1
l’impegno
K Ml
*"kn
C N » ■
Cari fratelli e sorelle,
1 - Per la prima volta delegati di tutte le chiese d’Europa
si sono trovati insieme, provenendo dall’Est e dall’Ovest, dal
Nord e dal Sud, superando
frontiere confessionali e politiche che solo poco tempo fa sembravano insuperabili. Per quanto profonde siano state le ferite del passato in Europa, i
legami che ci uniscono in Cristo si sono verificati ancora
più forti. Sta per nascere una
comunione che ci riempie di
speranza e di riconoscenza.
2 - « La giustizia e la pace
si sono abbracciate». Questa
parola del salmista è stata la
linea direttrice della nostra assemblea. Ma quanto siamo ancora lontani da questa promes
sa! Milioni di donne, uomini.
bambini sono vittime della po, vertè, della fame, della guerra.
Costantemente sono violati i diritti dell’uomo; specie animali
e vegetali spariscono definitivamente. La vita di noi tutti e
quella delle generazioni future
è oggi messa in discussione.
3 - Che cosa dice in quest’ora
l’Evangelo a noi, cristiani d’Eu
ropa? La condizione pregiudi
testimonianza
conversione:
Creatore che
provvede ad
sue creatua Gesù Cri
ziale per una
credibile è la
conversione al
nel suo amore
ognuna delle
re; conversione
sto. figlio di Dio, che ha vissuto
prima di noi la vera umanità;
conversione allo Spirito Santo,
la fonte della nuova vita. Come
cristiani europei abbiamo una
grande responsabilità nella
causa della crisi odierna. Per
questo chiediamo a Dio di perdonare il nostro peccato e di
darci la forza di convertirci,
per divenire strumenti della
sua pace.
4-11 progetto di Dio per
l’umanità rimane un mistero
che nessuno può sondare: ma
fondandoci sull’Evangclo noi
abbiamo la certezza che Dio
vuole condurre la sua creazione
alla redenzione. In base a questa certezza noi vogliamo resistere a ogni tipo di fatalismo.
Come l’apostolo Paolo, anche
noi siamo oggi incaricati di
trasmettere l’esortazione: «Siate riconciliati con Dio! ». Ma
lasciarsi riconciliare con Dio significa nello stesso tempo resistere alle forze della distruzione e della morte.
— Ogni essere umano, indipendentemente dal sesso, dalla
razza, dalla nazionalità, dalla
lingua porta in se l’immagine
di Dio ed ò perciò membro con
pieni diritti della società. Dobbiamo testimoniare chiaramente che Cristo stesso soffre in
tutti quelli la cui dignità è calpestata; dobbiamo saperlo seguire nel suo essere dalla parte degli oppressi, di quelli che
sono privati dei loro diritti, dei
torturati. Vogliamo affermare i
diritti dei profughi, e ci impegniamo a costruire una società
nella quale uomini e donne si
dividono in modo uguale le responsabilità.
— Miseria e fame sono uno
scandalo, e non ci possono
lasciare tranquilli. Ci impegniamo, sia a livello mondiale che
a quello locale, ad una politica
di condivisione e a sostenere
ogni passo nella direzione di un
alleggerimento del debito, che
opprime tanti paesi del Terzo
Mondo.
— La guerra come mezzo
per risolvere i conflitti deve essere superata. Faremo tutto il
possibile, ognuno nel proprio
paese, perché si realizzi la visione di una sicurezza comune.
Ci impegniamo oggi a creare,
al di qua e al di là delle frontiere. un clima di fiducia, nel
quale possa crescere la disponibilità a un disarmo sia nucleare
che chimico e convenzionale.
La testimonianza della nonviòlenza è inscindibilmente legata
al cammino della riconciliazio
ne.
Questa è la nostra speranza.
Questa è la nostra preghiera.
— Dobbiamo lottare contro
l’illusione che lo sfruttamento
della natura sia senza limiti.
Un rapporto pacifico con la natura presuppone la rinuncia alle strutture che minacciano la
vita, sia nell’economia che nella società. Abbiamo constatato
in questi giorni, una volta di
più, che deve essere drasticamente ridotto il consumo delle
risorse e dell’energia. Questo
esige da parte di noi tutti uno
stile di vita più semplice e radicalmente diverso.
5 - Per assolvere il compito
che abbiamo ricevuto, abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Certo è il patio di Dio in Gesù
Cristo. Alla luce di questo annuncio vogliamo dimorare nella comunione fraterna e nella
solidarietà. Le trasformazioni
politiche e sociali che oggi accadono in Europa danno motivo di speranza. Vogliamo insieme dare il nostro contributo
perché si possa stabilire una
maggiore giustizia, una maggiore disponibilità al dialogo,
una maggiore attenzione ai doni della creazion.;. Come una
crisi nazionale va al di là delle
nostre frontiere, così anche la
nostra comunione deve oltrepassarle. Questa deve essere
aperta all’amicizia c alla collaborazione con tutti coloro
che cercano la pace nella giustizia, a qualsiasi religione o
convinzione appartengano. Solo
così la nostra comunione potrà
diventare un segno di speranza in un mondo come il nostro,
minacciato e diviso.
Lo Spirito di Dio, che ci ha
raccolti qui, agirà ben a! di là
delle nostre attese. Noi crediamo che egli è già all’opera per
far crescere il seme che qui è
stato seminato.
Numero speciale. L. 1.000
Supplemento al n. 23 del 9.6.89 - sped, in abb. post, gruppo 11/70
delle valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi p metodiste
BASILEA ’89
La storia dirà iche cosa è stata veramente
« Basilea ’89 » ; se è stata una svolta concreta nei rapporti tra le chiese europee,
se è stato fatto veramente il primo passo
sulla via della pace, anzi, della giustizia,
più che della pace, o se in qualche modo
« la giustizia e la pace si sono abbracciate », secondo la parola del Salmo 85; una
parola letta, meditata, auspicata, sognata,
vista come promessa, raccolta come sfida
nel corso di tutta l’assemblea.
La storia dirà se a Basilea è stato posto
un fondamento solido per il futuro dell’Europa, o se invece (quod Deus avertati) si
è trattato di un’illusione.
Ma noi possiamo dire già fin d’ora che
biamo vissuto quei giorni d’incontri, dibattiti, ricerca con una grande speranza ed
anche con una grande riconoscenza. E ancora, possiamo già fin d’ora dire che, comunque, Basilea rappresenta per tutte le
chiese europee una grande occasione, anzi l’occasione storica per iniziare un cammino nuovo.
Abbiamo vissuto con riconoscenza quelle
giornate perché vedevamo rinverdire il
Ma a Basilea sul vecchio tronco della pace è stato fatto un innesto; e questo, come
tutti gli innesti, sarà quello che determinerà i frutti. In altri termini il rapporto pace-giustizia, che è quello dal quale siamo
partiti qui in Europa, è stato rovesciato:
prima la giustizia, poi la pace. E’ stata così
raccolta la sfida di Vancouver ’83. Ma
questo non era un risultato scontato.
Abbiamo vissuto Basilea come un luogo
d’incontro. Nel corso della conferenza
stampa finale Jean Fischer ha spiegato
che l’obiettivo era essenzialmente quello
di far incontrare le tre componenti dell’ampio discorso sulla pace; il movimento
pacifista dei primi anni ’80 e quello storico, il Nord e il Sud, dando spazio particolare al Sud, il movimento ecologista nelle
sue varie componenti. Dobbiamo riconoscere che questo è effettivamente avvenuto.
Ma c’è stato anche un altro incontro: la
città di Basilea, le campagne intorno, ma
anche i villaggi confinanti tedeschi e francesi hanno accolto le migliaia di persone
che sono affluite in quei giorni. Più di mil
tronco, che sembrava ormai esausto, della
pace. A dargli nuova linfa è certamente
servito il clima di distensione determinatosi in questo ultimo periodo tra l’Est e
l’Ovest. In questo senso è stato colto il
tempo (è troppo dire il «kairòs? ») nel
quale, secondo la parola di Bonhoeffer, si
poteva « osare la pace per fede ». Credo
sia giusto riconoscere alla Conferenza delle chiese europee, e poi anche al Consiglio
delle conferenze episcopali, l’intelligenza
con la quale hanno saputo cogliere questo
momento, la costanza e la lucidità con le
quali hanno portato avanti questa idea.
le famiglie nella sola Basilea si sono messe
a disposizione per ospitare gente! E’ solo
un piccolo esempio, tra i tanti, della grande apertura e disponibilità incontrate.
Ora inizia la parte più difficile: la ricaduta di Basilea nelle chiese locali, nelle
parrocchie, nelle comunità.
Intanto si profila all’orizzonte un altro
grande appuntamento: l’assemblea mondiale di Seoul nel marzo prossimo. Come ci
andremo, e come ci prepareremo in questo
breve periodo che ci sta davanti?
Luciano Deodato
2
speciale Basilea 89
ANNE-MARIE SCHOENHERR, PASTORE E FEMMINISTA
La casa comune
9 giugno 1989
CARDINAL ROGER ETCHEGARAY
L’unità nella
Le responsabilità delle chiese, che avrebbero tradito l’idea dello
shalom - Gli europei riconoscano che il mondo ha anche altre «case»
Anne-Marie Schönherr, pastore
nella Germania orientale.
Il discorso di Anne-Marie
Schonherr, pastore e responsabile del Kirchentag in DDR, è
stato chiuso con una « visione »
sul futuro; « Quando l'anacronismo delle frontiere nemiche sarà finalmente superato, quando
tutti avranno capito ciò che è
in gioco e quanto la vita in comune possa essere bella, sarà il
momento di organizzare una
gran festa nella casa comune.
Al buffet si serviranno spaghetti, korvlada, il borsch (minestrone siberiano), carne cruda e altre specialità preparate con le
ricette della nonna, e bevande
altrettanto diverse. Solo i clown
avranno delle uniformi. In un
angolo i genitori mostreranno ai
loro figli, con dei soldatini di
piombo, quanto era stupido il
comportamento dei loro antenati, gli imi contro gli altri ».
All’inizio del suo intervento
A. M, Schonherr aveva detto che
tutti i cristiani sono coscienti
della pace di Dio (shalom), promessa a tutti. Perché allora « siamo incapaci di parlare e di impegnarci insieme e senza ambiguità? Perché i cristiani e tutte
le creature sono giunti ad una
situazione in cui la paura e la
speranza coesistono in tm equilibrio così precario? ».
In riferimento al messaggio rivolto all’assemblea da Emilio
Castro, Schonherr ha detto:
« Una guerra dopo l’altra — spesso guerre di religione — divisione dopo divisione, confine su
confine, tutto ciò ha dilacerato
il nostro continente ». D’altra parte l’assoggettamento coloniale ha
esportato la violenza fino alle
estremità della terra. E l’Europa si è arricchita in questo modo, e continua ad arricchirsi, da
circa 500 anni. La fede cristiana che si è diffusa contemporaneamente alle conquiste è discreditata dall’essere stata in relazione con la dominazione europea. Abbiamo tutte le ragioni
per ricordare tutto ciò, nella vergogna e nella tristezza, in uno
spirito di autocritica ».
A nome deH’Europa l’oratrice
ha riconosciuto che « abbiamo
tradito lo shalom. L’abbiamo diviso in due. Abbiamo considerato la divisione tra ricchi e poveri come voluta da Dio. E il mantenimento della pace tra le classi sociali consisteva nel mantenere stabile lo status quo il più
a lungo possibile ».
La chiesa si è resa complice,
e si è limitata a frenare qualche conflitto nel corso della storia con la « guerra giusta ».
Siamo ora al punto di aver
divinizzato la potenza militare,
con delle chiese « in cui i modelli di armamenti nucleari saranno esibiti sull’altare ».
Ci sono tuttavia dei segni di
speranza. In primo luogo le donne, che nel passato « non hanno
avuto parte nelle responsabilità
e nelle decisioni. Beneficiavano
dei successi e delle vittorie ma,
di fronte alle sconfitte, erano loro e i loro figli le prime vittime.
Nelle lotte esse erano raramente attive ».
Oggi esse « manifestano finalmente e, anche se questo dà fastidio ad alcuni, è sempre meno
facile ignorarle (...). Non vogliono più che le si protegga con
delle armi micidiali, e lo dicono
apertamente ».
Inoltre « c’è aria nuova nel
campo politico. Nel maggio ’87
i paesi del Patto di Varsavia
hanno dichiarato, fra l’altro, che
la loro dottrina militare aveva
carattere esclusivamente difensivo, e che non consideravano
nessuno stato e nessuna nazione
come nemici ». E M. Gorbaciov
ha proposto « il blocco unilaterale degli esperimenti nucleari
sovietici, la riduzione delle forze armate, la ristrutturazione del
potenziale militare per la difesa,
la riduzione del bilancio degli
armamenti, la riconversione di
alcune industrie belliche, la sorveglianza di una fascia europea
di "controllo degli armamenti’’
e la moratoria per i pagamenti
del debito da parte dei paesi debitori ».
4nne-Marie Schonherr ha concluso con una visione di speranza, quella della casa comune europea. « Se vogliamo riflettere a
ciò che è necessario per vivere
bene e piacevolmente in questa
casa, non possiamo dimenticare
due cose: ci sono nel mondo altre case; dobbiamo dire chiaramente che la casa comune europea non è la CEE, né certo la
NATO ». E in effetti ci sono già
dei timori che « l’inaugurazione
del mercato unico del 1992 significhi uno sganciamento dal
Sud e una marginalizzazione dell’Est ».
DAVID STEEL, PARLAMENTARE INGLESE
C’è molto da fare per le chiese
Mai, nei 24 anni da quando è
entrato al parlamento britannico, David Steel aveva assistito,
come ha ammesso, « a un'assemblea che avesse come questa il
coraggio di discutere della pace
e della giustizia nel contesto della integrità della creazione ». Per
questo sarebbe stato necessario,
ha aggiunto Steel, « che si riunissero i cristiani dell’Est e dell’Ovest, provenienti dalle tradizioni cattolica, ortodossa e protestante, col solo scopo di incontrarsi su un tema così universale »
Il parlamentare britannico ha
fatto questa dichiarazione all’inizio della conferenza che ha tenuto nel corso della seduta inaugurale dell’assemblea. Ha proseguito dicendo che « è tempo per
le chiese di mobilitare il loro dono di profezia e di consacrarlo
a coloro che noi tutti cerchiamo
di servire ». Per questo è necessario trovare delle certezze comuni. Steel ne ha individuate cinque.
La prima parte della constatazione che dalla fine della seconda guerra mondiale « abbiamo
conosciuto la ’’pace” solo secondo
la definizione assai limitata e ristretta di assenza di guerra ». E’
dunque tempo di osare esporre
la nostra visione per il futuro.
In secondo luogo la prima cosa
da fare è « innanzitutto in Europa
occidentale, e poi in tutta Europa, abbassare le barriere dello
Stato-nazione, e unire le nostre
preziose sovranità nazionali in favore di una sovranità allargata ».
A questo proposito, ha detto
Steel. « le chiese dovrebbero sicuramente poter giocare un ruolo
essenziale ».
La terza convinzione, che si
oppone ai concetti di « sicurezza
collettiva » e di « sicurezza nazionale », è che si debba pervenire « ad un nuovo concetto di
sicurezza comune, che presupponga un ruolo più attivo dell’ONU
e una migliore cooperazione economica tra Europa occidentale e
orientale ».
La quarta è una certezza: « la
cooperazione internazionale è essenziale nella corsa urgente per
metter fine alla distruzione del
nostro ambiente ».
Quanto alla quinta convinzione, essa consiste nel fatto che,
guardando al di là del quadro
europeo, « dobbiamo prendere
maggiormente sul serio la nostra responsabilità nei confronti
dei paesi meno sviluppati, perché non possiamo costruire una
prosperità europea... a partire
dalla negligenza, o peggio ancora dallo sfruttamento del resto
del mondo.
Un’aria giovanile, nonostante i
suoi 67 anni, un sorriso accattivante, un carattere gioviale, comunicativo. Il cardinale Etchegaray ha fatto un discorso dotato di ampio respiro culturale.
Non ha avuto incertezze nello
spaziare dal pensiero degli antichi padri greci a quello degli
ortodossi moderni, a quello dei
riformatori protestanti o degli
attuali teologi, a quello dei pensatori e dei filosofi. Ma il suo
non è stato un discorso intellettualistico: razionale, certo, ma
dotato di calore, pervaso quasi di misticismo. Era probabilmente la nota che ci voleva per
gettare un ponte con il mondo
degli ortodossi, ed anche per far
vedere alle chiese protestanti il
valore attribuito al loro pensiero.
Il card. Etchegaray è stato vescovo di Marsiglia; uomo di lettere, in quel periodo scrisse un
libro: « Dio a Marsiglia ». Dal
’79 è presidente della comniissione pontificia «lustitia et pax»;
da cinque anni è cardinale.
Il tema del suo intervento era:
«Pace e giustizia per tutta la
creazione; la responsabilità dei
cristiani in un tempo di crisi ».
Un tema che portava ad esaminare la questione dell’unità di
tutta la creazione. Questo principio il cardinale lo ritrova
nella Trinità; « Credere nel
Creatore, vivere come creature,
significa anzitutto orientare il
nostro sguardo verso la Trinità d’amore, come verso il principio unico della creazione. La
parola Padre evoca sempre il Piglio e lo Spirito Santo; le rela
zioni che li distinguono e che
anche li costituiscono lasciano
la loro impronta nella creazione
intera (...) ».
« Credere nel Creatore, vivere
come creature, vuol dire accogliere Dio come la fonte di tutto
ciò che esiste e non come un fabbricante in serie. Perché è proprio dell’amore non il fabbricare,
ma l’essere sorgente, sorgente
inestinguibile (...) ».
« Credere nel Creatore, vivere
come creature, è siglare un patto di simpatia e di solidarietà
con tutta la creazione (...) ».
Citando M. Buber, il cardinale
afferma che nessuno può vivere
in modo isolato: « Al principio
c’era la relazione »; noi quindi
dobbiamo ricuperare la visione
unitaria della creazione, della
famiglia umana, delle alleanze di
Dio, ed anche la visione unitaria della pace e della giustizia.
Sempre in questo ordine d’idee
bisogna anche vedere la terra
come un bene comune. In Cristo
questa visione unitaria diventa
visibile; di qui nasce la vocazione dell’uomo, del credente: « Tutto quello che succede nell’uomo
si stampa anche nell’universo.
Siamo coscienti che l’universo è
oggi in doglie come una donna
che partorisce? Siamo coscienti
che ogni progresso ed ogni ritardo umano fa oscillare il destino
dell’universo? Siamo coscienti
della solidarietà e della corrispondenza che esiste tra la glorificazione delTucmo e quella
dell’universo? ». Compito della
chiesa è dunque, in questo mondo dilacerato, diviso, sconvolto,
rappresentare l’unità del Regno.
MARIO PAVAN
Una strategia
per la sopravvivenza
Gli estensori del testo finale del documento: R. Williamson, J. Selling, K. Raiser.
L’intervento di Mario Pavan, già
ministro per l’ambiente.
« Per molto tempo gli uomini
che mettevano in guardia i loro
simili sugli attacchi portati all’ambiente sono stati considerati come delle Cassandre », ha fatto notare aU’inizio del suo discorso Mario Pavan, professore
all’Università di Pavia ed ex ministro dell’ambiente. Tuttavia i
grandi disastri dell’inquinamento
hanno creato una vera coscien
Za della drammatica situazione
del pianeta; basta evocare i casi di Donora, Londra, Minamata,
Seveso, Three Miles Island, Chernobyl, Torrey Canyon, Bhopal c
« Ctìernobàle », e le foreste distrutte dall’inquinamento atmosferico in Europa e Amei ica del
nord. Partendo da questo spunto, l’ex ministro ha proposto una
strategia ecologica mondiale.
A suo vedere « tre strategie
sono necessarie: una "strategia
mondiale della pace”, una "strategia mondiale del progresso”, e
una "strategia mondiale della sopravvivenza” ». Per mettere in
opera tutto questo sarà necessario creare una specie di « QNUambiente », perché le Nazioni
Unite hanno attualmente altro di
cui occuparsi.
Nel precisare il suo pensiero
Pavan ritiene che i responsabili
delle nazioni debbano « attivare
i tre principi fondamentali dell’ecologia: salvare in primo luogo ciò che può essere salvato,
frenare i processi nocivi in corso e impedire che altri si manifestino, ed infine ricostruire ecologicamente gli elementi dell’ambiente intaccati o distrutti ».
Applicare efficacemente una tale strategia avrebbe allo stesso
tempo « il vantaggio del pieno
impiego di tutte le forze lavorative disponibili ma che ora restano in gran parte disoccupate,
improduttive e sottosviluppate:
gli eserciti, concepiti come strumenti da mobilitare al servizio
dell’approccio ecologico al mondo; i popoli, moralmente mobilitati per appoggiare la grande
strategia della sopravvivenza e
del miglioramento della qualità
della vita ».
Nella parte centrale del suo discorso l’onorevole ha riassunto i
problemi della desertificazione
(il 43% delle terre emerse lo sono
già), de] buco nella fascia d’ozono, delle piogge acide, della di;
struzione delle foreste tropicali
al ritmo di 30 ettari al minuto,
delle manipolazioni genetiche e
del costante deterioramento della situazione ecologica; il 33%
della fauna e il 22% della flora
europea sono minacciati.
Allora « i cristiani trovano nella Scrittura l’ispirazione in vista
di un comportamento ecologico
sano. La fede e la scienza vanno
insieme in questo contesto ».
Dopo aver illustrato il senso
del passaggio biblico « riempirete la terra e la dominerete » i’
professor Pavan ha concluso:
« Se l’uomo deve vivere la creazione, come Dio ha ordinato, non
può né deve distruggerla perché
distruggerebbe se stesso ».
3
9 giugno 1989
spedale Basilea ’89
LA RELAZIONE DI ARUNA GNANADASON
L’ARCIVESCOVO CIRILLO
L’indebitamento
è guerra contro ii Sud
La sproporzione di risorse e consumi tra paesi ricchi e poveri Le contraddizioni dei paesi avanzati: come una fetta di Sud nel Nord
L’ecologia
dello Spirito
Riscoprire i principi morali per portare
l’umanità fuori daH’«impasse» in cui si trova
« L’indebitamento è una forma
di guerra contro il Sud, perche
in termini politici il debito è
uno strumento utile fra le mani
dei potenti ». Questa è la denuncia fatta da Aruna Gnanadason
nel suo intervento intitolato « La
sfida all’Europa da parte dei paesi del Sud ». La tematica è quella che le economiste Shiva Vandana e Susan George chiamano
la « terza guerra mondiale ».
Responsabile del programma
di integrazione delle donne nella vita delle chiese protestanti
e ortodosse in India, l’oratrioe
ha denunciato il modello di sviluppo occidentale come « nuova
forma di colonialismo », che comporta « migrazioni di massa per
le popolazioni, distruzione massiccia degli ecosistemi, siccità,
fame, controllo e sfruttamento
per milioni di esseri umani, presi in considerazione solo in quanto possono vendere il proprio lavoro o, per le donne, anche la
propria sessualità ».
« E’ verosimile — ha detto —
che gli animali degli stati del
Nord mangino più cereali delle
popolazioni di Cina e India messe insieme ». Il numero di specie vegetali che entrano a far
parte del regime alimentare diminuisce costantemente; « Prima
dell’introduzione dell’agricoltura
moderna, quasi un quarto di milione di specie di piante erano
commestibili e costituivano il nutrimento dei popoli del Sud. Oggi il 95% dei bisogni alimentari
del mondo è soddisfatto da
sole 30 specie di piante, e i tre
quarti della nostra alimentazione si basano su solo 8 colture ».
L’esempio più stupefacente è
forse quello delle specie di patate, di cui le Ande (in Perù e
Bolivia) avevano da 4.000 a 6.000
varietà: « Oggi se ne coltivano
meno di 300 ».
L’oratrice indiana ha definito
« terrorismo tecnologico » la distnjzione delle foreste e la loro
sostituzione con altre specie,
redditizie soprattutto per l’industria: « L’eucalipto sfianca il suolo e le riserve d’acqua, rende la
terra sterile e distrugge il sottobosco ». In India era stata scoperta « la formula del primo pesticida vegetale, atossico (’’Indiara”). Tuttavia l’ufficio centrale
indiano per i pesticidi ne ha ritirato il brevetto, probabilmente in seguito a pressioni esercitale dalle multinazionali Dii Pont,
Hoechst e Sunitomo ».
.\gli occhi di A. Gnanadason
la rivoluzione verde non funziona, come d’altra parte anche la
rivoluzione genetica, ancor più
minacciosa. « La rivoluzione verde ha avuto come risultato l’erosione del suolo a causa dell’utilizzo di elementi chimici, l’erosione genetica a causa della sostituzione delle varietà tradizionali, la scomparsa di specie vegetali, problemi di approvvigionamento idrico ».
I rischi della rivoluzione genetica sono ben più gravi. Ed
essa è motivata solo dal profitto,
essendo in mano al settore privato. « Il suo scopo è quello di
arricchire i ricchi ».
Un caso particolare dcH’indebitamento è la fornitura indiscriminata di armi, ciò che rende le guerre del Sud del mondo
produttrici di un sempre maggior
numero di morti: « I tre quarti
degli armamenti mondiali vengono esportati nei paesi del Sud ».
A. Gnanadason ha constatato amaramente che « degli almeno
125 conflitti seguiti alla seconda
guerra mondiale, il 95% ha avuto luogo in paesi in via di sviluppo, con un 79% di interventi
Il cardinale R. Etchegaray e A. Gnanadason al tavolo dei relatori.
da parte delle potenze occidentali, e un 6% di interventi dei
paesi comunisti ».
La risposta a tutti questi disastri? Si tratta di « ricercare
coraggiosamente delle nuove istituzioni, nuove teorie, nuovi modelli di sviluppo, e un nuovo rapporto con la natura, che non la
sfrutti ma la salvaguardi ». L’oratrice ha poi ripreso la raccomandazione deH’economisla Susan
George, che propone che « si
chieda ai governi del Sud di rimborsare il debito e gli interessi
versandoli in un fondo locale di
sviluppo a favore dei contadini,
dei disoccupati delle campagne,
delle donne, in vista di programmi agricoli di tipo organico e
tradizionale, del rimboschimento,
del ristabilimento dei sistemi autoctoni, e di cure mediche generali ».
« Il compito essenziale per voi
— ha detto l’esponente delle rivendicazioni del Sud del mondo
ai delegati europei — à di far
riferimento alle contraddizioni
presenti all’interno dei vostri
paesi, come una presenza del Sud
aU’inlerno del Nord ».
Nel mondo di oggi è evidente
che lo sviluppo morale e spirituale
non corrisponde allo sviluppo
scientifico e tecnologico; ed è proprio questa la causa principale
dello squilibrio tra l’essere umano
e la società. E’ questa una delle
tesi centrali dell’intervento dell’arcivescovo Cirillo, di Smolensk e
Viasma, che offre anche una soluzione; « Subordinando la vita personale e pubblica ai principi spirituali e morali, si può far uscire
la civiltà dall’impasse in cui si
trova ».
Prima di tutto l’oratore ha messo in guardia contro lo « stupefacente processo di sostituzione dei
fini da parte dei mezzi, che si è
fatto strada anche nell’ambiente
cristiano ». Per l’arcivescovo Cirillo è chiaro che « giustizia, pace
e salvaguardia del creato sono dei
mezzi e non dei fini ». Per i cristiani il fine ultimo è il Regno di
Dio, cosa che non impedisce loro
di proporsi dei fini temporali. Per
superare le crisi del nostro tempo
« deve essere data la priorità ai
valori ultimi ».
Con una libertà che testimonia
degli effetti della ’’glasnost” nell’incontrare le chiese, l’arcivescovo
fa la critica della società sovietica basata sul materialismo dialettico: « L’accento era posto sulle
prove quantitative della crescita,
sulla necessità di raggiungere e su
UN INTERVENTO DI MARIA LOURDES DE PINTASILGO
Il nostro modello ha molti limiti
Già ministro degli affari sociali in Portogallo, parlamentare
europeo. Maria Lourdes de Pintasilgo ha parlato sul tema della
giustizia. Nel corso della conferenza ha citato esempi tecnici,
economici e politici che ne hanno illustrato il senso.
Per lei l’ingiustizia ha un volto ben preciso: il volto, lontano,
di popolazioni che muoiono di
fame, della totale assenza di cure sanitarie, di milioni di giovani senza futuro, di uomini e
donne nascosti dalla marginalizzazione... E volti più vicini, quelli di una popolazione rurale che
ormai la terra non riesce più a
nutrire, di milioni d’operai in
preda alla disperazione e alla rivolta causata dal declino dell’industria pesante, dei disadattati...
Tutti esempi che mostrano come l’ingiustizia non è più un male temporaneo, e che non è nemmeno una « situazione locale ».
No, essa è al tempo stesso una
ingiustizia istituzionalizzata e
planetaria... E trova le radici
nella disfunzione di strutture economiche e tecnologiche totalmente dissociate dalle finalità
sociali.
Tre esempi per affrontare il
problema: il debito, lo scarto
tecnologico sempre più ampio
tra Nord e Sud, il progressivo
scaldarsi del clima. Tutto ciò
mostra come i meccanismi siano intricati fra loro. « Attori »
multipli interdipendenti.
Il modello dominante sta conoscendo i suoi limiti. Si è formato sulle spalle dei più deboli, sulle ricchezze delle regioni
che gli « appartenevano » in base
al regime coloniale dell’epoca,
e oggi sulla condizione di dipendenza economica dai paesi produttori dei prodotti « di base ».
Il modello era quindi, fin nei suoi
ingranaggi, intrinsecamente ingiusto.
Oggi le prospettive cambiano, anche se solo recentemente si
è riconosciuta la portata universale dei beni e il diritto che ne
consegue — per tutti gli esseri
umani — di poter soddisfare i
propri bisogni essenziali.
Se l’ingiustizia è oggi istituzionalizzata, emergono dei nuovi
diritti: diritto al riconoscimento
del contributo di ognuno alla società; diritto a uno sviluppq sano, a uno spazio urbano accessibile ai più deboli e sfavoriti;
diritto all’informazione... Per
mezzo del riconoscimento di questi diritti, si rivelano delle nuove dimensioni della giustizia:
giustizia nei confronti di tutti i
beni, spirituali e materiali; giustizia verso gli uomini di oggi e
di domani.
Quindi, ha proseguito Maria
Lourdes de Pintasilgo, per noi
è necessario impadronirci della
complessità.! del reale e pensare
diversamente, riconoscendo che
tutto è plurale. Dobbiamo scrutare il mondo con gli strumenti
della nostra epoca, perché essi
sono anche parte della creazione. Occorre cogliere questi problemi nel loro intreccio e, infine,
incamminarsi verso una nuova
etica. In questa nuova prospettiva, in cui soggetto e oggetto
« interferiscano » l’uno con l’altro e siano interdipendenti, il lavoro che il cristiano può compiere per la giustizia nella società è inseparabile dal lavoro
che compie su se stesso per diventare giusto.
Allora si tratta, per avanzare
sulla strada della giustizia, di
condurre due approcci convergenti. E’ forse al punto d’incontro di questi due approcci — ha
concluso Toratrice — che la nostra azione, a volte senza troppo
rumore, e spesso a tentoni, sempre un po’ in ritardo, potrà essere improvvisamente percorsa
dallo Spirito.
perare l’America ». Così non stupisce che questa società abbia conservato lo slogan: « Non possiamo
aspettarci che la natura ci faccia
dei favori, dunque dobbiamo prenderceli ». Ma l’anima russa non è
morta per questo; « L’esperienza
di chi è passato nei campi staliniani conferma che Tessere umano è
capace di conservare la libertà e
la dignità interiori, e di restare
umano anche nelle condizioni più
disumane ».
A chi afferma che la salvezza
dell’Occidente verrà dalla spiritualità russa, l’arcivescovo ha offerto
dei buoni argomenti. Basandosi
sulla « testimonianza della sofferenza del nostro grande popolo »,
ha dichiarato che « la dimensione spirituale della crisi della civiltà contemporanea è compresa come l’alienazione degli uomini da
Dio, gli uni con gli altri e dalla natura, e come distruzione dell’integrità della personalità umana ».
Ciò che ha chiesto è una revisione della nostra relazione con la
natura, perché « separando la natura da Dio, e secolarizzandola,
l’umanità ha mutato anche il suo
modo di porsi rispetto ad essa. Da
soggetto che era, essa è divenuta
oggetto di studio e di sfruttamento ». Cirillo ha deplorato « l’abuso
della creazione, che ha luogo
quando l’uomo rifiuta l’ordine
dell’esistenza determinato da Dio,
quando trasgredisce alla volontà
di Dio. mettendosi al suo posto ».
Troppo presto la natura è stata
abbandonata dalla teologia occidentale, mentre proprio un’azione
ncr il bene della natura e del creato sarebbe stata necessaria.
Il solo modo che l’umanità ha
per uscire dalle crisi che ha essa
stessa messo in atto non consiste
in un impossibile ritorno indietro,
ma nel concentrare le proprie forze in vista del solo consenso possibile, quello « basato su dei valori morali assoluti ». Sarebbe infatti ingenuo « credere che una nuova tecnologia possa salvare il mondo ».
In breve
L'Assemblea è stata presieduta dal
Cardinal Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano e da mons. Alexij, metropolita di Leningrado e Novgorod, gli
altri membri del seggio erano; H. Brandenburg, I. Fürer, J. Hennel, H. Laustriat, A, Sustar, J, Arnold, N. Blackle,
J. Fischer, E. Baiser, G. Tsetsis,
La previsone di spesa ammontava a
3.951.200 franchi svizzeri.
Per far fronte a questa spesa, sono
state previste le seguenti entrate (espresse sempre in franchi svizzzeri):
Confederazione elvetica: 900.000;
Cantone di Basel-Stadt: 900.000;
Conferenza delle chiese europee: 490
mila;
Conferenze episcopali 200,000;
Federazione delle chiese protestanti
svizzere: 300.000;
Chiese cattoliche e protestanti di Basilea: 200.000:
Da altre chiese: 370.000;
Sponsor vari: 58.000.
4
4 speciale Basilea ’89
9 giugno 1989
IL MESSAGGIO DI EMILIO CASTRO
Europei, riconoscete
ii vostro peccato
Su molti paesi grava ancora la vecchia dominazione, cui si aggiunge
il debito estero - L’Europa deve diventare anche una casa di rifugio
Prima di partire per San Antonio in Texas per la conferenza
sull’evangelizzazione Emilio Castro, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese, ha
partecipato al culto inaugurale
dell’assemblea di Basilea ed ha
poi, il giorno dopo, rivolto un
messaggio ai convenuti. Castro
non ha dimenticato la sua origine sudamericana; « Voi sapete — ha detto — che le due guerre mondiali di questo secolo hanno avuto origine in Europa ed
hanno condotto l’intera umanità
sull’orlo del disastro e della distruzione; voi sapete anche che
per molte nazioni il continente
Emilio Castro con Hans Erni,
autore del disegno della colomba.
che si chiama ’’Europa” è sinonimo di dominazione culturale,
sfruttamento economico, razzismo e, adesso, anche d’irresponsabilità economica, più che di libertà, dignità umana, giustizia
sociale ».
Non solo per quanto riguarda
il passato, ma anche per il presente le responsabilità dell’Europa sono enormi: « ...l’ordine
economico internazionale ingiusto, la crisi del debito, l’impcverimento e l’emarginazione di milioni di esseri umani, la militarizzazione delle nazioni... » sono tutti problemi legati all’Europa.
L’atto di accusa di Castro si
è esteso anche ai guasti provocati all’ambiente: « La scienza e
la tecnologia moderne hanno
acccresciuto la qualità della vita,
ma hanno anche nel medesimo
tempo danneggiato gravemente
l’ecosistema terrestre, minacciando la sua capacità di sostenere
la vita e mettendo in grave pericolo la creazione di Dio. Proprio
in ragione della sua vulnerabilità, l’Europa deve diventare il
principale portaparola per un
L’AFRICA A BASILEA
E dopo il ’93?
Siamo contenti di partecipare
a questa conferenza, per discutere con i nostri amici su ciò che
intendono per giustizia e pace in
quanto cristiani.
L’Africa soffre di molti mali:
c’è una crisi economica che determina faine, denutrizione, carenza di medicinali, disoccupazione. Vi è poi la grave questione
dei debiti. Il pagamento infinito
dei debiti, di cui non si vede proprio la fine, uccide realmente i
paesi africani. Ora, la politica finanziaria dei nostri paesi è dettata dall’Europa. Le nostre materie prime e i nostri prodotti agricoli non sono pagati al loro giusto prezzo. I prezzi sono imposti daH’Europa; e lo sono in
modo tale da impedire ai paesi
africani di riequilibrare la loro
economia.
Le divise africane sono svalutate ogni giorno, a seconda della
volontà dei naesi europei. In più
l’Europa scarica da noi i suoi ri
fiuti tossici, riducendo il continente africano ad una pattuniiera.
Siamo contenti che le chiese
europee pensino alla giustizia
non soltanto per loro, ma anche
per il resto del mondo. L’Europa
ha un grande compito da svolgere per quanto riguarda la pace
e la giustizia nel mondo intero.
Noi vogliamo far capire ai nostri amici europei che la soluzione dei problemi africani, ivi compreso l’apartheid, dipende anzitutto dall’Europa.
Vorremmo sapere quale sarà la
posizione deH’Europa nei confronti del nostro continente, a
partire dal 1992. Si porrà in modo da rafforzare le strutture d’ingiustizia economica, oppure favorirà raffermarsi di criteri di
giustizia per una equa ripartizione dei beni e dei servizi in tutto il mondo?
Mulunda Ngoy Nyanga
segretario giovanile CETA
Alcuni membri del seggio dell’assemblea: al centro J. Fischer, alla
sua destra il card. Martini, alla sinistra il metropolita Alexij.
Contro il
commercio
delle armi
« Il commercio internazionale delle armi e l'esportazione di sistemi
d’arma verso zone di conflitto e
di tensione dovrebbero essere impediti. In tutti gli altri casi, essi
dovrebbero essere sottoposti a norme e regolamenti dei più restrittivi » (...). «Il concetto di sicurezza
nazionale, così come l'abuso di sentimenti nazionalistici, dev'essere
condannato come sorgente di tensione e di conflitti fra le nazioni
e al loro interno. Al tempo stesso
si dovrebbero sviluppare ed istituire in tutti i paesi d’Europa strutture di difesa nazionale strettamen.
te difensive ».
Queste affermazioni sono contenute nel documento che 700 delegati di tutte le chiese europee stanno discutendo all’Assemblea ecumenica europea « Pace nella giustizia » (Basilea, 15-21 maggio).
Unanimemente i delegati delle
chiese italiane, in coerenza con
queste affermazioni:
— auspicano che anche in Italia il Parlamento, riconoscendo l’indilazionabile esigenza di una regolamentazione del mercato delle armi — da più parti e da tempo richiesta — si pronunci con una legge che da un lato limiti rigorosamente la produzione e il commercio delle armi e dall'altro favorisca progetti di riconvers one dell'industria bellica;
— esprimono inoltre il loro vivo
rammarico per la Mostra navale b; 1lica in corso a Genova In que tl
giorni; a un'iniziativa promozionale
per I prodotti di morte dell’Industria italiana ed internazionale vogliono simbolicamente contrappoire
la testimonianza e l’impegno dei
cristiani europei nel nome di Gesù
Cristo, unico Signore del’a pace e
della giustizia.
IL MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
Disarmiamo
i nostri cuori
Un testo ricco di citazioni bibliche - Le responsabilità dei cristiani e della politica
ordine ecologico internazionale ».
Il messaggio di Castro è stato
in sostanza un forte appello al
riconoscimento delle proprie colpe: « I cristiani d’Europa si sono
considerati superiori agli altri.
Invece di sfruttare tutte le occasioni per favorire la mediazione e la riconciliazione, con troppa facilità noi abbiamo giustificato le guerre ».
Che cosa dovrà essere l’Europa di domani’? Castro lo ha espresso in modo conciso, ma sufficientemente comprensibile:
«... chiediamo che la casa europea sia una casa aperta, un
luogo di rifugio, di protezione,
d’ospitalità, una casa con pluralità di culture, di tradizioni, di
razze... ».
L’impatto di questo messaggio sull’assemblea è stato notevole; i giornalisti, la stampa in
generale, ne hanno compreso la
portata e il valore. In particolare
è stato apprezzato il modo diretto col quale egli ha affrontato la radice dei problemi.
Non un messaggio diretto alla
assemblea, ma una lettera inviata al Cardinal Martini e che questi ha letto pubblicamente davanti a tutta l’assemblea è la forma
che il papa ha scelto per far sentire la sua voce a Basilea. Il messaggio è ricco di citazioni bibliche, fin troppe, come ha notato
qualcuno. Ma che cosa dice, in
sintesi, il papa? Egli comincia
con una precisazione sulla pace:
« E’ chiaro che non si può trattare di una pace qualsiasi, ma di
quella di Dio, che sorpassa ogni
intelligenza, e della giustizia di
Dio che ci è rivelata nell’Evangelo. Più ancora, la pace e la giustizia si identificano con Gesù Cristo, verbo di Dio, Cristo nostra
pace ». Se questa è la pace, è chiaro che essa discende da Dio e
non può essere ricercata altro
che nella preghiera.
Il papa riconosce che in Europa stanno avvenendo dei grossi
cambiamenti che fanno guardare
con speranza al futuro. Però
questo futuro va costruito sia a
livello individuale che collettivo.
A livello individuale è necessario
« il disarmo dei cuori e dello spirito e l’impegno per una giustizia
superiore ». Per quanto poi riguarda l’insieme dei cristiani, questi hanno « una responsabilità decisiva ». « Esiste infatti — prosegue il messaggio del papa — un
contributo specificamente cristiano per la pace nella giustizia che
siamo sempre tenuti a coltivare,
ma in particolare, e più ancora
in un’occasione come questa,
un contributo che sia conforme
alle radici cristiane di questo
continente e alle sue tradizioni ».
I patti, i trattati, i negoziati politici sono certamente dei mezzi
necessari per conseguire la pace,
« ma per essere più durevolmente
fruttuosi hanno bisogno, per noi,
di un’ispirazione cristiana ohe potrà fornire quel riferimento a Dio
Creatore, Salvatore e Santificatore, e alla dignità di ogni uomo e
di ogni donna creati a sua immagine ».
Nel suo rnessaggio il papa elenca anche i drammi del nostro
secolo: « Penso alle diverse forme di discriminazione, alla carenza di ospitalità, alla miseria
che si trova alle nostre porte, al
disprezzo della vita umana dai
suoi primi momenti fino all’ultimo suo istante. Penso anche alla
distruzione della natura, alla dissipazione delle risorse, alle città
che rischiano di diventare inabitabili... ».
Sarebbe interessante fare una
analisi della visione che emerge
da questo messaggio. D’altra parte in esso ritroviamo temi cari al
pensiero dell’attuale papa, come
il ruolo centrale che la chiesa cattolica (ed ora insieme eventualmente ad altri cristiani) può
svolgere in Europa e che certe
volte fa pensare a un nuovo integralismo, o come la questione
della « difesa della vita ». Quest’ultimo punto, in particolare, è
stato poi accolto nel documento
votato dall’assemblea.
UNA VOCE DALLE FILIPPINE
Le vostre armi uccidono
i miei fratelli
Terra e cibo per chi non ne ha - Distribuire
giustamente le risorse, no al traffico di armi
povera. La povertà è dovuta al
fatto che le grandi industrie multinazionali e i grandi proprietari
terrieri prendono le nostre ricchezze, lasciando migliaia di persone nella povertà e nella fame.
Ben venga dunque questa assemblea, se è per costruire una vera
pace.
Noi guardiamo a questa assemblea con grande speranza; ma
abbiamo anche delle domande.
Speriamo che le nostre sorelle e
i nostri fratelli d’Europa vorranno iniziare passi concreti per dare un vero significato alla parola giustizia. Bisogna che in Europa ci si renda conto che gran
parte della povertà dell’Asia e
del terzo mondo è provocata
dalle multinazionali europee.
Non solo, ma molta della nostra
gente è uccisa da armi fabbricate negli Stati Uniti, in Europa e
anche in Italia!
L’Europa deve fare qualcosa di
concreto per pagare il prezzo dei
peccati commessi contro i fratelli e le sorelle dell’Asia, dell’America latina e dell’emisfero Sud.
Recentemente, nel nostro Congresso è scoppiato uno scandalo
per una vendita di fucili italiani.
Queste armi servono per ammazzare i nostri fratelli. Intorno al
commercio delle armi si consolidano grandi interessi economici
e politici.
Sister Lucero, suora filiopina.
Abbiamo avvicinato Sister Lucero, una suora cattolica che lavora nelle Filippine dalla parte
dei poveri, nota a Manila per il
suo coraggio e la sua coerenza,
per non aver paura di esporsi anche al pericolo. Negli anni passati ha conosciuto pure il carcere. Le abbiamo chiesto, a caldo, una valutazione sull’assemblea.
« Per noi la pace — dice commentando il documento appena
votato dall’assemblea — è una
pace sincera, fondata sulla giustizia.
La giustizia, per noi, significa
concretamente la terra per quelli
che non ce l’hanno, il cibo per gli
affamati, una giusta distribuzione delle ricche risorse della nostra nazione. La nostra terra è
molto ricca, ma la nostra gente è
5
9 giugno 1989
speciale Basilea ’89 5
IMPRESSIONI DAI MOMENTI DI CULTO
TRA GLI STANDS
L0 nostro boccho orstio Laborstorio Europa
piene di sorrisi
C’è un senso di grande unità, ma i nostri discorsi hanno dei limiti
Una lunga coda ordinata, come non mi era mai capitato di
vedere, sta davanti alle porte della cattedrale; dentro la gente si
accalca, ogni angolo è occupato,
i diaconi riescono a malapena a
lasciare uno spazio libero intorno al tavolo della Santa Cena,
per consentire lo svolgimento del
culto.
L’organo attacca, tace il brusìo. Dall’alto una voce scandisce
il racconto della Pentecoste; poi
in varie lingue giovani di tutti i
paesi ripetono l’invocazione antica : « Vieni, Santo Spirito ». E’ un
momento molto intenso di grande raccoglimento e tensione.
Ecco tutte queste persone, di
paesi diversi, di lingue e tradizioni diverse, unite in un solo popolo, parlare, in un certo senso,
tutte il medesimo linguaggio. E’
un momento che abbiamo sognato e sperato, anche se certe volte
la nostra attesa si affievoliva. E’
un grande momento, che dura
forse solo alcuni istanti, ma si
sente concretamente l’invocazione unanime, di un sol cuore, di
tutti, verso il Signore; anche se
rimangono le diversità. Da punti
diversi (che rimangono anche distanti tra loro) sale la comune
invocazione; e questo fa sì che
ci sia anche la reciproca accettazione.
Il culto prosegue : le varie parti
della liturgia sono lette da varie
voci, in varie lingue. Dal fondo
della navata ora avanza un patriarca ortodosso. Porta un grande Nuovo Testamento, rilegato in
pergamena. Legge salmodiando,
nell’originale greco, il brano di
Luca 4: 16 ss., la predica di Gesù
a Nazaret: « ...oggi s’è adempiuta
questa profezia, e voi l’udite! ».
Il coro di Leningrado canta un
inno che celebra il trionfo sui
dèmoni. E’ una melodia meravigliosa, delicata e piena di spiritualità. Penso a « I dèmoni » di
Dostoevskij. L’Evangelo è l’annuncio della grande vittoria e
della liberazione.
Predica Heino Falche, pastore,
professore, della DDR; ricorda
il passato, la guerra, la frattura
dell’Europa, parla del compito
attuale delle chiese, per la costruzione del futuro.
Lentamente la gente deffuisce
sulla piazza. Incontro amici che
non vedevo da tempo: ci si rico
II pastore Heino Falche, mentre tiene la predicazione al culto inaugurale.
nosce, ci si abbraccia, ci si scambia notizie, e come me tanti altri: è una grossa festa, una grande gioia, le nostre bocche sono
piene di sorrisi.
Poi andiamo verso la piazza
del mercato, dove il popolo di
Basilea accoglie tutti con panini
e bevande; intanto al centro della piazza un gruppo di bambini
fa una drammatizzazione del
racconto della torre di Babele.
Il corteo si avvia verso la
Mustermesse, ma si ferma sul
grande ponte, il Mittierebrücke,
sul Reno. Un cavo è stato teso
da una riva all’altra e due funamboli, padre e figlio, partono
da ambedue le estremità. S’incontrano al centro, si abbracciano. Uno libera una colomba
bianca; sopraggiunge uno stormo di altri trecento colombi, liberati poco prima ; si uniscono e
compiono un largo giro, prima di
sparire nel cielo.
I delegati raggiungono la Mustermesse, comincia l’assemblea.
Grandioso, ma un po’ teatrale, il culto di chiusura, tenuto
sull’ampia piazza antistante la
cattedrale. Eppure le parole ci
-seno: la predicazione, tenuta da
Halina Bortnowska-Dabrowska,
polacca, di Varsavia, amica di
Ledi Walesa, laureata in filosofia,
è più biblica di quella tenuta dal
pastore protestante Heino Falcke. C’è anche l’impegno, la dichiarazione solenne, e la « pietra della testimonianza », a significare la consapevolezza di
una svolta che si vuole dare.
Ci sono i gesti, dalle braccia
levate nell’invocazione allo Spirito, all’albero della pace, annaffiato con l’acqua dei fiumi d’Europa e coperto da terra portata
da tutte le nazioni. Eppure non
riesco a togliermi un pensiero
che però non c’entra: era su
piazze come queste, nel consenso
generale, che venivano bruciati
gli eretici! Penso al Concilio di
(Ìlostanza, che ha condannato al
rogo Wyclif ed Hus. Prima di
bruciarli gli tagliavano la lingua,
in modo che non parlassero.
Mentre ho questi strani pensieri, irrompono sul palco, interrompendo bruscamente il discorso di C. Fr. von Weizsäcker,
una mezza dozzina di giovani
che, come si saprà poi, protestavano per ottenere dal Comune
un centro d’incontro per giovani, promesso ma mai realizzato. Sconcerto nella folla. Qualcuno comincia a cantare « Dona
nobis pacem » per impedire ai
giovani di farsi sentire. Tutta la
piazza canta! A me (ma non solo) pare una bestemmia. Ecco
i limiti dei nostri discorsi.
L. D.
Uno striscione con i colori dell’arcobaleno conduce tutti quelli
che entrano nel palazzo delle
esposizioni (dove ha sede l’assemblea) verso il laboratorio per il
futuro dell' Europa. Circa 120
gruppi di diversi paesi presentano proposte, progetti, sogni ma
anche il lavoro che è già cominciato sul piano locale o a livello
internazionale. Ci sono i francescani, c’è Amnesty International,
c’è il centro interconfessionale
per la pace coordinato da Gianni Novelli, ci sono i quaccheri, il
Movimento internazionale della
riconciliazione con Jean Goss attivissimo , i socialisti per la pace,
le accademie evangeliche in Europa, l’EPER (opera di aiuto delle chiese evangeliche svizzere) e
così via. Ma ci sono anche gruppi
che non ti saresti aspettato di
trovare: così il lavoro dell’esercito svizzero è presentato da un
gruppo di ufficiali (e di fronte a
loro il movimento « Una Svizzera
senza esercito » discute animatamente con gli ufficiali e con il
pubblico); così le fabbriche di
prodotti chimici Sandoz e CibaGeigy non perdono l’occasione di
far propaganda per i loro prodotti (ma tutti ricordano il disastro del 1° novembre 1986, quando l’incendio di un deposito di
prodotti chimici, proprio alla periferia di Basilea, ha distrutto
ogni possibilità di vita su tutto il
Reno, fino al suo sbocco nel Mare
del Nord: il fiume era diventato
rosso e lo spavento dei basilesi
non è ancora passato). Un po’ di
tutto, insomma, in questo grande spazio del « laboratorio per
il futuro »: tocca a coloro che
passano cercare di capire, di in
formarsi, di discutere. Al centro
dello spazio del « laboratorip »
c’è l’agorà, cioè il luogo dove
pubblicamente, a turno, i gruppi espongono — davanti alla gente che passa — i programmi e
le pretese: lì dei rifugiati raccontano le loro esperienze (un po’ da
tutti i paesi, non solo d’Europa),
lì si incontra gente dell’Est e dell’Ovest ohe cerca di spiegare differenze e progetti comuni, lì sotto le forme più varie (dialoghi,
pezzi di teatro, musica) ci si presenta e si viene criticati. Gli evangelici italiani erano presenti in
uno stand preparato insieme a
cattolici torinesi: un luogo presto
diventato punto di riferimento
per molti delegati ed amici; luogo di appuntamento dove si cerca di tenersi al corrente e di informare su quel che succede in
Italia. Per esempio si danno inforrnazioni sulla mostra navale
bellica di Genova e sulla lettera
dei 63 teologi cattolici (comprese le reazioni di ogni tipo), si
espone la lettera mandata a Genova con la presa di posizione
(l’unica voce italiana) dei delegati
italiani sulla mostra, si presenta
la lettera di solidarietà della Facoltà valdese di teologia ai 63 teologi italiani. Ma qui si parla anche del Gruppo Abele, delle edizioni « Cultura della pace », dei
libri Claudiana, di Gioventù
Evangelica e del CISV, di Agape
e di « Beati i costruttori di pace ».
La gente passa e si stupisce che
uno stand sia preparato insieme
da cattolici e da protestanti italiani, pone molte domande, si incuriosisce e qualche volta si insospettisce...
Eugenio Rivoir
« Meno tre... meno due... uno...
via! ». Con precisione cronometrica tutta svizzera e con un ampio gesto del braccio da film
vrestern, il capo dà il segnale della partenza alle migliaia di convenuti presso la Mustermesse,
per la marcia attraverso tre frontiere. Il corteo si muove: alla testa un gruppo di bambini porta
una striscia di stoffa lunga 120
metri con i colori dell’arcobaleno. Partono le cineprese, scattano gli otturatori delle macchine
fotografiche. Il corteo scende
lungo la Clarastrasse, raggiunge
la riva del Reno e lungo i viali
alberati costeggia la zona industriale, dove sorgono i grandi colossi della Ciba-Geigy, della Sandoz ed altri.
Ancora un po’, ed ecco il confine. La testa del corteo è già passata oltre. Una mezza dozzina di
guardie stanno ai lati della strada e sorridono ai manifestanti.
E’ un momento di grande emozione. Il confine è rotto, non esiste più; e quando i confini sono
rotti, si stabilisce la comunione.
Ecco, ai lati della strada gli abitanti di Friedlingen offrono bevande e cibi a tutti. Esplode la
LA MARCIA DELLA PACE ATTRAVERSO TRE STATI
Le frontiere sono rotte
Uomini, (donne, bambini, tutti coinvolti in un’esperienza che non è solo simbolica - Giusta l’esortazione a continuare sulla stessa straeda
gioia, abbracci, foto ; ci si guarda
stupiti, i bambini sono affascinati dagli abiti degli ortodossi e
dalle loro barbe. L’Oriente e l’Occidente s’incontrano. Nessuno ha
il visto d’ingresso (necessario
per quanti non fanno parte della
CEE); nessuno esibisce il passaporto. Le nazionalità non sono
elemento di divisione, ma ci si
sente tutti un’unica cosa, fatta di
tanti.
« Continuate così, ad andare
da una frontiera all’altra », dirà
poco più tardi nel magnifico
parco di Friedlingen il vescovo
luterano Engelhardt.
Ci si riposa sull’erba del parco; qualcuno ne approfitta per
mettere i piedi a bagno nella fontana.
Riprende la marcia. Il sole è
forte, e lungo la strada non c’è
un albero. Raggiungo la testa
del corteo e cerco di capire quanti siamo. Rispetto alla partenza
mi pare che siamo aumentati di
tre-quattro volte. C’è una coppia
di mezz’età che inalbera un tricolore di fortuna, fatto di pezzi
di stoffa diversi. Non sono italiani, ma ungheresi ! Mi pare molto
bello che dichiarino così la loro
identità, per far capire che veramente le frontiere sono cadute.
Si raggiunge Huningen (che
malgrado la grafia tedesca si pronuncia alla francese). La fatica è
sul volto di tutti. Rossi, sudati,
coi tratti stravolti per il caldo e
la lunga marcia si raggiunge il
bel parco cittadino, sulla riva
sinistra del Reno, e si dà fondo
alle migliaia di bottiglie d’acqua
minerale messe a disposizione
dalla popolazione. Saluti, discorsi, e poi di nuovo in cammino,
per la frontiera svizzera.
Arriviamo alla frontiera: di
nuovo i bambini con il loro arcobaleno la infrangono, sotto gli
occhi delle telecamere e al canto
di « We shall overcome... ». Applausi, manifestazioni di gioia,
commozione, altri canti, « Hevenu shalom alechem... ».
Si ripete la scena delle volte
precedenti. Qualcuno, dietro di
noi, accenna sul flauto alle note
di « La pace, fratello, sia con te »
e sommessamente ognuno, nella
propria lingua, comincia a cantarlo ; poi passa alle lingue altrui,
e così anche queste frontiere vengono rotte.
Si percorrono le strade di Basilea, ora piene di gente che torna
dal lavoro. Il traffico è paralizzato.
Ci sentiamo degli eroi, anche
per aver fatto questo lungo cammino. Scopro che accanto a me
cammina un bambino; ha tre
anni, la mamma lo tiene per
mano. S’è fatto tutta la marcia
senza protestare e senza mai farsi prendere in braccio!
A notte rientro dalla famiglia
che gentilmente mi ospita. Aspetto il tram ; è in ritardo. Un anziano, a un certo punto, comincia a
imprecare perché il tram non arriva. Gli altri lo guardano in silenzio gelido. Allora cerco di
spiegargli che il ritardo è dovuto
alla manifestazione. « Quale manifestazione? » mi fa lui, lanciandomi uno sguardo duro e ostile.
Non oso replicare.
L. D.
6
speciale Basilea ’89
9 giugno 1989
IMPRESSIONI E COMMENTI
IL BATTELLO DELLE DONNE
Il tempo strìnge:
siamo giovani!
« La pace si fa con la confidenza » - Necessario un maggiore impegno
da parte della chiesa intera - Prima di tutto riflettere sulla giustizia
Potrebbero essere da qualche
parte, al cinema o in discoteca,
come la stragrande maggioranza
dei loro coetanei, e invece sono
venuti qui dai paesi dell’est e del1 Ovest, in tanti, a sobbarcarsi le
fatiche e le speranze di questa
storica assemblea.
Sono in tanti a marciare nel
corteo di pace che ha toccato
le tre frontiere — Svizzera, Francia, Germania —, in tanti agli
stand del palazzo dei Congressi,
durante i lavori, nelle commissioni. E poi li trovi dappertutto,
alla sera in pizzeria ai grandi tavoli dalle tovaglie a quadrettoni
rossi, ai tavolini dei bar fino a
notte, cantando, ridendo, chiacchierando, giocando come tutti i
gino, segretario per l’Europa della World Student Christian Federation, un'organizzazione ecumenica che si è impegnata particolarmente a trattare il problema della pace —; le chiese devono riflettere sulla marginalizzazione dei giovani, riconoscere
che esiste questo problema: noi
non abbiamo ricette-miracolo,
ma bisogna permettere ai ragazzi
di incontrarsi, di impegnarsi. Il
problema della droga esprime la
difficoltà per le giovani generazioni di vivere e di essere intese.
Così anche fondamentale è il problema del lavoro: noi stiamo preparando una conferenza per vedere quali sono le prospettive
economiche dei giovani per il ’92».
Per le strade di Basilea. Gruppi spontanei, biciclette, voglia di ir
contrarsi per i giovani giunti all’appuntamento.
ragazzi della loro età, anche se
mescolano, intendendosi peraltro
benissimo, le più varie lingue.
Quali domande, quali curiosità,
quali giudizi si portano dietro?
Ne ho trovati a gruppi un po’
qua un po’ là, e la conversazione
si è svolta e ripresa in luoghi e
tempi diversi, davanti a un gelato o a tarda notte sulle panchine
aspettando l’ultimo tram, o andando a visitare il rifugio antiatomico in cui alcuni di loro sono
alloggiati: «Un’esperienza sull’impossibilità di non essere pacifisti », dicono; e infatti, tre porte
blindate, muri agghiaccianti di
nudo cemento, file di cuccette assiepate da cui emergono a salutare faccine giovani e insonnolite, una guardia di polizia: che
senso avrà sopravvivere, per vivere così?
Alcuni, come Stefania Lepore,
romana, cattolica « molto legata
all’ecumenismo», che frequenta la
comunità di Taizé da anni, sente
il disagio, qui a Basilea, dell’eccessiva organizzazione: « Io sono
una persona molto semplice —
dice —; qui è tutto un po’ troppo
formale, pochi hanno la mentalità che semmai la pace viene
dal piccolo; in fin dei conti la pace si fa con la confidenza, e per
essere confidenti bisogna conoscersi, e qui magari si lavora insieme ma non si riesce a parlarsi.
Io speravo di portare a casa
un bagaglio culturale più arricchito, e un inizio di apertura verso il prossimo, che non rimanga legato alle grandi occasioni ».
Questo disagio è diffuso e garbatamente additato da più parti:
« Nel documento il problema giovanile non c'era, e questo riflette una situazione di molte chiese, dove la tendenza è di non lasciare la parola ai giovani — osserva Jean-François Delteil, pari
Sono concreti, sono cauti e
pragmatici questi ragazzi: « Il lavoro che c’è da fare deve avvenire nelle chiese a casa propria
— dice Brighi Sigrist, delegata
metodista di Berna —; se il lavoro non inizia dalla base sarà sempre molto retorico e intellettuale.
Molta gente si interessa e si
chiede: cosa possiamo fare?
Spesso si parla dei grandi problemi da un punto di vista teologico e non pratico. Invece è
importante dire una parola chiara sui passi che si sono fatti e
in che direzione bisogna farli».
« Io ho sempre visto le carenze — dice la vivacissima Debora
Spini, metodista, che alterna un
torrenziale inglese e francese al
più puro toscanaccio, una delle
tre donne (la più giovane) del comitato organizzatore dell’Assemblea ovvero, come si definisce
scherzando, « burocrate ecumenico » — per cui adesso tutto sommato sono abbastanza contenta:
per esempio, non era previsto un
pre-incontro dei giovani, e questo
l'abbiamo fatto. Per me è stato
importante entrare in contatto
con un ecumenismo fatto a livello non soltanto giovanile, ma delle chiese. E poi c'è stata una
cooperazione tra organizzazioni
giovanili che prima si conoscevano a malapena, per esempio con
quelle cattoliche, e questo non è
poco. Se dovessi tornare indietro? Vorrei fare le stesse cose
che avrei voluto 20 mesi fa: meno
speaker ufficiali e più gente dei
movimenti, e poi mi sarebbe piaciuto che fosse meno celebratoria
e ci fosse più confessione di peccato. La critica più feroce? In
una parola: meno ingessatura! Il
mio augurio? Che la gente la
prenda sul serio! ».
C’è chi poi ha vissuto questa
esperienza provenendo da realtà
Controcorrente
alla fonte
Uno spazio per chi non era ufficialmente rappresentato - I nodi di femminismo e pacifismo
difficili. E’ questo il caso di Noel
Irvin, irlandese metodista di Belfast, delegato. Si è impegnato
particolarmente per la pace?
« No — risponde polemico —
sento particolarmente il tema
della giustizia. Il problema del
Nord, infatti, è che la gente che
è preoccupata della pace — e sicuramente le chiese sono tra questi — non si occupa assolutamente della giustizia nella stessa maniera. La ragione per cui non abbiamo pace è a causa di una situazione ingiusta. Le chiese vorrebbero mantenere questa situazione, ma senza conflitto, ed è per
questo che parlano di pace, che
intendono come assenza di conflitti.
L'Assemblea credo abbia mostrato quello che può o non può
essere fatto dalle chiese a livello
istituzionale. A livello politico
è stato molto significativo che
non ci fossero speaker di sinistra invitati a parlare, che non
ci fossero dei politici.
Mentre, a livello ecclesiastico,
le chiese non hanno ancora saputo confrontarsi col problema della loro stessa struttura ingiusta,
che ancora esclude le donne, i
giovani, i poveri. E questo è triste, ma c'era da aspettarselo ».
Da un’altra realtà difficile proviene Michel Nseir, libanese e attualmente studente in Francia,
della Federazione della gioventù
ortodossa mondiale. « La chiesa
ortodossa conosce la diversità —
dice — perché le appartiene; le
chiese ortodosse vengono da diverse culture, anche se all'origine
la cristianità intera era una cristianità orientale. Io vengo da
una chiesa del Medio Oriente, e
bisogna menzionare due cose: la
situazione d'ingiustizia che subisce il popolo palestinese, il suo
diritto ad esistere come popolo,
e d'altra parte che la presenza
dei cristiani in quella regione può
essere una testimonianza importante per una vita pacifica. Molti
cristiani, oggi, cominciano a comprendere che la loro presenza è
importante, e che la questione
delle armi non risolve certamente i problemi della coesistenza ».
Come si sono incontrate, come
hanno dialogato tante esperienze
diverse? C’è chi, come Isabella
Nespoli, segretaria della Gioventù cattolica europea, una delle relatrici ufficiali, afferma: « Noi
abbiamo risposto all'appello della chiesa cattolica, nato in Germania poiché su questi temi il
Nord Europa è più avanti, e abbiamo lavorato a diversi livelli
nazionali ».
E c’è chi è venuto qui sospinto
da altre domande, da diversi itinerari. « A me piace conoscere
molte persone, è l'aspetto per così dire più affettivo delle cose
quello che mi interessa — dice
Luigi Ribaldi, milanese e metodista —; in questa grossa riunione
di massa mi interessano molto i
rapporti informali che sono dietro le quinte. Dipenderà anche
dall'età, però io venendo qui provo che non sono solo. E poi ci sono diverse civiltà: sono molto curioso dei ragazzi dell'est, dei russi. Oggi c'è stato un incontro sull'obiezione di coscienza, c'erano i
quaccheri, e alla fine hanno detto
una preghiera tenendosi per mano: questo modo di comunicare è
estraneo alla mia cultura, noi italiani forse, strano a dirsi, ci vergogniamo dei sentimenti. E sai da
chi ho imparato questa attenzione invece, .sai da chi? Dai tedeschi! ».
Piera Egidi
Posso affermare, forse con un
po’ d’orgoglio ma in buona coscienza, che a Basilea una presenza è sembrata generalmente
più significativa delle altre:
quella delle donne. Questo fatto
mi pare già evidente per quanto riguarda gli interventi ufficiali nelle assemblee plenarie: i più
incisivi e radicali sono stati senza dubbio quelli di Aruna Gnanadason, terzomondista, e di Annemarie Schonherr, pastore della DDE, femminista. Anche nei
momenti liturgici il contributo
femminile si è segnalato per
l’impegno nella ricerca di nuove
forme di espressione, verbali e
non, che fossero quanto più possibile inclusive.
Ma un’iniziativa è, a parer mio,
degna di un’attenzione particolare; quella della Virunga, il battello ancorato limgo le rive del
Reno, gestito da un gruppo di
donne di provenienza diversa,
per lo più di formazione femminista. Le organizzatrici hanno invitato tutti, donne e uomini, a
raccontare le loro esperienze, a
discutere, a riflettere, o anche
semplicemente a far festa con
loro. Lo scopo era quello di offrire un luogo dove i vissuti, le
rivendicazioni, i sogm e i bisogni delle donne potessero esprimersi liberamente, e dove tutti
coloro che sentissero di non essere rappresentati all’interno dell’assemblea ufficiale potessero
far sentire la loro voce.
Ogni giorno le attività sul battello erano dedicate ad un tema
particolare: teologia femminista, ecologia, pace, giustizia.
Uno dei momenti più significativi è stato senza dubbio l’incontro con due teologhe cattoliche femministe: Mary Hunt e
Diann Neu (USA), che hanno
parlato delle donne che, con loro, si sono costituite come Women Church (chiesa delle donne). Questo gruppo non vuole
essere una minoranza separatista, o semplicemente rivendicare i diritti delle donne nella chiesa ma, costituendosi in prima
persona come chiesa, si impegna
per cambiare radicalmente le
strutture di potere che, nelle comunità dei credenti come nella
società, opprimono non solo le
donne, ma tutte le categorie dei
deboli, dei diseredati, dei « diversi ».
Nella giornata dedicata alla pace sono stati sottolineati i legami fra femmimsmo e pacifismo.
Si può essere femministe senza
essere anche pacifiste, o parlare
di temi come pace e giustizia
senza affrontare seriamente i
problemi delle donne? Io credo
di no, perché se si vogliono rivendicare i diritti delle donne, il
diritto alla pace è fondamentale
e condiziona tutti gli altri e,
nello stesso tempo, la lotta per
la pace è una lotta contro delle
forme di potere prettamente
maschili.
Nel corso di queste giornate
sul battello sono state affrontate numerose altre problematiche: quella ecologica, Nord-Sud,
il nucleare, la femminilizzazione
della povertà, donna e lavoro...
Ogni volta ho apprezzato, nelle
partecipanti, il modo di farsi
coinvolgere in prima persona dai
problemi, e di parlarne in termini concreti, dando loro nomi e
contesti precisi. Le questioni venivano poste con più chiarezza
e radicalità, in modo più « politico », di quanto non fosse possibile fare (per forza di cose)
nei momenti ufficiali. Per fare
degli esempi, il battello è stato
uno dei due unici contesti dove
ho sentito parlare di omosessualità (l’altro contesto è quello giovanile), o dove si facevano
riferimenti precisi alla vita politica. Non si aveva paura a lanciare accuse pesanti, ma sempre
facendosi chiaramente carico di
un contributo per la risoluzione
dei problemi sollevati.
In questo senso, quindi, si può
dire che a Basilea il « battello
delle donne » sia andato un po’
controcorrente, ma nella direzione della fonte, cioè verso il
nodo dei problemi, forse meno
lontano dalla loro soluzione.
Gabriella Lettini
I delegati
I delegati accreditati erano esattamente 638.
Di questi, 324 aa parte delle chiese
membro della KEK e 314 del Consiglio
delle conferenze episcopali.
Queste le fasce d'età:
sotto i 30 anni: 10,5%;
tra i 30 e i 50 anni: 33,5%;
oltre i 50 anni 56%.
Questa la ripartizione secondo il
sesso;
donne 33%;
uomini 67%.
Da parte delle chiese membro della KEK:
33% donne;
67% uomini.
Da parte del Consiglio delle conferenze episcopali:
33,5% donne
66,5% uomini.
I! battello delle donne ha avuto in realtà la funzione più ampia di
dar voce a quanti ufficialmente non l'avevano.
7
9 giugno 1989
speciale Basilea ’89 7
Pace nella giustizia
« Ci siamo riuniti a Basilea per ascoltare insieme ciò che lo Spirito Santo dice oggi alle chiese.
Siamo consapevoii delle minacce mortali che gravano attuaimente suil’umanità. Ma il nostro Dio è un
Dio di vita, che non abbandona l’opera delle sue
mani. Questo Dio ci dice di rinunciare all’ingiustizia, alia violenza, allo sfruttamento. Il suo appello
alla conversione è la porta della vita ».
Così comincia il « Documento finale » votato a
larghissima maggioranza dall’assemblea (480 sì,
11 no, 12 astenuti).
L’intero documento è costituito da una introduzione che fa in breve la storia della nascita di
questa assemblea e dell’iter del documento; a questa seguono sei capitoli suddivisi in complessivi 101
paragrafi. Nel primo capitolo (paragrafi 1-7) sì parla
di ciò che è e che vuole essere Basilea ’89. Nel secondo (parr. 8-20) si descrivono le sfide alle quali
le chiese sì trovano a dover rispondere (ovviamente
in ordine alla giustizia, alla pace e all’ambiente)
e se ne analizzano le cause. Il terzo capitolo (parr.
21-40), insieme al quarto (parr. 41-45), si occupa dei
problemi teologici ed è un importante esempio di
una teologia ecumenica. Il quinto capitolo (parr.
46-69) porta il titolo: «Verso l’Europa dì domani »,
ma non può non incominciare ricordando il passato.
Chiude il documento il capitolo VI, che riprende, in
un certo senso, le linee della riflessione dei precedenti capitoli, sviluppandole ulteriormente. Ne diamo qui una prima traduzione provvisoria, curata da
Erika Tomassone e Klaus Langeneck, in attesa del
documento ufficiale in corso di stampa.
Il documento votato dall'Assemblea il 20 maggio ha
dietro di sé un lungo dibattito, nel quale tutte le chiese europee sono state coinvolte.
Ad una prima bozza, spedita nell’autunno scorso in migliaia di
esemplari a tutte le chiese, seguiva nei primi mesi di quest’anno una seconda bozza. Essa teneva conto delle numerosissime osservazioni pervenute ed
aveva un taglio molto più definito, rispetto al primo documento. Anche a questa bozza venivano fatte molte osservazioni e
circa un centinaio di proposte
di emendamenti.
Nel corso dell’Assemblea 20
gruppi di lavoro, suddivisi secondo le varie tematiche, hanno
rielahorato ancora una volta il
documento, ed hanno presentato le risultanze della discussione ad una commissione, incaricata di redigere il documento finale. Ecco i nomi dei componenti la commissione: vesc. Bela
Marmati, dr. Alexander Papaderos, prof. Konrad Raiser, sig.ra
Helena Tuomi, dr. Roger Williamson, sig.ra Vera Maria Candau, prof. René Coste, prof. .ìoachirn Kondziela, prof. Ernst J.
Nagel, prof. Joseph Selling, e infine il prof. Hermann Goltz in
qualità di segretario.
Ma la stesura vera e propria
del documento è dovuta alla
penna di Raiser, Williamson e
Selling, ai quali è andata la riconoscenza di tutta l’Assemblea
per l’ottimo lavoro compiuto, in
tempi molto ristretti, e con uno
sforzo enorme (han lavorato per
37 ore ininterrottamente!).
Ma qual è il valore di questo
documento che è il distillato di
una discussione che ha coinvol
to milioni di credenti sparsi in
Europa?
« Non certo quello di una confessione di fede », ha detto Raiser nel corso di un’intervista;
Williamson ha inoltre precisato
che il valore del documento dipenderà dalle chiese. Non è dotato di alcuna forza che costringa qualcuno ad accettarlo; d’altra parte rappresenta una tappa importante nel processo conciliare, ed ha aggiunto: « Ora bisogna che le chiese prendano le
loro responsabilità, ed assumano decisioni il più possibile insieme ».
Secondo Raiser sono quattro
i punti forti del documento. In
primo luogo: la pace, la giustizia, l’ambiente non rappresentano tre preoccupazioni indipendenti, ma sono tutt’e tre ancorate nella fede in quello che il documento chiama « l’Evangelo
dello shalom ». In secondo luogo
il vasto capitolo siiH’ecclesiologia afferma che, nonostante la
nostra appartenenza a chiese e
comunità diverse, noi siamo
membra del corpo di Cristo. E’
un’affermazione che rappresenta
un progresso non indifferente
sul piano ecumenico ed è probabilmente il punto più alto di
consenso oggi raggiungibile. In
terzo luogo: il testo insiste su
« un’etica positiva della pace » e
quindi dell’impegno attivo del
cristiano a favore della pace. Si
tratta di una posizione nuova,
destinata a soppiantare l’idea di
una « guerra giusta ». In quarto
luogo è stata operata una rivoluzione copernicana: « Il documento c’invita a passare da una
visione antropocentrica ad una
visione biocentrica ». Sarà ora
compito dei teologi considerare
le cose da questo nuovo punto
di vista.
Rimangono ovviamente dei
problemi ancora aperti. La Commissione s’è resa conto che sulle questioni etiche non si poteva giungere ad un accordo, e ne
è un esempio l’annosa e controversa questione dell’aborto.
Un’altra questione rimasta insoluta è quella della sicurezza e della dissuasione. « La formula trovata — ha detto Raiser — probabilmente non riuscirà a soddisfare tutti ». Anche se
non è. del tutto superato l’istituto della guerra, la via della
nonviolenza è indicata come la
migliore, per giungere a un cambiamento in Europa.
Un elemento che rimane come una grossa ombra sullo sfondo è quello dell’intercomunione.
Le chiese vivono già, sulla base
del battesimo e della confessione di fede, una comunione reale, ma questa non riesce ancora
a tradursi nella partecipazione
alla comune mensa del Signore:
E’ un problema che rimane dunque aperto.
Da parte delle chiese dell’Est
un notevole apporto è venuto
per quanto riguarda la profondità con la quale « bisogna ripensare — ha detto Raiser —
il ruolo dcH’uomo nella creazione ». Un altro punto « caldo » è
rappresentato dal problema dell’autodeterminazione dei popoli,
senza che questo diventi un avallo del nazionalismo di alcune
minoranze etniche.
In sostanza un documento di
compromesso, il cui merito però è quello di non aver creato
artificiosi consensi, e di non aver
comunque ignorato i problemi
spinosi.
8
8 speciale Basilea ’89
DAL DOCUMENTO FINALE
6.1. Affermazioni
ed impegni
70. L’Assemblea ecumenica europea « Pace nella giustizia » è
una tappa di un processo. Non
è essa stessa il processo. Noi ribadiamo di voler cercare il più
alto livello di consenso in ciò
che possiamo dire e fare insieme per la giustizia, la pace e la
salvaguardia del creato, come
chiese e cristiani europei.
71. Come delegati delle chiese
europee noi ci impegniamo ad
operare nelle nostre chiese e nelle nostre società per la giustizia,
la pace, la salvaguardia del creato.
Chiediamo alle chiese d’Euro
pa di fare la stessa cosa nei loro
rispettivi paesi ed a livello internazionale. Il rinnovamento
personale ed il cambiamento delle strutture sono, in questo impegno, i due lati della stessa
medaglia.
72. Nella fedeltà all’Evangelo,
come delegati delle chiese europee:
consideriamo uno scandalo
ed un crimine che, ogni anno,
rnilioni di persone debbano morire di fame in un mondo in cui
ci sono risorse e prodotti alimentari sufficienti per tutti;
ci impegniamo per la condiyisione delle nostre risorse. Ci
impegniamo per l’opzione preferenziale per i poveri, gli oppressi, i senza potere. Vogliamo adoperarci per un nuovo ordine economico internazionale.
73. Consideriamo scandaloso e
criminale il modo con cui vengono violati i diritti umani. Gli
esseri umani sono creati ad immagine di Dio ed hanno un diritto inalienabile alle garanzie di
vita fondamentali. Ci impegniamo a lottare contro tutte le violazioni dei diritti umani e contro le strutture che le favoriscono. Consideriamo urgente e vitale proteggere la dignità umana
di tutti per l’intera estensione
della vita, specialmente quando
essa è più vulnerabile, vale a dire al suo inizio ed alla sua fine,
nella malattia e nell’esclusione
dalla comunità umana. Ogni discriminazione di classe, razza,
sesso, fede, come pure la separazione forzata delle famiglie
viola profondamente la dignità
umana. Respingiamo l’uso della
tortura e della pena di morte
in tutte le circostanze. Vogliamo
adoperarci per l’applicazione di
tutti gli accordi relativi ai diritti umani.
74. Consideriamo uno scandalo ed un crimine il danno irreversibile che continua ad essere
arrecato alla creazione. Stiamo
diventando consapevoli del fatto
che c’è bisogno di una nuova
partnership tra gli esseri umani
ed il resto della natura. Non vogliamo più ri,solvere i problemi
a spese di altre per.sone o produccndo nuovi problemi. Vogliamo adoperarci per un ordine ambientale internazionale.
7.‘i. Consideriamo vitale ed urgente per l’umanità l’abolizione
deH’istituzione della guerra ed il
superamento della deterrenza
fondata .sulle armi di distruzione di massa. Sentiamo il bisogno di liberare progressivamente il mondo da tutte le armi di
distruzione di massa. Ci impegniamo per una soluzione non
violenta dei conflitti da un capo all’altro del mondo. Vogliamo
adoperarci per un ordine internazionale di pace. In particolare
dobbiamo giungere insieme a
trattati concreti che formino le
basi di un ordine di pace internazionale.
76- Consideriamo vitale ed urgente comprendere che le risorse di questa terra devono essere condivise con le generazioni
a venire e la vita futura. Ci impegniamo ad adottare un nuovo
stile di vita nelle nostre chiese,
società, famiglie e comunità.
77. Come cristiani viviamo nell’alleanza con Dio e con tutta
la creazione. Dio cambia il cuore e lo spirito. Per questo noi
vogliamo stipulare una alleanza
reciproca. Noi tutti siamo membra dell’unico corpo di Cristo: a
Lui va la nostra prima fedeltà.
Tutte le altre forme di lealtà (nazionali, culturali, sociali, ecc.)
sono di secondaria importanza.
In Cristo risiede il fondamento
del nostro impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia
del creato.
6.2. Raccomandazioni
78. Rinnoviamo il nostro impegno ad_ essere la chiesa, il corpo di Cristo e il popolo di Dio.
Chiediamo alle nostre chiese e
a tutti i cristiani in Europa di
lavorare per la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato secondo quanto formulato nelle
raccomandazioni che seguono.
79. Consideriamo essenziale
che le preoccupazioni vitali per
la giustizia, la pace, la sàlvaguardia del creato non siano separate dalla missione della chiesa
di annunziare l’Evangelo. Ci impegniamo perciò nel compito di
annunziare a tutti l’offerta da
parte di Dio di una nuova vita
in Cristo.
80. Incoraggiamo l’iniziativa di
culti ecumenici di shalom. Donne e uomini che si impegnano
in questi culti impareranno a
considerare le loro chiese come
parte de] popolo di Dio che compie ¡I suo servizio in mezzo a
tutti i popoli. Ci impegniamo
perciò a diffondere questo spirito attivo di shalom.
81. Più particolarmente, porremo i nostri sforzi, e chiederemo
ad altri di porre i loro, nel quadro de! processo della CSCE
(Conferenza sulla sicurezza e
cooperazione europea) e nel quadro delle Nazioni Unite ad un
liv^ello mondiale.
82. L’approccio globale del quadro della CSCE relativo alla sicurezza, alla cooperazione, economica e ecologica, ai contatti
umani e ai diritti umani dovrebbe essere rafforzato ed esteso
per includere anche la dimensione ecologica e la questione della aiustizia ne! rapporto Nord/
Sud.
83. Il quadro internazionale
delle Nazioni Unite dovrebbe essere reso più efficace. L’ONU si
è dimostrata utile nella soluzione di conflitti regionali, nel sostegno degli sforzi di sviluppo
di molti paesi, nelle questioni
di carattere ambientale. C’è bisogno quindi che i governi del
móndo aumentino il loro sostegno alle Nazioni Unite c traducano questo sostegno in una forma tangibile. Il lavoro delle organizzazioni non governative negli ambiti di pace, giustizia, cooperazione intemazionale, della
difesa dei diritti umani e della
protezione dell’ambiente dovrebbe essere sostenuto e rafforzato.
Giustizia
84. a) C’è un bi.sogno urgente
di un nuovo ordine economico internazionale per l’intera
umanità, che dia particolare
priorità ai poveri, agli oppressi,
ai senza potere. Ogni sviluppo
economico deve essere sottoposto ai criteri di praticabilità sul
piano sociale, internazionale, ambientale e su quello delle generazioni future. Tale azione dovrebbe comprendere la regolamentazione delle relazioni commerciali internazionali, l’allegge
rimento del peso del debito dei
paesi poveri, la cooperazione allo sviluppo attraverso organizzazioni che rendano capaci le persone di fare degli investimenti
nel campo della giustizia, come
la Società ecumenica di cooperazione per lo sviluppo (EDCS),
come pure la ristrutturazione
dei sistemi di produzione e di
consumo che sono determinati
sempre più dalle nuove tecnologie e che continuano a creare
società a due facce: una per i
ricchi, un’altra per i poveri. Dobbiamo anche ricordare ai nostri
governi che sono trascorsi venti
anni da quando i membri delle
Nazioni Unite convennero di usare lo 0,7% dei loro prodotti
nazionali lordi a favore dello
sviluppo. Programmi quali i fondi di solidarietà europei sono
anche degni di sostegno.
b) Per quanto riguarda il
problema dell’indebitamento, raccomandiamo che i paesi in via
di sviluppo siano sollevati dai
loro debiti, mentre siano prese
misure più efficaci per l’alleggerimento del debito di tutti i paesi, compresi quelli dell’Est europeo. I governi sono nella condizione di rimettere o riscaglionare i debiti, aiutare le banche
commerciali e le istituzioni internazionali a portare avanti azioni simili. Devono essere create delle condizioni per evitare
che questi paesi si indebitino ancora in queste proporzioni (prevenire la fuga dei capitali, rivedere il sistema monetario internazionale, cambiare la politica
del Fondo monetario internazionale, rivedere l’impostazione del
commercio) e per assicurarsi che
i fondi stanziati siano usati a
favore delle vittime della povertà. Inoltre raccomandiamo pressantemente che vengano resi operanti i fondi del « Disarmo
per lo sviluppo » (Conferenza
ONU 1987).
c) Per poter superare situazioni di ingiustizia che hanno a
che fare con la discriminazione,
il razzismo, il sessismo, la tortura, la scomparsa e l’uccisione
delle persone ed altre violazioni
dei diritti umani, compreso il
diritto dei popoli e delle' nazioni
aH’aut'odeterminazione, richiediamo la piena applicazione degli
accordi internazionali sui diritti
umani, sui diritti civili, politici,
economici, sociali e culturali e
degli strumenti per la loro concreta applicazione, comprendenti:
— la dichiarazione universale dei diritti umani.
— Il patto internazionale sui
diritti civili e politici ed il protocollo facoltativo allegato.
— 11 patto internazionale sui
diritti economici, sociali e culturali.
—- La convenzione di Ginevra sui rifugiati.
— La convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le foiTne di discriminazione
razziale.
— La convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.
— La convenzione delle Nazioni Unite per i diritti fondamentali dei bambini.
— La dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di
intolleranza e discriminazione
basate sulla religione o sulla fede.
— La convenzione contro la
tortura ed altri trattamenti o
punizioni crudeli, disumani o degradanti.
— La convenzione europea
per i diritti umani.
— L’Atto finale della conferenza europea sulla sicurezza e
la cooperazione (Helsinki 1975)
come pure i documenti finali
delle conferenze della CSCE (Madrid 1985 e Vienna 1989).
d) Chiediamo la costituzione
dei meccanismi di controllo necessari in caso di non applicazione di questi diritti, cosicché
anche singole persone possano
appellarsi ad un tribunale internazionale, come accade per la
Convenzione europea sui diritti
umani.
e) Il razzismo è una violazione fondamentale della dignità e
dei diritti umani. Inoltre, secondo la nostra tradizione cristiana, è un peccato. Ciononostante,
il razzismo e la discriminazione
etnica si verificano in molti luoghi, compresi i nostri paesi europei. A volte il razzismo è istituzionalizzato, come nel caso della legge di immigrazione di certi paesi europei e altre strategie
politiche in diverse parti d’Europa. A volte, non è soltanto istituzionalizzato, ma assume anche
dimensioni estreme. Questo è il
caso dell’apartheid in Sud Africa. Consideriamo inaccettabili
tutte le forme di razzismo. L’apartheid, come sistema, non è riformabile e deve essere abolito.
Chiediamo alle chiese, alle comunità, ai singoli cristiani di impegnarsi attivamente a favore
del « programma di azione minimo » di misure diplomatiche
ed economiche (quali l’embargo
sul carbone, il no a nuovi prestiti, la soppressione di linee
aeree dirette) secondo la pressante richiesta de] Consiglio ecumenico delle chiese sudafricane
e della Conferenza dei vescovi
cattolici sudafricani durante la
visita in Europa della loro delegazione nel maggio dei 1988.
n A livello mondiale deve
essere posto un forte accento sul
problema demografico. Poiché il
sovrappopolamento è spesso una
conseguenza della povertà eco
nomica, una adeguata politica
demografica deve concentrarsi
principalmente su uno sviluppo
economico e sociale globale. Essq non deve mai dimenticare la
dignità umana ed il rispetto per
la vita come suo primo criterio.
Chiediamo pressantemente alle
chiese che il sostegno della vita
sia riconosciuto come criterio supremo nella strutturazione dell’ordine sociale. Ciò si applica
in particolare alla protezione della vita non ancora venuta alla
luce e di quella dei bambini.
g) Come ulteriore applicazione di questo fatto chiediamo
in particolare che venga elaborato un concetto di lavoro in cui
donne e uomini condividano tutte le attività ed in cui ognuno
abbia la sua parte di diritti senza che vengano sfruttati i lavoratori, né i più deboli delle nostre società quali le donne giovani con bambini, gli anziani, i
rifugiati ed i migranti. Un’azione di questo tipo comprenderebbe il principio del lavoro condiviso e al tempo stesso garantirebbe un minimo di sostentamento per tutti i membri della
società, occupati o disoccupati.
Ciò comprende anche provvedimenti che aiutino le persone a
lavorare occupandosi di una famiglia. La cura dei bambini, degli anziani, dei disabili dovrebbe essere riconosciuta come un
lavoro importante e valido, degno del riconoscimento della società,
h) La discriminazione contro
le donne, ad esempio nei salari
e nelle possibilità di occupazione, dovrebbe essere abolita. Le
donne dovrebbero essere protette dalla violenza e le donne in
situazioni problematiche, quali le
madri nubili e le donne violentate, dovrebbero ricevere una
protezione adeguata.
i) Chiediamo alle chiese di
migliorare decisamente il coinvolgimento delle donne nei processi decisionali e nella vita della chiesa in generale, di vigilare che esse siano rappresentate
su un piano di uguaglianza negli organi ecclesiastici e nelle
facoltà teologiche, di intraprendere un dialogo profondo con la
teologia femminista, di riconoscere e sostenere l’impegno ecumenico delle donne.
j) Pur riconoscendo che nelle nostre società c’è una idealizzazione dell’essere giovane, riteniamo che la realtà della vita di
molti giovani sia caratterizzata
da una sottostima delle loro capacità e della loro creatività, dalla
mancanza di un ruolo significativo nella società, dalla privazione di una visione del futuro. I
giovani soffrono in molti paesi
per la disoccupazione, la povertà, la crisi degli alloggi, l’alcolismo, l’uso di droghe, l’obbligo
del servizio militare senza la possibilità di obiezione di coscienza.
Chiediamo alle chiese di riconcy
sccre che molti giovani non si
Sentono in grado di partecipare
pienamente alla vita ed alla testinionitmza delle loro chiese.
Una ragione di questo fatto è
che i giovani non sono rappresentati in maniera adeguata negli organi decisionali delle chiese. Crediamo che una migliore
cooperazione tra chiese ed organizzazioni giovanili costituirebbe
un passo importante per il miglioramento della situazione.
9
DAL DOCUMENTO FINALE
speciale Basilea ’89
k) Chiediamo alle chiese di
riconoscere che i rifugiati ed i
lavoratori migranti lasciano i lo, ro paesi di origine in Europa o
fuori dell’Europa perché la loro
situazione economica è disperata o perché sono vittime di oppressione politica, sociale o religiosa. Chiediamo l’abolizione di
tutte le restrizioni contro queste persone. Chiediamo a tutti i
cristiani europei di accoglierli ed
accettarli come fratelli e sorelle
e di adoperarsi in vista di cambiamenti nella legislazione, nell'opinione pubblica, nel comportamento, in modo da permettere
un miglioramento della loro si
inazione. Vogliamo pure richiamare l’attenzione sui milioni di
rifugiati e sulle persone costrette a trasferimenti forzati in altri continenti. Costoro sono vittime di trasformazioni economiche, politiche, sociali ed ambientali e di situazioni di violenz,a.
Le chiese ed i cristiani europei
dovrebbero fare tutto ciò che è
in loro potere per eliminare le
^
cause di tale miseria e dare loro immediata assistenza.
1 ) Chiediamo più in particolare alle chiese, ai cristiani, e ai
d]i igenti della Comunità economica europea di assicurarsi che
1 applicazione deH’Atto unico europeo 1992/1993 non conduca ad
un livellamento verso il basso
dei provvedimenti sociali e degli
standard ecologici. Chiediamo
loro pressantemente di assicurarsi che la Comunità europea diventi più cosciente del fatto che
essa non copre l’intera Europa
e che questo dovrebbe riflettersi nella sua denominazione. La
Comunità europea dovrebbe continuare a prolungare la sua azione oltre le sue frontiere al resto
dell’Europa e del mondo.
m) Il 1992 sarà inoltre il
SOOmo anniversario dell’inizio di
Un periodo di espansione euro
ginati della nostra società e dei
due terzi del mondo.
Ciascuno di noi contribuisce
alle cause di ingiustizia. Il nostro coinvolgimento per cambiare le strutture di ingiustizia sarà credibile solo se noi, come
individui, ci assumiamo seriamente le nostre responsabilità
personali in merito.
Pace
86. a) Dal momento che le chiese europee sono convinte che la
guerra è contraria alla volontà
di Dio, deve essere messo in atto tutto il possibile per sviluppare ulteriormente i meccanismi
intemazionali per la soluzione
pacifica dei conflitti tra le nazioni, attraverso accordi internazionali, attraverso il riconoscimento di tribunali internazionali,
ecc. Questi sforzi dovrebbero essere rivolti al superamento dell’istituzione della guerra. La promozione della pace deve avere
la priorità rispetto alla prevenzione della guerra.
b) Rivolgiamo un appello alrURSS, agli USA e ai paesi europei affinché essi onorino i trattati già esistenti, proseguano i
loro negoziati per il disarmo,
prendano dei provvedimenti a
favore del disarmo convenzionale, raggiungano un accordo sul
divieto generale degli esperimenti nucleari e pongano flne all’uso
militare dello spazio e dell’Antartico. Noi accogliamo accordi
quali il Trattato sui missili antibalistici del 1972 ed il Trattato
di non-proliferazione e chiediamo la loro piena attuazione.
c) Chiediamo a tutti i governi europei di unire le forze
e di operare insieme con Tobiettivo che lo sviluppo, la produzione, lo spiegamento, gli esperimenti, il possesso e l’utilizzo di
armi di distruzione di massa nucleari, biologiche o chimiche siano condannati da una legge internazionale e la deterrenza nucleare sia superata e sostituita
da un sistema di sicurezza diverso e meno pericoloso. Sosteniamo decisamente gli sforzi delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali in favore della sicurezza mondiale e regionale.
d) La sicurezza, oggi, non può
più essere tutelata soltanto a livello nazionale. Il mantenimento
della pace richiede strutture di
sicurezza cooperativa. Tutti i paesi in Europa dovrebbero cercare di collaborare nello sviluppo
e nell’attuazione di strutture di
pea a detrimento di altre popo
la/ioni. Questo ci richiama ad
operare per un rapporto giusto
c nacilico sia fra i paesi europei
che tra l’Europa c altre parti del
mondo, in particolare il Medio
Qricnte, per cui l’Europa porta
molta respon.sabilità storica.
Chiediamo pressantemente alle
nostre chiese di sostenere la lotta dei popoli in America Latina,
Africa e Asia per la giustizia sociale, la dignità umana, la salvaguardia del loro ambiente.
85. Rivolgiamo un appello pressante a tutti i cristiani d’Europa
a contribuire attivamente alle soluzioni di questi problemi all’interno delle loro chiese e delle
loro società. Il nostro stile di
vita dovrebbe tenere conto dei
bisogni dei poveri e degli emar
sicurezza puramente difensive.
In questo modo potrebbe essere diminuito il rischio di un
cattivo uso dei sentimenti nazionalistici, che provocano ed alimentano tensioni e conflitti all’interno di ogni paese e nei rapporti con altri paesi.
c) Coloro che lavorano nelle
forze armate con la pretesa di
proteggere i diritti c le libertà
dei loro popoli dovrebbero esercitare il loro ufficio al servizio
di una pace mondiale. Al tempo
stesso devono essere riconosciuti da tutti i governi, creando le
possibilità di un adeguato servizio civile alternativo, i diritti
all’obiezione di coscienza al servizio militare come parte della
libertà di religione, di coscienza
e di pensiero. Le chiese e le co
munità hanno il compito di consigliare coloro che sono chiamati per il servizio militare nella
loro decisione di coscienza e offrire loro una guida pastorale,
rispettando la decisione dell’individuo.
f) Il commercio internazionale delle armi e l’esportazione
di armamenti e di tecnologia
militare devono essere fermati.
Devono essere trovate delle strategie politiche per la conversione delle industrie belliche in produzioni civili.
g) Noi accogliamo in modo
speciale l’Atto conclusivo della
Conferenza di Vienna della CSCE
del gennaio 1989 e sottolineiamo
la sua importanza per il proseguimento e l’approfondimento
del processo di distensione in
Europa e tra URSS e USA. Sono stati raggiunti importanti risultati per la realizzazione dei
diritti umani, la libertà religiosa ed i contatti umani. Riconosciamo che l’Europa non è riuscita a difendere il diritto di
quelle nazioni e popoli aH’interno degli stati al l’autodeterminazione, né a promuovere le loro
culture, le loro tradizioni e le
loro lingue. Concordiamo che
questi diritti umani devono essere realizzati nella loro globalità e reciprocità come diritti politici; civili, sociali, economici e
culturali. Ci impegniamo a far
uso di questi diritti e a vigilare
sulla loro realizzazione nei nostri
rispettivi paesi. Siamo convinti
della necessità di realizzare contatti umani a tutti i livelli della
società tra i paesi d’Europa. E’
giunto il tempo in cui le frontiere europee, specialmente tra
Est ed Qvest, dovrebbero perdere progressivamente il loro carattere di separazione. Incoraggiamo le chiese ad utilizzare le
possibilità esistenti, stabilendo
in particolare dei rapporti di
partnership tra parrocchie.
h) vSe guardiamo al mondo
intero, osserviamo con grande
sofferenza il per.sistere di alcune situazioni di conflitto e tensione. Pensiamo in particolare al
Medio Qricnte e al Mediterraneo,
alla questione palestinese, alle
situazioni nel Libano e a Cipro.
Chiediamo che sia fatto ogni
sforzo per superare questi conllilti e per risolvere queste questioni nel rispetto delle richieste legittime di ognuno. Dovrebbero essere compiuti degli sforzi per sbloccare queste situazioni in modo che i popoli siano
liberi di fare le loro scelte politiche e che la coesistenza pacifica tra donne e uomini di religioni ed origini diverse sia ristabilita e possa essere un segno
di pace e speranza per tutti. Rivolgiamo un appello pressante a
tutti i cristiani in Europa allìnché aiutino le loro chiese e i
loro governi a risolvere queste
questioni.
i) A tutti i livelli, nelle chiese c nelle società, deve essere
sviluppata l’educazione alla pace orientata alla risoluzione pacifica dei conflitti. In ogni tempo, le alternative nonviolente devono essere una priorità nella
.soluzione dei conflitti. La nonviolenza dovrebbe essere vista
come una dinamica attiva ed una
forza costmttiva fondata sull’a.s.soluto rispetto della persona
umana.
j) Chiediamo a tutti i cristiani in Europa di rinunciare
all’uso della violenza nella loro
vita quotidiana, nella famiglia,
nella scuola, nel lavoro, in particolare di rinunciare alla esaltazione della violenza nei mass
media.
Come cristiani abbiamo una
responsabilità nell’educazione dei
nostri bambini. Essi possono ri.specchiare la visione di un mondo pacifico e giusto nella misura in cui essi sanno di essere
amati incondizionatamente dagli
adulti. Gli adulti che vivono ed
agiscono oggi sono i bambini feriti di ieri; i bambini feriti di
oggi sono gli adulti di domani.
I bambini sono il nostro futuro e la nostra speranza. I diritti
ed i desideri dei genitori riguardo all’educazione dei loro figli
dovrebbero essere rispettati.
Inoltre i genitori dovrebbero avere il diritto di opporsi all’educazione militare o pre-militare. I
bambini non dovrebbero essere
svantaggiati per il fatto di non
frequentare tali lezioni. I diritti
dei bambini dovrebbero essere
riconosciuti e difesi da tutti.
Ambiente
87. a) Qgni sviluppo tecnologico
deve essere sottoposto ai criteri
di praticabilità menzionati sopra
(cfr. 6.2.1 ). Ciò comporta un capovolgimento completo del concetto di crescita economica costante e dell’uso delle risorse
naturali.
b) Lo spreco di energia nei
paesi industrializzati ha raggiunto proporzioni così gigantesche
che c’è un bisogno urgente di
una drastica riduzione nel loro
consumo. Alcune chiese si sono
impegnate ad adoperarsi in favore di una riduzione significativa del consumo di energia. Ri
sumo pro capite di energia nei
paesi industrializzati e aumentare del 30% il consumo pro capite di energia nel terzo mondo
(sulla base di aumenti previsti
della popolazione). Facendo così,
il consumo totale di energia a
livello mondiale aumenterebbe
solo in maniera insignificante.
Questa è l’unica prospettiva energetica mondiale che combina
la salvaguardia del creato con
la giustizia. Questo approccio dovrebbe essere preso sul serio dai
cristiani nei paesi industrializzati, in particolare perché il rapporto Brundtland ha aumentato
in maniera sostanziale la consapevolezza deH’opinione pubblica
sulle questioni ecologiche ed è
ben considerato dalla comunità
Scientifica.
f) C’è il bisogno urgente di
una regolamentazione internazionale e soggetta a controllo sullo
smaltimento dei rifiuti, in particolare di quelli nucleari ed altri
rifiuti nocivi. In nessun modo i
paesi europei dovrebbero liberarsi dei loro rifiuti a spese di altri paesi, nei loro mari o nelle
acque intemazionali. Merita una
attenzione particolare, in questo
campo, la questione dello smaltimento dei rifiuti nucleari (ad
esempio nel Pacifico).
g) Una priorità urgente per
tutti i paesi europei è la costituzione di accordi internazionali sugli scarichi che superano le
frontiere per impedire un ulteriore inquinamento deH’acqua,
dell’aria, del suolo e per riparare i danni già provocati.
h) C’è bisogno di una legislazione e di controlli severi sulla ricerca genetica, sull’ingegneria genetica e di codici di comportamento professionale. C'è ugualmente un bisogno urgente
per le chiese di continuare a riflettere sugli ultimi sviluppi nel
campo delle tecniche biologiche
per fornire delle linee di orien
volgiamo un appello a tutte le
chiese europee e a tutti i cristiani affinché facciano la stessa cosa nei limiti delle loro possibilità e sfidino senza sosta i responsabili delle decisioni nella
vita politica, tecnologica ed economica per strategie più efficaci in vista del risparmio energetico.
c) Ci riferiamo in particolare ai combustibili fossili, il cui
consumo potrebbe essere ridotto per mezzo di tecniche efficaci
di risparmio energetico e attraverso lo sviluppo di provviste
di energie rinnovabili (sole, acqua, vento). Le risorse finanziarie necessarie potrebbero essere
raccolte con un’adeguata tassazione. L’energia nucleare non dovrebbe essere la base della provvista energetica futura a causa
dei suoi rischi sociali, tecnici,
ecologici e militari. Le condizio
ni di sicurezza richieste nelle
centrali nucleari dovrebbero esscre ai più alti standard internazionali.
d) Misure speciali devono essere prese urgentemente per proteggere la fascia di ozono, per
combattere Tefletto serra, salvaguardare ciò che resta della foresta tropicale e prevenire la
diffusione della desertificazione.
e) Secondo il rapporto
Brundtland esiste la possibilità
tecnica di ridurre del 50% il con
tamento etico su queste questioni, circa le implicazioni sul
valore della vita, non solo della
persona umana, ma di tutte le
creature viventi e della natura
stessa.
i) Devono essere presi dei
provvedimenti urgenti per salvaguardare la varietà delle specie
e la ricchezza genetica all’interno delle specie. Le chiese possono contribuire a far conoscer'e
questo problema. La Carta mondiale delle Nazioni Unite per la
natura, del 1982, costituisce un
primo passo in questo senso. Il
passo successivo potr-ebbe esser'c una convenzione internazionale sulle specie, come ha pt'oposto l’Unione internazionale sulla
naiur'a e le risor'se naturali. Dovrebbero e.ssci'c raggiunti degli
accor'di finanziari che vigilino affinché i paesi, .soprattutto nel
mondo povero, ricevano una parte equa dei benefici e dei guadagni derivati dallo sviluppo di
queste specie. Per noi cristiani,
la var'ietà delle specie in sé mostra la generosità di Dio creatoli.
i) Sono l'accoiuandati il dialogo con gli scienziati su questioni ecologiche e uno studio di documenti come il rapporto Bnjndtland. Chiediamo a tutti i cristiani in Europa di aiutare e sostenere le loro chiese ed i loro governi a realizzare questi provve-
10
10 speciale Basilea ’89
DAL DOCUMENTO FINALE
dimenti. Chiediamo a tutti costoro di adottare uno stile di
vita che sia il meno dannoso possibile all’ambiente. Questo significherà una riduzione nell’uso
dell’energia, l’uso di trasporti
pubblici ed una limitazione degli sprechi. Le amministrazioni
comunali possono introdurre una
« contabilità ecologica ». Dobbiamo considerare che la nostra felicità e la nostra salute non dipendono tanto dai beni materiali quanto dai doni della natura
e delle creature nostre sorelle
e nostri fratelli, dalle relazioni
umane e dalla nostra relazione
con Dio.
6.3. Dialogo con
i popoli di altre parti
del mondo
88. Abbiamo notato la nostra
interdipendenza con tutti gli altri
popoli e con la creazione. Abbiamo sperimentato il nostro incontro come un dialogo reso possibile dall’amore di Dio per tutti
noi. Tali esperienze ci danno la
fiducia necessaria per andare verso gli altri, ascoltare e imparare
gli uni dagli altri. •
89. E’ chiaro che noi, come
chiese e cristiani europei, abbiamo bisogno di udire cosa hanno
da dirci, cosa sperano e si aspettano dall’Europa e dalla sua gente, dalle chiese europee e dai loro
membri, le chiese cristiane ed i
cristiani in altre regioni del mondo. La ristrutturazione dell’Europa può essere realizzata in maniera adeguata solo nel quadro
della trasformazione del villaggio
mondiale. In questo processo impariamo gli uni dagli altri. La
condivisione delle nostre risorse
spirituali e di altre risorse è reciproca. Riconosciamo la povertà
spirituale di molte delle nostre
società « ricche ». Perciò abbiamo
bisogno di un dialogo più intenso
con cristiani di altre regioni del
mondo e di altra tradizione. Speriamo che questo dialogo avrà
luogo in un processo ecumenico
mondiale prima, durante e dopo
la convoctizione mondiale su giustizia, pace, salvaguardia del
creato di Seoul (marzo 1990).
90. Sentiamo lo stesso bisogno
di dialogo con altre religioni
mondiali, altre culture, altre vi
sioni del mondo. Per essere credibili in incontri di questo genere
abbiamo bisogno di buone relazioni all’interno e tra le chiese.
Ciò significa anche una relazione
aperta, basata sul dialogo, tra gli
organi direttivi delle chiese, tra
gruppi e movimenti all’interno
delle chiese. Dobbiamo anche incontrare il nostro prossimo che
professa altre fedi o che non ne
professa alcuna, che vive vicino a
noi.
91. Sentiamo un bisogno urgente non solo di dialogo con chi ha
fedi diverse e visioni del mondo
diverse, ma sentiamo anche un
bisogno urgente di un’azione congiunta a favore della giustizia,
della pace, della salvaguardia del
creato. Condividiamo questo impegno con persone di buona volontà.
6.4. Guardando al
proseguimento del
processo ecumenico
in Europa
92. L’assemblea ecumenica europea « Pace nella giustizia » è
stata un avvenimento unico. Mentre le quattro consultazioni congiunte tra la Conferenza delle
chiese europee (KEK) e il Consiglio delle Conferenze episcopali
europee (CCEE) ne hanno preparato il terreno e incontri di questo genere si sono tenuti in molti
paesi europei ed in altre parti
del mondo, questa assemblea non
ha avuto precedenti.
93. Il documento finale riflette
95. Inoltre, come rappresentanti
delle chiese europee ci siamo assunti un certo numero di seri impegni. Quindi siamo convinti che
il lavoro fatto da questa assemblea deve essere continuato. Abbiamo infatti stabilito che l’assemblea ecumenica europea è
parte di un processo e non solo
un avvenimento isolato. Ciò che
accadrà dopo Basilea è di importanza estrema. Chiediamo alle
chiese ed ai cristiani d'Europa di
entrare in un processo di accoglienza. La testimonianza vivente delle chiese, delle comunità,
delle parrocchie e dei singoli cristiani nella loro vita quotidiana
mostrerà l’impatto reale della nostra assemblea.
Questo documento finale, essendo stato formulato a livello europeo, inevitabilmente resta su un
livello generale e le chiese locali
renderanno le analisi più concrete e susciteranno impegni di azione.
96. Abbiamo cercato di guardare al proseguimento del processo
ecumenico e vogliamo offrire alcune proposte. Così a livello locale, all’interno e tra le chiese, piccoli gruppi ecumenici potrebbero
utilizzare questo documento per
identificare le loro priorità di
studio ed azione. Potrebbero essere stabiliti o rafforzati rapporti
di partnership tra parrocchie o
gruppi ecumenici in vari luoghi
d’Europa e in paesi dell’emisfero
sud per incoraggiarci gli uni gli
altri nel processo.
97. Inoltre è stato proposto che
1 annuale settimana ecumenica su
giustizia, pace, salvaguardia del
creato possa essere iniziata co
l’incoraggiamento e le incertezze che abbiamo sperimentato durante questa settimana di intensi
incontri. Abbiamo raggiunto un
consenso su alcuni punti. Abbiamo anche scoperto ambiti di
preoccupazione comuni, e abbiamo identificato delle questioni
aperte, particolarmente a proposito di questioni fondamentali di
etica sociale.
94. I risultati del nostro lavoro
comune certamente non sono
proporzionati alla grandezza della sfida che sta davanti a noi ed
essi possono non soddisfare le attese che molti di noi hanno avuto
da questa assemblea.
della venuta dello Spirito Santo.
In apertura di questo testo abbiamo detto: siamo riuniti qui a Basilea per esaminare ciò che lo Spirito Santo dice oggi alle chiese.
Alla fine di questo documento vogliamo affermare che il processo
ecumenico a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia
del creato è prima di tutto opera
dello Spirito Santo. Nell’unione
con lo Spirito possiamo continuare ad impegnarci con gioia e co
raggio. Crediamo che lo Spirito
Santo è la più profonda sorgente
della vita, della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato.
100. Preghiamo che il Signore
benedica i nostri sforzi. Preghiamo affinché la volontà di Dio sia
fatta in terra come è fatta in cielo (Mt. 6: 10). Per concludere, ci
uniamo alle parole della preghiera per la pace e raccomandiamo
il suo utilizzo a tutte le chiese e a
tutti i cristiani in Europa:
'< Signore, fa’ di noi degli strumenti della tua pace.
Là dove è odio, che noi portiamo amore;
là dove c’è offesa, che noi portiamo perdono;
là dove c'è discordia, l’unione;
là dove c’è dubbio, fede;
là dove c’è disperazione, speranza;
là dove c’è tenebra, luce;
là dove c’è tristezza, gioia.
Concedici di non cercare tanto di essere consolati
quanto di consolare;
di comprendere,
più che di essere compresi;
di amare,
più che di essere amati;
perché è donando che si riceve;
è perdonando che si è perdonati;
è morendo che si risuscita a vita eterna.
Amen ».
Preghiamo
Signore, fa’ di noi strumenti della tua giustizia;
fa’ di noi strumenti della tua pace;
fa di noi strumenti per il rinnovamento delia tua creazione.
struendo ed integrando i vari modelli già esistenti. Ciò potrebbe
costituire un punto focale per
proseguire il processo tra i gruppi e le strutture di collegamento
che hanno organizzato il lavoro
di gruppo sul futuro dell’Europa,
che ha affiancato l’assemblea. Il
modello delle visite di un gruppo
ecumenico potrebbe essere utile
per stimolare le chiese ed i cristiani ad imparare dalle esperienze gli uni degli altri nel processo.
98. Infine, ci rivolgiamo al Consiglio delle Conferenze episcopali
europee e alla Conferenza delle
chiese europee come organismi
che hanno patrocinato questa
assemblea. Confidando che essi
siano pronti a pro.seguire il loro
impegno nel processo ecumenico
in Europa, chiediamo ad essi di
prendere in seria considerazione,
attraverso questo comitato congiunto ed i loro organi di governo, le seguenti proposte:
— formare un gruppo di lavoro per incoraggiare e valutare
il proseguimento del processo dopo questa assemblea ed impegnarsi in riflessioni serrate sulle
sfide dell’etica sociale che sono
emerse durante le nostre discussioni;
— studiare le possibilità di
convocare un altro grande incon
tro europeo entro cinque anni
circa, per dare al processo un
centro e rafforzare il senso di
reciproca responsabilità.
99. Abbiamo cominciato questa
assemblea a Pentecoste, il tempo
delle valli valdesi
settimanale deUe chiese valdesi e metodiste
Direttore: Giorgio GardioI
Vicedirettore; Giuseppe Platone
Comitato di redazione: Mirella Argentieri Bein, Valdo Benecchi, Claudio
Bo, Alberto Bragaglia, Franco Chiarini, Rosanna Ciappa Nitti, Gino
Conte, Piera EgidI, Claudio Martelli, Emmanuele Paschetto, Roberto
Peyrot, Mirella Scorsonelli
Redattori: Alberto Corsani, Luciano Deodato, Adriano Longo, Plervaldo
Rostan
Segreteria; Angelo Actis
Amministrazione; Mitzl Menusan
Revisione editoriale: Stello Armand-Hugon, Mariella Taglierò
Spedizione; Loris Bertot
10066 Torre
Stampa: Coop. Tipografica Subalpina - via Arnaud, 23
Pellice - telefono 0121/91334
Registrazione: Tribunale di Pinerolo n. 175. Respons. Franco Giampiccoli
ABBONAMENTI 1989
Italia Estero
Ordinario annuale L. 38.000 Ordinarlo annuale L. 70.000
Ordinario semestrale L. 20.000 Ordinario (via aerea) L. 100.000
Costo reale L. 60.000 Sostenitore (via ae-
Sostenitore annuale L, 75.000 rea) L. 120.000
Da versare sul c.c.p. n. 20936100 intestato a A.i.P. - via Pio V, 15
10125 Torino
REDAZIONE e AMMINISTRAZIONE: via Pio V, 15 - 10125 Torino ■ telefono
011/655278 — Redazione valli valdesi: via Repubblica. 6 - 10066 Torre
Pellice - telefono 0121/932166
INSERZIONI
Pubblicità commerciale: L. 23.000 per modulo mm. 49x53
Economici: L. 450 ogni paròla
Partecipazioni personali: L. 500 ogni parola
Mortuari: L. 500 ogni mm. di altezza, larghezza 1 colonna
Ricerche lavoro: gratuite. Se ripetute, dalla seconda L. 400 ogni parola
Finanziari, legali; L. 700 ogni parola
Prezzi non comprensivi dell’IVA
Hanno collaborato a questo numero Gernot Jonas, Ann e Ken Hougland,
Erika Tomassone.
11
9 giugno 1989
speciale Basilea ’89 11
NOVITÀ’ E PROMESSA HANNO CARATTERIZZATO L’ASSEMBLEA
La primavera di Basiiea
Le tre maggiori confessioni cristiane europee si sono riunite sotto
il segno della rappresentatività, della conciliarità e dell’impegno
L’assemblea di Basilea s’è conclusa con un bilancio largamente
positivo e se ne parla ormai al
passato. Ma forse essa appartiene
più al futuro che al passato. Appartiene certamente al futuro della speranza, forse anche a quello
dell’esperienza. Basilea è stata una
primizia, un evento aperto su un
futuro da costruire. Basilea si è innestata nella storia ecumenica
d’Europa come una grande promessa; le chiese sapranno raccoglierla, viverla e lavorare per il
suo adempimento? Sapranno, in
una parola, credere in essa? Basilea — è stato notato più volte, con
ragione — ha costituito un evento ed una esperienza mai accaduti prima, non solo nella storia
della chiesa cristiana ma neppure
nella storia del movimento ecumenico. E’ nelle novità apparse a Basilea che si cela la sua promessa.
Prendere coscienza delle novità
significa afferrare la promessa. Le
novità principali possono essere
individuate m queste tre.
Un’unità
pre-conciliare
1. Le tre maggiori confessioni
cristiane d’Europa e del mondo
(cattolicesimo romano, ortodossia
rappresentanti delle chiese ortodosse e protestanti un’unica assemblea cristiana europea. L’ideologia del primato (di Costantinopoli o di Roma, di Ginevra o di
Mosca) è stata messa tra parentesi, o meglio ricondotta dentro i
confini delle confessioni che la
propugnano. Basilea, appunto, non
si vanta di essere « sede apostolica », come non lo era Nicea. Anche nella chiesa antica l’unità ecumenica non era imperniata su una
« sede » ma su un’assemblea che
le chiese, incontrandosi, suscitano
e animano. Così è successo a Basilea. Così dovrebbe succedere in
futuro. L’unità realizzata a Basilea
è stata reale, anche se ancora parziale. E’ stata anche, in certi momenti, un’unità conflittuale, e
questo dimostra che non era una
unità fittizia. Ma s’è trattato di
unità, e non di divisione. Certo,
non la si può chiamare « conciliare » nel senso classico e canonico del termine. Ma complessivamente l’assemblea di Basilea rientra senza dubbio fra le iniziative
che danno vita e corpo all’esperienza pre-conciliare delle chiese,
in attesa che si possa convocare
un concilio veramente ecumenico
di tutta la cristianità.
A Basilea dunque sono scomparsi gli « osservatori delegati »
Una pausa nel parco di Friedlingen (RFT) nel corso della marcia
della pace che ha toccato Svizzera, Francia e Germania.
orientale, protestantesimo) hanno
dato vita a un’assemblea ecumenica di cui tutte e tre si sono assunte direttamente e collegialmente la responsabilità, sia nella progettazione che nell’attuazione. 'Tutte e tre vi hanno preso parte su
un piede di parità, anche se, sul
piano strettamente statistico, la
rappresentanza cattolica era da sola uguale alla somma delle altre
due (ortodossia e protestantesimo),
il che non corrisponde esattamente alla proporzione numerica delle
confessioni in Europa: ma non è
il caso, in questa fase del « processo conciliare», di attardarsi in
questo genere di calcoli. E’ invece
il caso di mettere in luce il fatto
che le conferenze episcopali cattoliche d’Europa, attraverso le loro delegazioni (anche se il loro carattere e valore rappresentativo
non era forse stato sufficientemente chiarito), hanno applicato senza reticenze il principio ecumenico (e conciliare: De Oecumenismo n. 9) del «par cum pari» («da
pari a pari »), costituendo con i
invece è un passo coraggioso e forse decisivo verso l’adozione di
nuove regole nei rapporti tra le
chiese? Vorranno e sapranno, queste ultime, ispirarsi al « modello
Basilea », oppure ricadranno nelle
loro vecchie abitudini settarie? Ricominceranno a « osservarsi » a
prudente distanza le une dalle altre, o invece impareranno a incontrarsi regolarmente « da pari a pari » e, così, a vivere e crescere insieme in vista della testimonianza cristiana nel nostro continente,
che nel frattempo sta diventando
il meno cristiano — anche se resta il più cristianizzato — di tutti?
La chiesa è formata
da tutti, dai « vertici »
e dalla « base »
che, in passato, erano sempre presenti nelle assemblee rappresentative ecumeniche e confessionali.
Ad esempio, al Vaticano II erano
presenti molti « osservatori delegati » delle altre confessioni; alle
assemblee generali del Consiglio
ecumenico delle chiese la chiesa
cattolica manda puntualmente i
suoi « osservatori », e così via.
A Basilea invece nessuna chiesa
« osservava » l’altra, nessuna è rimasta esterna all’assemblea, nella
posizione di chi guarda quello che
altri fanno. Tutte le chiese erano,
allo stesso titolo e nella stessa misura. corresponsabili di questa iniziativa comune. Che cosa succederà ora? Basilea sarà la classica
rondine che non fa primavera? O
è invece una rondine diversa, che
la farà? E’ una parentesi che le
chiese si affretteranno a chiudere
per sempre in modo che tutto continui come se Basilea non ci fosse
stata, o invece è l’apertura di una
pagina nuova che esse si sforzeranno di scrivere insieme? E’ l’eccezione che conferma la regola, o
2. Basilea è stata una primizia
per un secondo motivo, e cioè per
un nuovo modo di rappresentare
la chiesa. Tradizionalmente, si sa,
le chiese erano rappresentate soprattutto o unicamente dai loro
ministri. Oggi ancora la rappresentanza ufficiale della chiesa
cattolica e delle chiese ortodosse è
riservata ai vescovi, mentre quella
delle chiese della Riforma appartiene ai sinodi (nei quali, se non
altro, la metà almeno dei membri
è « laica »). A Basilea s’è visto un
modo nuovo, molto più articolato
e diversificato, di rappresentare la
chiesa. L’idea di fondo è che una
rappresentanza autentica della
chiesa non può avvenire soltanto
attraverso i suoi vertici (comunque vengano creati e convocati),
deve comprendere e coinvolgere
anche la cosiddetta « base », il
corpo vivo e attivo della chiesa.
Così è successo che a Basilea c’era,
ovviamente, al centro di tutto, l’assemblea dei 700 delegati ufficialmente inviati dalle rispettive chiese. Ma insieme a loro — ad esempio — c’era sul Reno l’attivissimo
« battello delle donne », che è stato uno dei protagonisti dell’assemblea; e accanto alla hall dove quest’ultima si riuniva c’era l’ampia e
variopinta « mostra del futuro »,
in cui un gran numero di gruppi
e movimenti cristiani operanti
nelle chiese, tra le chiese e al di là
delle chiese documentavano le loro attività e i loro progetti. Analogamente, accanto ai dibattiti e
alle relazioni dell’assemblea ufficiale, ci sono stati numerosi e appassionati hearings (lett.: « udienze »), animatissimi incontri a più
voci sui temi centrali dell’assemblea e, più in generale, della testimonianza cristiana oggi. Così
anche chi non partecipava personalmente all’assemblea poteva
partecipare direttamente alla sua
problematica. Era chiesa l’assemblea dei delegati, ma lo era
anche quella dei non-delegati.
Rappresentava la chiesa l’assemblea ufficiale ma la rappresentava anche, in un modo
diverso ma certo non meno autorevole c incisivo, la « mostra del
futuro » o il « battello delle donne». Questo significa che l’assemblea ecumenica di Basilea è stata
più inclusiva delle tradizionali assemblee ecumeniche. E’ stata più
inclusiva per essere più rappresentativa.
Alla base di questo allargamen
Una veduta
parziale
dell’assemblea,
riunita sulla
Miinsterplatz
per il culto
finale.
to della nozione di rappresentatività c’è una intuizione profonda e
una indicazione importante: non
basta un sinodo, un concilio, neppure un concilio universale, a rappresentare la chiesa nella sua totalità. O meglio: può rappresentarla, ma a patto di non essere
solo un’assemblea di « vertici ». E’
questo, appunto, uno dei temi dibattuti a proposito della nozione
di « processo conciliare », ormai
familiare nella comunità ecumenica. La domanda può essere posta
in questi termini: come dev’essere un concilio (o sinodo) per poter essere veramente rappresentativo di tutta la chiesa? Certo, ci
sono e ci saranno sempre i delegati e i deputati. Sono insostituibili.
Ma a Basilea non c’erano solo loro e si è intravisto un modello di
conciliarità non solo meno clericale ma anche meno formale di quello tradizionale. La ricerca va continuata, il modello va perfezionato. Ma la via intrapresa è buona.
La chiesa assume
i problemi del mondo
e ne parla
alla luce dell’Evangelo
3. Terza novità, il tema. Non
è ancora pervenuta la versione
definitiva del documento finale
prodotto — con un parto alquanto laborioso — dall’assemblea dei
delegati. Sappiamo che vi sono alcuni punti (in particolare sull’aborto, sul ruolo dell’esercito e sulla confessione di peccato delle
chiese) sui quali la posizione evangelica è — in generale — diversa
e talvolta opposta a quella accolta
nel documento. E’ inevitabile che
un testo del genere non rispecchi
integralmente le posizioni di nessuna confessione particolare e che
alcune formulazioni siano, come si
usa dire, di compromesso, siano
cioè il frutto di faticose transazioni che alla fine non soddisfano pienamente nessuno ma consentono
un discorso comune.
Ma al di là dei contenuti specifici del documento (che, quando
uscirà, dovrà essere studiato con
attenzione e intelligenza), c’è il
fatto significativo di un’assemblea
ecumenica i cui lavori ruotano tutti intorno alla pace, alla giustizia
e all’integrità del creato, e di una
cristianità europea invitata tutta
a entrare in un « processo conciliare » su queste questioni. Potremmo dire; i problemi cruciali
dell’umanità sono assunti dalla
chiesa come suoi e affrontati in
una prospettiva di fede alla luce
della testimonianza biblica. Non si
tratta dunque affatto di un appiattimento della coscienza cristiana
su quel-la politica e civile e tanto
meno di una abdicazione spirituale della chiesa, che sarebbe ormai
incapace di fare un discorso originale rispetto a quello di tutti i
giorni. L’originalità del discorso
della chiesa non consiste nei temi
ma nel modo di trattarli. Chiesa e
società parlano delle stesse cose
ma non dicono la stessa cosa. La
chiesa parla sempre di Dio, della
sua rivelazione in Cristo, della sua
azione salutare mediante la Parola e lo Spirito; ma ne parla in diretto rapporto alle questioni della
giustizia, della pace e dell’integrità del creato, che tutti avvertono
o dovrebbero avvertire come, vitali. Del resto si tratta, come sappiamo, di temi assolutamente centrali nella Bibbia e in Dio stesso.
Parlando di giustizia, pace e integrità del creato la chiesa non
abbandona il suo terreno specifico, al contrario vi affonda le
radici. Il compito primario della
chiesa è evangelizzare e, mettendo
in luce il contenuto biblico ed
evangelico di giustizia, pace e integrità del creato, la chiesa evangelizza. E’ quello che ha cominciato a fare a Basilea. Siamo ancora lontani dalla meta, ma è importante esserci incamminati.
Qual è la promessa contenuta in
questa terza novità di Basilea? E’
che il discorso della chiesa sia
sempre meno separato, interno,
centrato su questioni che interessano e riguardano pochi, e diventi
sempre più un discorso che riguarda tutti, centrato sulle questioni cruciali dell’umanità, non
per ripetere quello che dicono altri né per ricamarci sopra in chiave di morale religiosa, ma per annunciare quel che al riguardo dice
la Bibbia. Evangelizzare significa
anche questo.
Novità e promessa: ecco, in sintesi, Basilea, insieme a molte altre
cose. C’è davvero da essere grati
a Dio che un’assemblea come
quella di Basilea abbia potuto aver
luogo e riuscire. Poteva anche fallire o abortire. Invece è nato qualcosa di vivo e di vero. Non è un
caso che l’assemblea si sia svolta
intorno a Pentecoste, quando lo
Spirito soffia, semina libertà, trasforma i cuori di pietra in cuori di
carne, suscita molte cose nuove,
mai viste. Speriamo anche dentro
di noi e nella nostra chiesa.
Paolo Ricca
12
12 speciale Basilea ’89
9 giugno 1989
1
IL « DOPO-BASILEA » E’ GIÀ’ INIZIATO
LE IMPRESSIONI DI JEAN FISCHER
Seoul? Oltre? Proviamo Un passo in avanti
Un documento del genere sarebbe stato impossibile solo pochi anni fa
Sta succedendo qualcosa. Se in
pochi giorni allo stesso microfono,
di fronte a cristiane e a cristiani
d’Europa delle tradizioni e delle
convinzioni più diverse, possono
avvicendarsi un arcivescovo ortodosso della Russia bianea, capace
di serene e poderose sintesi storiche di settant’anni di potere sovietico e un ex ministro cattolico
italiano che lancia documentatissime grida d’allarme per le sorti
delle specie d’insetti del nostro
continente; se a loro si possono
affiancare un parlamentare anglicano britannico che segnala nella
crescente miseria del Sud del
mondo la più grave minaccia al
benessere del Nord e una donna
protestante indiana che dice: basta con gli aiuti al Terzo Mondo
e sì alla solidarietà fra i movimenti che in tutto il mondo lottano
per la giustizia sociale, per il disarmo, per la difesa delTambiente
naturale contro lo strapotere del
complesso militare industriale e
delle grandi compagnie transnazionali; se ad una parlamentare
europea cattolica portoghese che
predica il rifiuto di ogni semplificazione ideologica o morale della
complessità della crisi mondiale,
affrontabile solo « nel rinnovato
entusiasmo in Dio », può fare eco
una donna pastore della Repubblica democratica tedesca che sa
mettere insieme le lezioni del marxismo, della demoerazia occidentale e del femminismo... se queste
ed altre voci ancora riescono nel
loro contrasto a dar vita ad un
concerto, dobbiamo ammettere
che sta succedendo qualcosa.
Se diecimila europei d’ogni paese possono ritrovarsi insieme per
una settimana a confrontare
nonviolenza e perestroika, cristianesimo e socialismo, scienza e
femminismo in una miriade di incontri con decine e più spesso centinaia di partecipanti; se le voci
più forti, più chiare, più propositive e, per una volta, anche più
ascoltate sono quelle delle donne
anziché quelle degli uomini e quelle del Sud anziché quelle del
Nord; se il primo congresso della
cristianità europea dopo novecento anni può concludersi con Tapprovazione di un documento che
non dice solo banalità ma esprime
nella sostanza una comune volontà di ri-conversione e la traduce in
affermazioni teologiche e politiche
serie, allora vuol dire che quel
che sta succedendo è qualcosa di
grosso.
E questo « qualcosa » è che a
Basilea un qualche senso di giustizia e un qualche senso di pace
si sono baciati: non la giustizia e
la pace di Dio, questo è certo. Ne
usciamo incoraggiati a proseguire
nel cammino conciliare, ma anche
pieni di perplessità, di dubbi, di
preoccupazioni sulle sue sorti. Sarebbe insano ritenere che Tassemblea abbia sancito l’unità teologica
o anche solo politica delle cristiane e dei cristiani d’Europa.
Tuttavia, la tentazione più pericolosa — quella di smussare tutti
gli angoli, di evitare ogni motivo
di contrasto alla ricerca di un
compromesso di basso profilo —
è per ora scongiurata.
II lungo documento di Basilea
— frutto di migliaia di contributi
provenienti dai vari livelli delle
chiese europee — è senz’altro un
documento di compromesso, ma il
suo livello supera ogni aspettativa
che si potesse ragionevolmente nu
trire anche solo un anno fa. Chi
poteva sognare che un’assemblea
copromossa dalle Conferenze episcopali cattoliche potesse riconoscere pari responsabilità, a tutti i
livelli, alle donne e agli uomini
nella chiesa, le une e gli altri «con
i loro talenti, le loro visioni, i loro
valori e le loro esperienze »? O
che potesse esortare le chiese europee (tutte!) a « sostenere la lotta
dei popoli dell’America latina, dell’Africa e dell’Asia per la giustizia
sociale, la dignità umana e la preservazione delTambiente? ». O ancora che potesse esprimere una
parola chiara contro il mercato
delle armi, per la riconversione
dell’industria bellica, contro le armi di distruzione di massa e offensive in generale, contro ogni legislazione restrittiva nei confronti
dei rifugiati e lavoratori migranti,
per una drastica riduzione (il 50
per cento!) dei consumi energetici?
L’elenco potrebbe continuare.
D’altra parte, anche l’elenco delle
titubanze o delle mancanze gravi
può essere altrettanto lungo. Che
dire della frase — infilata all’ultimissimo secondo nelTultima bozza del documento, prendere o lasciare — che mette al centro del
nuovo « ordine sociale » nientepopodimenoché « la protezione della
vita non nata »?
Che dire del riconoscimento
delle « forze armate » che « proteggono i diritti e le libertà dei
loro popoli »? E delia mancata
menzione di conflitti aperti sul nostro continente, quali quello nordirlandese (dal quale i cristiani non
sembrano del tutto assenti), quello delle autonomie nella repubblica serba, quello fra minoranze ungheresi e dittatura in Romania per
ricordare solo i casi citati dal dibattito in plenaria?
E soprattutto, che dire della supergesuitica confessione di peccato della cristianità europea?
« Non siamo nella condizione
di chi può parlare come se fosse
in completo possesso della verità
finale. Le chiese e i cristiani hanno fallito in molti rispetti e non
hanno sempre vissuto secondo i
modelli della vocazione divina,
qualche volta mancando persino
di proclamare la verità di Gesù
Cristo »:un po' poco per gli eredi
delle crociate, delle guerre di religione, delle missioni coloniali,
dell’appoggio o del compromesso
con nazismi e fascismi di questo
secolo!
La cristianità europea è quel
che è. La gravità della crisi economica, finanziaria, ecologica,sociale
mondiale, insieme con le nuove
opportunità e i nuovi rischi — anch’essi ben sottolineati nel documento — che si aprono all’Est e
all’Ovest del nostro continente e
qua e là anche nel Sud del mondo,
le sta facendo pian piano aprire
gli occhi e gli orecchi alle alternative di un mondo altro. Ma le
resistenze sono ancora forti, e ancora lungo e irto di ostacoli è il
cammino da percorrere. Se guardiamo al passato possiamo restare
impressionati dai salti compiuti in
pochi anni. Ma se guardiamo
avanti solo lo Spirito Santo —
quello Spirito che deve pur avere
soffiato a Basilea, magari solo nel
più disertato stand del « Laboratorio per il futuro dell’Europa » o
nel più modesto momento di incontro — può darci la forza di
continuare.
Seoul? Oltre? Proviamo.
Valutando, nel corso di una
conferenza stampa, l’incontro di
Basilea J. Fischer, segretario generale della KEK, ha fra l’altro
detto, per quanto riguarda la
partecipazione massiccia di delegati dall’Est: « In questa assemblea abbiamo fatto un passo
avanti, rendendo possibile la partecipazione anche a persone che
militano in movimenti legati a
chiese: per la prima volta hanno avuto il permesso di recarsi
a un incontro ecumenico. Incontrando, nel corso di viaggi in
paesi dell'Est, responsabili degli
affari religiosi, insisto sempre
sul fatto che il movimento ecumenico non è una questione di
vescovi, presidenti di chiese, ma
c un invito all’insieme del popolo di Dio di fare l’esperienza di
attraversare le frontiere culturali, geografiche e politiche. Per democratizzare l’ecumenismo in
Europa possiamo oggi usufruire
di uno strumento particolarmente utile: l’atto finale di Helsinki
e il documento finale della conferenza di Vienna. Ambedue prevedono facilitazioni per quanti
devono partecipare ad assemblee
di questo tipo. La sfida che i
politici ci hanno lanciato è quella di realizzare nella pratica
quanto essi hanno scrìtto sulla
carta. L’assemblea di Basilea è
un primo passo in questa direzione: spero che non sia l’ultimo ».
Bruno Gabrielli
Sempre circa i rapporti con
le chiese dell’Est, J. Fischer ha
notato che « siamo entrati in
un’epoca nuova: ciò che oggi è
possibile, non lo era due anni
fa. Per molte persone dell’Est
la parola è stata come liberata;
e questo lo si è visto chiaramente nelle relazioni che sono state tenute. La KEK è una comunione di chiese, metà delle quali sono nell’Europa dell’Est. Durante tutto il periodo della guerra fredda siamo restati insieme;
ma non è sempre stato facile.
Abbiamo avuto momenti di tensione perché alcuni volevano dire cose che altri invece non volevano fossero dette pubblicamente. Oggi la parola è liberata
e penso che, nella misura in cui
carnmineremo insieme, una partecipazione più piena delle chiese dell’Est cambierà un po’ tutto il clima nel quale vive la KEK.
Abbiamo compiuto un primo passo eleggendo, per la prima volta in questi circa 30 anni, alla
presidenza' della KEK il metropolita Alexij ».
Affrontando il tema spinosodelia metodologia del dialogo
ecumenico ha osservato: « All’inizio della nostra riunione avevamo dei professori di teologia che
volevano assolutamente imporre
la maniera cattolica di vedere
certi problemi. Abbiamo discusso e siamo riusciti a far capire
che noi protestanti vedevamo le
cose in altro modo. L’insieme
dei problemi su pace, giustizia,
creazione ha al suo interno tutta una serie di punti sui quali
le nostre chiese hanno posizioni
diverse. Non pretendiamo di raggiungere qui a Basilea un accordo né completo né definitivo. Abbiamo invece la pretesa di incontrarci e di dire onestamente
che su certi punti non siamo
d’accordo: siamo divisi. Dunque
dopo Basilea dobbiamo discutere su un certo numero di temi,
per tentare di giungere a definizioni comuni. Per questo abbiamo previsto che chi dissente
dal documento possa far registrare il proprio dissenso, in modo da tener conto delle opinioni di minoranza. Non vogliamo
né creare un consenso artificiale, né eludere certe questioni..
Vogliamo solo dire: fin qui siamo insieme, abbiamo una sola
parola; là invece siamo ancora
divisi e dobbiamo lavorare intensamente, per tentare di trovare un consenso ».
Paolo Tognina
INTERVISTA A MONSIGNOR ABLONDI
Assemblea ispirata alla carità
eccezionale. E’ importante che
ci sia stata questa ispirazione e
che siamo arrivati a questo punto. Dall’incontro di vescovi e responsabili delle chiese d'Europa
si è passati all’incontro del popolo di Dio. Ma adesso bisogna
porre le premesse per un ulteriore sviluppo.
cogliere, bisogna saperli aspettare, e bisogna anche saperli provocare. Sono questi tre atteggiamenti essenziali. Ma i frutti ci
sono certamente: bisogna sapergli provocare, aspettare, cogliere.
— Queste premesse
anche per l’Italia?
valgono
Mons. Ablondi, presidente della
Comm. ecumenica CEI.
— Quali elementi di novità vede in un’assemblea come questa?
-— Veramente non parlerei di
novità, dal momento che una
esperienza come questa non è la
prima. Certo è la prima esperienza così vasta di « popolo di
Dio »; ma non posso dimenticare Tespei ienza che facciamo ormai da 10 anni e che, forse, è
stata l’ispiratrice di questa, e
cioè l’incontro di vescovi e responsabili di chiese in Europa,
iniziata a Chantilly. Questo è stato veramente il primo passo. Per
me quindi questo incontro è uno
sviluppo. L’altro giorno, ad un
amico scozzese che, commentando il servizio nella cattedrale,
diceva: « che bella celebrazione,
veramente eccezionale », ho ribattuto; speriamo che non resti
— Ma io direi che valgono soprattutto per l'Italia. Direi che
in Italia abbiamo già avuto il
primo flutto di Basilea. Io Io
chiamo primo frutto, perché per
la prima volta nella storia i rap
presentanti di chiese italiane si
sono incontrati per 24 ore sul
tema di Basilea e insieme, pur
nella brevità del tempo, sono riusciti a concordare tre orientamenti comuni e a redigere ed
inviare una lettera a tutte le
chiese, affinché nel giorno di Pentecoste ci si raccogliesse tutti
insieme nella preghiera. Tutto
questo è un frutto che non si
era mai realizzato prima di Basilea.
— Quali aspettative, non solo
per quanto riguarda l’ecumenismo ma anche per le grandi tematiche di questa assemblea? Non
c'è il rischio che, alla fine, rimangano solo parole?
— Ritiene che a questo cammino appena iniziato possano seguire altre tappe?
— Credo nel valore degli incontri. Starei per dire che il nostro Dio è un Dio che ci ha voluto incontrare. L’incarnazione è
un incontro; la chiesa è un Dio
che vuole incontrarsi. Ogni incontro è fecondo; ed ogni incontro non lascia mai di avere dei
frutti. I frutti bisogna saperli
Certo; ma io credo che le
chiese ritroveranno la loro unità, quando ritroveranno piena la
dimensione della carità. Questo
convegno è ispirato alla carità,
cioè ad un’attenzione all’uomo
nella pace, nella giustizia e nella salvezza del creato. E’ ispirato alla carità, poiché non sono
i cristiani che vogliono essere i
protagonisti di questo, ma vogliono unirsi, come è stalo detto anche nelle relazioni iniziali,
a tutti gli uomini di buona volontà. Bene, io credo ehe se i
cristiani ricuperano la carità dei
fini e la carità dell’insieme, ritroveranno anche la loro unità.
In un incontro di preparazione,
insieme a fratelli di altre chiese, osservavo che noi non siamo
ancora in grado di spezzare insieme il pane eucaristico; però
spezzando insieme per l’uomo il
pane della giustizia, il pane delle pace e quello della salvezza
del creato, riusciremo più facilmente a trovarci insieme un giorno, su una strada che forse oggi noi non prevediamo, a spezzare insieme il pane eucaristico.
13
r
9 giugno 1989
speciale Basilea ’89 13
UNA TAPPA IM PORTANTE, UN CAMMINO ANCORA LUNGO
Le donne anendono giustizia
Lo sforzo delle singole chiese per cercare di allargare la partecipazione femminile - L’evoluzione del testo del documento - Gli importanti paragrafi dedicati al tema della giustizia
40% ! Questo era l’obiettivo
della partecipazione delle delegate delle chiese alFAssemblea
di Basilea. Obiettivo ambizioso,
che tuttavia non risponde ancora
alla realtà della presenza delle
donne nelle strutture ecclesiastiche e che comunque non è
stato raggiunto: le elette erano il
36%, quelle effettivamente presenti il 33%. Su sette oratori
tre erano donne, provenienti dall’India, dal Portogallo e dalla
Germania democratica. Spero
non mi si accusi di sciovinismo
se scrivo che, per me, i migliori
discorsi, i più concreti e coraggiosi sono stati quelli di due
donne, una indiana, Aruna Gnanadason, e la tedesca Annemarie Schönherr. I 40% degli animatori dei gruppi e dei responsabili
dei culti erano donne. Questi dati numerici possono sembrare aridi, ma permettono di descrivere le cose con precisione.
Credo che effettivamente le
chiese hanno fatto un certo sforzo, che non è ovvio per tutte, di
mandare delle delegazioni abbastanza rispondenti ai criteri degli organizzatori. La presenza
delle donne era evidente ovunque, e la loro partecipazione attiva, non solo nell’Assemblea,
ma in tutti gli incontri organizzati su diversi temi nelle varie
chiese della città e in particolare
sul « batttello delle donne », in
realtà una chiatta di nome « Virunga » ancorata sul Reno vicino al Mittierebrücke.
La prima stesura del documento, scritta da soli uomini, a malapena menzionava le donne. La
seconda stesura, forse la migliore di tutto il complesso processo di redazione, accoglieva molte delle critiche e dei suggerimenti inviati da singoli e da
gruppi e, in particolare, dal Comitato giustizia e pace del Forum ecmnenico delle donne cristiane d’Europa. Questo è stato
il testo su cui hanno discusso i
gruppi durante l’Assemblea e
che è stato poi emendato in Assemblea nel corso di una seduta plenaria.
Il testo definitivo del documento emendato non esiste ancora nel momento in cui scriviamo, per cui è difficile ricordare
tutti i cambiamenti proposti,
votati, accettati (o respinti).
Il testo non è omogeneo ed è
chiaramente il frutto di compromessi vari e diversi. Sulla questione delle donne menzionerei
due punti.
Prima di tutto l’introduzione
del termine « prima della nascita » per quel che riguarda la protezione della vita umana, fortemente voluta dai reazionari e
approvata dalla maggioranza. Il
testo originale parlava di protezione della vita umana dal principio alla fine, ed era un’espressione che soddisfaceva tutti. Si
capisce da parte di molti il desiderio di prendere posizione sull’aborto, ma l’esito della votazione dimostra anche come in molti paesi e chiese non si conosca
affatto la situazione che si verifica là dove non è possibile ima
attenta educazione sessuale e dove la questione della libera scelta della donna nei riguardi della maternità è un fattore di polemica e di divisione fra le chiese e all’interno di esse. Bisogna
inoltre osservare che l’Assemblea
di Basilea era relativamente
« vecchia », con il 56% dei delegati oltre i 50 anni.
Il secondo punto da menzionare riguarda tutte quelle parti del
documento che si occupano specificamente delle donne per que
che concerne la partecipazione
e la giustizia.
Sulla partecipazione, il documento afferma che oggi la conversione a Dio significa cercare
di abbandonare le divisioni fra
uomini e donne, la svalutazione
del contributo indispensabile delle donne, i ruoli fissi e gli stereotipi, il rifiuto di riconoscere i doni dati alle donne nella vita delle chiese, per giungere « a una
comunità rinnovata di uomini e
donne nella chiesa e nella società, in cui le donne condividono
egualmente con gli uomini le
responsabilità ad ogni livello e
Basilea. Una veduta sullo spazio dedicato al « Women’s Workshop ».
possono liberamente apportare i
loro talenti, le loro idee, i loro
valori e le loro esperienze ».
Quanto alla giustizia, un paragrafo del documento afferma la
necessità di eliminare la discriminazione, il razzismo, il sessismo, la tortura ecc. e menziona,
come strumenti atti a realizzarla, una serie di dichiarazioni e
convenzioni che comincia con
la Dichiarazione universale dei
diritti umani e in cui si trova
anche la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di. discriminazione contro le donne.
Più avanti nel documento si
chiede esplicitamente l’abolizione delle discriminazioni contro
le donne per quel che riguarda
i salari e le possibilità di trovare lavoro e si afferma la necessità generica di proteggere le
donne dalla violenza e, in particolare, di offrire protezione alle
madri nubili e alle donne vittime di stupri.
Alle chiese si chiede di facilitare la partecipazione delle donne ai processi decisionali e alla
vita della chiesa in generale, di
vegliare a che esse siano paritariamente rappresentate negli organismi ecclesiastici e nelle facoltà teologiche, di inizare un
profondo dialogo con la teologia femminista, di riconoscere e
sostenere l’impegno ecumenico
delle donne.
« Il y a du pain sur la planche... »: molte sono le cose da
fare. Basilea ha dato delle linee
generali, di apertura, di dialogo,
di impegno alle chiese, che ora
devono cercare di applicarle e
viverle sul piano locale e nazionale, possibilmente in modo ecumenico. Altrimenti la settimana
di incontri e dibattiti sarà stata
una pura perdita di tempo e di
denaro. Le donne, in particolare,
in molte situazioni ecclesiastiche,
dovranno essere vigilanti perché
Basilea rappresenta un passo avanti per la loro partecipazione, e non vogliamo tornare indietro.
Fernanda Comba
INTERVISTA A LUKAS VISCHER
Lukas Vischer, professore di
teologia a Berna, moderatore del
dipartimento di teologia dell’Alleanza riformata mondiale. Insieme a Grigorios Larentzakis e
Gerlinde Harbig è autore del
« me.ssaggio alle chiese ».
La svolta di Basilea
Che cosa rappresenta l'assemblea di Basilea, nel quadro più
ampio del processo conciliare?
Direi che si tratta di una stazione, di una tappa. Il processo
conciliare prevede tempi lunghi,
ora è importante che a livello
locale, regionale, nazionale c
mondiale si svolgano altri incontri che indichino da un lato i
grandi pericoli che incombono
Sull’umanità e dall’altro melodi
e vie che permettano alle chiese di essere fedeli al mandato.
La sensibilità delle chiese presenti a Basilea nei confronti dei
temi che qui vengono trattati
è molto diversa...
pongano in reciproco ascolto. E
qui penso per esempio al problema della comprensione tra
est ed ovest. Le premesse per
una testimonianza cristiana, nell’Europa orientale, sono molto
diverse da quelle presenti nell’Europa occidentale. Qui a Basilea abbiamo svariati esempi. I
rappresentanti della chiesa ortodossa russa si sono espressi apertamente e in modo critico
nei confronti della società in cui
vivono. Questo è un fatto nuovo, e credo che il contributo proveniente dall’est europeo non sia
ancora stato colto in tutta la
sua portata.
se senza che prima ci fossero
stati preparativi particolarmente approfonditi, ampi o esaustivi.
I partecipanti all’assemblea vogliono evitare che questa abbia
un esito negativo. Per questa motivo c’è qui, senza dubbio, una
certa disponibilità al compromesso.
dell’Europa occidentale: il fenomeno dell’emigrazione, la differenza economica tra nord e sud
d’Europa, il problema delle minoranze, della disoccupazione. Il
dialogo interno, nell’Europa occidentale, deve essere quindi intensificato, mantenendo ovviamente l’atteggiamento di solidarietà nei confronti delle tematiche legate all’est europeo e del
dialogo che coinvolge l’intero
continente.
L'assemblea si occupa molto
del rapporto tra est ed ovest, ma
poco del rapporto nord-sud, inteso come rapporto tra nord e
sud d'Europa. Perché?
Verrà, da Basilea, una voce
profetica?
Questa è una delle realtà, ma
nel contempo anche una delle
qualità dell’assemblea di Basilea. Il potenziale di questa conferenza consiste nella possibilità
di sviluppare, insieme, una coscienza comune europea nei confronti dei temi della giustizia,
della pace e della salvaguardia
del creato. E’ molto importante
che tutti i partecipanti a questa assemblea, indipendentemente dal lavoro fin qui svolto, si
Il tono del documento di lavoro e di alcune relazioni è, per
molti versi, moderato. Si nota
una forte disponibilità al compromesso...
Innanzitutto vorrei dire che
questa conferenza rappresenta,
in un certo senso, un salto nel
futuro. Finora si è discusso poco sui temi della pace, della giustizia, della salvaguardia del creato e quindi non si può dire semplicemente che la conferenza di
Basilea sia il frutto di un processo di crescita. Qui si è piuttosto tentato di riunire le chle
Questa è una conferenza che
prende in considerazione i problemi dell’intero continente europeo e quindi privilegia quello
che è considerato il problema
principale, vale a dire la questione dei rapporti tra est ed
ovest. Il fascino esercitato dai
grossi cambiamenti in corso nell’est europeo rende ancora più
difficile la relativizzazionc della
questione est-ovest. Io penso che
troppo spesso abbiamo messo in
secondo piano i problemi specifici dell’Europa occidentale, ritenendoli meno importanti rispetto alla questione dei rapporti tra
est ed ovest. In generale le chiese hanno dedicato troppa poca
attenzione ai problemi interni
La mia impressione è che Basilea rappresenti, in ultima analisi, una parziale svolta. Credo
che sia ormai definitivamente
chiaro che ci troviamo in un
nuovo periodo della storia. Siamo posti di fronte alla minaccia
della distruzione deH’essere umano da parte deH’esscre umano
stesso. Ciò significa che noi, rispetto al passato, viviamo in un
« periodo di sopravvivenza ». Le
chiese hanno compreso che, da
ora in poi, bisogna essere chiesa in questo nuovo periodo della
storia, in una situazione di crisi globale. Non pretendo che questa sia una voce profetica; a me
pare che questa conferenza svolga il compito di interpretare,
per la chiesa, l’attuale momento
storico.
a cura di
Paolo Tognina
MASS-MEDIA
Una scuola di
pluralismo
Il lunedì di Pentecoste il GR 1
delle ore 7 parlava dell’Assemblea ecumenica di Basilea su
« Pace con giustizia » dicendo che
era presente il card. Martini, presidente del CCEE, che l’aveva
organizzata.
L’idea di questa Assemblea è
stata lanciata nel corso dell’Assemblea della Conferenza delle
chiese europee (protestanti e ortodosse) tenutasi a Sterling nel
1986. La Conferenza delle chiese
europee (generalmente nota come KEK) invitava in seguito il
Consiglio delle Conferenze episcopali europee (cattolico, noto
come CCEE) a farsi co-organizzatore dell’Assemblea. Non senza
qualche iniziale riserva e dopo
varie trattative il CCEE accettava di partecipare paritariamente
con la KEK all’invito e all’organizzazione dell’Assemblea.
Giovedì di quella stessa settimana la televisione della Svizzera
italiana, introducendo un’intervista al card. Martini, lo presentava come « presidente » dell’Assemblea di Basilea, mentre invece, nella sua qualità di presidente del CCEE, è co-presidente di
Basilea, su un piano di parità
con il metropolita Alexij, ortodosso, presidente della KEK e,
in quanto tale, anch’egli co-presidente dell’Assemblea.
Sarebbe fare ingiuria alla professionalità dei responsabili de'
mezzi di comunicazione di lingua
italiana attribuire simili inesattezze a pura e semplice ignoranza. Esse rispondono — mi pare —
a un atteggiamento che non qualificherei di volutamente anti-ecumenico, ma di istintivamente
a-ecumenico. Rispondono a una
sorta di automatismo mentale
per cui a tutto ciò che è cattolico-romano si attribuisce a ragione o a torto un ruolo centrale, e
a tutto il resto un ruolo marginale.
Finché un tale atteggiamento
sarà coltivato nell’opinione pubblica dai mezzi di comunicazione, e finché sara tollerato dai
responsabili cattolici dei paesi
di lingua italiana, ogni vero ecumenismo sarà molto difficile.
L’ecumenismo è reciprocità, è
uguale riconoscimento e rispetto
delle convinzioni di ciascuno, è
rinuncia a rivendicare per sé im
ruolo centrale satellizzando gli
altri, è rinuncia a imporre le
proprie opinioni.
A Basilea i cattolici italiani si
sono intensamente adoperati per
far inserire nel documento finale
una frasetta antiabortista. Era
stato fatto loro notare che quella
frase avrebbe introdotto un elemento di divisione tra i cristiani
in Italia. L’hanno voluta votare
ugualmente — insieme a molti
altri.
(Se i protestanti avessero preteso di inserire un’affermazione
sul sacerdozio femminile i cattolici si sarebbero indignati, è facile immaginarlo).
L’ecumenismo non si fa a colpi di maggioranza, in una prospettiva di auto-affermazione.
Non si fa neppure in un’atmosfera di condiscendenza per cui le
opinioni altrui vengono accettate
con sufficienza, come irregolari.
L’ecumenismo è la rinuncia a
qualsiasi forma di « primato »,
per entrare in una via di fraternità-sororità in cui tutti sono
« pares » e nessuno è « primus ».
In cui la verità non la si possiede, ma la si cerca insieme.
Questa via non è affatto ovvia
né facile per noi protestanti,
spesso propensi a considerarci
« migliori ». E si può capire che,
a causa dell’eredità storica, sia
particolarmente difficile per i
cattolici.
Ma è pur sempre l’unica via all’ecumenismo.
Aldo Comba
14
14 speciale Basilea ’89
1
9 giugno 1989
IL DRAMMATICO PROBLEMA DEI RIFUGIATI
INTERVISTA A ADA POET TRON
"Nascondi gli esuli, non Un voto di speranza
tradire i fuggiaschi"
Ada Poét Tron ha fatto parte
della delegazione valdese a Basilea. Le abbiamo chiesto alcune valutazioni.
L assemblea non ha preso posizione - La questione è aH’ordine del
giorno anche in Svizzera - Le chiese possono diventare dei santuari?
W i'M
Rifugiati: un problema di
piezza mondiale.
Tutto è stato bello a Basilea;
tutto ha funzionato molto bene;
ognuno è stato arricchito dalla
presenza e dal contatto con gli
altri. Ma accanto alle cose belle,
all’organizzazione perfetta, alla
cordialità ed alla ospitalità una
questione va ricordata, tra le
tante: quella dei profughi.
Un gruppo di credenti, pacifisti, membri del MIE, ed altri
avevano organizzato una ”Mannwache”, cioè una veglia, noi diremmo un’occupazione simbolica, nella cattedrale. Volevano
passare li giorno e notte, per
tenere desta l’attenzione sulle
gravi normative della legge svizzera, riguardanti l’espulsione degli stranieri. Ogni giorno la polizia rimanda turchi, zairesi, ira
niani e tanti altri nei loro paesi
d’origine, pur sapendo che in essi
non sono garantiti i diritti fondamentali deH’uomo.
Ma questa azione, la ’’Mannwache”, non ha potuto aver luogo
all’interno della cattedrale! Motivazione? Si tratta di un’azione
politica, e la chiesa non fa politica! E così i nostri amici sono
stati cacciati fuori, ed hanno bivaccato sulla piazza antistante
il Münster.
Ma l’Assemblea non è stata capace di prendere posizione. Eppure non sono mancati appelli in
tal senso. Il vescovo luterano ungherese Bela Harmaty ha descritto la situazione drammatica
dei rumeni in Ungheria. Solo le
chiese ne accolgono in media
300 al mese. Il vescovo ha chiesto un aiuto a tutte le chiese.
L’attenzione è stata portata
anche su altri aspetti, non solo
europei. Gli amici della ”Mannwache” hanno detto: « Chiediamo
alle chiese di riconoscere che
una delle ragioni principali per
le quali i rifugiati e i lavoratori
stranieri abbandonano il loro
paese d’origine è dovuta allo
sfruttamento delle nazioni europee. Chiediamo pertanto che siano abolite tutte le restrizioni loro imposte ».
Ma se, sul piano della legge,
bisogna agire per una sua modifica, e non soltanto in Svizze
ra ma in tutta la « casa europea », un’azione specifica viene
intanto chiesta alle chiese, quella cioè di diventare dei « santuari ». Il documento finale votato
dall’Assemblea non ha recepito
questo punto, anche se, ovviamente, non ha potuto chiudere
gli occhi davanti ad una situazione così grave.
Eppure vi sono già parrocchie,
chiese che praticano questa politica di rifugio, che è poi molto antica. Pensiamo per esempio a ciò che fu « le Refuge » all’epoca delle persecuzioni contro
gli ugonotti o contro i valdesi.
Cosa sarà l’Europa dopo il
’92? E cosa sarà l’Europa dei 500
milioni di cristiani che hanno votato il documento finale dell’assemblea di Basilea? Sarà xm’Europa aperta, accogliente, o quella che si profila già in Francia,
dove in media viene assassinato,
per divertimento, un nordafricano alla settimana?
Sono domande che a Basilea
sono state poste, ma alle quali
non si è risposto.
Albert Brandstatter
Quali impressioni hai avuto di
questa assemblea?
Impressioni assai contrastanti.
•Se da un lato il trovarsi in
mezzo a tante persone che a Basilea erano andate spinte dal comune interesse per la pace e la
giustizia poteva essere addirittura esaltante, dall’altro lato mi
sono anche resa conto che il
cammino ecumenico sarà lungo
e diffìcile.
Assistendo alle assemblee plenarie o leggendo certi giornali
pareva spesso che tutto filasse
liscio, mentre partecipando ai
gruppi di lavoro o discutendo
nei corridoi ecco che le divergenze teologiche ed etiche si manifestavano in tutta la loro complessità e gravità.
Forse queste sensazioni le abbiamo provate essenzialmente
noi protestanti in quanto, anche
là, eravamo minoranza e spesso
ci trovavamo a disagio anche
nel condividere, nei momenti di
incontro di preghiera, certe for
Pentecoste. Dopo il culto la comunità evangelica di lingua italiana
di Basilea accoglie la delegazione e gli studenti della Facoltà valde
se di teologia.
DANIELE BOUCHARD: CONTRO LE AMBIGUITÀ’
Perchè ho detto no
Sono uno dei dodici delegati
all’Assemblea ecumenica europea di Basilea che hanno votato
contro il documento finale. Mi
è stato chiesto di spiegare il perché, e lo faccio molto volentieri.
Innanzitutto devo dire che sono
stato molto incerto su come votare perché il documento contiene affermazioni molto diverse
tra loro, a volte anche contraddittorie. In realtà concordo con
la maggioranza delle affermazioni contenute nel documento, ma
non credo che questo basti oer
approvarlo nel suo insieme. Tre
motivi sono stati decisivi per la
mia decisione di votare contro.
Il mio principale motivo di
dissenso riguarda quello che il
documento avrebbe dovuto dire
e invece non dice. A mio avviso,
le chiese europee riunite, per la
prima volta nella storia, per parlare di « pace nella giustizia »,
avevano un primo ed imprescindibile compito: fare una profonda autocritica riconoscendo la
propria corresponsabilità nell’ingiustizia che regna oggi nel mondo, confessare di essersi per lo
più identificate (invece di esserne la coscienza critica) con la
civiltà europea che da molti secoli domina il mondo. Posso accettare che in un documento che
deve raccogliere il consenso di
chiese così diverse tra loro questa confessione di peccato non
occupi una posizione centrale.
Daniele Bouchard (a destra) e
Giovanni Carrari, delegati.
ma non posso accettare che venga del tutto omessa. Nella seconda bozza l'idea era presente,
ma nel testo finale tutte le affermazioni che andavano in questo
senso sono state o cancellate,
o riferite ai singoli individui invece che alle chiese, o talmente
annacquate da perdere ogni forza. Al loro posto è subentrato un
certo tono magistrale in una serie di indicazioni su come dovrebbero essere risolti i problemi che afiliggono la nostra società (mentre la frase che riconosceva che la verità non è in nostro possesso è stata compietamente stravolta).
La seconda cosa che non posso accettare è che a più riprese si condanni l’uso offensivo
delle armi (comprese quelle spaziali) e degli eserciti, implicita
mente approvandone l’esistenza
e l’uso difensivo o presunto tate. Al punto 86 e) si arriva ad
affermare che è possibile e doveroso operare all'interno degli
eserciti in favore dei diritti e
delle libertà dei popoli e per la
pace mondiale; non credo che
queste affermazioni siano accettabili, almeno non in Europa.
Sembra che gli estensori si siano preoccupati più di fare proposte realistiche e generalmente
accettabili che di prendere coraggiosamente posizione contro
la mentalità dominante.
La terza ragione della mia opposizione al documento è l’introduzione deH'affermazione che la
protezione della vita non nata
debba essere uno dei supremi
criteri che governano la società.
Mi sembra assolutamente inaccettabile che un problema complesso come quello dell’aborto
sia liquidato con una presa di
Dosizionc così categorica e unilaterale. Inoltre l’e.spressione è
molto ambigua; cosa si intende
per vita non nata? Ci si riferisce
anche ai mancati concepimenti
dovuti all’uso di mezzi anticoncezionali?
Vi sono poi numerose altre
affermazioni del testo che non
mi sento di condividere, così come non mi è piaciuta la poco
democratica procedura di discussione e votazione del documento; ma questi inconvenienti
Ada Poét Tron, delegata italiana, valdese.
me rituali e liturgiche così distanti dalla nostra mentalità riformata.
Come hai votato il documento
finale e perché?
minori sarebbero stati compensati dalle numerose affermazioni
del testo che Condivido pienamente. I tre motivi che ho citato sono invece stati decisivi
ne! farmi cambiare opinione. Così combinato, il documento finale potrà essere utilizzato da
chiunque (anche da me) per portare acqua al suo mulino; basterà citare i paragrafi giusti e
omettere gli altri. Ma allora mi
chiedo: che valore ha l’ampio
consenso raggiunto (95% dei delegati presenti in aula) se il testo approvato può essere rigirato da ognuno come meglio
crede?
Prima di concludere vorrei aggiungere che ho invece votato
a favore del messaggio di due
pagine che è stato approvato dali’assemblea dopo il documento.
Forse grazie alla concisione, il
messaggio riesce ad essere molto più preciso e incisivo; naturalmente non dice tutto, ma dice le cose più importanti, compresa l’allérmazione che il pentimento è la condizione, per noi
cristiani europei, per poter diventare strumenti della pace di
Dio. Inoltre il messaggio parla
del compito dei cristiani di fronte ai problemi del mondo di oggi, invece di dare lezioni alla
società su come dovrebbe risolverli.
Anche se non l’ho approvato in
tutti i suoi diversi paragrafi, ho
espresso voto favorevole nella
sua globalità.
Certo, sarei stata tentata di
non approvare il documento perché diversi erano i punti in esso
contenuti che non condividevo.
Potrei elencarne alcuni, cominciando da quello che riguarda la
confessione di peccato delle chiese (assai debole), oppure quello
relativo allo spinoso problema
dell’aborto che non tiene né conto delle diverse posizioni delle
chiese, né della salvaguardia della decisione delle donne. Inoltre
la questione nucleare non viene
condannata nella sua globalità,
ma si chiedono solo criteri di
sicurezza più severi. C’è poi il
punto riguardante le forze armate che è assai ambiguo, perché
ritengo sia assolutamente impo.ssibile pensare che, in alcun caso, esse possano trasformarsi in
strumenti al servizio della pace.
Malgrado tutto ciò, però, alla
fine è prevalsa in me la volontà
di dichiararmi favorevole al documento in quanto esso analizzain maniera seria ed approfondita tutte le questioni che minacciano la pace, la giustizia e la
creazione. Ho quindi pensato che
potrà essere di valido aiuto alle
chiese, sia per una riflessione che
per una azione comune.
Come vedi il dopo Basilea?
Daniele Bouchard
Innanzitutto bisognerà trovare
il modo di far conoscere alle nostre comunità il documento e i
vari messaggi di Basilea, ma credo non ci si debba illudere che
questi provocheranno grosse e
immediate rivoluzioni. Sarà un
lavoro lungo di sensibilizzazione
quello che dovremo affrontare
insieme con quelli che già si davano da fare in questo campo
prima di Basilea.
Al tempo stesso sono certa che
qualcosa di nuovo potrà accadere.
Non potrà cadere nel vuoto,
ad esempio, l’esortazione che le
donne siano coinvolte direttamente nei processi di decisione
delle chiese e a tutti i livelli.
Non potremo fare i sordi di
fronte alle accuse di Aruna Gnanadason (indiana) la quale denuncia che è in atto nel Sud del
mondo la 3^ guerra mondiale
scatenata dai vari modelli di sviluppo dei paesi ricchi, e fra questi anche l’Europa. E quante altre cose si potrebbero aggiungere ma, per venire al concreto,
per un immediato futuro penso
che dovremmo puntare tutte le
nostre energie su una cducazicsne pressante, sia nei confronti
dei giovani che degli adulti, vof
ta a far cambiare mentalità sui
problemi scottanti che stanno
trasformando il nostro pianeta
in un mondo invivibile.
« Quando io faccio un sogno
è soltanto un sogno, ma quando
siamo in tanti a sognare la stessa cosa, questo può diventare
Tinizio della realtà nuova del
domani ». Questo è stato detto
da uno dei tanti oratori a Basilea.
Speriamo di essere in tanti a
.sognare che la pace e la giustizia si potranno davvero abbracciare molto presto!
15
r
S giugno 1989
speciale Basilea ’89 15
UN’ASSISE CHE SOSTENNE E CERCO’ DI ATTUARE IL PRINCIPIO CONCILIARE
1431-1448: Concilio ecumenico di Basilea
Si aprì senza che fosse presente nemmeno un vescovo - Il pontefice, Eugenio IV, volle chiuderlo ma fu costretto a
ritirare la sua decisione - Sulla questione hussita e taborita venne meno alle indicazioni date sulla conciliarità
Dal 1431 al 1448 a Basilea
si tenne un Concilio ecumenico, il XVII della serie. Fu
un Concilio strano, che si
protrasse per 17 anni, tra alterne vicende.
Fu aperto il 23 luglio del
1431 dal cardinale Cesarmi,
legato pontificio e, cosa strana, neppure un vescovo era
presente! Andò avanti per alcuni mesi, senza fare storia,
tanto che il 18 dicembre il
papa di allora, Eugenio IV,
pensò bene di chiuderlo. Ma,
colpo di scena, i padri conciliari rifiutarono di ubbidire, ed anzi chiesero al papa
di venire a giustificare la sua
decisione davanti al Concilio. Ovviamente questi non ci
andò. Iniziò cosi un contenzioso che durò due anni. Alla fine però il papa dovette
capitolare, e il 15 dicembre
1433 ritirò il decreto di scioglimento.
A questo punto il Concilio fu arbitro della situazione e iniziò a lavorare in modo deciso, suddividendo la
materia in quattro tematiche: questioni generali, questioni di fede, riforma della
chiesa, ed infine anche la pace (!). Mise su un apparato
amministrativo, risolse dei
processi, conferì prebende e
indisse indulgenze. Fu anche
questo il momento in cui cercò di dirimere la questione
dei taboriti e degli bussiti.
I.a sera del 4 gennaio 1433
a Basilea arrivò la loro delegazione guidata da Procopio il Raso, accompagnato
dal « moderatore » Nicola
Biskupec da Pelhfimov. La
delegazione era stata preparata dal « vescovo » dei vaidesi di lingua tedesca, Friedrich Reiser, ed aveva pre
cedentemente concordato coi
rappresentanti del Concilio
questo importante principio:
« ...il Concilio non riconoscerà altro giudice ed arbitro
più veritiero della legge di
Dio, della prassi di Cristo,
dell’esempio degli apostoli e
della chiesa primitiva, ed i
concili ed i dottori [soltanto] nella misura in cui essi
si fondano veramente su detta legge ».
Purtroppo il Concilio non
si attenne a questi princìpi,
mise in minoranza gli bussi
ti e taboriti e indisse una crociata contro di loro. Friedrich Reiser nel 1458 morì
a Strasburgo sul rogo dell’inquisizione tedesca.
Nel 1437 il Concilio entrò
nuovamente in conflitto col
papa sulla questione dei Greci. Si voleva indire infatti
un Concilio per tentare la
riunificazione della chiesa
d’Oriente e di quella d’Occidente. Il papa si accordò coi
Greci per tenere questo nuovo Concilio a Ferrara. I padri conciliari di Basilea si
spaccarono in due correnti.
Quelli che rimasero a Basilea destituirono il papa ed
elessero al suo posto il duca Amedeo di Savoia, che
assunse il nome di Felice V.
Fu lo scisma.
Eugenio IV riuscì comunque ad aprire il nuovo Concilio a Ferrara con 70 vescovi occidentali, l’imperatore
di Bisanzio, il patriarca di
jS'iaRD'
SüKíGailfl
BHLISSmOl
WS.‘B7iSI
ligusis^
Costantinopoli, gli arcivescovi di Nicea, di Efeso, di Kiev
e i rappresentanti dei patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme.
Ma questa è un’altra vicenda. Il Concilio di Basilea
rimarrà comunque nella storia per aver propugnato, e
in parte attuato, il principio
conciliare.
L. D.
Qui accanto il simbolo dello
stampatore Johann Froben (Frobenius), disegnato da H. Holbein
il giovane.
Nato nel 1460, ad Hammelburg,
ed emigrato a Basilea nel 1490,
Frobenius divenne il maggiore
editore delle opere dei riformatori e degli umanisti. S’incontrò
con Erasmo, del quale pubblicò
gran parte delle opere, a cominciare dalla prima edizione del
Nuovo Testamento greco, apparsa nel 1516. Pubblicò inoltre gli
scritti di Ecolampadio, di Beato
Renano e di altri. Stampò numerose opere dei padri della chiesa, sia greci che latini. Morì nel
1527, ma l'attività editrice fu
continuata dagli eredi fino al 1603.
■’V
■■'■V
«S ; /*• f
1 ,1-Ä
Ecolampadio
Erasmo
E’ stato uno dei primi, ma è ricordato quasi in seconda fila. Forse perché non ha avuto una personalità forte come quella di Lutero,
né un pensiero lucido come quello
di Calvino. Nato nel 1482, appartiene alla generazione di Lutero,
ma la sua è una formazione di tipo umanistico. Studia con l’umanista Wimpfeling ad Heidelberg,
ma poi deve scappare. Inizia così
una peregrinazione che lo vede a
Bologna, poi a Mainz, poi di nuovo ad Heidelberg, dove nel 1510
riceve l’ordinazione. Ma continua
a studiare, prima a Tiibingen con
Reichlin, poi a Basilea, dove s’incontra con Erasmo, e lo aiuta a
pubblicare il testo greco del Nuovo Testamento. L’edizione esce nel
1516.
Intanto scoppia la questione luterana; le idee di Lutero lo affascinano; le medita intensamente.
Al termine di un periodo di ritiro
spirituale pubblica un'opera sulla
questione della confessione, dal
titolo « Paradoxon ». Deve di nuovo scappare. Nel 1522 torna però
a Basilea, è nominato professore
alla Università e predicatore nel
Miinster, la cattedrale. Teologicamente si avvicina alle posizioni di
Zwingli e con lui prende parte al
colloquio di Marburgo (1529), dove luterani e zwingliani cercano
(senza trovarlo) un accordo sulla
Santa Cena.
Muore due anni più tardi, nel
1531, poco dopo la rovinosa battaglia di Kappel nella quale perde la
vita anche Zwingli.
Erasmo Desiderio nacque a
Rotterdam nel 1466 o nel 1469.
Studiò a Parigi e nel 1492 venne
ordinato sacerdote. Viaggiò in
Inghilterra (1499, 1505, 1509) dove conobbe John Colet, Tommaso Moro di cui divenne amico,
e in Italia dove, a Torino nel
1506, ottenne il dottorato in teologia. Nel 1521 si stabilì a Basilea dove morì nel 1536.
Figlio di una civiltà cosmopolita, quella dell’umanesimo fiammingo, borghese e plurinazionale, Erasmo si colloca consape
volmente come uno degli interpreti più autentici della societas
Christiana che ha caratterizzato
l’occidente europeo nel XVI secolo. Nato in un paese che è
stato determinante per la formazione di una borghesia in senso
moderno, Erasmo si pone il problema di affermare la libertà di
pensiero di una classe sociale
nascente, che stava raggiungendo la maturità politica ed economica, ma che era ancora priva di una maturità intellettuale.
Accanto ad una notevole attività di filologo (si devono ad Erasmo una edizione critica del Nuovo Testamento e di numerosi
testi di padri della chiesa), la
sua opera comprende una serie
di scritti quali: Enchiridion milifis christiani (1502), Encomium
moriae (Elogio della follia, 1511),
Institutio principis christiani
(1516), Diatriba de libero arbitrio (1524).
Erasmo è inoltre un riformatore religioso. Desidera che la
chiesa venga rinnovata ed abbandoni l’eccessivo ritualismo
(in cui il rito e la cerimonia sono tutto) e l’eccessivo intellettualismo dei teologi (per cui
l’esperienza di fede è nulla). Il
compito del cristiano è « l’imi
tazione di Cristo ».
Nel suo libro più famoso (L’elogio della follia). Erasmo tesse
le lodi di una « follia », che supera il compoirtamento dell’uomo e della chiesa. Nella chiesa
vi sono devozioni degne di riso
quali l’accendere candele in pieno giorno, l’andare in pellegrinaggio in luoghi in cui non si
vorrebbe andare. E ancora, l’interpretare le Seritture senza competenze filologiche e storiche.
Nella chiesa vi sono comportamenti inauditi quali quello del
pontefice che conquista manu
militari paesi e città; quello dei
fedeli che tengono il conto delle indulgenze e dei giorni da
passare in purgatorio. La « follia » è appunto la fede cristiana
autentica che perdona ai nemici,
e che spinge a dare la propria
vita per gli altri.
Erasmo però si oppone a Lutero e alla Riforma sulla questione della possibilità per Tuomo di operare il bene. Per Lutero questo è possibile solo in
obbedienza: l’uomo è peccatore
e salvato per la grazia di Dio.
Per Erasmo invece l’operare bene è una conquista storica. L'etica era un prodotto dell’azione
16
16 speciale Basilea ’89
UN CROCEVIA DELLA CULTURA SCIENTÌFICA E TEOLOGICA
Basilea, città europea
Da Erasmo a Ecolampadio, al Calvino che scrive la « Institutio » - E
nel nostro secolo le personalità di Barth, Cullmann, von Balthasar
9 giugno 1989
Oltre alle grandi capitali, Roma, Londra,
Parigi, yienna, Praga... altre città hanno plasmato l'anima europea: Ginevra, la città di
Calvino, Strasburgo, oggi sede del Parlamento europeo, Basilea, la città bagnata dal Reno,
incrocio di culture e di lingue. Qui, nella sua
università, fondata nel corso del 1400, hanno
studiato ed insegnato uomini insigni.
Basilea è la città di Erasmo da Rotterdam, di Ecolampadio (1482-1531), il riformatore e il traduttore degli antichi Padri della
chiesa. E’ una città aperta e tollerante, dove
anche Giovanni Calvino trova rifugio. Vi arrivò nel 1534 o '35, sotto falso nome, e si dedicò alla stesura della « Religionis christianae institutio », pubblicata, sempre a Basilea, in prima edizione, nel marzo del 1536.
Basilea è la città dove, sul finire dell'SOO,
studiò medicina Cari Gustav Jung, prima di
sviluppare la sua attività scientifica a Zurigo; e dove, prima ancora, insegnò filosofia
Friedrich Wilhelm Nietzsche (dal 1869 al
1879); tra i filosofi del nostro secolo non è da
dimenticare Karl Jaspers, che svolse qui la
sua attività dal 1948 fino al 1969.
Ma Basilea è particolarmente significativa per le chiese protestanti italiane: dopo
Ginevra aprì le porte della sua facoltà di teologia ai nostri studenti, a partire dalla metà
del 1600. Henri Arnaud passò lì un periodo
di studio e in quello scorcio di secolo ben altri 13 studenti valdesi furono immatricolati.
In questo ultimo dopoguerra tre insigni
personalità hanno avuto una grande influenza sulla formazione teologica dell'attuale generazione pastorale protestante: Karl Barth,
del quale tracciamo qui un breve profilo, e
Oscar Cullmann, grande amico della nostra
facoltà di teologia, laico, luterano, docente
alla Sorbona.
Di lui vogliamo ricordare non solo i suoi
studi sul Nuovo Testamento e l'intuizione
con la quale riaprì per il protestantesimo alcune questioni spinose, come quella di Pietro, ma anche la profonda umanità con la
quale accolse in questo dopoguerra, nel1 Alumneum da lui diretto, i nostri studenti
che si recavano a studiare a Basilea. Il terzo
personaggio è Eduard Thurneysen, l'amico
di Barth, il predicatore della cattedrale.
Basilea, una città aperta alle correnti
spirituali e culturali più diverse, dai teosofi
ai teologi cattolici, come H.U. von Balthasar,
e a tanti altri che non possiamo qui menzionare.
Non a caso dunque questa città è stata oggi teatro d'incontro delle chiese cristiane
d'Europa.
Veduta generale di Basilea dal campanile della Cattedrale. Il Reno
percorso da chiatte e battelli e che sbocca nel mare del Nord Sullo
sfondo a destra il complesso chimico della Ciba-Geigy e a sinistra
quello della Sandoz.
TRA FILOSOFIA E FEDE
Karl Jaspers
Filosofo e psichiatra, nato in
Germania nel 1883 (morirà a Basilea nel 1969), definito da alcuni
come « esistenzialista cristiano »,
Karl Jaspers iniziò la sua attività come docente di psicologia.
Pubblicò nel 1914 la Psicopatologia generale, ma già con la Psicologia delle visioni del mondo
(1919) si avvicinò alla filosofia,
sulla scorta delle letture e degli
LE OPERE DI DUE TEOLOGI CONTEMPORANEI
Karl Barth
Karl Barth nasce a Basilea il
10 maggio 1886 e a Basilea muore il 9 dicembre 1968. L’origine
della famiglia è bernese. Per un
breve periodo è pastore di Safenwil, dove sarà ricordato per
la sua adesione al partito socialdemocratico.
1919; esce la prima edizione
del Romerbrief (la Lettera ai Romani), che avrà reffetto di una
bomba nello stagno dei teologi.
Professore di teologia riformata a Göttingen nel 1921, viene
chiamato alla cattedra di dogmatica e di esegesi del Nuovo
Testamento a Münster, in Vestfalia (1925). In seguito insegna
a Bonn, da dove la non adesione al nazismo lo porta a Basilea.
A Ba.silea, tre volte per settimana, porta agli studenti il risultato delle sue ricerche teologiche, che costituiranno la traccia
della sua Dogmatica ecclesiastica in 12 volumi, non terminata
nel 1962, anno del suo congedo.
Fra i suoi scritti ricordiamo
l’esegesi di I Corinzi 15, importante traccia dell’annunzio della
risurrezione, quale motivo della
redenzione di Cristo.
Fra le riviste ricordiamo
«Zwischen den Zeilen» («Fra
i tempi ») pubblicata con F. Gogarten, che passerà alle tesi della rivelazione naturale, mentre
Barth, con Eduard Thurneysen
(pastore della cattedrale di Basilea), pubblicherà con i sostenitori della Chiesa confessante i
fascicoli della « Theologische Existenz beute » (Chr. Kaiser Verlag,
Monaco).
Uomo della cultura mitteleuropea vive, in mezzo ai drammi
delle due guerre mondiali, una
predicazione che echeggia la realtà inconfondibile del Cristo risorto. Non assurge all’empireo
di una teologia dell’assurdo, né
s’innesca nell’esistenzialismo, ma
vive e fonda una scuola di pastori e professori di teologia sparsi in tutto il mondo. Vive gli
inizi del movimento ecumenico
con Visser’ t Ffooft; segue le linee della ricostruzione della Chiesa evangelica tedesca con una
precisione evangelica e una costanza fraterna. Contemporaneo
di Rudolf Bultmann e di Paul
Tillich, nonché di Niebuhr, ne
sarà amico e talvolta critico ammiratore e contestatore. E’ anche studioso del cattolicesimo
romano, sarà uno dei migliori
espositori dei dogmi concernenti la figura di Maria e le linee
del Concilio Vaticano I. Ma non
sarà sordo alle speranze de] Concilio Vaticano II.
In Italia la sua teologia sarà
resa nota da Giovanni Miegge,
Valdo Vinay, Vittorio Subilia.
« teologia della crisi » di Max
Stiauch fu pubblicata da Giuseppe Gangale nel 1928.
Conoscitore appassionato delle
linee del luteranesimo e del calvinismo, sostenne l’unione delle
chiese luterane, riformate ed unite nella confessione di fede di
Barmen, e nella formazione della E.K.I.D. (Chiesa evangelica in
Germania). Per la biografia si veda Georges Casalis, Karl Barth
(Claudiana, 1967). Per gli sviluppi della sua teologia seguire
L’Appello e Protestantesimo (articoli di Miegge, Vinay e Subilia,
Paolo Ricca, Sergio Rostagno).
In particolare: L'Epistola ai Romani, traduzione di Giovanni
Miegge (Feltrinelli, 1962).
Carlo Gay
Hans Urs
von Balthasar
Il 26 giugno 1988 moriva a Basilea Hans Urs von Balthasar;
due .priorni dopo Giovanni Paolo
II l’avrebbe dovuto fare cardinale.
Nato a Lucerna il 12 agosto
1905, von Balthasar frequentò il
ginnasio e il liceo presso i benedettini e i aesuiti e studiò
germanistica a Zurigo, Berlino e
Vienna. Durante gli studi universitari maturò la decisione di entrare nella Compagnia di Gesù
e negli anni della sua formazione gesuitica ebbe come maestri
Eric Przywara e Henri de Lubac: dal primo fu introdotto allo studio di K. Barth e dal secondo imparò a familiarizzare
con la « nouvelle théologie ».
Alla fine degli anni ’30. concluso il curriculum della formazione, rinunciò alla cattedra di
dogmatica per fare il cappellano
degli universitari a Basilea: questa scelta segnò profondamente
tutta la sua riflessione e produzione teologica.
Al primo posto egli ha sempre
messo l’attività pastorale in mezzo agli intellettuali. Negli anni
'40 fondò, assieme a Robert Rast,
la « Comunità scolastica studentesca » (Studentische Schulungsgemeinschaft), che oggi si
chiama « Comunità di lavoro accademico» (Akademische Arbeitsgemein.schaft). Nello stesso pe
riodo, insieme a Adrienne von
Speyr, donna che influì molto
Sul suo pensiero spirituale, fondò a Basilea la « Comunità di
San Giovanni » (Johannesgemeinschaft), una sorta di istituto .secolare, per il quale ebbe delle
difficoltà da parte dei superiori
ge.suiti, tant’è che nel 1950 uscì
dalla Compagnia di Gesù.
Nel periodo postconciliare
mantenne strette relazioni con il
giTippo francese « Résurrection »
e con il movimento italiano « Comunione e liberazione ». Stimolò inoltre in modo determinante
i gruppi costituitisi nei diversi
paesi attorno alla rivista di teologia « Communio ».
La sua opera teologica principale è la «Trilogia», pubblicata
tra il 1960 e il 1987 in dodici volumi: « Gloria - Teoestetica »,
« Teodrammatica », « Teologica ».
Essa è integrata da numerosissimi saggi divulgativi e specialmente da cinque volumi di « Appunti di teologia » (Skizzen zur
Theologie): « Verbum caro »
(I960), « Sponsa Verbi» (1960),
«Spiritus Creator» (1967). «Pneuma und Institution » (1974), « Homo creatus est» (1986). Le opere più importanti sono tradotte
in Italia dalla Editrice Jaca Book.
Si tratta di un teologo originale e creativo, che sfugge a
qualunque collocazione di corrente e di scuola. Nei lunghi anni di attività pastorale e teologica a Basilea von Balthasar ha
sviluppato il dialogo ecumenico
con gli ebrei (Buber) e con il
protestantesimo (K. Barth); di
Barth ha approfondito specialmente la dottrina dell’« elezione
divina ».
Data la complessità della sua
vicenda culturale, è difficile dire
quale ricezione ha avuto e avrà
la teologia di von Balthasar nella Chiesa cattolica e nell’ecumene cristiana.
Mario Polastro
studi su Spinoza, Kierkegaard,
Nietzsche, Husserl.
Ottenne la docenza in filosofia
a Heidelberg, ma ne fu esonerato
nel 1937 a causa della sua opposizione al nazismo. Riottenuta la
cattedra al termine del conflitto
mondiale, si trasferì però a Basilea nel ’48. E’ dalla città e dall’università svizzera che diede corpo alle opere del suo ultimo periodo di riflessione: Il problema
della colpa (del 1946, sulle responsabilità del popolo tedesco
relativamente al nazismo e alla
guerra); Introduzione alla filosofia (1950); Ragione e antiragione
nel nostro tempo (1950); La
bomba atomica e il futuro degli
uomini (1962); La fede filosofica
di fronte alla rivelazione (1962).
Affrontato dapprima sotto il
profilo psicologico, il problema
dell’esistenza si trasferisce negli
studi filosofici : essa è un’esistenza (Dasein) «situata» nel mondo, in relazione con 1’« Essere del
mondo». Le scienze (e la ragione), potendo studiare solo ciò
che sia stato « oggettivato » nel
mondo, non colgono la comprensione del mondo stesso. La verità dell’essere si sottrae dunque
alla comprensione umana.
Anche se l’insistere su questi
temi, che vedranno Jaspers ora
affiancato ora contrapposto alle
riflessioni di Jean-Paul Sartre, si
espliciterà negli anni successivi,
Roberto Jouvenal si occupò del
filosofo (ormai stabilmente basilese) in un articolo pubblicato
del ’49 su Protestantesimo ( « Il
problema di Dio nell’Esistenzialismo »).
In particolare Jouvenal si rifaceva ad una relazione presentata
da Jaspers a Roma nel ’46, Della
religione biblica e della necessità
della sua riforma, e scriveva :
(per Jaspers) «l’uomo può staccarsi dal nulla ed essere in qualche modo, ma il modo d’essere
che l’uomo realizzerà sarà sempre lontano dal perfetto Essere
cui l’uomo tende : l’Essere perfetto — Dio — è sempre al di là di
ogni nostra aspirazione ». Jaspers identificava questo Essere
Assoluto con il Dio degli ebrei,
« il Dio lontano che aveva parlato sul monte Sinai ». L’uomo credente, d’altra parte, « è un essere
fragile che tuttavia è destinato a
mirare a quel che ci possa essere
di più alto, è un essere che è destinato ad osare e a rischiare in
base alla sua libertà ».
Jouvenal, tuttavia, concludeva
giustamente il paragrafo rilevando come il Dio di Jaspers fosse
essenzialmente un Dio creatore,
cui l’uomo dovrebbe tendere misticamente. Jaspers ignorava il
rinnovamento portato da Cristo
con la sua croce.
Alberto Corsani