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Anno 121 n. 34
6 settembre 1985
Numero speciale L. 1.000
Sped. abbonamento postale
Gruppo 1 bis/70
In caso di mancato recapito rispedire
a: casella postale - 10066 Torre Pellice
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
CONCLUSO A TORRE PELLICE IL SI NODO DELLE CHIESE VALDESI E METODISTE
C’è oggi un rinnovato interesse per quanto i credenti fanno e dicono. I giornali, la radio, ^a televisione riportano le
opinioni e le iniziative delle
chiese. Amici e avversari quando ci incontrano vogliono sapere
la nostra posizione di evangelici, di valdesi e metodisti, su
questo 0, su quell’argomento.
Massima è la concentrazione
di domande quando è in corso
il nostro Sinodo, i cui temi
sono amplificati (e a volte distorti) dai mezzi di comunicazione di massa.
Così siamo sollecitati a dire
la nostra su una quantità di
questioni etiche sia private che
pubbliche: i rapporti interpersonali, le tossicodipendenze, lo
stato etico e lo stato di diritto,
la guerra e la pace, le relazioni
razziali, ecc.
Quello che ci chiedono amici
ed avversari non è solo di avere una posizione, un’idea su
un argomento, su un problema, ma anche di spiegare i
nessi che ci sono tra il nostro
dire, la nostra predicazione
pubblica, e il nostro agire quotidiano.
Oggi il nesso tra predicazione e azione è problematico. Si
passa da affermazioni di tipo
radicale a impegni pratici ben
più modesti. Non che altrove
la situazione sia molto diversa:
i militanti dei partiti, dei sindacati, dei vari movimenti sono
capaci anch’essi di affermazioni radicali aU’intemo delle loro strutture e di compromessi
più o meno grandi nella loro
vita quotidiana. Tutte queste
organizzazioni sono alla ricerca
di soluzioni per ovviare al problema.
Dovremo perciò anche noi
ricercare una mediazione pratico-organizzativa tra quanto viene
detto e ciò che potrebbe essere
concretamente fatto?
E’ certo che uno sforzo in
questo senso va fatto. Attorno
ad alcune parole, attorno ad alcune risoluzioni del nostro Sinodo (penso ad esempio a quella
che ci imxjegrna al boicottaggio
dei prodotti e delle banche che
investono nel Sud Africa) va
creato il consenso necessario
nelle varie assemblee che costituiscono il tessuto democratico
della nostra organizzazione ecclesiastica.
Sarebbe però un errore incatenare, chiudere, subordinare
alle nostre mediazioni organizzative la Parola. Le nostre chiese sono chiese della Parola e
debbono sforzarsi di affermarne
la radicalità, la novità rispetto
al passato. Orto ricordiamoci
che « chi parla in altra lingua
non parla agli uomini, ma a Dio;
poiché nessuno l’intende, ma in
spirito proferisce misteri. Chi
profetizza invece parla agli uomini in un linguaggio di edificazione, esortazione e consolazione. Chi parla in altra lingua
edifica se stesso, ma chi profetizza edifica la chiesa (...). Se
non proferite un parlare intellegibile, come si capirà quel
che dite? Parlerete in aria. Ci sono nel mondo tante e tante sp^
eie di parlari e nlun parlare è
senza significato» (I Corinzi 14: 2-4, 9-10). La nostra ricerca va in questo senso.
Giorgio Gardiol
Come stare in questo Stato?
Un tema istituzionale (Ji grancie respiro al centro (del dibattito di quest’anno: il rapporto tra
una confessione religiosa di minoranza e lo stato moderno nelle sue complesse articolazioni
Il Sinodo ha concluso i suoi lavori. Dico subito un'impressione
a caldo: una ricerca appassionata del senso delle cose comuni,
del senso della Chièsa; un consenso delle opinioni, né scontato,
né automatico, difficile a costruirsi senza appiattimenti, nella diversità. Il senso delle cose,
il consenso delle opinioni; capire
e crescere insieme, ima grande
fatica collettiva, che ha unito delegati, pastori e laici, in una settimana di dibattito sul filo di una
tensione sempre desta.
Da qualche anno i massmiedia
ci riservano un’attenzione crescente: quale immagine si restituisce di noi stessi ad un’Italia
divenuta benevola e paziente verso tutte le ’’diversità”? Difficile
dire cose che abbiano senso.
Tutti gli anni c’è un problema
sul quale si accendono, per così
dire, i riflettori del Sinodo, e si
polarizza l’attenzione. Io credo
che la discussione di quest’anno
abbia ruotato sostanzialmente attorno ad un unico interrogativo:
come stare in questo Stato, un
tema istituzionale di grande respiro, il rapporto tra una confessione religiosa di minoranza e lo
Stato moderilo nelle sue complesse articolazioni. Un tema che
proviene da lontano nella sua
densità teorica e teologica, ma
che oggi, nell’attualità della situazione italiana, riceve specificazioni nuove ed implicazioni di
grande complessità.
Anche perché l’esempio di altri
paesi, dove pure storicamente
questo rapporto si è posto, non
sempre può essere chiamato in
causa per la specialissima condizione di privilegio di cui ha goduto nel nostro paese la Chiesa cattolica, gettando le basi di un’ipoteca confessionale senza precedenti.
E’ con questa diversità, con
questa ’’anomalia” italiana che
da anni facciamo i conti.
Finanziamento
pubblico
Uno dei problemi che più ha
fatto discutere il Sinodo di quest’anno nasce dall’ipotesi, proposta in Parlamento, di estendere
alle confessioni religiose diverse
dalla cattolica, il sistema di finanziamento previsto per la Chiesa cattolica dal nuovo Concordato. Se scontato e unanime è stato
il consenso a rifiutare finanziamenti per fini di culto o attività religiose (non si propaganda — si è detto — a spese di
tutti i cittadini, una visione confessionale particolare), aperta è
rimasta invece, e demandata allo
studio delle comunità locali, la
possibilità di destinare una quota dell’otto per mille deH’IRPEF
per fini sociali o ner il terzo
mondo.
Un’immagine per la verità fa
Apertura del
Sinodo: il corteo
lascia la Casa
valdese per
recarsi al tempio.
stidiosa di questa discussione è
rimbalzata nella descrizione di
alcuni giornali: uno schematismo miope presenta il problema
più o meno così: il Sinodo discute di soldi, lo fa con disinvoltura,
tutto sommato senza troppi complessi. In questo scenario somma
UN REGIME CHE IL SINODO HA DEFINITO ANTI EVANGELICO
Neirinferno deirapartheid
Mai come ora siamo colpiti
da tante notizie clamorose ©
sconcertanti che danno, anche
ai più disattenti, l’immagine
della realtà tragica del Sud
Africa. Tuttavia la comprensione di quella realtà resta assai
difficile per chi non abbia potuto addentrarsi nei modi in cui
la dottrina dell’apartheid si concretizza quotidianamente. Cercheremo quindi di dare rapidamente qualche punto di riferimento per facilitare una qualche comprensione del fenomeno.
Si tratta di un progetto ambizioso ed a lungo termine: quello di evitare la contaminazione
della razza bianca, in una struttura che garantisca la sua supremazia inattaccabile e definitiva, utilizzando la massa africana quale materia piegata al
lavoro, indispensabile supporto
per il mantenimento della ricchezza che fa grande la nazione
bianca. Il mezzo più agevole
per il controllo di questa massa
nera è raccoglierla in sacche
apribili e chiudibili a piacimento.
Le sacche sono le Homelands,
cioè le riserve, e le townships,
cioè gli agglomerati in prossimità delle città. La regola è quella di sbarrare a questa massa
nera ogni via di accesso ad una
SUD AFRICA
Il Sinodo,
angosciato per la situazione del
Sud Africa, preoccupato per II suo
aggravarsi di giorno in giorno, condivide l'impegno delle Chiese e
di ogni altro organismo o individuo che in Sud Africa combattono il regime dell'apartheid e lottano per costruire dei rapporti di
giustizia nell'eguaglianza di tutti
gli uomini;
invita le chiese valdesi e metodiste ad appoggiarli in questa azione:
— accompagnando con la preghiera le sorelle e I fratelli del
Sud Africa,
— raccogliendo fondi per sostenere la loro lotta per la libertà e
la dignità umana,
— stimolando e dando la propria
adesione alle iniziative di solidarietà con le vittime dell'apartheid;
invita ogni singolo membro di
chiesa a;
— rifiutare qualsiasi appoggio, anche indiretto, al regime razzista
di Pretoria evitando di acquistare i prodotti provenienti da
quel paese,
— ritirare, in sintonia con le decisioni del CEC, i propri depositi
da quelle banche che fanno investimenti in quel paese.
riamente descritto, si fronteggiano 2 posizioni contrapposte: l’intransigenza radicale di chi vede
un’insidia ad ogni passo, il pericolo di piombare nella logica
concordataria che si è voluto respingere nelle Intese; la piattezza pragmatica (un sano pragmatismo — è stato scritto ) di chi
dice: soldi a tutti — perché no
anche a noi. Al centro, come interlocutore, uno Stato flessibile,
tendenzialmente pluralista, pronto a estendere privilegi nuovi per
legittimare i vecchi e possibilmente chiudere la bocca a tutti.
Il dibattito, per la verità, ha
mostrato ben altro respiro, arricchito, come è stato, non solo da
un’ informazione puntuale sugli
aspetti tecnici di questioni alle
volte assai intricate, ma anche
da suggestive linee di orientamento generale.
Non si tratta di scegliere tra
settarismo radicale e opportunismo di piccolo cabotaggio. Il problema è collocarsi a pieno titolo
in questo Stato che si vorrebbe
laico, non pluriconfessionale. Il
problema è cercare uno spazio
senza chiedere privilegi.
Occasione
o tentazione?
Più complesso ancora appare
il capitolo dell’insegnamento del
Rosanna Nitti
(continua a pag. 2)
produzione in proprio dì beni,
che la renderebbe autosufficiente,
economicamente e culturalmente (l’apprendimento culturale è
un altro accesso all’autosufficienza economica), distraendola
dalla sua funzione di supporto
alla gloria bianca. I modi che
conducono a questo fine sono
studiati in un corpo di leggi
base ed in una miriade di altre
che minuziosamente codificano
quasi ogni atto. In quanto ai metodi, ne ricordiamo solo alcuni.
Le Homelands, le riserve, sono
ubicate in zone prive di risorse
dove manca perfino l’acqua (in
alcuni casi sono stati deviati i
corsi d’acqua). L’appartenenza
alla Homeland è decisa d’autorità in base alla lingua parlata
e, in milioni di casi, aU’insaputa
Febe Gavazzati Rossi
(continua a pag. 14)
Predicazione
d’apertura
A pagina 8 e 9 il sermone
del culto di apertura del Sinodo tenuto dal pastore Guido Colucci.
2
2 speciale sinodo
6 settembre 1985
INTERESSANTI RISULTATI DI UN’INDAGINE
Chi sono i membri
laici dei Sinodo
Invece di una sernplice statistica per conoscere i connotati essenziali dei membri laici del Sinodo — la variabile meno conosciuta rispetto al Corpo pastorale le cui sole novità sono costituite di anno
in anno dalle nuove leve che vi si aggiungono — abbiamo voluto tentare un’indagine un po’ più approfondita sottoponendo ai laici dieci
domande sui loro connotati e una sulla loro valutazione del Sinodo.
Ne è risultato un quadro interessantissimo su cui — non avendo ancora l’Eco-Luce un computer — in questa sede possiamo soltanto abbozzare un discorso. Pensiamo che la sede più adatta per proseguirlo
sarà il lavoro della Commissione che è stata nominata dal Sinodo
per studiare « le carenze e gli inconvenienti che da più anni si lamentano nell’andamento dei lavori sinodali », a cui passeremo il
materiale raccolto.
« L’altra faccia
del Sinodo »
Notiamo per prima cosa che
salvo una risposta di un ospite.le
altre 62 risposte sono di membri
con voce deliberativa. Poiché il
totale dei membri laici con voce
deliberativa era di 90 si può concludere che le .risposte ricevute
sono ampiamente rannresentative della componente laica del Sinodo.
Tra i dati minori dell’inchiesta appare che la parte laica del
Sinodo è in prevalenza maschile
(il netto prevalere degli uomini
contrasta con una certa prevalenza femminile nella vita attiva
delle chiese), di mezza età (se si
scorpora il 16% degli ultra sessantenni, il resto è equamente
suddiviso in un 43% sotto e un
41% sopra i 40 anni), nordica (il
già rilevante dato del 35,5% del
nord diventa un 66% assommato con le Valli), di classe media
(con una metà rappresentata da
impiegati, studenti e insegnanti,
con l’assenza totale di agricoltori
e appena T8% di operai e artigiani), impegnata nella vita della
chiesa (il 45% sono membri dei
concistori e consigli di chiesa;
molti altri ministeri sono indicati; chi non risponde alla domanda rappresenta il 14,5%).
Un dato interessante è costituito dalla provenienza ecclesiastica. E’ logico che alle Valli la
provenienza dei membri sia quella di famiglie valdesi (o miste in
cui prevale la linea valdese); ma
scorporando la diaspora la provenienza è molto più variegata.
Solo il 50% proviene da famiglia
della chiesa di appartenenza (o
mista) e il 17% da altra chiesa
evangelica; mentre il 26% proviene dal cattolicesimo e il 7% da
ambiente agnostico.
Le « forze nuove » sono dunque
abbastanza presenti nel Sinodo,
anche se non è possibile dire se
rispecchiano adeguatamente la
situazione di base delle nostre
chiese.
Forte ricambio
Ma i dati più interessanti vengono dalla « anzianità » dei laici
membri del Sinodo e dalla loro
valutazione del Sinodo stesso.
Si dice qualche volta che al Sinodo vanno sempre le stesse persone. Niente di più errato. Ben
il 42% dei laici che hanno risposto al questionario erano membri per la prima volta. Solo il
27% è costituito da « veterani »
con diverse partecipazioni negli
ultimi 10 o 20 anni. Tre quarti
della parte laica del Sinodo ha
dunque un massimo di 3 esperienze sinodali al proprio attivo.
Vediamo più da vicino il gruppo dei « nuovi membri ».
Sono metà uomini e metà donne, il che modifica leggermente
ma in modo sensibile la percentuale generale rispettivamente
del 62 e del 38%; segno che nelle
chiese, cambiando deputato (e, in
Sinodo, scegliendo i membri delle
Commissioni sinodali amministrative e delle Commissioni d’esame), si tende ad una scelta un
po’ meno maschilista.
Naturalmente i nuovi membri
sono in prevalenza giovani. Tutti
i nuovi membri sotto i 25 anni
appartengono a questo gruppo,
ma non ne sono il gruppo più
consistente formando il 27%; il
35% sono tra i 25 e i 40 anni e
ugualmente un altro 35% è tra i
40 e i 60; il 3% è oltre i 60 anni.
Non è mai troppo tardi per cominciare.
Salvo un caso trelativo a un
membro con 2-3 esperienze sinodali), sono questi « neofiti del Sinodo » che costituiscono quel
Incarichi per il 1985-86
TAVOLA VALDESE — Giorgio Bouchard, moderatore; Gianni
Rostan, vicemoderatore; Valdo Benecchi, Bruno Bellion,
Giulio Vicentini, Oriana Bert, Giorgio Spini, membri.
OPCEMI (Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia) — Sergio Aquilante, presidente; Aurelio Sbaffi, Gian
Paolo Ricco, Bruno Loraschi, membri.
FACOLTA’ VALDESE DI TEOLOGIA — Bruno Corsani, decano;
Sergio De Ambrosi, Giorgio Rochat, Franco Sommani,
Paola Benecchi, membri.
CIOV (Commissione Istituti Ospitalieri Valdesi) — Alberto
Taccia, presidente; Valdo Fomerone, Marcella Gay, Emanuele Bosio, Giorgio Peyrot, Ugo Zeni, Antonino Pizzo,
membri.
COLLEGIO VALDESE — Marco Ayassot, Marco Gay, Marco
De Bettini, Giancarlo Griot, Ive Theiler Gardiol, Gabriella Ballesio, Fabrizio Malan.
COMMISSIONE D’ESAME sull’operato della Tavola, delTOPCEMI e del Consiglio della Facoltà di teologìa — Claudio
Martelli, relatore; Marco Rostan, Luciano Deodato, Ugo
Zeni, membri.
COMMISSIONE D’ESAME sull’operato della CIOV — Claudio Pasquet, relatore; Giovanni Ghelli, Giorgio Gardiol,
Marco Ayassot, membri.
PREDICATORE per il culto di apertura del Sinodo 1986 (24
agosto) — past. Bruno Corsani (supplente past. Bruno
Tron).
PRESIDENTE del Sinodo 1986 — Designato il past. Giorgio
Girardet.
14,5% di membri che, in sede locale non esercitano un ministero
specifico. Secondo la statistica
si può prevedere che prima ai
arrivare alla loro 2“ o 3“ esperienza sinodale avranno trovato
modo di inserirsi maggiormente
in un impegno a livello locale.
Molto interessante è anche la
valutazione che i nuovi membri danno della foro prima esperienza. Come vedremo fra poco è
più positiva rispetto a quella degli altri membri.
Valutazione positiva
In generale la valutazione del
Sinodo è nettamente positiva. Se
si sommano le risposte che hanno indicato « molto positivo »
(21%) e quelle che hanno scelto
«abbastanza positivo» (66%) si
ha un 87% contro un 13% del
« piuttosto negativo » o « negativo » (solo una risposta). Disaggregando queste risposte in riferimento alla « anzianità » di partecipazione, si ha questo quadro;
I dati del questionario
62 risposte di membri con 6. Residenza
voce deliberativa su 90; 69%. Sud 18
Risposte riferite in percen- Centro 14,5
tuale. Nord 35,5
Valli 30,5
1. Membri del Sinodo a titolo Estero 1,5
ui: deputato chiese/circuiti 87 7. Chiesa appartenenza
delegato Conf. distrett. 3 Valdese 71
Comm. sinodali ammin. 3 Metodista 26
Commissioni d’esame 7 Libera 1,5
Altra 1,5
2. Partecipazione:
per la prima volta 42 8. Provenienza evangelica
per la 2“-3‘ volta 31 nato nella eh. di appart. 65
più volte nell’arco 10-20 in altra eh, evangelica 12
anni 27 dalla eh. cattolica 18
da ambiente agnostico 5
3. Età
sotto i 25 anni 13 9. Ministero esercitato nella
2540 anni 30 propria chiesa
40-60 anni 41 membri concistoro/consi-
oltre 60 anni 16 glio di chiesa 45
altri ministeri 40
4. Sesso senza indicazione 15
Maschi 62
Femmine 38 10. Ministero in ambito non
locale
5. Professione Membro CED 3.5
Operai 6,5 Membro Cons. Circuito 14,5
artigiani 1,5 altri ministeri 21
impiegati 26 senza indicazione 61
professionisti 10
imprendit. e commerc. 5 11. Valutazioni
studenti 5 molto positivo 21
insegnanti 20 abbastanza positivo 66
casalinghe 8 piuttosto negativo 11,5
pensionati 18 negativo 1,5
1" volta molto posit. 54 abbast. posit. 40 piuttosto neg. 29 negativo
2“-3“ volta 31 25 57 100
oltre 15 35 14
Totale 100 del 21% 100 del 66% 100 del 11,5% 100 del 1,5%
Se ne deduce che i « neofiti »
sono i più entusiasti con più della metà dei « molto positivo » ed
essendo in testa anche nella valutazione positiva più attenuata.
I più negativi sono i membri alla
loro 2“ o 3” esperienza; mentre i
« veterani » si tengono nel giusto
mezzo. I « veterani » contribuiscono soprattutto alla moderata
valutazione di « abbastanza posi
tivo » mostrando, come è logico,
minore entusiasmo, ma anche —
col passare delle esperienze sinodali — minori delusioni.
E’ importante notare un dato
relativo ai « nuovi membri ». Per
la valutazione avevamo indicato
tre aspetti del Sinodo; a) esperienza spirituale (comunione fraterna, culti, spirito del Sinodo,
incontri e scambi con altri, ecc,);
b) contenuti e argomenti; c) modo di svolgimento dei lavori (organizzazione, Dossibilità di partecipazione, comprensibilità, ecc.).
Tra coloro che hanno specificato
il loro giudizio con riferimento
a questi tre aspetti, 1’« abbastanza positivo » è stato specificato
dai nuovi membri in questo modo;
riormente le risposte e i suggerimenti. Ci limitiamo, concludendo, a riportare uno tra i giudizi
più negativi e uno tra i più positivi.
Un valdese « veterano », insegnante tra i 40-60 anni, del nord
scrive;
« Il Sinodo è forse la più autentica assemblea che ci sia in
Italia, ma: governa poco, è troppo "convegno"; ci sono troppi temi che non riguardano la vita
delle chiese e l’operato degli esecutivi; ci sono troppe ore per i
messaggi; è troppo investito da
una "atmosfera” da grossi inter
venti per cui la gente semplice è
intimidita a parlare; è condizionato dalle attese della stampa; è
impreparato a tradurre in decisioni i discorsi; è chiamato a controllare cose troppo complesse
( tramite le commissioni d'esame) ».
Una metodista alla sua 2“ o 3“
esperienza, artigiana, pure tra i
40-60 anni, del nord scrive;
« Il mio desiderio sarebbe che
questa esperienza (che ti toglie
dal tuo piccolo mondo) venisse
vissuta da tutti i miei fratelli di
chiesa per ottenere la ricarica
che provo io e che voglio trasmettere loro con l’entusiasmo
necessario per riprendere il lavoro che Cristo ci chiama a compiere ».
Franco Giampiccolì
Come stare
in questo Stato?
positivo negativo
a) 87,5 12,5
b) 62,5 37,5
c) 25 75
Una uguale tendenza si nota
nelle valutazioni dei membri alla
loro 2“ o 3" esperienza che hanno
dato un giudizio di « abbastanza
positivo ». Nella totalità delle
risposte, chi ha aggiunto giudizi
al di là delle crocette poste nelle
caselle, specifica il lato negativo
di un’esperienza peraltro, come
abbiamo visto, positiva; alcuni
identificano il maggiore inconveniente nella verbosità di pochi
(discorsi oltre il limite di tempo,
ripetitività, linguaggi per « addetti ai lavori », ecc.). Diversi vedono piuttosto l’inconveniente
maggiore nell’ organizzazione;
troppi argomenti proposti, impossibilità di prepararsi, soprattutto sconcerto per le troppe discussioni troncate e riprese a distanza di tempo per la votazione
degli o.d.g. Altri ancora hanno
criticato i contenuti lamentando
lo spazio troppo esiguo dato alla
discussione della vita delle chiese.
I limiti di spazio e di tempo
impediscono di specificare ulte
(segue da pag. I)
la religione nella scuola, di cui il
Sinodo ha discusso ampiamente
nel quadro dei rapporti StatoChiesa.
Se non fosse difficile distinguere tra insegnamento confessionale e fatto culturale, sarebbe logico e certamente opportuno arricchire la prospettiva disciplinare
dei diversi insegnamenti con i
necessari apporti che dal "fenomeno religioso” derivano. Ma
come ignorare le ’’preesistenze”? Come ignorare cioè che nella storia della scuola italiana per
anni ha gravato l’ipoteca di una
religione protetta, di un insegnamento confessionale subito e pagato per pigrizia o conformismo
da tutti gli italiani?
La situazione è oggi estremamente fluida. Livelli istituzionali
assai diversi, non facilmente integrabili, si intrecciano nella definizione di questa materia (revisione del Concordato, riforma
della secondaria superiore, nuovi programmi delle elementari,
ecc.).
La facoltatività dell’ insegnamento della religione cattolica
prevista dal nuovo Concordato
mette oggettivamente in crisi un
sistema protetto, lo espone ai rischi di una verifica annuale mediante un’opzione che si vorreb
be il più possibile libera da condizionamenti.
Che fare in questa situazione?
Come muoversi tra le pressioni
della Chiesa cattolica che fa salti mortali perché rientri dalla finestra quel che si è voluto fare
uscire dalla porta, e lo Stato, disposto oggi a concedere a noi
quel che da sempre ha garantito
solo ad altri?
Gli strumenti legislativi per inserirsi nel sistema, per essere
presenti a qualche titolo ci sarebbero (dalTart. 10 dell’Intesa,
ai nuovi programmi delle elementari); ma, questo è il punto, in
quale forma e a quale titolo?
Il dibattito sinodale, fattosi necessariamente molto tecnico per
la complessità di alcune questioni, ha però posto in luce un interrogativo di fondo che può
seccamente rendersi con questa
alternativa; occasione o tentazione?
ri problema è tutto qui, ed è
sempre lo stesso; cercare uno
spazio in questo Stato senza domandare privilegi.
E’ una ricerca in corso. Una
posizione non semplice, la nostra,
né settaria né conformista, che
si gioca sul filo di una rigorosa
coerenza, intorno alla qua'e spenderemo nei prossimi anni il nostro tempo e le nostre energie.
Rosanna Nitti
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6 settembre 1985
Spedale sínodo 3
SOLIDARIETÀ’ CON I NERI SUDAFRICANI E I KANAKI
Con i popoli oppressi
Non è stato certo difficile trovare un accordo sostanziale di
fondo nel condannare senza mezzi termini la politica dell’apartheid (sviluppo separato), praticata dal Sud Africa, e considerata
come una negazione dell’Evangelo. Un po’ più difficile individuare
invece i termini concreti di una
nostra azione: come fare a dare
un sostegno efficace alla durissima lotta che i fratelli e le sorelle
stanno conducendo in quella regione contro l’apartheid? E come
fare a dare un contributo a sciogliere il groviglio di questioni
economiche e politiche, nel quale
ci troviamo nostro malgrado avviluppati anche noi, e che in pratica sostiene il governo razzista
di Pretoria? Ed infine un’altra
questione: esistono, oltre al Sud
Africa, molte altre situazioni di
ingiustizia ed oppressione, per le
quali si spendono poche parole.
Anche queste vanno individuate,
denunciate, ed intorno ad esse va
sollecitata l’attenzione e la preghiera di noi tutti.
Queste le linee, molto in sintesi, che hanno animato il dibattito
sinodale sul Sud Africa. Un dibattito cui han fatto da contrappunto le notizie drammatiche
giunte nei giorni precedenti e
nel corso stesso della serata in
cui se ne discuteva, relative agli
arresti, alle uccisioni, ai processi di personalità note e di gente
comune.
Allo scopo di sollecitare una
presa di posizione del nostro governo sulla drammatica situazione sudafricana il seggio del
Sinodo ha scritto una lettera al
presidente Craxi che sollecita iniziative diplomatiche contro il regime dell’apartheid, l’applicazione delle risoluzioni dell’ONU in
materia e la sospensione dei rapporti commerciali col regime di
Pretoria.
In margine alla discussione sul
Sud Africa, ovviamente in primo
piano, il Sinodo non ha voluto dimenticare il popolo Kanako della
Nuova Caledonia con il quale le
nostre chiese hanno un vincolo di
comunione e di solidarietà.
Negli ordini del giorno, nei
messaggi si è voluto evitare la retorica privilegiando invece la ricerca di dare indicazioni pratiche, attuabili da tutti. Ora sta alle chiese e ad ognuno di noi rendere concreto quanto s’è cercato
di dire.
Luciano Deodato
Civiltà e barbarie
POPOLO
KANAKO
Il Sinodo,
sensibile alla lotia per l'indipendenza del popolo Kanako, esprime
la propria solidarietà alla Chiesa
Evangelica della Nuova Caledonia, esortandola a proseguire con
coraggio sulla difficile strada della non violenza senza rinunciare
ai principi fondamentali della giustizia.
La serata di lunedì è stata dedicata al Sud Africa. Membri del
Sinodo, visitatori e abitanti di
Torre Pellice si sono ritrovati
nel tempio, dove la sig.ra Febe
Cavazzuti Rossi ha presentato
una lunga serie di diapositive
che lei stessa ha scattato durante un viaggio nella Repubblica
sudafricana, più alcune fornitele
dal SACC (il Consiglio delle Chiese sudafricane). Si è avuta una
illustrazione visiva molto convincente della situazione di assoluta miseria delle aree in cui
viene deportata la popolazione
nera che le autorità di Pretoria
decidono di espellere dai loro
antichi insediamenti prossimi
alle città « bianche ». Ne è pure
risultata illustrata la grande dignità della popolazione nera:
non straccioni o gente che si
adatta a vivere purchessia, ma
persone che pur nelle condizioni
di miseria imposte loro dal governo riescono ogni volta a ridare abitabilità, decoro, ordine
e a creare un’atmosfera accogliente nelle casupole di latta
dove il governo impone loro di
vivere, in zone sperdute del pae
se, dopo averli cacciati dai loro
antichi insediamenti e distrutto
le loro case.
Rinunciando a toni melodrammatici e a foto raccapriccianti
di denutrizione o di violenze poliziesche, è stata molto efficacemente documentata la civiltà dei
neri e, per converso, la barbarie
del governo razzista che li opprime.
Le informazioni orali e le statistiche che completavano il quadro hanno sottolineato ciò che
si potrebbe chiamare il sadismo
politico del governo: scuole sistematicamente inferiori per i
neri; trasporti sistematicamente
sgangherati e cari quelli riservati ai neri; collocazione delle
zone di residenza assegnate ai
neri in modo da obbligarli a
lunghissime camminate a piedi
di chilometri e chilometri per poter raggiungere l’autobus, il pozzo, o qualche altro servizio indispensabile alla vita.
Tutto ciò esposto in modo calmo e discorsivo da una testimone oculare.
Aldo Gomba
A SEI ANNI DAL PATTO DI INTEGRAZIONE
Un motore da registrare
Sei anni fa un Patto ha stretto
le chiese valdesi e metodiste in
Italia in una unione strutturata
in un'unica organizzazione globale rispettosa delle particolarità e dei doni delle due componenti delTintegr azione.
Tra coloro che più seguono con
attenzione Tintegrazione non era
affatto una novità che, nel corso
di questi anni, indubbiamente
molto ricchi sul piano della conoscenza reciproca e della feconda
collaborazione, qualche problema
fosse emerso, soprattutto per ciò
che riguarda il funzionamento di
alcune norme del Patto che nell’armonizzare le diversità esistenti nelle due organizzazioni ecclesiastiche non aveva notuto, per
ovvi motivi, prevedere ogni cosa
fin nei dettagli più minuti. Era
dunque necessario un periodo di
sperimentazione, di rodaggio, e
questo periodo è trascorso felicemente, è stato fatto notare da
tutti gli interventi nel dibattito
sinodale dedicato ai problemi
delTOPCEMI (Opera per le Chiese Metodiste in Italia) e dell’integrazione.
E’ giunto dunque il momento
di mettere a punto il motore così
che sia possibile farlo funzionare
al regime migliore, così da evitargli di perdere ogni tanto
qualche battito, di impedire qualche seccante ritorno di fiamma.
Quali in sintesi i problemi emersi sia dalla relazione della Commissione d’Esame che dagli in
terventi (Aquilante, Marco Rostan, Becchino, Trotta, Di Lorenzo, F. GiampiccOli, Bonafede,
Mannelli, Giorgio Bouchard)? Possono forse essere ricondotti a tre
filoni predominanti.
Rapporti ecumenici
Il primo concerne i rapporti
ecumenici che il Patto di integrazione prevede debbano essere curati, in Italia e all’estero, separatamente dalle due componenti: i
metodisti sono i rappresentanti
esclusivamente di se stessi per
esempio nell’ambito della Federazione delle Chiese Evangeliche
in Italia o nel Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra e altrettanto fanno i valdesi negli
stessi e in altri organismi. Se i
risultati di questi rapporti e contatti devono trovare nel Sinodo il
momento di controllo e di verifica è però vero che, per certi
aspetti, le Chiese metodiste non
hanno un momento decisionale
proprio nel quale elaborare tali
linee ecumeniche che, per ipotesi, potrebbero anche non essere
assolutamente identiche a quelle
adottate dalle Chiese valdesi. In
Sinodo la maggioranza dei membri è comunque valdese e perciò
teoricamente la minoranza metodista sarebbe impossibilitata ad
esprimersi in maniera non condizionata se si arrivasse a una
votazione.
Qualcuno ha suggerito, per le
materie previste dal Patto, delle
votazioni separate come già avveniva ai tempi del Sinodo e della Conferenza metodista in seduta congiunta. Del resto ciò già avviene nei Distretti proprio sulle
rappresentanze metodiste nelle
istanze ecumeniche e nei Circuiti
per le rappresentanze metodiste
al Sinodo.
Identità
Il secondo ordine di problemi
può essere collocato sotto il titolo « identità »: le nostre chiese
non hanno voluto una fusione
ma hanno sempre chiaramente
detto che si tratta di un’integrazione che deve arricchirsi dei
contributi e delle qualità specifiche delle tradizioni, delle teologie, delle esperienze delle due
chiese. In questo senso le chiese
metodiste hanno ben impostato
il problema, soprattutto in questi ultimi due anni attraverso
una serie di iniziative come il
convegno di Ecumene e il convegno storico di Milano. Su questa linea si dovrebbe proseguire
per dare un contributo reale alle
comunità metodiste timorose di
perdere il contatto con le proprie origini e la propria storia
e con il movimento metodista
Claudio H. Martelli
(continua a pag. 4)
Sei per caso
un credente?
Come ogni anno, dopo l’elezione
della Tavola il moderatore ha rivolto un messaggio alTassemblea sinodale.
In primo luogo, nel suo discorso
il moderatore ha messo in evidenza alcuni aspetti salienti del Sinodo: la sua capacità di governo, i
suoi culti, il suo rapporto con la
stampa, il suo momento più intenso nella serata sul Sud Africa. E’
quindi passato ad alcune considerazioni sulla Tavola e sugli errori
— quelli veri rilevati dalla Commissione d’Esame e quelli presunti
diffusi da facili dicerie — ad essa
addebitati. E ha cosi proseguito.
Mi sia concesso a questo proposito di formulare un apologo. Nei
tempi classici della democrazia
greca, c’era un uomo di nome Alcibiade. Quando ad Alcibiadèv dicevano: hanno parlato male di te,
Alcibiade rispondeva dicendo: purché parlino di me, non importa.
Fratelli, questo è un ammonimento: volete domani nella Tavola, nell’OPCEMI, nella CIOV, degli Alcibiade? Fate uso abbondante dei
pettegolezzo e li avrete.
Nella nostra tradizione si usa
eleggere non Alcibiade, bensì Aristide. Sapete chi era: un tipo onesto a cui un giorno fu detto: aiutami a scrivere un nome suH’ostrakon, ii coccio che serviva a dare
l’ostracismo, a cacciare gii indesiderati. Aristide, che sapeva scrivere, chiese: che nome devo scrivere? Aristide. E questi non perse
tempo a scrìvere il suo nome sull’ostrakon, se ne andò da Atene.
Ecco, vogliamo forse scoraggiare
i potenziali Aristide della nostra
chiesa?
C’è una terza strada, ed è Pericle. Uomo di grande intelligenza, seppe ad Atene riassumere in
sé tutte ie esigenze di mediazione. Non era né disonesto e superficiale come Alcibiade, né moralista come Aristide. Sapeva che
Atene aveva bisogno di mediazioni e senza paura per trent’anni
strinse ii potere neile sue mani
senza dirio a nessuno. Non c’è
un solo documénto della storia greca che dica che Pericle avesse il
potere. Ma governò Atene per
trent’anni e la condusse a perdere la guerra del Peloponneso che
cominciò, morendo prima che finisse. Credo che il paragone sia trasparente: il nuovo Pericle sarà il
potere episcopale che riassume in
sé quello ohe il BBM vorrebbe, le
contraddizioni e le mediazioni.
lo nutro fiducia nel nostro sistema e nelle nostre anime e sono certo che non vi sarà nessun
Alcibiade, ho qualche paura di Pericle, ma mi auguro che noi possiamo esprimere molti Aristide,
come del resto questo Sinodo a
vari livelli ha saputo fare.
Ultimo punto, un parere. E’ ormai chiaro che il nostro Sinodo
sta nel bel mezzo di un complesso rituale d’autunno che viene incontro ai bisogni della cultura popolare delle Valli valdesi e ai problemi culturali della diaspora evangelìca italiana. Quest'anno è
cominciato il 3 agosto con l'inaugurazione della mostra dì Paschetto e finisce domenica 1° settembre
con II dibattito su « La chiesa valdese di fronte allo stato fascista »
di Viallet. Questi due riferimenti
mi hanno fatto molto pensare, il
Viallet, un libro un po’ duro, per
la verità, parla di come i nostri
predecessori in campo valdese
hanno risposto agli anni difficili. E’
chiaro che noi non viviamo nei
tempi difficili di cui parla Viallet.
La differenza la esprimerei con due
esempi letterari.
Quando le nostre chiese vivevano l’epoca di cui parla Viallet, un
grande scrittore francese, di origine protestante, André Gide, scriveva un libro per noi evangelici
terribile: « Sinfonia pastorale ». Un
pastore evangelico, svizzero, adotta una ragazza, se ne innamora e
il libro finisce con la figlia del pastore che gli anmincia la sua decisione di diventare cattòlica. Era
l’epoca di Graham Greene, di Belloc, gli anni '30, l’epoca in cui
anche Paul Tiliich diceva che il
mondo rischiava di essere diviso
tra il mondo stalinista, quello fascista e quello del potere cattolico.
Secondo me la nostra generazione è caratterizzata da un altro libro, che non è stato scritto da un
credente: « Vita e destino » di Vassili Grossman, un libro bellissimo,
costruito intorno alla battaglia di
Stalingrado. C’è una pìccola postazione dell’esercito russo, la casa
6 bis, circondata dalla Wehrmacht.
La postazione russa è comandata
dal sergente Grecov, un uomo che
non beve, che non bestemmia e
che sa che la sua postazione è
destinata ad essere travolta dall’attacco della Wehrmacht che in quel
momento era ancora nella fase
ascendente. E c’è una bellissima
pagina d’amore: nella casa 6 bis arrivano una radiotelegrafista e un
soldatino che si innamorano. Vedendo che i due si amano, il comandante Grecov, con un pretèsto, li manda via perché sopravvivano. In
questo clima di Stalingrado, uno
degli ufficiali vede questo Grecov
che non beve, non bestemmia, che
non ha paura della morte e gli
dice: ma come mai sei così? Non
sarai mica per caso un battista. Il
libro continua: nell’ultima ondata
dell’artiglieria corazzata tedesca,
la casa 6 bis viene schiacciata e
il comandante Grecov muore con
tutti ì suoi uomini.
Ecco, in questo libro laico è
scritta la nostra chance. Mi appello
ai più anziani tra noi: negli anni
dello scontro tra la Guardia rossa
e le SS chi di noi si sarebbe
aspettato che alla fine di questo
secolo di fronte a un uomo forte,
che sa decidere della vita e della
morte, che sa affrontare una realtà
in modo virile, i laici del nostro
secolo si sarebbero posti come
unica domanda, questa: come mai
quest’uomo è così forte? E’ forse un
battista? E’ forse un credente?
In un senso la triste « Sinfonìa
pastorale » di Gide aveva maggiori
certezze, perché in fondo proponeva thè way back, il tornare indietro verso il Medioevo. L’offerta
che ci fa Grossman è certo meno rassicurante, è soltanto una domanda: sei per caso un credente?
un battista, o un valdese o un metodista? Il segreto cioè del tuo modo di lasciarti sfidare dalla vita e
dalla morte, dalla Wehrmacht e
dai tuoi demoni interni, non è per
caso Gesù Cristo?
La risposta, fratelli, sta in un versetto della lettera alla chiesa di
Smime, nell’Apocalisse, che è citato nell’introduzione alla pittura
di Pacchetto: Queste cose dice il
primo e l’ultimo: lo conosco la tua
povertà... Non temere... Sii fedele
fino alla morte e io ti darò la corona della vita.
Giorgio Bouchard
4
4 speciale sinodo
I
6 settembre 1985
VITA DELLE CHIESE UN TEMA APPENA ABBOZZATO, RINVIATO ALL’ANNO PROSSIMO
Un tema
che richiede
più tempo
Il ruolo del pastore
La ricerca, iniziata in convegni pastorali, va proseguita nel contesto
del dibattito sul rapporto tra pastori e comunità che va sviluppato
Il Sinodo ha bisogno di scaldarsi per partire. Dopo che la
Commissione d’Esame il lunedì
mattina ha letto la sua relazion';
e il moderatore ha ricordato
quanti durante l'anno si sono aggiunti al « nuvolo dei testimoni »
che circondano il cammino della
chiesa, nel pomeriggio inizia il
dibattito — sulla vita delle chiese e l’evangelizzazione — appunto con una fase di riscaldamento.
Gli uni fanno una rapida corsetta nella direzione dell’evangelizzazione. Si parla di progetti di
informazione e viene distribuito
un questionario da esaminare
nelle comunità. L’ordine del giorno proposto è modesto, giustamente, come modeste sono le nostre realizzazioni in questo campo: vi si parla più che altro di
un mandato a continuare a fare
ciò che si è già pensato di fare,
ma che in gran parte non si è
fatto.
Altri tentano un « a fondo » sul
terreno del confronto evangelizzazione e cultura. L’evangelizzazione è altro rispetto alle iniziative culturaili intraprese dalle nostre chiese, si sostiene da una
parte; la risposta alla domanda
di cultura ohe ci viene posta è
la nuova forma di evangelizzazione del nostro tempo, si risponde daH’altra.
Poi uno scatto, ed ecco un vero salto in alto. Il prof. Sergio
Rostagno pone il problema del
radicalismo dogmatico che tende
a tradursi, indebitamente, in radicalismo etico (vedi l’intervento
riprodotto a p. 5). Si tratta di
un tema portante a cui ci si riferirà più volte nel corso del Sinodo. Ma ora, in fase di riscalda
mento, solo alcuni raccolgono la
indicazione di Rostagno (riprendendone una delle conseguenze:
la denuncia del pericolo che il
Sinodo delle chiese diventi il Sinodo delle opere, concretizzazioni dell’etica). Altri concludono il
riscaldamento sui terreni saggiati in precedenza e il Sinodo arriva al voto dell’ordine del giorno.
Ora il Sinodo è pronto a partire, anzi è già partito. Ma alla ripresa, dopo la pausa a metà pomeriggio, è sul tema della pace
che veleggia ormai sicuro. Il
tempo per la vita delle chiese è
ormai consumato, concluso con
un brevissimo accenno alle chiese del Rio de la Piata. Tornerà
solo al giovedì una brevissima
parentesi nell’ambito della discussione sul ruolo del pastore.
Appena sufficiente per esprimere
l’inadeguatezza del tempo concesso alla vita delle chiese e per
votare un ordine del giorno che
curiosamente unisce il desiderio
di avere più tempo per questo
tema centrale e il desiderio di
rimediare alle disfunzioni del Sinodo.
Dedicare tutto il lunedì alla
evangelizzazione e alla vita delle
chiese? Forse ha ragione il past.
Bruno Rostagno nel dire che sarebbe meglio collocare questa discussione al mercoledì, a Sinodo
lanciato. Comunque, con uno
spazio più ampio ci troveremmo
ad occuparci di una realtà limitata quale è la nostra e a ridimensionare la nostra immagine:
anche il radicalismo dell’immagine è un pericolo contro cui
conviene alzare la guardia.
Potremmo quasi affermare che
il dibattito sinodale sui temi del
pastorato è iniziato durante gli
esami di fede dei candidati al
ministerio pastorale il sabato
precedente l’apertura ufficiale
dei lavori.
Franco Giampiccoli
« Ritiene che il pastore debba
costituire un modello etico per
la comunità? » ha chiesto difatti
un pastore emerito ad una candidata. No, è stata la risposta.
Il pastore può e deve essere un
punto di riferimento, un animatore; deve avvertire su di sé il
carico della cura pastorale ma
la comunità non può scaricare
su di lui e sulla sua famiglia la
responsabilità di costruire o proporre « modelli » di comportamento. Il « modello » è nella vita e nelle esperienze che la comunità tutta saprà sviluppare e
realizzare.
Quest’ordine di problemi, ci è
parso, è quindi particolarmente
sentito e pervade molte discussioni non solo sinodali. Tanto
nelle comunità che alTintemo
del corpo pastorale, e non solo
tra i più giovani, si avverte forte
l’esigenza di una riflessione sul
ruolo del pastore, sulla sua figura considerata non solo in riferimento ai bisogni della comunità ma anche alla sua specifica
identità, alla sua soggettività di
uomo, di donna, alle sue relazioni familiari.
Il problema, insomma, non è
nuovo e, come ha osservato la
Commissione d’esame, bene ha
fatto la Tavola à promuovere
nello scorso giugno un convegno di incontro e riflessione riservato alle famiglie pastorali
per affrontare, a ruota libera, e
Un motore da registrare
(segue da pag. 3)
mondiale. E’ ovvio che, se questo
avverrà, tutta la chiesa ne sarà
arricchita.
L’articolo 12
Terzo problema, più tecnico se
si vuole ma certamente non meno importante, quello rappresentato dall’articolo 12 del Patto di
integrazione tra le due Chiese
che, se lasciato immutato nella
sua attuale formulazione, sembrerebbe lasciare alla Tavola valdese il compito di sovraintendere all’operato del Comitato delrOPCEMI attraverso un suo delegato nel Comitato stesso. Questo non era certamente nello spirito del Patto di integrazione
che, del resto, prevede con lapalissiana chiarezza come, in certe
materie (amministrazione dei
mezzi finanziari e del natrimonio
immobiliare, rapporti ecumenici,
ecc.) TQpera delle Chiese Metodiste debba rispondere esclusivamente al Sinodo del proprio operato e non certo alla Tavola che
non è chiamata a sovraintendere
in nessuna di queste materie. Lo
stesso vicemoderatore Gianni Rostan, che è anche il delegato della "Tavola nelTOPCEMI, ha dichiarato che l’attuale stesura dell’articolo 12 del Patto è indubbiamente da correggere.
Qualcuno potrebbe forse pensare che ogni tentativo di aprire
un discorso di revisione sul Patto di integrazione possa metterne
in dubbio la validità e l’efficacia,
qualche altro potrebbe forse sostenere la tesi che il Patto non
si può toccare in nessun caso;
ma il dibattito sinodale ha invece dimostrato a coloro i quali
vogliono vedere a tutti i costi
fantasmi nascosti che l’integrazione in quanto tale è considerata da tutte le nostre chiese come
un fatto fondamentale, incontrovertibile, ricco di benedizioni.
Ciò che va salvaguardato, proprio in questa ottica, è il suo
spirito, eliminando qualsiasi ombra che possa lasciare il segno
dell’ingiustizia in un rapporto
che è stato definito un contributo originale al movimento ecu
menico.
Sia il rapporto della Tavola
che la relazione della Commissione d’esame hanno detto con
chiarezza che il gruppo di lavoro
incaricato di studiare i problemi
emersi in questi sei anni di cammino integrato e di proporre
eventuali soluzioni potrà svolgere
un ruolo importante per eliminare ogni incomprensione e ogni
disfunzione fin qui rilevata.
OPCEMI
OPERATO DELL’OPCEMI
Il Sinodo chiede al CP/OPCEMI
di fornire periodicamente alle CED
e ai Consigli di Chiesa una documentazione che li metta in grado di
informare con maggiore precisione le chiese, al fine di una sensibilizzazione dei membri sulle necessità finanziarie della chiesa.
rio che riceviamo dai fratelli esteri, li ringrazia vivamente per l'aiuto fraterno che consente alle nostre
opere di proseguire le loro attività nelle attuali dimensioni.
Il Sinodo, nella conszqrevolezza
dell'Importante contributo finanzia
II Sinodo, esaminata l'attività del
Comitato Permanente dell'OPCEMl, ne approva l'operato e ringrazia i suoi componenti per l'attività
svolta.
ORGANIZZAZIONE
il Sinodo, grato per le vocazioni
a diverse forme di servizio che si
manifestano anche nel crescente
numero di iscritti al ruolo diaconale, si rallegra per la buona riuscita del primo convegno dei fratelli e delie sorelle che hanno accettato questa condizione di esercizio del ministero, invita la Tavola
a organizzare un secondo convegno
in cui vengano cercate soluzioni
coerenti con l'ordinamento valdese
ai problemi del riconoscimento, della formazione, deH'avvicendamento,
e della rappresentanza nelle assemblee ecclesiastiche degli iscritti al
ruolo diaconale.
ri sinodali e ne riferisca alla prossima sessione sinodale formulando proposte di soluzione.
Il Sinodo, constatata la gran mole di lavoro svolta dalla Tavola,
ne approva l'operato e ringrazia vivamente tutti i membri per l'impegno e il senso di responsabilità
con cui hanno adempiuto al loro
mandato.
Il Sinodo delibera che l'anno
prossimo sia dedicato più tempo
all'esame della vita delle chiese
e chiede al seggio di nominare una
commissione ad referendum di tre
membri che studi le carenze e gli
inconvenienti che da più anni si
lamentano nell'andamento dei lavo
II Sinodo, constatato l'ampio interesse a discutere la problematica del ministero pastorale, decide
di dedicare a questo argomento
una seduta nella prossima sessione
europea.
Il Sinodo invita la Tavola a dare
comunicazione ai Consigli di Circuito e alie Commissioni Esecutive
Distrettuali degli incarichi di rappresentanza o di studio affidati a
pastori o a iscritti al ruolo diaconale.
senza l’ansia di dover prendere
delle decisioni, tutte queste questioni.
Poco tempo
Il dibattito sull’integrazione, e
non poteva essere altrimenti, si
è intrecciato con la discussione
attorno all’operato dell’QPCEMI.
Il Sinodo ha ampiamente approvato sia i bilanci che l’attività
svolta da quest’organismo rallegrandosi vivamente per la ripresa di contatto delle chiese metodiste italiane con il movimento
metodista mondiale — il convegno della scorsa primavera ad
Ecumene ne è stato il momento
forte e qualificante — al quale
il metodismo italiano non ha solo da chiedere contributi teologici e di solidarietà (del resto già
messi in atto con una maggior presenza nei bilanci de'rOPCEMI di aiuti provenienti
daH’estero) ma ha anche da offrire un particolare laboratorio di
esperienze che possono essere
particolarmente significative. In
questo senso i metodisti italiani
hanno proposto alle Chiese Metodiste d’Europa un convegno per
approfondire il senso della presenza delle Chiese metodiste in
un’Europa in rapido cambiamento.
Claudio H. Martelli
Il dibattito sinodale vero e
proprio, però, è stato stretto in
tempi del tutto inadeguati alla
serietà e alla passione con le
quali è avvertito dai pastori e
dalle comunità; del resto, come
hanno sottolineato i pastori F.
Giampiccoli e B. Rostagno, si è
intrecciato e quasi fuso con quello sulla vita delle chiese. Il dibattito su quest’ultimo argomento da più parti è stato definito
urgente ed il Sinodo ha deliberato di svilupparlo il prossimo
anno in tutte le sue articolazioni,
compresa quella che riguarda il
pastorato.
In questo contesto di impostazione e di avvio del dibattito
piuttosto che di approfondimento e di decisione gli interventi hanno soprattutto posto
delle domande ed espresso dei
dubbi e delle difficoltà. In questa
linea il past. Cappella ha posto
il problema della frequente condizione di isolamento nella quale il pastore finisce per ritrovarsi. Frequenti spostamenti spesso
gli impediscono un vero radicamento ed in certa misura frammentano il suo lavoro che perde creatività e fantasia.
D’altra parte le comunità, i loro membri laici, faticano a discutere di questo problema che
in certa misura considerano specifico c proprio dei pastori; lo
ha rilevato il past. Ricciardi constatando che su 27 interventi
pronunciati nel dibattito sulla
vita delle chiese ben 22 erano
stati di pastori. « E’ una situazione pericolosa — ha affermato — che mostra evidente il rischio della clericalizzazione dei
nostri dibattiti ».
In seguito alla decisione di
rinviare al prossimo anno il problema nei suoi aspetti più generali, il Sinodo ha quindi discuss : due ordini del giorno; il
primo sulle modalità di comunicazione dei trasferimenti pastorali ed il secondo sull’opportunità di promuovere un secondo in
contro per le famiglie pastorali.
Relativamente al primo è prevalsa l’esigenza che la Tavola informi puntualmente Consigli di
Circuito e Commissioni Esecutive Distrettuali dei trasferimenti
pastorali senza che questo significhi montare un meccanismo
pesantissimo di consultazioni che
— come ha rilevato il past. N.
Giampiccoli — bloccherebbe la
Tavola in ogni decisione.
Il secondo ordine del giorno
sul convegno è invece stato respinto, pur avendo il Sinodo
espresso una valutazione positiva sul precedente di Ecumene:
si vuole, insomma, che il dibattito si sviluppi in libertà ed in
circuiti inventati di volta in volta
senza istituzionalizzarlo in alcun
modo.
Paolo Naso
II presidente del Sinodo, past. Salvatore Ricciardi (a sin.) e il vice
Dr. Sergio De Anibrosi si consultano durante i lavori.
5
6 settembre 1985
Spedale sinodo 5
UN TEMA DI FONDO PER LA VITA DELLE CHIESE
Il nodo del radicalismo
Il cristianesimo deve la sua
evoluzione storica alla presenza
in esso di tensioni non risolte e
non all'esistenza di verità fisse
ed immutabili.
Tra tali tensioni senza dubbio
la più profonda e lacerante è
ciucila che sussiste tra il radicalismo teologico ed il radicalismo
etico. Che cosa vogliamo dire?
Si è talmente abituati ad affermazioni radicali e non di rado paradossali in dogmatica (salvezza del peccatore, creazione
dal nulla e così via), che si ricercano, in campo etico, formule altrettanto radicali, o tali da
esprimere adeguatamente e con
sufficienza la radicalità cui si richiamano.
Ma il cristianesimo non ha risolto una \olta per tutte e non
ha mai risolto in modo univoco
il problema posto con questa ricerca di formule etiche che siano adeguatamente corrispondenti alte formule dogmatiche.
Lo dimostra la sua storia. Ecco alcuni esempi. Il Nuovo Testamento testimonia della difficoltà della scelta etica: Paolo,
un caratteraccio quando si tratta di false dottrine o 'altri' evangeli, diventa arrendevole quando si viene al piano della prassi
etica. Deboli e forti qui devono
coesistere e sarà proprio questa
coesistenza (e non la scelta etica radicale) a corrispondere meglio al 'suo' evangelo. Leggendo
in. quest’ottica la Lettera ai Romani, ci si rende conto che non
doveva esser facilissimo comprenderla neppure per i cristiani di Roma cui essa fu indirizzata. Del resto proprio le lettere di Paolo dimostrano l’esistenza di un forte cristianesimo che
non la pensa come lui. Fuori del
cristianesimo paolino il radicalismo cristiano di certi gruppi
profetici pare tuttavia ben presto emarginato e senza futuro.
Gli evangeli canonici sono già
oltre.
La cosa tuttavia non poteva
fermarsi lì. Ed infatti diverse
discussioni nelle epoche seguenti ripresero il problema che era
stato posto. Alcuni secoli più
tardi il dibattito tra Pelagio ed
Agostino ripropone il dilemma
del rapporto tra radicalismo della grazia e radicalismo etico. Il
radicalismo vero, afferma Pelagio, è anche quello che include
la vita, le onere che il cristiano
fa. No, è solo quello della grazia, ribatte Agostino. Radicale,
solo la grazia lo è.
La corrispondenza tra messaggio evangelico radicale ed etica
radicale è, secondo molti, il contenuto della Prima Riforma. Ma
questo non è del tutto esatto. In
realtà la Prima Riforma vuole
riproDorre la corrispondenza invertendo i termini in cui sembrava averla imprigionata la
chiesa ufficiale. Quest’ultima aveva saldato a suo modo dogmatica ed etica, a vantaggio della
istituzione e di una visione guerresca e gerarchizzata della società. Se si \'oleva distruggere
ouest.i tendenza, occoì'reva una
impostazione opposta, e la Prima Riforma indicò allora una
strada diversa. La scelta etica
doveva servire per indicare la
radicalità dall’aspetto meta-etico de'l’evangelo.
Al tempo della Riforma il dilemma si ripropone in tutta la
sua drammaticità e diventa ancora più acuto. Gli Anabattisti
propongono una diretta corrispondenza tra radicalismo dogmatico e radicalismo etico e la
Riforma li condanna. Ma all’interno della Riforma Lutero aveva una concezione e Bucero, o
Calvino, ne avevano un'altra. Il
Concilio di Trento (cattolico) ne
avrà una terza.
La posizione di Lutero derivava da quella di Agostino; Calvino invece cerca una coerenza tra
annuncio e scelte etiche. Per Questa ragione è passato alla storia
come maestro di una certa severità di vita mentre di Lutero
si ricorda che non rifiutava il
piacere di un boccale di birra.
Ma oggi forse è necessaria ima
nuova svolta.
Insomma, la ricerca se e come il radicalismo dogmatico si
traduca in radicalismo etico attraversa e muove il pensiero cristiano più delle idee circa il Credo, che sono dotate di maggiore
stabilità.
Quanto precede, si dirà, non
ha nulla à che vedere con i lavori del nostro Sinodo. Invece
sì. I 1 ichiami, le esortazioni più
convincenti sottolineano la necessità della coerènza tra radicalismo dogmatico e radicalismo
etico. La cosa sembra giusta e
mi rendo conto di porre una
Questione difficile, quando chiedo di discutere proprio un punto che sembra acquisito e persin ovvio.
.Si osservi la cosa un po’ da
vicino. In numerosi interventi
ricorre il modello dell’analogia
tra radicalismo teologico e radicalismo etico, con la conseguenza che ormai questa analogia ci
fa ragionare come vuole lei e
non come forse vorremmo noi.
Si parla molto di nostre opere
diaconali e di rapporti con lo
stato. Ma spesso cerchiamo la
ragione delle nostre opere nel
fatto che esse (ed esse sole) traducono la correlazione tra dogmatica ed etica. E facilmente
cerchiamo quelle più radicali:
quanto più radicali, tanto più
aderenti al modello. E chi lo
dice?
Quest! schemi abituali vengono usati perché corrispondono
ad un dogma non scritto, ma
operante in profondità. Il dogma
della corrispondenza tra piano
teologico e piano etico. Perciò
si devono ricercare sempre le
soluzioni etiche che più hanno
l’aspetto di esser radicali (a volte si dice anche irrazionali o irragionevoli). Le ’note’ di radicalità non vengono scelte perché
rispondono ad una realtà vissuta, ma perché sembrano meglio
corrispondere al radicalismo
dogmatico. E fatalmente le opere di altri organismi si traducono in negativo rispetto alle nostre: se sono, cattoliche saranno
clericali; se dello stato saranno
mal amministrate o che so io.
Si dimentica così uno dei teoremi della dottrina della grazia
per i peccatori. Questa dottrina
afferma tra l’altro che le opere
che compiamo ci riconducono
in una sfera in cui tutti gli uomini sono solidali e in cui noi
siamo solidali con tutti gli uomini da salvare. Agire significa
penetrare in un campo dove nessuno può esser sicuro di fare
meglio di altri e in cui nessuno
può considerare l’altro con superiorità.
Aveva ragione già Agostino in
questo senso. 11 radicalismo vero è solo quello della grazia.
Tutto il resto sta nel campo delle scelte dove non esistono posizioni innocenti. Certi scritti di
Come ogni anno un pubblico numeroso e attento ha seguito i lavori sinodali.
alta teologia circolanti tra di noi
possono servire a rinsaldare l’abitudine ad installarci nell’assoluto. Dio stesso porta sempre
tra di noi attributi di assolutezza; siamo allora incoerenti quando affermiamo, per altro verso,
che lo conosciamo solo attraverso la sua incarnazione e il suo
abbassamento? E spesso c’è da
temere che all’effetto securizzante delle formule assolute si accompagni la disperazione di doversi piegare alle esigenze del
compromesso spicciolo.
Per evitare questo occorre che
elaboriamo un tipo di teologia
che eviti la tentazione di cui sopra. Occorre, nel quadro di una
teologia del ’patto’ tra Dio e uomo, saper valutare positivamente
lo sforzo umano di produzione
di opere corrispondenti nell’umano, che è per definizione relativo. Qui si compiranno degli
errori, ma si andrà anche avanti. Difficoltà ce ne sono, ma ce
ne sono per tutti e non serve a
niente contrapporsi ad altri in
concorrenza etica. Certo esista
pure l’emulazione o ciò che si
vuole, ma si sappia che non ci
si potrà mai ritagliare nella realtà un pezzo a propria misura.
Non e vero che le opere degli
altri .sono fallimentari riientre le
nostre tendono alla coerenza
(salvo nostra défaillance, naturalmente...). Le situazioni sono
obiettivamente difficili per tutti
e richiedono la passione costruttiva di una teologia del Patto,
dove al lavoro umano sia resa
la sua funzione e la sua promessa. Questo è forse possibile nella
diaconia cristiana. Appunto per
questo occorre che essa’ possa
ispirarsi ad una teologia disposta a lasciare il miraggio del radicalismo etico come traduzione
reale di un radicalismo dogmatico e sappia invece incarriminarsi per i difficili sentieri della realizzazione di un vivibile mondo
umano.
Sergio Rostagno
IL SINODO APPROFONDISCE IL DIBATTITO SULLE FINANZE DELLA CHIESA
Impegno, non beneficenza
Il Sinodo ha lavorato molto
seriamente anche al riguardo delle finanze della chiesa. L’ampio
spazio concesso dal seggio del
Sinodo al dibattito è una dimostrazione tangibile del fatto che
il problema delle finanze, una
volta considerato un po’ la cenerentola dei temi sulla vita della chiesa, sta diventando sempre
più uno degli aspetti importanti del modo di esprimere la nostra ecclesiologia.
Ciò traspare anche dal modo
con cui gli argomenti sono stati
trattati. Sostanzialmente, essi sono stati tre;
— i volumi contributivi delle
chiese locali e dei singoli, connesso alla necessità di dare maggiore informazione sulla vita della chiesa ed offrire maggiori occasioni di partecipazione alle attività ;
— il problema del sistema retributivo dei pastori e del per
1984 Contribuzioni 834 milioni
1985 (prev.) Hontr. 1000 milioni
1986 (prev.) Contr. 1150 milioni
Questo semplice confronto di
dati evidenzia da solo la drammatica situazione da fronteggiare. Se la chiesa sarà in grado in
futuro di risolvere questa situazione, diminuendo considerevolmente tale divario, essa sarà anche in grado di dimostrare la
sua maturità e la sua capacità
di comprendere il significato della sua missione e dare un nuovo
impulso alla sua attività.
Con riferimento ad alcune indicazioni espresse nelle conferenze distrettuali, si è sostenuto
con vigore che la capacità contributiva delle chiese locali può
aumentare, se si è in grado di
coinvolgere attivamente più persone nella vita della chiesa, dando loro un senso di responsabi
sonale diaconale, al fine di equilibrare le necessità finanziarie di
quelle famiglie che non possono
avere altre fonti di reddito;
— i doni dall’estero, nel senso
della solidarietà internazionale
tra le chiese.
Sia la Tavola sia la Commissione d’esame, nelle loro relazioni, hanno evidenziato l’andamento contributivo delle chiese locali che ha dato un buon risultato; tuttavia, quello che era considerato un obiettivo importante non è stato raggiunto: cioè,
la copertura dei costi relativi al
personale con le contribuzioni
da parte delle chiese locali; purtroppo, ciò avverrà ancora per
qualche anno. Per facilitare la
comprensione di questi problemi, riportiamo alcuni dati comparativi tra le contribuzioni annue ed il costo del personale,
estratti dal bilancio della Tavola;
— costo personale 1372 milioni
— costo personale 1635 milioni
— costo personale 1750 milioni
lità e facendo comprendere il
significato degli sforzi comuni
che si stanno compiendo; in altre parole, dall’informazione sulle attività in corso, dalla sensibilizzazione sui problemi e dalTimpegno diretto dei membri di
chiesa — che imparano, così, che
la chiesa non esiste come qualsiasi altro servizio di carattere
pubblico di cui ’servirsi’ — può
e deve nascere un nuovo stile
di vita, di cui l’aspetto economico finanziario è un elemento costitutivo. Da qui può e deve nascere una sensibilizzazione nuova all’impegno cristiano per un
uso alternativo del denaro, non
tanto nel senso della sua santificazionie oppure della beneficenza — ossia di dare il super
SITUAZIONE FINANZIARIA
Il Sinodo, informato della situazione finanziaria dell’anno in corso, e in particolare dell'Impegno
delle chiese inferiore al preventivo approvato l'anno scorso, invita le chiese a rivedere i loro impegni, come segno di solidarietà
fraterna.
Il Sinodo chiede alla Tavola di
fornire periodicamente alle Commissioni Esecutive Distrettuali e ai
Consigli di Chiesa una documentazione che li metta in grado di
informare con maggiore precisione le chiese, al fine di una sensibilizzazione dei membri sulle necessità finanziarie della chiesa.
Il Sinodo, esaminato il preven
tivo 1986 della Tavola, lo approva;
considerata la difficile situazione delle famiglie pastorali a un solo reddito, dà facoltà alla Tavola di
migliorare il trattamento finanziario del personale che si trova in
questa situazione, cercando apposite forme di finanziamento.
Invita le chiese a tener presente la questione nelle loro contribuzioni.
Il Sinodo, nella consapevolezza
dell'Importante contributo finanziario che riceviamo dai comitati esteri, li ringrazia vivamente per l'aiuto fraterno che consente alle nostre opere di proseguire le loro
attività nelle attuali dimensioni.
fiuo — ma nell’ottica moderna
di comprendere quanto lo sforzo
finanziario di ciascuno può rendere in termini di attività della
chiesa per la promozione dell’Evangelo. Solo allora i problemi
finanziari della chiesa potranno
essere risolti. In questo senso,
il Sinodo ha avuto modo di accogliere una testimonianza molto bella da parte di un fratello
rappresentante delle Chiese evangeliche libere.
Passando al secondo argomento di rilievo del dibattito sinodale, il problema delle cosiddette famiglie pastorali monoreddito è stato affrontato sul piano della reciproca solidarietà.
Dopo una seria discussione, si
è convenuto di dare mandato alla Tavola di ricercare una soluzione tecnicamente possibile —
istituzione di borse di studio, si
stema di assegni familiari differenziati, ecc. — in modo da sostenere quelle famiglie che hanno maggiori difficoltà. Il dibattito su tale argomento dovrebbe continuare nelle chiese locali.
Infine, sul tema dei doni dall’estero, il Sinodo ha dimostrato il suo sentimento di gratitudine alle chiese estere con un
fragoroso applauso. Non penso
che esso rappresentasse semplicemente la fine di una discussione difficile; mi sembra piuttosto che così il Sinodo ha voluto esprimere gioiosamente la
sua consapevolezza che la solidarietà internazionale, di cui la
Chiesa valdese beneficia, dà una
grande dimostrazione di quello
spirito di fraternità che è auspicato al suo interno.
Andrea Ribet
6
6 spedale sínodo
6 settembre 1985
-_____________I RAPPORTI TRA STATO E CHIESE, MOMENTO SALIENTE DEL DIBATTITO SINODALE
INVIM, defiscalizzazione, 8 per mille
Le chiese valdesi e metodiste prendono posizione e si interrogano sulle implicazioni della recente normativa sul
manziamento del culto cattolico - Tre distinti aspetti di un problema complesso demandato alle chiese locali
Sul tema dell « 8 per mille » riportiamo in questa pagina — oltre
al resoconto del dibattito sinodale relativo all’insieme della questione due interventi di segno diverso pronunciati in Sinodo.
Ad un anno dalla legge di applicazione dell’Intesa, il Sinodo
è tornato ad occuparsi del problema delle relazioni tra chiese
e stato guardando al futuro.
L’applicazione dell’Intesa ' ormai è nelle mani degli organi di
Governo, e compito della Tavola e del Sinodo è ora vigilare a
che i principi in essa affermati
non vengano distorti nel loro significato.
■Tanto la Tavola nella sua relazione, quanto la Commissione
d’esame, si sono soffermate sui
problemi che le relazioni tra
chiese c stato potranno assumere in futuro, in particolare su
due questioni: la religione nella
scuola ed il finanziamento della
Chiesa.
La seconda questione ha assimto rilevanza negli ultimi tempi per tre ordini di problemi:
l’esonero dall’INVIM per i beni
ecclesiastici, la detrazione delle
contribuzioni dall’imponibile IRPEF, la costituzione di un fondo da parte della legge 222 del
1985, emessa nel quadro della
revisione del Concordato con la
Chiesa cattolica, per il sostentamento del clero cattolico.
Cerchiamo di capire in che
cosa consiste in pratica la questione.
INVIM
1) INVIM: Oggi i beni immobili di reddito delle chiese
valdesi e metodiste godono di
una riduzione del 50% sull’imposta decennale, riduzione prevista dalla legge per tutti i beni
immobili non destinati all’esercizio delle attività istituzionali
di proprietà di enti non esercitanti attività commerciale. La
Chi ce lo fa fare?
Condivido le preoccupazioni di
carattere giuridico con cui la
proposta di accedere all'8 per
mille è valutata da diversi di noi:
la possibilità nasce su un terreno
e in un'ottica concordataria e
viene estesa anche a noi non nel
quadro di un discorso pluralistico e laico di uso di una parte
del denaro pubblico, ma come un
particolarismo nell’ambito di una
grossa operazione coricordataria.
Ma vorrei porre un altro interrogativo, che nasce piuttosto da
altre considerazioni, cioè da una
riflessione sul senso del nostro
impegno di chiese. La domanda
può essere formulata in termini
molto banali: chi ce lo fa fare?
{di gestire come chiese gli svariati miliardi che l’8 per mille
metterebbe a nostra disposizione). E’ evidente che, per usare cifre simili in opere di utilità sociale, qui in Italia o a favore del
Terzo Mondo, bisognerebbe darsi delle strutture, degli uffici, utilizzare delle persone, fare dei
programmi, occupare per questo
parte dei nostri lavori assembleari. Ma, proprio su questi terreni, abbiamo già grosse difficoltà con le attività già in corso:
i lavori sinodali sono sempre più
tecnici e farraginosi; facciamo
già fatica a gestire bene le
opere e gli istituti che già abbiamo, a trovare persone disponibili per tutti i comitati. Già
abbiamo l’impressione che le attuali strutture e opere possano
diventare un peso schiacciante o
realtà che ci paralizzano. Perché
dunque fare ancora un salto (e
grosso) in questa linea?
Che ragioni troviamo a partire
dalla nostra visione della vocazione della nostra chiesa oggi?
Chi è favorevole risponde a partire da una visione che ha il suo
fascino indubbio e che vorrei
chiamare ’’teologia della presenza”: essere attivi nella società come componente culturale e sociale, che promuove, gestisce, in certa misura precorre e funge da
stimolo, da esempio, da proposta
alternativa. E’ la linea che abbiamo percorso in auesti anni:
grandi tematiche al Sinodo; presenza sui mass media non causata da noi ma da noi utilizzata
con intelligenza; sottolineatura
del significato politico delle intese; gestione delle nostre opere,
cresciute e divenute più numerose negli ultimi 40 anni, nel quadro delle esigenze del territorio.
Abbiamo mobilitato e coinvolto
le nostre comunità e chi si avvicinava a noi sempre su grandi
opere, su grandi tematiche e
sull’immagine della Chiesa.
Dovevamo fare così, ma mi
chiedo se andare avanti così non
sia una pericolosa tentazione. Mi
sembra che le sfide di fronte a
cui si troverà la mia generazione
nei prossimi anni stiano piuttosto in altre direzioni.
Il problema numero uno sarà
quello della predicazione, non
tanto come attività domenicale,
ma come evangelizzazione, come
capacità di tradurre l’Evangelo
in un discorso fedele ma comprensibile ai nostri contemporanei, agli Ateniesi del 2000. Il problema non è tanto che cosa ancora possiamo trovarci da fare
sul piano delle grandi realizzazioni sinodali ma che cosa dire. La
mia generazione dovrà per così
dire saper scrivere la sua dogmatica, cioè la sua lettura attuale
dell’Evangelo. Non basta ripetere
le formule dei padri, bisogna rischiare una propria sintesi. Per
dirla con una battuta, dovremo
— certo collettivamente! — scrivere il nostro ’’Per una fede". Il
secondo problema è quello delle
comunità. Dovremo essere capaci di proporre delle realtà che
mobilitano, che impegnano, che
coinvolgono a livello delle comunità, nel piccolo e nel quotidiano.
A chi si avvicina a noi, ai nostri figli e amici, dovremo offrire non grandi progetti in cui riconoscersi con ammirata approvazione, ma delle scelte di vita,
delle concrete prospettive di impegno qui ed ora. L’uso del danaro; i rapporti fraterni; l’uso
del tempo; uno stile di vita improntato al servizio e all’anticonformismo, una diakonia "leggera”, cioè con poche strutture e
pochi muri, ma molto lavoro volontario e molto autofinanziamento: queste le realtà che localmente dovremmo vivere e proporre a chi ascolta la nostra predicazione, cioè una versione attuale del discorso calvinista sulla santificazione. L’attualità dell’Evangelo e la concretezza del comandamento di Dio mi sembrano i nodi da rimettere al centro
di una chiesa e di un sinodo che
sembra avere sempre più il suo
centro di gravità in grandi questioni e grandi opere.
Daniele Garrone
Chiesa cattolica invece gode di
una esenzione totale per gli immobili attualmente appartenenti ai benefici ecclesiastici che
verranno devoluti agli Istituti
diocesani per il sostentamento
del clero.
Ci si chiede se non si dovrebbe arrivare ad una eguaglianza
di trattamento.
Il problema è il vedere in qual
senso si deve equilibrare la bilancia, e cioè: dobbiamo chiedere anche per i nostri beni l’esenzione totale da questa imposta che è considerata in generale ingiusta, oppure pretendere,
per quanto ci consentono le nostre forze, che la Chiesa cattolica rinunci al suo privilegio?
Defiscalizzazione
2) Detrazione fiscale: la legge 222 del 1985 (« Disposizioni
sugli enti e beni ecciesiastici in
Italia e per ii sostentamento del
clero cattolico in servizio neUe
diocesi») prevede all’art. 46 che
«a decorrere dal periodo d’imposta 1989 le persone fìsiche possono dedurre dai proprio reddito compiessivo le erogazioni liberali in denaro, fino aU’importo di lire due milioni, a favore
dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero della
Chiesa cattolica itaUana ».
In Parlamento, allorché questo articolo (ed il seguente art.
47, riguardante «l’otto per mille ») fu approvato, gli oppositori al sistema pretesero che il Governo prevedesse la possibilità
di estenderlo anche alle confessioni diverse dalla cattolica.
Alla cosa non sussistono obiezioni di principio, salvo quella,
rilevante, che il prevedere il sistema di detrazione fiscale solo
a favore delle confessioni religiose gli dà un carattere chiaramente privilegiano, e discriminante nei confronti di tutti
quei cittadini che non si identificano con una confessione religiosa.
Otto per mille
3) 0,8%: la medesima legge
222, all’art. 47, prevede che, con
decorrenza dal 1990, una quota
pari allo 0,8% (ovvero l’otto per
mille) della massa IRPEF (ossia delle imposte sui redditi delle persone fisiche che lo Stato
incassa sulla base delle dichia
razioni dei redditi dei cittadini)
sia destinata « in parte a scopi
di interesse sociale o di carat
tere umanitario a diretta gestio
ne statale, e, in parte, a scopi di
carattere religioso a diretta gè
stione della Chiesa cattolica »
Le destinazioni verranno stabi
lite sulla base delle scelte espres
se dai contribuenti in sede di di
chiarazione annuale dei redditi
In caso di scelte non espresse,
la destinazione sarà stabilita in
proporzione alle scelte espresse.
Anche qui il Governo si è impegnato ad estendere il meccanismo alle confessioni non cattoliche che lo richiedano.
Di fronte ad ima offerta di
questo genere, dovremo dire di
no?
Il finanziamento dei pastori e
delle attività strettamente ecclesiastiche fatto con questo sistema non piace a nessuno, tra noi ;
tutti ricordano l’art. 5 della Disciplina generale delle Chiese
evangeliche valdesi, che dice :
« La chiesa... si regge da sé in
modo indipendente...»; ma che
dire per la gestione da parte
della chiesa di attività di carattere umanitario (lotta contro la
lebbra, contro la tossicodipendenza...)?
In alcuni interventi in Sinodo,
ad una domanda di tal genere,
si è detto che è difficile rispondere di no.
Ma è compito della Chiesa
gestire attività di questo tipo, o
queste non dovrebbero piuttosto essere di spettanza dell’ente
pubblico?
Il problema di fondo è la ricerca e la definizione della identità della chiesa e dello stato.
Guardando al meccanismo
previsto dall’art. 47 della legge
222, senza porsi problemi di carattere più generale, molte perplessità sorgono di fronte alla
soluzione data alla questione delle dichiarazioni non espresse.
Dal 1990 lo Stato accantonerà
l’otto per mille di quanto incassato a titolo di imposta per destinarlo ai fini previsti dall’art.
47. I cittadini, al momento della dichiarazione dei redditi, saranno posti di fronte ad una alternativa : chiesa cattolica o
stato.
Vi sarà chi non sceglierà né
la chiesa cattolica, perché non
cattolico, né lo stato, perché gli
enti pubblici preposti alla gestione d: attività di interesse sociale o umanitario non gli danno fiducia: lo 0,8% delle imposte versate da questi cittadini
andrà comunque, che piaccia loro o no, ripartito tra chiesa cat
tolica e stato. E’ un grosso difetto del meccanismo.
L’accettare poi l’offerta fattaci dallo Stato di entrare nel meccanismo dell’otto per mille, significa per alcuni far propria la
logica cattolica concordataria,
secondo la quale la chiesa viene ad espropriare lo stato di
compiti di sua competenza, e
significa inserirsi in un sistema
di patteggiamento del tipo «do
ut des » che è estraneo alla nostra concezione della natura e
delle finalità della chiesa.
Queste alcune domande che
sono emerse dal dibattito sinodale.
Il Sinodo ha innanzi tutto affermato la « convinzione che è
compito dei credenti assumersi
liberamente l’onere di mantenere le Chiese cui aderiscono »,
ma non ha ritenuto di potersi
esprimere definitivamente sulle
domande, senza che prima le
chiese locali abbiano assunto
con chiarezza il problema, e si
siano espresse.
Come nel 1946, di fronte alla
reimpostazione dei rapporti con
lo Stato, la Chiesa valdese deve
riprendere coscienza della propria identità: le soluzioni verranno in conseguenza.
Paolo Gay
Marco Pasquet
Oggi come nel ’47?
Sicuramente per una sensibilità protestante la legge 222/1985
è un testo inaccettabile, un testo
che in ogni sua norma è sostanziato di spirito concordatario, di
compromesso tra lo stato e la
chiesa; tuttavia non si può negare che anche questa legge si inquadri in qualche modo — dopo
tanti anni di immobilità in materia ecclesiastica in Italia — in
una ricerca del nuovo e in una
situazione che è in movimento.
Come dobbiamo porci di fronte a questa novità? Non ho ancora maturato un’opinione ben precisa, ma penso che sia utile un
riferimento storico.
Quando nel 1946-47 si elaborò
in Italia la nuova Costituzione e
il problema dei rapporti tra lo
Stato e le chiese venne in pruno
piano, la nostra posizione, che si
batteva per un trattamento pa-.
ritario di tutte le confessioni, si
muoveva ancora nella logica separatista. Quando invece prevalse la soluzione concordataria dell’art. 1 della Costituzione, coloro
che si erano opposti alla scelta
concordataria elaborarono l’idea
nuova, imprevista per così dire,
di un rapporto bilaterale dello
Stato con le altre confessioni religiose mediante lo strumento
dell’Intesa. Noi dunque ci siamo
trovati di fronte ad una situazione che non avevamo richiesto
e che ci era offerta, ci era data.
Io ritengo che noi abbianto saputo operare molto bene nel dare
un contenuto ben preciso a questa Intesa, un contenuto che è
divenuto una spina nel fianco
del sistema concordatario e ha
dimostrato come è possibile impostare su base bilaterale un rapporto con lo stato senza scadere
nei difetti tipici delle soluzioni
concordatarie. Io vorrei dire:
come noi abbiamo saputo operare così bene in quella situazione,
così potremmo saper fare oggi.
Anche adesso abbiamo una soluzione, nel settore dei rapporti
patrimoniali, che indubbiamente
non ci soddisfa come non ci soddisfaceva la soluzione concordataria al tempo della Costituente.
Tuttavia coloro che si sono opposti a questa soluzione in Parlamento ci hanno adesso offerto
con quel famoso ordine del giorno una possibilità di estensione
.. di questo meccanismo.
Cosa significa questo in termini pratici? In ogni caso l’estensione di una legislazione di questo tipo non potrà avvenire se
non mediante Intese. Il che significa che noi siamo garantiti
che non ci potrà essere alla fine
una soluzione pasticciata perché
si potrà varare come legge dello
stato soltanto un testo sul quale
noi si sia convenuto. Detto questo, si potrebbe pensare ad una
trasposizione che naturalmente
però tenga ben conto di quelle
che sono le nostre posizioni. Innanzi tutto — e al riguardo ci
7
6 settembre 1985
spedale sinodo 7
NON PER IL CULTO
Il Sinodo, esaminata la normativa
sul sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi, definita nel quadro della revisione
del Concordato tra lo Stato e la
Chiesa Cattolica, e visto l'OdG
approvato dalla Camera dei Deputati nella seduta del 17.4.1985; pur
riconoscendo che la forma di finanziamento prevista, fondata sulle
indicazioni espresse dai cittadini in
seno alla dichiarazione dei redditi, costituisce un fatto nuovo rispetto aiia normativa dei Concordato
1929; nella convinzione che è compito dei credenti assumersi iiberamente l'onere di mantenere le
chiese cui aderiscono; ribadisce,
in coerenza con li contenuto deii'intesa stipulata con lo Stato Italiano. ii proprio giudizio negativo
sull'assunzione, da parte dello Stato, di oneri di mantenimento degli
enti ecclesiastici, e dei ministri di
culto e di sostegno finanziario ai
cosiddetti « bisogni religiosi deila
popolazione ».
ALLE CHIESE
il Sinodo, esaminato l'odg con
cui in data 17 aprile 1985 la Camera dei Deputati ha incaricato il
Governo di offrire alle altre confessioni religiose l'estensione del sistema di finanziamento deliberato
per la Chiesa cattolica con la legge n. 222/1985 « Norme sugli enti e
beni ecclesiastici in Italia e per ii
sostentamento del clero cattolico
in servizio celie diocesi », dopo aver
preso posizione, a seguito di un
ampio dibattito, su ciò che in detta normativa è chiaramente inaccettabile per le Chiese valdesi e metodiste in coerenza con ii loro ordinamento riflesso anche nell'Intesa
con lo Stato, e come tale escluso,
chiede alie chiese di studiare ia
questione al fine di stabilire se ai
di là di taie esciusìone sussistano
nei citato ordine dei giorno del
Parlamento e nella normativa a cui
si riferisce degii eiementi suscettibiii di essere tradotti nel nostro
ordinamento; raccomanda aile chiese di condurre detto studio nel
quadro di una rinnovata riflessione
sui sistema con cui vengono finanziate attualmente le Chiese valdesi
e metodiste e ie loro opere; le invita a far pervenire ie loro risposte alla Tavola entro il 31 mag-.
gio 1986 in modo da consentire al
Sinodo 1986 una delibera conclusiva; incarica la Tavola di far pervenire alle chiese entro il 30 novembre una completa documentazione che consenta alle chiese di
condurre lo studio richiesto.
UN CONVEGNO
Il Sinodo chiede alla Tavola di
proporre al Consiglio della FCEI
l'organizzazione di un convegno, a
cui siano invitate tutte le chiese
evangeliche italiane, sulle nuove
prospettive nei rapporti chiesa-stato sotto il profilo teologico e giuridico.
terrei a sottolinearlo — tra noi
vi è un’assoluta unanimità; a noi
non interessa il mantenimento
del culto con il denaro pubblico.
Un altro punto che mi sembra
non potrebbe certamente essere
esteso è quello della ripartizione
automatica di quella quota dello
0,8% del gettito IRPEF facente
capo ai contribuenti che non
hanno manifestato la loro preferenza. Ma noi potremo per
esempio prevedere che la quota
del reddito fiscale attribuita corrisponda soltanto alle preferenze
espressamente indicate nei nostri
confronti.
In terzo luogo, al posto di una
destinazione indeterminata quale
è prevista dalla normativa con la
Chiesa cattolica, per noi si potrebbe pensare invece ad una destinazione ben prefissata nella
legge, per cui si tratterebbe di gestire una certa quota di questo
prelievo fiscale per determinate
operazioni nel sociale.
Infine, si potrebbe anche prevedere da parte dello stato un rigoroso controllo che la legge at11tale non prevede.
Nella dichiarazione dei redditi del 1990 ci troveremo comunque di fronte a due caselle
per la destinazione dello 0,8%
dell'IRPEF. Accanto ad una sarà
scritto « culto cattolico »; accanto all’altra « lo stato ». Penso
che alla fine barreremo tutti la
casella con scritto « stato» perché se non barriamo nessuna casella una parte del nostro reddito andrà — per quel meccanismo
automatico di ripartizione — alla chiesa cattolica.
Ma siamo proprio convinti che
la soluzione del problema sia qui,
cioè di affidare questa gestione
soltanto allo stato? In fondo noi
in questi ultimi anni — non abbiamo scartato la possibilità di
una gestione da parte delle nostre chiese di un Servizio per il
territorio nel settore dell'educazione, nel settore socio- sanitario,
assistenziale ecc.
C’è da chiedersi se non sarebbe
allora ipotizzabile un’utilizzazione di questa famosa percentuale
dell’imposta, gestita dalle nostre
chiese e destinata naturalmente
a necessità sociali delle popolazioni del territorio. Ciò non sarebbe in contrasto con le scelte
che noi abbiamo operato e potrebbe consentire una terza ipotetica casella accanto alle due
che certamente ci saranno presentate. Franco Becchino
Il Sinodo chiede al Governo
italiano di disporre affinché i termini previsti dalla legge sul servizio civile alternativo al servizio
militare per l'esame delle domande di coloro che chiedono di avvalersi di questo diritto siano rispettati, in modo che l'esercizio
del diritto non sia reso più gravoso, e affinché l'istituto del servizio
civile sia meglio e maggiormente
cfualificato.
Il Sinodo invita la Tavola e il
Comitato di solidarietà con gli
obiettori di coscienza a promuovere negli enti, nelle opere e tra gli
obiettori di coscienza una riflessione sul ruolo degli obiettori di coscienza stessi, sul rapporto tra obiezione di coscienza e diaconia, e
tra obiezione di coscienza e impegno per la pace.
INSEGNAMENTO RELIGIOSO E NUOVI PROGRAMMI ELEMENTARI
Dove specifico vuol
dire confessionale
Obiettori
Due gli ordini del giorno del
Sinodo sulla obiezione di coscienza. Banalizzare il servizio civile,
.come spesso si va facendo, non
aiuta la ricerca necessaria per
un nuovo rapporto tra Stato e
cittadino.
Fra gli argomenti affrontati
in Sinodo, dei quali si deve continuare a discutere nelle comunità, uno mi sembra particolarmente coinvolgente e degno di
attenzione da parte delle famiglie : quello dell’insegnamento
della religione nella scuola pubblica.
La trasformazione dei nostri
rapporti con lo Stato mediante
le Intese ci ha portati, come comunità evangeliche, ad un punto delicatissimo e piuttosto complesso a questo proposito.
Per quanto riguarda in parti
colare la scuola elementare, è
noto che il testo dei nuovi programmi è stato Armato dal Presidente della Repubblica il 12
febbraio 1985. Essi sono diventati legge e verranno applicati
nell’anno scolastico 1987-88 a partire dalle prime classi. Vi è inoltre un d.d.l. del Ministro della
Pubblica Istruzione recante norme sull’ordinamento della scuola elementare che attende l’approvazione del Consiglio dei Ministri.
Innanzi tutto la premessa ai
programmi, interamente riscritta dal Ministro rispetto al testo
originale della commissione Fassino, sottolinea « il valore della
realtà religiosa » additando alla
scuola la necessità di « farne
oggetto di attenzione nel complesso della sua attività educativa » e suggerisce di maturare
sentimenti di rispetto delle diverse posizioni rifiutando ogni
forma di discriminazione.
Per quanto riguarda il capitolo « religione », si è piuttosto
lontani da una proposta di studio, culturalmente e scientificamente fondata, del fatto religioso. Esiste un continuo richiamo al valore morale della realtà religiosa ed all’ambito « familiare » del bambino. Vi si elencano fra l’altro i principi « in
base ai quali viene assicurato
nella scuola elementare lo svolgimento di specifici programmi
di religione » e si cita a questo
proposito l’articolo 10 dell’Intesa parallelamente alle norme del
Concordato. Come sappiamo,
con l’art. 10, l’Intesa (e questo
il Sinodo lo ha ribadito nei suoi
o.d.g.) non intende affatto porre le nostre chiese in un’ottica
di istruzione religioso-confessionale, ma proporle come possibili interlocutrici della scuola. Se,
ad esempio, nel quadro dello
svolgimento di una materia già
esistente (storia, lingua, geografia, antropologia culturale ecc.)
l’insegnante ravvisa la necessi
IL CAPITOLO ’’RELIGIONE”
Il Sinodo, a seguito della pubblicazione dei nuovi programmi
delle scuole elementari che comprendono un paragrafo su « religione », riafferma la propria convinzione che la scuola nel suo progetto culturale complessivo debba
affrontare anche il fatto religioso
e lo debba fare con la necessaria
autorromia da ogni dogmatismo
confessionale o ideologico.
Rileva che nel paragrafo « religione » dei suddetti programmi elementi diversi possono essere ricondotti nell'ambito deU’insegnamento religioso confessionale garantito dal Corveordato e ritiene pertanto che la soluzione adottata nei
nuovi programmi è ambigua e inadeguata.
'In tale quadro ritiene grave per
il presente e pericoloso per il futuro il fraintendimento della posizione delle chiese valdesi e metodiste che mediante una parziale
citazione delPIntesa viene posta
in parallelo con quella concordataria privandola della sua specificità
e distorcendola.
Ribadisce che il contributo che le
chiese valdesi e metodiste sono
pronte a dare in risposta «alle eventuali richieste provenìertti dagli alunni, dalle loro famiglie o dagli organi scolastici in ordine allo studio
del fatto religioso e delle sue implicazioni» (Intesa, art. 10), non può
essere inteso se non nel quadro
dell’art. 9 dell'Intesa che esprimendo la convinzione che « l'educazione e la formazione religiosa
dei fanciulli e della gioventù sono
di specifica competenza della famiglia e delle chiese » esclude la
organizzazione di un insegnamento
religioso protestante che invece potrebbe apparire predisposto e pre
visto dai nuovi programmi elementari.
liwita la Tavola ed il CP deH’OPCEMI a promuovere, se del caso
con le altre chiese evangeliche in
Italia, l’elaborazione e la diffusione
di adeguati strumenti per la preparazione e l'aggiornamento degli insegnanti elementari, programmi che
affrontino le problematiche culturali, indicate in detti programmi e
collegate al fatto religioso, sulla
base di una corretta informazione
sui fenomeno religioso e sulle sue
influenze storiche culturali e sociali, nonché sulle posizioni presenti nelle diverse confessioni religiose in ordine ai valori del pluralismo e della libertà di coscien
II Sinodo, rilevando che, malgrado l’entrata in vigore delle nuove
norme concordatarie, che prevedono la facoltatività dell'insegnamento religioso, il Ministero della Pubblica Istruzione non ha ancora provveduto ad Impartire agli istituti di
istruzione pubblica le opportune disposizioni, ingenerando incertezza;
considerato che la apposita normativa contenuta nella legge n. 449
deiri1.8.1984 mantiene inalterata
la propria validità; raccomanda alle
chiese, nel caso in cui insorgano
difficoltà circa l’applicazione della
facoltatività, di vigilare affinché, in
forza della predetta legge 449/84,
sia ancora presentata dalle famiglie
e dagli studenti la dichiarazione
con cui viene manifestata la volontà
di non avvalersi dell’insegnamento
religioso cattolico; in merito al capitolo « religione » dei nuovi programmi per le scuole elementari
invita la Tavola a precisare ulteriormente al Ministero della Pubblica
Istruzione la posizione che il Sinodo ha espresso con 70/SI/85.
tà della nostra presenza particolare, che possa servire ad approfondire ciò che riguarda il
fatto religioso, e la richiede, le
nostre chiese hanno il diritto di
mandare un « esperto » ( cosa
d’altronde prevista anche dai
Decreti Delegati).
Le famiglie evangeliche, con
le domande di esonero, hanno
comunque dimostrato in questi
ultimi anni di esser ferme nella
convinzione che l’educazione e
la formazione religiosa non sono compito della scuola pubblica, bensì delle chiese.
Speriamo che l’ambiguità delle leggi e delle disposizioni applicative non induca i genitori
e i direttori didattici in confusioni pericolose.
Naturalmente, per i credenti,
resta aperta « la possibilità di
interventi fuori dall’orario scolastico, a libera partecipazione
e su invito di chi, essendo interessato ad approfondire tematiche religiose, chiedesse il nostro
intervento » (Documento convegno FCEI di Ecumene del 4 novembre ’84).
Graziella Tron Lami
IL SINODO ASCOLTA DUE LETTERE SERENE E CONSAPEVOLI
Dal Rio de la Piata
Il dibattito sulla chiesa valdese
nel Rio de la Piata è stato brevissimo ma molto intenso. Non
è certo un caso se la relazione
della Tavola Valdese iniziava
quest’anno con un accenno a quest’area: « il ritorno alla libertà
premia un decennio di paziente
attesa e di attiva costruzione teologica e mette le nostre chiese in
prima linea nella battaglia per
una autentica testimonianza cristiana, per una giustizia sociale
alTinterno di ogni Paese, per una
equa composizione dei rapporti
internazionali. Il simbolo di tutte
queste opportunità è costituito
dal Mensajero Vaidense, rinato
dopo un decennio di silenzio, do
loroso ma anche fecondo: al
giornale, alla Mesa, alle migliaia
di credenti che essi rappresentano va tutta la nostra solidarietà,
nella preghiera e nella prassi ».
Il Sinodo ha in primo luogo
ascoltato la lettura di due lettere
dall’Uruguay; la prima del pastore Carlos Delmonte direttore del
Mensajero Vaidense e la seconda
del Moderador Ricardo Ribeiro,
che l’anno scorso aveva avuto
modo di parlare al nostro Sinodo: due lettere serene ma pienamente consapevoli dei gravi problemi che ci sono da affrontare.
Due interventi, uno del Moderatore ed un altro di Marco Rostan, ricordavano l’intensità e ad
dirittura l'aumento dei rapporti
di questi anni di difficile comunicazione. La Chiesa è cambiata
più di quel che si pensi e il Patto
che ci lega va sempre più approfondito. E’ un compito da affrontare con attenzione ma con una
certa urgenza. Infine il Sinodo ha
ascoltato un saluto di Ruben Artus che è stato con la sua famiglia in mezzo a noi in questi anni difficili e che ritorna, accompagnato dal nostro affetto e dalla
nostra gratitudine, a lavorare
neU’America del Sud. Due ordini del giorno votati all’unanimità hanno cercato di concretizzare
la breve discussione sinodale.
Eugenio Rivoir
FELIZ REGRESO
Il Sinodo saluta con affetto Ruben e Teresa Artus, domanda al
Signore di benedire il loro lavoro
nelle chiese del Rio de la Piata
e li ringrazia per il ministero svolto nella zona europea della Chiesa Valdese.
BIENVENIDO
il Sinodo si rallegra per la ripresa delle pubblicazioni del « Mensajero Vaidense », periodico della
Chiesa Valdese dei Rio de la Piata;
vede in questa ripresa un segno della grazia di Dio, che non
abbandona la sua chiesa nella tribolazione, e le apre nuove occasioni di testimonianza;
invita i Consigli di Chiesa e i
Concistori ad abbonarsi al « Mensajero Vaidense », utilizzando questo strumento per informarsi sulla vita delle chiese nella zona
rioplatmrse.
8
8 spedale sínodo
6 settembre 1985
DIO CREA PER NOI
LA STAGIONE DELLA LIBERTA
E DELLA TESTIMONIANZA
Dopo il racconto dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, è scritto;
« Il giorno seguente, quando furono usciti da Betania, Gesù ebbe
fame. Veduto di lontano un fico, che aveva delle foglie, andò a vedere se vi trovasse qualche cosa; ma, avvicinatosi al fico, non vi
trovò niente altro che foglie; perché non era la stagione dei fichi.
Gesù, rivolgendosi al fico, gli disse:Nessuno mangi mai più frutto
da te! E i suoi discepoli udirono ». Poi è raccontato l’episodio di
Gesù che profana il tempio. Poi ci è detto: « La mattina dopo, passando, i discepoli videro il fico seccato fin dalle radici. Pietro, ricordatosi, disse a Gesù: Maestro, vedi, il fico che tu maledicesti è
seccato. Gesù rispose e disse loro: Abbiate fede in Dio! In verità io
vi dico che chi dirà a questo monte: togliti di là e gettati nel mare,
se non dubita in cuor suo, ma crede che quel che dice avverrà, gli
sarà fatto. Perciò vi dico: Tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete ».
(Marco 11; 12-14; 20-24)
Ci capita di trovarci davanti
a im racconto strano, che non
ci aspetteremmo di trovare nell’evangelo. E’ un fatto che deve
avere scandalizzato parecchi nella chiesa primitiva, dato che
Matteo ha eliminato nel suo racconto quella precisazione che
Marco invece vi ha mantenuto
e che mi pare essenziale per capire il senso di queste cose:
« non era la stagione dei frutti ».
Viene così sottolineata la assurdità più assoluta di quel che sta
succedendo. Se non era la stagione dei frutti, perché mai Gesù se ìa prende in maniera così
definitiva con quell’albero che
non gli aveva offerto il suo frutto?
Certo, quell’albero non si era
fatto disponibile a Gesù nel momento in cui Gesù aveva bisogno di lui, e chiedeva la sua disponibilità.
Però, questa non era colpa dell’albero. L’albero stava facendo il
suo dovere. Era perfettamente ubbidiente alle sue leggi; non poteva svincolarsi dalle regole che
la natura gli aveva fissate; conosceva i suoi tempi. Sarebbe
stato un fico falso se avesse portato dei frutti in un momento
in cui era ben precisato e chiaro che lui frutti, in quel momento, non doveva fame. La pretesa di Gesù è assolutamente assurda. Lo sanno tutti che un albero può fare fmtti solo quando è la sua stagione; non soltanto il contadino lo sa, non soltanto chi vive in campagna, ma
anche chi vive in città e va a
fare la spesa al mercato; anche
Gesù lo sapeva.
Eppure questo fatto succede,
e ci è raccontato. Gesù arriva
con pretese impossibili, e reagisce con azioni incomprensibili.
L’albero che, a nostro parere,
avrebbe dovuto piuttosto essere
additato come un esempio di
ubbidienza, viene invece condannato a morte. E allora non capiamo più cosa succede, perché
qui qualche errore ci deve essere.
Ecco, noi leggiamo la Bibbia
per sapere Dio, per sapere la sua
grazia, per conoscere il senso
che Dio vuole dare alla nostra
vita, e anche per farci un progetta giusto per la nostra vita.
E poi ci imbattiamo in racconti
di questo genere.
Ci è detto poi che « i discepoli udirono »; poi ci è detto
che la rnattina dopo verificarono; poi l’hanno predicato alla
loro chiesa; e poi ce l’hanno tramandato nell’evangelo, inserendolo nella settimana della croce di Gesù Cristo.
La croce di Gesù Cristo. Ecco,
noi siamo così abituati a parlarne e sentirne parlare, che
non ci fa più scandalo. La croce
è stata talmente inglobata nella
nostra cultura, è diventata tanto come un fatto naturale, che
non ci accorgiamo nemmeno più
che essa stessa è un ron-senso,
tanto quanto il fatto del fico. E’
un’altra assurdità. Perché i te
stimoni dell’evangelo ci fanno
sapere che è qui, e così, che Dio
ha scelto di fare la salvezza dell’uomo, la salvezza del mondo.
Però, non è con una morte che
si fa salvezza; non è con una
morte che si crea la vita. Eppure l’apostolo Paolo insiste nel
dire che nella sua predicazione
egli non vuol sapere altro che
Cristo, e Cristo crocifisso. E l’evangelo ci fa sapere che Dio ha
creato la morte del suo figlio,
per creare la vita degli uomini.
Ma non è così che si fa; questo
non è logico. La morte è il tempo della aridità più completa.
Niente può succedere nella stagione della morte, tanto meno
la vita. Il morto è morto; è finito ed ha finito. Il fico che muore non porterà più frutto; questo è logico.
Dio agisce fuori stagione; Cristo si fa disponibile all’opera di
Dio fuori stagione, nel momento
in cui non era naturale, non era
logico che si facesse disponibile,
e in questo modo. Ma se l’evanaelo ci dice la verità di Dio. se
la morte di Gesù Cristo è davvero il dono della vita per gli
uomini e le donne di questo mondo, allora vuol dire che succede
un frutto giusto in una stagione
sbagliata. E noi dobbiamo rivedere le nostre esperienze più sicure, perché Dio non le ha rispettate.
E poi, la resurrezione... Ma che
senso ha parlare ancora di re^
surrezione, quando vediamo che
i cimiteri non bastano più ad
accogliere tutti i morti, e si fanno le fosse comuni per far stare niù morti in meno spazio...
Ma che senso ha tutto questo
discorse, che senso ha questo
evangelo che noi ci intestai'diamo ancora a voler credere, a
voler predicare; che senso ha
questa nredicazione della illogicità, della assurdità di Dio; questa pretesa di dover fare cose
giuste in tempi sbagliati... o, per
caso, non saranno cose sbagliate che si fanno?
La salvezza si crea uno spazio
e un tempo: se li crea, perché
questo spazio e questo temno
non ci sono nei nostri calendari; uno snazio per Dio, uno spazio per la salvezza, non è mai
stato programmato da nulla e
da nessuno. Dio se l’è creato.
Anche qui, i discepoli odono,
credono, lo predicano alla chiesa, e ce lo tramandano nell’evangelo.
L’annuncio di Dio che nella
croce di Gesù Cristo crea la salvezza all’umanità, fa sì che la
storia dell’albero ucciso diventi
come una parabola della storia
della chiesa e de! mondo, così
come la storia di Gesù Cristo
morto e risorto diventa la storia per l’umanità.
I discepoli di Gesù Cristo sono invitati a passare dall’essere
assoggettati alle leggi della natura e alla rassegnazione fatalistica alle cose stabilite e confermate dall’esperienza, alla libertà
dei figli di Dio e alla decisione
di essere in piena disponibilità
al servizio di Dio fra gli uomini,
come testimoni che credono, e
annrmciano, e vivono in un
« tempo che Dio ha liberato »
con le sue scelte e con le sue
decisioni, che ha prese in Gesù
Cristo, e che ci comunica.
Se Dio agisce la salvezza in
una stagione che non prevedeva
la salvezza, allora vuol dire che
non esistono più quattro stagioni, ma una stagione sola: quella
in cui Dio si fa disponibile agli
uomini, e ci chiama ad essere
disponibili secondo le sue decisioni.
Un tempo
nuovo
Il pastore Guido Colucci e la candidata Maria Bonafede all’ingresso
del corteo nel tempio per il culto inaugurale del Sinodo.
E’ un tempo nuovo che comincia. Il tempo si è accorciato, dice l’apostolo; il tempo è compiuto. Un tempo è finito; è cominciato un tempo nuovo. E’ il
tempo in cui la promessa di Dio
si compie, e in cui le vocazioni
sono rivolte. E’ ora il tempo dei
frutti.
Ma il lupo non va ad abitare
in pace con l’agnello; e le spade
si trasformano in bombe e in
missili, non in aratri. E i discepoli si trovano ricacciati nel pieno della tragica realtà che, come prima, è piena di lotte, di
ingiustizia, di sofferenza, di sopraffazione, di paura. Nulla di
nuovo è successo.
Ma allora, cosa è questa storia del fico che muore, e di Gesù
che è morto ed è risorto? Come
può significare che un tempo
nuovo è cominciato, e che è il
tempo della libertà di Dio, e
quindi della speranza per l’uomo?
Se le cose vecchie restano anche nel tempo nuovo, che senso
ha tutto questo discorso? Sarebbe meglio riabilitare il fico,
e dimenticarci di Gesù. Potremmo vivere più tranquilli e più
sereni, meno preoccupazioni e
meno problemi; potremmo ubbidire alle leggi della nostra natura che, per quanto dure, almeno ci danno alcune certezze,
e almeno ci consentono di fare
alcune previsioni.
Che senso ha continuare a
credere, che senso ha continuare a predicare un Dio che in
questo modo si lascia contraddire dagli uomini? Che questa
sia una domanda vecchia di secoli, a noi importa poco; a noi
importa che sia una domanda
che ci poniamo oggi, e nel momento in cui ci è detto « credi »!,
e «chiedi»!; mentre ci viene ordinato di credere, sperare, amare, predicare, in un tempo in
cui tutto e tutti ci dicono che è
proibito credere, sperare, amare, e in cui è sempre più difficile predicare.
E l’evangelo ci dice ancora di
nuovo: credi! chiedi! — la fede
e la preghiera di cui leggiamo a
conclusione di questo racconto
— credi che è Dio che ha ragione; chiedi a Dio che non è assente. Che la predicazione della croce sia davvero scandalo e pazzia, non è una semplice espressione letteraria. Che Gesù Cristo
sia il Signore, non è una semplice espressione teologica.
La nostra predicazione ripete
ancora che la chiesa dei credenti è davvero posta in libertà e
che deve poter vivere in questa
libertà, a cui è stata chiamata
da Dio, da ogni servitù alla fatalità del tempo, da ogni ubbidienza idolatrica ai ritmi naturali e logici delle cose e degli
avvenimenti, per entrare nel
tempo della piena disponibilità
— a tempo e fuor di tempo (ci
ricorda l’evangelo) — a questo
Dio che ha creato la sua staqione, quella della libertà di vivere, e che ci situa nella sua stagione che è quella della testimonianza.
Credi e chiedi; davvero, solo
questo. Perché è vero che Dio
ha creato un nuovo tempo, un
« tempo liberato ».
Ma questo stesso tempo noi
lo conosciamo e lo soffriamo ancora come un tempo non liberato, ma ancora « occupato », e occupato dagli uomini, non da Dio.
Un tempo nel quale per vivere
bisogna necessariamente fare i
conti con la logica delle cose,
con la logica delle stagioni, con
la logica della continuità e dell’esperienza, che danno ancora
un senso alla nostra storia. Non
c’è stata alcuna frattura tra
« prima » e « dopo ». E’ tutto
sempre « come prima ».
Siamo in un tempo occupato,
occupato dagli uomini, non da
Dio. Tutto è condizionato e nrogrammato da una logica così
serrata e tirannica, che non lascia spazio a sogni, e non permette la realizzazione di sogni.
Siamo dominati dalla « nostra
natura »: siamo fatti così, pazienza, così dobbiamo essere perché siamo fatti cosi... La logica
dei tempi adatti e di quelli non
adatti, è ancora la logica dominante che determina resistenza
degli individui, delle società, delle nazioni, dell’universo. E’ logico che ci si adatti a questa condizione; solo così si possono fare dei progetti.
E’ molto logico che il principio dell’equilibrio degli armamenti nucleari sia mantenuto,
perché è logico che quel che può
salvare dalla distruzione della
« bomba » è la paura che anche
ravversario la possa usare... E’
molto logico che la grande paura della « grande bomba » non
ci faccia pensare che anche le
« piccole bombe » cosiddette tradizionali fanno anch’esse strage
di vite... E’ molto logico che « lo
straniero che è dentro le nostre
porte » sia tenuto accanto alla
porta, in modo da poterlo fare
uscire al momento opportuno,
è logico perché la piena disoccupazione l’abbiamo anche in casa
nostra... E’ molto logico che gli
zingari siano mal sopportati,
non accettati, e appena possibile siano sbattuti fuori anche da
quei pochi spazi che ogni tanto
si trovano alle periferie delle
grandi città, è logico perché vengono a rubare in casa nostra...
E’ molto logico che non possiamo aspettarci da Botha che il
potere bianco riconosca ed offra
giustizia e rispetto e libertà per
i neri del Sud Africa... E’ molto
logico che ci si debba difendere
dal prossimo, non solo perché
spesso ci crea problemi, ma perché la sua presenza costituisce
sempre un rischio...
La logica di Dio
Ci accorgiamo che quando
pensiamo, discutiamo, facciamo
ordini del giorno, partecipiamo a
manifestazioni, noi non facciamo
appello alla ragionevolezza? La
predicazione non è ragionevole.
E’ ragionevole solo fare proprio
quello che si sta facendo con
un solido fondamento di secoli
e motivazioni ineccepibili nella
storia e nell’esperienza.
Il Sinodo de) 1982, per esempio, non ha fatto una cosa « logica » quando ha scritto al Presidente del Consiglio una lettera sulla questione di pace e armamenti, riferendo discorsi fatti a Vancouver e fatti nel nostro Sinodo, indicando tra l’altro nella scelta di non consentire l’installazione dei missili a
Comiso uno dei modi più significativi per affermare la volontà
di pace da parte del nostro Paese. Il Sinodo ha « solo » predicato. « Logica » è stata invece la
risposta che ci è stata data: voi,
chiese, fate bene a fare questi
discorsi; ma noi, governo, dobbiamo continuare a fare quel che
stiamo facendo, I missili a Comiso sono stati installati; ed è
perfettamente logico che sia così.
Dobbiamo ben ricordarci che
noi siamo radicati nel tempo in
cui i ritmi delle stagioni e la logica naturale delle cose vanno
rispettati e non possono essere
sovvertiti, perché è cosa saggia
consolidare quel che è ben sostenuto, confortato, obbligato
dall’esperienza dei secoli. E’ an-
9
6 settembre 1985
Spedale sinodo 9
cora la stagione del fico che non
può rispondere « sì » a Gesù Cristo, perché è la sua natura che
lo obbliga a rispondere « no ».
Il nostro tempo riabilita il fico. Ma noi dobbiamo ricordarci
che il fico è stato ucciso. E che
Gesù Cristo è morto ed è risorto, e che egli è vivente e che è
lui che dà la vita al mondo. E
i discepoli di Gesù Cristo sono
chiamati a credere che la morte di Gesù Cristo è più importante della vita del fico, e che lo
spazio di libertà che Dio crea è
più reale degli spazi occupati
dalla fedeltà al processo naturale dello svolgersi delle cose.
Non perché è logico che sia così, ma perché così è stato Gesù
Cristo. Egli ha seguito la « logica di Dio ».
Ala quando parliamo di « logica di Dio » noi dobbiamo stare attenti; ci sono dei rischi, per
la chiesa, nel maneggiare questa
parola. Perché è grande la tentazione di farla rientrare in un
nuovo ordine logico delle cose;
incanalare Dio in schemi che,
per il fatto di essere « religiosi »
o « nuovi » non hanno per questo
maggiore validità di quelli vecchi. E’ il rischio di scrivervi Dio,
e di lui serpervi tutto quello
che possiamo aspettarci da lui;
quel che |jiiò fare e quel che non
può fare; dove e come può avere autorità, validità, udienza; di
fissare i nuovi tempi e le nuove stagioni; e finire con l’immobilizzare Dio dentro altri schemi e di abituarci a vederlo così
e quindi a non riconoscerlo
La speranza
quando egli si serve della sua
libertà per inventare le sue nuove cose che non possono essere
né previste né programmate. La
morte e la resurrezione di Cristo non avremmo saputo metterle in conto di previsione, e
saremmo ancora nel peccato
senza il perdono.
La chiesa stessa deve badare
a non mettere nemmeno se stessa dentro uno schema, di cose
che si fanno e che non si fanno,
di quando si devono fare e dove
e di quando non si devono fare
e dove. Uno schema religioso
non vale più di un qualsiasi altro schema, quando si ha a che
fare col Dio che mette in libertà
la sua testimonianza.
Noi dobbiamo accettare di avere a che fare con un Dio senza
carta d’identità, senza schedatura di note caratteristiche, che ci
possano consentire una sua certificazione di autenticità nei suoi
interventi. La chiesa deve accettare di avere un Dio non catalogabile, il quale interviene con
una tale « illogicità » che solo
per fede e solo per lo Spirito
Santo è possibile conoscere che
è lui e non ravversario. La testimonianza biblica ci dice di
Dio che ama, salva, libera, e per
questo interviene; ma i modi del
suo intervento sono sempre di
volta in volta diversi, perché egli
interviene nella storia e non al
di fuori di essa. Un Dio illogico
perché libero, al di fuori di logiche pagane e al di fuori di logiche cristiane. Egli non fa cose
diverse, ma cose nuove.
10 credo che proprio su questa base di interventi inattesi di
Dio si può cominciare a parlare di speranza. Perché quando
egli interviene non lascia le cose come prima; vi lascia il segno di ciò che può succedere, e
apre dav\ero su un futuro che
da lui riceve un significato.
In questo testo la speranza è
proprio segnalata in quei fatti
che lasciano perplessi e turbati,
pcrei’ic sono la negazione di tutti quei tentativi che si vanno facendo per assicurare un futuro
alla nostra umanità.
11 futuro. Ma come si può costruire un futuro? Si è convinti
che il futuro va costruito su fondamenti dei quali si riconosce
la stabilità, l'intoccabilità, la
« sacralità ». Si sacralizza tutto
e tutti, persone e cose, istituzioni e programmi; bisogna avere
delle certezze a cui aggrapparsi
per non affogare, e a cui fare riferimento sicuro per l’oggi e per
il domani; e si conta sulla «continuità » e si reinventa la « restaurazione » per affidarsi a modelli vecchi, visto che i modelli
proposti come nuovi non hanno
funzionato.
Se rintervento di Dio è al di
fuori delle logiche e delle capacità umane, allora vuol dire che
davvero la speranza è un annuncio potente che travolge, sconvolge, sovverte, e che è proprio
nella rottura della continuità che
ha inizio la salvezza e la speranza.
Anche qui, la chiesa dei credenti ha un grande messaggio,
ma si presenta a mani vuote.
Perché questo nostro Dio sembra voler dissacrare proprio tutto; sembra che proprio voglia
togliere via tutto quel che potrebbe costituire una sia pur
minima sicurezza e garanzia a
nostra disposizione; egli profana l’albero nelle sue stagioni,
profana il tempio nelle sue funzioni, profana la morte nel Cristo del venerdì santo e della Pasqua, profana la nostra umanità nel suo tentativo di darsi in
qualche modo l’immortalità, e
profana perfino se stesso togliendosi dalla immobilità degli altari e mettendosi per strada con
noi.
Sì, proprio per questo penso
che possiamo qui parlare di speranza, e possiamo crederci. Infatti nemmeno la chiesa cristiana può offrire il modello per la
costruzione della città terrena;
la chiesa cristiana può offrire
una predicazione; perché anche
essa è in attesa: aspetta Dio, e
non soltanto di capire che cosa
Dio vuole.
Per testimoniare in verità bisogna che noi ci rendiamo conto che questo Dio, che così ci
chiama a credere, è una persona
vivente che vive le sue giornate
con le nostre. Egli non è lontano, e non si dimentica che egli
è Dio e che gli uomini e le donne gli sono figli, che Gesù Cristo
è già morto e' già risórto per
noi; non si dimentica di essere
Dio in maniera tale da non voler essere Dio senza l’uomo.
La speranza, così, è una cosa
molto concreta; non è un dogma, non è una definizione astratta; è un atto di Dio. E’ tanto vera e tanto concreta quanto Dio
è concreto e vero, e quanto concreta e vera è la vocazione alla
quale siamo chiamati per darne testimonianza vivendola all’interno delle realtà quotidiane
del nostro mondo, nelle quali ci
troviame pienamente coinvolti.
Speranza significa che Dio pensa all’uomo. Dio ha promesso,
Dio viene, Dio non si dimentica.
L’uomo non è abbandonato al
caos, né al caso, né al destino,
né alla buona o cattiva volontà
degli uomini che « possono », né
alla possibile distrazione di chi
può pigiare un bottone piuttosto che un altro... L’uomo è tenuto nelle mani di Dio.
Dio pensa all’uomo, e lo difende. E chiama la sua chiesa a difendere l’uomo. A difenderlo nella realtà più concreta della sua
esistenza; per esempio, nella costruzione della città, degli spazi
di vita per bambini e anziani,
quando si è nella paura e non
si vede alcuna via d’uscita a situazioni invivibili, nel pieno della paura delle centrali nucleari,
o che Fambiente si deteriori in
maniera irreparabile, o che la
guerra seppellisca definitivamente questo mondo, o quando una
fabbrica chiude, o quando il precariato, nella scuola come in
ogni aspetto della vita, diventa
il più scoraggiante dei modelli
di vita; quando tutto e tutti fanno sì che non si veda nessun
futuro, e nessun motivo per fare
seri progetti di vita perché, tanto, non ci saranno spazi di vita
in cui viverli... Ebbene, è proprio
lì che la lotta della comunità
dei credenti sarà una predicazione e un’azione per smentire
tutto Questo: non ner dire che
non è vero che tutta questa paura sta succedendo, ma per dire
che non è questo solo che nuò
succedere, e per dire che non è
così che deve succedere. Il nostro contributo alla costruzione
della città non sarà l’offerta di
un modello « cristiano » della
società, ma sarà la lotta perché
non sia uccisa nel cuore delFuomo la speranza. Bisogna che l’uomo non conosca solo l’indirizzo
dei cimitero; bisogna rifiutare
all’uomo la soluzione della droga per evadere dalla realtà, o del
suicidio per evadere dalla vita.
Ma anche qui siamo con le
mani vuote. Solo con una parola, anche se è la Parola di Dio.
Ma non sappiamo nemmeno dire come, dove, quando succederà. Possiamo solo ripetere che
c’è una promessa fatta da Dio
il quale ama la nostra umanità.
E’ come quando, durante il
tempo dell’esilio di Israele, è detta dal profeta da parte di Dio
la parola della grande speranza;
« crescete, moltiplicate, riempite
la terra ». Nel tempo in cui non
si prospetta nessun futuro se
non di continuare ad essere
schiavi, nessun avvenire se non
di morire in terra straniera, nessun altro presente se non di soffrire e cercare di sopravvivere,
ecco che viene detto: voi potete!
c’è un futuro, c’è un avvenire,
c’è una speranza; voi potete mettere al mondo dei figli perché
non saranno schiavi, ma liberi
figli di Dio; perché c’è una promessa; ecco, io vengo! Non c’è
situazione tanto disperata nella
quale la parola di Dio non possa entrare con la più grande
promessa di speranza: uscirete
con canti di gioia!
Ma; quando? in che modo? attraverso quali esperienze? Non è
detto; è detto solo: credi, chiedi.
Anche se tutto dice che non si
può credere, e che è inutile chiedere.
Quando, come, la chiesa potrà annunciarlo; e dove? Sempre e dappertutto: dappertutto
senza sempre, significa in nessun luogo; sempre senza dappertutto, significa mai.
Ogni tempo e ogni luogo sono
il momento in cui la chiesa dei
credenti ha da esistere nella sua
vocazione affidandosi pienamen
Dal pulpito
del tempio di
Torre Pellice.
te alla libertà di Dio. Questo Dio
che è Signore del mondo, è anche Signore della chiesa. E come il mondo è messo in discussione dal Signore, così anche la
chiesa è messa in discussione dal
Signore. Nessun permesso di sacralizzazione è concesso ai pro
getti del mondo; nessim permesso di sacralizzazione è concesso
ai progetti della chiesa. Sia il
mondo che la chiesa si trovano
sempre ad essere confrontati
con la storia del fico e con la
storia di Cristo. Non ci sono
spazi o stagioni privilegiate.
Fede e preghiera
Forse è per questo che gli
scrittori biblici hanno inserito a
questo punto il discorso della
fede e della preghiera: credi!
chiedi!
Se siamo a mani vuote, non
siamo però nel vuoto. Qui è la
chiesa che è invitata da Dio ad
avere coraggio, e il più grande
dei coraggi! Dio che ha sfidato e
sfida la chiesa a darsi un progetto di vita fatto di ascolto, di
predicazione, e di libertà, ora dà
alla chiesa il permesso di sfidare Dio stesso.
Credere, qui significa prendere Dio sul serio, prenderlo in parola, sfidarlo nella sua parola e
nella sua promessa; contarci,
prendere Dio sul serio, e ricordarglielo.
La salvezza del mondo è nelle
mani di Dio, non in quelle delle
chiese. Il discorso dello « smuovere le montagne » è ancora
strettamente legato alla promessa di Dio e alla nostra attesa, Dio non trasmette i suoi poteri alle chiese dei suoi credenti;
noi aspettiamo che Dio smuova
le montagne. Questo discorso è
qui per darci il coraggio di credere che tutto è possibile, che
tutto può cambiare, che tutto
può succedere quando Dio ci
mette la sua mano; quando Dio
smuove la montagna, la montagna si smuove, si sposta, « si
corregge », ed è messa là dove
Dio la mette. Anche le nazioni.
Anche le chiese; anche le chiese
valdesi e metodiste. Ci invita a
contarci, ad avere il coraggio di
crederlo.
E di chiederglielo. II permesso
dato alla comunità cristiana non
è di fare grandi cose, ma di poter credere quel tanto che basta per « poter chiamare Dio
stesso in causa »; sapendo che
questa è la sola possibilità che
abbiamo; ma anche che questa
possibilità l’abbiamo, per le decisioni della fede.
Ma pregare così è un rischio.
Perché chiamare Dio in causa,
significa chiamarlo nella « sua »
causa, a far valere la « sua » causa, significa chiedergli di controllare ed affinare lui stesso gli
strumenti e farli adatti, a guidare lui stesso l’impresa della
predicazione e degli impegni che
la chiesa va ad assumere.
Pregare, qua, significa osare il
rischio della preghiera, perché
Dio ci ha detto che alle nostre
richieste, egli risponde.
Se pregare è chiedere a Dio di
prendere in mano la sua causa
e di portarla a compimento, è
anche chiedergli di verificare la
validità dei suoi strumenti, anche delle chiese. Noi, come chiese, chiediamo a Dio di venire a
verificare anche il nostro modo
di essere chiesa; della nostra, non
soltanto delle altre. Gli chiediamo di sottoporci alla verifica di
Gesù Cristo, e anche alla verifica del fico, nella nostra consapevolezza della vocazione, e nelle
scelte e decisioni che ne conseguono. E sappiamo che egli lo
fa nella sua libertà e nella sua
volontà di grazia. Egli può anche contraddire la chiesa; egli
nuò anche approvare la chiesa;
egli può anche chiederci ravvedimento e farci ricominciare tutto daccapo; egli può anche perdonare. Noi facciamo le nostre
scelte, nella fede, e prendiamo
le nostre decisioni, e chiediamo
a Dio di aiutarci a farne una verifica, con lui.
Ecco, il nostro riunirci in Sinodo di chiese mi pare che abbia questo senso. Nelle relazioni preparatorie al Sinodo che
noi abbiamo ricevute sono tanti
i problemi che ci sono proposti
per discutere, capire, e decidere. Problemi di evangelizzazione, di pace, di armamenti, di
ecumenismo, di applicazione delle intese, di rapporti tra le chiese, di scuola, di diaconia, di amministrazione, di soldi, di lavoro
e disoccupazione, e tanti altri.
Di proposito mi sono astenuto
dal far riferimento ad essi; questo è solo un momento del Sinodo; e sarà il Sinodo, se Io vorrà, che proseguirà questo discorso nei momenti in cui « sulle cose » dovrà riflettere, approfondire, discutere, deliberare, in maniera da assumere responsabilità che portino il segno della speranza, della libertà, dell’appello
di Dio.
Se cominciamo il nostro Sinodo con un culto, non è perché
è bene fare così, né perché è tradizione, né perché è scritto che
così deve essere. Ma perché noi
ci riuniamo come chiesa, che
chiede al Signore la sua Parola
il suo perdono, il permesso di
essere al suo servizio, il suo Spirito Santo, la sua volontà. E’
uno dei modi in cui confessiamo
la nostra fede nel fatto che il
Signore può farsi presente, e in
cui dichiariamo la nostra volontà di essere a sua disposizione.
Siamo in tempo di crisi. Anche le chiese lo sono. Viviamolo
quindi con piena consapevolezza, e nell’attesa di capire « ciò
che lo Spirito Santo dice alle
chiese ».
Guido Colucci
10
10 speciale sinodo
6 settembre 1985
PRESA DI POSIZIONE DEL SINODO SU « BATTESIMO, EUCARISTIA, MINISTERO »
Un disaccordo ecumenico
La discussione sul documento prodotto da Fede e Ordinamento, il settore del
Consiglio Ecumenico delle chiese che si
occupa delle questioni teologiche, rinviata l’anno scorso per dare spazio alla lettera dei due dissociati al Sinodo, è stata
ripresa e conclusa quest’anno, con im
paio d’ore di lavoro a gruppi e altrettante di discussione plenaria. Il lungo documento qui pubblicato è il risultato di
questo lavoro.
Le ore di discussione sinodale possono sembrare poche vista l’importanza
del documento, che è il punto di arrivo
di decenni di incontri e di colloqui fra
le chiese su battesimo, cena del Signore
e ministero, BEM (una tappa di rilievo
era stata costituita dai documenti di
Accra del 1974, a suo tempo discussi e
valutati criticamente nelle nostre chiese).
Ma alle spalle di queste ore di discussione c’è tutto un intenso lavoro istruttorio,
una vera e propria consultazione, oltretutto assai estesa, delle chiese locali :
quasi ogni chiesa ha avuto un gruppo che
ha esaminato il BEM — nonostante non
fosse di agevole lettura — e ne ha poi
discusso in assemblea, inviando alla
« Commissione per le relazioni ecumeniche» una sintesi del rilievi emersi.
La « Commissione per le relazioni ecumeniche » ha sottoposto all’esame del Sinodo una bozza di risposta alle quattro
domande che il BEM sottoponeva alle
chiese. In questa bozza è offerta una sintesi assai articolata dei rilievi emersi dalle chiese. Un membro della conunissione,
non riconoscendosi nel documento, proponeva una sua bozza più ristretta e più
critica.
Questo è dunque il cammino che sta
dietro alla discussione sinodale e che la
prepara. Questa ampia consultazione delle chiese — a tappeto potremmo dire! —
è un dato indubbiamente positivo e caratterizza la prassi da noi usuale in questi
casi ; i documenti ecumenici non sono
valutati da « vertici ecclesiastici », dai
pastori o da commissioni, ma dalle
chiese.
Due parole sulla genesi del documento
poi approvato. Esso risulta dalla fusione
dei due testi sottoposti al Sinodo, quello
più « critico » e quello più « interlocuto
rio ». Il documento « critico » è stato rivisto, emendato e unito all’ampio rapporto della « Commissione per le relazioni ecumeniche». (I due testi sono qui
riconoscibili in base al carattere di stampa diverso).
L’esito della discussione e la fusione
dei due documenti possono far pensare
ad un compromesso, ad una operazione
derivante da poca chiarezza, come qualcuno ha effettivamente affermato. Nel
suo insieme il Sinodo ha però dato un'altra lettura di questo fatto. L’unione dei
due documenti traduce ( seppur in forma certo imperfetta) due istanze che
hanno percorso la reazione delle chiese
valdesi e metodiste al BEM. Da un lato
si è avuta l’impressione di non poter ri
conoscere in questo testo, né nelle sue
linee direttrici né in molte affermazioni
specifiche, una linea di marcia accettabile. La prima parte del documento qui
pubblicato esprime questa valutazione.
D’altro lato le chiese sono state molto
stimolate dal BEM; in diversi casi il
BEM ha posto fecondi interrogativi e
formulato diverse affermazioni positive,
accettabili. In ogni caso è apparso chiaro che un giudizio negativo sul testo del
BEM non implica per le nostre chiese
alcun rifiuto del confronto ecumenico anche sui temi del battesimo, della cena e
del ministero né una presa di distanza
dal dialogo fra le chiese. Di qui l’esigenza di esprimere una valutazione da un
lato chiara, dall’altro interlocutoria e argomentata.
Sono deH’avviso che se il Sinodo avesse avuto il tempo di produrre un suo documento per esprimere le due esigenze
di cui sopra esso sarebbe stato più lineare e non vi si sarebbero avvertite le
tensioni che certo il testo poi votato rivela. Ma a volte lavoriamo in condizioni
non ottimali (e questo succede spesso
anche al Sinodo, ormai sovraccarico di
molte questioni importanti e complesse I) ; il documento votato è purtuttavia
espressivo, tensioni comprese, della discussione in seno alle chiese. Come tale
esso è inviato a Fede e Ordinamento.
Daniele Garrone
IL TESTO DEL DOCUMENTO SINODALE
Ricercare l’unità nella missione
delle chiese nel mondo
Il Sinodo, dopo che le chiese
locali hanno esaminato con cura il documento di Fede e Ordinamento su Battesimo - Eucarestia - Ministero, raccogliendone le valutazioni, constata che
vari rilievi critici mossi dieci anni fa dalle nostre chiese e quindi dal SIA6 alla prima stesura
del documento («Accra 1974»)
restano pertinenti anche rispetto al testo di « Lima 1982 » ;
contesta la distinzione fra
« convergenza » e « consenso » a
proposito di un testo che si presenta comunque come documento di accordo e di riconoscimento reciproco e che come tale viene proposto aU’impegnativa ricezione da parte delle Ch/ese;
rileva che, anche intendendolo in senso dinamico e non statico, esso indica un convergere
in una direzione sacramentale e
clericale che è opposta a quella
verso le. quale l’Evangelo chiama la chiesa nella sua testimonianza al mondo : non — come
è invece qui — verso una pesante sopravvalutazione dei sacramenti e del ministero ordinato,
che non ha riscontro nelle testimonianze del Nuovo Testamento, bensì verso una piena rivalutazione della predicazione della Parola, della ricerca biblica
comunitaria, della varietà dei
ministeri liberamente suscitati
dallo Spirito, della laica attenzione ai problemi dell’uomo destinatario dell’Evangelo ;
riconosce il serio sforzo di
dare una base scritturale al documento, specie nei paragrafi introduttivi alla prima parte; osserva tuttavia che questi riferimenti biblici, talora felici ma citati senza considerare il quadro
nel quale ciascuno di essi si trova nei vari documenti e strati
del Nuovo Testamento, sono immersi in un contesto generale
che li snatura e non di rado li
contraddice ; vengono accostati,
come di pari valore, testi biblici che si trovano in contesti neotestamentari diversi e di diverso
valore teologico; si è, così, oggettivamente in un’ottica tendente alla sintesi ecclesiastica
di elementi diversi e anche opposti ;
considera legittimo il fatto di
richiedere un consenso cristiano
su temi come battesimo, cena
del Signore e ministero, benché
non siano al centro del keryg
ma del Nuovo Testamento, ma
osserva che il BEM centra la fede, la comunione e la testimonianza cristiana non su Dio e
sull’Evangelo, bensì sulla chiesa
quale struttura sacrale che ha
e dà garanzia della presenza dello Spirito e ne amministra fazione mediante una casta dotata di poteri sacerdotali, mediatrice e rappresentante del divino
(Ministero, § 11, 14, 17).
Il Sinodo ritiene che faccettare la continuità di una fede
apostolica incarnata istituzionalmente dalle chiese nelle loro tradizioni secolari, significherebbe
di per sé — pur con la possibilità di interpretazioni diverse e
con proposte di correttivi sui
particolari — conformarsi all’ottica del documento e riconoscere come cristianamente validi i
suoi presupposti, senza che siano posti a reale confronto critico con fEvangelo. Si dà insomma per scontato ciò che invece
è e deve essere oggetto di contestazione ; non confessionale,
ma ad opera dell’Evangeio.
Il Sinodc riconosce che per
le nostre chiese lo studio del
documento è stato ricco di interesse e di utilità perché ha
spinto a riflettere sulla propria
fede cristiana e sul valore nel
mondo come chiesa di Gesù Cristo; ritiene tuttavia che fEvangelo, chiamando tutte le chiese
al ravvedimento costante, indichi loro una direzione opposta
a quella indicata dal BEM, anche considerando questo come
tappa su una via di una confessione comune della fede; per essere evangelicamente fondata,
questa confessione comune della fede non può e non deve avere questi caratteri marcatamente sacramentali e clericali, non
può centrarsi su un tipo di chiesa così pletorica da coprire di
fatto Colui che deve crescere,
mentre noi dobbiamo diminuire
(Giovanni 3: 30).
Entrando più nel dettaglio del
documento il Sinodo osserva
che: il BEM si propone di rendere convergente il cammino
delle chiese su tre linee riguardanti battesimo, eucaristia e ministero. Queste tre linee costituiscono anche le espressioni
esteriori strutturali che caratterizzano sociologicamente le varie chiese; la organizzazione (ministeri), il reclutamento (batte
simo) e il legame interno (eucaristia). Dal punto di vista del
confronto teologico noi non riteniamo che queste siano le linee di fondamentale importanza sulle quali realizzare la convergenza di fede delle chiese :
questo è a nostro avviso il limite fondamentale del BEM. Noi
riteniamo che, nella misura in
cui l’unità a cui tendiamo è quella della confessione di Cristo
davanti agli uomini, essa non
vada cercata per linee interne
alla vita delle chiese (quali sono, in fondo, battesimo, eucaristia e ministero), ma sulla frontiera della missione delle chiese nel mondo. Ci rendiamo tuttavia conto che nello sviluppo
storico e nello stato di contrapposizione in cui le chiese si sono trovate, battesimo. Cena e
ministeri hanno assunto per alcune chiese rilevanza sempre
maggiore, al punto di essere da
esse considerati essenziali alla
loro confessione di fede, e pertanto non rifiutiamo di farne
oggetto di studio e di confronto.
Le nostre chiese hanno avuto
reazioni diverse dinanzi al BEM ;
esso ha spesso offerto l’occasione per una riflessione sulla propria confessione di fede e sul
grado di coerenza della loro vita. Generalmente le chiese hanno avuic l’impressione di trovarsi dinanzi ad un accentuato sacramentalismo e ad una visione
piuttosto clericale della vita della chiesa. Il BEM usa il termine « sacramento » per il battesimo ma soprattutto per la Cena. Comprendiamo che la parola è entrata nell’uso comune, ma
riteniamo necessario ricordare
che la comunità apostolica non
ha mai applicato la nozione di
« mysterion » né al battesimo né
alla Cena. La tradizione successiva ha. trasferito il termine
« mysterion » dall’evento di Cristo ai segni, causando non lieve
confusione circa il fondamento
reale della fede. Il BEM avrebbe dovuto far maggiore attenzione agli sviluppi recenti della
teologia relativi ai sacramenti e
al contributo che su questo argomento è stato dato anche da
Karl Barth.
In accordo con le dichiarazioni della Chiesa riformata di
Francia (Sinodo nazionale di
Strasburgo, 1985), noi chiediamo a Fede e Ordinamento che
approfondimenti e precisazioni
siano dati sui seguenti punti,
che noi consideriamo fondamentali :
— Scrittura e Tradizione: La
Scrittura è norma per giudicare l’autenticità cristiana della
tradizione e di ogni tipo di magistero ecclesiastico; né alla tradizione né al magistero si può
attribuire una autorità superiore o pari alla Scrittura.
— Parola e sacramento: Non
possiamo accettare che al pri
mato della Parola si sostituisca
un primato del sacrarnento.
— Funzione della chiesa e dei
ministeri: chiesa e ministeri sono al servizio di Dio e della sua
opera di grazia e non possono
presentarsi come se della grazia
di Dio fossero proprietari, garanti e dispensatori.
Nonostante le precedenti considerazioni, il Sinodo dà risposta alle quattro domande del
BEM proposte da Fede e Ordinamento.
La risposta
alle domande
I
« Fino a qual punto la vostra Chiesa può riconoscere in questo testo la
fede della Chiesa attraverso i secoli ».
Risiiondere a questa domanda richiede di precisare il significato dell'espressione « la fede della Chiesa attraverso i secoli ». Evidentemente il
testo non intende riferirsi alle singole
tradizioni ecclesiastiche, altrimenti la
domanda sarebbe del tutto inutile in
un contèsto ecumenico. Perciò la domanda suppone che le singole chiese sappiano e vogliano distinguere le
loro tradizioni dal messaggio evangelico e cogliere questo sia pure all'interno delle tradizioni, liberandolo,
quindi, dai rivestimenti che hanno valore soltanto culturale e vanno costantemente riesaminate alla luce del
messaggio.
Posta in questi termini la domanda,
si può rispondere:
Battesimo
a) Il problema di fondo, per quanto riguarda il battesimo, è il rapporto fra l'opera dello Spirito e il segno
battesimale. B. 5 afferma; « Lo Spirito
Santo è all'opera nella vita delle persone, prima, durante e dopo il loro
battesimo. E' lo stesso Spirito che ha
rivelato Gesù come il Figlio e che
alla Pentecoste ha dato ai discepoli
potenza e unità. Dio riversa sopra ai
singoli credenti l'unzione e la promessa dello Spirito Santo, li segna col
suo sigillo e mette nei loro cuori la
caparra della loro eredità di figli e
figlie di Dio. Lo Spirito Santo nutre
la vita di fede nei loro cuori, sino alla
liberazione finale, quando essi entreranno nel pieno possesso della loro
eredità, a lode della gloria di Dio ».
Queste affermazioni sono di estrema importanza perché riassumono il
messaggio. Lo Spirito è lo Spirito di
Cristo e Cristo è la Parola fatta carne, è il Figlio mandato dal Padre. Abbiamo qui indicata l'economia divina
verso Fuomo, la precedenza assoluta della sua iniziativa; la precedenza della Parola e dell'azione dello
Spirito che crea la predicazione, la fede, la chiesa, prima e indipendentemente dal battesimo d'acqua e in ordine alla quale è stabilito lo stesso
battesimo di acqua. Riteniamo questo riconoscimento della priorità e
della libertà dell'azione di Dio essenziale alla confessione della fede.
b) Soltanto sulla base di questa
premessa può essere superata la tensione fra « è » e « significa » del battesimo. Le nostre chiese sono d'accordo nel valutare la serietà del battesimo • sacramento », proprio perché lo
vivono nel contesto di quella azione
precedente e libera dello Spirito. Non
ci può essere battesimo cristiano senza precedente predicazione, fede,
comunione della chiesa nella fede,
speranza nelle promesse di Cristo nell'atto stesso in cui si compiono i segni dell'associazione del credente alla morte e alla risurrezione di Cristo.
Se non credessimo che lo Spirito è
aH'opera anche « durante il battesimo », compiremmo un gesto privo di
significato.
c) Sulla base delle considerazioni
teologiche di B. 5 speriamo che possano essere superate le pregiudiziali
ecclesiologiche che rendevano impossibile il mutuo riconoscimento del battesimo fra le chiese che praticano il
battesimo dei credenti e quelle che
praticano il battesimo dei figli dei credenti. Vediamo con grande favore che
le chiese che praticano il pedobattismo si lascino interpellare con serietà dalle chiese battiste, e che queste tengano in seria considerazione
le motivazioni teologiche delle chiese che praticano il pedobattismo.
Eucarestia
a) Anzitutto, è discutibile la scelta
del nome ohe privilegia l'usanza di alcune chiese, non è del tutto gradita
ad altre e non è mai usato nel Nuovo
11
6 settembre 1985
Spedale sínodo 11
Testamento con riferimento alla Cena
del Signore. Il testo concentra pesantemente nella celebrazione della
Cena tutto ciò che è la realtà stessa della vita cristiana. Tutto ciò che
nel testo è detto dell'« eucaristia » appartiene alla vita del credente e della
comunità credente nella sua totalità
di comunione con Cristo. L'« eucaristizzazione » della vita cristiana presentata dal BEM è estranea alla tradizione neotestamentaria che mette in primo piano gli aspetti kerygmatici. carismatici ed etici del cristianesimo.
b) Per quanto riguarda E. 4, che
presenta la Cena come « sacrificio di
lode ». ricordiamo quanto dice l’apostolo in Romani 12; 1: « Vi esorto,
fratelli, per le compassioni di Dio, a
presentare i vostri corpi in sacrificio
vivente, santo, accettevole a Dio; il
che è il vostro culto spirituale ». E’
tutta la vita del credente — e delle
chiese — che in comunione con Cristo e per l'azione dello Spirito diventa « sacrificio di lode » a Dio. Concentrarlo nella Cena significa viverlo
in inodo riduttivo.
cj In riferimento a E, 4, dove si
afferma che ,« la' Chiesa parla a nome
deli intera creazione » con I'« eucaristia », si deve ricordare ancora l'epistola ai Romani, al cap. 8, dove è detto che la creazione è stata sottoposta
alia vanità « non senza speranza però
che la creazione stessa sarà liberata
dalla servitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio» (8: 21). Tale speranza è escatologica ed è in Cristo: non
è la chiesa che esercita una mediazione e tanto meno nella celebrazione della Cena.
d) Con queste precisazioni possiamo accettare l'indicazione della ricchezza di significati della Cena, intesa come momento celebrativo: riccbezza di significati, cioè di riferimenti
a realtà che la Cena indica, il cui realizzarsi è nella libertà dello Spirito,
secondo la promessa di Cristo,
e) . Apprezziamo l'affermazione di
E. 3: « l'eucaristia comprende sem
pre la parola e il sacramento », notando tutt,?,vìd che mentre II sacramento dipende dalia parola, non si
verifica il contrario. Il sacramento
presuppone la fede e la fede deriva
dalla parola per la testimonianza dello Spirito
f) E. 13 parla della « presenza reale » di Cristo nella Cena e afferma:
« il modo della presenza di Cristo
nell'eucaristia è unico », L’affermazione potrebbe apparire banale: tutte le
forme di presenza di Cristo sono reali, altrimenti non sarebbero presenze;
la qualifica « reale » ci sembra del
tutto superflua; sono « uniche », cioè
hanno ciascuna la sua propria configurazione espressiva. Lascia molto perplessi ciò che viene aggiunto e che
sembra voler essere una spiegazio
ne: « Sul pane e sul vino dell'eucaristia Gesù ha detto: "Questo è il
mio corpo... questo è il mio sangue...”.
Ciò che Cristo ha detto è vero e questa verità si compie ogni volta che
l’eucaristia è celebrata ». Qui troviamo una pesante concentrazione dell'attenzione sugli elementi, piuttosto
che sul Signore. La comunione con
Cristo nella Cena è spirituale ed ogni
sua oggettivazione per noi è idolatria.
Del resto, non si deve dimenticare,
a proposito dell'affermazione « si compie ogni volta » che l’apostolo Paolo,
in occasione di una « celebrazione eucaristica » formalmente ineccepibile
ha detto: « Quel che fate non è mangiare la Cena del Signore » (1 Corinzi 11: 20).
g) E. 29 tratta del « ministro dell'eucarestia ». Viene data la preferenza al « ministro ordinato ». E' bene notare che il testo dice soltanto che ciò
avviene « nella maggior parte delle
chiese ». Stupisce, tuttavia, la motivazione che se ne dà: « Colui che presiede la celebrazione in nome di Cristo manifesta che il rito non è una
creazione o una proprietà dell’assemblea ». L’affermazione sembra avvalorare la tesi di coloro che ritengono che la comunità non possa celebrare la Cena senza la presidenza di
un ministro ordinato. Per coi l'essenziale è che chi presiede lo faccia per
invito della comunità, nella certezza
che la promessa di Gesù non è legata
al ministro, ma alla comunità radunata nel suo nome, come Egli ha detto:
« Ovunque due o tre sono radunati
nel mio nome, quivi son io in mezzo
a loro » (Matteo 18: 20).
h) E. 32 parla del « modo di trattare gii elementi » e afferma che esso
« richiede particolare attenzione ». Parla anche della « prassi di conservare
gli elementi », circa la quale « ogni
Chiesa dovrebbe rispettare la prassi
e la pietà delle altre ». Il testo conclude con due « suggerimenti », Mentre ci sembra giusto il rispetto per
le altrui convinzioni, dichiariamo la
nostra totale estraneità a queste forme devozionali. Il Nuovo Testamento
non autorizza il trasferimento della
attenzione e della pietà da Cristo agli
elementi.
Ministero
a) Il primo capitolo relativo al ministero: « La vocazione dell’intero popolo di Dio », ci trova consenzienti. In
esso è espressa la vocazione dei credenti quale risulta dal Nuovo Testamento.
b) Ci troviamo d'accordo anche con
quanto è detto in M. 8 sulla varietà
dei carismi e dei ministeri; in M. 18
sul « ministero degli uomini e delle
donne »; in M, 19 circa la datazione
storica del ministero tripartito (vescovi, presbiteri, diaconi); in M. 34 e 35
ALLEANZA RIFORMATA MONDIALE
Essere testimoni
deil'Evangelo oggi
Il Sinodo non ha soltanto
esaminato il testo del «BEM»,
dando la risposta che riportiamo qui sopra, ma ha anche riflettuto sul documento della Alleanza Riformata
Mondiale « Chiamati ad essere testimoni deH’Evangelo oggi ». Questo documento è
stato « ricevuto » con una sostanziale sintonia del Sinodo
' con la famiglia riformata
mondiale.
Come lo stesso articolo 21
degli Atti del Sinodo dichiara, si tratta di una risposta
data «per rispettare i tempi»,
ma che, in alcune parti, avrà
« bisogno di un maggiore approfondimento da parte delle
chiese valdesi e metodiste ».
Il tono complessivo della risposta del Sinodo al documento, che riporteremo integralmente nei prossimi numeri, è comunque quello di
una forte concordanza di impostazione, dove più che di
critiche alla impostazione data dall’ARM si può parlare di
sottolineature, sfumature, integrazioni su punti specifici,
che non negano il valore della
riflessione proposta dall’ARM
alle chiese membro, ma tendono ad arricchirlo in alcune
parti, e a problematizzare
maggiormente alcune affermazioni (ad esempio sul punto
che riguarda la valutazione
da dare alla tradizionale etica
protestante del lavoro).
Il Sinodo, udite la comunicazione del gruppo di lavoro sul documento dal titolo « Chiamati ad essere testimoni deil'Evangelo oggi »
inviato dall'Alleanza Riformata Mondiale, approva la risposta elaborata
dalla Commissione consultiva per
le relazioni ecumeniche con le modifiche e le aggiunte apportate dal
gruppo di lavoro.
Decide di inviare aH'ARM il suddetto documento con la precisazione che si tratta di una risposta
che il Sinodo vuole inviare per rispettare i tempi, ma che aicune
parti avranno bisogno di un maggiore approfondimento da parte
delle chiese valdesi e metodiste.
circa la successione nella tradizione
apostólica e nel ministero apostolico «della Chiesa nel suo insieme».
c) M.8 inizia il discorso sul « ministero ordinato » e afferma che esso è
« un centro focale dell'unità » della
Chiesa e « costitutivo della vita e
della testimonianza delia Chiesa ». Il
« ministero ordinato » è definito in
M. 7: « le persone che hanno ricevuto un carisma e che la Chiesa incarica di un servizio tramite ordinazione, mediante l’invocazione e l'imposizione delle mani ».
A questo riguardo si può notare:
— il « punto focale » dell'unità della chiesa è Gesù Cristo morto e risorto, redentore e signore. Noi riteniamo che nessun ministro di qualsiasi
tipo sia « punto focale » di unità;
— lo Spirito del Signore ha suscitato vari ministeri fin dall’inizio della
predicazione cristiana, con piena ed
assoluta libertà, precedentemente e
indipendentemente da incarichi della
chiesa e da imposizione delle mani.
Paolo fa questa presentazione di se
stesso: Paolo apostolo non dagli uomini, né per mezzo di alcun uomo, ma
per mezzo di Gesù Cristo e di Dio
Padre che l'ha risuscitato dai morti
(Galati li: 1). Egli ha sempre rivendicato l'indipendenza del suo ministero anche in riferimento agli altri
apostoli. E' quindi ben difficile affermare la presenza del « ministero ordinato » fin dagli inizi della predicazione deil'Evangelo e ancor più parlare di « regolare trasmissione del ministero ordinato », come fa il BEM
soprattutto in M. 9, 10, 11, 35, 36;
— la chiesa, come ogni società
umana, proprio perché umana, ha avuto bisogno di darsi una struttura che
le garantisse di svolgere la propria
missione con ordine, specialmente dinanzi airintrusione di individualismi
disgregatori. Perciò, come ogni società umana, si è data le strutture di
fondo di ogni società: un'assemblea,
jjn governo, una presidenza. Il prevalere dell'uno o dell'altro elemento
ha creato i regimi ecclesiastici episcopali, presbiteriani o congregazionalisti. « Vescovi, presbiteri, diaconi » hanno riprodotto le strutture di
ogni governo, anche il più elementare, La chiesa era legittimata in questo dalla promessa del Signore, il cui
Spirito garantisce i doni e i ministeri
necessari alla vita della chiesa (1 Corinzi 12; Efesini 4).
— peccato delie chiese è stata ia
presunzione di rinchiudere la libertà
dello Spirito entro I loro schemi, di
crearsi una sicurezza con la presunzione deila « regolare trasmissione del
ministero ordinato » e con la « successione di imposizione delle mani
da parte di vescovi », trascurando
od opponendosi alla varietà di ministeri che lo Spirito ha suscitato nei
secoli e a cui è fatto esplicito riferimento in M. 33.
d) Va respinta l’affermazione di M.
14: « E' soprattutto nella celebrazione eucaristica che il ministero ordinato è il centro focale visibile della
comunione profonda che unisce Cristo
e le membra del suo corpo e che
abbraccia tutta la realtà ». Non c'è
nulla nel Nuovo Testamento che giustifichi tali affermazioni: esse esprimono « tradizioni » di chiese, non la
« fede » della chiesa.
e) M. 17 vuol giustificare l'attribuzione del termine « sacerdoti » ai
« ministri ordinati » di alcune chiese.
La giustificazione non ci convince.
Ribadiamo, da un lato, che tutti i
credenti sono sacerdoti in quanto tali e, dall'altro, che il sacerdozio è
definitivamente concluso con l'opera
di Cristo (vedi la Lettera agli Ebrei),
una volta per tutte, e non ci sono
nella comunità cristiana sacerdozi speciali.
f) M. 37 afferma che le chiese con
struttura episcopale riconoscono • sempre più che è stata conservata una
contihuità nella fede apostolica, nel
culto e nella missione nelle Chiese
che non hanno conservato la forma
dell'episcopato storico ». Ci rendiamo
conto dell’importanza di questa svolta: chiese di tradizione episcopale riconoscono che l'essenziale cristiano
è stato mantenuto e trasmesso attraverso i secoli indipendentemente dalla
struttura e successione episcopale.
Tuttavia, questo • riconoscimento » non
sottolinea sufficientemente l’opera dello Spirito che nella sua libertà dona
alle chiese la fedeltà a Cristo con o
senza I'« episcopato storico ». Questa
mancanza di sottolineatura spiega perché il BEM suggerisce alle chiese «che
non hanno successione episcopale »
di riprenderla, affermando che « esse
L’assemblea sinodale vista dalla galleria riservata al pubblico.
possono aver bisogno di ricuperare il
segno della successione episcopale »
(M. 53). La conclusione più logica sa
rebbe l'invito alle chiese con « successione episcopale » a non confidare
tanto in essa, che non ha potuto salvare l’unità, quanto a confidare nel
dono dello Spirito e a fare attenzione
a quanto M. 33 riconosce: « Nella storia della Chiesa vi sono stati periodi
in cui la verità delTEvangelo poté essere preservata solo grazie a personalità profetiche e carismatiche ».
Concludendo
Nel testo proposto dalla Commissione « Fede e Ordinamento » le nostre
chiese riconoscono lo sforzo per mettere a fuoco il messaggio evangelico,
cogliendolo nel concreto delle varie
tradizioni delle chiese. Esso Jegna un
progresso nel cammino della chiesa
verso la distinzione fra Parola di Dio
e tradizioni ecclesiastiche, legate a
contesti culturali, linguistici e storici
particolari, ili Documento di Lima si
propone di richiamare le chiese alla
verifica delle loro tradizioni che ricevono la loro legittimazione soltanto
nella misura in cui esprimono fedeltà
alla Parola, anche se questa distinzione fra Parola e tradizione nel testo di
Lima non è valorizzata come sarebbe
stato necessario. Le note precedenti
indicano « fino a qual punto » le nostre
chiese riconoscono in questo testo « la
fede della Chiesa attraverso i secoli ».
Il
« Quali conseguenze la vostra Chiesa può trarre da questo testo per le
sue relazioni e dialoghi con altre Chiese, particolarmente con le Chiese che
riconoscono anch’esse questo testo come una espressione della fede apostolica ».
1) Poiché il BEM è frutto di una lunga ricerca condotta anche nelle chiese,
le nostre chiese si rendono conto che
il processo di convergenza è in atto
e, quindi, sono disiponibili ad un confronto che nella fedeltà a Cristo e
alia sua Parola renda possibile il mutuo riconoscimento del battesimo, della
Cena e del ministero.
2) In particolare verso le chiese che
accettano il BEM quale base di confronto e di dialogo, le nostre chiese
sono disposte ad iniziative per verificare la realtà della convergenza e la
possibilità del mutuo riconoscimento.
Peraltro la nozione di « mutuo riconoscimento » esige approfondimenti e chiarimenti, dato che le sue implicazioni
non sono state finora precisate. Chiediamo a « Fede e Ordinamento » di avviare questa ricerca.
Ili
« Quali indicazioni la vostra Chiesa
può ricevere da questo testo per il
suo Culto e per la sua vita e testimonianza nel campo dell'istruzione (cristiana), dell'etica e della spiritualità ».
1. Per il Culto. Le nostre chiese concordano con l'indicazione del BEM
circa una adeguata valutazione della
ricchezza di significati che battesimo,
cena, esercizio dei ministeri e carismi
rivestono nel culto cristiano. Ritengono
peraltro che tale ricchezza vada costantemente ricondotta alla viva predicazione del Cristo secondo le Scritture e alla incessante Invocazione dello Spirito.
2. Per la vita. La realtà dell'essere
noi il corpo di Cristo, annunciata dal
la Parola, realizzata dallo Spirito e
significata dai sacramenti induce a vivere la realtà della comunione fra le
membra del corpo nella totalità delle
relazioni, ricordando che nel Culto al
quale siamo chiamati l'assemblea domenicale e la vita di ogni giorno in
tutti i suoi aspetti sono indissolubilmente legati.
3. Per la testimonianza, il BEM ci
ricorda che predicazione, organizzazione, liturgia e prassi delle nostre chiese — pur realizzandosi in contesti diversi — devono sempre comunicare
le promesse di Dio in Cristo, senza
condizionarle o sovrapporvisi.
4. Per l’istruzione. Qccorre distinguere il messaggio di Cristo dai condizionamenti storici in cui le chiese vivono, aiutandole a cogliere la comunione della fede anche nella pluralità
delle teologie e delle espressioni della pietà, nella misura in cui sono « ricchezza e varietà dei dono di Dio » e
non oscuramento di esse.
5. iPer l'etica. L’etica cristiana non
può essere che quella indicataci dal
Nuovo Testamento della « nuova nascita », del « vivere in Cristo », del
« Sermone sul monte ». Il iBEM ne
parla con particolare riferimento all'eucaristia (E. 20) e quanto là è detto
suona come ammonimento alle chiese
a non coprire con un formalismo liturgico il mancato impegno nel rispondere a una vocazione che coinvolge la
vita intera del credente e delle comunità.
6. Per la spiritualità. Pensiamo ohe
anche il BEM — pur con le riserve
che abbiamo avanzato — possa essere
uno strumento per l'arricchimento reciproco che ci può venire dal trovarci
a contatto con la ricchezza di doni del
Signore e di espressioni di pietà che lo
Spirito ha suscitato nelle varie chiese.
IV
« Quali suggerimenti la vostra Chiesa
può dare per-, il proseguiménto del lavoro di « Fede e Ordinamento » per quel
che riguarda il rapporto tra il materiale
di questo testo... e il suo progetto di
ricerca a lungo termine "Verso una
espressione comune della fede apostolica oggi" ».
1. Il primo suggerimento è di non
proporsi la formulazione di un testo
che voglia essere « espressione comune ». I testi sono sempre passibili di
ambiguità, mentre l'espressione della
fede comune è qualcosa di molto più
complesso e vissuto che un testo
scritto.
2. In vista di una « espressione comune della fede apostolica », crediamo
indispensabile una ricerca esegeticoteologica approfondita e posta a fondamento di ogni altra ricerca. La presunzione che la « fede apostolica » sia
stata mantenuta all'interno delle varie
tradizioni deve essere verificata e non
posta come condizione di ricerca.
3. « Fede e Ordinamento » dovrebbe
aver contatto diretto anche con le minoranze all'interno delle singole chiese, spesso tenute in disparte da poteri che si auto-definiscono senza verifica da parte del « popolo di Dio ».
4. Poiché ogni chiesa è vissuta —
in tempi diversi e in misure diverse
— in simbiosi con i poteri poiitici e
ne ha ereditato titoii e privilegi non
sempre faciimente distinguibili da ciò
che esse stesse proclamano « tradizione apostolica », sarebbe opportuno
che « Fede e Ordinamento » chiedesse
la rinuncia a tutto ciò che è residuato costantiniano o frutto di imposizioni avvenute anche con il peso del
« braccio secolare ».
12
12 spedale sínodo
6 settembre 1985
UNA SVOLTA NEL CAMPO DEL SERVIZIO E DELLE OPERE
PROBLEMA ALLO STUDIO DELLE CHIESE
Si rinnovano le strutture e si Tossicodipendenze;
ipotizza una «diaconia leggera» "®®tre responsabilità
La firma dell’Intesa consente alla Commissione Istituti Ospitalieri
Valdesi di rientrare pienamente neM’ordinamento generale della chiesa
La firma delle Intese fra il Governo Italiano e la Tavola Valdese ha comportato la necessità,
per le Chiese Valdese e Metodista, di adeguare gli statuti di
alcune loro opere alla nuova disciplina che regola i rapporti
fra lo Stato Italiano e le chiese
rappresentate dalla Tavola. Per
questo motivo buona parte dei
lavori sinodali sull’ argomento
della diaconia è stata incentrata
sulla discussione e votazione del
nuovo statuto della CIOV (Commissione Istituti Ospitalieri Vaidesi).
Gli Ospedali Valdesi di Torre
Pellice e Pomaretto furono fondati fra il 1821 e il 1834. Essi
furono amministrati, fin dalla loro origine, dalla allora costituita
CIOV. Nel corso degli anni a
questi due primi istituti si sono
aggiunte numerose altre opere
della Chiesa nelTambito della
diaconia. Varie vicissitudini hanno portato allo stato attuale delle cose, in cui la CIOV si occupa
deU’amministrazione dell’Ospedale di Torre Pellice, dell’Ospedale di Pomaretto e del Rifugio
Carlo Alberto di Luserna San
Giovanni.
Riordinamento
In btise al mandato sinodale
delT84 la CIOV e la Tavola Valdese hanno elaborato il nuovo
statuto che è stato posto in discussione. Si è lavorato Sulla base del desiderio di orientare il
riordino della CIOV in termini
esclusivamente ecclesiastici, facendo ricorso soltanto ai principi dell’ordinamento valdese. In
questo modo la CIOV viene a
riassumere i caratteri giuridici
che le competono secondo l’ordinamento valdese. Ciò che è soprattutto importante in questo
nuovo statuto è il fatto che la
CIOV non amministrerà più direttamente gli istituti a lei affidati, ma lo farà attraverso dei
comitati di gestione che quindi
saranno più vicini agli istituti
stessi ed alle loro esigenze, facendo ovviamente sempre capo
alla CIOV per le questioni di fondo. In questo modo inoltre la
CIOV potrà recuperare eventualmente alcuni istituti — che in
passato le erano stati affidati —
senza essere sommersa da un lavoro e da oneri insostenibili.
Altra significativa novità è rappresentata dall’elezione dei membri della CIOV che avverrà, da
ora in poi, per tutti annualmente, da parte del Sinodo, modificando radicalmente la prassi tenuta fino ad ora. Come già dall’anno scorso, la Commissione di
esame distrettuale esaminerà il
lavoro degli istituti presi singolarmente, ma non quello della
CIOV che riferirà, come sempre,
al Sinodo sotto il controllo dell’apposita commissione d’esame.
Con l’approvazione del nuovo
statuto e con la procedura che
ne ha permesso l’immediata entrata in vigore, fin da quest’anno
il Sinodo ha proceduto all’elezione dei nuovi membri della CIOV.
Si è poi passati al dibattito suT
l’operato della CIOV che, quest’anno, ha dovuto occuparsi in
modo particolare dell’organizzazione dei lavori di ristrutturazione delTOspedale di Torre Pellice
e del Rifugio Carlo Alberto, la
• Il servizio fotografico
per lo « SPECIALE SINODO »
è stato curato da
Renato Rlbet
vori che sono finalmente iniziati
dopo estenuanti lungaggini burocratiche. Ha suscitato qualche
perplessità il cospicuo aumento
del costo previsto per i lavori all’Ospedale di Torre Pellice che
sono stati appaltati per la cifra
di 2.300.000.000. Si è comunque
convenuto che la gara di appalto
si è svolta nella massima regolarità e chiarezza e che la lievitazione dei prezzi è stata così evidente anche a causa della difficoltà di fare, al giorno d’oggi,
dei preventivi esatti nel campo
dell’edilizia. Constatato con soddisfazione che i lavori per l’ummodernamento del Rifugio Carlo Alberto sono avviati e non dovrebbero più conoscere interruzioni, il Sinodo è stato informato che è allo studio un progetto
per i lavori necessari all’Ospedale di Pomaretto.
Un punto molto impegnativo
del lavoro della CIOV è stato,
in questo ultimo anno, quello
della impostazione ed organizzazione dei consigli di gestione per
i vari istituti che, come accennato aH’inizio, costituiranno un elemento fondamentale nella dinamica di un miglioramento del
servizio e del rapporto fra dipendenti e gestione. Il lavoro svolto
dalla CIOV è stato apprezzato,
anche e soprattutto, perché —
come riporta la relazione della
commissione d’esame sull’operato della CIOV — è stato « assolto
con spirito di servizio ed in una
ricerca aperta e continua con il
desiderio di coinvolgere sempre
di più tutta la chiesa ».
Diaconia,
il nome dei servizio
La diaconia è, ormai da tempo,
una parte importantissima dell’attività della nostra Chiesa, per
questo motivo la necessità di
una organizzazione sempre migliore del servizio e di un più efficace collegamento fra le varie
opere è particolarmente sentita
e, su questa spinta, sono nati, ormai da un anno, i Dipartimenti
Diaconali.
Il Sinodo non ha approfondito
l’esame di questo primo anno di
funzionamento dei Dipartimenti
Diaconali, ha tuttavia constatato
che, già dall’esame di questo periodo di attività, si capisce che
essi porteranno un profondo
cambiamento nell’organizzazione
della diaconia.
Dalla relazione del pastore Taccia sono emersi anche alcuni problemi, legati alla necessità di ima
maggiore sensibilizzazione delle
chiese sui temi della diaconia, del
reclutamento e della formazione
del personale secondo criteri di
evangelioità e di un maggior
coordinamento del rannorto con
gli enti pubblici. I temi essenziali sui quali dovrà incentrarsi
il lavoro futuro saranno ouello
della assistenza agli anziani, la
sistemazione secondo criteri di
modernità e di economia, nonché
la creazione di una « diaconia leggera » (libera cioè dalle strutture
degli istituti) che permetta un
capillare intervento sul territorio
consentendo così agli assistiti di
rimanere nel loro ambiente con
innegabile vantaggio a tutti i livelli.
In conclusione di questo capitolo sulla diaconia ritengo valga
la pena porre Taccento su un
punto che il pastore Alberto Taccia, confermato alla presidenza
della CIOV, ha posto aH’attenzione delle comunità che, secondo
la proposta della commissione
d’esame dèll’oneÀto della Tavola, dovrebbero dedicare Tanno
'85-’86 alla riflessione sulla diaconia; quello di una riflessione su
questo tema in chiave biblicoteologica. Dobbiamo cioè chiederci il significato della nostra
presenza in questo campo, in cui
le strutture pubbliche sarebbero
ormai in grado di far fronte alle
necessità logistiche del territorio.
L’esistenza di istituti ed opere
della nostra chiesa nel campo
delTassistenza deve diventare il
frutto di una scelta precisa degli
obiettivi che ci prefiggiamo. La
nostra scelta non può che essere nella direzione di una diaconia come mezzo di evangelizzazione e di predicazione in conformità con i principi stessi della
nostra chiesa.
Fabrizio Malan
Anche le tossicodipendenze all’ordine del giorno del Sinodo.
Quali le cause più profonde del
fenomeno? Quali i rimedi? E
noi, come credenti e come chiesa, che cosa possiamo fare per
contribuire ad arginare questa
malattia sociale, e per prevenirne l’insorgenza nelle nostre stesse famiglie?
La Commissione ad referendum, nominata dalla Tavola in
ottemperanza ad una decisione
del Sinodo ’82, cerca di rispondere a queste domande.
Il testo della relazione è già a
conoscenza dei membri del Sinodo, che dovrebbe a questo punto
dire la sua, ma il tempo è estremamente limitato. Ci si limita
perciò, dopo due o tre interventi, ad approvare l’invio del documento della Coihmissione ai Dipartimenti Diaconali, ai Circuiti
e alle chiese, in vista di una futura presa di posizione sinodale..
L'argomento ha attirato l’attenzione della Commissione per
la Diaconia e della Commissione
d’Esame (C. d’E.), che nelle rispettive relazioni, sostenendo la
necessità di un progetto globale
della diaconia, evidenziano il ruolo di un intervento in questo settore. In particolare la C. d'E.
ipotizza la riconversione di qualche Istituto per minori verso
questo tipo di lavoro: « Bisognerebbe chiedersi se il settore dei
minori non sia giunto ad una
svolta: nei prossimi anni le nostre strutture si dimostreranno
DIACONIA
Il Sinodo,
riconoscendo che la diaconia è,
con l’evangelizzazione, una forma
fondamentale del servizio della
chiesa,
esorta le chiese a rispondere con
gioia e generosità alla vocazione
che il Signore rivolge loro, individuando, in base ai doni ricevuti,
quali sono i bisogni a cui esse
sono chiamate a venire incontro
più urgentemente;
le invita a farsi carico dei problemi degli istituti e delle opere, contribuendo con le proprie forze, con
offerte regolari e con la preghiera alla soluzione di questi problemi; incarica le Commissioni
Esecutive Distrettuali, per il tramite dei Dipartimenti diaconali, di
provvedere nel prossimo anno ecclesiastico a informare le chiese
sulle nuove prospettive della diaconia, dando ampia diffusione al documento della CIOV su « L'evangelicità degli Ospedali evangelici »
e ad altri studi che possano stimolare una riflessione in profondità su tutto il tema della diaconia.
NUOVO STATUTO
Il Sinodo
modifica l'art. 13 RO 8, come se
gue:
« La Commissione Istituti Ospitalieri Valdesi amministra l'omonimo ente ecclesiastico patrimoniale, ed è retta dall'apposito Statuto
approvato dal Sinodo.
Taie Commissione sinodale amministrativa è composta da sette
membri eietti annualmente dal Sinodo a norma del predetto Statuto.
Partecipa senza voto alle sedute della CIOV un membro della
Tavola Valdese, che esercita le
funzioni ad essa istituzionali.
La CIOV risponde del suo operato al Sinodo, ma l’esame dell’andamento e della gestione dei singoli istituti amministrati dalla
CIOV è fatto dalla Conferenza DI
strettuale competente per territorio ».
OSPEDALE DI
TORRE PELLICE
Il sinodo,
preso atto dell’avvio dei lavori
relativi al progetto del nuovo
ospedale di Torre Pellice, invita i
membri di tutta la chiesa a una
più diretta e fraterna solidarietà
contributiva a favore di questo progetto e raccomanda alla CIOV di
rispettare i tempi di attuazione
dello stesso.
RICONOSCENZA
Il Sinodo
approva l'operato della CIOV e
ringrazia i suoi componenti, decaduti dal loro ufficio per effetto
deli’entrata in vigore del nuovo
Statuto, per la dedizione prestata
nelio svolgimento dei proprio lavoro.
Il Sinodo
ringrazia il personale degli Istituti per la diligenza e la sollecitudine prestate neH’adempimento
del proprio lavoro. Inoltre ringrazia e si sente fraternamente solidale con coloro che hanno contribuito In ogni forma possibile al
buon andamento materiale e spirituale degli stessi.
inadeguate a rispondere alla nuova richiesta, che riguarderà soprattutto adolescenti a rischio.
Non varrebbe allora la pena
di ripensare tutto il nostro impegno in questo settore, preparando persone e strutture per un
altro tipo di servizio? Perché allora non pensare decisamente al
settore della tossicodipendenza? ».
Per far questo occorrono ;3iersone che alla vocazione al servizio uniscano una qualificazione
professionale, come nota anche
la Commissione per le Tossicodipendenze, e una buona conoscenza del problema. Ci sarà forse presto la possibilità per alcuni nostri operatori di qualificarsi in modo adeguato.
Ma il nostro lavoro può già
iniziare, con i contatti personali
e con delle iniziative «leggere»,
da mettere in atto con le nostre
forze, o unendo queste ad altri
gruppi di diversa estrazione, che
operano nelle città. Si tratta di
dar vita a dei centri culturali,
o ricreativi, dove i giovani possa
MANDATO
Il Sinodo,
udita la relazione delia Commissione sulle tossicodipendenze,
ia approva e la invia ai Dipartimenti diaconali, ai circuiti e alle
chiese, perché ne facciano oggetto
di studio, in vista di un dibattito
sinodale nella prossima sessione
europea.
no ritrovare il piacere di un seno associazionismo, e dove ptissano trovare accoglienza ex tossicodipendenti o potenziali tossicodipendenti ("consumatori” più
o meno occasionali, ragazzi non
ancora iniziati alla droga, ma
frequentatori dei gruppi dei tòssicodipendenti).
I contatti personali sono un
primo intervento, il più semplice, eppure così spesso tanto dilli
Cile. Decorre saper parlare ai giovani, cercare di immedesimarsi
nei loro problemi, comprendere
le loro delusioni, qualche volta la
loro disperazione. Sono spesso
molto chiusi: è solo con un atteggiamento fraterno che si può
vincere il muro di diffidenza,
qualche volta anche di rancore,
qualche volta solo di timidezza,
di vergogna, che li separa da noi.
Infine il capitolo della prevenzione, tenendo presente sempre la
nostra qualità di credenti adulti,
e parlando dei nostri ragazzi.
Dando cioè per scontato il discorso sui mezzi di prevenzione
che devono essere attuati a livello più generale, primo fra tutti la soluzione del problema giovanile (strutture, possibilità associative, soprattutto lotta alla
disoccupazione).
I nostri figli crederanno più
facilmente alTBvangelo che cerchiamo di porgere loro fin dai
primi anni se nella nostra vita
vedranno la coerenza. Se ci vedranno preoccupati solo di far
denaro o di far carriera, quale
testimonianza avremo dato loro?
T nostri figli hanno necessità del
dialogo coi loro genitori, questo
dialogo è spesso insufficiente.
I nostri figli hanno necessità
di un impegno nella loro vita.
Devono essere abituati a dare
qualcosa del loro tempo e delle
loro possibilità. Se li lasceremo
preoccuparsi solo di loro ste:>si,
se li lasceremo soli con i loro
problemi, se non vedranno in
noi la coerenza della vita, saranno anch’essi dei soggetti a rischio.
Marco-Tullio Fiorio
13
6 settembre 1985
Spedale sinodo 13
UN FORTE INTERVENTO NEL DIBATTITO SULLA FACOLTA’
Guai se il pastore
non è anche teologo!
EVANGELISMO ITALIANO
Un solo tema
« Una Chiesa che vuole riflettere teologicamente ha necessità
di avere un istituto che, oltre a
porsi come laboratorio di ricerca aperto a tutte le denominazioni, formi il personale della
Chiesa — in particolare i pastori — dando spazio alla riflessione, al dibattito ed al confronto
anche interconfessionale ». Con
queste parole la Commissione di
esame ha aperto la sua relazione
sub operato del Consiglio della
Facoltà di teologia. « Ma, prosegue la Commissione d’esame, la
Chiesa non può semplicemente
assistere da lontano al lavoro
della Facoltà ». Si tratta dunque
di comprendere quale sia e quale
debba essere il rapporto tra la
Chiesa ed il suo istituto teologico; in particolare si vuole sapere
che cosa le Chiese si aspettano
dalla Facoltà e che cosa ad essa
possono dare. La risposta a prima vista parrebbe semplice: le
Chiese devono dare degli studenti e la Facoltà deve restituire
dei pastori. Viene alla mente la
frase che scriveva Calvino ai Vaidesi del '500: « Mandateci del legno e noi vi restituiremo delle
frecce! ». Il dibattito sinodale ha
mostrato però che non ci si nuò
limitare a delle affermazioni di
questo tipo, per Quanto su.ggestive esse possano essere.
La prim;.! domanda che si pone, infatii. c quella relativa al
modo stesso in cui noi « pensiamo > il pastore. Giovanni Carraxi, pastore a Roma, nel suo intervento si è chiesto se il pastore
debba essere soprattutto un teologo o non piuttosto essere in
primo luogo interessato alla cura d'anime e a quella che viene
debilita 1’« evangelizzazione interna , al risveglio, cioè, delle nostre comunità richiamandole ad
una intensa attività di fede. E’
chiaro, prosegue Carrari, che il
lavoro della Facoltà, i suoi metodi ed i suoi interessi cambiano
a seconda delle scelte che vengono fatte: Carrari propone di
puntare sul « pastore », a scapito del « teologo ». Una simile proposta ha provocato la reazione
di Giorgio Tourn, pastore a Torre Pellice, il quale ha esordito
mettendo in guardia la Chiesa
contro una divisione netta dei
ruoli, per cui in Facoltà si « farebbe » teologia, mentre i pastori d.)\ rebbero chiudersi dentro le
parrocchie, limitandosi alla cura
spirituale delle persone. Uno
strappo simile fra la riflessione
e la pratica, finirebbe infatti per
rendere sterile sia la riflessione
dei professori che l’azione pratica delle comunità. Non è ipotizzabile che noi ci poniamo di fronte ad un cattolicesimo che sta
crescendo dal punto della conoscenza biblica e della riflessione
teologica o di fronte ad un mondo laico che si concentra sui telu' ‘ondamentali della vita e della nersona umana, semplicemente • mettendo a parte » una piccola pattuglia di specialisti della
Bibbia e della teologia, pregandoli di sostenere loro da soli il
conlronto, e ritenendoci autorizzati a chiuderci dentro noi stessi
per curare la nostra vita spirituale. Noi finiremmo per assomigliare ad un marziano, ha detto
il past. Tourn, che ha una grossa
testa (la Facoltà), due lunghe
braccia (le opere), solo un corpicino filiforme, quasi invisibile
(le comunità). Il centro della nostra riflessione teologica è e deve restare nelle nostre comunità
ed i pastori sono i nostri teologi,
poiché sono loro che portàno la
riflessione teologica verso 'a
gente, ha detto con forza Giorgio
Tourn. Per questo noi vogliamo
che i nostri, studenti siano pre
PROFESSORI ONORARI E INCARICATI
Il Sinodo, con spirito di riconoscenza verso il Signore per i doni
di cui Egli provvede la chiesa, vista la proposta del Consiglio della
Facoltà, a norma dell'art. 28 flFT nomina professori onorari della Facoltà Valdese di Teologia i fratelli
Oscar Cullmann e Giorgio Spini.
Il Sinodo, vista la richiesta del
Consiglio della Facoltà di Teologia,
a norma dell’art. 29 del RFT nomina quali professori incaricati i fratelli;
— prof. Renzo Bertalot incaricato
di teoria e pratica della traduzione biblica;
— prof. Sergio Bianconi incaricato
di diritto ecclesiastico;
— prof. Luigi Santini incaricato di
storia del protestantesimo italiano.
Il Sinodo, viste le richieste del
CFT a norma dell'art. 29 del RFT,
rinnova il mandato di professore
incaricato al pastore Michele Sinigaglia per corsi monografici di Antico Testamento.
RICONOSCENZA
Il Sinodo approva l'operato del
CFT ed esprime il più vivo ringraziamento ai docenti per il loro
impegno di testimonianza evangelica dentro e fuori della Facoltà;
ringrazia tutti coloro che hanno reso possibile il buon funzionamento
e lo sviluppo della Facoltà stessa,
in modo particolare gli amici e fratelli esteri.
parati sull’essenziale, sul centro
della fede, siano disponibili per
il lavoro pastorale e sentano se
stessi come degli apostoli. Non
dei preti, dunque, chiusi nel Ipro
ruolo, ma dei predicatori dell’Evangelo protìfi. ad inventare il
proprio ruolo, un ruolo aperto e
sempre rinnovabile. Molti studenti hanno un certo timore nell’affrontare il pastorato, ma questi. ha conc'uso Tourn, devono
saper trovare dentro di loro la
capacità e la fantasia per costruirsi il loro pastorato. Per
armarsi a compiere un tale nercorso è necessaria una grande
disciplina; la Facoltà deve insegnare anche onesto.
L’intervento di Tourn ha destato viva impressione nell’assemblea che si è riconosciuta in
queste parole, anche se al termine del dibattito, su questo tema-,
non è stato approvato alcun ordine del giorno,
Gli ordini del giorno sono venuti su altri temi non meno importanti. Innanzitutto il Sinodo
ha accolto la proposta del Consiglio della Facoltà di nominare
come professori onorari Oscar
Cullmann, noto studioso del Nuovo Testamento e Giorgio Spini,
altrettanto noto storico italiano.
Accanto ad essi, il Sinodo ha riconosciuto, quali professori incaricati, Renzo Bertalot (teoria
e pratica della traduzione biblica), Sergio Bianconi (diritto ecclesiastico), Luigi Santini (storia
del protestantesimo italiano) ed
ha rinnovato l’incarico a Michele
Sinigaglia (^ntico: Testamento).
Questo griippo di studiosi si affianca al corpo dei professori ordinari elevando ulteriormente il
valore di questo piccolo ma rinomato presidio della cultura
protestante.
Un’ultima notazione va fatta:
il Sinodo ha approvato il bilancio della Facolta. Anche qui, purtroppo, come accade per quasi
tutte le opere della nostra Chiesa, gran parte dei fondi necessari arrivano dall’estero. E’ un segno della stima che le Chiese sorelle hanno per noi, e di questo
ringraziamo il Signore; ma è anche un segno del fatto che non
siamo capaci di pagarci la formazione di quei pastori che pure
reclamiamo. Paolo Ribet
L’importanza di alcuni argomenti trattati ed il tempo richiesto per la loro analisi non
hanno consentito, quest’anno al
Sinodo, un dibattito sui rapporti tra le Chiese Valdesi e Metodiste e la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (PCEI)
e sul dialogo in corso tra «protestanti » ed « evangelici » in
Italia.
Tali argomenti, invece, sono
stati ampiamente trattati nelle
relazioni della Tavola e della
Commissione d’Esame al Sinodo. In esse vengono espresse valutazioni positive per la convenzione stipulata tra la PCEI e la
RAI, non più regolata da accordi annuali ma da una convenzione che ne migliora sostanzialmente l’orario ed il finanziamento.
Tale nuovo modo d’intendere
i rapporti con la RAI significa,
come sottolinea la relazione della Tavola, « che le rubriche radio e TV si assumono il compito di esprimere, a livelli di
mass media, la rilevanza culturale di una componente della società italiana, definita da una
confessione di fede biblica, verificata da ima storia di testimonianza e in una costante apertura verso le novità della vita ».
Analoghe positive valutazioni
sono state date al lavoro della
« Commissione giuridico-consultiva delle chiese evangeliche in
Italia- » ora trasformata in « Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo stato » per il consenso che ha saputo guadagnarsi dalle varie denominazioni in essa rappresentate.
Segno tangibile dello spirito
di costruttiva collaborazione è
l’entrata di esperti valdesi e metodisti a far parte delle delegazioni delle Assemblee di Dio e
della Chiesa Avventista in Italia per le trattative con lo stato (Intese).
L’attenzione sinodale sui temi
in questione è stata richiamata
dal past. A. Sbaffi, presidente
della PCEI, nel ricordare, nel
suo saluto al Sinodo, che « i pro
ECO-LUCE
TESTIMONIO
Il Sinodo, presa conoscenza del
documento dell'Assemblea delI'UCEBI sui progetto Eco-Luce/Testimonio, se ne rallegra, dà (riandato al
Comitato di redazione Eco-Luce di
noiminare un proprio rappresentante nella redazione del Testimonio;
invita il comitato Eco-^Luce a proseguire nello scambio di articoli,
notizie, corrispondenze con il Testimonio; autorizza Tavola e OP/
OPCEM'I a proseguire nell'attueizione
della fase ulteriore del progetto
in accordo con il OE/UCEBI.
IN VAL BREGAGLIA
Il Sinodo, considerati gii antichi
e profondi legami di solidarietà che
uniscono le comunità di lingua italiana dei Grigioni con le chiese
valdesi e metodiste, informato che
il pastore Giovanni Bogo è stato
invitato ad assumere la cura pastorale della comunità di Castasegna,
Sondo e Soglio (Val Bregaglia), autorizza la Tavola ad iscrivere il pastore Giovanni Bogo nella categoria
« fuori ruolo » prevista dall'art. 27
bis del Regolamento sui ministeri.
blemi della PCEI sono i problemi delle nostre Chiese».
Per quanto concerne i rapporti con le altre chiese « protestanti » ed « evangeliche » in
Italia, Tavola e Commissione
d’Esame hanno auspicato la continuazione dello spirito di fraterna apertura verso le altre
realtà del protestantesimo italiano. In particolare è stato sottolineato il positivo incontro tra
Tavola ed il Concistoro della
Chiesa Luterana ed il dialogo
sempre aperto con le Assemblee
dei Fratelli.
La Tavola ha inoltre evidenziato che l’opera evangelistica
nel lucchese e nel napoletano
« sarebbe inconcepibile senza la
crescente solidarietà delle Chiese Valdesi e Metodiste e Libere ». « Ora non possiamo, domani non dovremo e non vorremo
fare più a meno gli uni degli altri »; così il presidente dell’Unione delle Chiese Battiste in Italia ha concluso il suo messaggio
di saluto. Il lungo e caloroso applauso ha espresso non solo il
palese consenso del Sinodo ma
anche la speranza di una sempre più stretta comunione con
tutto il mondo evangelico italiano.
L’unico tema che il tempo limitato ha consentito di trattare, sia pure molto brevemente,
è quelle della collaborazione tra
l’ECo-Luce e il mensile delle
Chiese battiste « il Testimonio ».
Il programma varato l’anno
scorso da Sinodo e Assemblea è
stato ribadito e gli esecutivi valdese e metodista (che in questo
campo agiscono distintamente)
sono stati autorizzati a passare
alla fase di un più stretto « gemellaggio ». Ma i tempi per l’inizio di questa seconda fase non
paiono così prossimi come sembrava. Antonio Mucciardi
Nel discorso che ha tenuto dopo la propria rielezione il Moderatore Bouchard notava che
uno dei momenti di maggiore
tensione e partecipazione, anche
numerica, da parte del pubblico è stato quando il Sinodo si è
occupato del cosiddetto « affaire Morelato ». Si è trattato, in
sostanza, di una vertenza tra il
Concistoro di Torino e i coniugi Morelato, responsabili della
direzione della Casa Balneare
Valdese di Borgio Verezzi (che
dipende dal Concistoro torinese)
finita davanti al Sinodo poiché le
due parti non sono riuscite a
trovare una soluzione soddisfacente nelle sedi ecclesiastiche
opportune. Ricostruiamo brevemente i fatti.
Dopo un breve rodaggio agli
inizi del 1983 Adriano e Elda
Morelato vengono assunti dal
Concistoro di Torino. Adriano è
un carattere esuberante e tende
a condurre il suo lavoro in modo autonomo ignorando più di
una volta la commissione concistoriale da cui dipende. Tuttavia, al termine del primo anno
di prova, il Concistoro, siamo
nel dicembre ’83, conferma i Morelato alla direzione della Casa
per un 2° anno di prova.
UN COMPITO INSOLITO E DIFFICILE
L’«affaire» Morelato
A Torino intanto subentra una
nuova commissione concistoriale che intende, in modo più rigoroso della precedente, seguire
Morelato nel sue lavoro di direzione. Il rapporto si rivela subito
diffìcile. E inizia così un braccio
di ferro che sfocia nella seduta
del Concistoro del 23 novembre
’84 quando la commissione dà
parere negativo sulla conferma
dei coniugi Morelato. A Morelato viene concessa meno di
mezz’ora per ribattere le accuse. Al termine della seduta il
Concistoro, con un voto a maggioranza, non conferma A. e E.
Morelato alla direzione della
Casa.
A fine febbraio ’85 la commissicne dà le dimissioni. Bubentra
una nuova commissione, nominata dal Concistoro, che pur instaurando un rapporto più disteso con i Morelato, non supera
l’intenzione di entrambe le par
ti di ricorrere al Sinodo.
E in Sinodo la Commissione
d’esame (Cde) dopo avere esposto, per oltre un’ora, la cronistoria dei fatti principali di tutta
la vicenda ha voluto mettere in
luce due aspetti: uno procedurale e uno di sostanza. A norma
deH’ordlnamento valdese per il
carattere non decisorio del parere della CED la questione dal
Sinodo ritorna nelle mani della CED.
Ma dal punto di vista della
sostanza, la Cde, valutando gli
aspetti positivi e negativi di tutta la vicenda, pur preferendo
non entrare nel merito della legittimità della delibera con cui
il Concistoro di Torino non aveva riconfermato il mandato ai
Morelato, raccomanda al Concistoro di reimpostare in termini
nuovi il rapporto con A. e E.
Morélato cercando, nel contempo, di aiutare la coppia Sappé
— già nominati alla direzione
della casa — a trovare una soddisfacente sistemazione. Dopo un
lungo e sofferto dibattito, in
cui sono state udite le parti —
A. Morelato, A. Comba (Concistoro), past. G. Bogo (ex pres.
CED) — il Sinodo ha accolto
con un voto a larga maggioranza la tesi della Cde.
Dopo il voto, nell’aula ancora
carica di tensione, il pastore
Tourn si è rivolto ai coniugi
Morelato e al presidente del Concistoro affermando che il Sinodo non si è voluto lavare le mani del loro problema, ma al contrario, ha affidato loro il difficile
compito di saper far nascere
dalla conflittualità del loro rapporto, un rapporto diverso che
sia una testimonianza evangelica.
Ora tutto è nelle mani del
Concistoro di Torino e. subordinatamente, in quelle di A. e E.
Morelato. Se lo spirito che ha
animato il dibattito in Sinodo
investirà i fratelli e le sorelle
coinvolti in questa vicenda è
possibile che succeda ciò che
sino a ieri pareva impossibile.
Se così sarà, la fraternità nella
nostra chiesa non sarà una parola vuota. Giuseppe Platone
14
14 Spedale sínodo
6 settembre 1985
SULLA VIA DI BONHOEFFER
concilio per la pace
Il Sinodo ha dibattuto e accolto l’appello per un concilio per
la pace lanciato all’ultimo raduno di chiese in Germania Federale
Siamo in un’epoca in cui la
potenza delle armi « superpotenti » inizia a condizionare
ogni espressione della vita del
mondo e dei popoli. Ogni rapporto internazionale (est-ovest,
nord-sud) sembra essere sottoposto al ricatto delle armi (produzione, commercio e alti profitti, ricerca tecnologica in vista delia distruzione...) oltre che
alla spietata logica del potere
economico, dell’altalena delle valute e dei monopoli energetici,
nonché industriali e alimentari.
Per il controllo del mondo e
per la gestione delle sue risorse,
anche a livello di esseri umani,
i « potenti di questo mondo » trovano naturale e « sicuro » garantirsi nei confronti di potenziali nemici minacciandosi e rincorrendosi a vicenda nella costruzione di armi sempre più
micidiali e precise. Non è una
novità né una scoperta originale dire che questa situazione
rischia di produrre la catastrofe
nucleare, l’autodistruzione del
mondo.
Per non stare a ripetere a
quanto ammonta l’enorme potenziale di armi nucleari e convenzionali (sempre più sofisticate) che potrebbero distruggere il mondo decine di volte, basti ricordare che, mentre ci occupiamo di missili a testata nucleare installati a terra e di ordigni atomici viaggianti in aria,
ci sono almeno 4.000 missili a
testata nucleare su navi e sottomarini dislocati in tutti i mari del mondo. Basterebbero da
soli a distruggere la terra. Di
qui l’iniziativa del 15 giugno ultimo scorso da parte della nostra Commissione nei porti militari italiani.
Di fronte a questa realtà in
costante pericolosa crescita, i
movimenti per la pace, invece
di sopravvivere rassegnati come sembra essere in qualche caso da noi dopo l’installazione
dei Pershing e dei Cruise in Europa, devono rendersi conto che
proprio perché siamo nell’epoca
della superpotenza delle armi
abbiamo la grande possibilità di
vivere la stagione della pace. La
minaccia dell’olocausto nucleare
deve poter produrre, per la fede nel regno del Principe della
pace, Gtesù Cristo, una forte comune volontà di impegno e di
lotta per la costruzione di un
mondo nuovo, di nuovi rapporti tra gli uomini, i popoli e le
razze, in modo tale che non
solo si garantisca la sopravvivenza deH’umanità, ma si assicurino anche il benessere e la libertà a tutti i popoli e a tutte
le nazioni.
La riacquistata libertà democratica in alcuni paesi, la ricerca di nuove forme di impostazione economica più giusta, lo
sviluppo della solidarietà con e
tra 1 popoli oppressi..., fanno
sperare in nuovi segni di una
umanità che non accetta più la
logica dei potenti e la prevaricazione dei monopoli internazionali e locali. Il « regno » della
giustizia e della pace non è un
sogno irrealizzabile e sempre di
là da venire, ma è anche uno
stile di vita per il quale vale la
pena spendere la propria esistenza, le proprie capacità e le
proprie energie. Anche in questo il Principe della pace è fra
noi.
Questi sono stati, più o meno,
i temi ricorrenti negli interventi dei deputati al Sinodo circa la relazione della Commissione Pace e Disarmo. Ma quale
risposta dare, per ora, al permanere ed al rafforzarsi della
minaccia nucleare? Il Sinodo
ha rinnovato alla Tavola l’im
pegno a rinominare una Commissione sulla pace e il disarmo,
con il compito di favorire progetti a carattere locale per mantenere viva la tensione, di sviluppare un’analisi più rigorosa
a livello politico e teologico, di
rafforzare e non smobilitare le
iniziative e la partecipazione
nei movimenti per la pace.
In questo contesto ha avuto
molta importanza la partecipazione e la solidarietà che è stata espressa nei confronti del
popolo di colore del Sud Africa e dei suoi leaders incarcerati ultimamente (vedi o.d.g. e art.
in r pag.), ma è soprattutto rilevante l’adesione alla proposta
che è stata rivolta a tutte le
chiese cristiane del mondo da
parte dell’ ultimo Kirchentag
(Düsseldorf, RFT) tramite le parole del fisico Cari Friedrich
von Weiszächer: « Chiediamo
alle chiese del mondo la convocazione di un concilio della
pace. La pace è oggi la condizione per la sopravvivenza dell’umanità. La pace non è sicura.
In un concilio ecumenico convocato per la causa della pace, le
chiese cristiane devono assumersi insieme la responsabilità di
pronunciare una parola chiara,
parola che l’umanità non potrebbe fare a meno di udire. E’ urgente!... Chiediamo alle direzioni delle chiese di fare tutto il
possibile perché il concilio possa radunarsi il più presto possibile. Chiediamo alle chiese locali
di dare forza a questo appello
mediante il loro espresso sostegno... Soltanto uno sforzo estremo sul piano ihorale renderà
possibile la pace; e questo chi
può farlò sq non la chiesa che
conosce l’amore intelligente
del prossimo del discorso sulla
montagna? ».
L’idea di un concilio per la
pace affonda le sue radici helTappello che D. Bonhoeffer rivolse alla Conferenza ecumenica di Panò nel 1934: « Solo il
grande concilio della Santa chiesa di Cristo in tutto il mondo
può parlare in modo che il mondo sia costretto a ricevere la
parola della pace ». A questa
idea, riproposta in termini attuali da parte del Kirchentag,
ha aderito anche il nostro Sinodo (vedi o.d.g) pur sapendo
che il cammino per la sua realizzazione potrà essere lungo e
difficile sia a livello dei rapporti interconfessionali sia a
livello di contrapposizioni nazionali o di appartenenza ai cosiddetti « blocchi ». Anche il fatto che il Vaticano sia ancora
nella posizione di chi considera
quale deterrente la produzione
e il possesso di armi nucleari,
mentre il CEC (e le chiese che
ne fanno parte) considera questo fatto un crimine contro
rumanità, non faciliterà certo la
preparazione e l’attuazione di
tale concilio. Anche l’iniziativa
della convocazione formale del
concilio richiederà sforzi e pa
PACE E DISARMO
Il Sinodo, ricordando l'appello
di Bonhoeffer nel 1934 a Fano; « Solo il grande concilio ecumenico
deila Santa Chiesa di Cristo in
tutto il mondo può parlare in modo
che il mondo sia costretto a ricevere la parola della pace », accogliendo l’invito formulato in tempi
recenti da diversi organismi cristiani per un Concilio Ecumenico
mondiale per la pace, affermando
che oggi la sopravvivenza dell’umanità deve essere una deile
preoccupazioni centrali della Chiesa di Cristo, il Signore disarmato
della Storia, si dichiara disposto
a partecipare a un concilio per la
pace rappresentativo delle chiese
della cristianità; esprime la convinzione che lo sforzo morale del credenti in Cristo per la pace e la
giustizia tra i popoii può arrestare
la corsa agli armamenti e aH’autodistruzione dell’umanità.
Il Sinodo, valutato positivamente il lavoro della Commissione
per la Pace e il Disarmo nominata
dalla Tavola, ribadisce la piena validità ed attualità dell’atto 74/SI/82
e dunque la necessità che l’impegno per la pace e la giustizia rimanga uno degli impegni prioritari dell’attività delle chiese;
considerate inoltre le difficoltà
in cui versano nella fase attuale i
movimenti per la pace e il notevole carico di responsabilità che
le chiese vengono di conseguenza
chiamate ad assumere, riconosce
la necessità di precisare le linee
di tale impegno e di rafforzare le
strutture di ricerca, di elaborazione e di intervento in questo campo;
invita la Tavola a nominare una
Commissione che curi:
1) il proseguimento della ri
cerca teologica sui temi della pace e della giustizia;
2) la ricerca e la raccolta di
dati, di esperienze, di riflessioni
riguardanti tensioni e conflitti, prò
cessi di riarmo, strategie di guer
ra e politiche di pace e coopera
zione;
3) un aggiornamento il più pos
sibilo costante e un coinvolgimento
il più possibile allargato delle chie
se sulle questioni di massima rile
vanza;
4) il mantenimento degli attua
li rapporti di scambio e di collabo
razione con altre chiese e movi
menti per la pace in Italia e all’estero.
AGLI EBREI
Il Sinodo esprime solidarietà
alla Comunità ebraica di Milano,
bersaglio ancora una volta delia
violenza.
Il Sinodo augura alla Comuni- |
tà ebraica di Milano e a tutte le
Comunità ebraiche italiane un avvenire benedetto dalla pace di Dio.
zienza notevoli; per i cattolici
il concilio lo può convocare solo il papa, secondo noi esso si
autoconvcca per iniziativa di
tutte le chiese che decidono di
impegnarvi se stesse e le proprie energie.
Uno degli ospiti dall’estero al
nostro Sinodo ha detto che « il
mondo di oggi è come bloccato,
nelle sue potenzialità di pace e
di sviluppo, dalla diffidenza reciproca e che c’è, quindi, bisogno
di apertura ». Forse un’iniziativa come il « concilio ecumenico per la pace », difficile da realizzare, ma non impossibile, potrà costringere il mondo, come
diceva Bonhoeffer, ad ascoltare e ricevere la parola della
pace.
Paolo Sbaffl
Neirinferno
(segue da pag. I)
degli interessati, che cessano di
avere qualsiasi diritto sul suolo sudafricano.
Per controllare e ridurre la
popolazione presente in prossimità delle città, nelle townships, la legge provvede a produrre milioni di illegali. Lo stesso avviene per le zone rurali.
Questo si traduce in una popolazione del tutto destabilizzata,
sia materialmente, sia psicologicamente, che può essere — e di
fatto è — sistematicamente sradicata e deportata. La deportazione avviene in campi di raccolta, le « relocations », dove il
governo fornisce ad ogni nucleo
familiare, se ancora esiste, una
tenda o un casottino di ondulato di zinco di m. 3,5 x 3,5, che
è la misura di tutte le abitazioni
per neri.
I campi di deportazione, sono
il punto di avvio del degrado,
almeno apparentemente irreversibile. Gli individui ancora validi
diventano « commuters » o migranti: nel primo caso si recano
quotidianamente sul luogo di
lavoro. Per andare a Pretoria
da Ndebele partono alle tre di
notte e ritornano alle dieci di
sera, e la spesa di viaggio porta
via il 40% della loro paga. I migranti registrati sono intorno al
milione, quasi il doppio gli illegali; lasciano nel campo i familiari non abili: i vecchi, i malati, i bambini, che rivedranno
una volta l’anno, mentre essi
vengono alloggiati in ostelli per
soli uomini o sole donne, pattugliati dalla polizia e dove sono
proibite le visite. Intanto nei
campi si muore di stenti e di
tubercolosi; con le mani si scavano le fosse dei cari e si fabbricano le croci con nomi e date.
Nelle townships la morte non
è così evidente ed il degrado è
di altro tipo. All’interno non ci
sono negozi: tutto si compra
Il pastore sudafricano
Allan Boesak, presidente
dell’Alleanza Riformata
Mondiale, arrestato
recentemente dal
governo di Pretoria
in base allo stato di
emergenza. Dopo di lui
è stato arrestato
anche il pastore
Abel Hendriks, leader
della Chiesa metodista
del Sud Africa. Il Sinodo
ha ricevuto con
commozione e con
angoscia queste notizie.
nei negozi dei bianchi o degli
indiani, ai prezzi dei bianchi. Le
spese per il trasporto si mangiano .il 30% della paga. L’alloggio, quello solito di un massimo di quindici metri di perimetro, costa: costa molto e sempre più. Gli aumenti della tassa sull’abitazione sono stati così forti e frequenti che ormai
sono milioni gli africani che
non riescono più a pagarla. Questa è stata una delle principali cause di disordine nelle townships.
La disperazione per situazioni senza scampo può indurre a
soluzioni incredibili: per esempio la prigione per una offesa
non grave, che comporta sei o
otto mesi di carcere, è spesso
modo per sopravvivere; oppure si tenta l’estrema illegalità, quella di diventare « squatter ». Uno « squatter » prende
la famiglia, si aggrega ad altri
disperati, e vive in rifugi di car
tonè, di pezzetti dì plastica, in
rottami di auto, I « campi di
squatters » sono diventati numerosi e non si sa quante migliaia o centinaia di migliaia di
neri vi vivano. Sono il luogo
ideale per la polizia.
I raids della polizia avvengono sempre di notte: si tratti
di visite a squatter camps o alle townships. Qualche volta è
solo raccendersi di una guerra
di nervi. La polizia gira, controlla, butta giù qualche casottino
e spara qua e là. Ma se un
bimbo fa rumore è l’arresto immediato per insubordinazione.
Qualche volta si tratta di distruggere sistematicamente i rifugi di fortuna, poi se ne vanno.
Allora, airindomani, i piccoli
uomini neri si ricostruiscono
l’alloggio e così via.
Oggi i primi a prendere
cruda coscienza della propria
condizione sono gli scolari, i ragazzini delle prime otto classi.
Il sistema governativo per
l’istruzione dei neri è quanto di
più degradante si possa immaginare. La scuola si paga. I
libri, una dotazione per ogni
classe e non già per alunno, si
pagano. Le classi elementari si
compongono di non meno di 85
alunni, fino ad un massimo di
120, con un solo insegnante. La
licenza, come qualsiasi altra li
cenza e come i diplomi, va a
chi supera gli esami in lingua
afrikaans, in boero: ma attenzione! non si incomincia a studiare il boero prima della quarta classe. E ai livelli scolastici superiori è necessario passare
l’esame di lingua boera con il
massimo dei voti. Questo riduce progressivamente il numero
di insegnanti neri diplomati e
qualificati per l’insegnamento,
i quali vengono sostituiti da
adolescenti che hanno finito
Lottavo grado. Questi non hanno imparato le scienze, poco o
niente di matematica, che, quindi, non possono trasmettere.
Da anni questo popolo mantiene una incredibile dignità e
mostra di avere ancora fiducia
nei mezzi di protesta civili.
Svolgono grandi manifestazioni
pacifiche, eleggono esponenti che
trattino con le autorità, mandano i bambini in cortei. Ma sono
i bambini al di sotto dei dodici anni quelli che compongono
il 50% degli arrestati, e gran
parte non ha raggiunto i sette
anni di età.
Vogliamo fermarci a questi
accenni e non addentrarci nel
gravissimo capitolo delle detenzioni, degli arresti domiciliari,
delle torture, delle esecuzioni
capitali.
E’ essenziale, guardando al
Sud Africa, ricordare l’ammonizione che Desmond Tutu va
ripetendo: non esiste la possibilità di « migliorare » l’apartheid
con ritocchi di cosmetica. Si può
solo ammettere che questa dottrina ha fallito: non è sublimabile, come non è sublimabile la
malvagità. Deve solo essere
smantellata.
Febe Cavazzuti Rossi
15
6 settembre 1985
Spedale sinodo 15
TRE PASTORI E UNA PROFESSORESSA OPTANTE ENTRANO IN EMERITAZIONE
Un lungo servizio nelio Chiesa
Tre pastori quest’anno « vanno in emeritazione ». Un pensionamento, certo, ma non un abbandono di attività in assoluto; anche se il pastore non è un sacerdote, ideologicamente « semper saccrdos », di fatto, nella pratica, non smetterà di predicare Tevan
gelo, di lavorare per la sua chiesa.
La chiesa tuttavia spesso « dimentica » i pastori emeriti; dimentica i problemi economici, di casa, di natura pratica, che si
accumulano su persone che, per il loro lavoro girovago, sono spesso sradicati da una particolare realtà e quando giungono al termine del servizio « attivo » vanno, ancora una volta, incontro ad un
ennesimo trasferimento, in una situazione nuova, da affrontare
come se si avesse vent’anni.
Ma soprattutto c’è il rischio di lasciare spiritualmente soli ouc
Alessandro
Vetta :
predicare il
solo Evangelo
— Sei giunto alla emeritazione.
Quali considerazioni ti vengono
in mente?
— ,\1 momento di andare in emc.il azione, vorrei essere all'inizio del mio ministero, con quanto ’no accumulato in conoscenza
e pratica. Ma al Signore basta
quanto si è potuto fare nel tempo che Egli ci concede nella Sua
misericordia.
— Sei nato a Skopie, in quella
parte della Macedonia che oggi è
jugoslava. Come ti sei avvicinato
alla Chiesa valdese, al pastorato?
— Sono nato in una famiglia
di credenti, sono cresciuto neha
fede: sonrj ' iato sempre credente. La mia famiglia era metodista, proveniva da Salonicco, la
Tessalonica del Nuovo Testamento. Sono venuto a Roma per
la\'oro. Dopo dieci anni di abbandono della scuola, incominciavo
un duro lavoro di studi, per essere pronto a rispondere alla
chiamata del Signore. Di giorno
lavoravo; la sera andavo a scuola; la mattina presto studiavo,
per recarmi poi al lavoro di « cristalli incisi ».
— Quali sono state le tappe del
tuo studio, del tuo ministerio?
— La mia fede di giovane è cresciuta e si è rafforzata attraverso
la predicazione del pastore Virgilio Sommani, a Roma. Nel 1946,
a 26 anni di età, entravo nella Facoltà valdese di Teologia. Per
Tanno all’estero mi recavo a Basilea, dove, insieme agli studi,
predicavo tutte le domeniche nelle comunità di lingua italiana di
Basilea e di Zurigo, in modo alterno.
.41 termine di tale anno, fa Tavola Valdese mi destinava alla
cura della comunità valdese di
Felonica Po e della sua diaspora, Quingentale, Santa Lucia,
Mantova. La comunità era allora
composta di 150 membri comunicanti, molti bambini alla scuola
domenicale, molti giovani all’unione giovanile, una quindicina di sorelle all’unione femminile. Qui sono rimasto per cinque
amii. Dopo di che ho servito le
comunità di Susa e Coazze, di
Udine e diaspora, Brescia e Verona, Torino, e di nuovo Susa.
Una esperienza soprattutto nelle
città di media grandezza, e nelle diaspore della nostra chiesa.
— Come riassumeresti il senso
del lavoro che hai svolto?
— Ho avuto la netta ed irremovibile persuasione della necessità di predicare TEvangelo e
soltanto TEvangelo a grandi e
piccoli, nella chiesa e fuori nel
mondo: cercando di parlare il
lingriaggio di oggi agli uomini di
Oggi; ma cercando di annunciare
sempre e soltanto TEvangelo « incarnato ». Ed è quanto mi sono
sforzato di fare: nei sermoni,
nelle visite alle nostre famiglie,
al capezzale dei malati e dei morenti; sempre e ovunque; cercando di compiere ogni cosa con
l’amore verso il Signore ed il
prossimo, secondo quanto richiede questo servizio.
Mentre parliamo, la sig.ra Vetta con vivacità romana è stata
discretamente presente, come lo
è stata seguendo il m.arito nelle
diverse comunità, conciliando il
suo proprio lavoro con le esigenze delle chiese.
Modesto come d’abitudine,
Alessandro Vetta non accenna
che molto sobriamente a momenti del suo ministerio, che come collega ho potuto apprezzare
lavorando al suo fianco a Torino;
la preoccupazione di una sana
dottrina, di una ortodossia vissuta, con i giovani e con i catecumeni; la delicatezza con i malati, seguiti da lui con particolare
affetto nel lavoro di cappeilania
all’ospedale evangelico di Torino; la pazienza con tutti, anche
nei momenti di tensione che so
Cipriano
Tourn:
i cambiamenti
del pastorato
Nato a Rorà nelle valli valdesi, 66 anni in ottobre, Cipriano
Tourn dopo aver studiato al
Collegio di Torre Pellice si è licenziato in teologia alla Facoltà
Valdese di Roma dove ha studialo nel periodo della guerra
(’40-44). E’ stato pastore nelle
chiese di Orsara, Cerignola, Pisa, Lucca, Barga, Ivrea, Luserna San Giovanni, Villasecca e
Prarostino. Sottolinea che « al
centro della mia attività pastorale vi è stata la predicazione.
Non soltanto la predicazione dal
pulpito, ma la predicazione incarnata attraverso tutte le attività della chiesa e la testimonianza che uno dà di se stesso.
Però in modo particolare io sono stato appassionato alla predicazione dal pulpito, ho dedicato molta cura alla preparazione dei sermoni. In questi 40 anni ho sempre predicato con
estrema passione e grande gioia.
Penso che questa sia una caratteristica del ministero pastorale
e ritengo che anche per i giovani pastori la predicazione debba
sti nostri fratelli; si è chiesta fino a ieri la loro disponibilità totale,
visite, pazienza, capacità di adattamento, e poi a loro volta essi non
sono visitati, non si ha verso loro disponibilità, pazienza, dimo:;ira;done esplicita di affetto. Con queste brevi interviste cerchiamo
di esprimere, almeno in parte, la nostra riconoscenza, cerchiamo
di dire a questi nostri fratelli che abbiamo bisogno di loro, della
loro testimonianza e della loro esperienza.
Accanto ai pastori il Sinodo ha ringraziato anche la prof. Speranza Tron che entra in emeritazione dopo oltre trent’anni di insegnamento presso il Collegio Valdese. Contattata dalla redazione
i ~ pr.ofc-^sorrss:'. Tron ha preferito non rilasciare dichiarazioni. Anche questo fa parte dello ’stile’ sobrio e partecipato che ha caratterizzato la lunga attività didattica e di preside di Speranza Tron.
Gustavo
Bouchard :
evangelizzare
nelle piazze
Compirà 70 anni in ottobre, laureato in lettere e licenziato in
teologia («ho studiato alla Scuola Latina e al Collegio e poi a Roma »). Gustavo Bouchard che entra in emeritazione, ma continuerà ad essere il pastore della chiesa di Sampierdarena anche per il
1986, ricorda con piacere Tesperienza fatta nelle chiese « al sud
come al nord » (è stato pastore a
Milano, in Puglia a Bari, ad Orsara, Cerignola, Corato, Foggia, a
Rorà, a Pomaretto, a Sampierdarena e Sestri Ponente) ed ha potuto conoscere « a fondo il mondo contadino della Puglia imparando persino il dialetto per penetrare nel profondo la loro vita
spirituale e sociale, i contadini
del nord, di Rorà e i minatori
della Val Germanasca, l’ambiente cittadino e operaio della città».
E’ stata un’esperienza molto
interessante ricca di incontri e
di possibilità di evangelizzazione
e sono stati proprio coloro che si
sono convertiti alTEvangelo «che
sono motivo di grande gioia per
la ricchezza che portano nelle
comunità ».
Una delle caratteristiche del
ministero del past. Gustavo Bouchard è stata Quella di una grande apertura: «ho fatto l'esperienza del colportaggio, un aspetto
per me molto importante » e dell’incontro col mondo zigano:
« da più di 30 anni ho conosciuto
questo mondo estremamente vate rurale. Però la cura d’anime
e la predicazione rimangono le
caratteristiche principali del nostro ministero. Una parola di
incoraggiamento per un depresso, la riprensione fraterna verso
coloro che si smarriscono nel
tumulto del mondo moderno possono essere molto efficaci ».
Nel lavoro delle comunità ci
sono sempre momenti di sconforto, e tra questi vi è sicuramente « l’indifferenza religiosa e
spirituale del nostro popolo. C’è
sempre una grande disponibilità
per il servizio, ma non è sempre
COSÌ per la vita spirituale ».
Momenti di sconforto che sono stati superati grazie « alla comunione fraterna che ho trovato
in tutte le chiese. E’ molto importante infatti curare tutte le
attività interne alle chiese perché favoriscono l’incontro, il dialogo. la comunione fraterna ».
Grande attenzione va poi data alla vita familiare del pastore « che oggi è impegnato 24 ore
su 24 ». La vita della coppia pastorale è molto importante per
condurre serenamente il proprio
ministero. « Se posso dare un
consiglio ai giovani è quello di
cercare di dare tempo e spazio
alla vita familiare. Cercate di
leggere insieme la Parola del Signore, di pregare insieme, in
modo che l’unione coniugale non
sia solo superficiale, ma radicata e profonda e sia fondata sulla vita spirituale in comune ».
a cura di Giorgio Gardioi
no normali. Quasi fisiologici, nel
lavoro per TEvangelo in una
grande città.
I coniugi Vetta mi parlano della vivacità delle chiese jugoslave
che hanno recentemente visitato,
dei loro progetti, del loro prossimo trasferimento a Torre Pellice,
della loro volontà di continuare
a servire TEvangelo e la chiesa,
con le forze che restano, nonostante qualche problema di salute, e con la costanza di sempre.
Con molta semplicità, mi hanno saputo parlare delTEvangelo,
e mi hanno accolto con una ospitalità fraterna generosa e spontanea, senza farmi pesare l'esperienza e la saggezza acquisite in
lunghi anni di servizio, senza che
mi accorgessi di essere di un’altra generazio:ie.
a cura di
Sergio Rìbet
essere il centro del loro ministero ».
Un ministero, quello pastorale,
che ha subito molte trasformazioni in questi 40 anni e Cipriano Tourn è un osservatore attento di queste trasformazioni.
« Sono stato formato per un tipo di ministero che è tramontato subito dopo la guerra. Si è
passati da un pastore tuttofare,
cuello che il prof. Crespy definiva un ’bricoleur’ della teologia,
fino all’estrema specializzazione
dei pastori per determinate categorie di persone: pastore in
ambiente industriale, in ambien
CON FEDELTÀ’
E PERSEVERANZA
Il Sinodo ringrazia con vivo affetto ia prof. Speranza Tron e i
pastori Gustavo Bouchard, Cipriano Tourn e Alessandro Vetta, che
entrano in emeritazione al terntine di lunghi anni spesi nella chiesa al servizio del Signore con
perseveranza e fedeltà.
rio e guardato con sospetto. Per
me è stato un motivo di scoperta
vedere come il Signore Gesù Cristo può cambiare radicalmente
la vita di uno zivano proprio nelle situazioni ritenute le più impossibili. In fondo Gesù ha convertito quelli per i quali non
c’era nessuna speranza: il ladrone sulla croce, la donna peccatrice, Zaccheo. Il mondo zigano mi
ha dato questa gioia: vedere come lo Spirito Santo può compiere un lavoro radicalmente nuovo ».
Nel ministero pastorale si incontrano anche problemi, e tra
questi Gustavo Bouchard ricorda
le incomprensioni « del digiuno
del Natale del ’68 a Pomaretto »
ma subito aggiunge che « i dibattiti che ne seguirono sono stati
benefici anche per quella parte
che ci aveva guardato con un po'
di sospetto. E’ stata una presa di
coscienza collettiva dei problemi
concreti del consumismo che si
scatena proprio a Natale ».
Si considera un uomo in ricerca che ha ancora molto da imparare anche dai giovani e rifiuta di dar consigli a quanti si
stanno avviando al ministero pastorale, e può solo testimoniare
« ciò che è stato importante nella
mia vita pastorale: l’ascolto dei
membri della comunità, dare
molto spazio alla ricerca biblica,
la preghiera, la cura pastorale
della comunità. Se le comunità
non hanno una solida vita spirituale è difficile testimoniare all’esterno ».
Un’esperienza sulla Quale attirare l’attenzione delle chiese è infine quella del « colportaggio ».
Dove è stato pastore Gustavo
Bouchard ha sempre cercato di
mobilitare i catecumeni e gli
alunni della scuola domenicale:
« li ho portati con me nelle piazze, aile fiere e ai mercati. Adesso
a Genova il colportaggio si sviluppa grazie all’Unione per >a
lettura della Bibbia e ogni anno
a Pasqua e a Natale diffondiamo
le pubblicazioni evangeliche ».
Nelle piazze come nei locali
di culto, tra i valdesi come tra
gli zigani, il pastore Gustavo
Bouchard è stato capace di aiutare l'uomo in ricerca della buona notizia delTEvangelo, ha diffuso la Bibbia nella consapevolezza che questa Parola può diventare vivente in ciascuno di
noi. Una esperienza che non finisce con Temeritazione, ma siamo certi continuerà anche nei
prossimi anni.
a cura di Giorgio Gardioi
16
16 Speciale sínodo
T
6 settembre 1985
DAI MESSAGGI DELLE CHIESE RICEVUTI DAL SINODO
La voce
deH'ecumene
Ospiti provenienti da diversi paesi dell’Europa e dal Nord America
hanno contribuito ad allargare l'orizzonte dei lavori del Sinodo
Ogni anno alcune decine di
invitati vengono a Torre Pellice
per rappresentare chiese e opere con le quali la Tavola Valdese intrattiene rapporti di fraternità e collaborazione. Salutati ad uno ad uno dal moderatore nella riunione iniziale che raduna i membri del Sinodo prima
che si formi il corteo che li condurrà nel tempio per il culto di
apertura, questi ospiti vengono
invitati a turno a rivolgere un
messaggio al Sinodo ora in apertura, ora in chiusura di una seduta. Molto spesso questi messaggi oltre ai saluti e agli auguri per il Sinodo, contengono notizie e informazioni sulle chiese
di provenienza degli ospiti e con
Tascolto, generalmente molto attento e partecipe, deH’assemblea
sinodale, si stabilisce così un
vincolo di fraternità che rende
evidente e percepibile la comunione che lega l’ecumene. Tra
gli interventi di quest’anno ne
abbiamo scelti alcuni che riportiamo nei brani più significativi.
Pastori in tribunale
« L’Eco delle Valli Valdesi Reg.
Tribunale di Pinerolo n. 175.
Redattori; Giorgio Gardioi, Roberto Giacone, Adriano bongo, Mauro
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diosa, rischiosa dal punto di vista militare e sbagliata dal punto di vista morale. Sempre a proposito di questa decisa presa di
posizione dei presbiteriani statunitensi, il pastore Lodwick ha
aggiunto:
« Parecchi dei nostri pastori
dovranno affrontare i tribunali
per aver partecipato al movimento dei “santuari". Questi pastori hanno aperto le loro chiese per accogliere dei rifugiati del
Guatemala e di El Salvador,
rifiutati dal governo statunitense che non li riconosce come rifugiati politici e perciò vuole rimandarli al loro paese di origine dove rischierebbero la morte.
Sedici pastori dovranno comparire davanti ai tribunali per avere prestato aiuto e dato asilo a
questi rifugiati. Abbiamo attualmente 192 chiese che si sono dichiarate “santuari" per questi
rifugiati. Chiediamo la vostra
intercessione per il tempo in cui
noi siamo in contrasto e in lotta
con il nostro governo per questi
problemi che riguardano la pa
II pastore Robert C. Lodwick,
che a Ginevra rappresenta presso il Consiglio Ecumenico delle
Chiese la Chiesa Presbiteriana
Unita degli Stati Uniti, ha ricordato la recente Assemblea della
sua chiesa che ha preso una posizione molto decisa nei confronti della politica del governo USA
in Centro America definendola
ideologicamente e politicamente
errata, economicamente dispen
Stato confessionale
Serenità nella
Santa Cena
cantra nella Santa Cena una comunità priva di angoscia che lo
accompagnerà anche nella vita
quotidiana ».
Per il Mediterraneo
Il pastore battista gallese Glen
G .Williams, segretario della Conferenza delle Chiese Europee,
che da rnoltissimi anni visita il
Sinodo rivolgendo messaggi in
perfetto italiano, ha parlato del
quarto incontro che si sta organizzando tra la Conferenza delle
Chiese Europee e la Chiesa cattolica dopo il terzo che ha avuto
luogo a Riva del Garda e a Trento, lasciando un profondo segno
di riconciliazione; della prossima Assemblea della Conferenza,
la nona, che si terrà Tanno prossimo, e che vedrà la fine del suo
mandato come segretario; e di
un terzo evento:
Il pastore Joseph Pizzolante,
di origine italiana, ha portato
al Sinodo il saluto della Chiesa
Unita de) Canada. Ha detto tra
l'altro:
« / problemi che voi state affrontando ora sono simili ai problemi che si affrontano anche
nel nostro paese, anche se l’oceano ci divide. Per esempio nella provincia dell’Ontario dove
abito è emerso l'autunno scorso
un problema rovente quando la
Chiesa cattolica ha chiesto e
quasi ottenuto la sovvenzione
totale per le scuole private,
tanto da far parlare di nuovo di
Uno “stato confessionale”. Questo ha provocato un terremoto
nelle chiese protestanti ».
« Ho parlato due anni fa della
possibilità di organizzare una
Consultazione delle chiese dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Europa sui problemi del Mediterraneo. Adesso sono molto
contento di poter dire che le cose si concretizzano_ molto rapidamente e se il Signore ce ne
darà i mezzi nel mese di aprile
dell’anno prossimo avremo —
probabilmente a Malta o altrimenti in Italia — una consultazione delle chiese africane, medio-orientali ed europee sui problemi del Mediterraneo, non solo quelli della Palestina, ma anche quelli sociali del Mediterraneo occidentale. Prevediamo una
forte rappresentanza delle chiese del Mediterraneo, anche se
naturalmente sì tratterà di una
consultazione aperta a tutte le
chiese di queste tre regioni del
mondo ».
Il pastore Helmut Huber, rappresentante della Chiesa Evangelica dello Hessen-Nassau, si è
riferito alle discussioni del Sinodo in tema di pace e disarmo
ricordando che nella Repubblica
Federale Tedesca il movimento
per la pace registra un calo e
una tendenza allo scoraggiamento per il fatto che malgrado appelli ai partiti, dimostrazioni e
ammonimenti agli Stati Uniti, i
missili Pershing sono stati installati. Citando la prospettiva delle « guerre stellari », il pastore
Huber ha affermato che questi
problemi « sono di tale estensione da superare tutti quelli che
sono fin qui comparsi sulla scena mondiale » e che « mai come
in questo tempo l’uomo si è intromesse nella creazione di Dio
per minacciarla tanto radicalmente »,
Il messaggio del pastore Huber si è concluso tuttavia con
una prospettiva di serenità centrata sulla Santa Cena. « Nella
comunità dei credenti la vita deve avere da un lato una connessione con la Santa Cena che celebriamo, dall’altro con l’impegno nel movimento per la pace.
Dobbiamo sottolineare che la
Santa Cena realizza una nuova
dimensione nella comunità che
diventa esemplare per la società. L'uomo fortificato da Dio in
II presidente del Sinodo ha risposto al messaggio del pastore
Williams con un saluto particolarmente caloroso, in occasione
della conclusione del suo lungo
servizio come segretario generale della KEK, con l’augurio
che egli possa comunque esser
presente, seppur in altra veste,
al Sinodo.
Da Trieste a Brno
Il pastore Hanny Wartenweiler, rappresentante della Chiesa
riformata di Basilea-campagna,
ha portato un esempio di comunicazione da una chiesa all’altra:
«La primavera scorsa un pastore hussita della Cecoslovacchia, il pastore Beduarick, era
in Svizzera per una conferenza
biblica, ed ha avuto l’occasione
di partecipare al programma del
gruppo dei giovani della Radio
Evangelica di Trieste, che era
venuto in Svizzera col pastore
Martelli. Il pastore Beduarick è
rimasto molto impressionato, e
quando io sono andata ultimamente in Cecoslovacchia, mi ha
chiesto di dare, nella città di
Brno, nella sua Comunità hussita, una informazione sulla Chiesa Valdese e Metodista. Sono intervenuti molti membri della comunità e sono rimasti molto in
teressati. Volevano sapere come
era pcfssihile ad una Chiesa in
situazione di minoranza (e le
chiese in Cecoslovacchia sono
tutte in tale condizione), vivere, evangelizzare e dare la testimonianza di Cristo. Le attività
per la pace e la giustizia della
Il pastore presbiteriano
irlandese John Wynne
in conversazione
davanti alla
Casa valdese.
Chiesa Valdese e Metodista sono state particolarmente apprezzate. Il pastore e gli anziani hanno scritto una lettera di comunione fraterna in Cristo al moderatore e alla Tavola, e tutti i
presenti l’hanno firmata. E’ un
esempio di come possiamo vivere l’esperienza di una grande famiglia in Cristo, al di sopra delle frontiere e differenze di nazionalità ».
Il bene non fa notizia
Un ponte
in più ne potremo fare in futuro.
Perciò seguiamo con grande
interesse, con partecipazione e
con rispetto tutto quello che Voi,
i nostri “Grandi Fratelli’', qui
discutete, risolverete e realizzerete. Così come viceversa, lo so,
avete sempre fatto anche voi ».
Due lettere
Il pastore John L. Wynne, rappresentante della Chiesa presbiteriana d’Irlanda, ha parlato di
cose che normalmente non compaiono sui giornali:
« Nel nostro Paese cerchiamo
di avere relazioni d’amicizia con
i membri della Chiesa cattolicoromana e queste relazioni sono
spesso più profonde quando c’è
una comprensione reciproca delle nostre differenze, piuttosto
che quando si cerca di cancellare quelle differenze. Qualsiasi
notizia possiate ricevere sulla situazione in Irlanda, sappiate che
i Protestanti praticanti ed i Cattolici praticanti non combattono gli uni contro gli altri. Quando i cosiddetti Cattolici e Protestanti si combattono, questo
“fa notizia’’. Potrei darvi migliaia di esempi di buoni e felici rapporti fra le due comunità. Ma questo ’’non fa notizia” ».
Tra i messaggi provenienti da
rappresentanti di chiese e opere
in Italia riportiamo un brano
di quello portato al Sinodo dal
pastore Joachim Mietz, decano
della Chiesa Evangelica Luterana in Italia:
« Quali cristiani evangelici —
per la maggior parte di impronta luterana e di tradizione tedesca — è sempre stato, e sempre
sarà, il nostro sogno poter gettare dei ponti tra diverse culture e confessioni. Purtroppo finora ci siamo solo in minima parte riusciti. Pur con tutti i nostri
sforzi fatti abbiamo davanti agli
occhi la nostra debolezza. A volte accade anche che — come si
suol dire — ci troviamo seduti
“tra le sedie". Ma forse per un
cristiano questo non è poi il peggiore dei posti.
Tulio da noi nella CELI è di
taglio minimo. Solo i compiti e
la speranza sono grandi. E sono
questi compiti e queste speranze, cari fratelli e care sorelle,
che dividiamo con Voi. Trasformarle il più possibile in azioni
concrete ed essere in questo modo "chiesa per gli altri" (Bonhoeffen è quel che sta e sempre rimarrà scritto sia nella nostra che nella vostra agenda.
Anche se certo non vogliamo
ignorare che almeno in parte t
nostri campi di lavoro e i problemi che si pongono a noi e a
voi sono diversi, rimane pur vero che possiamo fare molti passi necessari in comune; già lo
abbiamo fatto. Ma molti e molti
Tra le lettere pervenute al Sinodo ne citiamo due che hanno
particoiarmente ritenuto l’attenzione del Sinodo. Da una parte
la lettera di Franco Barbero per
la Comunità cristiana di base
di Pinerolo che ha sottolineato
il desiderio di comunione e di
reciproco arricchimento:
« Ci sentiamo sempre piti vicini a voi nel tentativo, che anche noi compiamo, di seguire
Gesù in questo tempo. Molti dei
problemi che accompagnano il
vostro cammino sono anche i
nostri. Preghiamo il Signore che
tenga viva nelle vostre comunità
la spinta profetica; cosa che può
essere possibile solo se ci fidiamo interamente e ci affidiamo
completamente alla Parola di
Dio “che è viva ed efficace, più
tagliente di qualunque spada a
doppio taglio. Penetra a fondo,
fino al punto dove si incontrano l’anima e lo spirito, fin là dove si toccano le giunture e le midolla. Conosce e giudica anche i
sentimenti e i pensieri del cuore”
{Lettera agli Ebrei 4: 12) ».
Dall’altra la lettera del vescovo cattolico di Pinerolo mons.
P. Giachetti che, come ha fatto
osservare l’intervento di un membro del Sinodo, partecipa da
anni al culto di apertura del Sinodo in tutta semplicità e con
un atteggiamento fraterno. Mons.
Giachetti, dopo aver ricordato il
lavoro comune intorno al BEM
(documento su Battesimo Eucarestia e Ministeri), il messaggio
di riconciliazione del Convegno
di Loreto e la Traduzione Interconfessionale della Bibbia, ha
scritto:
« Ho voluto sottolineare questi avvenimenti come segni positivi di una volontà ecumenica
che continua, pur in mezzo a
resistenze, difficoltà e incertezze.
Anche nel nostro piccolo territorio, a cui si guarda con particolare interesse come luogo significativo di dialogo, non mancano, a mio avviso, i segni di
Un cammino ecumenico. Forse
occorre riconoscerli, accoglierli
e incoraggiarli di più nell’ambito delle nostre comunità.
Gli incontri sui matrimoni interconfessionali. la meditazione
comune della Parola di Dio nei
gruppi biblici, la collaborazione
in campo sociale, soprattutto sui
problemi dell’occupazione e della pace, la partecipazione di cattolici e valdesi ad iniz.iative ecumeniche come quelle del SAE,
sono alcuni di questi segni che
aprono il cuore alla speranza,
che dicono che il dialogo, fatto
nella lealtà, nella stima e nel
rispetto reciproco, è possibile
anche a Pinerolo ».
F. G.