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ECO
DELLE WU VALDESI
BIBLIOTECA VALDESE
10066 TORRE PEIL ICE
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 110 - Nam. 10 ABBQNAMENTl / L. 3.500 per Pinterno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 1 TORRE PELUCE - 9 Marzo 1973
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INTERVISTA CON IL MODERATORE ALDO SBAFFI
AL TERMINE DELLA SUA VISITA ALLE CHIESE DELLE VALLI VALDESI
Una esperienza rincuorante
Per quasi un mese il Moderatore, pastore Aldo SbafR, ha soggiornato nelle
Valli Valdesi, visitanto tutte le chiese
e le opere, incontrando i Concistori e
i Comitati; vi è stata pure la consueta
sessione di sedute della Tavola, a Torre Pellice, nella quale sono state dibattute pure alcune questioni distrettuali e si sono avuti incontri con le
Commissioni del I e del II Distretto,
con il Comitato del Collegio e della
Scuola Latina, con la CIOV, con responsabili del Centro Diaconale. Al termine di questo intenso periodo — in
parte del quale è stato accompagnato
dalla Signora Sballi, anch’essa gradita
ospite — abbiamo chiesto al Moderatore un’intervista e gli siamo grati di
ciò che con calore e partecipazione ha
risposto.
% Signor Moderatore, quale motivo
L’ha spinta a venire a visitare “a
tappeto” le Valli?
— È stata l’esigenza di conoscere in
modo diretto, personale il popolo e i
problemi delle Valli; e questo sia in
funzione del mio nuovo compito, sia
perché la comunione vera non è possibile soltanto in base a documenti, a dati, a informazioni indirette, è indispensabile il rapporto personale. Ho coscienza di essere, per le Valli, un Moderatore « che viene da fuori », e questo disagio mi ha imposto di prendere conoscenza più diretta appena possibile. Ecco anche perché, nel programmare questa visita con la Commissione distrettuale, ho insistito perché si avessero
incontri capillari, essenzialmente nelle
riunioni quartierali, che mi dessero la
possibilità di incontrare veramente la
gente, di parlare con loro nella freschezza di incontri liberi e spontanei.
Con mia gioia, questo è avvenuto.
Quali sono le impressioni più immediate che ha tratto da questo
incontro con i Valdesi delle Valli?
— Altro è conoscere la storia di un
popolo, altro vedere gli uomini. Forse
quel che mi rimane più vivo nella mente è l’incontro con vecchi "barba”, l’impressione che danno di una solidità di
fede, di una robustezza morale. Ma mi
ha pure fortemente colpito il senso della durezza delle condizioni di vita, specie nelle alte Valli. E poiché, in queste
condizioni, ci si potrebbe aspettare un
atteggiamento chiuso, ripiegato su se
stesso, mi ha colpito tanto maggiormente la notevole apertura di spirito
e la calda e spontanea ospitalità che ho
avvertito. Certo, si ha il senso che è
presente una crisi, una tensione fra la
vecchia e la nuova generazione; sarei
però guardingo nel parlare di una crisi di fede. Vi è, da un lato, la diiRcoltà
di passare da una lettura piuttosto fondamentalista della Bibbia e dalla fede
che vi si esprime a una fede critica, più
problematica e non per questo meno
seria: una vera e propria sfida, sopratutto per la generazione anziana; e dall’altra parte vi è la sfida della secolarizzazione, cui è particolarmente esposta la giovane generazione, ma non certo essa sola. Mi pare però che queste
due sfide sono state accettate e affrontate. E stata una meraviglia, per me,
trovare nelTatmosfera delle riunioni
quartierali, soprattutto nel canto degli
inni (anche francesi), il filone del Risveglio, direi quasi in misura anche maggiore che nella diaspora evangelica italiana; e vi è qui, senza dubbio, uno dei
due grandi punti d’incontro fra Valli e
Diaspora; l’altro, mi pare essere la comune eredità di sofferenza per la fede.
Ho compiuto in gennaio un giro di visite nelle chiese siciliane e ho avvertito
che tutte le nostre chiese hanno alle
spalle, più o meno lunga, una storia di
lotta e di sofferenza, sicché mi è venuto
spontaneo, in molte riunioni, il richiamo alla parola apostolica: « Vi è stato
dato, rispetto a Cristo, non solo di credere in lui, ma di soffrire per lui ».
^ Il montanaro, in genere, passa per
una persona chiusa, segreta, lenta
a concedersi: ha avuto quest’impressione, fra la nostra gente nelle
Valli?
— Li pensavo "riservati”, infatti, e
vari colleghi mi avvertivano: « sarà
difficile che parlino, che intervengano ».
E invece sia nelle case sia nelle riunioni, in tutte, si sono avute sempre accese discussioni, con interventi molteplici, e con una gamma di interessi
molto ampia: ecumenismo, rapporti
con Roma, il Centenario valdese, la rubrica televisiva, e questioni spiritualmente impegnative come la crisi del
pastorato, la ricerca sul perché di mancate vocazioni. D’altra parte, però, proprio di fronte a questa "disponibilità”
e a questo desiderio di partecipazione
e di solidarietà, ritengo sia indispensabile alle chiese delle Valli una maggiore informazione. L’asprezza di molte
tensioni, in fondo, dipende anche da
questo: si pensa che siano solo problemi locali, che scadono a scontri personali; invece sono le grandi tematiche
che tutte le chiese dibattono, nel mondo, e su cui si confrontano e si scontrano. Ora, non ci può essere vero dialogo se non c'è conoscenza.
^ Girando per le Valli, le ha sentite
come una realtà sostanzialmente
compatta, o no?
— Non parlo qui — non lo potrei —
dell’aspetto sociologico, ma piuttosto
di quello ecclesiastico. Da questo punto di vista, una compattezza vi è senz’altro, almeno dove si è preso atto del
tempo in cui viviamo, di questo faticoso periodo di gestazione di un tempo
nuovo: se si accetta questo, allora si
può rimanere una comunità unita, si
può realizzare la comunione in Cristo
malgrado le tensioni e diversità. Occorre accettare il fatto che sta finendo un
mondo e ne sta sorgendo un altro; e
in certi punti si sente la serenità e la
fiducia di questa accettazione. Invece
la divisione avviene dove si vuole rimanere arroccati sulle posizioni del
passato considerate immutabili. Dio,
insomma, è libero di intervenire nella
storia, di prender la parola, di rivelare
nuovi impegni: e questa sua libertà
trova le comunità sempre impreparate,
questo è "normale” nella storia, non va
drammatizzato, ma serenamente affrontato. Ci sono comunità in cui si riconosce maggiormente questa libertà
di Dio, e minore vi è la sofferenza; in
altre questa accettazione è più travagliata, e la sofferenza è maggiore.
0 Come ha potuto rendersi conto, le
Valli sono sottoposte a un forte
movimento migratorio, che ha le
sue punte nello spopolamento
montano. Non si tratta della prima migrazione che i Valdesi han
dovuto affrontare. Come Le pare
sia vissuto, il movimento odierno?
Si tratta di un fenomeno unicamente negativo?
— Come ci ricorda John Knox, nel
muoversi, anche nell’essere costretti a
muoversi ci sono pure molti elementi
positivi, che animano la vita, la scuotono dalla polvere. Tuttavia è chiaro
che ci troviamo davanti a un pesante
problema umano, sofferto, sia da parte
di chi resta, per il senso di abbandono
e di isolamento che accompagna lo
spopolamento, sia da parte di chi si è
trasferito, per il senso di sradicamento
che ciò comporta, specie quando il trasferimento è stato imposto dalle circostanze più che essere stato liberamente scelto. Mi sono reso conto della sofferenza di molti anziani perché la gioventù non è più attaccata alla terra. A
livello nazionale, non vi è altra possibilità che l’intervento statale, con sovvenzioni, analogamente a ciò che avviene per la Val d’Aosta, e più ancora
in altre nazioni. Quanto ai problemi
che questa migrazione impone alla chiesa, mi paiono essenzialmente due: 1)
organizzare l’accoglienza nella pianura,
sia nelle chiese di fondovalle sia nella
zona torinese, e ciò comporta una concentrazione di forze pastorali; 2) la disseminazione rapptifsenta da un lato un
serio pericolo di dispersione, di vera e
Aldo Sbaffi
(continua a pag. 5)
CRISTIANI NELLA LOTTA DI CLASSE
La pelle del manovale
Il 7 novembre 1972 una delle provincie più tranquille d’Italia, quella
di Cuneo, è scossa da un fatto insolito: un prete operaio sindacalista
è licenziato per rissa, accusato di avere aggredito un operaio invalido
che non voleva scioperare. Il 7 marzo 1973 si deve celebrare il suo
processo, e proprio in quest’occasione la Claudiana pubblica, nella
collana nNostro tempoy>, una raccolta di scritti di questo prete operaio sindacalista, Romano Borgetto, in buona parte anteriori al
’’fatto”, seguiti da una serie di documenti posteriori e a questo relativi .^ìl libro è introdotto da uno scritto di Giulio Girardi su a Sacerdoti nella lotta di classe y>; Paolo Ricca ha steso la prefazione, che
qui pubblichiamo, presentando questo volume. red.
Fin dal 1931, con il saggio II principio protestante e la situazione proletaria, Paul Tillich aveva additato alle
chiese evangeliche, e indirettamente alle altre, la necessità di « prestare attenzione » alla situazione proletaria
non solo e non tanto per motivi missionari esterni — evangelizzare il proletariato — quanto in primo luogo per
motivi missionari interni — liberare le
chiese dalle loro incrostazioni sociologiche borghesi che le sfigurano e al limite le snaturano. Le chiese devono
essere liberate non meno delle masse
proletarie: se queste sono asservite dal
sistema economico borghese, quelle
sono asservite dal sistema ideologico
borghese. Ma si tratta di una servitù
dorata di cui non è agevole prendere
coscienza.
Secondo Tillich, l’orientamento antiproletario delle chiese dev’essere messo in questione. Esso contraddice o
elude istanze evangeliche fondamentali e costituisce una aperta sconfessione del « principio protestante ». Le
premesse teologiche e le opzioni etiche
del protestantesimo avrebbero dovuto
consentirgli di instaurare col proletariato un rapporto vivo e fecondo: tra
principio protestante e situazione proletaria c’è una sorta di affinità elettiva le cui implicazioni non sono ancora
« Nel nome di Cristo e nella veste di Pietro »
Le riforme del pontefice romano
Lunedì 5 marzo, in occasione della
creazione di trenta nuovi cardinali della chiesa cattolica, il pontefice romano
ha indicato le linee essenziali di quella
che impropriamente è già stata chiamata la « riforma » del conclave (l’organismo che elegge il papa).
Le novità sono due: la prima è che il
numero dei cardinali viene notevolmente ampliato (ora sono in tutto 145)
mentre si fissa in 120 il numero massimo di cardinali che possono partecipare all’elezione del pontefice (gli ultraottantenni, come già stabilito, ne sono
esclusi); la seconda è che a questa elezione parteciperanno da ora in avanti
quattro o cinque patriarchi orientali
uniti a Roma e i 15 vescovi che compongono la segreteria generale del Sinodo dei vescovi, di cui 12 sono eletti
dal Sinodo stesso (gli altri tre sono di
nomina pontificia). Dunque, l’elezione
del papa non è più prerogativa esclusiva del collegio cardinalizio: alTincirca
il 10% dei membri dei prossimi conclavi saranno eletti dai vescovi anziché essere nominati dal papa, come lo sono
tutti i cardinali: i quali comunque formano ancora il 90% dell’assemblea del
conclave, per cui ha ragione il quotidiano cattolico « Avvenire » (del 6 marzo) di affermare che il collegio cardinalizio « rimane la struUura portante
dell’elezione pontificia ». Il papa continuerà a essere eletto non dal « popolo
di Dio » di cui tanto il Concilio ha parlato e neppure dal « collegio dei vescovi » di cui il Concilio ha valorizzato
ruolo e funzione, ma (per il 90%) dal
collegio dei cardinali che il Concilio ha
praticamente ignorato.
In sostanza Paolo VI ha attuato, per
quanto concerne la composizione del
conclave, un leggero correttivo istituzionale che non cambia la sostanza dei
rapporti né l’entità delle forze in gioco
e che quindi è del tutto spropositato
chiamare riforma. Una riforma avrebbe potuto essere la partecipazione effettiva e determinante dell’episcopato
all'elezione del papa. Questa partecipazione è, nella « riforma » di Paolo VI,
talmente ridotta da risultare poco più
che simbolica. Può certo trattarsi di
una breccia, cui possono seguire, in futuro, ulteriori, imprevedibili sviluppi.
Chi vivrà, vedrà.
Quel che si vede ora è un ritocco.
non una riforma. Tanto più che Paolo VI ha ribadito la « ragion d’essere »
del collegio cardinalizio, la cui legittimità teologica è già stata, a buon diritto, messa in questione anche da parte
cattolica. In effetti Tunica riforma seria del collegio cardinalizio sarebbe la
sua soppressione. Il pontefice ha invece parlato di « un’indiscutibile ed organica conferma della sua ragion d’essere », che è di costituire il gruppo dei
« principali consiglieri e collaboratori »
del pontefice romano, formando intorno a lui « quasi un senato ». Il papa resta il « pastore universale » al vertice
della piramide gerarchica cattolica,
con accanto e sotto di sé il collegio
cardinalizio, di cui il papa si riserva la
nomina « libera ed esclusiva », e il corpo episcopale, che sta con il papa in un
rapporto di « gerarchica comunione ».
Il quadro istituzionale cattolico è così
perfettamente ricomposto. Riassumendo la « riforma » di Paolo VI consiste
in questo: un corpo cardinalizio più
numeroso e più rappresentativo, di
esclusiva nomina pontificia come in
passato; un conclave più articolato ma
la cui componente fondamentale e sola
decisiva resta il collegio dei cardinali.
Nel pomeriggio dello stesso giorno,
durante una concelebrazione liturgica
con i nuovi cardinali, Paolo VI ha pronunciato un’omelia evocando tra l'altro un « carisma » (dono dello Spirito
santo), di cui né la lettura della Bibbia
né lo studio della teologia ci avevano
sinora rivelato l’esistenza. Affrontando
il tema del rapporto tra la chiesa e la
storia, Paolo VI si è chiesto: « la Chiesa vive dentro o fuori della storia? » ed
ha soggiunto: «Il problema esiste».
Come risolverlo? Dopo aver escluso come « false risposte » sia l’immobilismo
che il relativismo Paolo ha detto: « La
Chiesa, ringraziamone Iddio, quand’è
fedele a se stessa, ha il duplice e simultaneo carisma della fissità e della
velocità... ». In virtù di questo singolare carisma i cardinali neo-eletti e con
loro i vescovi, i sacerdoti e i diaconi,
insomma tutta la chiesa gerarchica, sono, dentro la storia, la sua avanguardia: « voi — ha concluso Paolo VI prima di benedirli "nel nome di Cristo e
nella veste di Pietro” — così compaginati con la Chiesa di Pietro, siete all’avanguardia dei grandi movimenti
che trascinano l’umanità verso i suoi
evidenti e per essa così difficili destini... ». Per essere inserita e all’avanguardia della storia la chiesa, secondo
Paolo VI, deve invocare dallo Spirito
il dono « duplice e simultaneo » della
« fissità » e della « velocità ».
Non riforma, quindi, ma, appunto,
« fissità » e « velocità », cioè immobilismo e aggiornamento, immobilismo
che si aggiorna, immobilismo aggiornato.
Paolo Ricca
state enucleate. Sotto diversi profili « il
principio protestante non è estraneo
alla situazione del proletariato nella
società moderna. È invece l’esatta
espressione del suo significato religioso, come esempio rilevante della situazione umana ».
Il fatto che in passato il rapporto
tra protestantesimo storico e mondo
proletario sia in qualche modo mancato non rivela l’esistenza di una presunta incompatibilità tra protestantesimo e proletariato ma dimostra soltanto Tincoerenza del protestantesimo
storico con i princìpi che gli hanno dato origine. Vi sono state eccezioni che
non si devono dimenticare: il « socialismo religioso » nasce e si sviluppa in
ambiente protestante ed è l’unico movimento cristiano del tempo a ragionare, parlare ed agire dall’interno del
movimento operaio e a partire da esso. Ma si tratta di esigue minoranze:
il grosso del protestantesimo, come gli
altri settori della cristianità, è rimasto distante dalla situazione del proletariato, non ha saputo o voluto comprenderne e condividerne le lotte, e così
facendo è diventato infedele a se stesso, al suo principio.
Perciò, invitare il protestantesimo
ad accostarsi alla situazione proletaria
significa invitarlo non solo a liberarsi
dai suoi condizionamenti borghesi ma
anche a rivivere quel principio protestante che ha sempre affermato ma
non sempre ha praticato. In altri termini, un protestantesimo che presti attenzione alla situazione proletaria non
si risolve in socialismo ma si riqualifica come protestantesimo, ridiventa in
qualche modo se stesso: non perde la
sua identità, al contrario la ritrova. Ecco perché Tillich, al termine del suo
saggio, non esita a indicare come « imperativo fondamentale per il protestantesimo » questa esigenza: « sotto il peso della situazione proletaria decidersi
a favore del principio protestante contro il protestantesimo storico ».
L’appello di Tillich è stato praticamente ignorato e in larga misura lo è
tuttora. Nessuna chiesa particolare e
neppure il movimento ecumenico nel
suo insieme hanno sinora veramente
(continua a pag. 3)
A proposito di politicità e.apoUticità nella scuola _
Scelte autentiche
La scorsa settimana Emilio Nitti,
raccogliendo come fa quindicinalmente il frutto delle riflessioni di un gruppo di amici napoletani, ci ha dato in
Scuola, cultura, democrazia una panoramica meditata delle questioni in
campo nella riforma della scuola italiana, in particolare a proposito della
definizione dello stato giuridico degli
insegnanti. Come già era stato per le
questioni connesse con la giustizia —
magistratura e polizia —, queste sintesi, per quanto incomplete e provvisorie, sono molto utili a tutti noi, condensando ed evidenziando le questioni in
gioco a proposito di alcuni nodi fondamentali della nostra vita nazionale; ed
è con schietta gratitudine che le pubblichiamo qui, coscienti della difficoltà
che comporta il fare queste sintesi e
presentarle in modo comprensibile ai
non addetti ai lavori. Vorrei che nella
luce di questa premessa, non formale,
fossero lette le considerazioni che seguono e che non intendono essere altro che un modesto e incompetente
contributo alla riflessione di tutti.
Un punto, per me, è cruciale nella
questione scolastica, e nello scritto di
E. Nitti: la democrazia nella scuola.
Grosso modo, secondo Nitti e molti altri, i lavoratori della scuola si dividono
in politicamente disimpegnati (che sin
dacalmente si raggruppano nei sindacati autonomi) e politicamente impegnati (che sindacalmente si raggruppano nei sindacati confederali, aderenti
cioè alle grandi confederazioni dei lavoratori: CGIL, CISL e UIL). Per i primi la scuola dovrebbe essere un laboratorio asettico di formazione scientifica neutra, priva di ogni condizionamento politico; per i secondi la scuola,
per essere viva, non può in alcun modo
restare estranea alla vita e quindi a
tutta la problematica politica, non può
eludere una cosciente scelta politica.
Del resto, notano questi ultimi, alla
scelta non si sfugge, e anche chi pretende di non scegliere, in realtà sceglie
lo status quo, asserve la scuola e la sua
funzione formativa al potere in atto.
Credo che questa tesi — che già era
affiorata a proposito del discorso sulla
magistratura — debba fare seriamente
riflettere: in tutti i sensi.
Non vi è dubbio che la situazione
scolastica presenta disfunzioni gravissime, a tutti i livelli — da quello ’’materno” a quello universitario. Queste
disfunzioni hanno tre ordini di cause:
incuria e incapacità di una classe dirigente in larga misura democristiana;
estrema difficoltà, a tutti i livelli, di te
Gino Conte
(continua a pag 6)
2
pag. 2
N. 10 — 9 marzo 1973
COMMENTO BIBLICO di Giorgio Bouchard
; <T V il , • la ra
non calcola
Matteo 6:1-6,16-18
I migliori credenti giudei dell’epoca
di Gesù cercavano di organizzare la loro vita morale e religiosa in un modo
netto e rigoroso, cioè in modo che fosse ben chiaro qual’era l’atteggiamento
interiore ed esteriore del credente. 1
momenti caratteristici di questo atteggiamento erano principalmente tre: la
elemosina, la preghiera e il digiuno.
Con l’elemosina, cioè con un’aperta,
illimitata generosità dei propri beni
verso i « poveri », il fariseo esternava
la sua disponibilità a servire Dio e il
prossimo in mezzo a un mondo dominato dall’egoismo e dalla grettezza.
Con la preghiera, il fariseo confessava pubblicamente la sua fede, davanti ai tiepidi, agli indifferenti, ai rinnegati, ai pagani: egli invocava ad alta voce l’Iddio d’Israele, nella assoluta
certezza che presto o tardi Dio avrebbe dato pubblicamente ragione a coloro che mantenevano ostinatamente la
loro fede in lui, ed avrebbe svergognato i deboli e gli increduli.
Infine il digiuno verniciava di austerità tutto il comportamento, anzi lo
stesso umore dei credenti: nei loro
volti pensosi e tirati doveva trasparire quella tensione interiore verso l’Assoluto, quella attesa spasmodica della
venuta del Messia, che era l’anima della miglior fede d’Israele: in un mondo pieno di miseri e di increduli, l’uomo di Dio non poteva permettersi il
lusso di essere allegro: il fariseo portava la sua vocazione come si porta
un lutto.
Gesù non nega le motivazioni e le
forme essenziali di questo atteggiamento del credente: non nega che si
debba fare l’elemosina, pregare e digiunare: non nega che la vocazione
cristiana abbia un carattere fortemente impegnativo, che si debba esprimere in fatti concreti e in movimenti dell’animo. Soltanto, Gesù propone di
esprimere in modo diverso l’amore
verso il prossimo, l’invocazione del
nome di Dio, la rinuncia a taluni godimenti. La sua proposta, storicamente collocata come polemica contro i
farisei, mantiene una forte validità attuale, in un contesto che è compietamente diverso, anzi, per certi versi
completamente rovesciato rispetto a
queU’epoca.
L’elemosina. Pare che i farisei facessero effettivamente suonare la tromba
quando si preparavano a distribuire
una parte dei loro beni in elemosina,
affinché tutta la povera gente potesse
accorrere, ed ognuno avere la sua parte. In realtà, questo « suonare la tromba » finiva per raccogliere i « poveri »
intorno alla persona di colui che faceva elemosina: egli diventava il momento centrale, il protagonista dell’opera buona che si stava compiendo:
al centro non stava più il fatto che la
miseria umana è inaccettabile per
chiunque abbia fede in Dio; al centro
stava la bontà di chi crede in Dio. Ed
era sottinteso che gli astanti (e i beneficiati) avrebbero logicamente dovuto trarre le debite conseguenze di questo edificante spettacolo: se i credenti
sono così buoni, dunque il Dio che li
manda è molto grande. In quel momento stesso, il « benefattore » si sottraeva a tutte le contraddizioni della
vita umana, per trovarsi, in un certo
senso « dalla parte di Dio », .mentre
gli affamati, gli oppressi venivano a
trovarsi « dalla parte del mondo ». Dio,
benessere e beneficienza da una parte;
povertà, miseria, incredulità, « teppa »
dall’altra parte: la testimonianza alla
bontà di Dio coincideva con la riprova
della superiorità morale dei suoi fedeli rispetto alla comune marmaglia
che costituisce la maggioranza della
umanità.
Gesù chiede di rinunciare a questo
atteggiamento: i « poveri » stanno come un grave problema davanti alla
coscienza di chi crede in Dio. E, certamente, nessun credente può rimuovere dalla sua coscienza il problema,
l’interrogazione che questi « poveri »
rappresentano per lui: nel nostro tempo, nulla sarebbe più sbagliato che cavarsela con un ragionamento sociologico, dicendo che i « poveri », i matti,
1 delinquenti sono semplicemente un
problema sociale, che deve essere risolto con gli opportuni strumenti legislativi e organizzativi. In realtà, essi
sono un prossimo che sta davanti a
noi, e che, non può attendere una soluzione generale: va aiutato adesso,
perché se no muore subito, e la sua
unica irripetibile esistenza va perduta.
Ma proprio perché l’intervento a favore del nostro prossimo è urgente,
proprio per questo va compiuto in
modo estremamente discreto: dev’essere un intervento che ha come centro d’interesse lui, e non noi, la « teppa » e non le persone per bene: non
deve essere un intervento calcolato, in
vista di effetti precisi e determinati.
Gli interventi calcolati si fanno quando si operano degli investimenti di capitale: tanto investo, tanto più tanto
devo ricavare. Ma il rapporto tra gli
uomini non risponde a queste caratteristiche; e non c’è rapporto autentico se non si rischia lo spreco.
« Non sappia la tua sinistra quello
che fa la tua destra »; non stare tanto a soppesare i prò e i contro, i se
e i rna, fai tutto quello che puoi fare,
e poi attendi con fiducia: dietro il tuo
operare c’è infatti la volontà di Dio:
Dio stesso risponderà alla tua iniziativa. Non importano tanto i risultati
immediati che tu otterrai: quel che
importa è che il Signore ti benedirà e
renderà fattivo il tuo operare.
Questo avvertimento di Gesù ci coglie oggi in un contesto profondamente diverso da quello del primo secolo:
da una parte tutta la vita si socializza
rapidamente, per cui problemi come
quello dell’elemosina si vanno ridimensionando. Dall’altra, proprio il proliferare infinito di aiuti « sociali » e di soluzioni collettive lascia aperto un immenso margine di sofferenze individuali, o di gruppi emarginati. Perciò
paradossalmente, proprio in un momento storico in cui la soluzione di
alcuni gravissimi problemi (fame, disoccupazione) è a portata di mano —
sol che si voglia attuarla con i metodi
adeguati — proprio in questo tempo i
credenti si trovano davanti a un’infinita gamma di sofferenze a cui non si dà
soluzione « sociale ». È dunque della
massima importanza qualificare accuratamente il nostro intervento verso i
sofferenti: sia che si tratti dell’indivi-.
duale apertura verso il prossimo, sia
che si tratti dell'azione organizzata della chiesa quando essa costruisce case
per anziani, o cerca di aiutare giovani
drogati o suicidi di tutte le età: questa
azione di amore, individuale o collettiva deve essere svolta senza far suonare la tromba, cioè senza concentrare
l’attenzione su chi la compie, ma
sulle persone che hanno bisogno, anzi,
a cui spetta questa azione.
È questa una delle vie in cui si può
(e si deve) cercare la santità nel nostro
tempo: una santità fattiva, discreta,
umile, ma salda e ferma: poiché ad
essa corrisponde la consapevolezza che
non siano soli in quest’opera, e che la
U VOCE
DEI PROFni
L’ARBILLA
Il profeta Geremia racconta di essere andato un giorno a
trovare un vasaio, uno di quegli artigiani che, fino a poco tempo
fa, fabbricavano a mano piatti, vasi, orci e brocche. Guardandolo
lavorare, il profeta osservò che ogni tanto, un pezzo in lavorazione si guastava: e l’operaio allora, senza scomporsi, tornava ad
impastare l’argilla e fabbricava un altro recipiente, « come a lui
pareva bene di farlo » (Ger. 18; 4). Ed il profeta udì il Signore
che diceva; « 0 uomini, non posso io far di voi quello che fa
questo vasaio? Ecco, quel che l’argilla è in mano del vasaio, voi
lo siete in mano mia » (Ger.: 18: 6). Infatti, l’uomo è fatto di terra, come il vaso; viene dalla terra, ed è soltanto un poco più, se
si può dir così raffinato. La terra, e tutto quella che da essa proviene, è stata plasmata da una forza superiore, che noi chiamiamo Dio, e che l’ha formata secondo le sue leggi, « come gli è parso bene ».
Anche il libro del profeta Isaia fa dire al popolo, nella sua
preghiera a Dio: « Noi siamo l’argilla; tu, colui che ci formi »
(Is. 64: 8). Ma dopo averla formata. Iddio non ha abbandonato
la sua creazione a se stessa; ma ne segue le sorti, osserva, scruta,
e distingue in essa quello che è bene da quello che è male, quello
che vive secondo la sua legge e quello che è contro la sua legge, e
che quindi ha solo l’apparenza di vivere, ma è già morto.
Allora egli distrugge l’opera mal riuscita e la sostituisce con
un’altra: se questa riesce migliore la conserva, se no la distrugge ancora, fino a che non ci sia più nulla d’imperfetto in tutta
la creazione. La storia del mondo, delle nazioni come dei singoli
uomini non è altro che questa continua azione di Dio tendente a
« svellere », abbattere, distruggere », a « edificare e a piantare »
(Ger. 18; 7, 9).
Lino De Nicola
« ricompensa » del Signore, cioè la sua
attiva comunione, sono vicini a noi.
L’azione verso gli uomini presuppone una certezza della comunione con
Dio: è quella che si esprime chiaramente nella preghiera: per i farisei, la
preghiera era un atto solenne, in cui
ancora una volta il credente era Protagonista: protagonista, questa volta,
del suo rapporto con Dio. Al centro di
quella preghiera non c’era il mistero
dello Spirito, ma l’importanza umana
della fede, della religiosità migliore. Il
fariseo in piedi nella piazza incarnava
una visione trionfalistica della presenza religiosa nel mondo: solo il vero
credente ha diritto di restare in piedi,
in mezzo a una massa di uomini piegati all’equivoco e all’incertezza: e come
tale, egli è il naturale riferimento di
tutti gli altri: nella sua preghiera egli
parla a Dio, ma bada anche bene di
essere ascoltato dagli uomini: hanno
tanto bisogno, poverini, di una parola
autorevole e sicura! E quale parola
è più autorevole di quella pronunciata
da coloro che hanno il « filo diretto »
col Signore?
Gesù rifiuta invece questa impostazione: la comunione con Dio non può
avere un carattere « pubblico »: non
può essere un momento di forza umana, un momento di richiamo per altri.
La preghiera è il momento in cui :
credenti cercano quale sia la volontà
di Dio per loro: Perciò debbono ritirarsi «nella cameretta », cioè mettersi
in un atteggiamento di ascolto, nell’atteggiamento di chi cerca, perché sa di
avere un enorme bisogno di ricevere.
Il Signore risponderà a questa ricerca,
nella misura in cui la preghiera sarà
tale, e non esibizione di un possesso religioso de] rapporto con Dio.
Anche qui la nostra situazione è
profondamente diversa: i farisei neccavano per eccesso di religione, noi invece viviamo in un mondo compiutamente secolarizzato. Come ha detto
Hegel tanti anni fa, abbiamo il tempo
per leggere il giornale, non abbiamo
più il tempo per pregare. I risultati si
vedono: in teoria confessiamo che Dio
governa le nostre vite, in pratica troviamo solo ogni tanto il tempo per ringraziarlo, cercarlo, ascoltarlo.
L’invito a rientrare nella nostra cameretta ci raggiunge quindi come nrqposta di critica nei confronti della visione secolarizzata della vita, e della
pratica secolarizzata della vita stessa.
È necessario trovare il tempo, anzi trovare la dimensione,,,della preghiera: m
tutto quello che facciamo e diciamo, ci
sia un momento, un aspetto del nostro
atteggiamento che consista nel rivolgerci a Dio con riconoscenza, con ricerca, con umiliazione secondo i casi:
come non si può fare una gita in montagna senza respirare profondamente,
così non si può combattere la battaglia
cristiana nel mondo di og.gi trascurando il respiro della preghiera. Non si
tratta necessariamente di dedicare
molto tempo a questa attività dello
spirito: si tratta di darle un posto di
priorità nelle nostre scelte e nei nostri
orientamenti: siamo abituati a passare la nostra vita nella piazza e nel salotto: bisogna invece collocarla in questa « stanzetta », in cui tutti i problemi
ri-assumono le loro reali dimensioni, e
in cui noi ritroviamo la nostra forza, o
meglio una forza che non è nostra ma
che ci viene donata.
Questo non è un invito a diventare
o ridiventare delle «pie persone »: ciò
potrebbe risolversi in una nuova forma di ipocrisia. Non è neanche un invito a pregare uer forza, se non ce la
sentiamo: è un invito a riscoprire la
dimensione della riconoscenza e della
ricerca.
= Riconoscenza e ricerca esigono anche
= impegno e sacrificio: i farisei lo sapc= vano benissimo, e praticavano il di= giuno, come strumento di disciplina
§ del carattere e della vita spirituale. Ma
= anche questa pratica era in loro irri= medìabilmente esteriorizzata: si preoc= cupavano di dimostrare a tutti la loro
= condizione di uomini sofferenti per la
fede; speravano con questo di dare « il
1 buon esempio », di costringere gli altri
= a] ravvedimento o a una miglior disci= piina.
= Per Gesù questo non è accettabile:
= se si vuol digiunare, ciò non può esse
= re oggetto o motivo di esibizione. In
E altri termini: se un credente fa il muso
= lungo perché la sua fede gli ha impo
= sto determinati sacrifici, e pretende
= che dal suo muso lungo gli altri dedu
= cano la profondità della sua fede, non
= è altro che un attore (ipocrita in gre
= co vuol dire attore): ma un attore preS senta delle cose in cui non necessaria= mente crede: oggi recita una parte, do= mani ne recita un’altra. E più che ap= plausi un attore non potrà mai preten= dere dal suo pubblico.
= Il credente che compie delle rinun= de ner motivi di coscienza non è un
= attore, di tragedia o di operetta: ff
= credente è un facitore, e quel che con
= ta è la sua azione. È indubbio che ■'er
= svolgere un’azione cristiana occorre ri
= nunciare a molte cose. Anche nel no
= stro tempo: noi credenti non dobbia
= mo aver paura di imporci certi digiu
= ni; cioè il rifiuto di certi agi e godi
= menti che interessano invece a moltis
H simi: si può trattare del digiuno vero
= e proprio, o del rifiuto di fumare, di
= guardare la televisione o le partite al
= lo stadio, o di sprecare denaro nel
week-end mentre nel Bangla Desh si
muore di fame, o del rifiuto di adeguarsi alla attuale mentalità consumistica, o alla straordinaria indisciplina
sessuale del nostro tempo: molti sono
i « digiuni » a cui in effetti siamo chiamati.
Ma se questi « digiuni » fanno di noi
degli esseri invidiosi e malcontenti, che
m fondo non sono ben convinti di
quello che fanno, e che hanno bisogno
di posare a eroi della rinuncia, allora
c è qualcosa che non va: le nostre rinuncie devono essere simili al gesto
con cui l’alpinista depone il suo sacco
troppo pesante per affrontare una parete ripida: posato il sacco egli si
sente più leggero, respira meglio, è
più contento: lo scopo è li davanti a
lui; scalare la parete; e non dire agli
altri: guardate come sono bravo e coraggioso, ho rinunciato al peso del mio
sacco!
Decisi come siamo a fare della nostra vita una scelta impegnativa, deponiamo pure senza complessi i pesi di
troppo che ci portiamo dietro: ma poi
andiamo avanti con passo snello e lieto, verso la cima. La coerenza cristiana
ci porterà certamente ad avere una vita più impegnata, meno tranquilla, meno lussuosa, meno facile, meno « grassa », che molti nostri contemporanei'
ma Dio ci guardi dalla tentazione di voler con questo fare di noi stessi un
esempio per gli altri. Può darsi che
Dio voglia darci questa « ricompensa »,
e '’uindi far sì che noi diventiamo effettivamente un punto di riferimento
per altre persone, che il nostro stile di
vita desti effettivamente l’interesse di
altri uomini. Ma guai a noi se questa
diventa una nostra preoccupazione o
un nostro programma.
In fondo, dietro questi tre avvertimenti di Gesù c’è una stessa preoccupazione: se il credente è certo dell’azinne di Dio, allora non ha bisogno di
mettersi avanti: c’è già il Signore che
lo spinge avanti, che forma per lui dei
programmi e prepara per lui dei risultati. Il credente — la comunità credente, anzi — può perciò con calma -compiere « buone opere », cercare il Signore in preghiera, accettare una disciplina senza badare ai risultati.
I risultati — la « ricompensa » — d
saranno, e verranno ne] modo e nel
momento che meno ce lo aspettiamo:
a Gesù, sono venuti dopo la sua croce:
sarà diffìcile che a noi vengano prima
che abbiamo accettato di « portare la
nostra croce ». Ma che importa, se la
grazia di Dio è con noi? E di questo
noi siamo certi: altrimenti non ci saremmo raccolti nella chiesa di Gesù
Cristo per confrontare le nostre novere vite con la grandezza della volontà
buona di Dio, che è. sempre presente e
operante dovunque, anche quando non
ce ne accorgiamo.
libri
La Riforma e noi
Sotto questo titolo le edizioni Labor et Fides hanno pubblicato l’anno scorso nella collana <( Cahiers du Renouveau » un volumetto
che raccoglie il testo di alcune conversazioni
radiofoniche tenute a Radio-Sottens dal pastore Max Dominicé, sul tema dell’attualità
della Riforma
Si sente che chi scrive lo fa nel clima della
cosiddetta pace confessionale attualmente molto in voga in Svizzera. Tuttavia non manca
una chiara presa di posizione di fronte a ciò
che, davanti a Dio e davanti agli uomini, i
credenti dell’una o dell’altra tendenza non
hanno il diritto di abbandonare in quanto
legato alla verità stessa dell’Evangelo.
Il secondo capitolo ci è parso particolarmente vivo, sottolineando che il « sentimento
di peccato » così fortemente provato da Lutero e la sua riscoperta del perdono liberatore
di Dio sono ancora profondamente attuali. Se
ascoltiamo l’uomo di oggi, scrive il Dominicé,
abbiamo Fimpressione che non si giudichi mai
colpevole: « è sempre l’altro; è il comunista o
il capitalista; è il cinese o l’americano; è mia
moglie o mio marito; o è il governo; ma non
sono mai io ». Eppure tutto un esercito di
psichiatri, di psicologi, di medici — i grandi
confessori del nostro secolo — ci ricorda die
Faggressività dell’uomo d’oggi cela il suo senso di colpa. La Bibbia parla di peccato e riconciliazione,, se soltanto si vuole ancora leggerla
come Lutero.
Altri capitoli sono dedicali a « matrimonio dei pastori e celibato dei preti », in cui si
sottolinea che la Riforma ha riabilitato la famiglia, ai rapporti Chiesa-Stato (troppo ottimismo per lo Stato, per il lettore italiano) ed
alla riscoperta della Bibbia e del canto dei fedeli. Un agile volumetto di una sessantina dì
pagine che il lettore, anche non troppo familiarizzato con la lingua francese, leggerà con
piacere e con profitto.
Giovanni Conte
^ Max Dominicé. La Réforme et nous - Genève, Labor et Fides 1972.
Casa Valdese
di Vallecrosia
COLONI.A MARINA per bambini e
bambine dai 6 ai 12 anni. Turno unico: 2 luglio-28 luglio 1973. Quota globale: L. 31.000. Dir. E. Paschetto.
CAMPO C.A,DEXTI per ragazzi e
ragazze dai 13 ai 16 anni. Turno unico: Il luglio-31 luglio 1973. Quota globale: L. 31.000. Dir. M. Ayassot.
I posti in Colonia ed al Campo Cadetti sono limitati. Chiedere e rispedire i moduli di iscrizione alla: Direzione della Casa Valdese - 18019 Vallecrosia (IM).
UN’ANTOLOGIA PUBBLICATA DALLA CLAUDIANA
L’antimilitarismo oggi in Itaiia
L’antimilitarismo oggi, in Italia, a cura di
Giorgio Rochat. « Nostro tempo », 11, Claudiana, Torino 1973, p. 304, L. 2.900.
L’antologia, cui hanno collaborato Franco
Giampiccoli, Eugenio Rivoir e Marco Rostan,
è articolata in due partì :
Parte prima; Alcune premesse. I. Militarismo e antimilitarismo nel pensiero marxista - li. La tradizione antimilitarista del movimento operaio - III. La matrice cristiana
delFantimilitarismo nonviolento.
Parte seconda: L’antimilitarismo oggi in
Italia. IV. I testimoni di Geova • V. L’obiezione di coscienza fino al 1968-69 - VI. Le de
nunce della stampa - VII. La giustizia milita
re - Vili. La lotta per il riconoscimento del
l’obiezione di coscienza - IX. L’antimìlitari
smo delle sinistre parlamentari - X. L’antimilitarismo delle sinistre extraparlamentari XI. - L’antimilitarismo nonviolento.
È stato calcolato che sui 130 km di confine « caldo » con la Jugoslavia l’esercito italiano potrebbe schierare un generale ogni 130
metri ed un colonnello ogni 10 metri, oppure
mettere in volo tutti i nostri aerei da combattimento impiegando solo generali dell’aeronautica... L’esercito italiano è cresciuto — sproporzionatamente alla sua efficienza bellica —
come un immenso corpo burocratico che assorbe una fetta di bilancio superiore ai 2000
miliardi annui. Abbiamo almeno un esercito
efficiente? Qual è la reale funzione delle forze armate in Italia? Perché i partiti tradizionali, anche di sinistra, hanno sempre mostrato
così poco interesse per questo problema? Come è nato e si è rafforzato il movimento antimilitarista italiano?
La recente approvazione della legge sulla
obiezione di coscienza, prima tappa di una
lunga battaglia che è ben lungi dalla conclusione, ha suscitalo un nuovo interesse sull’orìgine, la storia e Fattuale varietà di posizioni
del movimento antimilitarista. Questa antologia — curata da uno dei massimi specialisti —
costituisce uno strumento indispensabile e
finora mancante per sviluppare o aggiornare
la conoscenza dell'argomento. Si articola in
sezioni, ognuna delle quali raccoglie una nota
di inquadramento ed una serie di brani significativi di testimoni e protagonisti. Ogni sezione affronta un momento delFantìmilitarismo italiano di ieri e di oggi, senza pregiudizi né illusioni di imparzialità, ma cercando di
comprendere le diverse posizioni.
L’antologia inizia con una breve analisi
delle forze armate italiane di oggi, poi ripresa
nella sezione sulla giustizia militare. Segue
l’individuazione e l’illustrazione dei due filoni fondamentali delFantimilitarismo odierno:
il pensiero marxista, la tradizione e la pra.ssi
del movimento operaio, da una parte, ed i movimenti nonviolenti internazionali dì matrice
cristiana o umanitaria, dall’altra. Alla non
violenza si richiamano tutti gli obiettori di
coscienza, anche se con interpretazioni e comportamenti assai diversi, dai molti testimoni
di Geova e dai pochi cattolici e laici degli anni sessanta, fino ai numerosi gruppi antimilì
taristi nonviolenti sorti o rinnovatisi in que
sti ultimi anni; e l’antologia ne segue le bat
taglie a favore del riconoscimento delFobiezio
ne di coscienza e per la mobilitazione delFopi
nione pubblica. Alla tradizione ed al pensie
ro marxista si richiamano invece i partiti del
la sinistra parlamentare ed i gruppi della
nistra extraparlamentare, che sviluppano in
direzioni opposte e con aspre polemiche la
matrice comune.
L’AUTORE
Giorgio Rochat, nato a Pavia nel 1936, docente di storia dei partiti e movimenti politici presso l'Università di Milano, è uno dei
massimi specialisti di storia militare in Italia. Tra le sue opere citiamo: L’esercito italiano du Vittorio Veneto a Mussolini (Bari,
1967). Militari e politici nella preparazione
della campagna d’Etiopia (Milano, 1971) e
Il colonialismo italiano (Torino, 1973); ha
collaborato ad una biografia di Badoglio (in
corso dì pubblicazione). È segretario generale
del (c Comité internai, d’histoire de la deuxième guerre mondiale » e membro della direzione della « Rivista di storia contemporanea ».
l'iipera presentata a Torino
Organizzata dal Centro Evangelico
di Cultura e dalla Libreria Feltrinelli
di Torino, mercoledì 28 marzo (ore 21 ),
nella sala valdese ¿i Corso Vittorio,
avrà luogo una tavola rotonda sul problema deirantimilitarismo e della giustizia militare, in occasione della presentazione di due volumi di recente
edizione: L’antimilitarismo oggi, a cura di Giorgio Rochat (ed. Claudiana) e
L'ingiustizia militare di Sandro Canestri e Aldo Paladini (ed. Feltrinelli).
Presenti gli autori, introdurranno il tema Tavv. Bruno Segre, direttore de
« L’incontro » e difensore in giudizio di
molti obiettori di coscienza, e un esponente del movimento « Proletari in divisa ». Seguirà un pubblico dibattito.
... e nelle Valli Valdesi
Nelle Valli Valdesi la F.G.E.I. progetta una serie di riunioni nel corso
delle quali sarà presentato il volume
L’antimilitarismo oggi, rilanciando il
problema dell’obiezione di coscienza riproposto alle comunità dal Sinòdo
Valdese 1972.
3
f
9 marzo 1973 — N. 10
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
: ag- i
IL PASTORE VICTOR RAKOTOARIMANANA CI HA DETTO
CEVAA, missione e Chiesa Vaidese
Cristiini niiia iotta di ciasse
Approfittando della giornata passata a San Germano dal pastore Victor
Rakotoarimanana, Segretario generale della CEVAA, gli abbiamo posto alcune
domande per i lettori del giornale. Lo ringraziamo per le risposte che ha voluto darci, e per la buona visita fatta a varie nostre chiese, nel corso di una
settimana.
^ Che cos’è la CEVAA che Lei rappresenta?
La sigla CEVAA significa Comunità
Evangelica di Azione Apostolica. Si
tratta dunque di una nuova Comunità
che raggruppa 23 chiese d’Africa, del
Madagascar, del Pacifico, di Francia,
Svizzera ed Italia. Si tratta di una comunità di Chiese che cercano di vivere insieme attorno alla Parola di Dio
per mettere in evidenza l’universalità
della Chiesa di Cristo.
Ne! quadro di questa nuova Comunità, le giovani Chiese diventate autonome partecipano attivamente all'azione missionaria. Ciò significa che le
Chiese membro mettono in comune i
loro mezzi e gli uomini disponibili per
compiere la missione che è affidata alla Chiesa d’oggi. Ciò significa inoltre
che ogni Chiesa membro è chiamata
ad intraprendere un lavoro di ricerca
e di riflessione in vista di scoprire una
nuova concezione dell’azione missionaria prendendo sul serio i vari contesti particolari nei quali la Buona Notizia della salvezza dev’essere annunziata. D’altra parte, nel quadro della
CEVAA è necessario di prendere in
considerazione tutte le dimensioni della salvezza poiché l’Evangelo dev’essere rivolto a tutto l’uomo per liberarlo da ogni servitù ideologica, sociale
ed economica. Ciò implica, per le nostre Chiese rispettive un cambiamento
di mentalità ed una riforma di strutture per favorire una nuova visione
della missione nel mondo d’oggi.
Gesù Cristo si è egli stesso spogliato
per divenire simile agli uomini e per
identificarsi coi poveri, cogli affamati
e con gli oppressi per partecipare alla
loro sofferenza ed alla loro miseria. Colui che crede in lui farà le opere che
Egli ha fatto. La missione delta Chiesa oggi corrisponde ad una vita con
gli altri e ad un’azione per gli altri,
■tale è lo scopo che siamo chiamati a
perseguire nella Comunità alla quale
apparteniamo.
A In che consiste la novità dell’azione missionaria per le Chiese di
Africa, del Madagascar e del Pacifico?
La novità dell’azione missionaria
delle Chiese d’Africa, del Madagascar e
del Pacifico va vista innanzi tutto nel
fatto che, ormai, esse divengono parte
attiva nell’opera missionaria. Infatti la
missione non dovrebbe più avere una
direzione a senso unico. Il concetto di
Chiese che mandano e di Chiese che
ricevono deve scomparire. Ciò implica,
per le nostre Chiese, la volontà di prendere sul serio la necessità di formare
i responsabili capaci di rispondere alle necessità reali sul piano locale. D’altra parte, bisogna anche riconoscere
che la missione della Chiesa deve andare oltre ogni frontiera denominazionale e confessionale. Infatti una Chiesa che si ripiega su se stessa si impoverisce e muore. Per ottenere questo
scopo, le Chiese d’Africa, del Madagascar e del Pacifico partecipano all’Azione Apostolica Comune che abbiamo
intrapreso a Bohicon, nel Dahomey, e
nel Poitou, in Francia. Infine, nel quadro del Consiglio della CEVAA, le giovani Chiese sono ufficialmente rappresentate. Sempre sul piano di tale Consiglio, il dialogo avviene su di un piano di uguaglianza e le decisioni riguardanti i nostri impegni comuni sono
prese in funzione delle necessità reali
di ogni Chiesa membro.
^ In qual modo le Chiese d’Europa
sono chiamate a comprendere e
vivere questi nuovi principi dell’azione missionaria?
Le Chiese d’Europa sono innanzitutto chiamate a riconoscere che la missione fa ora parte integrante della vita
della Chiesa. È la Chiesa in quanto popolo di Dio che è missionaria.
Bisognerebbe dunque formare la comunità locale in vista di questa missione. Ciò implica una revisione costante delle strutture, della vita ecclesiale a tutti i livelli, in modo che le
La rubrica tv
“PROTESTANTESIMO,,
N. 10, wiovedì 8 marzo
ore 18.30, II canale TV
L’impegno dei protestanti nella lotta contro le discriminazioni razziali : su questo tema
è articolato questo numero della rubrica. Dopo
un filmato introduttivo che illustra gli scopi
e le finalità del Programma di lotta al razzismo creato dal Consiglio Ecumenico per aiutare con un fondo di un milione di dollari le
organizzazioni che si battono per il superamento delle discriminazioni razziali, il conduttore Aldo Comba introdurrà Harry Daniel,
funzionario dell’organismo ginevrino, il quale chiarirà le motivazioni che hanno spinto le
chiese protestanti a prendere posizione su questo problema. Una rapida panoramica delle
di.scriminazioni esistenti anche tra noi concluderà l’odierno numero della rubrica.
(Ini. PCEI)
Chiese siano maggiormente capaci di
aprirsi al mondo nel quale vivono.
D’altra parte l’Evangelo dev'essere
annunziato non soltanto in terre lon
tane ma anche là dove la Chiesa è impiantata. Poiché il campo di missione
si trova tanto in Africa quanto in Europa. Si tratta dunque di una missione che da ogni punto va in tutte le direzioni.
Infine, bisogna dire che la Chiesa è
chiamata ad associarsi all’opera salvatrice di Cristo, secondo la quale la
liberazione dell’uomo occupa un posto
primordiale. In questo senso, le Chie
se d’Europa devono far prova del loro
dinamismo e dell’autenticità della loro
fede lottando contro ogni ingiustizia
sociale ed economica che sia fonte di
sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.
% Che cosa attende la CEVAA dalla Chiesa Valdese?
La CEVAA desidera vivamente che
la Chiesa Evangelica Valdese partecipi
attivamente alla missione che è affidata a tutte le Chiese membro. Ciò consiste non soltanto nel dare del denaro,
ma anche nel formare degli uomini e
delle donne in vista di compiere meglio la missione che Gesù ci affida. Per
riuscirvi, dobbiamo formare una comunità vivente attorno alla persona
del Cristo morto c risuscitato per noi,
una comunità che si nutre della Parola di Dio ed è costantemente animata
dallo Spirito Santo.
^ Quali sono i rapporti della CEVAA col Consiglio Ecumenico?
La nostra Comunità è una Comunità
aperta agli altri. Ecco perché essa cerca di portare il suo modesto contributo a tutte le riceiche_ di una visione
rinnovata della nissione. Perciò la
CEVAA ha dei japporti stretti con il
Consiglio Ecumeiiico delle Chiese ed
anche con la Conferenza delle Chiese
Africane (CETA), Speriamo, inoltre,
che tali relazioni ci arricchiscano maggiormente e ci aiutino a comprendere
meglio le responsabilità che abbiamo.
VtCToi) Rakotoarimanana
La Giornata
delle donne,
Mondiale
nelle Valli
di preghiera
Vaidesi
La Giornata mondiale di preghiera
delle donne è stata celebrata, a Torre
Penice, dall’Esercito della Salvezza il
2 marzo, data fissata a livello mondiale. Singolare, ma vero, fin dal mattino
mi son sentita avvolta da calde ondate
di una gioia particolare: non sempre è
così, ma già altre volte ho sentito quell’esperienza misteriosa, il primo venerdì di marzo, forse anche nel ricordo
delle giornate mondiali di preghiera
che avevo vissute nello Zambia.
Tuttavia, per facilitare la presenza
delle madri impegnate a casa, la domenica successiva alla data mondiale
è ormai la giornata in cui si radunano
varie comunità, nelle nostre Valli.
Il 4 marzo, nella Foresteria di Torre
Pellice che si presta a tutte le necessità di una vita comunitaria, ha avuto
luogo rincontro delle sorelle venute da
Villar Perosa, Pramollo, S. Germano,
Pinerolo e dalla Val Pellice, con il gruppo fedele dell’Esercito della Salvezza.
La liturgia, quest’anno, era stata preparata dalle donne della Nuova Zelanda, fiere della loro eredità maori, anche se la tradizione culturale è in gran
parte europea, da quando, nel 1770, vi
sbarcò lo scopritore Cook. Il tema era
quello della vigilanza: « Colui che è
vigilante sopravvive, colui che dorme
è distrutto » (proverbio maori); « Vegliate e pregate affinché non cadiate in
tentazione» (Matteo 26: 41); «Perseverate nella preghiera, vegliando in essa
con rendimento di grazie » (Colossesi 4: 2).
La meditazione era affidata a Clairette Conte, che ha vissuto questi ultimi
anni a Tahiti, nel lontano Pacifico e
che di tutte noi era quella che poteva
sentirsi più vicina alle sorelle dell’Oceania. Pur meditando sull’incontro del
cieco con Gesù, alla vasca di Siloe, ci
siamo sentite trasportare nelle isole
del Pacifico. Là tutti i luoghi di culto
portano un nome biblico. Eccoci a Siloe, all’inaugurazione del tempio nell’isola di Raiatea, in mezzo a una folla
gioiosa che canta la sua riconoscenza
con slancio e potenza. Accanto al tempio troneggia, quasi intatto, uno dei
grandi "marae”, grandi altari pagani
che i turisti vengono a fotografare. I
cristiani non lo temono più, TEvangelo
li ha liberati dalla paura. Come a Siloe Gesù aveva avuto pietà della sofferenza del cieco, così ovunque oggi ancora egli guarisce e ridà la Luce a chi
vive nelle tenebre. Nelle isole del Pacifico la morte era una realtà spesso
connessa con il culto, con sacrifici umani legati al terrificante potere attribuito allo spirito degli antenati. Cristo,
luce del mondo, ha reso, come noi. i
polinesiani figli di Dio. Al termine dell’inaugurazione del tempio evangelico
di Siloe, la folla era stata esortata a
non confidare nelle pietre nuove di quel
luogo, ma, come il cieco palestinese, in
Cristo soltanto. E ancora: in alcune
piccole isole, quando ancora si guerreggiava fra tribù, c’erano uomini che
vigilavano costantemente davanti alle
aperture nella barriera corallifera, attraverso le quali le imbarcazioni provenienti dall’oceano potevano penetrare nella laguna che circonda le isole:
sentinelle vigili, avvertivano le popolazioni di un pericolo imminente. 'Troppo spesso noi che viviamo nei nostri
paesi in pieno sviluppo tecnico, tranquillamente installate nelle nostre certezze, dimentichiamo di vegliare e non
sappiamo più vivere una fede gioiosa.
solidale. Non ci accorgiamo neppure
dello scandalo costituito dalle nostre
chiese così poco luminóse,' così poco
unite, così incapaci di adoperarsi per
la pace intorno a noi. Vegliamo! E ci
sia dato di dire, come il cieco di Siloe: « Una cosa so: ero cieco e ora ci
vedo ».
Con cuori riconoscenti abbiamo levato alTEterno parecchi inni. Assai limitata è stata però la partecipazione
di preghiera. Questi incontri rafforzano i legami di fraiernità, e offrono occasione alla presidente della FFV, Ade
Gardiol, di metterci al corrente sull’attività femminile. In maggio speriamo
di accogliere nelle Valli, accompagnata
da un gruppo di sorelle, l’amica Hoffet,
un pastore francese, specializzata negli studi biblici.
La colletta e le offerte di questa giornata andranno al Servizio stampa-radio-tv della FCEI per il programma televisivo « Protestantesimo ». Ci rallegriamo di ricevere notizie di altri incontri analoghi, altrove, in questa giornata che ci ha unite, in preghiera, in
un medesimo spirito di fede, di speranza e di amore.
Graziella Jalla
{Segue da pag. 1)
« prestato attenzione » al problema
operaio: è cresciuta una certa solidarietà a carattere per lo più episodico,
si è andata generalizzando la consapevolezza dell’importanza e dell’urgenza
della questione, ma lo scisma storico
tra cristianesimo e proletariato non è
sanato in nessuna chiesa o confessione
cristiana.
In ambito evangelico italiano soltanto il movimento giovanile ha affrontato seriamente il problema. Al termine
della sua ricerca teorica, condotta con
tenacia fino in fondo, attraverso non
poche difficoltà di vario genere, esso ha
proposto alla chiesa di operare una
svolta storica passando, con una. netta inversione di tendenza, da una posizione larvatamente anti-proletaria a
una posizione apertamente anti-capitalistica. Nel documento finale del loro
secondo congresso nazionale (1971) i
giovani evangelici, dopo aver riconosciuto che oggi « i due problemi fondamentali » per un credente sono « la
confessione di fede » e « un impegno
realmente anti-capitalistico », esprimono una duplice esigenza: quella « di
partecipare direttamente alla lotta che
il proletariato conduce contro l’org.anizzazione capitalistica di questa società, per la sua hberazione » e, all’interno di questa lotta, quella « di esprimere la loro fede, di predicare, di annunciare il Regno che viene » e di interrogarsi circa « il senso della preghiera e dell’adorazione ». Essi sanno
che la lotta anti-capitalistica non esaurisce la vocazione cristiana, ma « sanno altresì che la loro pratica sociale
può essere arricchita dalla fede e che,
viceversa, è quella stessa pratica che
può aiutare la comprensione dell’evangelo e della propria fede ». Questa posizione e le relative linee di azione documentano una presa di coscienza della rilevanza non solo umana ma teologica della situazione proletaria e nello stesso tempo mantengono vivo il
discorso di fede nei suoi contenuti
evangelici fondamentali e nelle sue forme caratteristiche di espressione. Ma
come il socialismo religioso rimase
una voce isolata e quasi senza eco nella cristianità del tempo, così le tesi
politico-teologiche del movimento gi(>
vanile hanno avuto sinora scarsa incidenza sulle nostre comunità e sono
state utilizzate più come argomento di
controversia che come invito a un ripensamento. Il risultato è che, malgrado l’autorevole appello di Tillich,
ormai lontano nel tempo ma attuale
oggi come nel 1931, e malgrado la recente proposta dei giovani, ben motivata sul piano politico e su quello
teologico, le chiese non hanno ancora
prestato alla situazione proletaria la
attenzione che devono prestarle, se non
vogliono ridurre la fede e il cristianesimo a pura ideologia.
È nel quadro di questa esigenza che
si colloca la pubblicazione da parte
della Claudiana del libro di Romano
Borgetto, prete-operaio a Cuneo e animatore di un gruppo cattolico di base.
Non è un testo di teologia o di etica
sociale in senso classico; non è neppure una proposta.di «pastorale per il
mondo del lavoro » dato che — precisa
l’autore — « a me la pastorale l’hanno
fatta gli operai, non io a loro ». Non è
dunque un trattato accademico, è il
Anche alla televisione
Il fine è rannunclo della Parola
Non mi è facile captare « Protestantesimo » sul secondo canale televisivo
italiano, ma quando posso lo seguo
con interesse. Dopo un periodo di rodaggio l’emissione dovrà far le sue
scelte: quali? Non dubito che per tutti
quel che conti sia la Parola. Il ritorno
alla quale è caratteristica del Protestantesimo, come del resto del Valdismo. La domanda quindi è: Come possiamo meglio offrire per mezzo della
Televisione la Parola agli italiani? Con
la semplice predicazione, lasciando che
agisca da sola, limitandoci all’annuncio, o servendoci di tecniche e di Magazines? Perché più facilmente la si
ascolti? La questione non è di facile soluzione ed ovunque vi sono i fautori
dell’una e dell’altra via. Ma è evidente
che per un protestante il fine è l’annuncio della Parola.
A questo pensavo udendo la trasmissione del 22 febbraio. Il tema era lo
studio della teologia nel protestantesimo italiano. Presentazione di scuole
teologiche da quella dei Barbi alla Facoltà di Roma ed interviste. Nulla però
che caratterizzasse il Protestantesimo:
vi sono quantità di seminari nelle diocesi cattoliche italiane. Saremmo semplicemente una variante? A mio parere
quello che è mancato è la caratteristica protestante: l’affermazione che nella
nostra teologia la base è UNICAMENTE la. Parola di Dio, la Sacra Scrittura; che ci si serve del pensiero dei Padri della Chiesa, di teologi medioevali
o moderni, dei Riformatori, ma sempre subordinandoli alla Sacra Scrittura, non essendo la nostra teologia
schiava né di Lutero né di Calvino né
di Barth; l’affermazione che la Chiesa
non indica una teologia, ma che la teologia basata unicamente sulla Sacra
Scrittura indica la via alla Chiesa.
Se si persiste a presentar noi stessi.
le nostre opere, le nostre missioni, i
nostri ospedali o rifugi, sarà una bella
nota di folclore, ma verremo meno alle
possibilità che Dio ci offre di dare una
visione protestante sulla teologia od altri temi toccati. Non interesseremo se
siamo soltanto una variante delle opere
di altre confessioni senza indicazione
di quello che ci caratterizza. Predicazione soltanto? Magazines? Poco importa, ma quel che importa è che l’emissione sia centrata sempre sulla sola
Parola di Dio.
Guido .Rivoir
diario di una esperienza; non è un’opera teorica, è una pagina di vita. Il pensiero che vi si trova è pensiero vissuto, non pensiero pensato: una cosa è
studiare i problemi, altra cosa è viverli. Il timbro di autenticità che percorre questo libro è dovuto unicamente al
fatto che prima di essere scritto sulla
carta è stato scritto nella realtà.
Qual è l’interesse dell’opera che presentiamo? E di essere una testimonianza verace sulla odierna condizione
operaia e di fornire le linee essenziali
della riflessione di fede che si è intrecciata con Tesperienza della vita di fabbrica. Il discorso si muove ovviamente nell’ambito della teologia cattolica,
i cui presupposti dogmatici affiorano
in quqjche ^casione. La tendenza di
fondo e però quella di superare la situazione confessionale della fede per
accedere a quella confessante. Lo stesso motivo sacerdotale, che ricorre a
più riprese (nel diario di un prete-operaio non poteva non occupare un certo posto), è svolto in termini assai diversi da quelli abituali: lo sforzo di
declericalizzare la figura e la funzione
sacerdotale è vivo e costante, anche se
una completa declericalizzazione del
messaggio e del ministero si può ottenere soltanto con la introduzione e la
pratica effettiva del sacerdozio universale dei credenti.
Il profilo di prete che le pagine del
libro lasciano intravvedere può essere
così caratterizzato: più testimone che
mediatore, più uomo di fede che uomo
di chiesa, più membro del popolo che
membro del clero. Sempre prete, certo, e non prete spretato e neppure
semplicemente prete "di sinistra’’; ma
prete i cui poteri sacramentali sono
come messi tra parentesi mentre la testimonianza della fede e l’impegno per
la giustizia occupano il posto centrale.
Questo prete insomma è un credente
che, entrando nel mondo operaio e vi„vendo in mezzo a un popolo per il quale « Dio è un lusso domenicale », non
comincia a predicare ma per oltre un
anno ascolta in silenzio, non distribuisce l’ostia consacrata ma impara a
spartire il pane della fatica. Intanto
ripensa interiormente il contenuto della sua fede, rilegge la Bibbia i cui racconti — dalla vicenda dell’Esodo alla
parabola di Giona — acquistano, alla
luce della nuova esperienza, un rilievo nuovo e inatteso, una forza prima
sconosciuta. Il salmo 42, che l’autore
ritraduce per uso personale, diventa
« il salmo più attuale che conosca »
nella situazione di vita di fabbrica, in
cui non si tratta di portare l’ostia ma
di portare la testimonianza di un Dio
che non è di classe, di una fede che
non serva di copertura ideologica della conservazione, di un amore che non
si stemperi in soluzioni interclassiste,
di una speranza che non sfoci in progetti di evasione, e nello stesso tempo di attestare con parole e opere che
l’evangelo non si esaurisce nella lotta
per il socialismo e che senza il Signore nessun mondo nuovo può diventare
reale. Insomma, il superamento dello
scisma tra chiesa e mondo operaio non
è un problema di mediazione sacerdotale ma è un problema di collocazione
della chiesa nella società e di predicazione. La questione centrale è quella
dell’ubbidienza, della fede e della testimonianza della chiesa, non quella
della natura del sacerdozio. Il valore
evangelico dell’esperienza narrata nelle -agine che seguono non è di documentare l’apparizione di un nuovo tipo di prete ma è di descrivere una ricerca di confessione di fede a partire
dalla condizione operaia realmente
condivisa e non solo teoricamente immaginata. Il valore di questo libro, in
sostanza, è proprio quello di « prestare attenzione » alla situazione proletaria e di aiutare noi, le nostre chiese, a
fare altrettanto.
Paolo Ricca
|illlllllllllllllllllllllilllllllllllllllll»lll«llll«llllllllllllllllllll"
Villar Perosa
Il Pastore Enrico Geymet si è trasferito nella nuova Casa Pastorale,
Chiesa Valdese, e comunica che il
nuovo numero del suo telefono è
51.372.
1 ciau
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NOVITÀ’
ROMANO BORGETTO
La pelle del manovale
un prete in fabbrica
Introduzione di Giulio Girardi
pp. 240, 5 ill.ni f. t., L. 2.400 (« Nostro tempo » 12)
Può un sacerdote essere rivoluzionario? Il caso del prete-operaio-sindacalista di Cuneo licenziato per « rissa ». Un documento umano straordinariamente ricco sulla condizione operaia e le sue lotte. Ma è anche il
libro di un credente che cerca nuove vie di servizio fra i « minimi » di
questo mondo.
EDITRICE CLAUDIANA
Via Principe Tommaso, 1 — 101125 TQRINO — c. c. p. 2/21641.
4
pag. «
CRONACA DELLE VALLI
N. 10 — 9 marzo 1973
Alle Valli oggi
La domonica
della
gioventù
Accanto alla domenica della Riforma, delle madri, delle missioni, c’è pure la domenica della gioventù. Senza
dubbio quest'ultima è, alle valli, la
meno sentita, in questi anni; lo rivela
anche la colletta che “dovrebbe" essere devoluta da tutte le comunità per il
lavoro giovanile.
Sono diverse le comunità (o meglio
i Concistori) che negli anni passati si
sono rifiutate di trasmettere la colletta al segretario della Federazione giovanile. lì fatto si spiega anche perché
sono rare le comunità che abbiano oggi un gruppo di giovani impegnati; il
disimpegno e l’individualismo da una
parte, il non credere più ad un tipo di
lavoro tradizionale dall’altra, sono alla base dell’assenteismo giovanile.
E si sa quanto sia difficile trasformare in impegni concreti, positivi, la critica alle strutture e all’istituzione della
chiesa. Si sono definitivamente perse
le speranze per un rinnovamento delle
nostre comunità? è proprio tutto quanto da buttar via?
Ma al di là di questi interrogativi occorre pure notare che ormai la contestazione giovanile all’interno delle comunità si è del tutto spenta; pare che
l’alternativa alia contestazione sia l’assenteismo. Beninteso un assenteismo
dalla vita della comunità locale, non
obbligatoriamente un assenteismo che
significa secolarizzazione, anche se questo aspetto è senza dubbio dominante.
È in puesto contesto di assoluta tiepidità che ritorna la domenica della
gioventù ed in cui si inserisce il « giro » di visite ai gruppi giovanili delle
comunità delle valli che è stato discusso neU’incpntro pastorale del 5 marzo
a Pinerolo. Ci si augura che questo possa essere l’inizio per un « rilancio » del
lavoro giovanile alle valli, anche in vista del Convegno del 25 aprile a Pramollo che avrà come tema « I valdesi
e la guerra », analizzando storicamente a partire dai primi valdesi, le svolte decisive fino alla Resistenza, con i
relativi interrogativi che ne derivano
per il nostro confronto odierno.
E. Genre
imiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiimiiiiiiiiin
Primo Distretto
Si ricorda ai direttori delle Scuole
Domenicali che in base all'ordine del
giorno, votato nell'incontro di domenica 10 dicembre 1972, tutte le Scuole Domenicali sono tenute a comunicare entro il 30 marzo alla Commissione del Canto Sacro se intendono partecipare alla Festa di Canto o se prenderanno iniziative diverse per il canto
delle Scuole Domenicali e quali.
COLLOQUIO PASTORALE
L’incontro dei pastori del I Distretto ha avuto luogo lunedì 5. Proseguendo l'esame dell’opera di E. Kasemann
ci si è soffermati sulla presentazione,
fatta nel cap. 4 della teologia delle lettere agli Efesini e pastorali. Il problema connesso con queste opere è Quello della necessaria trasformazione della comunità primitiva e della sua libertà in un ordine di vita e di fede
più rigoroso; ogni comunità necessita
di un ordine nella sua realtà concreta,
quale ha da essere però un ordine che
non soffochi la libertà? Il problema è
quanto mai attuale oggi fra noi.
Nel corso della riunione pomeridiana sono stati esaminati alcuni problemi attinenti al nostro Distretto:
La domenica della Gioventù (domenica 11 corrente) non sarà soltanto un
momento di ripensamento sul problema giovanile ma l’inizio di una ripresa
del lavoro in quel settore. Il past. Bruno Rostagno ha illustrato il progetto
di una serie di visite nelle comunità
durante il mese di marzo per una ripresa di contatto con i giovani anche
in vista di un convegno il 25 aprile a
Pramollo.
I Bollettini parrocchiali. I Concistori
hanno aderito al suggerimento della
Commissione Distrettuale di riunire
tutti i bollettini parrocchiali in un unico foglio che sarà inviato a tutte le
famiglie delle Valli; si tratta di un
esperimento in occasione di Pasqua
che verrà valutato in seguito e potrà
essere proseguito se incontra il favore di tutti.
Incontri dei cassieri. Dopo l’esito positivo degli incontri settoriali con i
cassieri delle comunità si avrà domenica 8 aprile alle ore 14,30 a Pinerolo
rincontro generale dei cassieri per l’esame del conto di previsione della Tavola in vista di proporre alle comunità l’approvazione di un conto di previsione per l’anno venturo. Sarà presente il sig. Gustavo Ribet membro della
Commissione Finanziaria della Tavola
per presentare ed illustrare i problemi.
Si ricorda in tema di finanze che
l’anno ecclesiastico si chiude in tutte
le comunità a fine aprile, secondo
quanto stabilito da ripetuti Ordini del
giorno della Conferenza Distrettuale.
La lettera ai presidenti della Camera e del Senato contro la proposta di
legge sul fermo di polizia è stata inviata nel corso della settimana, le persone che l’hanno sottoscritta sono state in tutto un migliaio. G. Tourn
La Provincia sospende
il servizio
di medicina scolastica
A Torre Pellice siamo venuti a conoscenza di un inspiegabile provvedimento che colpisce le scuole dell’obbligo delle Valli
RIFLESSIONI DI UN INSEGNANTE
Problemi scolastici alle valli
Val Pellice
Manca nelle Scuole della nostra Valle un servizio di medicina scolastica o
di assistenza sociale che segua gli alunni dalla Scuola materna, almeno, fino
al termine della Scuola dell’obbligo.
(L’unico intervento che presenta un
minimo di continuità è dato dalla comparsa ogni due anni del carrozzone del
Consorzio antitubercolare per le schermografie del torace).
È evidente che la salute del bambino è uno dei fattori determinanti del
suo rendimento scolastico (brutta parola che però « rende » l’idea) ed è altrettanto evidente che tale rendimento
va di pari passo con l’ambiente sociale e familiare in cui l’alunno è inserito. Un regolare servizio di medicina
scolastica (visite periodiche generali e
di controllo della vista, dell’udito, lezioni di ginnastica preventiva formativa, individuazione di difetti di pronuncia, di turbe del carattere eoe.) affiancato da un’efficace azione coordinata con le Scuole di assistenza sociale
a livello delle famiglie era stato programmato all’inizio di quest’anno scolastico, previ accordi tra personale
qualificato alle dipendenze della Provincia, le scuole locali ed i comuni (che
si erano impegnati a versare urta cifra
di L. 2.500 per ogni alunno). Già in
questi incontri ci si era resi conto del
fatto gravissimo che équipes di assistenti sociali, sanitari, psicologi, medici ecc. sono lasciati inoperosi in un
ufficio anziché venire utilizzati nel vivo delle mille situazioni che esigerebbero la loro presenza.
Pareva finalmente che qualcosa si
sarebbe fatto ed effettivamente, sia
pure ad anno scolastico iniziato, si ebbero visite generiche in alcune classi
e cominciarono le lezioni di ginnastica
correttiva, limitatamente alla scuola
elementare.
Si sperava per aprile anche in qualche intervento a livello di Scuola Media. Tutto molto ridotto — come si vede — ma era comunque un inizio e si
sperava in un’organizzazione seria e
tempestiva del servizio per l’anno prossimo.
A questo punto la bomba: il Comitato Regionale di Controllo boccia la
relativa delibera della Provincia e tutto rientra nel nulla: le scuole al loro
abbandono, i medici, assistenti ecc. ecc.
della Provincia alla loro forzata inerzia. Anche le poche lezioni già iniziate
vengono sospese.
Non si capisce se sia più grave la
responsabilità (o meglio la irresponsabilità) dell’Amministrazione Provinciale (che si è mossa tardi, che evidentemente non ha impostato seriamente la
cosa, né si è preoccupata molto che
andasse in porto) oppure della Regione (le Regioni non erano state concepite in vista di interventi più efficaci
nel loro ambito - dato che Roma è un
po’ lontana?).
Soprattutto si capisce che gli enti
A chi serve
Il cenvitte di
Valdo Casalini mi ha costretto con la sua
lettera pubblicata sul n. del 23 febbraio u. s.
a battermi la mano in fronte e a dirmi fra
me : « Già, distrattone che sono : in Val Germanasca non esiste soltanto la Scuola Media
di Perrero, ma anche la Scuola Latina ». Poi
mi sono ripreso e ho pensato: se la dimentico
in modo cosi palese non mi si potrà almeno
più accusare in futuro, come si è fatto in
passato, di nutrire verso questo nostro istituto un certo malanimo che deriverebbe da una
non dimostrata concorrenza fra le due scuole.
Ci sono diverse famiglie nella Valle che mandano i figli indifferentemente all’una o all’altra scuola sulla base di considerazioni che non
hanno a che fare con concorrenze di sorta e
a tutti quelli che mi hanno chiesto consiglio
ho sempre detto che li mandassero dove volevano, purché non evadessero Tobbligo scolastico — come invece capita ancora in qualche
caso —. Sfido chiunque a smentire queste
affermazioni sul giornale. Se mi sono espresso
in passato per la chiusura di questo istituto
come del Collegio di Torre Pellice non è per
ragioni di concorrenza, ma per ragioni di principio, perché sono contro le scuole private di
qualunque parte. In seguito avevo cambiato
idea, proprio per la Scuola Latina, perché la
Tavola aveva presentato in Sinodo un progetto che, nella situazione attuale, consideravo valido, ma che non consisteva certo nel
fare della Scuola Latina il passaggio obbligato
per chiunque voglia andare alla Scuola RIV!
Però non è neanche un passaggio sicuro.
Non mi consola affatto che oltre agli alunni
di Perrero sia stato respinto anche uno su tre
della Scuola Latina. Questo vuol dire che su
tutti gli alunni proveninenti dalle scuole della Val Germanasca solo tre su nove sono stati
ammessi. E allora torno a chiedermi : a chi
Strettamente locali come i Comuni dovranno arrabattarsi per risolvere da
soli (o meglio uniti fra loro) tutti i
problemi importanti (ma ritorna l’inquietante interrogativo: e il personale
alle dipendenze della Provincia che già
conosceva i problemi della zona e che
ha la qualificazione necessaria che ci
sta a fare?).
Tutte le scuole locali interessate ed
alcuni comuni hanno inviato lettere di
protesta, ma ci pare utile che la popolazione sia informata di come sono
andate le cose.
Val Germanasca
Con lettera in data 19 febbraio l’assessore alla Pubblica Istruzione della
provincia di Torino, on. Rolando Picchioni, ha comunicato alle Direzioni
Didattiche ed ai sindaci interessati che
per il corrente anno scolastico verrà
sospeso il Servizio di Medicina scolastica in quanto gli organi di controllo
della Regione non hanno approvato la
delibera relativa al finanziamento.
Muore così, miseramente, questo prezioso servizio sociale, promosso ed avviato alcuni anni fa dalla Provincia di
Torino,-a cui avevano aderito la maggior parte dei comuni. Questo servizio
non aveva certo risolto tutti i problemi relativi alla salute dei minori e critiche erano venute da varie parti. Le
difficoltà non erano mancate anche in
considerazione delle zone troppo vaste
affidate a ciascuna « equipe » il che ne
diluiva eccessivamente l’intervento, sia
nel tempo sia nello spazio. Ciò malgrado, rm buon lavoro era stato iniziato nella prevenzione e nella cura delle
malattie tipiche dell’infanzia in particolare i difetti della vista, dei denti, le
malformazioni congenite, ecc. I casi
difficili erano seguiti con particolare
cura e qualche risultato confortevole è
stato ottenuto. Ultimamente erano stati aperti parecchi corsi di ginnastica
correttiva ed intesg|2rano in corso per
istituirne altri entrò breve termine.
Ora tutta questa complessa orsanizzazione si è inceppata a causa di un
provvedimento la cui giustificazione ci
sfugge e tutto il lavoro iniziato e quello progettato sono destinati a cadere
nel nulla. È vero che la legge prevede
per i comuni l’obbligo di istituire ii
servizio di medicina scolastica, ma in
realtà sono ben pochi quelli che avranno la possibilità finanziaria ed organizzativa di mettere in atto queste disposizioni. Quindi, ancora ima volta, saranno i ragazzi delle classi più disagiate, dei comuni più piccoli e dispersi nella pianura o nelle valli a subire
le conseguenze di questo provvedimento perlomeno intempestivo.
C’è solo da augurarsi che questo faccia sì che le Comunità Montane prendano seriamente in considerazione la
possibilità di gestire in proprio qubsto
importante servizio sociale.
Villar Perosa?
serve il Convitto di Villar Perosa? Continuo
a vedere le luci spente la sera e il cortile vuoto di giorno: non funziona ancora, mi si dice.
Funzionerà. Ma con quali ospiti? Se, invece
di sottolineare che ci sono tre ragazzi che
sono stati ammessi alla Scuola Valdo Casalini
avesse fatto un sondaggio fra quelli che la
frequentano e mi avesse detto: Su un centinaio o giù di li ehe frequentano la Seuola
RIV, ben cinquanta aspettano con ansia che
le porte del Convitto si aprano per poter usufruire di questo prezioso servizio, allora dovrei lacere e pensare che la domanda che ponevo era ispirata dalla mia più incorreggibile
malizia.
Ma invece nessuno ha mai saputo dirmi
quanti ospiti saranno, perché è risaputo che
anche i ragazzi che vengono da fuori Villar
hanno il viaggio pagato fino a casa. Dato che
Pospitalità al convitto sarebbe presumibilmente a pagamento, credo assai improbabile che
uno rinunci ad andare gratis a casa per andare in convitto a pagamento. A meno che...
la Direzione della RÌV, per non rinunciare
domani a quella piccola percentuale di profitto che oggi impiega a pagare i viaggi, non
finisca per dire ai ragazzi : adesso avete un
convitto, quindi è inutile che vi paghi i viaggi. Non penso che si giunga a tanto; ma se
per caso vi si giungesse, allora eapirei finalmente a chi serve il Convitto di Villar Perosa.
Per ora, sarà distrazione, sarà pessimismo sul
futuro dello stesso stabilimento RIV e della
scuola aziendale (il numero degli addetti alla
RIV di Villar Perosa è pa.ssato dai 5017 del
1961 ai 3033 del 1971 e continua a diminuire), ma non lo capisco proprio.
Claudio Tron
LA SELEZIONE
Dopo la « Lettera a una professoressa » degli scolari di Barbiana si sono
moltiplicati in Italia gli studi statistici che dimostrano che chi prende i
brutti voti a scuola sono i figli dei lavoratori. Le statistiche sono corrette
ma si deve anche riconoscere che nelle scuole dove ci sono solo figli di lavoratori, come alle Valli, c’è lo stesso
chi fa bene a scuola e chi fa male. Ci
siamo spesso posti questo problema
tra gli insegnanti della Val Germanasca e la conclusione a cui siamo giunti, confortati in questo dall’opinione
dei medici e degli psicologi che periodicamente visitano i ragazzi, è che in
genere non riesce a scuola chi beve vino in casa. Riteniamo che questa sia
una delle piaghe della Valle che è più
facile estirpare, ma che i genitori non
sempre sentono come tale. Il vino ai
ragazzi fa male e fa solo male. Non fa
digerire, non dà colorito, non dà nessuno dei vantaggi che certe credenze
popolari gli attribuiscono.
Un’altra parte dei ragazzi che non
riescono hanno i genitori o i nonni che
bevono. Più lontano fra gli antenati è
stata la persona che beveva troppo,meglio riescono i ragazzi a scuola. E
questa una legge che probabilmente
tutti gli insegnanti delle Valli hanno
verificato.
Questo discorso non significa, naturalmente, che tutto quello che si impara a scuola sia utile. Se chi beve facesse solo male il latino, la cosa non
preoccuperebbe nessuno, perché questa lingua non serve a niente. Il guaio
è che le facoltà intellettuali sono compromesse per tutti gli aspetti della formazione del ragazzo.
LA GRATUITA' DELLA SCUOLA
L’art. 34 della Costituzione della Repubblica dice che « l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni,
è obbligatoria e gratuita ». Invece, come si sa, i testi delle medie si pagano
saporitamente. Tra qualche tempo gli
insegnanti, insieme a un rappresentante dei genitori, sceglieranno i libri di
testo per l’anno prossimo. È controverso se l’adozione del libro di testo
sia una facoltà o un obbligo per gli insegnanti. Ma quel che è certo è che
nessun insegnante ha l’obbligo di far
comprare agli alunni il testo adottato.
Quindi se l’articolo della Costituzione
non è applicato è anche in parte per
colpa dei singoli insegnanti, quando
esigono che tutti gli alunni abbiano lo
stesso testo o, semplicemente, abbiano un testo. Si può benissimo far scuola anche se gli alunni hanno testi diversi tra di loro; anzi, in questo modo
si accorgono che i diversi testi hanno
ispirazioni ideologiche che li condizionano e che non esiste una neutralità
della scienza. In questo modo un solo
testo serve per diversi fratelli o cugini o amici. E si può far scuola anche
senza testi, coi libri di cui ogni biblioteca scolastica è fornita, solo che lo
si voglia.
Se le famiglie esercitassero 11 loro
diritto alla gratuità della scuola anche
le case editrici sarebbero costrette a
contenere i loro prezzi.
C. Tron
.iiHiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
COMITATO COLLEGIO VALDESE
Lezioni teologiche
del prof. Bruno Corsani
Nella settimana dal 26 marzo al 1*
aprile si terrà a Torre Pellice il terzo ciclo di lezioni teologiche indetto
dal Corhitato del Collegio Valdese d'in
tesa con professori della Facoltà Valdese di Teologia e con la Commissionidei I Distretto. Oltre alle consuete manifestazioni — predicazione, lezioni
agli alunni del Collegio e della Scuola
Latina, conferenza pubblica — il prof
Bruno Corsani terrà una serie di lezioni su «L’Epistola ai Romani». Il
programma dettagliato verrà dato nei
prossimi numeri.
Il C.C.V. e S.L.
La voce delle comunità
POMARETTO
I dodici falò che si vedevano dalla...
futura piazza comunale di Pomaretto,
più gli altri, di Inverso Pinasca, nascosti, ma facilmente immaginabili,
hanno ripetuto un gesto che per esser
antico come l’uomo riesce sempre a
commuovere e ad unire. La banda, il
corteo che, troppo rapidamente secondo alcuni, ha sfilato secondo il solito,
facevano pensare a qualcosa di mezzo
tra una celebrazione risorgimentale e
una festa paesana. Ciononostante la
festa era avviata, in una splendida
mattinata di sole, con le due bande,
quella di Inverso e quella di Pomaretto; la festa era avviata e questo era
l’importante: trovarsi, forse mettendo
da parte divergenze più o meno profonde; la capacità di tutti di mostrare
un viso sorridente. La tradizionale festa di paese altrove l’hanno risuscitata, riscoprendo o inventando tradizioni, per attirare turisti: l’hanno moltiplicata, filmata, teletrasmessa a colori, soprattutto finanziata, pompata,
sfruttata. Non qui: la si fa per trovarsi, il costume lo si mette perché piace, fidando nel bel tempo; non è uno
spettacolo, è un incontro. Poi gli ospiti svizzeri, a testimoniare di un’amicizia secolare attraverso le Alpi, nutriti,
veleggiati, trasportati, accompagnati
sui luoghi storici a capire qualcosa di
una storia che per i valdesi stessi è
ormai da scoprire.
Entrano nella chiesa, la gremiscono.
Alcuni stanno in piedi per un’ora. Una
festa deve avere un’anima, un senso
profondo. Il resto è partecipazione,
espressione. Si affida al pastore un
compito certo troppo grosso: mettersi tutti insieme all’ascolto di una parola che non si è più abituati a considerare essenziale, una parola che ci
prende più sul serio di quanto noi non
ci prendiamo. E una manifestazione
popolare che è anche risposta a una
lunga predicazione: 220 firme subito
per una protesta che si collega ai diritti civili (vedi « Eco-Luce » del 23
febbraio. In tutto la gente di Pomaretto ha raccolto 500 firme).
La filodrammatica per due sere fa
un pienone: ci vengon tutti e la Banda Musicale inserisce negli intervalli i
suoi pezzi migliori. « La Buona Speranza » è una storia impegnativa di
marinai sfruttati, che rappresentata
per la prima volta nel 1000 farà il giro
del mondo, provocando persino l’emanazione di una legge in difesa dei marittimi. Gli attori ce la mettono tutta,
risulta che se la cavano bene, riportando solo leggeri abbassamenti di voce, ma tanti applausi.
nell’apprendere che il Comune di Frali
è stato escluso da questi aiuti. Non
si riesce a capire quali criteri di valu
tazione abbiano indotto gli uffici com
petenti a prendere una decisione del
genere. Durante l’inverno '71-72 sono
caduti a Frali 9 metri e 50 cm. di ne
ve, molti: stabili sono stati danneggiati
anche da valanghe, la strada è stata
bloccata per parecchie settimane, il
servizio per il trasporto degli alunni
delle Scuole Medie a Perrero è stato
sospeso per 34 giorni. In una situazione del genere non riteniamo si possa
pensare che Frali sia uscita indenne
dalle nevicate dell’inverno passato o
non pensiamo neppure si possa dubitare della veridicità della documentazione inoltrata a suo tempo daH’Amministrazione Comunale alla Prefettura.
Ci risulta che il Sindaco ha provveduto ad inoltrare una protesta ufficiale
per la nostra esclusione.
Speriamo vivamente che gli uffici responsabili vogliano rivedere le loro decisioni per non deludere ancora una
volta chi in montagna fa tutto quello
che può per risolvere i suoi problemi
di vita in condizioni spesso non facili,
in attesa di un piano che affronti l'intero problema della montagna. I provvedimenti come quelli da cui siamo
stati esclusi hanno certamente la loro
utilità quando si verificano delle situazioni eccezionali, ma solo in queste
occasioni e fino a che un piano per la
soluzione globale dei problemi della
montagna non sia in grado di prevedere anche simili casi di emergenza.
PRALI
La corrispondenza di R. Genre anparsa suH'Eco del 23.2.1973 informa i
lettori quali sono i Comuni della nostra zona ammessi a godere delle provvidenze previste dalla legge n. 83 del
16.2.1972 a favore delle zone danneggiate dal maltempo del gennaio-febbraio dell’anno scorso.
Grande Io stupore e vivissimo il disappunto fra la popolazione di Frali
PRAMOLLO^
Il Moderatore, Pastore A. Sbaffi, ha preso
contatto con la nostra chiesa mercoledì 28 febbraio u. s. : ha desiderato essere informato dei
problemi e della vita spirituale della comunità ed alla sera ha presieduto una riunione nella sala rivolgendo ai presenti, discretamente
numerosi, il messaggio biblico ed interessanti
notizie sul protestantesimo nel mondo e sui
fratelli del Sud America in risposta ad alcune domande rivoltegli. Nel ringraziare sentitamente il Moderatore per la sua vìsita, gli
auguriamo ogni benedizione del Signore nel
suo lavoro e nella sua famiglia. Favorite da
un tempo splendido, le celebrazioni del 17
Febbraio si sono svolte secondo lo schema
tradizionale e con larga partecipazione di
membri di chiesa. La sera della vigilia sono
stati accesi i « falò »; la mattina del 17 il corteo, quindi il culto col contributo della Scuola Domenicale che ha cantato un inno deir.innario italiano. AlFuscita dal tempio colletta
in favore della Società di Studi Valdesi per la
ristrutturazione del museo e del centro culturale di Torre Pellice, mentre ai bambini è
stata distribuita una « brioche », dono della
Panetteria Blanc che ringraziamo vivamente,
ed una cartolina ricordo di questa giornata.
Poi un numero rilevante di commensali forse più di 140, fratelli e sorelle della comunità
ma anche in larga maggioranza provenienti
da altre chiese, s’è ritrovato al Ristorante
« Gran Truc » per il consueto pranzo otti( continua a pag. 5 )
iiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiim
Hanno collaborato a questa pagina: A. Frache, E. Genre, R. Genre,,
T. Pons, S. Rostagno, G. Tourn.
5
■9 marzo 1973 — N. 10
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
pag. >
Una esparienza riataoraata, la aisiia lai laadantara aaHa IIìAI
(segue da pag. 1)
propria perdita, ma racchiude d’altro
lato una speranza: la diaspora, fin dalle origini, è sempre stata nella storia
•cristiana una grande possibilità. Desidero comunque ribadire che avverto
un vivo senso di solidarità con coloro
-che soffrono per lo sradicamento; una
situazione che però potrà trovare lo
.sbocco di possibilità nuove, malgrado
il travaglio, se c'è una fede autentica.
i'IMPORTANZA
DELLE RIUNIONI QUARTIERALI
E DELL'ANZIANATO
^ In questo giro ha avuto contatto
con le strutture ecclesiastiche delle nostre Valli, a tutti i livelli: che
ne pensa?
—In primo luogo ho compreso l'importanza enorme e la validità delle
riunioni di quartiere: luoghi e momenti in cui vi sono grandi possibilità di
•comunione e di comunicazione, d’informazione; sono uno strumento meraviglioso che ancora ci è dato, e la gente
risponde, partecipa. In riferimento a
questo, ciò che meraviglia uno che, come me, viene dalla diaspora, è l'anzianato: nel quadro del quartiere, l’anzianato è una figura e ha una funzione caratteristica, difficilmente riscontrabile
nelle chiese della diaspora, nelle grandi città. Chi, poi, era abituato a considerare le Valli come un agglomerato
di parrocchie-isola, si trova di fronte
a una trasformazione in atto, che in
•certi casi è radicale, sia in Val Pellice
-che in Val Germanasca e in Val Chisone, sia che si tratti di collaborazione
fra chiese vicine, sia che si abbozzi una
■ vera propria vita insieme a livello di
"presbiteri”. Questa trasformazione mi
pare nettamente positiva e dipende dal
lavoro dei pastori e dalla maturazione
della comunità. Certo, ci sono ancora
“parrocchie”, così come ci sono comunità che si sentono "diverse” da altre;
ma sottolineo fortemente l’unità di
questo lavoro in comune: non è una
semplice questione di funzionalità, ma
•è un fatto d’importanza spirituale assai grande, tenuto conto anche della
trasformazione della struttura sociale.
In questo quadro, è rallegrante la collaborazione fra pastori, negli incontri
di zona per la preparazione della predicazione e nelle riunioni mensili a Pinerolo, per studio e dibattito dei problemi del Distretto: si esce così dall’isolamento, circolano le idee, i proble
Parliamo di pastori...
Ferrerò, 21 febbraio 1973
Ho letto con indignazione la lettera di Valdo Casalini suWEco/Luce del 23 febbraio.
Le accuse, le insinuazioni addirittura volgari
in essa contenute sono di cosi bassa lega che
mi sono veramente stupita che essa abbia
trovato posto in un giornale in cui dovrebbe
«sserei in vere uno scambio « fraterno » di idee
pensieri. Ci sarebbero moltissime cose da dire
5u tutto quello che essa contiene, molto probabilmente altri lo faranno; io vorrei solo
dire poche cose, la prima riguardo i pastori.,
moderni (un termine anche questo molto strano). In quanto moglie di uno di essi, vorrei
precisare che non mi pare molto esatto parlare dei giovani pastori come di dittatori calati da Roma per fare il proprio eomodo ed
approfittare della dabbenaggine della povera
gente. Non mi pare che mettersi al servizio
dei minimi, vivere le loro sofferenze, aiutarli
nelle loro necessità, vivere insomma la propria vita per gli altri significhi essere dei
dittatori. E che naturalmente si faccia tutto
questo, non per avere lo stipendio alla fine
del mese, o per avere un tetto assicurato o
ancor meno n per avere l’oholo della povera
vedova », ma viceversa per amore, per portare nel mondo quelEaraore che Dio ha manifestato per noi con Gesù Cristo, tutto questo
dico, è una cosa che dovrebbe essere talmente chiara ed evidente da non suscitare alcun
dubbio di sorta. In secondo luogo mi stupisce molto che il pastore Gino Conte nella sua
postilla alla lettera dimostri di non sapere discernere i lupi traversiti da pecore! Perché
qui viene per me la seconda grossa questione :
quale scopo si propone la lettera di « Valdo
Casalini » (ma esisterà poi davvero un individuo con questo nome?) Non forse proprio
quello di gettare fumo negli occhi della gente e di distruggere tutto quello che con fatica
e con lacrime si cerca di costruire nelle comunità? Non si rende conto il direttore dell'Ero/Luce che, pubblicando scritti di quel
genere, non si contribuisce all'edificazione
della comunità, ma alla sua divisione? Perché egli continua a pubblicare scritti con
pseudonimi non solo offensivi, ma veramente deleteri, che esasperano ancora di più gli
animi? lo vorrei che. nel suo lavoro, egli tenesse maggiormente in conto quella bella esortazione dell'apostolo Paolo: « Niuna mala parola esca dalla vostra bocca, ma se ne avete
alcuna buona che edifichi, secondo il bisogno,
ditela, affinché conferisca grazia a chi l'ascolta ».
Fraternamente Nella Deodato
Riclaretto. 4 marzo 1973
Signor direttore,
mi dispiace quanto è stato scritto; io non
intendevo dire che i pastori prendevano lo
stipendio per godersi l’appartamento, questo a
me non è mai venuto in mente. Io ho detto
che se volevano togliere tutto, tanto valeva
chiudere le chiese; e sé sbagliano, Dio solo è
colui che deve giudicare. Ma poiché santi
non lo siamo nessuno, cerchiamo di non incolpare tutti i pastori che si accontentano di
tale stipendio unicamente perché hanno sen
mi vengono affrontati insieme (buona
l’articolazione in commissioni, ecumenica, catechetica, sociale, turistica etc.)
e vi è possibilità di collaborazione e di
critica fraterna: qui c’è indubbiamente qualcosa di nuovo, che non è rimasto a livello pastorale. È significativo,
infatti, che su iniziativa della Commissione distrettuale i cassieri dei Concistori abbiano iniziato incontri regolari
per mettere in comune le loro esperienze, confrontare la loro opera, organizzarla in comune, sviluppando l’assunzione di responsabilità. Non nascondo che, come responsabile dell’amministrazione della nostra Chiesa, guardo
con speranza e fiducia a questo impegno di responsabilizzazione locale, che
potrà permettere il completamento
dell’azione avviata perché le chiese inviino mensilmente alla cassa centrale
ciò che essa deve devolvere agli assegni al personale.
IL CENTENARIO:
UN'OCCASIONE DA NON SPRECARE
0 II Centenario è alle porte e si comincia a insistere su quella nota.
Come Le pare che questo periodo
possa essere vissuto in modo valido dalle nostre chiese?
— Col passare dei mesi abbiamo riscontrato la validità dell’impostazione
data dal Sinodo alle prossime celebrazioni. Nel corso della riflessione già iniziata nella Chiesa, in particolare sulla
sua stampa, abbiamo scoperto la grande attualità dei motivi della prima Riforma, sia per gli impegni proposti .alle
Chiese evangeliche, sia per ciò che concerne la nuova forma di ecumenismo
con il dissenso cattolico. Negli incontri
che ho avuto nelle 'Valli, là dove mi sono state poste domande sull’8° centenario, ho avuto modo di illustrare come le Chiese della Riforma aspettano
un servizio dalla Chiesa Valdese: gli
elementi della prima Riforma possono
essere fattori dinamici per tutto il
Protestantesimo, e dalla Germania e
dalla Gran Bretagna molti fratelli ci
hanno già detto: non sprecate quest’occasione, preziosa per tutti. Nel corso
delle recenti sedute della Tavola abbiamo avuto, tra l’altro, un incontro con
il Comitato del Centenario (costituito
essenzialmente dal seggio della Società
di Studi Valdesi), con il quale sono stati fissati alcuni punti: articolazione delle celebrazioni, formazione di un comi
tato di accoglienza, attività editoriale,
anche a livello popolare etc.; se ne riparlerà ampiamente anche su queste
colonne. Invito caldamente le chiese a
riflettere su questa pubblicistica, sia
nella stampa periodica che in altre
pubblicazioni, per cercare di cogliere
il richiamo della prima Riforma, in un
serio equilibrio con l’apporto decisivo
della Riforma del XVI secolo.
17 FEBBRAIO:
SOBRIETÀ' E SERIETÀ'
H. Ha potuto vivere il 17 febbraio
nelle Valli. Quale impressione ne
ha tratto?
— Per la prima volta ero nelle Valli
in quest’occasione. L’esperienza degli
anni in cui ho vissuto questa ricorrenza nelle comunità della diaspora italiana mi aveva fatto intuire, attraverso i
fratelli originari delle Valli, che vi era
qualcosa che non era folklore. Questa
intuizione si è ora verificata e precisata e ho potuto prendere atto dei contenuti della celebrazione del 17 febbraio,
di cui ho dappertutto notato la sobrietà. Mi sono reso meglio conto che un
aspetto della celebrazione riguarda la
comunità civile, il che spiega alcune
manifestazioni e la partecipazione popolare. È chiaro, c'c il pericolo che la
comunità civile e le sue manifestazioni
prendano il sopravvento sulla comunità dei credenti; non ho però notato, nei
fatti, questo rischio. Vedendo le folle
alle riunioni, ai pasti comunitari, intorno ai falò, può naturalmente sorgere
il dubbio: si tratta di un alibi religioso? Mi è però parso forte il desiderio
di comunione fraterna, di un’opportunità d’incontro: e dipende da noi il contenuto che diamo a quest’opportunità,
dipende da noi se sapremo sottolineare
la libertà dei figli di Dio in Cristo. Mi
ha poi colpito, quest’anno, la solidarietà con i fratelli dell'Uruguay e dell’Argentina: parlando di libertà, è stato
naturale e sentito pensare a situazioni
di sofferenza; ed è in questo quadro e
in questo spirito clic ho mandato, a nome della Tavola e deila Chiesa, un messaggio di solidariel.d al Sinodo valdese
rioplatense che sta jicr riunirsi a Jacinto Arauz, nella pampa argentina. Una
solidarietà che non è pura solidarietà
umana, Tho sentito nelle preghiere di
intercessione di questi giorni. A questo,
anche, pensavamo intorno ai falò, le
cui fiamme vivide, dirompenti erano un
simbolo possente deila libertà. Ancora,
I lettori ci scritono
tìto la vocazione di servire il Signore. Cono
SCO pastori che non hanno nessun confort,
vanno non in macchina ma a piedi a visitare
malati e tenere riunioni, e altri che lavorano
gratuitamente per la chiesa. Cerchiamo di
essere anche più comprensivi perché se continuiamo a tirar sassi da tutte le parti, ciò
non sarà d’incoraggiamento per i giovani che
sentono una vocazione pastorale.
In quanto alle critiche che sono sorte a
Villar Perosa, mi congratulo col pastore Geymet che egli abbia Dio in ogni sua iniziativa :
così dovrebbe essere per ogni persona, e il
mondo sarebbe molto migliore.
Enrichetta Clot
Signor direttore.
Sul n. 8 del 23 febbraio ho letto le lettere
di due lettori, ambedue riferite al problema
dei pastori. Sebbene sia pastore in pensione
di Berlino, e perciò non partecipi in modo
adeguato ai problemi della Chiesa Valdese, mi
permetta di dire qualche parola al riguardo.
Mi ha colpito la frase, scritta probabilmente
in una particolare situazione difficile : « Rida
teci i nostri vecchi pastori ».
Sarebbe veramente questa la soluzione del
problema ?
I giovani pastori vengono nella comunità
come uomini interessati ai problemi sociali
e politici. Ciò li porta a giudizi duri su comunità e chiesa, e porta pure le comunità
ad esprimere giudizi duri su questi giovani
pastori, che spesso vengono nelle comunità
con la migliore volontà ed impegno.
È inevitabile che sia così?
In Germania ho sentito una volta questa
frase, che certamente cosi formulata non è
giusta : « Ogni comunità ha il pastore che si
merita ». Vi è tuttavia qualcosa di giu.sto in
questa frase esagerata.
Nel 1934 .sono giunto nella mia prima comunità, pieno della teologia di allora, il liberalismo, e degli ideali di quel tempo. In tal
modo non ero certamente il pastore ehe tale
comunità meritava.
Ma la comunità c era, e doveva accordarsi
con me. Ricevuto un pastore che era com’era,
non si cominciò a criticare, non si divenne
amari, non ci si rivolse alla direzione della
Chiesa per avere un altro pastore. Si fece
una cosa completamente diversa : ed è questo
che io ritengo la soluzione del problema dei
pastori, anche oggi. Si pregava per il pastore
che era stato mandato dalla direzione della
chiesa. È chiaro che non lo fecero tutti, ma
ve n’erano alcuni ai quali stava a cuore che
il loro pastore diventasse un vero pastore. E
questa gente è stata esaudita! Senza minimamente saperlo, sono stato oggetto delle preghiere della mia comunità finché non sono
diventato un pastore credente. Ecco!
Che cosa esiste prima; il pastore o la comunità? In generale, se non si tratta di un
paese che viene appena evangelizzato, esiste
prima la comunità. La comunità è titolare
della predicazione, che viene fatta nel suo
seno. Il pastore è, incaricato della predicazione, della catechesi, della cura d’anime, sotto
la responsabilità della comunità.
E se il pastore che si ha non è tale quale
dovrebbe essere davanti a Dio, che cosa fa la
comunità? Critica? Si lamenta dei pastori o
dei giovani pastori? Strilla per avere un altro
pastore? Macché, la direzione della chiesa
non ha un tale serbatoio di pa.stori, dal quale
poterne prendere un altro adatto a quella
particolare comunità. Anch’essa deve accettare
i pastori come le vengono dalla facoltà di teologia. E la facoltà? Anch’essa non può che
formare i giovani che si iscrivono per lo studio della teologia. E questi portano con sé
(oggi come nel passato) lo spirito del tempo!
C’è una sola possibilità: pregare per i pastori!
Qualche tempo fa i membri di una eomunità tedesca mi domandarono se fosse giusto
quello che stavano facendo: « Noi preghiamo
per il nostro pastore, il quale (cosi si esprimevano) non Tha ancora veramente capito ». Li
ha esortati a continuare perché il pastore
è un incaricato della comunità, la comunità è
responsabile del suo pastore.
Occorre pensare anche ad un'altra cosa: si
può avere, quando si decide di diventare pastore, la migliore volontà, i motivi più puri
(è quello che vorrei concedere ai nostri giovani pastori), ma lo Spirito Santo non ci può
venire da noi stessi. La trasformazione è oper-j di Dio soltanto.
Gesù dice: «Se uno non è nato di nuovo
non può vedere il regno di Dio »! Chi non è
nato di nuovo, non sa niente dello specifico
di cui si tratta nella chiesa. Perciò ritiene, con
buona coscienza, che gli affari sociali e politici (che naturalmente sono molto importanti)
siano gli affari del Regno di Dio, che non si
può vedere, e ritiene invece che la hibbia, il
culto, il pentimento e la preghiera non siano
cose cosi urgenti. Ma tutto questo è solo un
segno che quell’uomo non ha ancora lo sguardo volto a ciò che è proprio del Regno, né lo
può avere, perché non è ancora nato di nuovo.
Quando mi sono alzato dalla mia prima
preghiera in ginocchio in presenza di un fratello, nella quale avevo chiesto a Dio il perdono e di essere adottato come figlio di Dio,
non sapevo che cosa era accaduto in me. Ero
entrato da una porta invisibile nel Regno di
Dio. A partire da quel momento sono stato
pastore, non solo per l’educazione, ma per la
grazia di Dio.
Quanto a me posso pregarvi di una cosa sola : abbiate pazienza con i vostri giovani pastori, come con tutti ì pastori! Possono diventare per la grazia di Dio uomini di Dio! Pensate a Paolo : anche lui dapprima ha seguito,
pur con passione, una direzione sbagliata,
finché Dio l’ha convertito.
E pregate per loro. Questo è il dovere delle comunità. Non vi aspettate nulla da loro, se
non avete pregato Dio per loro. Giacomo dice : K Molto può la supplicazione del giusto,
fatta con efficacia ».
Perciò la preghiera insistente: Pregate per
noi pastori, pregate per noi, ed ancora pregate per noi. Ne abbiamo tutti bisogno. Noi
dipendiamo da voi, dalla vostra preghiera. Le
comunità sono responsabili dei loro pastori. Ed
una comunità che lo ha capito è benedetta!
Herbert Stollreiter
sulle riunioni intorno ai falò: mi ha colpito da un lato il fatto che le Corali
hanno cantato degli inni, ricordando
cosi con immediatezza che il 17 febbraio è festa per la comunità dei credenti; anche il canto del « Giuro », mi
ha colpito; lo si può cantare in vari
modi: in modo fiero, trionfalistico, superficiale; invece era un canto raccolto, serio, contenuto, vi si avvertiva che
chi cantava si sentiva interpellato, messo a confronto, e in questione.
LE OPERE SOCIALI :
UN TEMPO DI MUTAMENTI
^ Durante queste settimane ha constatato di persona che le nostre
opere sono molte e ha preso contatto con esse, con i loro Comitati, nonché con i responsabili del
Centro Diaconale e della CIOV.
Quali sono, a Suo avviso, i problemi maggiori, più urgenti che queste opere devono affrontare?
— Abbiamo dovuto prendere atto che
siamo in piena trasformazione, e questo ci pone un problema, che dovremo
affrontare anche in Sinodo, dove un'apposita Commissione deve appunto riferire al riguardo. Il problema è questa
alternativa: continuare a gestire opere
nostre, oppure preparare dei quadri
per le opere che le strutture pubbliche
nazionali, regionali, locali devono sempre più assumere direttamente, quadri
che si sforzino di dare a queste opere
pubbliche un certo "tono", un dato
messaggio, anche se implicito? Bisognerà verificare se si tratta di un’alternativa assoluta o se, come alcuni pensano,
i due aspetti possono, in qualche misura, coesistere. Comunque già si abbozzano gruppi di lavoro « pluralistici » sia nel quadro di alcune nostre
strutture (Pomaretto, Torre Pellice),
sia nel quadro di strutture pubbliche
(il lavoro per gli anziani a Luserna S.
Giovanni e a Torre Pellice). C’è ampio
campo di riflessione, e occorre naturalmente vigilare, per non sperperare quel
che ci è stato tramandato, ma anche
reagire alla diffidenza, nella certezza
che nulla di vivo va perduto. Mi pare
comunque molto importante che della
eventuale trasformazione di un istituto sia resa partecipe la comunità locale, sia nella fase preparatoria, di riflessione, che nella fase decisionale. E ritorna, anche nell’ambito delle Valli
stesse, l’esigenza fortissima dell’informazione reciproca. Sulla questione di
fondo, mi pare che il Centro Diaconale abbia individuato alcuni punti chiave della problematica attuale e indicato
un nuovo orientamento; esso dovrebbe
continuare la sua riflesssione, dando indicazioni stimolanti alle chiese.
LE VALLI E LA DIASPORA
EVANGELICA ITALIANA
^ A tratti, nella conversazione, è affiorata la questione dei rapporti
fra le Valli e la diaspora valdese
ed evangelica in Italia, una questione che due settimane fa Giorgio Bouchard ha pure affrontato
sulle nostre colonne; che può ancora dirci al riguardo?
— Riprendendo il discorso iniziale,
uno degli scopi di questo mio viaggio,
accanto a quello di conoscere, era di
servire in qualche modo da trait-d’union
con le chiese e le opere della diaspora
italiana. Nelle riunioni ho cercato di
portare im’informazione, che ho notato
essere carente; ho cercato cioè di far
sentire che siamo veramente un’unica
chiesa. A tale scopo penso che sarebbe
utile che, come mandiamo dei pastori
a fare delle tournées in Svizzera, in Inghilterra, in Scozia, in Germania, più
saltuariamente in altri paesi, così vi
siano periodicamente dei pastori della
diaspora italiana che visitano le chiese
delle Valli, e viceversa. Così pure occorrerebbe rivalutare la serata sinodale sulla « evangelizzazione », caduta in
disuso. Decorre far conoscere in modo
diretto e personale i problemi che gli
uni e gli altri devono affrontare, le rispettive condizioni di vita. Chissà se,
in tal modo, non si potrebbe pure ovviare, almeno in parte, a un’altra questione aperta, quella delle case abbandonate alle Valli: forse un certo numero di Valdesi o di evangelici italiani si
orienterebbero verso l’acquisto di alcune di esse. Mi pare comunque che questa reciproca informazione contribuirebbe a rendere più effettiva la comunione.
* * *
Desidero terminare esprimendo qui
un pensiero di viva gratitudine per la
accoglienza che mi è stata riservata
ovunque. Mi rendevo perfettamente
conto che potevano esserci motivi di riserbo, forse di resistenza, ero per qualche verso un estraneo; ma sono stato
accolto in modo veramente fraterno, e
mi allontano dalle Valli grato per l’aiuto ricevuto dai fratelli e dalle sorelle
che mi hanno fatto sentire uno spirito
di apertura reale, partecipe; me ne
vengo via dalle Valli rincuorato da un
senso di solidarietà fraterna reale, che
non esclude la critica, ma la illumina.
Grazie.
NOTA (semiseria) - Il 3 febbraio è stata
spedita da Roma una circolare del Moderatore a tutti i pastori, professori, anziani e diaconi, in vista del 17 febbraio. A tutt’oggi intere plaghe del nostro paese, particolarmente
nel nord, ne attendono la consegna... Tempo
felice, felice paese dominalo dalla passione del
servizio (pubblico).
Il XVII Febbraio
a Ivrea
La data storica del 17 febbraio è stata celebrata domenica 18 con un culto
di S. Cena. La predicazione è stata affidata al prof. Augusto Armand Hugon, che ci ha rivolto un buon messaggio biblico sul testo: « Ma la parola di Dio non è incatenata » (2 Tim.
2: 9). Nel corso delle due domeniche
precedenti, il Pastore aveva trattato
due aspetti del Valdismo primitivo e
cioè: Il Valdismo e la sfida alla chiesa costantiniana — Aspetti evangelici
della prima Riforma. Il culto era stato seguito da uno scambio di idee in
merito ai temi trattati; la colletta domenicale del 18 corr. è stata destinata
al fondo pro ottavo centenario del movimento valdese.
Una quarantina di persone si sono
trattenute per l’ottimo pranzo preparato dall’Unione femminile. Subito dopo il pranzo il prof. Armand Hugon
ci ha dato alcune informazioni sull’ottavo centenario e sul programma delle
iniziative che ci si propone di realizzare per il 1974 (sistemazione del Museo valdese, pubblicazioni storiche, rilancio dell’opera evangelistica ecc.).
Abbiamo ricevuto con gioia il nostro ospite e la Sig.ra Armand Hugon;
porgiamo loro i nostri auguri ed il nostro sincero ringraziamento.
Pramollo
(segue da pag. 4)
mámente preparato e servito dai Sigg. Rostagno-Sappé.
Al levar delle mense hanno rivolt» messaggi il fratello Alberto Long di Pinerolo ed il
Pastore, il quale, dopo aver portato i saluti
del Sindaco assente per precedenti impegni,
ha ricordato i fratelli uruguayani e s’è quindi soffermato sul disegno di legge approvato
dal consiglio dei ministri il 14 novembre
1972 : « disponisizoni sulla tutela preventiva
della sicurezza pubblica », invitando a firmare in tutta libertà ma anche con piena consapevolezza una petizione, come hanno fatto
anche altre comunità delle Valli, da inviare
ai Presidenti della Camera dei Deputati e del
Senato tendente ad ottenere che « il fermo di
polizia » non divenga legge deUo Stato Italiano.
La giornata è terminata con la rappresentazione del dramma : « La notte del vagabondo », preparato con impegno dai giovani. La
recita, ripetuta il pomeriggio di domenica 18
febbraio è stata apprezzata dal numeroso pubblico che con la sua presenza ed i suoi applausi ha voluto ricompensare gli attori e ehi
li ha seguiti nel loro non lieve lavoro.
Ringraziamo ancora sentitamente tutti coloro che in vario modo hanno coUaborato alla
commemorazione di quella giornata che nel
ricordarci il passato ci richiama a vivere ed
a rendere giorno dopo giorno testimonianza a
quella libertà che in Gesù Cristo Iddio vuole
accordare a tutti gli uomini.
Ai familiari di Emma Sappé ved. Beux e
di Zerlina Benech, ved. Bounous rinnoviamo la nostra fraterna solidarietà nel dolore
della separazione, ma anche nella speranza
della risurrezione in Gesù Cristo.
Un cordiale benvenuto a Monique di Renzo
Balmas e di Vanda Bounous (Garde Superiori): a lei ed ai suoi familiari ogni benedizione del Signore.
Domenica 4 Marzo è stato amministrato il
battesimo a Loris di Renato Menusan e di
Alma Beux (Ruata); la grazia del Signore riposi su questo bambino e sui componenti la
sua famiglia.
Una rappresentanza dell’Unione Femminile
-ha partecipato a Torre Pellice, domenica pomeriggio 4 marzo, alla giornata mondiale di
preghiera; un vivo ringraziamento all’Unione
ospitante per la fraterna accoglienza. T. P.
AVVISI ECONOMICI
QUARANTAQUATTRENNE, indipendente,
privo conoscenze, fine, torinese, impiego,
alloggio, auto, contatterei 30-40enne, non
alta, carina, sola, intenzionata reciproco
matrimonio. Indirizzare: Tessera ferroviaria 0189702, Fermo Posta Alfieri - 10100
Torino.
I familiari della compianta
Ernestina Codino ved. Gay
profondamente commossi per la dimostrazione di stima e solidarietà cristiana ricevuta per la dipartenza della loro cara, ringraziano il dott. Ros
Raoul Sebastiano, i pastori sigg. Marco Ayassot e Giorgio Tourn, e quanti
in ogni modo sono stati di aiuto e
conforto nella triste circostanza.
« Io mi coricherò in pace e in
pace ancora dormirò, perciocché tu solo, Signore, mi fai abitare sicuramente»
(Salmo IV, V. 9).
Prarostino, 18 febbraio 1973.
I familiari della cara
Lidia Avondet ved. Griglio
commossi per la sincera dimostrazione di simpatia ed affetto ricevuta in
occasione della dipartita della loro
cara, esprimono la loro più viva riconoscenza al Past. A. Genre, al dott.
Bertolino, ai vicini di casa e a quanti,
con la loro presenza, hanno voluto
esser loro vicino.
Prarostino, 9 marzo 1973.
6
pag. 6
I NOSTRI GIORNI
N. 10 — 9 marzo 1973
L’UNESCO lancia un programma di educazione in fatto di stupefacenti
LE RADICI DEL MALE
Finora la lotta contro l’abuso degli stupefacenti, la nuova piaga che minaccia molti paesi, è stata
condotta essenzialmente cercando di frenare il commercio della droga con misure legislative e di polizia. Malgrado certi successi, la lotta non è sufficiente su questo solo fronte; e l’UNESCO ha lanciato un programma a lunga scadenza per affrontare non il commercio, ma la domanda della droga,
cercando di ridurne la clientela potenziale attraverso campagne di informazione e di educazione. Ne
parla un redattore del bimensile ’’Informations UNESCO”, nell’ultimo numero del periodico dal
quale riprendiamo questo articolo.
SCELTE AUTENTICHE
Se si vuole combattere efficacemente
il flagello rappresentato dalla droga,
occorre ormai puntare gli sforzi sulle
cause quanto sulle manifestazioni, e
organizzare programmi d’informazione
in un’ottica al tempo stesso più scientiflca e più realistica. Queste le due
conclusioni che hanno raccolto l’unanimità in una conferenza sul ruolo dell’edicazione nella prevenzione dell’abuso degli stupefacenti, che nel dicempre scorso ha riunito nella sede parigina deirUNESCO 28 esperti di 19 paesi, psichiatri, medici, insegnanti, assistenti sociali e anche un ex-tossicomane. Scopo della riunione: porre in luce la diversità degli aspetti che questo
problema assume nei vari paesi del
mondo detto sviluppato.
Il quadro, infatti, è lungi dall’essere uniforme. In alcuni paesi il problema degli stupefacenti esiste da anni, in
altri è relativamente recente. In uno
Stato il consumo permane trascurabile, un altro è contaminato dal traffico
che attraversa il suo territorio; altrove recade che la maggioranza dei drogati è costituita da turisti; ad esempio
si è segnalato che r80% dei tossicomani curati in una clinica di Amsterdam sono stranieri.
D’nltro lato il fenomeno della droga non riguarda solo i giovani, sebbene .'■tia qui il suo aspetto più inquietante. Un’ispettrice scolastica australiana, E. M. Guthrie, ha citato cifre secondo le quali la più alta percentuale
di drogati si recluta effettivamente
nell'' fascia di età fra i 20 e i 34 anni,
la categoria immediatamente successiva è delle persone che hanno superato la cinquantina, che la solitudine
o il senso d’insuccesso hanno portato
all’abuso di droghe prescritte o no dal
medico.
Tuttavia la tossicomania giovanile ha
occupato la maggior parte dei lavori.
Il medico capo del Centro medico di
Marmottan, a Parigi, il dr. Claude Olievenstein, che in un anno ha curato oltre mille drogati, ha fatto osservare
che « l’uso della droga o piuttosto l'uso
della parola a proposito della droga
è diventato, oggi, un vero mito ». Egli
ha insistito sulla necessità che si studino in profondità le ragioni che spingono i giovani dei paesi sviluppati a
drogarsi: « Prendere la droga significa cercare di rispondere a una carenza a vari- livelli: a livello del corpo,
della psiche, della legge, della società,
della famiglia, del piacere, delVaffettivitcì, del Sacro e del Segreto; e dietro
ognuno di questi titoli di capitoli ci
vorrebbe un dibattito per sapere perché si ricorre alla droga, e vi si ricorre proprio ora ». E il dottor Olievenstein aggiunge: « Nessuno di questi
aspetti mi pare essenziale o anche solo
principale », perché « è appunto il carattere inesprimibile e la molteplicità
a determinare la complessità del problema », creando « una situazione nella quale nessuna delle nostre norme,
ideologiche o mediche, può dare una
risposta o abbracciare il problema nella sua intierezza ».
UN NUOVO RITO
È pure pericoloso, egli ha detto, mitizzare e isolare il fenomeno della droga dagli altri fenomeni di massa delle
giovani generazioni. Occorre aggiungere che gli adolescenti hanno bisogno
di una forma di passaggio alla condizione adulta. « Classicamente ciò avveniva con i riti di iniziazione o attraverso la trasgressione. Oggi lo si fa attraverso la droga, perché i tentativi di
trasgressione mediante la violenza sono stati repressi. Al tempo stesso viene prolungata l'adolescenza, è in qualche modo impossibile, a lungo, all'adolescente il diventare adulto, per ragioni molteplici, con tutte le conseguenze
che ne derivano per il giovane, cioè
l'essere se stesso, cessare di essere oggetto per diventare soggetto ».
Altro problema sollevato: Tabus-o
dell’alcool dev’essere assimilato a quello degli stupefacenti? In vari paesi i
medesimi servizi sono incaricati sia
della lotta contro la droga che di quella contro l’alcoolismo, il quale — si è
notato — fa più vittime delle droghe
dette ’’dure”. A parere di molti esperti,
il problema si complica perché il consumo dell’alcool è « socialmente ammesso », mentre quello della droga
non lo è.
La dr. Helen Nowlis, che al Ministero
dell’educazione degli USA dirige i servizi pedagogici a proposito della droga, vede il problema in un’altra ottica:
secondo lei non basta attirare l’attenzione sulla minaccia che la droga rappresenta per determinati valori sociali;
occorre insegnare alle persone a vivere con lucidità in un mondo sempre
più invaso da prodotti chimici pericolosi. Ora, negli USA, si è giunti a domandarsi se le misure draconiane prese per vietare l’uso di tutti gli stupefacenti senza eccezioni (salvo a scopi sanitari), non hanno in definitiva nuociuto agli sforzi per prevenire e curare le
forme più pericolose di tossicomania.
Può sembrare più semplice lottare contro la droga e le sue conseguenze attraverso la repressione. In realtà questo
modo di affrontare la questione spesso fallisce. Considerare la tossicomania
come uno degli aspetti di un comportamento umano complesso rende il lavoro di prevenzione più difficile, ma ha
il merito di offrire un numero maggiore di soluzioni.
REPRIMERE O INFORMARE
Negli Stati Uniti la prima reazione
dopo l’insuccesso delle leggi tendenti a
reprimere l’uso della droga è stato il
voto di leggi anche più severe. Quando
queste si sono rivelate anch’esse inefficaci, si è ricorsi a problemi d’informazione e di educazione sulla droga.
Ne sono risultate centinaia di migliaia
di opuscoli, di programmi televisivi, di
documentari e di films, ma l’uso della
droga è rimasto, anzi si è sviluppato.
Perché? Perché pur attirando l’attenzione sul problema, quest’informazione
non era credibile: faceva intervenire
questioni più vaste e non era abbastanza sfumata a seconda dei gruppi ai
quali poteva rivolgersi.
Il tentativo successivo — diffusione
di un’informazione meglio adattata ili
vari pubblici, si è anch’essa risolta in
uno scacco, anzi alcuni hanno perfino
pensato che rischiava di incoraggiare
l'uso della droga.
Secondo Peter Schiler, esperto presso il Ministero danese dell’educazione,
si potrebbero ottenere risultati assai
migliori sdrammatizzando l’informazione e adattandola ai diversi gruppi
cui è rivolta. La maggior parte degli
esperti hanno condiviso questo punto
di vista: l’informazione dev’essere Oggettiva, libera da passionalità e, quando è data nel quadro scolastico, dev’essere integrata in discipline quali la
biologia e la chimica.
IL RUOLO DELL'EDUCATORE
Sono affiorate divergenze quando si
è venuti a parlare dello statuto dell’educatore incaricato dell’informazione sulla droga. Secondo un giovane docente ginevrino, Charles Widmer, l’educatore non deve identificarsi con la figura del « prof-gendarme ». Per guadagnare la fiducia dei ragazzi dovrebbe
poter praticare il segreto professionale
come il medico e il sacerdote, e questo
punto di vista è stato sostenuto da un
rapprpentante della Confederazione
mondiale delle organizzazioni d’insegnanti: egli ha segnalato che lo Stato
nordamericano del Connecticut riconosce già tale diritto ai professori.
Tuttavia l’australiana Guthrie e un
ispettore scolastico britannico, C. L.
Williams, hanno avanzato dubbi sulla
volontà, da parte degli insegnanti, di
assumere questa responsabilità; e un
medico inglese, il dr. Pepper, ha notato
che gran parte del suo compito era costituito dal « riparare i danni causati
dagli educatori che accettano troppe
confidenze ».
La riunione ha suggerito che si metta allo studio questi problemi: se convenga fare appello, nei programmi educativi, a snecialisti piuttosto che a
professori o animatori giovanili; se sia
preferibile concentrare l’informazione
sulla droga in un corso speciale ovvero,
invece, ripartirla in diverse materie
del programma scolastico: e se — un
interrogativo posto da quasi tutti i partecipanti — questa educazione non faccia, in definitiva, più male che bene.
Le idee raccolte in questa riunione
costituiscono una prima tappa di un
programma di studi e di azione sul
problema della droga, lanciato dali’UNESCO. La prossima tappa è costituita dallo stùdio, dà parte di esperti,
del ruolo e dell’influenza dei grandi
mezzi d’informazione.
Come ha dichiarato Amadou Mahtar
M’Bow, sottodirettore generale dello
UNESCO per l’educazione, la questione
è affrontata con prudenza, ma su di
un fronte assai vasto, quello dell’educazione, delle scienze sociali e dell’informazione. Non si può infatti limitare
alla sola gioventù il problema dell’abuso di stupefacenti, né ridurre alle conseguenze dannose della droga i problemi che si pongono ai giovani. Egli ha
ricordato che l’urbanizzazione galoppante, la società dei consumi presentata come un ideale, Tapologia della
violenza e l’ineguaglianza sociale affiancano spesso il consumo di stupefacenti. La lotta contro questi abusi si
inserisce quindi nella linea degli sforzi intrapresi dalI’UNESCO per contribuire a risolvere i grandi problemi contemporanei.
Antony Brock
(segue da pag. 1)
ner dietro all’esplosione demo-scolastica con strutture umane, tecniche e edilizie adeguate: difficoltà tanto maggiore, in quanto è chiaro che dalla costituzione repubblicana il nostro Stato non
ha certo optato in modo prioritario per
questo aspetto pur essenziale (come
quello assistenziale) della vita civile;
infine — e questo motivo è ovviamente
collegato ai precedenti — la scuola è
realmente considerata da molti in funzione della società così com’è, come
puro laboratorio di preparazione all'inserimento efficiente (?) in questa società, senza immettervi altro fermento
critico che non sia, al massimo, quello
dell’aggiornamento tecnologico e del
perfezionamento scientifico. Non vivo
nella scuola, nemmeno marginalmente
come lo può fare un genitore, ma i
contraccolpi di queste gravi e colpevoli disfunzioni sono di dominio pubblico; ed è soltanto con la desta
coscienza di questa gravità e di questa
colpevolezza che si può valutare in .modo realistico e corretto l'esplosione
contestatrice del ’68 e il latente persistere di questo fenomeno, con le sue
fiammate.
Detto questo, mi pare però forzata e
discutibile la schematizzazione per cui
si distingue fra coloro che nella scuola
optano per una scelta politica cosciente (di sinistra o di destra, immagino)
e coloro che invece pretenderebbero di
restare fuori della politica e che di fatto non farebbero che scegliere la politica attualmente al potere. Che quest’ultima ’’specie” sia presente e diffusa, non ne dubito. Ma è proprio tutta
di questa pasta, la genìa di coloro che
oppongono qualche resistenza a una
determinata politicizzazione della scuola? È diventato un po’ uno slogan, un
dogma indiscutibile, l’affermazione che
chi non fa una scelta, in realtà ha scelto lo status quo. È un dogma che, personalmente, discuto; può essere vero e
può essere falso. C’è chi rifiuta, in coscienza, di fare quella che si usa chiamare una scelta di fondo; ma è invece
pronto a fare, di volta in volta, delle
scelte in cui si sforza di essere coscien
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiii
Caccia e pesca
Nell’URSS è in atto l’operazione di rinnovo delle tessere del partito comunista. La
tessera n. 1 è stata intestata a Lenin : a vita,
e oltre!
A Ibadan, la seconda città nigeriana, si
sono avnte violente manifestazioni studentesche, represse dalla polizia, con parecchi arresti. Manifestazioni analoghe, ma minori,
nell’Università di Lagos. Gli studenti manifestavano contro l’istituzione di un servizio
civile ohhligatorio, decisa dal governo : viva
la solidarietà nazionale...
IL
« SIMULATORE »
DI
COSCIENZA
Tfc- Sotto questo
titolo Roberto Cicciomessere, noto obiettore di coscienza
zinnale, insieme con
del partito radicale.
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
e segretario naAlberto Gardin,
commenta (su
L’Espresso » del 25.2.’73) la sentenza
a suo carico della commissione di Stato chiamata a pronunciarsi sulle domande di sostituzione del servizio militare col servizio civile, per dichiarata « obiezione di coscienza » L
« Per decreto del ministro della Difesa della Repubblica Italiana, la verità propugnata in Parlamento dall'ammiraglio Gino Birindelli, dal generale Giovanni De Lorenzo, dal giornalista Pino Rauti e da tanti altri sostenitori della “civile e progressista" legge Marcora, è oggi divenuta verità di
Stato: con i miei compagni radicali,
antimilitaristi nonviolenti, laici e libertari, da anni trascinati da tribunali a
penitenziari militari, io non sono altro
che un “simulatore", non un obiettore
di coscienza.
Una prestigiosa commissione di Stato, composta di magistrati, generali,
scienziati, giuristi s'è curvata ad analizzarmi ed ha emesso con sicurezza e
rapidità il suo responso: non c'è evidentemente traccia alcuna, in me, nei
miei compagni, né di coscienza, né,
quindi, di obiezioni che in quella affondino e si giustifichino. Non sono altro
che un “politico", un agitatore, un sovvertitore senza scrupoli, un mentitore.
Il compagno socialista - democratico
(non è vero, senatore Giuseppe Saragat?) on. Mario Panassi, ministro della Difesa della Repubblica, prontamente, ne ha tratto le conseguenze del caso: ha decretato che ñon siamo obiettori di coscienza (anche se ha assicurato a dei parlamentari, nei giorni
scorsi, di non saper nulla di questa
storia). Al danno s'aggiunge la beffa.
Ieri almeno avevamo diritto ad esser
considerati e giudicati per quel ch'eravamo: persone, militanti che per fedeltà ai propri ideali, alle proprie speranze umane e civili, alle proprie convinzioni, per affermarle accettavano
condanne e carcere. Oggi anche il diritto alla nostra identità ci viene ne
* V., sul n. preced. di questo settimanale,
l’articolo di Roberto Peyrot, « Primi effetti
negativi della legge sull’obiezione di coscienza ».
gaio. Non siamo nemmeno più dei radicali, degli eretici di Stato, d'uno Stato clericale e autoritario, classista e
violento, e come tali condannati; ma
simulatori d'un comportamento che
ieri era colpito come reato e oggi sarebbe un diritto. Saremmo quindi condannati, fra quattro mesi, ad almeno
due anni di penitenziario militare ( e,
per molti di noi, questo significherà
molti altri anni di condanne), non perché obiettori di coscienza, ma perché
non lo saremmo!
Il Parlamento, i partiti e gli esponenti democratici che pure detengono
ancora del potere reale in questo nostro paese così antifascista e civile,
avranno o no un soprassalto di dignità? Ripareranno o no, in concreto, alla
vergogna della legge Marcora, dinanzi
al verificarsi, puntuale, dei nostri giudizi e delle nostre previsioni? O ci lasceranno, ancora una volta, soli, con
il partito radicale e la Lega degli obiettori di coscienza, a combattere questa
battaglia democratica? È affar loro, in
verità, più che nostro. Penso che abbiamo forza e ragioni sufficienti per
vincere ancora, per non esser solo vittime e testimoni. Per noi infatti la
“politica" è affare di coscienza e abbiamo dimostrato, seppure in pochi, di
saper condurre le nostre battaglie per
i diritti civili, per tutti i diritti civili.
Ma è bene che si sappia sin d'ora
che se io e Gardin (...) e tanti altri
compagni, in questi giorni, siarno di
nuovo, giorno dopo giorno, colpiti da
mandati di cattura, da denunce, da arresti e'da “libertà provvisorie", questo
accade perché siamo colpevoli anzitutto d'aver affermato che non ci limitiamo ad esser contrari all'uso “personale" delle armi (come letteralmente prescrive la legge Marcora) ma anche al
loro uso “collettivo” e “organizzato",
quindi politico; per motivi di coscienza. quindi politici.
Il ministro della Difesa ha decretato
che “non" siamo obiettori veri, perché
politici. Per questo regime, siamo dunque, anche ufficialmente, equiparati ai
nemici del regime fascista, anch'essi
delinquenti perché politici. È farci
molto onore; lo ringraziamo. Ma gli
chiediamo di spiegarci quale titolo storico e morale di legittimità possano
mai avere uno Stato ed una classe dirigente che proclamano la estraneità
della politica dalla
coscienza, e dove
_________mai trovino forza e
giustificazione per
la loro stessa esistenza, per le loro lotte, per la loro “politica” ».
PARALISI
NEL MEDIO ORIENTE
Josette Alia (sul « Nouvel Observateur » del 19-25.2.’73) analizza lungamente la situazione politica del Medio
Oriente, giungendo alla conclusione
che, malgrado gli orribili e sanguinosi
episodi d’aggressione e di terrorismo
da una parte e dall’altra, di cui ogni
tanto s’ha notizia, non v’è alcuna possibilità né di ripresa della guerra arabo-israeliana, né di realizzazione di
prossima, duratura pace.
« Qualunque sia la nascente speranza di pace, bisogna ben riconoscere
che il processo sarà difficile e lungo.
Per una semplice ragione: a parte l'Egitto, che ha evidentemente fretta di
trovare una via d'uscita, nessuno ha interesse a muovere troppo presto le
proprie pedine sullo scacchiere mondiale.
Infatti Nixon e Brejnev, nel maggio
1972, hanno concluso un accordo dettagliato, esplicito, di mutua non-aggresgressione (“mutuai restraint”) in quella regione del globo, regione che in tal
modo, da un anno a questa parte, si
trova suddivisa in zone d'influenza reciprocamente accettate: i sovietici conservano le loro posizioni nei mari caldi ma non le estendono, mentre gli
americani acconsentono a non "ricuperare" l'Egitto. Ma non saranno certo i paesi arabi a dar fastidio agli americani, ai quali essi hanno tutto l'interesse di vendere il petrolio.
Restava da prevedersi un solo rischio
serio: quello d'uno scontro URSS-Israele, scatenato (volontariamente o no)
da un'iniziativa militare egiziana. Questo rischio è ora scartato, e non è un
caso che Brejnev abbia preso in esame, con molta flemma, il problema del
richiamo, alle loro sedi, dei consiglieri
sovietici in Egitto: l'URSS ne ha subito approfittato per richiamare, insieme ai consiglieri, la maggior parte delle sue missioni tecniche operative, per
lasciare in Egitto soltanto degl'istruttori non combattenti.
Sottraendosi in tal modo a un impegno che avrebbe potuto diventare il
te delle questioni in gioco; così come
ci può essere chi la grande scelta l'ha
fatta, e poi non sceglie più un bel niente, marcia pari pari su di un binario,
dovunque diretto, seguendo tutt’al più
le deviazioni impresse da chi manovra gli scambi direzionali.
Ora, come in tutti gli altri settori,
immagino vi siano molti insegnanti che
in coscienza non si sentono di fare una
scelta marxista ma che sono altrettanto renitenti a farsi strumenti di
scuola funzionale al sistema vigente:
nella realtà quotidiana questi uomini e
queste donne cercano di comunicare
ai ragazzi, ai giovani con i quali vengono in rapporto il loro atteggiamento di
fondo, che è quello di sforzarsi di pensare col proprio cervello, in modo .gelosamente indipendente, costitutivamente recalcitrante a ogni sorta di massificazione e di indottrinamento; uomini
e donne che accettano compagni di
strada, ma non maestri più o meno infallibili e che concepiscono il loro compito educativo come un insegnare a
pensare in questo modo critico in ogni
direzione, senza disimpegno e senza
miti, a conoscere tutto, anche la realtà
politica, certo, in questo approccio critico, in questo confronto effettivo di
idee e di posizioni: cercando insomma
di facilitare la scelta (le scelte) eliettiva del ragazzo, del giovane, dell'uomo, anziché scegliere, consciamente
o inconsciamente, per lui.
Se infatti vi è un indottrinamento
borghese soporifero e alienante, se vi
è un indottrinamento fascista, odioso,
credo che si possa tutti riconoscere
che vi è, nella scuola come altrove, un
indottrinamento di orientamento marxista altrettanto alienante: basta leggere una parte dei volantini che si possono raccogliere periodicamente intorno a una scuola (abito di fronte a una
di esse e ogni tanto ne raccolgo, oltre
a godere della variopinta decorazione
murale, a tinte sovrapposte) per constatare quanto anche qui i cervelli siano invitati e portati all’ammasso —
questo o quello, sempre ammasso è —
in uno sconcertante disconoscimento
delle dimensioni dei problemi. Certo,
questi sono i cascami del ’’marxismo”,
e non voglio dire che un insegnante
marxista non sia capace di dare una.
formazione critica (cioè democratica);
senza dubbio, però, egli deve lottare
più di altri contro la propria dogmatica, perché una ’’critica” a senso unico che parta da presupposti per principio o di fatto non criticabili, a mio avviso non è una posizione veramente
critica e non permette di dare una formazione veramente critica ad altri.
Sarei perciò molto cauto nel parlare
di scelte, piccole e grandi. Che sia necessario scegliere, continuamente, è un
fatto, un fatto arduo, spesso sfibrante,
cui la scuola deve formare: questo va
detto, ricordato, vissuto. Ma bisogna
che siano scelte vere, personali, veramente coscienti, determinate da un atteggiamento schiettamente critico, per
quanto aH’uomo è dato. E pur rendendo onore agli insegnanti di orientamento marxista per la sensibilità sociale di cui si sono da tempo fatti
portatori anche nella scuola, e riconoscendo che non pochi fra loro, specie
se si richiamano a Cristo, lottano per
non permettere all'ideologia di occupare tutto il loro orizzonte e il loro insegnamento, rifiuto recisamente l'esplicita o larvata squalifica ("integrati”?)
verso molti che con autentica apertura umana, anche politica, non scelgono
una volta per tutte un dirizzone, proprio per rimanere liberi di scegliere e
di sforzarsi di insegnare a scegliere.
Solo il singolo alunno, nella sua esperienza personale, e solo la storia secolare potrà forse dire chi ha formato più
uomini liberi e chi più gregari.
È un discorso, è una realtà che mi
sta particolarmente a cuore, perché vi
vedo una responsabilità cristiana specifica nella società: la laicità, la profanità del mondo, e quindi della cultura, che è il grande dono liberatore
della rivelazione biblica, ci costringe a
questa ardua posizione critica, che non
è disimpegno, ma impegno riferito al
solo Signore, alla sola Verità, alla sola
Via e alla sola Vita, contro tutti gli
idoli e tutti i miti. E il discorso di un
cristiano a cristiani, che si fa qui, e
confido quindi sia capito, se non condiviso. E se il discorso fraterno continuerà, ne sarò lieto.
Gino Conte
loro Vietnam, i sovietici pensano ora
d'aver la situazione egiziana "ben ferma nelle proprie mani" (e questo tanto più, in quanto essi riforniscono il
Cairo col contagocce, di munizioni e di
pezzi staccati di macchinari). Ebbene,
perché muoversi allora? Perché modificare uno “statu quo" che fa comodo?
Perché i sovietici dovrebbero favorire
(se non a parole) mn rtgulamento di
pace che li obbligherebbe a partire e
che non giustificherebbe più la loro
presenza?
Naturalmente ciò non impedisce ai
sovietici di far delle proposte che essi
stessi sanno essere inaccettabili da parte degl'israeliani ».
Direttore responsabile; Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Conp. Tip. Subalpino . Torre Pellice (Torino)