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Anno VII
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del 5 novembre 1999
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CRISTIANI
E ISLAMICI
«Tu sei vicino, o Signore, e tutti i tuoi
comandamenti sono verità»
Salmo 119,151
BECENTEMENTE un vescovo lombardo ha espresso la propria
preoccupazione per la presenza di islamici nel nostro «bel paese» e ha paventato che si giunga a insegnare il Corano nelle patrie scuole. Il più noto quotidiano del Nord ha capito male e ha
fatto l’elogio dell'apertura del vescovo,
il quale invece non auspicava ma, appunto, paventava. Tempo fa, a Venezia, lessi il Corano nel gruppo di studio biblico. Tra i testi salienti che appuntai c'è il seguente: «Certamente noi
abbiamo creato l’uomo e noi sappiamo ciò che la sua anima gli suggerisce.
Noi tuttavia siamo più vicini a lui della sua vena giugulare» (sura della lettera Q, 50, 16). Questo Dio vicino, Dio
di Abramo, del profeta Gesù e Dio nostro, è amante, luce su luce, datore di
pace. La chiusura del capitolo 2 riecheggia il Padre Nostro con l’invocazione della protezione e del perdono.
Forse ì vescovi, e non, si lasciano
suggestionare dalle volgarizzazioni
facilone che hanno presentato gli islamici come aggressori e violenti, pronti
alla guerra santa, errata traduzione di
.«gihad», che vuol dire «sforzo collettiw». La guerra per convertire con la violenza è proibita dal Corano: «Nessuna
costrizione nella religione» (II, 256). Se
guardiamo agli islamici con la mentalità di chi vuol fare diga, con la sindrome di Poitier (732, vittoria di Carlo
Martello contro gli invasori musulmani), non potremo che nutrire una ostilità preconcetta. Forse, in un domani
non lontano, le migliaia di islamici in
Italia chiederanno di avere loro scuole.
Forse reagiremo parlando della laicità
della scuola (nozione astrusa per gli
islamici), ma quando «loro» saranno
qualche milione, lasceremo decidere loto come si deve studiare e quale deve
essere il posto del loro Libro? Mentre incalzano queste domande e ci apprestiamo a imparare nuove regole di convivenza, pensiamo al posto che il nostro
Libro, la Bibbia, ha occupato e occuperà nella nostra vita. Noi non abbiamo una religione del Libro, tuttavia,
per secoli, abbiamo portato a scuola la
Bibbia come sillabario. Ora abbiamo
fra noi chi vorrà portare a scuola, in
posizione preminente, il Corano. Poi
verranno i Veda e compagnia. La New
^e c’è già e trasuda da molte materie.
SE vogliamo prendere per il collo il
problema, dobbiamo ripartire dalgiugulare, dal Dio vicino, dalla fede
sentita, professata. Gli islamici che si
fermano a pregare alle stazioni di sosta autostradali, non ci pongono il
ptoblema della sicurezza delle nostre
case e istituzioni. A noi, cristiani del
veriiente 2000, pongono il problema
dei tre zeri della nostra fede. Che cos’è
tana fede che non respira con la preghiera? Che cos’è una fede che tfasfortna le chiese in deserti musei visitati
più dagli amanti delle gallerie d’arte
ofte dai credenti? Che cos’è una fede
ohe non conosce più e non celebra la
voTisolante compagnia del Dio con
ttoi? Questo Dio vicino che, per noi cristiani, ci è venuto incontro in Cristo
Flesù, deve tornare a essere sangue vitale che pulsa nelle nostre vene. La
questione del dialogo tra le religioni o
del dibattito religioso, esigerà cambiatnenti in tutta la nostra società. Ma,
pensando alla giugulare di coranica
Piemoria, diciamo il nostro grazie a
tthi, prostrandosi in adorazione, ci ricorda quale sia il cuore della nostra fede e come essa debba scorrere quale
ttnfa rinnovatrice nei giorni del nostro
pellegrinaggio della speranza.
Alfredo Berlendis
SETTIMANAI.E DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI
EUGENIO BERNARDINI
Il progetto della gerarchia cattolica per la scuola privata sancisce il duopolio formativo
Parità scolastica «all'italiana»
Di fatto, nella particolare situazione del nostro paese, sarebbero largamente diffuse solo le
scuole cattoliche e quelle pubbliche, pagate tutte dalla collettività. Così saremmo più liberiì
cardinale Ruini, per esempio, presidente della Conferenza episcopale italiana, nel suo intervento di
apertura all’Assemblea delle scuole
cattoliche, ha riproposto con chiarezza la linea del «pluralismo tra le
diverse scuole», ognuna con il proprio forte orientamento e tutte finanziate dallo stato, contro quella
del «pluralismo nella singola scuola» in cui si confrontano e convivono orientamenti diversi. Il cardinale ha orrore di «un panorama culturale che si è complessificato e dilatato, e che, per la sua stessa configurazione, tende a moltiplicare
indefinitivamente le proposte di
valore» che «vengono messe sul
medesimo piano» rendendole di
fatto «indifferenti tra loro». Per
Ruini, si contribuisce così a «un’ulteriore frantumazione dell’uomo»
che fa sì che «i giovani si sentano
dispersi». L’obiettivo della scuola
cattolica, invece, «è dar vita a un
ambiente comunitario scolastico
permeato dallo spirito evangelico
di libertà e carità; e di coordinare
l’insieme della cultura umana con
il messaggio della salvezza».
Nella particolare situazione italiana, con la particolare cultura
concordataria della Chiesa cattolica italiana, quella di Ruini si configura più come una visione «balcanica» che da grande democrazia liberale: più che promuove una società aperta a più visioni filosofiche e religiose del mondo, e quindi
a più proposte culturali che possano esprimersi liberamente nella
comunità civile e anche nella comunità scolastica, si promuove la
coesistenza di spazi formativi fortemente diversificati per proposta
ideale e religiosa, con conseguente
esclusione del «diverso» e sua concentrazione in alcune scuole pubbliche, magari in quelle dei quartieri delle città a forte «vocazione»
immigratoria. Insomma, una «liberalizzazione all’italiana» in cui la libertà, la sana concorrenza, il mercato, sono invocati a parole mentre
si punta a un nuovo «statalismo»:
quello del duopolio con i costi pagati dalla collettività.
^ ECUMENE
Maison Tullio Vinay
DI fronte alla manifestazione
delle scuole cattoliche in piazza San Pietro di sabato scorso, spero che un brivido di inquietudine
abbia percorso la schiena non soltanto degli evangelici ma anche di
tanti cattolici e non cattolici italiani. Il messaggio chiaro, rafforzato
da un commento fortemente di
parte della lunga diretta di Rail, è
che Dio (quello dei cattolici, beninteso) è per la parità scolastica, ma
non per quella parità proposta, con
un difficile e discutibile compromesso, dal governo d’Alema, bensì
per quella richiesta con forza dal
papa e dal cardinale Camillo Ruini.
La manifestazione politica (ed economica, visto che i soldi sono la
principale materia del contendere)
e insieme religiosa, con tanto di
preghiere e canti, pare riportarci al
clima dell’integralismo cattolico
degli Anni Cinquanta, compreso il
seguito di politici che cercano di
farsi «benedire» dal papa.
L’offensiva cattolica sulla scuola
privata, sostenuta con una forza e
una determinazione polemica mai
visti prima, si basa sulla sensazione che sia giunto il momento propizio per ottenere quello che né i
padri costituenti, né i decenni democristiani, né il «nuovo» Concordato aveva reso possibile, è cioè
una forte e ancora più diffusa
scuola cattolica, in aperta concorrenza con quella pubblica, che
promuova i valori cattolici delle
giovani generazioni e faccia crescere nel paese l’influenza diretta
della chiesa di Roma (cioè della
sua gerarchia). Se oggi, in condizioni di «insostenibilità economica» (parole del papa e di Ruini), la
scuola cattolica ha 12.513 istituti
di ogni ordine e grado (università
escluse), 61.914 docenti (di cui
23.332 religiosi) per un totale di
956.125 allievi, quale potrà mai essere lo sviluppo travolgente di una
scuola cattolica che acquisisca la
tanto agognata «sostenilrilità economica» grazie ai finanziamenti
pubblici?
Qui sta il cuore del problema che
rende così particolare la situazione
italiana rispetto a quella di tanti altri paesi occidentali: le scuole private non cattoliche, sia laiche che religiose, sono così numericamente
esigue che, anche in presenza di finanziamenti pubblici consistenti,
non lasciano prevedere uno sviluppo travolgente. Nascerebbe quindi
una sorte di duopolio educativo e
formativo che non può che rendere
inquieti tutti coloro che hanno ben
presente la storica aspirazione cattolica romana a impegnarsi integralisticamente nelle scelte politiche
italiane. Rischieremmo perciò di
vedere crescere e insaprire lo scontro ideologico e religioso. Invece
che maggiore libertà avremmo
maggiore invadenza confessionale.
Allucinazioni dei soliti protestanti che vedono «macchinazioni» cattoliche da tutte le parti? Non direi.
In questi giorni di polemiche sono
state dette parole molto chiare. Il
Beni di prima necessità, ricostruzione di case, ripresa produttiva
Prosegue l'impegno degli evangelici per il Kosovo
di ANITA TRON
Continua a pieno ritmo l’impegno del Servizio rifugiati e migranti
della Federazione delle
chiese evangeliche in Italia (Fcei). Oltre a proseguire la distribuzione di
cibo, stufe e prodotti
igienico-sanitari in alcuni villaggi e l’intervento
educativo nel più grande
campo Rom del Kosovo,
a Obiliq, è stato avviato
un nuovo progetto che
prevede interventi immediati per la ricostruzione delle case distrutte
e, dopo l’inverno, per
aiutare la ripresa delle attività lavorative e produttive (agricole e altro).
I villaggi in cui interviene il Servizio rifugiati e
migranti della Fcei sono
localizzati nelle zone cir
costanti le città di Pristina e Mitrovica: due villaggi vicini al capoluogo,
Dardishte, nella municipalità di Obiliq (qui sono
andate distrutte il 70%
delle case), e Miradi E
Ulet a 10 km da Pristina
(75% delle case dannegVgiare o distrutte), e quattro villaggi albanesi nell’area prevalentemente
serba di Mitrovica, particolarmente colpiti dalla
guerra: Gushavei, Vinarci
i Ulet, Vinarci i Eperem e
Vidimiriq. In questi ultimi villaggi la stragrande
maggioranza delle case è
inagibile, mancano elettricità, acqua potabile e
assistenza medica e gli
abitanti vivono ancora
sotto tende.
La Fcei, che opera con
il prevalente sostegno finanziario della «Missione
Arcobaleno» del governo
italiano, inizierà ai primi
di novembre il sostegno
alla ricostruzione di una
cinquantina di case nei
villaggi di Vidimiriq e Miradi i Ulet, fornendo agli
abitanti il materiale necessario (tegole, mattoni,
legno, cemento ecc.) e il
personale responsabile
alla supervisione dei lavori. Al personale si affiancherà un certo numero di volontari che devono essere disponibili per
un periodo di permanenza non inferiore alle tre
settimane, tra novembre
e gennaio, e che devono
necessariamente parlare
l’inglese; verranno loro
garantite le spese di viag
gio, il vitto e l’alloggio,
l’assicurazione sulla vita,
sugli infortuni e sui danni
a terzi, il traduttore, i
mezzi di spostamenti e
una piccola indennità
giornaliera. Le persone
interessate a un periodo
di volontariato in Kosovo
possono contattare il Servizio rifugiati e migranti,
tei. 06-48905101 oppure
06-483768. L’indirizzo email è: sm.evangeliche@
agora.stm.it.
Oltre all’intervento in
Kosovo, il Servizio rifugiati e migranti continua
ad assicurare, neU’ambito
del progetto «Azione comune», l’ospitalità in Italia a rifugiati dal Kosovo
(in maggioranza di etnia
Rom) in cinque centri
evangelici. (nev)
CULTURA
Scozzesi e calvinisti
di GIORGIO BOUCHARD
¡EDITORIALE
La Svizzera verso destra
di PAOLO TOGNINA
A EVAGINA "B
COMMENTOi
Il passato che ritorna
dì PIERA EGIDE
Uomo e donna del 2000
di OORIANA GIUDICI
2
PAG. 2 RIFORMA
«' Tutta la terra
parlava la stessa
lingua e usava
le stesse parole.
^Dirigendosi
verso l’Oriente,
gli uomini
capitarono in una
pianura nel paese
di Scinear, e là
si stanziarono.
^Si dissero l’un
l’altro: “Venite,
facciamo dei
mattoni cotti
con il fuoco!’’.
Essi adoperarono
mattoni anziché
pietre, e bitume
invece di calce.
*Poi dissero:
“Venite,
costruiamoci una
città e una torre
la cui cima giunga
fino al cielo;
acquistiamoci
fama, affinché
non siamo dispersi
sulla faccia di
tutta la terra”.
^Il Signore discese
per vedere la città
e la torre che i figli
degli uomini
costruivano.
^Il Signore disse:
“Ecco, essi sono
un solo popolo
e hanno tutti una
lingua sola; questo
è il principio del
loro lavoro; ora
nulla impedirà
loro di condurre
a termine ciò che
intendono fare.
^Scendiamo
dunque e
confondiamo il
loro linguaggio,
perché l’uno non
capisca la lingua
dell’altro!”.
^Così il Signore
li disperse di là
su tutta la faccia
della terra ed essi
cessarono di
costruire la città.
^Perciò a questa
fu dato il nome
di Babel, perché là
il Signore confuse
la lingua di tutta
la terra e di là li
disperse su tutta la
faccia della terra»
(Genesi 11,1-9)
«^Quando il giorno
della Pentecoste
giunse, tutti erano
insieme nello
stesso luogo.
^Improvvisamente
si fece dal cielo
un suono come di
vento impetuoso
che soffia,
e riempì tutta
la casa dov’essi
erano seduti.
^Apparvero loro
delle lingue come
di fuoco che si
dividevano e se ne
posò una su
ciascuno di loro.
“ Tutti furono
riempiti
di Spirito Santo
e cominciarono
a parlare in altre
lingue, come lo
Spirito dava loro
di esprimersi»
(Atti 2, 1-4)
—- All’Ascolto Della Parola
VENERDÌ 5 NOVE^rp
DI
TRA BABELE E PENTECOSTE
/4 Babele Dio confonde i diversi linguaggi perché la gente non possa più capirsi
A Pentecoste succede l'inverso: tutti si comprendono nonostante le lingue diverse
GIANNI GENRE
Molti di noi avevano creduto 0 almeno sperato che
il nostro secolo, che porterà con
sé il simbolo perenne di Auschwitz, si chiudesse con la costruzione di una nuova Europa.
Nonostante la consapevolezza
che l’Europa di Maastricht, dunque del denaro e non dei popoli,
fosse del tutto insufficiente a garantire la pace e una nuova idea
di unità, abbiamo a lungo accarezzato l’idea di aver inaugurato
un tempo nuovo, per il nostro
vecchio continente e per il mondo intero. Invece saluteremo la
fine di questo secolo senza nostalgia, portando nella memoria
gli sguardi pieni di orrore dei
bambini del Kosovo a cui è stata
rubata per sempre l’innocenza e
la capacità di sognare.
Insomma, anche se non abbiamo mai creduto a una concezione ciclica del tempo, abbiamo a volte l’impressione che la
storia si ripeta; si ripetono le
guerre e i tentativi di risolvere i
conflitti con le guerre, si ripetono le pulizie etniche e i genocidi. In questa situazione di dolore, che si mescola alla rabbia e
all’impotenza, le chiese (anche
le nostre piccole chiese evangeliche) ritrovano il tempo per la
riflessione, per la denuncia e per
la preghiera e si mobilitano nel
moltiplicare le iniziative che vogliono esprimere solidarietà.
Questo sembra tutto ciò che
possiamo fare oggi. Il nostro
ascolto della parola di Dio è stato
insufficiente, la nostra illusione
di avere rigettato la guerra almeno nel nostro continente è colpevole. Anche l’Europa delle
chiese non è diventata realtà in
questi ultimi anni; si era previsto
un equilibrio che in realtà non è
forse mai esistito. Se l’Europa
politica è fragile, quella della fede e delle chiese lo è altrettanto.
verso. La società che si vuole
costruire a Scinear, attraverso la
città e il santuario, è una società
di uomini e donne sottomessi e
uniformati. Nimrod, discendente di Noè, va in Assiria ed edifica
le prime grandi città, simbolo di
questo tentativo di omologazione. Secondo Nimrod, tutti devono vivere in una grande concentrazione e parlare un solo linguaggio. Questo non ci stupisce.
Tutti sappiamo bene che l’unificazione della lingua è sempre
stata collegata ad un preciso disegno di oppressione. Ecco perché Dio interviene; perché l’umanità non si autodistrugga, attraverso un linguaggio artificiale
che non crea autentica comunicazione, ma alienazione.
A Pentecoste
A Babele
Quale Europa vorremmo
costruire? Quella di Babele
o quella di Pentecoste? Quali
sono i temi comuni a questi due
testi? Anzitutto quello del linguaggio e della comunicazione.
A Babele Dio viene a confondere i diversi linguaggi perché la
gente non possa più comprendersi e perché la costruzione
della città e della torre cessino
immediatamente. Sembra quasi
che Dio sia geloso del progresso
dell’uomo, che vuole organizzarsi per vivere meglio. Dio interverrebbe con la violenza per
mantenere la propria posizione
dominante. In realtà, è tutto di
APentecoste succede l’inverso; gente diversa, popoli diversi che mantengono una molteplicità incredibile di linguaggi
e che arrivano a comprendersi.
A Pentecoste tutti mantengono i
propri mezzi di espressione, la
propria cultura, il proprio modo
di rapportarsi agli altri e a Dio,
ma ci si ascolta. Ecco perché ci
si può comprendere.
Si può imporre un solo, unico,
linguaggio senza avere comunicazione reale, mentre si possono
parlare linguaggi assolutamente
diversi e vivere una piena comprensione e una piena comunione. A Pentecoste, la dispersione e
la molteplicità dei linguaggi diventa una grande «chance», una
grazia. Perché? Perché non possiamo comprenderci basandoci
esclusivamente sulle nostre convenzioni, che possono essere più
o meno libere. Solo Dio, il Dio
dello Spirito della libertà può
produrre vera comprensione.
Vi è una seconda, importantissima considerazione collegata
all’esercizio del linguaggio che a
Babele viene fatto. La costruzione della torre serve per consentire agli abitanti di Babele di
«darsi un nome». Il nome, per il
credente ebreo indica l’identità
profonda della persona e ne segna la dipendenza. Dio soltanto
dà il nome a ogni cosa, Dio soltanto è la fonte di tutto ciò che
ha nome. A Babele si cerca dunque, davvero, di prendere il posto di Dio. Ci si vuol dare un nome, si afferma cioè la propria
autonomia da Dio e si esercita
un potere nei confronti degli altri ai quali, anche, si vuole dare
un nome. L’idolatria e l’oppressione hanno sempre la stessa radice. È come se noi dicessimo; il
mio nome, cioè il senso profondo della mia vita non lo ricevo
più da Dio, ma sono io stesso a
darmelo. Anzi, quando la torre
sarà finita, darò un nome anche
a Dio. Sarò io a potere dare un
nome a ogni cosa.
Ecco perché Dio interviene.
Ed è interessante notare che dopo il disastro di Babele, inizierà
la storia dei patriarchi, di Àbramo, il quale verrà chiamato da
Dio e da Dio riceverà un nome
nuovo, una nuova identità. E insieme a lui tutti coloro che accettano di ricevere da Dio la
propria vocazione, il senso della
propria vita.
A queste considerazioni sul
linguaggio si collega quella legata all’uniformità o all’omologazione. Quale città, quale Europa
stiamo costruendo? La Babele
dove tutti devono rassomigliarsi,
dove tutti devono rispondere a
determinati parametri non solo
economici, ma anche culturali
oppure la nuova comunità di
donne e uomini liberi che a Pentecoste si riconoscono con stupore e riconoscenza diversi eppure in comunione? La tentazione ricorrente, che la storia ha
sempre conosciuto, di fare in
modo che ogni popolo, ogni etnia, ogni gmppo sociale potessero avere uno spazio in cui vivere
senza contaminazioni esterne,
sembra riaffiorare con preoccupazione. Non solo nelle regioni
che sono oggi direttamente
coinvolte in questo conflitto, ma
anche negli stati che fanno già
parte della nuova Europa. Molti,
anche qui in Italia, chiedono di
ridefinire i propri territori in base all’appartenenza etnica. Questa tentazione di Babele, della
città perfetta e omogenea, viene
frantumata a Pentecoste, va
combattuta nelle e dalle chiese
con grande coraggio.
Dio stesso, il Dio di Gesù, che
non va più adorato né a Gerusalemme, né sul monte Garizim,
non è più confinato in un luogo
o in un tempio, ma vive nella dimensione della libertà dello Spirito e ci chiama ad uscire dalle
nostre terre e dalle nostre sicurezze. Tutta la terra, infatti, diventa il nostro paese. E il nostro
paese diventa e diventerà sempre di più la terra di tutti.
Io credo che Babele sia anche
questo; la denunzia della sedentarizzazione, il rifiuto di diventare sedentari nel senso spirituale prima ancora che fisico. Il
cittadino di Babele non vuole
più mettersi in marcia, cerca solo un’istituzione, politica o reli
giosa, che gli dia sicurezza e lo
metta al riparo da tutte le minacce esterne. Qui davvero le
chiese possono essere anticipatrici di un mondo che dovremo
costruire con fatica, perché la
chiesa non può conoscere confine e l’appartenenza alla chiesa
di Gesù Cristo non sarà mai una
questione di sangue o di razza,
ma di fede e di libertà. In particolare il protestantesimo dovrebbe sapere che il senso della
nostra vita sta nella chiamata
che si rinnova da parte di un
Dio sempre sorprendente.
Dopo Babele, Abramo
Non a caso, dopo Babele,
Dio chiama Abramo; dopo
la tentazione di diventare sedentari e uniformati, Dio fa entrare sulla scena della storia deila salvezza Abramo, che da sedentario diventa nomade, che
lascia il suo paese e la cui unica
sicurezza è la fede.
Anche i valdesi medioevali,
che sottolineavano il carattere
itinerante della loro vita e della
loro predicazione, lo sapevano:
bisogna essere continuamente
in cammino per sperare di imbattersi nelle tracce di Dio. Non
ci si può dichiarare arrivati se
non si vuole inciampare nell’idolatria. Credo fermamente
che il grande movimento di uomini e di idee al quale stiamo già
assistendo, non sarà una maledizione, ma una grande chance
per l’Europa. Proprio noi che dovremmo già essere, come dice la
lettera agli Ebrei, «forestieri e
pellegrini sulla terra», dovremmo insegnare ai nostri compagni
di cammino quanto è importante vivere in un mondo aperto.
Dopo Babele, insomma, non ci
sarà più un’umanità unita. L’utopia deirumanità unita, nel senso
di unica e di uniformata, non
avrà più ragion d’essere. Ma a
Pentecoste, e questo dev’essere il
senso del nostro impegno oggi e
domani, sarà possibile credere
che Dio ci offra una nuova possibilità di comunicazione e di comunione. Anzi sarà proprio la
nostra diversità a permetterci di
conservare la nostra originalità e
a rendere possibile quell’unità
dello Spirito di Dio, dello Spirito
della libertà, che è ciò che dà respiro e ragion d’essere alla fede
cristiana ancora oggi.
(Prima di una serie di tre meditazioni trasmesse nella primavera scorsa dai Servizi protestanti della radio svizzera romanda e
della radio francese)
Note
omiletiche
«Lingue diverse, ut,
proposto dal Servizi'
testante radio della sA
ra romanda e dal Se^
Qui
radio della Federaz^
protestante di Frauda J
hanno organizzato,
breve serie di culti da
verse chiese francofon.
alcuni paesi europei o
ste predicazioni voiJ. T^ALl
affrontare il tema di n ^
sta nuova Europa d,. ,^0 ann
spera sia un'Europa j jot^cÉspc
popoli e non solo dei, Iduta d£
rarnetri economici. Pre,^ godensteii
Este
italiani
mente seguente lapifemrese
questi culti sono, se.
squa,
nuti a cadere nel i
angosciante dell'operaàt “
ne di pulizia etnica ¡n*( raccoglie.
sovo e della guerra coi»
la Serbia. Tutto è »senza fisi
P®!'« pegno soc
T" otto è stai»*'
dunque, condizionatofpOO sor.
gli avvenimenti di qu(i pare e a i
settimane terribili, in, mpresenl
la debolezza di que, ^oni dii
nuova Europa si è resa, europee. i
cor più evidente. „esenti le
Il racconto della torre ^esca e s
Babele e sembrato impo u ii rQnve
come uno dei temi obf.efdì p ot
gati. Ultimo dei raccoltone d
della preistoria deip,i,|t
capitoli della Genesi,esii
su questi pochi verseti
una bibliografia stermi2®cnlo P^'ta. È la storia di un'uiilniovente
nità diversificata. Al felli con una ci
ne della storia di Noè,|bria e fami
riafferma la fedeltà di Or nuovo edil
nei confronti dell'uimni Ilo Vinay,
che non provocherà piùijtaUano, fo
tri diluvi per distruggere fjei due
suo interlocutore urna» ffQduttivi
Ci troviamo però confi» ¡¡„jgnste:
tati al problema dellai Umnnri-a,
versità dei popoli dellati ' „.P
ra, delle loro culture, de ^ini
loro abitudini. La genea
entina di
lavoro c
già del capitolo 10 ripi
la genealogia deH'inti a preziosi
umanità suddividendolifeiaedel s.
tre grandi gruppi chenPaolo Rie
scendono dai tre figli^iato le 1
Noè, Sem, Cam e Jafet pensiero
questi tre rami genealiazione di
ci, possiamo rintracciiVi
quella che doveva es» —i
la ripartizione geopoli
del Vicino Oriente veli
fine del primo milleii ...ñu.t‘
Da Jafet discendonoif
poli dell'Asia Minoreet/'L •
la Grecia, da Carn qr'^|||0|
dell'Africa allora conoi
ta (Egitto e Filisteil.l
Sem i popoli d'Arafe Dal 15
Mesopotamia (ramnisvolta prei
quale uscirà Àbrami gelico batí
Questa tavola genealf'ra l’annui
vuole ancora una«\osiddetl
sottolineare il fatto clthcess», un
diversità umana è posW cjiiege del
è un fatto «buono ag * nomia»p
chi di Dio»-Aquesta* lo
sita corrisponde una w . ,
sità di attività
li e culturali, cheporti^®™!
nuove tecnologie^
vrebbero servire i bmrf Nata d;
degli esseri umani (i“tomento
toni). Il progresso àpi profondin
segnato da una gr* iffimigrazi
ambiguità, poiché P» chiese pr
l'umanità ad acquis Europa, 1;
una fama sempre Coinvolge
re, a volere „^ossa grec
me» senza più ricegle chiese
propria identità a(Mecc) r
esseri umani non ,5^1990
itineranti e si
stabili«»'
I ven:
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nella pianura ai a 1
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PAG. 3 RIFORMA
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Colmar (Francia): III convegno annuale oell'Associazione «Éspoir»
Quando il sogno diventa messaggio e progetto
, f stato inaugurato un nuovo edificio dedicato a Tullio Vinay, «pastore-senatore
ftali^^^^ fondatore di Agape». Gli interventi di Bernard Rodenstein e di Paolo Ricca
22ato u
:olti da
ncofone
ANITA TRON
.alla realtà al sogno»:
’ è il titolo del III con
' «Di
iViht ‘¿b^nuale che l’Assodauropa Zie Éspoir di Colmar, predio dei, Ceduta dal pastore Bernard
''d. PreiJ lodenstein, anche presidenomediat te dell’Entraide protestante
la f ^cese, organizza per riflettere sul senso del proprio im[®l P6d« tpegno sociale, centrato sul'.°P6faa}!.£C0glienza e sul reinserimento sociale dei cosiddetti
Sa fissa diinora». All’iniorrat Hìntro sono invitati a partecii di qJ pare e a intervenire anche
bili, in, «presentanti delle organizsi i quii ^oni diaconali protestanti
16 resai luropee. Quest’anno erano
a- presenti le diaconie italiana,
•Ila torre Qesca e svizzera,
ato impj ( ¡1 convegno è iniziato vetemi obi jjtdì 1» ottobre con l’inaugu''6®'lazione delFampliamento
¡ng ' P'," Iella sede dell’Associazione,
ni ver«! W noi valdesi è stato un mo3 stermià 1“®^° particolarmente comdl un'«'movente in quanto Espoir,
a. Altera con una cerimonia molto sodi Noè, .bria e familiare, ha dedicato il
leltà di ó|nuovo edificio al pastore Tulill'uftianllioVinay, «pastore-senatore
herà più|italiano, fondatore di Agape»,
struggere f^gi due brevi interventi inire urna« [joduttivi, il past. Bernard
° ?fl iodenstein ha sottolineato
!n ’importanza della figura di
'ullio Vinay, conosciuto una
a genea 60tina di anni fa a Riesi, per
: 10 ripa i lavoro dell’Associazione e
dell'inti s preziosità della sua amiciidendoli ùa e del suo sostegno. Il prof,
ppi dieiifaolo Ricca ha invece tractré figliato le linee fondanti del
e Jafet pensiero teologico e della
geneali^zjone di Vinay, evidenzianintracciA«.'
'eva ess
geopoli
La targa di dedica dei nuovo edificio deii’Associazione Éspoir
done tutta l’attualità. «È la
prima volta - ha detto Ricca che Tullio Vinay viene ricordato in questa maniera. Ed è
una maniera appropriata
perché l’edificazione, la costruzione è una caratteristica
della sua predicazione: ha
predicato la riconciliazione
fra i nemici della II guerra
mondiale, attraverso la costruzione di Agape, ha predicato una “nuova vita” in alternativa al modello mafioso,
attraverso la costruzione del
Servizio cristiano di Riesi, ha
predicato la costruzione della
giustizia, attraverso il suo impegno politico al Senato italiano». Negli anni precedenti
altri due servizi dell’Associazione erano stati dedicati ad
altri due personaggi: Victor
Schoelcher che, con l’appoggio di Victor Hugo, nel secolo
scorso si battè fino a ottenere
dal governo francese l’aboli
zione della schiavitù nelle colonie francesi; lean-Marie
Tjibaou, assassinato nel 1989,
da un gruppo di estremisti
che si opponeva al suo progetto di riconciliazione fra la
popolazione kanak e la popolazione bianca della Nuova
Caledonia.
Nei due giorni seguenti il
coraggio e la capacità di sognare e di impegnarsi concretamente per la costruzione di
un mondo nuovo, testimoniata da questi personaggi
fortemente radicati nella realtà del loro tempo, è stata
l’oggetto dei lavori del convegno, introdotti da Rodenstein
e guidati da Ricca e dalla signora Marie-Claude Tjibaou,
vedova di Jean-Marie. Ecco
tre frasi conclusive, secondo
me degne di essere segnalate
all’attenzione generale: «Se
ÿelle visioni felici dimorano
nel più profondo di noi stessi.
è perché hanno una ragione
d’essere e in qualche modo
devono essere recepite come
dei pungiglioni che ci costringono a uscire dal nostro tran
tran o, se preferite, come delle stelle che ci orientano nella
notte del dubbio e della paura» (Bernard Rodenstein).
«Il sogno è come la poesia.
La poesia si serve delle stesse
parole della prosa, ma le usa
in modo tale che dicono ben
più di quando sono prosa.
Sognare è segnalare un altrove che può comportare un altrimenti. Perché ciò accada la
visione deve diventare parola. Il sogno deve diventare
messaggio e il messaggio
progetto. Il sogno che non è
detto, che non è progettato,
muore» (Paolo Ricca).
«La mia vita è una successione di sogni. Oggi il mio sogno più grande è la costruzione del mio paese. Tre sere
prima che l’uccidessero, passeggiavo con mio marito sulla spiaggia. Lo sentivo lontano. Gli ho chiesto cosa c’era
che non andava. Mi ha risposto: “Sento il tempo che mi
sfugge, non ho più tempo,
non posso più fare niente”
Gli ho detto: “Non puoi fare
niente di più, quello che rimane, lo faremo poi”. Tutta
la nostra vita in comune è
stata un sogno che abbiamo
cercato di tradurre in atti, pur
sapendo che il nostro tempo
è limitato. Nonostante tutto,
non ho intenzione di smettere di sognare: che sarebbe la
vita senza i sogni?» (MarieClaude Tjibaou).
Si è svolta a Santa Severa la conferenza annuale dell'«Amman Process»
fChiese e movimenti migratori nel bacino mediterraneo
Ite vera
millefl
idono if,
inore ei
Cam qi
a conoi
i listelli'
j'Arabiij: Dal 15 al 17 ottobre si è
(ramor svolta presso il Centro evanAbraiil^ gelico Irattista di Santa SevejenealVra l’annuale conferenza del
!5jj’'bsiddetto «Amman Pro•I6SS», un coordinamento di
* del Mediterraneo im
uesta# nell’assistenza e nel
, yp3 # " studio dei movimenti miirofeisi« Patori nel bacino marittimo,
he porti ®°‘^6via per eccellenza tra il
jie chel ^ordeilSud del mondo,
e i bistf Nata dall’esigenza di un
i3ni (i Kmomento di scambio e apisso è ^ profondimento in materia di
c6 9^® *®fnigrazione da parte delle
protestanti del Sud
acqu i» Europa, la rete ha finito per
I«ruo< Chiesa orto
® 'bossa greca e il Consiglio del
da Medio Oriente
,n sonofjq Nel novembre del
;tablliirt^i*®® venne organizzata ad
di 5cii'*,™b’^an, con i contributi rileMesoPjl^d del Consiglio ecumeniire la delle chiese (Cec) e della
delle chiese propaesi latini d’Eu®l (Coppie), un convegno a
iC«’ Parteciparono i rappreservizi delle chiePalestina, Giorlescob^”*?; Libano, Turchia, Gradi Ptancia, Spagna e
3 dW«‘^„''*°8allo, e che diede l’avnanlb A ® quella rete di contatti riV An «Amman Process».
nn A ^ttuferenza di quest’aniziO' Panno partecipato rappre
Drt della Chiesa
fj Sdossa greca, del Mecc, del
Jlilhnx «Service oecuméniOnfllT, d entraide», della spagnoj ^^dttia», del Servizio
P®t i rifugiati au(Efdo), del portoghese
d®a e società» e del Servid migranti della
’l^.,llaC"dtazione delle chiese el I^dlia (Fcei).
a Me tre giornate di lavoro,
u,.all’analisi dei moviditp dttgratori nell’area merranea e alle prospettive
giuridiche e politiche ad essa
legate, hanno partecipato in
qualità di relatori esterni Ana
Liria-Franch, delegata italiana dell’Alto commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), Sergio Briguglio, esperto della Caritas e
del Gruppo di riflessione,
Mostafa E1 Ayoubi, della rivista «Confronti», e Stefano Leszczynski del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir).
Tre gruppi di lavoro hanno
cercato di dare contenuti più
concreti al coordinamento
delTwAmman Process»; un
primo tavolo ha riflettuto sulle aree di crisi dell’Iraq e del
Kosovo e sul ruolo che le chiese possono svolgere nell’af
frontarle e nel contribuire a
una riflessione planetaria sulle emergenze della nostra
epoca. Il secondo gruppo si è
soffermato sullo stesso «Amman Process», ribadendo la
necessità per gli organismi
parte di scambiarsi informazioni e di esercitare una pressione politica sulle autorità
governative in materia di immigrazione, ma anche prospettando un possibile ampliamento della stessa rete al
mondo cattolico europeo
(all’incontro era presente anche don Gianni Novello di Pax
Christi internazionale) e alla
partecipazione delle chiese
dell’Albania e dell’ex Jugoslavia sin dal prossimo incontro.
previsto al Cairo nel giugno
del 2000. Il terzo gruppo ha
gettato le basi di un progetto
pilota per il rimpatrio, organizzato e protetto, di un certo
numero di famiglie palestinesi, destinato a coinvolgere
l’Efdo austriaca, il Servizio rifugiati e migranti della Fcei e
il «Department on Service to
Palestine Refugees» del Mecc.
Il prossimo appuntamento al
Cairo sarà quindi chiamato a
rinnovare e ampliare l’esperienza di scambio del coordinamento stesso e a rendere
ancor più concreto l’impegno
di tutte le chiese dell’area del
Mediterraneo nell’affrontare
una delle questioni più cruciali della nostra epoca, (nev)
Visita pastorale a Cuba di una delegazione ecumenica
Un lungo colloquio fra Fidel Castro e Raiser
Un colloquio ufficiale fra
Fidel Castro e il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), Konrad Raiser, ha avuto luogo il
12 ottobre durante la «visita
pastorale» a Cuba di una delegazione del Cec. Cuba è
stata la prima tappa della delegazione, che ha poi visitato
Haiti, Costa Rica e Honduras;
hanno accompagnato Raiser
diversi leader del movimento
ecumenico, fra cui Walter
Altmann, presidente del Consiglio delle chiese latinoamericane e Carlos Emilio Ham,
presidente della Conferenza
delle chiese dei Caraibi.
Il confronto con Castro, riferisce l’agenzia Eni, ha toccato numerosi argomenti:
dal pensiero di Tommaso
D’Aquino al problema del de
bito estero, al caso giudiziario e politico dell’ex dittatore
cileno Pinochet. Castro ha
voluto richiamare la figura
«rivoluzionaria» di Cristo, affiancandola alla vicenda di
Martin Lutero, che nel suo
tempo ha saputo «sfidare» la
Chiesa cattolica. Castro ha
ancora sottolineato la propria ammirazione nei confronti del modo di pregare
proprio dei protestanti: «Una
modalità molto diretta di co-,
municare con Dio».
Al suo arrivo a Cuba, il 9 ottobre, Raiser ha affermato
che la sua visita intendeva essere un «segno di ammirazione per i gesti di solidarietà offerti in tutto il mondo da Cuba, dalle chiese e dalla popolazione cubana». Ospite il
giorno dopo di una chiesa
presbiteriana a L’Avana, Raiser ha ribadito l’opposizione
del Cec all’embargo americano, aggiungendo che la visione biblica della giustizia impone di «combattere contro
le strutture che producono
ingiustizia ed esclusioni».
Negli ultimi anni si è assistito a una «notevole crescita
della vita religiosa» a Cuba,
ha affermato Raiser nel corso
di un incontro ecumenico a
cui hanno partecipato più di
mille persone. Ha sottolineato la spettacolare crescita
delle chiese protestanti, ricordando però che i credenti
non devono confidare nella
crescita numerica, ma solo
nell’Evangelo, se vogliono
che la chiesa sia «un luogo di
speranza in un tempo privo
di certezze». (nev)
il Germania: morto il pastore Hanselmann
GERMANIA — Non è riuscito a vedere il compimento della
sua opera il pastore luterano tedesco Johannes Hanselmann,
deceduto il 2 ottobre all’età di 72 anni. Presidente della Federazione luterana mondiale (Firn) dal 1987 al 1990, Hanselmann è stato tra i principali artefici del dialogo tra luterani e
cattolici che il 31 ottobre ad Augusta ha visto la firma del documento comune sulla giustificazione. (nev/lwi)
I
Et Uruguay: le chiese cristiane criticano
la legge sulla fecondazione assistita
MONTEVIDEO — Dura contestazione di tutte le chiese cristiane dell’Uruguay dopo la recente approvazione di una legge
che regola le tecniche di fecondazione assistita. Le critiche sono contenute in un documento firmato dal Consiglio delle
chiese dell’Uruguay, che comprende cattolici, luterani, anglicani, metodisti, valdesi, pentecostali e l’Esercito della Salvezza. «Il
concetto cristiano della vita - dice il documento - così come è
espresso nella Bibbia ci porta a non poter accettare manipolazioni di cellule ed embrioni, così come a stigmatizzare ogni
tentativo di costituire “scorte” di materiale genetico», (nev/alc)
Germania: Sinodo della Chiesa evangelica
(Ekd) dal 7 al12 novembre
LIPSIA — Sarà a Lipsia, dal 7 al 12 novembre, il Sinodo annuale della Chiesa evangelica tedesca (Ekd). I 120 delegati dibatteranno il tema centrale, «Missione ed evangelizzazione»,
partendo da un documento presentato dal teologo luterano
Eberhard Juengel. In agenda anche i temi della diaconia, del
rapporto giovani-chiesa e i problemi deU’emigfazione. Significativa anche la celebrazione, che sarà tenuta il 10 novembre,
della caduta del muro di Berlino (10-11-1989). (nev/ekd)
Un terzo delle chiese riformate non
ammette le donne al ministero pastorale
STRASBURGO — Sembra ancora lungo il cammino verso
l’uguaglianza dell’«altra metà del cielo». Secondo il settimanale evangelico francese «Le messager évangélique», circa un
terzo delle chiese che aderiscono all’Alleanza riformata mondiale (Arm) non ammette le donne al ministero pastorale. Su
215 chiese di tutti i continenti, 136 accettano l’ordinazione
pastorale delle donne, 59 la proibiscono esplicitamente e 20
non si pronunciano in merito. (nev/me)
Jubilee 2000: «Il debito dei paesi poveri
è immorale e illegittimo»
MATHEU — «Il debito internazionale dei paesi poveri è immorale e illegittimo»: lo hanno affermato in un documento i
leader della coalizione «Jubilee 2000» del Sud America, riuniti
a Matheu, Argentina, dal 20 al 23 settembre scorsi. Il documento, chiamato «Dichiarazione di Buenos Aires», respinge la
proposta del G7 di remissione di una parte del debito perché
«non sarebbe altro che la prosecuzione dell’indebita ingerenza del Fondo monetario internazionale che già controlla ogni
forma dello sviluppo dei nostri paesi». (nev/alc)
Cile: nuova legge in materia di religione
SANTIAGO — Reazioni diverse in Cile dopo la promulgazione di una nuova legge in materia di religione. Approvata dal
Congresso e controfirmata dal presidente Frei, la legge prevede
che tutte le organizzazioni religiose legalmente riconosciute
possano usufruire dei diritti e dei benefici previsti dalla Costituzione. In passato solo la Chiesa cattolica e quella ortodossa
godevano di tale status, mentre tutte le altre chiese erano classificate come «enti privati». Commenti positivi da parte protestante e qualche riserva da parte cattoUca che avanza il timore
che la legge possa facilitare anche «culti satanici o iniziative
private di nessuna rilevanza sul piano della fede». (nev/alc)
Finlandia: Assemblea della Commissione
delle chiese europee per i migranti
JÀRVENPÀA — Novità dall’assemblea tenuta in Finlandia
(Jàrvenpaa, 2-5 ottobre) dalla Commissione delle chiese europee per i migranti (Cerne) che ha deciso di estendere il suo impegno in tre settori: i movimenti migratori, l’asilo e la lotta
contro il razzismo. La nuova Cerne lavorerà a stretto contatto
con la Conferenza delle chiese europee (Kek) e con il Consiglio
ecumenico delle chiese (Cec). Quattro i nuovi membri accolti
nella Commissione: la Chiesa ortodossa della Grecia, l’Opera
diaconale ecumenica della Cechia e due chiese di migranti
della Gran Bretagna. Il nuovo Consiglio della Cerne è risultato
composto dal moderatore Martin Affolderbach (Germania) e
dalle vicemoderatore Pat White (Gran Bretagna) e Annemarie
Dupré, coordinatrice del Servizio rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Srm-Fcei). (nev)
Brasile: gli evangelici sono di meno
RIO DE JANEIRO — Acqua sul fuoco degli entusiasmi evangelizzatori in Brasile. Secondo il Servizio evangelico dell’America
Latina (Sepal) le statistiche fornite dalle chiese protestanti del
paese più che a criteri evangelici rispondono a criteri «evangelastici». Un rilevamento condotto con rigidi criteri scientifici, infatti, determina in 19,5 milioni il numero degli evangelici brasiliani, il 50% in meno di quanto era stato definito in base ai numeri forniti dalle singole chiese. Ciononostante resta ancora
molto significativa la tendenza alla crescita dell’evangelismo
brasiliano: mentre la popolazione del paese aumenta con un
tasso annuale dell’1,36%, il tasso di crescita annuale dei membri
delle chiese evangeliche cresce del 5,18%. Il Sepal prevede che
se il tasso resta costante, entro il 2037 metà della popolazione
brasiliana sarà di confessione evangelica. (nev/alc)
4
PAG. 4 RIFORMA
VENERDÌ 5 NOVEMBRf \^EF
Breve storia di un paese dotato di un forte senso di autonomia e dignità
Scozia^ la rinascita di una nazione
Dall'evangelizzazione della chiesa indipendente idandese alla Riforma che ha
fatto la più grande nazione calvinista del mondo. La devolution sostenuta da Blair
GIORGIO BOUCHARD
Non ero mai stato in Scozia, e me ne vergogno
profondamente: credevo che
fosse, più o meno, una regione della Gran Bretagna, come
Cuneo è una provincia del
Piemonte. E invece no: è vero
che la Scozia è solo grande
come Piemonte, Liguria,
Lombardia ed Emilia messe
insieme, e ha appena cinque
milioni di abitanti, ma non è
una regione: è una nazione,
dotata fin dall’inizio di un
fortissimo senso della propria autonomia e dignità. Ci
provarono per primi i romani, più o meno all’epoca di
Gesù: la conquista della Britannia (attuale Inghilterra) gli
era riuscita così bene, che
pensarono fosse facile sottomettere quei pittoreschi selvaggi di razza celtica, che
marciavano in battaglia al
suono delle assordanti cor
namuse, ma avevano un’organizzazione francamente
arretrata: i clan, gruppi familiari di tipo patriarcale sempre in lotta l’uno con l’altro.
Ma non ci fu niente da fare:
le famose legioni furono
bloccate qui come in Germania, e dovettero anzi costruirsi una muraglia difensiva: il
«Vallo di Adriano», che va più
0 meno da Carlisle a Newcastle, e che è rimasto, chilometro più chilometro meno,
la frontiera tra le due nazioni:
la famosa border.
Un'antica chiesa
indipendente
A Sud del Muro si diffondeva gradualmente la fede cristiana, e questo processo
continuò anche quando arrivarono le tribù germaniche
degli angli e dei sassoni: la
Britannia diventava Inghilterra, ma conservava le sue
tradizioni latine, sotto la forma di uno stretto legame con
il vescovo di Roma. Ma questa latinizzazione non garbava affatto ai fieri celti della
Scozia: essi accettarono perciò volentieri i missionari che
l’autonoma chiesa irlandese
(celtica anch’essa) mandava
loro: il più famoso è stato San
Colomba, basato sulla celebre isola di Iona. La chiesa
celtica e scozzese aveva alcune caratteristiche particolari:
la «croce celtica» (un anello
intorno ai bracci), un po’ simile alla nostra croce ugonotta, la grande autorità spirituale dei monasteri, l’assenza dei vescovi e l’esistenza
dei preti sposati.
I guai arrivarono, naturalmente, dal Sud: i normanni,
conquistata l’Inghilterra nel
1066, ne fecero un regno
guerriero e attaccarono prima rirlanda (1190) e poi la
Scozia. L’Irlanda venne gradualmente occupata manu
militari, mentre l’approccio
verso la Scozia fu più sofìr. la
regina Margaret (nata inglese) cominciò a nominare dei
vescovi, poi impose il celibato ecclesiastico; più tardi arrivò la lingua inglese e infine
l’esercito. Ma gli inglesi non
furono molto più fortunati
dei romani: occuparono bensì la Scozia meridionale, ma i
grandi clan impedirono loro
di conquistare le montagne
del Nord (le Highlands). E così cominciò la guerra di indipendenza: verso il 1300 venne decapitato l’eroe William
Wallace (vedi il film Braveheart, un po’ romanzato),
ma pochi anni dopo Robert
thè Bruce ricacciava gli inglesi al di là della border, e si faceva re degli scozzesi {non
della Scozia: tanto forte era la
fierezza di quel popolo). Con
sua figlia comincerà la dinastia degli Stuart, destinata a
durare più di tre secoli.
Mentre gli Stuart regnavano, nelle isole britanniche
arrivavano due grandi ondate culturali, il Rinascimento e
la Riforma: per il Rinascimento, nessun problema:
questi selvatici montanari
accettarono di buon grado
che a St. Andrews venisse
fondata una grande università. Per la Riforma, invece, le
cose si facevano più complicate: l’odiata Inghilterra aveva inventato una sua via tutta
speciale alla riforma della
chiesa: quel misto di protestantesimo, cattolicesimo,
umanesimo che porta tuttora
il nome di Chiesa anglicana.
Irlandesi e scozzesi si trovarono d’accordo su un punto
solo: nulla di ciò che veniva
dall’Inghilterra poteva essere
buono. Perciò gli irlandesi rimasero cattolici, e gli scozzesi diventarono calvinisti, e
pure molto tosti.
Una nazione calvinista
All’inizio la cosa non fu fa
cile: un gruppo di ragazzi
dell’Università di St. Andrews
vennero bruciati sulla pubblica piazza perché simpatizzavano (allora) per le idee di
Lutero. Poi un prete intelligente ed energico che guardava in direzione di Calvino,
John Knox, venne mandato
alle galere. Intanto regnava la
controversa Maria Stuart (a
noi nota come Maria Stuarda): si diceva che usasse fare
ammazzare il marito (o 1’
amante) di turno dal successore: quel che è certo, è che
Maria proveniva per parte di
madre dalla potente famiglia
cattolica francese dei Guisa,
che conducevano una lotta
senza quartiere contro gli
ugonotti, e miravano a includere la Scozia in un sistema
di potere cattolico e assolutistico che avesse come centro
il regno di Francia. E Maria
era sicuramente parte di questo «grande disegno»: cosa
che non piaceva affatto a sua
cugina Elisabetta (figlia di
Anna Bolena) che regnava,
fragile e isolata, sullo stato (e
sulla chiesa) d’Inghilterra.
Perciò Elisabetta, che perseguitava i calvinisti inglesi,
diede una mano sottobanco
ai calvinisti scozzesi: John
Knox era scampato alle galere, e dopo un soggiorno a Ginevra tornò in Scozia e co
minciò ad attaccare la regina
e la tradizione cattolica. La
nazione lo appoggiò, giurò
un solenne Covenant (patto)
e nel 1560 diventò in larga
maggioranza calvinista: era
l’anno in cui i valdesi di Calabria venivano massacrati dagli spagnoli.
Maria perse il trono e poi la
vita, e gli scozzesi (tolti i clan
del Nord-Ovest) diventarono
più calvinisti di Calvino. I pastori, amati e riveriti, non
avevano (e non hanno) lo
stesso potere che a Ginevra: il
pastore è solo un anziano
(nel greco di San Paolo: presbyteros) tra gli altri che sono
eletti per governare la chiesa:
perciò i calvinisti scozzesi
vennero chiamati «presbiteriani» (loro però si chiamano,
ancora adesso, «Church of
Scotland», la Chiesa di Scozia, e basta).
È evidente che in Scozia il
calvinismo aveva sviluppato
ulteriormente quello «spirito
repubblicano» che già lo caratterizzava a Ginevra, in
Olanda e altrove. La cosa non
garbava punto al figlio di Maria Stuarda, che alla morte di
Elisabetta (1603) diventò anche re d’Inghilterra con il nome di Giacomo I: laggiù, a
sud della border, era capo
d’uno stato assoluto e i vescovi puntellavano il suo potere insidiato dai calvinisti
che lì si chiamavano Puritani:
qui in Scozia doveva continuamente trattare con questi
insopportabili pastori presbiteriani, con una General Assembly (Sinodo) fatta per
metà di laici; non era un vero
re. Giacomo aveva le idee
chiare: «no bishop no king»,
era uso dire: senza i vescovi
la monarchia non sta in piedi. E aveva ragione: se ne accorse suo figlio Carlo I, il
quale provocò la rivolta degli
scozzesi per aver tentato di
imporre loro i vescovi: venne
giurato un nuovo Covenant (1638), e poco dopo gli
scozzesi diedero una mano
alle truppe della Rivoluzione
inglese che spazzarono via la
monarchia e tagliarono la testa a lui, Carlo I (1649).
La monarchia, è vero,
tornò: ma dopo alcuni tremendi scossoni, tornò come
monarchia liberale con Guglielmo III d’Orange e sua
moglie Maria (1688), un anno
prima del Glorioso Rimpatrio
dei valdesi, che senza il loro
aiuto sarebbe stato impossi
La consultazione
di St. Andrews
La Chiesa di Scozia svolge la sua opera attraverso alcuni
potenti comitati nominati dall’Assemblea generale: sono i
famosi Boards. Il più grosso è il Board of social Responsibility (qualcosa come la nostra Commissione sinodale per la
diaconia), ma la pupilla degli occhi della chiesa è il Board
of World Mission, il comitato missionario: di lì sono partiti
nell’Ottocento i grandi missionari, e lì ritornano periodicamente i rappresentanti delle grandi chiese presbiteriane
nate dalla loro opera in Asia e Africa.
Nello scorso settembre, il Board ha invitato tutte le chiese
sorelle a una «Partner Consultation», per discutere insieme
le nuove priorità che si impongono alle chiese nel mondo di
fine millennio. L’impostazione dei lavori era nettamente
pragmatica: brevi relazioni, molte libere discussioni (anche
sui testi biblici), molti scambi di esperienze, numerosi momenti di preghiera. Per noi «mitteleuropei» il metodo era
francamente sconcertante; eppure il risultato è stato significativo: in testa a tutte le «priorità missionarie» è stata messa
{’educazione teologica, con lo scopo dichiarato di sostenere
la maturazione e la crescita delle giovani chiese che oggi si
devono confrontare con l’Islam, oppure con l’induismo,
sempre con la secolarizzazione. Dopo vengono elencati lo
sforzo evangelistico, l’impegno sociale, l’accettazione del
pluralismo culturale, l’aspirazione a un ministerio profetico
nel mondo di oggi, e infine l’eterno problema delle risorse
umane e finanziarie. Il tutto, s’intende, nel contesto d’una
vasta solidarietà presbiteriana: «Siamo grati di essere chiese
sorelle radicate nella parola di Dio e nella tradizione riformata», precisa il documento finale, (pe-gb)
bile. Tutto questo è abbastanza noto: quel che è meno
noto sono i risultati «imperiali» della monarchia liberale. Nel 1707 infatti il Parlamento votò {’Atto di Unione,
in base al quale la Scozia veniva semplicemente incorporata nel nascente impero
inglese: le due bandiere
(quella inglese a croce latina
e quella scozzese a croce di
Sant’Andrea) vennero sovrapposte, dando luogo all’attuale Union Jack; si decise
che il re (o la regina) sarebbe*
stato giuridicamente anglicano in Inghilterra e presbiteriano in Scozia, ma il popolo
scozzese (come quello irlandese) non ebbe altra scelta
che sottomettersi o andarsene. La maggioranza, dopo alcune rivolte duramente represse, se ne andò: nacque
così la potente chiesa presbiteriana degli Stati Uniti (da
cui sono nate grandi università e oltre un quarto dei presidenti americani), e le sue
sorelle in Canada, Australia,
Nuova Zelanda, Sud Africa.
Gli scozzesi e l'Italia
Ma questa emigrazione
non dissanguò la gloriosa
Kirk, come gli scozzesi chiamano la loro chiesa: nell’Ottocento il Risveglio le portò
una meravigliosa fioritura,
che ebbe due risultati duraturi: un lento, traumatico ma
irreversibile processo di separazione dallo stato, e una
straordinaria primavera missionaria: il celebre esploratore Livingstone era un missionario presbiteriano, e migliaia di altri missionari (e
missionarie!) scozzesi o americani impiantarono chiese in
tutto il mondo: Africa, Corea,
Brasile, ecc. Ad esempio, l’ex
segretario dell’Onu Boutros
Ghali è membro della chiesa
«evangelica copta» d’Egitto,
nata dalla missione presbiteriana. Il discusso leader dell’indipendenza del Malawi
(Banda) era anziano della locale chiesa presbiteriana
(900.000 aderenti).
Sette milioni di coreani sono presbiteriani. Almeno un
terzo dei riformati del mondo
sono oggi presbiteriani di origine (diretta o indiretta)
scozzese, mentre gli altri due
terzi sono d’origine olandese,
svizzera, francese, tedesca,
ungherese o inglese. Se la
Chiesa valdese ha potuto dotarsi di quel formidabile strumento che è la Facoltà di teologia, essa lo deve certamente alla lungimiranza del pastore scozzese di Livorno,
Walter Stewart, il quale favorì
anche la nascita in patria
d’una potente rete di amici
della missione valdese. Intanto un altro scozzese, il pastore Mac Dougall, sosteneva
a fondo la Chiesa libera, da
cui provengono metà delle
attuali chiese metodiste.
Per secoli la Scozia è stata
la più grande nazione calvinista del mondo, e lo è stata fino in fondo: un’accozzaglia
di ladri di bestiame è diventata un popolo disciplinato,
raccolto intorno alle sue
chiese, alle sue scuole, alle
sue università. Scozzese era il
pastore Malthus che per primo pose all’ordine del giorno
il problema della limitazione
delle nascite, scozzese era
quel Watt a cui tanto deve
l’industria elettrica, scozzese
era il grande romanziere
Walter Scott. Ma scozzesi
erano anche il filosofo David
Hume e l’economista Adam
Smith: due uomini molto
lontani dall’ortodossia calvinista. Con questi due uomini
comincia la laicizzazione
della Scozia: e oggi, a distan
^pipilii
........
Giorgio Bouchard presso ie rovine deii’antica cattedraie di Si Aii'l
drews
za di due secoli, la Scozia è
un paese secolarizzato come
la Toscana. Ma la vecchia
Kirk rimane salda: certo, i
membri comunicanti sono
solo 640.000 (e calano), ma la
maggior parte della popolazione si riconosce ancora
nella Kirk, e le affida larga
parte delle attività sociali;
cappellanie presbiteriane sono richieste (e pagate) ovunque, dalle carceri fino agli
impianti petroliferi del Mare
del Nord. I pastori sono solo
1.150, ma gli «anziani» sono
44.000 e reggono con mano
ferma le 1.600 chiese, raggruppate in 45 presbiteri
(qualcosa di mezzo tra i circuiti e distretti delle chiese
valdesi e metodiste). Visitando chiese e presbiteri si ha
l’impressione di trovarsi in
qualcosa di molto simile alle
valli valdesi: solo, 100 volte
più grande. Nelle città si addensa una grossa immigrazione cattolica irlandese (circa il 15% della popolazione
globale) sulla quale una gerarchia talvolta spregiudicata
costmisce una politica di potenza non dissimile da quella
a cui assistiamo in Italia.
Perché votano laburista
Ma la vecchia Kirk si sente
ancora responsabile per l’intera vita nazionale: naturalmente, quando gli scozzesi
dicono thè Nation non intendono parlare della Gran Bretagna, ma dell’amata Scozia,
sulla quale è tornata a sventolare la loro bandiera: la croce di Sant’Andrea, cortesemente collocata a fianco dello Union Jack. Questa fierezza è pienamente giustificata:
uno degli atti più validi compiuti dal governo Blair è stata
la cosiddetta devolution; il
conferire ampi poteri al rinato Parlamento scozzese (il
quale, guarda caso, per ora si
riunisce nella sala della General Assembly presbiteria
na...). E i problemi da risolvei
re non mancano: il forzoso
inserimento neU’impero britannico aveva infatti creato;
enormi diseguaglianze sociali, e ancora adesso metàdelj
terre appartengono a 600fa-(
miglio, mentre il 30% deila-j
voratori a tempo pieno (e|
70% dei part time) ricevoni
retribuzioni inferiori adì
che viene considerato comi
un salario adeguato alle no
cessità della vita.
Questi dati di fatto ci aiuta
no a capire perché il Partii
laburista sia stato fondati
cent’anni fa, da un minatoi
scozzese, Keir Hardie, chea
anche un predicatore laico?
perché, nelle ultime elezi«|
i conservatori in Scozia ni
abbiano conquistato neai
che un seggio.
La comunità cristiana
Riceviamo queste notiài|
negli intervalli di una
consultazione fra chiese pn'
sbiteriane di tutto il monde
ma a questo punto il pw®ì
dente ci interrompe: smettiimo di discutere, dice, raccogliamoci in preghiera: elipreghiera è silenziosa, pri|"
fonda, comunicativa. Pob
nella splendida cappella go®
ca dell’università di St.^'
drews si leva, possente, '®'
no calvinista Che Dio si ri®'
stri e noi vedremo, cantatoli,
quindici lingue. ArchitetW
gotica e musica calvinista: iRiforma è stata davvero u®
riforma; una completa t#
sformazione della comui>',
cristiana, che non ha rini®
gato le sue radici, ma lo "
reinterpretate con la Bibo'
in mano e guardando in h
eia la realtà del mondo ®,
derno: un mondo nel quaj^
non è ancora riuscito a n®
suno di eliminare quegli iP
zi di libertà che comincio _
no a dischiudersi in EutOf
mentre John Knox rema
sulle galere. ,
Il castello di Drummond presso Crieff, che fu fatto bombarda®®
Cromwell
5
PAG. 5 RIFORMA
In italiano il recente studio dello storico francese Laurent Albaret
Storia e metodi dell-Inquisizione
Considerata «baluardo della fede» da Pio IV, questa pratica si avvalse di accordi
politici e della collaborazione del potere per l'esercizio della repressione
SEBOK> BONGHI
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forzoso'
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ero uni
età tri'
imuniii;
ì rinnf
lalelii
rdarfl'
A Santa Inquisizione è
___stata tanto utile alla
¿hiesa che la si potrebbe ve" (unente chiamare quasi un
aluardo della fede». Parola
^Pio rV (1559-1565), messa
Ji nerò in discussione da un re:’«|®te testo dello storico frani.^se Laurent Albaret ora di§!,(Bombile anche in italiano*.
*'’Con la firma dell’Editto di
„jdilano (313) da parte di Co( -Sàntino il cristianesimo rice‘ ' w^iena cittadinanza in tutto
* l|mpero romano: i culti paini vengono proibiti e la pala eresia, che sino ad allora
iva a indicare «scelta», è orai diventata sinonimo di
ore. Tale viene cioè consirato quanto si contrappone (e oppone) all'ortodossia e
5Pa religione di stato.
.(L’Occidente medievale col.-nosce, a partire dall’anno
%ille, un forte movimento
riformatore interno alla Chiesa (non sempre disponibile
all’obbedienza e alla sottomissione) che auspica un ritorno alla purezza evangelica
delle origini in opposizione
alla corruzione del clero,
commercio delle cariche ecclesiastiche in primo luogo.
Gregorio VII (1073-1085) scomunica preti indegni e lo
stesso imperatore del Sacro
romano Impero Enrico IV, in
quanto sovrano a un tempo
nella sfera spirituale e in
quella temporale. Ma anche il
popolo insorge, facendosi
s giustizia da solo. Scrive Berj nardo di Chiaravalle (1090.-1153): «Noi approviamo lo zelo del popolo ma non ciò che
esso produce, poiché la fede è
un’opera di persuasione e
non si impone con la forza»
(poi questo grande predicatore combatterà con forza le
dissidenze). Quindi la Chiesa
si organizza e, tra un Concilio
e l’altro, rafforza variamente
la lotta all’eresia. Alessandro
III, al Concilio di Tours, nel
1163, decide scomunica e arresto di eretici. Il Concilio Laterano III (1179) elabora appieno misure inquisitoriali: il
canone 27 legittima la scomunica e le crociate contro
eretici. E il sistema repressivo verrà messo a punto nella conferenza di Verona
(1184) da parte di Lucio III e
<li Federico I Barbarossa.
Le dissidenze nel Medioevo fioriscono: i Catari («pulì»), in Francia, rivendicano
la filiazione apostolica e non
accettano tutti i sacramenti
tir (comunità nascono anche in
Lombardia e in Toscana); i
«poveri di Lione» ritornano al
messaggio evangelico e stigmatizzano lusso e corruzione del clero (si diffondono in
Provenza, nel Delfmato, nel1 Italia settentrionale e in Catalogna); i beghini, svincolati
dai voti monastici, rivendicano un rapporto con Dio non
mediato dall’istituzione ecclesiastica (fondano, donne
soprattutto, comunità a Basima, Strasburgo e Colonia) e
predicano una povertà assoluta e volontaria. La Chiesa
non può stare a guardare: Innocenzo III (1198-1216) be”®dloe la crociata contro gli
nibigesi (nella bolla tale ereviene paragonata a lesa
maestà), che segnerà una
®*^°nfitta personale: roghi
oilettivi e repressione ne saijj anno l’infausto frutto. Il
,rt®"cilio Luterano IV (1215)
oadisce la condanna di ogni
prf di devianza religiosa
U ri’, te «procedura
pud allestire un
S P ui-nsso sulla sola base di
^spetti e delazione, che porVano a varie forme di conanna (confisca dei beni.
una tipica scena di inquisizione
in una stampa d’epoca
esclusione dalla vita civile,
messa al bando). A Tolosa
viene fondata una Università
adibita alla preparazione del
clero nella lotta contro il movimento cataro, rivelatosi
elemento destabilizzatore
della situazione religiosa in
Linguadoca. Le questioni di
fede non di rado vengono affidate al giudizio del fuoco
purificatore: la «pestilenza
eretica» può così conoscere
la condanna alla dannazione
eterna nel peggiore dei casi e
nel migliore un efficace argomento pedagogico.
Davanti a tutto ciò il clero
si sente impotente. L’eresia
va estirpata impiegando strumenti efficaci e persuasivi.
Gregorio IX (1227-1241) con
bolla del 1233 ufficializza la
nascita dell’istituto dell’Inquisizione, che affida ai domenicani i quali, scrive Albaret, «...d’ora innanzi dispor
ranno di poteri speciali quali
la condanna al carcere a vita
per coloro che sono in odore
di eresia o l’esumazione dei
cadaveri dei presunti catari
affinché siano arsi sul rogo».
La macchina inquisitoriale
viene perfezionata in tutti i
suoi aspetti, perché essa deve
colpire con estrema efficacia.
Vengono create reti di informatori e creati i primi tribunali. L’inchiesta {inquisitio,
appunto) parte da un sermone generale pubblico; il numero di denuncie dipende
dall’abilità oratoria dell’inquisitore, che denuncia l’eresia e ribadisce i dogmi romani a cui il vero credente deve
attenersi. In ogni caso, procedendo nel tempo, si pone
pressantemente la «necessità» di trovare un colpevole;
si registra un passaggio dalla
persuasione alla coercizione;
si va alla caccia di rei confessi; si procede al «rigoroso
esame», ovvero si pratica la
tortura, che «serve a portare
alla luce la verità» (così recita
la bolla Ad extirpenda di Innocenzo rV, 1252 ) e si redigono manuali (l’ultimo del
Medioevo è quello di Nicolau
Eymerich, inquisitore generale in Catalogna).
Ormai ben oliata, la macchina procede nella sua opera dando la caccia a ogni
espressione di devianza. Così
stregoneria e magia, dure da
reprimere, vengono colpite
attraverso l’impegno frequente di roghi, che non risparmieranno nemmeno gli
WS Uscita una nuova rivista giuridica
Diritto, immigrazione
e problemi di cittadinanza
WALTEB cittì
DOPO un lungo lavoro
preparatorio sono usciti
in luglio e in settembre i primi due numeri della rivista
Diritto, immigrazione e cittadinanza, promossa da Magistratura democratica e dall’Asgi ed edita da Franco Angeli. L’idea di dare vita a una
rivista giuridica sui temi
dell’immigrazione e dell’asilo è nata dalla convinzione
che, con l’entrata in vigore
della legge organica in materia di immigrazione e con la
prospettata riforma di quella
sull’asilo politico, nonché
con l’annunciata definizione
di una normativa comunitaria europea sulla materia,
prevista dal Trattato di Amsterdam recentemente entrato in vigore, vi sia uri urgente bisogno in Italia di conoscenza e confronto sulle
regole del diritto che presiedono al governo e al controllo dei fenomeni migratori.
Ciò con lo scopo innanzitutto di dotare coloro che operano a fianco degli imrnigrati
(Ong, sportelli pubblici e privati, avvocati) di strumenti
conoscitm per meglio svolgere le funzioni di tutela e
rappresentanza nei rapporti
con la pubblica amministrazione e in sede giurisdizionale. «La rivista non sarà neutrale - si legge nella presentazione - ma di parte: dalla
parte dei diritti, della eguaglianza, della integrazione
nel rispetto delle divepità».
Da segntdare sul primo numero saggi suUa nuova legge
italiana in materia di immigrazione, sul disegno di legge
sull’asilo in discussione iri
Parlamento, sulle politiche di
espulsione in Germania,
nonché la raccolta della giurisprudenza finora maturata
in materia di espulsioni, minori stranieri, ricongiungimento familiare, ecc. dopo
l’entrata in vigore della legge
n. 40, commentata a cura di
esperti dell’Asgi e di Magistratura democratica. Ogni
numero, di circa 220 pagine,
è suddiviso in quattro parti: il
dibattito su questioni di attualità, a livello non solo nazionale ma europeo; la giurisprudenza, con la pubblicazione di sentenze e decreti
suddivisi per temi; la documentazione, con pubblicazione di materiale legislativo
e amministrativo (circolari);
le segnalazioni bibliografiche
o di siti Internet.
La rivista è trimestrale.
L’abbonamento annuale (4
numeri) costa £ 110.000. Per
informazioni si può consultare il sito www.francoangeli.it
oppure scrivere a Franco Angeli srl, viale Monza 106,
20127 Milano (fax num. 022895762); oppure alla direzione della rivista, c/o l’aw. Nazarena Zorzella, via della Zecca 1, 40121 Bologna, tei. 051236747, e-mail: ril2653@iperbole.bologna.it
ebrei, contro i quali si scatena un’autentica persecuzione. Stessa sorte tocca anche
ai musulmani. Poi è il turno
dei protestanti. Però, sottolinea Albaret, «col diffondersi
del protestantesimo, l’Inquisizione subisce le prime
sconfìtte. La politica del terrore in Italia, la cruenta repressione nei territori spagnoli e le profonde riforme
dell’istituzione non basteranno a garantirle la sopravvivenza in numerosi stati europei». Essa poi si trasformerà,
a partire dall’Ottocento, in
una «istituzione sorpassata».
Nel 1908 quello «strumento
di repressione senza precedenti» assumerà la denominazione di Congregazione del
Sant’Uffizio; «non vengono
tuttavia soppressi né il tribunale né la procedura del segreto» e solo nel 1917, sotto
Benedetto XV (1914-1922), essa viene affidata a un cardinale e non dipende più dal pontefice. L’ultima riforma risale
al Concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965): nell’ultimo
anno dei suoi lavori il Sant’
Uffizio diventa Congregazione per la Dottrina della fede.
Il volume, da leggere anche
attraverso il ricco apparato
iconografico e didascalico, è
completato da una sezione di
testimonianze e documenti e
da una bibliografia essenziale
in lingua italiana.
(*) Laurent Albaret: L’Inquisizione baluardo della fede. Milano, Electa-Gallimard, 1999, pp.
144, £22.000.
La Chiesa evan
Sopravvissuti a
Ä8 La raccolta di fonti valdesi
«Enchiridion» volume due
EMANUELE BOSIO
Aquarant’anni dalla pubblicazione del primo volume è uscito, nella collana
della Facoltà valdese di teologia, con lo stesso titolo, il secondo volume dell’Enchiridion fontium valdensium*. Il
primo volume contiene i testi
dal 1179 al 1218: il secondo
completa il primo con documenti pubblicati di recente e
prosegue in ordine cronologico fino alla metà del XIV secolo. Come l’autore stesso,
recentemente scomparso,
sottolinea nella prefazione, si
tratta di una raccolta, di
un’antologia di testi sull’origine e lo sviluppo del movimento valdese. Sono documenti già pubblicati di cui si
è cercata l’edizione ritenuta
migliore. I brani, tutti in lingua latina, sono preceduti o
accompagnati da brevi sintesi
esplicative in lingua francese
con frequenti riferimenti ad
altre fonti bibliografiche.
La raccolta minuziosa e
precisa è un utile panorama
del materiale esistente con
datazione accertata. Gli scritti sono tutti di fonte cattolica;
il carattere degli scritti risente dell’asprezza delle critiche,
propria del clima dell’Inquisizione. La preoccupazione
degli autori non è di confronto fra due concezioni ma di
condanna esplicita di qualsiasi posizione che metta in
dubbio la stmttura temporale della Chiesa cattolica e la
sua religiosità, come si esprimeva nel Medioevo. La nota
prevalente mette al primo
posto delle accuse più gravi il
rifiuto di obbedienza al papa
insistendo sulla natura divina
del suo potere.
È arduo ricavare da tede documentazione un quadro
equilibrato del periodo storico dato che questi documenti
sono l’espressione di una ristretta oligarchia che rappresenta l’unica voce culturale
dell’epoca che ci sia stata tramandata. Essa non può rappresentare, da sola, la pluralità dei fermenti e delle tensioni religiosi e sociali che
hanno agitato la chiesa e la
società in quei secoli. Fermenti che sono stati l’espressione di un desiderio diffuso
nelle masse e nel clero di una
lotta alla corruzione del tempo e di un ritorno alla semplicità evangelica. Tensioni
che si sono sviluppate con
uguale intensità e su punti di
forza molto simili fra loro, sia
nel clero, che nei conventi
che nei numerosi movimenti etichettati come ereticali
fino a quando la violenza
dell’Inquisizione, imposta
dal papato, le ha contrapposte e rese nemiche.
(*) Giovanni Gönnet (a cura di):
Enchiridion fontium valdensium. Voi. 2j, Torino, Claudiana,
1998, pp 196.
gelica di confessione augustana in Polonia
tre persecuzioni
EUGENIO STBETTI
TL vero tesoro della
KKX Chiesa è il sacrosanto
Evangelo della gloria e della
grazia di Dio» (Lutero, Le 95
tesi, tesi 62). La tesi, profondamente biblica e quindi automaticamente vera, rappresenta il motto della chiesa
sorella Chiesa evangelica di
confessione augustana in Polonia, una chiesa di confessione luterana che si riconosce nella Confessione di Augusta del 1530; tra i suoi articoli la notae ecclesiae riformata, e cioè: si è chiesa di
Gesù Cristo quando si predica la Parola e si amministrano correttamente i segni della grazia: battesimo e cena
del Signore. La chiesa è organizzata su base sinodo-episcopale. I vescovi sono sei e
sono a capo di altrettanti Sinodi diocesani che amministrano la vita delle chiese locali. Un Sinodo quinquennale esamina la vita generale
della chiesa e si riunisce a
Varsavia, ove hanno sede il
Concistoro e la Facoltà evangelica di teologia.
A Bielsko Biala (Slesia), dove risiede la maggioranza dei
luterani, ha sede una moderna casa editrice, presente alla Fiera del libro di Francoforte, che pubblica opere
Ogni settimana, Riforma...
ti fa conoscere II mondo evangelico.
L’abbonamento ordinario costa 105.000 lire (invariato dal 1997);
se II tuo reddito familiare non te lo consente, puoi utilizzare liberamente l’abbonamento ridotto di 85.000 lire oppure un abbonamento
semestrale che costa 55.000 lire.
Se, invece, hai qualche risorsa in più, puoi aiutarci sottoscrivendo
l’abbonamento sostenitore di 200.000 lire o inviandoci una qualsiasi
cifra in dono: aiuterai chi non se lo può permettere.
Gli abbonamenti decorrono, per dodici o sei mesi, dal giorno di ricevimento della prima copio del giornale.
sulla Riforma, materiale catechistico e un periodico a
colori in 15.000 copie. L’araldo. La Chiesa ha un patto di
reciproco riconoscimento
nelle persone e nei ministeri
con le chiese evangeliche
metodiste e con la Chiesa
riformata. La Chiesa evangelica di confessione augustana
in Polonia è una chiesa confessante. Infatti ha subito tre
persecuzioni: quella cattolica
(1654-1707), che l’ha costretta alla clandestinità; l’invasione nazista (1939-45) con
l’aperta repressione di una
chiesa attiva nella resistenza:
il 30% dei pastori ha conosciuto il lager; il vescovo Juliusz Bursche, al pari dei colleghi Paul Schneider e Dietrich Bonhoeffer, ai tesori di
questo mondo ha preferito il
«tesoro dell’Evangelo»; infine
la persecuzione durante il regime comunista (1948-89),
con la confisca dei locali ecclesiastici e lo stretto controllo delle attività.
La storia della Polonia nel
1500 si intreccia con la storia
della Riforma protestante.
Alcuni studenti e dei mercanti, di ritorno da Wittenberg, iniziano a predicare
l’Evangelo già nel 1518 nell’attuale Slesia polacca. Una
regolare predicazione evangelica inizia a Wroclaw nel
1523 a opera dell’ex monaco
Jan Hess. La Polonia alla
metà del XVI secolo può passare alla Riforma, grazie
all’appoggio della piccola
nobiltà e di crescenti masse
popolari. Nel 1563 la Bibbia è
tradotta in polacco da Jan
Seklucjan (Bibbia di Brzesc).
La Chiesa di Roma in'via i gesuiti (1564); di fronte al pericolo controriformista, luterani, calvinisti e fratelli boemi
raggiungono una fraterna intesa nel Sinodo di Sando
mierz (1570). Nel 1571 viene
pubblicato un «Editto di tolleranza» che riguardava luterani, riformati e unitariani,
tra i quali ricordiamo i senesi
Fausto e Lelio Sozzini.
La pace interconfessionale
durò poco e con l’ultimo tentativo della media nobiltà
volto a ribadire l’autonomia
religiosa e politica dal potere
regio sempre più infiuenzato
dai gesuiti, gradualmente i
protestanti subirono prima
l’emarginazione, gli stranieri
l’espulsione e infine la persecuzione a cavallo tra 1600 e
1700. Ho visto il luogo di
Wrocny, chiesa all’aperto
clandestina, 884 metri sui
monti Carpazi con le sorelle
e i fratelli piemontesi. Mentre si scendeva lentamente
sul fianco della montagna,
con il caldo sole, coperto da
una vegetazione crescente,
una forte commozione ci ha
presi come eredi di un popolo un tempo perseguitato.
Wrocny con le sue panche
naturali, la sua pietra nera e
la nuda croce ci è sembrata
una storia familiare, anche se
per tutti noi nuova e forse
sconosciuta anche nella
Chiesa in generale.
Qui il Giuro di Sibaud, che
per motivi teologici preferisco in francese, ha assunto un
significato forte, di ecumene
evangelica perseguitata in
nome dell’unico Evangelo.
Forse una chiesa martire, nello spirito della Concordia di
Leuenberg, potrebbe essere
invitata a uno dei Sinodi dei
prossimi anni. Grazie dunque
al Signore, abbiamo potuto
scoprire nel centro della nuova Europa dei popoli una
chiesa sorella, figlia della
Riforma, un lieve crescita numerica, custode e testimone
dell’unico tesoro che non
marcisce, TEvangelo.
6
PAG. 6 RIFORMA
VENERDÌ 5 NOVEMBRE! Q(y|
Tradotto dalla Claudiana un libro di T. Wright sull'«apostolo delle genti»
Che cosa ha veramente detto Paolo?
La centralità della fede in Gesù Cristo come Signore e l'allargamento ai non ebrei
delle promesse di salvezza di Dio sono le due caratteristiche del suo pensiero
STEFANO MERCURIO
La novità più importante
del libro e che esso propone una lettura di Paolo da
una prospettiva non ancora
abbastanza battuta: quella
del patto. La figura dell’apostolo delle genti viene così
delineata e caratterizzata non
tanto sulla base della dottrina
della giustificazione quanto
su un approfondimento della
nozione di patto tra Dio e
Israele che troverebbe ora nel
messia Gesù la conferma e
l’allargamento verso i pagani.
Il riassunto delle posizioni di
alcuni grandi interpreti di
Paolo nel XX secolo mi sembra molto efficace. C’è un importante riconoscimento per
Ernst Kàsemann, verso il cui
lavoro si riconosce «la forza,
l’energia, l’onestà e la profondità esegetica, la passione
per la verità e per la libertà»
(p. 20). Questo giudizio si potrebbe spiegare con il fatto
che il teologo tedesco aveva
saputo riconoscere, sulla falsariga di Albert Schweitzer,
che il vero retroterra di Paolo
fosse il giudaismo del primo
secolo {e non l’ellenismo) e
che l’apostolo aveva criticato
il giudaismo dall’intemo del
suo contesto giudaico.
Queste due premesse costituiscono la base sulla quale
prende il via la riflessione di
Wright. 11 giudizio espresso
invece sull’interpretazione di
Bultmann è palesemente
freddo e a volte sferzante. Dal
fronte della scuola anglosassone l’autore si riconosce
molto debitore agli studi di E.
P. Sanders e W. D. Davies. Il
primo avrebbe innanzitutto
dimostrato che il giudaismo
non era una religione legalistica fondata sulla giustizia
che viene dalle opere (pag.
203). Wright intende scrivere
il suo libro su Paolo prendendo molto sul serio le conclusioni che questo autore rese
note nel suo famoso libro del
1977, Paolo e il giudaismo
palestinese e giunge a sostenere che l’apostolo non combattè mai il giudaismo come
religione in cui era assente
l’economia della grazia, ma
lo criticò perché Israele rifiutava due cose: in primo luogo
di credere che le promesse
escatologiche di salvezza, che
gli erano state rivolte, avevano fatto già irruzione nella
storia, con Gesù di Nazareth
il Signore; in secondo luogo
che le promesse di salvezza
di Dio potevano essere allargate anche ai pagani.
«L’evangelo» di Paolo, il
centro della sua teologia, non
è allora tanto la dottrina della
giustificazione per fede ma «è
l’annuncio della signoria di
Gesù, che opera con forza
per portare le persone nella
famiglia di Abramo, ora ridefinita attorno a Gesù Cristo e
caratterizzata unicamente
dalla fede in lui» (p. 158). Il
frequente passaggio che l’autore fa dal Saulo di Tarso al
Paolo l’apostolo lo aiuta a fare il confronto in modo semplice tra il sincero fariseo
shammaita (Paolo prima della conversione) e il credente
cristiano in un rapporto che
accompagna il lettore a penetrare la conversione sulla
via di Damasco. Ne emerge
una figura appassionata, un
credente pieno di fede a cui
viene data la parola anche
tramite il libro degli Atti e naturalmente attraverso le numerose citazioni delle sue
lettere. L’Evangelo portato ai
gentili è l’altro grosso filone
su cui si snoda questo appassionante libro che cerca anche di attualizzare Paolo e di
lasciarlo parlare di fronte al
È uscito di recente, nella collana «Piccola biblioteca teologica», un maneggevole e interessante libro della Claudiana*.
Il nome di Wright le permette finalmente di colmare così
l’evidente deficit (con l'eccezione del libro di E. Kàsemann
Appello alla libertà pubblicato nel 1972) che aveva accumulato in questi ultimi 20 anni di fronte alle case editrici Queriniana e Paideia. Il libro è stato tradotto in maniera scorrevole da Eric Noffke, buon conoscitore del giudaismo del I secolo, e si presenta accessibile al vasto pubblico per l'assenza
quasi totale di note a piè di pagina e per un’ottima capacità
di sintesi che l’autore dimostra sia nel corso del volume, sia
nelle ricorrenti «Conclusioni» che chiudono molti dei suoi
capitoli. L’assenza dell’indice onomastico e delle materie lascia immediatamente capire che non si è voluto scrivere un
libro «dotto». Il lettore medio può così confrontarsi agevolmente con una serie di questioni teologiche che, essendo
però di primo rango, danno sufficienti stimoli di riflessione
persitio all’accademico più erudito. Questo mi pare sia uno
dei punti di forza del libro. Alla fine del volume una «Bibliografia commentata» delle opere su Paolo che più hanno influenzato il dibattito in questo ultimo secolo e una «Bibliografia consigliata al lettore italiano» impreziosiscono l’opera e danno spunti di ulteriori approfondimenti.
neopaganesimo dei nostri
giorni. La centralità di Gesù
come Signore e re permette a
Paolo di presentarsi ai gentili
collegandosi direttamente alla loro situazione concreta
dove signore e re era piuttosto Cesare.
Mi permetto solo di muovere tre piccole osservazioni: a)
C’è molto spesso il riferimento allo Spirito Santo quando si
parla dell’opera di Dio in Cristo. Questo rivela l’interesse
di aprire la teologia cristiana
occidentale a una nuova e
grande riscoperta di quella
nozione. L’impressione è
però che lo Spirito Santo sia
citato troppo en passant.. Mi
sarei aspettato qualche riferimento al teologo Paul Tillich
per il quale il centro della
teologia di Paolo non è la
dottrina della giustificazione
ma quella dello Spirito.
b) Lo spostamento del centro dalla dottrina della giustificazione alla nozione del patto rifonda la relazione chiesaIsraele sotto una prospettiva
più positiva e gravida di interessanti sviluppi nel dibattito
in corso. Il tentativo è quello
di contribuire alla ricerca di
una rinnovata teologia biblica
che strappi finalmente dalle
coscienze ogni possibile antitesi tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Lascia un po’ perplessi che per intraprendere
questa nuova direzione Wright debba relegare a secondo
piano la dottrina della giustificazione senza salvare nello
stesso tempo la centralità
della grazia, che di quella
«dottrina» è il cuore. Risponde che la grazia è insita nel
patto tuttavia nel libro questo aspetto non viene sufficientemente elaborato.
c) Nel trattare così lucidamente piccoli colossi della
teologia, Wright è costretto a
lasciare poco spazio alla problematica dell’etica in Paolp.
Essa viene certamente abbozzata e troviamo delle bellissime pagine su questo argomento. Ho l’impressione
però che la grazia e la croce
di Cristo ne costituiscano solo in parte la linfa vitale e che
tutta la riflessione perda a
volte di mordente nel mentre
semplifica troppo le cose.
Il titolo potrebbe rinviare il
lettore al sospetto di fini propagandistici di tipo editoriale e tenere lontano chi non è
specialista ma solo addetto
ai lavori. Ci sono molti scettici verso chi rivendica per sé
la verità nelle scienze bibliche. Posso assicurare che
l’intenzione dell’autore è un
invito alla lettura del suo libro che a me pare indispensabile per l’aggiornamento
teologico.
(*) Tom Wright: Che cosa ha
veramente detto Paolo. Torino,
editrice Claudiana, 1999, p. 231,
£ 29.000.
Un film sui sopravvissuti allo sterminio
I viaggi ineludibili della memoria
FRANCO CALVETTI
SCORRENDO Pariscope, la
guida agli spettacoli e agli
spazi culturali di Parigi, ci si
stupisce nell’apprendere che
le sale cinematografiche ammontano a centinaia e centinaia. Forse il titolo di «Ville
lumière» potrebbe derivarle
anche in omaggio ai fratelli
Lumière. Il cinema a Parigi
diventa infatti fin dal 1911
uno spettacolo di massa, tanto che verranno costruite sale
cinematografiche addirittura
con 6.000 posti. Dieci anni
prima della seconda guerra
mondiale Parigi può contare
ben 340 sale. Negli Anni 70 e
80 si assiste alla crisi delle sale cinematograficbe, dovuta
in parte alla diffusione della
televisione, ma in questi ultimi anni si costruiscono nuove sale e c’è un rifiorire dell’abitudine dei parigini di frequentare i cinema, divenuti
nel frattempo multisala (il
«Gaumont Montparnasse ne
ha ben 14).
Anche i film sono scelti con
grande cura e ogni giorno si
può assistere a una prima regionale 0 mondiale. Uno dei
tanti film che fanno accorrere una marea di gente che sta
incolonnata lungo i marciapiedi per entrare a inizio
spettacolo è Voyages, scritto
e realizzato da Emmanuel
Finkiel, di origine belga. 11
film si compone di tre storie
che presentano momenti di
vita di tre donne sopravvissute all’orrore del nazismo. È in
Polonia, in un cimitero ebraico che Riwka ha voluto recarsi in compagnia di altri ebrei.
Un fotogramma del film
anche loro sfuggiti ai campi
della morte. Sono persone
che aderendo a quel tour
operator risalgono le strade
della memoria e si rendono
conto di essere protagonisti
della Storia. È un esercizio
spirituale e pieno di tensione
sul perché le vittime vogliano
ritornare sui luoghi del dolore. A fronte di un marito molto scettico su quel viaggio,
Riwka finisce per dirgli «Tu
non puoi comprendere perché il valore della memoria è
un fatto personale».
Per Regina, che vive a Parigi, si tratta di andare alla ricerca del padre disperso. Un
giorno un uomo risponde al
suo appello e l’incontro è carico di emozioni. Ma ben
presto il dubbio si instaura
perché il padre ha molte lacune di memoria. Anche qui
essa è presentata come un
valore di cui avvalersi per andare avanti. Vera infine è
un’anziana russa che cerca in
Israele le sue ultime radici ri
maste: una cugina che vive a
Tel Aviv. La protagonista percorre chilometri nella periferia della città, abitata, come
dice lei, da israeliani e non da
ebrei. La cugina che non si
interessa a lei e una città
estranea faranno sì che Vera
sia confortata solo dal ricordo e dal passato. 1 personaggi, collegati fra loro da un
sottile velo di melanconia, ti
entrano in testa e nel cuore
per la loro profonda umanità
e per la loro sconvolgente autenticità.
Emmanuel Finiti, nel corso di una conferenza stampa,
ha spiegato con grande impatto emotivo come è arrivato a comporre il film: il ricordo di un suo viaggio a Auschwitz con il padre, l’incontro con un anziano signore
che aveva vissuto i pogrom, la
prima guerra mondiale, la rivoluzione d’ottobre, il campo
di concentramento, e che
parlava del passato ma il cui
vero dolore era la solitudine
dell’oggi. L’intento del regista
è stato quello, ha detto, di ritrovare le sensazioni provate
in passato ma di fare riferimento all’esperienza e al vissuto di ciascuno, oggi. Allo
spettatore rimane un senso
di smarrimento seguendo le
storie di questi uomini e donne feriti, vinti. Ma il film nel
suo insieme aiuta chi lo medita e lo scava in profondità a
uscire da quello smarrimento
e a camminare con passo incerto ma determinato come
la vecchia e buona Vera verso
la conclusione dove la memoria è il bastone della vecchiaia e delle delusioni.
Un festival conclusosi a Trento
Le questioni religiose
nella cinematografia di oggi
SALVATORE PERI
Dal 27 settembre al 3 ottobre sono stati proiettati a Bologna, a Ravenna e a
tremo i film relativi alla produzione del 1999 sulle religioni, in occasione della seconda edizione del premio
internazionale «Religion today». La serata conclusiva
della manifestazione, a Trento, ha visto vincitore Satya, a
prayerfor thè enemy («Una
preghiera per il nemico»),
film-documentario sulla resistenza delle monache buddiste in Tibet all’invasione cinese. Molto sensibile, la giovane regista americana Ellen
Bruno ha raccontato, altresì,
della diversità buddista.
Intervistata alla fine della
proiezione, con una bimba
tibetana che si dimenava fra
le sue braccia, la regista ha
detto: «Ho voluto dare voce
alle coraggiose monache tibetane presentando le loro
testimonianze personali, il
loro eroismo, fino alla loro
capacità di comprendere il
nemico e di pregare anche
per lui». Così dice una monaca rifugiata in Italia: «L’insegnamento di Budda è profondo come un oceano,
quando la rabbia e l’odio
sorgono, io prego che i cinesi
diventino sempre più buoni
e calmi, prego che attraverso
l’amore e la compassione
quelli che sono ubriachi di
disillusioni, persi nell’oscu.
rità dell’ignoranza acquisti!
no l’occhio della sofferenza)»
Il pubblico quest’anno è
stato più numeroso dell’an.
no scorso e senza dubbio il
film vincitore è di più alto
valore: l’anno scorso ero invece uscito sconcertato perché il film premiato era una
critica cruda e dura al credente (mancava di rispetto).
Tornato a casa mi sono tornate alla mente le parole di
Martin L. King: «Ho sognato
che un giorno la fraternità
sarà qualcosa di più che alcune parole alla fine di una
preghiera»; quest’ultimo incontro le ha rese realtà, quella serata ha educato ad accettare la diversità religiosa
nella sua ricchezza, ha promosso senz’altro la convivenza: quelle monache vivono la dottrina dell’amore
operante attraverso il n^todo della nonviolenza, una
delle armi più potenti a di
sposizione della gente op
pressa nella lotta per la li
bertà. Lasciamo aperte le finestre, preoccupiamoci di
fare entrare la luce che può
illuminare le nostre vite.
■
Incontro estivo a Piedicavallo
Evangelici in Romania
espropriati dell'identità
Il 1° agosto Viorel Danci,
operaio e presidente della
Comunità evangelica awentista di Borsa (Maramures,
Romania), intervistato da Tavo Burat, ha intrattenuto in
una pubblica riunione nella
chiesa valdese di Piedicavallo
(alta valle Cervo, Biella) il
pubblico sul tema delle minoranze religiose in Romania. È emersa una situazione
sotto molti aspetti simile a
quella esistente in Italia sino
a un secolo fa, quando il predominio della Chiesa cattolica romana non consentiva il
libero sviluppo delle comunità evangeliche.
La Chiesa ortodossa largamente maggioritaria in Romania ha atteggiamenti molto intolleranti, per cui chi diventa evangelico può rischiare il posto di lavoro e il quieto
vivere; i cimiteri sono tuttora
di proprietà della Chiesa ortodossa; non esistono in molti
villaggi camposanti comunali
e gli evangelici debbono pertanto seppellire i propri defunti in aree private qualsiasi.
Non v’è alcuna apertura ecumenica; sono numerosi, spe
cie nei villaggi, i pope giunti a)
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le donne
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ministero non per vocazione
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ma per raggiungere una tran
quillità economica, per cui I
sono sovente insensibili al te- l
stimoniare l’Evangelo e man- (
cano di carità. ,
Gli intervenuti, anche cat- ^
tolici, hanno posto numerose
domande e sviluppato un in- ^
teressante dibattito. Quando l
è stato chiesto a Danci quale |
sia la «patente» che garanti- ^
sce l’autenticità evangelica,
egli ha mostrato la Bibbia, di- *
cendo che la fedeltà alla |
Scrittura è l’unico vero «atte- |
stato» che può certificare la ^
credibilità di una confessione
e la sincerità del conseguente I
comportamento dei suoi 1
membri. La serata è stata ral- ,
legrata dalla corale della Co- munirà awentista romena à ;
Torino, che ha presentato di- f
versi inni, in lingua materna j|
e in italiano, accompagnata
al pianoforte, ricevendo calo- ;
rnci ur\r\laiici I ’inrntltrO®
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rosi applausi. L’incontro
terminato con un’agape fra;
terna che ha accomunato '
fratelli avventisti romeni alla
comunità valdese di Biella e
di Piedicavallo.
Una recente pubblicazione
Uniti nell'opposizione
a tutte le guerre
Le periferie della memoria*,
a cura di Sergio Albesano e
Bruno Segre, è un’interessante antologia di 17 biografie
scritte da vari autori relative
ad altrettante personalità che
hanno contribuito in Italia,
dal Risorgimento a oggi,
all’opposizione alla guerra.
Accanto a personalità note
come Giorgio La Pira, Aldo
Capitini, Umberto Calosso,
Ernesto Teodoro Moneta
(premio Nobel per la pace).
Luigi Sturzo, Emma Thomas
e, per i protestanti, Tullio Vi
nay (testo curato da Giusep
pe Marasso del Mir, Mo^
mento nonviolento), ne ng“
rano altre pressoché ignor
te, ma le cui idee ed esp®
rienze meritano di essere c
nosciute dalle giovani gè"
razioni. 11 volume,
vendita nelle librerie, può
sere richiesto all’Anppia l
Giulio 22 Torino).
(•) S. Albesano-B. Segre: W
riferie della memoria. Pro*'
testimoni di pace. Torino
na, Anppia-Movimento non
lento, 1999, pp. 179, £ 10.000
gruppo (
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della Federazione Donne Evangeliche in Italia
L'aomo e la donna del 2000
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e ferie e il riposo, con l’estate, sono passate ed è ripreso per le donne della Fdei
un nuovo anno ricco di impegni e di iniziative: occorre consolidare le scelte fatte
____ l’anno scorso e, nello stesso tempo, darci nuovi obiettivi. Ma l’estate ci ha portato
anche alcuni momenti di grande importanza per la battaglia culturale e per la testimonianza evangelica che stiamo conducendo contro l’atavica attitudine alla violenza contro
le dònne. II questionario diffuso dalla Fdei durante l’anno è stato pubblicato aH’intemo del
Ibretto Fcei-Fdei dal titolo «Oltre il silenzio» e questa stessa pubblicazione è stata indicata
did Sinodo valdese e metodista come un utile strumento di lavoro per le comunità.
In giugno è cominciata a circolare nelle chiese cristiane d’Europa una lettera sulla «Violenza contro le donne» a firma della Conferenza delle chiese europee e del Consiglio delle
conferenze episcopali d’Europa, che richiamava i cristiani alle loro responsabilità, fino alla
violenza «particolarmente vergognosa» dice il testo della lettera, del traffico di donne, anche giovanissime, per la prostituzione forzata. La lettera invita tutte le chiese ad impegnarsi sul tema della violenza contro le donne, «in modo più incisivo». Un segnale importante è quindi giunto per confortare l’impegno Fdei (molti questionari devono essere raccolti e la responsabile di questo lavoro, Elena Chines, intende ancora stendere una relazione dettagliata per regione) perché venga riconosciuto ovunque che «ogni tipo di violenza»
perpetrata contro una donna è peccato e che le chiese, con meno falso pudore e perbenismo, incoraggino le riflessioni e le prese d’atto su un tema tanto doloroso. Occorre più
coraggio e occorre guardare in faccia la realtà. Inoltre, più che nel passato, le vittime della
violenza devono trovare ascolto, sostegno e aiuto all’interno delle strutture ecclesiastiche.
Altrettanto positivo è stato per noi trovare, all’interno delle prima bozza della «Carta
ecumenica per la collaborazione tra le chiese in Europa» un passaggio che sottolinea come le chiese devono avere un’attenzione specifica per rimuovere le cause che sono
all’origine della violenza contro le donne e per combatterla. Qualcosa si sta muovendo:
la difesa della dignità di ogni donna viene ad essere riconosciuto come un impegno importante per tutto il cristianesimo. Ma altre, più piccole, sono le notizie positive che ci
jVengono dai mesi trascorsi e che ci aiutano ad affrontare con coraggio il molto lavoro
|he ci aspetta in questo nuovo anno ecclesiastico:
- sono salite a 12 le donne vescovo nelle chiese eh " aderiscono alla Federazione Iuterasa mondiale; . ^
-il Consiglio delle chiese latinoamericane e il Consiglio ecumenico delle chiese, riuniti
ih giugno a San José di Costa Rica hanno, all’unanimità, deciso di sostenere, meglio e
di più, il lavoro delle donne nella chiesa e di attivare adeguati strumenti per la loro formazione in modo da offrire maggiori possibilità di vita e di lavoro;
-a Linz in giugno, durante la 70- Conferenza annuale (Sinodo) della Chiesa evangelica metodista d’Austria è stata consacrata la prima donna pastore.
Sono tutti segnali di novità importanti a favore delle donne. Nel mese di settembre la
Fdei si è impegnata invece a livello internazionale per intrecciare nuovi rapporti per
contribuire a costruire un’Unione europea in cui il posto delle donne non sia né marginale né subalterno. Per questo la Fdei ha collaborato al progetto «Thenew» sostenuto
dal Fondo sociale europeo, per mobilitare le coscienze attorno alla necessità di dare valore alle donne. Associazioni ecclesiastiche femminili di Svezia (luterane) Germania
(riformate) Inghilterra (battiste e anglicane) Scozia (chiesa unita) e Italia (Fdei) hanno
partecipato al gruppo di lavoro che si è riunito presso il St. Colm s College di Edimburgo al fine di definire il materiale raccolto e l’iniziativa conclusiva. Le chiese devono essere artefici e partecipi dal cammino delle donne fuori dall’ombra e lontano dalla paura.
L’appuntamento conclusivo sarà il, prossimo settembre 2000 a Dundee in Scozia per
pfKentare alle chiese europee una serie di proposte. Ma alla Fdei preme anche, oltre
Lepe;
-Vero
ofíflO
)0.
¡fuppo delle partecipanti ai progetto «Thenew» ail’interno del St. Colm’s College a Edimburba sinistra: Carrie, pastora angiicana di Cambridge; Rosmarie, diacona delia Chtesa di
a Cumbrhia; Doriana, presidente deila Fdei; Lesiey, sociologa im^gnata nella Chiesa
;;^ala; Kriestin, pastora luterana svedese; Jane, pastora battista di Manchester; Stepha’ P®®*ora riformata della Westfalia
questo proficuo lavoro con il Nord Europa, mantenere, rinsaldare e accrescere i legami
con le donne protestanti del Sud Europa. Il progetto «Visibilità e autorevolezza delle
donne mediterranee» sostenuto da un contributo sul fondo dell’S per mille, delle chiese
valdesi e metodiste, ha permesso a circa 60 donne, provenienti da ogni regione e da diverse chiese (battiste, metodiste, valdesi, luterane) di essere a Barcellona e di conoscere
la realtà della Spagna di oggi, attraverso l’incontro con donne impegnate nella società e
nella chiesa. Ma l’occasione è stata anche sfruttata per conoscerci meglio e per mettere
a punto un progetto Fdei: la stesura di un «Manifesto» per l’avvento del nuovo secolo.
L’ultimo congresso Fdei aveva lanciato a tutte le Unioni, ai movimenti e alle singole la
proposta di riflettere su quale debba essere il ruolo della donna e dell’uomo nel 2000. 1
convegni regionali Fdei hanno ripreso e approfondito l’analisi. Alcune singole hanno
scritto riflessioni biblico-teologiche. Arricchito da questo materiale, il Comitato nazionale
Fdei ha incaricato una studiosa delle donne protestanti, la storica Bruna Peyrot, di farne
una sintesi e di stendere una prima bozza. Le donne Fdei, a Barcellona, hanno esaminato il testo che ora viene qui presentato perché venga completato o corretto dal dibattito
dell’insieme delle donne Fdei nei prossimi mesi.
11 Manifesto vuole essere una presa di posizione ufficiale delle donne protestanti in Italia all’inizio del 2000 e dovrà essere sottoposto (si pensa a Roma, presso la Facoltà valdese di teologia nella settimana fra il 6 e il 12 marzo del 2000) al giudizio delle chiese
(la Fcei), di storici, di teologi, in modo da confrontare le diverse posizioni partendo
dall’analisi dei ruoli tradizionali che hanno dominato il costume di duemila anni di storia,
anche ecclesiastica. Alla Fdei è parso giusto chiedere a una storica che conosce le nostre radici di aiutarci a fare da «ponte» verso le nuove generazioni: l’obiettivo è mantenere quella linfa vitale che ha nutrito la testimonianza di tante donne che ci hanno preceduto nella fede e nella testimonianza, in modo da rispondere, in coerenza con l’Evangelo, alle sfide che la storia umana ci riserverà nel terzo millennio.
Doriana Giudici
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Il manifesto delle donne protestanti
lì testo che qui di seguito pubblichiamo è la prima bonza (scritta da Bruna Pearot che. ha raccolto le
riflessioni delle donne) su quale debba essere il ruolo della donna e dell uomo nell ormai prossimo
mHlennia. Leggiamolo, discutiamone insieme, miglioriamolo... Solo cosi potrà dinentare una valida e
.sentito presa di posizione ufficiale e collettiva del mondo femminile evangelico.
(Inviate i nostri suggerimenti alla sede della Fdei in via Firenze 38. 00184 Roma)
Le donne protestanti italiane, premesso che
- la fede in Dio e la ricerca del significato della sua Parola attraverso le Scritture e la centralità di Gesù Cristo sono il fondamento della loro vita di credenti;
- il senso della loro fede prende forma nella vita quotidiana, durante tutti i momenti storici e dentro tutte le relazioni che la caratterizzano;
- l’incontro e il confronto con l’altra e l’altro fanno parte del loro cammino spirituale
dichiarano
- di riconoscere l’impegno, il valore e la forza espressi dalle donne delle generazioni che
le hanno precedute nell’impegno sociale fuori e dentro le chiese;
- di riconoscere la diversità e la molteplicità dei doni che ha contraddistinto le donne ieri
come oggi nei loro compiti svolti in famiglia, nelle chiese e nella società.
- di impegnarsi a rendere visibile la presenza delle donne protestanti sia nella storia delle
chiese sia nella società italiana ed europea alle quali esse hanno dato un contributo soprattutto negli ambiti missionario, educativo e formativo, attraverso la costituzione di archivi
della memoria (con fonti orali, epistolografiche, bio e autobiografiche) nonché l’attivazione
di ricerche storiche, convegni e seminari interdisciplinari;
- di valorizzare e sostenere ogni forma di associazionismo femminile, dalle storiche
«Unioni» ai gruppi e alle commissioni di lavoro, dai bazar alle mostre, affinché il sapere delle donne (manuale e intellettuale) abbia pari dignità e possa entrare a far parete nel comune
e riconosciuto patrimonio culturale delle chiese e delle società in cui esse risiedono;
- di individuare temi, problemi, nonché campagne di sensibilizzazione interne ed esterne
alle chiese di cui la donna sia protagonista sia come soggetto creativo e propositivo, sia come oggetto di discriminazione;
- di adoperarsi affinché donne e uomini, in vista del terzo millennio, trovino nuovi modi
di comunicare la loro reciproca differenza e nuovi modi per trasformarla in progetti condivisi di unione, affinché ognuno impari a uscire dalla propria identità senza perderla, a riconoscere il proprio ruolo senza imporlo, a capire che le posizioni del maschile e del femminile cambiano nel corso della storia e che i più alti valori del genere umano sono raggiungibili insieme, nel reciproco costante e impegnativo riconoscimento;
- di vivere il sentimento dell’amicizia che rappresenta in particolare, fra tutti i sentimenti,
quello della parità fra uguali (e simili), il sentimento dell’amore che rappresenta il ponte per
superare ogni confine supposto e ogni barriera data, di praticare la giustizia per rimediare
alle subalternità politiche e sociali;
- di confessare, infine, la loro fragilità umana affinché da tale confessione sia possibile,
per donne e uomini, trarre la forza per cambiare e percorrere insieme un lungo cammino
di libertà.
8
Pm. Il
§§ KIWQaQQg^j,
Una realtà quotidiana e complessa di donne e di uomini nella Corinto dell'apostolo Paolo
Trasformate dalla saplenxa di Cristo
Mentre vi do queste istruzioni non posso certo lodarvi: le vostre
assemblee vi fanno p>iù male che bene. Anzitutto mi dicono che
nella vostra comunità, quando vi riunite, si formano gruppi rivali,
credo in parte sia vero. Infatti le divisioni sono necessarie perchè
si possano riconoscere quelli che sanno superare le prove. Ma
quando vi riunite, la vostra cena non è di certo la Cena del Signore! Infatti, quando siete a tavola, ognuno si affretta a trwngiare il
proprio cibo. E cosi accade che mentre alcuni hanno ancora fame, altri sono già ubriachi. Ma non potete meingiare e bere a casa vostra? Perchè disprezzate la Chiesa di Dio e umiliate i poveri?
che devo dirvi? Dovrei lodarvi? Per questo vostro atteggiamento
non posso proprio lodarvi.
lo ho ricevuto dal Signore quel che a mia volta vi ho trasmesso:
nefla notte in cui fu tradito, il &gnor Gesù prese il pane e disse : «
Questo è il mio corpo che è stato dato per voi. Fate questo in
memoria di me». Poi, dopo aver cenato, fece b stesso cc)l calice,
lo prese e disse: « Questo calice è la nuova alleanza che dio stabilisce per mezzo del mio sangue. Tutte le volte che ne berrete, fate
questo in memoria di me». Infatti, ogni volta che mancate da
que^o pane e bevete da questo calice, voi annimziate la morte
del Signore, fino a quando egli ritornerà.
Perciò, chi mangia il pane del Signore o beve il suo calice m
modo indegno, si rende coljjevole verso il corpo e il sangue del
Signore. Ciascuno perciò prima esamini se stesso, e poi mangi di
quel pane e beva da quel calice. Perchè, chi mangia del pame e
beve dal calice senza discemere il coqx) del Signore, mangia e
beve la sua propria condanna. Per questa ragione vi sono tra voi
mota mal^ e molti infermi, e peirecchi sono morti. Però, se ci
esaminiamo attentamente, non cadremo sotto la condetrma di
Dio. D’altra parte , se il Sgnore ci punisce, lo fa per correggerci
e per non condannarci insieme con tì mondo.
Così, fratelli, quando vi riunite per la Cena in comune, aspettatevi gli uni gli a^tri. Se qualcuno ha fame, mangi a casa sua, così
CHo non dovrà punirvi p>er il modo con il quale m riurùte. Le cJtre
c^iestioni le metterò in ordine quando verrò.
/Corinzi II: 17-34
Quando ho Ietto questo
testo mi scwio detta che
c’era una realtà che il
testo ruMi ci raccontava interamente, e che magari era più
interessante di quanto afferma
PacJo. Una realtà quotidiana e
certo più complessa degli stereotipi che possiamo avere sul
femminile e sul maschile. Un
conflitto non detto nel quale
Paolo gioca la propria autorità.
Non possiamo tralasciare il
fatto che questo nostro testo si
trova in una sezione che comprende i capitoli da 11 a 14 e
che affronta i temi difficili del
disordine esuberante nei culti
della chiesa di Corinto.
Le differenze
creano problemi
Questa sezione si apre e si
chiude con una parola che invita le donne alla moderazione.
Proprio questi inviti di Paolo ci
mostrano che l’apostolo è alle
prese con un problema di convivenza delle differenze che
non sa come risolvere con gli
strumenti culturali o teologici
che ha a disposizione. Così rimanda la soluzione all’autorità
più solida e certa che lui conosca: l’autorità patriarcale che
agisce nel chiuso delle mura di
casa. Paolo invita a tornare a
casa, nella sottomissione airautorità patriarcale in due occasioni: qui, in 11:34, quando
invita a cessare di prendere insieme i pasti prima della cena
del Signore e in 14:35 quando
invita le donne sposate a tacere e a sottomettersi alla mediazione maschile e patriarcale
della parola.
Eppure io non credo che si
possa risolvere uno solo dei
problemi della comunità cristiana o della comunità sociale in
senso più ampio, rimandandone la soluzione dentro i muri
delle case private. Se dunque
proviamo a rileggere il testo a
partire da questa conclusione
catastrofica e delegante di Paolo, forse possiamo ritrovare accenti importanti e passaggi
preziosi che ci dicono qualcosa
sulla chiesa di Corinto e ci aiutano a riflettere sulle nostre
chiese, e sul modo in cui funzionano anche da noi l’autorità
nella chiesa e la condivisione.
passionati con cui la mia generazione ha vissiko i conflitti generazionali. Spesso infatti le
parole di Paolo mi sembrano
rivolte a bloccare lo sviluppo
troppo esuberante e incontrollabile di una comunità variegata e ricca di differenze, in cui si
mostra una grande libertà femminile e si è alla ricerca di una
nuova etica da sviluppare nella
libertà. Tutte esperienze o tentativi che ci appartengono in
un modo o nell’altro.
Il contenuto di questa lettera
ci è pertanto prezioso, proprio
perché la teologia e la sensibilità di Paolo si incontrano e si
confrontano con un’esperienza
notevole di libertà nello Spirito
di Dio, così come essa è vissuta a Corinto. Un’esperienza
che, per essere nuova, va incontro anche a scacchi e contraddizioni. Proprio da questo
incontro nasce un testo profondo e incisivo, con delle riflessioni che ci fanno da guida.
Tutta questa lettera di Paolo è
sostenuta da un respiro grande
quando egli parla della necessità che le differenze nella
chiesa siano tenute all’interno
di un tessuto relazionale che è
continuamente da rifare (leggiamo per esempio 1, 10; 10,
17; 11, 19; 12, 12ss).
Parte dell’etica dei Corinzi
passa attraverso il pensiero di
Paolo, o viceversa essi l’hanno
elaborata a partire dalla! sua testimonianza (1, 4-5). Per
esempio Paolo non può che
concordare sul fatto che non
esiste una sacralità solo pagana dei cibi sacrificati agli dei
(8, 6 e 10, 26).
Riconoscere
Í doni di Dio
Autorità e condivisione
Questa lettera di Paolo alla
chiesa di Corinto mi sembra
percorsa a tratti da grandi
fraintendimenti e spesso la vivo con gli stessi sentimenti ap
La libertà cristiana è tale che
si può rendere grazie a Dio per
ogni cibo o frutto della natura
(10, 30-31). Dio è più grande
delle nostre forme religiose, al
punto che possiamo riconoscere la sua grandezza anche attraverso altri culti. Paolo infatti
dice che non c’è nulla di sbagliato nel ringraziare Dio per i
suoi doni e anche nel farlo con
gli altri, coloro che non appartengono alla comunità cristiana, «perché tutti (cristiani, pagani e anche ebrei) siano salvati» (10, 32-33). Sarebbe anzi
uno scandalo non saper riconoscere nei doni della natura
doni che vengono da Dio.
Anche al tempo di Osea le
donne ebree, come Gomer, innalzavano a Dio preghiere di
ringraziamento per i doni della
terra. Preghiere che venivano
loro da una cultura pagana capace di riconoscere nella terra
e nella sua fertilità un segno
dell’amore di un/a Dio che
vuole la vita e non la morte
dell’umanità. Preghiere che
oggi fanno parte del salterio e
che anche noi continuiamo a
ripetere, anche se abbiamo
perso talmente il contatto con
la natura da farla funzionare
come una macchina, e che come una macchina non sa ormai più smaltire i propri rifiuti
divenuti tossici. Anche al tempo di Osea però gli uomini
credevano fosse loro compito
di bloccare questa grande capacità femminile di scorgere
l’azione di Dio fuori dai confini
stretti di una confessione di fede. Ma noi oggi abbiamo bisogno di riacquistare questa visione più ampia del rapporto
con Dio e ccai la natura.
re la propria autorità su se
stesse, che si erano separate
dai mariti pagani, non riconoscendo più a quelli l’autorità
sulla loro coscienza (cap. 7),
che erano state trasformate
dall’incontro con la Sapienza
di Cristo e scioglievano i loro
capelli per profetizzare e pregare (11, 5), che si riunivano
per preparare insieme da
mangiare per i pasti comunitari, che raccoglievano i soldi
per gestire la vita comunitaria,
che sostenevano la libertà di
una giovane copf^a illegale a
vivere insieme (cap. 5), che affermavano la loro libertà e
uguaglianza con gli uomini,
dovute alla grazia di Dio. E a
queste donne che Paolo intima di tornare nelle case private. Troppo difficile è per lui e
per gli altri uomini accettare
che la grazia di Dio si manifesti attraverso tutta questa libertà (14, 37).
della trasformazione dei cibi.
Molte volte anche noi nelle nostre città organizziamo incontri
multietnici basati sul cibo, convinti che attraverso la condivisione dei sapori e degli odori
passi una possibilità di apertura del nostro cuore così chiuso
a chi consideriamo straniero e
La gioia di
sentirsi «chiesa»
Il nostro rapporto
con Dio e con la natura
Mangiare insieme
per condividere
Per uscire da una centralità
antropomorfa che ci fa immaginare Dio solo in figura umana, e quindi a nostra disposizione. E per riprendere con
Dio e con il creato un rapporto che non si limiti al modo
utilitarista e strumentale. Per
esempio dice Simone Weil
(«Forme dell’amore implicito di
Dio» in Attesa di Dio, Rusconi, 1996, p. 123 e 121): «Oggi si potrebbe quasi pensare
che la razza bianca abbia perduto quasi del tutto la sensibilità per la bellezza del creato e
che sì sia assunto il compito di
farla scomparire da tutti i continenti dove ha portato le sue
armi, il suo commercio e la
sua religione». E ancora: «Distaccarsi dalla propria falsa divinità, negare se stessi, rinunciare a immaginare di essere il
centro del creato, riconoscere
che tutti i punti del mondo sono altrettanti centri allo stesso
titolo e che il vero centro sta
fuori del mondo».
Tra le persone che aiutano
Paolo e noi a riflettere su un
rapporto più aperto con la natura e con altre fedi capaci di
rendere grazie a Dio per i doni
che sostengono la nostra vita,
c’erano a Corinto anche molte
donne.
Libertà e autorità
su se stesse
Certamente tra le persone
che a Corinto partecipavano
ai banchetti pubblici c’erano
donne, le donne libere della
chiesa di Corinto, che non si
erano sposate per non perde
Antoinette Clark Wire {The
Corinthian Women Prophets, Fortress Press, 1990)
ricostruisce la questicme della
confusione ai pasti in questo
modo: «È molto probabile che
la comunità di Corinto non
avesse persone molto ricche
che potevano ospitare tutti
nella loro casa a pM'oprie spese, magari facendo preparare i
pasti da un cuoco appositamente chiama.j, come per
una festa. Queste riunioni della comunità dovevano svolgersi su un piano più normale,
con le donne che cucinavano
per tutti, insieme, o che portavano piatti già pronti da condividere. Anche nella pratica
della mia chiesa questo avviene spesso, anche una volta al
mese, e le modalità sono proprio queste: o un gruppo di
persone si riunisce e con fatica ma anche con piacere prepara per tutti, oppure ognuno
cucina un piatto abbondante
da condividere con gli altri.
Che questo avvenga più o meno spesso dipende dal piacere
delle persone di stare insieme
a preparare».
Possiamo facilmente immaginare il piacere delle donne di
Corinto, libere e schiave, di
cucinare o preparare insieme i
pasti comunitari, fuori dalla dura quotidianità servile. Cucinare insieme in libertà, per un
gruppo che ami, è anche un
modo di valorizzare le competenze reciproche, scherzare,
prendersi in giro, trasmettere
conoscenze da una all’altra, arrivare a conoscersi a partire
dalla sapienza antica e sacra
Ed essendo quelle che si
prendevano cura del cibo sicuramente sentivano loro la
mensa del Signore, a cui partecipavano pienamente anche
nel momento del culto. Celebravano la cena del Signore
senza riconoscere altra autorità che quella della loro gioia
a condividerla. Erano quelle
donne che cucinavano insieme, quelle che mangiavano
per prime e, fatto incredibile
per l’abitudine alla cura degli
altri che è inculcata alle donne
fin dalla culla, sembra che non
si curassero di aspettare e servire gli altri, quelli che arrivavano dopo.
Questa mancanza di ordine e
di attenzione sembra avere come causa il grande passaggio
di persone attirate dalla parola
di libertà vissuta nella comunità
cristiana: c’era sempre troppa
gente giunta di sorpresa perché il pasto potesse saziare tutti (che distanza c’è tra i nostri
piccoli tentativi di condivisione
e la grandezza dei gesti di Cristo nello spezzare il pane e i
pesci!). D’altra parte c’era sicuramente la gioia inedita di quelle donne di essere insieme e di
sentirsi chiesa, corpo di Cristo.
Ci sono una ricchezza e una
pienezza tali nella relazione fra
donne, quando questa è intensa, che fa dimenticare di dover
interloquire con altri.
Una comunità chiusa
E gli altri, tanto più se uomini abituati a essere aspettati e
accolti dalle donne, privati della loro attenzione gridano sbalorditi allo scandalo: dove sono
finite le donne capaci di cura e
amore per gli altri? Pensano
solo a loro stesse, ora che si
sono trovate, ora che si sono
riconosciute reciprocamente
come corpo di Cristo e benedizione di Dio l’una per l’altra.
Mi riconosco in questa situazione, come donna; so che è
possibile creare degli spazi di
nemico.
Sia che cucinassero insieme,
sia che semplicemente preparassero i cibi portati da ognuna, erano le donne che arrivavano per prime nella casa dove si sarebbe svolto il pasto comunitario.
donne autosufficienti. Edi,
ne che Paolo protesti e ^
la nostra attenzione sul
che in quella situazionef
qualcuno che vive la
za. Tenere insieme il ■ ™
il fuori, il piacere e la u,s^
la pienezza di sé e TatteZ
all’altro: questo è il di(p
cammino che ci sta dava
questo il senso di ciò die
fa con i suoi discepoli,
la metafora del pane se
e del vino condiviso. La m,
nità, come il pane, corp«
Cristo, deve spezzarsi e ai '
per diventare nutrimento
molti. Finché resta chiusa
sua unità e uniformità
non è cibo di vita.
Ma Paolo, rinviando a c«*.
le donne, esercita la sua aid
rità in modo patriarcale. L
fa fare alla comunità delle jJ •
ne, né a quella di donne eT
mini un passo avanti, neUa® ,
scita dall’essere luogo di giàj
so riconoscimento reciprocoi,
divenire luogo capace di api
si a delle differenze più graa(
Anzi, giudica pesanteraefc
questa pratica e pone lei)»,
perché la Cena diventi un ¡^..
cramento separato dal pasti
separato dalla vita. Unsacs
mento ordinato e celetatoj
mai solo da un ministro, eia
da tutta la comunità. ■
il messaggio di Gesù ;
Ci auguriamo che quel
donne di Corinto abbianoti
to il messaggio di Gesù e u
quello di Paolo; che non s
tornate nelle loro case, mai
biano continuato a sentirei
me propria la mensa deli'*
gnore. Ce lo auguriamo 0|
nel momento in cui la sto-.)^v
dell’estraneità delle donne i# '
chiesa e alla tavola comune
finendo.
Ci auguriamo anche cIk.:
uomini, passati due millenii
quando Paolo scriveva, sapt
no riconoscere l’azione J
Spirito nella gioia delle don
anche quando quella gioiaf
ha loro - uomini - come®
tro dell’attenzione. Imparai*
vivere ai margini e a apri*)
proprie chiuse comunità ai,
referenziali è importante nj
meno per gli uomini chep®'
donne.
E infine ci auguriamo®
Paolo, e chi esercita auto*
nelle chiese oggi, non»
vissuto la propria autorità®
me discesa dall’altro (''d“®'
verrò sistemerò ogni cosa’*!
34), ma abbia saputo fan*
che lui un passo indieW?
imparare, da una pratica'
condivisione a lui scono*®
la grandezza di un/a Di®
scompiglia il nostro ordine.
Letizia Tomasso*
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. «ISO di mancato recapito si prega restituire
ai mittente presso i’Utficio PT Torino CMP Nord.
L'Editore si impegna a corrispondere ii diritto di resa.
Fondato nel 1848
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SEMINARIO DELLE UNIONI FEMMINILI — «Cristo è la nostra pace», educare alla pace, è il titolo del seminario biblico delle Unioni femminili organizzato dalla Federazione femminile evangelica valdese e metodista alla Foresteria valdese di Torre Pellice il 13 (dalle 14,30) e il 14 novembre. Sono previsti lavori in gruppo su testi di Samuele, Matteo e Marco, animazione musicale, culto con la comunità locale e, domenica pomeriggio, un intervento di Claudio Canal, esperto di problemi intemazionali. È previsto il saluto di
una rappresentante della Federazione donne evangeliche italiane. Il seminario si concluderà domenica intorno alle 16,30.
.4
YAUI AÀLDE
venerdì 5 NOVEMBRE 1999
Mostricini e mostriciattoli, teschi, zucche (molte
di carta o in plastica) hanno
fatto la loro comparsa da giorni nelle vetrine dei nostri paesi. Si ,festeggia Flalloween. Di
cosa si tratta? Questa domanda rivolta ad un gruppo di
adolescenti in una scuola media ha dato le risposte più disparate; è come un carnevale,
è la festa della paura, è la festa delle zucche, e così via. In
realtà nessuno o quasi, nemmeno i teledipendenti più
quotati, tantomeno se over
cinquanta e meno americanizzati, sanno bene spiegare che
tipo di festa sia Halloween,
forse non sanno nemmeno
pronunciarla questa parola anglofona, nata dalla fusione di
tre altre parole. Halloween,
ANNO 135 - N. 43
LIRE 2.000 - EURO 1,03
FESTA VERA 0 FESTA IMPORTATA?
HALLOWEEN
CARMELINA MAURIZIO
che significa la sera della vigilia della festa di tutti i santi
e che in tempi assai antichi
(era una festività celtica) era
un’occasione scaramantica
per scacciare paure e timori,
per scongiurare l’arrivo dell’inverno, prendendosi in giro
e creando spiriti burloni, esportata negli Stati Uniti, e divenuta festa tipicamente americana, può forse diventare
un’occasione per riflettere.
Che cosa c’entra Halloween
con noi e con la nostra cultura, perché festeggiarla? Si
tratta di un tipico prodotto di
fine millennio, da usare, seppure in tempi moderni, per
scacciare le nostre paure o più
semplicemente è una festa importata superficialmente e distrattamente, invasiva e invadente come un hamburgher da
fast food? Alimentata dalla televisione e dal consumismo
Halloween, festa pressoché
sconosciuta, a cavallo tra la
festività cattolica dei santi e la
ricorrenza della commemorazione dei defunti, confusa cori
un carnevale dell’horror di
bassa lega, non ci porta niente
o quasi dei suoi contenuti originali, della tradizione da cui
è originata. Non sarebbe forse
il caso di essere meno distratti
e passivi, anche quando si
tratta di una festa? Viaggiando sulle onde televisive e telematiche oltretutto una festa
dai contenuti dubbi e dissacranti come Halloween va comunque perdendo le sue peculiarità, come se svanisse. E
se la lasciassimo in pace oltre
Oceano, nel paese che ha «colonizzato» il mondo con le
sue mode e i suoi stili di vita?
Mondializzazione
La crisi Beloit
nell'epoca
di Internet
Viviamo nell'era della globalizzazione, dell’informatizzazione,
del computer. Ci si chiede, man
mano che la ((rivoluzione» informatica procede, quale sarà il nostro domani quando le ((macchine» ci permetteranno ancora più
libertà, ci daranno più possibilità,
più capacità. Riflettendo invece
sul nostro presente ci si accorge
che la rivoluzione in qualche modo ci ha già colpiti e cambiati soprattutto a livello di pensiero e di
categorie mentali. Il modo di procedere nei ragionamenti sempre
più spesso è caratterizzato dall’avanzare per tappe, ricercare
obiettivi, raggiungere mete all’interno di progetti.
La ricerca della sempliflcazione dei processi attraverso la pianificazione sembra averci colpiti
tutti. È diventata un modus vivendi caratterizzata dal voler fare ordine a tutti i costi nei nostri
pensieri. Anche a livello locale si
è costretti sempre più spesso a
procedere secondo queste categorie mentali, non che questo sia
un male anzi spesso aiuta a razionalizzare e a portare avanti
progetti, ma in alcuni casi impoverisce la vita, la svuota dei suoi
rapporti umani, della sua creatività. Le cose poi peggiorano
quando dalla progettazione si
passa alla comunicazione. Il caso
della dirigenza americana della
ße/o/t che comunica alla dirigenza italiana via e-mail l’intenzione
di voler dismettere la fabbrica di
Pinerolo è un caso limite in cui
l’informatica da prova da un lato
di'rapidità (non più veloce di una
telefonata però) ma dall’altro di
troncare i rapporti umani necessari fra due soggetti perché si
ere/ quel minimo di fiducia e di
credibilità che consentano a una
comunicazione di qualunque tipo
di aprirsi. Certo il caso è limite,
oltre tutto da una parte non
c’era la necessità di aprire un
dialogo, semmai quella di chiuderlo, ma rimane comunque emblematico di una situazione su
cui riflettere come persone ma
soprattutto come cristiani, (d.r.)
Si susseguono le riunioni per cercare una soluzione alternativa
Sarà chiusa la Beloit di Pinerolo
DAVIDE ROSSO
La multinazionale statunitense proprietaria della
Beloit Italia di Pinerolo, 1’
azienda che produce macchine
e impianti per cartiera, ha comunicato la settimana scorsa
via Internet l’intenzione, poi
confermata venerdì 29 ottobre, di voler smantellare completamente l’attività produttiva dello stabilimento di Pinerolo con conseguente liquidazione degli impianti e messa
in mobilità dei circa 400 dipendenti che vi lavorano.
La decisione arriva dopo un
lungo periodo di incertezza
sul futuro della Beloit a Pinerolo, legata anche alle notizie
che arrivavano dagli Stati
Uniti della crisi che sta attraversando la Beloit Corporation, proprietaria della Beloit
Italia. In un primo tempo la
decisione dell’azienda per gli
stabilimenti italiani era stata
quella di procedere a un piano di ridimensionamento del
personale, e proprio in questo
periodo si stava dando inizio
alle procedure di mobilità per
197 lavoratori; parallelamente, da parte della dirigenza
italiana, erano state iniziate
ed erano in corso trattative
per la cessione della Beloit
Italia a un altro gruppo industriale del settore. A questo
punto invece, vista la decisione della dirigenza americana,
tutto si è fermato e la trafila
burocratica prevede 75 giorni
di tempo per cercare un accordo tra le parti (la proprietà, che si affida per le
trattative a un ufficio di Milano, e i sindacati) ma la soluzione sembra turi’altro che
facile a trovarsi.*
I lavoratori, appresa la notizia del totale smantellamento degli stabilimenti, hanno
chiesto che si crei un tavolo
di crisi a cui partecipino le
parti sociali e in cui venga
coinvolto il governo. «Questo
- hanno detto alcuni rappresentanti dei lavoratori nel
corso di un incontro con 1’
amministrazione comunale di
Pinerolo - perché trattandosi
di una multinazionale è necessario che scenda decisamente in campo un soggetto
forte». Una rappresentanza
dei dipendenti ha anche chiesto garanzie nel corso del
Consiglio comunale di Pine
rolo di giovedì 27 ottobre affinché «si vigili perché l’area
su cui sorge lo stabilimento
non sia oggetto di speculazioni edilizie» ricevendo il pieno
appoggio dei consiglieri pinerolesi che hanno anche riunito i propri capigruppo per discutere insieme ai lavoratori
il problema Beloit.
Per parte loro le rappresentanze sindacali di categoria
hanno chiesto al Consiglio
comunale anche la convocazione urgente della commissione lavoro del Comune e
hanno ipotizzato uno sciopero
generale dell’area del Pinerolese, lamentando una mancanza di chiarezza rispetto ai
piani per salvare l’azienda.
Questo è avvenuto nel corso
di un incontro convocato a
Pinerolo sabato 30 ottobre
dall’amministrazione della
città a cui hanno preso parte
anche i vertici del Consiglio
di amministrazione italiano
della Beloit (il cui mandato,
tra l’altro in scadenza, è stato
recentemente rimesso in segno di protesta per la repentina decisione «americana» di
smantellamento degli impianti), i rappresentanti della Pro
vincia, della Regione, i parlamentari pinerolesi e il sottosegretario all’Industria, Gianfranco Morgando. Quest’ultimo ha dichiarato di voler al
più presto incontrare i rappresentanti della proprietà americana della Beloit Italia per
cercare di capire in che direzione ci si potrà muovere per
cercare una soluzione alla situazione. «Da quando ho affrontato il caso Beloit - ha
aggiunto - ho avuto la sensazione che vi fossero potenzialità non concretizzatesi per
l’impossibilità di gestire
l’azienda e contare su tecno
Dopo le conferenze all’aperto tenute
in alta vai Roya nell’estate 1893 dal
pastore di Cuneo Filippo Cardon, la nascente comunità valdese di Tenda e Vievola necessitava di un locale di culto.
Con i primi freddi autunnali le conferenze si tennero in una sala dell albergo Croce Bianca, mentre le riunioni vennero fatte prima in casa di una svizzera, soprannominata «barbiera», sposata con un minatore veneto, poi in due camere d affitto
del maestro comunale Pietro Degiovanni,
sostenitore dell’opera di evangelizzazione Air arredamento dei locali contribuirono i fedeli stessi portando sedie e costruendo apposite panche. Sotto la guida
del colportore Besso e talvolta anche in
sua assenza si leggeva la Bibbia e qualche trattato religioso, si pregava e si cantava. I simpatizzanti erano circa 40, ma
talvolta le due stanze erano colme di un
centinaio di uditori, accalcati fino all’uscio per seguire le conferenze.
Grazie a una generosa colletta realizza
IL FILO DEI GIORNI
LA CHIESA
____________MARCO FRASCHIA_____________
ta dalla solerte signorina Mader tra i suoi
altolocati amici tedeschi, inglesi e francesi, venne infine comprata la casa di Degiovanni e a pian terreno venne allestita
un’ampia sala di culto, con tanto di armonium per accompagnare il canto degli inni. Sulla facciata spiccava la scritta Chiesa Cristiana Evangelica e lo stemma valdese Lux lucet in tenebris\ il cancello
d’ingresso era rosso vivo, il colore delle
fiamme dell’inferno, a detta dei detrattori
cattolici. L’inaugurazione avvenne domenica 17 febbraio 1895 con un culto mattutino, al quale partecipò un centinaio di
persone, e uno pomeridiano, con santa ce
na, durante il quale, di fronte a 140 silenziosi uditori, vennero ricevuti i primi 15
membri della comunità: undici uomini e
quattro donne. Infatti, con una scelta quasi profetica, ma piuttosto insolita nella
storia della Chiesa valdese, il Comitato di
evangelizzazione aveva proceduto all’acquisto di un locale di culto prima ancora
che fosse costituita la chiesa alla quale era
destinato. Presiedettero la giornata inaugurale i pastori Carlo Alberto Tron di Torino, Filippo Cardon di Cuneo e il colportore Giovanni Besso; non mancarono neppure Käthe Mader e Beatrice Symington,
benemerite fautrici dell’evangelizzazione
di Tenda, giunte appositamente da Nizza.
Il giorno dopo, lunedì 18, i festeggiamenti si conclusero con una festa per i
bambini, che ricevettero in dono giocattoli, frutta e dolci. Della riuscita manifestazione scrissero ampiamente il «Bollettino
della Missione della Chiesa Evangelica
Valdese» e il quotidiano della provincia
di Cuneo «La Sentinella delle Alpi».
logie e aree di mercato da
parte di un nuovo soggetto.
Nella ricerca di soluzioni non
facili, occorre tener conto
della concreta possibilità di
supporti finanziari di tipo
pubblico emersa in passato».
Preoccupazione è stata manifestata anche dal sindaco di
Pinerolo, Alberto Barbero,
che ha richiesto informazioni
sugli orientamenti del gruppo
statunitense all’ambasciata
italiana a Washington. «Le
decisioni assunte in merito alla Beloit Italia - dice Barbero
- si riflettono sull’intero tessuto produttivo del territorio
presentando conseguenze economiche e sociali pesanti per
la città. Occorre compiere
ogni tentativo per individuare
una prospettiva contro il venir
meno di un riferimento importante per la città e l’intero
Pinerolese». Infatti la crisi
Beloit viene a inserirsi in una
situazione industriale locale
non certo rosea e va a colpire
economicamente e socialmente non solo Pinerolo ma anche
molti altri Comuni limitrofi. E
che l’attenzione al problema
non sia solo localizzata in
città lo prova il fatto che alcuni Consigli comunali come
quelli di Villar Perosa e Pomaretto in questi giorni hanno
manifestato solidarietà e appoggio ai dipendenti della Beloit. Solidarietà e appoggio
sono arrivati anche dalle comunità cattolica e valdese i
cui rappresentanti hanno presenziato all’incontro di sabato.
10
PAG. Il
E Eco Delle Vaii.t moESi
Val Germanasca: il municipio di Praii
MENO CARO IL RISCALDAMENTO IN MONTAGNA
Gli sconti sul riscaldamento nelle zone montane sono
esecutivi. Nei Comuni delle v^lli alpine si pagherà di meno
il gasolio e il gpl: il prezzo del gasolio è ridotto di 200 lire
al lifro, quello del gas di 250 al kg. Lo sconto verrà applicato direttamente dal fornitore a cui verrà riconosciuta la riduzione alla fonte; quasi tutti i Comuni delle valli sono compresi in questa riduzione; restano esclusi Bibiana, Bricherasio, San Secondo e Porte.
PATTO TERRITORIALE DEL PINEROLESE — Il Tavolo di concertazione del Patto territoriale del Pinerolese si è
recentemente riunito per definire con chiarezza gli obbiettivi che dovrebbero ridare slancio alla produttività dell’area.
All’ordine del giorno vi erano tra l’altro gli indirizzi adottati per individuare alcuni assi portanti e progetti futuri che riguardano sia lo sviluppo industriale sia la crescita turistica
complessiva del territorio sia la valorizzazione della qualità
dell’agricoltura. Nel settore agricolo in particolare è stato
deciso che ai progetti che provengono dalle imprese che
operano in questo settore e che recepiscano le indicazioni
del Patto sia accordato il 20% degli investimenti previsti.
Entro il 10 novembre comunque le imprese interessate dovranno presentare in municipio a Pinerolo i loro progetti di
investimento. Per le imprese agricole la scadenza è fissata
al 30 novembre; «Nel frattempo - dice la responsabile del
segretariato del Patto, Alberta Pasquero - verranno messi a
punto progetti infrastrutturali connessi agli investimenti».
«LETTERATURA ERRANTE»-— Venerdì 5 novembre, alle 20,45, alla civica biblioteca «Carlo Levi» di Torre Pellice, si svolgerà una serata introduttiva sull’esposizione dal
titolo «Letteratura errante», ovvero circa 100 volumi, tra
romanzi e saggi, a disposizione dei lettori per il prestito e
•la consultazione, fino alla fine di dicembre 1999. Ospite
della serata sarà Bmna Terracini, che parlerà della letteratura contemporanea di matrice ebrea e israeliana. Si tratta
della prima serie di «lettura a tema», proposte dal neocostituito gruppo di «Amici della biblioteca», che ha in programma per i prossimi mesi proposte di lettura sulla letteratura cinese, quella al femminile, i nuovi autori italiani e
la letteratura per bambini e ragazzi.
CORSI DI MUSICA A PEROSA — «MusicaReMiFa» organizza a partire da novembre corsi di musica per bambini, ragazzi e adulti. Sono previsti corsi collettivi di: musica gioco,
presolfeggio, solfeggio, coro «I cuccioli cantanti», storia della musica ed estetica musicale, didattica musicale per insegnanti delle scuole elementari; corsi individuali di chitarra,
pianoforte, canto, violino, violoncello, clarinetto, oboe, flauto dolce, flauto traverso. Per informazioni rivolgersi a Eliana
Laurenti (0121-81661 e 0347-4466151) o a Stefano Abrile
((1121-794405 e 0339-7345667) oppure presso il municipio
di Perosa lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì ore 16,3019,30, martedì ore 18,30-20 e il sabato ore 14,30-17,30.
PER RICORDARE I 55 ANNI DELLA STRAGE DEL TICIUN — L’Anpi e il Comune di Pramollo organizzano per
domenica 7 novembre l’annuale commemorazione dei caduti del Ticiun e di tutti i motti per la libertà nell’ultima guerra. Alle ore 10 appuntamento a Rue, sul viale della Rimembranza e alle 11 a Ruata: dopo l’omaggio ai caduti, ritrovo
nella sala valdese, dove il prof. Gianni Oliva terrà un discorso. Alle 12,30 pranzo partigiano al ristorante Gran Truc di
Ruata. Per prenotarsi telefonare a Miccu (0121-58501), a
Ezio (0121-58703), o al Gran Truc (0121-582822).
SCRITTURE IN BIANCO E NERO — Dal 6 al 28 novembre, nello spazio espositivo del Centro culturale valdese di
Torre Pellice, Rossana Baroni e Helga Wendt, fotografo,
presentano una serie dei propri lavori. Partendo da versi
poetici, le due fotografo propongono delle riflessioni sulla
condizione umana e sul significato dell’esistenza. Rossana
Baroni presenta un lavoro nel quale gli elementi naturali si
accompagnano a presenze umane e si riflettono in sguardi.
Helga Wendt propine dei pezzi unici, realizzati in camera
oscura, con sfumature che suggeriscono immagini oniriche.
Inaugurazione sabato 6 novembre, alle 17,30.
UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ — Dal 4 novembre,
con un concerto per pianoforte, violino, viola e violoncello, si inaugura a Torre Pellice, alla biblioteca della Casa
valdese, l’anno accademico della Unversità della terza età,
sezione di Torre Pellice. Come è tradizione ogni giovedì si
alterneranno concerti e conferenze, che quest’anno riguarderanno in particolare le donne di fine millennio, Leonardo da Vinci, Catullo, Pratolini, ma si parlerà anche di filosofia zen e della tragedia di Ustica. Tutti gli incontri si
svolgeranno alle 15,30, alla Casa valdese.
Lo stabilimento si dovrebbe trasferire da Lusernetta a Luserna
Futuro incerto per la «Turati
»
FEDERICA TOURN
Tutto sembra tranquillo,
oltre i cancelli dello stabilimento della «Turati Idrofilo Srl» di Lusernetta, il lavoro procede normalmente,
come tutti i giorni. Eppure
novità di un certo rilievo sono
alla porta: fra pochi giorni,
assicura il sindacato, ci sarà
l’atteso incontro fra l’azienda
e gli enti locali sul futuro della fabbrica.
Un po’ di storia. Nel ’97 un
gruppo che ha diversi stabilimenti sparsi per l’Italia, la
«Filmanmade», acquista la filatura Turati e subito avverte i
sindacati che la fabbrica va ricollocata, perché lo stabilimento di Lusernetta è vecchio
e non può subire ristrutturazioni a norma di legge.
L’azienda si mostra disponibile a fare investimenti, a due
condizioni: di avere forme di
agevolazione da parte degli
enti locali e, per quanto riguarda la produzione, di passare subito a un ciclo continuo di turni di lavoro. Segue
la firma di un accordo in Regione, in cui gli operai accettano di lavorare sette giorni su
sette e l’azienda risponde con
una serie di interventi «tampone» (così li definisce il sindacato) per migliorare l’attività e soprattutto per rispondere alle norme di sicurezza.
Manca ancora un impegno
preciso degli enti locali ad
agevolare i necessari investimenti sul territorio.
Lo scorso febbraio il sindacato, allarmato dalla mancanza di sviluppi, promuove prima un convegno a Luserna
San Giovanni per riflettere
sulla situazione occupazionale
della zona e poi, a luglio, un
incontro in Regione fra la direzione aziendale e gli enti locali per fare il punto della situazione. I sindacati hanno
qualche ragione di preoccuparsi: la Turati impiega una
settantina di operai, che rischiano il posto se l’azienda
decide di costruire il nuovo
stabilimento fuori zona. Il rischio c’è: «L’azienda ha chiesto il diritto di superficie per
80.000 metri quadri di terreno
per costmire la nuova fabbrica
sul nostro territorio - spiega
Paolo Gardiol, assessore
all’Urbanistica e vicesindaco
di Luserna - in caso il Comune non risponda positivamente, gira voce che il nuovo stabilimento sarà trasferito vicino a Udine».
Intanto la Turati ha acquistato l’area ex Omef (circa
40.000 metri quadrati, subito
dopo il cimitero di Luserna
San Giovanni), e i lavori fervono già da un mese e mezzo:
per la fine dell’anno dovrebbe
già essere completato il primo
capannone. «La Turati ha però
dichiarato questo terreno insufficiente a ospitare la filatura - puntualizza Walter Mensa, assessore all’Industria al
Comune di Luserna San Giovanni -. Questo fabbricato
darà lavoro a non più di 15-20
operai e si occuperà di un’attività collaterale, la produzione
di cotone idrofilo».
Il problema dello stabilimento principale rimane quindi irrisolto. Dal Comune e dalla Comunità montana, in questi ultimi mesi, sono stati lanciati segnali incoraggianti
all’azienda, assicura Gardiol:
Posta
Lo scuolabus
di Abbadia
Siamo un gruppo di genitori della scuola media statale
di Abbadia Alpina e vogliamo portare a conoscenza
dell’opinione pubblica un
problema relativo al servizio
scuolabus di questa città. 1
nostri figli frequentano la prima media di Abbadia, li abbiamo iscritti fin dal gennaio
scorso al tempo prolungato
dopo aver partecipato a una
riunione informativa a cura
della scuola stessa. Essa ci è
stata, almeno così credevamo, molto utile per acquisire
tutti gli elementi necessari a
prendere una decisione consona alle nostre esigenze. Nei
primi giorni di scuola, invece, abbiamo avuto la sgradevole sorpresa di scoprire che
per chi fa il tempo prolungato
nei giorni di permanenza pomeridiana a scuola, lo scuolabus non è previsto nell’orario
f no',
'..un
m-:.
TELEVITA PINEROLESE
via O. di Piossasco 16
Pinerolo
Tel. 0121-39.39.30
di uscita (ore 16) ma oltre
mezz’ora dopo. Abbiamo
chiesto, tramite lettera al Comune e al preside della scuola stessa, che il servizio per la
scuola media venisse attivato
alle 16. Ci è stato risposto
che ciò non era possibile.
Abbiamo chiesto che almeno
ci venisse scontato il costo
annuale dello scuolabus, ritenendo a quel punto più opportuno ritirare personalmente con mezzi propri i nostri
figli all’uscita dalla scuola, e
anche questo ci è stato negato
con l’argomentazione che il
servizio non era assente, ma
«solo» ritardato. Alle nostre
richieste sono cioè state date
unicamente risposte negative.
Questo ci spinge a fare alcune considerazioni: emerge
uno scarso, quando non nullo
coordinamento tra scuola e
Comune; questo nel 1999,
quando l’autonomia scolastica
sta riscaldando i motori per
entrare a regime nel 2000,
non è più pensabile. Quello
che come genitori-utenti invochiamo è l’armonizzazione
degli orari scolastici con gli
orari dello scuolabus. Chiediamo troppo? Le carenze del
servizio pubblico vengono
scaricate sugli utenti. Perché?
Non abbiamo raccontato
questa vicenda per lamentarci
dei «servizi pubblici che non
funzionano» invocando al
tempo stesso le incomparabili
virtù del privato. Al contrario, il nostro intento va nella
direzione opposta, nel chiedere il rispetto dei diritti del
normale cittadino, nella fiducia che le istituzioni possano
migliorare. Proprio per questo continueremo a protestare
per avere risposte positive ai
problemi che abbiamo posto.
Giuseppina Cutro - Pinerolo
seguono tre firme
Lo stabilimento di Lusernetta
«L’amministrazione comunale
farà di tutto perché non si perdano posti di lavoro: nella fattispecie, ha proposto di urbanizzare circa 100.000 metri
quadri di area industriale e di
metterla a disposizione del
migliore offerente». Si intende, con questo, l’azienda che
per esempio offra più posti di
lavoro - tra le proposte della
Turati ci sarebbe anche quella
di portare da 70 a 100 il numero degli addetti.
L’area individuata è ritagliata nella zona industriale
di Luserna, fra la ferrovia a
nord e il rio Gambrero a sud,
sulla sinistra orografica del
Pellice. La parola passa ora
all’azienda che, spiega Alberto Ghibò della Cisl, ha
rinviato la decisione definitiva al gennaio 2000. Una proposta formale dovrebbe però
essere esplicitata nell’incontro che si terrà appunto a
giorni, probabilmente in sede
di Comunità montana.
Consiglio regionale
Norme per il
commercio
Il Consiglio regionale h
approvato la legge che dovr
nei prossimi anni discipliné
il commercio. L’àpprovazion
della nuova normativa è stata
preceduta da critiche da
delle opposizioni e di alcun
delle associazioni di categoria
che vedevano nel nuovo proy.
vedimento una spinta alh
grande distribuzione. La giui,.
ta regionale ha sottolineati
che con questo provvedimento
si vuole piuttosto «porre un
freno all’espansione disordj.
nata della grande distribuzio.
ne evitando l’impatto negativo
che questa avrebbe sul tessuto
venei
commerciale storico del
pie
«
Reintrodotto il grande volatile
Il gìpeto sulle Alpi
E chiamato «avvoltoio barbuto» 0 «degli Agnelli», ma è
conosciuto semplicemente
come gipeto, dal nome in latino Gypaetus barbatus ed è,
con la sua apertura alare di
270-280 cm, l’uccello più
grande d’Europa. Presente e
nidificante sulle Alpi fin verso la fine dell’Ottocento, è
stato in seguito soggetto a un
inesorabile declino a causa di
una caccia spietata. L’ultimo
esemplare è stato ucciso in
Valle d’Aosta nel 1913.
11 motivo di questo accanimento da parte dell’uomo è
inspiegabile, in quanto l’alimentazione del gipeto è basata su tre quarti di ossa e quantità variabili di carne, ma non
uccide animali. Per queste sue
abitudini il gipeto si colloca,
in modo caratteristico, ai primi posti della piramide ecologica e gli ultimi nella catena
alimentare, basandosi sullo
sfruttamento delle carogne,
specialmente di ungulati selvatici e domestici.
Da oltre vent’anni è in atto
un importante progetto di
reintroduzione del gipeto sulle Alpi. All’iniziativa partecipano Austria, Germania,
Svizzera, Francia; l’Italia ha
aderito soltanto in un secondo
momento. Per reperire i soggetti da reintrodurre e non intaccare le già precarie e uniche popolazioni esistenti in
Europa (Pirenei, Corsica,
Balcani), vengono forniti al
progetto esemplari già presenti in vari giardini zoologici europei, del Kazakistan e
Israele, per tentare in appositi
centri la riproduzione in cattività. Il lento, difficile, ma indispensabile lavoro dei ricer
catori e naturalisti ha fatto sì I
che nel 1986 si potesse rag-1
giungere un primo importante
risultato; l’immissione dei
primi gipeti sulle Alpi e pre- .
cisamente nel Rauris (Anstria), poi in Engadina (Svizzera), Alta Savoia (Francia);
dal 1994 ad anni alterni nel i
Parco nazionale del Mercantour (Francia) e nel confinante Parco regionale delle Alp
marittime (Italia), per un totale di 87 esemplari liberati dal
1986 a oggi: di questi poco
più della metà sono sopravvissuti. Negli ultimi tre anni
alcune coppie hanno incominciato a riprodursi con successo sulle Alpi, un obiettivo
raggiunto dopo 100 anni.
I gipeti hanno degli sposta;
menti anche di centinaia di
chilometri: alcuni esemplar'
sono stati già osservati anche
nelle vallate del Pinerolese e
del Saluzzese. Al fine di seguire gli spostamenti e verificare i territori utilizzati, il pf®'
getto sul gipeto ha creato sulle
Alpi una serie di punti di
informazione, dove è anche
possibile segnalare eventual'
osservazioni: sarà un modo,
grazie alla collaborazione di
chi vive 0 frequenta la montagna, per verificare il successo ,
dell’operazione. Ecco i P"®' <
di informazione: Parco
le del Po, Saluzzo (Ol'h46505); Parco vai Troncea. ^
Pragelato (0122-78849); j
co Orsiera-Rocciavrè, Pracu ' |
nat (0121-83757). i
RADIO BECKWITH
EVANGELICA
FM 91.200 - 96.550
Inp'
Ra
colo dettaglio che continua a
essere il centro delle politiche I
regionali di sostegno crediti. |
zio». Parole rassicuranti anche
se i piccoli esercenti non seni- !
brano del tutto convinti. ^
La nuova normativa preve- '
de che il Consiglio regionale
stabilisca gli indirizzi e i cri- i
teri di programmazione urba- :
nistica per l’insediamento ;
delle attività commerciali, la
classificazione degli esercizi,
l’assetto territoriale della rete '
distributiva e la sua regola- '
mentazione e sviluppo a culi '
Comuni entro sei mesi dovranno adeguarsi. La Regione !
continuerà a mantenere la facoltà di concedere autorizzazioni per i grandi insediamenti commerciali mentre ai Co- '
muni spetterà la competenza I
per la piccola e media distri- !
buzione. Gli orari di apertura :
saranno di competenza diretta
dei Comuni, che dovranno
però attenersi ai principi stabiliti a livello regionale.
Qui
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^rFNERDÌ 5 NOVEMBRE 1999
E Eco Delle Aàlli ^ldesi
PAG. Ili
In preparazione una festa incontro a Torre Pellice per progettare la radio del 2000
Radio Beckwith compie quindici anni
ITALO PONS___________
Quindici anni fa, esattamente il r novembre
J984, iniziavano le trasmissioni di Radio Beckwith evangelica. Quasi nessuno dei fondatori! 0 di coloro che avevano
seguito la sua nascita, con perplessità e un po’ di ironia,
avrebbero immaginato che sarebbe giunta all’adolescenza.
Un periodo breve ma nello
stesso tempo molto lungo nel
panorama della radiofonia libera, soprattutto poi, se guardiamo alle premesse (la scarsità di mezzi e di forze e di
denaro) siamo veramente
nell’ordine di un miracolo. In
coda a tante riunioni ci si ritrovava poi al Bistrò, attorno a
una birra, a ridiscutere e progettare e c’era anche chi aveva già fatto esperienza nelle
prime radio libere degli Anni
Settanta a Torino.
Alla base di tutto c’era un
gruppo di giovani legati alla
Chiesa valdese di Torre Pellice, capace di creare attività,
che a sua volta produceva forme di aggregazione in una
realtà culturale e sociale ricca
e variegata, come quella della
vai Pellice, fatta di partecipazione e disponibilità. L’aiuto
di Radio Trieste evangelica,
che fornirà le prime apparecchiature, l’aiuto della Tavola
valdese nel concedere un locale: furono queste le condizioni
che lanciarono l’ambiziosa
proposta di creare una radio.
Progetti come questi sono
però destinati a produrre errori, generare lacerazioni all’intemo di un gruppo di volenterosi. Alcuni concerti per autofinanziarci a pochi mesi
dall’apertura della radio fallirono miseramente e misero il
progetto in seria difficoltà. Ci
fu allora chi dovette fornire
per mesi, se non per anni, cassette e dischi, in conto spese;
altri si accollarono lavorarono
per salvare quel che rimaneva:
quasi niente! Tanti giovanissimi, qualcuno in crisi con l’esistenza, passarono pomeriggi
interi a trasmettere, sapendo
di avere pochi ascoltatori.
E poi l’associazione «Francesco Lo Bue», proprietaria
della radio, che si accollerà
anche la gestione della radio,
si fece promotrice di iniziative
a livello musicale e culturale;
basterebbe ricordare, per
esempio, il dibattito sulle Intese con la partecipazione di
Giuliano Amato, allora sottosegretario alla presidenza del
Consiglio dei ministri. La presidenza iniziale è stata di Attilio Sibille, seguito da Piervaldo Rostan, che ha conciliato,
senza risparmio di tempo,
giornalismo e amministrazione; si è passati poi alla lunga
fase di normalizzazione, condotta con serietà e oculatezza
da un giurista come Paolo
Gay, fino all’attuale presidenza di Livio Gobello. Sono
molti anche altri, quelli che
hanno lavorato all’ombra di
una grande e significativa modestia, compiendo però un
ruolo indispensabile.
Radio Beckwith, è ormai assodato, ha rappresentato, e
continua a farlo, una bella
realtà comunitaria. In questa
direzione ha saputo rispondere
ad esigenze molto diverse. Da
un lato coloro che l’hanno
gradualmente realizzata sapevano di compiere un servizio
per le chiese e per la società
locale; dall’altro coloro che
l’hanno ascoltata, pensiamo
agli anziani isolati, hanno trovato un momento di comunione nell’ascolto del culto o di
altre informazioni sulle chiese. Dei gruppi, ma anche delle
associazioni, hanno potuto comunicare il proprio impegno
attraverso le onde radio di Radio Beckwith, altri hanno proposto i propri interessi musicali e culturali, Proposte diverse ma che Radio Beckwith
ha sempre agevolato e favorito, sapendo che era un modo
di essere e fare informazione
nella libertà, ma anche un’occasione di stare insieme, di
mettere delle persone in relazione tra loro. In questi anni il
panorama delle 'Valli, per
mezzo del Centro culturale, ha
ricevuto un impulso più decisivo e articolato nel campo
Hockey ghiaccio, cinque partite disputate in dieci giorni
Serie di sconfitte per la Valpe
Cinque partite in dieci giorni: l’impennata di
impegni del massimo campionato di hockey
ghiaccio va oltre l’immaginabile per qualsiasi
sport, anche a livello professionistico. Non c’è
tempo per recuperare, per riposarsi, tanto più se
si devono fare 1.200 km di trasferta; così la
Valpe Caffarel incappa in una serie di sconfitte
almeno in parte evitabili. Intendiamoci: una
sconfitta con i campioni d’Italia del Merano o
con la terza in classifica, il Fassa, ci può stare.
Certo fa cadere un po’ il morale dopo le belle
prestazioni di inizio campionato anche se ha ragione mister Da Rin quando dice «Giocar bene
non vuol dire necessariamente vincere». E in
effetti di partita veramente brutta ne abbiamo
vista una sola, quella di Varese che era anche la
trasferta più alla portata del Valpellice.
A Varese la Valpe non è riuscita ad imporre
>1 proprio gioco e ha lasciato troppe vplte gli attaccanti avversari a tu per tu con Rossi; il portiere si è disimpegnato da par suo fino al moiiiento del gol nel terzo tempo. Paolo Trevisson
ha insaccato la rete del vantaggio (si era ancora
^llo 0-0 dopo 53’ di gioco) proprio quando il
Valpellice stava spingendo sull’acceleratore alta ricerca del vantaggio. Gli ultimi minuti giocati in affanno non hanno cambiato volto alla
P^ta; anzi Melotto ha subito una botta al collo
che lo ha costretto a saltare la sfida di Merano
c. neH’estremo tentativo di riportare la partita in
Pantà, l’uscita di Rossi dalla gabbia ha favorito
a seconda rete dei lombardi che hanno così otPMto la prima vittoria del campionato.
giorni dopo, e cioè giovedì 28, Valpellicc Caffarel è stato sconfitto di misura sul campo della squadra campione d’Italia. Il Merano si
portato in vantaggio al 10’ del primo tempo
®a ha subito il pareggio dopo 10” dall’inizio
ella seconda frazione. Decisivi comunque i
j cinque minuti del secondo tempo: gli alatesini si sono riportati, grazie anche ad un
rtore difensivo del Valpellice, in vantaggio
opo appena 60” e al 5’ il punteggio è stato fis® 0 sul definitivo 3-1. Nel terzo tempo azioni
^ entrambi i fronti ma senza più marcature. Si
vista una Valpe sugli scudi, coetta a giocare a due linee a causa delle numerose assenze.
dr^ Pellice, sabato 30, è arrivata la squasie completa fin qui vista in campionato inj Asiago: il Fassa, in avvio, si è portato
ri *^®rtiente in attacco, quasi a voler evitare il
suc'^"*” finire beffato aH’ultimo come era
linp^^!i° Bolzano. Eppure i trentini, con tre
han^ ^^'■^r:co e di difesa di grande qualità,
no dovuto attendere molto per andare a rete;
dono ^ portarsi in vantaggio
Po / 58 ’ di gioco con Tomasello. Chiuso il
primo tempo in svantaggio, gli ospiti hanno ricominciato il gioco in attacco pervenendo al
pareggio in modo un po’ fortunoso, grazie a
una deviazione di Daniel Paur (ex Courmaosta
con una partita nella Valpe l’anno scorso) su tiro del difensore Galeazzi; dopo una decina di
minuti il Fassa è passato in vantaggio con Ciresa su bella combinazione con Cloch.
Quando dopo un minuto del terzo tempo il
Fassa è andato sul 3-1 la partita è sembrata
chiudersi per il Valpellice ma ancora Tomasello
con una rete a 5’21” ha riportato i valligiani ad
una incollatura: sono stati minuti molto intensi,
con la Valpe che ha sfiorato la marcatura (ma
davanti c’era il portiere della nazionale Carpano), fino a quando ancora Paur ha realizzato per
il 4-2. Quando a un minuto dalla fine il Fassa si
è trovato in quattro per una penalità a Galeazzi
Da Rin ha giocato il tutto per tutto: fuori il portiere e dentro sei uomini di movimento. Il tempo per un paio di ingaggi in attacco e poi la
quinta rete degli ospiti per il 2-5 finale. E lunedì sera è arrivata la quarta sconfitta, questa
volta al supplementare, per 3-2 con l’Appianoi.
Dopo il raduno della Nazionale (la Under 20
sarà a Torre Pellice dal 6 al 12 novembre) il
campionato riprenderà il 18 novembre con
l’Asiago ospite del Valpellice.
8” giornata: Val Venosta-Appiano 1-3; Auronzo-Alleghe 3-6; Brunico-Vipiteno 3-4(rig);
Zoldo-Bolzano 0-6; Como-Merano 2-4; Renon-Fassa 2-5; Varese-Valpellice 2-0. Riposo
Asiago.
9“ giornata: Fassa-Alleghe 7-1; Renon-Brunico 2-4; Como-Bolzano 2-7; Varese-Val Venosta 8-1; Vipiteno-Zoldo 8-3; Asiago-Auronzo 80; Merano-Valpellice 3-1. Riposo Appiano.
10“ giornata: Valpellice-Fassa 2-5; Brunico»
Appiano 5-0; Bolzano-Vipiteno 4-5; Val Venosta-Merano 2-6; Varese-Auronzo 1-3; ZoldoComo 2-5; Alleghe-Asiago 2-4. Riposo Renon.
llf giornata: Fassa-Brunico 6-3; BolzanoMerano 6-0; Auronzo-Val Venosta 7-2; Appiano-Valpellice 3-2 (ot); Como-Renon 6-0; Vipiteno-Varese 8-3; Asiago-Zoldo 13-0. Riposo
Alleghe.
Classifica; Vipiteno 29, Fassa 28, Merano 27,
Asiago 26, Bolzano 22, Alleghe 17, Brunice 16,
Como 16, Valpellice 15, Auronzo 9, Appiano 8,
Varese, Renon 6, Val Venosta 3, Zoldo 0.
SERIE B — Ancora una sconfitta per il Pinerolo opposto domenica sera al Torino: è finita 3-1 con i pinerolesi che sullo 0-2, a cinque
minuti dalla fine hanno tolto il portiere per tentare il recupero. È invece arrivato il 3-0 mitigato poco dopo da una rete di Filippo Buttato. Il
Pinerolo resta a 0 punti, il Torino sale a 4.
della cultura valdese, di cui
anche Radio Beckwith e l’associazione «Lo Bue» sono
espressione.
Le cose destinate a permanere nel tempo hanno bisogno
di continui aggiustamenti e
nuove verifiche. Non resta che
augurarsi che le caratteristiche
che hanno costituito la Radio
all’inizio trovino, pur ricollocate in un ambito nuovo, la loro continuità, fatta di voglia di
fare, ma anche della capacità
di prestare attenzione alle voci
di una società, che continua a
confrontarsi soprattutto con
l’isolamento individuale e collettivo, e non da ultimo l’augurio è che Radio Beckwith
sia fonte di un’informazione
di fatti e avvenimenti che sia
realmente tale, una sfida raccolta dalla nuova redazione
della radio che nell’ultimo anno ha saputo, anche sulla spinta delle prese di posizione delle chiese del I distretto, proporre tutta una serie di nuove
trasmissioni, dall’informazione sull’attività degli ospedali
valdesi e delle opere diaconali
del territorio, ai culti in diretta, alla segnalazione delle novità dell’editrice Claudiana,
alla lettura dei libri della stessa editrice che ha dato vita alla fortunata serie «Vita protestante» o ancora ai collegamenti con la Radio Suisse romando per i culti in francese.
«Non dimentichiamo comunque la società in cui viviamo - precisa Gianmario
Gillio, redattore dell’emittente
-; così abbiamo avuto importanti cicli di programmi con i
medici dell’Asl 10, col mondo
del volontariato, con l’editoria
locale». Quindici anni vissuti
attraverso i piccoli mutamenti
della società locale e i grandi
cambiamenti mondiali; 15 anni che verranno in qualche
modo rivissuti nella giornata
che la radio sta organizzando
presso la Foresteria valdese di
Torre Pellice per il 21 novembre. Ci saranno spazi di incontro, di festa, il classico banco
pesca, un concerto, il culto
con la comunità di Torre Pellice la domenica mattina, un
pranzo di autofinanziamento;
per stare insieme e per progettare la radio oltre il 2000.
Consiglio comunale
Le frane
di Ferrerò
_____LILIANA VICLIELMO_
Il progetto del Piano per
l’assetto idrogeologico
(Pai), inviato al Comune di
Perrero per le controdeduzioni d’obbligo, è stato esaminato nella seduta del 28 ottobre
dal Consiglio comunale. Dai
rilievi risulta che il territorio
del Comune, in particolar
modo sul versante rivolto a
mezzogiorno, presenta ampie
zone franose, tra le quali
spicca la frana sovrastante
l’abitato del capoluogo, tuttora in costante movimento.
Nel 1977 le abbondanti piogge primaverili causarono il
distacco di un’enorme massa
di fango che causò danni a
molte abitazioni. Attualmente
però, la frana è costantemente sotto controllo e vengono
eseguite opere di sostegno ad
intervalli regolari. Sulle altre
zone a rischio, sono state individuate delle discordanze
con la cartografia in possesso
del Comune, che verranno
segnalate nella risposta all’Autorità di bacino del Po.
Prendeva poi la parola il
consigliere di minoranza Savino Guarino, di Piemonte
nazione, presentando una
proposta del suo gruppo; deplorando lo stato di degrado
in cui si trova l’agricoltura
montana, Guarino chiedeva se
era possibile prendere una
qualche iniziativa che potesse
rappresentare una sfida a questa tendenza negativa. Si dichiarava inoltre preoccupato
perché tutte le nuove disposizioni di legge sembrano favorire l’abbandono delle attività
agricole e artigianali piuttosto
che un loro sviluppo. Il sindaco Léger rispondeva con la
triste constatazione che nel
Comune l’agricoltura è ormai
ridotta all’ambito della produzione familiare, ma che sul
piano di valle si possono trovare altre forze, ricordando
che nella Comunità montana
esistono assessorati specifici
per ragricoltura, l’allevamento e r artigianato e che il proprio gruppo, presentando un
programma di lavoro per la
nuova giunta, darà il massimo
risalto a questi temi.
BOBBIO PELLICE — Riunioni quartierali al centro,
martedì 9 ore 20,30; ai Cairus martedì 15 , ore 20.
LUSERNA SAN GIOVANNI — Riunioni quartierali alle 20,30: mercoledì 10
ai Peyrot, venerdì 12 agli
Airali. Studio biblico martedì 9 novembre, alle 20,45,
al presbiterio, su «Confessioni di fede nella Bibbia».
MASSELLO — Mercoledì
10, alle 14, riunione quartierale al Roberso.
PERRERO — Alle 14,30,
martedì 9 novembre, incontro dell'Unione femminile.
POMARETTO — Prime
riunioni quartierali: venerdì
5 novembre, alle 15, all'Inverso Clot, mercoledì 10 alla Lausa, alle 20,30, giovedì
11, alle 15, a Inverso Paiola.
RORÀ — Giovedì 4 riprende il Gruppo teatro,
tutti gli attori del passato e
aspiranti tali si incontreranno nella sala alle 20,30. Venerdì 5 primo incontro del
Gruppo della Comunicazione per tutti i giovani interessati (età 12-22), presentazione programma e proiezione video cassetta. Sala
Morel ore 20,30. Giovedì 11
incontro quartierala alle
Fucine, ore 20,30, su «Gesù
2.000 anni dopo».
SAN SECONDO — Domenica 7 novembre, alle
10, culto; alle 15, incontro
dell'Unione femminile. Giovedì 11, alle 20,30, riunione
quartierale ai Brusiti.
TORRE PELLICE — Riunioni quartierali: venerdì 5,
alla Ravadera, martedì 9
all'Inverso, mercoledì 10 ai
Chabriois, venerdì 12 agli
Appiotti. Domenica 7 novembre, alle 15, alla Casa unionista, incontro dell'Unione femminile con Maddalena Giovenale, che presenterà il libro «Come cambia la fede», di G. Theissen.
VILLAR PELLICE — Riunioni quartierali: venerdì 5
alle 20,30 al Ciarmis, lunedì
8, sempre alle 20,30, al Teynaud. Domenica 7, alle 10,
assemblea di chiesa: odg vita della comunità, comunicazioni e prospettive rispetto alla costruzione della
nuova sala. Giovedì 11, alle
14,30, appuntamento per
quanti vogliano partecipare al culto all'ospedale.
VILLASECCA — Domenica 7 novembre culto ai
Chiotti con battesimo.
Ripercorse le tappe della vita di un angrognino esemplare
^esperienza di Levi Buffa
FRANCA COISSON
G
iovedì 7 ottobre nel tempio del Serre abbiamo
ripercorso le tappe della vita
di Levi Buffa, spentosi alla
fine dell’anno scorso, dopo
una lunga esistenza durata 94
anni, esistenza che ha lasciato
il segno nella comunità civile
ed ecclesiastica di Angrogna.
Il sindaco, Jean-Louis Sappé, ne ha ricordato i vari momenti: la gioventù trascorsa
agli Odin, un periodo parigino
vissuto come «chauffeur», il
successivo ritorno al suo paese dove farà il contadino per
tutta la vita, sempre in prima
linea dove serve il suo aiuto,
la sua esperienza di sindaco
nel dopoguerra, il lunghissimo
periodo di tempo trascorso come anziano del Concistoro, i
18 anni passati al Foyer del
Serre dove faceva gli onori di
casa a tutti i visitatori, rispondeva al telefono, preparava la
colazione, faceva da punto di
riferimento per tutti.
Mariena Gaietti, coordinatrice sociale della Comunità
montana vai Pellice, a quei
tempi ideatrice del Foyer, ne
ha ricordato la figura, in particolare mostrando due video
realizzati da Enrico Venditti,
uno del 1993 sull’assistenza
domiciliare e un altro più recente sulla difesa del territorio. In entrambi, ma in particolare nel primo. Levi è un attore significativo dell’importanza della domiciliarità e della conoscenza del territorio,
che non si stanca mai di raccontare la sua esperienza.
Giorgio Tourn ha ricordato la
valenza storica e culturale delle figure come quella di Levi,
proiettate verso il futuro.
La ricchezza della serata,
seguita da un bel numero di
persone, non ha consentito di
aumentare le testimonianze
su Levi. Se fosse possibile,
avrei voluto ricordare che
l’ho conosciuto da sempre,
perché abitante e anziano del
mio quartiere, gli Odin-Bertot. L’ho visto passare ogni
giorno con la gerla o con la
slitta diretto verso Vlutec dove lavorava la terra con i fratelli, e ogni domenica diretto
al Serre per il culto, che ha
continuato a frequentare assiduamente e regolarmente an
che quando ha cessato di essere anziano perché il Sinodo
aveva deciso di limitare la
rielezione all’infinito delle
stesse persone a queste cariche. Ma soprattutto avrei voluto ricordare la sua pronta
disponibilità ogni volta che
una malattia, un infortunio,
una disgrazia visitava una famiglia del suo quartiere a lavorare per governare bestiame o preparare la legna o fare
qualsiasi cosa utile in quel
momento, spesso dando
l’esempio ad altri.
Un’altr^a sua caratteristica
che ho sempre ammirato e
apprezzato era la sua serenità:
Levi era sempre calmo, sorridente, pronto a dire una buona parola in momenti difficile, una battuta distensiva in
un’atmosfera pesante. Gli anni passati al Foyer gli hanno
concesso di godere di un’atmosfera familiare calda e rilassata che lui stesso contribuiva a creare e di intessere
una proficua rete di relazioni
con l’ampio mondo gravitante intorno alla Comunità
montana vai Pellice e ai suoi
servizi sociali.
12
PAG. IV
E Eco Delle Yallì ^desi
VENERDÌ 5 NOVEMBRE 19qq
Il 6 e 7 novembre a Caraglio il noto gruppo di musica occitana
■ ■ M m I /*•
Una gran festa per «Lou Dalfìn
»
La festa dei Lou Dalfin, il
più noto grappo di musica occitana, è ormai diventato per
gli appassionati di questo genere, l’appuntamento classico
dell’autunno. Anche quest’
anno Sergio Berardo e i suoi
musicisti non dimenticheranno il folto pubblico dei loro
fan e li chiameranno a raccolta per un fine settimana di festa con alcune delle voci più
interessanti della musica tradizionale al di qua e al di là
delle Alpi. L’appuntamento,
organizzato in collaborazione
con l’associazione culturale
Marcovaldo, è per sabato 6
novembre e domenica 7 novembre alla Bocciofila di Caraglio. Sabato a partire dalle
ore 22 per tutta la notte si esibiranno il Duo Millien, Dario
e Manuel, Aire d’Oc, Fifre de
Provenga, Lou Serici, Roussinhol, oltre ai Lou Dalfin. La
domenica pomeriggio sarà la
volta del Coro della Cevitou
seguito dalla Tribù Occitana.
A chiudere la due giorni sarà
il grappo dei Rouvert con un
ballo folk per tutti.
Attraverso l’introduzione di
nuovi strumenti presi in prestito dalla musica rock, Berardo e i suoi hanno agito sul
ricco patrimonio di melodie e
di danze delle valli cuneesi,
creando un sound originale
che si è subito imposto anche
al di fuori della Regione e al
di là delle Alpi. L’ingrediente
fondamentale è stata la capacità di dare nuova linfa vitale
a una musica e a una danza
che rischiava di restare per
sempre chiù; .lel ghetto folcloristico de’.,a tradizione.
«La musica cosiddetta popolare - afferma Berardo
»Î
■
deve essere energia e vitalità,
deve essere non solo un momento per accostarsi a una
cultura, ma anche un’occasione per divertirsi. Fino a quando la gente si divertirà ai nostri concerti vorrà dire che la
nostra tradizione non è morta». Fin dai primi Anni 90, i
concerti dei Lou Dalfin sono
diventati un fenomeno sociale
del tutto particolare. Il pubblico, trascinato dall’energia
di Berardo, si lascia coinvolgere in feste che si prolungano per tutta la notte e che vedono accanto alle danze tradizionali il pago più sfrenato.
Alle due serate, oltre ai musicisti delle valli cuneesi, parteciperanno due grappi francesi di notevole interesse: il
Duo Milieni, formato da Dominique Forges e Filippo
Poulet, che propone musica e
canti tradizionali del Nivernais e l’ensemble dei Fifre de
Provenga, venti musicisti che
eseguono musica da strada
della zona di Aubagne. Basano la loro musica sul fifre, un
piccolo flauto traverso di ori
gine militare (primo uso testimoniato nel XV-XVI secolo)
e il tamburin (tamburo rullante). Il repertorio consiste nelle
marce tipiche della più antica
tradizione provenzale. Fra gli
altri, segnaliamo anche Dario
e Manuel, tipico duo formato
da clarinetto e fisarmonica
proveniente dalla valle Vermenagna; gli «Aire d’Oc»,
grappo di recente forniazione
di giovani musicisti provenienti dalle valli cuneesi, e
Lou Seriol, grappo di nuova
musica occitana che ha unito
la musica tradizionale a basi
armonico-ritmiche di stampo
attuale, con influenze del
rock, del raggamuffin e dello
ska. Infine il Coro della Cevitou, una corale formata da
cantori provenienti dall’Alta
valle Grana, i Timbales, ensemble formato da 15 percussionisti che accompagneranno i musicisti occitani mescolando i loro ritmi afro ai ritmi
tradizionali e il ballo con i
Rouvert, gruppo proveniente
dalle valli cuneesi con repertorio tradizionale.
4 novembre, giovedì
BARGE: Al Centro sociale municipale, alle 20,45, conferenza su
«Calvino e la democrazia moderna», con Giorgio Bouchard.
5 novembre, venerdì
PINEROLO: Al teatro Incontro, alle 21, concerto di Aleksander
Lonquich, pianoforte.
TORINO: Alle 18, al Centro teologico, corso Stati Uniti 11 H, incontro su «Ricerca scientifica e problema di Dio», con Walter
Danna, teologo cattolico, e Giovanna Pons, pastora valdese.
6 novembre, sabato
VILLAR PELLICE: Al Castagneto, sabato ore 14,30-19,30 e domenica 9-12 e 14-16 corso musicale con il maestro Sébastian
Korn. Prenotazioni telefoniche entro giovedì 4 tei. 0121-930779.
TORRE PELLICE: Alla biblioteca della Casa valdese, ore 9-13,
e 14-17, giornata di studio su «Educazione linguistica e multimedialità», a cura del Lend. Informazioni e iscrizioni presso il
Collegio valdese, tei. 0121-91260.
CUMIANA: Alle 21,15, nella sala Carena della scuola media, va
in scena «Pensaci Giacomino», di Luigi Pirandello, presentata
dalla compagnia «Il palcoscenico», ingresso lire 12.000.
TORRE PELLICE: Fino a domenica 7, al circolo Mûris, trofeo
«Franco Ricca», gara di bocce, dalle 14.
PINEROLO: Alle 21,15, al teatro Incontro, va in scena «Se a-i lussa ’ncora nòno», commedia brillante in tre atti, con la compagnia
«Gadan artistich band» di Cavallermaggiore. Ingresso lire 15.000,
ridotti 10.000.
VILLAR PELLICE: Alle 21, nel tempio, il Gruppo teatro Angrogna presenta «Fort Village». Ingresso libero.
TORRE PELLICE: Per il «Tacabanda», alle 21,15, nel tempio, il
trio vocale «Ariondela» presenta il nuovo Cd «Beica»
7 novembre, domenica
TORRE PELLICE: Al teatro del Forte, alle 16, per «Domenica
in tre», rassegna di teatro per bambini e genitori, in scena «I burattini», di Daniele Cortesi, con «Arlecchino malato d’amore».
Ingresso lire 6.000.
PINEROLO: Alle 21, al teatro Incontro, concerto per il Concorso
internazionale città di Porto.
8 novembre, lunedì
TORRE PELLICE: Alle 20,45, alla biblioteca del Centro culturale, conversazioni sul libro con un proposta di Alberto Corsani
«Sentieri sotto la neve», di M. Rigoni Stem.
SAN GERMANO: Fiera autunnale.
9 novembre, martedì
CAVOUR: Nell’ambito di «Tuttomele», fiera di San Martino.
TORRE PELLICE: Nella sede dell’Esercito della Salvezza, alle
20,30, riunione pubi’^ su «C’è un’ecologia spirituale?», con il
colonnello Emmanuel Miaglia.
LUSERNA SAN GIOVANNI: Nella sala d’arte del municipio,
alle 21, incontro del circolo culturale «Armonia nel verde».
11 novembre, giovedì
TORRE PELLICE: All’ospedale valdese, dalle 8,30 alle 11,30,
prelievo mensile collettivo per i donatori di sangue.
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non può essere venduto separatamente
Reg. Tribunale di Pinerolo n. 175/60
Resp. ai sensi di legge Piera Egidi
Stampa: La Ghisteriana Mondovì
A dicembre a Frossasco una giornata di preparazione alla sperimentazione della raccolta «Secco/Umido»
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Gli impegni Acea per migliorare l’ambiente
Il piano di organizzazione
studiato per informare i cittadini del nuovo impianto di
smaltimento dei rifiuti che
l’Acea realizzerà nei pressi
del depuratore si è già messo in moto. Già il 4 dicembre, a Frossasco, è prevista
una giornata di manifestazione curata dall’Acea, in
collaborazione con l’Amministrazione comunale. La
giornata, che coinciderà anche con l’inaugurazione
dell’Ecoisola realizzata nel
comune della vai Noce, vuole essere momento di informazione e formazione dei
cittadini che per orimi accederanno alla sperimentazione del metodo di divisione
dei rifiuti in «Secco/Umido».
Il nuovo Sistema di valorizzazione dei rifiuti, infatti,
ha come perno principale
proprio questa suddivisione
a monte, nelle abitazioni e
nelle sedi di attività commerciali e artigianali, cioè
ovunque si producano rifiuti
smaltiti nei casonetti stradali. In pratica, con il nuovo
impianto, ci saranno due tipi
di sacchetto: in uno, rosso
magenta, distribuito gratuitamente dall’Acea, ci dovrà
essere solo la frazione di rifiuti «Umidi», nell’altro tipo
di sacchetto, che potrà essere di qualsiasi genere, si
dovrà gettare il materiale ritenuto «Secco». Nel nuovo
impianto, che secondo le
previsioni dovrebbe essere
attivo entro un paio d’anni, i
sacchetti rosso magenta,
quelli dell’«Umido», subiranno una «digestione» di
tipo aerobico, quindi verranno ulteriormente lavorati per
essere trasformati in compost di qualità. Il termine
«qualità» non è casuale ma
indica un compost che risponde a determinati valori
chimici che conferiscono al
prodotto corrispondenti caratteristiche di fertilità.
I sacchetti contenenti rifiuti di tipo «Secco», invece, subiranno altri processi
stabilizzazione e trasformazione, per giungere infine
alla produzione di un tipo
particolare di combustibile.
Con il nuovo impianto, si
riuscirà a riutilizzare circa il
90 per cento dei rifiuti prodotti dall’intero bacino
Acea, conferendo in discarica, solo più una piccolissima parte di residui, corrispondente aH’incirca al 10
per cento. Ancora una volta
di più è dimostrato il fatto
come i rifiuti possano essere, se gestiti bene, non un
problema ma una risorsa.
Bisogna però scardinare
vecchie abitudini e perfezionare al massimo il sistema, così da rendere ai cittadini l’intera operazione il
più semplice e comoda
possibile. E proprio per «testare» l’operazione e le sue
varie fasi, l’Acea ha messo
in moto la sperimentazione,
che partirà da Frossasco
ma che si allargherà anche
a quartieri cittadini, così da
verificare in pratica tutte gli
eventuali dettagli da perfezionare.
Una nota importante ed
estremamente incoraggiante è la presenza di uno
«sponsor» accanto all’operazione delia «bio-raccolta». L’Acea, infatti, ha come
partner della sperimentazio
ne a Frossasco la Sparea,
l’azienda di Luserna produttrice di acque minerali. La
sponsorizzazione della
Sparea, che non vuole avere carattere commerciale,
ha un significato etico e di
grandissimo valore. Questa
presenza, infatti, rivela che
l’importanza deH’ambiente
e della qualità della vita sono aspetti che oggi anche
l’industria ha a cuore. Ancora più incoraggiante è
percepire questa grande
sensibilità in un’azienda
che produce acque minera
li, una garanzia in più anche per il consumatore.
Il 4 dicembre a Frossasco,
una parte della manifestazione è dedicata ai più giovani con i laboratori di «R...
come rifiuti», un modo accattivante ed estremamente
creativo per dimostrare come i rifiuti possano essere
facilmente riciclabili e riutilizzabili. Quindi, i tecnici Acea
spiegheranno alla popolazione come verrà effettuata
tutta l’operazione e come
occorrerà suddividere i rifiuti., il tutto tra iniziative che
renderanno gradevole l’intera manifestazione. Nei giorni
successivi, altri tecnici distribuiranno nelle case dei frossaschesi le borse di color
rosso magenta, sponsorizzate dalla Sparea, nelle
quali si dovranno gettare i rifiuti della frazione «Umida»
Intanto, proseguono i la"
vori da parte dell’Acea del
Compostatore, ubicano anch’esso nei pressi del Depuratore.
Gli impegni dell’azienda
consortile, però, non si limitano all’Igiene ambientale.
Tanti, sono infatti, le opere
che l’Acea sta portando
avanti per migliorare la
qualità dei servizi e, conseguentemente la qualità della vita dei cittadini. Tra queste, segnaliamo i lavori per
nuovi pozzi di prelievo acqua a Fenestrelle, che consentiranno di aumentare la
portata lungo tutto il bacino
pinerolese.
Con il nuovo impianto Acea per la valorizzazione dei rifiuti «secco/umido», la separazione dei rifiuti sarà a
monte, cioè nelle abitazioni e nelle sedi delle attività commerciali e artigianali dei cittadini residenti nel bacino. A gennaio inizierà a Frossasco una fase sperimentale
Informazione
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Una nuova rete di collegamento tra donne evangeliche a Barcellona
visibilità d«ll« donne del Sud
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al 30 settembre al 3
ottobre, a Barcellona
(Spagna), si è svolto il
primo incontro Fdei sul tema
«Donne del Mediterraneo. Visibilità delle donne». L’incontro,
la cui importanza storica è inutile sottolineare, ha avuto luogo nella splendida cornice del
Seminario salesiano ed è iniziato nella serata di giovedì
con una riflessione a cura di
chi scrive queste note, rappresentante Fgei e, da circa un
anno, ponte di collegamento
fra le due federazioni, conclusasi con la lettura di Romani 8,
18-21 e il messaggio di speranza del regno di Dio, e con
la presentazione del programma da parte della presidente
Fdei, Doriana Giudici. Subito
dopo, Manuelita Fuentes,
membro del Cec, dando il benvenuto, ha raccontato che da
25 anni si svolgono incontri
tra le comunità della Spagna e
del Portogallo e ha informato
che il Cec si è impegnato per i
prossimi 10 anni in un progetto di sradicamento della violenza contro le donne.
H convegno, partecipato deille donne battiste, luterane, metodiste e valdesi d’Italia ha
ospitato anche Monique Ranson, coordinatrice della Cepple, e la signora Noyer, membro della Cevaa (ora «Comunità
delle chiese in missione» che
raccoglie 47 chiese in 22 paesi) che, porgendo il loro saluto,
hanno presentato il lavoro delle suddette organizzazioni.
Nella mattinata del 1- ottobre, dopo la meditazione iniziale curata dalle sorelle valdesi, Karola Stobaeus ha condotto un coinvolgente percorso
biblico alla scoperta della presenza femminile negli Atti e
nelle lettere di Paolo: così, dopo aver ricordato e contato
trenta diverse presenze, alcune
soltanto accennate e altre più
importanti, Stobaeus ha letto
una possibile lettera di risposta
inviata da Apfia e Ninfa al’apostolo Paolo che consigliava loro di tacere nelle assemblee e di portare il capo coperto. L’iniziativa è così piaciuta
che si è pensato di scrivere altre lettere di risposta a quel
Paolo che ci è un po’ antipatico nelle quali raccontare le nostre storie.
A questo ha fatto seguito
uno studio sulla presenza delle
donne nella storia, curato da
Bruna Peyrot. Il percorso storico si è soffermato sulle donne
ugonotte, prime a reagire alla
soppressione del culto protestante: infatti, in seguito al1 editto di re Sole (1685), ospitarono nelle proprie case i momenti di culto e preghiera diventando esse stesse profetesse. Se scoperte, venivano arrestate e rinchiuse nella torre di
Costanza, la più terribile, dalla
quale era possibile uscire solo
se si abiurava o se si pagava
'4na cauzione sempre molto
costosa.
Nel mondo protestante queste storie e tante altre sono
tutte da riscoprire e valorizzare
senza timore di cadere nella
santificazione di donne eccezionali, coraggiose e protagoniste della nostra storia. Certo
è anche necessaria l’attualizzazione c la scoperta del nostro
presente e della nostra quotidianità: è anche per questo
che la Fcei ha finanziato il libro-testimonianza «Voci di
donne».
, Nel pomeriggio, dopo la visione di un video relativo all’incontro di Harare, si è svolta
una tavola rotonda con quattro
nonne (di cui una moto giovale) impegnate politicamente
nella Catalogna. Dai loro interdenti è emerso che le leggi
non sono discriminanti per le
onne, lo è invece la pratica
fatta di violenze quotidiane (nel
1997 in Spagna sono morte
115 donne uccise dai propri
mariti); a questo si aggiungono
i mezzi di comunicazione che
ne danno notizia senza serietà,
tentando di commuovere
quando invece bisognerebbe
elaborare un vero e proprio
codice etico.
Nella mattina del sabato si
è potuto finalmente apprezzare la ricca bellezza della città
ospitante e, anche se molto
velocemente, soprattutto alcuni dei capolavori dell’architetto
Gaudi (il parco Guell, la Sagrada Familia) e il Barrio gotico. 11
primo pomeriggio è stato dedicato a tre testimonianze: la sorella Lacher, referente delle
donne luterane in Italia, ha illustrato in una relazione schematica la situazione delle donne immigrate per matrimonio,
Sabrina Bertin e chi scrive
queste note hanno raccontato
i loro problemi nella comunità
e nella società, le loro aspettative e i loro sogni di giovani
donne protestanti rispettivamente del Sud e del Nord Italia; vivace il seppur breve dibattito che è seguito.
Nel tardo pomeriggio i lavori
sono ripresi con la meditazione della past. Gabriela Lio su II
Re li, 22-24 e quindi sul coraggio della profetessa Huida.
Di seguito c’è stato il momento dedicato alla testimonianza
di due catalane: la sorella Ortega, unica professoressa di filosofia all’università protestante
che, visibilmente commossa e
rattristata, ha raccontato alcuni
spiacevoli episodi vissuti personalmente anche in facoltà, descrivendo la situazione delle
donne nella società spagnola e
M II recupero della fede delle donne
Donne dell'Earopo
R
il peccato che tutte le comunità evangeliche commettono
non rispettando le donne,
creature di Dio; la pastora Gutierrez, una delle pochissime
battiste (se non l’unica) sposata
con un pastore, che per tale
motivo ha dovuto affrontare e
tuttora affronta difficoltà per
affermare il principio di libertà
e di uguaglianza per le donne.
Con la partecipazione in diverse chiese ospitanti al culto
della domenica mattina (questa
volta il tutto è avvenuto in lingua catalana e senza traduzione) il convegno si è concluso;
aperta è, invece, la rete di col
legamento tra le donne italiane
e quelle catalane che da questo
incontro in poi avrà modo di
espandersi e crescere, così come tutte noi speriamo e crediamo di crescere insieme con
quelle sorelle che ora stanno
iniziando il loro percorso evangelico di proclamazione del regno di Dio nelle loro comunità
imperdonabilmente sorde all’insegnamento di accoglienza,
di pace e di giustizia di Gesù, e
nella società quasi sempre impreparata a valorizzare la ricchezza della diversità di genere.
Virginia Mariani
¡corre spesso, nei discorsi delle donne, una
parola facile a dirsi e
difficile a realizzarsi: visibilità.
Il suo significato ricorda il viso,
sede degli occhi, organi che
sembrano comunicare direttamente ciò che è dentro di noi.
Il volto però non riassume tutta la persona, anche se lì risiedono molti organi di senso
che mettono in rapporto con
la realtà. Dal viso, per conoscere una persona dobbiamo
scendere al suo corpo complessivo, che ne tratteggia la
figura nello spazio e nel tempo e che definisce, come direbbe Roland Barthes, la sua
«aria... come supplemento intrattabile dell’identità» (La camera chiara, Torino, Einzaidi,
1980, p. 108).
Per rendere visibile cioè riconoscibile qualcosa o qualcuno
dobbiamo, insomma, poterlo
fotografare, scendendo dal volto o da qualche carattere appena annunciato per ricomporne
il corpo intero. I volti hanno bisogno di corpi. Ogni corpo ha
il suo volto. Così f»er le donne.
Per fotografarle nei loro compiti, nei loro gesti quotidiani,
nelle loro opere da sole o in
tante, bisogna ricomporle, dare
loro volti, corpi e infine nomi.
Esse vanno tratte dall’anonimato e dall’anomia. Dall’anonimato che le definisce con termini
generici: le donne; o come
molti esempi anche biblici insegnano: le vedove (Atti 6: wl7) che rumoreggiano; le madri,
le figlie ecc. In che modo allora
recuperarle alla storia? Sia nel
presente che nel passato e anche nell’incrocio di queste due
temporalità, le donne recuperano il proprio nome attraverso il racconto di sé. Sia scritto
in solitudine che narrato ad al
Una donna credente nella società e nella chiesa di oggi
Cina forte identità evangeiico
S
ono una ragazza di ventun’anni e sono iscritta
all’Università di Torino.
In qualità di giovane donna, mi
è stato chiesto di partecipare
al congressi di Barcellona e di
portare la mia testimonianza
riguardo il rapporto fra la donna di oggi e la società (in particolare il mondo del lavoro) e il
fapporto fra donna e comunità
cristiana. Per quanto riguarda
le mie esperienze nel campo
lavorativo, esse sono chiaramente limitate: innanzitutto la
mia situazione mi permette di
concentrarmi solamente su
problematiche e aspettative riguardanti il mondo dello studio
e poi, anche su questo fronte,
ciò che sto per dire è chiaramente circoscritto alla condizione italiana e, in particolare
del Nord del mio paese.
La mia pur breve esperienza
mi ha portato a confrontarmi
con un crescente disagio causato dai problemi di trovare
un’occupazione e di adattarsi a
condizioni lavorative sempre
meno stabili. A noi giovani oggi viene richiesta una preparazione più avanzata e specializzata che necessita, nella maggior parte dei casi, di un istruzione scolastica via via maggiore. Il rischio che corriamo noi
giovani è quello di studiare fino
all’età di 25-28 anni, vivendo
sulle spalle dei nostri genitori,
senza raggiungere la sicurezza
che un domani potremo trovare un impiego stabile che ci dia
la possibilità di mettere in preh"
ca ciò che impariamo dai libri.
Un altro aspetto dell’argomento su cui vorrei ancora focalizzare l’attenzione è che il
disagio, le difficoltà e il disadattamento descritti, possono es
sere estesi dalla mia condizione alla condizione della maggior parte dei giovani che hanno all’incirca la mia età, siano
essi uomini o donne: personalmente credo che il problema
della disoccupazione sia così
generalizzato da non poter più
delineare un netto confine fra
una situazione lavorativa al
maschile (considerata da molti
la situazione privilegiata) e una
al femminile...
Il secondo punto del mio intervento riguarda il mio personale rapporto con la mia comunità, con la «vita di chiesa».
Mi sembra opportuno premettere che io appartengo alla
Chiesa valdese e, in particolare, provengo da una piccola
comunità della vai Pellice, considerata la «culla» italiana del
protestantesimo. In generale,
nell’ambito della nostra comunità il ruolo femminile è molto
attivo e non si manifesta solamente nello svolgimento di
mansioni solitamente affidate
alle donne (per esempio
l’Unione femminile o i pranzi
comunitari), ma anche in altri
ambiti considerati di maggiore
responsabilità, come per esempio il Concistoro. Pertanto, a differenza di ciò che accadeva negli anni passati o di
ciò che ancora accade in altre
realtà del mio paese, l’impegno femminile costituisce un
importantissimo punto di forza
su cui poggia la nostra chiesa.
Per quanto riguarda più da
vicino la situazione giovanile,
essa si presenta abbastanza difficile: sono evidenti le difficoltà
che si riscontrano nell’awicinare i giovani alla vita della comunità una volta che terminano il loro percorso di formazio
ne del catechismo. Personalmente io appartengo, sotto
certi aspetti, a quella fascia di
giovani che si avvicinano con
«reticenza» alle attività di chiesa: infatti non partecipo assiduamente alle attività solitamente intraprese dai più giovani (non faccio la monitrice, non
frequento il gruppo giovani...),
forse per mancanza di stimoli o
semplicemente per carattere.
Tuttavia, avvicinandomi a piccoli passi alla vita della chiesa,
mi accorgo come gli approcci
per tentare questo avvicinamento possano essere molteplici e come non esista un unico percorso obbligato che ti
permetta di manifestare la tua
fede in Dio in mezzo agli altri.
Un punto secondo me molto
importante dell’appartenere a
una comunità, e in particolare
a una comunità valdese, è la
coscienza della propria identità
e di conseguenza anche del
passato della minoranza a cui
si appartiene. Ritengo infatti
che non si possa dimenticare
ciò che è successo alle nostre
spalle, cercando cosi di mante
nere vivo l’esempio di fede che
ci è stato dato da un popolo in
grado di combattere per secoli
contro un nemico più potente
di lui, nel nome della fede del
Signore.
Penso che sia giusto che come io ho potuto conoscere le
testimonianze storiche del mio
popolo grazie alla mia famiglia
e alla mia chiesa, così anche le
generazioni future possano godere della mia stessa opportunità. Perciò uno dei compiti di
noi giovani dovrebbe essere
quello di continuare a raccogliere, custodire e in futuro trasmettere tali testimonianze.
Non solo, ma credo che questo
compito debba essere assolto
prima di tutto dalle donne vaidesi, così come hanno fatto le
nostre antenate, indiscusse
protagoniste di una solida trasmissione orale di tutto ciò che
ha contribuito a fare di noi il
popolo che siamo oggi e, proprio sulla base di questo ricordo, prendere coscienza della
nostra identità odierna e rafforzare la nostra fede nel Signore.
Sabrina Bertin
II quaderno «Oltre il silenzio» sulla violenza contro le
donne, realizzato dalla Fcei
e dalla Fdei e presentato
allo scorso Sinodo, si è subito esaurito, ma è già stato ristampato.
Costa 5.000 lire e può
essere richiesto a Daniela
Ferrare, via S. Pio V, 15 10125 Torino oppure inviando un fax al n. 011 657542.
tre o altri, sia detto con i propri manufatti, sia tramandato
nell’opera di cura dei propri
amati, il racconto di sé impone
una memoria che ricuce ciò
che era spezzato. Un racconto
ha bisogno di un inizio e di una
fine, di una trama, di una morale o meglio di un messaggio,
di alcuni valori da tramandare,
di alcuni saperi da passare. E
tutto questo avviene soltanto
dentro una relazione e al centro di queste relazioni, là dove
matura il suo nocciolo più cosciente c’è sempre una donna.
Solo che non si sa, non si dice
abbastanza, si finge che non
sia, si mente che ci sia e così
vìa. Perché disturba, in fondo
in fondo, questa vabrizzazione
del femminile creativo, produttivo, pieno di energia e voglia
di stare al mondo. Anzi, soprattutto se il mondo lo si vuole cambiare scatta il silenzio,
perché sarebbe un vero cambiamento non una semplice ribellione, il riconoscere tutto
questo. Eppure la storia è piena dì esempi in cui le donne
hanno cambiato, anche prima
delle grandi correnti di emancipazionismo anglosassone, la
scena politica.
Le ugonotte francesi del Settecento sono forse l’esempio
più vistoso di una fxesa di coscienza individuale, come singeda, anche se non detta con il
linguaggio delle donne. Fu un
passo importante partecipare
alle assemblées du Désert da
«scie» e, soprattutto essere punite da «sole». La loro resistenza nella Torre di Costanza, nei
conventi, nelle famiglie dove si
controinformava biblicamente i
propri figli obbligati al catechismo cattolico fu una sfida di
massa al re Sole. Da «sole»
contro il re Sole! Questa pagina di storia protestante, scritta
da uomini e donne insieme, in
realtà, se ben la si medita, fu
un passo importante nel riconoscimento del singolo che subito dopo, con la Rivoluzione
francese, pretese il diritto del
singolo e contemporaneamente le emancipazioniste proposero come singola donna.
Tutto questo cammino è
condito di fede e di cultura protestante che oggi, nella riscoperta comune di una storia europea bisognerebbe dire a
chiare lettere. Non possiamo
lasciare scrivere una storia europea, che in molti hanno già
cominciato a scrivere a tanti livelli, senza sottolineare l’humus protestante. La coscienza
dell’Europa infatti ha una radice fondamentale proprio in
quella prima emigrazione oltre
confine verso i Réfuges «europei» del Settecento, nati dopo
la Revoca dell’Editto di Nantes
(1685) in Francia. Luoghi di
accoglienza, di dibattito, di circolazione di idee oltre che di
solidarietà e di strategia di riconquista al culto protestante
della terra francese. E, credo,
non si è ancora studiato abbastanza come proprio quell’
esperienza abbia cambiato i costumi, lo stile di vita fra uomini
e donne; di come, in altre parole, l’identità protestante abbia strutturato i sentimenti,
dall’amicizia all’amore, dal dolore all’idea e alla pratica della
libertà, non solo intesa come
proclamazione di diritti ma stile
di vita quotidiano o, potremmo
dire, mondano. A questo proposito si potrebbero fare molti
esempi, non ultimo l’interesse
per il recupero di un filone che
ha coinvolto, certo non solo,
molte donne: quello profetico,
dalle ugonotte'alle risvegliate,
dalle quacchere alle pentecostali e così via. 1 modi di comunicare la fede possono portare
un’impronta femminile, anzi
più questa mpronta è legata alle donne, più la storiografia
l’ha cancellata.
Bruna Peyrot
14
PUG. IV
■"'■ A Città del Capo si è svolto il Congresso della Gmp
A Zurigo, il Forum di cento donne cristiane
La pace in Sad fifrica
I
n questi anni passati a lavorare per organizzare il
Comitato nazionale della
Giornata mondiale di preghiera
(Gmp), molte sono state le incertezze, le perplessità e le domande che ci siamo poste. Siamo partite dal nulla: infatti la
sola informazione disponibile è
stata il resoconto del congresso
internazionale svoltosi a Melbourne quattro anni fa; nell’aprile scorso a Città del Capo
abbiamo partecipato all’ultimo
congresso interessante sotto
molti punti di vista, il cui tema
era «In Cristo tutti fratelli e sorelle nella riconciliazione». Termini come «riconciliarsi» e «riconciliazione» tra fedi, tra uomo e donna, tra popoli, sono
diventate parole d’ordine del
nostro secolo, ma ho imparato
che è fin troppo facile parlarne
vivendo in un paese dove non
esistono forti tensioni. Com’è
possibile parlare di riconciliazione tra due etnie di uno stesso paese quando sia il potere
politico che religioso hanno un
odio razziale e culturale, quando una parte della società
schiaccia e sottomette l’altra
facendola vivere nella povertà
più assoluta?
Entrando in Città del Capo,
dall’aeroporto ho visto i ghetti
della popolazione di colore: recinti di filo spinato circondano
un’area enorme dove vivono
circa 20-30.000 persone in
baracche fatiscenti, senza acqua ed elettricità, con scarsi
servizi igienici. AH’interno di
questi campi esistono scuole,
ma è difficile trovare insegnanti che accettino di lavorarvi.
L’immigrazione da altri paesi
africani è arrivata a livelli tali
che in confronto la nostra è irrisoria; la delinquenza è molto
alta, J’Aids uccide i giovani e
lascia degli orfani, purtroppo
spesso sieropositivi. Oggi i recinti non sono più chiusi, nelle
garitte non c’è più la polizia
armata pronta a sparare e la
gente è libera di entrare e uscire, ma il senso di oppressione
non è ancora sparito.
Ci hanno parlato del lavoro
enorme che viene svolto congiuntamente da bianchi e neri,
in modo particolare tra i giovani, per estirpare quell’odio che
è stato seminato per anni: integrazione delle scuole, borse
di studio per i più indigenti,
corali integrate, riscoperta delle tradizioni africane. Ho partecipato al culto in una chiesa
per soli bianchi, una comunità
moderna di circa 1.500 persone, 400 giovani tra scuola domenicale e catechismo, tre culti ogni domenica tenuti in «africaan», la lingua dei boeri. Ho
sentito la speranza di molti e la
volontà di vivere insieme come
un unico popolo nel canto di
una corale, composta da 84
giovani, che da un anno si ritrovano per portare, attraverso
i concerti, il seme della riconciliazione.
La televisione ci propone
quotidianamente le immagini
dei contrasti feroci, dei conflitti
del mondo, ma sentirne parlare da chi li vive e cerca di combatterli ti dà un senso di impotenza. Sorelle palestinesi e
israelite, croate e serbe, indiane e del Bangladesh ci hanno
parlato delle violenze che ogni
giorno vengono perpetrate nei
loro paesi, ma nello stesso
tempo ci hanno portato la loro
speranza e la richiesta di pregare per essi.
Ho visto che le collette hanno destinazioni diverse e ogni
comitato è libero di decidere
dove destinarli; sono pochi
quelli che normalmente scelgono il paese della liturgia, a meno che non vi siano casi particolari. La Gran Bretagna e la
Svezia, per esempio, da anni li
destinano alla Società biblica
perché lavora per l’evangelizzazione in tutto il mondo.
Elezione del Consiglio
Il nuovo Consiglio internazionale è stato eletto durante
l’incontro; la procedura è abbastanza complicata. Durante
una delle riunioni per regione
vengono elette due persone
che la rappresentino all’interno del Consiglio. Le delegate
devono appartenere a due denominazioni diverse ed essere
presentate da due paesi diversi. Nel corso della nuova plenaria verranno elette la presidente, la tesoriera e saranno
approvate le candidature regionali tenendo conto che tutte le denominazioni devono essere rappresentate all’interno
del Consiglio. In caso contrario avverrà un’ulteriore elezione solo per la denominazione
mancante. Le nostre rappresentanti sono: Inge-Lise Lollike, una giovane danese che
entra per la prima volta a far
parte del Comitato internazionale e Alena Naimanova, più
esperta, perché già nel Consiglio, che vive a Praga.
Per la scelta dei paesi che
prepareranno le future liturgie,
una commissione nominata
all’inizio del congresso prende
nota dei paesi che si offrono,
dei temi suggeriti e dei testi e,
secondo un criterio da loro deciso, formeranno un «puzzle»
di tutto il materiale a loro disposizione: anche noi ci eravamo offerte volontarie e avevamo proposto il tema e i relativi
testi. Nei prossimi dieci anni ritroverete, ma con un significato un po’ diverso, con solo due
dei testi proposti; gli altri li studieremo in altri contesti. 1 paesi che lavoreranno sulla liturgia
dal 2002 al 2006 saranno Li
bano. Panama, Polonia, il Sud
Africa e il Paraguay.
Quando leggerete queste righe la liturgia dovrebbe essere
già stampata e pronta è per la
spedizione, ma allora sorgerà
un grosso problema. A chi
spedirla? Ogni denominazione
dovrà pensare a spedire il materiale alle sue Unioni? Questo
comporta un notevole dispendio di denaro e di tempo perché in quasi tutte le città le
Unioni o i gruppi femminili si
riuniscono per quella giornata.
Avevamo proposto di formare
dei gruppi locali, o di più centri e di indicarci il nome di una
responsabile che si tenesse in
contatto con noi. Per il momento abbiamo solo due o tre
nominativi.
Ci era stato anche suggerito
di continuare a utilizzare la liturgia tradotta in Svizzera o in
Germania. Almeno per quest’
anno, abbiamo voluto tradurre
tutto il materiale che arriva dagli Stati Uniti, non per un capriccio ma perché riteniamo
che sia molto importante che
tutto il lavoro fatto dalle sorelle
che preparano la liturgia venga
studiato e utilizzato anche in
altre occasioni; non sempre
questo materiale è vicino al
nostro modo di pensare. Spesso il gruppo che prepara la liturgia, sia localmente che a livello nazionale, riscrive alcuni
pezzi e li adatta alla realtà in
cui vive. La Gmp non deve
concludersi dopo il culto, ma
continuare nel tempo. Non so
quante hanno notato che da
quattro anni è stata tolta la frase «delle donne»; oggi la Gmp
non è soltanto «delle donne»,
ma è un momento di preghiera per tutti. A tutte quante auguriamo un buon lavoro.
Cina speranza per il fataro
«S
Lidia Ribet
aiuti da Novi Sad,
dove il Danubio
scorre sopra i ponti». È il retro di una cartolina
che mostra in primo piano un
ponte distrutto dai bombardaménti, portata da alcune donne provenienti da Novi Sad.
Costruire i ponti tra le donne, creare una alternativa alla
violenza e alla distruzione è
stato l’intento primario della
conferenza estiva che si è svolta a Boldern, nei pressi di Zurigo, dal 7 al 14 agosto, organizzata dal Forum europeo
delle donne cristiane, dal Sinodo delle donne europee, in
collabora^ne con il seminario
di Boldern.
«Computer, cows and women’s business» è stato il tema
attorno al quale più di cento
donne provenienti da 26 paesi
diversi si sono confrontate, alla ricerca di un’economia che
tenga conto dei bisogni effettivi delle persone e non solo di
quelli del mercato. Simbolo e
«mascotte» della settimana,
presente anche nel titolo della
conferenza, è stata una mucca, risorsa fondamentale dell’economia di molti paesi ma
anche vittima di un sistema di
produzione al servizio non della vita ma del mercato: l’esempio della «mucca pazza» o, se
vogliamo, «mucca morta» è significativo.
Diversi sono stati gli interventi da parte di économiste,
filosofe, teologhe, sociologhe,
che hanno sottolineato l’importanza di rifondare un approccio all’economia a partire
dal proprio contesto e dalla
consapevolezza che la qualità
della vita non può essere misurata esclusivamente in base alla crescita della produzione,
ma comprende una fitta rete di
relazioni interpersonali e di bisogni da soddisfare: libertà.
giustizia, salvaguardia e cura
dell’ambiente.
Il lavoro quotidiano delle
donne, pagato o no, non è
neutro, è parte dell’economia;
per questo è importante essere
presenti a partire da una nuova definizione di sé nel proprio
contesto e del linguaggio stesso dell’economia. Prevenzione
invece che economia dello
spreco, cooperazione invece
che competizione, protezione,
condivisione: sono alcune idee
per una economia di «sostegno», scaturite dalla ricerca
femminista di un approccio
economico alternativo.
Tra i contributi più significativi, Vandana Shiva, da Nuova
Delhi, cofondatrice del gruppo
«Donne per la diversità», scienziata del «Research foundation
for economy and ecology», ha
offerto un efficace anello di
congiunzione tra la situazione
europea e quella mondiale. In
India tutte le associazioni democratiche di donne hanno
sottoscritto la «Carta delle donne per i diritti alimentari», sostenendo il diritto e il dovere
alla protezione dei più deboli, il
principio del dono e della condivisione, il diritto di accedere
ai beni necessari alla vita, il
principio della diversità, la decentralizzazione dell’economia.
Termine chiave che ha guidato la nostra riflessione durante la settimana è stato «to
flourish», che possiamo tradurre con «rendere fecondo», «far
prosperare». Che cosa significa, per le donne, rendere concreto questo termine e quale
può essere il contributo della
teologia in questo senso, in un
mondo caratterizzato dalle
conseguenze di un capitalismo
incontrollato e da una lunga
storia di patriarcato che la teologia femminista degli ultimi
trent’anni ha cercato di scopri
DICONO DI NOI
Il rogo della violenza. Il calore della pace
I
sapere femminile è trasversale a molti altri saperi. Non
si tratta solo di libri, conferenze, provocazioni a pensare.
C’è tutto un risvolto giuridico
che riguarda le pari opportunità
che, qua e là, garantisce alle
donne nuovi spazi di crescita e
affermazione. E c’è anche un
arte che, in qualche modo, esprime lo sguardo della donna
sul mondo che non si posa semplicemente dalla parte dei vinti
o dei vincitori ma vede e indica valori più
alti, ricchi di umanità e sensibilità.
Questa è l’impressione che ho ricavato, osservando il monumento ai valdesi di
Steyr. Nell’Alta Austria, non lontano da
Linz, in una stupenda cittadina storica
austriaca, non distrutta dalla guerra, con
una grande piazza medioevale sulla quale
si affacciano le antiche facciate colorate
delle case degli artigiani e dei borghesi
del tempo, e dove seicento anni fa furono arsi sul rogo oltre 100 valdesi. Il processo inquisitoriale, animato dall’infaticabile inquisitore Pieter Zwicker, frate celestino, condannò nel 1397 almeno 1.000
eretici valdesi. Quel rogo è ormai parte
costitutiva della memoria storica di quest’antica cittadina austriaca.
E tutto questo grazie anche alla realizzazione di un monumento, dedicato a quel
tragico evento, sviluppato in due elementi
distinti. Da ùn lato una torcia umana composta da numerosi volti di uomini e donne
che finiscono all’apice in una fiamma che
sale alta verso il cielo. Volti drammatici,
su ognuno di essi è stampata una maschera di dolore trascesa da una forza spirituale. Sono i cento che non hanno abiurato
per «rimanere fedeli sino alla inorte». Bruciati come 6 secoli dopo saranno bruciati
gli ebrei, gli zingari, i comunisti, le prostitute, gli omosessuali, i criminali comuni
nel ex lager nazista di Mauthausen, lontano da Steyr solo una manciata di chilometri. Accanto a questa torcia umana, di singolare drammaticità, è rappresentata una
figura di donna che tende verso l’alto le
sua braccia come ad invocare un aiuto
estremo dall’alto. Le braccia di questa figura femminile ripercorrono le linee direttrici di questo insieme monumentale che,
colto nella complessità, ci ricorda la geometria di un pentagono le cui linee di
energia umana, di vita e di atroce sofferenza, si intersecano e si rincorrono.
Ho chiesto all’artista Albert Brandstoctter perché abbia voluto rappresentare la
pace e la tolleranza con una figura femminile. «Essa non è una dea che possa risolvere i problemi della violenza umana
con un tocco di bacchetta magica. È una
donna che soffre ma che non si rassegna.
È portatrice di vita, di speranza in un
tempo in Cui la vita poteva essere distrut
ta dissentendo da alcune verità
dogmatiche. Quella donna è
una madre, una sorella, una
resistente. Anche nèirinfemo
più atroce può rinascere una
speranza che indica, anche per
il futuro, un cammirio diverso.
Questa indicazione la offre una
donna. Aj;iche storicamente
rinquisizione, le croGiate i processi farsa contro gli eretici
I esprimevano una violenza tutta
------ ’ al maschile».
Non c’è quasi nulla in Europa che plasticamente e con immediatezza ci ricordi
la diaspora del valdismo medievale e che
possa aiutarci a riflettere concretamente
sulla riconciliazione delle memorie. Chi
restituirà quelle vittime? Quei morti di
Steyr? Quel rogo afferma che occorre ricordare per non ricadere nel tempo buio
dell’autodistruzione. Ma se ci fosse solo
quel rogo saremmo solo al «deja-vu». Saremmo di fronte, una volta di più, agli erróri e orrori dell'umanità. C’è qui invece
accanto a questo inferno di fede e dì disperazione la figura leggera di una giovane donna che ha il coraggio di guardare e
andare oltre. Ella vede i nuovi cieli e la
nuova terra, come un traguardo atteso da
raggiungere non con il fuoco della violenza ma con l’amore e la tolleranza.
Sarebbe magnifico se questo monumento così femminile potesse in qualche modo
essere portato in Italia, (l’artista è disponibile a riprodurlo) come memoria di ciò che
è stata la tragedia della riforma della chiesa nel medioevo in Europa. E qui, potremmo continuare a ragionare, soprattutto
con le giovani generazioni, sulle nostre responsabilità storiche e sul valore deüa nonviolenza e del sapere femminile... L’arte,
purché non diventi un idolo, è pur sempre
il linguaggio più alto per esprimere la fede. E anche il più coinvolgente per la varietà di interpretazioni e letture che di quel
manufatto si possono dare.
Giuseppe Platone
re e svelare? La teologa ing|e.
se Mary Grey, attraverso la lej!
tura di testi biblici e di bran'
letterari di vario genere, dalla
poesia al racconto di fanta.
scienza, ha sottolineato riu,.
portanza del «rendere fecondo/a», di una pienezza di vita
che non significa solo essere in
armonia con il creato, ma anche situarci nel tempo e nello
spazio, con la nostra storia la
nostra memoria, la nostra
identità. «Abbiamo bisognodice Mary Grey - di una spiritualità che sia protesta e resistenza nei confronti di un sistema che impedisce l’accoglienza, che rende impossibile la
pratica dell’ospitalità, immagine chiave non solo per molte
culture ma anche per le chiese
che si pongono come comunità profetica. Possiamo trovare nel concetto ebraico di
“shalom” il senso profondo del
“rendere fecondo/a" giustizia
e grazia, pace celebrata nel
profondo del cuore, gioia e
speranza per il futuro».
E emersa l’esigenza di una
sempre maggiore partecipazione delle donne del Sud e
dell’Est Europa nei comitati internazionali. Per la preparazione del secondo Sinodo delle
donne europee, appuntamento che nel 1996 ha riunito in
Austria più di mille donne attorno al tema dello sbarramento delle frontiere e dei razzismi, è stata richiesta una presenza da parte della Fdei. Si
tratta di un’occasione importante, in cui la Federazione
può condividere e confrontare
il proprio lavoro e i propri progetti con quelli di altre donne,
in una rete di collegamenti che
possa davvero costruire dei
ponti di solidarietà e di speranza contro ogni violenza e solitudine.
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componenti del
Comitato
nazionale Fdei
Doriana Giudici
presidente
via del Casaletto 385
00151 Roma
Emera Napoletano
vicepresidente
via Croce Rossa 34
90144 Palermo
Maria Grazia Sbaffi
segretaria
via Racagni 24
43100 Parma
Marina Bertin
tesoriera
via Olivet 12
10062 Luserna S.Giovarmi (To)
c.c.p. n, 36083103
Daniela Manfrini
via Cosimo del Fante 14
20122 Milano
Elena Chines
via Casalaina 32
95126 Catania
Angele Ralalanirainy
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00194 Roma
Lidia Ribet
responsabile per la GMP
via IV Novembre 107
00187 Roma
Daniela Ferrare
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Viaggio in Argentina e Uruguay, terre di emigrazione anche per i valdesi
Una «cooperativa» teologica e ecclesiologica
La Facoltà evangelica di teologia di Buenos Aires è costituita da ben nove
chiese protestanti. La formazione del corpo pastorale valdese del Rio de la Piata
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rSEDET, una sigla per indiche la Facoltà di teologia
•Ugelica di Buenos Aires,
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h estudios teológicos, costiMtosi all’inizio degli Anni 70
con U concorso di ben nove
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¡auella valdese. Isedet come
I cooperativa teologica e ecclei àologica {chiese di tradizione
I luterana, presbiteriana, riformata, anglicana, metodista,
'valdese, discepoli di Cristo),
l'unico luogo di formazione
universitaria protestante per
I l'Argendna e l’Uruguay. Questa complessità fa sì che
l’Istituto sia governato da un
' rettore (attualmente il prof.
René Krüger), da un decano
¡Rptof. Pablo Andiñach ) e da
un Consiglio di facoltà presieduto dal pastore Hugo
Malan (Rosario).
' Qui i ritmi sono dettati dalla realtà latinoamericana:
l’accesso alla biblioteca è
normalmente alle ore 11,
. mentre le lezioni iniziano alle
18.11 fatto che le lezioni siano
‘ serali è determinato dalla si' tuazione di tutti gli studenti i
, quali hanno bisogno di lavorare per poter studiare. Un
esempio: Brian Tron, studente valdese, lavora dalle 7 alle
111 svolgendo servizi di pulizia
( nell’istituto e riceve una mezza borsa di studio dalla chiesa. Vive non lontano dalla Facoltà con la moglie (anch’essa
studentessa in teologia) e due
I bambini. Il ritmo della vita,
gli orari, l’organizzazione della^ornata sono molto diversi
rispetto ai nostri.
¿’Isedet possiede un’ottima biblioteca che si ingrandisce ogni anno e che avrà presto dei problemi di spazio. A
motivo della precaria situazione finanziaria l’Isedet ha
dovuto affittare uno dei due
edifici che erano a sua disposizione e metterlo a reddito;
si sta provvedendo ora a recuperare altri spazi nell’inter"0 del giardino per l’accoglienza (professori, ospiti,
ecc.). Una misura assai dolorosa (e per quanto ho capito,
un grave errore) è stata la
soppressione del dipartimento di musica coordinato dal
prof. Delmo Rostan, un dipartimento assai frequentato
c che rilasciava dei diplomi
ambiti da molti studenti che
provenivano da diversi paesi
latinoamericani, un prezioso
contatto andato perso.
Parallelamente al corso di
tormazione per i futuri pallori e che richiede la frequenza obbligatoria, in questi ultimi anni risedei ha istitoito un programma di fortoazione teologica a distanza, Curso de capacitatión ministerial (Educab), con un
coordinatore a pieno tempo
c con il coinvolgimento del
j^prpo docente dell’Isedet.
obiettivo di questo corso di
orazione teologica è in
perfetta sintonia con il nostro
.orso di diploma in teologia:
|,Pri corso di formazione
I ouercizio dei ministeri nelchiesa, per laici («non è
Programmato - si precisa cph ohe intendono acnat 0 un ministero ordi‘uro nella chiesa»). Anche le
odalità dello studio sono
<Zdto
l^adio
abbonamenti
interno l iq.OOO
L. 20.000
genitore L. 20.000
La preparazione di un tradizionaie asado
(foto A. Boario)
vicine alle nostre: studio personale con materiale fornito
dall’Isedet, lavori pratici, colloqui e riunioni di gruppo.
Il corso è articolato in 12
materie obbligatorie e brevi
incontri seminariali concernenti l’animazione, la liturgia, la comunicazione, la pastorale. Tutte le materie fanno riferimento a quattro «dipartimenti» fondamentali:
Bibbia (introduzione e studio
del testo biblico, interpretazione, messaggio dell’Antico
e Nuovo Testamento), storia
e teologia sistematica (contesto storico della chiesa, storia
della chiesa cristiana, contenuti della fede, etica), correlazione (la realtà dell’America Latina, chiesa, persona e
società, correlazione con altre scienze, psicologia, sociologia), teologia pratica (missione e ministeri, dinamica di
gruppo). Per ogni materia vi è
un manuale appositamente
programmato (con esercizi
pratici) e gli studenti sono seguiti nel loro studio da tutori
che sono normalmente pastori nelle diverse aree di presenza. Il compito dei tutori è
anche di favorire la formazione di gruppi di studio sotto la
loro guida: gli esami e le verifiche parziali sono sotto la
diretta responsabilità dei tutori. Le valutazioni vengono
inviate alla segreteria dell’Educab per una valutazione
finale con la supervisione di
un docente delTIsedet. Tenendo conto delle distanze e
della dispersione, si prevede
anche il caso di un «Alumno
independiente» che non può
far riferimento ad alcun
gruppo di lavoro e che mantiene direttamente il collegamento con la segreteria di
Buenos Aires. Per gli studenti
che desiderassero successivamente passare al «Bachillerato», si prevede il riconoscimento di una buona parte
degli studi compiuti.
La formazione teologica offerta dall’Isedet è di buon livello, sostenuta da un nutrito
corpo docente che è, come
ovunque, sempre in fase di
ricambio. Diversi docenti sono emeriti o prossimi alla
emeritazione e non è sempre
facile trovare le nuove leve,
pur avendo Tlsedet anche i
corsi di dottorato in teologia.
Il legame con la chiesa valde
se italiana è forte e l’ho ben
avvertito nell’incontro avuto
con il «Claustro» e soprattutto nel momento in cui si è ricordato il ministero del prof.
Alberto Ricciardi (deceduto
durante la mia presenza alrisedet), una figura che ha
dato molto a diverse generazioni di studenti. Con il rettore abbiamo parlato dell’importanza di mantenere virfh
questa relazione Buenos Aires-Roma, sia per lo scambio
di studenti, sia per alcuni
contributi di insegnamento.
Sia visitando Tlsedet e la
sua biblioteca, sia soprattutto
nelle giornate trascorse a
Paysandù per l’incontro del
corpo pastorale, mi sono reso
conto dell’importanza fondamentale dei testi pubblicati
dalTEditrice Claudiana e inviati ai pastori rioplatensi. In
tutte le biblioteche pastorali,
la colonna portante è costituita dalle pubblicazioni
Claudiana attorno a cui ognuno costruisce la propria
biblioteca personale. L’eco di
comuni letture è emerso con
chiarezza nelle giornate di
formazione pastorale che ho
animato a Paysandù e a cui
hanno partecipato quasi tutti
i pastori in ruolo. Nonostante
le distanze che richiedono
talvolta 10-12 ore di autobus
(venendo da Montevideo in
compagnia di Alvaro Miche
lin Salomon, Wilma Rommel
e Ricardo Collazo, poco meno di 6 ore in Renault ), gli incontri pastorali (3 ogni anno)
sono sempre ben frequentati
e normalmente i colleghi assenti segnalano al presidente
i motivi della loro assenza.
Ogni incontro del corpo pastorale ha un tema di riferimento e in quest’occasione,
il tema di studio e di aggiornamento era «la relazione
d’aiuto». Giornate intense di
lavoro che si sono concluse
sulla riva del fiume Uruguay
con il tradizionale «asado» e
con la lettura e approvazione
degli atti.
Il corpo pastorale rioplatense (circa 25 persone), contrariamente a quello italiano,
elegge il proprio presidente
(in questo momento il pastore Sergio Bertinat di La Paz) e
ha un suo programma ben
strutturato, tra momenti di
formazione e momenti istituzionali (in cui si affrontano i
diversi problemi concernenti
l’esercizio del ministero). Un
problema attualmente molto
sentito e a cui non si sa dare
risposta adeguata (non è così
anche in Italia?) è la relazione
d’aiuto verso i pastori: chi si
occupa del pastore in difficoltà, chi è in grado di esercitare un servizio di supervisione? Il presidente del corpo
pastorale rioplatense, figura
distinta da quella del moderatore (quanto tempo ancora
per fare questo passo nel corpo pastorale italiano?), può
svolgere solo in parte questo
servizio; oggi si avverte l’esigenza di una formazione specifica per esercitare questa
delicata funzione (impraticabile per chi, nella chiesa, ha
compiti esecutivi e disciplinari). La discussione e la riflessione restano aperte e sarebbe certamente importante
mantenere dei rapporti più
intensi tra i due rami del nostro corpo pastorale. Lo
scambio pastorale in atto
(Miguel Cabrerà a Pomaretto,
Sergio Ribet a Fray Bentos)
potrebbe costituire un anello
importante per la definizione
di problemi comuni, pur vivendo in realtà molto diverse
le une dalle altre e che hanno
sempre bisogno di essere
contestualizzate.
3 - continua
a Servizio rifugiati e migranti
L'attività di ascolto
di fronte a nuove emergenze
GIANLUCA POLVERARI
Nel corso del mese di settembre le richieste avanzate al nostro ufficio sono
state varie, dall’esigenza di
assicurarsi farmaci, che il
Servizio sanitario nazionale
non copre, alle numerose domande di contributo studio,
all’assistenza alloggiativa.
Molte le persone che hanno
chiesto un aiuto nella ricerca
di un lavoro. Innumerevoli,
inoltre, le richieste di informazione sul corso di italiano
del Srm (Servizio rifugiati e
migranti) e su quelli delle altre organizzazioni; poche, invece, le adesioni fino a questo momento pervenute per i
corsi di computer, di gestione e di assistenza domestica
(in fase di predisposizione).
Molto eterogenea anche la
provenienza degli utenti: in
prevalenza dal Congo, dal
Camerún, dal Kosovo e dall’Iran: sono state 38 le persone giunte per la prima volta
nei nostri uffici.
Nelle recenti attività di
ascolto del Srm è emersa la
preoccupante situazione di
molti richiedenti asilo che,
giunti in Italia negli ultimi
mesi, sono stati costretti ad
attese estenuanti superiori, a
volte, ai due o tre mesi solo
per ottenere che la propria
domanda venisse presa in
considerazione. In particolare si è registrato uno sconcertante aumento dei tempi di
attesa per la regolarizzazione
della propria posizione.
Dopo la richiesta di asilo
presentata alla questura, molti cittadini dell’Iran, del Congo e del Congo Brazzaville,
sono stati costretti a vivere
con il foglietto rilasciato dall’autorità italiana attestante
Tawenuta richiesta, e ad attendere anche un mese prima
di poter ottenere un nuovo
appuntamento per la fotosegnalazione. Solo in questa occasione è stata fissata una data per un ulteriore incontro, a
seguito del quale è stato loro
concesso il primo permesso
di soggiorno secondo le disposizioni della Convenzione
di Dublino. Per una procedura che in passato necessitava
di pochi giorni, molte di queste persone hanno dovuto attendere anche due o tre mesi,
costretti a un’esistenza priva
di qualsiasi tutela. Solo dopo
questa estenuante trafila ha
preso avvio il normale iter burocratico per la valutazione
della domanda di asilo. Sulla
questione il Srm ha provveduto a presentare una nota
informativa al direttore del
Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), dott. C. Hein.
Altra nota saliente riguarda
la possibilità di ricongiungimento familiare, con particolare riferimento ai rifugiati; nessuna organizzazione,
neppure la Croce Rossa o
TOim, si fa carico di coprire
una quota delle spese di
viaggio. I costi, poi, sono particolarmente onerosi, talvolta del tutto insostenibili per
un rifugiato o un immigrato,
fino al punto che prima di
trovare i fondi necessari a
coprire le spese vi è il serio
rischio che scada il nullaosta
delle autorità locali. Come
Srm stiamo approvando un
progetto da presentare all’
Adra (avventisti), mirato alla
copertura di una quota coI spicua dei costi di viaggio.
Teheran: una famiglia sotto lo sguardo delle autorità religiose
Le chiese valdesi e metodiste unite al di qua e al di là dell'Oceano
Oltre trecento Rostan si sono riuniti a Buenos Aires
MARCO ROSTAN
RORÀ — L’assemblea del
10 ottobre ha eletto Cristina
Veronesi nuova cassiera della
Chiesa valdese di Rorà. A lei
auguriamo un servizio benedetto dalla grazia del Signore.
BUENOS AIRES — I Rostan
sono indubbiamente tanti,
sia in Italia che nel Rio de la
Piata, ma vederne di colpo
più di 300 riuniti in un grande salone fa comunque impressione. Questo mi è successo domenica 17 ottobre in
un sobborgo di Buenos Aires
dove con mia moglie siamo
arrivati accompagnati dal
moderatore Delmo Rostan,
appunto per partecipare al
sesto «Encuentro familias
Rostan». Applausi, abbracci,
foto a non finire al nostro arrivo: molti infatti pensavano
che fossimo venuti apposta
dall’Italia! Personalmente resto un po’ perplesso su questa moda che si sta diffondendo dei grandi incontri famigliari, ma devo dire che
l’esperienza di Buenos Aires
è stata incredibile: erano venuti autobus da varie parti
dell’Argentina e dell’Uruguay, ci sono stati discorsi,
testimonianze, musiche, balli e grandi mangiate.
L’albero genealogico della
mia famiglia che avevo portato con me è diventato rapidamente oggetto di grande
interesse per tanti, così come
una fotografia dei discendenti di Teofilo Rostan, fratello di mio nonno Maurizio,
una fotografia con lettera ùiviata a mio padre Ermanno
dopo la sua visita alle chiese
del Rio de la Piata, nelle vesti
di moderatore, nel 1958. Che
emozione incontrare alcuni
parenti che si sono riconosciuti bambini nella fotografia e che oggi hanno 40 o 50
anni! In particolare abbiamo
condiviso informazioni e notizie con i Rostan di Rosario
Tala, dove nel 1903 anche la
famiglia di mio nonno Maurizio e di Susanna Bouchard
aveva fatto un tentativo di
emigrazione che non andò in
porto e a cui seguì un difficile ritorno a San Germano.
Mio padre Ermanno nacque
dopo, nel 1908.
Ho potuto regalare molte
cartoline con i miei disegni
dei templi delle valli valdesi e
La famiglia di Maurizio e Susanna Rostan prima della partenza
per l’America (1903): Alina, Maurizio, Irma, Susanna, Elena,
Edoardo, Livietta, Amilda. I discendenti di Alina Barzaghi Rostan (Rachele e Giorgio Cavazzuti, le figlie Simona e Debora
con i mariti e figli) vivono da parecchi anni in Paraguay, ad
Asunción e nella foresta dell’alto Paraná
così riallacciare contatti: la
tradizione di questi incontri
continua e Tanno prossimo
sarà forse proprio a Rosario
Tala o comunque nelTEntre
Rios. È interessante sapere
che molti di questi Rostan sono oggi metodisti, perché
quella era la chiesa presente
nella loro zona. Nel Rio de la
Piata valdesi e metodisti non
fanno parte, come in Italia, di
un’unica chiesa, ma questa
scoperta dei Rostan metodisti mi è parsa un altro segno
dei profondi legami che uniscono le nostre chiese di qua
e di là dell’oceano.
16
PAG. 8 RIFORMA
Vita Delle Chiese
venerdì 5 novembre
Un viaggio a metà ottobre organizzato dalla Commissione diaconia
Le strategìe diaconali in Sicilia
La distanza tra le opere non ha portato all'isolamento ma l'elaborazione di
nuovi modi per collaborare nel l'affrontare problemi vecchi e nuovi del territorio
AMUANO LONCO
DOPO due viaggi organizzati all’estero, in Alsazia
e a Praga, ospiti delle rispettive organizzazioni diaconali,
la Commissione sinodale per
la diaconia (Csd) ha proposto quest’anno dal 15 al 20
ottobre un viaggio per approfondire la conoscenza di
alcune opere diaconali della
Sicilia. A guidare il gruppo, in
cui vi erano operatori e operatrici del Centro servizi amministrativi e di varie strutture per anziani, accompagnate anche da congiunti, provenienti in maggior parte dalle
valli valdesi, gli altri da Firenze e da Gorle (Bg), è stato il
presidente della Csd, past.
Paolo Ribet. Una sola delle
strutture visitate, la Casa di
riposo di Vittoria, è sotto
l’egida della Csd, le altre comunque operano utilizzando
i servizi o la consulenza del
Centro servizi, per cui il viaggio è stato anzitutto l’occasione di presentazione reciproca fra persone che si
scambiano regolarmente dei
messaggi, ma che non avevano ancora avuto l’occasione
di incontrarsi. In secondo
luogo, le opere diaconali viste direttamente danno una
immagine più reale e più
sfaccettata della loro effettiva
realtà, cosa più difficile da
trasmettersi tramite resoconti di interposte persone.
Se vi fosse stato qualcuno
che pensasse che l’isolamento e le distanze fra le opere al
Sud potesse essere un freno
alla capacità di rapportarsi ai
problemi reali, ebbene da
questo viaggio avrebbe tratto
una sensazione opposta. Il rischio di un possibile isolamento è semmai stato un incentivo per allargare i contatti, per essere in ricerca, per
riportare sempre e di nuovo
l’obiettivo dell’opera diaconale sulla centralità della persona, con le sue necessità che
mutano nel tempo, per cui le
opere sono parse in continua
trasformazione compiendo
Palermo; la chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio, detta Martorana
(foto F. Corsani)
un grosso sforzo per tentare
di capire in profondità la società che le circonda e le esigenze del territorio che vogliono servire.
Questo riferimento ripetuto al territorio, e questo desiderio di lavorare a progetti
che creino presa di coscienza, partecipazione e aggregazione è emerso come elemento comune che dà spessore e prospettiva all’opera
diaconale, e che sembrava
mettere in secondo piano le
preoccupazioni gestionali,
che pur ci sono, quando gli
enti pubblici sono in cronico
ritardo nel pagare le rette da
loro sottoscritte. Tutto ciò i
partecipanti al viaggio l’hanno percepito nelle tre testimonianze; la prima del past.
Enrico Trobia, quando ha accennato all’offerta gratuita
dei locali, fatta dalla Casa di
riposo evangelica di Vittoria
all’Asl per l’istituzione del
servizio di guardia medica,
un servizio importante per la
città di Vittoria, fornito in
una zona centrale e di cui
all’occasione ne usufruiscono anche gli ospiti della Casa.
È stato verificato nelle parole
della pastora Erika Tomassone, quando illustrava le iniziative per fare in modo che
la gente che ora abita il quartiere sorto proprio a ridosso
del Servizio cristiano a Riesi,
abbia modo di incontrarsi, di
conoscersi, di fare delle cose
insieme, per valorizzare le risorse di ciascuno. E infine,
alla Noce, dove alcune iniziative che il Centro diaconale conduce, hanno trovato,
l’impegno, la voglia e la capacità progettuale di alcuni giovani che si sono appassionati
ai progetti.
E le strutture che ruolo giocano? Sono gli strumenti di
servizio, sotto il cui tetto tutte
le molteplici attività possono
svolgersi avendo un preciso
punto di riferimento. E allora, dalle costruzioni luminose e ben inserite nell’ambiente progettate dall’architetto
Ricci per il Servizio cristiano,
alle strutture della Casa di riposo di Vittoria, al riadattamento e al restauro al Centro
diaconale a Palermo, ecco
l’attenzione, la cura e il grosso impegno affinché gli ambienti possano essere accoglienti per creare delle atmosfere distese, che aiutino a
migliorare la qualità della vita che vi si svolge.
Naturalmente visitando la
Sicilia evangelica non si potevano dimenticare le comunità che lì operano. Abbiamo
così partecipato a un culto
multilingue con la comunità
multietnica che si riunisce al
la Noce, che ha coinvolto il
gruppo con le espressioni
gioiose degli inni africani. Di
questa comunità si è anche
venuti a conoscenza del progetto «Pellegrino della terra»,
volto a dare la possibilità a
delle ragazze africane di uscire dal giro della prostituzione
nel quale siano costrette a
stare. E ancora, il gruppo ha
incontrato alcuni membri
della comunità di Trapani
che con il pastore Giuseppe
Ficara ci hanno presentato i
bozzetti per una nuova sala
di culto che ritengono necessaria per una comunità che è
in fase di espansione. Alcuni
di questi sono poi venuti con
noi e con la famiglia del pastore fino a Marsala, dove
nella luminosa sala delle attività situata sopra a quella
adibita al culto, inaugurate
alcuni anni or sono, con altri
membri della comunità locale ci hanno offerto un lauto
Alla Casa di riposo di Vittoria
L'importanza degli scambi
fra le opere della chiesa
ERICA BUCCHIERI
pranzo.
Visitando la Sicilia non poteva poi mancare l’aspetto
turistico, e i percorsi di trasferimento tra un’opera e
l’altra ne hanno fornito la
possibilità. Abbiamo così visitato la villa romana del Casale a Piazza Armerina con i
suoi splendidi mosaici, la
Valle dei templi ad Agrigento,
la panoramica zona archeologica di Segesta. Molto apprezzate poi le . ¡site guidate
alla città di Palermo (la cattedrale, il Palazzo dei Normanni con la Cappella palatina, la
chiesa di San Giovanni degli
eremiti) e alla basilica di
Monreale. Non sono mancate poi le uscite notturne, non
solo per una sostanziósa cena a base di pesce a Sferracavallo, alla periferia ovest della
città, ma anche di alcuni
gruppetti che hanno così
provato il fascino dell’avventura, cementando ancora di
più la coesione fra i partecipanti. Ultimo aspetto degno
di nota, l’accoglienza ai pasti
con dei menù tipici saporiti e
invitanti che non si faranno
facilmente dimenticare.
Tra feste, balli e lavoratori
che animano la Casa di
riposo di Vittoria nel corso
dell’anno, il 15 ottobre la Casa stessa ha avuto il piacere
di essere visitata da un gruppo di circa trenta persone,
provenienti da Torre Pellice,
Gorle e Firenze accompagnate dal presidente della Csd,
Paolo Ribet. Il gruppo, costituito da operatori e operatrici
di altre Case di riposo e impiegati degli uffici della Csd,
ha avuto come scopo la conoscenza delle diverse realtà
diaconali siciliane.
Il sole caldo di autunno ha
allietato la visita ai nostri locali, iniziata con l’accoglienza del gruppo nel salone di
via IV Aprile, dove la presidente Mirella Scorsonelli, arrivata da Napoli appositamente, e il direttore Enrico
Trobia hanno illustrato la
cronistoria della Casa e la situazione attuale della stessa,
in riferimento alla gestione
economica, alle varie attività
di laboratorio svolte dagli
anziani con l’animatrice Ilenia e la collaborazione dell’assistente sociale Francesca, e hanno avuto il piacere
di ricevere in dono alcuni
«frutti in gesso» come ricordo della loro breve permanenza alla Casa.
La visita ai vari locali è stata organizzata in piccoli
gruppi, per permetter,,
scambio diretto di inf« ' '
zioni sulla vita deU’i—'
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che vi si svolgono. Gli aia
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Il presidente della Csd, Paolo Ribet, con Mirella Scorsonelli e
Enrico Trobia
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J La Chiesa battista a Gioia del Colle
Evangelizzare per
incontrare la cittadinanza
MIRELLA ARCIDIACONO
Anche quest’anno la
chiesa battista di Gioia
del Colle ha organizzato dal 3
al 17 settembre una campagna di evangelizzazione. Aiutata da alcuni fratelli e sorelle
provenienti dall’Inghilterra e
dalla Scorzia, coadiuvata dal
pastore David MacFarlane e
dalla moglie Ann, la comunità
tutta si è mobilitata per annunziare la parola di Dio. Come chiesa, infatti, sappiamo
di essere stati chiamati da Gesù e di non poterci sottrarre al
mandato specifico di annunziare al mondo intero TEvangelo, il perdono dei peccati, la
libertà, la nuova vita, la resurrezione. Certamente ci sono
delle difficoltà, ma la nostra
stessa vita comunitaria, il nostro stare assieme, la fraternità, la solidarietà, hanno suscitato curiosità e interesse
nei gioiesi che hanno cominciato a farci mille domande
sulla nostra fede e sul nostro
essere battisti. Per tre serate,
stando su un grande palco
concessoci dall’amministrazione comunale, abbiamo testimoniato alla cittadinanza
le ragioni del nostro predica
re, cantare con gioia e stare
insieme. Era tanto che a Gioia
del Colle non si verificava un
simile evento; sono state tre
serate indimenticabili.
Un bel gmppo delle chiese
battiste di Altamura, Barletta
e Mottola, ha fraternamente
condiviso questa esperienza
con noi. La loro presenza ci
ha incoraggiato e dato speranza. Durante il periodo di
evangelizzazione la chiesa ha
inoltre partecipato a cinque
incontri biblici serali, durante i quali il past. Mac Farlane,
partendo da alcuni testi biblici, ha analizzato quali possono essere i segni di una chiesa attiva. Tra questi ci sono la
pluralità dei ministeri e dei
doni, il rinnovamento liturgico e innologico, l’amore sincero gli uni verso gli altri, l’offerta delle primizie.
Come piccola comunità
abbiamo cercato con umiltà
di mettere in pratica ciò che
abbiamo imparato dall’ascolto della parola di Dio. Come
Gesù ha istruito gli apostoli
dando loro i| compito di evangelizzare, anche noi abbiamo cercato di far conoscere agli altri che Gesù Cristo è
l’unico Dio di questo mondo.
Inaugurato a Firenze insieme a quello del Centro di formazione diaconale
Il nuovo anno accademico della Facoltà valdese di teologia
PASQUALE lACOBINO
E l’anno accademico numero 145 per la Facoltà
valdese di teologia di Roma e
l’undicesimo per il Centro di
formazione diaconale «Giuseppe Comandi» di Firenze.
Le celebrazioni inaugurali
congiunte hanno avuto luogo
il 23 e il 24 ottobre nella stessa città e negli stessi locali
che ospitarono la Scuola valdese di teologia; Firenze, Palazzo Salviati, attuale sede del
Centro di formazione diaconale. La prolusione del prof.
Giorgio Spini era sul tema; La
Scuola valdese di teologia di
Firenze 1870-1900. «Questa
piccola scuola - ha sintetizzato Spini - non fu solo al
servizio del popolo valdese
ma fu un grosso servizio nazionale. In secondo luogo,
questi vecchi signori. Paolo
Geymonat, Emilio Comba e
Alberto Revel, si trovarono
davanti a una situazione del
tutto nuova; l’unità di Italia,
Tawento di un regime liberal-nazionale in tutta la penisola. Davanti a questo che
fare? Essi si posero il problema di fare qualcosa di simile
al discorso di Paolo agli ateniesi. Voleva dire promuovere un Centro di alta cultura,
di alte tradizioni intellettuali.
Per questi uomini che venivano non da Atene ma da
Torre Pellice, da un oscura
realtà di provincia, voleva dire parlare, nell’ambiente intellettuale della Firenze dell’epoca, all’altezza di queste
tradizioni. Erano uomini
modesti, ma coscienziosi e
seri. Assolsero al loro compito in modo così positivo che
per certi aspetti rifulge allo
sguardo di chi lo osserva a
distanza di un secolo».
Al termine della prolusione
è stata conferita la laurea honoris causa alla filosofa cattolica Maria Cristina Laurenzi,
la seconda nella storia della
Facoltà valdese; «È significativo - ha detto il prof. Sergio
Rostagno - che le due lauree
honoris causa siano state
conferite a due laici (Tanno
scorso a Claudio Tron, ndr), a
cavallo della ricorrenza del
50° anniversario della fondazione del Consiglio ecumenico delle chiese; è stato proprio il movimento ecumenico a porre fortemente l’accento sulla valorizzazione del
laicato».
Domenica mattina il pastore valdese Gino Conte ha predicato a partire dalla prima
lettera di Paolo ai Corinzi 2,
16 «Ora noi abbiamo la mente di Cristo»; «Come Paolo ci
insegna - ha detto Conte non parlerete delle vostre
esperienze, e nemmeno tanto delle nostre chiese, con i
loro piccoli fasti e i non pochi
nefasti. Testimonierete di
Dio e del nome che ha assunto fra noi e per noi; Gesù». Le
studentesse del Centro di formazione diaconale hanno
curato e presieduto il culto
che ha visto la partecipazione
delle comunità battiste, metodiste e valdesi di Firenze.
Otto studentesse al «Giuseppe Comandi», 36 in Facoltà valdese. Da Roma arriva
il dato nuovo di una Facoltà
dai tanti colori; battisti, metodisti, valdesi, luterani, pentecostali, evangelici liberi. Un
v^ore aggiunto, quasi un credito formativo, come ha detto
Cristina Arcidiacono, batti»
al 4° anno; «È una ricche^
Confrontarsi con una sp®
tualità diversa come qu®
pentecostale, per esemp'
permette di aprirsi a una*
ra nuova e stimolante»,
qual è la sfida ricorrente^
ogni generazione di stude
di una qualsiasi
zinne?; «La provocazione
le Scritture - ha risposi
prof. Ermanno Genre
della Facoltà Valdese
L, Las!
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mento fondamentale-b
vede nelle nostre esercii
ni omiletiche che sono t
pre dei momenti in cui
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sente messo in questione,
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corpo con un testo che
interroga, domanda».
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notizie evangeliche
agenzia stampa
della federazione
delle Chiese
evangeliche
in Italia
e-mail:
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Vita Delle Chiese ì
^ Firmato un accordo tra Centro diaconale La Noce e Comune di Ftilermo
Modi nuovi per assistere i minori a rischio
Il servizio educativo domiciliare non allontanerà il minore dal nucleo familiare
e dall'anribiente in cui vive. Una sfida, anche politica, per la diaconia evangelica
PAG. 9 RIFORMA
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nsieme. !
CON circa un anno di ritardo, determinato dalla
necessità di superare infinite
difficoltà burocratiche, finalmente nello scorso mese di
settembre è stata firmata tra
il Centro diaconale La Noce e
il Comune di Palermo la convenzione relativa alla gestione del Servizio educativo domiciliare e il progetto, nei
primi giorni di ottobre, ha
preso l’avvio. Si tratta di un
impegno di grosse dimensioni (sono state assunte 21 persone fra educatrici, educatori
ed esperti) e di notevole valenza, che costituisce un’alternativa rispetto alle forme
usuali di assistenza ai minori
a rischio, per problematiche
relative all’ambiente familiare e al contesto sociale. In
luogo, infatti, dell’allontanamento del minore dal nucleo
familiare e dall’ambiente in
cui vive ci si propone di intervenire sull’insieme delle
relazioni familiari e sociali
per evidenziarne e curarne le
distorsioni, con il coinvolgimento e quindi in stretta correlazione con le strutture
pubbliche educative e assistenziali (scuole, Asl, Servizi
sociali del Comune ecc.) e,
eventualmente, con gli organi giudiziari competenti (Tribunale dei minori e giudice
tutelare).
L’affidamento di tale com
Un’operatrice del Centro con alcuni bambini
plesso progetto non è avvenuto a mezzo delle consuete
selezioni fra più organizzazioni, bensì tramite una trattativa diretta tra il Comune e
il Centro diaconale. Va ricordato, infatti, che tale particolare metodologia di approccio alla problematica del rischio minorile è stata introdotta a Palermo proprio dalla
nostra opera sociale che da
cinque anni, fruendo dapprima della generosa collaborazione del Gould di Firenze e
successivamente dei contributi dell’8 per mille, non solo
ha organizzato (sia pure in
dimensione ridotta) un simile intervento, ma ne ha diffuso la conoscenza e illustrato
le qualità, promuovendo seminari, conferenze e dibattiti
I Chiesa valdese di Aosta
Il giubileo del 2000
sarà un'occasione mancata?
:onale
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LILIA COMBA
1f IDEA di una conferenza
I sul tema del giubileo, tenuta dal pastore Ruggero
Marchetti e dal frate cappuccino Oreste Labbrone, è nata
dalla volontà della Chiesa
valdese di Aosta di non organizzare, per il gennaio 2000,
la settimana ecumenica di
preghiera con le chiese cattoliche della Valle a causa dei
malintesi che un’azione comune, proprio in un quel
momento, avrebbe potuto
generare, anche se accompagnata da dettagliate chiarificazioni. La sofferenza e le
motivazioni di questa decisioni, espresse dal Consiglio
di chiesa in una lettera del
pastore indirizzata all’ufficio
diocesano per l’ecumenismo
c il dialogo, sono state pubblicate sul giornale della diocesi. E stata prevista e curata,
invece, la partecipazione ad
nltre manifestazioni interconfessionali, come conferenze e scambi di pulpito e
tin culto nella settimana di
Pasqua, e questa, del 15 ottobre nel salone del vescovado,
e stata la prima.
. Il pastore Marchetti ha iniziato invitando il pubblico a
riflettere se questo giubileo
tion sia un’occasione mancala per proclamare unicamenre un giubileo biblico, che ricordi anche la nascita di Gesù Cristo, senza l’aicompagtiamento dell’Anno Santo
Che noi evangelici non posiamo in alcun modo condi^dere; si domandava anche
fltiale ruolo abbia giocato in
questo l’infallibilità papale
quindi proseguito con
tia ricca informazione storiti, a partire dal significato
n 11 Pilrrie crociate come
pellegrinaggio e sacrificio per
risto, per passare poi alla
descrizione dell’assetto sociale, politico ed economico
degli anni intorno al 1300, e
ai giochi di potere che hanno
portato alle posizioni papali
che conosciamo. Allora come
adesso vediamo Roma e la
Chiesa cattolica al centro
dell’evento, non Cristo. Confrontarsi su ciò che divide
può chiarire i rapporti: perciò
esprimere il proprio dissenso
a tutte quelle azioni che acquistano l’indulgenza ci conduce a riflettere ancora su
quanto questi concetti siano
lontani dall’insegnarnento
biblico e come il vero impegno debba essere la proclamazione del Regno, già presente fra noi, e la santificazione della vita nella sua concretezza.
Frate Oreste Labbrone si è
soffermato sulla riscoperta
della vita cristiana vista come pellegrinaggio a partire
dall’esempio degli uomini dell’Antico Testamento,
sempre in movimento, come
Abramo in Genesi e il popolo
che Dio accompagna in Esodo, mentre nel Nuovo Testamento vedeva come pellegrinaggio gli spostamenti di
Gesù e il suo salire a Gerusalemme. Ha quindi indicato
la chiesa pellegrina per evangelizzare, il pellegrinaggio verso la Terra Santa e
verso le tombe dei martiri, il
pellegrinaggio verso la vita
monastica e ascetica e quello interiore dell’anima verso
Dio. Ha infine intravisto nel
«Glorioso rimpatrio» una
sorta di pellegrinaggio del
popolo valdese. Alcune domande del pubblico hanno
completato l’interessante e
riuscito incontro. I ripetup
passaggi delle riprese televisive nelle trasmissioni locali
hanno utilmente ampliato
l’informazione e i contatti.
con larga partecipazione degli amministratori e degli
operatori sociali del Comune.
È proprio a partire da tale
esperienza che l’amministrazione ha deciso di finanziare
con i fondi della legge 285/97
(disposizioni per la promozione di diritti e opportunità
per l’infanzia e per l’adolescenza) il progetto elaborato
dal Centro diaconale e di affidarne allo stesso la relativa
esecuzione, riconoscendolo
come l’unico soggetto operante sul territorio in grado di
garantirne l’organizzazione.
Ovviamente la stipula della
convenzione e l’avvio delle
prestazioni non costituiscono garanzia di successo.
Vi è piena consapevolezza
dell’enorme difficoltà di incidere positivamente in una
realtà, come quella dei quartieri più degradati di Palermo, nei quali albergano povertà, violenza, cultura mañosa e rifiuto dello stato in
tutte le sue articolazioni (ivi
comprese le istituzioni scolastiche). Sottrarre un bambino
al rischio dell’abbandono
scolastico, della manovalanza mafiosa della ijricrocriminalità, della tossicodipendenza, o una bambina alla
precoce gravidanza o alla
prostituzione, costruire per
loro un futuro «normale», libero anche dalla dipendenza
assistenzialistica, è compito
immane che si traduce in
azioni da inventare quotidianamente senza punti di riferimento certi.
Si tratta, quindi di una sfida
che il Centro diaconale ha
raccolto, nell’ambito di una
tradizione che l’ha visto sin
dal suo nascere collocato al
confine tra la società del benessere e l’emarginazione totale che questa produce, e ciò
a difesa dei più deboli. Ma si
tratta anche di uno degli esempi di diaconia evangelica
che supera l’ambito della
semplice, anche se qualificata, assistenza e si proietta sul
terreno della politica. Se, infatti, intendiamo rettamente
il significato del termine «politica» non possiamo che ritenere che questa non è solo (e
non è soprattutto) disputa
ideologica o lotta per l’acquisizione del potere, bensì azione diretta a incidere sull’organizzazione della società perché questa risponda e quei
valori di democrazia, giustizia, eguaglianza, libertà e solidarietà che costituiscono i
fondamenti etici della cultura occidentale e ai quali si uniforma la stessa Costituzione
italiana. Orbene, stimolare i
pubblici poteri e intervenire a
tutela di tali valori^ offrire la
propria elaborazione circa le
modalità di intervento e proporsi come partner nella relativa organizzazione ci sembra
fra le più qualificate forme di
«fare politica».
. Chiesa battista di Casorate Primo
L'offerta al Signore
viaggia insieme alla fede
GUIDO GABALDI
Bottiglie di plastica
vuote e lattine schiacciate, un sasso di media grandezza e una piccola sveglia:
sono questi i simboli, rispettivamente della società dello
spreco, della nostra durezza
di cuore e della incapacità di
gestire umanamente il tempo, adoperati per ravvivare
la liturgia del culto di domenica 17 ottobre a Casorate
Primo, celebrato nel corso
della festa di consacrazione
che ha visto riuniti rappresentanti di tutte le chiese
battiste della Lombardia.
Il sermone di Alessandro
Spanu ha ripercorso i temi
fondamentali del giubileo così come espressi in Levitico al
capitolo 25. Siamo stati così
invitati ad accogliere il dono
divino della santificazione
per proclamare la libertà dei
figli di Dio, ad annunciare la
remissione gratuita dei debiti
e dei peccati, a sfidare la vergogna del dualismo economico poveri-ricchi in un tempo di crisi, in cui ogni speranza sembra venire meno, a
combattere in nome dell’amore di Dio con le armi del
Vangelo, con esempi incisivi
di solidarietà, al fianco degli
ultimi della terra che un giorno saranno i primi. Il giubileo
di Dio non può essere il lavacro ipocrita della coscienza
sporca dei singoli, ma è l’occasione data al popolo di Dio
per annunciare, a qualsiasi
costo e malgrado qualsiasi rischio, la vera giustizia.
Nel pomeriggio il pastore
Bruno Colombo ha guidato la
riflessione comune sul rapporto cruciale tra fede e offerte. Dopo aver considerato
che la distinzione sacro-profano non esiste nella teologia
deuteronomista, si è sottoli
neato il valore spirituale dei
frutti della terra: tutto ciò che
mangiamo, beviamo, usiamo
per vestirci o ripararci deriva
dalla terra, dono di Dio di
enorme valore simbolico, e
per riconoscenza va restituito, sia pure parzialmente, in
offerta a Dio stesso. Le decime e le primizie, consacrate,
messe da parte per Dio, assumono il senso di risposta
di fede. In tutto l’Antico Testamento, anzi, i concetti di
fede e offerta sono legati indissolubilmente, mentre nel
Nuovo Testamento l’apostolo Paolo (II Corinzi capp. 8-9)
sottolinea che l’offerta, variamente denominata, è un atto
spirituale con cui i credenti
glorificano Dio e annunciano
la sua grazia.
Alla fine della relazione il
lavoro di gruppo ha cercato
di attualizzare gli argomenti
proposti. Due sottogruppi
hanno individuato e analizzato le dinamiche che entrano in gioco quando le chiese
danno in offerta ad altri le risorse proprie (il «vile denaro»). Il pericolo, da un lato, è
quello di scaricarsi la coscienza mettendo, con gesto
semplice e magico, mano al
portafoglio, e lasciando a
chissà chi la responsabilità di
agire. D’altro canto si è evidenziato il rischio opposto,
quello che corre chi dona volendo sempre rimanere padrone della sua offerta, magari per controllare e influenzare le esistenze di coloro che
dovrebbero amministrarla.
Quando ci siamo lasciati ci
era forse un po’ più chiaro
quale relazione debba esistere tra fede e opere, argomento che necessita di frequenti
rivisitazioni se non si vuole
che ammuffisca come un residuo del passato, o che venga svuotato a suon di slogan.
Agenda
5 novembre
MESTRE — Alle 15,30, al liceo «G. Bruno» (v. Baglioni 26),
la dott. Tania Gupta parla sul tema: «La donna induista e la
sua esperienza a contatto con la cultura occidentale».
TORINO — Alle ore 18, nel salone del Centro teologico
(corso Stati Uniti 11/h), per il Centro teologico e il Centro
evangelico di cultura «A. Pascal», il teologo cattolico Walter
Danna parla sul tema: «Ricerca scientifica e problema di
Dio». Presiede la pastora Giovanna Pons.
8 novembre
MESTRE — Alle 15,30, nel liceo «G. Bruno» (v. Baglioni 26),
per il corso di aggiornamento sulla «Concezione della donna nell’attuale contesto multietnico», la dott. Jona Fiamma
parla su: «La donna nella cultura e nella tradizione ebraica».
MILANO — Alle ore 18, in piazza San Fedele 4, per il ciclo
Sae su «Una Bibbia molte letture», il prof. Paolo De Benedetti parla sul tema: «Letture ebraiche oggi».
9 novembre
MILANO — Alle ore 18, nella sala della libreria Claudiana
(via Sforza 12/a), il Centro culturale protestante organizza
un dibattito sul tema: «Donne delle minoranze. Ebraismo
e protestantesimo in Italia», con Anna Foa, Verina Jones e
Susanna Peyronel Rambaldi.
10 novembre
TRIESTE — Alle ore 18, al Centro Veritas (via Monte Cengio
2) , il prof. Ugo Vanni (Università Gregoriana di Roma) parla
su: «La prospettiva teologico-liturgica dell’Apocalisse».
MILANO — Alle ore 18, all’Ambrosianeum (via Delle Ore
3) , per il ciclo Sae «Volti del fondamentalismo», il dott.
Stefano Allievi parla sul tema: «Volti diversi del fondamentalismo nel mondo islamico».
11 novembre
GENOVA — Alle 17,30, nella Biblioteca della Società di letture scientifiche del Palazzo Ducale (piazza De Ferrari, piano ammezzato), per il ciclo del Sae su «Fedi, religioni e cultura», il professor Paolo De Benedetti parla sul tema: «Lo
Shalom: l’uomo nella creazione».
TRIESTE — Alle ore 17,30, nella basilica di San Silvestro,
per ü ciclo di incontri su Trieste nell’Ottocento, il profesor
Sergio Molesi parla sul tema: «Le arti figurative».
TORINO — Alle ore 16 e alle ore 20,45, nella sala valdese di
via San Pio V15 (primo piano), il pastore Giuseppe Platone
per il ciclo «Insegnaci a pregare» parla sul tema: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano».
FIRENZE — Alle 18, nella chiesa valdese di via Micheli 26,
l’organista Claudia Cori e l’oboista Marco Bardi eseguono
musiche di C. P. E. Bach, J. S. Bach, G. F. Händel e Vivaldi.
I ^vembre
BERGAMO — Alle 17,30, al Centro culturale protestante (via
Tasso 55), il prof. Emidio Campi parla sul tema: «Giovanni
Diodati (1576-1649) teologo e traduttore della Bibbia».
SONDRIO — Alle 20,45, nella sala Vitali del Credito valtellinese (via Delle Pergole 10), il prof. Remo Cacitti parla su: «Il
Millenarismo, antiche radici della speranza cristiana».
UDINE — Alle ore 18, nella sala della Chiesa metodista
(piazza D’Annunzio 9), il pastore Andreas Kòhn parla sul
tema: «Le 95 tesi di Martin Lutero».
23 novembre
TORINO — Alle ore 21, al teatro Alfieri (piazza Solferino),
si tiene un concerto del gruppo «I quattrosoldi», specializ
zato in canzoni che hanno fatto ballare, sorridere, innamorare e cantare almeno tre generazioni. L’incasso sarà
devoluto al Comitato promotore per la ristrutturazione e
l’ampliamento dell’Ospedale evangelico valdese di Torino
Posto unico £ 25.000. Prevendita presso l’Ospedale (via
Silvio Pellico 19, portineria), la segreteria Ciov (tei. 011
6540267) e la segreteria del Comitato (tei. 011-4502063).
CULTO EVANGELICO: ogni domenica mattina alle 7,27 sul
primo programma radiofonico della Rai, predicazione e
notizie dal mondo evangelico italiano ed estero, appunta
menti e commenti di attualità.
PROTESTANTESIMO: rubrica televisiva di Raidue a cura
della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, tra
smessa a domeniche alterne alle 23,50 circa e, in replica, il
lunedì della settimana seguente alle ore 9,30 circa. Dome
nica 14 novembre (replica lunedì 22 novembre) andrà in
onda: <Ad Augusta l’incontro cattolico-luterano per la fir
ma del Documento ecumenico sulla giustificazione»
«Bibbia e cinema: un dialogo aperto».
AVVERTENZA: chi desidera usufruire di questa rubrica de
ve inviare i programmi, per lettera o fax, quindici giorni pri
ma del venerdì di uscita del settimanale.
Si terrà a Firenze dal 3 al 6 gennaio
CONVEGNO SAE
Quest’anno il convegno giovani del Sae (Segretariato attività ecumeniche), si terrà a Firenze dal 3 al 6 gennaio
2000 presso l’Istituto Comandi-Gould-Pestalozzi, in via
de’ Serragli 49. Tema del convegno è «Perché state a
guardare il cielo? (Atti 1, 11). L’ecumenismo è nelle vostre mani». Per le iscrizioni (£. 200.000), che saranno
aperte fino al 15 dicembre, rivolgersi a: marcopondreli@geomin.unibo.it oppure telefonare allo 051-519624.
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PAG. 10 RIFORMA
VENERDÌ 5 NOVEMBRF
1995
Riforma
La Svizzera verso destra
Paolo Tognina
La Svizzera si sposta a destra. Le elezioni per il rinnovo
delle camere federali (Consiglio nazionale e Consiglio degli stati) del 24 ottobre lo hanno mostrato in modo eloquente. L’affermazione dell’Unione democratica di centro
(Udc) di Christoph Blocher non ha raggiunto le dimensioni previste, ma è comunque uscita netta vincitrice dalle
urne (più quindici seggi). La vittoria dell’Udc non è giunta
a sorpresa: dal 1987 il partito di Christoph Blocher è in costante ascesa e già nelle elezioni federali del 1995 ha dimostrato di essere in grado di inserirsi come forza di prima
grandezza nel panorama politico elvetico. Questa volta i
democentristi hanno colto pure obiettivi ritenuti finora al
di fuori della loro portata, affermandosi nella Svizzera romanda (tradizionalmente l’Udc si è caratterizzata come
partito radicato prevalentemente nella Svizzera tedesca),
in aree a forte presenza socialista (Losanna, Ginevra) e facendo breccia anche a Basilea-città, cantone svizzero-tedesco a vocazione progressista.
Vittoria dunque per ia destra e vittoria per Christoph
Blocher, figura sempre più centrale nel panorama politico
svizzero. Nato nel 1940, figlio di un pastore protestante,
dal 1972 è membro dell’Udc, dal 1979 siede in Consiglio
nazionale. Blocher, multimilionario, capo della multinazionale Ems-Chemie, è convinto che ogni persona abbia
un mandato divino da assolvere, si presenta come interprete dei reali desideri del popolo, è un denigratore e feroce critico di tutti quelli che non si attengono ai dati di fatto
(quali siano i dati di fatto, lo spiega di volta in volta Blocher stesso). Vent’anni fa l’Udc era il partito dei ceti rurali
e la sua base elettorale, allora in costante calo numerico,
era costituita prevalentemente da uomini e da protestanti.
Christoph Blocher ne ha fatto un moderno partito conservatore, di destra, capace di allargare costantemente la propria base e di affermarsi anche nelle città. L’Udc, pm mostrando spesso ancora il proprio volto contadino (manifestazioni folcloristiche, con campanacci e sbandieratori), è
capace di rivolgersi ai ceti medi cittadini e sa catturare le
simpatie di imprenditori e industriali.
1 detrattori commentano i successi del partito definendoli prodotti di mode passeggere, ma il successo crescente
dell’Udc smentisce queste semplicistiche spiegazioni. Gli
elettori hlocheriani non sono solo gli sconfitti e i frustrati
della società moderna. Come spiegare altrimenti la presenza tra i suoi elettori di ima ampio numero di proprietari di immobili? Non è certo la passione di Blocher per gli
sbandieratori dei cantoni della Svizzera centrale ad averli
convinti, quanto piuttosto le sue promesse di proseguire
con la politica di sgravi fiscali a favore del ceto medio (e
dei ceti abbienti in genere). Il partito di Blocher, inoltre, è
sempre di più una formidabile macchina di propaganda,
capace di sfornare in continuazione slogan e campagne
pubblicitarie che attirano l’attenzione dell’opinione pubblica, non da ultimo per i loro toni aggressivi e intimidatori. Celebre il manifesto con cui i’Udc zurighese, qualche
anno fa, suggeriva l’idea che i partiti della sinistra coprissero la criminalità dei richiedenti asilo e degli spacciatori
di droga. Clamoroso il manifesto, affisso in tutto il paese,
con cui rude associava, pochi mesi fa, gli stranieri ai criminali. Impressionante anche la capacità blocheriana di
rovesciare i toni del dibattito pubblico.
La denunce formulate dalla stampa svizzera tedesca contro le asserzioni antisemite di Blocher sono servite a una
controcampagna tesa a screditare il ruolo della stampa e a
presentare Blocher come vittima di un complotto. E il sistema funziona: un quarto circa degli elettori Udc ha deciso di
votare democentrista dopo la diffusione delle afi^ermazioni
antisemite di Blocher. Di più: passato il peggio, Blocher ha
rilanciato, accusando gli organismi ebraici internazionali
di avere esercitato, sulle banche svizzere, la stessa pressione esercitata negli Anni 30 dalle autorità tedesche sui negozi ebraici. E mentre i suoi detrattori lo accusano di propagandare un modello di Svizzera «fredda e rinchiusa dietro
una barriera di filo spinato», Christoph Blocher riesce ad
aggregare gli elettori e le elettrici trasmettendo loro un senso di identità nazionale, di appartenenza patriottica, di
protezione e sicurezza all’insegna dell’ordine e della disciplina non dissimile dal modello austriaco di Jörg Heider.
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Riforma è II nuovo titolo della testata La Luce registrata dal Tribunale di Pinerolo con il n. t76 del 1' gennaio 195t. Le modifiche
sono state registrate il 5 marzo 1993.
Il numero 42 del 29 ottobre 1999 è stato spedito dall’Ufficio CMP
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Polveroni e veleni dominano il clima politico
Il passato che ritorna
Risorgenti integralismi bloccano la transizione del sistema
politico italiano. Asor Rosa e il silenzio dei protestanti
PIERA ECIDI
UNA pietra tombale calata
con un tonfo secco sulla
cosiddetta Prima Repubblica.
Questo è l’effetto nella coscienza del cittadino medio
degli esiti del processo Andreotti nonché del concomitante affaire Mitrokhin nonché della susseguente catena
di prescrizioni, colpi di spugna giudiziari e politici e indici puntati contro giudici di
assoluta dirittura come Caselli ed ex giudici che altrettanto stimiamo e conosciamo come Violante. A quando
il vuoto intorno che contrassegnò la fine di servitori dello
stato come Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino?
Non se ne può più di un
clima politico sempre più
isterico, dello spargimento
dei veleni da ogni dove, né di
questa perenne notte dei lunghi coltelli in cui siamo immersi (da quando?) nel lento
dissolversi e imputridirsi del
sistema di potere internazionale determinato dalla fine
del mondo dei blocchi. Perché quel mondo, quello della
guerra fredda, è ampiamente
defunto. Ma non ancora sepolto, perché gli attori e artefici, nel bene e nel male, sono
ancora lì, a tentare impossibili e improbabili regolamenti di conti, senza riuscire a
rassegnarsi al silenzio e all’oblio di qualsiasi vicenda
umana, consegnando la propria esperienza allo sguardo
distaccato degli storici e di
chi verrà dopo.
L’Italia è epicentro di tali
massacri, come è stata anello cardine dello scontrarsi
dei due blocchi, con relative
truppe, fiancheggiatori, ideologi schierati. In una guerra
guerreggiata non a suon di
atomiche (impossibile per i
rischi di suicidio dell’umanità intera), ma di bombe e
stragi quelle sì, utilizzando
chiunque fosse utile, le Br come la P2 o la mafia. Per questo non sapremo mai niente,
non si è mai saputo niente
dei misteri e dei veleni d’Italia. Né tantomeno sapremo
per i7ia giudiziaria, dove i magistrati devono giudicare secondo una cupola sempre
più intricata e fumosa di leggi
fatte da parlamentari spesso
inquinati e inattendibili, e
dove il depistaggio viene utilizzato sistematicamente,
nella cassa di risonanza di faziosi e compiacenti mass media. 11 polverone, oltre che il
veleno, grande sport italiano.
La storia d’Italia, quella
molto più antica degli ultimi
cinquant’anni, ben si presta
ai pugnali più o meno curiali
e allo spudorato e cinico
La lettera di questa mattina rischia di mettere in
crisi più di uno di voi, cari
ascoltatori, come ha messo in
crisi qualcuno di coloro che
l’hanno letta. Ve ne riporto
l’essenziale in modo che possiate capire subito di che si
tratta. «Animato dalla fede,
mi permetto di esporre la mia
triste situazione: ho 66 anni;
non sto bene; prego tutte le
sere affinché il Signore mi dia
la salute; inoltre sono povero
e ho bisogno di aiuto finanziario; mi sono rivolto a vari
pastori senza aver avuto risposta; chiedo se mi può dare
un aiuto economico. Come
disse il Signore: “Cercate e vi
sarà dato, bussate e vi sarà
dato". Sono un vecchio evangelico e ho notato che, alla fine del culto, si pronunciano
le parole “Andate in pace, ricordatevi dei poveri e degli
Napoli: la chiesa cattolica del Centro direzionale
scambio di favori tra classi
dominanti «perché nulla
cambi». Siamo un paese che
tenta i primi passi nella democrazia dopo secoli di oppressioni, e che di queste ha
persino i riflessi condizionati.
Un paese sostanzialmente
premoderno, a parte alcune
sacche di modernità, che si
trova a fare i conti Ijrutalmente con il postmoderlio,
senza possedere la spina dorsale del concetto di cittadinanza, i diritti e i doveri interiorizzati, il senso della legalità impersonale, ma coltivando ancora il riconoscimento
di una legge più arcaica del
rapporto io-tu, nobile in un
contesto più antico, ma deteriore in una società più avanzata, dove è necessario un diverso «contratto sociale».
Questo è il dramma del Mezzogiorno, che faticosamente
tenta di riscattarsi attraverso
l’impegno meraviglioso di
tanti, questo è il dramma di
gran parte della cultura e della società italiana.
Aggiungendoci il fatto che
da noi secolarmente impera
una alleanza trono-altare di
stampo, appunto, feudale,
che sembrava perlomeno essersi allentata a seguito del
rinnovamento conciliare, ma
che è ripiombata a gestire il
rapporto politico in seguito a
una doppia «mutazione genetica»: della Chiesa cattolica
ridiventata «trionfante» e ormai dominata dai falchi dell’integralismo e della Controriforma, e di uno stato in difficile transizione da un sistema bloccato, dove oggi la
classe politica dirigente è costretta a «navigare a vista»,
con il sempre necessario sdoganamento dei placet della
gerarchla ecclesiastica. Così
tra un po’ non faranno neanche più notizia, al di là del
profluvio delle dirette televisive, le parate di tanti politici
alle celebrazioni della religione di maggioranza.
In un recente articolo di Alberto Asor Rosa («La Repubblica» del 22 ottobre) si additava, riguardo a questa postmoderna mancanza di senso
della laicità, anche il silenzio
dei protestanti. A parte che
siamo un po’ stanchi, talora,
di fare sempre «il protestante
che protesta», pur non cessando urbanamente di obiettare, e che il rischio è che certi
dissensi si consumino nel distacco quando pare che non
ci sia più niente da dirsi, vorremmo sapere quale mai intellettuale italiano entra in
dialogo con i nostri teologi o
pastori 0 intellettuali alla pari,
nelle assise televisive o sulle
pagine culturali di quotidiani
e riviste, con lo stesso rilievo
mediático. Noi parliamo per
lo più al vuoto, e le risposte
del potere sono quotidianamente una sconfessione non
solo del nostro essere cittadini, ma anche del nostro desiderio di testimoniare la fratellanza nella stessa chiesa di
Cristo. C’è tanto malessere tra
i credenti ecumenici di base,
come c’è tanto malessere nel
cittadino che lavora, suda e
cerca di comportarsi decentemente. Tra le tante tragedie di
questo fine millennio, la tragedia italiana rischia di essere
anche quella di perdere questo orizzonte di condivisione
e di fraternità. Il che non toglie che continueremo a operare, con responsabilità e amore, anche come «chiesa
del silenzio», come cittadini e
come credenti, offrendo la
sofferenza di noi ecumenici
italiani di base a quella gioiosa attesa di trasformazione
che tanti altri fratelli e sorelle
vivono e costruiscono nelle
chiese estere, privi di una storia così pesante da portare,
sia sul piano civile che su
quello della fede.
n e gli afflitti
EUGENIO RIVOIR
afflitti; e Dio vi usi misericordia". Nell’attesa di una risposta, invio fraterni saluti, riconoscente e umiliato».
Dopo aver letto la lettera,
scritta a mano in modo molto incerto e suppongo con
notevole sforzo, dopo aver
letto la lettera vorrei fare un
brevissimo commento. Prima
di tutto, questa è una delle
tante lettere che ci arrivano
con contenuto simile; essa
esprime la situazione di gra
ve disagio economico che
colpisce molta, troppa gente
del nostro paese. Se non ce
ne fossimo mai resi conto,
questa lettera ci aiuta a pensare a tutti quelli che aspettano ogni giorno un aiuto economico e non sempre sanno
---oaiiiiu
come questo aiuto verrà. In
secondo luogo chi scrive la
lettera tenta di renderci attenti all’uso che facciamo
delle nostre parole: che cosa
vuol dire «Ricordatevi dei po
la Croix
Sfide alle chiese
In occasione del Sinodo dei
vescovi sul tema dell’EuroJ
il giornale cattolico francew
(17 settembre) ospita fra [’aj.
tro una riflessione di PaoL
Ricca, definito «teologo di
confessione valdese e aihgia.
no ardente dell’unità euro,
pea... delle chiese». Le sfide
alle chiese, all’alba del terzo
millennio, scrive Ricca, sono
di due tipi: «quelle implicito
nei drammi del nostro teinpo, e che la Parola di Dio, che
risuona nell’Evangelo, lancia
loro direttamente». Fra i prò.
blemi sociali. Ricca afferma
che le chiese «devono farsi
carico, ben più che nel passato, della questione della giustizia sociale (...): chiese cristiane, meno “carità” e più
giustizia, qui è uno dei vostri
compiti prioritari. Una seconda sfida prioritaria è quella del problema della violenza». Per le chiese, prosegue
Ricca, si tratterà di saper
«creare o ricreare dei rapporti
umani degni di questo nome». Quanto alle sfide lanciate direttamente dalla parola
di Dio alle chiese, «la prima è
la lotta contro l’idolatria» e la
seconda «è senza dubbio
quella della riconciliazione».
d.l.a.r T 0
“sett-imaRB
La Bibbia best seller
Flaminia Morandi affronta
sul settimanale (20-26 ottobre) il carattere di libro piii
stampato, venduto e letto nel
mondo, la Bibbia: «Da Lutero
in poi - scrive - la Bibbia i
tornata finalmente a essere
per tutti, come in epoca patristica (...). Solo che, poiché
si tratta di un libro (...) che ha
avuto un editing lungo 14 secoli, e che fra ebrei, cattolicie
protestanti vanta una tradizione esegetica lunga 3.0011
anni suppergiù, forse occotrerebbe un po’ d’attenzione
prima di mettersi a leggerla
come un libro qualsiasi», i
più avanti: «“La lettera uccide, lo Spirito dà vita” - chf
l’autrice da San Paolo -- EH
letteralismo il primo rischio
del lettore della Bibbia (.-)•
La Bibbia non è un manuale
di teologia astratta, né Dio si
rivela nella trascendenza di
chissà quale cielo, ma airto'
terno del disordine delle vicende umane, miserie e vio;
lenze comprese. Si tratta di
imparare a leggere con uno
sguardo diverso, con la prospettiva ribaltata di Dio, i}'
bri della natura e della stoni
di cercare uno spessore, un
valore segreto».
veri e degli afflitti» e che cos
significa una frase simile po'
ciascuno di noi?
Terza osservazione: ave
detto che vogliamo essere comunità di fratelli e di soteli ■
Allora vi comunico la nr>a s
tuazione; aspetto una risp
molo
sta (ne ho parlato con i
pastori e non ho avuto risp
sta - ma la comunità non s
no solo i pastori): vi vog
prendere sul serio; è u
scommessa che faccio e
glio vedere che cosa su;
Quarta e ultima osservazion
ccedo
èan
(per ora): chi ci scrive ' .
che ammalato: che cosa ,
rare
■ insf
(Rulrrica «Parliamone
yne
evangelico» curata
me» della trasmissione <
^ f./A«-f 4-^ r A A-"
andata in onda doment
ottobre)
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PAG. 1 1 RIFORMA
Sil
P Sentenze che
fanno scuola
H simbolo di quella che fu
la De, il governante che in
nuasi mezzo secolo ha avuto
Dotere come nessuno, non ha
intrallazzato con la mafia,
non è stato mandante di un
assassinio. Le procure inquirenti contro Andreotti non
hanno potuto mettere insieme lo straccio di una prova. Il
nersonaggio è stato complesso e ambiguo, su di lui le
scuole di pensiero discuteranno a lungo. Si può discutere se, lui governando, l’Italia sia cresciuta o si sia impaniata nei ritardi e nelle contraddizioni. Ma due Corti
d’Assise hanno sentenziato
su di lui: erano teoremi politici, castelli di carte false le
ardite costruzioni accusatorie che volevano Andreotti
colluso con Cosa Nostra a Palermo e colluso fino all’omiddio a Perugia.
Due sentenze che faranno
forse scuola, che indicano
che una brutta stagione della
giustizia italiana va forse a finire. Che ristabiliscono forse
i punti fermi che valgono negli ordinamenti di giustizia
dell’Occidente l’Italia sembrava avere smarrito. Che un
governo può essere buono o
cattivo, il popolo lo giudicherà con il voto, gli storici
con le loro cronache e un
credente è legittimato a pensare che il malgoverno è peccato di fronte a Dio; ma nessun cittadino è legittimato a
pensare che governanti che
ci pare abbiano mal governato possano essere chiamati a
risponderne davanti a una
corte penale.
Che l’invasione di campo,
la tracimazione dagli argini
M potere giudiziario rispetto a quello esecutivo e legislativo è una deviazione devastante; che se un paese si è
sporcato di malcostume e
corruzione, nessun magistrato inquirente può rivoltare
l’intero paese come un calzino per scrollarne la sporcizia. Che nelle democrazie
dell’Occidente, a me piace dire soprattutto in quelle di
marca protestante, accusa e
difesa si confrontano nei tribunali su un piano di parità.
Ma è possibile, si è chiesto
un autorevole pastore valdese, che Giancarlo Caselli, un
cattolico militante, sia in
realtà un persecutore, uno
che può costruire teoremi
d’accusa assemblando con il
pregiudizio solo più delazioni
di «pentiti», male informati o
bugiardi? Ho gran rispetto dei
cattolici militanti. Ma il prof.
Giovanni Gönnet diceva: anche Bernardo Gui, il «Grande
Inquisitore» domenicano, era
un cattolico militante.
Il pentitismo poi è rolja tutta italiana, della Controriforma. Solo un paese che ha nel
suo vissuto profondo la confessione auricolare, il perdonismo dell’ego te absolvo, se
paghi penitenza o indulgenza
prezzolata, poteva inventarsi
i «pentiti». Nei paesi dove le
chiese cattolica e comunista
non hanno marcato un’egemonia nel costume giuridico,
i «pentiti» si chiamano confidenti della polizia o collaboratori di giustizia. Se «parlano», se rivelano quello che
sanno del mondo malavitoso
che hanno lasciato con l’arresto, lo fanno subito e una volta sola. Non parlano a rate.
Non scambiano le rivelazioni, vere o menzognere, con
stipendi multimilionari che
lo stato (i contribuenti) gli
paga, che «se mi dai di più ti
dico di più». Come ha fatto
l’assassino confesso Balduccio Di Maggio, quello del bacio di Andreotti a Riina che
ne avrebbe attestato la consorteria mañosa. Che, sotto
protezione dello stato, torna
in Sicilia a delinquere e uccidere ancora. 0 come don
Masino Buscetta, che se ne
va in crociera da bravo borghese con i soldi dello stato e
quindi nostri. E viene poi
sbugiardato su Andreotti dal
collegio giudicante.
Sergio N. Turtulici-Pineiolo
Una traduzione
fuorviante
Nella disputa sul «non indurci in tentazione» si parte
quasi sempre dal verbo «indurci» invece che dal termine
«tentazione». Si fanno contorsionismi per interpretare il
verbo, che è giusto, e si dà invece per scontato che l’altra
parola debba soltanto essere
tradotta con «tentazione». Il
poveretto che prega, in realtà
chiede proprio di non essere
introdotto in prove che non
può sostenere e dalle quali
solo la mano di Dio lo può
proteggere. Alla lettera dovremmo forse dire: non metterci alla prova. Nel mondo
antico, non diversamente da
oggi, ma peggio di oggi, l’essere umano è facilmente preda della fatalità. Ecco dunque
che la persona semplice e povera, chiede a Dio che non gli
capiti l’impossibile da sostenere. Questa è la traduzione
più semplice e si adatta a tutti i poveri esseri umani che
noi siamo. La traduzione che
è diventata abituale (non indurci in tentazione) è del tutto fuorviante.
Sergio Rostagno- Roma
canfix]r:M
IO
NOVEMBRE 1999
Politica
A tutto campo. I vescovi senza De
Debito
Interrogativi sulla campagna «Jubilee 2000»
Cattolicesimo
L’avventura di don Primo Mazzolar!
Pace
Per che cosa si batte la «Tavola della pace»
IncontrilGirardet
«Io, agente del Kgb?»
Confronti: una copia lire 8.000; abbonamento annuo lire „„„
tsostenitore lire 120.000 con libro in omaggio). Veraamento sul blZSBUUi
' intestato a coop. Com Nuovi Tempi, via Firenae 38, M184 ^ma
Chiedete una copia omaggio telefonando allo 06-4820603, fax .
(indirim Internet; Http-y/hella.stm.itónarlEet/sct/home.htm)
Una storia dì vere e false spie accaduta a Zurigo agli inizi degli Anni 50
Non tutte le bufale vengono dal freddo
JOUNDA FUHBMAWN
Non tutte le bufale vengono dal
freddo. La disavventura neUa quale
è incappato Giorgio Girardet mi ha fatto
tornare alla mente un episodio occorsomi a Zurigo. Negli anni 1950-51, per le
vie della città, gli emigrati dal Sud d’Italia avevano sostituito le sagome dei
grandi esuli della guerra. La città sembrava voler dimenticare in fretta la generosità con cui aveva ospitato l’intellighenzia di tutta Europa per dedicarsi al
lavoro. Io frequentavo l’Università e lavoravo, per mantenermi, alla redazione
di un settimanale di lingua francese: ci
chiamavamo allora Werhtudenten, cioè
studenti lavoratori. Allo stesso gruppo
facevano capo anche un settimanale in
lingua tedesca e un quotidiano. La
guerra fredda, che distrugge le anime,
aveva sostituito la guerra aperta che distrugge i corpi. La vita sembrava pacifica, ma come ricoperta di un leggerissimo velo di tristezza. Si assisteva solo,
quando la crisi all’estero si faceva più
acuta, a una corsa alle provviste da parte delle casalinghe ancora memori delle
restrizioni subite in guerra.
Tutto bene, senonché a un tratto ebbi
la sensazione di essere sorvegliata. Occupavo un appartamentino al pianterreno di una casa in un quartiere borghese, non lontano dal teatro e dalrUniversità. Sul medesimo piano, un
ufficio commerciale; sopra, la proprietaria e una decina di altri studenti. Durante la notte il mio telefono squillava a
qualsiasi ora; mi sembrava che degli individui si nascondessero nel giardinetto
davanti alle finestre, che separava la casa dalla strada. Una sera, avendo dimenticato la mia cartella sul portabagagli della bici, mi ritrovai le carte rovistate. Cominciai ad avere paura, questa
presenza non identificabile diventava
ossessiva. Chiesi informazioni alla direzione dei telefoni, mi fu risposto che era
impossibile fare riscontri. Avvisai i colleghi del giornale: ma sarà un tuo spasimante, fu la risposta. Era molto sgradevole; i miei futuri suoceri decisero che
andassi ad abitare da loro per un po’ di
tempo, perché se il mio fidanzato Daniele era con me, quella «presenza occulta» sembrava rafforzarsi. A un tratto,
come era Iniziato, il pedinamento cessò. Sollievo sì, ma allora avevo sognato
o non ero abbastanza forte per sopportare i corsi di psicologia che seguivo
all’Università congiuntamente a quelli
di Lettere? Il semestre seguente rinunciai, e non era facile, nella Zurigo città
di Jung, sottrarsi a quell’epoca al fascino degli studi di Psicologia.
La vita riprese il suo corso normale
finché un giorno, arrivando in redazione, trovai ad aspettarmi il responsabile
degli Affari giudiziari: «Ragazzina - mi
disse - come si chiama il suo fidanzato,
quel giovanotto che viene sempre a
prenderla qui?». «Daniele Fuhrmann».
«Il figlio del pastore della Comunità
evangelica italiana, vero?». «Sì». Ci fu
una risata generale (i giornalisti delle
tre testate si erano nel frattempo radunati intorno a me con una copia dei
quotidiani in mano). «Ma lo sa che aveva ragióne, che l’hanno effettivamente
pedinata e sorvegliata per mesi?».
Detto questo, mi lessero la cronaca
giudiziaria del quotidiano: il giorno
precedente si era svolto il processo a un
cittadino americano di colore, già studente presso l’Università di Ginevra negli anni 1948-49, accusato di essere una
spia americana incaricata di scoprire e
segnalare alla Cia, eravamo in pieno
Maccartismo, il nome di assistenti o
studenti possibili agenti del Kgb. Daniele aveva studiato a Ginevra nel 1948
e 49, aveva conosciuto questo studente.
anzi l’aveva anche aiutato dandogli lezioni, evidentemente gratis. E che Daniele fosse antifascista e di sinistra era
notorio. Era stato a Zurigo, nel 1943,
co-fondatore di un’associazione di studenti italiani, in maggioranza ebrei, arrivati in Svizzera al momento dell’emanazione delle leggi razziali del 1938 (i
vari Volli, Segre, Bergmann, ecc.), e cofondatore, un anno dopo, dell’associazione «Piero Gobetti». Era sempre
pronto a difendere le proprie opinioni,
sempre pronto a rifare il mondo come
lo sognavamo noi.
Questo studente americano mandato
in una Ginevra allora molto viva aveva
pure dovuto fare dei nomi per giustificare il proprio stipendio. Così Daniele
Fuhrmann era diventato nientemeno
che il responsabile per la Svizzera della
sezione «armi» dello spionaggio sovietico. Come lo studente fosse stato scoperto non venne mai rivelato dalla Polizia federale. Fu condannato e mori poi
di tubercolosi in una prigione svizzera.
Ma naturalmente, prima del processo,
la Polizia federale aveva svolto indagini
approfondite a Zurigo, dove Daniele
era tornato, terminati i suoi studi a Ginevra. Poco propensi a pensare che
Svolgesse la sua attività «criminale» in
casa del padre, il pastore Alberto Fuhrmann, indiscussa autorità morale, avevano pedinato la fidanzata, pure lei di
sinistra e italiana, studentessa e con attività giornalistica.
I giornali di lingua tedesca fumno
molto discreti, limitandosi a indicare
le iniziali D. F., senza altri riferimenti.
Non così fece invece il giornale La
Suisse di Ginevra, che fornì nome e co^
gnome per esteso. E nel 1952, avendo
chiesto un visto per gii Stati Uniti (nel
frattempo ci eravamo sposati) questo
ci fu rifiutato. Eravamo sulla lista nera,
0 rossa, che dir si voglia.
; Fare i conti
con il passato
Caro direttore,
nel suo articolo «Fare i
conti col passato» sul caso
Mitrokhin, si chiede, citando
Giorgio Spini: «Che cosa c’è
in questo dossier che già non
sapessimo?». Certo, il prof.
Spini, da insigne storico qual
è, sapeva molto. Ma gli altri?
I lettori e i redattori de L’eco
delle valli-La Luce-Riforma,
ad esempio, sapevano davvero che il Pei dal ’47 all’80
riceveva ogni anno dal Kgb
dai 7 ai 40 miliardi di lire di
oggi, e che dunque i suoi bilanci ufficiali erano una truffa? Che ancora negli Anni 80
la sinistra Pei ricevette miliardi dairUrss di Breznev, e
che è documentato l’occultamento al fisco italiano dei
profitti di una società vicina
al Pei al fine di finanziare il
Pei stesso tramite banche cipriote e svizzere?
Sapevano davvero che negli Anni 70 il Kgb addestrava
comunisti italiani per «allestimento covi clandestini» e
«tecniche di travestimento» e
forniva ai dirigenti del Pei
passaporti falsi italiani e
svizzeri? Che il Kgb pagava
giornalisti e intellettuali (se
non Giorgio Girardet, certamente altri), non certo perché fornissero informazioni
segrete, che si procurava tramite gli infiltrati nei ministeri, ma perché sostenessero
tesi funzionali all’Urss, prime fra tutte quelle del pacifismo a senso unico, contrario
a ogni tentativo di contrastare l’imperialismo sovietico,
dal Vietnam a Comiso?
Io non credo che si sapessero queste cose, perché
spero che in tal caso molte
brave persone sarebbero state più prudenti nello schierarsi con il partito del Kgb,
nel sostenere le stesse posizioni degli uomini pagati dal
Kgb e nell’emarginare chi ad
esse era contrario. Ecco il
passato con cui forse si dovrebbero fare i conti. Ma anche recentemente, su queste
colonne abbiamo, ad esempio, potuto leggere, e più di
una volta, che i «giusti» di
Genesi 18 sono oggi il cattocomunista Giancarlo Caselli
e Ilda Boccassini, noti (ac
canto ad altri meriti, innegabili ma sovracelebrati) per
aver messo sotto processo
parecchi politici, alcuni colpevoli e molti poi riconosciuti innocenti ma, guarda
caso, tutti avversari del PeiPds-Ds. Ecco, prima di proclamare inopinate beatificazioni valdo-metodiste, prima
di un ennesimo, buonista,
Gott mit uns, sarebbe utile
fare i conti con le beatificazioni e i Gott mit uns di ieri.
Specie se, come dice la bella
presentazione di Riforma, si
«aspira a una maggiore unità» nelle chiese.
Lucio Malan-Tone Pellice
Noi popolo
dì credenti
La meditazione del past.
Mauro Pons sul n. 40 di Riforma (pag. 2) mi ha riportata a
una riflessione che faccio
spesso sull’evangelizzazione.
Considerato che per evangelizzare bisogna prima testimoniare della propria fede, è
indispensabile essere credibili e coerenti con il proprio
^ Nuovi indirizzi
L’animatore giovanile Massimo Long comunica il proprio
nuovo indirizzo: via Principe Amedeo 22, 57038 Rio Marina
(Li). Tel./fax: 0565-924208.
Il pastore Luca Anziani comunica il suo nuovo indirizzo: via
Appia 58, 71042 Cerignola (Fg); tei. 0885-417476.
Villaggio deila Gioventù
Lunsomare Pyrgi, 13 - 00050 Santa Severa (Roma)
Tel.: 0766/570055 - Fax: 0766/571527 - Email: villas3i@fm.it
IL «VILLAGGIO DELLA GIOVENTÙ» DI SANTA SEVERA
vi invita a partecipare al
STAFFIAMOCI
L’organizzazione del lavoro interno ed esterno al gruppo.
Le tecniche di esposizione.
26 novembre 1999 - ore 16
28 novembre 1999 - pranzo
Informazioni e iscrizioni presso il Viilaggio
Sono disponibiii borse viaggio da chiedere anticipatamente
alia direzione. Prezzo complessivo Ut. 80.000
pensiero e la propria etica. Se
ciò non accade, siamo, come
avviene spesso, rame risonante. Tuttavia ho notato che
diventa maggiormente complicato testimoniare se un
popolo di credenti viene confuso con uri popolo interessante e basta, con un popolo
di montanari i quali (chissà
perché) invitano «alla loro
messa» i presidenti della Repubblica e stampano su quotidiani, riviste e ricettari ricette povere per ristoranti
ricchi. Siamo simpatici, vero?, tant’è che «vi destinerò
l’otto per mille».
Ora mi domando: se non
traspare la nostra appartenenza a un popolo di credenti, di chi la colpa? È il disinteresse della maggior parte degli italiani o ci piace mimetizzarci? Forse crediamo
non sia più necessario lottare perché non riusciamo più
a distinguere gli avversari,
forse pensiamo che ormai la
croce di Cristo ha trionfato,
forse ci siamo scordati che
l’Evangelo viene prima di
tutte le altre cose.
Laura Gelso - Terricciola (Pi)
LTECIPAZIONI
RINGRAZIAMENTO
«Il vostro cuore non sia
turbato: abbiate fede in Dio»
Giovanni 14, 1
Le figlie, I figli, la sorella, il fratello e i familiari tutti della cara
Amalia Grill ved. Priotto
commossi e riconoscenti per la
grande dimostrazione di stima e
di affetto tributata alla loro cara,
nell’Impossibilità di farlo singolarmente, ringraziano tutti coloro che
con presenza, scritti, parole di
conforto e fiori hanno preso parte
al loro grande dolore.
Un ringraziamento particolare
ai signori Cecilia e Tarcisio, alla
signora Emilia, al Servizio 118, alla Cri di Torre Pellice, al Pronto
soccorso dell'Ospedale valdese
di Torre Pellice e al pastore Claudio Pasquet.
Lusernetta, 5 novembre 1999
[f
m mmBiMOkx
Claudiana
via Principe Tomaso, 1 - Torino
011 -6689804 - fax 011 -6504394
RINGRAZIAMENTO
«Tu solo Signore mi dai
sicurezza, mi corico
tranquillo e mi addormento»
Salmo 4, 9
I cugini Franco, Pina e Sandra
Barai del caro
Renato Breuza
riconoscenti, ringraziano tutti coioro che hanno preso parte al loro
dolore.
Pinerolo, 5 novembre 1999
alto
"Ì^adìo
abbonamenti
interno
estero
sostenitore
L 10.000
L. 20.000
L. 20.000
Versomenti sul conto corrente postale n.
4661 1000 intestato o; «CULTO RADIO», via Firenze 38, 001 84 Roma.
20
PAG. 1 2
RIFORMA
VENERDÌ 5 NOVEMBRE Iqqq
Belgrado: intervista ad un esponente di «Alternativa democratica»
«Vedo il futuro del nostro paese senza Slobodan Milosevic»
Pubblichiamo parte del
colloquio che Paolo Emilio
Laudi ha avuto a Belgrado
con Neboj a ovi, esponente di
«Alternativa democratica».
- Come vede il futuro immediato?
«Lo vedo soprattutto senza
Slobodan Milosevic e senza
questo regime. L’opposizione democratica deve rispondere a due domande: in che
modo Milosevic se ne andrà
e quando se ne andrà. Siamo
in una situazione molto difficile e pensiamo che ogni
cosa che può essere fatta
debba essere fatta evitando
nuovi possibili conflitti, perché sono questi conflitti che
hanno permesso a Milosevic
di rimanere al potere in questi ultimi dieci anni. Per questo stiamo cercando di raggiungere una strategia comune di tutta l’opposizione
democratica. Quando Milosevic sarà via, penso che il
futuro della Serbia sarà garantito, ma non dobbiamo
consentire a Milosevic di rimanere ancora a lungo».
- Perché ci vuole tanto tempo per trovare una piattaforma comune?
«Prima di tutto perché Milosevic ha in mano l’organizzazione, le finanze, ecc...
dell’Unione comunista della
Serbia e dell’Unione socialista dei lavoratori. Queste sono istituzioni politiche esistenti da quasi cinquant’anni,
per cui hanno radici molto
profonde. 11 pluralismo politico, nato dieci anni fa, non ha
un potere simile. Lo stesso
Milosevic ha influito sulla formazione di alcuni sedicenti
partiti di opposizione; poi ha
imposto un gioco politico
molto sporco, in cui sono cascati molti leader dell’opposizione: dimostrare cioè chi è il
serbo più forte, più patriota.
Questa è la trappola in cui,
purtroppo, Milosevic è riuscito a incastrare gran parte
dell’opposizione. NeH’ultimo
periodo molti, presi dalla vanità, si sono opposti a Milosevic per diventare dei secondi
Milosevic, non perché la Ser
Pancevo (Serbia), maggio 1999, durante i bombardamenti della Nato
bia torni ad essere un normale paese europeo».
- Pensa che il conflitto in
Kosovo abbia aiutato Milosevic a rimanere al potere?
«Milosevic è giunto al potere attraverso il Kosovo. Dopo, ha mantenuto il potere
provocando conflitti interetnici in tutto il territorio
dell’ex Jugoslavia, cominciando dalla Slovenia, poi la
Croazia, la Bosnia, fino al Kosovo. Ma l’aggressione [della
Nato, ndr] contro la Jugoslavia, causata dalla politica
sbagliata di Milosevic nei
confronti del Kosovo, ha favorito più Milosevic che non
le forze democratiche in Serbia. Ciò che sta succedendo
ora in Kosovo, il fatto di non
aver risolto i problemi del
Kosovo multietnico, favorisce maggiormente Milosevic
che non l’opposizione democratica in Serbia. Milosevic
cercherà di fomentare ulteriori conflitti in Kosovo, così
come ha tentato di creare un
nuovo conflitto con il Montenegro. Purtroppo siamo un
paese che comprende altre
zone sensibili, come Sandzak, Vojvodina, ecc...».
- Quello che è difficile per
noi è capire la posizione della
Serbia, non quella di Milosevic, sul Kosovo. Dal suo perso
nale punto di vista, che cosa è
successo in Kosovo?
«11 problema del Kosovo
non è nato dieci anni fa. Esiste da oltre due secoli. Milosevic ha soltanto giocato su
questo problema. E vero che
a un certo punto ha tolto
ogni potere al gruppo etnico
albanese in Kosovo. E quando gli albanesi tentarono di
raggiungere accordi, Milosevic rifiutò. Tutti i cittadini
' serbi hanno una grande sensibilità nei confronti del Kosovo. Siamo un paese al quale per anni e secoli è stato insegnato, dalla battaglia del
Kosovo fino ad oggi, che il
Kosovo è la nostra fonte spirituale. 1 serbi non sono mai
stati né saranno mai un paese che giudica un altro uomo
o un’altra nazione sulla base
del suo retroterra nazionale,
etnico o religioso. 1 serbi sono un popolo che negli ultimi
dieci anni ha sofferto molto,
attraversando diversi genocidi, e Milosevic ha portato
l’intero paese in una posizione tale che siamo considerati
come una nazione criminale,
fascistoide. Secondo me, su
questo punto, la comunità
internazionale ha fatto un
grosso errore: quello di identificare l’intera nazione con
Milosevic. 1 nostri diritti u
Le chiese cristiane sono fortemente preoccupate
Zambia: l'islam sta progredendo rapidamente
La progressione dell’Islam
nello Zambia preoccupa
molte chiese, in particolare la
Chiesa cattolica romana. La
minaccia rappresentata dall’Islam è così sentita che Giovanni Paolo II ha lanciato recentemente un appello ai
preti e ai laici dello Zambia
affinché intensifichino l’evangelizzazione nel paese.
Il segretario della Chiesa
cattolica di Lusaka ha pubblicato una dichiarazione che
spiega le preoccupazioni del
papa. Le organizzazioni islamiche si mostrano molto attive, costruendo scuole, consultori e moschee, soprattutto nelle zone povere del paese. «In queste circostanze dice la dichiarazione - il problema richiede una doppia
soluzione da parte della
Chiesa: una evangelizzazione
vigorosa e un’apertura al dialogo interreligioso».
Il prete Ignatius Mwebe,
segretario della Conferenza
episcopale dello Zambia, ha
riconosciuto che l’Islam sta
progredendo rapidamente.
Riferendosi ai doni delle organizzazioni islamiche che
forniscono insegnamento e
cure sanitarie gratuite, ha aggiunto: «I loro metodi di conversione non sono buoni; utilizzano ricchezze materiali
per conquistare anime». Il
prete ha spiegato che in alcune zone i musulmani si comportano come se partecipassero a un concorso per gua
dagnare anime. Nell’Est dello
Zambia, dove l’Islam conta
molti adepti, i musulmani
costruiscono consultori e
scuole vicino a strutture gestite da organizzazioni cattoliche e da altre confessioni.
«È vero che l’IsIam costituisce una minaccia per il cristianesimo nel nostro paese, e
che esso progredisce molto
rapidamente», ha dichiarato
Thomas Lumba, responsabile
della Comunità evangelica
dello Zambia, che conta un
milione di membri. Lumba ha
affermato che l’Islam utilizza
il denaro e altri mezzi per incoraggiare la popolazione ad
andare nelle moschee. «La situazione economica in cui si
trova il paese spinge la gente
a fare qualsiasi cosa... per cui
non c’è da meravigliarsi che
l’Islam faccia sempre più
adepti fra i poveri del nostro
paese», ha aggiunto.
La Comunità evangelica
dello Zambia ha organizzato
diverse riunioni per discutere
dell’avanzata dell’Islam e ha
lanciato «un vigoroso programma di atelier e di seminari per dare alla popolazione una parola di Dio adeguata che la aiuti a frenare la
progressione dell’Islam». Il
pastore Selishebo Selishebo,
segretario generale della
Chiesa unita dello Zambia,
una grande chiesa protestante che conta circa due milioni
di membri, ha anch’egli affermato che i cristiani devono
intensificare l’evangelizzazione «ma bisogna affrontare il
problema della povertà, perché è questa che spinge tanta
gente a convertirsi all’Islam»,
ha sottolineato.
Interrogato circa le preoccupazioni espresse dal papa
Shaban Phiri, direttore del
Centro nazionale di diffusione dell’Islam, ha affermato
che «questo genere di dichiarazione non ci preoccupa.
Anzi, siamo felici di vedere
che il capo della Chiesa cattolica riconosce la nostra influenza». Shaban Phiri però
non accetta le critiche di coloro che dicono che l’Islam
compra i convertiti: «La nostra azione di beneficenza
ubbidisce a uno dei cinque
pilastri dell’insegnamento
islamico. Bisogna dire che la
gente ha trovato una certa
credibilità nell’Islam. Essa
adotta l’Islam perché è al servizio della verità. Noi intensificheremo i nostri programmi di diffusione e difenderemo la nostra influenza».
Secondo il Centro di diffusione dell’Islam, quattro anni
fa lo Zambia contava poco
più di 500.000 musulmani.
Oggi, dice Phiri, sono circa 1
milione e mezzo su circa 10
milioni di abitanti. Secondo il
«World Church Handbook»,
pubblicato a Londra, circa la
metà degli abitanti dello Zambia è cristiana. La Chiesa cattolica romana è la più grande
chiesa del paese. (eni)
mani, le nostre libertà sono
in pericolo così come lo sono
quelli degli albanesi. Qui non
importa di quale nazionalità
o di quale religione siete; se
siete contro Milosevic e la
sua politica, siete in pericolo
ogni giorno. Con i media che
abbiamo, che sono interamente controllati da lui, Milosevic ha raggiunto il colmo
del machiavellismo e della
manipolazione».
- Il problema però non è solo di un uorho. Riconosce che
esiste un problema strutturale
che fa sì che si parli di stato
mafioso, che va cambiato?
«È vero che il problema
non sta solo in un uomo, però
quest’uomo ha scelto il momento in cui l’ex Jugoslavia si
stava avviando verso una normale transizione economica
e stava per inserirsi nella normale corrente occidentale europea. Ovviamente, Milosevic
era contrario e ha trasferito
tutto il problema a livello nazionale, sostenendo che nell’ex Jugoslavia avevamo lo
specifico problema di un
grande numero di gruppi etnici abitanti in quest’area.
Dopodiché ha iniziato a instaurare uno strano sistema
economico, per nulla trasparente. Tutti i paesi hanno la
propria mafia, ma qui la mafia si è impadronita dello stato. Questo sta diventando il
nostro maggiore problema».
- Pensa che la riconciliazione sarà possibile nel Kosovo? Riconciliazione non soltanto nel senso di vivere gli
uni accanto agli altri ma di
mettere nuovamente la gente
insieme, così com’è successo
in Sud Africa dopo la fine dell'apartheid?
«Credo che la riconciliazione sarà possibile; certo richiederà un po’ di tempo e,
dopo tutto quello che abbiamo vissuto, abbiamo bisogno
di un aiuto economico. Se il
livello di vita dei cittadini migliorerà di anno in anno, sono certo che torneremo in
quella fase in cui non importa a quale nazionalità e religione si appartiene. La prima
condizione per questo è la
stabilità economica. Non
dobbiamo avere fretta, dobbiamo procedere passo dopo
passo, perché ogni passo affrettato rischia di portare a
un ulteriore disgregazione di
questo territorio. Penso che
sia più ragionevole che tutti
quelli che vogliono questo, e
sono circa l’80%, dicano a
Milosevic “ora basta” e lo costringano ad andarsene; poi
ci metteremo attorno a un tavolo e molto razionalmente,
molto realisticamente, a seconda dei problemi che avremo, analizzeremo le tappe
necessarie per raggiungere
una vita comune. L’aiuto della comunità internazionale
sarà molto importante, così
come quello dell’Unione europea. Siamo nella stessa casa. Altri, di altri continenti,
possono comprenderci, ma
non ci capiranno mai come
possiamo capirci noi che abitiamo nella stessa casa».
-.-,1 Ma bisogna tornare alla democrazia
Le chiese appoggiano
il colpo di stato in Pakistan
Diversi responsabili di
chiesa del Pakistan si sono
congratulati per il colpo di
stato militare in Pakistan che
ha rovesciato il primo ministro Nawaz Sharif. Hanno
tuttavia messo in guardia che
una sospensione prolungata
della democrazia sarebbe
inaccettabile.
Il colpo di stato militare, il
terzo in 52 anni di storia, ha
avuto luogo il 12 ottobre scorso, poche ore dopo che il governo Sharif aveva annunciato la rimozione del capo dell’esercito, il generale Pervez
Musharraf L’esercito ha immediatamente reagito «rovesciando» il governo Sharif,
ponendo il primo ministro in
residenza sorvegliata e prendendo il controllo delle principali strutture del paese, tra
cui la radio e la televisione.
La maggior parte dei responsabili di chiesa del Pakistan si sono congratulati per
il rovesciamento del governo
Sharif, che era diventato molto impopolare. «È la situazione che lo esige», ha dichiarato Victor Azariahs, segretario
generale del Consiglio nazionale delle chiese del Pakistan, che riunisce quattro
chiese protestanti e 15 organizzazioni legate alle chiese.
Anche se il rovesciamento da
parte dell’esercito di un governo eletto può essere tecnicamente «incostituzionale»
ha aggiunto, non c’è «nulla di
sbagliato» nel fatto che l’esercito «rovesci un governo impopolare» finché il popolo è a
favore dell’allontanamento di
quest’ultimo.
Secondo «Sbs World Guide», la grande maggioranza
dei 140 milioni di pachistani
sono musulmani. Sui tre milioni di cristiani, circa il 50%
sono cattolici romani e la
metà appartiene alle quattro
chiese membro del Consiglio
delle chiese (Chiesa protestante del Pakistan, Chiesa
«L'Appello spirituale di Ginevra)
Contro la giustificazione
religiosa della violenza
Il 24 ottobre rappresentanti
delle grandi religioni e di organizzazioni internazionali
hanno firmato a Ginevra un
documento che chiede a tutti
i responsabili politici del
mondo di non invocare motivi religiosi per giustificare la
violenza e i conflitti. Secondo
i firmatari di questo documento, l'Appello spirituale di
Ginevra, vi sarebbero attualmente 56 conflitti a carattere
religioso nel mondo.
William McComish, decano della cattedrale SaintPierre di Ginevra e uno degli
organizzatori, ha sottolineato
che questi 56 conflitti non sono guerre di religione ma sono legati alla religione, come
i conflitti del Kosovo, del Timor orientale, e «l’esempio
scandaloso delTIrlanda del
Nord». «Noi crediamo che se
si esaminano attentamente
questi conflitti, ci si rende
conto che hanno a che fare
con l’identità. La religione fa
parte dell’identità che spinge
un gruppo etnico ad opporsi
a un altro», ha fatto notare il
pastore McComish, originario dell’Irlanda del Nord.
«Perché le nostre religioni,
o le nostre convinzioni personali hanno in comune il rispetto della dignità della persona umana, il rifiuto dell’odio e della violenza, e la speranza di un mondo migliore e
giusto - afferma l’Appello spirituale di Ginevra - noi, rap
presentanti di comunità religiose e rappresentanti della
società civile, chiediamo ai
“decision makers”, qualunque sia il loro campo di attività, di rispettare in modo assoluto i tre precetti seguenti:
a) non invocare una forza religiosa o spirituale per giustificare la violenza, qualunque
essa sia; b) non riferirsi a una
forza religiosa o spirituale per
giustificare qualsivoglia discriminazione ed esclusione;
c) non usare della propria forza, della propria capacità intellettuale o spirituale, della
propria ricchezza o del proprio status sociale per sfruttare o dominare l’altro».
Tra i firmatari del documento, proclamato a Ginevra
durante un servizio interreligioso celebrato nella cattedrale Saint-Pierre, troviamo Cornelio Sommaruga, presidente
del Comitato internazionale
della Croce Rossa, Mary Robinson, Alto commissario
deirOnu per i diritti umani,
Sadako Ogata, Alto commissario delTOnu per i rifugiati,
rappresentanti delle religioni
musulmana, buddista ed ebraica, delle chiese riformata,
ortodossa, cattolica romana e
cattolica cristiana. (enfl
Claudiana
presbiteriana. Esercito della
Salvezza e Associazione delle
chiese presbiteriane riformate). Victor Azariahs, che parlava da Labore, alla frontiera
con l’India, ha dichiarato il 13
ottobre; «Non ci sono state né
proteste, né agitazione. Qui,
tutto è normale».
Per Cedi Chaudhry, segretario (cattolico romano) del
Forum di azione nazionale
cristiano, sostenuto dalla
Conferenza episcopale e dal
Consiglio delle chiese del
Pakistan, «tutti sapevano che
questo doveva succedere. Ne
siamo felici». Manifestando
la propria «gioia» dopo il
rovesciamento del governo,
Chaudhry ha proseguito: «La
gente era stufa del governo,
soprattutto la gente comune
che era la più colpita. In questi ultimi mesi il paese ha dovuto far fronte a un crollo
economico totale, accompagnato da chiusure di imprese,
da un elevato tasso di inflazione, dall’aumento delle tariffe dei servizi pubblici, dall’incremento della corruzione e dalla violenza tra comunità religiose. La gente aspira
alla tranquillità. L’esercito
non fa altro che rispondere
alle sue aspirazioni». Il governo Sharif, che aveva una
maggioranza dei due terzi al
Parlamento nazionale ha «sistematicamente ridotto al silenzio ogni istituzione democratica in questi ultimi due
anni». Siccome non c’erano
altre autorità capaci di «controllare il primo ministro avido di potere», ha fatto osservare Chaudhry, «l’esercito ha
salvato la patria».
Questi responsabili di chiesa si sono espressi così poco
prima che il nuovo governo
militare dichiarasse lo stato
di emergenza e sospendesse
il Parlamento il 15 ottobre
scorso. Secondo la Bbc, ciò
equivale all’imposizione della legge marziale. (eni)
via Principe Tomaso, 1 ■ To*?
011-6689804 - fax 011-6504394
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