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RIVISTADI 5TvDI REUGIO5I EDITA DALLA FACOLTÀ DELLA SCVO* LA TEOLOGICA BATTISTA DI ROMA
MAGGIO-GIUGNO 1912
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo Via Crescenzio 2, Roma.
D. G. Whittinghill, ZX, Redattore per l' Estero, Via Delfini 16, Roma.
•fi Si pubblica alla fine di ogni mese pari in fascicoli di almeno 64 pagine. j4
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Illustrazioni del presente fascicolo «
Gerolamo Savonarola: Ritratto (a p. 220).
Giovanni Pascoli : Ritratto (tavola fra p. 224 e p. 225) — La villa a Castelvecchio (p. 224) — Lo studio (p. 225) — Castelvecchio (p. 228) — Barga (p. 229).
Inumazione e cremazione: Discesa della bara velia fossa (p. 248) — Tomba neolitica (p. 250) — Coperchio per mummia egizia ; Sarcofago dipinto con cerimonie religiose trovato nell' isola di Creta ; Anfora con rappresentanza del rogo di Patroclo (due tavole tra p. 248 e p. 249).
L’ autocefalia della chiesa di Salona : Grande mosaico lateranense ; Cimitero di Manaslirine ; Sarcofago di Primus ; Mosaico della basilica urbana di Salona ; /scrizione del vescovo Johannes (?) (3 taw. tra p. 264 e p. 265) — Epitaffio dell' arcivescovo Massimo (p. 270).
Arte religiosa domestica: Figure a pagg. 285, 286, 287 e su due tavole tra p. 288 e 289.
Copertina, disegni e fregi di Paolo A. Pacchetto.
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BILTCI1NI5
RIVI51A DI S1VDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLATEOLOGICA BATTISTA
- DI ROMAI
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SOMMARIO :
Gerolamo Savonarola : « Io ti ammonisco, Italia... » . . Pag- 220
Alfredo Taglialatela : Fu il Pascoli poeta cristianof . » 221
Paolo Orano: La rinascila dell'anima. (Note d’ un pensatore
« libero ») '. ........ » 232
Mario Rosa zza : Del metodo nello studio della Storia delle religioni. (A proposito di recenti manuali di S. d. R.) . » 241
F. FORNARI : Inumazione e Cremazione. ... .. » 248
G. Natali : La vita religiosa di Roma antica. .... « 254
Furio Lenzi : L'autocefalia della Chiesa di Salona ... » 260
Ernesto Rutili : Cipriano di Cartagine e il suo concetto di Chiesa » 274
INTERMEZZO :
Giovanni E. Mei lue: Arte religiosa domestica. ...... » 281
NOTE E COMMENTI:
P. Chiminelli : Nuovi profili di anime convertile......................» 289
Michelangelo Bill! a : Creta madre.....................................» 292
O. Cocorda : « II Signore degli Eserciti ».............................» 293
A. Baratono : Intorno alla religiosità del Pascoli.....................» 296
E. Gounelle : / due Socialismi alle prese..............................» 297
TRA LIBRI E RIVISTE:
Nuovo Testamento : — Chi non è con me è contro di me (P. C.) . . pag. 299
— Gli elenchi degli apostoli nel N. T....... » 301
Filosofia e Religione: — La Bibbia e le Scienze naturali (R. Teubel) . . »301
— Cristianesimo e Critica (A. Fasulo) ...... » 301
Religione e questioni sociali: — Il significato sociale della vita e dell’insegnamento di Gesù. (E. Meynier) ........ » 304
Storia delle Religioni : — Un manuale di S. d. R. (D. Scalerà) . . . » 306
— India antica (L. P.) .......... » 307
Storia del Cristianesimo : — Storia del Dogma (F. Lo Bue) . . . . » 30S
— I grandi Santi (E. Meynier) ........ » y.s
— I Padri della Chiesa (L. P.) ........ » 309
. — La Riforma (L. P.) .......... » 309
Archeologia-. — Ostia Colonia Romana ....... . » 309
Notizie .............. »310
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Maggio
Maggio
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« Io li ammonisco o Italia.... ninno ti Cristo. Egli lo farà ! E benché il tempo
salverà se non di mandare il
suo spirilo non sia ancora venuto, pure, siccome è destinato verrà » (Pred. sul 3 cap. di Ruth del 6 giugno -1496).
« Quando vidi che i tristi ripigliavano animo, che molli buoni si raffreddavano, che l’opera del Signore andava per terra, allora deliberai di tornare quassù; ma prima mi rivolsi al Signore dicendo : Io mi dilettavo della pace e della quiete e tu mi hai tratto fuori mostrandomi la tua luce ed io ho fatto come la farfalla che per desiderio dì luce brucia le sue ali. Io ho brucialo. Signore, le ali dèlia contemplazione, mi son messo per un mare tempestoso dove i venti sono da ogni parte contrari. Io vorrei andare al porto e non trovo loco, vorrei star cheto e non parlare ma non posso perchè il verbo di Dio è nel mio cuore come un foco il quale, se io non lo mando fuori,
mi arde le midolla pred. 17 febbraio.)
delle ossa. » {Quaresimale del segò GEROLAMO SAVONAROLA
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Fu il Pascoli poeta cristiano?
quanto sembrerebbe da un episodio venuto in luce dopo la morte del Poeta, il Pascoli non scrisse la Messa d'oro (ricordate ? la magnifica prosa che apparve in occasione del giubileo sacerdotale di Monsignor Bonomelli e che sollevò contro 1’ Autore il vigile e iroso areopago del libero pensatorismo), non scrisse, dico, la Messa d'oro di suo proprio impulso, ma per obbedire al volere di un’augusta Signora. Il Poeta le aveva chiesto d’intervenire perchè fosse concesso non so quale sussidio a un contadino di Barga rimasto mutilato mentre serviva sotto le armi. Ciò che desiderate — gli rispose 1’ augusta Vedova — sarà fatto purché voi, alla vostra volta, non mi neghiate il favore che vi chiederò domani. È 1* indomani gli chiese di celebrare, con una delle sue pagine ispirate, 1’ anniversario d’ oro del vescovo liberale.
Ebbene, è da questo componimento, quasi scritto per commissione, ma schietto e sincero come tutti gli altri del Poeta, che dobbiamo prender le mosse se vogliamo rispondere al quesito che ci siamo proposti. E dico che dobbiamo prender le mosse da questo componimento perchè in esso sì trova la risposta che al quesito dà Pascoli stesso.
Egli immagina di entrare o di avviarsi ad entrare nella chiesa dove il Bonomelli celebra, tra i ceri accesi e i fiori odoranti, la sua messa d’oro ; ma, sul vestibolo, gli si fanno incontro « alcuni ossuti e tetri che nascondono con le nere persone il lucciolio dell’altare » e gli chiedono:
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« Che vieni a far qui tu ? Credi tu ? .... Speri tu ? »
Il Poeta, sorpreso, abbassa un momento e con tristezza il capo ; poi, alzandolo e fissando gli occhi negli occhi, chiede di rimando :
« E voi credete ? E vói sperate ?.... Voi credete e sperate anche meno di me, pur presumendo molto più. Al posto delle due luminose virtù, voi- avete la cieca superbia, voi che dovreste essere imitatori del Dio che discese e si u-miliò ».
E, siccome i preti interlocutori insistono nel dire che « per essere cristiani, bisogna avere quella fede e quella speranza » e nel chiedergli con maggiore arroganza « le hai tu ? », il Poeta, con impeto :
« Voi non richiedete in me ciò che importa più ! In tutti, e sempre, voi richiedete quello che importa meno ! Voi non cominciate dal principio ! Voi non andate alla sorgente !... Il principio, il fonte, la virtù precipua è la carità, 1' agape, 1’ amore. Lo dice 1’ apostolo delle genti, Paolo di Tarso : Fede, speranza, carità : son tre ; ma la maggiore è la carità .. .. Voi dovete, o severi custodi dell’ adito cristiano, guardare in me e in tutti se c’ è questo divino segno di redenzione : l’amore. Il resto è incluso.
Ebbene, il problema è tutto qui. Ha avuto ragione il Pascoli di ridurre le caratteristiche cristiane al possesso dell’ amore, d’innalzare l’agàpe a criterio di distinzione tra cristiani e non cristiani ? E, ciò dato, esiste davvero nel Pascoli — nel Pascoli poeta e scrittore, perchè il Pascoli uomo ci sfugge é non può essere giudicato che da Colui che scruta i cuori — esiste davvero in lui, nella sua poesia, nella sua arte, questo segno cristiano dell' amore ?
E ciò che vedremo ; ma prima una parola sopra un desiderio ed un’ avversione che costituiscono come il substrato della fiera risposta del Poeta agli ossuti e tetri custodi dell’ adito cristiano.
Il desiderio. Quale ? Chiaro : il desiderio di essere considerato cristiano. Abbia avuto o no il diritto di appartenere alla grande famiglia di quelli che si nomano da Cristo, Pascoli ebbe questo desiderio.
E in quanto questo desiderio ei lo provò ed espresse in un paese come l’Italia dove si è tanto inveito contro il Cristianesimo e gli si sono gettate addosso le colpe del papismo e si è cercato di rappresentarlo quale vivaio di superstizioni, spegnitoio di civiltà, ninna - nanna che si canta ai popoli per tenerli addormentati ; in quanto lo espresse allorché, grazie al divulgamento delle teorie materialistiche, lo spirito anticristiano era padrone di tutte le università, di
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tutta la coltura, ed egli stesso, il Pascoli, saliva sopra una cattedra come quella di Bologna per raccogliere un’ eredità come quella del Carducci, è chiaro che questo desiderio — oltre che un nuovo documento della perenne e incoercibile vitalità del Cristianesimo che anche in tempi avversi accende della sua brama le anime più elette —- costituisce un magnifico atto d’indipendenza spirituale che rivela un altro lato della ricca natura di chi potè parere, a taluni, niente altro che un virgiliano cantore delle dolcezze dei campi e delle tenerezze dei semplici.
Ma, accanto al desiderio 1’ avversione. Quale? L’ avversione a professare il Cristianesimo di tipo dommatico, il Cristianesimo cioè dalle precise e rigide formule teologiche.
Sono stati poeti cristiani di tipo dommatico Manzoni e Dante : Manzoni che scrisse gli Inni Sacri e Dante che interrogato da S. Pietro intorno alla sua fede risponde col credo che si legge nel ventiquattresimo canto del Paradiso. Ma il Pascoli, interrogato dai preti che lo fermano sulla soglia del tempio, non risponde altro che : Amo, posseggo la carità, 1’ agape ; il resto è incluso. Ma vuoi precisare questo « resto incluso » ? vuoi dirci se credi come nói che il Logos sia divenuto carne e che questa carne abbia operata la redenzione e che questa redenzione s’ acquisti in certi modi e salvi da certi danni e conferisca certi benefici? Il Pascoli tace. Nè qui nè altrove potete cavargli di bocca la risposta precisa che cercate. Certo, mai egli lancia irriverenti parole contro le formule dogmatiche, siccome fece il poeta di Catania che lo ha di pochi mesi preceduto nella tomba ; certo qua e là proietta sul domina cristiano vividi fasci di luce che vi fanno pensare ad Agostino, a Secretan, a Drummond, a New-man ; certo attribuisce la fede dommatica a buone e belle creature, forse le più buone e belle dei suoi versi: ma quanto a farla e dichiararla sua questa fede, egli non fa e non dichiara niente. Anche se gli domandate assai meno di ciò che credettero Manzoni e Dante, la credenza più flessibile e moderna, per esempio, del Fogazzaro, anche allora egli non esce in una parola, in un atto, che vi tolga dall’ incertezza. Perchè il Fogazzaro vi presenta se siesso prostrato dinanzi a Gesù :
gridai, distesi a Lui le braccia, caddi e disperato piansi....
ma così non vi mostra mai se stesso Giovanni Pascoli che tuttavia protesta — e con vigore e con Sincerità — : Sono cristiano !
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Ma veniamo alle due questioni dianzi poste. Ebbe ragione il Pascoli di ridurre il Cristianesimo all’agape? ed esiste davvero, nella produzione pascoliana, il segno di quest’ agape cristiana ?
Cominciando da questa seconda, sarà bene ricordare il testo di Paolo a cui lo stesso Pascoli ci rimanda : « La carità (l’agape) è paziente, è piena di bontà ; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia: ; non fa nulla d'indecoroso, non cerca il proprio tornaconto, non s’inasprisce, non sospetta il male, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra con la verità; scusa ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa — e non viene mai meno » : il che vuol dire, mi pare, che 1’ agape è qualcosa di molto complesso o, piuttòsto, di molto semplice; qualcosa più che questa o quella determinata virtù, il fondamento o 1’ anima stessa di tutte le virtù : una radicale disposizione benigna verso uomini e cose, verso tutti e verso tutto.
Ora, a dimostrare che questa disposizione benigna ha posto nella poesia pascoliana, gioverà evocare — più che questo o quel componimento particolare, che può anche uscir di tono come la Benedizione ove il Poeta benedice troppo, anche la zizzània che Gesù, per esempio, non benedisse — gioverà riandare certi caratteri permanenti ed essenziali della produzione pascoliana che dimostrano che non solo l’agape ha posto in essa, ma il posto del cuore.
Primo di questi caratteri, 1’ inclinazione a cantare le piccole cose, o quelle che sono Stimate piccole. Certo, il Pàscoli ha cantate anche le grandi, il cielo stellato :
Sirio, occhio del Cane che veglia sopra il limitar di Dio ;
e le girovaghe Comete che « sanno le vie del ciel profondo » e le nebulose oscure,
granai del cielo, ogni cui grano è un mondo
LA VILLA A CASTELVECCH1O
ma non v’ ha dubbio che la preferenza del Poeta sia stata per le cose piccole. Non ha egli cantato le formiche, il ro-sicchiolo, la cucitrice, il ceppo, i fuchi, le galline, le lavandaie, il carrettiere, il gatto, il passero, la stoppia, l’assiuolo, il bucato, la siepe, il nido, l’acanto, la pervinca, il dittamo, l’erberella, l’edera, il castagno, i gigli, il corbezzolo, la lo-dola, 1’ agrifoglio, le ciaramelle, la granata, la tovaglia, il croco, il fringuello,
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(HI. 1912]
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FU IL PASCOLI POETA CRISTIANO?
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la guazza, il pitliere, la cinciallegra, il torcicollo, il chiù, i cavoli, il girarrosto e lo staccio?
O lieve staccio, io t’ amo. Il tuo destino somiglia al mio, tener la crusca, il fiore spargerlo puro per il tuo cammino.
Ebbene, questa tendenza a elevare le piccole cose, a redimerle, quasi, dalla loro piccolezza, fa parte dell' agàpc ed è cristiana, non solo perchè è redenzione e perchè ricorda Gesù che glorificò il « più piccolo dei semi », ma per- LO studiò
chè riconduce gli uomini alla vita semplice che hanno disertata non comprendendola più. Leggete D’ Annunzio e voi desiderate un appartamento sontuoso, quadri d’ autori, mobili intagliati, arazzi d' Olanda e un giardino folto di piante tropicali ; leggete Pascoli e voi desidererete una quieta casa di campagna dall’ ampia cucina imbiancata, dalla tavola d’ abete, dal largo focolare, coll’ orto accanto, modesto ed utile.
Altro carattere della poesia pascoliana fervido d’ agape cristiana, la tenerezza verso le pili umili creature umane. Appaiono, specialmente nei Poemi Conviviali e nelle Odi ed Inni, grandi creature quali Ulisse, Alessandro, Enzo. Mazzini, Verdi, André, Bismarck ; ma ecco Zi Meo, Nannetto, Rigo, Rosa e una moltitudine di artigiani, di contadini, di emigranti (quale nostro poeta volse tanta parte dei suoi carmi e del suo cuore alle migliaia che 1’ emigrazione invola all’ Italia ?) : e voi sentite che è qui tra queste più umili creature che il Poeta attinge la sua più alta ispirazione, felice di scoprire in esse tesori di arguzia, di bontà, di candore, di semplicità, di cavalleria, di finezza, di eroismo... Ad uno che gli presenta spavaldamente certi suoi intrugli e dice : — Ammira io son 1’ artista — egli risponde :
lo vo per via guardando e riguardando, solo, soletto, muto, a capo chino ;
prendo un sasso tra mille a quando a quando :
lo netto, arroto, taglio, lustro, affinò:
chi mi sia, non importa : ecco un rubino ;
vedi un topazio ; prendi un’ ametista.
Agape, pura agape cristiana !
La quale è ancora più evidente là dove il Poeta delinea il suo atteggiamento di fronte alla vita. Che dice a coloro che trovano cattiva la vita perchè vi sono dei cattivi ?
Oltre gli uomini occupati continuamente nella rissa dell’ esistenza vi sono quelli che
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vi si mettono in mezzo per sedarla. Oltre gli uomini ossessi dal dèmone della cupidigia e della rivalità, vi sono quelli che vogliono gettare dal cuore ogni acre fermento di contesa. Oltre gli uomini che non aspirano se non a star bene o meglio, vi sono quelli che non anelano se non a far bene, a fare, ogni giorno, ogni secolo, ogni millennio, meglio. Sono questi i veri uomini ; di questi si compone la vera umanità....
E altrove :
Non ammirare, se in un cuor non basso, cui tu rivolga a prova, un pungiglione senti improvviso : c’ è sotto ogni sasso — lo scorpione. Non ammirare, se in un cuor concesso al male, senti a quando a quando un grido buono, un palpito santo : ogni cipresso — porta il suo nido
E che agli altri che si lamentano della vita a motivo degli agguati che contro i viventi ordisce la Natura?
Gli uomini amarono più le tenebre che la luce, e più il male altrui che il proprio bene. E del male volontario danno, a torto, biasimo alla natura, madre dolcissima, che anche nello spengerci, sembra che ci culli e addormenti. Oh ! lasciamo fare a lei, che sa quello che fa, e ci vuol bene.
E che cosa agli altri che inveleniscono contro la vita perchè posseggono poco, perchè non hanno tutto ciò che vorrebbero ?
Oltre i mali necessari della vita e che noi, quali possiamo appena attenuare quali nemmeno attenuare, vi sono altri mali che sono i soli veri mali, e questi si possiamo abolire con somma e pronta facilità. Come ? Col contentarci. Ciò che piace, è si il molto ; ma il poco è ciò che appaga. Chi ha sete, crede che un’anfora non lo disseterebbe ; e una coppa lo disseta. Ora ecco la sventura aggiunta del genere umano: l’assetato, perchè crede che un’ anfora non basti alla sua sete, sottrae agii altri assetati tutta l’anfora, di cui berrà una coppa sola. Peggio ancora : spezza 1’ anfora, perchè altri non beva se egli non può bere. Peggio che mai : dopo aver bevuto esso, sperde per terra il liquore perchè agli altri cresca la sete e 1’ odio. E infinitamente peggio : si uccidono tra loro, i sitibondi, perchè non beva nessuno. Oh ! bevete un po’ per uno stolidi, e poi fate di riempire la buona anfora per quelli che verranno!
E non è questa agape ? non è questa 1’ eco delle parole di Pàolo : « 1’ agape è paziente, piena di bontà ; non è invidiosa.... non cerea il pròprio tornaconto, non s’inasprisce, non sospetta il male, non gode dell’ ingiustizia.... sopporta ogni cosa? »
E che dire dell’ attitudine che il Poeta consiglia di fronte ai dolore (un fiume che corre : tuffarvi entro le mani per purificarle) ? E che della sua teoria del fanciullino che ognuno porta in sè e che è come un angelo custode dal di dentro ? E che del suo ardore di metter pace, che gli fa gridare : « Voglio essere paciere : sono nella lotta ma non della lotta » ? E che della sua ansietà di portare una dolce parola persino a Lucheni ? E che della sua assidua ricerca dell’ elemento morale attraverso ai fenomeni storici e sociali onde esclama che la plebe è salita perché la borghesia è discesa a istruirla e farla cònscia
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dei suoi diritti, sicché dove si vede una violenta conquista è invece un’ opera di fratellanza? E che della sua formula di educatore: svolgere 1’ homo humanus dall’ homo sapiens. come già 1’ homo sapiens si svolse dal pitecantropo, e rendere l’umanità umana?... Non è tutto ciò puro e schietto fervore di agape cri -stiana ?
E non ho nominata la Cavalla storna che finisce in una nota, anzi in uno schianto di perdono. La madre del Poeta, la triste vedova che piangerà ancora un anno e poi morrà, è discesa nella stalla a rivedere la cavalla che tornò a casa, quella sera, muta, terrorizzata messaggera della sventura, del delitto... Oh se potesse parlare la cavallina, se potesse dire chi fu 1’ assassino :
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise, esso t’ è qui nelle pupille fise...
Ma non può dire ! non può dire !... Ma... forse... un’ idea !
ti voglio dire un nome
e tu fa cenno. Dio t’insegni come
e dice il nome che sospetta, che ha sempre sospettato, e la cavalla nitrisce alto Mia madre alzò nel gran silenzio un dito.
disse un nome.... Sonò alto un nitrito ,
ma qui la poesia finisce di schianto, come una comunicazione stroncata dalla rottura del cavo, perchè la sublime donna ha voluto saper si, ma non dirà, non profanerà la sventura con la vendetta. E il figlio pure non si vendicherà, non invocherà neanche la giustizia, anzi scriverà : « Se alcuna di queste poesie ispirasse un più acuto ribrezzo del male, io, oh! non me ne terrei io, ma ne benedirei la memoria de’ miei cari martiri, per i quali nessuno (nemmeno i loro assassini) soffrì, e che dalla loro fossa rendono anche oggi, per male, bene ».
« L’agape è piena di bontà... sopporta ogni cosa... non viene mai meno »...
Ed ora, 1’ altra questione che ci proponemmo : Ebbe ragione il Pascoli di ridurre il Cristianesimo all’agàpe, d’innalzare 1’agàpe a criterio di distinzione tra Cristiani e non cristiani? Eccolo là, il Poeta, sulla soglia della chiesa ove officia il Bonomelli. Credi tu ? gli chiedono i vigili preti ; ed egli : Amo, posseggo 1’ agape, il resto è incluso...
Ma è codesta una soluzione che va ? Ma è vero che possedendo l’agàpe il resto sia incluso?
Ebbene, udiamo le due diverse risposte.
Uno dice : No, l’agàpe non basta. Si assottigli pure quanto si vuole il contenu-
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to dottrinale del Cristianesimo, esso c’ è e non può venire soppresso. Difatti S. Paolo dice... e S. Giovanni dice... e S. Pietro dice... Sopprimere il contenuto dottrinale vorrebbe dire spalancare la porta a tutte le interpretazioni, a tutte le eresie, allo gnosticismo, al razionalismo, all’ agnosticismo, al soggettivismo ; portare tanto lungi i confini da perdere ogni idea di confini ; vorrebbe dire la dispersione, la volatilizzazione del Cristianesimo. Difatti il teologo A. dice... e il
teologo B. dice... e il teologo C. dice...
Ma l’altro risponde: Sì, l’agape basta. Lo afferma in termini precisi e propriamente nel classico passo dell’agape, Paolo stesso: « Tre cose durano al presente, fede, speranza e agape, ma la maggiore di esse è 1’ agape. » Sospettare che questa identificazione del Cristianesimo con l’agape conduca ad una estensione di confini significa non capire che... forse è una restrizione, in quanto che pochissimi, purtroppo, posseggono l’agape. Sospettarla una volatilizzazione del Cristianesimo... ebbene sì, ma si volatilizza la pula e resta il grano. Insomma 1’ agape basta. Difatti il teologo K dice... e il teologo X dice... e i teologo Y dice...
Francamente c’è del buono e del vero nell’una e nell’altra risposta. C’è un pericolo a ridurre tutto ad agape, come un pericolo a ridurre tutto a dottrina ; un pericolo ad escludere chi possiede 1’ agape e non la dottrina, come un pericolo a non far più conto della dottrina e non badare che all’agape.
E allora ?
Ecco, saliamo su su, più su che i teologi, più su che gli autori sacri e ricordiamoci di quella dichiarazione del Maestro: « Chiunque avrà detta alcuna parola contro al Figliuolo dell’ uomo sarà perdonato, ma a chi avrà bestemmiato contro allo Spirito Santo non sarà perdonato ».
Non è chiaro ? Il fatto necessario, il fatto indispensabile al conseguimento del perdono non è che si accetti il Figliuolo dell’uomo, il Cristo storico, ma che si tenga aperta 1’ anima allo Spirito Santo ossia alle ispirazioni della Santità e del Bene che da Lui per mille vie misteriose sono soffiate nell'anima. L adesione al Cristo storico passa in seconda linea rispetto a questa adesione allo Spirito Santo. Chi accetta le ispirazioni dello Spirito Santo pur resistendo ài Cristo Storico, magari ingiuriando il Cristo storico, è perdonato perchè in
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lui è un errore di apprezzamento che può derivare da ignoranza, da pregiudizio, da temperamento e che può facilmente essere corretto, non l’errore fondamentale, l’errore radicale, l’errore che attossica le sorgenti stesse dell’anima.
Ora tutto ciò che abbiam detto della poesia del Pascoli, di quest’alto e perenne fermento di gentilezza, di bontà, di pèrdono, di pietà, di sacrificio, prova a esuberanza che il Poeta non rifiutò le ispirazioni della Santità e del Bene. Io dico di più. Io dico che vi son pochi tra coloro che accettano il Figliuol dell'uomo e che si professano devoti del Cristo storico, pochi che a quelle i-spirazioni abbiano aperte e tenute aperte le porte dell' anima come il Poeta delle Myricae.
E poi, ha egli mai ingiuriato il Cristo storico, ha egli « detta parola contro al figliuol dell’ uomo » ?
Io ho voluto essere temperato e circospetto nel profilare l’attitudine del Pascoli di fronte a Gesù; non ho voluto aggiungervi niente di mio; ho rilevato che egli non ci presenta mai se stesso adorante come fece in bell’impeto il Fogazzaro :
gridai, distesi a Lui le braccia, caddi e disperato piansi...
ma bisogna pur dire che vi sono concezioni e parole nella poesia di Giovanni Pascoli che non possono essere uscite che da un cuore che al cospetto del Cristo batteva, forte.
Prendete ad esempio, la Pecorella, smarrita. E’ notte, la notte dell’avvento, e un frate va per la campagna verso città. Guardando il cielo stellato: quella nebbia di mondi, quella rena di Soli sparsi intorno alla Polare dentro la solitudine serena.
è assalito dal dubbio: Possibile mai che, in tanta ricchezza di Creato, il Figlio di Dio abbia voluto incarnarsi sulla terra ?
Che sei tu, Terra, perchè in te si sveli tutto il mistero, e vi s’incarni Dio ?
Nói ti sappiamo. Non sei, Terra, il porto del mare in cui gli eterni astri si cullano... un astro sei, senza più luce, morto : foglia secca d’un gruppo cui trastulla il vento eterno in mezzo all’infinito: scheggia, grano, favilla, atomo, nulla!
E il dubbio sale, sempre più fosco e grave, al cuore dei frate. Ma, d’ un
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tratto, egli ode un suono di cornamusa e lo scalpiccio dei pastori che s’ avviano verso gli ovili donde trarranno fuori le pecore ; e allora d’improvviso, gli torna alla memoria la parabola del buon pastore che lascia nei chiuso le novan tanove pecore e va in cerca della smarrita che forse è la più brutta, la piu difettosa, la più stupida.... E se tra questi mondi — egli pensa — tra questi mondi così chiari e sereni la terra fosse 1' unica dove si uccide, dev’ è 1’ odio e la guerra, dove il pane della vita è intriso di tristi lacrime, perchè il Pastore dell’ universo non scenderebbe dalla
* cenila pendice
cercando in fondo dell’ abisso astrale la Terra, sola rea, sola infelice....
Perchè no?
E prendete V inno secolare a Mazzini. Mazzini, pellegrino dell’ età trascorse, genio semprevivente d’Italia, assiste alla formazione geologica della Penisola, alle prime immigrazioni, ai trionfi romani della Repubblica e dell’ Impero. Poi esce d’Italia e va in Galilea e s’incontra con Gesù e lo ode parlare e 1’ approva pensoso.... Ma ecco la folla malvagia s’impossessa del Maestro e lo trascina al Calvario:
E poi lo udisti, cinto di corona di spine, tra i flagelli e i vilipendi, e su la croce — Padre ! — dir — perdona ! —
offrir se stesso ; dire al cielo — Prendi ! — Il suo grido echeggiò nell’ infinito.
Diceva il volgo : — Se sei Dio, discendi ! —
È Dio — dicesti — perchè v’ è salito ! —
Questo Mazzini, col quale il Poeta quasi si fonde, questo Mazzini che china la fronte al disonor del Golgota... ah forse non una, ma due fronti si chinano...
E prendete la Buona Novella. Notate che è-1’ ultimo dei Poemi Conviviali, nei quali, da Ulisse ad Alessandro e da Achille a Tiberio, il Pascoli ha cantato il mondo pagano ; ma il Poeta non vuol restare nel mondo pagano, ed esce al Cristianesimo, alla buona novella, all’ annunzio della Nascita. L'annunzio è stato dato in oriente ai pastori, ed ora è dato in occidente, a Roma ; ma a chi a Roma ? alla plebe della Suburra ebbra dei saturnali ? o ai senatori raccolti lassù nel Campidoglio dal tetto d’oro ? o alle molli e corrotte matrone ? o alle vestali dormienti nei templi ravvolte nella pretesta ? o al sacerdote vegliante presso 1’ ara di Rhea ? No, a nessuno di costoro, o meglio a tutti ; ma non fanno attenzione, costoro, non intendono, non odono, e 1’ angelo passa oltre e s’accoglie sul gladiatore Geta ferito e gettato con altri morti e moribondi nello spoliarium chiazzato di sangue... Povera creatura, muore pensando alla patria e ai figli, muore sola perchè
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1* uomo che col gelo lo pungea di sua cute, più lontano gli era del più lontano astro del cielo,
ma entra l'angelo:
Vegliava il Geta... Entrò l’angelo : Pace ! disse. E nella infinita urbe de’ forti sol quegli intese. E chiuse gli occhi in pace.
Sol esso udì ; ma lo ridisse ai morti e i morti ai morti, e le tombe alle tombe e non sapeano i sette colli assorti, ciò che voi sapevate o catacombe.
Ebbene, io sento, io, che qui dentro freme l’anima d' un cristiano!
Unisciti pure tu, lettore, unisciti, se vuoi, agli ossuti e tetri custodi dell’adito cristiano che, forti di catechismo, e forse di solo catechismo, impediscono al Poeta d’entrare. Io, io non starò con voi : anzi io dirò al Poeta — non Che entri, perchè non credo che la Chiesa sia una casa 0 un recinto ove s’ entri — ma questo gli dirò che non è tanto lui che deve venire al mio credo quanto sOn iò che devo andare al divino foco di agape che gli ha consumato il cuore.
ALFREDO TAGLI ALATELA.
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LA RINASCITA DELL ANLMc/L
Note d'un pensatore " libero m
I.
materialismi, manifestazioni varie del bisogno di far presto nel chiudere, nel definire, nel sommare, nel pagare un conto, sono tutti rimasti a mezza strada.
Il materialismo filosofico spiegava a un modo il sasso e io che lo vedo e questo mio vedére e analizzare e casolare il sasso e farlo partecipe del cosmo. La verità gli pareva la cosa più semplice del mondo. La cosa più semplice fu, invece, per gli avversari, sbaragliarne le offese, col semplice enunciare che la verità è un modo di pensare o di credere di vedere cose e rapporti. Ma il materialismo filosofico o naturalismo o biologismo e sino il suo seducentissimo araldo contemporaneo, il positivismo, si sono ritirati dalla lizza. Non credo sarebbe più prudente presentarsi nel curriculum accademico in berretto e colori e vessillo positivistico. Tanto vero che oggi i positivisti si travestono e parlano e scrivono di « diritto dello spirito » o « diritti del subiettivo » e via discor-rendo.
Il materialismo storico, o interpretazione economica della storia, o determinismo economico, eccetera — il controllo dei censori competenti non è valso ad impedire che si usi ancora l’una espressione per l’altra indifferentemente — non poteva sortire una fortuna più desolante. Insomma il materialismo storico
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è quella interpretazione della storia e della vita che non può essere svolta in via dottrinale. Peggio poi a volerne far delle applicazioni. Nella realtà, nella loro presenza, nella plastica e nella dinamica del succedersi) gli avvenimenti sono proprio morali, religiosi, mentali o psichici, come sono economici e fisiologici. Tanto vero che anche Carlo Marx descrivendo gli eventi del Diciotto Brumaio s’è ricordato di non essere marxista — egli diceva : mpi, je ne suis pas marxiste — ed à messo in luce le passioni degli uomini1, e quelle avversarie come à condannate ! Faccenda immensamente buffa cotesta ! L’interprete economista della storia è stato uno tra i più feroci inquisitori delle intenzioni morali degli uomini politici. Mai s’ era veduto un agitatore — il mondo ne à da Caino in poi e nessuno di fegato quanto lui — altrettanto preoccupato quanto Marx dei moventi morali e occupato a condannare con astiosa minuzia, con sottile precisione dogmatica e per il loro contenuto, le azioni umane. Il dottrinario à sempre la mano pesante e la dottrina diventa sempre settaria quando si volge a trattare la materia politica ; ond’è che con assai utile personale Marx dinie-gava la propria personalità di seguace della sua invenzione dottrinale, perchè in realtà, laddove fosse stato un dottrinario coerente, gli eventi passati ed attuali lo avrebbero dovuto lasciare spettatore sereno, perchè le manifestazioni politiche e letterarie e morali, eccetera, eccetera, non sono che risultanti del giuoco dei rapporti economici, come ognun sa. Invece Marx volle prendersi le soddisfazioni che piacciono agli uomini, menare una campagna contro principi ed istituzióni, prevalere su questa, o quella scuola filosofica od .economica o politica, fare le vendette di un assioma, abbattere qualcheduno, esaltare qualchedun’ altro, sentirsi inizio e centro d’un movimento diverso, alterare, turbare, preoccupare il mondo di sé.
I discendenti, i discepoli, il tempio, la sacrestia, là banca, la scuola, tutto quel che è risultato dall’ uomo e dalla sua opera, serba la pretesa tribunalesca del maestro. Il materialismo, il determinismo, il sociologismo, il positivismo dei socialisti à nella pratica pedagogica sortito gli effetti opposti a quelli che voleva sortire. È risaputo che specialmente i socialisti facciano il processo alle intenzioni. A nulla serve il principio : — ciascun individuo essendo il risultato della classe anzi della categoria, quel che fa va riportato, eccetera, eccetera. — A nulla serve. La malignità della polemica si basa su d’una ricerca squisitamente crudele e spietata delle intenzioni. I socialisti) in pratica sono dei metafisici del-l’anima umana. I loro avversari, pur nel continuo mutar fisionomia del movimento, sono e debbono essere volontariamente, liberamente, responsabilmente quello che sono. Ed è chiaro ! — Come sarebbero se no imputabili e dannabili? — Benissimo. Segno è che il codice penale avrà qualche secoletto di vita.
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Altre, ben altre cose possono contare su d’una vitalità insperata. Materialismo"*^ positivismo non lasciano orma. Gli uomini di scienza fanno ancora della scienza e ne faranno. Ma la scienza è diventata una cosa umile o che umilia. Pare impossibile! Si diceva : la scienza dice, la scienza sa, la scienza dirà. Niente di tutto questo. La scienza è nella via di negar la materia. Anche su questa via, naturalmente, si fermerà a metà, perchè la scienza è un pensare schiavo di piccoli vetri e di piccoli numeri, di piccole formule e di molti inganni consapevoli. Che cosa si deve dir di sapere? chiedevo non è molto ad un fisico illustre. — Niente, mi rispondeva costui. — No, io aggiungevo, niente è troppo poco e troppo. Dite : sappiamo decomporre 1’ acqua e ricomporla ; sappiamo fabbricare gli ordegni per il transito della forza che chiamiamo elettrica. Questa forza non la inventiamo noi, perchè c’ è anche nell’ etere, nell’ aria, nell’ambiente circomvolgente, ecc. ecc. Dite: Sappiamo questo ed altre coserelle. —
La scienza ñon à che vedere col conoscere. La sciènza fabbrica di gran giocattoli seri, utilissimi, non c’è che dire. Non à negato, non riafterma-to Dio, non à cresciuto nè diminuito la folla delle chiese, non à persuaso o dissuaso i pensatori. Una parola nuova s’ è détta sempre fuori di lei, quando non contro. Scienza è fare, tagliare, cucire, asportare, timbrare, aiutare, pulire, salire, scendere, conservare. Che cosa è la morte? Non lo sa. Che cosa è la vita ? Nemmeno. L’amore è un bène, un male, un odio o un amore, una córrente salutare o un virus funesto ? Non lo sa. Però porta argomenti all’ opinione che l’amore sia alto e proprio lui, quando è istradatore alla morte. Qui la scienza dà nel tragico: è una parte che non sa fare e si ritira. Anche si ritira dal dibattito sulla divinità.— Io, declama il positivista, mi dichiaro indifferente, incompetente, estraneo alla polemica. Bella frase ! Uña filosofia la quale crede possibile il rimaner tale — e cioè una filosofia — senza aprire un capitolo su Dio. Il problema se noi si mangiasi beva, ci s’infanghi nelle maremme di questa vita e se ne salga il monte doloroso a guardar di lassù gli anelli più lontani dell', orizzonte, il problema di questo respirare e desiderare e aspettare e dormire e morire, il problema del gran fantasma o della piccola visibile realtà» questo problema può essere allontanato da una filosofia? Iddio, Privatsache, faccenda personale, cosa che non interessa la generalità? E questo il positivismo —- parce sepulto — lo veniva ruminando e ' balbettando ancora a mezza voce, mentre dai quattro angoli del mondo, l’accademia e la rivista, il romanzo ed il volume lirico rinnovavano la protesta dell’ insopprimibile sentimento dell’ Infinito.
Scienza e politica, microscopio e statistica, dottrine gnoseologiche e program-
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mi sociali, insieme e a un tempo, sono caduti dallo spirito moderno. Quale constatazione! La mente è individua e in mezzo e contro ad ogni storia si crea la propria fisionomia. L’altezza del pensiero e la profondità del sentimento, la fede e la carità, la grazia e il gusto, la libertà e la genialità non subiscono l’influenza dei secoli e degli ambienti. Ancora : di quel che è sociale, nulla si fa individuale. Le innovazioni sono appunto le improvvise violente ripugnanze della mente individuale, l’anima, alle pretese forme progredite di vita collettiva. Quel che resta è individuo: la parola, il principio, il verso, il grido, il singhiozzo, il monito. Le. dottrine sociologiche come e quanto le psicologiche, i sistemi d’ogni sorta si sfasciano. Marx non é entrato nell’anima individua, Mazzini sì; Tomaso d’Aquino non entrò nell’anima individua, ma sibbene Francesco. Renan è più vivo e parlante in noi che non Darwin, Francesco di Sales che non Bellarmino, Pascal che Descartes, Gesù più di Aristotele e Platone e Gerolamo e Agostino. La dottrina, il sistema, l’ecclesia, il partito, la setta, sono condannate. Avevo detto più su: la scienza è umiliata ed umilia. Chi abbia impeto e bellezza di fede non può ricorrere a lei. Fede ed impeto di bellezza sono i motori della vita. Tutto quel che ci aspettavamo dalla scienza non c’è venuto e, siccome di messianismo non si vive oltre un limite, ma di opere, di atti, di decisioni, oggi il nostro bestemmiato nemico di ieri, Ferdinando Brunetiére —- il quale resta per me il massimo storico e critico della letteratura francese della nostra epoca : France e Sorel sono del mio parere — potrebbe ripetere la frase urlata e condannata : « la scienza à fatto bancarotta » — intendi la scienza setta, la scienza scuola, la scienza positivismo, la scienza avvocatismo, la scienza che metteva infinito, divino, anima, al-di-là, mistero, tutto in un sacco gittato tra le sciocchezze e le superstizioni di quegli ammalati, pallidi, tremanti, incerti, degenerati, psicopatici, rimminchioniti, ecc.. che un mio buono ed intelligente amico positivista chiamava con una parola: « mistici ».
La nostra giovinezza solida salva da tabe ereditaria o acquisita, non sopita dal fumo, non intorbidita dal vino si autorizza quest’ oggi a riconoscersi un titolo di merito, quale essa sia. Intendo la personale preoccupazione del cosidetto « fenomeno >> religioso sin dal primo aprirsi dello spirito allo stupore " ed alla curiosità degli avvenimenti umani che són grandi appunto perchè sono dello spirito. A vent’anni presumendomi materialista e positivista, protestandomi e-voluzionista convintissimo, un fatto preoccupò l’anima mia sino a infonderle tur-
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bamenti indicibili: il mondo occidentale che diventa cristiano, il trapassò dà una pretesa umanità superficiale, esteriore, tutta giuridica, ad una cosciènza del dolore e del mistero rilampeggiante con pallori d’estasi e con esuberanza di lagrime nascoste. Mi sembrava che la Scienza — con la i maiuscolissima — non fosse riuscita a spiegare un trapasso simile dal quale s'erano poi decisi tutti i destini umani e mi sentivo sicuro èd onèsto nel giudicare una debolezza ed una viltà questa pretesa indifferenza. Ingomma esigevo che i signori scienziati, evoluzionisti, darwinisti, materialisti, naturalisti, positivisti, sapessero esattamente i modi di questo divenire e non ne sopprimessero il dovere di spiegarlo con le frasi stereotipe : evoluzione, degenerazione, psicosi collettiva, rimbecillimento sociale e simili. Avevo venti anni, allora, e m’ ero aggregato nella legione dei distruttori d’ogni misticismo e religione e paròla interiore e visione d'ai di là e metafisica, oltre che d’ogni filosofia solo che razionalistica, appena liberale, insomma volgarmente e scioccamente borghese. Allora l’anima si chiamava neurone o corlicalità, la volontà istinto stratificato sino alla consapevolezza, il gènio era mal di pancia o di dènti, il misticismo labe dorsale e luce cerebellare, lo spiritualismo un’ ingenuità di filosòfetti arrestali di sviluppo, la metafisica (Platone, Aristotele, Tomaso, Bruno!) roba dà sacrestia, da seminàrio, da speculazione settaria! Naturalmente il libro era ed è — le successive edizioni non àn-no fatto e non fanno che riprodurlo tal quale — torbido e pieno di tristezza; un libro inquieto in cui, di quando in quando, la pàgina à bisogno d’ abbandonarsi a una contemplazione, a un sognò e sino a una vertigine di dolcézza che pare estetica. Lo giustifica la sua sincerità e di questa sincerità è documento 1’ accoglienza che esso si ebbe dai camerati in positivismo ateo ed antireligioso. Nessuno ne scrisse : il mio Problema dèi Cristianesimo, che Sótto il titolo di Cristo e Quirino nelle successive edizioni pare sappia svegliare le attenzioni di chi studia, rimase sconosciuto e per parecchi anni invenduto. L’attuale Ministro per la pubblica istruzione. Luigi Credaro, lo sollevo di botto alla notizia del mondo scientifico scrivendone in Germania cosi da sottolinearne l’importanza. Alcuni avversari, allora in veste talare — il Semeria o il Murri ? — scrissero che rivelava un intimo consentimento, non soppresso dal formulario settario, al valore, alla bellezza, alla sovranità della religione in genere e del Cristianesimo in ¡specie.
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Oggi ehi mi segue s’accorge che io tratto ben diversamente l'anima mistica, la storia religiosa, il mistero, il pensiero, l’infinito, Dio. Se questo mio atteggiamento abbia a che vedere col generale bisogno di tornare a vivere nel-
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1’ anima, non so ancor bene ; neppur so se il mio misticismo possa essere illuminato o dominato da una fede. Per adesso non ne à, ma è una forza in moto, un risveglio, un ringiovanire e, sopratutto — ah, si ! — una liberazione.
Scrivo così di me, convinto che sia il modo migliore per riuscire inediti ed immediati, in altre parole per arrivare allo scopo che è quello di mettere il pubblico in rapporto con lo svolgersi di anime le quali pur ieri così orgogliosamente si protendeano dal facile pulpito comiziale ad annunziare al mondo il mezzo semplicissimo della sociale verità o felicità, e così sia. E un progresso morale, un’ascensione logica. Chi vive, o meglio chi aggiunge chiasso al chiasso, assai da vicino alla folla, deve abdicare a sè stesso. Una folla, se non è religiosa, annienta l’individuo. Nulla quanto la religiosità serba e matura e sviluppa l’individuo. Parta di qui chi voglia giudicare errato tutto il procedere filosofico dell’anarchismo: l’anarchismo ateo, l’anarchismo che nega il diritto agli altri d’essere e di cimentarsi in qualche modo, questa eccessiva pretesa individualistica, è, di fatto, una negazione. Insomma : l’anarchismo è negazione di sè.
Il movimento così detto sindacalistico à sentito per un istante il magico tocco del dono della grazia. Gli intellettuali del sindacalismo, quantunque naturalmente indegni per essere intellettuali e destinati, primi essi e soprattutto essi, ad essere soppressi perchè intellettuali —- c'è un po’ la parodia del gladiatore, del martire, della vittima del libero pensiero e di Saturno che si mangia i figliuoli — specularono piamente e scrissero che il movimento operaio potesse senz’altro trovare il proprio divenire in un ambiente religioso, anzi che avrebbe dovuto farsene uno proprio, qualchecosa come la organizzazione di fedeltà e di mutuo soccorso tra gli individui componenti l’associazione di categoria e so lo di tali categoricissimi individui. Fu di qui che io previdi una lotta tra categorie che si sarebbe sostituita a quella tra le classi, una volta scomparse queste.
La negazione del socialismo che era insita nel sindacalismo, aveva due elementi: l’avversione ad un socialismo prevalentemente tedesco, il principio che esclude il marxismo, insomma, e ci ravvicina a Proudhon — da notarsi : probabilmente Proudhon è un mistico ; ne riparleremo — ; la riaffermazionc del valore mistico, del legame religioso. Il nostro buon Giorgio Sorel, da quando abbandonò le taumaturgie socialistiche, s’è mostrato sempre più affine a Paolo di Tarso, a Renan e a Ferdinando Brunetièrc che non a Darwin e a Moleschott.
Cóme tutte le negazioni vere e proprie, questa duplice del sindacalismo doveva ingrossare ed esplodere. Quel che n’è nato, ciò che ne risulta in modo chiaro, è la rinunzia alla democrazia come sistema ed in conseguenza alla politica, interpretata e definita come l’espediente molteplice del ceto degli interine-
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diarii a salire ed a costituirsi fortune altrimenti impossibili a chi manca per l’appunto d’una personalità, d’un individuale valore. Il favore così impetuosamente donato alla guerra attuale, guerra grande e tragica perchè serena e disciplinata, risultando da una visione metafisica delle nostre istorie e dei nostri destini, rompendo dal bisogno di affermare, su qualsiasi vieta filosofia del risparmio e del profitto un valore di pàtria, di lingua, di assoluto e di necessario ; questo favore mio e de’ miei migliori di ieri, esprimeva sopratutto la negazione dèi pacifismo piccolo borghese e proletario, gridava la bellezza sempre rinascente della morte feconda, di questa gigantesca forza religiosa fatta di tanti distinti misticismi individuali. Questa, accettazione balzava dal fondo puro deità nostra anima mistica e metafisica, e quindi capace di rinnovarsi ancora, senza cercare mezzi termini o pretesti, come quello piccino e falso avanzato, a persuadere un grosso pubblico incapace e viziato dalla vecchia bugia, da non so quale sindacalista, essere la presente guerra un bene perchè essa prepara alla rivoluzione operaia ! E’ il voler far comprendere Petrarca o Keats ad un’ accolta di salumai, risolvendo la faccenda così : — In ogni modo è carta e il salame ne à sèmpre bisogno ! —Il valore mistico è tutto appunto in sè, e cioè nella non finalità, e la bellezza religiosa di una guerra sta tutta nella severità, nella solennità della compagine animata ed illuminata d' eroismo. La rivoluzione è già di per sè stessa nella guerra, poiché niuno sforzo rivoluzionario potrà mai in Italia essere pari a quello che tutte le classi — veramente tutte le classi — ànno saputo fare così da sortire dall’ inebetimento di un venticinquennio, di un quarantennio di vita. La guerra di una classe non potrà mai risplendere delle bellezze di una guerra la quale avvia a risolvere la tragedia di duemil’anni di vicende imperiali e di cinquecento anni di grovigli diplomatici, non potrà mai rivelare il tesoro stupendo di centomila uomini d’ogni classe ciascuno dei quali sa darsi sorridendo alla morte non per se. La guerra fatta da chi la farà come un mezzo di beneficio di classe non potrà essere eroica come questa. Dopo la Com-mune tali guerre si cominciano nei parlamenti e se si continuano in piazza la politica le risolve con più o meno d’ avvocatismo volpigno. L’ emancipazione è faccenda di dottrinari e d’ avvocati. Farmacia a cui bastano due droghe : la folla e il chiasso. Due cose ripugnanti.
O indugiato sulla guerra. Quale argomento supera questo ? La guerra è sempre il di più dell’ azione, superamento, gioia, tramutazione, tempesta fuga-trice di nubi, pacificatrice di inquietudini sedimentate. Come la dolce melanco-
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nia contemplatrice, serena placida saggezza, dopo il tumulto dell’ amore, la guerra pacifica i contrari ed elimina le contradizioni, perchè sia libero il terreno a formarsi di quelli e di quelle avvenire che un’ altra guerra risolverà, paci ficatri-ce eterna della tesi e dell’ antitesi, preparatrice delle sintesi. La pace senza soldati e senz’ armi, quella incruenta, quella del mondo industriale e del proletariato vincitrice d’ ogni classe tutto amore ed eguaglianza e scuole e igiene e libero amore e non so che altro. P anno inventata gli avvocati per quando Si portano candidati. In parlamento il disegno di legge passa agli Uffici. Poi, si nomina una commissione.
Il mio consenso alla guerra — non so per quale ragione, io che non sono più nemmeno un giornalista e che vivo nell’ ombra, avrei dovuto consentire alla guerra — dice il fondo mistico del mio spirito. Io m’illudevo di poter credere ai fattori fisiologici od economistici, a tutto quell’arsenale di specifici con i quali chi non à idee può fingere di averne e di avere anzi dei convincimenti. Ma in realtà non son natura da schiavitù, tanto meno scientifiche. Chi sempre ricorre alla scienza, rivela, confessa con questo la sua povertà mentale. I così detti popolarizzatori della scienza sono parassiti delle cose pensate da altri. E meno male quando siano cose pensate, chè sovente neppure ànno diritto a questo titolo di scarso valore. Non vedete quanto bisogno abbiano di dir subito quello che ànno letto, l’imparaticcio, e dirlo con frasi che Suonano — la verità è questa, la scienza à dimostrato, lo à detto la scienza — ? Accettano per vero quello che qualcheduno di coloro, che piu specialmente e con maggiore o minore serietà e sincerità à studiato, à messo innanzi, spesso anche come ipotesi, come tentativo d’interpretazione. Questo noioso e dannoso e volgare tipo di popolarizzatore della così detta scienza, usa di far passar subito per vero, scientifico, assoluto quei che pure non à nemmeno diritto d’ essere preso in considerazione dalla letteratura generica nel mondo dottrinario. Là scienza che dovrebbe essere critica — dato che sia possibile la scienza — viene, invece, regalata, profusa, gittata a piene inani, nelle fauci della Gran Bestia che ieri era estatica ai racconto del miracolo del santo come oggi lo è a quello del chimico o dell’ astronomo. Chi la versa e Chi la beve questa scienza, il taumaturgo della bigoncia e i creduli della folla, son privi, in diversa maniera, del senso critico. Quanto abbia contribuito la constatazione del grosso inganno e della enorme bestialità a farci rimmigrare nel silenzio luminoso interiore, non si potrebbe calcolare. Ma io so che per me à contribuito. Io mi sono accorto, io ò toccato con mano che alle folle toccan sempre le frottole, che, dirò anche meglio, ogni idea o sentimento soffiati alle centomila orecchie diventano paradosso bestiale dell’ immaginazione e della ragione. Così i films proiettati a troppo grande distanza sullo schermo. Le verità non sono che interiori e non hanno che quelle misure, in quella luce, in quelle date proporzioni. Lo psicologo del-
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la folla positivista vi avrà dimostrato in cento modi che non esistono la coscienza, la volontà, la ragione, il sentimento, la responsabilità di una folla ; ma il medesimo psicologo positivista, tramutato per 1’ occasione in oratore comiziale, intenderà a persuadere la folla, a moralizzarla, ad emanciparla, a farla progredire! Si potrebbe dare canzonatura più feroce di questa ?
Dunque non esiste una scienza per tutti. Chi à abitudine al pensiero ed alle sue conseguenze, arriverà di qui, d’un balzo, a capire 1’ alta funzione sanatrice e compcnsatrice della Violenza e della Carità : due parole quasi sinonimiche : la^Guerra e Gesù. Ma a chi, come me, diveniva possibile questa esperienza quotidianamente più vasta e profonda e sicura, doveva rendersi facile il pervenire a quest’ altra conclusione : • — E’ vano lo sforzo per arrivare alla Sciènza. — La Scienza del generale, che spieghi e ci faccia sapere al modo istesso tanto quel che sembra quanto quel che è, che lasci ridursi l’apparenza ne’ suoi elementi e permetta alla realtà d’ emergere dal fondo di mistèro sino a diventarci presente e vicina e tale da immedesimarsi con quel noi che chiamiamo cosciente e razionale ; questa scienza è una chimera, una mala fantasia. Le cognizioni non fanno scienza. Non fanno scienza le cognizioni applicate con utilità pratica ad ottenere riplasmazioni chimiche o chirurgiche della vita. Questa scienza non umilia 1’ orgoglio dell’ Io, perchè non vince la morte, non sazia 1’ umile ardore perchè questo non cerea nè è volto verso soddisfazioni d’ arte e d’abilità. Charcot è stato più ricco che non Galeno od Ippocrate o Boherave o Gali nella somma di nozioni mediche, psicologiche e psicopatologiche, eppure noi non possiamo dire d' aver trovato nelle famose lezioni del famoso chiaro dèlia Salpétrièrc nulla che ci diminuisca l’esigenza di sapere veramente se il dolore sia una così facile cosa a spiegarsi, o 1’ ombra d’ una delle immense ali del mistero protesa su di noi. Di quel che volevamo sapere la scienza non ci ha detto nulla. Nessuno domanda più al biologo e tanto meno allo zoologo spiegazioni alle grandi nostre interrogative. Il mistero s’ è addensato ; come un Oceano nella notte si gonfia la coscienza umana verso astri che non vede. Del suo silenzio lo psicologo celebre dubita, come dubitano il fisiologo e l’antropologo fatti melanconici, e tutti protendono ancora una volta l’orecchio ad udire la voce trepida del filosofo, il deriso metafisico di ieri. Improvvisamente la ingenua forza che giaceva sopita, la eterea, la candida, la virgínea, la canora, la luminosa, la solare Creatura che abita la casa della vita, si leva a parlare. Il suo è il gesto della giovinetta appena svegliatasi nel sole che sógni ancora e dica il suo sogno. Ah Lche nessuno turbi la Giovinetta e la sua parola e il suo sogno !
PAOLO ORANO
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DEL METODO NELLO STUDIO
DELLA STORIA DELLE RELIGIONI.
(A proposito di recenti manuali di Storia delle Religioni)
qui sul tavolo due opere, due manuali (i) che trattano di storia delle religioni ; pubblicazioni recentissime, le quali attestano ancora una volta, checché si vada dicendo in contrario, quanto gli studi religiosi estendano oggi il loro dominio nel mondo della cultura. Ma per ora, è inutile negarlo, nel solo mondo della cultura : chè i problemi della vita religiosa, se addussero inquietudini di spi
riti, crisi di convincimenti e di fedi, tumulti di sentimenti, ribellioni e libera
zioni nelle coscienze, non ebbero ancora la soluzione religiosa che ad essi con
verrà pur dare un giorno ; non diventarono universali nei popoli, il che è quanto dire, che sono ancora nel periodo della loro formulazione. Ebbero tuttavia soluzioni dottrinali e intellettualistiche : le quali denotano appunto il persistente prevalere della crisi là dove si vorrebbe la soluzione e 1' edificazione : la dottrina è critica, è analisi; appaga l’intelletto, l’attività razionale, dirime difficoltà scientifiche, illumina il passato vissuto ; ma ammessa una attività religiosa autonoma, e pure inerente all' unità dello spirito, essa della critica non sa che farsene, quando è disposta ad operare per sè, quando anela al fremere eroico della sua propria vita. Ma non per questa insoddisfazione attuale (sentimento) torna inutile la dottrina, la ricerca, la vita scientifica ; lo spirito è unità, e però tende al suo necessario equilibrio nel creare e nel contemplare ; vuole che ogni sua attività operi con pari grado di libertà e di intensità, senza che 1’ una soverchi e predomini sull’ altra : onde la vita, lo spirito moderno tendono a questo equilibrio ; dalla contemplazione della vita religiosa passata (storia) vuole passare alla creazione religiosa, vita avvenire della religione. L’ accentuarsi nella cultura della predilezione per gli studi religiosi, che altro significa se non che lo spirito contemporaneo anela più o meno chiaramente a ricrearsi una sua pro(1) Nicola Turchi — Storia delle Religioni — Torino, Bocca 1912 — L. 6.
S. Reinach — Orpheus — Storia generale delle Religioni. — Traduzione di A. Della Torre, con appendice del Trad, su il Cristianesimo in Italia dai Filosofisti ai Modernist:. — Remo Sandron, Editore. 1912. — 2 vol. L. 15.
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pria vita religiosa, di cui noi non possiamo prevedere nè i limiti nè le condizioni, ma non per questo meno previdibile e certa ?
Multa ceciderunt, e molte cose periranno ancora nel campo stesso della dottrina ; e se ora la nostra ragione discerne, pone in evidenza, ovvero elimina e condanna, e se ciò non avviene senza turbamenti e senza inquietudini, essa pure ci impone di vincere 1’ oscurità e l’incertezza ; ed è in questo sforzo 1* appagamento religioso avvenire.
Le storie delle religioni a me paiono l’indice delle cose che caddero, e delle sopravissute che dovranno perire, nelle forme almeno che il passato ce le ha tramandate ; ciò che non muore è l’idea, è lo spirito, anche quello religioso; se questo non provano i libri della scienza, se a ciò che fu vita non daranno parvenza di vita, essi non varranno nulla, saranno inutili compilazioni di dati e di notizie più o meno esatte e veritiere, ma non elementi vivi nella cultura, percorsi tutti in lungo e in largo come in un organismo dalle arterie pulsanti, in cui circoli, come in esse il sangue, l’idea. Il costatarla è 1’ opera della critica ; vediamo se la ci è in queste due opere che sono qui sul mio tavolo.
Parliamo dapprima della meno ponderosa di esse, eliè dell’ Orpheus di Salomone Reinach, nella sua nova edizione, l’italiana, conviensi trattare più ampiamente di poi.
Nicola Turchi, sacerdote erudito, pubblica presso gli editori Fratelli Bocca, un manuale di Storia delle Religioni ; esso è fornito di due imprimatur, uno del Padre A. Lepidi maestro dei S. P. A., e 1’ altro di Giuseppe Cappetelli. Il libro del Turchi doveva in minor mole, far parte dei Manuali di scienze religiose dell’ Editore Ferrari di Roma ; della collezione cioè diretta dal sacerdote Ernesto Buonaiuti, il quale assai volte ebbe il suo nome mescolato fra quelli dei più noti e battaglieri modernisti, e ch’ebbe le sue opere poste all’Indice, cui Lau-dabiliter se subjecit; ma la collezione di essi manuali essendo stata condannata e perciò sospesa, il Turchi, costretto a trovar un altro editore, prese tempo, ed aumentò di molto e bene 1’ opera sua, eh’ è, egli afferma, « rigorosamente o-biettiva e prettamente espositiva ».
Ora, pur non essendo necessario ripetere qui le cose dette da Giovanni Gentile su la supposta obbiettività storica, che non è reale mai, che non esiste, vediamo con quale criterio il Turchi si è accinto alla compilazione del suo manuale. Escluso il criterio teològico, e quello filosofico « ih quanto si ricercano le attinenze della ragione e della fede », egli si propone di studiare le religioni « dal punto di vista storico in quanto, prescindendo da ogni questione di principio, si studiano unicamente i fatti documentari e monumentali offerti dalie
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DEL METODO NELLO STUDIO DELLA STORIA DELLE RELIGIONI 243 varie religioni, si coordinano e si espongono offrendo così i materiali per una sintesi ulteriore.
Vexata quaestio ! Io non conosco precisamente la filosofia del Turchi; egli potrà essere uno scolastico anche con il neo, come vogliono le disposizioni pontificie, e potrà essere un blondelliano : non so ; questo so, che il metodo da lui espresso e seguito è il metodo dello ¡storicismo, quello che vuole la storia storica, agnostica, fenomenistica, deterministica : è il metodo seguito dai Loisy nei suoi studi babilonesi e di storia antica e neotestamentaria. Ora è evidente che per tal via non si possa mai giungere alla « sintesi ulteriore », ossia alla Spiegazione filosofica delle realtà non dei fenomeni, osservate : sintesi è l’intendimento razionale, e ogni storia presuppone una filosofia, se non è mero accozzamento di dati incomprensibili. Ora la filosofia moderna è proprio giunta a questa sintesi a priori logica, la quale deve esser ben posseduta dallo storico quando si accinge alla ricostruzione della realtà che osserva e contempla. La Storia quale è intesa intellettualisticamente dai fenomenisti, come il Turchi, sarebbe ad essi stessi incomprensibile, se non possedessero un loro concetto di storia e di scienza ; e questo concetto, a malgrado della sua negazione, noi lo troveremo anche nel Turchi.
Dice benissimo il Gentile (1): « Ogni storia è un tutto in divenire, che si ricostruisce nel punto in cui sorge lo storico : tutto provvisorio, che per lo storico è tutto assoluto ; e come di ogni libro ogni parola non s’ intende senza 1’ ultima, così ogni totalità storica ha un unico significato, il quale si può cogliere guardando, non all’ incatenamento causale dei fenomeni, che si succedono nel tempo, ma allo spirito intimo che parla, all’anima dello storico e perchè agiti e spinga fin dall’ inizio il corso degli avvenimenti storici ».
Dunque errore iniziale di metodo, del quale darò ora una prova assoluta-mente decisiva; senza per questo infirmare la serietà dell’erudizione del Turchi; cose delle quali conviensi tenere il debito conto e lodarle. Da questo Manuale, ossia compilazione di nozioni ritenute probabili e forse definitive, in base alle ricerche pazienti e vagliate e svariatissime di molti e molti studiosi archeologi e filologi specialisti, sono escluse le religioni bibliche : 1’ Ebraica e la Cristiana. L’ esclusione colpisce veramente per più motivi, e 1’ autore la giustifica con ragioni di vario ordine le quali difficilmente avranno virtù di persuadere un lettore agguerrito e lo si sopporti, in sospetto. Dice il Turchi nella Prefazione (pag. X-XI) : « non era opportuno far posto anche ad esse, sia per la divina eccellenza che lóro compete a causa della Rivelazione, sia per l’importanza che entrambe e spe(1) La Critica anno VI. fase. III. 11 modernismo e l’enciclica (Pascendi) ; pag. 218, 219.
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cialmente il Cristianesimo hanno avuto ed hanno sullo sviluppo della nostra civiltà ; eccellenza ed importanza che esigerebbero un' esposizióne ampia, sconfinante dai limili e dal metodo di questo Manuale : e insieme, una competenza specifica che io Stancamente non . mi riconosco ».
La cosa è importantissima, e però queste ragioni vogliono essere pesate e vedute un pò dawicino : poiché non è la prima volta che quella esclusione si compia. Infatti il Reinach nella prefazione al suo Orpheus dice : « dei due veramente dotti manuali di storia delle religioni che ora abbiamo — quelli di Conrad von Creili e di Chantepie de la Saussye — nessuno tratta del Cristianesimo ; ond’ è che per conoscere la storia delle Religioni cristiane bisogna ricorrere ad altri libri, che sono per lo più molto voluminosi e si diffondono su particolari riguardanti controversie c sette che interessano soltanto gli eruditi di professione. Orbene io non capisco perchè si faccia un posto a parte pel Cristianesimo, che, oltre il resto, conta meno fedeli del buddismo e ne è, anzi, meno antico. Isolarlo così, può sì essere conveniente all’ apologista, ma non allo storico » (i).
Cominciamo coll’ ultima ragione addotta dal Turchi, ossia dalla « competenza specifica » eh’ egli non si riconosce : ecco, io non vedo il perchè egli non si riconosca questa competenza, e specifica per una compilazione che è compiuta principalmente sui dati forniti da altri, dagli specialisti che negli studi delle singole religioni eh’ egli ci presenta, hanno compiuto quelle « ricerche rigorose e metodiche », le quali dovrebbero tutte insieme addurre a quella « sintesi ulteriore » che ancora ci mancherebbe. Come non mancano gli studiosi assiriologi, egittologi, indianisti e così via. così non mancano i così detti specialisti in fatto di ebraismo e di cristianésimo ; sulle cui opere non era poi impossibile e neppure difficilissimo compilare alcuni capitoli succinti atti a completare le serie delle religioni, come ed a ragione sostiene Salomone Reinach. Questa ragione, dovuta ad eccessiva umiltà del Turchi, non mi persuade ; comunque, di per sé cosi come è esposta, e per il carattere divulgativo e sommario del libro non si può impedirci di deplorare l’inconvenienza delle esclusioni, nocive alla stessa importanza dell’ opera.
Una seconda ragione, o giustificazione è curiosa ; « la loro essenza, tuttavia, non farà che renderne più viva, fulgida l'idea nella niente dei lettori, perchè nel cristianesimo in genere e nel cattolicismo in ¡specie, che è il cristianesimo integrale, si trovano come portati a sviluppo quei germi perenni che si incontrano nelle altre religioni ; in esso soltanto si hanno — integrati da posizioni o(i) Pag. XII e XIII.
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riginali di forze di pensiero e di azione — quegli elementi che nelle altre religioni sono appena o confusamente tracciati ». Che tutto ciò si comprovi con una esclusione, col tacerne, non riesco a vedere come possa avvenire ; 1’ affermare ciò equivale a possedere un concetto formato, una idea chiara e distinta di che siano tutte le religioni, e specialmente di che sia il cattolicismo, pietra di paragone : e il tacere di quest' ultimo in un giudizio comparativo così importante e solenne, per farne appunto risaltare l'importanza e la- solennità, non vedo come possa giustificarsi logicamente ; anzi, suppongo piuttosto che I’ Ebraismo e il Cristianesimo apparissero al sacerdote Nicola Turchi come le regioni interne dell’ Affrica agli antichi cartografi : misteriose, paurose e pericolose : /rie s'unì icones. Ed egli ce ne adduce ancora una terza ragione, che è la prima per l’ordine, ma che è anche, se è possibile, per uno storico puro, per un determinista elencatore di fenomeni, la meno persuasiva, e la più contraria al suo metodo ¡stesso, anzi la condanna precisa di esso. Infatti l’appellarsi, per 1’ esclusione della religione ebràica e del cristianesimo da un manuale di storia dèlie religioni, alla « divina eccellenza che loro compete a causa della rivelazione », che altro è, se non il volere considerare queste religioni con un criterio scientificamente divèrso, da quello usato versò le altre, essendo questo indégno, insufficiente, dannoso allo studio di quelle ?
Ma c’ è di più ; il Reinach protesta contro la esclusione del solo cristianesimo ; mentre quivi la esclusione è duplice,, che vi ha ancor quella dell’ ebraismo ; ora è bene ne diciamo noi il vero perchè , e di porre in seguito una questione in modo assai chiaro sotto forma di dilemma. Abbiamo detto che il libro porta in calce un doppio Imprimatur dell’ autorità ecclesiastica, ed anche abbiamo detto che il manuale doveva far parte di una collezione che fu posta all’ Indice perchè accusata di Modernismo. Ora, c sia detto tutto questo en passoni, è evidente che il metodo seguito dall’ autore per le religioni lontane dal Cattolicismo o ñon attinenti menomamente alla sua storia, possa sembrare poco pericoloso all’ autorità ecclesiastica, da consentirne I’ uso e 1’ abuso ; ma ciò a cui essa autorità non acconsentirebbe mài, per ragioni diverse dalle nostre, che furono espóste ampiamente nell’enciclica Pascendi, si è che questo metodo agnostico si usi verso i libri canonici, essenziali alla storia del cattolicismo; non acconsentirebbe e non acconsente ; ecco il perchè della esclusione del Turchi, il quale oltre che un erudito, è sacerdote. Ma questo non ci riguarda : a noi importa 1’ opera sua che ci sta dinanzi, della quale solamente vogliamo discutere : e nói all’ autore di essa rivolgiamo questo dilemma preciso e ferreo : o il metodo da lui seguito è il vero ed ottimo scientificamente e allora non può pretendere di •studiare il Cattolicismo, sia pure in una « esposizione ampia » in base alla Rivelazione che è cosa della fede e non della scienza, del sentimento e non della
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ragione; oppure non è il suo un metodo sostenibile, poiché mi giudica le religioni in base al cattolicismo, ossia a presupposti filosofici che stanno nell’ ossatura di esso, e quello che è peggio in base a presupposti epistemologici della Rivelazione, cui indarno la filosofia cattolica tentò di apporre puntelli.
Nell’ un caso e nell’ altro il suo metodo ne esce maluccio : ossia tutto ciò mi comprova ancora una volta la debolezza logica di coloro che si accingono allo studio delle religioni, considerandole come espressioni tangibili di un sup-posto fenomeno religioso.
Curiosa cosa la così detta scienza del fenomeno' religioso ! Quasi che un fenomeno sia un universale ossia il suo opposto, ed una attività dello spirito un particolare, che domini 1’ universalità di infiniti altri particolari che nella serie temporale dello spirito si avvicendano incessantemente, e che da essa attività siano creati : si è mai visto nella filosofia il particolare, il contingente cioè, il finito, il fenomeno, produrre, creare 1’ universale, 1’ eterno ?
E confondere i termini poi ! E di ciò mi pare che basti. Ho detto tutto il male, com’ era mio dovere, del Manuale del Turchi ; ed ora voglio dirne il bene che merita : e tanto più volentieri quanto più la lode va all’ autore in particolare, nel mentre che il biasimo era diretto ad un metodo, eh’ io reputo errato, ma che pure è difficilissimo non riscontrare nella classe dei puri eruditi.
Il Turchi, ad esempio, per toccare di alcune questioni, per me secondarie, con ragione toglie molta importanza alle così dette teorie naturistiche, animistiche, totemistiche, e a quelle sulla, magia ; dissento però dalla sua definizione della religione (sebbene avvalorata dall’ autorevole avviso di vari maestri in divinila) che contiene tutti in compendio i difetti del suo metodo.
Ottimi, dal punto di vista delle informazioni sono i capitoli sulle Religioni dell’ India e quello sull’ Islamismo. Libro accessibile a tutti, di facile e ottima lettura, che dovrebbe essere desiderabile da ogni persona mediocremente colta, in Italia. Il suo stile è corretto ; un po’ monocorde è vero, quello stile piano, senza sbalzi, senza fremiti, pianeggiante, che è proprio di quasi tutti gli eruditi ; stile che fu chiamato dell’ erudizione europea. Ciò che ha il suo bene : chè non possiede, quell’ untuosità e quella preziosità settecentesca ad esempio degli scrittori della Civiltà cattolica ; non solo, ma neppure quel tono fra 1’ oratoria qua-resimalista e il pamphlet de’ giornali ultra-clericali ; stile serio, insomma, da uomo che sa e pensa con il proprio cervello. I giudizi sulle persone, ad esempio Maometto, Budda, ecc, sono equanimi e larghi e scevri da qualsiasi diminuzione e torbida capsiosità, atta ad una simulata apologia del Cattolicismo.
La bibliografia che segue ciascun capitolo, è seria, diligente, assennata e ragionata : è un ottimo ¡strumento da lavoro per chi voglia penetrare più ad-
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dentro in così fatta cerchia di studi. Il Turchi, infine, ci promette una continuazione del suo lavoro, di cui quest’ opera dovrebb’ essere un primo volume : e noi ce 1’ auguriamo sollecita, ripromettendoci di riparlarne tanto più volentieri, quanto più oggi siamo stati costretti alla concisione, dovendo trattare di due opere affini.
(Continua )
MARIO ROSAZZA.
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esseri viventi. Ma
due riti funebri più universalmente diffusi sono la inumazione e la cremazione. La religione di Zarathustra conosce l’esposizione del cadavere agli uccelli e alle fiere, suggerita dall’ idea della impurità del morto, la quale vieta di inumarlo per non contaminare la terra, di cremarlo per non contaminare il fuoco, di sommergerlo per non contaminare l’acqua, e impone la distruzione di esso per mezzo di ciò- non impedisce la celebrazione di speciali cerimonie
funebri, che durano quattro giorni e tendono ad aiutar l’anima nel viaggio all’ oltretomba, ove la « dimora dei cantici » attende i buoni e l’abisso
i cattivi, dopo il giudizio pronunziato da Mithra (i). La qual cosa sta a dimostrare come, in questo caso, il rito dell'esposizione, sia consigliato da un complesso di idèe religiose e non dipenda da trascuranza dèi vivi verso i morti. Dal parsismo quest’ uso è passato, a traverso il buddismo, che lo praticò in qualche luogo (2), al lamaismo, che ricorre alla inumazione in qualche caso e
La figura nel titolo é tratta da un’anfora del capo Kolias e rappresenta la discesa della bara nella fossa. (Monutn. del-Vinsi., voi. Vili, tav. IV, M).
(1) v. Hasting, Encyclop. of the Retig. a. Ethics, IV, p. 502 segg. (N. SMerblorn); Turchi, St. d. Relig., p. 388 segg.
(2) v. Revue de I'hist. d. religions, LXV, p. 85 segg. (Nariman).
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INUMAZIONE E CREMAZIONE.
Coperchio per mummia egizia (Roma,
Museo Egizio Vaticano) , « » #
Ciri. 1912]
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Una faccia laterale del precedente Sar-,
cofano.
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Anfora a volute (trovata a Ruvo [Bari] — ora nel museo Nazionale di Napoli) con rappresentanza del rogo di Patroclo.
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alla cremazione solo pei grandi sacerdoti, ma il più alto onore che si possa fare ad un morto nel Tibet è tagliarlo a pezzi sulla pietra sepolcrale di un rilode (1).
Gli altri popoli e religioni si dividono fra la inumazione del cadavere intero o scarnito e la cremazione. I popoli incolti generalmente inumano : còsi è presso gli Australiani (2), così presso gli Africani del centro e del sud. L’antica civiltà peruviana imbalsamava i cadaveri e li deponeva con grande pompa e lusso; quella degli Aztechi nel Messico, invece, impostasi con violenza alla più antica tolteca, praticava la cremazione. Nell’ India vedica per lo più si cremava, ma l’inumazione non era sconosciuta, e certo presso gli Indiani non a-riani avea preceduto all’altro sistema (3). Del resto, anche quando la cremazione predominò, i riti che l’accompagnarono nella religione dei veda sembrano più adatti all’uso della inumazióne, ed io sarei tentato di credere che fossero-nati in un tempo in cui questo era in fiore : infatti le ossa combuste venivano sepolte in un punto ove era seminato il grano e si facevano fosse di acqua e di latte per l’alimentazióne dèi defunto.' L’induismo preferisce la cremazione, ma usa anche, qualche volta, l’altro sistema; e prima che gli Inglesi lo vietassero talora si gittavano i cadaveri nel sacro Gange. In Cina è in vigore l’inumazione (4); la quale è pure in Giappone l’uso più antico, poiché 1’altro vi fu introdotto nel 703 d. e. v. e dal 1644 tutti gli imperatori vengono bruciati (5).
Anche nell’ Europa preistorica l’inumazióne ha preceduto (6). Nell’ età paleolitica, per quanto è possibile farcene un’idea, fu questo il rito universalmente praticato : e così pure nella neolitica, durante la quale spesso il cadavere si depose rannicchiato e circondato da oggetti d’uso: talora si tumularono le ossa scarnite e colorate. E se pure talvolta si notano casi di cremazione, cosa della quale si discute, sono esempi sporadici e in numero infinitamente più piccolo.
I riti funebri dell’antico Egitto son troppo noti perchè sia necessario indugiarsi su di essi. Nessuno ignora come la conservazione del cadavere pel più lungo tempo possibile fosse una delle cure maggiori dell’Egiziano, e sta ad attestarlo il gran numero di mummie a noi giunte in casse riccamente decorate.
(1) v. Hasting, op. cit., IV, p. 510 seg. (Waddell) ; Emporium, XXIX (1909), p. 131 (Gh ¡sieri).
(2) v. Salvado, Memorie storiche del-r Australia, p. 359 segg. ; Spencer a. Gillen The native tribes of centrai Australia, p. 497 segg. ; Id. The northern tribes of central Australia, p. 505 segg. Per gli Africani cfr. Turchi, op. cit., p. 30.
(3) v. Hasting, op. cil., IV, p. 4S3 (Crooke) ; Turchi, op. cit., p. 297.
(4) v. Hasting, op. cit., IV, p. 450 segg. (G. Gilbert Walsche).
(5) v. Hasting, op. cil., IV, p. 485 (Lloyd).
(6) v. Dechelette, Manuel d‘ archéologie préhistorique, I, p. 273 segg. e 449 segg. ; Hasting, op. cil., IV, p. 464 segg. (Munro),
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TOMBA NEOLITICA
Presso i semiti predomina la inumazione (x). In certe parti della Mesopotamia pare che i Sumeri e gli Accadi preferissero la cremazione, che fu praticata specialmente nella regione a s. di La-gas ; ma negli altri luoghi l’interramento prevalse, e se talora il cadavere si cremava in tutto o in parte, alla fine della cerimonia i resti si seppellivano. Presso gli Ebrei l’liso della inumazione fu esclusivo, e la Bibbia (2) non ricorda che un caso solo di cremazione parziale. Quando i Filistei ebbero preso il cadavere di Saul, lo spogliarono, lo decapitarono e lo sospesero alle mura di Be-than ; ma gli abitanti di labes Galaad andarono a prendere i corpi del re e dei suoi figli e li portarono a labes ove li bruciarono e ne seppellirono le ossa nel bosco. Si tratta dunque, come hanno inteso quasi tutti gli interpreti, di una cremazione parziale che mirava a distruggere le carni imputridite e a liberare le ossa per inumarle. E ad attestare che al seppellimento finale tendeva
tutta 1’ operazione sta il fatto che nei Paralipomeni non si parla esplicitamente del bruciamento, ma solo della sepoltura sotto la quercia di labes. Forse non dissimili da questo sono gli esempi di cremazione presso gli altri semiti, ai quali ho accennato più sopra (3). La cura di deporre il cadavere in luogo sicuro fu grande anche presso i Fenici, così della costa siriaca come di Cartagine, ove gli scavi ci hanno fornito preziose informazioni sui vari metodi di seppellimento e sul corredo delle tombe (4).
Nella civiltà preellenica il rito generalmente praticato è l’inumazione per quanto a Créta e altrove pare si sia rinvenuto qualche caso di cremazione (5) ; e delle cerimonie funebri di questa età siamo informati specialmente dal prezioso sarcofago dipinto scoperto dagli Italiani presso Haghia Triada nell’ isola di Creta (6). L’ epopea omerica ci offre i primi esempi sicuri del rito della
(1) Pei riti funebri dei semiti v. spec. Lagrange, ■Études sur les religions sémi ligues, p. 326 segg. Cfr. Hasting, op. cil., IV, p. 444 seg. (S. Langdon).
(2) AV I, 31, 8-13; Paralip., I, 10, S-12.
(3) Cfi. Lagrange, op. e loc. cil.
(4) Cagnat, Carthage, Timgad, Tébessa, P- 5 segg.
(5) v. Dussaud, Civilisalions préhellé-nigiies, p. 24 segg. ; 65 segg. ; 253 segg.
(6) La maggiore illustrazione di questo monumento è sempre quella del Paribeni in Monum. d. Lincei, voi, XIX, p. 1 segg. ; di cui un riassunto è in Rivista storico - critica di Scienze Teologiche, 1909, p. 7*2 segg. (Fomari). V. il resto della bibliografia quivi
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INUMAZIONE E CREMAZIONE 251
cremazione nel mondo greco ; e quest’ uso fiorisce nell’ oscuro periodo che succede alla splendida civiltà micenea, ma presto comincia a perdere terreno e si riafferma l’inumazione. Nel cimitero del Dipylon questo rito predomina (i) ; e in genere nelle necropoli arcaiche col progredire del tempo crescono gli esempi di inumazione e diminuiscono quelli di incinerazione (2). Quest’ ultima, per altro, non scomparisce del tutto, ma rimane nell’ età classica accanto all’ inumazione, se bene in proporzioni assai più limitate.
In Italia, e non in questa soltanto, 1' uso delia cremazione è contemporaneo al sorgere delle stazioni lacustri su palafitte e delle terramare (3), le quali tutte rivelano nel modo di costruzione il loro scopo di difesa. Presso gli Etruschi ambedue i riti furono praticati contemporaneamente e promiscuamente (4). La più antica necropoli romana, scoperta al Foro, presenta anch’ essa mescolate insieme tombe di cremati e di inumati ; ma forse le prime sono più antiche e le seconde sono per la maggior parte sepolcri di fanciulli, pei quali l’inumazione pare si continuasse ad usare anche in tempi in cui l’altro sistema prevaleva (5). Durante il periodo repubblicano di Roma ambedue gli usi continuarono a sussistere e ne fa fede l’interdizione di seppellire e bruciare nella città, contenuta nelle leggi delle XII tavole (6). La cremazione, peraltro predominò, ma alcune famiglie nobili conservarono l'uso della inumazione, ritenuto più antico, e Plinio (7) attesta Che nessuno della gens Cornelia fu bruciato prima di Sulla. Nell' età imperiale l’inumazione tornò in fiore, forse per influsso delle religioni orientali, allora molto diffuse, e del cristianesimo che, come è noto, non ammise mai la cremazione. La quale ai giorni nostri cerca di riaffermarsi consigliata sopra tutto da ragioni igieniche.
Ho voluto passare in rassegna rapidamente questi dati di fatto, senza lusso di particolari, nè sfoggio di citazioni bibliografiche, poiché mi sembra risultare da essi Che la pratica funebre più antica di cui veniamo a conoscenza sia presso
e in Dussaud, op. cil., p. 261, n. 1 e aggiungi lahreshcfle d. oesterr, ardi. Itisi. 1909, P- 305 segg. (Sitte).
(x) v. Pottier, Calai, d. vases. dii Louvre, p. 212 segg.
(2) v. Dragendorff, Thera, II, p. 83 seg.
(3) v- Pigorini, Gli abitanti primitivi dell’ Italia (estratto dagli « Atti della società italiana per il progresso delle scienze », terza riunione), p. 41 segg. e quivi le indicazioni bibliografiche.
(4) v. Pauly-Wissowa, Realenc., VI, 1, c. 739 segg. (G, Kòrte.) ; trad. Stai, del Pontrandoffi, Gli Etruschi, p. 28 seg.
(5) v. Huelsen, Forum Romain, p. 222 segg. Per le altre necropoli romane e laziali, in cui P inumazione prevale, v. Pinza Monumenti primitivi di Roma e del Lazio antico. (Mon. Lincei voi. XIV).
(6) I.e.v XII tab., X, 1. p. 153 ed. Schoell.
(7) Plin N. H., VII, 1S7.
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tutti i popoli l’inumazione, sostituita poi in vari casi dalla cremazione. Che l’esposizione del cadavere alle fiere, sopravvissuta nel parsismo perchè collegata con speciali credenze religiose, sia stata la forma primordiale in epoca di assoluta barbarie è certamente possibile e probabile, ma non abbiamo elementi abbastanza per affermarlo con sicurezza.
L’ uso della cremazione, di per se più complicato e meno ovvio, e inoltre più repugnante al sentimento primitivo della conservazione del cadavere, dovette essere suggerito ai popoli che lo adoperarono da opportunità pratiche o anche da idee religiose. Intanto non è fuor di luogo notare che noi lo abbiamo rin-' venuto più spesso in periodi turbolenti di guerre o presso popoli migranti. Per scegliere i nostri esempi dal mondo classico, vediamo che nella Grecia antichissima è in vigore nella torbida età che segue la micenea : nell’ epopea omerica sono cremati gli eroi morti in guerra e nessuno ignora nella Iliade la descrizione del rogo di Patroclo (i). In Italia lo praticarono gli abitanti delle palafitte e delle terramare, i quali vivevano in stazioni di difesa, sia che si trovassero in lotte continue, sia che avessero contratto tali abitudini in un. lungo passato di lotte. Anche in India prevalse col popolo invasore. Ma una volta che si è introdotto un uso difficilmente si estirpa del tutto ; e, nel caso nostro, la cremazione talvolta ebbe il predominio, come nell’india, tal altra cedette lentamente, come in Grecia.
Alcuni fra gli antichi cercarono la ragione del mutamento di rito nelle guerre lontane e nel desiderio di riportare in patria gli avanzi dei cari. Nell’ Iliade (2) Nestore propone che si brucino i corpi degli eroi caduti :
<0; 7/ òotéa statoìv &ca<nrog
otxaS' a$Te vewpsOa jtatpiSa yaiav.
Già da Aristonico si è dubitato che i due versi siano interpolati (3); ma ciò non monta per noi che cerchiamo solo l’attestato di un’opinione antica. Plinio (4) credeva che presso i Romani la cremazione non fosse in origine praticata, ma che venisse introdotta « postquam longinquis bellis obrutos erui cogno-vere ». Le scoperte archeologiche, come abbiamo visto, contradicono alla sua affermazione; ma essa contiene forse il ricordo, tramandato nei secoli, che la sostituzione di rito avvenne in un periodo di turbolenze e di lotte. Probabilmente alle « guerre lontane » dobbiamo sostituire le lotte primordiali sostenute dai popolo invasore e la instabilità di sede propria delle famiglie umane che
(1) W 161 segg. Ameis-Hentze, Anhang zu Homers Ilias*,
(2) H. 343 segg. III, p. 57.
(3) v. le indicazioni bibliografiche in (4) Plin. op. e loc. dl.
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migrano. Nel caso dell’ Iliade (i) si sono addotti molti e validi argomenti contro l’idea del trasporto delle ceneri in patria : probabilmente ciò che importava di più era la distruzione del cadavere per sottrarlo a possibili oltraggi ; e forse non Si debbono escludere dalle cause del cambiamento di uso anche le idee religiose sull’ oltretomba e sul potere degli spiriti (2).
Che in tempi di cultura progredita la cremazione abbia trovato un appoggio in idee filosofiche e religiose è senza dubbio spiegabile, e ne fa fede, ad esempio, l’opinione di Eraclito, il quale voleva che i corpi si dissolvessero nel fuoco, da lui stimato origine di tutto (3). Ma, che simili concezioni abbiano prodotto il mutamento di rito in tempi così primitivi come quelli in cui spesso lo vediamo effettuato, mi sembra assai poco probabile. Può darsi benissimo che la pratica precedesse la teoria e che questa, come avviene di frequente in molte cose, sorgesse poi a spiegarla e sostenerla. Oggi, presso i popoli civili, 1’ uso della cremazione riceve il maggiore impulso da considerazioni di igiene, ed è possibile che grandi pestilenze abbiano spinto gli uomini anche primitivi a distruggere col fuoco i cadaveri, nei quali vedevano un mezzo di propagazione del male. Con ciò, del resto, siamo ancora nella categoria degli avvenimenti che turbano il sereno andamento della vita.
Ma tutte queste non sono che supposizioni 0 poco più. In verità, nella maggior parte dei casi, il cambiamento è avvenuto in epoche preistoriche ovvero in tempi dei quali, forse appunto per lo stato di rivoluzione in cui si trovavano i popoli, abbiamo scarsa conoscenza, così che quasi mai ci è dato precisarne volta per volta la ragione. D’ altronde non è questo io scopo della presente ricerca ; io non voglio ora indagare il problema dell’origine della cremazione, e solo mi importa stabilire che in tutti i popoli, presso i quali ci è attestata da fonti letterarie o archeologiche, l’incinerazione si è sostituita al più antico uso della inumazione. E da ciò deriva, come logica conseguenza, che diversità di rito funebre non include necessariamente diversità di razza, ma attesta solo lo stato in cui il popolo si trova al momento in cui I’ osserviamo o si è trovato in epoche precedenti più o meno lontane. Donde l’impossibilità di stabilire differenze etnografiche in base ai soli dati del rito funebre. E’ questa una verità che per fortuna si va facendo strada fra gli scienziati ; ma io vorrei che la tenessero anche mèglio presente quei dotti i quali credono che si possa trasformare 1’ archeologia preistorica in paletnologia, non confortando i risultati dello scavo con quelli della glottologia e della tradizione.
F. FORNARI.
(1) Sul rito funebre omerico v. da ul- (2) Con ragioni di questo genere spiega timo Belzner; Homerische Probteme, I, p. il fenomeno E. Rohde, Psychc I» 2, p. 30. 75 segg. E quivi la bibliografia. (3) v. Serv. ad Aen., XI, 186.
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La vita religiosa di Roma antica
L volume del Carter intorno a questo argomento nessuno di certo potrà negare l’originalità (i): originalità nella soluzione dei problemi storico - etnografici che l’autore incontra sul suo cammino, nella pittura di alcune salienti figure storiche, originalità, sopra tutto, nella delimitazione dell’argomento. Se anzi le tesi qui sostenute a proposito di vecchi e oscuri quesiti di storia romana, come per esem
pio quello circa i rapporti fra le origini di Roma e la civiltà etrusca, sembreranno a più di un lettore singolarmente rischiose, in compenso il piano prescelto nella trattazione dell’argomento, i limiti cronologici fissati alla esperienza religiosa di Roma antica, riscuoteranno, penso, il suffragio unanime degli studiosi di storia religiosa, che hanno potuto constatare attraverso la conoscenza delle fonti e della letteratura che la riguardano, quanti pregiudizi, quante frasi convenzionali, quanti apriorismi, signoreggino questo dominio della critica. Roma religiosa antica non muore, per il Carter, con l’apparizione del cristianesimo: la lunga agonia del paganesimo, la stessa proclamazione della nuova fede come religione ufficiale nel decreto costantiniano del 313, non chiudono un cielo nello svolgimento della coscienza religiosa romana, più di quel che non lo chiudano la prima entrata dei culti orientali in Roma con l’introduzione della pietra sacra della << Magna Mater » di Pessinunte, durante la seconda Guerra punica, o la propagazione del Culto mitriaco. Lo Storico della religiosità romana deve registrare e valutare questi e altri consimili fatti come epifenomeni della intima e meno appariscente evoluzione degli spiriti, da forme inferiori di animismo magico a riti e a credenze suggeriti da maggior purezza di bisogni morali. Come sempre, i fatti sono un materiale grezzo, e lo storico non è degno di questo nome se non riesce a farne scaturire la traccia del movimento di anime, che quei fatti provocò o subì. Il Carter ha voluto appunto indagare l’ evoluzione spirituale romana, dagli incerti albori della coscienza religiosa « di quel popolo primitivo, privo completamente di quanto noi chiamiamo cultura nel senso ampio
(1) IESSE BENEDICT CARTER, Te religious Life of aticieul Rome. A study in the development of religious consciousness from the foundation of the city until the death of Gregory the Great. London, Constable, 1912. Sono otto letture tenute ali’ Istituto Leseli di -Bòston nel Gennaio 1911.
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della parola » .(p. 231), che abitava le collinette del Palatino, lungo il corso del Tevere, otto secoli avanti Cristo, fino a quel pontificato di Gregorio Magno che gettò le salde basi dello stalo cristiano medioevale e a quella regola benedettina, che seppe mirabilmente conciliare la perfezione dell’individualismo religioso con le esigenze della cultura e il dovere pubblico della scienza. La linea di questa evoluzione è segnata da un processo educativo che il Carter illustra in tutti i suoi principali momenti. Comincia con l’indagare la religiosità della popolazione italica, ramo ariano sceso dal nòrd nella penisola, sostituendosi alla precedente popolazione di tipo mediterraneo, che cedette rapidamente il posto ai nuovi venuti ed emigrò verso il nord-ovest. E, con tono asseverativo leggermente esagerato, dice : « noi conosciamo poco del popolo italico, ad eccezione della sua religione, intorno a cui siamo perfettamente informati, grazie al suo tenace spirito di conservazione c ai nostri studi moderni intorno ai popoli primitivi ». Fa quindi risaltare il carattere animistico delle primitive concezioni indigene, da cui si passò, per movimento naturale, nel politeismo. Gli intenti che presiedono ai riti propiziatori dei poteri sovrumani, sono, tra questi italici, d’indole costantemente fisica, vale a dire mirano alla floridezza della vita materiale, nelle sue molteplici esigenze. Da Simile esperienza embrionale Roma doveva passare, nel giro di pochi secoli, a una ricchezza di concezioni e di pratiche religiose pari alla sua sapienza politica e alla sua capacita disciplinatrice. Il Carter pone la ragione del successo in una squisita forza di assimilazione. Egli espone da prima quanto, a suo parere, gli etruschi hanno conferito allo spirito dei primi rozzi abitanti di Roma, sostenendo che agli etruschi si deve se questi uscirono dalla breve cerchia dei loro interessi individuali, alla cui tutela e al cui profitto mirava la primitiva coscienza religiosa, e concepirono il senso della coesione sociale, della personalità civica, del vantaggio della comunità (p.17 e seg).
Innegabilmente, se le opinioni dell’autore intorno alle origini etniche degli etruschi sono fiaccamente fondate, quelle intorno al contributo che essi recarono allo sviluppo dello stato e della religione di Roma sono esageratissime e per nulla affatto autorizzate dalle testimonianze storiche, tra cui l'unica veramente significativa è quella che dimostra l’origine etnisca dell’aruspicina. Non possiamo iniziare un’esame minuto della questione, che è del resto studiata con sobrietà e prudenza dal Turchi nel suo recente « Manuale di storia delle religioni » (p. 467 a p.557 e segg), nelle pagine consacrate a una sintesi di quanto conosciamo della religione etnisca e a una valutazione coscienziosa della sua efficacia sullo svolgimento della vita e della prassi religiosa romana. L’esagerazione del Carter risalta specialmente là dove fa dello stesso spirito civico roma-
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no una derivazione etrusca. Autonoma o no, del resto, esiste realmente nelle memorie superstiti dei pili antichi abitatori di Roma, un’ evoluzione sensibile da una religiosità obbediente a istinti esclusivamente fisici, che immaginano divinità personificanti energie benigne alla vita materiale dell’ uomo e degli esseri che gli son cari, ad una religiosità civica, con Giove Ottimo Massimo, Giove Vincitore, e la Vittoria. Non c’è pericolo di esagerazione invece quando si rintraccia l’azione spiegata dalla religiosità greca su.quella romana, e il Carter la pone nella debita luce, accompagnando le sue osservazioni con una buona sintesi della storia repubblicana di Roma. Simile penetrazione indusse la coscienza religiosa romana a spostarsi verso un’esperienza individualistica, poggiata sull’idea della salvezza personale attraverso la speculazione, e dei speciali rapporti intercedenti fra gli uomini e le divinità. « Per sè la nozione degli uomini concepiti quali figli di divinità, con tutte le relazioni di solidarietà che implica simile discendenza, apparve incomprensibile e terribile allo spirito romano. Nei tempi antichi essi non avevano saputo nulla degli dei, di questi invisibili dei, noti solamente nelle loro manifestazioni attive. Èrano poi passati sotto la tutela spirituale degli e-truschi, che non mancarono certamente di infondere nei Romani un po’ di quel terrore degli dei che l’arte etrusca rivela così nettamente. Ed ora invece gli oracoli risuonavano tra i Romani e con essi si svolgeva nella sua pienezza la concezione antropomorfica. Così nacque quella superstitio, quella esagerazione di fede, che contrassegna la religione romana dalla seconda guerra punica alla fine della repubblica. Lucrezio, attaccandola, parve, e non era, un demolitore della religione stessa » (p.45). I romani, spontaneamente e più o meno consapevolmente pragmatisti, videro i vantaggi ètici e psicologici delle nuove attitudini religiose. L’esperienza individualistica si polarizzò in due tendenze: l’una ispirata dall’idea della salvezza mediante la conoscenza, ed è la tendenza più diffusa nel periodo di tempo che va da Augusto a Marco Aurelio; l’altra, dall’idea della salvezza, mediante la fede, e prevale nel secolo seguente. Sapiente mezzo di coesione spirituale fu in tutto l’impero la religione dello stato, il culto del-l’imperatore. « Quando nel 29 avanti Cristo Augusto consacrò il tempio del divo Giulio nel Foro, là dove era stato arso il cadavere di Cesare, inaugurava l’organizzazione della più potente forza conservatrice e unificatrice dell’impero » (71). Il Carter osserva come l’ampiezza dell’impero determinò provvedimenti legislativi di notevole importanza, come 1’ estensione della cittadinanza romana alla popolazione delle provincie (212), ♦ da cui può datarsi l’Europa moderna». Egli fa vedere come a questa formazione di una coscienza unitaria, contribuirono i culti orientali, principale fra tutti quello di Mitra, «che fu qualcosa più di una religione ». A proposito del Cristianesimo primitivo l’autore formula giudizi non nuovi, ma precisi e bene intesi. « Il cristianesimo, esso stesso di
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origine orientale, fu tradotto in termini occidentali dal grande genio di Paolo .... Nelle cose religióse. Roma soggiaceva completamente all’ Oriente : Paolo salvò la civiltà occidentale, trasmutando un culto orientale in termini di lègge romana » (p. 104). Non mancano però le asserzioni che io reputo, dal punto di vista storico, insostenibili, come nello spiegare il successo cristiano quale frutto della tolleranza imperiale, definendo « un errore l’ipotesi che i cristiani fossero nel secondo secolo una organizzazione segreta, nascosti sotto le apparenze di società funeraria » (p. 112). Anche la pittura di Costantino, additato come « areligioso » e nel medesimo tempo « straordinariamente superstizioso » (p. 117), è, forse, con tradii toria, e certamente antistorica. In lui andava fatto risaltare, anche più energicamente, il fine intuito politico. Il Carter personifica, non so perchè, le tre forze contrastanti nel mondo religioso imperiale, neoplatonismo, mitriaci-smo, cristianesimo, rispettivamente in Giuliano, Diocleziano, Costantino. Gli ultimi capitoli, consacrati al trionfo cristiano, sono forse i più belli del volume. La figura di Ambrogio, per esempio, è tratteggiata con molta efficacia. Noto, di volo, che a p. 156 l’autore concede troppo credito al racconto di Teodore-to, che dipinge il vescovo di Milano in atto di respingere dal tempio Teodosio, dopo l’eccidio di Tessalonica. Ben delineate le correnti che prevalsero nelle chiese orientali e in quella occidentale. « L’ Oriente, incline per natura alla filosofia e alla introspezione, consacrò le sue più assidue cure alla redazione di simboli; mentre il mondo occidentale le consacra alle regole disciplinari e all'organizzazione » (p. 165). Del resto Roma era fatalmente indotta a ciò dalle stesse circostanze storiche, che, dopo la fondazione di Costantinopoli, l'avevano posta nella impossibilità di ricevere sostegno costante ed efficace dalla sorveglianza imperiale. Non mancarono gli uomini alla difficile bisogna. 11 Carter consacra un buon capitolo a Sant’Agostino, di cui analizza la psicologia, alla luce delle «un libro dell'amore del quale noi possiamo valutare la ricchezza della nostra vita interiore » (p. 178) e studia I’ opera sociale nel De cimiate Dei: « Il cristianesimo non dipende da alcuna città terrena. La sua durata non è misurata su quella di Roma. Roma può perire, ma la città di Dio permane sempre. Questa la risposta di Agostino a coloro che scorgevano nella presa di Roma compiuta dai Visigoti la prova del fallimento del Cristianesimo. Non era detto con alcuna intenzione ostile a Roma : al contrario, tutta la traccia del pensiero era suggerita e ispirata da un intenso amore di questa città. Fu anche, se si vuole, una strana previsione dell’ ultima separazione fra chiesa e stato, una chiesa libera in uno stato libero. Ma per allora fu una di quelle luminose idee, così precoci sul loro tempo, che rimangono a dormire per secoli. Attraverso singolari vicende stòriche, le rinnovate umiliazioni dovevano rendere Roma la città sacra per eccellenza nel mondo occidentale. Per un millennio e mezzo la città
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di Roma doveva apparire sempre più alio spirito umano sinónima di Città di Dio. E da tale fatto dovevano scaturire singolari vantaggi così per la civiltà come per la religione. E non sarebbe da far le meraviglie se anche oggi Roma ricuperasse l’universalità della sua signoria. Tale possibilità però potrebbe attuarsi solamente lungo il sentiero segnato da Agostino : che sia cioè la città spirituale, la città permanente di Dio » (p. 195 e 196). Infine l’autore tratteggia l’opera di Benedetto, riuscita felicemente là dove aveva fallito l'iniziativa dell’ostrogoto Teodorico, la conciliazione cioè del nuovo mondo cristiano con la cultura classica: e l’opera di Gregorio, che porta la chiesa al governo civile del mondo occidentale. Così erano posti i germi della Roma medioevale e un nuovo ciclo s’iniziava nella sua storia millenaria. E l’autore ricapitola e conclude con alcune osservazioni d'indole non più storica, a cui io non esito a sottoscrivere : «Durante i 1500 anni che corrono dalla fondazione di Roma alla morte di Gregorio Magno, noi abbiamo constatato la presenza perenne di due fattori : un costante bisogno religioso e un permanente suo oggetto. Abbiamo così registrato il sorgere di una serie di istinti religiosi : fisico, patriótico, superstizioso, individualistico. Abbiamo analizzato le loro azioni e reazioni : osservato le varie fedi in cui trovarono soddisfazione. Abbiamo, in una parola, riconosciuto la normalità dell'istinto religioso, anche se questo istinto normale fu spesso, troppo spesso forse, usato in maniera anormale. Ma sopra tutto abbiamo constatato la grande parte che la religione spiega necessariamente nella vita umana. Oggi noi ci troviamo di fronte a un problema gravissimo : il problema del socialismo. Ma forse c’ è dinanzi a noi un problema anche più grave, quello cioè di saper guidare gli uomini alla soddisfazione dell'esigenza religiosa, fenomeno normale del mondo moderno, come la sua irrequietezza sociale. Dopo quanto abbiamo visto in tanti secoli di esperienza umana, non ci sarebbe da restar sorpresi, se si provasse che i due problemi sono intimamente connessi, e che le più regolari relazioni dell'uomo con i suoi fratelli possono essere conseguite solo uniformandosi alle relazioni normali con quelle forze della vita umana, che noi comprendiamo sotto la rubrica : religione ».
Con questa saggia previsione si chiude il volume del Carter : volume serio e brillante insieme, a cui può solo rimproverarsi il difetto comune a tutte le opere eccessivamente schematiche: la preoccupazione cioè di ridurre a linee troppo rigide e troppo semplici, fenomeni in realtà complessi. Così, per esempio, il cristianesimo che il Carter presenta come un episodio nella evoluzione religiosa di Roma e precisamente come l’episodio rispecchiante la purificazione individualistica della coscienza religiosa romana, ha avuto esso stesso un’ evoluzione profonda da stati di coscienza meno individualistici a concezioni riguardanti il problema della salvezza ispirate all’ individualismo mistico più esclusivo. Il ciclo,
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ad ogni modo, di stati religiosi tratteggiato dal Carter risponde certamente alla reale evoluzione religiosa di Roma : come risponderebbe forse ad ogni evoluzione religiosa umana, di cui è un carattere permanente la tendenza a raggiungere esperienze sempre più rispondenti alle esigenze dello spirito individuale. Lo scrittore americano merita lode per avere bene scelto l’argomento delle sue conferenze e per averlo trattato con intelletto d’amore. Le letture sono di una singolare efficacia: nè poteva essere diversamente, data l’erudizione dell’autore e insieme la viva importanza del tema. Le esperienze di Roma, posseggono, incancellabili, F impronte della misura, dell’ equilibrio, della vitalità perenne.
G. NATALI
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L’autocefalia della chiesa di Salona
autocefalia della chiesa di Salona, questione su cui io ho avuto l’onore di richiamare per primo l'attenzione degli .studiosi (i) c che qui vorrei meglio sviluppare, si ricon-nette strettamente alle origini del cristianesimo in Illiria e alle questioni di agiografia dalmata che il de Rossi chiamava un vero spinato. Occorre quindi, per riuscir chiari, riandare alle vicende del cristianesimo in quella provincia, tenendo conto dei testi e dei risultati degli scavi, fino ai mo
menti 'in vcui'assembra più caratteristica la’posizione della chiesa di Salona di fronte*alla 'chiesa di Roma. Lacinia e,'lo dico subito, una ipotesi la quale ha per sè molti fatti storici, sebbene manchino i relativi documenti. L’atteggiamento della chiesa salonitana di fronte a Roma durante gli ultimi tre secoli fa presupporre qualche base storica, nella quale la chiesa di Salona avesse potuto vantare certi diritti e prendere questo atteggiamento. A me basta aver intuito questa base storica : il resto lo diranno gli ulteriori studi e le ulteriori scoperte archeologiche.
S. Paolo nell’ Epistola ai Romani (XV, 19) scrive : « mote p? d-tò ‘lepov(1) Furio Lenzi. Introduzione del Cristianesimo nell’ Illiria, Firenze 190S : cfr. recensioni in Hagiographischer Jahresbericht 190S, p. 124 ss. e in Bullet lino di Archeologia e Storia dalmata, Spalato 1908. p. 181 ss. V. anche : F. Lenzi, La libertà nella Chiesa primitiva, in Cultura moderna 1908,
n. 6 ; F. Lenzi. I rapporti della chiesa sa-lonilana con la Chiesa di Roma, in Bull, di arch. e St. dalm., 1903, p. 113-28. Cito una volta per sempre J. Zeilíer, Les origines chrétiennes dans la province romaine de Dalmalie, Paris 1906, e Les relations de l'ancienne église de Salone avec V église ro-
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IJ AUTOCEFALIA DEI.LA CHIESA DI SALONA
iói
<7cxXt||a xat zvx).q> pé/pt roù ’IXZvqixoù fteafa)(>w.évai rò et'ayyéXtov tov Xqiotov » c s’intende che è andato fino all' Illirico (Vulgata, usque ad Illyricum) e non già fimo in, nel quale caso si sarebbe adoprata una preposizione che avesse significato il termine ultimo di un moto (et? con l’accusativo). Senonchè s. Girolamo in una delle sue ultime lettere scrive : <<...... in omnibus locis, versabatur, cum Thoma in India, ami Pclro Rcrnae, ami Paulo in Illyrico...............» (i) ; potrebbe
essere stato frainteso il senso delle parole dell’apostolo, ma potrebbe anche darsi che s. Girolamo abbia preso la notizia da un’altra fonte che oggi non conosciamo. Del resto altri personaggi come s. Gregorio Nisseno, s. Pier Damiani, papa Giovanni Vili, Asterio, credettero che s. Paolo avesse dimorato in Illiria (2). Nella II a Timoteo (IV, ri) l’indicazione è più precisa: « Kpqcxq; et; Fa?.a-tiav (secondo altri FaZZiav), Tito? sì? AaZpariav » e qui si tratta di un Tito, probabilmente del discepolo carissimo di s. Paolo, che è andato in Dalmazia e vi ha predicato il cristianesimo (3). Si sa che fortissimi dubbi sono sollevati dai critici sulla II a Timoteo, che non sarebbe di Paolo, ma di un’ epoca molto più bassa, non anteriore in ogni modo ai tempi di Domiziano (4). Io penso che qualche passo, e fra questi indicazioni geografiche o personali, sentenze più gravi é caratteristiche, saluti finali ecc., sia veramente di s. Paolo, e giunto per scritto o oralmente al coordinatore : ma anche a questo si risponde che non si trovano tracce visibili di composizioni successive, e che quindi bisogna credere alla aulenti ntà assoluta della lettera o non credervi affatto. Quindi la frase Tiro; sì; AuÀ-patiav avrebbe un valore storico dubbio tanto più che sotto i primi imperatori la Dalmazia era indicata generalmente col nome di Illirico e soltanto sotto i Flavi cominciò a entrare in vigore la designazione amministrativa della Dalmazia (5).
inaine, in Bessarione 1903, fase. 71. p. 235 ss., nonché le dotte dissertazioni di Mons. Bulle’ in Bull. Dam., passim.
(i) Epist. LIX ; Pair. lai. t. 22, p. 589(2) Parlati. Illyricum sacrimi, Venezia 1780- 1S06, 6 vol. ; I, p. 245.
(3) Stando alla lettera, sorge però qualche dubbio sull’ interpretazione della frase Tiro; et; AaZucmav. cioè Titus abiti in Dal-inatiam. C’è chi crede che non si possa concludere da questa frase altro se non che Tito fu spedito, parti per la Dalmazia : se egli vi sia realmente arrivato non risulta da queste parole : si sarebbe dovuto dire più esattamente ¿v AaÀpati«, in Dalmatia, ma. del resto,non si comprenderebbe perchè dovesse essere andato in Dalmazia e non vi dovesse essere arrivato.
(4) Soden. Die Pastoralbriefe in //and Commentar zum neon Test., Freiburg in B. 1893 ; efr. Holtzman, JUlllcher, Harnack.
(5) Corpus /nscriptionum Latinorum HI, p. 280 : « Nominimi aiitem mu tatto {Dalmatia » 1 Uly rietini} vide tur evenisse sub impera toribus Piavi is certe ut Pannoniae nomen de universa provincia turn privami vide-tur offendi ita Dalmatiae quoque ita usurpatimi, ut non partem signifiesf, sed ipsam provincia»» ». Per la geografia e per la storia della Dalmazia preromana e romana v. : Carta della Dalmazia romana nel Corpus /user. Lal. Ill, tav. VI; Poinslgnon. Quid praccipue apud Romanos usque ad Diocletia-ni tempora fuerit Illyricum, Paris 1846 ; Marquardt, Die römische Staatsverwaltung, Leipzig 1S73. L 1. P- >4«: Zippel, Die römische Herrschaft in Illyrien bis auf Augustus, Leipzig 1877 ; Cons, La Province Romaine de Dalmatic, Paris 1S81 ; Domasze» wski, Studien zur Geschichte der Donau Provinzen, in Arch. Epigr. Mitlh. aus Oe-sterr. Ung. 1890, p. 129 ss.
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D’altra parte essa si trova già usata in Tolomeo (2, 16): TÀÀvpìg ì] Aipovpvia xal AaZpatia, quindi gli argomenti contrari si equivalgono (1).
Nel IV secolo s. Epifanio dice di s. Luca evangelista che predicò év AaX-parte/ xal TaZZia xal £v Tta?u<y xal MaxsÒoviq: (2).
Questi i testi principali. Testi secondari e tradizioni più recenti ci parlano chi passaggio di s. Giacomo per la Dalmazia, quando andò in Spagna (3) ; di una possibile venuta in Dalmazia di s. Pietro, secondo un romanzesco racconto di Orosio del V secolo (4); di un apostolato di s. Domnio siro, discepolo di s. Pietro e martire sotto Traiano (5). Ma questi racconti già nei tempi antichi erano posti fra le favole, oppure la tradizione non si era formata ancora, come pir quella di s. Domnio di cui non si hanno tracce sicure anteriori al 1139 (6).
I monumenti archeologici fin qui scoperti nulla ci hanno rivelato sul cristianesimo in Dalmazia nel I secolo : vi ha chi vorrebbe stabilire che una comunità ciistiana esistesse nel II (7), ma la vera, sicura, la grande vita cristiana di Salona ci è rivelata dal cimitero di Manastirine che è della fine del III secolo. Erroneamente 1’ Harnack dice che è del II (8), contraddicendosi e sbagliando ancora quando, nella ricapitolazione che fa della diffusione del cristianesimo nelle provincie, mette la Dalmazia nella terza categoria, comprendendola fra quelle ove il cristianesimo era poco diffuso al principio del IV secolo.
Realmente pare che si debba assegnare a s. Venanzio l’onore di aver fondato o almeno di aver' riorganizzato la chiesa salonitana, di cui anche sarebbe il primo vescovo (9), seguito in questa carica da s. Domnio, martire sotto Diocleziano.
(1) Io spero di non scandalizzare i lettori se pongo in seconda linea la questione dell’autenticità della II Timoteo: ma innanzi tutto essa non ci riguarda direttamente, come diciamo più sotto, e in secondo luogo è da ricordarsi come la Chiesa abbia riconosciuto la canonicità degli scritti paolini, senza che abbia mai preteso di riconoscerne 1’ autenticità, tanto che s. Girolamo stesso se n’ era fatto una ragione, scrivendo della II di Pietro a plerisque ejus esse negatur e dell’ epistola di Giuda a pterisque rejicitur, lamen anclorilatem vetustate jam et usu me-rail, et inter sane tas scripluras compulalur. V. Batlffol in Renne biblique. 1897, p. 432.
(2) Adversas haereseos LI, 11. Lo Zeil-ler nota che Epifanio è sicuro del fatto suo, perchè in una questione critica non ancora risolta aggiunge : « AlJZÙ Sè év rft PaZZÌ# ¿g xal tizqì rcvojv ro>v avtov àxoÀoudcov /.éyei év ra«<; avrov ’EmotoÀaì? ó avrò? FlavZog. Kq))0x>)C, <p]<riv, èv xfi TaZ7.i$. Ov yàq év rft
Pe/.aria. w; uve$ .uXanj-Oevrr? voui'^oumv, à?.?.à év Tf| ra/.Zi<? ».
(3) Parlati, o. e, I, p. 236.
(4) Paul! Orosii. Historiartim lib. lzZ/, cap. VI. Cfr. l.enzi, Introd. del cr., p. 4 ss.
(5) Questione che ha suscitato delle lunghe polemiche, e che ha una larghissima bibliografia. Essa sarà completamente trattata nella mia monografia ó'. Domnio vescovo e martire di Satana, di prossima pubblicazione, dove naturalmente è combattuta la tesi assurda di un s. Domnio sotto Traiano.
(6) Nel concilio di Spalato del 924 ricorre, è vero, menzione di s. Domnio discepolo di s. Pietro, ma gli atti sono dubbi : cfr. Rack!, Monumenta spedati lia h istoriata Stavorum meridionaliiim, doc. p. 190.
(7) Bull. daini. 1892, p. 163 ss.
(8) Harnack, Die Mission and Ausbrei-lung des Chistenlhums in den ersten drei Jahrhunderten, Leipzig 1902, IV.
(9) Zeiller, origines, p. 71 ss.
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Ma fin dai primi tempi deve essere rimasta ben poco conosciuta la verità sulle origini cristiane di Salona : certo che s. Venanzio, la cui importanza è al-1’ opposto evidentissima anche per il fatto che la cappella del battistero latera-ncnse prese il suo nome, e in quel mosaico è rappresentato al posto d’onore, rivestito degli abiti episcopali, anche s. Venanzio fu dimenticato, e poiché la leggenda di s. Domnio martire sotto Traiano non si era formata ancora, si dava gran peso alle testimonianze paoli ne e dei padri.
Per gli antichi dunque la chiesa dalmata aveva avuto un’origine apostolica: per s. Paolo, come credette s. Girolamo, per Tito, per Luca. La chiesa di Salona sarebbe sorta, per gli antichi, non per opera di Venanzio, nè tanto meno di Domnio, ma per opera diretta degli apostoli e del discepolo dell’ Apostolo delle genti, esclusi s. Pietro e i suoi discepoli. Con f appoggio di tanta reputazione si riorganizzò dopo le persecuzioni e fiorì la chiesa di Salona godendo A lungo dei privilegi che le provenivano dalia credenza, fondata o no, ma allora indiscussa, della sua apostolicità.
Da tale credenza la chiesa di Salona trasse la naturale ragione di ritenersi autonoma di fronte al potere sempre più accentratore di Roma.
Non vorrei entrare nella questione della autonomia delle chiese cristiane fondate da apostoli o dai loro immediati successori, nè vorrei dire che ogni apostolo abbia lavorato per conto proprio. Se è vero che l’opera degli apostoli era un’ opera unica perchè aveva un solo fine, è vero anche che secondo i luoghi e secondo le persone quest’ opera fu variata, e certe comunità cristiane serbarono per molto tempo il carattere a loro impresso dal primo evangelizzatore o dall’ ambiente in cui quella comunità si sviluppò : così in un luogo si manteneva ancor vivo lo spirito giudaizzante come avvenne a Roma nei primi tempi fino alla venuta di s. Paolo, oppositore dei pesi legali e cerimoniali ebraici, e come rimane fino ad oggi in un’ antichissima chiesa, l'abissina ; in un altro la nuova concezione religiosa giungeva a un eccesso rigido e secondo l’esortazione di s. Paolo si rifuggiva da quanto sapesse dell’antica legge « pì| jtQOoéxcoaiv eìg TovSaixov? pvOovg.xai èvtoXàg dvOpó.-Kùv » (1), in un terzo luogo invece, dove lo spirito latino aveva sempre il suo terreno propizio, non mancavano elementi pagani che si mischiavano al culto cristiano primitivo, segni caratteristici in quanto mostrano la confusione dei tempi e rispecchiano nell’ arte scadentissima gli ultimi respiri del paganesimo morente (2).
L’ esempio della chiesa di Gerusalemme, dove dominava lo spirito giudaico e della chiesa di Antiochia, dove più forte invece era lo spirito universalista, è abbastanza noto. La Chiesa non è divisa, ma ogni chiesa locale è autonoma : non è divisa perchè spiritualmente essa forma un corpo solo ; soltanto esteriormente essa non ha legami di sorta, perchè non ha da difendere nessun interesse
(1) Tito I, 14; cfr. Galati II, 16; 111, (2) Z>‘w/Z. daini., 1909, p. 120-21, nota;
2; Colossesi II, 16 e 17 ecc. /¿assegna numismatica 1907, p. 33 ss.
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terreno ; ciò non toglie che la carità e la speranza uniscano in un solo slancio tutte le chiese e che in Galazia e a Corinto si facciano collette pei poveri della Giudea, che dall’ Acaia e dalla Macedonia si mandino missionari con offerte a Gerusalemme.
L' accertare se fu veramente nel tempo apostolico e se fu veramente Tito, discepolo di Paolo oppure s. Luca colui che portò il cristianesimo in Dalmazia fondandovi qualche comunità e stabilendovi 1’ episcopato, è cosa importante per la storia delle origini cristiane nell' Illiria, ma è secondaria relativamente al nostro punto di vista : non ci importa sapere quindi se la credenza fosse mal fondata, ma basta constatare che per un lungo periodo di secoli, sin quando il papato era istituzione già formata e già solida, la chiesa — popolo, dottori e papa compreso — era sicurissima che nè Pietro, nè Domnio, suo discepolo, entravano per nulla nella chiesa di Salona, che Venanzio non era stato un missionario al servizio della chiesa di Roma, e se n’ era perduto il ricordo, e che la predicazione in Illiria risaliva a s. Paolo, a Tito, a s. Luca. Quindi la chiesa, ripetiamo, credeva che il cristianesimo illirico avesse avuto delle nobili e speciali origini e che ciò formasse un’ eccezione alla regola che voleva che le chiese di Gallia, di Italia e di Spagna avessero dovuto la loro origine soltanto a s. Pietro e ai suoi successori. Al principio del V secolo questo già asseriva papa Innocenzo in una lettera al vescovo di Eugubio (i), e i papi generalmente hanno sempre cercato di dimostrare che 1’ episcopato ha preso la sua origine da Pietro (2), per prendersi il diritto d’influire indirettamente prima, per prendersi il potere elettorale dopo, nella nomina dei vescovi.
L’ eccezione di Salona che non aveva questa tradizione di dipendenza da s. Pietro c quindi da Roma, doveva aver bene il suo significato e farsi valere. Del resto bisogna riportarci a quei tempi quando ancora non si era compieta-mente formata l’idea del papato romano che di poi si attuò gradatamente come prodotto storico e giuridico necessario per la completa integrazione del carattere progressista del cattolicismo, e l’autorità del vescovo di Roma non era più sentita di quella dei vescovi delle altre sedi (3).
(1) Mansi, Conciliorum Collectio IH 1028, anno 416; Duchesne, Origines du adíe chrilien, Paris 1902, p. 38; il Ccriani, Notilià liturgiae ambrosiana? 1875, P- 79 conferma con un testo — si noti — siriaco del sec. V-VI che esprime la medesima idea. Cfr. ApostolicìlA delle Chiese d‘ Italia in Rivista Storica critica delle scienze teol. anno I. p. 345.
(2) Lettere di papa Nicola 1 a Carlo il Calvo dell’S65 (Migne, Palr. taf., t. 119, p. S93), ai Bulgari (idem. p. 1007), controversia con Fozio (p. 779, 1066), lettera al-l’arciv. di* Bourges (p. 882); Giovanni Vili, Stefano V e i papi del sec. X ripetono varie volte questa idea.
(3) Ricorderemo il fenomeno della fine del IV sec. quando parve che l’episcopato occidentale riconoscesse una doppia egemonia. Roma e Milano. Ricorderemo che l’influenza d’Ambrogio si fece sentire anche negli affari della chiesa orientale, ad Antiochia, a Cesarea, a Costantinopoli, a Tessa-lonica ; che il grande vescovo di Milano fu incaricato di dare un vescovo a Sinn io in un momento critico ; che ad Aquileia diresse un concilio ; che in Gallia e in Spagna 1’ autorità di Milano era ritenuta come un tribunale ordinario e superiore ; che a Milano, insieme con Roma, portarono la.Ioro causa i Priscillianisti di Spagna ; che il papa Silicio si uniformò alla decisione presa dal
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Incerte sono le notizie che abbiamo sulla chiesa cristiana di Salona dei primi secoli. Sull’ atteggiamento di questo episcopato indocile, come vedremo, può ben avere avuto anche la sua parte la posizione geografica della Dalmazia, ira 1’Oriente e 1’Occidente, e quindi le sue relazioni politiche fra Costantinopoli e Roma : la chiesa, come si sa, seguiva le divisioni civili. Nella divisione dell’ impero sotto il nome di Illiria fu compresa tutta la penisola balcanica ; la Dalmazia rientrò fra le provincie dell’ Illirico occidentale, e quindi passò all’ impero d’occidente. Una legge di Teodosio II del 421 poneva le provincie illiriche sotto la giurisprudenza del vescovo di Costantinopoli (1), ma un accordo fra il papa c l’imperatore modificò quella legge (2) in modo che fino alla metà dell'VIII sec. anche le provincie ecclesiastiche dell’Illirico orientale furono considerate come parte del patriarcato romano, e il vescovo di Tessalonica, salvo il periodo dello scisma dal 484 al 519, esercitava per delegazione l’autorità patriarcale del papa, col nome di vicario (3). E’ da notare che i limiti fra il patriarcato romano e quello costantinopolitano non furono invariabili : abbiamo già detto dell’abrogazione della legge teodosiana, aggiungiamo che alla fine del VI sec. le provincie più occidentali del patriarcato di Costantinopoli erano la Moesia II, la Tracia e la Rodope, mentre più tardi vi si unirono le provincie greche nell’ Illirico, le isole del litorale dalmate, la Sicilia e parte dell’ Italia meridionale. Ma questo alternarsi di dipendenze non compromette la questione di Salona che, ripetiamo, rimane al di fuori di esse.
E’ naturale pensare che in quei primi tempi l’elezione dei vescovi sia stata fatta dietro la volontà cleri et filebis, ed in seguito sia stata richiesta 1’ approvazione degli honorati, dei nobiles, prima di giungere all’ intervento dei vescovi
vescovo di Milano ; che nel 400 il concilio di Toledo, non riconoscendosi autorità sufficiente, fece un ricorso formale ad Anastasio di Roma e a Simpliciano di Milano ; che il concilio di Cartagine del 337 si rivolse, pei Donatisti, a Roma e a Milano (Duchesne, Origines dii culle chrilien, p. 32 ss.). Sono note le rivalità fra le due sedi : Duchesne, o. c., p. 37 ss. ; Pastes episcopati de r ancienne Gaule, t. I, p. 84 ss. ; S. Pietro Crisologo, sermone 175 ; Mansi, Conci liorum Col lectio III 1028 anno 416. Per la supremazia del vescovo di Roma, nelle cause che la determinarono e nel suo primo svolgimento storico, v. Dollinger, Das Paps th uni ; Duchesne, Les Premiers temps de I' Elat Pontifical', Batiffol. L* É-gisse ttaissanfe.
(1) Cod. Inst. I, 2, 6; Cod. Theod. XVI, 2, 45.
(2) Jaffé - Ewald, Regesta Ponlìficum Romanorum, Lipsia 1888, 894.
(3) Il Duchesne, Èglìses séparées, Paris 1896, chap. VI. /.’ Illyricuni eccMsiastique (p. 229 - 279), scrive che nei sec. I - ZX P Illirico era sotto Roma, ma tutte le prove si riferiscono a Tessalonica, Corinto, Creta, Nicopoli, e quindi all’ Illirico orientale. Nel 649 papa Martino depone il metropolita di Tessalonica e dichiara che quel vescovo dipende da Roma : ivroxfipevo; rò> zaft’ daooro/.izq» Oqóvìo (Jaffé, 2071, 2072). In ogni modo manca il più piccolo accenno a Salona e alle sedi episcopali vicine, che già prima del V secolo erano numerose.
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vicini o di un metropolitano (i). Il Concilio di Nicea del 325 parla della subordinazione dei vescovi al vescovo della metropoli civile, ma eccettua alcune supremazie come quella di Alessandria da cui dipendevano' 1’ Egitto, la Pentapoli e la Libia, quasi per contrapposto alla sede di Roma la cui autorità si era stesa su molte provincie, quella di Antiochia e di altre sedi che- non nomina : fra queste ultime privilegiate, che non dovettero esser poche, è ragionevole pensare che non mancasse Salona. I soli titoli che abbiamo in tale epoca sono quelli di vescovo e di metropolitano : gli altri di esarca, di patriarca sono usati a volte ma non in senso ben determinato, in ogni modo non avevano un valóre ufficiale. In occidente la sede di Roma reclamava, non riuscendo ad ottenerla mai per intiero e dappertutto, la supremazia : e sono ben note le resistenze di alcune chiese (2) ; d’ altra parte si sa che, a differenza degli altri, i vescovi di Milano, di Aquileia e di Salona non erano obbligati a farsi consacrare dal papa (3).
Ora, ci domandiamo se non sia il caso di considerare Salona fra le chiese autocefale, una volta che il suo vescovo, considerato come metropolita della Dalmazia restò indipendente dal patriarca (4), autocefalia provenuta dal privilegio dell’ origine indipendente da Roma e confermata dall’ altro di rimaner libera nelle elezioni episcopali. Questo può valere per un lungo periodo di tempo che sarebbe difficile determinare, che rientra sia nel tempo in cui l’Illirico occidentale era compreso nella divisione con l’impero di Occidente, sia più tardi, dopo
(1) L’elezione del vescovo Jia variato secondo i luoghi e le epoche ; in origine la Chiesa, che è autonoma, si sceglie da sè il vescovo ; in seguito, col raggruppamento per provincie intorno alla metropoli, il diritto di elezione si modifica con l’intervento dei vescovi comprovinciali e con la preponderanza del metropolitano. Il concilio di Nicea del 325 (can. IV e VI) richiede per l’elezione del vescovo la presenza di tutti i vescovi della provincia o almeno di tre, e la ratificazione del metropolitano ; quello di Sardica del 347 (can. II) annullò una elezione fatta dal popolo come sospetta di influenze illecite ; quello di Lao-dicea del 365 (can. XII) lasciò ogni diritto al metropolitano e ai vescovi vicini, togliendoli al popolo ¡quello di Calcedonia del 451 can. XIX) richiese la maggioranza dei vescovi e la confermazione del metropolitano. Ciò non toglie che in alcuni luoghi 1’ uso di origine sia rimasto : a Milano fino al secolo XI il popolo eleggeva il suo vescovo; e nei concillii di Arles del 353 e 358 e di
Clennont en Auvergne del 535 fu riconosciuto legittimo l’intervento del popolo.
(2) Concilio di Cartagine, t. IX, p. 610; Chiesa di Milano, t. XXVIII, 975; concilio di Aquileia III, 476.
(3) Sac. Pio Paschini, Sulle origini della chiesa di Aquileia, in Riv. di Scienze storiche. Pavia 1904. Il Duchesne, Églises siparées, p. 237 scrive che i metropolitani del papa non erano in generale ordinati da lui, salvo 1’ eccezione di Ravenna, mentre il patriarca di Costantinopoli era il consa-cratore ordinario dei suoi metropolitani, e l’autorità del papa era simbolizzata non dalla cerimonia dèli* ordinazione, ma dal-l’invio del pallium.
(4) AvrozéipaXoi o ’Azé<pa?.oi furono chiamati appunto i metropoliti indipendenti dai patriarchi dopo la creazione del patriarcato. Ravenna si trovò in questo caso nel VII secolo. Rientrano in questa denominazione i vescovi d’ Oriente che senza passare sotto il metropolita dipendevano diretta-mente dal Patriarca, e in genere i vescovi
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la morte di Onorio, quando 1’ elezione dei metropoliti e dei vescovi illirici doveva essere sottomessa all’ arcivescovo di Tessalonica (1).
Tolte le due osservazioni fantastiche del Parlati, che nella sua opera nota la presenza di un vescovo di Salona al concilio di Roma sotto papa Giulio nel 341, e di un secondo vescovo, Teodoro, al sinodo di Rimini nel 359,. il primo latto importante della storia ecclesiastica di Salona, per la nostra questione, è che il concilio di Sardica del 344 riunitosi per pacificare la cristianità turbata dalla lotta ariana mandò un esemplare della sua enciclica al vescovo Massimo di Salona. Si tratta, si noti, del concilio dissidente del 344 : è evidente che si riteneva la chiesa di Salona poco in comunione con la sede di Roma. E i rapporti seguitarono ad essere più tesi : Salona, città un pò orientale, poteva sempre essere un pericolo per la chiesa d’ Occidente ; forse le antiche eresie serpeggiavano ancora, rinforzandosi di tanto in tanto a causa dell’ indipendenza dell’episcopato; era un lembo d’oriente, colle sue tendenze dottrinarie speciali, con le sue elucubrazioni e speculazioni teologiche, che poteva infiltrarsi ed influire sulle sorti del cristianesimo occidentale.
Da non trascurarsi 1’ episodio di Leonzio, non vescovo ma certo ecclesiastico elevato di Salona, che per ragioni forse non estranee all’ arianesimo fu da un sinodo di vescovi settentrionali escluso dal sacerdozio e che il papa Damaso, sia per indulgenza, sia per ribattere la condanna dei vescovi, accolse nella sua comunione. Leonzio si portò al concilio di Aquileia adunatosi nel 381 per ordine di Graziano allo scopo di por fine alla crisi ariana nella regione illirica, e che confermò la prima condanna, non pronunziandosi sulla decisione di Damaso (2).
Questi ed altri fatti non potevano certo contribuire a stringere i rapporti fra le due chiese: le relazioni migliorarono, ma a poco a poco, tardi e non durevolmente. Nel 418 papa Zosimo scrive ad Esichio I, vescovo di Salona, per rispondere ad una questione posata da questi sulla legittimità dell’ordinazione ecclesiastica conferita a dei laici che non siano passati per i gradi inferiori del sacerdozio ; la lettera, rileva lo Zeiller (3) dimostra i sentimenti di confidenza Che il papa e il vescovo di Salona provavano reciprocamente, e vi si legge questa frase significativa : « pcrinde nos, ne quid merito dilectionis tuae derogaremus, ad le pòiissimum script* direximus, quae in omnium fratrum et coepiscoporum nostrorum facias in notiliam, non tantum eorum qui in ea provincia sani, sed etiam qui in vicini* dilectionis tuae proviciae adjungunlur (4)
che non dipendevano dal metropolita. La questione è illustrata nei trattati di diritto canonico. Cfr. Bingham, The antiq. of the Christian Church, in The Worts t. I, 216-17; Du Cange, Glossarium s. v. ; Suicer, Thes. eccl., s. v. ; Smith, Did. of Christ, antiquities, s. v. ; Kraus, Realencycl., s. v. ’Axé-cpaXoi ; Kirchenlexicon, s. v. ; Zaccaria, O-nomasticon ; Henry, in Cabrol, Diet, d’arch. chritienne, s. v. Autocephati.
(1) Lettern di Leone Magno ad Ana-sladum Thessalonicensem in Migne, Pair, lat- t. 54, c. 5, p. 619.
(2) Kaufmann, Texte und Untersuchungen zur altgermanischen Religiongeschichte ; erster Band, Aus der Schule des Wolfla, p. 87, Strasbourg 1903.
(3) O. c., p. 243.
(4) Jaffé - Ewald, o. c., p. 399.
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È chiaro che il papa riconosceva nel vescovo di Salona il metropolita della Dalmazia, il rappresentante e l’intermediario di tutti gli altri vescovi della regione illirico - danubiana » (i). Così l’invio del pallium da parte del papa e il riconoscimento del titolo di metropolitano al vescovo di Salona fu il risultato di una situazione già creata : quella del papa fu soltanto una ratificazione nel senso, più che di permissus, di consensus ed i successori di Esichio furono regolarmente investiti del pallium (2).
In ordine cronologico seguirebbero due fatti, la presenza di Giovanni successore di Esichio al concilio romano del 430 e le relazioni di confidenza fra Pietro, altro vescovo, e Leone Magno (3), ma sono asserzioni probabili, non certe. Alla morte del vescovo Glycerius (480) si apre un periodo strano nell’episcopato di Salona : per tredici anni fino ai 493, Sedes Vacai. Si può credere che le condizioni della chiesa, dopo il tristo vescovo Glicerio, siano divenute ben gravi : ma si vede anche che la crisi è risolta dalla chiesa stessa senza la inframmettenza di alcuna chiesa vicina o di Roma. E giungiamo ad un altro episodio che è indice dell’ angolosità fra le due sedi : alle lettere di papa Gelasio (492-96) dirette al vescovo Onorio per esortarlo a lottare contro la eresia pela-giana. Onorio si lamentò di questa inframmettenza perchè il papa, in una lettera, si duole che la chiesa di Salona si sia meravigliata dell’ intervento, sia pure epistolare, del vescovo di Roma.
Qui la successione dei vescovi è incerta (4) : i cataloghi si differenziano in modo strano, e fanno seguire ad Onorio un Januarius ed uno Stephanus, o un Ja-nuarius, un Hesychius IV e Stephanus. Autenticamente conosciuti dopò Onorio (fine del V -sec.) sono un Justinus (verso il 514), e Stephanus (dal 514 circa) (5).
(i) Le altre sedi episcopali della Dalmazia erano quelle di lader, di Senia, di Epidauro, di Rhisinum, di Delminiuin, di Narona e di Scardona : non tutte sono però storicamente accertate come già e-sistenti al sec. V.
(2) Lo Zeiller (o. c. p. 135) crede che Zosimo abbia avuto l’idea di fare del vescovo di Salona un vicario per la regione illirico - danubiana, come fece del vescovo d’ Arles per la Gallia, e come era del vescovo di 'ressaionica per l’illirico orientale e la Grecia.
(3) Guida di Spalalo e Salona, p. 40.
(4) 1 vescovi di Salona glorici sono : s. Venantius, martire verso il 270 (?) ; s. Donmio martire nel 304 o 303 ; Primus, principio del IV sec. ; Maximus, che era vescovo nel 347 ; Gaianus, seconda metà dei IV secolo; Synpherius, IV-V secolo;
Hesychius, morto verso il 426 ; lohannes, morto nel 443 ; Glycerius, 474 - 480 ; Hono-rius, fine del V sec.; lustinus, verso il 514; Stephanus, da circa il 514; Honorius II, morto verso il 546 ; Frontinianus, esiliato nel 553 ; Petrus, 564 ; Natalis, morto nel 593 ! Maximus, dal 593 a dopo il 602. Il Lucius, De regno Dabnatiae, p. 385, e il Gams, p. 419 danno altri catàloghi. V. Zeiller, o. c., p. 177 ss.
(5) Quest’ articolo era già scritto, quando mi è pervenuto il fascicolo della lìogo-slovska Smolra di Zagabria (godiste HI, 1912, broj 1) con uno studio, in croato, di mons. F. Bulic e del dott. J. Bervaldi sulla Kronolaksa solinskih bìskupa (Crono-tassi dei vescovi salonitani). Lo studio sarà completo in 4 puntate ; questa 1. giunge fino ad Esichio. Nella 2., che uscirà contemporaneamente a quest’ articolo, so che gli
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Da circa il 514 il vescovo di Salona assume il titolo di arcivescovo. Stefano I al tempo di papa Simmaco (498 — 514) fece compilare i canoni di Dionigi Esiguo, ed è indicato nel codice come vescovo ; lo stesso personaggio sotto papa Ormisda (514-523) è indicato, nella 3° recensione dionisiana, come arcivescovo (1). I cataloghi mettevano 1’ episcopato di Januarius dal 505 al 515, e quello di Hesychius IV dai 515 al 527 e davano a Stephanus il solo anno 527, poiché nel 528 successe Honorius III. L’ errore è qui evidente, ed a Stephanus si addice un lungo episcopato. Se sotto papa Simmaco egli era già vescovo di Salona, vale a dire prima del 514, ne viene di conseguenza che bisogna rimandare indietro di qualche anno Januarius e togliere del tutto Hesychius che qui è stato moltiplicato.
Quindi fu sotto papa Simmaco che il vescovo di Salona si fregiò del titolo di arcivescovo ; nè è da dirsi che si tratti di errore perchè la dedica 5/tf-phano archiepiscopo si trova in ben cinque codici, e il titolo di arcivescovo è poi dato dai sinodi salonitani del 530-32. Tutto lascia credere che la sede sa-lonitana si sia preso questo privilegio senza l’inframmettenza delle altre chiese e magari con la nascosta disapprovazione di qualcuna. Si sa che il titolo di arcivescovo era allora superiore a quello di metropolita : nel concilio d* Efeso del 43x sono designati arcivescovi il papa Leone e'il patriarca Cirillo d’Alessandria ; nel concilio di Calcedoni» hanno diritto a quel titolo il papa e il patriarca di Costantinopoli soltanto, e Giustino (A^y. XI) dice chiaramente « Vo-lumus ut noti solatii nietropolitanus, sed eli-ani arckicpiscopas fiat ». Ma in qual modo il vescovo di Salona potè sollevarsi a tanta dignità? Un’ipotesi tu espressa dall’Amelli (2). Al tempo dello scisma di Doroteo, vescovo di Tessalonica c vicario della santa sede neli’ Illirico orientale, quaranta vescovi illirici e greci si erano staccati da lui per restare in comunione col papa, il quale avrebbe designato il vescovo di Saiona a successore di Doroteo conferendogli una specie di primazia su tutta la regione illirica. Lo Zeiller nota che nessun fatto viene a sostenere questa ipotesi, e poiché è strano 1’ avvicinamento della Dalmazia al-l’Illiria Orientale è meglio amméttere che il titolo di arcivescovo sia un errore di copista o una correzione posteriore.
Ma questa condanna ci sembra eccessiva, anche perchè non fondata su nessun fatto ; le circostanze, all’ opposto, tendono a dimostrare 1' attendibilità del titolo arcivescovile al V scc. Esso si trova innanzi tutto in cinque codici «lei canoni dionisiani ed è ripetuto troppe volle perchè si tratti di un errore ; d’ altra parte, se si trattasse d’ una correzione posteriore fatta nel tempo in cui il
AA. si domandano se il titolo di arcivescovo non possa essere stato conferito da Costantinopoli. Ignoro le prove che si porteranno, ma credo sia difficile dimostrare, nel periodo dello scisma dal 484 al 519, un qualsiasi interessamento del patriarca di Costantinopoli per le provincie illiriche ingenerale e quelle più prossime all’ Italia in particolare : l’Illirico, nota anche il Duchesne, fu allora lasciato a se stesso. Ringrazio ni. Bulic della gentile comunicazione.
(1) P. Amelli, Compiertene Analecta sacra et profana c ciodd. Casinensibus alia-rutnque bibliothecarum colicela alquc edita cura ri studio Monachorum S. Benedirti Ar-chicoenobii Montis Casini. T. I, Casini 1S88, Prolegomena, p. LXXIX.
(2) Bull. Dalm., 1895 p. 53 ss.
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titolo di arcivescovo non è più messo in dubbio, ci vien da domandare perchè la correzione non fosse fatta dappertutto. Invece la spiegazione è logicissima, perchè la differenza è cronologica. Nel primo periodo, sotto papa Simmaco, è dato il titolo di episcopus, nel secondo periodo, sotto papa Ormisda, quello di ar-cJiepiscopus. A parte gli atti del sinodo salonitano del 530-32, in cui è dato il titolo di archiepiscopus, a parte la lettera di Gregorio Magno a Natale, chiamato arcivescovo di Salona (1) documenti che potrebbero essere impugnati, si potrà ricordare 1’ epitaffio di Massimo che occupò la sede di Salona alla fine del VI secolo (2).
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Quindi il titolo di arcivescovo era sicuramente portato nel VI sec. e tutto lascia credere che invece di essere stato conferito da Roma sia stato il risultato di una affermazione di autonomia. Infatti le relazioni fra le due sedi furono sempre cattive, a volte pessime : non è da supporsi il perchè del conferimento di un titolo così importante, conferimento che il vescovo di Roma stesso non avrebbe voluto mai dare, e non avrebbe potuto senza il consenso di un concilio. Si tratta, ricordiamolo, del più alto titolo gerarchico della chiesa : 1’ arcivescovo di Salona era quindi alla pari di quelli di Roma e di pochissime altre sedi. La prova poi, che la sede di Roma doveva essere adirata da questo fatto è che le lettere di Gregorio Magno a Massimo lo trattano da vescovo, e non da arcivescovo.
Sotto papa Vigilio il vescovo Onorio II non mancò di lottare contro Roma: ce ne dà contezza una lettera al papa del 550, che parla di fatti già successi, di illecite ordinazioni (3). Ma lo scisma scoppiò sotto il vescovo Frontino, per la questione dei tre capitoli, che finì con la sottomissione del papa (4).
(1) Gregorii Registri, I, p. 168.
(d}\Corpus Laser. Lai. Ili, 13131 ; Bull. Dalm. 1900, p. 292. Il Lanza. in Lapidi salonitanae inedite, 2. ed. p. 27, aveva letto falsamente : Maxima archiepiscopo, immaginando una storia favolosa come quella della Papessa Giovanna.
(3) Jaffé - Ewald, 927 ; Migne, Patr. lai. t. 69, c. 46. Anche 1’ elezione del papa
era stata illecita : Duchesne, in Rev. des Quest, hist. 1884, P- 369 ss.
(4) In seguito all* Ludicatum del 548 di papa Vigilio i vescovi di Gallia, Scizia, Illiria e Dalmazia si staccarono dalla sua comunione, e il concilio di Cartagine del 550 scomunicò il papa, che ritirò allora 1’ Ludicalum. L’imperatore, da parte sua, e* siliò Frontino in Egitto.
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E giungiamo alle lettere di Gregorio Magno, dirette ai vescovi e agli alti dignitari della Dalmazia (1) che sono un indice eloquente dell’ atteggiamento fiero preso dalla chiesa di Salona contro le pretese di Roma, e d’altra parte dell’ impossibilità, da parte di Roma, di intromettersi se non platonicamente negli affari interni di quella chiesa.
Dopo la morte dell’ arcivescovo Natale nel 593, che aveva lasciato di sè triste fama (2) il clero e il popolo elessero 1’ arcidiacono Onorato, ma la fazione avversa, sobillata dalle autorità civili, elesse il candidato Massimo che il papa Gregorio Magno aveva espressamente ricusato (3). Questi allora gli scrive una lettera, chiamandolo « praesumptor^ praevarùator » protestando contro 1’ elezione simoniaca, ma l’intervento del papa è da intendersi sotto il suo vero aspetto. Esso non è causato dal diritto per le sede di Roma di mischiarsi nella elezione dell’ arcivescovo di Salona, ma bensì dal latto morale, eccezionale, di quella elezione simoniaca. Al vescovo di Roma, come a qualunque altro vescovo, Massimo era in dovere di render conto di sè perchè così era nell’ uso della chiesa antica. Ogni chiesa è libera, è autonoma ma, anche, legata da certi doveri e certi obblighi reciproci, sottomessa all’altra in caso di discordie e di scandali. Era un magnifico esempio di unità cattolica, meraviglioso ancor più per quella libertà che l’informava. Anche oggi, nel diritto internazionale, si ammette l’intervento di uno stato negli affari di un altro, quando la necessità lo richieda, senza che in tempi normali ogni stato sia sottoposto al controllo di un altro : così accadeva nelle chiese primitive dove era intesa nel piu alto grado quella libertà cristiana che è lungi dall’ essere licenza perchè controllabile da chiunque. Ogni vescovo era pronto ad accettar consigli e rimproveri, obbligato a scolparsi, ma geloso della indipendenza della sua chiesa qualora qualche altro vescovo un po' indelicato e imprudente avesse osato immischiarsi in fatti che non lo riguardavano, non già perchè non riguardavano direttamente lui o la sua autorità, ma perchè non riguardavano 1’ onore ed il decoro di tutta la Chiesa. . .
Ma abbiamo un’ altra prova da portare, e fortemente significativa. Le lettere di Gregorio Magno ben dimostrano che il papa è il patriarca dell Illim, che si occupa di affari interni di quelle Chiese, facendo sentire tutta 1’ autorità che quel papa aveva il desiderio di affermare così di sovente (4). Ma una let(x) Bull. Daini. 1904, suppl. 1-3. Le lettere sono dirette ai vescovi Natale e Massimo, all’ arcidiacono Onorato, al clero, ai nobili e al popolo di Salona, a Sabiniano vescovo di Zara, a Marcellino proconsole della Dalmazia ecc.
(2) Id., p. 5 : « inope sceiiliae, non legioni erat dedilus, sed epulis, et cotidianis conviviis cunt cognatis et aniicìs vacabal ; et quad erat delerius, thesauros ecclesiae et vasa ministerii dando suis contribulibus et compii-cibns sacrilega dilapidatione vastabat ».
(3) Sulle elezioni ecclesiastiche si fecero questi versi, che ricordo a titolo di curiosità :
Qualuor ecclesias fiorii» introito' ad onmes, Caesarù el Simonis, sanguini? alque Dei.
Prima patti magis, sed numis altera ; charis Tertia, sed fiatici» quarta patere sotti.
(4) Jaffé, o. c. 1095, XX13, 1164, Ii65, 1176, 1x91, 12X0, I2IX, 1243, 1235, 1387, 1497, 1683, 1723, 1819, 1847» i860, i86x, 1920, 1921, 1990.
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tera del 597 (1) dimostra chiaramente che l’autorità del papa, pur estendendosi a molte provincie illiriche, non si estendeva su Salona. La lettera che notifica ai metropolitani una legge sull’ ammissione dei militari nel clero e nello stato monacale, è diretta ai metropolitani di Tessalonica, Dyrrachium, Milano, Ni-cópolis, Corinto, Justiniana I, Creta. Scodra, Larissa. Ravenna, Cagliari e ai vescovi della Sicilia. Mancano Aquileia e Salona, nota il Duchesne : la prima perchè in scisma, « la seconde en démeles fori graves avec le Saint - Siège » (2). L’illustre storico della Chiesa mi vorrà perdonare se mi permetto di dissentire da lui : Salona manca per la semplice ragione che il papa sapeva benissimo che a quella chiesa non poteva indirizzare lettere di tal sorta.
L’intervento per 1’ elezione, come abbiamo detto, è ben giustificato e non ledeva affatto 1'indipendenza della chiesa di Salona obbligata come tutte le chiese cristiane a render conto di se stessa ai vescovi : ma qui si sarebbe trattato veramente d'ingerenza su affari ordinari. E’ vero, si, che in quel tempo Salona e Roma erano in conflitto, più del solito: ma si può dire prop.io che questa siala ragione del l'omissione? Innanzi tutto, in un conflitto non vengono a diminuire i caratteri dell’ autorità, e poiché non si venne ad uno scisma, il quale solo divide, il papa poteva pure indirizzare la lettera al vescovo di Salona: ma poiché non lo fece la ragione è altrove. D’ altra parte, il conflitto fu accentuato sul principio, ma in seguito, anche per la buona condotta di Massimo, i rapporti tornarono cordiali : e appena due anni dopo, andando Massimo a Ravenna, si avvicinò ad corpus beati Apollinaris et juravil de omnibus quae adversus cum dieta de mulieribus nel ex schismate simoniaco J'uerant, mixtum se nonesse (3), e Gregorio gli mandò allora il pallium (4). Ma già nel 597 dopo le giustificazioni ampie di Massimo, e dopo quattro anni di condotta esemplare, i rapporti col papa dovevano esser tornati normali: quella del 599 fu la prova pubblica.
Ma il fatto che la lettera del 597 tratta nella stessa misura Aquileia e Salona fa concludere che Salona era considerata autocefala, come era considerata scismatica Aquileia : perchè non si dirà che un semplice conflitto possa avere, per una chiesa, il risultato di non più ricevere istruzioni riguardanti la disciplina dal suo legittimo patriarca ; ciò non può verificarsi che per una chiesa autonoma.
Da questo fuggevole sguardo alla storia ecclesiastica di Salona abbiamo veduto che :
«) Contrariamente a quanto si credeva per le altre chiese, che si ritenevano fondate da s. Pietro o dai suoi successori e missionari romani, la chiesa di Salona formava un’ eccezione, perchè si riteneva fondata da altri apostoli.
(1) Jaffé, 1497. (3) Bull. Daim. 1404, suppl. n. 1-3,
(2) Duchesne, Églises séparées. pag. doc. XXXII.
’35- (4) Id. doc. XXXIII.
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Mosaico Lateranense. Esso si trova nell’oratorio di s, Venanzio, nel Battistèro Lateranensé, e risale ai tempi di Giovanni IV che fece trasportare a Roma le reliquie dei martiri della Dalmazia e dell’ Istria, essendo egli di nazionalità dalmata. Ampiamente he ha trattato il DE ROSSI, nella suà opera Mosaici cristiani dette chiese di Roma. Ih cima, negli spazi interposti alle finestre, abbiamo i simboli dei quattro evangeli : ài due fianchi due città, erròneamente credute Fola e Salona, ina che rappresentano le mistiche città, motivo noto nell’ arte di quei tempi ; nell’ alto della cónca Gesù benedicente, fra due angeli. Sotto : nel mezzo una figura femminile (la Vergine ? la Chiesa ?). che ha ai Suoi lati s. Pietro e s. Paolo ; seguono, nella fila sinistra (destra di chi guarda) s. Giovanni Battista, s. Domenico, papa Teodoro (che compì l’opera); nella destra s. Giovanni Evangelista, s. Venanzio, Papa Giovanni IV. Nelle due parli laterali i santi Anastasio, Asterio, Tetto, Pauliniano da un lato, e Mauro, Settimio, An-tochiano e Gaiano dall’ altro.
[III. 1912]
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Sarcofago di Primus, del IV secolo, un vescovo non menzionato nei cataloghi :
DEPOSITVS PRIMVS EPI
SCOPVS XI KAL-FEB-NE
POS DOMNIONES MARTORES
(Hull. Dalm.t 1900, pag. 271).
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Mosaico della basilica urbana, nel pavimento dell* abside, dove si legge il nome del vescovo Symierius NOVA POST UETERA
COEPIT SYNFER1US ESYCHIUS EIUS NE POS CUM CLERO ET POPOLO FECIT HAEC MUNERA
DON US XPE GRATA TENE
(Bull. Dabn. 1903. pag. 71'.
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Iscrizione di Johannes (?).
/')EP(ositio) SAHCffaèJ M (enioriae Ioannis episcopi> DIE XVIII KAI. (endas...) CQ^Sfnlibtts) MAXIfww i/r] RVM ET PATERIO (wm]C (tarissbnis).
(Hull. Dahn. 1900, pag. 224 ss.).
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l’ autocefalia della chiesa di salona 273
p) Questa credenza portò Salona ad una condizioni privilegiata, specialmente di fronte a Roma.
y) Gli sforzi di Roma per ottenere 1’ egemonia sulle altre chiese, e le proteste d’indipendenza da parte di Salona si susseguono, con vittorie per quest’ ultima.
8) Il vescivo di Salona non era obbligato a farsi consacrare dal papa.
e) La chiesa di Salona si schierò contro Roma nella lotta ariana (344).
£) La chiesa di Roma non manca di schierarsi contro quella di Salona : e-sempio di Leonzio e papa Damaso (381).
q) I rapporti fra papa Zosimo e il vesc >vo Esichio sono confidenziali ; ma già il vescovo di Salona è metropolita delia Dalmazia, ciò che il papa ricono-sce (418). ' ...
ff) il conferimento del pallium fu il risultato di una situazione già creata.
1) Nel lungo periodo di crisi attraversata dalla chiesa di Salona il vescovo di Roma non interviene (da prima del 480 al 493)x)La chiesa di Salona si meraviglia che il papa si sia inframmesso nei suoi affari e il vescovo riporta la protesta (492-96).
Z) Il vescovo di Salona assume il titolo di arcivescovo come poch issi mi altri (verso 514); ma il papa non lo riconosce mai.
|i) Seguono le lotte di Salona contro Roma (546).
v) La chiesa di Salona, per la questione dei Tre capitoli si distacca dalla comunione con Roma (548).
j) All’ elezione dell’arcivescovo il candidato del papa soccombe (593.)o) Il papa, Gregorio Magno, scrive all’eletto, rimproverando l’elezione simoniaca ; ma non protestando per la sua sconfitta, nè accampando diritti di sorta.
jc) Lo stesso papa scrive con autorità ai vescovi illirici, ma non si rivolge alla scismatica Aquileia nè a Salona.
Possiamo quindi concludere che quella della chiesa di Salona fu una vera e propria autocefalia, che si protrasse fino ai tempi tardi, anche sotto s. Gregorio Magno che tanto si affaticò per 1’ accentramento romano : autocefalia che, legittimata dalle origini eccezionali della chiesa, mantenuta con continue proteste ad ogni più piccola inframmettenza esteriore, continuata di diritto e di fatto, fu riconosciuta e lasciata in pace anche dal più grande dei papi.
FURIO LENZE
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1 ? Cipriano di Cartagine
e il suo concetto di Chiesa.
• (Conlinuaz. e fine vedi pag. 170.)
correndo le opere morali di S. Cipriano ad ogni passo si hanno prove della sua, chiamiamola pure, intransigenza. È un uomo che eccede un po’ in tutto. Gli scopi pratici per cui egli lavorava alacremente senza troppo curarsi di speculazioni, lo portavano fuori dal giusto limite. E non poteva essere altrimenti perchè la pratica doveva essere perfettamente consona all’intera sua concezione dell’unità della chiesa. Fa troppo conto del sentimento cristiano dei
-. figli della chiesa e fa anche troppo uso di citazioni scritturali che non sempre comprovano le sue teorie.
Per conoscere la ruvidezza della morale di S. Cipriano, basterebbe gettar l’occhio sul suo piccolo trattato De abita virginum, che si assomiglia perfettamente al De culla foeminarum di Tertulliano, ed a pur con questo comuni i difetti. Non gli basterebbe solo un abito modesto, ma vorrebbe gettati via gli ornamenti tutti, gli orecchini, le collane, i braccialetti. Tutto egli chiama « catena del demonio ». Per esso è bastante assolutamente l’ornamento morale, la
modestia, la mitezza, la segregazione : sembrerebbe insomma un libro più dedicato a monache, facenti professione di povertà assoluta, che a donne viventi nella società, che di essa ritengono le costumanze oneste, che devono vestire ed adornarsi a seconda del ceto cui appartengono.
Un altro punto rigido lo si ritrova dove egli parla dei pubblici divertimenti. Anche nella piccola Epistola ad Euchralium, quando, parla de Hislrione, dimostra uno zelo eccessivo. Un’altra lettera brevissima è anche più sintomatica, riguardando non più, còme in quella ora citata, il pericolo di scandalo grave e là sconvenienza assoluta nella professione teatrale, ma una disposizione che un Concilio provinciale aveva creduto bene adottare e sancire, che cioè nessun sacerdote potesse assumere la tutela o far da curatore di sostanze altrui.
Ora avendo un certo Geminio Vittore nominato per testamento suo curatore il prete Geminio Faustino, ed avendo con ciò contravvenuto alle norme fissate da quel concilio; Cipriano, scrivendo al clero dèi luogo dove il fatto èra avvenuto, comanda: « Non est quod prò dormitione eius apud vos fiat oblatio aut deprecatio aliqua tannine ejus in Ecclesia frequenletur » (1). « Non si faccia fra
(1) Epici. Presbyteris et diaconibus et plebi Furnis consistentibus.
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CIPRIANO DI CARTAGINE E IL SUO CONCETTO DI CHIESA
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voi alcuna oblazione per il suo eterno riposo, nè per lui si faccia alcuna preghiera nella chiesa ».
Con tutto che vi fosse una disposizione di un sinodo, che’ forse era stata emessa, come si dice attualmente in gergo ecclesiastico ad urgendum, essa era da contemperarsi colla carità cristiana e conveniva aver rispetto a circostanze di luogo e di tempo, che forse avrebbero almeno attenuata la disobbedienza di Geminio Vittore.
Ora passiamo ad un altro fatto rilevante nella vita di Cipriano : un fatto che più dei precedenti versa viva luce sulla questione che veniamo trattando : l’atteggiamento del vescovo di Cartagine verso i Lapsi. Molti nella feroce persecuzione di Decio rinnegarono la propria fede e si resero apostati, sia sacrificando agli dei e bruciando loro incenso (sacrificali o ihurificali), ovvero richiedendo ai pretori ed alle autorità romane la dichiarazione di aver sacrificato, aquistándola con denaro per sfuggire a noie ulteriori e ad ulteriori persecuzioni {libellatici, acta- facienles). Questo secondo modo era naturalmente una apostasia palliata, e tutti questi poveri disgraziati vennero compresi sotto il nome comune di Lapsiy i caduti.
Manco a dirlo, Cipriano si schierò subito con coloro che propendevano alla severità, e convenne pienamente con il clero romano alla cui testa era Novaziano, mentre allora era vacante la sede pontificia. Novaziano non ancora era caduto nell’eresia, ma doveva questa sua severità, unita ad una grande superbia, precipitarvelo. E’ noto di fatto come egli rimproverasse a Cornelio, eletto al vescovado di Roma, d’esser troppo indine alla clemenza, e come da ciò si determinasse lo scisma che sotto il nome di Novaziano ci narra la storia. 11 contrario avenne nell’ Africa. Felicissimo si pose a capo del partito che rimproverava a Cipriano una severità eccessiva e un altro scisma avvenne così nel seno della Chiesa africana. Quando però in Roma avvenne contro Cornelio la rivolta di Novaziano, che brigò in modo da essere eletto da alcuni suoi partigiani, cercando di infirmare la elezione di Cornelio, Cipriano preoccupato seriamente della minaccia per l’unità della chiesa, non solo riconobbe e si adoperò presso i suoi colleghi affinchè ritenessero come valida l’elezione di Cornelio, ma temperò la sua severità verso i Lapsi aderendo perfettamente al modo di agire del vescovi di Roma (1).
Come già notavo antecedentemente, la lotta combattuta su questo campo assunse una acredine specialissima e venne combattuta con straordinario vigore. Lo stesso epistolario di Cipriano ce lo dimostra; infatti vi troviamo circa 25 lettere, che più o meno direttamente parlano del trattamento da farsi ai Lapsi. senza comprendere in questo numero le lettere che riguardano lo scisma di Felicissimo e quello di Novaziano.
Un’ultima parola sui vescovi c sui sacerdoti caduti nell’eresia e che poscia pentiti ritornarono alla chiesa. Cipriano, apellandosi anche ad una decisione di Cornelio (avvenuta forse nel concilio romano) e contrariamente, sembra, a quel che praticava Stefano, stabilisce che questi possono ammettersi alla penitenza
(1) Epici. 45 : « ut te universi collegae nostri et comunicationem tuam ¡desi catholicae ecclesiae unitatem et charitatem probarent firmiter ac tenerent ».
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BILYCHNIS
ma solo nella comunione dei laici, cioè privi di ogni dignità socerdotale e del-l'esercizio del loro ministero (1). Siamo in verità molto lontani, a noi basta osservare ciò, dal concetto della dignità del sacerdozio e delle sue (unzioni, invalso più tardi nel cattolicisino, e dalla concezione del carattere impresso nel sacramento dell’ordine. Di fatti poco più tardi il concilio di Nicea già mitigava tale ordinanza (2), rimettendo alla discrezione dei vescovi il ritenere fra il clero coloro che ritornavano alla fede vera dalla eresia novaziana. Più tardi ancora tale questione doveva dare origine a I uno scisma, (362-384), quello promosso da Lucifero di Cagliari e da Gregorio di Elvira che vollero sostenere l'antico costume rigoroso, che i vescovi deboli dovessero essere equiparati ai laici. A poco più di cento anni dalla morte di Cipriano si era già non solo abbandonato ma pur condannato come ereticale il concetto di lui, che concordava con quello del vescovo di Roma. Una evoluzione rapida si era operata, nel concetto di autorità nella chiesa, e nelle attribuzioni e nelle prerogative dell’ ordine sacro. Ciò è molto significativo perchè è un esempio chiarissimo del come siano venuti formandosi ed evolvendosi i dogmi religiosi.
Passiamo ora a dare un rapido sguardo all'autorità nella chiesa, come la intendeva il vescovo di Cartagine. Certamente il suo concetto intorno all’ unità sarebbe stato monco, se, parai fellamente a questo, non avesse svolto 1’ altro intorno all' autorità nella chiesa stessa.
Che Cipriano riconoscesse una nota di primato nella chiesa di Roma è indubitato. Questa veniva già considerata come la più distinta fra le altre chiese. Ma non si confondeva la sede col sedente, per modo che il primato accordato a Roma si risolveva esclusivamente in un primato d'onore ed in un diritto molto generico di vegliare sull’ unità della Chiesa. I primi tentativi da parte di Callisto di considerarsi ed imporsi come pontefice massimo, erano caduti quasi nel ridicolo e Tertulliano con ironia finissima fustigava la velleità di dominio del vescovo di Roma. Così quando Cipriano chiamava la chiesa romana « radix et matrix omnium ecclesia™ m » (1) e « cathedra Petri et ecclesia principalis » (2), espressioni del resto che non gli sono peculiari, egli dà a queste parole un significato molto relativo e poco o nulla concludente per le pretese romane. Ciò che ingenera un dubbio ancor più grave sono le interpolazioni a favore della chiesa romana verificatesi sul trattato de imitate ccclesiae (3).
(1) Epist. 68. ad de rum, et ptebem Ifispaniae de Basiiide et Martiale. — Epist. ad An lontanimi. — Epist. 71, Ad Stephanum. de Concilio Africano de Lapsis.
(2) Con. 8.
(3) Epist. 45, ad Comelium.
(4) Epist. 55, ad Cornelium. —, Epist. ad Antonianum.
( ) cfr. Chapman nella « Revue Bénédictine » anno 1902.
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CIPRIANO DI CARTAGINE È II. SUO CONCETTO DI CHIESA 277
A spiegare la ragione della supremazia accordata a Roma, Cipriano stesso dice : « per la sua grandezza Roma deve avere la precedenza su Cartagine » ed è così che Roma vien considerata, data la sua importanza politica e la sua posizióne geografica, come centro dell’unità, e come tale ad essa vengono demandate alcune attribuzioni speciali come il dar consigli, e direttive pratiche nelle varie questioni che più specialmente interessavano la vita della chiesa.
Ma bisogna pure osservare che i vescovi delle altre città, spesso si permettevano di fare delle osservazioni, e non sempre rispettose, allo stesso pontefice ; si permettevano di consigliarlo, non solo nell’ interesse delle chiese affidate alle loro cure, in cui anzi non tolleravano inframettenze, ma e specialmente nei riguardi di altri, come appunto Cipriano si occupava presso Stefano per la chiesa di Arles (1), Un altro risalto intorno alla autorità del pontefice di Roma ci è dato dal fatto che il suo clero, il clero romano, presiedeva con lui. Allora il regime della chiesa doveva essere essenzialmente democratico, come lo spirito della chiesa stessa. La elezione dei vescovi, e anche quella del vescovo di Roma, era attribuita alla stessa cristianità del luogo, il governo tenuto di comune consiglio con il clero, stretto come un Senato, intorno al proprio pastore. L’autorità del vescovo, per questo stesso fatto, assurgeva ad un singolare fastigio, non solo nella sua chiesa, ma in tutte le altre, forse perchè la testimonianza della propria cristianità era una specie di raccomandazione presso gli altri. Quindi noi vediamo, come ne fa fede I’ epistolario di Cipriano, non solo i vescovi scrivere, consigliare, indirizzare, altre comunità cristiane ad essi non soggette, ma riceverne risposte, ringraziamenti, anche domande di guida e consiglio per mezzo di legati, per lo più sacerdoti o diaconi, a cui era dato l’incarico di recare le lettere del vescovo ai diversi luoghi, e da questi ai vescovi.
Non vi era allora, e non vi fu ancor per vario tempo un’ autorità centrale che potesse, senza appello, dirimere le questioni ed imporsi agli altri. Cipriano stesso diceva ciò chiarissimamente e proprio al vescovo di Roma, scrivendogli : « Ognuno dei vescovi è libero di dirigere i suoi fedeli coinè egli crede, e non ne deve render conto che a Dio ». Lo stesso ripete nel IH concilio di Cartagine, invitando i vescovi convenuti ad emettere il loro parere. « Ciò facendo — egli disse — noi non vogliamo giudicare alcuno nè scomunicar quelli che la pensano diversamente. Nessuno fra noi si alleggia a vescovo dei vescovi, nè ricorre a tiranniche imposizioni per costringere i suoi colleghi ad a-derire. Ogni vescovo nella pienezza della sua libertà e della sua autorità, ha tutto il diritto di pensar come crede ; egli non può esser giudicato come non ha il potere di giudicare gli altri ». Il parere del vescovo di Roma aveva un’autorità molto relativa, inferiore spesso a quella di altri vescovi e a quella dei concili anche provinciali. Ne abbiamo un esempio in quel tempo nelle chiese di Mèrida e di Asterga e Leon nella Spagna che si rivolsero a Cipriano ed al concilio d’ Africa contro il giudizio di Stefano che riabilitava i vescovi di quelle sedi, Basilide e Marziale, caduti nell’ eresia. Del resto se non bastassero i passi citati, la dottrina di Cipriano, che doveva certo riflettere anche il pare(1) Ep. Ad Stephanum, de Marliano Arelalensi ; ad Cornclium, de Fortunato et Felicissimo — - ed altrove.
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2 78 BILYCHNIS
re di altri molti, nel negare qualsiasi particolare prerogativa a questo o quel vescovo, appare manifesta dalle sue parole : « L’episcopato è uno — egli scrive — e una parte dello stesso è tenuta in solido da ciascun vescovo ». Fu certo questa sua dottrina sull’ autorità nella chiesa la causa che le sue opere, alla fine del V secolo nell’ affermarsi del potere del vescovo di Roma, fossero condannate. Difatti nel concilio di Roma tenuto sotto papa Gelasio nel 494, si stese un catalogo ufficiale dei libri autorevoli per la chiesa (canonici) e di quelli da ripudiarsi (apocryphi). Fra questi ultimi furono computati i libri di Cipriano, insieme a quelli di Tertulliano, Lattanzio, Eusebio di Panfilo, Postu-miano. Gallo, Montano, Priscilla, Massimilla, Fausto manicheo, Commodiano, Clemente Alessandrino, Vittorino, Fausto di Riez e Frumenzio il cieco.
Qual conto dunque avrebbe potuto fare dell’ imposizione autoritaria di Stefano, Cipriano che era di natura tale da non tollerar soprusi? Così egli non discute neppure, se 1' atto del vescovo di Roma, nell’ infirmare le decisioni del concilio africano, rientri nelle attribuzioni di esso, egli ne discute il valore. E qui egli pretende che Stefano abbia errato, qui egli grida che la tradizione che Stefano vuole imporre alla chiesa dell’ Africa, non è la vera. E, contro lo stesso Papa, egli getta le parole di S. Paolo (ìn Thim. VI, 3-4) « Si quis aliter docci (oltre ed in contrario della tradizione evangelica) et non acquiescit sanis verbìs D. N. desìi Christi et doarinac ejus, stupore clalus est nihil sciens ; di-scedendum ab hujusmodi » (1). « Se qualcuno insegna diversamente e non s’ attiene alle sane parole del Signor nostro Gesù Cristo ed alla Sua dottrina, è gonfio d’ orgoglio e non sa nulla : bisogna fuggir da costui ». Secondo Cipriano, da Stefano « Fides et veritas proditur, id quod contra Ecclesiam foris geritur, intus in ipsa Ecclesia vindicatur » (2). Nella stessa lettera a Pompeo, troviamo lanciata contro Stefano l’accusa di ignoranza e di superbia, mentre vi si ricorda che il vescovo deve essere « docibilis et niitis »: « oporlel enim episcopum (intendi Stefano) non tantum doccre sed et discere, quia et ille melius docci qui quotidie crescit, et proficit discendo meliora. Quod ipsum quoque idem, apostolus Paolus docci (3) praemonens ut si ali sedenti melius revelatum est, prior laccai ». E’ « necessario che il vescovo non solo ammaestri, ma apprenda, perchè insegna meglio colui che di giorno in giorno cresce nel sapere ed avanza apprendendo meglio. E lo stesso apostolo Paolo ci dice questo, ammonendo che se ad altri dei convenuti è stata data una migliore rivelazione, il primo si taccia ». Ecco la chiave di tutto il pensiero di Cipriano intorno all’autorità del vescovo di Roma.
Egli può errare, può essere meno illuminato di altri, deve dagli altri imparare. Per lui, Stefano diventa un traditore della Chiesa, benché collocato a regger la Chiesa di Roma. E’ vero che le impressioni citate, furono da Cipriano scritte quasi immediatamente dopo ricevuta la lettera del Papa contro le deliberazioni del concilio di Cartagine, e perciò in un momento di ira, ma se si eccet(1) Ad Pompeiani
(2) Ibid. a Stefano tradisce la verità e la giustizia : ciò che dal di fuori viene perpetrato contro la Chiesa, trova consenso nel seno della Chiesa stessa ».
(3) I. Cor. 14.
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CIPRIANO DI CARTAGINE E IL SUO CONCETTO DI CHIESA 279
tuano le espressioni di offesa personale, rimane pur sempre intero il pensiero del vescovo di Cartagine intorno all’autorità. E anche svanito il primo sdegno, le conclusioni e le ingiunzioni del vescovo di Roma venivano respinte dal terzo concilio di Cartagine.
Veniamo rapidamente ad una breve conclusione, o meglio ad un riassunto di ciò che abbiamo esposto fin’ ora. Da ciò che è stato detto appare chiara l’i-dea della Chiesa quale l’aveva Cipriano. Usiamo anche in questo le parole del vescovo di Cartagine: « Ecclesia, plebs sacerdoti adunala, et pastori* suo grex... ¿luiino copulatus » (i). Insomma i cristiani riuniti intorno al sacerdote e la unione di questo sacerdote con i vescovi, esclusa ogni idea di un potere centrale assoluto, ecco la chiesa per Cipriano. E' un concetto molto ristretto perchè la Chiesa Cristiana, usando la definizione data dal Duchesne della Chiesa primitiva, è « l’insieme degli esseri ai quali è applicata i’ opera della salvezza ». Le altre cose non appartengono direttamente al concetto della Chiesa, sono piuttosto i mezzi che servono al conseguimento del suo fine. Così la Chiesa non è nel vescovo, per modo che chi non presti obbedienza al suo pastore, sia perciò stesso escluso dalla Chiesa. v
Sarà un membro indocile, sarà recalcitrante, potrà magari essere un fuggiasco, non sarà mai fuori, assolutamente parlando dalla Chiesa. Un legame in-xusibde, ma irrompibile, lo tiene unito alla Chiesa una, indivisibile. Chi è figlio della Chiesa non può per questo diventarle uno sconosciuto.
Cipriano ha voluto spingere alle ultime conseguenze il suo restrittivo concetto di unita ; non riconobbe, per esempio, che il Battesimo è uno, non perchè viene conferito dalla Chiesa una, ma perchè viene impartito in nome dello stesso Dio, per modo che i battezzati in nome del Cristo debbano essere computati in un unico corpo, e siano deputati allo stesso culto divino.
Per esso, insomma, la Chiesa è nell’ autorità, più che nella volontà dei fedeli, è un campo chiuso più che una libera unione. Per esso chi aveva la stessa fede, ma non aveva lo stesso battesimo conferitogli dalla Chiesa e chi aveva lo stesso battesimo anche nel senso voluto da lui, ma non avessi avuto piu la stessa fede, o non avesse praticato gli stessi sacramenti ed obbedito strettamente ai pastori erano ambedue fuori della Chiesa, come o non vi fossero entrati mai, o ne fossero usciti, saltando la. siepe dell’« Hortus conclusus ».
In ciò dunque è il torto di Cipriano. Ma dopo secoli e secoli egli sembra 1?TfiCat0’ Po,chè>.ln.fond°- è Precisamente questo che tutela ed insegna °ggl 'a..cl?,esa romana- Cipriano fu un precursore del confessionalismo, ed oggi il cattolicis.no, portando questa dottrina alle estreme conseguenze, prospetta fuC°me fine- <me',tre ,a'men0 eiPriano la considerava come mezzo necessario), e per raggiungerla, ha interdetto ai fedeli di rendersi conto della
(i) Ep. 69, ad Ftoreniiutn Pupianum.
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BILYCHNIS
propria fede ; ha spogliato anche i vescovi della loro autorità, accentrando in uno solo ogni potere dogmatico e disciplinare, dichiarandolo per sovrammerca-to infallibile. ...
Così è vero purtroppo che questo sogno dell’ unità, come già lo diceva il Duchesne, continua ad essere « una prospettiva nefasta e profonda, che non ha finito di mietere vittime ». Mai come oggigiorno ciò si è dimostrato vero : non v’ ha chi non lo vegga. ERNESTO RUTILI
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Arte religiosa domestica.
0 desiderio d’intrattenermi e invogliare altri ad intrattenersi sopra un argomento importante quanto trascurato : le manifestazioni artistiche di carattere religioso, le quali hanno per sede il focolare domestico. Lasciando da parte là musica itti occuperò questa volta soltanto della pittura;
I.
Quali sono i quadri di carattere religioso che adornano
le pareti delle case italiane ?
Noi italiani siamo i primi artisti del mondo, e specialmente eccelliamo nell’ arte religiosa. Ad un Velasquez e ad un Rubens nói possiamo opporre Raffaello, Michelangelo, Giotto, Botticelli, Andrea del Sarto, il Beato Angelico, Tito Signorelli e mille altri ; e tutti i tesori artistici del mondo non valgono i quattro meravigliosi monumenti di Pisa oppure il duomo di Orvieto é la cappella Sistina, o le gallerie degli Uffizi, di Brera e di Venezia.
Eppure — nonostante le innumerevoli maraviglie contenute nei nostri musei e nelle nostre chiese — le nostre case sono prive o del tutto o quasi del tutto di opere veramente artistiche e veramente religiose.
Ripeto : Le pareti domestiche in Italia, per quanto riguarda l’arte religiosa, sono malamente adorne.
I cattolici romani pii hanno di solito qualche figura sacra nella camera da letto ; camera vista soltanto dagli intimi di casa e in cui non ci si reca che per dormire. Il fatto si spiega è vero facilmente pensando che è generalmente nella camera da letto che si dicono le orazioni della mattina e della sera. Ora siccome la religione è di solito concepita come un atto di culto piuttostochè come una ispirazione di tutti gli alti della vita, è naturale ed è logico che le imagini sacre si trovino soltanto nel solo luogo dove, per alcuni momenti al giorno, il pensiero si eleva sino a Dio.
Ma non basta che i quadri religiosi sieno confinati nella stanza più remota. La loro qualità è quasi sempre scadente e il loro valore press’a poco nullo. Presso alcune famiglie facoltose ho visto alle volte — assai raramente — qualche buona riproduzione d’ un capolavoro classico antico ; oppure — più raramente ancora — qualche copia bene eseguita d’un quadro moderno: qualche madonna, ad esempio, del Morelli, del Gignani e di altri : ma, di Sòlito, anche nelle case di persone ricche, le quali non guardano a spese per avere una casa arredata con lusso o almeno con eleganza, l’ arte religiosa domestica è ridotta a quella produzione commerciale dà poche lire che tutti conoscono.
La quale produzione commerciale da poche lire ha una speciale edizione da pochi soldi che fa le spese... artistiche delle case proletarie: la solita Ma-
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ARTE RELIGIOSA DOMESTICA 283
donna di Pompei col rosario, il solilo S. /Antonio, colla sua bestiolina, il solito S. Luigi Gonzaga coi gigli adornano, assieme a un crocifisso di latta, una parete della « stanza buona » mentre la parete di faccia è adorna dalle solite scene tratte dai Promessi Sposi e dall’ Otello ossia Moro di Venezia !
Dalle case dei cattolici romani passiamo alle case degli evangelici non solo d’Italia ma di tutti i paesi.
Qui di nuovo c’è una certa gradazione dalle case dei ricchi alle case dei poveri; ma anche qui troviamo ben poche manifestazioni di arte vera che siano allo stesso tempo manifestazioni di vero spirito religioso.
Presso alcune famiglie spregiudicate e intelligenti, le quali hanno capito che 1’ arte e_ la religione non conoscono confini di chiese, troviamo le medesime belle copie di capolavori classici antichi i cui originali possono trovarsi putacaso in... Vaticano ; oppure troviamo delle fotografie di opere eseguite da pittori evangelici moderni e fra queste in prima linea le ormai celebri parabole del Burnand; oppure ancora delle incisioni profondamente suggestive, riproduzioni di certi quadri modernissimi esposti nei salons di questi ultimi vent’anni, i quali quadri ritraggono la figura del Cristo trasportandola nell’ ambiente moderno, nelle circostanze di vita e fra gli uomini del nostro tempo.
Ma queste di cui parlo sono le eccezioni. La generalità delle case evangeliche, della media borghesia e del celo operaio vive ancora, dirò così, sono la Legge piuttostochè sotto la Grazia. Il domina artistico di molti evangelici è ancora il secondo comandamento, inteso col rigore ebraico e... mussulmano. « Non farli scultura alcuna, nè immagine alcuna!... » Quindi come si sono avuti sin’ ora i templi colle pareti nude, ornate soltanto di passi biblici scritti a stampatello nero sul bianco dei muri, cosi si sono avute sin’ora le case nude, ornate soltanto dei medesimi passi biblici scritti più o meno fantasticamente su variopinte carte e multicolori cartoncini.
Anzi, fino a pochi anni or sono, non c’erano nemmeno colori o arabeschi; ma soltanto due tipi di testi murali :
Tipo A : un grande infoglio composto di una dozzina di pagine, da voltarsi una ai mese, con sulla prima i dieci comandamenti, sulla seconda il sommario della legge, sulla terza il credo, sulla quarta il padrenostro, sulla quinta le beatitudini, sulle altre le principali parabole.
Tipo B: una striscia di carta rettangolare con sopra un passo biblico in nero inquadrato da un filettino rosso.
Poi... Io spirito mondano ha sedotto i più austeri puritani ed hanno incominciato ad apparire alcuni testi murali un poco più curati. Sono su cartone chiaro marmorizzato, oppure, più spesso, ornati vagamente di un piccolo paesaggio... olandese o inglese (neve, campanili aguzzi ecc.), oppure ancora fregiati di un bel mazzo di fiori (rose specialmente e anche mammole) e portano una parola della Scrittura stampata in oro o argento.
Poi... allo spirito mondano che, a dispetto del secondo comandamento, faceva riprodurre dei fiori, s’è aggiunto lo spirito utilitarista. Perchè — si dev’esser chiesto qualcuno — perchè questi bei cartoni, colle loro rose e coi loro passi argentati, oltre ad elevare la mente e il cuore, non potrebbero servire a qualcosa di piu pratico ? Ed ecco la manifestazione artistica-religiosa-domestica
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BI LYCHNIS
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trasformata in... calendario. Sicuro, in calendario ! Io ne ho nel mio studio uno davvero splendido ! Ci sono in alto due grosse rose rosse spampanate con intorno una leggiadra ghirlanda di margherite ; nel basso un blocco nero dal quale purtroppo devo staccare un fogliettino ogni giorno ; e finalmente tra le rose spampanate e il blocco nero un passo biblico che dice ; « Il Signore guarderà la tua uscita e la tua entrata ». Questo passo io lo capisco perchè conosco il libro dei Salmi ; ma l’altro giorno un mio amico un po’ scettico e che non conosce il libro dei Salmi non deve aver capito il passo perchè mi disse scherzando : « Intendo che si desideri veder protette le proprie entrate ; ma, in quanto alle uscite, la protezione non serve più a grancosa ».
II.
Dopo tanta critica, il lettore non mi farebbe di certo grazia se io non proponessi un qualche rimedio al presente stato di cose: ed io dèi rimedi ne a-vrei molti da'suggerire e delle proposte ne avrei molte da fare. Potrei dire : Bisognerebbe fare quello che è stato fatto l’inverno scorso nella Svizzera francese : organizzare cioè una piccola esposizione itinerante di Arte sacra. In questo modo si farebbe conoscere al pubblico le incisioni, le fotografie, le riproduzioni di quadri antichi e moderni ispirati ad un alto senso religioso, e ¿’invoglierebbe di conseguenza i visitatori a procurarsi, per adornarne le pareti domestiche, le più belle opere del genio cristiano.
Intanto che si organizzi questa esposizione, io vorrei incominciarla oggi stesso sulle pagine di Bilychnis e rimandando ad altra occasione due articoli che spero scrivere sull’ opera magnifica dei due grandi pittori evangelici Pàolo Robert e Eugenio Burnand —- vorrei oggi parlare del tentativo più pratico di vera arte religiosa domestica che sia stato sinora compiuto. E’ una casa tedesca — la « Kunstdruckerei Kunstlerbund » di Karlsruhe — la quale ha sinora messo in commercio a prezzi ragionévoli un maggior numero di quadri murali religiosi domestici.
Le Haussegen pubblicate da quella casa sono belle incisioni in nero e ancor pili belle litografie a colori, di esecuzione finissima; incisioni e litografie originali, il cui disegno cioè è stato preparato appositamente per farne un quadro domestico da artisti di prim’ordine. Fra questi artisti, per la maggior parte tedeschi, primeggiano Hans Schroedter e W. Steinhausen: due anime cristiane commosse e che commuovono. Non si tratta dunque di testi scritturali più o meno infiorati, oppure di riproduzioni di scene tratte dalla Bibbia, o dalla storia della Chiesa; ma trattasi di scene e di personaggi simbolici i quali rappresentano ed esprimono dei sentimenti cristiani, sentimenti cristiani formulati, quando occorra in qualche sentenza o in qualche strofa d’inno sacro popolare.
Fra i quadri religiosi la K. K. (abbreviamo in questo modo il barbarico nome) ci presenta anzitutto due disegni che devono servir di ricordo per due atti che con ragione i tedeschi considerano atti religiosi (non dico atti di culto): il fidanzamento e le nozze.
D’ispirazione eminentemente teutonica, ma pure dolce e grazioso è il ri-
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ARTE RELIGIOSA DOMESTICA
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cordo di fidanzamento (fig. i). I due giovani, voltando le spalle agl’importuni ehe vorrebbero guardarli in viso per sapere ehi sono, si tengono stretti e guardano lontano un orrizzonte che l’artista ha lasciato a bella posta indefinito, perchè ciascuno possa popolarlo coi suoi sogni. Bene intonata è la Cornice dei due poderosi tronchi di abete e di quercia, e poetici sono i particolari del quadro : gli gnomi e le silfidi, i due scoiattoli e la leprina, gli angiolini nudi e il mito del drago, mentre, sulla pietra nel basso, c’è abbastanza posto per scrivere i due nomi e la data memoranda...
Certo un artista cristiano il quale, ispirandosi alla poesia italiana del fidanzamento, volesse mettersi all’ opera potrebbe darci un capolavoro.
Come pendant al quadro del fidanzamento ecco il quadro delle nozze (fig. 2) d’ esecuzione più sobria, e oltre ogni dire distinta, salvo forse il troppo geometrico arcobalèno.
Se ne va la barca infiorata di gigli sopra un placido lago, guidata dal cigno, e scortata da un’orchestrina di amori. La cornice di rose e di spine, e la sponda parte verdeggiante parte rocciosa, verso la quale è avviata la barca, e il cielo qua nuvoloso e là sereno dicono ehe la vita in due sarà un tessuto di dolori e di gioie, ma che però sarà una vita bella, perchè lui appoggia la forte mano sulla spalla di leit perchè lei si abbandona con fiducia sul petto di lui...
Venendo ora ai quadri religiosi domestici più propriamente detti, io sono davvero lieto di poterne presentare alcuni ai lettori.
Eccone uno che ben potrebbe intitolarsi V attesa (figura 3).
Una giovane prega, e lontano nel mondo una folla, irradiata di luce celeste, tende le mani in alto. Che cosa aspetta tutta quella umanità? Aspetta
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286 BILYCHNIS __Cristo, desidera Cristo ; ma questo desiderio non è 1' aspirazione morbosa del misticismo ascetico medioevale e nemmeno è il sospiro verso 1’ al di là causato dal disprezzo della vita presente. Questo desiderio è qualcosa d’ infinitamente più grande: è il desiderio di ricevere Cristo per vivere, in questo mondo, la vita cristiana completa, per essere fedeli su questa terra alla vocazione di figliuoli di Dio. E il quadro è molto bene sottolineato dalla celebre quartina del poeta Paolo Gerhardt (1607-1678) « Come potrò io riceverli e incontrarti, o Gesù, ideale di tutto il mondo e gioia
dell’ anima mia ? O Gesù, poni tu stesso la fiaccola a me vicino, perchè io possa conoscere e fare tutto ciò che ti piace ».
E quest’altro quadro (fig. 4) io lo intitolo Pace.
Pare un nulla, un semplice bosco molto folto; ma il quadro stesso, riprodotto poi in grande e coi colori, è di una straordinaria efficacia spirituale. Contemplando, penetra a poco a poco nell' anima la calma perfetta di quel cantuccio solitario e verdeggiante, illuminato dagli ultimi raggi del sole e ci si sorprende a ripetere sottovoce : Nun ruhen alle Wälder. Vieh, Menschen, Stadi und Felder. « Ora tutto riposa, foreste, animali, uomini, città e campi ». Sì, ora tutto riposa : riposa un poco anche tu. povera e travagliata anima mia.
Con quale efficacia viene espressa dalla stretta di mano della fig. 5, la gratitudine del credente per il soccorso divino, per 1' assistenza dello Spirito ! E questa medesima gratitudine viene tradotta nobilmente dai versi del pio poeta Christian Gregor (1723- 1801 ) Du reichst uns deine durchgrab'ne Hand : « Tu ci hai condotti colla tua potente mano, ci hai guardati con tanta fedeltà, che noi siamo confusi da tanti ricordi ; ma pure gli occhi nostri si volgono a Te per lodarti e ringraziarti ».
Un esempio di parabola illustrata ci è dato dalla fig. 6. E’ la sublime, l’immortale parabola del ftgliuol prodigo : la parabola in cui è il più fedele e più
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lük foü id? Nd? empfangen, unb u>k begegn' ich dir, o ¿Her IPolt Verlangen, o meiner Seele gier?
0 3cfu, >fu, k&e mir fclbft bk W, bamit, ax» bid? ergebe, mir funb unb ariftenb fit
completo riassunto dell’ Evangelo ; la parabola che ci fa conoscere chi noi siamo e chi è Dio.
E il quadro è commentato dai versi dei vecchio poeta Giovanni Schnesing (Chiomusus) nato nel 1567: Allein zu dir, Herr Jesu-Christ, mein Hoffnung sieht auf Erdcn\ «In té solo, o Gesù Cristo, è la mia speranza stilla terra ; io so che tu solo e niun altro mi può consolare. Niente e nessuno mi può aiutare nel bisogno, perciò a Te io grido, poiché ho riposto tutta la mia fiducia in Te ».
E quale ispirazione cristiana scaturisce da quest’ altro quadro ;* che io intitolo « Coraggio! » e il cui pensiero intimo è interpretato da una strofa del Gerhardt (fig. 7): ... .
« Abbandona la vita — le ansie, le Speranze — alla grazia infinita —- del Sovrano dei cieli — e, Lui che fa la strada — ai monti come ai venti — guiderà certamente — i passi dei suoi figli ».
Di fronte a un paesaggio ove — sopra un lago — corrono nubi minacciose, è seduto un giovane con a fianco il bastone. Stanco egli appoggia il capo sulla mano. Ma un angelo gli tocca lievemente la spalla per ricordargli il bel cantico che ho pur ora malamente tradotto : Bejiehl du deine Wege, und was dein Herze krtoikl der allertreusten PJlege des der den Himmel lenkl.............
Notevole per sobrietà di linee è una crocifissione di Steinhausen : tre croci vigorosamente disegnate spiccano sul cielo sanguigno che avvolge le colline lontane.......(fig. 8) « O Agnel di Dio, inchiodato sul legno della croce : tu
hai portati tutti i nostri peccati. Abbi pietà di noi! »
E caratteristica, sebbene il soggetto sia eminentemente nordico, la barca della vita (fig. 9). Anche se la tempesta ti còlga, guiderai sicuro la barca della vita, stando fermo ai timone con a te vicino la fede, la speranza e l’amore. »
Ed ecco ancora una composizione di Steinhausen : Fiduciosa certezza (fig. io). Un uomo dal viso stanco per quanto enèrgico, le mani giunte, 10 sguardo tranquillo fisso all’ orizzonte ; dietro a lui un angelo, bianco sopra uno sfondo purpureo, il quale indica all’ uomo, laggiù, lontano, il misterioso al di là.... Ich kob' von ferne, Herr, Deinen Thron erblickl’. « Oh Dio ! Io ho contemplato da lungi il tuo trono, ed avrei volentieri mandato innanzi il mio cuore. Oh
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Creatore degli spiriti, io avrei volentieri fatto riposare in Te la mia stanca vita ».
Finalmente 1’ ultimo quadretto è una natività. Semplice, graziosa, profondamente umana, sostanzialmente evangelica, eminentemente moderna: questa composizione di Hans Schroedter appartiene ad un’ altra serie di quadri, destinati a essere regalati ai giovani in particolari solennità religiose. Lo possiamo mettere accanto alla notissima opera del Burnand : Cristo che riceve i catecumeni, la quale serve di attestato di confermazione in moltissime chiese evangeliche.
ITI.
A me sembra di aver compiuto un dovere facendo conoscere al pubblico italiano i nobili sforzi della casa tedesca di Karlsruhe. Certo alcune produzioni non si adattano tanto bene al genio di nostra stirpe, e 1’ edizione degli Haus-segcn con parole tedesche non è utilizzabile perchè, oltre alla lingua poco nota, sa troppo d’importazione straniera. Ma la K. K. ha una doppia serie di tutte le sue produzioni, una con parole tedesche e una senza parole ; e quest’ ultima viene anche fornita con una cornice di legno bell’ e pronta (Vedi fig. 8, 9 c io) ; dimodoché — aspettando dei quadri religiosi domestici d’ispirazione prettamente italiana e con parole cristiane in italiano — noi, volendolo, abbiamo sin d’ ora i mezzi per migliorare alquanto la decorazione religiosa murale delle nostre case.
Cosa importa se per ora dobbiamo rivolgerci alla Germania? Le incisioni in nero e a colori di cui ho parlato sono di ottima esecuzione e costano poco (da L. 2 a L. 5 1’ una) ; esse allietano gli occhi, fortificano la fede, fanno del bene al cuore. Serviamoci dunque dei mezzi che già sono a portata di mano per sviluppare il nostro sentimento religioso : circondiamoci di opere artistiche le quali elevino i nostri pensieri nell' atmosfera, serena dello Spirito ! L’ arte religiosa consiste appunto in questo, non a piacere, non a turbare, non a commuovere; ma a penetrare nel nostro fondo intimo, e a far scaturire da questo fondo intimo aspirazioni a maggiore purezza, a più completa santità di vita. L’arte religiosa è quella che conquista 1’anima, è quella che ci fa curvare la fronte e piegare le ginocchia davanti a Colui che è la fonte della Verità e della Vita non solo, che è la sorgente della Bontà e della Forza non solo, ma che nella più intima sua essenza adorabile e adorata è anche la .suprema Bellezza.
Firenze.
GIOVANNI E. MEILLE.
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Nuovi profili di anime convertite.
La Civiltà Cattolica del 6 Aprile /<?/-’ dedica a Bilychnis nove pagine di commenti (Pag. SS - 96). Non intendiamo polemizzare coi nostri critici riguardo a quello di' essi han da dire sul nome della nostra rivista, sulla scuola che ne cura la pubblicazione, sul redattore - capo, sui modernisti die vi colla-borano, ecc., ecc. Se attendono una risposta da noi, la troveranno nel nostro lavoro e nel nostro metodo. Abbiamo dello chi siamo, che cosa intendiamo fare ed abbiamo mostralo anche che non abbiamo pretese: e ora andiamo avanti. Certo non siamo ossessionati dall’ i-dea di conquistare ad ogni costo P approvazione della Civiltà Cattolica ! Per parte nostra non abbiamo da dire altro. Il Ballaini per parte sua risponde nella sua Cultura Moderna (fascicolo di Maggio - Giugno) e l* A-volio anch’ egli criticato, sino ad ora (Cedi Battaglie d’ Oggi, fase. Ili) non replica. Il nostro collaboratore P. Chiminefli contro il cui studio « Profili di anime convertite » (pubblicalo nel I fase, di Bilychnis) Panonimo della Civiltà appunta le sue critiche, ci chiede ospitalità per alcune pagine in cui sostiene la tesi sua con altre documentazioni. A lui la parola.
RED.
Solo, per mio conto, in risposta ai suoi appunti sul mio articolo: « Profili di anime convertite » dirò parermi ozioso confutare vecchie affermazioni perroniane, che definiscono toni court come « rifiuti del cattolicismo » tutti quei cattolici che passano all’ evangelismo. È metodo pericoloso ed immorale quello d’inveire contro il nuovo avversario d’oggi, quando semplicemente ieri lo si portava in palma di mano, esaltandolo come un modello di perfezione.
Anche dato e non concesso che i con -vertiti al Vangelo sieno davvero i « rifiuti del cattolicismo », io mi domando quale colpa ne abbiamo noi di questo fatto? Non sono questi « rifiuti » 1’ espressione genuina di falsi sistemi educativi che li ha formati tali ? Per noi è invece consolante il fatto, quasi sempre constatato, che questi « malati » sotto I’ azione più diretta del Vangelo, ricevono una forte scossa morale per la quale ritrovano la parte migliore di sé stessi. Anche i Farisei rivolgevano rimprovero al Maestro d’insistere troppo sulla conversione dei « rifiuti morali » del suo ambiente, e tutti sanno quanto poca importanza Egli abbia annessa a critiche di tale portata.
En passoni, a proposito dell' altra affermazione tutta gratuita con la quale la « Civiltà cattolica » si sforza di provare che i neo - convertiti al romanesimo, ebbero il senso vivo del peccato, e che gustano « gioia e pace » senza « conoscere il senso luterano o calvinistico del peccato, giacché quegli eresiarchi attribuivano a Dio il peccato, negando il libero arbitrio dell’ uomo », pare eh’ essa non abbia affatto capito la vera portata del sistema teologico di quei due riformatori, e che s* indugi un po’ troppo
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nell’ ingenua persuasione che la teologia protestante non abbia dato un passo da Lutero e da Calvino in poi. Del resto, che costoro abbiano trovata « gioia e pace » io lo credo bene, poiché tutta la vitale consistenza del cattolicismo sta appunto nel tranquillare le coscienze, sopprimendo in loro ogni individuale responsabilità, il che è molto comodo per gli spiriti minorenni che fanno dell’ obbedienza la via regia della salvezza. A comprova di ciò, torna proprio opportuna la traduzione parigina di quel libro dove Miss Baker narra la sua conversione al cattolicismo (i).
Il critico italiano di questo libro, l’on. Murri, (2) vi nota appunto questo, che miss Baker « da buona inglese e da donna pratica, cercava una religione che offrisse le maggiori garanzie di solvibilità. Vivere di rendita e vivere sempre, e sempre di rendita, tranquillissimamente, ecco l’ideale religioso di lei. Ed in questo è e ci apparisce donna : nè il suo cervello è fatto per troppo studio. Le è necessaria, assolutamente necessaria, lina religione di autorità, la più ricca di documenti, di durata, di gloria, la più atta a cullare le anime nelle dolcezze d’un riposo confidente di fanciulli sorretti da braccia materne. Miss Baker à trovato che il cattolicismo è proprio quello che si doveva attendere da un Dio provvido e pratico; che le sue pretese all’ unità, santità, cattolicità ed apostolicità, l’infallibilità del suo papa, sono proprio le doti d’una religione capace di dare la sicurezza che deve avere : e si è fatta cattolica. Questo bisogno di sicurezza è potente e a Dio gli uomini han chiesto assai spesso di liberarli dall’affanno del divino ». Per anime come Miss Baker, il cattolicismo offre gioia e pace, ma che vuole la « Civiltà Cattolica » se gli spiriti maggiorenni vogliono risentire il fremito della lotta intcriore, il peso di una responsabilità diretta, e se continuano a credere col vecchio evan-gelo che i « violenti » e non i « passivi » sono quelli che « sforzano il regno dei cieli ? » (Matteo XI -12).
Nel mio primo articolo io passavo in rassegna ed analizzavo i profili di alcuni converf'ti al romanesimo. Non dispiacerà allo studioso lettore che io completi il quadro di queste conversioni, lumeggiandolo con airi dati. Sono frammenti rivelatori di stati particolari dello spirito e come tali sono un valido contributo alla psicologia religiosa.
(1) Miss Avstick BaIcer — « Vera la maison do lumiere » — Paris. Lccoffrc, jqjj.
(3) R. Murri — « Riforma laica » Febbraio 19:2. —
Se delle conversioni dal protestantesimo al cattolicismo avemmo molto da ridire, molto di più dovremmo dire di quelle dal paganesimo al cattolicismo. In esse il cattolicismo dette sempre mostra di dispregio per la legge di « selezione spirituale » tanto inculcata nel Vangelo (I Giov. 4-1).
Nei tempi postcostantiniani esso si paganizzò quasi con le troppe concessioni a questo riguardo: nel medioevo arrivò persino al)'enormità di sottomettere le coscienze a viva forza, e dischiuse 1’ epoca moderna delle sue missioni partendo da un criterio tutto meccanico nell’opera della conversione. Che valore morale e religioso potevano a-vere le conversioni operate da Francesco Xavier il quale « contava furiosamente i convertiti nelle sue statistiche sino a toccare i limiti dell’ assurdo e gioiva p. es. d’ aver battezzati in un mese a Trevancore più di to.coo barbari, lui solo, senza la cognizione dei dialetti di quelle tribù nomadi? ».(1).
Nè diverso è il criterio cui s’ispirano gli odierni missionari cattolici. Non è se non qualche mese che un missionario cattolico scriveva precisamente nell’ Osservatore romano queste testuali parole: « Non sarebbe esatto l'asserire che in tutti i casi il motivo vero, santo, soprannaturale sia quello che esclusivamente spinga questi selvaggi a farsi cristiani: ciò non deve meravigliare affatto, dovremmo invece stupirci se succedesse il contrario » (2).
Dissentendo pienamente da consimili concessioni pericolose, io noterò semplice-mente un fatto che rivela tutte le funeste ma inesorabili conseguenze d’un simile modo di procedere. In quei moti xenofobi che anni orsono agitarono la Cina, nel più dei casi furono precisamente i cattolici indigeni quelli che nell’ ardore della loro apostasia, tradirono il rifugio dei loro padri spirituali, esponendoli cosi alla morte.
Comprendo bene che non si è molto disposti ad annettere grande importanza psicologica a simili conversioni di gente d' una civiltà inferiore alia nostra, ed appunto per questo voglio suggellare il mio studio, con l’analisi di due delle più sensibili e raffinate animedi convertiti dell’ultima ora dall’ incredulità al romanesimo, loro confessione di nascita : sono i due letterati francesi Paul Verlaine e Huysmans.
Non è molto che, a proposito del Verlaine, una rivista francese si domandava se « questo poeta incoerente e disordinato,
(1) A. Pierson. — « Le» nouveaux actes de» a-potres ».
(2) •< Osservatore romano » Gennaio 1912.
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NOTE E COMMENTI
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quest’ erotico che prende un piacere quasi infernale ad esporre in pubblico i suoi vizi consueti e i suoi peccati ; questo alcoo-lizzato che aveva un debole per V absinf/ie ; questo prodigo che confessava ad un filosofo olandese venuto per ¡studiare i letterati parigini, d’aver commesso uno per uno tutti i peccati capitali in pensieri ed in o-pere, costui si chiamerà il più grande poeta cattolico », e, io sostituisco, il più grande convertito cattolico.
Immaginarsi che mentre tutta la Francia ultramontana vibrava ancora della sua conversione, del suo abbandono completo nelle mani divine, egli, il Verlaine, ricadeva nell’ alcoolismo, veniva incarcerato a Vouziers per minacce contro sua madre, un vero angelo di bontà, e giungeva al punto di anomalia morale da pubblicare contemporaneamente le due opere più dissimili « Sapesse » eh’ è una raccolta di versi tanto casti da parer scritti da una verginella, e quel « Paralléletnenl » che, dietro sua stessa confessione, è un’ opera brutale e pericolosa. »
Questa del Verlaine è la parodia della conversione cristiana e a lui, come a uomo morale, si it quasi tentato di applicare ciò che A. France gli applicava come a poeta. « Il est incoscient, se le crois bien. Et si je doulais qu' il le fut, je dechire-rais le pages que je viens d’ écrire. Certes il est fou. » (1)
L’ altra conversione che menò gran rumore in Francia fu quella del celeberrimo romanziere Huysmans, maturatasi nel 1892. durante jl ritiro del poeta nella piccola troppa di Notrc Dame d’Igny. Il suo romanzo « ¿m rotile » n’ è, si può dire, la storia. Egli, nei suoi romanzi si è tratteggiato nel protagonista Durtal, sicché Huysmans è Durtal e viceversa.
Che importanza devesi dare a questa conversione rumorosa ?
René Doumic, il critico acuto della « Revue des deux mondes » nota che « la nostalgia del cristianesimo rispecchiata in « En rotile » è il rimpianto d’ una possibilità di godimento perduto, lo sforzo d’ una generazione stanca per riacquistare la fede che renderebbe di nuovo gustoso il peccato. »
Un altro pubblicista, il canonico A. Ferrantina (2) scrive pure esso che « per 1’ autore d’ un articolo sulla conversione di
(!) A. Frange — «> Le vie littéraire ».
(2) « l grandi convcrtiti » — Tijx>grafia Pancini
Durtal, v’ è di che spaventarsi. La sua conversione — prosegue — ci mostra il fascino che il cattolicismo esercita su d’ un uomo moderno esclusivamente artista. Leggendo i suoi romanzi sorge nella nostra mente il dubbio sulla vera conversione. Convertirsi vuol dire cambiar vita. Durtal divenendo cattolico non ha cambiato nulla :è l’identico peccatore d’una volta, il suo linguaggio ha sempre lo stesso tono, Je sue meditazioni sono interrotte dall’ accensione d’ innumerevoli sigarette, egli si preoccupa del suo nutrimento e ci fa partecipi delle sue noie culinarie sin dal suo arrivo nel convento dove s’ è ritirato. »
E l’identico giudizio ripetono di lui quanti lo hanno studiato a fondo, come il Remy de Gourmont (1) Leon Bloy (2) e sopra tutti lules Sagerel che lo studiò con intelletto d’ amore.
Huysmans, convertito, s’ era ritirato in un tranquillo convento, ma appena che la nuova legge sulle Associazioni in Francia venne a turbare la sua felicità terrena, non seppe più reggere allo sdegno e arrivò al segno di trascendere a queste invettive blasfeme contro il cielo : « Comincio a diffidare un poco anche di voi, o Dio. Pareva che mi doveste dirigere in un rifugio sicuro : v* arrivo dopo molte fatiche, mi siedo e... la sedia si rompe ! Forse le negligenze del lavoro terrestre si ripercuotono nei laboratori dell’al di là? Forse gli ebanisti celesti fabbricano anch’ essi delle sedie a buon mercato che si rompono appena vi si appoggia ? » (3)
Io credo ce ne sia a sufficienza per convincersi che nemmeno la nuova disposizione di spirito dell’ Huysmans meriti il nome di « conversione » nel senso teologico della parola non trovandosene qui alcun elemento che la giustifichi : non la rigenerazione divina ; non la conversione morale ; non la vita unitiva con Cristo.
Nè mi si dia del pedante se insisto sull' importanza della conversione sincera. Le chiese moltitudiniste, come la cattolica, basandosi sull’ opus operatomi e non sull' atto personale della decisione, non ne afferreranno mai l’importanza assoluta, ma ben se ne renderanno persuasi coloro che a modello di anime convertite prenderanno Saulo di Tarso e I’ Agostino delle « Confessioni ».
(1) « Promenades littéraires » — « Mercure de Fran-> — 1912.
(2) « Le dernières colonnes de I eglise » — Idem
(3) Hvysmans — « Oblat » — pag. 446,
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BILYCHNIS
I! diventare cristiani non è opera « di sangue » come crede chi pr etende lo si diventi per diritti di nascita c di ereditarietà. « Christianus fit. non nascitar » affermava 1’ antichità cristiana. Non è nemmeno opera di « volontà di carne » come chi pretendesse diventarlo dietro rammollimenti d’estetica ipersensibilità, come s’illuse ultimamente il luterano loergensen convertitosi al sanfrancescanismo piuttosto che al catolicismo ; quell’ loergensen il quale stanco di materialismo, dietro l’influenza del-I’ ebreo Brandes « intraprende un viaggio artistico in Germania ed in Italia. Certe chiese quivi, certi conventi, parecchie città — Assisi p. es. — dove brilla tuttora il ricordo di grandi santi, 1’ hanno convertito.. .... si fa cattolico ed il suo primo libro lo intitola « Pellegrinaggi francescani, » (t) ed il secóndo « Vita di S. Francesco. »
Il lavoro' intimo della conversione non dipende nemmeno da « volontà d’ uomo » come lo supponeva quell’ illuso missionario gesuita summentovato, Francesco Xavier, il quale, dal suo campo di lavoro scri-vea ai superiori in Europa : « Feci chrislia-nos » (Ho fatto tanti e tanti cristiani).
Per la vera conversione si richiede « essere nati da Dio, » « essere fatti figliuoli di Dio » (Giov. I, 12 — 13). Per questa logica divina del Vangelo, io sento di dovere gridare, specialmente a Roma : « Più interiorità e meno esteriorismo. poiché la religione è un fatto esclusivo dello spirito, e la conversione religiosa ne è la sublimazione ».
P. CHIMINELLI.
(1) A. Rbtih — « Psycologie de la conversion » — Paris.
Il giorno della Pentecoste greca il giornale di Creta IAHS ha pubblicato questi pensieri del Presidente del Sii lago Filellenico Italiano.
Creta madre
L‘ Arabo, il Parto, il Siro
In suo senno» l'udì.
Nel racconto della discesa dello Spirito Santo e del conseguente ispira
to parlare degli Apostoli a gente d’o-gni paese convenuti a Gerusalemme e a ciascuno nel proprio dialetto, insieme cogli Ebrei sparsi pel mondo che avevano perduta la lingua nazionale e assunta quella dei paesi abitati, coi Romani gli Elamiti e gli Arabi, i Greci non sono indicati altrimenti che Cretesi (Atti II. 11).
Dunque fu nel dialetto di Creta che risuonò la prima volta al popolò greco la parola redentrice, poiché il discorso della Pentecoste precede di diciotto anni secondo la tradizione, certo di parecchi, quello poco meno famoso e sublime di San Paolo nell’ Areopago. Dunque fu il greco di Creta il primo veicolo della parola di Dio in qu¿l mondo pagano che pure serbava il culto e la nostalgia del Dio ignoto e che stanco del vile ossequio non attendeva che di essere svegliato per divenire la parte più eletta del popolo di Dio. E questo non è casuale. Come venne da Creta ad Atene l’antichissima civiltà minossea venerata da Platone, così per Creta cominciò a diffondersi la Parola, la Buona Novella che ricrea e rianima. E nei tempi moderni le isole ultime a cadere, conservarono meno infelici che la terra ferma tradizione a-bito carattere e gentilezza greca per virtù e sapienza italiana. E nei recenti dalla costituzione del regno di Grecia in poi con re stranieri di sangue, di lingua e di anima, non da Atene, ma da Creta, o se da Atene, per impulso di Creta venne ogni movimento o-gni impeto ogni sforzo di rivendicazione nazionale, ogni richiamo a compiere quell’ indipendenza che incompiuta grida vendetta al Cielo e onta alla complice Europa. E ora finalmente che il valore italiano ha chiamato a libertà Rodi e dodici altre isole dell’egeo, Candía è additata centro del-1’ Ellenismo. Buttate a mare l’odiosa insegna del servaggio, fratelli Cretesi,
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NOTE E COMMENTI
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primizie e fiore d’Eliade, non temete, rompete l’ultimo anello della catena : le corazzate italiane son costì per darvi non più un posto come voi domandaste invano, ma il primo come la vostra costanza ha meritato.
MICHELANGELO BILLIA
“ II Signore degli Eserciti ”
(Nella ¡Sacra Scrittura)
Non per ispirilo di opposizione, ma per amor del vero, chieggo il permesso di presentare ai lettori delia Rivista alcune osservazioni relative ali’ argomento trattato dal Sig. M. Falchi nel N. 1 di Bifychnis [pag. 91] sotto il titolo : « Il Signore degli eserciti ».
Comprendo fino ad un certo punto la dolorosa impressione provata dal Sig. Falchi nell’ osservare i pensieri e gli atteggiamenti dei cristiani e le idee del popolo circa la qualifica di « Signor degli Eserciti », e nel vedere il sentimento evangelico soffocato in molti dal sentimento nazionale. — Ma credo che le sue impressioni abbiano nociuto al suo esame della questione in se, coll’impedirgli di comprendere cosi il concetto biblico del « Signor degli eserciti », come le sue relazioni colla storia d’ Israele e colla fede cristiana.
Il pensiero del Sig. Falchi si riassume in queste tre sentenze : — 1. «Il concetto del « Signor degli eserciti » è rudimentale e grossolano. Iddio lo ha cubilo, ma non voluto. Egli aveva cercato di essere compreso dallo spirito rozzo d’Israele, ma questi lo abbassò ai suo livello ». — 2. « L’Iddio degli eserciti di questo mondo non è l’ iddio dell’Orazione dominicale; è quello di Giacomo e di Giovanni dèi quale Gesù disse loro : « Voi non sapete di quale spirito siete animati ». — 3. « La qualifica di « Signor degli eserciti » è inapplicabile al Dio d’ amore che è padre di tutti gli uomini ».
Circa quest’ ultimo punto, chi non sa che vi sono due paternità di Dio, quindi due figliuolanze degli uomini verso di Lui! Dio è padre di tutti gli uomini nel senso creativo, cioè come il loro Creatore, ma è Padre dei soli credenti nel senso religioso, cioè come il loro Salvatore in Cristo, e questi sono soli i suoi veri figliuoli [Gio. I, 12. 13. Rom. Vili, 14-17. Gal. IV, 4-7. 1, Gio. HI, 1.]. — Relativamente al secondo punto, si osservi che il Dio di Giacomo e di Giovanni ñon era « il Signor degli eserciti.» nel senso ripudiato dal Falchi, ma era il dio dell’ intolleranza religiosa già praticata dai Giudei e rinnovata poi dalla Cristianità decaduta. —- Infine, il primo asserto del Falchi mostra ch’egli concepì l’espressione « il Signor degli Eserciti » in un solo senso, cioè in quello materiale degli eserciti d’ Israele, mentre essa riveste parecchi significati ed ha varie applicazioni, alcuni dei quali bellissimi e di lunga portata. Di questo punto debbo occuparmi.
Il nome di lahveh - Elohè Zcbaòth, seb- . bene non s’incontri nel Pentateuco, nel li-bro dei Giudici e negli scritti di Salomone, è frequente nei libri di Samuele, nei Salmi e sopralutto nei Profeti Isaia, Geremia, Zaccaria e Malachia, e ricorre circa 600 volte nell' A. Testamento. Esso è pur ricordato due volte nel N. T. Ma vi sono inoltre due altre locuzioni sorelle di quella ; una delle quali è pur frequente e l’altra piuttosto rara. — La prima è L’ ESERCITO DEI CIELI \Zebah - a - Asamafni) ; essa ha tre applicazioni e perciò riveste tre sensi : 1. GLI ANGuLI considerati come servitori e messaggeri dell’ Eterno [I Re 22-19. Salm. 103 - 2t. 143-2. Dan. 7 - io] (i). — 2. GLI ASTRI, specialmente quando si tratta del loro culto [Deut. 4 -19. 17-3- II Re 17-16. 21-3. 5. Isa. 34-4- Ger. 8-2. 33-22. Sof. 1-5 (2). — 3. I SANTI D’ISRAELE e principalmente i Sacerdoti quali depositari del culto [Dan. 8-10, 12, 13]. — La seconda locuzione è: «IL CAPO DELL’ESERCITO DELL’ ETERNO (Sar-Ze-bah - lahveh}. È assunta dal personaggio che apparisce a Giosuè [5 -14, 15] e indica e-videntemente 1’ Angelo della l'accia. — In Dan. 8- ii. essa pare accennare al sommo sacerdote ebraico, qual lipo del Messia. — Ora codeste varie espressioni manifestano
(>) L'espressione « 1' Esercito dei Cieli -> ai applica non solo agli Angeli buoni ma pure ai malvagi, come pare risultare dallo strano passo d'Isaia 24-ai.
(a) Circa gli astri, credo che l'espressione indichi Ecialmente : pianeti i quali eran di fatti gli oggetti culto pagano, détto SaMme.
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o direttamente o indirettamente la potenza e la provvidenza di Dio vuoi come creatore e conservatore del Creato, e vuoi come conduttore d’Israele, ponendo l’Iddio di questo popolo al di sopra di tutti i dèi delle nazioni.
Ma esaminiamo da vicino la qualifica «Iella quale si occupò il Sig. Falchi.
Il Sig. Reuss ha fatto in proposito uno studio speciale e ne ha indicate le difficoltà si generali che particolari (i). — Ad evitare le esagerazioni e gli errori conviene anzitutto tener conto della natura del linguaggio biblico della sua indole poetica insieme e positiva, massime dei numerosi antropomorfismi che vi si incontrano, e specialmente di quelli che toccano al carattere di Dio e gli attribuiscono sentimenti simili ai nostri : ira, gelosia, vendetta, pentimento, etc. Per gli scrittori ebrei l’ira di Dio, la sua gelosia, la sua vendetta, non sono se non manifestazioni della sua Santità, ed il suo pentimento non è che un altro nome per il suo perdono. D’altronde il N. Testamento adopra le stesse figure, mentre la grazia, la misericordia, la fedeltà di Dio sono esse pure locuzioni antropomorfiche.
A codeste pretese imperfezioni del biblico linguaggio si ravvicina la locuzione : « il Signore degli Eserciti ». — Certo essa si applica spesso agli eserciti d’Israele dei quali Iddio è rappresentato come il duce, ma si applica pure a molte altre cose e vedremo più oltre che anche in quel senso nazionale essa ha una portata più alta e che di più essa riveste altri significati morali e spirituali ben superiori.
11 primo autore biblico che abbia ado-prata la locuzione in discorso nella sua forma primitiva: lahveh - Elohè - Zebaolh, fu il profeta Amos. Dopo di lui. Isaia introdusse una forma abbreviata che venne a-dottata dagli altri profeti tranne Ezechiele, e che trovasi pure nei libri detti di Samuele [II Sam. 6-2, 18. ~ - 26, etc.], cioè : lahveh - Zebaolh, talché da « lahveh dio degli E-serciti », si fece « lahveh degli eserciti », forma ellittica simile a quella che più tardi si produsse nel nome del Salvatole che da « Gesù 1’ Unto » o « il Cristo ». diventò: « Gesù Cristo ».
Importante, secondo il Reuss, è il fatto che la nozione in discorso non risale al di là dell’ ottavo secolo av. Cristo, cioè era ignota ai tempi anteriori al profetismo, anzi fu una creazione di questo. « L’insegna(») ED. REUSS: La Bible. Deuxième partie: Les Prophètes, tome I : Inlroducliou.
mento dei profeti era interamente fondato sul monoteismo assoluto. Il politeismo, per loro, era non solo antireligioso ma pure antirazionale. Essi non credevano che si potesse conoscere l’Iddio d’ Israele ed ammettere al tempo stesso che ogni popolo avesse il suo dio. Per cui gli dèi delle nazioni non sono soltanto impotenti e simili a cadaveri, ma non esistono. Vi è un solo Dio ed essi lo chiamano con un termine che esprime I’ esistenza assoluta. È un nome riserbato a Colui che esiste ab eterno e dal quale deriva ogni vita ed ogni esistenza. È IAHVEH, COLUI CHE È ».
Or bene, sono quei medesimi profeti che chiamano Iddio IAHVEH ZEBAOTH ed associano questo titolo alle sue perfezioni ed alle sue opere più eccelse, anzi lo oppongono qual argine alle infedeltà del popolo e qual garanzia delle promesse e dei giudizi di Dio, persino della stessa rovina e dei finale ristauro d’Israele. In prova di che basteranno alcuni esempli.
Il titolo di lahveh degli eserciti è associato alla minaccia dei giudizi! di Dio contro il suo popolo, l’abbandono, la captività, la rovina [Amos IV. 13, V. 27, IX. 5]; al ritorno dalla captività ed alla promessa del completo ristauro d’Israele [Zac. II. 9,13]; alla costruzione del Secondo tempio ed al-i’ innalzamento della pietra dei fastigio, tipo del Messia [Zac. IV. 6]; alla santità di Dio celebrata dai Serafini ed alla conseguente missione affidata al profeta [Isa. VI. 1-13] ; alla felicità futura promessa ad Israele [Isa. LIV. 5]; al patto nuovo che Dio farà con Israele [Ger. XXXI. 35, Cfr. Ebr. Vili, 8-12]; All’annunzio della prima venuta di Cristo [Mal. III. 1] ; e del giorno della sua seconda venuta e della conversione d’Israele [Mal. IV. 1-3] ; e del mondo intero [Abac. IL 13. >4].
Non solo dunque il linguaggio dei profeti manifesta la loro ferma volontà di porre il loro Dio al di sopra di quelli degli altri popoli, talché, come dice il Reuss, « era da parte loro una dichiarazione monoteista delle più positive », ma rivela un fatto più importante che tocca alle radici dell’ insegnamento profetico, cioè, secondo lo stesso autore, il diritto d' Israele a certi privilegi non concessi all’ altre nazioni e relativi al-l’avvenire del popolo ed al governo provvidenziale dell’ umanità, privilegi [in parte noverati da S. Paolo [Ront. IX, 4, 5] risultanti ^«dla storia d’Israele, i quali misti ai giudizii nazionali che ne accompagnano la violazione, fanno di quel popolo una famiglia a parte e costituiscono ciò che chiamasi, in senso buono, il particolarismo della
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religione ebraica, cioè da un lato : l’elezione, le promesse, i Patti, la Legge, la Presenza di Dio [Shekinak], per altra parte la infedeltà del popolo, le minacce ed i castighi del Signore, la schiavitù, la captività. la rovina definitiva, ed infine la prospettiva di un residuo futuro germe del popolo avvenire, e la Promessa del Liberatore e del regno messianico; ecco ciò che i Profeti annunziavano e che i veri credenti aspettavano. E da ciò derivava.i'per un verso il governo divino del popolo, cioè la Teocrazia intesa nel suo vero senso ; e, per altro verso, il Separatismo o l'isolamento d’Israele fra le nazioni, ed infine la credenza nel regno messianico il quale dopo aver ristaurato Israele assorbirebbe tutte le nazioni, convertendo le une'xi’distruggendo le altre. Certo quel particolarismo, quella Teocrazia e quel separatismo degenerarono alla fine, e mediante l’orgoglio spirituale e nazionale, affrettarono la rovina del popolo. Ma ciò non annulla nè i fatti nè le verità che stanno alla base del Messianismo.
Codesti varii elementi formarono il fondamento della fede e della via d’ Israele e gli permisero di conservare le sue tradizioni finché l’altre nazioni fossero preparate a riceverle, e codesta preparazione non è terminata ma si continua tuttora. « Se il Monoteismo fu conservato, conclude il Reuss, se il Giudaismo ne mantenne intatto il deposito, se il Cristianesimo diventò possibile, gli è ai profeti che lo si deve ».
È dunque contrario alla fede ed alia storia d’Israele il supporre col Falchi, che « quella forinola del « Dio degli eserciti » sia un’ idea alterata, una concezione rudimentale e grossolana che Iddio avrebbe subita abbassandosi al livello del popolo ».
Possiamo dunque aggiungere : Se il Cristianesimo deve conquistare il mondo, lo dovrà in gran parte alle verità proclamate dai profeti ed in particolare a quella del « Dio degli eserciti ». Come Gesù alludendo alla preparazione antica potè dire alla Samaritana : « La salute viene dalla parte dei Giudei », cosi noi pensando alla preparazione attuale e futura possiam dire con S. Paolo che « la salvezza delle nazioni dipende dalla conversione d’Israele e del suo ristauro nel Patto del Signore, poiché se la reiezione di quel popolo fu la ricchezza delle genti, per via della formazione della Chiesa, quanto più Io sarà la loro pienezza, e quale sarà la loro riabilitazione se non una vita fra i morti » ? ! [Rom. XI], Ed il Liberatore d’ Israele, il Messia che regnerà su di esso sarà sempre per lui il
lahveh, « Dio degli eserciti » che lo condurrà alla conquista del mondo.
Si obietterà : Sta bene per Israele, ma la Chiesa di Cristo rimane estranea a quel-l’ambiente. Rispondo: In un senso, sì. perchè in questa dispensazione le armi e la lotta dei veri credenti non sono carnali, bensì morali e spirituali [II Cor. 10,3-5. Efes. 6-12]. Ma nella futura dispensazione, quando la Chiesa regnerà dall’ alto con Cristo essa parteciperà alle guerre messianiche, e farà parte degli eserciti del Signore ; anzi quando Cristo apparirà i credenti appariranno con Lui e con Lui vinceranno le grandi battaglie della fine. No, l’idea di « la/iveh Elohé-Zebaoth non é ancor morta, anzi vive tuttora, poiché passò nel Cristianesimo con quella del Messia e del suo regno storico nella terra, il quale sarà la preparazione del Regno eterno del Padre. E mentre il N. Testamento presenta alle Nazioni il Cristo salvatore di chiunque crede in Lui, e ciò in vista della formazione della Chiesa quale sposa dell' Agnello, lo annunzia pure come Messia, Re dei Re e Signore dei Signori, cioè come il Dio degli eserciti, non solo per la salvezza finale de’ suoi ma pure per la distruzione dei suoi nemici, dell’ Anticristo e dei suoi alleati, del falso Profeta, di Satana, di tutti i malvagi e dell’ Impero del male [Rom. 16-20. I Cor. 15,22-28. II Tess. I, 7-10, II 3-12. Apo. XX, 1 r-15]. Solo quando Cristo avrà assoggettato tutti i suoi nemici, « restituirà il Regno a Colui che è Dio e Padre », e solo allora « Iddio sarà tutto in tutti ».
I due pensieri o meglio i due fatti più Srendi del Cristianesimo, i quali racchiu-ono tutti’gli altri, sono quelli della Vita eterna e del Regno di Dio. Ma al disopra di essi ve n’è un’altro maggiore che ne è la fonte e ne costituisce l’unità vivente, ed è T amor di Dio in Cristo, o Cristo stesso incarnazione di quell’ amore, per mezzo del quale furono fatte ed in cui sono tutte le cose, il quale tiene il primato in tutto perciocché la divina pienezza abita in Lui [Gio. I, 3. I Cor. Vili 6. Col. I 15-20]. Or bene come Cristo è la vita eterna, cosi Egli è il Re del Regno di Dio, il Messia-Re già proclamato dai salmi messianici e confermato dal N. Testamento [Salm. II. CX. Lue. I, 32-33. Fat. II, 36].
Egli stesso ha detto: « Ogni autorità [o potenza] mi è stata data in ciclo ed in terra ». Egli occupa :l trono deli’ Universo; regna sugli angeli, sul mondo, sulle nazioni, su Israele, sulla Chiesa : regna su i suoi amici e sui suoi, nemici, su quelli per sai-
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varli, su questi per distruggerli se persi; stono nel loro odio ; regna sui destini dei popoli e dell’ umanità e fa convergere tutti gli eventi, felici e nocivi, al compimento dei suoi disegni. Cristo regna e regnerà finché abbia abolito ogni male e ristabilito I’ ordine universale, talché lo storico Giovanni de Muller lo ha proclamato « il Re dell’ universo e la chiave della storia ».
Orbene il titolo di lahveh - Dio degli Eserciti esprime semplicemente uno degli attributi del Regno di Cristo.
Avrei desiderato citare terminando i passi più importanti nei quali ricorre la locuzione in discorso, ma per amor di brevità mi limito ad indicarne le cifre, raccomandando al lettore di cercarli e di leggerli (1).
Non posso tuttavia chiudere questo lavoro s^nza dire una parola dell' unico passo diretto del N. Testamento in cui ricorre il nome di « Dio degli Eserciti, » cioè Giac. V, 4. Nel brano relativo ai ricchi ingiusti e crudeli I’ apostolo dice : « Ecco il premio degli operai che hanno mietuto i vostri campi e del quale sono stati frodati da voi, grida, e le grida dei mietitori sono entrate nelle orecchie del « SIGNOR DEGLI E-SERCITI » !.
Ammenoché il Sig. Falchi voglia e-scludere questo passo dal N. Testamento, come un avanzo di Giudaismo, egli deve ammettere che Iddio è non solo Padre amoroso, ma è pure giusto Giudice, e che il Giudice di tutti gli uomini sarà il « Signore degli eserciti » (2).
O. COCORDA.
(1) Amos: IV. 13: V. »7; IX. $. Isaia I, 9 (Cir. Rom. IX 29); VI, 3-5; Vili, js; LIV, 5. Ger X, x6; XXXI, 3«. Abac. Il, 13, 14. Zacc. II, 9, 13: IV. 6. Malac. Ili, IV, 1-3.
, (3) Siccome il padre non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al Figliuolo, convien riconoscere che il litoio di « Signor degli Eserciti » si applica al Cristo, come f ho sottinteso in questo lavoro.
Intorno alla religiosità del
Pascoli e per la verità.
Dal « Lavoro » del 13 aprile scorso.
Caro Canapa.
Leggo sul Lavoro d’ieri, sopra iniziali a me ignote, un articolino, che mi costringe a chiedere una riparazione, alla tua ben nota equità e alla tua squisita coltura. Vi s’insinua, niente di meno, che i motivi religiosi e l’aura stessa di vago misticismo ond’ è soffusa tutta 1’ opera Pascoliana, siano d’ispirazione meramente estetica.
Se si può definire (oh le definizioni !) ispirazione estetica, per esempio, quella che ha mosso il Carducci a cantare 1' avemaria di fronte alla chiesetta di Francesca, per analogia col Byron che cantò il suono dell’ave per la vicina pineta di Ravenna ; — in Pascoli si capovolgono a dirittura i valori, e non è religioso il motivo,, ma il sentimento del poeta. Egli cristianizza perfino il mondo classico e cristianamente interpreta lo stesso Omero. Tutta l’interpretazione sua di Dante è profondamente mistica, tanto da dimenticare quel che di Dante non è medioevo ma rinascimento.
E se il sig. L. avesse letto qualcuno dei carmi latini del Pascoli, per esempio quel meraviglioso Paedagogium che alcuni anni or sono vinse il premio di Amsterdam (e fu appunto pubblicato ad Amsterdam), saprebbe, che non e-siste un poema più cristiano e più bello, fra i cristiani, di questo.
Se poi all’autore dell’articoletto premeva di dimostrare, che i cattolici avevano torto a voler dare l’olio santo di grande morituro, non c’ era bisogno di travisare la verità. La corrente cri stiana e mistica, ossia la religione na‘ turale, fu sempre in lotta con la cor rente cattolica ortodossa, ossia con la-
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NOTE E COMMENTI
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religione positiva : il sentimento francescano fu sempre avversario del razionalismo domenicano : niuna meraviglia se il Pascoli, appunto perchè religioso, non sentisse il bisogno di un rituale e-teronomo.
Tuo
Genova, 11-4-91 a.
ADELCHI BARATONO.
I due socialismi alle prese.
Il pastore evangelico parigino Elia Gonnelle, ben noto apostolo del Cristianesimo sociale, è stato incaricalo dal « Collegio libero delle scienze sociali » di tenere quest'inverno un corso sulla Democrazia cristiana d' ispirazione protestante. Riportiamo qui i pensieri originali e profondi esposti dal Gonnelle terminando le sue lezioni.
G. Adami
Non bisogna illudersi: tutte le vecchie forze reazionarie sono virtualmente esaurite, per quanto esse presiedano attualmente alla formazione delle l^ggi pubbliche. Sulle rovine del capitalismo, sulle macerie del nostro sistema economico, anarchico e inumano non vi saranno più tra breve che due socialismi alle prese : poiché, noi l’abbiamo dimostrato (1), il trionfo della civiltà socialista o umana non segnerà ancora purtroppo la fine del male, ma solamente la soppressione di alcune delie
(1) In un capitolo su « la potenza del male e l’insuflìcenza di tutti i sistemi economici ed ecclesiastici contemporanei ».
sue più intollerabili forme collettive.
Si può dunque sin d’ ora prevedere il conflitto formidabile tra i due socialismi • tra il socialismo materialista da un lato — il quale potrebb’anch’es-sere una semplice regressione verso l’animalità ancestrale o una mera disgraziata sopravvivenza degli statuti delle epoche primitive — e dall’altro lato il socialismo cristiano, allo stesso tempo idealista e realista, il quale solo può operare la sintesi vivente dell’ individualismo e del collettivismo ; il quale solo può affrancare l’umanità domando la Natura e disciplinando la ricchezza, la sua produzione, la sua distribuzione, il suo consumo, il quale solo può realizzare il sogno socialista del Regno dell'uomo sopra le cose e il sogno evangelico del Regno di Dio sopra gli uomini.
Se il regime capitalista assomiglia a quello della Bestia dell’ Apocalisse, accovacciata sull' umanità da lei oppressa, il regime socialista senza Dio assomiglia a quello dell’ « uomo naturale » dell’ « uomo degenerato » di cui parlano le lettere di S. Paolo ; e un socialismo simile è destinato, tosto o tardi, se non si ravvede, alla condannazione del peccato che è la morte.
Perchè il regime socialista trionfi, perch’ egli sia salvato, perch’ egli entri un giorno nella Città di giustizia e di amore, bisogna adunque eh’ egli si rinnovi !
Si, è necessario che il socialismo internazionale rinunzi a parecchi gravi errori, ch’egli si converta e ch’egli nasca di nuovo, s’ ei vuol vedere il Regno di Dio. Il prof. Schafflc ha intuito questa legge: « L'avvenire, dic’egli, ap-partiene a un socialismo purificato » (i ). Questa epurazione è assolutamente indispensabile se si vuol farla finita colla vecchia terra d’iniquità.
(1) Prof. Schaffle: Bau and Lcben «Ics sozialen Korpers II, p. 120.
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In che modo avverrà questa immensa e urgente trasformazione del socialismo naturale in socialismo convertilo? E’ questo il segreto dell’avvenire, è questo il problema dello stesso cristianesimo sociale.
I due socialismi si assomigliano come due fratelli, ma sono due fratelli nemici. Stanno conquistando il mondo, ma potrà darsi che tra loro corrano — non appena il socialismo cristiano si sarà più potentemente affermato — le medesime relazioni corse tra Caino e Abele. E le relazioni di questo genere tini scono sempre colio spargimento del sangue del Giusto. E' su quel sangue sparso — narrane! le vecchie tradizioni d’Israele — che i Cainiti fondarono le loro arti, la loro industria del ferro e le città proletarie!
E quando-, or sono venti secoli, apparve un nuovo Abele e eh’ egli predici) la giustizia di Dio, un popolo intero, figlio di Caino, si elevò contro di lui ; e i caporioni di Gerusalemme, vedendo minacciati i loro interessi, spàrsero di nuovo sulla terra il sangue del Giusto. E così è ancoraggi, e così sarà sempre.
O la Rivoluzione o la Croce. Non v’ è altra alternativa.
I nostri orizzonti hanno per limite dei simboli rossi; La Redenzione sociale non si ottiene che col sangue. Se non vogliamo che sia il sangue degli altri — il sangue della rivoluzione violenta e selvaggia — allora bisogna bene che sia il sangue nostro, cioè il sangue dei nostri liberi sacrifici e del nostro rinunziamento personale.
ELIA GOUNELLE
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Chi non è con me è contro dx me.
Questo motto s’incontra non meno di qnattro volte nei sinottici.
In Marco 9-40, Gesù, alludendo a chi. pur non essendo del numero dei suoi discepoli. scaccia purtultavia demoni nel suo nome, adopera le parole : 6; yùo ovz ronv xccO’ qjiwv. v.-cèp qpwv txmv. Luca 9-50 nel riferire quasi verbalmente la medesima stona la ripete con le varianti xaO' vpòv e vaèp vpcòv.
Mai. 12-30 sembra che rivolga questa parola nel tentativo di confutare la supposizione dei giudei che Gesù scacciava i Demoni per mezzo di Beelzebub. in questa forma : ó |i>| oiv per’ époù xat' èpoù é<mv. Luca ir-23 ripete I’espressione verbalmente, nella precisa medesima narrazione.
Se si mettono a confronto queste due paia di passi apparirà la relazione fra Marco e Luca 9 altrettanto chiara e semplice quanto oscura e difficile è quella fra Mat. e Luca 11. Infatti colà è chiaro il senso: « chi con noi, nei demoni, combatte il regno di Satana, aiuta la nostra causa, anche se non è con noi ».
Chi non mette ostacoli sulla via, già deve considerarsi come alleato.'
La relazione fra gli altri passi è più artificiale: vien dichiarato che anche i « figli » degli avversari (oi vioi vuo>v) scacciano demoni : rimane da provare che Gesù scaccia i demoni non per Beelzebub. ma per potenza divina (év ¡tvevpan ©eoù Matt. év ftazrvÀip Oeoù Lue.) Qui è cosa secondaria il sapere se Gesù considerasse come amici o come avversari gli esorcisti, che non appartenevano alla sua cerchia; in Marco e Luca 9 invece é cosa principale, quale risposta al messaggio di Giovanni e quale critica del modo di comportarsi dei discepoli. C’ è una difficoltà grande nel fatto che nelle due paia di passi ad una stessa e medesima persona in una stessa e medesima circostanza sia assegnato un principio di condotta opposto.
Si è cercato di spiegare teoricamente questa contraddizione fra la parola e il modo di comportarsi di Gesù, e di affermare che non vi era ragione di mettere in dubbio l’autenticità del motto. Che succederebbe dunque se si riuscisse a provare chi-la parola nelle sue due forme non è allatto originale?
Nel suo discorso « Pro Q. Ligario » tenuto nel 46, a. C., Cicerone si indirizza aCesare con queste parole : «Valeat tua vox illa, quae vicit. Te enim dicere audicbainus. nos omnes adversarios putare nisi qui no-biscum essent, te omnes, qui contra te non essent, tuos. » Cicerone dunque si appella a un noto detto di Cesare (tua vox illal, con cui egli (Cesare) considerava chi era politicamente neutro, cioè non partecipava
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nè per lui nè per Pompeo, quale amico; Pompeo invece considerava come nemico chi non si era precisamente dichiarato per lui. E questa norma Cesare non l’aveva solo espressa, ma anche attuata, cosi da Cicerone richiese solo la neutralità. Con questa parola moderata « chi non è contro a me è per me » egli vinse; gli avversari con la loro dura forma: « chi non è con noi è contro a noi » furono vinti, come Cicerone vergognoso deve ammettere : questa Parola di Cesare con cui egli mise in opposizione in modo argutamente acuto la maniera di comportarsi dei due capi di partito e del loro seguito, divenne evidentemente un detto popolare.
Si può sempre supporre che la rassomiglianza o meglio l’identità delle parole del-1* «vangelo e quelle di Cesare sia dovuta al caso, e siano entrambe state formulate in modo indipendente le une dalle altre. Ma il notevole è che la contraddizione che vi è negli evangeli, e che Consiste nel modo opposto di comportarsi di una persona in un medesimo caso, si dilegua nel caso riferito da Cicerone, perchè si tratta di due persone diverse e partili diversi, che si comportano in modo opposto nel medesimo caso. Forse già prima che si riferisse questa parola a Gesù, i due termini del-1’ antitesi originaria erano stati divisi nel-l’essere riportati a voce e furono introdotti in posti diversi nella tradizione. Così sorse la contraddizione che abbiamo davanti a noi : attraverso 1’ arte semplice della tradizione si scorge ancora abbastanza distintamente l’antitesi originaria.
Ma come devesi spiegare .¡1 fatto che tale parola sia stata applicata a Gesù, e quale ne fu la causa? E’ evidente che sia i nostri evangelisti, sia le sorgenti degli e-vangeli, non conobbero il discorso di Cicerone « Pro Q. Ligario ». Ma conoscevano evidentemente il motto che dal tempo delle guerre civili era divenuto popolare e fors’anche ne ricordavano l’autore e così lo attribuirono al loro signore in casi più o meno appropriati, come abbiamo veduto.
Che ciò avvenga nell’ antica letteratura profana, è certo. Ecco un esèmpio, di tèmpi più antichi. _ .
Il famoso detto pronunziato da Pericle (Aristot. Rhet. I. 7- HI. io) in un discorso funebre pei giovani della città caduti in guerra: « Con voi è stata lolla all’anno la primavera, » Erodoto (VII., 162) lo mette nella bocca del tiranno Gelone di Siracusa, quale risposta ai Greci mandati dall’ oriente, per chiedergli aiuto contro i persiani.
Riguardo alla letteratura ellenistica Rei-tzenstein dice : « Il fatto che si trovano nella bocca di divinità egizie detti di Eraclito, è cosa degna di nota. Questi detti medesimi troviamo ancora nel N. T., for-s’anche negli ultimi scritti dèli* Antico. Modi di vedere e detti di filosofi greci sono senza dubbio penetrati per mezzo della letteratura teologica ellenistica, là dove nulla si sapeva della esistenza di un Eraclito, di un Socrate, o di un Platone. E’, quasi impossibile a priori, di dire quali campi sono stati del tutto privi di 'qualcheduno di quei semi, che la tempesta di quei tem-pi ^trasportava con sè sui paesi (1) ».
E per'non dire dei noti passi citati ne! N. T. come p. es. quello di Aratos(Atti 17. 28) quelli di Monandro o Euripide (I Cor. •3. 33). da parecchio tempo il Geflken ha ritrovato in Giac. 3, 1 - ix una diatriba cinica anteriore (2).
Quando poi finalmente si pensa che i Cristiani, in modo sistematico insistevano sul parallelismo fra Cristo il loro Signore e il Signore del mondo, il Cesare romano, come essi contrapponevano volentieri il loro re al BaotZsù; terreno, il loro aarofo all’imperiale <MoriiOP$ rii? oìzovpévq?, il loro Ktf-910? > al dominus in Roma, il loro principe della pace, all’ imperiale apportatore di pace, il loro evangelo all’eèayYéZta di Augusto,? come a questo bisogno di contrapposto intere narrazioni devono la loro origine o almeno la loro forma, quali ad es. la storia dei così detti savi di oriente quale contrapposto all’ omaggio fatto a Nerone dal re dei Parti Tiridate (3), non vi sarà più ragione di troppo meravigliarsi, se una parola di Cesare divenuta proverbiale, è stata attribuita al cristiano re del mondo.
Così credo di avere spiegato la contraddizione dei nostri evangeli, riguardo questo motto di Gesù, e di averlo ricondotto alla sua vera origine. Lo dobbiamo dunque togliere dalla lista delle autentiche « parole-del Signore ».
(W. Nestle, nella Zeitschrift fùr die N. T. Wissenschaft und die Kunder des Ur-christentums, Heft I, 1912).
P. C.
(1) Poimandrcs (1904) p. 12$ ss.
(2) Kynika und Verwandte (1909) p. 45> e seg.
(3) Cfr. A. Dieterich n. Zeitscrift für d. N. T, Wissenschaft 1902 p. 1 ss.
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TRA LIBRI E RIVISTE
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Gli elenchi degli apostoli nel N. T.
I lettori attenti degli scritti del N. T. nella forma in cui li abbiamo, si convinceranno sempre più. che quest1 non segnano il principio, bensì la fine dell’attività nello scrivere storia nei tempi apostolici. Non sono i primi tentativi di mantenere per iscritto la vita e l'insegnamento di Gesù. Gli evangelisti hanno messo assieme le note scritte dei loro predecessori, le hanno ordinate secondo un piano proprio e le hanno così tramandate alle generazioni seguenti. Le rassomiglianze che si trovano nei sinottici, non vanno spiegate con una dipendenza diretta dell’uno dall’altro, ma con l’uso di fonti in stretta parentela fra di loro, le quali però si trovavano già in parte in uno stadio più o meno diverso di sviluppo. Chi desidera di ciò convincersi ognor meglio paragoni fra di loro i quattro elenchi degli apostoli che ci sono conservati negli Ev. e negli Alti. Malt. 10, 2 - 4, M.co?3. 16 - 19, Lue. 6. 14 - 16, Atti 1, 13. Un accurato studio di questi passi e delle conseguenze che portano con sè è fatto da W. Weber nella Zeitschrift für Wissenschaftliche Theologie. Heft 1. 1912.
P. C.
MIQJOHAE REUGIONE
La Bibbia e le scienze naturali
AUTORI VARI, Natur und Bibel in dee
Harmonie ihrer Offenbarungen.—Vo\. di pag. 365 — prezzo 5 marchi (rilegato) — edito dalla Casa editrice Battista: « Agentur des Rauchen Hau-ses ». Amburgo 26. —
È questo un manuale d’indagine moderna in cui uomini competenti con argomenti scientifici sfatano la leggenda del preteso antagonismo tra la Bibbia e le scienze naturali. Una recensione di questo volume è impossibile, stantechè esso tratta argomenti troppo svariati. Spero di
poter offrire ai lettori di « Bilychnis » un sunto degli argomenti più importanti e più originali; intanto ecco l’indice del le materie. Il volume consiste veramente di più libri scritti da più professori, i quali, secondo la loro competenza, trattano le varie materie.
LIBRO I: La Cosmogonia: Prof. Giovanni Riem. Cap. 1. La creazione del mondo inorganico. (Di questo solo capitolo dò i varii argomenti trattati). La leg-e della conservazione dell’ energia e dei-materia, energetica, teoria degli atomi e sistema di Mendejjeff; stato primitivo della creazione ; Oliver Lodge sul controllo e sulla direzione dell’ energia ; possono la vita e lo spirito dirigere processi fisici? la nebulosa e le sue qualità ; ag-glomeramenti astrali ed astri; le cosmogonie di Kant, Laplace. Braun, Lokver. Zehnder. Moulton e Chamberlin. Horbiger e Fauth; la legge di gravitazione; stabilità deljsistema planetario; 1’universo'finito od infinito? Cap. 2. La vita è essa possibile su altri pianeti o é la terra la sola sede di essa? Cav. 3. Il diluvio nella mitologia, nella Bibbia e nella geologia.
LIBRO II. Indagine e conoscenza della vi ta. D.r Carlo Hauser. Cap. 1. Vi la organica ed inorganica. Cap. 2. Concetto ed origine della vita. Gap. 3. La finalità nella creazione. Cap. 4. L’evoluzionismo.
LIBRO III. L’origine dell’uomo nella luce della moderna antropologia. D.r Otto Hamann. Cap. 1. Il posto dell’uomo nel sistema evoluzionistico. (Stòria della discendenza dell’ uomo dalla scimmia.) Cap.: 2. La costituzione fisica del-1’ uomo (Uomo e scimmia confrontati). Cap. 3. L’uomo dell’ epoca terziaria. Cap. 4. L’uomo della epoca diluviale. Cap. 5. Le ipotesi moderne sulla discendenza del-l’uomo (fantasia e realtà). Cap. 6. L’uomo dal punto di vista fisico ed intellettuale.
Ogni libro termina con un confronto dei risultati positivi dell’ indagine scientifica con la Bibbia.
ROBERTO TEUBEL.
Cristianesimo e critica.
Cristianesimo e Critica (edito dalla Direzione della Scuola Teologica Battista di Roma).
Fra tanto'im perversa re'di critica demolitrice e molto spesso cervellotica o per lo meno subiettiva, un volume come quello
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edito dalia Direzione della Scuola Teologica Battista di Roma in difesa dell’ ortodossia cristiana acquista un sapore di gustosa novità, benché sostenga delle antichissime dottrine.
Oggi — che nel campo degli studii biblici domina in modo quasi assoluto la voce di critici quali il Wellhausen. il Kuenen, il Graf, lo Stade, il Loisy — conviene avere un bel coraggio per sostenere taluni articoli di fede cristiana, dei quali già da tempo generalmente non si osa parlare che sotto voce. La Direzione della Scuola Teologica Battista, che, pubblicando la rivista Bily-chnis, ha dimostrato di avere vedute larghe quali occorrono ad una rivista di studii religiosi, ha pure mostrato una bella arditezza con la pubblicazione del volumetto « Cristianesimo c Critica », che assume il carattere ed il valore di una franca confessione di fede.
Codesto volumetto, che si presenta in veste graziosa e nitida, contiene, oltre ad una introduzione dell’ editore Dottor Whit-tìnghill, una serie di cinque importanti studii indipendenti tra loro, dovuti a illustri penne del mondo evangelico inglese ed americano. Li esamineremo brevemente nel loro órdine.
I. La nascita verginale di Cristo di James Orr, l’insigne apologista che, con la sua opera apprezzatissima The Problem of Ihc Old Testament, vinse alcuni anni fa il premio Bross di L. 30,000.
Questo studio è assai interessante e, in gran parte, anche originale. L’Orr dimostra in modo molto persuasivo che l’idea della nascita del Messia da parte di una vergine non è sorta, come alcuni vorrebbero, dopo la venuta dei Cristo, ma già esìsteva almeno implicitamente in diversi libri dell’An-tì'co Testamento. A conforto della sua tesi 1’ Orr cita e sviscera alcuni tra i più evidenti passi profetici dell’A. T., a cominciare dal cosi detto prolo-evangelo (Genesi III. 15), e dobbiamo dire che il suo esame è molto convincente.
Difende poi l’autenticità, tanto discussa,
delie due narrazioni neotestamentarie della nascita di Gesù, con prove interne (stile e particolari di ambiente) ed esterne (antichità di moltissimi manoscritti che portano i racconti della nascita). Risponde infine alle obiezioni dei critici circa le discrepanze che esistono tra i due racconti della nascita, ed a quella più forte che si basa sul silenzio che intorno all’ avvenimento della nascita conservano Marco, Giovanni e Paolo.
Lo studio è in tutto dégno della fama del suo autore e noi siamo sicuri che potrà fare molto bene ai lettori obiettivi, in par-ticolar modo se sono credenti.
IL La Testimonianza dell’ Esperienza Cristiana di E. ). Multine, presidente del Collegio Teologico Battista di Louisville.
In questo lavoro si sostiene e si dimostra il valore dell’ esperienza cristiana come mezzo di conoscenza. La filosofia non é mai riuscita a dare risultati soddisfacenti circa il problema della conoscenza, poiché i filosofi di ogni tempo non hanno considerato il mondo reale che da un solo punto di vista del tutto personale, col quale hanno voluto spiegare tutti i problemi. L’esperienza cristiana viene ad integrare i tentativi della filosofia poiché « riunisce tutte le astrazioni filosofiche e, ricombinandole, ci presenta il concetto del Dio Padre ».
Fin qui veramente si sarebbe potuto parlare di esperienza religiosa in genere e non soltanto di quella cristiana ; ma il nostro autore ha parlato di esperienza cristiana specificatamente; sia perchè essa è la più alta forma di esperienza religiosa, sia àncora, e più specialmente, perchè « getta luce sulle pretese uniche del Cristianesimo » cioè su tutto il patrimonio dei soprannaturale che i Vangeli riportano e, in partico-lar modo, su ciò che in essi è detto circa l’origine ed i miracoli del Cristo. L’ esperienza cristiana infatti aiuta a vincere le difficoltà d’indole intellettuale che possono sorgere in noi di fronte ai racconti di avvenimenti che escono dall’ordine dei fenomeni normali.
Questo studio si raccomanda, oltre che
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per il suo valore intrinseco, anche per il suo stile pieno di una sana verve che lo rende dilettevole, e di aneddoti che ne facilitano là comprensione.
III. Gli errori dell' Ipercritica di Franklin Johnson, dell’ Università di Chicago.
È una critica dell’ ipercritica e, secondo noi, sarebbe stato meglio collocarla al principio della serie di studii che compongono il volumetto di cui ci occupiamo, perchè risponde più direttamente ed ampiamente al suo titolo-: « Cristianesimo e Critica ».
Dopo aver fatto un succinto riassunto dei risultati dell’ ipercritica — più moderata in Inghilterra ed in America ; più spinta in Olanda ed in Germania —- circa 1’ Antico ed il Nuovo Testamento. 1’ autore pone in evidenza, esaminandoli ordinatamente, i principali errori dell’ ipercritica. Alcuni di codesti « errori » sono esaminati forse un po’ troppo rapidamente, come per es. quello che è indicato sotto il titolo: la Bibbia un libro naturale e I’ altro : la negazione dei miracoli ; ma ciò dev’ esser dipeso dall’ indole stessa dello scritto, che non consentiva un più minuto esame.
Gli altri << errori » — e ne sono numerati otto — sono dimostrati invece tali con molta ricchezza di argomenti persuasivi. I risultati dell’ ipercritica in questo breve ma succoso studio vengono dimostrati tutt* altro che « certi ». come pretenderebbero taluni ipercritici.
IV. La Certezza e T Importanza della risurrezione corporale di Gesù Cristo, dalla morte di R. A. Torrey.
Non è possibile negare che il fattore più efficace che contribuì alla conversione del mondo pagano al Cristianesimo fu precisamente la risurrezione del Cristo. Tutta la predicazione apostolica si basa su questo avvenimento che è consolantissimo per 1* u-manità intera, perchè dà la prova palpabile della realtà della vita d’oltre tomba. Se togliamo dalla storia dei primi anni del Cristianesimo la certezza della risurrezione di Gesù Cristo, noi non possiamo più spie
garci il più glorioso e complesso degli avvenimenti umani : la conversione del mondo civile al Cristianesimo. E voler lar credere, come taluni critici pretenderebbero,, che la fede nella risurrezione dei Cristo abbia avuto per origine un meschino fenomeno di autosuggestione da parte di Pietro o di Maria Maddalena — il quale poi avrebbe avuto conseguenze colossali — è semplicemente assurdo.
Quest’assurdità risulta ancora più evidente dopo la lettura del lavoro del Torrey, che è assai completo poiché esamina la quistione da tutti i lati e lascia nel lettore spregiudicato un senso di certezza.
V. Osservazioni sulla conversione e sul-l'Apostolato di S. Paolo di Lord Liltelton (adattate dal D.r J. L. Campbell).
Il più valido campione dell’ Evangelo fu indubbiamente l’apostolo Paolo, ed è quindi naturale che i dardi dell’ ipercritica si siano appuntati principalmente contro di lui. L’episodio della conversione di Paolo è forse quello, tra i fatti narratici dai libri del N. T., che è stato più tartassato dalla critica ostile. Chi ha voluto che la visione sulla via di Damasco fosse conseguenza di un’ insolazione ; chi ha preteso che fosse dipesa dal temperamento fanatico e facilménte suggestionabile del soggetto ; chi ha affermato essere stato l’effetto di un trucco preparato dai discepoli di Gesù ecc. Pochi hanno pensato, studiando la vita ed il carattere di Saulo da Tarso, che è più difficile spiegare la sua conversione mediante una delle surriferite ipotesi, piuttosto che accettando come veritiera la testimonianza di Paolo stesso, il quale diede prove più che sufficienti di potenza intellettuale e di integrità di carattere, perchè noi gli prestiamo fede.
Lo studio di Lord Littelton dimostra appunto, con argomentazioni validissime sebbene non nuove, che poiché Paolo non fu nè un ingannatore, nè un allucinato, nè un ingannato, la sua testimonianza è pienamente credibile e costituisce, per conse-
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guenza, una prova in dimostrazione della verità del domma cristiano che sostiene essere la religióne cristiana una rivelazione di Dio.
<» # *
Abbiamo dato uno sguardo rapidissimo al contenuto di questo primo volume edito dalla Direzione della Scuola Teologica Battista ; ma volentieri ci saremmo fermati più a lungo a considerarlo, se lo spazio ce lo avesse consentito. L’editore D.r Whittin-ghill. nella sua Introduzione ha scritto : «..... In vista dei grandi e radicali cambiamenti che si fanno di giorno in giorno nel mondo religioso intorno a noi, si è sentito l’urgente bisogno di rifare l’apologetica cristiana, vestendola di forme e d’ espressioni moderne tenendo conto del progresso delle scienze e fisiche e metafisiche. » Il volume infatti, benché sia tutto dominato da un afflato di fede cristiana ortodossa, é però mondo di quelle formule teologiche, le quali costituiscono il più grave intoppo che si trovi tra la fede e la ragione.
Ben vengano altri lavori del genere, che serviranno da antidoto di fronte al dilagante spirito ipercritico odierno.
ARISTARCO FASULO.
[Questo volumetto di cui A. Kasulo parla in termini cosi lusinghieri, viene »¡»edito GRATIS a chiunque invierà il proprio nome cd indirizzo all'editore Sig. D. G. Whiltinghill. Th. D„ Via Delfini xó, Roma]
Fra giorni vedrà la luce un nuovo volume edito dalla Direzione della Scuola Teo-logica Battista. E’ un manuale di Omiletica, intitolato: « Il Pergamo ». Ne è autore il Prof. N. H. SHAW. Consta di oltre 300 pagine e sarà messo in vendita al prèzzo di L. 2,50. — Rivolgersi al Sig. 0. Jalla, Tipogr. Claudia na, Via Serragli 51, Firenze.
Il significato sociale della vita
e dell* insegnamento di Gesù.
GEREMIA W. JENKS. Il significato politico e sociale della cita, e dell’ insegnamento di Gesti, voi. di pag. 145. Prezzo L. 0.75 — Unica traduzione autorizzata dall’ Autore, a cura del « Salotto » di Napoli. - Federazione italiana degli studenti per la cultura religiosa, editrice: Via Principe Umberto 92, Roma.
Questo bel volume che molto opportunamente viene offerto alla gioventù studiosa italiana, contiene una sèrie di discorsi sull’applicazione della vita e degli insegnamenti di Gesù ai problemi politici e sociali del nostro tempo, detti dal prof. Jenks. docente di Economia politica nella Cornell University, dietro preghiera della Associazione cristiana di quell’ Università.
L’A. premette ai suoi sludii alcuni suggerimenti allo studente che voglia farsi un concetto chiaro delle quislioni sociali alla luce del Vangelo: letture giornaliere sull’argomento di libri non letti prima, delle citazioni tratte dalla Bibbia e di altri passi su argomenti simili che facilmente possono trovarsi in una « armonia degli evangeli »: possedere c leggere una buona biografia di Gesù.
Gli studi sono dodici, e alla fine di ognuno di essi sono aggiunte alcune domande riassuntive, per risolvere le qui-stioni indicate dallo studio e per suggerire qualche applicazione pratica dei principi! enunciali alla vita odierna.
La trattazione degli argomenti è di una chiarezza somma, tanto più che ogni
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studio è suddiviso in parecchi paragrafi brevissimi, i quali servono a sviscerare più profondamente le singole questioni.
Ha fatto bene l’A. di dare uno sguardo alla preparazione di Gesti per la sua missione. parlandoci dell’ambiente in cui visse, della sua educazione, del suo carattere, dei suoi rapporti col Battista, dei piani per il suo Regno.
Una questione che si affaccia alla mente di chi studia il Vangelo dal punto di vista sociale è quella della concezione di Gesù intorno alla propria missione sociale nei suoi rapporti con lo Stato, con la ricchezza e con la povertà ; e nel suo atteggiamento verso i piaceri. Siamo lieti di vedere che F A. nel trattare quei vari argomenti si allontana da tutte lo soluzioni eccessive e catastrofiche, mantenendosi sul terreno della verità e della realtà. Giustamente egli afferma che il « Regno » di Gesù fu annunziato non come un nuovo stato fondato dalla violenza di una rivoluzione o di una guerra civile, ma. coinè una forza spirituale atta a nobilitare le anime degli individui, una forza che avrebbe potuto'gradualmente, attraverso il miglioramento ed il perfezionamento degli individui, produrre la rigenerazione dell’ordine sociale. Cosi ancora l'A. rileva che Gesù nella sua vita in mezzo alla società non dimostra alcun segno di ascetismo. poiché riconobbe il bisogno di scambievoli rapporti fra gli uomini, e non si oppose alle usanze sociali del suo tempo, finché queste non avessero in se niente di dannoso. Riguardo poi alla ricchezza, egli nota la sua scarsa importanza in confronto dell’ammissione nel Regno, ed osserva che risulta evidente dall’ insegnamento di Gesù il dovere pel cristiano della generosità e dell’ accuratezza nell’ uso delle ricchezze. Se poi Gesù fu povero ed ebbe per i poveri viva simpatia, ciò non autorizza in nessun modo l’accattonaggio, anzi lungi dal l’incoraggia re la mendicità. Gesti approvò che il servizio fosse ricompensato
giustamente. Bene osserva l'A.: « Gesù insegnò F industriosità nelle opere utili, ed il fare il miglior uso del proprio talento per servire la società. Nelle sue parabole la pigrizia ed il non agire avvedutamente sono condannali, e nel suo ammaestramento riguardo al dovere imperioso di rendersi utile agli altri non v* è alcun posto pel mendicante che vorrebbe sfruttare l’opera altrui per vivere senza contracambio di alcuno sforzo da parte sua ».
Interessanti e molto suggestivi sono gli studi relativamente all’insegnamento di Gesù riguardo al delitto, al modo di trattare i criminali, e alla non resistenza al male, dove si scosta di molto dalla dottrina di Tolsloi. per rimanere più fedele al pensiero di Gesù.
Negli ultimi capitoli sono riassunti i principii di Gesù per la Riforma sociale, e il grande Maestro vi è descritto quale esemplare del proprio insegnamento.
Ci piace infine notare che 1’ A. sempre mette F accento sul principio della responsabilità individuale rilevandone il significato sociale.
Da questi rapidi cenni il lettore può desumere facilmente l’importanza e l’utilità di questo volume per tutti quelli che desiderano studiare l’insegna mento di Gesù nella trattazione dei problemi sociali.
Non abbiamo riserve da fare 0 appunti da muovere, tanto le idee dell’ A. ci sembrano ispirate alla realtà,, sia nello studio dei principii sociali di Gesù, come nell’applicazione loro ai problemi odierni. Pertanto raccomandiamo vivamente questo volume, elogiandone pure la eccellente traduzione.
ENRICO MEYNIER.
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Un manuale di Storia delle Religioni.
J. BRICOUT, Oit en est !’histoire des religions f Paris, Letouzey et anè, éditeurs. 1911-1912. — (2 voli L. 15.)
Wolfango Goethe ha detto : « Chi conosce una lingua non ne conosce alcuna ». La medesima osservazione noi possiamo farla nel campo religioso, perchè una conoscenza veramente profonda del fatto religioso poggia proprio su la comparazione ed è dovuta a la comparazione.
Perciò, ogni nuovo Manuale di storia de le religioni dovrebbe essere sempre il benvenuto, perchè ci mostra la coscienza de I’ umanità ne la varietà de le sue gradazioni, con i suoi bisogni molteplici, ne la quale troviamo noi stessi con le nostre angosce, con i nostri dubbi, con la nostra fede, con le nostre speranze.
E quando una tale storia è pubblicata da un cattolico e con 1’ approvazione de la Chiesa, il nostro benvenuto dovrebbe essere più cordiale, perchè è prova de la trasformazione, de lo svecchiamento che lentamente, ma sicuramente, si opera ne la stessa Chiesa.
A questa categoria appartiene l’opera che annunziamo. Essa onora il colto clero francese, in mezzo al quale lo svecchiamento è più profondo.
Il Bricout, direttore de la « Revue du clergé français », si è limitato a farne una dotta Introduzione e la Conclusione, avendo affidata la compilazione dei singoli capitoli a specialisti, tutti cattolici fra cui sono de le vere autorità in materia, come il P. Dhorme per le religioni semitiche.
L’ opera è in dùe volumi, di cui è sta
to pubblicalo il primo, che si occupa de le religioni non cristiane, mentre il secondo studierà il Giudaismo e il Cristianesimo (1).
La materia del primo volume è completa : tutte le religioni sono esaminate, da le primitive a le più sviluppate. Eccone 1’ elenco :
Ch. i. — La religion des primitifs, par A. Bros.
« u. — La religion égyptienne, par I. Capart.
« in. — Les Sémites: par P. Dhorme. « iv. — Iraniens et Perses, par I. La-bourt.
« v. — Religions de l’Inde, par L. de Vallèe Poussin.
« vi. — Le confucianisme et le Shinto, par H. Cordier.
« vu. — Les Grecs, par O. Hapert. «vin. — La religion romaine, par André Baudrillart.
« ix. — Celtes, Germains, Slaves, par A. Bros et O. Habert.
« x. — L’ Islamisme, par Carra de Vaux.
Ognuno di questi capitoli è seguito da una scelta, se non abbondante, nota bibliografica, utilissima a gii studiosi de le singole religioni.
Gli autori de le monografie seguono tutti, più o meno rigorósamente, la scuola storica la quale ha de i vantaggi sicuri su le altre che si contendono il primato ne le studio comparativo de le religioni, anche su le più autorevoli, come la filologica fondata da Max Muller, e l’antropologica legata al nome di un altro maestro d’ Oxford, M. E. B. Tylor, e seguita da studiosi illustri come Mannhardt, Robertson Smit-te, Tiele, che ha pubblicato il primo manuale di Storia de le religioni (1876). Andrew Lang, levons, Frazer, Alberto Révil-le, Salomone Reinach.
Un esame, sia pure superficiale, de l’opera ci farebbe varcare i limiti di una semplice notizia bibliografica. Però non sappiamo trattenerci dal far notare un difetto, se ta-
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le si possa chiamare, che crediamo voluto più da un preconcetto che da la scuola che si segue, quello cioè di considerare la religione d’Israele e il Cristianesimo in un volume a parte, separatamente dal grandioso albero religioso, temendo quasi, nella comparazione, di diminuirne la bontà e 1’ eccellenza. Anche in un recente Manuale di storia de le religioni in lingua italiana, dovuto a la penna di un colto e giovine sacerdote Nicola Turchi, (2) si nota l’influenza di un tale preconcetto, e si tenta una giustificazione in questi termini : « Dall’ e-lenco delle religioni esposte in questo manuale sono escluse quelle bibliche — la religione d’Israele e il Cristianesimo. Non era opportuno far posto anche ad esse sia per la divina eccellenza che loro compete à causa della Rivelazione, sia per I’ importanza che entrambe e specialmente il Cristianesimo hanno avuto ed hanno sullo sviluppo della nostra civiltà. » (3)
Crediamo anche noi a la divina rivelazione ; ma crediamo anche che accanto a la Parola divina ci sia la mente e la coscienza umana, e che la religione, quale si sia, intesa come la facoltà di afferrare il divino, non va confusa con la rivelazione. Dal punto di vista puramente storico, è dovere di studioso considerare tutte le religioni nel loro naturale ambiente storico. E credo che nessuno possa negare che ci siano state de le influenze reciproche fra il gruppo de le religioni semitiche, compresa quella d’Israele. Certo non dobbiamo andare a l’estremo di Delitzsch, ma nemmeno a 1’ altro estremo. Da la comparazione le religioni bibliche usciranno più belle e più forti.
Non saranno mai abbastanza ripetute le parole di un maestro indiscusso ne la storia de le religioni. F. Max Muller.
« Tre de i risultati, egli dice, a cui conduce lo studio comparato de le religioni sono i seguenti :
1. Noi impariamo che le religioni, ne le loro forme più antiche, o ne la mente
de i loro autori, sono generalmente scevre da molte de le macchie, che si produssero in esse in tempi posteriori.
2. Noi impariamo che non vi è quasi religione che non contenga qualche verità, qualche importante verità : verità sufficiente per rendere capaci quelli che cercano il Signore di trovarlo nel momento del bisogno.
3. Noi impariamo ad apprezzare più che mai quello che abbiamo nel Cristianesimo. Ninno che non abbia esaminato paziente-mente e onestamente le altre religioni del mondo, può sapere ciò che il Cristianesimo è realmente, ovvero può, con la sincerità e la verità di Paolo, esclamare : Za non mi vergogno del Vangelo di Cristo ».
D. SCALERÀ
(1) 1! 2. voi. ha visto la luce in questi giorni. Ne parleremo nel prossimo fascicolo.
(2) N. Turchi. Manuale di Stana delle Religioni. L. 6,00. Fratelli Bocca. Torino. .
(3) N. Turchi. Op. cit. p. X.
India antica.
ENRICO PAPPACENA, Racconti e drammi classici dell’ India antica. Napoli, 1912 — Prezzo L. 2. — (Rivolgersi all’A., Via Salv. Rosa 238 — Napoli).
Abbiamo ricevuto il primo fascicolo, che in 63 pagine grandi a due colonne raccoglie i drammi e gli episodii del grande poema indiano Mahabharata, come vennero tradotti dall’illustre indianista Michele Kerbaker, da quarant'anni professore all’ Università di Napoli.
Del Pappacena vedrà presto la luce un volume che non ci lascerà indifferenti: « Storia, Religione e Letteratura dell'India antica ».
Prossimamente ci occuperemo di questa pubblicazione, che c’interessa special-mente per la parte della religione.
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Storia del Dogma
ADOLFO HARNACK, Storia del Dogma. voi. Il Fondamenti. — Casa Editrice « Cultura Moderna. » Mendrisio (Svizzeia) - 1912 - L. 6.
E uscito dai torchi della benemeri la Casa Editrice « Cultura Moderna » il secondo volumi* della Storia del Dogma di Adolfo Harnack. la cui traduzione in italiano è dovuta all’infaticabile prof. Domenico Batlaini. Il libro — che è di più di 380 pagine — con la di due parti. Ecco i tre capitoli della prima parte: A mo* d’introduzione. Sguardo storico generale — L’ apostolicità contrassegno del cristianesimo ecclesiastico. La chiesa cattolica. — Continua lo stesso argomento, il cristianesimo antico e la nuora chiesa.
Questi tre capitoli sono molto importanti. L’egregio Autore, storico di fama indiscussa, incomincia con l'accennare agli « elementi vecchi e nuovi nella formazione della Chiesa Cattolica. » al periodo della fissazione dell’elemento apostolico. ai cicli nella genesi della regola cattolica di fede; s'intrattiene a lungo sulla trasformazione della confessione battesimale in redola apostolica di fede, sugli scritti destinati a(l esser letti nelle chiese come scritture neo - testamentarie, sulla trasformazione nella chiesa dell’ufficio e-piscopale in ufficio apostolico: indi si ferma a parlare delle origini del Montañismo, dei vari concetti di Chiesa e termin questa prima parte così:
« Il vescovo di Roma dovette lottare per acquistarsi una nuova autorità che, per esser basala sur una teoria puramente dogmatica e costretta a ripudiare ogni fondamento empirico, non era più coerente col sistema ecclesiastico che la chiesa di Roma più di tutte le altre a-veva aiutato ad erigere. La proposizione: « la chiesa romana ebbe sempre il primato » (ecclesia romana semper ha nuil primatum) e V affermazione che « cattolico » significa implicitamente « cattolico romano » i una grossa finzione, se
viene adoperata in onore dell' occupante temporaneo della sede di Roma, staccandola dal significato che la città eterna possiede nella storia profana ; ma, applicate alla chiesa della capitale dell' impero, possiedono una verità, la negazione della quale equivale a rinunciare al tentativo di spiegare il lavorio per il quale la chiesa venne unita e cattolicizzata ».
Questa non è che la conclusione logica di quanto ha fedelmente esposto.
La seconda parte, nella quale F A. sì occupa della « Fissazione e graduale-ellcnizza z ione del cristianesimo in quanto sistema di dottrina, » abbraccia i capitoli : Cristianesimo ecclesiastico e filosofìa. Gli apologisti. — Origini di un' interpretazione e revisione teologico - ecclesiastica della regola di fede in opposizione allo gnosticismo, sulle basi del Nuovo Testamento e della filosofia cristiana degli apologisti: Melitene, Ireneo, Tertulliano, Ippolito, Novazione. -- Trasformazione della tradizione ecclesiastica in filosofìa della religione, ossia origini della teologia scientifica e dogmatica- della Chiesa. —
Sono tre capitoli poderosi e d’un valore inestimabile.
Questo volume, non "meno di quello che lo ha preceduto e dei cinque che lo seguiranno, sarà di grande utilità a chi segue con interesse lo svolgersi della cultura religiosa.
F. G. LO-BUE
I grandi santi.
FURIO LENZE I grandi Santi, Voi. di pag. 62 — Federazione Italiana per la Cultura. Religiosa — Roma 1912.
L' A. molto modestamente dice nella avvertenza che questi studi su alcuni dei più grandi Santi, che influirono in un modo caratteristico e personale sulla vita della Chiesa, non sono fatti per gli studiosi, ma per la generalità del pubblico moderno. Ma, poiché lo stesso A. scrive che ha voluto prendere e trattare il lato più dibattuto e più incerto della vita di ognuno di essi, è evidente che gli stessi studiosi possono da questo piccolo libro composto amorosamente e bene documentalo. trarre non poco giovamento.
I grandi Santi, di cui in queste pagine si ragiona, sono S. Francesco d’ Assisi. S. Domenico di Guzman. S. Calori-
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na da Siena, S. Teresa di Gesù, S. Ignazio di Loyola.
L’A. afferma che ha scritto con il più grande rispetto per quelle grandi persone. E’ vero. Ma non possiamo assolutamente condividere l’opinione che « (fucile grandi persone segnarono nella storia del mondo un passo avanti ». Il mondo - crediamo — avrebbe progredito ugualmente, anche se nessuno di quei Santi fosse apparso sulla faccia della terra. Nessuno di essi ha lasciato un’orma visibile nel cammino della civiltà, neppure Francesco di Assisi, il quale, come <r altronde lo stesso A. dimostra, non può essere posto ad antesignano delle rivendicazioni sociali odierne.
E’ evidente che il Lenzi è stalo spinto dal suo grande rispetto « per quelle grandi persone Che segnarono nella storia del mondo un passo avanti ». ad esagerare 1’ azione loro, oppure ad attenuare qualche aspetto non mollo simpatico della loro vita ed apostolato. Così si dica di S. Domenico consenziente alle i-naudite violenze commesse cóntro gli Al-bigesi, le dottrine dei quali sono descritte dall’ A. con manifesta esagerazione, mentre la loro superiorità spirituale e morale, come scrive lo storico Chastel, s’imponeva agli stessi avversari. Ma l’A. vuole, seguendo l'esempio del Luzzatli. assolvere le inquisizioni, senza rifletterò che Gesù Cristo aveva già condannalo, parecchi secoli innanzi, ogni violenza ogni intolleranza.
Così si dica ancora, di S. Teresa, la cui azione riformatrice avrebbe addirittura vinto in Ispagna quella di Lutero.
Ciò non è. La riforma di Lutero non fu schiacciata in quel paese da una donna, ma dall’intolleranza della Chiesa e dello Stato, l’una e f altro umilissimi servi della Santa Inquisizione.
Fatte queste riserve, le pagine del Lenzi si leggono con molto interesse, e dimostrano una estesa cultura storicaENRICO MEYNIER.
I Padri della chiesa.
E’ questo il titolo di una pubblicazione mensile diretta dai proti. Sac. Doti. Paolo Ubaldi e Sac. Doli. Giusep eSlois-sa, 1 quali si sono proposti di offrire al pubblico studioso la traduzione italiana delle opere dei Padri della Chiesa Greca e Latina.
Abbiamo ricevuto i primi fascicoli: l’aspetto loro é sim; eticissimo. L’edizione è nitida, accurata. Sinora sono stati pubblicali : 11 Pedagogo di Clemente Aless. (lib. Il e HI): L’Epistola a Diognete (già attribuita a Giuslino); l Maccabei, omiVui di s. Gregorio Nazianzeno; rOciavrusdi Mi-nucio Felice; La Prescrizione cembro gli Eretici, di Tertulliano.
La’ pubblicazione esce in fascicoli mensili in So di pag. 120circa: Abbonamento annuo per l’Italia L. 15 e per l’Eslero L. 18. Rivolgersi: Genova. Piazza Umberto !.. N. 22.
Prossimamente pubblicheremo recensioni dei vari fascicoli.
Iva Riforma
LICURGO CAPPELLETTI. La Riforma,; voi. di pag. XXIV — 518. con 21 fotoincisioni — Prezzo L. 6. — Fratelli Bocca editori.
I nostri lettori conoscono già di questo nuovo volume del chiaro storico il cap. Vili del libro primo pubblicato per gentile concessione dell’Autore e degli Editori, nel precedente fascicolo di Bily-cbnis (pag. 126-138). Potremmo già dirne qualcosa: ma la bell’opera merita qualcosa più che un giudizio fatto di prime impressioni. E su essa uno dei nostri col-laboralori scriverà con competenza nel prossimo ¿fascicolo uno st udio diligente e sereno.
[ÀRCHÉOLÒGIAl
L. PASCHETTO. Ostia-Colonia. Romana. Storia e monumenti. Prefazione di D. Vaglieli. direttore degli Scavi d*Ostia. Opera premiala ed Edita dalla Pontificia Accademia Romana d’Archeologia. — Roma tipogr. Vaticana, 1912.
Voi. in 80 grande di pag. XV-593 con tre tavoli: fuori testo e 160 illustrazioni. Prezzo L. 30.
Dei quindici capitoli che compongono l’opera, due riguardano la religione: il quinto (Culti e Sacerdozi) e il dodicesimo (Edifìci Sacri).
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Col 15 giugno c. a. ha iniziato le sue pubblicazioni (in Palermo) // Corbaccio, periodico quindicinale di letteratura e filosofia.
« Sarà combattivo, ma rifuggirà dalle sterili polemichette e dai pettego- -lezzi personali : chè al disopra d' ogni persona ci dev’ essere la Verità. E per essa bisogna combattere sia nel campo dell’ arte che in quello della filosofia ». E' stato chiamato a dirigerlo il Prof. Francesco Biondolillo, nostro egregio collaboratore. — Il primo numero contiene un articolo di fondo di Guido Ferrando sul Bergsonismo e il misticismo, articoli di G. Pitrè, E. Cardile, G. A. Cesareo : un estesissimo notiziario di letteratura, filosofia e poesia i-taliana e straniera e numerose note bibliografiche su Menandro, Croce, Co-lozzo, ecc. — (Abbonamento annuo L. 3 — Amministrazione : Via Alloro 48 — Palermo). — Auguri sinceri di lunga e prospera vita!
La sera del 5 giugno è partito per l’America del sud l’on. Romolo Murri. Egli resterà sei mesi nell’Argentina e nel Brasile svolgendo un ciclo di conferenze.
Nel prossimo autunno e precisamente tra il 9 e il 16 ottobre si terrà in Roma il HI Congresso internazionale di Archeologia.
Diramata appena una prima circolare sono giunte in pochi giorni oltre 300 adesioni, tra cui notevolissime dalla Germania, dall 'Austria, dall’ Inghilterra, dalla Francia, dalla Russia, dagli Stati Uniti, dalla Grecia dalla Svezia, dal-I’ Ungheria e si sono costituite dieci sezioni : archeologia preistorica e protostorica, orientale, preellenica, italica ed etrusca, storia dell' arte classica, antichità greca e romana, epigrafia e papirologia, mitologia e storia delle religioni. topografia antica, archeologia cristiana nei riguardi dell’arte classica, organizzazione del lavoro archeologico. Per 1’ occasione l'Esposizione archeologica alle Terme Diocleziane sarà ria-, perta con nuovo materiale tanto che ne risulterà raddoppiata.
Intanto si darà nuovo incremento a scavi e ricerche: 1. sul Palatino; 2. alle Terme di Caracalla entro la Zona monumentale (Passeggiata archeologica); 3. ad Ostia, la più singolare città industriale dell’ antichità e il meglio conservato porto cosmopolita di Roma
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NOTIZIE 31 ì
imperiale; 4. a Pompei, ove si stanno facendo importanti ritrovamenti ; 5. a Cére, la città etrusca, nella cui necropoli sono apparse nuove grandi tombe sfuggite alle ricerche dei precedenti esploratori ; 6. in Sardegna, ove si pone in luce una intera città nuraghica.
I Buddisti del Giappone hanno di recente organizzato una società per le donne come quelle esistenti nei paesi Cristiani.
Il famoso leadet religioso Persiano, Abdul Baha, si trova adesso in America. Egli sta facendo una serie di conferenze sulla pace universale e viene ascoltato volentieri da tutte le classi. Egli è pure il capo del movimento Ballista in Persia che conta ora più di due milioni di credenti. Pare che il movimento sia assai serio, dato il buon numero dei seguaci ed i buoni principi fondamentali sui quali è basato. Il duce è molto liberale e s’ affratella volentieri coi seguaci di qualsiasi fede o confessione. Questa nuova fede è la sintesi della etica migliore ed ha per centro 1’ amore e la benevolenza degli uomini mentre insiste su altri principi come il servizio al prossimo, il perdono, 1' amicizia con Dio, 1’ unità di tutte le confessioni, l’abrogazione delle distinzioni di razza e la fratellanza tanto delle nazioni quanto degli uomini. Per ora la pace universale è la caratteristica principale della nuova fede.
L’Islam si desta di giorno in giorno. L’agitatore Al Afghani ha ultimamente percorso tutti i paesi maomettani gridando a tutti, specialmente ài giovani : « Imparate, l’ignoranza è una vergogna ! »
Queste parole sono divenute il motto dei musulmani. Si vedono scritte
sili muri dei villaggi é delie città della Siria e di altri paesi maomettani. I giornali e le riviste le ripetono ovunque. In molti luoghi si vedono già i benefici frutti di tale propaganda. El Azhar, al Cairo, la più importante università Maomettana nel mondo, sta modernizzandosi, progredendo ogni giorno. Essa fu fondata nel 1000 D. C. e conta ora 12.000 studenti. Comizi per la maggiore istruzione dei seguaci di Maometto si tengono spesso in Bombay, in Calcutta ed altrove. Sorgono frequentemente giornali e riviste. Di certo il mondo si muove, ma verso che mèta ?
Il Giappone si è fatto grande per mezzo del sapere e dell' arte degli occidentali. Ora pare che esso non sia più contento dei beni materiali ottenuti dal-1’ estero. I Giapponesi stanno cercando una base morale più solida e più duratura di quella offerta loro dalle loro attuali religioni. Il ministero dell’ Interno ha radunato ultimamente i rappresentanti delle tre religioni — lo Shintoismo, il Buddismo ed il Cristianesimo — per formare, se sarà possibile, un’ unione più stretta collo stato. Il Dott. Jugoro Chiba della scuola Teologica Battista di Yokohama fu uno dei sette Cristiani che fecero parte della Conferenza. Questo movimento predice più tolleranza per i Cristiani, ma 1’ timone collo stato non potrà mai essere un bene per la chiesa di Cristo.
La Bibbia è per eccellenza il libro del mondo, come risulta dai seguenti fatti : Vi sono 80.000 uomini nei diversi paesi evangelici che si danno volonterosamente allo studio della Bibbia. I membri della società « Baracca » per lo Studio biblico 1' anno scorso salivano a 350.000. La società Y. M. C.A. aveva 97.332 studenti biblici. In 490 diverse
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scuole agli Stati Uniti 28,562 studenti seguirono corsi biblici nell’anno 1911. Nelle Scuole Domenicali di più di 50 nazioni 28,011,199, fanciulli, giovani e adulti, stanno studiando la Bibbia !
Canton è divenuto il centro del movimento progressista in Cina. La città ha già dato al mondo uomini come Sun Jat Sen, Wu Ting Fang e Tung Shao Yi, il primo ministro. La preminenza di Canton è dovuta in gran parte all’influenza del Cristianesimo che ha avuto i suoi più grandi successi nella Cina meridionale. Molti ufficiali dello stato sono cristiani benché il loro numero fin d’ora sia solo di 6000 su una popolazione di un milione. Gli studenti del Collegio Cristiano di Canton raccolsero più di 200,000 lire per le spese della istruzione nella nuova repubblica.
In un sobborgo di Pietroburgo che si chiama Lisnoie sarà stabilito il nuovo collegio Evangelico Battista. Esso si troverà nelle vicinanze dell’ università eh’ è frequentata attualmente da più di sei mila studenti.
In Germania si esplica una propaganda sistematica per indurre il popolo tedesco a lasciare la chiesa nazionale, affinchè il governo sia costretto a compiere la separazione fra Chiesa e Stato. A capo di questo movimento è il Prof. Gurlitt, il quale viene appoggiato dall’ organo dei liberi pensatori Das Freie Worl. Dal tempo di Costantino in poi l’unione dello Stato con la Chiesa è stata di grande ostacolo all’esplicazione della missione spirituale della chiesa stessa. Venga presto il giorno in cui la chiesa sarà libera come Cristo vuole!
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