1
A A
ECO
DELLE Wll VALDESI
biblioteca
10066 TOaRB PEIL ICE
Settimanale
della Chiesa Vàidese
Anno 111 - Num. 6
Una copia Lire 100
ABBONAMENTI | L. 4.000 per l’interno
L. 5.000 per l’estero
Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70
Cambio di indirizzo Lire 100
TORRE PELUCE 8 Febbraio 1974
Amm.: Via Cavour, 1 bis - 10066 Torre Pelliee ■ c.c.p. 2/33094
Dopo il Centenario, tutto come prima?
La domanda ci sembra legittima. Infatti, nonostante tutto quello che è stato autorevolmente affermato circa il carattere particolare che sì vuole dare alla ricorrenza dell'S“ Centenario del movimento valdese, permane neH’animo di molti un certo timore che,
passato il Centenario, non si manifesterà nessun mutamento sostanziale nelle nostre Chiese, nel
loro modo di situarsi davanti all’Evangelo e di darne testimonianza.
Questo pericolo esiste effettivamente e rischia di concretizzarsi
qualora si guardi al Centenario
con una prospettiva sbagliata.
Se la prospettiva è quella che riduce il tutto a una serie di manifestazioni che si svolgeranno nel
corso dell’estate per culminare nel
Sinodo 1974, allora è chiaro che
non ci si potrà aspettare nulla di
fondamentalmente nuovo e diverso.
Per scongiurare il pericolo di
questa prospettiva sbagliata, si
doveva prendere la decisione drastica di rinunciare ad ogni tipo di
« manifestazione »?
Le « manifestazioni » che la Tavola e la Società di Studi Valdesi
hanno programmato sono rese necessarie dal fatto che il Sinodo '72,
rivolgendo un messaggio alle Chiese Riformate, ha loro chiesto di
associarsi alla nostra Chiesa nella
rievocazione del Centenario, « ritenendo quel momento significativo non solo per la nostra storia
confessionale, ma per la storia
della cristianità europea ».
A questo invito le Chiese Riformate hanno risposto con slancio,
al di là di ogni aspettativa.
Non si può invitare qualcuno a
casa nostra e poi non accoglierlo
come si conviene, lasciarlo solo e
non offrirgli niente, né dargli l’occasione di parlare. Le « manifestazioni » programmate (se manifestazioni possono chiamarsi), sono
il minimo indispensabile per rispondere a questo dovere di ospitalità. Si tratta infatti, molto semplicemente di:
a) accogliere i visitatori e sistemarli per il pernottamento e il
vitto (cosa assai ardua date le insufficienti possibilità ricettive di
Torre Pelliee). Questo compito è
affidato a una modesta « commissione turismo », composta di cinque persone le quali dovranno anche coordinare le visite ai luoghi
storici e alle comunità.
b) Far partecipi questi visitatori delle riflessioni maturate dall’esame critico deH’esperienza valdese originaria. E questo potrà avvenire mediante gli incontri col
Moderatore e le visite illustrative
al Museo, oltre che mediante i contatti diretti con le comunità.
c) Dare l’opportunità ai rappresentanti ufficiali delle Chiese di
rivolgerci il loro messaggio. Il che
potrà avvenire il 18 agosto, essendo materialmente impossibile che
tutti possano avere l'opportunità
di farlo al Sinodo.
In sostanza dunque è tutto qui.
Riferirsi a queste modestissime e
limitate iniziative, definendole
« una massiccia mobilitazione della chiesa valdese », come fa il past.
Giorgio Girardet su « Nuovi Tem
pi » nel numero del 13 gennaio
1974, ci sembra eccessivo e non rispondente alla reale proporzione
delle cose. La mobilitazione non è
« massiccia » e non è una « mobilitazione della chiesa valdese », ma
di poche persone incaricate di rendere un servizio che, inevitabilmente, avrà delle lacune e sarà
soggetto a critiche.
Perciò non ci sentiamo di condividere l’impressione che ne ricava
il Past. Giorgio Girardet quando,
nel su citato articolo prosegue:
« Stranamente questa massiccia
mobilitazione celebrativa, che mira a ritrovare nel passato lontano
il senso di una identità di crisi,
sembra realizzare sul piano pratico quasi esattamente il contrario
di quello che il Sinodo valdese del
1972, nel lanciare il Centenario,
aveva proposto ».
Il pericolo non viene da quello
che modestamente si cerca di realizzare sul piano pratico in occa
# Come speri che sarà, la Chiesa Valdese, dopo l’8° centenario? Abbiamo posto questa domanda a un largo
e vario ventaglio di valdesi e speriamo di poter cominciare a pubblicare
le loro concise risposte a partire dalla
prossima settimana. L’articolo del pastore Deodato costituisce in qualche
modo un’introduzione alla serie
sione del Centenario. Qccorre piuttosto domandarsi in qual misura
le chiese sono state sensibili all’appello del Sinodo 1972 e quale impegno hanno messo a seguirne le
indicazioni.
L'invito era, e fa bene il Pastore
Girardet a ricordarcelo, ad un
« riesame critico approfondito dell’esperienza valdese originaria, del
suo sorgere e delle sue istanze... a
un ripensamento al proprio passato in termini di attualità e al proprio presente con coraggiosa inventiva... convinti che le istanze
del messaggio valdese (evangelizzazione, povertà economica, libertà critica nei confronti di ogni ordinamento religioso politico assoluto, libertà dello Spirito, carattere comunitario della vita cristiana) costituiscano elementi della
fede cristiana di assoluta attualità... ».
Qccorre rendersi conto che, nelle nostre chiese, e nemmeno ancora in tutte, si è appena all’inizio di
questo « ripensamento », di questo
riesame critico. Chi si è seriamente impegnato nella propria comunità ad aiutare i propri fratelli in
questa riflessione, scopre ogni
giorno quanto poco si conosca
delle origini del movimento valdese, delle sue motivazioni, delle sue
dimensioni. Gli strumenti adeguati per questa informazione di massa si stanno mettendo appena adesso alla portata di tutti. Ci vuole
tempo perché l’informazione diventi capillare e maturi quella riflessione comune che, con l’aiuto
del Signore, porterà a quelle decisioni che avvieranno le chiese sulla via della « terza riforma ».
Il Past. G. Girardet, nella sua
impazienza profetica, che rispettiamo, vorrebbe che si compiesse
subito un gesto qualificante, impegnativo per l’insieme della chiesa valdese, anzi ne propone tre:
a) « La chiesa valdese dedica
la sua colletta straordinaria "pro
Centenario” (già in corso) al sostegno delle organizzazioni dei profughi e dei prigionieri ».
Qùesta proposta è inaccettabile
per due motivi: il primo è che
quella colletta è destinata a pagare le spese contratte per la ristrutturazione del Muiséo, cioè proprio
di uno di quegli strumenti che,
nella sua nuova concezione, deve
servire a dare alla nostra e alle
future generazioni quella visione
delle origini, delle motivazioni e
delle dimensioni del movimento
valdese di cui lamentiamo la scarsa o nulla conoscenza. Il secondo
motivo evidente è che nessuno, né
il Sinodo, né la Tavola possono dirottare per altri scopi i doni già
ricevuti con quella precisa destinazione.
fi) « Annunziare che la chiesa
valdese vende uno dei suoi stabili
per trasmetterne l'intero importo,
per esempio, al Consiglio ecumenico perché protegga i carcerati e
sostenga i movimenti di liberazione ».
Questa proposta è ancor meno
accettabile della prima. Infatti,
che il Sinodo decida e che la Tavola venda uno degli stabili della
chiesa per lo scopo predetto è un
gesto che non tocca minimamente
il singolo membro di chiesa nella
sua situazione economica, per lui
non è un sacrifizio, non gli costa
nulla; se ha degli stabili di sua
proprietà continuerà a tenerseli.
Dobbiamo guardarci dai gesti clamorosi che non ci costano nulla.
Valdo ha fatto un gesto clamoroso, ma lo ha fatto sacrificando il
suo patrimonio personale.
c) « La chiesa valdese destina
il ministero di alcuni dei suoi pastori, per un anno, a girare per tutto il paese, nelle chiese e fuori, per
mobilitare l’opinione pubblica su
questi problemi ».
Se il Sinodo e la Tavola riterranno questa proposta attuabile, nulla da eccepire.
Il Sinodo 1972 aveva indicato il
Centenario come un’occasione per
una presa di coscienza e di ripensamento, un’occasione che favorisse una riflessione vocazionale.
Come tale, il Centenario è un punto di partenza e non di arrivo. Chi
è partito nel ripensamento e nella
riflessione (ma pochi ancora lo
hanno fatto rispetto alla massa dei
nostri fratelli), sta scoprendo cose
che non immaginava, e comunque,
le sta vedendo in un’ottica diversa
e in un contesto più ampio di quello a cui era abituato.
Il dopo Centenario dipenderà
dalla perseveranza e dall'impegno
con i quali quelli che già si sono
messi in cammino sapranno aiutare i fratelli ad approfondire questa conoscenza e questa riflessione, non certo come « gioco intellettuale », ma con spirito di preghiera, affinché sia dato a tutti di
capire e di volere che cosa il Signore si aspetta da noi oggi e domani.
Qualora sapessimo fare questo,
tutto non sarebbe già più come
prima. Achille Deodato
LA CELEBRAZIONE INTERCONFESSIONALE NEL DUOMO DI TRENTO
Quale protestantesimo?
Quale cattolicesimo? Quale ecumenismo?
Nei prossimi numeri
Nei prossimi due numeri pubblicheremo una doppia pagina, curata dalla
Federazione Femminile Valdese, ripercorrendo la storia valdese dal punto
di vista dell’apporto delle donne. Tutti coloro, e in specie le Unioni Femminili, che desiderano servirsi di questo materiale prenotino copie presso
M.-F. Coisson, 10060 Angrogna.
« L’abbraccio che ha unito ieri in
Duomo l’arcivescovo di Trento, Alessandro Maria Gottardi, al decano della
chiesa luterana in Italia, Adolf LU.demann, va al di là di un semplice gesto
simbolico ». Così il giornale di Bolzano e Trento «Alto Adige» del 26 gennaio scorso inizia il resoconto della
« celebrazione ecumenica » avvenuta il
giorno prima nella cattedrale di Trento, « nel quadro — precisa il quotidiano — delle iniziative di riconciliazione
proposte dalla celebrazione dell’Anno
Santo ». Vi hanno preso parte, oltre äll'arcivescovio Gottardi e al decano luterano Liidemann, il pastore Lindenmeyer della chiesa evangelica luterana
di Bolzano e numerosi sacerdoti e pastori protestanti provenienti dalla Germania, Svizzera ed Austria, oltreché,
s’intende, gran numero di fedeli: la cat■ tedrale era « gremita di gente ». Da Bolzano la chiesa luterana aveva organizzato un apposito pullman. L’« Alto Adige » non riferisce il contenuto dei discorsi pronunciati durante la cerimonia che peraltro deve aver avuto un
carattere essenzialmente liturgico; segnala però « il pellegrinaggio dei sacerdoti e dei pastori al crocifisso del Concilio » avvenuto al termine della celebrazione ed osserva, giustamente, che
un incontro di questo genere ha dei
precedenti in altre città italiane ma
« assume una particolare significazione
proprio perché avvenuto nel Duomo di
Trento», cioè nella chiesa in cui quattro secoli or sono un Concilio cattolico
(quello di Trento, appunto) scomunicò
il protestantesimo e decise, preparò e
inaugurò la Controriforma cattolica.
Quale può essere la « particolare significazione » della cerimonia avvenuta
nel duomo di Trento? Essa assume certamente, nella storia dei rapporti tra
cattolici e protestanti, un chiaro valore
di simbolo. Ma quant'è ambiguo questo simbolo! Cattolici e protestanti si
abbracciano nel duomo di Trento, culla della Controriforma! Che cosa può
voler dire? Che è finita la Controriforma? O che è finito il protestantesimo?
È il cattolicesimo che accoglie in sé
l’istanza protestante respinta quattro
secoli fa oppure è il protestantesimo
che si lascia serenamente integrare nel
grande tempio cattolico, che è sempre
lo stesso anche se è più largo, e che
ormai non è « ecumenico » mettere in
questione?
Abbracciare gli arcivescovi! Quale
presagio è questo per la futura unità
della chiesa? E il pellegrinaggio al
crocifisso del concilio di Trento? Continuando di questo passo saremo presto
informati di uno storico « pellegrinaggio ecumenico » al santuario della Madonna di Loreto.
Abbiamo sempre considerato sterile
e in fondo evasivo l’ecumenismo di
tipo liturgico, centrato su riti, cerimonie, celebrazioni, in cui TEvangelo di
II Consiglio della FCEI
sul referendum per
rabrogazione del divorzio
Il Consiglio della Federazione delle
Chiese evangeliche in Italia, riunito a
Roma il 1® febbraio 1974,
rilevato che in base alla legge sul
divorzio attualmente vigente, chiunque si trovi nella triste situazione di
un matrimonio fallito è libero di valersi o meno di questa legge a seconda
delle proprie convinzioni, siano esse
religiose o di altro genere;
che al contrario l’abrogazione della
legge sul divorzio — proposta mediante l’imminente referendum abrogativo
— priverebbe una parte dei cittadini
di questa libertà, imponendo anche a
chi non condivide la concezione cattolica del matrimonio come sacramento
le conseguenze che da questa particolare convinzione derivano : l’impossibilità giuridica di sciogliere il vincolo
del matrimonio,
ricorda ai membri delle Chiese che
fanno parte della FCEI, che secondo
l’Evangelo il carattere definitivo dell’unione coniugale, non è un punto di
partenza stabilito al momento delle
nozze come clausola giuridica di un
matrimonio inteso come contratto, ma
è una meta perseguita e riproposta
quotidianamente per una unione coniugale intesa come vocazione;
e ebe là dove l’unione coniugale vuole essere garantita da una legge, civile o religiosa, anziché essere affidata
alla libera responsabilità dei coniugi
fondata sull’ascolto della Parola di
Dio, ci si allontana da una posizione
evangelica per avvicinarsi a un legalismo che poco ha in comune con l’insegnamento di Gesù Cristo.
In base a queste considerazioni invita le Chiese evangeliche italiane e i
loro singoli membri a prendere pubblicamente posizione contro l’abrogazione della legge sul divorzio.
venta incenso e la parola di Dio è più
recitata che ascoltata. Quando poi queste liturgie sono presiedute da alti
prelati e avvengono in luoghi cosi compromessi sul piano confessionale, come appunto il duomo di Trento, allora,
in un simile quadro, diventa a nostro
avviso praticamente impossibile rendere un’autentica testimonianza evangelica. Anziché essere testimoni evangelici si diventa comparse ecumeniche,
E si alimenta queU’ecumenismo liturgico in cui le chiese celebrano l’unità
senza essersi riformate e sembrano tacitamente d’accordo sul rifiuto o sul
rinvio della riforma. In questo senso
Trento, culla della Controriforma, può
davvero essere un simbolo. Ora non
più ambiguo ma, portroppo, molto
chiaro!
Noi crediamo che l’ecumenismo vada praticato altrove e altrimenti, e cioè
nel libero confronto tra credenti non
intorno a un arcivescovo o a un crocifisso ma intorno alla Bibbia aperta,
intorno all’Evangelo; e non in cerimonie e celebrazioni liturgiche ma sul
fronte della testimonianza resa fra gli
uomini.
Trento, culla della Controriforma, potrebbe diventare culla dell’ecumenismo? Certamente, ma non attraverso
cerimonie in cattedrale officiate da un
prelato e abbracci ecumenici intorno a
un crocifisso.
Paolo Ricca
Borghesi?
Sul numero del 9 dicembre scorso di
« Settegiorni », di cui solo ora ci perviene un ritaglio, Giorgio Girardet, che
collabora regolarmente a quel settimanale, presenta secondo la sua ottica
l’inizio di discussione avutosi sulla questione dell’insegnamento religioso nelle
scuole pubbliche delle Valli Valdesi.
Citando il nòstro settimanale, lo definisce, con una percettibile inflessione
spregiativa, « l’espressione della borghesia valdese ». Vale la pena di riprendere questa definizione, che forse altri
condividono, e di fare alcune osservazioni.
È indubbio: i redattori e la quasi totalità dei nostri collaboratori appartengono, da un punto di vista sociologico, alla borghesia. Non diversamente,
del resto, da Giorgio Girardet e dalla
stragrande maggioranza di coloro che
scrivono e pubblicano il periodico che
egli dirige, e così pure « Settegiorni ».
È un fatto che la quasi totalità dei
"quadri”, anche e sopratutto per ciò
che riguarda la stampa, appartiene alla
classe borghese di tradizione antica o
recente: non fanno eccezione né
« L’Unità » né « Il Manifesto » né « Lotta Continua » né, più vicino a noi,
«Nuovi Tempi» e «Gioventù Evangelica ».
Per molti di noi si tratta di una condizione umana di cui non siamo direttamente responsabili e della quale non
abbiamo quindi da gloriarci o da vergognarci, così come non mi glorio né
mi vergogno di essere nato cittadino
italiano, di pelle bianca, di avere occhi
e capelli (per ora) castani e di essere
alto m. 1,78. Per altri si tratta di una
conquista forse personale, attraverso il
combattuto conseguimento di diritti
umani fondamentali.
Senza dubbio, però, questa condizione rappresenta anche un limite — uno
dei molti cui siamo soggetti — e un
condizionamento, spesso pesante e comunque di portata profonda, e sopratutto una tentazione. Ritengo che appunto a questo limite e a questo condizionamento G. Girardet si riferisse, nel
definirci come ha fatto pubblicamente
Gino Conte
(continua a pag. 6)
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiM
Il nostro 4° inserto
Neirinterno i lettori troveranno il 4® inserto mensile dedicato airs^centenario valdese, curato dai pastori Giorgio Tourn e Ermanno Genre. questa volta con la collaborazione di un gruppo fiorentino: ringraziamo
di cuore tutti questi collaboratori. Veramente,
i membri delle chiese delle Valli non troveranno questo inserto, che sarà invece consegnato loro unitamente al Bollettino bimestrale
delle chiese del Distretto. red.
2
pag. 2
8 febbraio 1974 — N. 6
■w'ijm VI
i*
oj TSTòtìziario Evangelico Italiano
Un Avventista ripulisce
una chiesa Valdese
« Io ho fatto del mio meglio — ha
detto il pittore Capria della chiesa Avventista di Roma Lungotevere Michelangelo — ho cercato di riprendere bene la tinta... ». Ed infatti la facciata
del tempio di Roma Piazza Cavour è
stata ripulita bene dalle scritte murali di cui ha parlato « La Luce » del 25
gennaio 1974.
Un grazie al pittore Capria.
Perché gli Apostolici
si ritirano dalla FCEI
È già stata data notizia che gli Apostolici hanno deciso di ritirare la loro
adesione alla Federazione delle chiese
evangeliche. Ne « L’Araldo apostolico »
di dicembre vengono dette le ragioni
di questo ritiro, che riassumo qui:
1) Tutte le chiese evangeliche possono usufruire del « servizio legale,»,
ma solo le federate e le aderenti cooperano alle spese.
2) Gli Apostolici, dopo una breve
esperienza nel giugno '69, non sono
stati mai più interpellati per il « servizio studi ».
3) Il settimanale « Nuovi tempi »,
creato dal Congresso per essere organo unitario della Federazione, non ha
mai rispecchiato lo spirito di quella
deliberazione e l’Evangelismo italiano
non si riconosce in esso.
4) Il Consiglio della Federazione
non ha risposto a una lettera con la
quale gli Apostolici chiedevano spiegazioni circa il comportamento del
«servizio studi ». Fin qui « L’Araldo ».
Vorrei aggiungere una nota.
In un momento ih cui le sinistre ecclesiastiche sono protese verso il cattolicesimo del dissenso e le destre verso quello curiale, l’evangelismo italiano è ignorato perché apolitico. Anche
se non competente, la situazione mi si
presenta così e con malinconia mi ripeto il verso di una favola di Fedro
studiata nei lontani tempi del ginnasio: « ego primam tollo nominor quoniam leo » («Mi servo per primo, perché sono il leone »).
Dall’Istituto « Comandi »
Firenze
Il Comitato dell’Istituto è consapevole del problema assistenziale che si
propone particolarmente nella regione
toscana dove gli istituti abbondano.
Le strutture materiali sono per lo più
scadenti, quelle educative spesso sorpassate ed inoltra è risaputo che i ragazzi cresciuti in collegio sono quasi
sempre nella vita dei disadattati. D’altra parte, almeno per il Comandtì, cr&
scono le domande di ammissione, e si
sa che dietro a queste ci sono problemi reali. Questo dimostra che l’istituto ha per ora ragione di essere. Il Comitato si preoccupa dunque di trovare la strada più adatta per portare
avanti fedelmente questo servizio. Si
è cercato di diminuire il numero degli ospiti e di aumentare quello degli
assistenti; di far sì che i ragazzi tornino spesso in famiglia e di interessare famiglie delle chiese a loro; di seguire i giovani fino al loro inserimento nel lavoro e possibilmente in una
comunità evangelica. Si guarda anche
a una possibile collaborazione con gli
altri quattro istituti assistenziali evangelici di Firenze sul piano degli approvvigionamenti, essendo il problema
finanziario sempre delicato.
« Che Dio ci possa guidare — dice il
Comitato — perché starno servitori re
sponsabili al servizio delle assemblee
per la Sua gloria ».
L’Istituto Comandi è anche luogo di
studi e convegni e studentato: Via
Trieste 45, Firenze, c.c.p. 5/14425.
Inda Ade
N.d.r.; - A proposito della prima notizia, la
nostra collaboratrice mi scrive maliziosamente — e credo di non farle torto divulgando
questi suoi scherzosi pensieri : « ...Avevo già
scritto la notizia dell’imbrattamento dei nostri
muri, per mandartele, ma poi non l’ho fatto
perché ero un po’ troppo esultante: mi era
parso bello che ci definissero ancora eretici,
invece tutti sono seccatissimi in vista delle
spese di restauro, che prosaici! iPensa, invece,
nella Roma papale, essere considerati come
Giordano Bruno, e non avere il rogo... ». Partecipando aU'esultanza, confesso che Favrei
sentita più limpida e serena se il « valdesi
eretici » i nostri contradditori Favessero portato scritto, con più coraggio e più civiltà,
su cartelli e striscioni, anziché sporcare, com’e
diventato d’uso, la casa altrui o di tutti... Ma,
evidentemente, mi riconosco prosaico! Con allegra cordialità, e lieto della nitida ripulita
dataci fraternamente da un avventista. G. C.
Nelle Chiese metodiste di Cremona
# Su iniziativa della nostra comunità di Cremona e in accordo col
Centro ecumenico ed il Gruppo laureati cattolici, in occasione della « Settimana di preghiera per l’unità dei
cristiani », si è tenuto nella nostra cappella, sabato 26 gennaio, un incontro
musicale ecumenico molto ben riuscito. Il complesso corale « 68 », diretto
dal m° don Dante Caifa e con l’accompagnamento di armonium da parte del
m° don G. Crema, ha cantato magnifici
brani di musica religiosa. Pezzi classici sono stati eseguiti dal m° di oboe
Franco Orlandelli.
È stata una manifestazione eccezionale con un rilevante numero di presenti. Oltre 200 persone hanno affollato
la nostra piccola cappella ed anche la
attigua sala per riunioni. Fra gli invitati presenti il vescovo di Cremona
Giuseppe Amari, critici musicali e
giornalisti.
Nell’intervallo fra la prima e la seconda parte ha parlato il Dottor Teofilo Santi (Segretario della Commissione metodista per la diaconia) che ha
messo in evidenza il valore dell’ecumenismo attuato anche a livello di impegno sociale delle chiese. Fra tutti i presenti è stata raccolta una colletta a
la pniiuione iliilla Claadiaaa
Un'antologia della religiosità non ecclesiastica dell'anticlericalismo italiano ;
cc Gesù socialista » — « Attualità protestante » — Storia valdese
Se non avete ancora avuto modo di
sfogliare l’ultimo libro fotografico sulla vai Pellice e vai d’Angrogna di Guido Odin, pubblicato dalla Claudiana,
Vi invitiamo a venire in Libreria per
farlo. Pochi resistono al fascino di
fotografie a colori e in bianco e nero
veramente eccezionali. Una breve ma
succosa introduzione di Giorgio Tourn,
accompagnata da splendidi particolari di stampe antiche, lo inquadrano
storicamente. È un libro da centellinare lentamente come un bicchiere di
buon vino... ma è anche un libro da
regalare ad amici, è uno strumento
prezioso per far conoscere la testimonianza di un popolo a chi non si interessa particolarmente a problemi storico-religiosi. Ve lo raccomandiamo
caldamente. È in preparazione una
traduzione del testo nelle quattro principali lingue europee « La pietra e la
voce », grande album rilegato con sovraccoperta a colori (21x31), con 29
Illustrazioni a colori, 50 in nero e 22
stampe; L. 6.500.
* * *
E uscito un libro importante nella
collana « Nostro tempo » della Claudiana;
Arnaldo Nesti, « Gesù socialista » una tradizione popolare italiana (pp.
242, 12 ilLni, L. 2.900). Il titolo non inganni nessuno: non è un ennesimo
tentativo di mescolare fede e politica,
ma la prima indagine sociologica su
un aspetto ignorato della cultura popolare in Italia; la religiosità non ecclesiastica dell’anticlericalismo socialista e anarchico dal 1880 al fascismo.
I nostri e vostri nonni socialisti e
mangiapreti non erano affatto atei come si crede comunemente; erano animati da una vena viva e spontanea di
una religiosità popolare — con sorprendenti accenti evangelici — che
giunge fino a riscoprire e a rivalutare
aspetti attualissimi di un « Gesù socialista», povero fra i poveri, contro
tutte le caste politico-religiose. Non è
dunque un libro per specialisti o di
pura archeologia storica, ma un’opera di amena lettura (ricca antologia
di testi dell’epoca) i cui continui riferimenti a problemi tutt’altro che superati lo rendono attualissimo. Largo
spazio è dato anche alle reazioni del
piccolo ambiente evangelico italiano.
L’autore — docente di sociologia a Firenze — è il direttore della nota rivista « IDOC - Internazionale » di Roma.
« * «
Nella collana « Attualità protestante », dopo il numero doppio sul Mozambico, trincea del colonialismo, di
Daniele Garrone (L. 300), esce il n. 58;
« Lettera dal Cile » - una voce ameri
cana di autocritica (L. 150), una lettera scritta da un gruppo di missionari
americani operanti in Cile, subito prima del « golpe », alle direzioni delle
loro Chiese negli U.S.A. Un documento pacato e sereno ma importante
proprio perché proviene da un ambiente evangelico e « apolitico » che ha
aperto gli occhi di fronte alla realtà
dei fatti.
In questa serie è in preparazione un
opuscolo doppio sul tema : « L’eredità
del valdismo medievale» (L. 300) che
si inserisce nelle pubblicazioni previste per il Centenario valdese.
Prosegue intanto alacremente la preparazione della « Nuova storia valdese» in tre volumi (Molnar, Armand
Hugon, Vinay), i cui primi due volumi sono previsti entro il mese di
aprile.
Carlo Papint
Una conferenza su Calvino
nel liceo di Susa
Il 25 gennaio, nell’aula magna del
Liceo-Ginnasio statale di Susa, si è svolta una conferenza, tenuta dal pastore
Giorgio Tourn, sul tema: «Il Calvinismo come fatto storico-sociale e la .sua
influenza, nel processo di trasformazione della società moderna ».
La grande maggioranza di studenti e
professori presenti apparteneva ovviamente al Liceo-Ginnasio, ma studenti
ed insegnanti degli altri Istituti della
città erano pure largamente e qualificatamente rappresentati. Questa conferenza ha avuto luogo in una coincidenza di interessi particolarmente felice sia per gli studenti, sia per la nostra
comunità valdese, come per quella battista. Molto stimolante e largamente
apprezzata, la conferenza ha pienamente soddisfatto da una parte una esigenza culturale molto sentita, cioè ha portato in un ambiente sostanzialmente
diverso da quello protestante, oom’è il
nostro, una valutazione ed una testimonianza di grande efficacia da parte
di chi vive alT’interno di questo Calvinismo. E dall’altra ha offerto un’occasione molto preziosa alla nostra comunità che ha così potuto svolgere
un’attività che si inserisce bene nel
quadro delle celebrazioni dell’VIII Centenario del Movimento Valdese.
Vogliamo di qui ringraziare vivamente il Preside prof. Dezzani che ci ha
chiesto la conferenza e il past. G. Tourn
per aver accettato di tenerla e per aver
magistralmente mantenuto l’attenzione
del notevole uditorio sempre vivo ed
interessato. A. R.
A Torino, una mostra e un dibattito su:
La guerra e la violenza
totale beneficio del Centro sociale di
Villa S. Sebastiano.
# Il Dottor Santi, che ha anche predicato durante il culto di domenica mattina, nel pomeriggio ha intrattenuto un buon numero di fratelli ed
amici nella nostra sala per illustrare,
mediante diapositive, interessanti opere sociali realizzate a Napoli.
# Sia nella serata di sabato, che nella giornata di domenica — come
pure nelle varie iniziative svolte con
successo in questi ultimi mesi — la
comunità cremonese ha dato segno di
straordinaria ripresa a concreta prova di accentuata vitalità. Nuove attività e manifestazioni sono in programma di attuazione nel prossimo futuro
nei vari settori di vita ecclesiale.
...e di Piacenza
A In occasione della annuale « Settimana di preghiera per l’unità dei
cristiani », su iniziativa del Gruppo
ecumenico di Piacenza, venerdì 25 gennaio ha avuto luogo un incontro di
preghiera nella chiesa cattolica di San
Carlo in Piacenza. Hanno partecipato
in buon numero fratelli e sorelle della nostra comunità e fratelli cattolici.
Le due omelie sono state pronunciate
dal vescovo di Piacenza Manfredini e
dal nostro pastore Giuseppe Anziani.
# Questo ben riuscito incontro è stato preceduto da altri incontri di riflessione biblica tenutisi nei mesi scorsi e, di recente, da una interessannte
conferenza tenuta dalla Prof. Maria
Vingiani sul tema « Ecumenismo attuale ». La parola della Prof. Vingiani
è stata accolta con viva attenzione da
un folto pubblico, che ha apprezzato
ed approvato i pensieri esposti dalla
applaudita conferenziera.
g
iiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Nella rubrica televisiva
«PROTESTANTESIMO»
La missione - Vaido
La trasmissione di giovedì 14 febbraio (ore 18.15, sul 2° canale) sarà
centrata sul significato attuale della
Missione, costruita con supporti filmati e un’intervista con il pastore Emilio Castro, direttore del Dipartimento
Missione ed Evangelizzazione del CEC.
—-o—
Il giovedì 21 la rubrica sarà dedicata a una ricostruzione storica della figura di Valdo. Seguiranno ulteriori
precisazioni su questa trasmissione.
Nei giorni scorsi ha avuto luogo a
Torino, nel salone del teatro Gobetti, la
mostra di Bruno Canova su « l’arte
della guerra ». Tralasciando il lato artistico, di cui non sono competente, mi
limiterò a dire che si tratta di una
impressionante raccolta di documenti
originali (lettere di soldati, bandi militari, articoli e titoli di giornali, ecc.)
inquadrati con la tecnica del collage,
che danno l’esatta misura della stupidità e dall’atrocità umane: stupidità e
atrocità direttamente proporzionali al
sempre più raffinato e sofisticato progredire della tecnica bellica. Giustamente è stato- rilevato che nella storia
dell’uomo non c’è un altro procedimento tecnico così avanzato come quello
destinato alla distruzione dell’uomo
stesso.
Il dibattito a conclusione della mostra si è svolto nel teatro Gobetti il 1“
febbraio scorso, alla presenza di un folto pubblico — molti i giovani — attento e partecipe. Hanno parlato il dr.
Aldo Passoni, vice direttore dei musei
civici, il prof. Vittorio Mathieu, docente di filosofia morale all’università di
Torino ed il prof. Giuseppe Marasso,
pure lui insegnante ed esponente del
movimento nonviolento e del MAI (movimento antimilitarista internazionale).
La « moderatura » era affidata al giornalista Gino Nebiolo.
Mathieu ha posto in rilievo il volto
subdolo della guerra odierna; ad esempio, forse non molte persone sanno che
in questi ultimi sette anni le azioni belliche hanno provocato cinque milioni
di morti, senza calcolare le relative distruzioni e rovine. L’oratore ha poi prospettato le due direzioni verso cui andare per prevenire la guerra (direzioni
peraltro fra loro opposte): affidarsi alla comprensione ed all’amore reciproci oppure creare un ordinamento giuridico efficace atto a reprimere la violenza. Secondo Mathieu l’unico mezzo
è l’amore, amore che però può diventare acquiescenza alla prepotenza. La
sua in sostanza è una tesi pessimistica
che, sia pur ponendosi in posizione
critica di fronte al problema, finisce
con Faccettare lo status quo, accettando la « logica » dell’equilibrio delle
forze.
Di ben altra forza l’intervento di .Marasso, che ha reso l’uditorio veramente
partecipe della drammatica e angosciosa tematica della violenza. Non si può
che provare un profondo senso di
smarrimento di fronte alle spaventose
violenze cui assistiamo oggi, si chiamino esse Vietnam (a guerra « finita »),
Cile, Angola — per non citare che alcune situazioni. Ma la violenza non è
solo in quei luoghi. Essa è anche in
mezzo a noi, alle nostre istituzioni. Si
pensi ad esempio — ha proseguito Marasso — al nostro esercito che, coi nuovi stanziamenti, sottrae quotidianamente al popolo circa otto miliardi di
lii'e, mentre mancano ospedali, scuole,
case, verde pubblico, ecc. Si pensi inoltre al complesso militare-industriale
italiano, agli aerei FIAT G91 che bombardano le colonie portoghesi e il Sudafrica, « rei » di voler essere padroni
a casa loro. Pensiamo alla complicità
di tutti noi che, colle tasse, contribuiamo a queste situazioni: ognuno di noi
è complice della violenza.
Vi è poi la complicità più profonda
di chi giustifica e legittima tutto questo, adducendo il « sacro dovere » della
difesa della patria. Ma oggi il nostro
esercito sarebbe per lo meno in grado
di «difenderci» in modo efficace (da
chi: dagli jugoslavi, dagli albanesi?)?
L’Italia è una penisola e quindi la sua
« difesa » dovrebbe essere essenzialmente aerea e marittima, ma queste
due forze sono trascurabili di fronte a
quella di terra. Viene allora il più che
fondato sospetto che il forte apparato
bellico terrestre, dotato di carri armati e di armi appropriate, possa essere
destinato ad operazioni di polizia territoriale (senza poi voler prendere in
considerazione ipotesi golpiste). Che
d’altronde l’Italia, come alleato militare, non sia ritenuta « un valido elemento » dagli Stati Uniti, risulta anche da
una recentissima corrispondenza da
Washington su La Stampa.
L’intervento di Marasso si è poi spostato sui temi della nonviolenza, che
deve intendersi come qualche cosa di
attivo, come la fusione dell'essere morale con quello politico. Si tratta di una
tematica che abbiamo già sovente proposto ed affrontato su questo settimanale e non mancheranno altre occasioni per farlo ancora.
I diversi interventi successivi da parte del pubblico e le replice degli oratori hanno posto in rilievo il contrasto fra chi — magari in buona fede —
crede nella violenza organizzata come
unico modo di prevenzione e repressione della guerra e chi invece individua nella nonviolenza attiva un metodo
veramente rivoluzionario (si tratta infatti di una « rivoluzione permanente ») atto a eliminare il fenomeno più
mostruoso che fin qui ha caratterizzato
l’uomo.
Roberto Peyrot
Una processiona stmordinaria
Un valdese in Piazza S. Pietro, 45 anni fa, nel picchetto d'onore per Pio XI e
la sua corte, alla prima uscita simbolica dal Vaticano dopo che i Patti Lateranenti, risolvendo a modo loro la "questione romana", avevano permesso al
Pontefice romano di rompere l'assedio nel quale si era volontariamente chiuso
dopo la breccia di Porta Pia
Il nuovo recapito del past. Campi
Mirella Abate ne riprende il lavoro
• ,r.
fra i migranti in Germania
Con la metà febbraio il pastore Emidio Campi si trasferirà a Ginevra, con
il seguente indirizzo: 6, chemin de la
Bride, 1224 Chène-Bougeries (Genève),
tei. 48.62.41.
Il lavoro fra i nostri emigrati in Germania, nella regione di Stoccarda, non
viene però sospeso; esso sarà curato
ora da Mirella Abate, candidata in teologia, che sta compiendo un periodo
di perfezionamento teologico a Tubinga. L’indirizzo del Centro Diaconale
nel quale lavorerà M. Abate è: Haus
der Internationalen Begegnung, 7000
Stuttgart, Landhausstr. 62.
Personal ia
Ci rallegriamo cordialmente con il
dott. Italo Mathieu al quale la Pro loco di Pinerolo ha conferito uno dei
due premi Pinarolium 1973. Il sanitario, nativo di Schiavi d’Abruzzo (15
giugno 1899), specializzato in tisiologia, ha diretto per trent’anni, dal 1929
al 1959, i sanatori « Agnelli » a Pra Catinai, in Val Chisone, continuando
quindi la sua apprezzata attività sanitaria a Pinerolo. Egli è pure stato per
lunghi anni Anziano nel Concistoro di
quella nostra chiesa.
Il prossimo 11 febbraio sarà il 45°
anniversario dei Patti Lateranensi, firmati appunto in quel lontano 1929.
In quel tempo non vennero fatti molti commenti: quello che il Governo faceva, era sempre ben fatto! Soltanto
la cifra pagata dall’Italia al Vaticano,
quale risarcimento dei danni (?!) aveva fatto correre un brivido lungo la
schiena degli italiani. Si parlò di un
miliardo, e per quell’epoca era veramente una cifra enorme.
Per il Concordato in sé, le cose non
cambiavano gran ché. La chiesa romana vedeva confermati ufficialmente
quelli che da sempre erano stati i suoi
privilegi. Per le altre confessioni nulla
di nuovo, anche se da « Tollerate » divenivano « Ammesse ».
Quando, nella primavera di quello
stesso anno, 1929, fui chiamato alle arrni, non pensavo più a quanto era avvenuto in febbraio.
Ma la mia destinazione contribuì a
rammentarmelo. Guarda caso, ero stato destinato ad un reggimento di stanza a Roma.
Così, verso il mese di giugno (mi pare) si sparse la notizia che, proprio in
conseguenza della firma dei Patti Lateranensi, in seguito ai quali, veniva a
cessare 1’« assedio », il Papa sarebbe
uscito ufficialmente dal Vaticano, per
la prima volta dal 1870.
La stampa s’impadronì della notizia
e così, da un giornale potei conoscere
in anticipo molti particolari della cerimonia che si sarebbe svolta. Innanzitutto, il Papa, essendo anche il Sovrano di uno Stato estero, transitando, sia
pure per breve tratto, sul suolo italiano, doveva essere ricevuto in forma
protocollare, con tutti gli onori dovuti
al suo rango, compreso un « picchetto »
d’onore militare.
Fra gli undicimila soldati schierati
tutto attorno al colonnato di Piazza S.
Pietro, c’ero anch’io!
Per il rimanente, la cerimonia a cui
avrei assistito da una posizione, direi,
privilegiata, sarebbe stata una grande,
straordinaria processione che doveva
svolgersi uscendo dalla porta principale della basilica, infilandosi sotto il portico formato dal colonnato; al termine della prima metà del colonnato, per
breve tratto la processione avrebbe
transitato sul suolo italiano; ed ecco
motivata la presenza del picchetto militare.
Fu indubbiamente una processione;
che voleva essere di ringraziamento al
Signore per la felice soluzione della
lunga vertenza con lo Stato italiano.
Una processione eccezionale senza la
partecipazione diretta dei fedeli, senza
l’ostentazione di reliquie o di immagini, ma una processione in piena regola.
10 che ero abituato solo a vedere le
modeste processioni del mio paesello,
fui colpito dalla grandiosità dei mezzi.
E sempre dal giornale cui ho accennato
in principio, avevo appreso parecchie
cose che ignoravo. Ad esempio i ceri;
quelli che io avevo visto, sia alle processioni sia ai funerali, erano tutti
uguali; il giornalista m’informò, e più
tardi costatai de visu, che i ceri erano
di diversa mole, a seconda del grado
gerarchico di chi li reggeva.
11 corpo Cardinalizio era diviso in
due gruppi, di cui uno praticamente
apriva il corteo precedendo la sedia gestatoria sulla quale era allestito un
simulacro di altare, al quale il pontefice era appoggiato in atteggiamento di
preghiera. Subito dopo la portantina,
il secondo gruppo dei cardinali. Naturalmente essi reggevano i ceri più
grandi. Poi seguivano gli alti dignitari,
chiamati anche famigli; guardie nobili,
camerieri segreti di cappa e spada ecc.
Poi ancora, i vescovi ed infine, i rappresentanti di tutti gli ordini religiosi
esistenti. Una infinità di ordini, di colori, di divise. Insomma, uno spettacolo degno di essere visto.
Tutto sommato ho avuto l’impressione che, oltre ad un atto di ringraziamento, quella processione fosse anche
in qualche maniera uno schieramento
di forza, una dimostrazione di potenza
della Chiesa nel mondo.
Armando Beux
Doni prò Eco-Luce
Luigi Masino, Varese 4.000; Eugenio Tron,
Torino 1.000: Mario Rizzalo, Rovigo 500;
Irene Proietti Bounous, Rivoli 500; Daniele
Crespi, Regina Margherita 500; Guido Pagella, Svezzerà 600; Corrado Pucciarelli, Pontebha I.OOO: Rita Alinionda, Genova 1.000;
Anita Simeoni Ayassot, Genova 1.000: Anlonietto Solari, Rapallo. 1.000; Ernesto Long,
Abbadia Alpina 200; Enrico Mariotti, Torino
1.000; Giovanni Peyronel Perrcro 1.000: Franco Schellenbaum, Banchelte 1.000; L. Pennington De Jongh, Roma 1.000; Giacomo Molinari. Refrancorc 1.000: Corrado Baret, Piacenza 1.000; Giordano Bensi, Latina 1.000;
Mario Rizzi, Ge-Sestri 6.000: Rita Koudijs,
Varese 1.000: Elsa Ricca, Torino 1.000.
Grazie! (continua)
3
vili CENTENARIO
del movimento valdese
\
B
B
MA TTEO
5: 21/22
Colpire il male
alla radice
Fiumicino, Paul Getty, banditismo, rapine, sequestri di persone ed altri fatti simili
fanno parte del pane quotidiano che i mezzi di informazione di massa somministrano
giornalmente al nostro intelletto e alla nostra curiosità. Di fronte ad un simile dilagare della delinquenza, anche se non è un fatto nuovo e se non supera come misura
quanto avveniva quarant'anni fa, non sono
pochi in Italia a invocare il ripristino della
pena di morte per le violenze particolarmente gravi.
Sappiamo che non è una soluzione. Una
simile minaccia, più che ad arginare la delinquenza, servirebbe a renderla più astuta,
ma lo è già abbastanza se così spesso i delinquenti comuni riescono a far perder
ogni traccia di sé.
Il criterio della pena di morte è quello di
colpire forte i malfattori per porre argine
alla delinquenza. Sembra che anche Gesù,
in questi versetti usi lo stesso criterio:
-— i sentimenti (chi si adira) e non solo
le azioni (chi avrà ucciso), vanno processati. È il contrario delle leggi democratiche
che si onorano appunto di non colpire i sentimenti e le opinioni ;
— gli insulti (testa vuota) sono un peccato di competenza del Sinedrio e non solo
un reato comune ;
— gli insulti gravi (pazzo) conducono
dritto alla pena eterna, al fuoco della valle
dello Hinnom, in cui si gettavano i rifiuti, i
cadaveri dei lapidati, maledetta anche per il
ricordo dei sacrifici umani che vi si erano tenuti in epoca lontana.
Pena di morte non solo per la violenza
grave, ma anche per l'insulto.
Eppure una simile interpretazione sembra
accordarsi poco col sermone sul monte dei
mansueti e dei facitori di pace che sono
beati, oppure del porgere l'altra guancia e
dell'amore dei nemici. Il crescendo delle pene, anche se comminate dal potere costituito, non è proporzionato alle colpe e va
contro la visione generale del sermone di
Gesù.
Sembra quindi che qui non si tratti di colpire forte il male, ma di colpirlo alla radice:
non i sequestri di persone, ma la collera e
l'insulto; nei versetti che seguono, non
l'adulterio già commesso, ma il desiderio
impuro; non lo spergiuro, ma qualsiasi giuramento ; non la vendetta e l'odio dei nemici, ma la mancanza di amore. Se si aspetta che il male' sia radicato è inutile colpire
forte.
Colpire oggi il male alla radice non vuol
dire ammazzare chi lo compie, ma togliere
le condizioni che lo stimolano: le ricchezze
ingiustamente distribuite, la violenza del
potere costituito, la sistematica violazione
dei diritti degli indifesi. Nessuno sequestra
o rapina i poveri.
L'ingiustizia, naturalmente, non autorizza
il primo venuto a farsi giustiziere sociale
sequestrando i ricchi per carpir loro i milioni a proprio vantaggio. Chi può colpire il
male alla radice?
Qui chi parla è Gesù. Le pene di cui parla
sono quelle della sua passione: il tribunale.
il Sinderio, la morte infamante (sulla croce
o nella geenna non ha importanza). Gesù
colpisce il male alla redice nella sua persona e senza averlo commesso : colpisce in sé
l'ira e gli insulti ricevuti anziché quelli rivolti ad altri.
Chi invoca la pena di morte vuol colpire
il male negli altri. Sulla via della croce è
possibile colpire il male alla radice innanzitutto in noi e assumere la responsabilità anche del male degli altri, ma in questo modo.
Allora chiunque, sulla via della croce e del
discepolato, può colpire così il male alla radice. Su altre vie e in altri modi si colpirà
solo nelle fronde e aggiungendo male su
male.
Claudio Tron
MOMENTI E FIGURE DI STORIA VALDESE
DURANDO D'OSCA
I compagni di Valdo, i suoi « soci »
non furono solo uomini e donne del popolo o gente del suo ambiente di mercanti ma anche preti e uomini di chiesa.
La cosa può sorprenderci, abituati come siamo a considerare Valdo ed il suo
movimento come « eretici », scomunicati dalla chiesa romana; i fatti però
sono quello che sono, e ci portano direttamente al problema fondamentale:
che cosa volevano questi valdesi della
prima ora, quale era realmente lo spirito che animava le loro scelte? Bisogna dire subito, per evitare equivoci
che essi non intendevano fondare una
nuova chiesa.
Fino a quel momento c’era stata una
sola chiesa, la chiesa cattolica d’Occidente e nessuno pensava alla possibilità
che potessero esistere molte chiese cristiane, come è accaduto in seguito. Anche Lutero, quando cominciò nel 1500
le sue predicazioni non prevedeva certamente che sarebbe poi sorta una chiesa luterana!
La Chiesa cristiana era una sola e tale doveva restare, ma doveva rinnovarsi, tornare all'Evangelo, riscoprire lo
spirito delle prime generazioni, del tempo degli apostoli. Come molti cristiani
nella storia, anche cattolici, i valdesi
non intendevano fare altro che questo:
lavorare al rinnovamento della propria
comunità.
Leggere il vangelo, predicare liberamente la parola del Signore, invitare i
propri fratelli al ravvedimento, alle
opere buone, alla santità, tutto doveva
condurre alla scoperta del messaggio
cristiano autentico. Certo questi uomi
ni erano in crisi, sentivano che qualcosa non andava ma perché la Chiesa era
in crisi. E non erano i soli a dirlo, papi
e vescovi concili e teologi si davano da
fare per risolvere questa crisi, per porre rimedio agli abusi, alle irregolarità,
per mettere ordine; a modo loro i vaidesi non volevano altro che collaborare per un lavoro nella base del popolo
cristiano con le deboli forze di cui disponevano.
Volendo fare in qualche modo il paragone con una situazione dei nostri
giorni potremmo dire che la « societas »
di Valdo e dei suoi fu molto simile ad
un gruppo del dissenso cristiano di oggi, di quelli che cercano nuove forme di
testimonianza e di comunità. Molto più
vicina a queste esperienze informali, in
ricerca, che ad una parrocchia valdese
costituita.
Come mai dunque l’iniziativa di Valdo fallì?
Non c’è nulla di eretico nella sua attività, si limita ad annunziare il Vangelo, accetta in modo totale l’insegnamento della chiesa, non solleva nessuna questione sulle dottrine fondamentali della fede, come si spiega il fatto
che neanche una ventina d’anni dopo il
suo voto di povertà sia diventato eretico, scomunicato, respinto? Qui sta il
problema fondamentale delle origini
del movimento valdese.
È la chiesa che scaccia Valdo, non
Valdo che esce dalla Chiesa.
I valdesi si sentiranno sempre in piena comunione di fede con tutti i ere- *2
fiB
cn
(continua a pag. 4)
Cab
4
Violenza e potere
1. - È lecito — dicono — respingere !a forza con la forza, ma usando un
modo di comportarsi che sia irreprensibile, cioè difendendo se stessi ma non
uccidendo gli altri, sia col fare prigionieri i nemici, sia col fuggire, ma senza
uccidere. Infatti se uccidiamo ci opponiamo al precetto del Signore : « amate i
vostri nemici e fate del bene a chi vi odia... ».
2. - Sostengono anche che in nessun caso, in nessuna circostanza e per
nessun motivo si possa uccidere un uomo... infatti Dio ha proibito l'omicidio dicendo nella legge : « Non uccidere » e nell'evangelo : « chi prende la spada, di
spada perirà ».
Quando si vede uno che è in peccato mortale e non si ravvede la coscienza
ti dice che se quello resta in quella condizione sarà dannato ; ma se lo uccidi,
lo uccidi nel corpo e nell'anima e così facendo ti rendi colpevole della sua dannazione... Se poi si dice ché a fare questo è il giudice che è ministro della legge
ci si oppone alla parola del Signore: « A me la vendetta, io darò la retribuzione »,
3. - I Poveri lionesi e quelli lombardi sono scettici riguardo ai castighi
nell'ordine temporale.
4. - Riguardo alla giustizia secolare... dicono che non è lecito uccidere i delinquenti sulla base di un giudizio umano.
5. - Condannano e rifiutano imperatori e re, principi... baroni... giudici e
scabini per tutte le forme di omicìdio da essi compiuti... quand'anche legali ed
eseguiti in forma giuridicamente valida.
6. -0 Chiesa, tu predichi e sostieni che vi debba essere castigo e che possa essere attuato da principi e poteri senza peccato. Falsissima predicazione —
la tua — ...per nulla strana d'altronde perché tu stessa sei falsa. « Non sta a
voi fare vendetta » dice infatti l'apostolo, « spetta al Signore ».
Dai testi degli inquisitori e dei polemisti cattolici del 1200 ricaviamo
questa serie di ajfermazioni valdesi sul
problema della violenza. Il rifiuto di
esercitare una violenza su alcuno, anche nel quadro della legalità prevista
dalla legge, nasce da due esigenze: obbedienza alla parola scritta (vedansi i
numerosi versetti citati in: questo ca‘so), e dal rispetto per la vita ed il destino dell’uomo: uccidere significa chiudere irrimediabilmente la speranza di
un ravvedimento e di una salvezza.
Da queste premesse deriva anche uña
visione molto scettica dell'efficaci^ e
della legittimità del potere civile e di
quello ecclesiastico, che giunge sino ad
una sorta di insubordinazione generale
contro le strutture del potere politico.
L’interno della chiesa valdese di Firenze
(ex tempio anglicano)
bO
C<]
La storia
della comunità di
FIRENZE
In età medioevale anche a Firenze e nei
suoi dintorni c’è stata una presenza valdese.
Coinvolti con i patarini nelle lotte sociali
che caratterizzarono la vita del comune, con
loro i valdesi soffrirono persecuzioni e roghi
al tempo dell’inquisitore Pietro da Verona
(1237).
Per la sua antichità, è interessante la deposizione resa davanti al tribunale dell’inquisizione da una certa Adelina Tribaldi, che
nel 1245 si scagionava dall’accusa di essere
valdese ma riconosceva di avere conosciuto
i « Poveri di Loduno » quand’era giovane,
perché essi avevano una riunione clandestina in un cascinale di suo padre, a Capalle, nella piana fra Firenze e Prato.
Per il periodo della Riforma non si registra un movimento a carattere popolare;
l’adesione alla protesta evangelica è una
scelta di singole personalità che, per coltura o stato sociale, ha notizia dei fatti, legge
o a contatti. I fermenti savpnaroliani non
favorirono, come invece fu il caso di Lucca,
la penetrazione di idee riformate. Firenze
fornì alla Riforma italiana il suo maggior
teologo, Pier Martire Vermigli, uno dei suoi
« sempre eretici » più inquieti, Francesco
Pucci, ed un gruppo di simpatizzanti, convertiti e martiri fra i quali la personalità interessante di Pietro Carnesecchi.
Nel primo Ottocento una numerosa e vivace colonia straniera dava vita ad alcune
comunità protestanti. Accanto alle iniziative
a carattere personale v’erano le chiese che
nascevano sullo slancio del revival o réveil
anglo-ginevrino: un piccolo mondo permeato di missionarismo, agguerrito , contro lo
oscurantismo clericale. Come le idee liberali
e democratiche, anche il protestantesimo
visse in primo periodo nella clandestinità imposta dalle leggi. I fiorentini poterono
udire revangelo nella predica domenicale
dei riformati svizzeri, in gran parte grigionesi, oppure attraverso la fervida propaganda personale degli stranieri, che utilizzavano
una stampa clandestina assai vivace.
Quando il breve esperimento. costituzionale del 1848-49 apriva qualche spiraglio di libertà, ed anche dalle Valli piemontesi venivano due giovani studenti in teologia, Firenze aveva già un nucleo protestante proprio;
quel nucleo si allargò in un decennio di persecuzioni — carcere, esilio, confische — e fornii la base alle due comunità che si formarono all’indomani dell’unione nazionale: a
quella valdese ed a quella dei Fratelli (e
«liberi» insieme).
A Firenze si sviluppavano ben presto due
comunità « valdesi » : alla prima aderivano
la piccola borghesia degli immigrati, le famiglie dei professori di teologia, convertiti
della classe media; alla seconda — organizzata da quella cara tempra evangelica che
fu Paolo Geymonat — fecero capo la gente
umile, i convertiti dei borghi suburbani, i
"risvegliati".
Intanto nascevano o erano accentrate su
Firenze opere e iniziative che facevano della
città il centro della missione in Italia. Alla
fine della prima guerra mondiale si aveva
lo smantellamento; a Roma la Facoltà Teologica, chiuse le scuole elementari e l’opera
scodale, a Torre Pellice la Claudiana; via
Serragli, come comunità, risultava enormemente indebolita. Nel secondo dopoguerra
si aveva la fusione delle due comunità, che
hanno ora nell’ex-tempio anglicano il punto
d’incontro cultuale.
È .una chiesa che, in oltre un secolo di
vita, ha avuto una vistosa "dotazione": due
istituti per ragazzi, una casa di riposo, il
centro comunitario, il tempio. La riduzione
.« ì: (continua a pag. 3)
5
opporsi
alla violenza
e al potere
legalizzati
Domande e risposte sono state preparate da un
gruppo di giovani: Marco Balenci, Roberto Di
Marco, Saveria Gattini, Claudia Messina, Andrea Sansone, Massimo Sibille, ed il past. L.
Santini.
— li testo che abbiamo letto concerne
la violenza e il potere coercitivo delle autorità, noi ci chiediamo se è possibile
« mettere a frutto, oggi » l'impostazione
del valdismo medievale...
— La situazione socio-politica di oggi non
consente più-di condannare a mrorte per
« eresia », e le conquiste relativamente recenti dell'umanità (tolleranza, diritti deH'uomo,.ecc.) hanno prodotto una società apparentemente. più libera ed aperta. Dovremmo
quindi dire che l'esigenza Valdese è stata
soddisfatta... Ma di fatto vediamo che discriminazione e violenza rimangono, e all'eresìa religiosa s'è sostituita quella ideologica, che produce discriminazione, persecuzione poliziesca. Dietro. una facciata di democrazia e di rispetto resta- la violenza del
potere che dispregia la vita deH'uomo, di
ognuno. I credenti hanno ancora oggi il
compito di smascherare-denunciare la violenza anche quando è organizzata, sancita
legalmente,, ed è uh impegno che ci obbliga sempre a un.confronto fra |e leggi degli
uomini e la legge di Dio.
— La contestazione del valdismo medievale su che terreno era portata? in che rapporto stavano fede e politica?
— La polemica dei valdesi contro le autorità costituite.era portata su un terreno nettamente religioso e si avvaleva di argomenti
tratti dal Vangelo. Essi non si rendevano
conto del fatto che il loro dissenso religioso
trascinava con sé anche una protesta sodale,
non avev'an"ó'’davanti agli occhi che l'obbedienza alla legge di Dio. Il valdismo di oggi, pur conoscendo meglio i rneccanismi
della società, non porta/un messaggio « religioso » che abbia una carica «politica»;
vivendo nell'ambito di una comunità valdese,^ riscontriamo che questi problemi vengono evitati con cura, per paura di mescolare il sacro al profano. I nostri padri, forse
non consapevolmente, ci insegnano che il
Vangelo incide sulla totalità della vita e non
ha paura di confrontarsi con le strutture
della società.
— É corretto dire che all'origine i valdesi
erano dei « non-violenti »? oggi, la prospettiva è diversa?
— Il primo paragrafo del testo valdese
che abbiamo letto mostra che allora i cre
Martin Luther King parla alla folla durante una manifestazione.
denti si opponevano alla violenza contro
l'individuo, alla pena di morte, ad uccidere.
Prendevano alla lettera il comandamento
« Non uccidere » e, pur di realizzarlo, consigliavano ogni mezzo, anche la fuga. È nonviolenza, questa? Sembra che essi si ponessero solo il problema di uccidere: condannando a morte, in guerra, in conflitti occasionali, ecc., ma non si ponessero il problema nell'ampiezza in cui oggi noi lo vediamo. Per noi è violenza non solo l'uccisione,
ma tutto ciò che crea o stabilizza condizioni
Colpe e pene
« Voi avete udito che fu detto agli
antichi: Non uccidere, e; chiunque
avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale; ma io vi dico: chiunque s’adira
contro al suo fratello, sarà sottoposto
al tribunale; e chi avrà detto al suo
fratello “testa -vuota”, sarà sottoposto
al Sinedrio; e chi gli avrà detto "pazzo”, sarà condannato alla geenna del
fuoco» (Matteo 5: 21-22).
di ingiustizia, di sfruttamento, di -oppressione, ed è « non-violenza » anche il rifiuto di
collaborare a questo stato di cose. Ci pare
importante sottolineare che la protesta valdese denunziava la violenza come mezzo
per soffocare il dissenso religioso (oggi diremo "ideologico"), e con questo anticipava
di secoli una battaglia per la tolleranza iniziata dall'illuminismo e non ancora conclusa.
In questa protesta sono ridimensionate anche le autorità umane, che non hanno diritto di vita e di morte e debbono essere disobbedite quando sovvertono la legge
evangelica.
— Qui abbiamo posizioni d'una minoranza consapevole di essere e restare tale ;
oggi, il valdismo è disposto ad accettare
per principio « il ruolo » d'essere minoranza?
— Vediamo che i Valdesi del medioevo
non esitavano a condannare imperatori, re,
giudici, ecc. quando nell'esercizio del potere volevano disporre della vita deH'uomo.
Rifiutando la violenza estrema, essi rimettevano a Dio il giudizio definitivo, svolgendo una sostanziale contestazione della società com'era organizzata. Questo atteggiamento poteva essere solo di una minoranza
che voleva restare tale, che non prevedeva
di organizzarsi strettamente o addirittura di
guadagnare masse di popolo e imporre (o
proporre legalmente) il suo punto di vista.
Il valdismo era dunque una minoranza che
esercitava una funzione precisa, identificabile, in una tipica società oppressiva : la sua
denuncia religiosa raggiungeva fino in fondo le strutture della società. Ma oggi — in
una situazione completamente diversa, con
una chiesa che partecipa del sistema di questo modo, ha una sua organizzazione assai
strutturata, ecc. — possiamo chiederci : il
valdismo vuole restare minoranza consapevole? oppure ha un suo "sogno" di conquista che non osa dire ed a cui non rinunzia? Domenica abbiamo parlato in chiesa
di "evangelizzazione", ma non è stato detto « quale messaggio » evangelico con una
carica d'incisività socio-politica, (come nel
medioevo), dovremo portare, non è stato
detto se abbiamo l'obbiettivo di restare o
diventare minoranza consapevole, oppure di
intraprendere un'opera di testimonianza
molto più vasta. In un mondo come il nostro
il concetto di « minoranza » ha vita diffìcile,
d'altra parte è concretezza chiederci cosa e
perché vogliamo raggiungere con l'evangelizzazione.
FIRENZE
(segue da pag. 2)
a efficienza di questo complesso di edifici
ha tormentato la vita della comunità negli
ultimi dodici anni. Va anche detto che l’inondazione del ’66 ha segnato una svolta (negativa), ha distrutto e disperso e dissipato sul
piano comunitario molto più di quanto non
appaia. Oggi Firenze ha una chiesa con i mali tipici del tempo (contraddizioni interne,
stasi nella evangelizzazione, ecc.), con un
insieme d’iniziative sociali anche di prestigio, una diaspora che tende a dilatarsi se
non a crescere. La suà composizione sociologica omogenea è avvertibile come una garanzia di solidità, ma anche cerne remora a
un rinnovamento.
L. Santini
6
Jésus sia con nos. A tuit li nostres fedels
et ama tant coma fraires en Jésus Christ.
Salu sia a tuit vos, amen. La présent es per
advertir la vostra fraternita; pagant lo meo
débit de mi a vos de la part de Dio, maximament sobre la cura de la salù de las vostra armas en lo lume de verita départi a
nos de l’altissime, que la plaza a un chascun
de lo mantenir, acreisser et favorir segond
possibUita, et non venir a ments de tôt bon
principi, huzanças et costumas donas de li
nostres antecessors... Car al judici de Dio
nos saren non escusevols e damna plus profondament: car plus fort torment sere donna a li plus forts e a U plus conoissent. Per
la quai cosa yo prego vos per la carita de
Dio, non voUla diminuir, ma accreisser la
carita, la temor et l’obedlentia degna a Dio,
et a vos entre vos, et totas bonas costumas
appartenent et auvias et entenduas de la
part de Dio et nostra, et ostar et d’entre
vos purgar tôt deflfect et mancament conturbant la paz, l’amor et la concordia, et
tota causa de vos ostar la liberta del servici
de Dio, et la vostra salu... Ni voilla suportar
entre vos, ni sostenir personas de mala vita
ni que done scandol et mal example entre
vos; ma carita et fidelita régné entre vos et
tôt bon exemple, tractant l’un l’autre enaima
un chascun volera esser faict per se meseime... Pertant si vos spera et desira possessir vita eterna, et bona voouz et bona fama
et bon crédit, et prosperar en aquest mond
en li ben spiritual et temporal, purga vos de
tota vita desordonna entre vos, afin que Dio
sia totavia con vos loqual non abandonna
unqual i sperant en si... Pertant un chascun
pause lo seo cor sobre la soa via, et fugia
li perfil si el non vol périr en lor. Totus vester Bartholomeus Tertianus, ad omnia secondum Deum possibilia paratus.
Gesù sia con noi. A tutti i nostri fedeli, amati come fratelli in Gesù Cristo. Il
nostro saluto sia per voi tutti. Amen.
Questo messaggio è per rivolgere un
ammonimento alla vostra comunità, pagando il debito che debbo a voi da parte di Dio, in modo particolare per quel
che riguarda la salvezza dell’anima vostra alla luce della verità che ci è stata
data dall’altissimo; ciascuno di voi si
impegni a mantenere, accrescere e favorire secondo le sue possibilità questa
luce e non abbandoni i buoni principi,
le usanze, le abitudini ricevute dai nostri predecessori... Di fronte al giudizio
di Dio non saremo infatti scusabili, anzi condannati più severamente perché
condanna maggiore sarà data ai più
forti e a coloro che hanno maggior capacità e conoscenza. Perciò vi prego,
per la carità di Dio di non lasciar diminuire ma di accrescere la carità, il timore l’obbedienza che dovere a Dio e
fra di voi e tutte le buone usanze che
avete ricevute ed udite da parte di Dio
e da noi, ma di togliere ed eliminare
d’infra voi tutti i difetti e manchevolezze che turbano la pace, l’amore e la concordia e tutti i motivi che possono sottrarvi la libertà di servire Dio e provvedere alla vostra salvezza... Non tollerate fra voi né accogliete persone di mala
vita o che diano scandalo o cattivo
esempio fra voi; ma la carità e la fedeltà siano a regnare fra voi ed ogni buon
esempio trattandovi l’un l’altro come
ciascuno vorrebbe essere trattato lui...
Se dunque desiderate e sperate ottenere
la vita eterna e buona fama ed in questa vita beni materiali e spirituali, eliminate dalla vostra vita ogni elemento
di disordine in modo che Dio sia sempre con voi, egli che non abbandona coloro che sperano in lui... Pertanto ciascuno consideri con attenzione la sua
via, egli che non abbandona coloro che
sperano in lui... Pertanto ciascuno consideri con attenzione la sua via e fugga
i pericoli se non vuole esserne travolto.
Il vostro Bartolomeo Tertian pronto ad
ogni eventualità secondo la volontà di
Dio.
DURANDO D'OSCA
(segue da pag. 1)
denti in Gesù Cristo, è la chiesa che
non li vuole nella sua comimione.
Il loro discorso non è accettato, il rinnovamento che propongono non viene
recepito perché la chiesa ha altre esigenze, altri programmi, altri progetti.
Vuole un rinnovamento sì ma non quello che essi propongono, vuole una predicazione sì ma non come la attuano
loro, una povertà sì ma non quella che
essi chiedono. La chiesa non ha saputo
o voluto capire che quei credenti erano
credenti autentici, non ha accolto il loro slancio di servizio, non ha saputo
udire nella loro presenza un appello del
Signore.
Questa tragedia non poteva essere
evitata? Non avrebbero potuto i valdesi
essere fedeli al loro programma restando nella chiesa? Ci fu chi lo credette.
Durando d'Osca, uno dei compagni di
Valdo, uno dei più preparati ed istruiti
Noi autentici fedeli della vai Chisone, desideriamo farvi osservare, reverendi e magnifici signori, che non dovete prestare ascolto alle accuse dei nostri nemici né dovete
condannarci prima di aver ascoltato la verità. Siamo suddti obbedienti e leali del re
e veri cristiani. I nostri maestri, insigni per
la santità della loro vita e la loro dottrina,
sono pronti a dimostrare sulla base defi’autorità del Nuovo e defi’Antico Testamento
in un Concilio generale o un sinodo che il
nostro modo di intendere la fede cristiana
è retta e non meritiamo la persecuzione riservata agli eretici, ma al conttario dovremmo essere oggetto di lodi. Non intendiamo
seguire coloro che rinnegano la fede evangelica e si allontanano dalla tradizione apostolica; non intendiamo obbedire alle loro
depravate istituzioni. Prendiamo piacere alla povertà e l’innocenza che furono fonte e
forza della fede ortodossa. Le ricchezze, il
lusso, la sete di dominio a cui aspirano i
nostri persecutori noi per parte nostra le
disprezziamo.
Affermate di avere l’intenzione di distruggere la nostra legge e la nostra setta, badate di non recare offesa a Dio e di non provocare contro di voi la collera sua e, credendo fare il bene, essere colpevoli di un
grave delitto simile a quello commesso da
Paolo un tempo. La nostra speranza è in
Dio, a lui vogliamo piacere più che agli uomini e non temiamo coloro che uccidono il
corpo ma non possono uccidere l’anima. Del
resto se tale fosse la volontà di Dio, i vostri sforzi contro di noi risulterebbero vani.
Manifesto dei valdesi di Mentoulles,
Usseaux e Fenestrelle a La Palu, crociata del Cattaneo primavera 1488.
del gruppo, pensò che si potesse conciliare lo spirito della comunità valdese
con l'obbedienza alla gerarchia e tentò
la sua strada: dopo aver scritto opere
molto belle in difesa della fede cristiana, attaccata dai Catari ed aver difeso
il primo momento della missione valdese chiese ed ottenne da Roma il permesso di organizzare un gruppo suo.
Furono i « Poveri Cattolici », un ordine
religioso, che si consacrava alla predicazione ed alla evangelizzazione del popolo, che pubblicò molte opere di « polemica » in difesa della fede cristiana e
che fu sciolto dopo alcuni decenni da
un concilio a Lione.
Da una parte sta Durando un chierico, un intellettuale, dall’altra Valdo il
mercante laico che ha sentito l’Evangelo; i due rappresentano uniti, lo spirito
della prima comunità lionese, nella loro separazione rappresentano il dramma di quella comunità.
COMMENTO
Della presenza valdese nella vai Pragelato diamo qui due testi significativi. H primo
è un manifesto, un proclama redatto dalle
comunità della valle alla vigilia della crociata del 1488 diretta contro di loro dal Cattaneo, una dignitosa e pacata messa a punto che intende chiarire i due punti su cui
si fonda l’azione repressiva: che i valdesi
siano ribelli aH’autorità e siano miscredenti. Come si sa questo messaggio non ottenne risposta e la valle fu messa a sacco dalle bande dei crociati.
La lettera del barba Tertian è invece un
rarissimo documento di corrispondenza valdese del ’400; il suo tenore è molto preciso,
è una esortazione fraterna alla vita cristiana, alla coerenza, alla disciplina e rispecchia
molto bene il carattere severo, ordinato,
metodico della pietà valdese di quel secolo
essenzialmente preoccupata di vivere una
vita ineccepibile davanti a Dio.
Notiziario
IL MODERATORE IN SUD AMERICA
Il Moderatore della Tavola valdese, pastore Aldo Sbaflì, è partito in data 8 febbraio
per una visita nelle comunità valdesi del
Rio de la Piata. Visiterà dapprima le chiese
dell’Uruguay e parteciperà alla sessione sinodale che avrà luogo a Colonia Vaidense. Egli
recherà in quella sede il saluto della chiesa
valdese in Italia.
HORIZONTS PROTESTANTS
In occasione del centenario la rivista « Horizonts Protestants» di Lione pubblicherà
un articolo consacrato alla nostra storia ed
alla situazione presente delle comunità vaidesi.
7
8 febbraio 1974 — N. 6
CRONACA CELLE VALLÉ
pag. 5
\Aile Vaili oggi ]
Agricoltura
come
cooperativa
Questa pagina si propone di attirare
l’attenzione dei contadini in modo particolare, sulle possibilità dell'agricoltura alle valli, soprattutto nelle zone
meno redditizie e più difficilmente
sfruttabili se non dal punto di vista
dell’allevamento del bestiame e quindi
della produzione di latte. L’esperimento della latteria sociale di Bobbio Pellice ed il tentativo che si sta attuando ad Angrogna possono rappresentare due esempi concreti da valutare
con attenzione da parte di tutti gli
agricoltori delle nostre valli.
, Il lavoro in cooperativa non ha mai
trovato un terreno fertile qui alle valli: e le ragioni sono molte. Non ultimo il fatto che la Coldiretti non ha
mai favorito il sistema cooperativistico ma al contrario ha sempre cercato
di aiutare, spesso con una politica da
clientelismo, le iniziative individuati.
La stessa configurazione geografica
delle valli con le difficoltà di viabilità,
di lavoro, che spesso riduce al minimo
l’impiego di macchine agricole, è sempre stata considerata come un elemento sfavorevole alla cooperativa piuttosto che uno stimolo. Cosi i contadini
hanno difeso con caparbietà, contro il
toro stesso interesse, la loro autonomia ed indipendenza nella gestione del
loro lavoro, spesso con notevole intraprendenza, sempre con enorme dispendio di energie.
La vecchia Scuola di agricoltura sorta a S. Giovanni aveva tentato un rilancio dell’agricoltura alle valli, cercando di offrire ai giovani agricoltori
quelle conoscenze fondamentali per la
conduzione razionale delle loro proprietà, suggerendo nuovi sistemi di
coltivazione, ecc. Anche questo tentativo ha dovuto desistere dopo pochi
anni per la mancanza di prospettive.
In questi ultimi anni si è scoperto
come fosse illusorio considerare il problema dell'agricoltura indipendentemente dal processo di sviluppo industriale. Si è potuto verificare che se
l'agricoltura e in crisi è soprattutto
perché si sano dovuti rispettare i piani di sviluppo industriale, qui nelle nostre vallate come nel resto del paese.
_È quanto si era sottolineato negli incontri concistoriali avuti nelle nostre
comunità un anno e mezzo fa.
Come si presenta oggi la situazione,
^.’abbandono della terra continua. Ed
è si unificativo il fatto che nella zona
Bohhio-Villar, cioè la zona che gravita
attorno alla latteria sociale, la percentuale di abbandono sia la più bassa.
Questa constatazione dovrebbe quindi
far riflettere in vista del futuro, soprattutto in vista del ricambio delle generazioni. Che tutto non abbia fine con
la generazione dei cinquantenni di oggi ma che possa offrire ai giovani delle possibilità di lavoro effettivo nell’agricoltura. E qui il discorso deve
essere condotto nel contesto della Comunità .Montana. Nell’art.. 3 del suo
statuto la Comunità Montana Val Pellice dice chiaramente che, fra i suoi
compiti e le sue funzioni, c’è quello
di « assicurare lo sviluppo economico...
■ della zona, la difesa dell’occupazione e
il miglioramento delle condizioni di
vita delle popolaz.ioni, la tutela e la
valorizzazione del territorio montano...». Soprattutto, in riferimento all’agricoltura, l’art. 4, comma 1 dice che
la Comunità Montana « opera per la
difesa e l’incentivazione dell’agricoltura e delle attività connesse, promuovendo l’elevazione economica dei coltivatori diretti, in particolare favorendo lo sviluppo delle attività cooperativistiche e associazionistiche nei fondamentali settori forestali e della zootecnia ».
Sottolineare l’importanza della Comunità Montana per il futuro sociale
delle nostre valli non significa però
aspettarsi cose grandiose, soprattutto
non aspettare di ricevere ciò che non
si vuol dare: la disponibilità e la collaborazione a livello dei singoli comuni. La partecipazione a livello politico
nella vita del proprio comune è l’elemento basilare perché le programmazioni della Comunità Montana non restino sulla carta, non siano fatte da
altri per noi. Questi prossimi anni saranno un po’ la verifica della disponibilità della popolazione delle valli a
volersi e sapersi amministrare con intelligenza e secondo una programmazione ordinata.
Dalla niaturazione politica locale potrà allora emergere con maggiore concretezza la validità del sistema cooperativistico nell’interesse di tutta ki popolazione. L'esempio della latteria .sociale di Bobbio Pellice, sorto con notevoli difficoltà, esperimento fallito in
Un primo tempo e poi rinato ed ora
funzionante, può essere un esempio
per invogliare alla cooperazione. Anche un ammonimento a non ripetere
gli errori che sono stati commessi. Ma
Questa via che punta sulla cooperativa è probabilmente l’unica possibilità
reale che resta agli agricoltori. A metto che qualcuno proponga una legge
regionale, come in Val d’Aosta, con
uno stipendio mensile ai contadini a
cui sarebbe affidata la difesa dei patrimoni naturali. Temo però che la
^volontà politica a livello regionale per
una simile proposta debba ancora nascere. Ermanno Genre
Cooperativa Latteria Sociaie Aita Vai Peiiice
Fondata nel 1954 iniziò l’attività nel 1956 con l’adesione di 68 soci. Nel 1960 fallì con un deficit di oltre 7
milioni. Riapre i battenti nel 1963 e conta oggi 175 soci che rappresentano l’80 per cento dei produttori
locali. Nel 1973 sono confluiti alla latteria sociale 4.200 quintali di latte per un totale di oltre 43 milioni di lire
Ricorre quest’anno il ventesimo anniversario della società a responsabilità limitata « Cooperativa Latteria Sociale Alta Val Pellice ». con un capitale sociale di cinque milioni.
La cooperativa infatti fu fondata a
Bobbio Pellice nel 1954 ed entrò in
funzione due anni dopo, nel 1956, appena ultimata la costruzione del caseificio costruito in gran parte dai soci
stessi con prestazioni volontarie.
I soci fondatori erano 68, una decina
dei quali residenti nel vicino comune
di Villar Pellice. Purtroppo, dopo soli
quattro anni di attività, la latteria
chiuse i battenti, avendo accumulato
un passivo che superava i sette milioni di lire.
Sembrava ormai che l’esperimento
cooperativistico fosse da abbandonare
definitivamente e che la politica individualistica (ciascimo per i fatti suoi)
fosse l’unica soluzione per il mantenimento dell’economia agricola che an
La ripresa fu difficilissima; non si
trattava evidentemente soltanto di rimettere a nuovo i macchinari del caseificio. Innanzitutto occorreva convincere la popolazione contadina alla
idea della cooperativa. E questo convincimento era tanto più difficile in
quanto aveva alle spalle un tentativo
fallito. Questo fallimento rappresentava qualcosa di molto diverso dal fallimento del piccolo industriale che sa
arrangiarsi per trovare altri finanziamenti e ricominciare da capo. Qui occorreva dimostrare che l’organizzazione cooperativistica rendeva di più che
l’economia individuale dei singoli contadini. La ripresa fu quindi quanto
mai stentata; all’inizio furono pochissimi i soci convinti della cosa. Mancava quella fiducia senza cui è impossibile un lavoro cooperativistico. Poco
per volta, dopo un lungo tirocinio di
persuasione i soci cominciarono ad
affluire numerosi e dopo due anni dal
II caseificio della cooperativa nel giorno dell’inaugurazione.
cora aveva qualche possibilità di sopravvivenza.
Qualcuno però non si era rassegnato e stava pensando ad una ripresa;
prendendo contatti con l’Assessorato
alla Montagna della provincia di Torino, nel 1963 ecco che lo stesso Assessorato stanzia un contributo di tre
milioni e mezzo quale aiuto per la ripresa dell’attività e che viene interamente utilizzato per rimettere in funzione i macchinari del caseificio, ridotti in .condizioni pietose a causa del
lungo periodo di Inattività.
la riapertura si sfiorarono i due mila
quintali annui di latte convogliato alla
latteria sociale.
Il nuovo Consiglio di Amministrazione decise di accantonare ogni anno
una parte degli utili per il saldo del
passivo accumulato nei primi anni di
attività e già nel 1968 si riuscì, a saldare interamente il passivo. Ormai la
crisi era superata e le prospettive erano rassicuranti si da permettere che
altri soci della valle si aggiungessero
al numero.
La situazione odierna
Attualmente i soci sono 175, e tranne una decina di Torre Pellice, tutti
dei Comuni di Bobbio e Villar Pellice
e rappresentano circa l’80% dei produttori loqali. Nel corso del 1972 i soci hanno conferito 4.000 quintali di
latte che è stato pagato L. 95 il Kg.
per un totale di 38 milioni di lire. Nel
1973 si sono avuti 4.200 quintali pagati L. 103 al Kg. per un totale di oltre
43 milioni di lire.
I soci conferitori sono stati 111 nel
1972-73. Fra questi una sessantina sono
tali soltanto sulla carta (o perché deceduti, o perché hanno cambiato attività, oppure ritengono più conveniente lavorare in proprio il latte; questi
ultimi però non sono che quattro o
cinque).
II caseificio ha una capacità lavorativa di circa 18/20 quintali di latte
giornalieri; il «pieno» viene però raggiunto soltanto nei mesi invernali. Infatti durante l’estate buona parte del
bestiame si trasferisce agli alpeggi e,
a causa della notevole distanza dal caseificio, non è possibile poter convogliare il latte (mancano le strade accessorie agli alpeggi).
I prodotti
Il caseificio sociale produce soprattutto la ben nota « toma locale », che
rappresenta il 70% della produzione
complessiva; quindi formaggio tipo
fontina, pari al 10% e formaggio tipo
bel paese, il 20%, oltre ad una piccola
quantità di « tomini », burro e latte
alimentare.
La vendita dei prodotti viene effettuata sia al minuto presso il caseificio e che copre circa l’80% della produzione complessiva, sia all’ingrosso,
per il rimanente 20%. Il prezzo medio
della toma è di L. 1.200 il Kg., mentre
del burro 1.400 (vendita al minuto).
Il prezzo del latte ha naturalmente
subito degli aumenti: nel 1964 veniva
pagato ai soci L. 50, nel 1972 è salito
a 95 lire, conseguenza del notevole aumento della vendita al minuto (i numerosi turisti estivi), con la conseguente diminuzione della vendita all’ingrosso.
Il pagamento del latte ai soci della
cooperativa viene effettuato tramite la
Banca ed i soci ricevono mensilmente
un accredito sul proprio conto, pari a
L. 70 per ogni Kg. di latte. Alla fine
dell’esercizio ogni socio riceve, a saldo, un conguaglio proporzionato agli
utili conseguiti. Nel 1971 = L. 62-tl8
(80 lire); nel 1972 = -L. 70-f-25 (95 lire); nel 1973 = 70-f33 (103 lire).
La raccolta del latte
Abbiamo già accennato alla difficoltà che la cooperativa deve affrontare
durante il periodo estivo quando il
bestiame sale agli alpeggi; la mancanza di strade transitabili (purtroppo
quella fatta costruire da Calieri al
Ad Angrogna il futuro dell’agricoltura
è la cooperativa di raccolta del latte
La Comunità Montana della Val Pellice e il Sindaco di Angrogna hanno
promosso una pubblica riunione per
tutti gli agricoltori della valle allo scopo di esaminare la situazione attuale
deH’agricoltura ed in particolare della
produzione e destinazione del latte.
La riunione ha avuto luogo sabato 26
gennaio 1974 presso la trattoria Berlin
del Serre: erano presenti, tra agricoltori e non, una cinquantina di persone, rappresentanti quasi tutti i numerosi quartieri della valle.
Il Sindaco di Angrogna, Silvio Bertin, ha presentato gli oratori intervenuti: il dottor Alberto Baridon, perito
forestale; il geometra Zerpelloni, del!’Ufficio della Montagna della Provincia di Torino; il maestro Giovanni Baridon, Sindaco di Bobbio Pellice; il
geometra Charbonnier, dell’Ufficio Tecnico della Comunità Montana della
Val Pellice.
Tutti i loro interventi sono stati
estremamente chiari e rivolti ad un
unico scopo: sviluppare maggiormente l’agricoltura puntando sulla produzione del latte e sulla creazione di
una cooperativa di raccolta ad Angrogna per convogliarlo verso una latteria già esistente e disposta ad assorbirlo, come quella di Bobbio o Pinerolo.
Questa sembra l’unica soluzione possibile ad Angrogna (come ha detto il
dottor Baridon, illustrando la situazione agricola montana), dove i bovini
sono ormai pochi, essendo diminuiti
del 40 per cento negli ultimi anni,
mentre nello stesso periodo sono diminuiti soltanto del 20 per cento a
Bobbio e Villar Pellice. È quindi impensabile la creazione di una latteria
in loco. Allo stato attuale delle cose,
l’unico guadagno degli agricoltori di
Angrogna è basato sull allevamento dei
vitella che vengono ingrassati e poi
venduti a prezzi irrisori. In questo modo il latte consumate dal vitello rende
soltanto 40-50 lire al litro, al massimo,
senza contare il lavoro, le spese e i
rischi che comporta l’ingrassare un
vitello.
Il maestro Giovanni Baridon, Presidente della latteria sociale di Bobbio
Pellice, ha illustrato il funzionamento
di una cooperativa del latte ed ha incoraggiato gli Angrognini ad attuare
quest’iniziativa che può elevare il guadagno sul litro di latte fino alle 95 lire,
contro le 40-50 del latte dato al vitello.
Dati alla mano, il maestro Baridon ha
dimostrato che la coperativa può dare
delle possibilità di guadagno che permettano al giovane una scelta del suo
avvenire o nel settore dell’agricoltura
o in quello dell’industria, mentre ora
per guadagnare qualcosa deve per forza scegliere il secondo.
Anche il geometra Zerpelloni ha appoggiato la proposta, promettendo il
suo interessamento per l’attrezzatura
necessaria alla raccolta del latte ed
affermando che la via della cooperativa è l’unica possibile per salvare l'agricoltura montana e permettere un guadagno a chi rimane in montagna.
Pramollo
Martedì 22 gennaio si è svolto a San
Germano Chisone il funerale della sorella Marta Maddalena Boudrandi, originaria di Pomeano, deceduta all’età
di 78 anni. Ai familiari in lutto esprimiamo la nostra fraterna simpatia.
Martedì 29 gennaio u. s. s’ò svolto il
funerale del fratello Oreste Soulier
(Case Nuove Pellenchi), deceduto improvvisamente all’età di 50 anni. Rinnoviamo alla madre anziana, alle figlie
ed a tutti i familiari colpiti da questo
lutto la nostra fraterna .solidarietà nel
dolore della separazione ma anche nella speranza in Gesù Cristo, vita e risurrezione per chiunque crede.
L’inizio di febbraio ci ha portato una
bella nevicata, che ha pregiudicato il
culto di domenica 3 c. m., il quale ha
avuto infatti pochi partecipanti
T. P.
Barbara non serve a nessuno) con automezzi, impedisce la raccolta del latte e quindi spezza il ritmo del caseificio. D’altra parte costringe i contadini a lavorare il latte per conto proprio
oppure ad ingrassare i vitelli col latte
stesso (il che è meno redditizio).
Per ovviare all’altra difficoltà, cioè
la raccolta del latte degli agricoltori
abitanti lontano dal caseificio, la cooperativa ha organizzato un servizio di
raccolta a mezzo camion sulla direttrice Malpertus-Pian dei Boula (Torre Pellice). I soci che invece risiedono nell’indlritto di Villar e nella zona
del Podio (Bobbio), convogliano il latte a valle per mezzo di teleferiche a
motore.
Questa situazione rappresenta un altro alemento da aggiungersi alla necessità di avere una strada decente fra
Bobbio e Villanova, piuttosto che insistere a voler sistemare la strada oltre il Pra^ che, per ora, non serve a
nessuno e tanto meno agli agricoltori
della zona.
L’organizzazione amministrativa
Il Consiglio di Amministrazione è
composto di 9 membri (attualmente 7
di Bobbio e 2 di Villar); il presidente è il Sig. Aldo Pontet di Bobbio, il
vicepresidente il Sig. Ernesto Albarea
di Villar.
Il Collegio Sindacale è invece formato da 3 membri effettivi più 2 supplenti; ne è attualmente presidente il
geometra Dante Geymonat, segretarioamministratore il Sig. Giovanni Baridon (sindaco di Bobbio).
La Direzione si riunisce in seduta
ordinaria il 2° giovedì di ogni mese,
mentre l’assemblea ordinaria dei soci
ha luogo entro febbraio per l’approvazione del Bilancio relativo all’esercizio precedente (1° novembre - 31 ottobre).
Il casaro del caseificio è il Sig. Giuseppe Geymonat di Bobbio.
7 dati statistici sono stati forniti dal
sindaco di Bobbio Sig. Giovanni Baridon che ringrazio per la gentile collaborazione. E. G.
Dal canto suo il geometra Charbonnier ha assicurato l’appoggio della Comunità Montana ed ha incoraggiato
gli agricoltori ad approfittare di questa occasione che si presenta vantaggiosa e non rischiosa, dato che soltanto il trasporto del latte rimarrebbe a
loro carico, mentre la latteria assicura un guadagno pari alle 95 lire al
litro.
Gli agricoltori sono apparsi favorevoli alla iniziativa, anche se pochi hanno parlato. Il più grosso ostacolo alla
realizzazione dell’iniziativa è quello
dovuto alla estensione del territorio
di Angrogna e alla dispersione delle
sue borgate.
Per avere un quadro completo della
situazione è risultato necessario fare
una specie di censimento delle capacità di produzione del latte nelle varie
zone della valle ed a tale scopo sono
stati nominati dei rappresentanti incaricati di promuovere delle riunioni
locali; essi sono Emilio Buffa per la
zona di Pradeltorho; Ales.sandro Odin
per la zona del Serre; Silvio Bertin
per la zona di Prassuit-Verné; Alberto
Bertalot per la zona dei Jourdan. Con
queste riunioni si dovrebbe sapere
quanti sono gli allevatori favorevoli all’iniziativa, quanti litri di latte ci sarebbero da raccogliere e quanti dovrebbero essere i punti di raccolta.
Così una successiva riunione plenaria
dovrebbe già gettare le basi per l’attuazione della cooperativa e la realizzazione della raccolta non dovrebbe
tardare molto.
Questa di sabato sera si può definire una riunione della speranza: speranza che qualcosa si muova ad Angrogna. Si sente sempre parlare di Angrogna in termini di invecchiamento,
(di spopolamento, di abbandono della
campagna o, nella migliore delle ipotesi, di luogo storico da visitare; sarà
giunto il momento di parlare finalmente di un suo avvenire? È la speranza di chi è rimasto.
Franca Coïsson
Scuola
“gratuita”
Siamo a metà anno scolastico. Eppure non si sa ancora che fine ha fatto
il progetto di legge regionale per il
finanziamento dei libri di testo per i
ragazzi delle scuole medie dell’obbligo.
Come si ricorderà la legge, approvata
dal Consiglio Regionale, era stata cassata dal Governo nazionale perché contraria « agli interessi generali della nazione ». Da varie parti si era poi appresa la notizia ufficiosa che la legge
sarebbe stata riproposta, ma a tutt’oggi le famiglie aspettano ancora di sapere se il rimborso verrà ed in che misura. La situazione è quindi peggiore
di quella degli anni scorsi, poiché sono
venuti a mancare anche i buoni-libro
di diecimila lire che venivano solitamente assegnati agli alunni bisognasi
(e, pare, rimborsati con enorme ritardo
ai librai).
E dire che per aumentare di cinquanta lire il prezzo della pasta su tutto il
territorio nazionale il Governo è stato
così veloce: in sei mesi, blocco dei prezzi, sblocco, aumento, tutto è avvenuto
con estrema semplicità burocratica,
senza intralci, senza pratiche giacenti
nei cassetti, senza laboriosi studi tecnici. Qvviamente l’aumento della pasta
non va « contro gli interessi della nazione ».
Le previsioni per la scuola non sono
rosee. Sembra che si possa prevedere
per il prossimo futuro o anche come
sanatoria per quest’anno, una maggiore dotazione agli enti assistenziali esistenti (Patronati Scolastici in primo
luogo), che allargheranno i loro « regali » e « aiuti » ai « bisognosi », perché
non si debba mai accettare il principio
secondo cui esistono dei diritti dei cittadini, tra cui la gratuità della scuola,
a cui non si può provvedere con aiuti,
trattando gli aiutati da bisognosi, cioè
da cittadini di dignità inferiore. E così
sarà finché agli italiani continuera a
piacere il sistema delle clientele,
C. Tron
Ospedale di Pomaretto
Con riferimento a quanto pubblicato dalla « Gazzetta del popolo » del
5-2-’74, la CIOV precisa ebe le difficoltà intercorse nel pagamento degli stipendi del mese di gennaio, oggi pagati, sono unicamente da ascriversi a una
sospensione del controllo delle sue deliberazioni da parte del Co.Re.Co. (Comitato Regionale di Controllo ). Comunque la CIOV si è da tempo e con
ogni mezzo adoperata presso il Comitato stesso per il superamento di tali
difficoltà, la cui risoluzione sembra imminente.
LA CIOV
AVVISI ECONOMICI
PER SANREMO cercasi custodi pensioiiati
casa con giardino. Rivolgersi Canale - Val
Salice. 101 - 10131 Torino.
8
pag. 6
I NOSTRI GIORNI
N. 6 — 8 lebbraio 1974
VITA ITALIANA a cura di Emilio Nitti |
TEMPO DI CRISI
Stiamo ben attenti a quel che succede
I BINARI DELLA STORIA
Grande eco ha avuto la notizia che
nel corso dell’indagine intorno al gruppo neofascista di Padova « la rosa dei
venti » sono stati incriminati alami
ufficiali dell’esercito. Più grave ancora
è parsa la notizia di strane riunioni di
ufficiali superiori in servizio e in congedo e di un insolito stato di allarme
ordinato nelle caserme di Roma.
C’è chi ha parlato subito di preparazione di un golpe e, anche se il Ministro
dell’Interno ha smentito 1’esistenza di
reali pericoli per l’ordine pubblico, molti giornali, anche moderati, si sono dimostrati preoccupati del rischio che le
Forze Armate possano essere coinvolte
in piani eversivi. È chiaro che il rischio
è tanto più reale in quanto quello delle FF.AA. è uno dei settori della società italiana in cui quasi per nulla ha influito il cambiamento dei principi fondamentali dello Stato con ih varo della
Costituzione Repubblicana. Le nostre
FF.AA. attendono ancora im adeguamento ai principi di democrazia e libertà, affermati dalla Costituzione per
tutti i settori della vita pubblica e quindi non può sorprendere, anche se può
dispiacere, che in esse trovino la possibilità di affermarsi individui autoritari,
antidemocratici o addirittura nostalgici di « glorie » passate, quando l’Italia
poteva vantare 8 milioni di baionette e
gli italiani sapevano « credere, obbedire, combattere ».
Ma, pur riaffermando la necessità di
una riforma in senso democratico delle
nostre FF.AA. e il diritto di tutti i cittadini all’obbiezione di coscienza, ci
sembrerebbe ingiusto e pericoloso accusare le nostre FF.AA. di fascismo. È
doveroso viceversa isolare i responsabili di eventuali abusi e iniziative eversive e richiedere il loro allontanamento
dalle cariche che ricoprono. Comunque
i colpi di stato, anche se partoriti da
qualche mente stravolta, non avrebbero alcuna possibilità di riuscita se non
si inserissero in una situazione politica
ed economica favorevole. Per questo,
piuttosto che sforzarci di far luce su
quel troppo buio sabato sera nelle caserme romane, e piuttosto che far congetture, che potrebbero risultare gratuite, intorno ad un golpe che non c’è
mai stato, ci sembra più interessante
considerare se il quadro generale italiano è tale da incoraggiare tentativi di
tal genere e indicare quali elementi invece possono impedirli.
Qualcuno potrà osservare che quello
del golpe è un chiodo fìsso del nostro
gruppo, e che ne parliamo troppo spesso... ma come non ammettere che proprio in questo periodo il Paese è esposto al pericolo di un colpo di stato?
Il fatto nuovo di quest’anno è lo
scontro che si prepara sul tema del divorzio e che avrà il suo culmine nella
campagna di propaganda precedente il
referendum. 11 clima politico tende a
scaldarsi sempre più ed il costituirsi
di un blocco clerico-fascista può aprire
grosse falle nella vita democratica italiana, sia che esso risulti vincente, sia
che risulti perdente nella consultazione
popolare. D’altra parte l’aumento dei
costi dei generi alimentari con tutte le
speculazioni che gravano su di essi ed
in generale la crisi economica e dell’occupazione che colpisce il paese ha pericolosi riflessi psicologici nelle masse
meno politicizzate. La sfiducia nel Governo si ripercuote spesso sullo Stato
in generale e sulle stesse istituzioni democratiche. Il peggioramento della situazione generale economica più che
rafforzare la fiducia in un diverso modello di sviluppo tende piuttosto a dare
spazio a critiche generiche, irrazionali
e qualunquistiche. Il « tanto peggio
tanto meglio » non giova al popolo perché gli preclude la speranza di un miglioramento sociale, né giova alla democrazia perché anzi la scredita come
una astrazione di cui non vi è un reale
bisogno. In questa situazione trovano
spazio le provocazioni fasciste che si so^
no fatte più insistenti in questi giorni
con bombe e attentati, come a Milano
o sul treno Milano-Bari, con manifestazioni teppistiche sconfinanti in tentativi
di guerriglia urbana, come a Napoli al
nordsudestovest
■ Negli USA si sono svolte in molte città
manifestazioni di protesta in occasione
del primo anniversario della sentenza della
Corte suprema sulla « legittimità constituzionale » dell'aborto.
■ Disordini, gravi in alcuni casi, si sono registrati in varie località boliviane in seguito alla decisione del governo di La Paz di
più che raddoppiare i prezzi di alcuni prodotti alimentari di prima necessità.
■ Secondo fondi diplomatiche portoghesi
nella notte fra il 6 e il 7 gennaio forze
del FRELIMO, Fronte di liberazione del Mozambico, hanno attaccato il villaggio di Nahcamho, dove hanno ucciso diciassette persone, fra cui donne e bambini.
■ Al termine di una visita a Kampala, il
ministro Andreotti ha firmato un accordo di cooperazione tecnica e culturale fra l'Italia e rUganda.
B Una commissione paritetica ha adottato,
.a Parigi, un programma di cooperazione
aeronautica franco-sovietica, con ogni probabilità anche militare.
termine del comizio-adunata del MSIDN, CISNAL, Fronte della Gioventù, in
cui l’on. Roberti ha lanciato... « la sfida
dei lavoratori al carovita »! Sfida ben
più esplicita alle istituzioni avevano
lanciato gli stessi individui alcuni giorni prima quando, dopocché gli autoferrotramvieri erano stati coinvolti in una
serie esasperante di scioperi indetti
dalla Cisnal, squadre di giovani neofascisti hanno malmenato gli autisti, fracassato e incendiato gli autobus in via
Foria e alla salita Santa Teresa in due
distinti episodi. A Napoli la popolazione ha capito l’inganno e la provocazione non è riuscita e Napoli non è diventata una seconda Reggio Calabria. Ma
il problema resta aperto per tutto il
Paese; su quali elementi si può contare
per tentare di risolverlo?
Un primo elemento di sicurezza democratica è l’accresciuto livello di coscienza politica di una gran partè della
popolazione, grazie al lavoro svolto dai
sindacati e dai partiti storici della classe operaia, che vede oggi aggregarsi attorno ai suoi programmi ceti intellettuali e medi. Ma è chiaro che il pericolo
di provocazioni eversive sarà eliminato
solo nella misura in cui si darà una risposta concreta e positiva alle giuste
richieste delle masse popolari riguardo
ai problemi del carovita, dell’occupazione, dell’efficienza dei servizi sociali
(case, scuole, ospedali, trasporti ecc.).
Ed è bene dire a questo proposito che
i sindacati dei lavoratori devono perseguire un costante impegno di lotta
per la realizzazione di questi obbiettivi, avvalendosi di tattiche equilibrate
e non velleitarie, senza però neppure
smobilitare la loro pressione nei confronti delle controparti, a causa di condizionamenti politici. Altrimenti anche
in questo campo si lascia spazio a forze estranee al movimento operaio per
manovre provocatorie, come insegna
losciopero degli autoferrotramvieri di
Napoli.
In sostanza la miglior difesa della democrazia la possono garantire le forze
stesse dei lavoratori che con le loro
lotte, non più solamente rivendicative,
tendono alla trasformazione delle istituzioni per un sempre più efficace adeguamento di esse alle aspirazioni morali e civili della nostra società.
La segnalazione, fatta sul n. 4 de « La
Luce » del 25 gennaio, dell’articolo di
Agursky pubblicato su « L’Espresso »,
non era evidentemente diretta contro
quella « minoranza » che in occidente
concepisce la « socializzazione » in termini di « autogestione » e di « partecipazione », che giustamente Roberto
Peyrot nel suo articolo su « La Luce »
del 1“ febbraio distingue dalla « nazionalizzazione ».
Non ci sembra da un lato che l’articolo di Agursky sia storicamente errato se riferito aH’economia di capitalismo di Stato dell’Est europeo. Basti
pensare ai prudenti tentativi di Liebermah e di altri economisti sovietici, all’epoca del disgelo e della destalinizzazione, di ridare alle aziende sovietiche,
pur sempre concepite nel rigido quadro ideologico della proprietà collettiva dei mezzi di produzione, una autonoma responsabilità di gestione svincolata dalla dittatura burocratica del
Gosplan, rivelatasi improduttiva ed
inefficiente economicamente, tentativi
che furono subito contrastati e repressi dalla nuova amministrazione brezneviana sotto la spinta del risorgente
neostalinismo; e alla fallita riforma
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
La siccità
ha raggiunto il Kenya
La siccità che ha colpito da molti mesi tutta la fascia tropicale nordafricana è che dal
Sahel raggiungeva l’Etiopia settentrionale, ha
ora toccato anche le regioni nord-orientali del
Kenya, dove non piove da oltre tre mesi : raccolti distrutti, centinaia di capi di bestiame
morti, zone completamente abbandonate dagli
abitanti. Le riserve d’acqua nelle grandi città
sono quasi esaurite; a Nairobi i cinquecentomila abitanti sono stati avvertiti di non sprecare acqua per innaffiare giardini, lavare auto
e persino « lavarsi troppo spesso », pena una
forte multa.
In questa stagione il fenomeno della siccità è normale, ma ha assunto quest’anno gravità drammatica (i serbatoi che forniseono
d’acqua la capitale e che in generale hanno
un livello di quindici metri, sono scesi a un
metro e mezzo) e le piogge sono ancora lontane : questa stagione, infatti, nell’est africano
non comincia mai prima della fine di marzo.
A differenza di quanto è avvenuto in Etiopia, il governo, tramite l’ente statale per il
commercio delle carni, acquista tutto il bestiame nelle zone colpite dalla siccità, per
macellarlo e destinarlo all’esportazione e .al
consumo interno, evitando sprechi e speculazioni.
economica di Ota Sik ispirata dagli
stessi principi in Cecoslovacchia,
schiacciati come ben si sa sotto i cingoli dei carri armati sovietici.
I disastrosi risultati economici del
centralismo di Stato sono stati ampiamente analizzati e documentati da
Lieberman e dai suoi collaboratori in
diversi scritti apparsi anche in occidente. I risultati « sociali » di questo sistema sono stati così evidenziati da
Andrej Amalrik nel suo ormai celebre
volumetto Sopravviverà VUnione Sovietica al 1984? (Edizioni Coinés, Roma,
1970), che gli è costato una condanna
a diversi anni di lager siberiano;
« Siccome nel nostro paese lavoriamo tutti per lo Stato, abbiamo tutti la
mentalità del funzionario ». Ma « com’è
noto, in qualsiasi paese la categoria
meno incline ai mutamenti ed in genere a qualsiasi attività indipendente
è quella dei funzionari di Stato. La
cosa è naturale; qualsiasi funzionario
considera sé stesso troppo insignificante dinnanzi all’apparato del potere del
quale è un ingranaggio infimo, per poter esigere da lui un cambiamento
qualunque. D’altra parte gli hanno tolto ogni responsabilità sociale; egli esegue solo ordini proprio perché in questo consiste il suo lavoro. Quando è al
suo posto è un automa, fuori dal lavoro è passivo. La psicologia del funzionario è perciò molto comoda sia per
il potere che per l’impiegato stesso ».
E il potere è oggi gestito nell’Unione
sovietica —■ dice il Samidzat — da una
ristretta .« nuova classe » che rappresenta solo il 6% della popolazione e
che si identifica quasi interamente con
il partito unico.
Ma neppure ci sembra che il giudizio
di Agursky sia del tutto errato se riferito ad altri casi. In particolare il caso
del Cile, richiamato incidentalmente
nell’articolo e su cui Roberto Peyrot
appunta il grosso delle sue critiche,
non è riconducibile soltanto al problema delle miniere di rame, la cui nazionalizzazione, già effettuata al 51% dal
democristiano Frei anteriormente ad
Allende, fu da questo completata al
100% nel luglio 1971.
Le nazionalizzazioni di Allende non
riguardano soltano le miniere di rame,
le banche e le telecomunicazioni, in
gran parte controllate da società americane, bensì complessivamente 250 imprese rappresentanti il 90% del potenziale industriale del Cile, e, in poco
meno di otto mesi, 2,2 milioni di ettari
di terra, su cui i contadini si trovarono
ad essere ancora « braccianti di Stato »
anziché di privati, mentre 3,5 milioni
di ettari di terra erano stati anterior
SACRILEGO !
Ecco l’accusa
che la stampa sovietica lancia ad
Alexander Solgenizin, autore dello
« Arcipelago del
Gulag » (v. questo settimanale, n. 4 del
25.1.’74)l E opportuno ritornare sul tema.
« La violenta controversia che si sta
sviluppando a proposito di questo libro (leggiamo su "Le Monde” del 1«
febbraio ’74), controversia che sarebbe
bene che fosse mantenuta sui piani
letterario e storico, e non su quello politico, verte in particolare sulle pagine
in cui lo scrittore parla dell’“armata di
Vlassov". Si tratta d’un’“armata di liberazione russa” costituita dai tedeschi, cioè dai nazisti, per combattere
il bolscevismo, mediante dei volontari
scelti fra i prigionieri di guerra sovietici. I nazisti posero quei prigionieri
sotto il comando d’un generale russo,
il Vlassov, anche lui prigioniero di
guerra.
A più riprese si legge sulla stamva
sovietica che Solgenizin approva Vlassov e i suoi partigiani, i quali peraltro
furono traditori della patria. Ma di
che si tratta, in realtà? Fra coloro che
prendono parte alla polemica, accusatori o difensori dello scrittore sovietico, ben pochi son quelli che possono
aver letto l'“Arcipelago del Gulag" ».
Ma ecco apparire (loc. cit.) un ampio estratto ^ in cui l’autore parla appunto dell’armata di Wlassoy. Non
elogia quegli uomini, ma esprime per
loro profonda pietà. Soprattutto li considera vittime dell’abominevole condotta di Stalin, l’infame tiranno. E
quanto di paradossale affiora nelle valutazioni di Solgenizin, si spiega (e, a
nostro parere, anche si giustifica pienamente) coll’immenso disprezzo che
l’autore prova appunto per il tiranno.
«Certo, voleva dire tradire la patria!
Certo, v’era Zi una perfidia crudele e.d
egoista: ma dalla parte di Stalin. Tradire, non è necessariamente la stessa
cosa che “vendersi”. Può esistere un
tradimento peggiore, in un comandante supremo, dell'inettitudine e della
trascuratezza nella preparazione della
guerra, dello smarrimento e della codardia al principio della guerra stessa,
del sacrificio assurdo di molte armate
e corpi d'armata, allo scopo di salvare
la propria uniforme di maresciallo? ».
Del resto vai la pena di leggere anche il giudizio, in proposito, di Roy
Medvediev, lo storico sovietico che pur
dissente, in talune valutazioni, dallo
Echi della settimana
a cura di Tullio Vioia
^ Si tratta d’un’anticipazione ottenuta per
cortese concessione della casa editrice « Le
Seuil », che sta curando la traduzione francese,
autorizzata ed integrale.
stesso Solgenizin (v. questo settimanale, n. 49 del 14.12.’73).
« L’atteggiamento di Stalin nei riguardi dei prigionieri di guerra, è uno degli
aspetti più sinistri della sua politica.
Durante i due primi anni di guerra,
almeno due milioni, forse addirittura
tre milioni di soldati sovietici furono
presi prigionieri. Molti si arresero perché non poterono fare diversamente:
erano accerchiati, senza armi, senza
nutrimento, feriti. E la responsabilità
della situazione catastrofica di molte
grandi unità dell'esercito rosso, era in
gran parte proprio di Stalin.
È possibile che Stalin si sia reso
conto della propria responsabilità (almeno incoscientemente) e ciò può spiegare il suo atteggiamento spietato verso i prigionieri di guerra. Stalin rifiutò di firmare la convenzione dell’Aia:
perciò i prigionieri sovietici che raggiunsero V'armata di liberazione russa” del generale Vlassov, lo fecero al
solo scopo di tentare di sfuggire alla
fame, e nella speranza di trovare una
occasione d’attraversare le linee e di
ricongiungersi all’esercito sovietico e
ai partigiani ». (Dal libro « Le Stalinisme », ed. Seuil 1972, pp. 517-518.
Brano riportato su « Le Monde » loc.
cit.).
Solgenizin dunque, secondo la stampa sovietica, è reo di lesa patria. Ma
c’è dell’altro; egli ha osato persino
criticare (dal punto di vista morale,
s’intende) Lenin, il padre della patria!
« Egli dimostra che il creatore dello
Stato aveva gettato egli stesso le basi
del sistema repressivo, aveva attribuito alla polizia una potenza funesta. È
così che, alla fine del 1917, Lenin ordinava, per “fondare un ordine rivoluzionario”, di “reprimere in modo implacabile i tentativi anarchici degli
ubriachi, dei vagabandi, dei controrivoluzionari e di altre persone”. Alcune
settimane più tardi (7 o 10 gennaio
1918), Lenin si proponeva come obiettivo di “ripulire la terra russa d'ogni
sorta d’insetti nocivi”.
Solgenizin compila allora un elenco
di quegli insetti che furono polverizz.ati durante quella prima fase: proprietari terrieri, proprietari d’immobili,
cooperatori, professori di liceo, servitori dei culti religiosi, militanti del pacifismo. (...)
Per lo spazio di quattro anni, soprattutto, non vi fu alcun codice penale. La sola coscienza rivoluzionaria,
sempre infallibile, doveva guidare coloro che avevano il compito di risolvere
il problema: “chi dobbiamo arrestare?
che cosa dobbiamo fare degli arresta
mente espropriati in sei anni da Frei
per essere direttamente assegnati ai
contadini
Questi pochi dati non possono certo
esaurire il complesso problema socioeconomico del Cile fino ad Allende, né
giustificare la guerra economica esterna ed interna che gli è stata fatta (ma
che se fosse stato un politico e non un
dottrinario avrebbe pur dovuto prevedere e che da sole non spiegano il suo
fallimento), né tanto meno giustificare
la bestiale repressione e la assoluta incompetenza politica ed economica degli attuali « gorilla »; questi dati intendono solo indicare che ancora una volta il socialismo è stato inteso in termini di « nazionalizzazione » e che, per di
più, indipendentemente da una valutazione di merito, il massimalismo, sia
pure questa volta ammantato di pluralismo democratico, non è la via migliore per un reale ed efficace rinnovamento della società. Perfino il PCI
ha dovuto riconoscere che con il 36%
dei suffragi, sia pure salito al 43% nel
1973, non si può in così breve tempo
rivoluzionare un’economia senza provocare grossi scompensi e — in questo
caso — una spaventosa tragedia. I binari della Storia sono molti e non si
possono ridurre a un semplice « doppio binario ».
G. P.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiii
ti?” (...) Nei riguardi dei suoi antichi
collaboratori, gli avvocati, Lenin nutriva uno speciale
rancore (v. Adam Ulan, Les bolcheviks,
editrice Fayard, Parigi 1974). Solgenizin dimostra che il
fondatore del bolscevismo disprezzava il concetto d’tina giustizia uguale
per tutti.
Si può ritenere che Lenin avrebbe
fattò della violenza rivoluzionaria un
uso molto più moderato del suo successore. Ma i seguaci del terrore hanno potuto trovare nei suoi appunti,
scritti, per così dire, come per effetto
d’un colpo apoplettico, la giustificazione delle loro azioni. Comunque sia,
Solgenizin distrugge l’idea d’una legalità socialista inaugurata da Lenin.
Dimostrando che le radici della politica di repressione si trovano alle origini del regime, egli ha commesso un
sacrilegio che i capi del Cremlino non
gli perdoneranno ». (Da un articolo di
Bernard Feron su « Le Monde » del
18.1.1974).
Sacrilegio di lesa patria, sacrilegio
di leso padre della patria. Sarebbe ora
di spazzar via, tanto dall’Oriente quanto dall’Occidente, questi ed altri «sacrilegi », finirla cioè con dei concetti
che sono i bubboni, i sintomi degenerativi delle più varie idolatrie. Ma
quando, quando e come ciò sarà possibile?
Questa non è certo un’epoca storica
di rispetto delle idee degli altri!
QUANDO LA SATIRA
DIVIENE « RESISTENZA PASSIVA »
« Né la barbara repressione della
Giunta (il governo tirannico che comandò in Grecia dal 21.4.’67 al 25.11
1973, né la continua e ben organizzata
guerra psicologica, riuscì a reprimere
il morale del popolo. Era così comica
la Giunta che, malgrado la drammaticità della situazione, il popolo si divertiva alle sue spalle componendo barzellette e inventando satire. La ridicolizzazione dei colonnelli da parte del
popolo raggiunse dimensioni tali che
viene lecito interpretarla come la prima forma di opposizione alla dittatura. Credo che quella ridicoliz.zaz.ione
possa essere definita anche “resistenza
passiva” e certo si può affermare che
essa raggiunse le proporzioni di una
manifestazione di massa. Promettendo
che il popolo non si sarebbe piegato
alla tirannide, essa costituiva un incoraggiamento e una spinta per coloro
che avevano deciso di rovesciare la
Giunta con una resistenza attiva ».
(Da un articolo di Alessandro Panagulis su «L’Astrolabio» del 30.11.’73,
n. 11. Abbiamo riportato già ampi estratti di tale articolo nei due nn. precedenti di questo settimanale, alle date 25.1 e 1.2.’74).
Borghesi r
P
(segue da pag. 1 )
(e la definizione includeva una squalifica).
Il nostro gruppo redazionale avverte
questo limite e questo condizionamento: ci rendiamo conto da un lato che
il nostro linguaggio è spesso un ostacolo per molti, e dall’altro che i grandi problemi così come quelli quotidiani del mondo contadino e di quello operaio sono da noi toccati troppo saltuariamente, e alla lontana;
lo stesso però può dirsi, purtroppo, dei
problemi umani molteplici che si pongono ai tecnici, ai cosidetti professionisti, ai “quadri” direttivi di ogni genere. Numerosi e vastissimi campi dell’esperienza e della responsabilità umana esulano dal nostro lavoro e dalle nostre competenze, e quando ci accostiamo a qualcuno di essi, molti avvertono
quel che di volenterosamente dilettantesco c’è nel nostro operare. Cerchiamo semplicemente di offrire un modesto materiale d’informazione e di riflessione, un luogo di confronto della cui
esiguità abbiamo coscienza.
G. Girardet dà però un contenuto più
chiaramente politico alla nostra condizione borghese: il giornale che pubblichiamo « esprime la borghesia » nel
senso che sostiene, in un modo o nell’altro, l’ottica e le posizioni (anche di
potere) della classe borghese; nòn ha
fatto, insomma, quella "scelta di classe” che riscatta altri sociologicamente
altrettanto borghesi quanto noi. In effetti, coscientemente, questa “scelta di
classe” il nostro gruppo redazionale
non l’ha fatta: l’uno o l’altro è forse
orientato in quel senso, ma la scelta
del nostro gruppo, finora convalidata
di fatto dal Sinodo e dalla Tavola Valdese, è quella del pluralismo. Chi ci
legge con animo libero deve dare atto
che si esprimono sulle nostre colonne,
da parte di redattori e collaboratori
regolari o occasionali, opinioni e posizioni molto diversificate, talvolta nettamente contrastanti. È un limite, certo, ma anche una ricchezza e un segno
di salute: è questa comunque la nostra
scelta, talvolta difficile e sofferta. E
mi pare una falsa testimonianza, tanto
più da parte di chi si è votato alla controinformazione (cioè all’informazione
più veritiera), affermare che in tal modo siamo « l’espressione della borghesia valdese ». Se questo pluralismo,
questo sforzo — quanto limitato — di
mettere in circolazione e a confronto
idee è espressione borghese, allora vogliamo essere “borghesi”. Ma non bisogna equivocare sulle parole.
Vi è infine un’altra dimensione, accanto a quella sociologica e a quella
politica: la dimensione spirituale dell’esser borghesi. Si trovano campioni
di spirito borghese — in termini spirituali e materiali — anche fra contadini
e operai, fra attivisti di partito e di
sindacato; e si trovano uomini che nella loro condizione .sociologica borghese
non sono però dominati da uno spirito
borghese. Su questo varrà la pena di
riprendere il discorso, che per noi ha
e deve avere una prospettiva teologica,
un fondamento biblico: tanto più in
un tempo net quale ricordiamo uomini
— Valdo e i suoi compagni — nella cui
vita la rottura con lo spirito borghese
è avvenuta quando han cominciato a
vivere non più per sé bensì per Dio e
per farlo conoscere ad altri.
g. c.
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIKIKfi
Alla redazione di questo numero hanno
collaborato Giuseppe Anziani. Giovanni
Baridon, Ermanno Genre, Renato Maiocchi, Giorgio Peyronel, Teofilo Pons. Aldo
Rutigliano, Giorgio Tourn, Elsa e Speranza Tron, un gruppo fiorentino e uno
napoletano.
Direttore responsabile; Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Coop. Tip. Subalpina - Torre Pellice (Torino)