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Anno 127 - n. 41
25 ottobre 1991
L. 1.200
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Gruppo II A/70
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a : casella postale - 10066 Torre Pellice
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
MAFIA
Fino
a quando?
Ci risiamo, ancora una volta.
Fino a quando la mafia la farà
da padrone in questo paese? L’ultima vicenda palermitana, quella del boss pluriergastolano Pietro Vernengo, non ha nulla di
eccezionale, purtroppo: è una tipica storia ordinaria di mafia,
« una storia semplice », avrebbe
detto Leonardo Sciascia il quale, proprio in questo suo ultimo
racconto, citava in apertura questa frase di Diirrenmatt: « Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla
giustizia ».
La vicenda odierna è altrettanto grottesca e certo non fa
onore alla giustizia.
Ma esiste ancora, in Sicilia,
una giustizia degna di questo non>e, dopo la disgregazione del
pool antimafia, oppure ormai la
maggior parte dei magistrati
preferisce « pensare alla famiglia»? Tutti sanno che l’essenza
del potere mafioso è l’intimidazione. Chi non si adegua rischia
di finire chiuso in una bara, o
di essere costretto ad una vita
blindata, come ben sa il giudice Falcone. Eppure, il solo modo di sconfiggere la mafia è di
non adeguarsi, come fece appunto Libero Grassi. Ma ci si può
adeguare anche applicando pedissequamente le leggi dello stac giustificarsi affermando di
non aver fatto una scelta di valore. Il che è per lo meno paradossale: così la mafia vince
non solo con l’imposizione violenta della propria legge ma anche con l’applicazione cavillosa
di quella dello stato.
Se così è, quali possibilità ancora restano alla giustizia di
sconfiggere la mafia?
INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA FCEI GIORGIO BOUCHARD
Proprio di questo si tratta: di
fronte a questa ennesima beffa
della mafia, quali possibilità ancora restano alla giustizia italiana prima che la gente perda ogni
fiducia nelle istituzioni? Poco più
di un mese fa l’omicidio di Libero Grassi aveva sollevato una
ondata di sdegno popolare, confermato poi clamorosamente dall’altissimo indice di ascolto della famosa trasmissione televisiva « Samarcanda - Maurizio Costanzo Show », trasmissione alla
quale il potere democristiano
non seppe opporre che il sarcasmo. Nel frattempo, il governo
aveva varato un decreto anticrimine, proprio per evitare ciò che
poi si è puntualmente verificato all’Ospedale civico di Palermo. La reazione durissima — e
giurisdizionalmente discutibile
— del ministro Martelli appare
quindi moralmente giustificata,
anche se la vicenda ricorda quella del febbraio scorso quando la
maggior parte degli imputati del
primo maxiprocesso di Palermo
venne scarcerata per decorrenza
dei termini di custodia previsti
dal nuovo codice di procedura
penale. Anche allora il giudice
Carnevale disse, come oggi il giudice Barreca: « Non ho fatto che
applicare la legge ». Per cui il governo dovette in tutta fretta
emettere un decreto che permettesse di riarrestare i boss appena liberati!
Gli evangelici: un'isola di libertà
L’Italia a una svolta epocale: il ruolo degli evangelici può essere proprio quello di rappresentare anticonformismo e indipendenza - La Federazione, strumento per le nostre chiese
Uno solo il Signore di tutti. Testimonianza e dialogo nell’Europa
di oggi. E’ questo il tema della
nona Assemblea della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
In vista deirAssemblea abbiamo posto alcune domande al past.
Giorgio Bouchard, presidente della FCEI.
— Nella relazione del Consiglio
si sostiene che la vita della Federazione è stata caratterizzata anche dal tentativo di fornire alle
chiese uno strumento per affrontare il mutato panorama sociale
e politico in cui sono chiamate a
dare la loro testimonianza.
— Questi tre anni potrebbero
essere definiti come quelli di
una « svolta epocale ». Noi mettiamo in primo piano il mutato
panorama culturale e spirituale
del nostro paese. C’è una presenza autorevole, e talvolta autoritaria, della Chiesa cattolica (penso
all’enciclica ’’Centesimus annus”
che soltanto i protestanti hanno
avuto l’ardire di criticare) e di
fronte ad essa le altre voci si fanno sentire poco. Tanto che discutiamo se i ’’laici” in Italia abbiano qualcosa da dire.
E’ una novità grandissima perché fino a dieci anni fa lo schieramento marxista in filosofia e in
politica, quello laico per quanto
riguarda l’etica e le libertà individuali erano dotati di una grandissima sicurezza di sé. Sembra
che oggi si chieda al papa la legittimazione delle posizioni della
maggioranza dei laici. I casi della
guerra del Golfo e della ricezione
acritica delTenciclica sono esempi
lampanti.
Di fronte a questo il piccolo
mondo evangelico italiano, articolato in protestanti ed evangelicals, è un’isola di libertà, di anticonformismo, di indipendenza.
Non solo perché difende la libertà nella scuola e perché tutti gli
evangelici continuano a battersi
per una seria distinzione tra Gesù
e Pilato. Non solo per questo, ma
perché esiste un universo di valori etici e spirituali che è in pieno sviluppo, con problemi, contraddizioni, peccati. Il bello di
questi anni è un dialogo rinnovato tra protestanti ed evangelici
che ci ha permesso di coltivare
davanti a Dio questa autonomia
spirituale.
e metodiste. I risultati di queste
assise potrebbero portare ad una
egemonia BMV nella FCEI. Come
si può evitare questo rischio?
— In relazione a questo dialogo alcuni passi avanti sono stati
compiuti nel triennio (convegno
di Firenze, collaborazione tra le
radio evangeliche, commissione
delle chiese per i rapporti con lo
stato). Come pensi che si svilupperà il rapporto?
— L’Assemblea BMV è stato il
più grosso avvenimento collettivo
evangelico dopo il congresso del
1965. Di questo tutti gli evangelici
possono rallegrarsi.. Il rischio di
una implosione della FCEI verso
la realtà BMV esiste, basta indicarlo, denunciarlo. Nella scelta
dei temi e delle linee di azione
della FCEI bisognerà tenere molto conto di alcune grosse realtà
come la Chiesa luterana, l’Esercito della Salvezza e di alcune realtà minori come le Chiese libere,
la Chiesa di Ispra-Varese, che da
sempre è con noi, o la Chiesa apostolica italiana. Se la FCEI è uno
strumento, è chiaro che queste
componenti diventano molto importanti. Alcune esperienze muovono in questo senso.
— E’ vero che sono passi avanti, ma non ne avevamo programmato nessuno. Per tutti e tre gli
argomenti che hai citato la FCEI
è stata volentieri accettata da
moltissimi come uno strumento,
non come il quadro dentro il quale cercare l’unità dell’evangelismo
italiano. La nostra relazione interpreta questo fatto con una
battuta: la Federazione non è un
autonomo soggetto ecclesiale.
— Il Servizio per i rifugiati e i
migranti è quello che più si è sviluppato in questo triennio. Tuttavia è un Servizio centralizzato a
Roma, pensate ad un decentramento?
— In ambito protestante l'anno scorso si è tenuta l’Assemblea
congiunta delle Chiese battiste
con il Sinodo delle Chiese valdesi
— Il Servizio migranti punta
anzitutto sull’Italia e sull’Europa
multiculturale, poi anche su
quella multirazziale. Un episodio
che racconto a tutti: quando la
nostra delegazione è andata in
Albania ha scoperto che nei tempi delle persecuzioni gli ortodossi
albanesi traevano consolazione
dall’ascolto del culto radio, trovando che la nostra predicazione
era per loro accettabile. Ciò significa che noi possiamo svolgere
RENDERE VISIBILE LA NOSTRA FEDE
Uascolto e la pratica
« ...chiunque ascolta queste mie parole e le
mette in pratica sarà paragonato ad un uomo
avveduto che ha costruito la sua casa sopra la
roccia...» (Matteo 7: 24).
L
Jean-Jacques Peyronel
In questo brano mi sono piaciute le contrapposizioni che sono sempre amate dagli scrittori sinottici.
Infatti c’è chi ascolta le parole di Gesù e chi
non le ascolta, e anche fra coloro che le ascoltano ci sono quelli che le mettono in pratica e
quelli che se ne vanno lontano da Gesù e non
le mettono in pratica.
E ancora: se un uomo è avveduto edificherà le
fondamenta della sua casa sopra la roccia, mentre quello che non mette in pratica le parole di
Gesù costruirà le fondamenta della sua casa sulla sabbia (o se preferite sulla terra, come dice
Luca).
E il nostro racconto continua: sono venuti i
venti e i fiumi sono andati in piena, la corrente
ha investito la casa del primo « e non ha potuto scrollarla, perché era stata edificata bene »
(Luca 6: 48 b), mentre quella del secondo è stata investita dai venti e dai fiumi in piena « e subito è crollata; e la ruina di quella casa è stata
grande » (Luca 6: 49 b).
La differenza fra le due case non sta semplicemente nella robustezza o nella fragilità dei
muri o nella costruzione sapiente delie fondamenta o nella loro mancanza, ma invece tutto
dipende da dove "ci si stabilisce” con la propria
un’azione al di là dei confini segnati dal Risorgimento italiano e
dentro i quali è nato il nostro
protestantesimo.
Mi pare poi che il Servizio abbia due punti di forza. Uno è
quello dell’aiuto, che va fortemente decentrato. L’altro è il servizio politico e all’opinione pubblica. Questo va fatto a Roma. Qui
si può premere sul Parlamento,
sui partiti, sul governo, sui giornali. Il Servizio migranti è l’aspetto più ecumenico del nostro lavoro perché incontriamo continuamente cattolici, immigrati ortodossi etiopici, evangelici pentecostali africani.
’’casa”, cioè con la propria vita.
Matteo pensa sicuramente che la cosa più importante sia ascoltare le parole di Gesù (difatti
c’è un’enfatizzazione nel versetto 24 su ’’queste
mie parale”, e non altre), ma ancora più importante è metterle in pratica (mettere in pratica
l'insegnamento di Gesù).
Fuor di metafora, Matteo mette l’accento sull’impegno etico, sulla traduzione dell’ascolto nella prassi, sulla testimonianza concreta di tutti i
giorni.
Se prendiamo, invece, il v. 11 del cap. 3” della
I ai Corinzi dove Paolo afferma: « Poiché nessuno
può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù », viene da chiederci se ci
troviamo di fronte a due linee teologiche diverse.
Invece, probabilmente, vanno viste nella loro complementarità, dove la priorità spetta certamente
al fatto fondamentale della salvezza e della giustificazione per grazia in Cristo, che suscita la
fede: però è pur vero che una fede, per essere
autentica, si deve tradurre in azione e rendersi
visibile in comportamenti conseguenti.
In questa scommessa di rendere visibile la
nostra fede non siamo soli, perché molto umilmente dobbiamo chiedere aiuto a Gesù e insieme a Gesù entra in campo anche il Padre stesso.
Torniamo, così, al senso dei versetti iniziali: «chi
ascolta nel modo giusto » Gesù lo conduce con
sé verso il Regno di Dio, che si è già manifestato
e che ci viene incontro.
Gian Paolo Ricco
—■ Il Servizio di azione sociale
sembra aver esaurito la funzione
per la quale era ri-nato: la ricostruzione àopo il terremoto dell’Irpinia. C’è qui forse la constatazione di una sconfìtta nel rapporto con l’economia. Sull’idea
che si potesse, con la formula
delle cooperative, modificare l’economia abbiamo forse sbagliato.
Oggi il Servizio si modifica come
riflessione sul Mezzogiorno...
— Il decennio del terremoto è
stato un periodo di passioni, di
realizzazioni e di sconfitte. Le realizzazioni e le sconfitte indicano
quanto sia grossa la questione
meridionale. Indubbiamente un
certo nostro volontarismo, sorretto da una forte eticità, non è stato sufficiente a cambiare le condizioni oggettive. Dall’altra parte
un lavoro compiuto non è mai
compiuto invano. L’Ecclesiaste
dice: « Getta il tuo pane sulle acque e un giorno lontano lo ritroverai ».
Dobbiamo adesso con molta serenità voltare pagina, gestire
l’esistente in collaborazione con
le denominazioni, e pimterei sia!
mantenimento del « Servizio catastrofi », che a Carlentini ha fatto brillantissima prova di sé. Dobbiamo poi sviluppare il Servizio
studi. Proprio perché la FCEI
non è un autonomo soggetto ecclesiale possiamo permetterci di
fare cose che altri fanno con più
difficoltà. Abbiamo pubblicato un
libro di Sergio Aquilante con la
parola socialismo nel titolo. Cosa
significa questo? Non certo che la
Federazione riesuma il cristianesimo sociale, ma che gli incontri
della Federazione possono permettere di fare i] bilancio con
tutta serenità di una esperienza
di questo secolo, delle sue sconfitte, dei suoi peccati e cercare
quale può essere una via di ricerca per l’avvenire. Il Consiglio
auspica quindi che il Servizio studi continui in questa direzione e
sia ben agganciato ai problemi
del Mezzogiorno.
— Il Servizio stampa radio televisione si è ulteriormente qua
7f •/•f/^/^ //-4 .rt .,— 1 4 .-J
Uficato. Gli indici d’ascolto del
culto radio, i premi intemazionali attribuiti a "Protestantesimo”
lo stanno a dimostrare. Nel nostro protestantesimo continua
la lamentela per l’orario della
rubrica televisiva...
a cura di
Giorgio Gardiol
(continua a pag. 6)
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ecemenismo
25 ottobre 1991
ECUMENE: INCONTRO TRA VALDESI METODISTI E ASSEMBLEE DEI FRATELLI
L’oste e il buon samaritano
Lo studio e l’interpretazione della Bibbia al vaglio dei tre approcci storico, teologico, ecclesiologico: «fare teologia » rischierebbe di compromettere l’esercizio concreto del sacerdozio universale - Un confronto produttivo
Che significa « opzione zero »
in rapporto alla Scrittura? Rinuncia a qualsiasi griglia interpretativa o proposta di altro modulo? E
che vuol dire rifiuto della teologia
sistematica? Solo antiteologia o affermazione di una diversa teologia? Valdesi, metodisti e membri delle « assemblee dei fratelli » durante un incontro ad iniziativa del CPIE ' si sono confrontati ad Ecumene (26-29 settembre)
su questi temi. Tre le problematiche discusse; quella storica, con
un’indagine delle memorie legate
al sorgere delle « assemblee libere » dopo il 1848 in Italia (De
Cecco), spesso in concorrenza con
lo sforzo di evangelizzazione della
Chiesa valdese (Santini); quella
teologica, per un confronto fra i
due modi di affrontare la teologia
sistematica (Bernardini e Barbanotti); quella ecclesiologica, volta
a ricordare gli ordinamenti interni
delle Chiese valdesi (Favaretto,
Valente e Sommani).
De Cecco ha offerto uno
spaccato della storia delle assemblee libere nel ventennio 1850-70.
La sua ricerca, basata su documenti degli archivi Guicciardini/Rossetti, ha proposto una ricostruzione di quegli avvenimenti, dalla
polemica con i valdesi a quella
con le ’’assemblee” inglesi. Il pastore Santini, con la consueta competenza e chiarezza, ha sottolineato le motivazioni dell’ atteggiamento della Chiesa valdese in
quello stesso ventennio, quando
era predominante la preoccupazione di provvedere a un corretto
uso delle libertà appena ottenute.
Le peculiarità
dei ’’fratelli”
Rifiuto del pastorato, battesimo
dei soli credenti, congregazionalismo e scritturalismo costituivano i
caratteri peculiari dei « fratelli »,
nella volontà di salvaguardare sacerdozio universale, responsabilità
della persona, autonomia locale.
Tutto ciò comportava rischi di
anarchia organizzativa e cultuale,
peraltro non apprezzata dai « fratelli inglesi », che imposero la loro
volontà con un ricatto finanziario.
Pur gelosi della loro autonomia,
gli italiani si piegarono per non
vedere compromessa l’opera. Si
chiuse così una prima fase del
movimento. Partendo da queste
« radici », Marcello Favaretto e
Davide Valente hanno cercato di
offrire un’idea quanto più coerente possibile della dottrina dei
«fratelli»; compito non facile,
dato il loro rifiuto di ogni sistemazione teologica. Far teologia significa — per i « fratelli » — sovrapporre una griglia interpretativa
alle Scritture, confondendo la mente delle persone più semplici. Si
rischia di compromettere così irrimediabilmente l’esercizio concreto del « sacerdozio universale »,
con una ingiusta distinzione fra
« savi ed intendenti » e « semplici
credenti ». Se si partirà invece da
un « azzeramento » totale di qualsiasi filtro si riuscirà a liberare le
Scritture da tutte le incrostazioni
interpretative provocate da duemila anni di influenze. Questo punto
di vista è stato chiarito con una
efficace metafora. La Scrittura può
essere infatti paragonata ad una
lussureggiante foresta vergine, piena di alberi e di vegetazione selvaggia; mentre i «fratelli» si accostano ad essa senza mediazioni, in
modo da riuscire a goderne appieno la bellezza, i « teologi » preferiscono abbandonare la selva e aggirarsi fra gli alberi ben ordinati
e classificati di un orto botanico.
L’accessibilità
della Scrittura
Per i « fratelli », insomma, la
pregiudiziale — teorica e pratica
— della accessibilità della Scrittura, senza distinzioni di cultura o
di preparazione specifica, fa premio su ogni altra esigenza. Senza
dubbio una posizione così radicale genera tensione fra ciò che si
vorrebbe e ciò che invece spesso
è richiesto dalla realtà pratica; ne
consegue una ambigua oscillazione fra desiderio di autonomia e
esigenza di rapporto istituzionale
con le altre assemblee; volontà di
indipendenza da ogni clericalismo
e necessità organizzativa interna;
rifiuto di ogni griglia teologica e,
di contro, il formarsi e lo stratificarsi di dottrinarismi e modalità
fisse di lettura delle Scritture. Senza contare che anche una « antiteologia sistematica del sospetto »
altro non è, in fondo, se non una
delle tante e possibili proposte teologiche. Ma proprio questa pendolarità fra rifiuto e accettazione,
dando precarietà a qualsiasi schema dottrinale o organizzativo, è
per i « fratelli » garanzia di libertà
e autonomia. Su questo aspetto più
propriamente teologico si sono
confrontati — sia pure con qualche sfasatura nei tempi — il past.
Eugenio Bernardini e il « fratello » Barbanotti. Se Bernardini ha
rivendicato il valore scientifico
della ricerca teologica e soprattutto la sua rispondenza all’esigenza
scritturale del « rendere conto »
della nostra speranza (I Pietro 3;
15), Barbanotti ha ribadito l’intransigente rifiuto sia della teologia, sia di qualsivoglia « confessione di fede », in quanto aggiunte arbitrarie all’unica fonte scritturale. La teologia sistematica
« protestante » —a suo avviso ■—
avrebbe distrutto la figura di Gesù
Cristo, ponendone in dubbio l’esistenza storica; ne avrebbe vanificato il messaggio, demitizzandone
opere e vita; ne avrebbe negato la
divinità, contestandone la nascita
straordinaria, i miracoli, il valore
espiatorio del sacrificio, la realtà
della resurrezione e l’imminenza
del ritorno. E’ stato rilevato
(Giampiccoli) che queste osservazioni avevano ragion d’essere nel
secolo scorso nei confronti della
teologia liberale; oggi non più. La
scelta non sta nel dilemma « teologia sì/teologia no », ma fra una
pluralità di tentativi teologici, in
cui si inserisce anche quello fondamentalista. « L’impressione ricavata da questa polemica antiteologica — ha concluso Giampiccoli
scherzosamente — è che i ’’fratelli ' anziché, come dice Paolo, sperimentare tutto e ritenere il bene,
preferiscano ’’rifiutare il tutto” e
’’sottolineare” il male ». Esauriente il quadro — tracciato da Franco Sommani — dell’ecclesiologia
valdese nel suo sviluppo attraverso
il tempo, dal suo iniziale riconoscersi come popolo-chiesa fino all’accettazione della sua realtà di
« insieme di credenti » e più ancora di « pluralità di chiese ».
Quando fa riferimento a un’antica « confessione di fede », quella
del 1655, la Chiesa valdese è ben
consapevole del suo essere legata
a uno specifico contesto storico;
qualsiasi « confessione » è sempre
datata. Non c’è dubbio che ogni
chiesa subisce la situazione in cui
opera. Se durante il fascismo il
comportamento del Sinodo e della
Tavola era autoritario, dopo la
seconda guerra mondiale si è avuta un’apertura ad altri influssi. I
contatti con i metodisti e il successivo unirsi delle due chiese hanno
avuto forte influenza sulla liturgia e sul culto, attribuendo al ruolo del pastore una dimensione diversa. L’istituzione, poi, dei predicatori locali ha consentito una
più visibile e concreta fruizione
de! sacerdozio universale, completata dalla conquista da parte delle
donne del diritto al pastorato. Dal
successivo dibattito sono emerse
con precisione le differenze fra le
due proposte. Per i « fratelli », il
principio della inerranza scritturale comporta il rifiuto di qualsiasi dubbio sui testi, sulla loro autenticità o attribuzione. Si tratta
di questione etica; mettere in forse la « sincerità » del testo implica supporre che lo Spirito Santo
possa mentire (Woods). Da qui il
rigetto della critica storica e della
ricerca filologica, quando essa mostri di portare a disorientamenti
così gravi. Per i valdesi la doppia
valenza delle Scritture, umana e
divina, ha determinato differenti
proposte teologiche negli stessi
testi sacri (dagli evangelisti a Pao
lo, fino agli autori delle cattoliche), lo smarrimento di alcuni testi (per esempio, le lettere perdute
di Paolo) e la loro manipolazione
(errate attribuzioni). Nasce così il
problema della distinzione fra ciò
che è dovuto a Dio oppure all’uomo. Lavoro senza alcun dubbio delicato, da portarsi avanti
con umiltà e senza arroganza, ma
a cui però non ci si può sottrarre.
Questo, appunto, vuol dire fare
teologia. Quanto al rischio di
esclusioni e preclusioni nei confronti dei meno istruiti, esso non
manca mai; in ogni assemblea o
chiesa, anche la più aperta, è sempre possibile la divaricazione fra
i meno e i più preparati. Gli anziani, di cui parlano le Scritture,
hanno perciò il compito di aiutare
i fratelli più deboli a entrare nella
rigogliosa foresta dei testi biblici e
a guardarsi dai pericoli di un letteralismo spesso devastante tanto
quanto alcune dotte suggestioni
della teologia (Conte).
L’esempio
della parabola
Concludendo, senza entrare nel
merito delle questioni dibattute, si
potrebbe osservare che quello che
veramente conta, in ogni caso, è
Fimpegno ad operare insieme, secondo il classico esempio del buon
samaritano. Di quella parabola
sarebbe forse opportuno ricordare
un personaggio marginale, insignificante, l’oste, di cui l’Evangelo
parla solo per indicarne il coinvolgimento. Nulla si sa e nulla
vien detto circa le sue convinzioni; il buon samaritano si rivolge a lui solo per chiedergli
un’apertura di credito; « ...e tutto
ciò che spenderai di più, te lo renderò » (Luca 10; 35). E l’oste accetta; non si nega, si lascia coinvolgere. Saremo noi da meno dell’anonimo oste?
Una reciproca
concessione
Perché non considerarci reciprocamente oste e buon samaritano in
una mutua e continua richiesta e
concessione di credito, lasciandoci
coinvolgere in concrete proposte
di operosità?
A Firenze, del resto, molte cose
si stanno già «facendo insieme»;
molte opere sono ormai gestite in
collaborazione tra « fratelli » delle assemblee, valdesi e metodisti.
Non ci resta che sperare, e pregare, perché altre barriere cadano e
il lavoro in comune divenga consuetudine di vita per la crescita
della vigna del Signore.
Paolo T. Angeleri
^ CPIE : Comitato promotore iniziative evangeliche.
STATI UNITI
Etica e sessualità: dubbi
e discussioni fra i presbiteriani
Un’indagine sui problemi di cui non si riesce facilmente a parlare
nelle comunità - Comprendere le situazioni di chi vive nel disagio
John J. Charey, presidente della Task Force sulla sessualità
per la Chiesa presbiteriana nel
corso degli ultimi quattro anni,
ha recentemente pubblicato un
articolo sul n. 12 di Christianity
and Crisis sui risultati del suo lavoro. In particolare Charey analizza la complessità della sessualità umana e i suoi risvolti nella vita della Chiesa presbiteriana, toccando argomenti a volte
scottanti e dei quali finora poco o per nulla si è parlato.
La sua analisi parte da quei
settori dell’etica di cui difficilmente si riesce a parlare nelle
comunità. Così, per esempio, ci
dice che se è vero che oltre il
30 /o dei presbiteriani sono « single » (non solo giovani che ritardano la data del matrimonio, ma
anche vedovi/e, divorziati) è difficile poi affermare di fronte alle comunità la legittimità di questo stato senza incorrere nel rischio di essere presi per quelli
che vogliono giustificare e promuovere la promiscuità e la libertà sessuale.
E, spostandosi in un altro
campo, Charey afferma che difficoltà ancora maggiori sembrano insorgere quando si cerca di
far accettare alla maggioranza
dei presbiteriani (bianchi e appartenenti al ceto medio) le minoranze razziali di colore, di
fronte alle quali prevale ancora
l’atteggiamento di superiorità e
la volontà di assimilarle.
Tra i problemi più scottanti
c’è poi quello del ruolo degli
omosessuali all’interno delle comunità. « Finché i gay rimangono ai margini della vita delle nostre chiese, spiega il presidente
della ’’Special Task Force on
Human Sexuality”, sono ben accolti, ì problemi cominciano
quando qualcuno di loro vuole
essere consacrato e partecipare
più attivamente ». Di fronte a
questo problema i presbiteriani
insomma mantengono un atteggiamento tradizionalista e di opposizione. E questo è confermato dal fatto che molti non sono
d’accordo nell’accettare che Teterosessualità, considerata dai più
come un modello proposto da
Dio per le relazioni tra uomini
e donne, possa invece penalizzare persone omosessuali o appartenenti ad altre culture ed etnie.
Anche i tentativi di mettere in
discussione l’istituzione del matrimonio, facendo notare che
spesso in esso sono insiti violenza e sfruttamento, sono stati
accolti con riluttanza, come un
modo di mettere in crisi un’istituzione sulla quale in generale
i cristiani pretendono di avere
il monopolio.
Il rapporto di J. J. Charey si
occupa anche di problemi che
si sono rivelati talmente scottanti da non esser stati trattati e
discussi tra le comunità. Tra
questi per esempio la bisessualità. «La maggioranza delle persone che frequentano la chiesa,
scrive Charey, preferisce avere
dei modelli etici ben definiti.
mentre parlare di bisessualità
introduce un elemento di ambiguità con il quale è difficile confrontarsi ».
Per non parlare poi del rapporto matrimonio-fedeltà-monogamia; in questo campo il rapporto Charey evidenzia come per
la maggioranza dei presbiteriani
sia da considerare peccaminoso
ogni tipo di esperienza non convenzionale e come il vincolo matrimoniale sia — o dovrebbe essere — inscindibile dalla fedeltà.
Altre difficoltà insorgono anche di fronte al problema della
convivenza che per molti presbiteriani, sempre secondo l’analisi
di Charey, sembra minacciare la
legittimità del matrimonio e
mettere in crisi il sistema etico
cristiano.
In generale comunque John J.
Charey sostiene che le linee
principali del suo lavoro sono
state accettate dalle comunità e
si dice ottimista per il fatto che
di sessualità e problemi etici si
sta parlando anche nella Chiesa
episcopale, tra i metodisti àmericani e tra gli ebrei riformati.
« Questo significa, sostiene Charey al termine del suo articolo,
che gli studi e le ricerche in tal
senso vanno incoraggiati per
esplorare più a fondo questi settori e per aiutare i cristiani dei
ceti medi a considerare i problemi di quanti sono ai margini e nel disagio sociale ».
C. M.
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25 ottobre 1991
commenti e dibattiti
L
OPINIONE
DIBATTITO
Il tempo scuola
e l’ora cattolica
Le donne e il linguaggio
Mi viene spesso posta la seguente domanda: « Come può un
direttore didattico gestire l’operazione dell’insegnamento della
religione cattolica voluta dal
Concordato Craxi-Casaroli stando dalla parte dei ’’minimi”, di
quei pochi cioè che nella scuola elementare hanno scelto di
non richiedere la frequenza alle due ore di religione confessionale? ».
Prima di tutto, mi vien da rispondere, occorre che il responsabile dell’obbligo scolastico del
ciclo elementare ponga la massima attenzione a tutta la normativa vigente, comprese le sentenze dei TAR e del Consiglio
di Stato; la costituzione di un
dossier completo e aggiornato si
impone: i « minimi » si difendono conoscendo bene i mezzi che '
li hanno resi tali.
In secondo luogo occorre avere il coraggio, confortati in questo dai princini nodali d°Ua Costituzione italiana, di imboccare
una nuova strana di ragiunaniento: gli alunni della scuola elementare hanno il diritto di avvalersi dell’attività scolastica
per tutte le ore di scuola (di
27 o più ore settimanali per le
classi a modulo organizzativo, di
40 ore settimanali per le classi
di tempo pieno). Quelli che non
.si avvalgono di tutte le ore di
attività scolastica per tutti hanno il diritto di non avvalersene
per 2 ore settimanali: in quelle
due ore è previsto per loro un
esonero dalle normali attività
scolastiche e, su loro precisa richiesta, essi hanno il diritto di
frequentare un corso di religione cattolica sotto la supervisione deirufflcio catechistico diocesano. Occorre, in altre parole,
rovesciare la logica semantica
dell’avvalersi o non avvalersi dell’IRC e rivendicare per gli alunni il diritto costituzionale di una
scuola obbligatoria, libera, per
tutti e di tutti. Si parlerà allora
di « avvalersi o non avvalersi
dell’attività scolastica per l’intero orario d’obbligo ».
Occorre poi curare che certi
adempimenti vengano eseguiti
con particolare cura e precisamente:
— ogni anno tutti i genitori
devono essere messi in grado di
scegliere se usufruire dell’attività scolastica normale in orario
pieno oppure chiedere per il proprio/a flglio/a la frequenza al
corso di due ore settimanali di
religione cattolica accorciando
l’orario di scuola controllata dallo stato;
— tutti i genitori devono, al
momento in cui sono interpellati, ricevere l’orario in cui questa operazione (continuazione attività scolastica, religione cattolica, possibilità di andare a casa) avverrà. Solo così la scelta
sarà fatta con cognizione di causa. Per questo occorre far sì che
■il Consiglio di circolo si pronunci per i criteri generali e il Collegio docenti segnali l’orario in
cui sarà collocato l’IRC;
— per tutti quegli alunni i cui
■genitori non avranno espresso
volontà di seguire l’IRC o di andare a casa continuerà la regolare attività didattica a cura di
uno dei due insegnanti di tempo pieno o di uno dei tre insegnanti della classe a modulo. E’
ovvio che l’attività scolastica
svolta in quelle due ore terrà
conto del fatto che alcuni alunni non sono presenti, per cui ci
sarà un approfondimento del
programma e non una continuazione del programma;
— tutti gli insegnanti devono
capire che sono chiamati a ottemperare alla prima parte dei
programmi di religione del 1985
che prevede una sensibilizzazione al fatto religioso con strumenti culturali e non confessionali.
Le due ore di IRC sono e devono rimanere a connotazione
confessionale. Nell’attività scolastica per tutti (27 ore o 40 ore
settimanali a seconda dei tipi di
scuola richiesti) può essere inserito nel corso della giornata
scolastica, aH’interno delle varie
attività, un momento in cui l’insegnante, con gli strumenti culturali che gli sono propri (cultura come ricerca e enfatizzazione del dubbio), incontrerà il suo
alunno desideroso di crescere
anche su quei valori universali
quali la vita, la morte, la convivenza fra uomini e donne.
Queste due convinzioni: l’orario delle attività scolastiche per
tutti è obbligatorio salvo per
quelli che dichiaratamente decidono di non avvalersene per due
ore e il fatto religioso va assunto all’interno della programmazione e delle varie discipline a
cura dell’insegnante di classe
con la metodologia della ricerca,
ci aiuteranno a ridimensionare
la collocazione privilegiaría di
quelle due ore di religione confessionale per esaltare un orario
scolastico non mutilato durante
il quale la scolaresca al completo, senza discriminazioni, sia
condotta sulle vie di un sapere
non dogmatico ma critico e costruttivo di una personalità libera.
Mi rendo perfettamente conto
che con questa mia posizione sono gli alunni che si avvalgono
dell’insegnamento della religione
cattolica a venire penalizzati dalla riduzione dell’orario scolastico destinato agli insegnamenti
obbligatori per tutti.
L’obiettivo dell’impegno laico
è e rimane uno solo: l’ora, le
ore di religione cattolica vanno
collocate al di fuori deU’orario
per tutti, in aggiunta al monte
ore di insegnamento per tutti.
In questo momento . non trovo altra strada per smuovere
quanto si va perpetrando nelle
nostre scuole, anche (purtroppo!) ribadito dall’ultima sentenza della Corte Costituzionale che
ha detto: « Quanto alla collocazione deH’insegnamento nell’ordinario orario delle lezioni, nessuna violazione dell’art. 2 della
Costituzione è ravvisabile ».
Sono convinto che l’insegnamento-apprendimento della religione cattolica, fino a prova contraria, non rientra fra i diritti
allo studio dell’alunno della
scuola elementare.
Franco Calvetti
Non si tratta di disquisizioni formali, ma di una ricerca d’identità - Il cambiamento del nome, nella Bibbia, segno di una vocazione
Ho letto con preoccupazione
due lettere sul linguaggio (numeri 36 e 38), e in quanto responsabile per la Chiesa valdese del ’’Decennio di solidarietà
delle chiese con le donne”, CEC
1988-89, mi sento spinta a tentare un dialogo. Le donne sono
abituate ad essere incomprese
e la storia secolare delle lotte
contro le ingiustizie invisibili, o
spesso tenute nascoste, per
l’emancipazione e la liberazione
delle donne, ci insegna che le
difficoltà sono sempre presenti, anche là dove meno ce le
aspetteremmo; in questo caso
da p<arte di due fratelli che
stimiamo, e non solo per la loro
autorevolezza, ma che su questo
terreno rimangono in superficie mentre le ricerche linguistiche delle donne non vogliono
essere fantasiose, ma scientifiche. Tuttavia non preoccupa tanto il contenuto quanto lo spirito che traspare attraverso le
parole e lo stile. Non vogliamo
credere che tali segni di non
apertura siano la mentalità generale delle nostre comunità, perché sarebbe una scoperta scoraggiante. Difatti sono condanne senza appello; non c’è nessuna domanda, nessun ’’perché questo tipo di ricerche delle donne”;
sembra un processo a priori.
A Giovanni Gönnet si può dire che proprio perché la Bibbia
ci presenta Dio e come padre
e come madre (Is. 66: 13, Osea
11: 3), chiamandolo ’’padre-madre” si fa a meno di Maria perché se Dio è per noi padre e
madre, non serve un altro tipo
di madre umana; inoltre si evita di limitarlo ad uno dei nostri
schemi umani, di creatura limitata. Il Dio trinitario è ben al
di là dei nostri schemi umani.
Non ci si può dilungare qui
sulla questione del linguaggio,
ma si può dire a Luigi Santini
che non si tratta di disquisizioni,
ma di ricerca di identità. Basta
accettare che le donne sentano
il bisogno di essere pienamente se stesse, senza doversi omc>
legare a modelli creati da altri.
Ad esempio le pastore, il cui
ministero esiste da poco, è ov
Claudiana editrice
NOVITÀ’
Nella collana « Testi della Riforma » esce il n. 17 :
JUAN DE VALDES
Il dialogo
della dottrina cristiana
a cura di Teodoro Fanlo y Cortés
Prefazione di Anna Morisi Guerra
pp. 223, 16 ili. f.t., L. 26.0(K)i
Nel 1541 moriva a Napoli, esule dalla Spagna, il Riformatore Juan de Valdés che ebbe tm ruolo da protagonista nel
mondo religioso del ’500 italiano. In questo brillante Dialogo
a tre voci è espressa tutta la sua dottrina teologica, in appendice: il catechismo Latte spirituale che ebbe un enorme successo in Europa.
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FONDATA NEL 1855
Via P. Tommaso, 1 - 10125 Torino - Tel. 689804
C.C.I.A. n. 274.482 - C.C.P. 20780102 - cod. fise. 00651900012
vio che abbiano tutti i diritti
di inventarsi o far sorgere un
nome che corrisponda a quello che sono. (Il più breve inten^ento di questo Sinodo Tha
fatto una giovane pastora leggendo semplicemente Gen. 29: 9
Riv.). Inoltre il cambiamento
del nome nella Bibbia non rappresenta forse un segno di vocazione personale? Su quest’argomento specifico siamo tutti
incoraggiati ad analizzare l’opuscolo della Commissione nazionale per la realizzazione della
parità tra uomo e donna, presidenza del Consiglio dei ministri, 1986: ’’Raccomandazioni per
un uso non sessista della lingua italiana” (per l’editoria scolastica... ,e possiamo aggiungere
per predicatori e stampa evangelica). Citiamo ad esempio:
"Evitare di usare al maschile
o con il modificatore ’donna’ i
seguenti nomi terminanti in
-tore: no ’il questore Maria Rossi o la donna questore’, ma sì
’la questora Maria Rossi oppure la questrice’. Questora per
assonanza con pastora” (p. 24).
Ma la questione va ben al
di là del solo linguaggio. Certo
ne è l’inizio, perché è il veicolo che i secoli ci tramandano
e che forma mentalità e culture.
Ma con il Decennio, donne e
uomini insieme — e non solo
le donne nei tanti loro incontri
locali, nazionali o internazionali — dovrebbero mettere in co
mune i loro problemi (personali, familiari, professionali, sociali, vocazionali...), cioè aprire le
nostre comunità a questi argomenti in un clima sereno, e
non in pochi minuti al Sinodo
Senza che prima se ne sia parlato insieme a livello locale.
Un materiale per lavorare in
comune sul Decennio è stato predisposto dalla commissione incaricata ”la comunità delle donne e degli uomini nella
chiesa”: ’’Resistere-donne e chiese-pace-immigrate”, oltre ad articoli periodici; dei questionari
ed altri contributi sono stati
fatti da EGEI, GE, distretti, e
si aspetta che le comunità li
mettano nel loro programma di
studi. Citiamo ad esempio,, una
comunità che ha riflettuto su
un questionario del I® distretto, 10 uomini da una parte, 10
donne dall’altra, prima di mettere in comune le valutazioni;
ed un’altra che ha fatto lo studio biblico annuo su ’’donne e
uomini nella Bibbia”. Alcune
prossime assemblee europee
avranno come tema ’’uomo donna li creò”.
Solo insieme possiamo tentare di trasformare tutta la nostra società e il nostro stile di
vita quotidiano; non solo a parole, ma come Gesù stesso faceva, come annuncio del Regno
che viene, perché solo di questo
si tratta.
Marie-France Maurin
Facoltà valdese di teologia
Via Pietro Cossa, 42
00193 ROMA
Giovanni Miegge
e Valdo Vinay
Ricorre, nella seconda metà del 1991, il 30“ anniversario
della morte di Giovanni Miegge e il 1“ della morte di Valdo
Vinay, due professori della Facoltà valdese di teologia che
non solo hanno onorato il nostro Istituto, ma hanno anche
contribuito a far conoscere e apprezzare il pensiero teologico protestante in Italia.
La Facoltà valdese ha organizzato un convegno sull’opera e sul pensiero di questi due teologi per i giorni 29 e 30
novembre, e segnala fin da ora, oltre alle date, il programma
provvisorio.
Venerdì 29/11, dalle ore 17,30:
Prof Giorgio Spini (Firenze): I tempi e l’ambiente culturale e politico in cui iniziarono a operare Miegge
e Vinay.
Prof. Sergio Rostagno (Roma): La « linea teologica» Gangale-Miegge.
Sabato 30/11, dalle ore 9:
Prof Kurt V. Selge (Berlino): Valdo Vinay, storico della
Riforma e della Chiesa evangelica in Italia.
Prof.sa Lorenza Giorgi (Firenze): Vinay biografo di Buonaiuti.
P. Magnus Lohrer (dell’Ateneo S. Anseimo, Roma): Vinay
visto dall’Aventino.
Prof. Paolo Ricea (Roma): Giovanni Miegge e l’ecumenismo.
Sabato 30/11, dalle ore 15:
Past. Renato Coisson (Trieste): Valdo Vinay maestro di
pastori e di predicatori.
Past. Giorgio Tourn (Torre Pellice): G. Miegge pastore
alle valli valdesi.
Prof. Claudio Tron (Perrero): Il lascito di Giovanni Miegge.
Dibattito. Testimonianze.
Roma, 15 ottobre 1991.
per il Consiglio di Facoltà
Bruno Corsani, decano
4
4 fede e cultura
25 ottobre 1991
TORINO: SEMINARIO SU IM MIGRAZIONE, DIVERSITÀ’ RAZZISMO
Un mondo per litigare in santa pace
La diversità nell Antico e nel Nuovo Testamento - Il caso delle comunità cristiane del primo secolo - Nell’Europa
I oggi VI sono tensioni, intolleranza, xenofobia: i pregiudizi e i rischi che ne conseguono - L’identità ebraica
Proprio pochi giorni dopo la faticosa approvazione dello statuto comunale, avversata da
Msi e Lega Nord principalmente per l’articolo 9
(che consente il diritto di voto ai referendum
consultivi anche agli stranieri, purché residenti
in Torino), ha avuto luogo la prima giornata
di un seminario dedicato a « Immigrazione, diversità, razzismo », organizzato dal Centro evangelico di cultura «A. Pascal» e dal Gruppo
di studi ebraici, voluto e ideato per riflettere
sullo «spettro dell’intolleranza razziale» che si
aggira in Europa e nel nostro paese» A quale livello? Con quali implicazioni pratiche e quali
matrici culturali?
I primi interventi hanno affrontato la questione dalla diversità nella prospettiva ebraica
e in quella cristiana, e l’antisemitismo come
«fenomeno esemplare del razzismo europeo».
Il rabbino Sergio Sierra ha
condotto la propria esposizione
lungo la linea deH’insegnamento della Bibbia ebraica. Vari
possono essere gli esempi di
passi in cui l’argomento viene
affrontato (Numeri, Levitico,
Deuteronomio), ma ciò che è alla base di questi insegnamenti
è la consapevolezza che questa
prospettiva si rifà al principio
fondamentale del monoteismo
etico.
Si tratta di una "originale visione del mondo — ha detto
Sierra — che pone l'essere assoluto, infinito, al centro della costruzione religiosa umana, la
quale ad essa attinge i concetti
di unità e unificazione”. Da qui
derivano i principi-guida essenziali per l’uomo: il rapporto etico, l’unità del genere umano, la
libertà.
Dal fatto che l’uomo sia stato creato ad immagine di Dio
consegue l’uguaglianza di tutti.
Per quanto riguarda poi la considerazione in cui viene tenuto
lo straniero, il riferimento esplicito è il richiamo alla schiavitù
in Egitto (Deut. 24: 18). E Maimonide, nel commento al Deuteronomio, sostiene la necessità
di dar casa allo straniero, non
ai margini ma al centro del paese d’Israele.
Un’etica
della relazione
La necessità di giungere a
un’etica della comprensione e
della relazione, che non appiattisca ma valorizzi dinamicacamente le diversità, è risultata
dalla relazione di Letizia Tomassone, direttora di Agape.
La teologia, per la verità,
avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione a questa tematica. Non è stato così, anzi ci
sono molti esempi storici (si
vedano le modalità classiche del
’’far missione”) che hanno portato alla negazione delle altrui
culture e alla cancellazione delle diversità.
E dire, ha proseguito Tomassone, che nel Nuovo Testamento
si riscontra proprio "una molteplicità di modelli culturali e di
modi di vivere la fede". La diversità è elemento costitutivo del
Nuovo Testamento, per un dato
di fatto che produce poi un riscontro teologico.
Il mondo dei cristiani del I
secolo è fatto di gente diversa,
che vive situazioni di opposizione (schiavi/uomini liberi; persone di origine pagana/persone
di origine ebraica...), e molta
teologia di Paolo parte proprio
dalla necessità della mediazione. Non mediazione fine al compromesso; è il messaggio evangelico stesso che si impone, e
"viene fatto proprio da persone che vengono da esperienz.e
diverse”.
Gesù stesso pare colto alla
sprovvista dalla donna pagana
che si rivolge a lui (Marco 7:
24-30): la fede di lei, straniera,
è tale da suggerirle l’immagine
del cagnolino che mangia le briciole sotto la tavola della mensa; salta così la ’’struttura di
esclusione” che era stata tracciata (soltanto i figli possono
mangiare, non i cani).
La dimensione comunitaria
della fede, tra l'altro, fa parte
dell’eredità ebraica, così coinè
il tema della riconciliazione, riscontro teologico del ’’dato di
fatto”. Del ’’trittico escatologico”
delineato da Isaia (rapporto
Dio-umanità; rapporti fra esseri
umani; rapporto tra esseri umani e natura) i primi cristiani privilegiarono l’elemento centrale. Per rincontro tra persone diverse, anche in posizione
conflittuale. Paolo usa l’immagine della nuova creazione, nel
senso, che si diceva prima, dello scambio reciproco, non omologante.
Dalla xenofobia
all’antisemitismo
Il contributo di Stefano Levi
della Torre, pittore e saggista;
è partito dall’origine della xenofobia. Essa si è finora manifestata su due versanti: quello
coloniale (andare a ’’civilizzare”
gli altri) e quella che si presenta come risposta ad una presunta invasione: è così, tra l’altro, che si dipinge la più recente immigrazione, e così ¡pure si
postulò la necessità di difendersi dalla minaccia del ’’complotto ebraico”. Su questo assunto
si ba.sa anche una tendenza del
revisionismo storiografico tedesco, quella che fa capo a Ernst
Nolte: perché il nazismo? Ma
per il timore di essere invasi!
Dai bolscevichi e dagli ebrei.
Se l’antisemitismo ha tristemente una lunga storia, e percorre l’Europa lungo i secoli, un
elemento peculiare di questi ultimi anni è l’interdipendenza che
caratterizza il ’’villaggio globale”. Accanto a tutti i lati positivi (facilità di comunicazioni,
informazioni in tempo reale,
ecc.), "si pone — ha proseguito Levi della Torre — un problema psicologico enorme. Siamo in un mare magnum, si
esplode nella propria identità,
ci si sente dispersi per il mondo”.
Nella seconda parte della relazione, della Torre ha cercato
di ricostruire il passaggio dalle
xenofobie al razzismo, che della
prima è una razionalizzazione
ideologica, e all’antisemitismo in
particolare. Esso si distingue
per essere non tanto ’’odio per
il diverso” quanto piuttosto, almeno nell’antisemitismo di matrice cristiana e occidentale (il
’’perfido giudeo”), ’’odio per il
simile”. Un odio che si svilupperebbe "nell’ambito della parentela biblica". Per contiguità i
cristiani si sono forse sentiti
loro come veri depositari della
diaspora cosmopolita e universalistica.
Alieni travestiti
da esseri umani
Gli ebrei avevano il torto di
essere troppo simili, e al tempo
stesso diversi. Hitler stesso raccontava di odiare gli ebrei orientali, vestiti di nero coi boccoli
ai capelli. Ma diceva di andare
in bestia ancor più vedendo
quelli che per abbigliamento apparivano totalmente assimilati;
c’era più diffidenza per l’ebreo
che non si distingue, che può
essere infiltralo, subdolo.
Le cose si complicano con i
fattori politici e psicologici. "E
qui — ha detto tra il provocatorio e l’ironico l’oratore — una
parte di responsabilità l’hanno
gli ebrei stessi”. Perseguitati in
Polonia alcuni ebrei diventavano filorussi: e ciò si traduceva
immediatamente in un’altra ragione per essere oggetto di odio.
E poi c’è Un elemento perturbante nel carattere stesso dell’ebraismo. "Un popolo — ha
detto Levi mostrando un arguto senso del paradosso, molto
ebraico del resto — che si reclama singolare, ma fa un patto
con quello che è il Dio di tutti!”.
Come conciliare l’universalismo
con la peculiarità? Il cosmopolitismo con il sionismo?
Gli ebrei sono stati in concorrenza con il successivo universalismo cristiano, con i nazionalismi, con Tilluminismo. Da tutte queste percezioni nasce allora la teoria e lo stereotipo del
complotto, e il Patto con Dio
viene visto come un patto con
il diavolo, quasi come un Faust,
come colui che come borghese
collabora con Dio alla trasformazione del mondo. Questa ed
altre suggestioni avrebbero meritato un grande spazio di discussione, purtroppo impossibile, La conclusione della relazione è stata peraltro ottimistica,
se pur ’’nella vigilanza”: sembra oggi esserci un grande agitare le acque, senza tuttavia un
soggetto sociale e politico che
’’sistematizzi” le idee xenofobe
e le organizzi secondo un piano
razionale di distruzione delle diversità, a cominciare da quella
ebraica. Primo Levi avvertiva
che ciò che c’è stato (la Shoah),
proprio perché c’è stato può ripetersi. Sta a tutti creare le
condizioni per impedirlo, per
bloccare lo sviluppo della ’’zona
grigia”, fascia di benpensanti
che non partecipano all’intolleranza attiva, ma in qualche modo tendono a giustificarla. E’
quanto sta avvenendo in Germania con la caccia aH’immigrato. Facciamo attenzione.
Se è inevitabile la tensione di
fronte al diverso, cerchiamo di
contenere l’ostilità, che ne è la
conseguenza, entro tassi ’’fisiologici”.
Se non possiamo, almeno in
questo mondo, pretendere di vivere neH’amore universale, cerchiamo di far sì che vi possiamo litigare... in santa pace.
Alberto Corsani
UN LIBRO DI RENZO BERTALOT
Rigore protestante,
fiducia ecumenica
L’attualità della Riforma, l’apertura alle scienze umane, il dialogo con l’ortodossia e il cattolicesimo: una ricca serie di stimoli
Tutti sanno che Renzo Bertalot ha speso i migliori anni della sua vita in una triplice direzione: lo studio della Riforma,
il dialogo ecumenico, la diffusione delle Scritture. Molta parte
del suo ministerio si è svolta in
predicazioni, conferenze, corsi
accademici tenuti in incontri e
convegni in Facoltà teologiche
protestanti e cattoliche, comunità e parrocchie, talvolta in polemica con alcuni di noi, a cominciare dal sottoscritto. Alcuni
di questi interventi sono rimasti
inediti, altri sono stati pubblicati su prestigiose riviste italiane
e straniere' oppure in volumi
collettivi come quelli che raccolgono le relazioni tenute ai convegni della Mandola. Un’editrice
vicentina ci ha reso perciò un
segnalato servizio raccogliendo
una parte di questi discorsi in
un volume che recensiamo con
un rammaricato ritardo
Il libro si apre con una bella
presentazione di Tede Vetrali,
^uno dei migliori biblisti cattolici di oggi e si suddivide in
tre parti. La prima — forse la
migliore, certo la più appassionata — illustra l’attualità della
Riforma: rimpianto è rigorosamente barthiano (si vedano in
particolare le « note sulla chiesa» a pag. 87 e seguenti), eppure il discorso si muove subito in direzioni per noi un pochino inconsuete: anzitutto c’è
Tillich, retaggio della quasi decennale esperienza americana
dell’autore; poi, in base al principio tillichiano della correlazione, il discorso si apre verso la
psicologia, la pedagogia, le scienze umane: così un uomo come
Piaget può essere ricollocato nel
suo ambiente naturale — ma
quanto poco riconosciuto in Italia — che è la tradizione culturale della Svizzera « riformata »;
così, infine, si parla con tutta
chiarezza della « fondazione teologica dell’etica ». Bertalot vuole dunque che l’esperienza della
Riforma sia pienamente rivissuta oggi, ma fuori dei recinti denominazionali: egli dichiara esplicitamente che il messaggio
della Riforma deve « essere ripreso e accolto come patrimonio
della chiesa ecumenica emergente nel ventesimo secolo » (pag.
34).
Questo ci conduce alla seconda parte del volume, dedicata al
movimento ecumenico. La sezione si apre con una rivendicazione del «substrato ecumenico della teologia della Riforma » ’ e poi
si snoda in una bella descrizione dei principali appuntamenti
ecumenici del nostro secolo.
L’« anima barthiana » di Bertalot si svela nella commossa rievocazione di Amsterdam, ma anche la specificità degli altri incontri è accuratamente rimarcata: fa piacere sentirsi ricordare
da che parte sono passati certi
progressi ecumenici del nostro
tempo, e raramente si tratta della « parte » che è stata segnalata con molto fracasso dai nostri
mass media.
Allarga il cuore anche il poter
constatare che l’autore distingue
tra evangelizzazione e proselitismo, e si dissocia apertamente
(pag. 140) dalla corrente squalifica delle « sette evangelicali »,
e lo fa richiamandosi alla sua
esperienza di responsabile della
Società biblica in Italia. Felice
il riassunto del pensiero di uomini come Leslie Newbegin
(pag. 110) 0 Oscar Cullmann
(« parlare dello Spirito Santo significa parlare dell’unità nella
diversità », pag. 141 ) il cui contributo al movimento ecumenico
è stato troppo spesso ignorato
o frainteso.
Non possiamo che essere grati all’autore per aver sempre tenuto presente il dialogo con l’ortodossia, che oggi dimostra una
avvincente attualità: notevole il
contributo dato a questo dialogo da alcuni teologi nordamericani, ortodossi e protestanti. Il
tutto nel contesto di quella che
Bertalot chiama ripetutamente
la « rivoluzione copernicana »
dell’ecumenismo.
Segnalo infine una pacata critica al decreto conciliare sulPecumenismo, che viene analizzato con evangelica fermezza, e
un’inedita riflessione sulla mariologia: partendo dai lavori del
luterano Borowsky Bertalot
sfuma la sua consueta pacatez
za in un irenismo che mi pare
francamente un po’ troppo ottimista.
La mia incompetenza mi impedisce di valorizzare appieno
l’ultima parte del. libro (Ricerche) che per certi aspetti mi ha
entusiasmato: qui si sente tutta
la fecondità dell’« esperienza
americana » (e anglosassone:
uno dei filosofi con cui Bertalot
polemizza più volentieri è Colingwood, il Croce inglese) dell’autore. Grandi psicologi come
Maslow vengono adeguatamente
valorizzati. Bruno Bettelheim ed
Erich Fromm ricevono il posto
che si meritano nella riflessione
etica e teologica. Naturalmente,
il « filo rosso » di questa rifiessione è ancora una volta il pensiero di Paul Tillich. Incocrenza di un barthiano? Non credo:
come si fa a non sottoscrivere
l’affermazione di Tillich citata a
pagina 220: « Ogni filosofia è sorretta da una teologia »? Lo aveva già detto Walter Benjamin ‘
e non gli abbiamo badato, forse
perché era un ebreo marxista;
ora ce lo ricorda Bertalot: non
gli daremo retta solo perché è
un valdese ecumenico?
Grazie, Renzo: abbiamo litigato un po’ nella vita, ma forse
ne valeva la pena.
Giorgio Bouchard
' Rivista di scienze religiose, Studi
ecumenici, ecc.
^ Renzo BERTALOT, Per dialogare
con la Riforma, Vicenza, LIEF, 1989.
’ « Bertalot. uno dei padri e grandi
maestri dell’ecumenismo in Italia, ...ha
saputo presentare efficacemente al
mondo italiano le profonde istanze del
pensiero e dell'etica delia Riforma ».
* Bertalot lo illustra con la « nozione dell'invisibilità della chiesa »: su
questo punto bisognerebbe forse allargare la discussione.
^ Secondo Borowsky i dogmi mariani fanno parte della diversità ma
non rompono l’unità: sono una « fantasia », Il dissenso è fondato invece
per quanto riguarda i titoli che vengono attribuiti a Maria (regina, mediatrice, consolatrice, avvocata) perché
entrano in conflitto con la cristologia
0 la pneumatologia. Vedi pp. 193 sgg.
‘ In Angelus Novus, « Tesi sulla filosofia della storia »,
5
r
25 ottobre 1991
vita delle chiese
L’APERTURA DELL’ANNO ACCADEMICO
Facoltà e comunità
Nella chiesa battista di Civitavecchia il culto inaugurale - Storia e teologia della missione metodista nel discorso di D. English
« Perché la Facoltà di teologia apre l’anno accademico in
una comunità? E’ necessario fare questo? Potevamo benissimo
aprire l’anno con un culto nell’Aula magna ». Così ha esordito il prof. Paolo Ricca, domenica 13 ottobre, nel tempio battista di Civitavecchia, insistendo
sul fatto che anche una Facoltà
di teologia ha la necessità dell’intercessione dei fratelli per
compiere il proprio lavoro di ricerca e di testimonianza. Il testo della predicazione era infatti una richiesta di preghiera:
« Orando in ogni tempo, per lo
Spirito, con ogni sorta di preghiere e di supplicazioni; per tutti i santi, e anche per me, acciocché mi sia dato di pariare apertamente per far conoscere con
franchezza il mistero deil’Evangelo » (Efesini 6: 18-20).
A questa richiesta ha fatto eco
l’invito del pastore Paolo Marziale, della locale comunità, che
ha proposto ai membri di chiesa di pregare per la Facoltà.
Professori e studenti sono stati accolti con simpatia e fraternità, nello spirito comunitario
che lega fortemente il piccolo
ateneo di via P. Cossa al mondo battista italiano, rappresentato per l’occasione dal presidente deirUnione, pastore Guarna.
La giornata è proseguita presso il « Villaggio della gioventù »
di Santa Severa; dopo il pranzo c’è stata la presentazione di
. studenti e docenti: anche quest’anno c’è un nutrito gruppo di
stranieri, provenienti da Germania, Svizzera e Romania. Al primo anno ci sono quattro nuovi
iscritti: Luca Anziani, Emanuele
Sonelli, Emanuele Casalino,
Claudia Lupi. In tre provengono
dall’area napoletana e uno da
Firenze, e rappresentano le tre
denominazioni BMV.
Sabato 19, dopo la prima settimana di lezioni, nel quadro del
convegno sul metodismo, si è tenuta la prolusione sul tema « Rivisitazione di Aldersgate, storia
e teologia della missione metodista ».
La lezione del rev. dott. Do
nald English, presidente del Consiglio metodista mondiale e già
presidente della Chiesa metodista inglese, che ha insegnato in
Nigeria e soprattutto in Inghilterra, a Leeds, Manchester e al
Wesley College di Bristol, dove
occupava la cattedra di teologia
storica, è stata condotta sulle
implicazioni missionarie di Wesley, maturate nell’esperienza dì
Aldersgate, che fornì una sintesi e un approfondimento del pensiero teologico del fondatore del
metodismo.
Così sono state messe in luce
alcune sue caratteristiche: prima di tutto una notevole apertura alla cultura religiosa e profana. Poi l’assoluta centralità
della Scrittura, arricchita dal tesoro dell’esperienza personale.
Inoltre caratteristica peculiare
fu l’attenzione all’azione sociale
e alla lotta per la giustizia, nonché un’incisiva attività di assistenza verso gli ultimi e gli
emarginati della società di allora.
La teologia di Wesley è completamente imperniata sull’annuncio della salvezza: « Si può
vedere in Wesley un grande teologo solo se ci si occupa di soteriologia ».
Per ciò che concerne l’aspetto
ecclesiologico si può notare un
notevole cambiamento tra il periodo precedente e quello successivo all’esperienza di Aldersgate. Prima Wesley vedeva la
chiesa come un’istituzione fornita di strutture atte a custodire
la preziosa eredità cristiana; dopo egli farà proprio il pensiero
più dinamico di una chiesa impegnata a « preservare e accrescere la vita di Dio nell’anima
delle persone » e ad occuparsi
della salvezza delle anime.
L’ultima riflessione tocca il
problema ecumenico: se cioè
l’unità della chiesa debba costituirsi suH’armonizzazione di diverse eredità o piuttosto nell’assumere una forma adatta per
conquistare il mondo per Cristo.
Il dott. English ha concluso
ponendo il problema della dinamicità della teologia metodista
e della speranza per il futuro,
affermando che « John Wesley
sarebbe sicuramente l’ultimo degli uomini a volersi chiudere nel
suo tempo » e, citando Wesley
stesso: « Il meglio ha ancora da
venire; il meglio di tutto è che
Dio è con noi ».
Emanuele Fiume
Italo Pons
CORRISPONDENZE
Il fratello Mimi
SALERNO — Uomo di fede
non Anta. Così può essere ricordato Domenico Avallone (fraternamente chiamato Mimi) il quale, dopo una lunga e dolorosa
malattia, è deceduto sabato 12
ottobre, all’età di 71 anni.
Lavoratore nelle industrie tessili della città, aveva conosciuto
l’Evangelo nell’ambito del movimento pentecostale, ma ben presto era diventato un membro zelante della Chiesa evangelica metodista.
TRIESTE
Mario Macchioro
E’ mancato alla comunità elvetico-valdese di Trieste il fratello Mario. E’ impossibile interpretare i sentimenti e le emozioni di tutte le persone che
erano presenti aH’ultimo saluto.
La cerimonia è stata condotta
dai pastori Coi'sson, Martelli e
Poggioli, con la presenza del
pastore Bonnes, che hanno voluto dare l’ultimo addio al fratello e collaboratore Mario Macchioro.
Lo ricordiamo tutti quando
scende\ia con la faccia seria e
pensosa la scaletta della basilica di S. Silvestro, preparandosi ad iniziare uno dei suoi innumerevoli culti che sapevano
risvegliare in tutti i presenti
quella religiosità e quell’umanità che lo hanno contraddistinto.
Lo ricordiamo anche per la sua
arguzia e gioia di vivere che riuscivano a rendere sopportabili
anche le riunioni più pesanti.
Ma forse il suo pregio maggiore era il sentimento fraterno che egli dimostrava verso
tutti gli esseri umani e che si
esternava in tolleranza verso chi
era in errore; in fermezza nel
riprendere chi .sbagliava; in amofe verso chi era in difficoltà;
'n comprensione verso chi soffriva; in giustizia verso chi era
oppresso; in disponibilità verso
coloro che chiedevano il suo
aiuto.
Da anni membro del Consiglio
di chiesa, predicatore locale e
delegato al Sinodo, era la persona alla quale la comunità faceva capo per quanto concerneva le discipline, i regolamenti e le loro interpretazioni autentiche. Per tutti aveva pronta
una parola affettuosa o un gesto amichevole. La sua presenza rassicurava la comunità tutta, quasi egli ne fos.se il capo.
Conducendo i fratelli in preghiera, spesso riusciva ad interpretare i sentimenti più reconditi di ciascuno traducendo in
parole semplici e toccanti ciò
che essi non erano in grado di
esprimere.
Marito e padre affettuoso ha
trasmesso, assieme alla moglie
Rosetta, ai figli Daniela e Paolo
con Laura e Matteo quella sua
gioia di vivere nel Signore che
lo ha accompagnato durante tutto il cammino terreno.
Avendo conosciuto il fratello
Mario, sono certo che per il
suo ultimo sermone avrebbe
scelto di meditare sulle parole
di Giovanni: « Io non ho maggior allegrezza di questa, d’udire che i miei figlioli camminano nella verità ».
Andrea Sossi
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Una giornata
di responsabilità
La sua professione di fede fu
caratterizzata dalla parola « semplicità ». Non amava discorsi
pomposi, ricercando invece un
impegno per la testimonianza al
suo Signore.
La comunità metodista di Salerno lo vuole oggi ricordare soprattutto per il suo impegno instancabile nel ristrutturare i
nuovi locali adibiti per il culto
e per il Centro comunitario,
inaugurati nel 1989. Fu lui a pensare e ad operare perché tale
ristrutturazione fosse fatta con
semplicità e con gusto, con funzionalità e con sobrietà.
Al funerale, svoltosi domenica
13, ha partecipato un centinaio
di persone quale testimonianza
deH’affetto che il fratello era riuscito a costruire sia nella sua
chiesa e sia tra la gente del
quartiere.
Ora la comunità lo ricorda
ascoltando con riconoscenza al
Signore questa antica parola del
profeta: « L’erba si secca, il flore appassisce, ma la parola del
nostro Dio sussiste in eterno »
(Isaia 40: 8).
Monitori, bambini
e familiari
SAVONA — Una ripresa di
slancio è stata quella di settembre con rincontro dei monitori,
bambini e familiari per tutta la
giornata di domenica 15 alla Colonia valdese di Borgio, dove
hanno incontrato un gruppo di
famiglie pentecostali; poi l’agape dopo il culto del 22, per salutare F. Cozzi, in partenza
per Intra, quando un rappresentante della Chiesa awentista le
ha portato un piccolo dono; e
ancora la visita di una comunità metodista svizzera di Interlaken al culto del 29/9, condotto in italiano e tedesco; infine
l’assemblea di chiesa a Savona
di domenica 13 ottobre, dopo
l’agape comunitaria.
Per i prossimi mesi saremo
inoltre impegnati a preparare il
convegno su « Giovanni Miegge »
che si terrà a Savona il 6 e 7
dicembre e al quale intendiamo
dare sia rilevanza cittadina che
evangelica interregionale.
ANGROGNA — Domenica 13
ottobre è stata per la nostra comunità la giornata di inizio attività. La mattina ci siamo ritrovati per il culto nel tempio del
Serre. Dopo la predicazione del
pastore Marchetti che ha sottolineato l’importanza ancora centrale che l’insegnamento della
salvezza per grazia deve avere
nelle nostre chiese, anche e soprattutto in questo tempo di crisi delle ideologie e di ritorno al
sacro, è stata consegnata la Bibbia alla nuova catecumena Sabrina Bertin e sono stati presentati alla comunità coloro che
sono stati chiamati ad assumere i vari ministeri di servizio
nella nostra chiesa: monitori,
catechisti, responsabili dei gruppi di attività, eccetera.
Dopo il culto ci siamo ritro-,
vati per un’agape fraterna al solito molto ben organizzata dalle sorelle deH’Unione femminile.
Nel pomeriggio ha poi avuto
luogo un incontro dei responsabili delle varie attività della chiesa con il Concistoro. Si è trattato di una riunione lunga e faticosa, ma anche estremamente
utile nel corso della quale sono
state messe in comune le esperienze, le impressioni e le idee
di tutti. Come sempre accade in
queste circostanze, si è parlato
delle cose che non vanno piuttosto che soffermarsi su ciò che
già funziona e, alla fine, dopo
aver passato ”ai raggi X” la vita della nostra chiesa, il panorama non era proprio dei più
consolanti. Ma, in fondo, ci ha
reso più sereni e ci ha dato forza la consapevolezza che, come
il nostro passato, così il nostro
presente e il nostro futuro sono nelle mani di Dio e non nelle nostre e, se lui lo vorrà, la
nostra chiesa andrà avanti incontro al suo futuro al di là di
tutti i problemi e le difficoltà.
E poi, proprio una giornata comunitaria viva come quella di
questo 13 ottobre è il più bel
segno della vitalità della nostra
chiesa, una chiesa vecchia dal
punto di vista storico e anche
anagrafìcamente, oggi, ma non
antica e anzi impegnata a vivere il presente e a lavorare, nell’umiltà e nella serenità della fede, al servizio del Signore.
L’Insediamento di
Thomas Josi
SAN GERMANO — Durante il
culto del 13 ottobre, a cui
hanno preso parte anche i bambini ed i ragazzi della scuola
domenicale e del catechismo, è
stato insediato il nostro nuovo
pastore Thomas Josi; a lui e alla moglie abbiamo espresso la
gioia nell’accoglierli in mezzo a
noi con l’augurio di un lavoro
benedetto dal Signore. Nel corso dello stesso culto è stata presentata al battesimo la piccola
Elena Pontet di Franco e Donatella Beux; il successivo 20 ottobre è stato battezzato Danny
Avondet, di Renzo e Graziella
Sala. Chiediamo al Signore di
sostenere sempre i genitori nel
mantenimento delle loro promesse.
• Dopo un periodo di sofferenza ha terminato la sua esistenza terrena, ad Ivrea, Davide
Sappè; alla famiglia esprimiamo la cristiana simpatia della
comunità.
• Durante il culto del 22 settembre la comunità si è stretta intorno ad Alida Long e Ivano Previati che hanno chiesto la
benedizione del Signore sul matrimonio celebrato civilmente il
giorno precedente.
• Ai coniugi Marianna e Oreste Bounous, a cui è stato concesso il privilegio di ricordare
i sessant’anni di matrimonio,
rinnoviamo il nostro affetto e
l’augurio di vivere ancora molti
anni insieme.
• Un grazie sincero ai fratel
li Andrea Ribet e Aldo Garrone
che hanno presieduto i culti del
15 settembre e del 6 ottobre.
Bazar e giornata
comunitaria
POMARETTO — Il Concistoro
è convocato sabato 26 ottobre,
alle ore 20,30, alla Sala Lombardini. Domenica 27 ottobre avrà
luogo la giornata comunitaria
con bazar organizzata dall’Unione femminile con inizio alle ore
14,30 presso i locali del teatro.
La sera, alle 19,30, cena comunitaria all’Eicolo grando. Prenotarsi presso le responsabili dell’Unione femminile.
Assemblea di chiesa
con elezioni
LUSERNA SAN GIOVANNI —
Domenica 27 ottobre il culto
avrà luogo nella Sala Beckwith,
con la convocazione dell’Assemblea di chiesa chiamata ad eleggere quattro membri del concistoro.
Un anziano non è più eleggibile per scadenza del mandato,
un secondo accetta la rielezione
mentre gli altri due sono dimissionari.
Si raccomanda a tutti i membri di chiesa, e in modo particolare agli elettori, di essere presenti.
Assemblea di chiesa
sulle relazioni
MASSELLO — Domenica 27
ottobre, alle ore 11, al Reimaud,
ci sarà l’assemblea di chiesa per
ascoltare le relazioni relative al
Sinodo e alla Conferenza distrettuale.
Calendario
Venerdì 25 ottobre
□ ASSEMBLEA DEL
III CIRCUITO
CHIOTTI — L’assemblea del MI circuito è convocata per le ore 20,30.
Appuntamenti
31 ottobre - 1“ novembre — VELLETRI: Presso II centro di Ecumene si
svolge il seminario giovani dedicato
alla questione femminile. Per informazioni tei. 06/9633310-9633947-4743695.
Domenica 27 ottobre — VENEZIA: In
occasione della domenica della Riforma alle ore 11, presso la chiesa valdese, avrà luogo il culto In comune
fra comunità valdese e comunità lute
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6
6 assemblea federazione chiese evangeliche
25 ottobre 1991
Santa Severa 31 ottobre - 3 novembre
Nelle varie parti d Italia, con modalità, stili, tradizioni diverse, si annuncia l’Evangelo: un percorso attraverso le varie realtà denominazionali - L eredità delia Riforma, l’esempio deH'evangelizzazione ottocentesca, il
senso della missione ereditato da Wesley - L’Esercito della Salvezza ci ricorda che la testimonianza è una ne
Si aprirà il 31 ottobre presso il villaggio battista di Santa Severa (Roma) la nona Assemblea triennale
della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), che concluderà i suoi lavori domenica 3 novembre. Tema dell’Assemblea: « Uno solo
il Signore di tutti. Testimonianza e
dialogo nell’Europa di oggi ».
I delegati delle chiese membro del
la Federazione (battisti, metodisti,
valdesi, luterani. Esercito della Salvezza, Comunità ecumenica di IspraVarese, Chiesa apostolica italiana.
Chiese libere) sono chiamati a discutere l’operato del Consiglio della
FCEI nel triennio che separa questa
Assemblea da quella del 1988 a Firenze, sia sulla base della relazione del
Consiglio che di quella della commis
sione dei « revisori » che avevano il
compito di verificare l’aderenza delle
attività della FCEI ai mandati dell’Assemblea precedente. L’Assemblea
dovrà poi decidere le future linee di
lavoro per il prossimo triennio.
Come mette in rilievo la relazione
del Consiglio, l’evoluzione della società italiana e di quella internazio
nale ha gettato sulle attività della
FCEI una luce particolare, che talvolta ha richiesto l’assunzione di iniziative nuove e magari qualche rischio;
in questi anni si è anche assistito a
una riaffermata centralità dell’istituzione cattolica e della sua cultura e
alla crisi delle grandi ideologie, mentre crescevano i problemi creati dall'immigrazione in Italia. Durante l’As
Chiesa evangelica valdese
« Anche voi, come pietre viventi, siete edificati qual casa
spirituale, per essere un sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali, accettevoU a Dio
per mezzo di Gesù Cristo » (I
Pietro 2: 5).
TORINO - Corso Vittorio — Un
culto ’’normale" presuppone la
presenza di un pastore, di xui
consiglio e di una comunità.
II pastore non è altro che
un predicatore che ha curato l’esegesi del testo biblico con
altri colleghi e ne riferisce ai
presenti. La comunità è costituita da-gente, che abita nella città, si raccoglie per udire, pregare e cantare. I membri man
mano si conoscono e passano
dall’anonimato all’incontro.
Strumenti di aggregazione sono la lettura della Bibbia (Antico e Nuovo Testamento, libri
del Patto con il popolo, che
diventa popolo di Dio), la preghiera pubblica e silenziosa, la
confessione di peccato, la confessione di fede. Il culto è costituito dall’ascolto della Parola di Dio e dalla Cena del Signore o Cena con il Signore,
così chiamata sul modello dei
discepoli di Emmaus illuminati da Cristo risorto anziché
da un rito religioso iniziatico.
La comunità, costituita da operai, commercianti, insegnanti,
rnedici, infermieri, è tenuta insieme dal vincolo della intercessione.
Il tutto è illustrato dalla chiarezza. Si può dire: perché Cristo è luce, voi siete la luce del
mondo: nella spiegazione del testo, nella parola dei cantici, nella semplicità delle formule liturgiche. Anche l’assenza di immagini diventa accenno alla trascendenza di Dio.
La comunità si raccoglie sul
tipo delle sinagoghe israelitiche,
accetta i neofiti, battezzati nella loro infanzia o ip età adulta,
quando si rendono conto della
loro fede. L’insegnamento, e non
un rito iniziatico, li introduce
nella chiesa.
Annunzio dell’Evangelo, cioè
della Buona Novella, che apre
il cuore dei credenti mediante
l’opera dello Spirito Santo. Così, attraverso i secoli, i credenti possono confessare: Credo la
santa chiesa universale. Credo
in una continuità della chiesa
Il canto, elemento del culto nelle chiese valdesi.
segnata dalle sue luci e dalle
sue ombre, dalla Rivelazione e
dalle sue riforme. Chiesa riformata, ma sempre reformanda.
Chiesa metodista
« Così anche voi, poiché siete
bramosi dei doni spirituali, cercate di abbondarne per l’edificazione della chiesa » (I Corinzi 14:
12).
TRIESTE — « La mia parrocchia è il mondo ». La comunità
può apparire come le altre comunità evangeliche ma può anche essere contrassegnata dall’antica divisa che precisa un rapporto, una
contemporaneità o un contrasto
permanente fra mondo e chiesa. E’
un orientamento che si attua in
una storia, in un atteggiamento
verso il mondo, cioè verso la società nella quale essa vive, verso
lo stato nel quale esiste, e verso i
costumi dai quali è avvolta. E’
espressione di una riforma che si
espande « fino alle estremità della
terra ».
Come si esprime questo orientamento nel culto e nella comunità? Trieste, per noi evangelici italiani, è un simbolo, una freccia
verso il « mondo di Dio ». E’ al
confine, ma indica altri confini:
•i) accentua il significato del
sacerdozio universale. La vocazione specifica dei credenti spezza le
frontiere fra sacro e profano, sacerdote e laico;
b) accentua il senso della
libertà dell’Evangelo. Questo ci
porta a intendere la fede come fede e non come un insieme di dogmi. Una chiesa metodista sa che
la fede può essere imprigionata
nelle fredde catene delle confessioni di fede riformate o luterane o
anche in quelle ecumeniche, corrette sì, ma raggelate in un frigorifero.
In tutto il mondo il metodismo
è diventato segno di missione e di
ecumenismo. E’ stato all’inizio della formazione delle Chiese unite
come in India del Sud, negli Stati
Uniti e in Canada. Il mondo, nel
Nuovo Testamento o nella storia,
non sarà solo il vecchio mondo
ma sarà altresì il mondo nuovo in
Cristo, salvato da Cristo, sulla via
della salvezza con Cristo. La luce
della speranza non riguarda soltanto il passato ma avvolge l’avvenire.
Esercito della Salvezza
« Ma chi mette in pratica la
verità viene alla luce, affinché
le opere sue siano manifestate,
perché son fatte in Dio » (Giovanni 3; 21).
A Faeto, nella provincia di Foggia, vi è l’unica piazza in Italia
intestata al fondatore dell’Esercito della Salvezza, William
Booth. L’Esercito fu fondato a
Londra nel 1865 e si sparse in
Italia dal 1890, da Luserna San
Giovanni a Torino, Milano, Roma, Napoli, come opera di evangelizzazione e come opera sociale. Oggi operante in tutte le
metropoli mondiali, in piccole
città e borghi, è conosciuto come opera di rifugio per abbandonati, isolati, profughi, terremotati; la Maison du Refuge,
com’è chiamata a Parigi.
Spesso la voce dei suoi "soldati”, guidati da chitarre, si fa
sentire nelle vie di Napoli. A
Roma, nella zona degli Apuli,
l’Albergo del popolo è stimato
da tutti, tanto che il Comune
di Roma ha voluto destinargli
un cospicuo aiuto per il suo
restauro.
L’Esercito, costituito da persone convertite ed impegnate
nella "salvezza delle anime",
chiama, in umili sale, giovani
ed anziani alla conversione e
al ravvedimento. Gestisce opere giovanili, campi di risveglio,
studi biblici. Il carattere "militare” indica un’obbedienza do
vuta a Cristo e un comportamento di pace.
Non sono mai rinchiusi in un
giudizio autoritario contro il
mondo, ma il loro canto è gioioso, la loro preghiera è intercessione. L’Esercito fa parte del
Consiglio mondiale delle chiese, è ecumenico. In Italia fa
parte della Federazione delle
chiese evangeliche, dove è sernpre disponibile per ogni servizio fraterno. Ha partecipato agli
aiuti per il Belice, per l’Irpinia,
come aveva fatto per Messina
e per Napoli. Ben noto per le
sue tende, cucine popolari, vive
nella speranza per riprendere
ogni giorno la sua opera.
Qual è la testimonianza dell’Esercito alle chiese evangeliche? Ovviare al rischio di essere soltanto delle comunità teoriche, astratte, più atte a parlare che ad operare. Ci ricorda
che la testimonianza è una necessità urgente, un'opera che
non si può rimandare a domani. Ci ricorda che l’alba del
Regno di Dio viene. Quando, nelle assemblee ecumeniche, dopo
tanti presidenti, direttori, pastori e professori, passano alcuni
ufficiali deH’Esercito, cl dicono
semplicemente che la chiesa non
può essere soltanto docente e
neanche soltanto discente, ma
deve essere obbediente al suo
Signore, nelle cose minime, così
come egli ha saputo esserlo nel
sei-vizio per l’uomo, nostro fratello.
Gli evangelici: un’isola di libertà
(segue da pag. 1)
— Abbiamo insistito come la
vedova davanti al ^udice iniquo
con risultati minori. Non penso
sia realistico pensare a nulla di
più che le 23.30 della domenica
e le 10 circa del lunedì. Entro
questi limiti possiamo fare alcune cose importanti. Alcune trasmissioni hanno avuto 4/500 mila
spettatori. Forse di alcune trasmissioni dovremo avere il coraggio di fare delle videocassette da far circolare nelle chiese,
perché possono essere strumenti di formazione. Abbiamo avuto un grande successo con il
culto radio, che ha una media
di 1.600.(XX) ascoltatori. Il culto
radio è uno strumento importantissimo di testimonianza e
comunicazione. Il Consiglio propone di potenziare il nev. Il motivo è semplice. Abbiamo la sensazione che la società italiana
ci abbia creato un bel nido, lo
abbia indorato e poi abbia messo alla porta del nido un bel
lucchetto dicendo: "Protestanti,
state lì dentro”. Il silenzio stampa su di noi è crescente. Noi
proponiamo un nev più efficace per rompere il silenzio stampa.
— Un Servizio molto importante per le chiese è quello
"istruzione ed educazione’’ che
ha formato teologicamente, e
pedagogicamente, centinaia di
monitori e catechisti. Eppure il
Servizio deve registrare un deficit economico e le chiese non
sembrano sostenerlo adeguatamente. Quali sono le vostre richieste alle chiese?
— Le denominazioni sono sulla strada giusta in quanto hanno messo persone a disposizione in misura crescente e di questo siamo grati. Il lavoro del
SIE rimane però all’interno del
protestantesimo storico perché
noi, pur essendo dei pii lettori
della Bibbia, usiamo il metodo
storico critico che per altri è,
se non scandaloso, sicuramente
pericoloso.
— Le chiese si attendono dalla FCEI anche il nuovo innario.
Qual è lo stato dei lavori?
— Nell’83 è stato sollevato il
problema. La FCEI nominò poi
una commissione, fece una bella
relazione all’Assemblea di Palermo e tutto finì lì. Tre anni fa
non siarno riusciti a ricreare
la commissione perché ci sono
due tendenze. Una vuole restaurare al massimo la musica classica, un’altra vuole puntare sugli spirituals. Il Consiglio ha
finito per incaricare il fratello
Carlo Lelia di un lavoro professionale. In Assemblea sarà
presentata una raccolta di spirituals già noti, qualche nuovo
inno di tipo ecumenico e qualche vecchio inno. Se l’Assemblea
giudicherà che il Consiglio ha
bene operato, nascerà la commissione e si lavorerà in modo
sistematico. Nessuno di noi sogna un nuovo innario; quello
che vogliamo è un supplemento di 50, 100 inni al massimo.
— La FCEI si sta qualificando
come un organismo per la discussione dei problemi internazionali. E' un ruolo che la FCEI
vuole svolgere?
— La FCEI non è un autonomo soggetto ecclesiale per cui
non può e non deve mettere in
piedi una propria politica estera. Le denominazioni hanno una
politica estera sostanziata di
dialogo teologico e questa appartiene a loro. Esiste però una
vastissima area in cui la Federazione può assumere delle iniziative ed è il rapporto con le
altre Federazioni nazionali. Un
tipo di relazioni è stato possibile perché in questo triennio
il Consiglio si è dato un segretario esecutivo. Renato Majocchi, che ha una grande esperienza internazionale.
— Tra le iniziative nuove del
triennio vi è la rivista Confronti; perché?
— Il Consiglio ha attuato la delibera relativa a Com Nuovi tempiNe è nata la rivista ConfrontiLa rivista è un successo perché
non ripete vecchie esperienze,
ma le sviluppa in direzione del
dialogo interreligioso; è una rivista ecumenica ed è perciò una
voce preziosa in un momento
in cui la religione, nel bene e
nel male, ridiventa centrale.
A cura di
Giorgio Gardioi
7
25 ottobre 1991
assemblea federazione chiese evangelichCj 7
RITRATTI DI CHIESE
Assemblea della Federazione delle chiese
cessità « urgente » - Chiesa docente e chiesa discente, obbediente al Signore anche nelle cose minime - Non frena
l’entusiasmo la consistenza numerica delle piccole comunità: è presente la certezza di essere in comunione con tanti fratelli e tante sorelle - La parola « libertà » coniugata all’amore fraterno - Sapremo essere comunità di speranza?
semblea vi sarà una tavola rotonda
sul tema « Europa, Italia, Mezzogiorno », che affronterà questi problemi
di carattere generale.
La FCEI resta una piattaforma importante di confronto per le chiese
che ne fanno parte, mentre si sono
intensificati i contatti con altre chiese evangeliche, come le Assemblee
dei fratelli, le Assemblee di Dio, gli
avventisti, i vari gruppi evangelici e
pentecostali. Nel quadro di un’ampia visione ecumenica, sono stati invitati all’Assemblea i rappresentanti
di queste chiese e rappresentanti di
Federazioni protestanti estere, mentre sono stati invitati a rivolgere un
messaggio all’Assemblea i rappresentanti della Conferenza episcopale ita
liana, del Segretariato attività ecumeniche, delle Comunità di base e
delle Comunità israelitiche in Italia.
Il nostro settimanale seguirà l’avvenimento con un ampio servizio che
pubblicheremo sul n. 44 del 15 novembre. Per il momento desideriamo
presentare le sensibilità teologiche
delle chiese che aderiscono alla Fede
razione, con una serie di brevi profili
di chiese redatti dal pastore emerito
Carlo Gay. Non tutte le chiese aderenti sono comprese in questi profili e, forse, anche quelle citate non
si riconosceranno appieno nell’affettuosa descrizione che viene fatta, che
rimane un ritratto teologico ed ecclesiologico del protestantesimo italiano.
Chiesa battista
« Chi ha orecchio ascolti ciò
che lo Spirito dice alle chiese. A
chi vince io darò della manna nascosta, e gli darò una pietruzza
bianca, e sulla pietruzza scritto un
nome nuovo che nessuno conosce,
se non colui che lo riceve » (Apocalisse 2: 17).
MOTTOLA •—■ Comunità di
minoranza. Come tante altre chiese battiste nel mondo ne porta le
caratteristiche e, come altrove, i
segni positivi e negativi. Sì all’interiorizzazione, alla conversione,
al battesimo per immersione. Sì
ad un radicalismo che accentua il
congregazionalismo, alla comunità
che sa ricominciare daccapo e non
si fossilizza nel conformismo. No
alle dinastie familiari, monarchiche, episcopali e sinodali, ricorda
alla cristianità il rischio dell’affossamento nella tirannia. Storicamente il battismo non ha dimenticato gli antichi sapori rivoluzionari ma altresì le svolte della lotta nonviolenta per i diritti umani.
Il suo nome è segnato in modo
deciso dai sogni di Martin Luther
King.
Se il battismo non esistesse in
Italia bisognerebbe inventarlo. Lo
abbiamo sentito all’Assemblea-Sinodo del 1990. Un ecumenismo
senza battismo sarebbe depauperato, svigorito.
Così oggi una chiesa battista
parla alle altre comunità un linguaggio di coraggio e di speranza.
Sottolinea, per tutti, la necessità di
un ravvedimento che apre la via
alla fede nell’Evangelo.
Quando si leggono le lettere dell’Apocalisse, si rimane stupiti dal
fatto che esse non sono rivolte alle
grandi chiese; non Roma, non
Alessandria, non Antiochia, ma le
piccole: chiese come Sardi, Laodicea, Pergamo. Ma la manna nascosta, la pietruzza bianca dal nome insostituibile, è data alla comunità di Pergamo che ha testimoniato in modo fedele. La testimonianza all’Evangelo non è automaticamente legata alla grandezza
del numero e della storia. La fedeltà è un segno che viene liberamente segnato dalla mano di Dio.
Dio non giudica secondo l’uomo e
non applica la sapienza umana.
Ma è la sua imperscrutabile sapienza a guidare, e a salvare il
mondo. Per questo vale la pena di
dare a Dio solo la lode dei credenti e dei popoli.
Di questa giustizia e di questa
liberalità ci parla l’Evangelo. « In
Dio viviamo, ci muoviamo e siamo » (Atti 17: 28).
Comunità evangeliche
« Fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della
libertà un’occasione alla carne, ma
per mezzo dell’amore servite gli
uni agli altri » (Calati 5: 13)
RIO MARINA — Per molti
evangelici. Rio Marina esprime la
storia di chiese evangeliche che,
nella loro libertà, si trasfusero nelle chiese dei Fratelli, in chiese metodiste, battiste, valdesi. Comunità
credenti ma opposte ad uno stretto
confessionalismo, esse esprimono
il fascino della parola neotestamentaria « libertà »! Una libertà
particolare, non frutto di un laicismo, ma di un evangelismo marcato da significative sottolineature:
a) un radicalismo in suoli e
culture diverse. L’evangelismo non
può restare una bandiera di partito che si sbandiera al vento ma
poi si ripone in una fodera per
altra occasione. Deve mettere radici fra la gente, fra la gente locale, fra gli anziani, fra i giovani,
le donne, i fanciulli. Dove nacque
una comunità, sorse una scuola;
b) « libertà » è stata associata al termine «assemblea». Una
comunità implica l’assemblea che
si raccoglie, si confronta e si lascia confortare. Assemblea è realtà antiautoritaria.
La Casa per ferie di Rio Marina.
La chiesa, attraverso i secoli, ha
conosciuto tempi di libertà e ne
ha avuto paura. Libertà può diventare fonte di confusione, di
anarchia, di « sedizione » (antica
e triste qualifica!) ma è sempre risorta « a libertà ». Dove il contrario è avvenuto, è dove, come dice
l’apostolo Paolo, vi è stata « occasione alla carne », collegata al rischio di « divorarsi gli uni gli altri ».
Così il Nuovo Testamento ci
ammonisce a coniugare la parola
« libertà » all’amore fraterno, all’agape di Dio, che dà contenuto
alla vita dei credenti. E dove vince
la carità, la libertà diventa pieno
respiro capace di ridare salute,
vigore, sapienza. >
Ai galati, ai romani, agli efesini.
Paolo non seppe indicare altre
vie: percorso difficile, ma salutare; rischioso ma dove non vi è rischio non esiste possibilità di rimedio! Non si può ricominciare,
non si può nascere di nuovo, non
si può camminare. Così Paolo
esorta i fratelli: « Poiché tutta la
legge è adempiuta in quest’unica
parola; ama il tuo prossimo come
te stesso » (Galati 5: 14).
La comunità futura
« Sappiate dunque che questa salvazione di Dio
è mandata ai Gentili ; ed essi presteranno ascolto »
(Atti 28 : 28).
Come sarà la comunità di domani? Ogni
comunità ha un passato, una storia, delle radici. Le nostre chiese italiane hanno un loro
sapore, come quella di Efeso, Corinto, Roma.
Le loro vicende variano, esse si trasformano entro molti o pochi anni. L’apostolo Paolo, come è visibile nelle sue lettere e negli Atti, le ha seguite e ci ha dato conto di queste variazioni.
E’ lecito domandarsi: come saranno domani Torino, Trieste, Mottola, Rio Marina?
La domanda può essere piena di previsioni
discutibili e rischiose. Sono possibili risposte
inaccettabili. Ma alcune risposte sono fattibili: a) le comunità cristiane saranno simili ai tralci, inseriti nella vite e porteranno
il loro frutto. Ogni predicazione è parola di
promessa. I Gentili presteranno ascolto. Il
mondo dei laici, dei Gentili, nella loro varietà, si convertirà al Signore. Il mondo dei
credenti non si chiuderà in una paralisi ecclesiastica. Come la nota immagine del vascello, la chiesa toccherà molti porti, fra tempeste e calmi soggiorni; i marinai ne scenderanno e, ragionando insieme, si influenz^
ranno vicendevolmente, b) In un mondo
sempre più piccolo, le influenze ecumeniche
si accentueranno, le chiese tenderanno a valutare positivamente le realtà spirituali che
si ritrovano in ognuna e in altre. Gli ultimi
cinquant’anni hanno cambiato il volto delle
grandi e delle piccole chiese. Si sono incontrate, si sono riconosciute ed hanno insieme
confessato che Cristo è la luce del mondo,
la speranza del mondo, la vita del mondo.
Hanno insieme confessato che di null’altro
possono vivere se non del soffio dello Spirito
Santo, c) L’ecumenismo è diventato una valanga, una potenza spirituale che abbatte giudizi e pregiudizi razziali, cultuali, culturali.
Il Sud Africa ritrova un’armonia, il Sud America si apre alla novità di una ricerca sociale
intensa, l’Asia apre le porte a nuove comunità cristiane con diverse culture, che però annunziano una visione cristocentrica. Il movimento ecumenico passa attraverso le chiese
ortodosse ed evangeliche, ispira la chiesa di
Roma. Le diversità non bloccheranno le chiese in una rigidità coercitiva.
Vivere oggi l’ora che ci è data: non nell’utopia ma neppure in un pessimismo inevitabile. Sapremo diventare le comunità della speranza?
Carlo Gay
Luterani
«Ma il giusto vivrà per fede»
(Romani 1: 17).
L’Italia è sempre stata mèta
di molti viaggiatori: inglesi, americani, tedeschi, svizzeri, scandinavi. Appartengono a nazioni
straniere ma hanno lasciato alcuni segni della loro presenza
negli ultimi due secoli: per la
cura d'anime dei loro membri,
per l’educazione dei loro figli,
essi costituiscono delle comunità luterane, anglicane, riformate, da Milano a Palermo, da Trieste a Venezia, Firenze, Roma.
In alcune città aprono istituti
di beneficenz-a, di arte, di cultura, in altre, come a Napoli, Firenze, Roma, Genova, si associano alle comunità italiane per
i cimiteri degli Allori, del Testaccio, di Napoli, Capri.
Proviamo ad entrare in una
chiesa luterana a Venezia: tutte aprono il loro culto con canti classici; Bach è il loro preferito. Raccoglimento, riflessione sulle realtà essenziali delì’Evangelo. La loro pietà e l’insegnamento sono note importanti. Per lungo tempo hanno avuto
delle scuole nelle quali trasmisero la loro lingua, ma altresì
la loro pedagogia, la musica e
il canto. Noi evangelici italiani
dobbiamo reimparare ad uscire
da un certo provincialismo per
trasmettere l’Evangelo ai nostri
nipoti con l’uso della musica,
del canto e della pittura. La
faticosa costruzione di un’Europa piena di tradizioni diverse
non deve soffocare i germi vitali di un’Europa di cui quelle
nazioni e le loro chiese fanno
parte in modo indissolubile. Sul
piano ecumenico, la Conferenza
delle chiese europee svolge da
tempo un’opera di collaborazione e di accoglienza per profughi
ed immigrati, per l’inserimento
di stranieri, a Roma, Firenze,
Trieste, Pisa, Bari.
Chi può sottovalutare l’opera
paziente tessuta dalla Federazione, che rimane il segno di una
viva comunione fra le comunità evangeliche italiane e straniere? Queste comunità ritrovano
una rete di amicizie, conoscenze, culture, che non possono essere disgiunte dalla loro fede.
Ma è la loro fede che resterà il
vincolo più importante per stabilire una comunione più forte
delle loro culture. Quella fede
che è vita ed è strumento di
comunione da fede a fede (Romani 1: 16). Per loro, come per
noi, ridiventa vero l’antico detto; Dove è Cristo, ivi è la chiesa.
8
8 prospettive bibliche
25 ottobre 1991
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
Habacuc prostrato e poi risollevato
La terza ed ultima parte del libro
di Habacuc è anch’essa costruita in
tre paragrafi. Il profeta lancia una
specie di invocazione a Dio (3: 2).
Poi assiste a una teofania, cioè ad
una manifestazione gloriosa di Dio
su tutta la terra (3: 3-15). Le parole
usate dal profeta per rendere conto
di questa esperienza visionaria sono
molto classiche: luce, tuono, montagne che tremano. Ma a volte sono
parole sorprendenti. Per esempio, il
profeta fa giungere il Signore dal
grande Sud, dall’Arabia, e non da Gerusalemme o dal Sinai; oppure, per
parlare del Dio di Israele, cita miti
di altre religioni, cananee e babilonesi. Ad ogni modo, in questa teofania, la presenza di Dio eclissa ogni altra realtà, in particolare il caos, simboleggiato dal mare, che Dio doma.
Nell’ultimo paragrafo (3: 16-19), il
profeta visionario è letteralmente annientato, in tutte le dimensioni del
suo essere, da ciò che ha visto. Ma da
queste rovine interiori nasce la gioia
perché sa che il Signore è il suo Dio
e che è lui a farlo vivere.
Questo salmo di Habacuc, specie
di colloquio intimo tra il profeta e
il suo Dio, è nella stessa linea dei due
primi capitoli? Non è stato aggiunto
successivamente? Diversi indizi lo
fanno pensare. Ma coloro che hanno
completato il libro con questo testo
ci permettono di precisare la nostra
comprensione del ruolo del profeta.
Infatti, mentre nei due primi capitoli
abbiamo visto il profeta all'opera,
qui entriamo più a fondo nella sua
intimità. In che cosa consiste l’identità del profeta, a monte della sua attività? L’ahbiamo già detto, non sappiamo nulla della biografia di Habacuc. Tutto quel che possiamo indovinare si trova nel filo del testo. E quel
che ci viene dettò è che il profeta sa
di essere salvato (3: 18) e che riconosce il Signore come il suo Dio, la
sua forza, la sua vita (3: 19). Il profeta è dunque un credente; in quel
mondo di violenza e di ingiustizia,
egli è un giusto. La questione dell’identità del profeta può quindi porsi in questi termini: in che cosa consiste l’identità del giusto? Alla luce
di questo terzo capitolo, e tenendo
presenti i primi due, possiamo dare
a questa domanda due risposte negative e una risposta positiva.
Un universalismo
sorprendente
Prima risposta negativa. Abbiamo
rilevato il probabile contesto geopolitico di Habacuc. Sconvolgimenti in
Medio Oriente, conflitti, fragilità estrema del piccolo Israele incastrato
tra le superpotenze. Ora, anziché ripiegarsi nei suoi confini nazionali,
Habacuc mantiene un universalismo
sorprendente. Abbiamo visto che egli
non teme di utilizzare miti di religioni straniere e che fa giungere il Si
II terzo^ e ultimo capitolo del libro di Habacuc ci permette di far luce
sull identità e sulla vocazione del profeta. Il profeta non è un uomo al
di sopra delle^ parti né un ’’santo” perfetto. E’ un uomo che, giustificato per grazia per mezzo della fede, sta davanti a Dio in ogni circostanza e vive ogmi cosa in sua presenza. Questa è anche l’identità di ogni
credente. Anche noi, quindi, siamo chiamati ad essere profeti nel nostro tempo. (Red.)
gnore da paesi stranieri. Inoltre, usa
un vocabolario vicino a quello del
libro di Giobbe, quel racconto arabo
preso a prestito da Israele. Il tempio
del Signore non è l’edificio situato
sulla collina di Sion a Gerusalemme,
ma l’intera terra. Infine, il nome stesso di Habacuc è un nome straniero e,
per di più, un nome mesopotamico.
In altre parole, in un periodo in cui
la sua comunità di origine è minacciata fin nella sua sopravvivenza, il
profeta rimane tuttavia umanista
o universalista. Non ha alcun movimento di ripiegamento comunitario o nazionale. Israele non viene
« santuarizzato »; non diventa un rifugio in mezzo agli sconvolgimenti
del mondo. Ecco dunque la prima risposta negativa alla nostra domanda: il giusto, personificato qui dal
profeta, non è colui che appartiene
ad un popolo specifico, ad una cultura particolare, ad una comunità messa da parte. Non è questo che lo definisce.
Mancano condanna
ed esortazione
Seconda risposta negativa. Abbiamo notato il contesto di violenza e
di ingiustizia menzionato da Habacuc. Ora, il profeta non fa alcuna
esortazione. Il diritto è beffeggiato in
Israele, ma Israele non è mai condannato o invitato a tornare al diritto, cosa così importante invece per i
profeti dell’Antico Testamento. Israele non è neanche invitato a convertirsi a Dio, a mettere in pratica i suoi
comandamenti. In altre parole, in un
periodo in cui la Torah è sclerotizzata,- in cui la pratica del diritto non
esiste, il profeta non è colui che ha
un comportamento esemplare dal
punto di vista dei comandamenti. Ecco dunque la seconda risposta negativa alla nostra domanda: il giusto
non è colui che mette in pratica i comandamenti del Signore o che chiama gli altri a farlo. Non è questo che
definisce il giusto.
Che cos’è dunque che definisce il
giusto, personificato qui dal profeta?
Abbiamo notato l’importanza molto
grande della preghiera: più di metà
del libro, il che rappresenta un paradosso per un libro profetico. Inoltre il profeta sa che la sua vita è
nelle mani di Dio (1: 12 e 3: 18), vede il Signore vivente e presente nel
caos (3: 3-15), sa di essere conosciuto
da Dio e di conoscerlo (2: 14), sa che
la terra intera è davanti a Dio anche
se questa lo ignora (2: 20), aspetta
in piedi e senza muoversi in mezzo
agli avvenimenti (2: 1 e 3: 16); ecco
alcuni elementi che ci permettono di
individuare l’identità del profeta.
Possiamo sintetizzarli così: il giusto
è colui che, in ogni circostanza, sta
davanti a Dio. E’ in questo modo che
« il giusto vive per la sua fede » (2: 4).
Il profeta: un
giusto che sta
davanti a Dio
Abbiamo iniziato questa serie di
meditazioni bibliche con un intento:
quello di cercare nella testimonianza
del libro del profeta Habacuc un’indicazione per la nostra propria vocazione di profeti. Infatti, se il profeta
è un portavoce di Dio, i testimoni
delTEvangelo che siamo hanno, oggi,
un compito profetico.
Con il primo capitolo, abbiamo visto che non si può essere portavoce
di Dio presso gli uomini senza essere
prima portavoce degli uomini presso
Dio. Ciò implica, prima di tutto, di
essere osservatori attenti della situazione concreta degli uomini e quindi
di interrogarci sull'identità del nostro Dio e degli dei degli uomini. Il
profeta è pertanto prima di tutto un
uomo che interroga. Con il secondo
capitolo, abbiamo visto il profeta rischiare un’interpretazione di ciò che
ha visto. Il profeta, infatti, è testimone, testimone della logica degli uomini e della logica di Dio, testimone
che non si rifugia in una prudente
neutralità ma che è impegnato in un
accompagnamento delle vittime e degli oppressori. Il profeta è pertanto
un testimone compassionevole.
Ma se siamo chiamati ad interrogare Dio e gli uomini e ad essere testimoni compassionevoli, che cosa, a
monte di questa attività, costituisce
la nostra identità di profeti?
Habacuc risponde: il fatto di essere giusti. In che cosa consiste questa giustizia? Essa non consiste né
nell’appartenere ad una comunità
messa da parte né nel mettere in pratica i comandamenti.
Vi è qui un doppio richiamo estremamente pertinente. I discorsi sull’identità vanno di moda, anche in
campo religioso: l’ecumenismo non
va avanti, l’Islam si sviluppa, i nuo
vi movimenti religiosi ci fanno concorrenza, le chiese si svuotano, si sente dire: Ah, se fossimo un po’ più
protestanti! Se alzassimo ben alta la
nostra bandiera! Se ci stringessimo
intorno alla nostra storia, alle nostre
radici, alle nostre tradizioni, alle nostre dottrine! Ma, seguendo Habacuc,
bisogna ribadire che essere giusti
non significa ricercare la pura chiesa
o la pura dottrina. Un’altra tendenza attuale è quella della sopravvalutazione etica. Nell’impegno per i poveri, o per la vita, o per la natura,
starebbe il cuore dell’identità cristiana. Ma, seguendo Habacuc, bisogna
ribadire che essere giusti non significa osservare i comandamenti alla
lettera. Habacuc ce lo ricorda: il giusto è colui che, in ogni cosa, sta davanti a Dio. Nel contesto più difficile,
nelle circostanze politiche o religiose
più diverse, nelle situazioni più caotiche, il giusto è colui che « vede » il
Signore, che lo sente presente, che
gli parla, che spera nella sua manifestazione, che vive insomma ogni
cosa in sua presenza.
La logica incarnata
da Gesù Cristo
E’ proprio questa logica che Cristo ha incarnato. Perciò egli è il
giusto. Ciò che costituisce l’identità di Gesù, il Cristo, non sono i
legami del sangue, l’appartenenza
ad una comunità nazionale o religiosa: non ha fatto altro che superare questi confini. Non è neanche
la sua osservanza della Legge: non
ha fatto altro che farne scoppiare
le distinzioni e i divieti. Ciò che
caratterizza Gesù è che, in ogni cosa è rimasto davanti a Dio. Fin nella sua agonia, fin nella sua morte
su una croce che era segno di maledizione, egli ò rimasto davanti a
Dio. Ciò che costituisce l’identità
del giusto è di stare in ogni cosa
davanti a Dio.
Per questo Paolo, l’ebreo irripro\evoIe alle prese con questa questione della giustizia e della fede,
ha visto giusto nel mettere a! centro della sua maggiore epistola la
citazione di Habacuc. Per questo
la Riforma ha avuto un potente
effetto liberatore nel riaffermare
che questo è l’Evangelo: il giusto
è colui che vive per la fede, cioè
che sta davanti a Dio per la grazia
di Dio. Questo, e null’altro, costituisce la nostra identità di cristiani,
quindi di profeti oggi.
Tutto il resto ci verrà dato in più.
In particolare, ci sarà allora possibile attuare con libertà e con perseveranza i due compiti profetici
che abbiamo scoperto in questo libro: interrogare Dio e gli uomini,
essere testimoni compassionevoli,
Laurent Schlumberger
(3 - fine)
9
25 ottobre 1991
valli valdesi
Occasione
perduta?
PINEROLO
L
Dunque nessun Consiglio comunale delle valli sarà sciolto
perché non ha adempiuto all’obbligo, sancito dalla legge 142/90
sulle autonomie locali, di dotarsi
di uno statuto comunale entro la
metà del giugno scorso, termine
poi prorogato al 11 di questo
mese.
Pochissimi comuni hanno approvato lo statuto entro la metà
di giugno (Angrogna, Usseaux,Torre Pellice, Pomaretto, Roure),
altri lo hanno fatto durante l'estate, la maggior parte ha rimandato a settembre; Lusemetta è
arrivata quasi all’ultimo momento, il 15 ottobre.
Ma al di là di questa speciale
classifica, si possono fare alcune
prime considerazioni.
La legge è apparsa a tutti monca in quanto non prevede possibilità di finanziamento diretto per
i comuni sicché un po’ ovunque
si è sentito dire: « Possiamo fare
elenchi di principi, ma cosa possiamo realizzare se siamo privi di
risorse? ».
Ho sentito invece poche volte
dire, come ha fatto il sindaco di
vaiar Perosa, che «la legge 142,
in tema di diritti dei cittadini, è
fra le migliori partorite dal Parlamento del nostro paese ». Ed in
effetti proprio lo statuto di Villar
Perosa è fra i più ricchi di spunti e di spazi di democrazia; toccherà ora ai cittadini imparare
ad usarlo al meglio. « Non dovrà
più accadere che un cittadino
possa non sapere cosa accade nel
palazzo », ha concluso il sindaco
di Villar.
Non sarà così ovunque, anche
perché in molti casi gli amministratori hanno teso più che altro
a tutelare le proprie posizioni
nella convinzione che i cittadini
abbiano già modo di esprimersi
m occasione del voto.
Per la verità ci sono stati alcuni tentativi di sperimentare nuovi metodi di governo, ricorrendo almeno un po’ alla fantasia e
facendo leva sulle porte che la
legge lasciava aperte.
Ma ci ha pensato ben presto il
Coreco di Pinerolo: pare che solo
lo statuto di Bricherasio non sia
stato "sospeso” in attesa di nuo
vi chiarimenti; a Torre Pellice e
stato deciso di offrire la possibilità di votare nei referendum consultivi anche ai ragazzi sedicenni
(cittadini a tutti gli effetti, in grado di lavorare e di pagare Ze tasse) ed il punto è stato bocciato;
a San Secondo dove invece del
difensore civico, viste le dimensioni del comune, si era scelto il
collegio civico composto da segretario e rappresentanti della maggioranza e della minoranza è toccata la stessa sorte! Molti comuni
che avevano inserito la possibilità di parlare patois o francese
In consiglio hanno dovuto fare
nìarcia indietro. Ma allora di chi
era l’autonomia?
Plervaldo Rostan
Alla fiera delle liste
In vista delle amministrative di fine novembre, rese note le candi
dature dalle forze politiche - Il comitato dei lavoratori autonomi
Sabato 26 ottobre, a mezzogiorno, si saprà quante liste
saranno presenti alla competizione elettorale del 24 e 25 novembre. In Comune hanno predisposto le cose per 16 liste.
Forse non si arriverà a tanto.
Quasi certamente saranno 12.
DC, PSI, PLI, PRI. PSDI, MSI,
Lega Nord, Piemont, si ripresenteranno, mentre per la prima volta saranno presenti PDS,
Rifondazione comunista, la Lista
per ralternativa, i Verdi.
La prima formazione politica
a comunicare i nomi dei propri candidati, tutti in ordine
alfabetico, è stata la Lista per
l’alternativa. Saranno in 30. Confluiscono in questa lista, che è
diversa dal cartello elettorale
presentatosi nel maggio '90 in
quanto l’hanno abbandonata
PCI, DP e Verdi, molti esponenti del mondo sindacale pinerolese (soprattutto CISL) e delPassociazionismo di sinistra
(Arci, Associazione per la pace).
Gli esponenti più noti sono i
due consiglieri uscenti, -Canal e
Chinotti.
Il PDS ha scritto una lettera
al Commissario per ringraziarlo
del lavoro svolto, che dimostra
che "cambiare si può” e che
i diritti dei cittadini possono essere considerati tali e non "favori”. In una conferenza stampa che ha visto la presenza di
Valter Veltroni, della direzione
nazionale, e di Sergio Chiamparino, della segreteria provinciale, il capolista Alberto Barbero
si è augurato che i cittadini
sappiano sostenere le forze dell’alternativa e del cambiamento, prime fra tutte il PDS. ’’Pinerolo non è un test — ha detto Veltroni —, ogni elezione vale
per il suo oggetto. In questo
caso si vota per amministrare
Pinerolo”.
Il PDS illustrerà la lista e il
programma in una riunione che
si terrà il 25 ottobre alle ore
17.30 presso la sede del partito.
Rifondazione comunista presenta candidati dell'ex PCI tra
cui Nebbiolo, di 83 anni, una
figura storica dell’antifascismo
e del comuniSmo pinerolese,
Giovanni Panosetti, ex componente del Comitato centrale del
PCI, Paolo Ferrerò, già segretario
della FGEI e di DP provinciale e
Bonino Vitale, un musicista degli Africa United.
I Verdi, che sono stati indecisi fino all’ultimo se presentare
la lista, sembra che abbiano
optato per la presenza. In lista
Andrea Priptto, Luciano Griso
e Giorgio Gardiol.
Nessuna novità nel PSI. Le proposte di candidatura di Maccari
e Ayassot sono rientrate dopo
una riunione con la segreteria
provinciale. Capolista sarà dunque Rivo.
La lista del PRI, che ha chiamato a Pinerolo nei giorni scorsi il segretario nazionale Giorgio La Malfa, dovrebbe essere
aperta da Stefano Drago.
II PSDI, che alle ultime elezioni aveva raggiunto per im
soffio il quorum necessario per
avere un eletto, si ripresenta e
avrà come capolista il gen. Di
Staso, che ha annunciato che il
suo programma sarà quello di
rivalorizzare la presenza dell’Arma di cavalleria in città. Dalla
lista del PSDI sarà escluso sicuramente il primo dei non eletti, Biagio Vigna, che alle scorse
elezioni aveva fatto propaganda contemporaneamente anche
per candidati democristiani.
Il PLI considera Pinerolo una
roccaforte della sua presenza
in Piemonte. Poche le novità nella lista, che sostanzialmente sarà analoga a quella presentata
alle scorse elezioni.
Piemont si presenterà alle elezioni. Sabato scorso, a raccogliere le trecentocinquanta firme
necessarie per la presentazione
si sono recati sotto i portici,
oltre il cancelliere della Pretura,
Roberto Gremmo, consigliere regionale della Valle d’Aosta e
consigliere della Provincia e del
Comune di Torino, nonché leader indiscusso del movimento
e sua moglie Anna Sartoris, consigliere regionale del Piemonte.
Le firme raccolte non consentono ancora la presentazione ma
Gremmo si è detto fiducioso di
riuscire nelTimpresa. Qualche nome della lista? Tutti di Torino.
Gli esponenti locali sono passati alla Lega Nord (Bonnin)
o al PSI (Enrico Villarboito).
Lega Nord si presenterà e
conta di avere un buon successo. Gli uomini della Lega parlano addirittura di cinque consiglieri. Capolista sarà il consigliere uscente Massimo Depetris,
seguito dalTavv. Ugo Bertello di
Vigone. La Lega registra una
defezione, quella _di Piergiorgio
Reynaudo, consigliere comunale
uscente che, per ragioni di lavoro, quasi certamente non si
candiderà.
Tra le novità politiche vi è
anche da registrare la nascita
di un comitato di lavoratori
autonomi (dagli avvocati ai coltivatori diretti) che martedì 29
ottobre, alTAuditorium, ore 21,
sfiderà i partiti sui loro programmi elettorali.
O. L.
DIBATTITO AD ANGROGNA
Assistenza: giro di vite
L’Autunno in Val d’Angrogna è
anche momento di riflessione sullo stato dei servizi socio-assistenziali in quanto indicatori della
qualità della vita nelle zone di
montagna. Le difficoltà incontrar
te durante quest’anno per non
smagliare la rete dei servizi domiciliari e la continuità della presenza presso il Foyer del Serre di
Angrogna, i tagli previsti dalla
futura legge finanziaria hanno
spinto gli organizzatori ad allargare il confronto, rendendo partecipe la popolazione della ricerca
di tutte le possibili alternative
prima di essere costretti a ridimensionamenti drastici.
Ezio Borgarello, assessore ai
Servizi sociali della Comunità
montana vai Pellice, ha aperto il
confronto notando che oltre alla riduzione progressiva dell’impegno dello stato nei confronti
dei Comuni (a partire dal 1989 sono 200 milioni in meno solo per
MOBILIFICIO
esposizione e laboratorio :
via S. Secondo, 38 ■ tei. (0121) 201712
(di fronte alla caserma alpini)
ABBADIA ALPINA - PINEROLO
il Comune di Angrogna), stiamo
assistendo ad im ritorno del centralismo dello stato che, dopo
aver valorizzato negli anni '70 gli
enti locali (Regioni, Comunità
montane. Comuni) delegando loro una serie di competenze, li sta
ora gradualmente privando di
una loro capacità impositiva per
cui scarseggiano sempre più i
fondi per attuare le iniziative,
giungendo a minacciare la stessa sopravvivenza dei servizi.
Secondo l’attuale governo si deve andare ad una riorganizzazione del territorio e in questa fase
di trasformazione è stata proposta recentemente, proprio dal Comune di Angrogna agli altri Comuni facenti parte della Comimità montana, l’attuazione di una
ripartizione delle risorse socio-assistenziali secondo criteri tali da
permettere di aiutare quei Comuni che con la dispersione della popolazione maggiormente risentono dell’incidenza del costo dei
servizi. Il problema è quindi tuttora aperto.
Secondo Mariena Scassellati
Gaietti, coordinatrice dei Servizi
sociali della USSL 43, ci troviamo a vivere in una situazione di
grande contraddizione: « Noi diciamo nei nostri inta venti che
vogliamo mettere al centro la persona, e poi ci vediamo sempre
costretti a parlare solo di problemi economici — afferma Gaietti —. Se dovessimo ipotizzare di
rinunciare a qualcosa non saprei
da che parte incominciare a
tagliare. I servizi domiciliari
hanno il vantaggio di arrivare pri
VISUS
di Luca Regoli & C. ■■n.c
OTTICA • VlB AmBud, &
J0066 TORBE PELLICE (To)
POMARETTO
Lo sviluppo
montano
Da qualche tempo è in atto
nel nostro paese un ampio ed
interessante movimento teso ad
analizzare e valutare, in modo
diverso rispetto al passato, le
problematiche delle aree montane ed a proporre soluzioni idonee in grado di dare risposte
concrete ai problemi specifici.
Nell’ottica dello sviluppo integrato ed ambientalmente sostenibile, in grado di valorizzare il
ruolo decisivo del settore agricolo e dell’ambiente, fattori di
successo risultano i servizi di
sviluppo agricolo, che devono
essere coinvolti sia nella fase di
impostazione delle differenti iniziative, sia nella fase di attuazione delle stesse.
I servizi di sviluppo, a cui
spetta, in particolare, la ricerca, la sperimentazione e la diffusione delle innovazioni di carattere tecnologico ed organizzativo, vanno progettati ed attuati nelle aree montane secondo
modelli originali capaci di tenere in debito conto le domande
del montanaro. Protagonista, e
non tanto e solo utente delle
azioni formative.
Nello scorso mese di maggio
gli enti di sviluppo agricolo del
Nord Italia hanno promosso a
■Castel Ivano (TN) un meeting
internazionale su « I servizi di
sviluppo nelle aree montane e
svantaggiate: esperienze, obiettivi, strumenti », con la partecipazione di esperti europei.
Venerdì 25 ottobre, a partire
dalle ore 14,30, presso il cinema
Edelweiss, verranno riprese queste tematiche per offrirle all’attenzione di quanti si occupano
delle prospettive delle aree montane. Il tema del convegno è appunto « Prospettive di sviluppo
integrato delle aree montane: il
ruolo dei servizi di sviluppo »;
interverranno esponenti del
mondo politico, economico e dell’Università. A seguire verrà
inaugurata la prima mostra mercato dell’artigianato e agricoltura nelle valli Chisone e Germanasca in quel di Villar Perosa.
La stessa sera, alle ore 20,30, nel
bocciodromo della società operaia, si svolgerà una serata di
musiche eccitane col trio « Lou
Manhaut ». Domenica 27, alle ore
15,30, nel tempio valdese, concerto con i solisti e la Pisorchestra di Barge.
ma, di tenere quindi sotto controllo situazioni che potrebbero
diventare ingestibili ».
Ma cosa succederà se, a partire
dal primo gennaio '92, la Provincia lascerà ai Comuni anche le
problematiche dei minori e degli
handicappati senza il trasferimento di adeguate risorse finanziarie? Si andrà alla paralisi?
Quali altre azioni o quali altre
risorse dovrebbero essere coiqvolte per attuare un migliore radicamento ed ottenere una migliore partecipazione? C’è chi propone di incentivare il volontariato
e di attuare un attento studio circa le possibilità di reperire ulteriori finanziamenti tramite altre
leggi, come è stato fatto quest’anno per garantire la continuazione
dell’opera del Foyer.
L’importante è non lasciar cadere l’argomento prima che ci si
trovi nell’impossibilità di continuare a operare.
Adriano Longo
VILLAR PEROSA
150 posti
in meno
Preoccupazione per il futuro
occupazionale di Villar Perosa è
stata espressa dal sindaco Storero durante l’ultimo Consiglio
comunale del 14 scorso.
Da un incontro avuto a Torino con rappresentanti della SKF
è emersa la tendenza dell’azienda: « Si prevede, da qui al 1992,
la perdita di 150 posti di lavoro
nel quadro della ristrutturazione aziendale », — ha detto il sindaco Storero. Questa riduzione
dovrebbe avvenire non con licenziamenti ma con altri prepensionamenti. La caduta di occupazione dovrebbe inoltre riguardare solo il vecchio stabilimento
e non il nuovo impianto.
L'OTTICO DI LUSERNA
di Federico Regoli & C
Vlft Roma. 43
10082 LUSERNA 8. OlOVANNl (To)
y
10
10 valli valdesi
25 ottobre 1991
COMUNITÀ’ MONTANA VALLI CHISONE E GERMANASCA
La caccia
appassiona ii consiglio
Erano all ordine del giorno anche le mozioni sulla provincia alpina
In molte riunioni degli enti locali i punti all’ordine del giorno
che trattano argomenti di tipo
burocratico passano velocemente, nella noia generale, ma quando si trattano questioni pratiche si assiste ad un risveglio dell’interesse e la discussione si fa
accesa.
Così è successo nella seduta
del consiglio della Comunità
montana valli Chisone e Germanasca di venerdì 18 ottobre, dove si doveva discutere il bilancio di previsione per l’esercizio
’92: bilancio tecnico, ricalcato su
quello dell’anno precedente, con
un aumento destinato a non coprire neppure l’inflazione, anche
se la cifra di oltre 2 miliardi
sembra considerevole.
Ma ecco apparire il tema che,
soprattutto nella stagione autunnale, appassiona di più la gente: la caccia, che vede lo scontro, dalla preistoria ai giorni nostri, dei cacciatori nomadi e dei
contadini che traggono dalla terra le loro risorse.
Il presidente fa sapere che
l’assessore provinciale, Besso
Corderò, propone di aumentare
W numero degli animali da abbattere, cervi e cinghiali.
Si fa osservare che la proposta non incontra il favore dei
cacciatori, che preferiscono tenere animali di riserva per il
futuro. I locali, poi, sono furibondi contro i colleghi di fuori
che fanno man bassa di selvaggina ai loro danni e chiedono la
priorità nelle battute di caccia.
C’è chi teme il lancio della caccia turistica, come si pratica in
Jugoslavia o in Ungheria, costosissima e destinata a pochi.
Entrano allora in campo i difensori degli agricoltori che de
VILLAR PEROSA
No al campo
di motocross
E’ polemica intorno al campo
di motocross di Villar Porosa;
gli abitanti dell’area circostante,
che comprende anche abitanti di
San Germano Chisone, lamentano che tale attività risulta dannosa, oltre che per lo smog prodotto, anche per il notevolissimo rumore che « provoca nevrosi e gravi inconvenienti in una
ampia fascia abitativa, in primo
luogo ai numerosi anziani che
hanno voluto firmare la petizione in corso con sorprendente
e significativa convinzione »; e
in effetti, in pochi giorni, sono
state raccolte oltre 300 firme.
L’iniziativa è partita dalla base, bandendo qualsiasi strumentalizzazione partitica, « nell’esclusiva volontà di liberare la
valle da una grave compromissione ».
Gli oppositori del campo, che
ha ormai una lunga storia, hanno avuto incontri con gli amministratori sul tema; a sua volta
il sindaco. Storero, ha chiesto
un confronto con Comunità montana, Provincia e Regione onde
valutare la portata delle scelte
da adottare su tutto il territorio, visto che è coinvolta tutta
la valle. « Tutti dovranno pronunciarsi — dice il sindaco —
in base alle proprie responsabilità istituzionali; se non lo faranno denunceremo la loro scelta di silenzio e, se del caso, ricorreremo al referendum comunale ». « Non vogliamo comunque dire semplicemente no —
aggiungono gli abitanti della zona — ma presenteremo presto
dei progetti di riutilizzo dell’area ».
nunciano i danni causati dai cinghiali alle coltivazioni e le continue immissioni sul territorio.
Per una modesta pecorella portata all’alpeggio — si dice — occorrono documenti a non finire,
ma nessuno controlla i numerosi allevamenti di cinghiali che
non sono certo lì per abbellire
il paesaggio. Anche la Comunità
montana entra in gioco, perché
riceverebbe le quote versate dai
cacciatori, come avviene per i
tesserini dei funghi. Così, a qualcuno potrà venire il sospetto
che i cinghiali vengano immessi in grande quantità per aumentare le entrate.
Il presidente promette che
consulterà le categorie interessate e anche gli ambientalisti
che, ovviamente, sono dalla parte dei cinghiali, che non darebbero fastidio a nessuno se non
fossero allevati apposta per essere ammazzati.
Il sindaco di Pinàsca, non nuovo a queste battaglie, denuncia
la vita grama degli abitanti della montagna e si scaglia contro
la tribù dei raccoglitori, che oltre ai funghi trafugano mele,
noci, gallinelle incustodite e fa
scine di legna. Secondo lui, siamo ormai maturi per diventare
la riserva degli Apaches della
zona, ^ uso dei turisti.
Al di là delle note comiche e
di baruffe paesane, non ci si può
nascondere che il problema della gestione del territorio è serio
e che non viene mai affrontato
in modo risolutivo.
A questo tema si può riallacciare il punto precedente posto
in discussione e cioè la famosa
provincia alpina. Due ordini del
giorno, uno presentato dal presidente e l’altro dai gruppo PDS
sono stati integrati e approvati.
Si chiede in questo documento
che la provincia di cui tanto si
discute possa favorire lo sviluppo della zona e che abbia le risorse finanziarie per attuare dei
programmi concreti, ma anche
che si definisca un’area montana più vasta, una regione alpina, che si estenda nel futuro alle zone confinanti della Francia.
Questa ipotesi di autonomia
locale e di apertura internazionale è molto suggestiva, quanto
sia realizzabile lo si vedrà in
futuro.
Liliana Viglielmo
LUSERNA SAN GIOVANNI
La salute
delle acque
Anche il Consiglio comunale
di Luserna San Giovanni si è
occupato della salute delle acque; prendendo spunto da una
interrogazione del consigliere
verde P. Gardiol e dalle preoccupazioni che stanno emergendo in seguito alla presentazione
del disegno di legge ’Galli’ sul
riordino del sistema idrico nazionale, si sono susseguiti vari
interventi.
Gardiol chiedeva notizie in
merito ad una ennesima moria
di pesci verificatasi a Luserna,
questa volta nel Pellice, all’inizio di settembre, per verificare
se l’inquinamento fosse partito
dal depuratore e se non sarebbe il caso di riesaminare tutto
il sistema di depurazione delle
acque reflue del Comune.
Da più parti è stato ricordato
che sarebbe opportuno arrivare
ad un sistema di depurazione
di valle in grado di tutelare effettivamente l’ambiente, anche
se resta sempre la possibilità
cbe da fuori valle sia arrivato
qualcuno che ha scaricato in
Pellice sostanze inquinanti. ''Non
sono per altro ancora noti i
risultati delle analisi condotte
datl'USSL", — ha commentato
amaramente il consigliere delegato all’ecologia, Delladonna.
In merito poi al disegno di
legge ’Galli’ è stata decisa una
presa di posizione fortemente
critica verso una proposta di
legge che, nel nome della razionalizzazione e di una presunta
solidarietà fra comuni, finirebbe per penalizzare i paesi montani: "Bisogna riuscire a limitare gli enormi prelievi d'acqua
che già oggi vengono concessi,
finendo per prosciugare i corsi
d'acqua — ha detto ancora Gardiol —; questa legge rischia di
pianificare soltanto il prelievo,
senza tutelare né l'acqua né gli
abitanti della montagna".
Il Consiglio ha poi deliberato
un’altra presa di posizione in
merito alla soppressione della
^ classe dell’istituto tecnico
IPSIA Capetti di Torre Pellice,
dovuta al mancato raggiungimento del numero minimo di
alunni.
La proposta, venuta dalla Lega Nord, ha registrato consenso
quasi unanime, eccezion fatta
per l’assessore Canale che ha
precisato di "considerare valide
le ragioni di chi decide di chiudere le piccole scuole o comunque quelle che non raggiungono
un certo numero di allievi: i
costi diventano elevatissimi e
dunque è meglio che i ragazzi
vadano a scuola a Pinerolo".
Il problema di fondo, hanno
ribadito altri, è dare il massirno di possibilità di studiare ai
giovani, ma nel frattempo tener
d occhio le esigenze del mondo
del lavoro e le tendenze, operando per una formazione idonea; è forse anche per questo
che un istituto come il Capetti
si trova senzA allievi.
In precedenza il Consiglio aveva assunto una serie di deliberazioni, tra cui la conferma delle tariffe per il trasporto scolastico effettuato dagli autobus
comunali e la richiesta alla Regione di poter continuare anche
per l’anno ’91-92 ad utilizzare lo
stabile dell’ex asilo nido per la
scuola materna.
Al di là degli oggettivi problenn di reperire nuovi spazi per
una sezione della materna al
capoluogo, resta curiosa la parte
della deliberazione in cui, per
motivare la scelta, si dice che
non sono mutate le condizioni
che portarono alla chiusura del
nido e che "le esigenze dell'utenza di Luserna San Giovanni vengono soddisfatte dall'istituiio
servizio intercomunale", evidentemente ignorando le richieste
di nuova apertura presentate da
numerosi genitori e le promesse fatte pochi mesi fa dagli amministratori,
P. V. R.
TAVOLA ROTONDA A PEROSA
Il francese:
lingua straniera?
Una conoscenza che è indispensabile in una
zona di frontiera - Un compito per le scuole
L’espressione ’lingua straniera’ è destinata a scomparire dal
vocabolario degli anni 2000, cerile è auspicabile che lo sia
l’ideologia nazionalista che le
sta alle spalle? E-’ possibile nel
vasto panorama delle lingue parlate e scritte sceglierne almeno
una che allarghi i nostri orizzonti al di là dei confini nazionali?
A queste domande dalla risposta scontata si è ispirata la
tavola rotonda inserita nella
’’Semaine du français”, che si
è svolta nell’aula consiliare della Comunità montana, a Porosa Argentina, il 14 ottobre.
"Il francese, oggi — ha sostenuto Giorgio Toum —, è la nostra seconda lingua naturale,
per le radici storiche e culturali
di queste valli, ma rischia di
scomparire nell'uso quotidiano
e deve essere difesa, anche se
non ha il supporto politico di
cui godono il piemontese e l'occitano".
Certo, è paradossale pensare
che una lingua adoperata in tutti i continenti da centinaia di
milioni di persone sia proprio
qui, ai confini con la Francia,
in via di estinzione, ma è pur
vero che sono ormai pochissime
le famiglie dove lo si parla ai
bambini e la pratica quotidiana
è spesso solo più patrimonio di
persone anziane.
secondo la dottoressa
Murici Ausri, docente alla Facoltà di scienze politiche di Tonno. "il francese è una lingua
indispensabile in una zona di
frontiera e riprendendone l'uso
si anticipa un futuro dove sarà
necessario conoscere almeno due
lingue oltre la propria per poter comunicare e muoversi con
disinvoltura non solo in Europa. ma nel mondo”.
Dello stesso parere è stata la
prof. Ginny Boella che si occupa dell’insegnamento delle lin^e nella scuola elementare: si
individua nel francese la lingua
più idonea all’apprendimento
precoce, per la sua immediata
comprensione e anche per la
sua struttura simile a quella
delle parlate locali. Inoltre si
tiovano con più facilità insegnanti preparati, ora che una
seconda linima sta per essere
introdotta nelle elementari.
Uno di questi insegnanti, Romano Bermond, nativo di Pragelato e sperimentatore a Pinerolo, ha rievocato la storia
dell alta vai Chisone, sottoposta
al re di Francia, forse suo malgrado, fino agli inizi del ’700.
I ternpi sono cambiati, ma la
tradizione linguistica è rimasta,
nei nomi di famiglia c dei villaggi, nei canti popolari e nei
ricordi degli anziani, che si recavano in Francia ben sovente per
trovare lavoro.
Anche l’ambasciata francese
e il ministero degli Esteri si
occupano di diffondere la lingua
negli altri paesi: il direttore del
Bureau linguistique, Mangenot,
ha assicurato l’appoggio di questa istituzione a tutte le iniziative di insegnamento, con videocassette, registrazioni e altro materiale di lavoro. Si possono avere degli scambi con
studenti francesi che a loro volta studiano l’italiano.
Le relazioni sono state seguite con attenzione da un buon
numero di ascoltatori, per lo
più insegnanti, e gli organizzatori, tra i quali l’infaticabile direttore Calvetti, si sono detti
soddisfatti dell’interesse suscitato dall’iniziativa. Ma alla conclusione è emersa la richiesta
più attuale e anche più difficile da realizzare, cioè la possi
bilità di ricevere nella nostra
zona i programmi della televisione francese.
Il presidente della Comunità
montana, Erminio Ribet, ha dichiarato che i problemi tecnici
sono per ora impossibili da risolvere, ma si è impegnato a
fare dei passi concreti per procurare al territorio un utile
mezzo di approfondimento culturale.
L. V.
■ Oggi
e domani
Concerti
SAN GERMANO — Sabato 26 ottobre, presso la Sala valdese di via
Scuole, con inizio alle ore 21, si terrà il concerto del Gruppo Teatro Angrogna intitolato: E mi chantou. Canti
e danze di lavoro e di festa, d'amore
e di guerra, d’emigrazione e di protesta, per dimenticare la sofferenza,
la fatica, il dolore, per sperare, per
lottare per un mondo migliore.
Ingresso libero, tutti sono cordialmente invitati a partecipare.
Manifestazioni
TORINO — Giovedì 24 ottobre, alle
ore 17, davanti alla sede del consiglio
provinciale in piazza Castello, si svolgerà una manifestazione di protesta
per la difesa delle Comunità alloggio,
dei Centri diurni e dei sostegni economici delle persone handicappate.
Tutti questi servizi socio-assistenziali,
che devono essere trasferiti alla fine
dell'anno dalla Provincia ai singoli Comuni, rischiano di venir meno perché
la Provincia non intende trasferire anche le risorse, il personale e le strutture.
Segnalazioni
TORINO — Sabato 26 ottobre, presso il Sermig, in piazza Borgo Dora 61,
si svolgerà una giornata di informazione sul tema: « I corsi prelavorativi
per handicappati intellettivi: cinque anni di esperienza ». Inizio ore 9,30.
Dibattiti
PINEROLO — Il « Movimento per la
democrazia-La rete » organizza un dibattito pubblico presso il Centro sociale di via Lequio la sera del 25 ottobre 1991, alle ore 21, sul tema: « La
Rete tra movimento e partito ». Introdurrà il dibattito Angelo Tartaglia,
Cinema
TORRE PELLICE — Il cinema Trento
ha in programma, venerdì 25 ottobre,
ore 21,15, il film ■■ Il silenzio degli
innocenti », di J, Demme.
Autunno in vai d’Angrogna
ANGROGNA — Si conclude col prossimo fine settimana l'Autunno in vai
d’Angrogna; venerdì 25, ore 21, nel
tempio valdese di Pradeltorno, verrà
presentato il "quaderno" del Centro di
documentazione sui toponimi dell'alta
vai d'Angrogna, zona Pradeltorno, a cura di Emilio Buffa e J. L, Sappè; sabato e domenica mostre di prodotti
agricoli, mostra del pittore Guy Rivoir,
castagnata e, in serata, nel tempio
valdese, concerto del coro alpino
« Sott. Santin » delTANA di Torino.
Corsi
TORRE PELLICE — Le persone interessate ai corsi di tedesco organizzati dal Collegio valdese avranno un
incontro preliminare mercoledì 30 ottobre, alle ore 18, presso il Collegio;
con i primi di novembre inizierà anche un corso di spagnolo.
11
r
25 ottobre 1991
lettere
11
PIU’ POLITICA
Mi è capitato di discutere con alcuni amici deH'impegno sociale e politico delle Chiese valdesi e metodiste; di come gli evangelici prendano
a cuore le iniziative per la pace, di
lotta alla mafia, di come si discuta
sulle implicazioni fede-politica [ho citato ad es. il dibattito sull'otto per
mille) ecc., ma avevo davanti a me
il n. 38 de « La luce » ed uno di questi
amici, dopo averlo sfogliato, è rimasto sorpreso e meravigliato di non
trovare, tra gli articoli del settimanale delie nostre chiese, traccia degli
argomenti di cui avevamo parlato.
E con lui, anch'io.
Mi sono chiesto: com'è possibile in
questo particolare momento non scrivere dei problemi più attuali?
Si può omettere di parlare della Jugoslavia, di mafia, della finanziaria, eoo.
senza rischiare di apparire alieni, fuori dal tempo e dalla storia?
Certo anche le notizie sui battesimi, sugli orari dei culti, sui bazar e
così via sono importanti (ma non a
livello nazionale), però non possono
occupare tutto lo spazio di un settimanale che ha ben altra pretesa rispetto all’essere un bollettino parrocchiale, come di fatto appare in certi
numeri.
Augurando buon lavoro alla redazione ed un impegno sempre più ampio
in ogni campo per il giornale, invio
fraterni saluti.
Pino Testa, Riesi
UN ’’PONTE
PER BAGHDAD”
Quarant'anni fa si parlava di genocidio. Questa parola, un neologismo
molto espressivo, indica l'uccisione, la
distruzione dì un'intera razza (come
allora aveva tentato di fare Hitler con
gli ebrei in Europa) o di un intero
popolo... come purtroppo sta accadendo nell'Iraq sconfitto dagli assertori
(e dominatori assoluti) del ■■ nuovo ordine mondiale », cioè gli Stati Uniti di
Bush, e i loro satelliti europei.
infatti secondo le notizie che ci vengono da quel paese, censurate per lo
più dalla stampa e dalle ormai molte
testate radiotelevisive, alla guerra « chirurgica » che si dice abbia risparmiato la popolazione civile (ma fino a
che punto? ricordiamo tutti il deliberato bombardamento di un rifugio affollato da centinaia di civili) è seguito, e dopo otto mesi è in pieno svolgimento, un tragico periodo di carestia, di mancanza di acqua potabile,
di servizi essenziali, di energia elettrica, che sta provocando la morte di
decine di migliaia dì persone innocenti, specie di bambini e di vecchi, per
la fame e le infezioni intestinali.
Per risanare questa situazione sarebbe urgente che fosse interrotto l'embargo sui generi di prima necessità,
sui farmaci, sui pezzi di ricambio necessari per la riparazione delle macchine, rese inutilizzabili dalla guerra
o comunque in avaria. In Iraq esisteva una società abbastanza sviluppata;
vi erano un servizio sanitario e degii
ospedali che non sfiguravano al confronto con molti dei nostri. Non si
può interrompere di colpo la vita dì
una società sviluppata (si è parlato di
ritorno a una società « preindustriale »)
senza contraccolpi gravissimi sulla
stessa sopravvivenza delle persone.
Dal rapporto di Sadruddin Aga Khan,
rappresentante del Segretario generale
dell’ONU per i problemi umanitari nell'area, rapporto in cui è delineata la
situazione catastrofica alla quale accennavo necessariamente in poche parole, si apprende che l'Importazione in
Iraq di cibo e medicinali è stata autorizzata dall'ONU dal 22 marzo scorso. Ma l'Iraq non può pagare (è la
legge « democratica ■ del mercato!).
L'ONU nello scorso giugno ha autorizzato lo scongelamento dei fondi iracheni in Occidente, per l'invio in quel
paese di prodotti ■ umanitari ». I democratici governi delle nazioni sviluppate dell'Occidente hanno finora negato l'utilizzo dei fondi e quindi le esportazioni. In alcuni casi sono bloccate
delle partite già pagate dall'Iraq prima della guerra!
Questo mi sembra si debba chiamare genocidio: viene punito con la morte un popolo innocente, egli stesso
vittima di un tiranno sanguinario che
trae da questa situazione sempre maggior potere personale. Cito dal rap
porto di Sadruddin Aga Khan: « Rimane principio cardine umanitario che dei
civili innocenti — e tra questi i più
deboli — non dovrebbero essere tenuti in ostaggio di avvenimenti al di
là del loro controllo. Coloro che già
sono stati colpiti dalle devastazioni
della guerra non possono continuare
a pagare il prezzo di un'amara pace »
(da «il manifesto » del 9/10/'91).
Credo che la coscienza dei credenti
si debba rivoltare di fronte a queste
atrocità. In questo tempo, in cui l'informazione è sempre più asservita ai
modelli propagandistici vincenti, ritengo che sia sempre più preziosa la
funzione di controinformazione (non si
usa più molto questa parola ..) che
l'Eco-Luce può dare su queste tema.
Chiudo segnalando l'appello « Un ponte per Baghdad », per la raccolta di
fondi da devolvere, in collaborazione
con rUNICEF, per l'installazione di un
potabilizzatore per Qaiat Saleh (25.000
abitanti, senza acqua potabile, colpiti
da diarrea, tifo, febbre maltese). La
campagna ha già fruttato 150 milioni,
ne mancano ancora altrettanti. Le offerte possono essere inviate ai co postale 77789006 (intestato a Democrazia proletaria), o versate tramite bonifico bancario sul c/o bancario n.
2724812 del Banco di Napoli, Ag. 1,
Roma, intestato a Vauro Senesi.
Fraternamente.
Marco Tullio Fiorio, Napoli
L’AMBIENTE DA
SALVAGUARDARE
Egregio Direttore,
esiste in un quadrilatero ideale, delimitato da Pinerolo, vai Chisone, vai
Sangone e comuni della pianura, una
vasta area ricca soprattutto di grandi
boschi di latifoglie, a volte quasi
« vergini », davvero di rara bellezza per
una provincia così densamente abitata
come quella di Torino.
Orbene andando in cerca di funghì,
dopo anni di « magra », constato amaramente quanto segue;
— alcuni sentieri (dall'Infernotto alia Fontana Torino, dal Oro a Coumba
la Pera e giù verso la comba del
Gran Dubbiane, ecc.) sono diventati
ampie « camionabili » di 4-6 metri di
larghezza con slarghi dove può girare
un pullman;
— conseguentemente si è proceduto a massicci disboscamenti;
— in località « Merlerà », tra Giaveno e Cumiana, imperversa un bruco,
una « gatta pelosa » che si sta- divorando ettari di bosco;
— dulcis in fundo, è il caso di
dirlo, fra Costagrande e la strada del
Talucco ho visto un'incredibile serie di
tralicci tipo alta tensione, ma forse è
una specie di teleferica, non si capisce bene, davvero orribile dal punto
di vista paesaggistico (possibile che
nessuno dei residenti, sono molti, abbia fiatato!?).
Morale della favola: continuando così tra vent'anni la zona di cui parlo
diventerà un deserto pronto per il cemento; interessa a qualcuno oltre che
al sottoscritto?
Il periodo preelettorale è ottimo per
le riflessioni.
Fulvio Cosso, Prarostino
SUOR ERNESTA E
LE DIACONESSE
Leggendo sul settimanale degli scritti che contengono le belle espressioni di ammirazione che onorano suor
Ernesta (diaconessa evangelica valdese) per essersi prodigata verso gli infermi durante tutta la sua vita, mi
sono sentito incoraggiato a palesare
quanto covo nel cuore da tanti anni.
Suor Ernesta è stata una delle tante luci d’amore cristiano che hanno
rischiarato il mondo tenebroso in cui
viviamo. Ma questa luce deve spronarci a ripercorrere la strada del bene;
quella strada offuscata da tanto tempo dalle false ideologìe, dagli errori,
dall'inquinamento etico e culturale e
da tutti quei fuorviamenti che oscurano il nostro mondo.
Più d’una volta mi ero ripromesso
di fare qualcosa per la bella istituzione
delle diaconesse; però le sventure personali, gli intoppi sociali mi hanno
sempre costretto a rimandare tanti
propositi e ad arrestare le mie iniziative di bene. Perciò, mentre da una
parte ammiravo entusiasticamente
l’istituzione delle diaconesse in parole, dall'altra m'invadeva lo scoraggiamento che purtroppo affievoliva le mie
speranze per dare una spinta morale
e pecuniaria alla Casa diaconale di
Torre Pel lice.
Nella nostra società fuorviata, talvolta prevale l’affievolimento di tante
iniziative, arrestando lo slancio generoso. Le vocazioni di tante giovani,
chiamate da Dio a dare una mano
nelle opere dì bene, si spengono sotto l’allettamento del falso benessere,
sotto il soffio delle attrazioni mondane ed edonistiche. Sicché anche le
suore evangeliche (al pari di quelle
cattoliche), aspiranti a portare l'olezzo
della carità negli ospedali e nelle case di riposo, sono andate assottigliandosi. Però, come accade a tutte le
piante resistenti agli uragani meteorologici, a me sembra che le opere di
bene prevalgano sulle tenebre sociali;
e tante anime chiamate a dare la loro energia cristiana sono ancora testimonianza di bontà. Infatti mi risulta che non poche giovani dei nostri
tempi s’incamminano sui santi sentieri per ripopolare l'immenso giardino
dell'amore cristiano onde spargere i
petali della carità su chi soffre, sotto
la guida dello Spirito Santo.
Sicuramente l'opera svolta da suor
Ernesta, insieme a tante altre (evangeliche o cattoliche ohe siano), rifulge
come sprone benefico nel cuore di
tante giovanotte cristiane affinché siano attratte dal bel desiderio di lavorare a favore di chi soffre.
E' stata la testimonianza di suor
Ernesta, appresa su questo giornale,
a ridestare nel cuore di molti di noi
la vocazione di lavorare con ogni mezzo, morale ed economico, per aiutare
l'istituzione diaconale onde farla rivivere e prosperare sulla strada di Cristo redentore.
Eiio Giacomelli, Livorno
DONNE EMARGINATE
Ben volentieri plaudo al Sinodo 1991
per quanto esprime circa la ,« valorizzazione »... delle « competenze e i doni » dì molte donne della chiesa « non
solo nel campo diaconale ».
Ho letto, pertanto, attentamente i
nomi delle persone facenti parte dei
vari « esecutivi, commissioni », eoe...
Mio malgrado ho dovuto constatare
che non sempre e neppure in modo
equipollente è stato attuato dal suddetto Sinodo (o dal suo seggio) il sullodato criterio di « valorizzazione ».
Per esempio a pag. 4 del n. 35 del
13.9.'91, nella rubrica «Le decisioni
assunte », viene riportato che il seggio ha nominato la Commissione prevista all'alt. 15, composta da 6 membri, di cui uno solo è donna. Anche
nella «Riconferma», in pag. 11, la
Commissione è formata da 6 membri,
di cui uno solo è donna (relatrice).
Lo stesso dicasi per la « Commissione Villa Olanda », evidenziata a pag.
7, formata da 9 membri di cui uno
solo è donna (relatrice).
In diversi punti il Sinodo dimostra
di non aver ancora acquisito nel suo
modo di esprimersi una mentalità che
« valorizzi » la donna anche con l’uso
del linguaggio « esplicito ». Per esempio l'artìcolo « Apertura ecumenica »,
di pag. 3, afferma che il Sinodo « augura ai fratelli valdesi e riformati... »,
ecc. Se non prima, almeno subito dopo il termine « fratelli », avrebbe potuto (o dovuto?) scrìvere il termine
« sorelle », il corrispondente femminile
di fratelli..
Qualcuno potrebbe tacciarmi di puntigliosa pignoleria; reputo che costui
sbaglierebbe, poiché anche il linguaggio « esplicito » serve a « valorizzare »
la donna.
Mi compiaccio col moderatore Malan, che inizia il suo « Saluto » con
• Cari fratelli e care sorelle », le quali, però, vengono dimenticate nel penultimo capoverso, dove sì legge soltanto « fratelli ». Per giustificare simili « distrazioni » una volta si soleva
ripetere un celebre emistichio di un
verso oraziano: « quandoque bonus dormitat Homerus ».
A pag. 4 in « Approvazione » e in
« Sciaffusa e S. Gallo » si legge: « Il
Sinodo... accoglie questa comunità dì
fratelli con gioia... ». E le « sorelle »
dove sono? Se ci sono, come sicuramente ci sono, perché non nominar
le in modo « esplicito »? Perché continuare ad usare un linguaggio « inclusivo », come al tempo di Paolo,
che indirizzò alcune sue lettere ai
« santi » ed esortò ì « fratelli » a salutarsi gli uni gli altri col santo bacio?
Con sentito compiacimento devo rilevare che a pag. 6 in « Testimonianza » si legge: « Il Sinodo... invita le
sorelle e i fratelli cristiani... », eccetera. Di quando in quando affiora il
linguaggio « esplicito », purtroppo spesso sommerso dalla nostra « forma
mentis » maschile. L'uso di questo
linguaggio deve costituire non una eccezione, bensì una norma contìnua nel
nostro parlare e scrivere.
Che la « forma mentis » maschile
(non maschilista, la quale In tal caso
deprecato sarebbe un « morbo ») sia
prevalsa nel Sinodo '91 lo si nota anche nelle votazioni per gli «Incarichi
1991-92 ». Senza scendere nei particolari mi limito a rilevare che su 46
persone elette, 35 sono uomini e 11
donne, alle quali, eccezion fatta per la
« vicemoderatrice » (sic!), è stato conferito il semplice incarico di « membri ». Perfino per il Sinodo 1992 sono
stati eletti 3 uomini. Donde appare
evidente che la tanto auspicata e conclamata « pari opportunità per le sorelle e i fratelli », come si legge ne
« La sfida del linguaggio », « che compongono la chiesa », è ancora di là
da venire.
Convengo che non si debba « omologare il femminile al maschile »; mi
pare tuttavia opportuno esplicitare continuamente, dove è necessario e possibile, l'esistenza di un femminile. Né
sì creda, erroneamente, di far « violenza » alla lingua italiana, allorquando un
termine di genere maschile riferito all'essere umano viene sostituito col
suo corrispondente di genere femminile, cambiandone la desinenza o premettendogli un articolo di genere femminile al posto di quello maschile.
Molti termini sono tuttora soltanto
maschili, poiché nel passato solo i
maschi ricoprivano le cariche o esercitavano le attività espresse con i suddetti termini. Oggi invece molte di esse sono ricoperte o esercitate da donne; è ovvia quindi la sostituzione dei
termini maschili con i corrispondenti
femminili. Se questi non esistono, si
coniano, s’inventano. Si faccia pure
la revisione di alcuni inni, delle formule liturgiche; soprattutto, però, si
deve operare la » metànoia » nella
« forma mentis » di ognuno di noi uomini.
Bruno Ciccarelli, Catania
L’OBOLO
DI SAN PIETRO
Spettabile Credito Italiano,
sono titolare del c/c 24324-00 presso la vostra sede di Torino. Mettendo
in ordine vecchi estratti conto, ho notato che in quello del dicembre '90
(di cui allego fotocopia) comparivano
fe istruzioni per effettuare versamenti
su un conto intestato ad un non meglio precisato obolo di san Pietro a
disposizione di un non meglio precisato santo padre :per le necessità della chiesa (quale chiesa?), lo francamente ignoro cosa sia l’obolo di san
Pietro e di padre conosco solo il mio,
che non ho mai chiamato santo.
Scherzi a parte, visto che vi mostrate così solleciti nell'informare i
vostri clienti su come finanziare la
Chiesa cattolica romana, potreste almeno fornire analoghe informazioni su
come finanziare tante altre chiese presenti in Italia.
In caso contrario, mi pare che sarebbe stato più opportuno, e meno
scorretto, astenersi da una simile forma di gratuita e subdola pubblicità.
Distinti saluti.
Paolo Carbonatto, Torino
<c Poiché io son persuaso che né
morte, né vita, né angeli, né
principati, né cose presenti, né
cose future, né podestà, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci
dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore »
(Romani 8: 38-39)
L’undici ottobre 1991 è venuto a
mancare airaffetto dei suoi cari
Mario Macchioro
A tumulazione avvenuta, ne danno
il triste annunzio la moglie Rosetta, ì
figli Daniela e Paolo, la nuora Laura,
il nipotino Matteo, le sorelle Bianca
e Grazia con il cognato Carlo che lo
ricordano a parenti ed amici per mezzo dei versetti da lui voluti per il suo
necrologio.
Trieste, 11 ottobre 1991.
« E questa è la promessa che Gesù ci ha fatto: la vita eterna »
(I Giovanni 2 : 25)
E’ mancato all’affetto dei suoi cari
Enrico Rostain
Ne danno il triste annuncio la moglie Èva L’Eerivain, la nuora Claudia
Lattes e la nipotina Silvia, il fratello
Aldo con la moglie Maria Teresa Greco
e i figli Riccardo e Maurizio, la cognata
Carla Zavaritt-Rostain, nipoti, cugini e
parenti tutti.
Bologna, 17 ottobre 1991.
RINGRAZIAMENTO
« La mia grazia ti basta, perché
la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza »
(Il Corinzi 12: 9)
I f amiliari di
Erminio Filippo CardioI
commossi e riconoscenti per la dimostrazione di affetto e di stima ricevuta
in occasione della morte del loro caro,
ringraziano tutti coloro che sono stati
loro vicini in questa circostanza.
In particolare ringraziano il past.
Klaus Langeneck, il personale medico
ed infermieristico dell’Ospedale valdese
di Torre Pellice, il medico curante dott.
A. Ciancio, il dott. Ferrerò, tutti coloro che in modi diversi hanno permesso
alla sua compagna un’assistenza quotidiana durante il lungo periodo di malattia, coloro che negli ultimi giorni gli
sono stati vicini con la loro presenza
e la loro assistenza ed infine l’Associazione carabinieri della sezione di S.
Germano.
Prarostino, 25 ottobre 1991.
Obolo di San Pietro. La Santa Sede
ha aperto presso l’Agenzia n. 15 di
Roma il conto corrente n. 50.000/00
intestato a — Obolo di San Pietro —,
a disposizione del Santo Padre per le
necessità pastorali della chiesa. Il versamento può essere effettuato sul suddetto conto presso qualsiasi nostro sportello.
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25 ottobre 1991
TERZO MONDO E INGIUSTIZIE SOCIALI
La democrazia non è sufficiente
Nonostante i
condizionata
I pluralismo e
dalle disastrose
la possibilità delle libere elezioni, la vita dei popoli latinoamericani è fortemente
condizioni deM’economia - Si è veramente liberi senza garanzie sociali primarie?
Dall’America Latina ai paesi dell'Est europeo gli ultimi anni
sono stati caratterizzati dalla democratizzazione. Non tutti i problemi, tuttavia, sono venuti meno; questo articolo affronta le questioni enormi della giustizia e della fame.
L’oscillazione che ha conosciuto TAmerica Latina tra regimi
autoritari e governi democratici
ci conduce in maniera naturale
allo scetticismo, o almeno a una
grande prudenza quando si parla del suo futuro politico. Gli
anni ’90 hanno aperto un periodo eccezionale per questo continente: per la prima volta dall’indipendenza tutti i paesi, tranne uno, sono guidati da governi eletti, e intendono consolidare il regime democratico.
E’ paradossale che questa
apertura democratica prenda
forma in coincidenza con la « crisi del debito », al termine di dieci anni di una crisi economica
di proporzioni tali che si è parlato di « decennio perduto ».
Nello stesso tempo questa realtà suscita dei dubbi relativamente all’irreversibilità del processo
democratico, tanto le condizioni
socioeconomiche lasciano intravvedere il disfarsi del nuovo regime.
Il processo di democratizzazione che vive l’America Latina copre tutti i paesi, e tutti i tipi
di governo, non solo quelli affermatisi con il rovesciamento di
un regime militare. Alcuni paesi
la cui democrazia è relativamente stabile, come la Colombia o
il Venezuela, sono chiamati anche a fondare una cultura democratica e le istituzioni corrispondenti, dovendo allo stesso
tempo confrontarsi con la crisi economica e con diseguaglianze sociali di estrema gravità.
Ora questi sono compiti che
sembrano antagonisti, o quanto
meno impossibili a realizzarsi simultaneamente.
La democrazia
è fine a se stessa?
Il clima politico nel mondo e
nel continente latinoamericano
ha apparentemente fatto pendere la bilancia verso una gerarchizzazione della società che autorizza la priorità al consolidamento della democrazia. La questione della giustizia sociale è
così rinviata a più tardi, proprio lei che ha ispirato tanti pro
getti politici e programmi di governo negli anni ’60 e ’70 (e fra
questi anche governi militari, come quello, in Perù, di Velasco
Alvarado, che promosse delle riforme sociali estremamente radicali).
In questo senso la democrazia
rischia di morire, se si definisce
come qualcosa di fine a se stesso, limitandosi alla possibilità di
indire la libera elezione dei governi.
Questa concezione è troppo limitata, come illustra l’esempio
del continente latinoamericano.
Perché il sottosviluppo economico, nato dalla crisi economica
del continente, combinata con la
recessione mondiale, ha dato origine a situazioni ingovernabili.
L’America Latina ha subito perdite significative sul mercato
mondiale dei beni e dei capitali.
Secondo le cifre del Pondo monetario internazionale la sua parte nel commercio mondiale, tra
il 1950 e il 1989, si è ridotta passando dal 9,6 al 4,8% dell’insieme delle importazioni e, fatto
ancora più grave, daH’ll,! al
3,9% delle esportazioni. Queste
cifre mettono in evidenza l’indebolimento delle capacità produttive del continente, che, a meno di un’inversione di tendenza,
rischia di attirare sempre meno
investimenti e sprofondare sempre più. Il debito e la fuga di
capitali hanno raggiunto proporzioni mai viste.
I diseredati
Parallelamente è aumentata la
disoccupazione, l’insieme delle
condizioni di vita si è degradato. Il numero dei « diseredati »
ha fatto un balzo in avanti: secondo uno studio di Oxford Analitica (Latin America in perspective, Oxford University Press,
1991) esso è aumentato negli anni ’80 quasi due volte di più che
nei vent’anni precedenti. E’ passato nel 1989 a 170 milioni, 40
in più che nel 1981: tra il 1960
e il 1981 l’aumento era stato di
22 milioni.
Abbiamo a che fare con una
grande povertà, che colloca lar
reco
delle valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi e metodiste
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Collaboratori; Daniela Actis (segreteria), Mitzi Menusan (amministrazione), Stelio Armand-Hugon, Mariella Taglierò (revisione editoriale),
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ghi strati sociali al limite della
fame, sprovvisti di casa e di servizi minimi. Queste fasce sono
escluse da ogni forma di educazione, che potrebbe permetter loro di avviarsi a un ruolo di cittadini, nella pienezza dei loro diritti e doveri.
Non meno di un terzo della
popolazione dell’America Latina
è così marginalizzato (mentre il
10% di essa, i ricchi, si accaparrano la metà della ricchezza totale). Inoltre si profila il rischio
che il miglioramento delle competenze economiche, combinato
con una libertà di mercato accresciuta, favoriscano un aumento di concentrazione delle ricchezze, e non una loro più larga diffusione.
Una certa ideologia, divenuta
trionfante dopo il crollo del modello socialista, presenta il mercato come sinonimo di democrazia. IVIa il mercato è anche
un elemento politico, una relazione di potere, e l’atteggiamento adottato nei suoi confronti
può permettere di attenuare
l’estrema concentrazione delle
ricchezze. Come ci possono essere cittadini liberi, e quindi reale partecipazione alla vita demo
cratica, senza garanzie sociali
fondamentali (accesso all’educazione elementare, alla sanità, all’alimentazione ) ?
La democrazia può consolidarsi senza affrontare questo problema, senza proporre una vita
dignitosa a ogni cittadino? C’è
da temere che questa scelta non
sia stata fatta, tanto sembrano
accumularsi gli ostacoli interni
ed esterni. (...).
In un contesto di liberalismo
economico e di indebolimento
delle capacità redistributive dello stato, lo status quo economico è nel migliore dei casi mantenuto con il suo seguito di povertà e di frustrazione dei bisogni essenziali per gran parte
della popolazione.
Inoltre il processo di transizione verso la democrazia è per
definizione fondato sulla garanzia della stabilità e del consenso generale. I governi autoritari
hanno molto spesso fissato essi
stessi i limiti di cambiamento,
ponendo dei « tabù » per quanto concerne le riforme sociali e
le istituzioni militari. Hanno operato per la salvaguardia dei settori che avevano dato il loro sostegno alle dittature. Per esem
pio, la nuova Costituzione promulgata in Colombia dal 5 luglio non ha modificato per nulla il ruolo dei militari.
Ora questo desiderio di « continuità » potrebbe portare a
escludere quegli stessi che fanno pressione per il cambiamento. La teoria politica fornisce
argomenti sufficienti a coloro
che intendono prima di tutto
consolidare 1’« abbozzo » della
democrazia, e che ritengono che
non ci sia relazione diretta tra
la conduzione degli affari politici e l’efficacia nella gestione dell’economia, la capacità di offrire beni pubblici come l’impiego
o la redistribuzione del reddito.
La legittimità politica dovrebbe fondarsi allora prima di tutto
sulle libertà civili?
E’ ciò che pensa la sinistra
latinoamericana, così come il
nuovo governo cileno, che ha appena deciso di non modificare
il modello economico ereditato
dal regime militare. )VIa mantenendo un vero e proprio « apartheid sociale » si può progettare un « consolidamento della democrazia »?
Alicia IPuyana
( UNESCO-Sources )
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