. Othmani ha ricordato
come tutti i paesi del Medio Oriente, a prescindere dal tipo
di governo, dall’ideologia dominante, dall’orientamento di politica estera (pro USA e pro
URSS), dall’essere conservatori
o « progressisti », teocratici o
laici, violano i diritti umani fondamentali, attraverso l’uso di:
prigionieri politici, tortura, pena
di morte, esecuzioni senza processo, discriminazione di minoranze o di donne, assenza di elezioni libere ecc.
Pur tenendo conto delle specificità di ogni paese della regione, è tuttavia possibile indicare
alcuni tratti comuni. Il problema
dei diritti umani si era già manifestato durante l’occupazione
europea delle regioni mediorientali, ed in seguito si era aggravato durante le lotte per la
indipendenza delle popolazioni
locali. Dopo la decolonizzazione non si sono insediati regimi
che potessero dirsi compiutamente democratici. Le élites governative, in moiti paesi dell’area, sono costituite da nuclei familiari, militari o di partito.
Nessun regime è veramente legittimo, di libere elezioni non
si può parlare in nessuno dei
paesi del mondo arabo. Hanno dunque bisogno, per rimanere al potere, di inezzi che sono quasi sempre in contrasto
con i più elementari diritti dell’uomo. Anche nella fase dell’indipendenza formale di questi paesi, le potenze estere (in primo
luogo USA e URSS, ma anche
l’Italia) hanno avuto delle responsabilità per le violazioni
dei diritti umani; forniture d’armi di ogni tipo da im lato, e
dall’altro il sostegno al potere
locale, che si è instaurato o rimane in carica anche contro la
volontà del popolo.
La mobilitazione all’interno
di questi paesi per la democratizzazione e per la salvaguardia dei
diritti umani ha provocato molte vittime e prigionieri, ma rappresenta, in ogni caso, la leva
principale per il cambiamento.
Il dott. Domenico Gallo, di
Magistratura democratica, ha
svolto una relazione dal titolo;
Principi del diritto internazionale e salvaguardia dei diritti
dell’uomo nei territori occupati.
Il dott. Gallo ha fatto una
lunga e dettagliata esposizione
di tutte le norme di diritto internazionale che dal 1948 ad oggi si sono susseguite e dalle quali emerge il principio generale di
condanna delle violazioni dei diritti umani basilari e delle libertà fondamentali.
Con riferimento ai territori occupati da Israele da più di 22 anni, la violazione dei diritti umani
costituisce parte di una più ampia negazione che investe la
stessa esistenza dei palestinesi
come nazione e quindi il loro
diritto all’autodeterminazione,
sancite ne.iS ''arta delle Nazioni
Unite. Essendo negato il diritto
di autodeterminazione, lo status legale dei territori è quello
di territori occupati, e come tali soggetti alle garanzie che il
diritto internazionale bellico assicura alle popolazioni soggette
a tale regime (IV Convenzione di
Ginevra, 1949). Israele, tuttavia,
non considerandosi una potenza occupante, si è sempre considerata svincolata dall’obbligo
giuridico dell’osservanza di tale
Convenzione.
Di fronte alia debolezza e inefficacia del diritto internazionale
il richiamo principale è al ruolo
e al peso che può giocare l’opinione pubblica mondiale.
Il dr. Joost R. Hilterman, dell’organizzazione Al Haq (Diritto
ai servizio dell’uomo) di Ramallah (Cisgiordania/Palestina), si è
soffermato sul tema Diritti lunani e colonizzazione in Palestina.
Per Ü dr. Hilterman la violazione dei diritti umani nei territori occupati da parte di Israele si inquadra in una politica
ben chiara: arrivare ad un’annessione di fatto di quei territori.
Dunque non è solo dall’inizio dell’Intifada che i diritti del popolo palestinese non vengono rispettati, ma è necessario risalire sino all’occupazione del ’67.
Sistematicamente i palestinesi
hanno assistito all’espropriazione delle terre e dell’acqua dei
pozzi, allo smantellamento delle loro infrastrutture (ospedali
e scuole), alla distruzione delie
loro case e all’espulsione dalle
loro terre. Le attività industriali,
e commerciali vengono dirottate
verso Israele e i territori occupati vengono invasi da prodotti
israeliani. Molta forza lavoro palestinese viene impiegata in Israele, invece che nei territori
occupati stessi.
Giuridicamente Israele non si
è comportato come un « normale » occupante, anzi, non si considera un paese occupante!
Di fatto però, tramite codici
del passato colonialista come il
mandato britannico, sfruttando
alcune legislazioni di paesi arabi (la Giordania per la Cisgiordania, l’Egitto per la striscia di
Gaza), e alcune norme adottate
appositamente dagli ordini militari israeliani, gli occupanti
hanno una vasta gamma di possibilità per gestire l’annessione
di fatto. Questo può accadere
perché Israele non tiene conto
di convenzioni internazionali
importanti come quella dell’Aia
(1907) e quella di Ginevra (1949),
che proibiscono di cambiare la
situazione economico-istituzionale e giurisdizionale di un territorio occupato.
La situazione è ulteriormente
peggiorata dopo l’inizio dell’Intifada.
Anche Hilterman, alla fine del
suo intervento, ha sostenuto
l’importanza dell’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e dei paesi sensibili ai diritti
umani per modificare queste politiche di sistematica violazione
dei diritti deH’uomo, in primo
luogo quello dell’autodeterminazione.
L’ultimo relatore, il dott. Gerry O’Connell di Amnesty International - Roma, ha svolto una
relazione dal titolo: Amnesty International e il rispetto dei diritti umani.
L’esponente di Amnesty ha illustrato lo stato dell’organizzazione a livello internazionale e
l’attività da essa svolta per combattere la violazione dei diritti
umani, sottolineando la responsabilità della comunità internazionale che ha il compito di proteggere i diritti di tutti i cittadini.