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BIDCHNIS
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno X. - Fasc. IX
ROMA - SETTEMBRE 1921
Volume XVIII. 3
SOMMARIO
A. Farinelli : Misticismo germanico e le
« r ¡Delazioni » di Matilde di Magdeburg p. 133 G. TUCCI : L'influsso del Buddhismo sulle
civiltà dell'estremo oriente...........144
Note e commenti::
M: Le trasformazioni della democrazia secondo Vilfredo Pareto ......... .156
Intermezzo :
Concorso artistico dantesco:
Tavole premiate di H. RÉNYI, È. DEL NERI e A. M. NARDI (Tra le pgg. 156 e 157).
Cronache:
Italia e Vaticano . . ....... 157
Rassegne:
C. FORM1CH1: Religioni dell'Iran e dell'india . . 162
Rivista delle riviste :
Riviste Inglesi . . ....... 176
Recensioni :
La critica ricostruttrice di un demolitore (G. COSTA)
- Filososfia della religione - Evoluzione dell'umanità - Psicologia religiosa - Il mistero universale -Sotereologia di S. Bonaventura - S. Tommaso d'Aquino - Teologia - Dante e la Riforma . . 193
Bollettino bibliografico:
I. Novità Librarie - II. Pubblicazioni pervenute alla Redazione ............. 201
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BILYCHNIS Rivista mensile di studi religiosi J--------------- «ì«« FONDATA NEL 1912 > > * ►
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA, PEDAGOGIA, FILOSOFIA RELIGIOSE MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL’ESTERO - CRONACHE RIVISTA DELLE RIVISTE BIBLIOGRAFIA REDAZIONE: Prof. Lodovico PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma. D. G. WHITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l'opinione dei loro autori.
I manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
Abbonamenti pel 1921
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i 12 fascicoli mensili di “BILYCHNIS”, di pag: 64 l'uno in-8° grande, illustrati, formanti 2 volumi di pag. 384 l’uno ;
i 6 fascicoli bimestrali dei Quaderni di Bilychnis, eleganti volumetti in-8° piccolo di pag. 64 (o, se raggruppati, mùltipli di 64), illustrati, formanti un’insieme di 384 pagine annue.
Gli abbonati potranno inoltre ottenere a prezzo ridotto:
l’abbonamento cumulativo col “TESTIMONIO”, rivista mensile delle chièse batòste italiane ;
il bel volume del CH1MINELL1, “ Il Padre nostro ,, e il mondo moderno;
1 interessante opera da noi edita, La Chiesa e i nuoci tempi.
CONDIZIONI : IN IT PER 1 ANNO | ALIA PER 6 MESI ESTERO PER 1 ANNO
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AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 83
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II TESTIMONIO rivista mensile delle chieSi pubblica in fascicoli di 36 pagine elegantemente fregiate ed illustrate - Pubblica articoli di propaganda e di informazione sul cristianesimo in genere e sul movimento battista in ¡specie - Rubriche speciali: Rubrica dello spirito, Vita ecclesiastica, La pagina dei piccoli. Si propone di fornire ai pastori argomenti per meditazioni e sermoni e di essere largo di notizie sulle chiese battiste d’Italia.
:: :: DIREZIONE: ^ARISTARCO FàSULO - Via Cassiodoro. 1 - ROMA 33 AMMINISTRAZIONE: BENIAMINO FODERA - Via Crescenzio 2 - ROMA 33 Abbonamento per l’Italia, annuo L. 5 - Semestrale L. 3
Per l’Estero, L. 10 - Un fascicolo separato L. 0,60
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando il sole 2 —
Burt W. : Sermoni e allocuzioni ...............2 —
GRATR Y A. : Le sorgenti, con i prefazione di G. Semeria 5,40
Monod W.: L’Evangile du Ro-• yaume..................io —
— Délivrances . . . .io —
— Il régnera..........io —
—- Il vit................io —
— Silence et prière . . . io — Vienot J. : Paroles françaises
Kmoncées a 1’ oratoire du uvre ...... 3,50
Wagner C.: L’ami . . . 12 —
— Justice..............10 — !
Rivista Propheia (Unica an-1 nata 1914) . . . . . 5 —
FILOSOFIA
BLONDEL M. : “L’Azione”, Saggio di una critica della > vita e di una scienza della I pratica (vol. I e II) .28 —
Della Seta U.: G. Mazzini pen-.satore ...... 15 —
Della Seta U.: Filosofia mo-i rale (Voi. I e II) . . 15-Ferretti' G.: L'Alfabeto e i fanciulli . . . . .... 2 — '
Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . . . 1 —
Momigliano F. : Vita dello spi- , rito ed eroi dello spirito 8 — i Neal TH: Vico e l’immanenza '1 —
— Giovanni Vailati . . . 1 —- •
Papi ni G.: Il tragico quoti- ' diano ....... 5,50
— Chiudiamo le scuole 1 — j —- La Toscana e la filosofia 1 italiana ........ 1 — I
— Pragmatismo . . . .4 — — Il crepuscolo dei filosofi 6 — Rensi G.: Sic et non (meta- ' fisica e poesia) . . . 3,50 SempriniG. : La morale mistica dell'imitazione di Cristo
15 — , Tagliatatela E.: Giovanni Locke educatore, (per la prima volta ! tradotto in italiano) . . 4 — ' Tilgher A.: Filosofi antichi .
■ IO“| T ilgher A. : Voci del tempo (profili di letterati e filosofi ' con temporanei) . . .- 8.501
GUERRA E ATTUALITÀ
Brauzzi U.: La questione sociale ......... x — Kolpinska A.: I precursori della rivoluzione russa 6 — Murri R. : L’anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) . . . . 1,25
MURRI R. : Guerra e religione, Voi. I. Il sangue e l'altare 2 —
MURRI R. : Guerra e religione.
• Voi. II. L’imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa ........ 2 —-— Dalla democrazia cristiana al partito popolare ital. 5 —
Rosa E.: Visione cattolica delia _ guerra . . . . ... 25 — Rubbiani F.: Il pensiero politico di Leonida Bissolati 8 —
ZANOTTI-BIANCO e CAFFI A.: La pace di Versailles, note e documenti (con 20 carte etnogiafiche e politiche) io — La Chiesa e i nuovi tempi 3,50
Raccolta di scrìtti originali di Giovanni Pibli - Romolo Murri -Giovanni E. Mcille - Ugo Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi -“Qui Quondam,, - Antonino De Stefano - .Alfredo Tagliatatela.
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
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Casa Editrice BILYCHN1S - Via Crescenzio 2 - Roma 38
Sui prezzi del presente Catalogò aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali; (Deliberazione dell'Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20 .
LETTERATURA
Borsi G.: Novelle ... io — Brauzzi U.: I Luciferi . 5 — Bonavia C.: La tenda e la notte............. 3,50
Chini M. : F. Mistral . . 2 — Croce B.: La poesia di Dante »5.50 Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nella mente di G. Mazzini.
x,5°
Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne ....... 2,50
F. Momigliano: Scintille del Roveto di Stagliene . io —
Gallarati Scotti T. : La vita di
A. Fogazzaro . . . . . 12 — Jahier P.: Ragazzo . . 3,50 Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 — Orvieto Laura.: Sono la tua serva e tu sei il mio signore (Fiorenza Nightingale). 8,50 Papini G.: Esperienza futurista
... . 3.50
— 1 estimonianze ... 5 — — Un uomo finito ... 7 — —- Cento pagine di poesia 5 — Sheldon : Che farebbe Gesù ? 2 — Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 — Vitanza C.: Spiriti e forme del
divino nella poesia di M. Ra-pisardi (conferenze). 1,50
RELIGIONE E STORIA
Buonaiuti E.: S. Girolamo 2 — Caracciolo I. : Bagliori di comuniSmo nella Riforma. La guerra dei contadini . 6 —
Carpenter J. E-: Il posto del Cristianesimo fra le religioni (Traduziónedi G. Conte - prefazione di M. Puglisi) 2 —
CHIMINELLI P. : Gesù di Nazareth 2“ Ediz. !.. ó — — Il Padrenostro e il mondo |
moderno..............3 —
— Bibliografia della Storia della Riforma religiosa in Italia
5 — — La fortuna di Dante nella
Cristianità Riformata. 10 —
I Costa G. : Diocleziano . 3 — (Profili) Ediz. Formlggini.
— Politica e religione nell’imperò romano ..... 2 —
Cumont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano ........ 6,50
Di Rubba.: La disfatta del cattolicismo . . . . . 7 —
Di Soragna A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 7,50
Doellinger L: Il papato dalle origini fino al 1870 . 30 —
Fasulo A.; Dalle indulgenze alla d età di Worms . 0,50
Janni U.: Il dogma dell’Eucari-stia e la ragione cristiana 1,25
Labanca B. : La riforma del sec. XVI ed il celibato chiesastico ........ 1 —
LOISY A.: La paix des nations j 1,50
Luzzi G. : Parole che non passano per l’ora che passa 2 —
Macchierò V.: Zagreus Studi sull’Orfismo . . . . . 16,50
PETTAZZONI R. : La religione primitiva in Sardegna 6 —
— La Religione di Zarathustra ....... 15 —
Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alia scienza delle Religioni. . . . . 5 —
— «LaBibbia»Introduzione al-r Antico e Nuovo Testamento .......... 20 —
— Il significato di « Nazareno ......................
Schurè E.: -.1 grandi iniziati 16,50
- Santuari ¿'Oriente . 12,50
TYRREL G.: Autobiografia e Biografìa (per cura di M.
D. Pétre) ...... 15 —
Tyrrcl G. : Lettera confidenziale ad un professore d’antropologia ...... 0,50
Vitanza C.: La leggenda del «Descensus Christi ad in-feros » ........ 1,50
Wenck F.: Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75
X. La Bibbia e la Critica. 2 —
1 X. Lettere di un prete mo dernista ...... 3,5°
Il Nuovo Testamento (Edizione Fides et Amor) . . 5 —
I Vangeli (Edizione Fides et Amor) ......... 1.80
La Bibbia (Vers. Diodati Edizione 1919) ...... 3,50 Nuovo Testamento (edizione tascabile in pelle) . . 2,50
Nuovo Testamento e Salmi ad uso dei vecchi.........2 —
I Salmi (Edizione Fides et Amor) ...... 1,80
Giobbe, tradotto da G. Luzzi 1,80
Tagliatatela E.: L’educazione nella Chiesa dei primi secoli ' 3,5<>
Taylor G. B.: Il Battesimo 0,50
VARIA
Almanacco dei ragazzi . 5,50 Bar Jona.: Ite missa .est 5 — Cadetti A. : Con quali sentiménti soni tornato dalla guerra ....... 1,50 pél Vecchio G.: Effetti morali del terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 —
Inni sacri (320), senza musica
1.50
Nicchimi E.: I contadini e la terra ......... 2,50
Fanzini A.: Il libro di lettura per le scuole popolari . 2 — Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni . . . . . . . 2.50
NOVITÀ
RAPINI G.
STORIA di CRISTO
680 pagine L. 17 —
5
Casa Editrice BI LYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33 m
ESTRATTI DELLA RIVISTA “ BILYCHNIS „
I Serie
Amendola Èva: Il pensiero religioso e filosofico di F. Dostoiev-sky (con tavola fuori testo: ritratto del I). disegnato da P. Pa-schotto). 1917, p. 40 . Esaurito
2. Bernardo (fra) da Quintavallo: L’avvenire secondo l’insegnamento di Gesù. 1917, p. 43..... 0,30
3. Biondolillo Francesco: La religiosità di Teofllo Folengo (con nn disegno). 1912. p. 12 . 0,40
4. Biondolillo Francesco: Per la religiosità di F. Petrarca (con una tavola). 1913, p. 9 ... 0,40
5. Cappelletti Licurgo: Il conclave del 1-774 e la Satira a Roma. 1918, p._ 10 ................... 0,50
6. Cento Vincenzo: Colloquio con Renato Serra. 1918, p. 11 0,60
7. Chiapponi Alessandro: Contro l'identificazione della filosofia e ! della storia c pei diritti della critica. 1918, p. 12........... 0,60
8. Corso Raffaele: Ultime vestigia . della lapidazione (con 2 disegni j originali di P. Paschotto). 1917, P- 11 • • • •......... Esaurito
9. Corso Raffaele: Lo studio de* riti nuziali. 1917, p. 9 ... 0,40
10. Corso Raffaele: Deus Piuvlus (saggio di mitologia popolare).
1918, p. 13 ............. 0,75
11. Costa Giovanni: La battaglia di Costantino a Ponto Milvio (con due tavole e duo disegni). 1913. pa-j gin© 14 ................. 1,50
12. Costa Giovanni: Critica-e tradizione. Osservazioni sulla politica c sulla religione di Costantino.
1914, p. 23 ............. 1,50
13. Costa Giovanni: Impero romano e cristianesimo (con due tav.).
1915, p. 49 ............. 2 —
14. Costa Giovanni: Il «Christus»! della « Cinos ». 1917, p. Il 0,30
15. .„Crespi Angelo: Il problema dell’educazione (introduzione). 1912, 1». 11 .............. Esaurito :
16. Crespi Angelo: L’evoluzione del- ! la religiosità nell’individuo. 1913. P- 14 ................... 0,50
17. De Stefano Antonino: Le origini ' dei Frati Gaudenti. 1915, pa- i ginc 26 ................. 1,50j
18. Do Stefano Antonino: I Tedeschi e l’eresia medievale in Italia.
1916. p. 17 ............. l — l
19. De Stefano Antonino: Delle origini dei « poveri lombardi ■ e di alcuni gruppi valdesi. 1917, pagine 23..................... 1 —
20. Fallot T.:'Sulla soglia (considerazioni sull'aZ di là) (con una tavola 1.t„ disegno di P. Paschetto).
1916, p. 14 ............. 0,50
21. Fasulo Aristarco: Pei IV centenario della Riforma. 1917, pagine 18 ................. 0,50
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d’una grande sinfonia (Della Provvidenza). 1918. p. 16 ..... 0,50
23. Formichi Carlo: Cenni sulle più antiche religioni dell’india (con suggerimenti bibliografici). 1917, p. 15 ................. 1 —
24. Fornari F.: Inumazione c cremazione (con quattro tavole).
1912, p. 6 .........,... Esaurito
25- Gabellici M. A4 Olindo Guer-rini: l’uomo e l’artista. 1918, pagine 17 ................. 0,50
26. Gambarb Angolo: Crisi Con temporanea, 1912, p. 7 ....... 0,30
27. Ghignoni P. A.: Lettera a R. Murri (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1916, pagine 9
Esaurito
28. 'Giretti Edoardo: Perchè sono per la guerra. 1'915, pagine 11
Esaurito
29. Giulio-Benso Luisa: * La vita è un sogno * di Arturo Farinelli.
1917, p. 16 ............. 0,50 ;
30. Giulio-Benso Luisa: Lamcnnais e Mazzini (con una tavola f. t.: ritratto del Lamcnnais). 191$, P- 40....................... 1,50
31. Giulio-Benso Luisa: Il sentimento religioso nell’opera di Alfredo Oriani. 191$, p. 43 . 1,50
32. Lanzillo Agostino: Il soldato c l’eroe (Frammenti di psicologia di guerra). 191$, p. 25 Esaurito
33. Lattea Danto: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico.
1918, pi 21............. -1,25
34. Lonzi Furio: L’autocefalia della । Chiosa di Salona (con undici illustrazioni). 1912, p. 16 ... 1 —
35. Lonzi Furio: Di alcuno medaglie religioso del iv secolo (con una tavola e quattro disegni). 1913.
P- 21 ................... 1,50 ,
36. Leopold II.: Le memorie apostoliche a Roma e i recenti scavi di S. Sebastiano (con una tavola).
1916, p. 14. .z....... Esaurito
37. Luzzi Giovanni: L’opera' Spen-ceriana. 1912, p. 7 ....... 0,30
38. Masini Enrico: La liberazione-di Gerusalemme. Salmo. 1917-P. 2 ................... 0,25
39. Melile Giovanni E.: Il cristiano nella vita pubblica. 1913, p. .31 in-32® ................. 0,25
40. Molile Giovanni e Ada: Già-novello. Scene valdesi in quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschetto). 1918, p. 67 ... 2,50
41. Minocchi Salvatore: I miti babilonesi e lo «origini della gnosi, 1914, p. 43 ........... Esaurito
42. Momigliano Felice: Il giudaismo di ieri e di domani. 1916, pagi-no 16..................Esaurito
43. MQllor Alphons Victor: Ago-Favaroni (t!443) (generale dell Ordine Agostiniano) c la teologia di Lutero. 1914, p. 17 0,50
44. Murri Romolo: L’individuo c la storia (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1915, p. 12 . 0,50
45. Murri Romolo: La religione nel-1 insegnamento pubblico in Italia.
1915, p. 22 ............. 0.75
46. Murri Romolo: La » Religione » di Alfredo Loisy. 1918, pagl-ue 16.................. Esaurite
Romolo: Gl'Italiani e la liberta religiosa nel secolo xvn. 191$, p. 10 ............. 0,50 4$. Mattinoli! Ferruccio: Il profilo intellettuale di Sant’Agostino 1917 P- 8 ................... 0,40
49. Na'zzari R.: Le concezioni idealistiche dei male. 1918, pagine 16 ................... 1 —
50- Neal T.: Maino de Biran. 1914. P- 9 .................. 0,50
51. Orano Paolo: La rinascita dell’anima, 1912, p. 9’....... 0,50
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita ed un ritratto). Ì915. P. 19 ........................ i —
53. Orano Paolo : Gesù e la guerra. 1915. p. 11 ..................... 0,50
Sui prezzi dei presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Llb. Itai. 15-IV-20).
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33
Sui prezzi del presente Catàlogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
5i. Orano Paolo, Il Papa a Congresso- 1916. P- 12 ........... - 0,75
55. Paolo Orano: La nuova coscienza religiosa in Italia. 1917, p. 19
Esaurito
56. Orr James: La Scienza e la Fede Cristiana (secondo il punto di vista conci liatorlsta). 1912, p. 25 0,25
57. Pascal Arturo: Antonio Caracciolo, Vescovo di Troycs. 1915.
P. 39 ........................ 1 —
58. Pioli Giovanni: Marcel Hóbert (con ritratto cd un autografo).
1916, p. 23 .................. 1 59. Piòli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze e previsioni (con sei tavole). 1917, p. 57 ....... 1,50
60. Pioli Giovanni: La fede e l’immortalità nel «Mora et vita» di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy). 1917, p. 22 .......... 0,60
61. Pioli Giovanni: Morale e religione nelle opere di Shakespeare (con cinque tavole). 1918, p. 46 2 —
62. Pioli Giovanni: Il cattolicismo tedesco e il » centro cattolico ».
1918, p. 21 .......’........ 1,25
63. Pioli Giovanni: Lo spirito della Riforma c quello della Germania contemporanea. 1918. p. 11 0,50
64. Pons Silvio: La nuova crociata dei bambini. 1914, p. 6 Esaurito
65. Pons Silvio: Saggi Pascaliaui. I. Il pensiero politico o sociale del Pascal, II. Voltaire/ giudice dei « Pensieri del Pascal». III. Tre fedi (Montaigne, Pascal, «Alfred de VI-gny) (con due tavole fuori testo).
1914, p. 30 .................. 1,50
66. Provcnzal Dino: Giuoco fatto.
1917, p. 12 ............. 0,40
67. Provcnzal Dino: L’anima religiosa di un eroe. 1918, p. 12 0,75
68. Pagliai Mario: il problema morale nelle religioni primitive. 1915, p. 36 ........................ 1 —
69. Puglia! Mario: Le fonti religioso del problema del male. 1917, pagine 97 ................ Esaurito
70. Pugliai Mario: Realtà o idealità religiosa (a proposito di un nuovo libro di A. Loisy). 1918. pagine 13 ..................'. 1 —
71. Quadrotta Guglielmo: Religione. Chiesa e Stato nel pensiero di Antonio Salandra (con ritratto e una lettera di Antonio Salandra).
1916, p. 31 ............. 1 —
72. Qui Quondam: Visione di Natale. Frammento (con otto disegni di P. Pacchetto). 1916, pagine 7 ................ Esaurito 1
73. Qui Quondam: Carducci c il Cristianesimo in un libro di G. Papini. 191$. p. 11 ....... 0,50
74. Qui Quondam: La Carriola (La bruette) Dalle Musardises di Ros-tand (con due disegni di Paolo Paschdttó). 1918, p- 5....... 0,40
75. Re-Bartlott: Il Cristianesimo e le chiese, 1918, p. 10 Esaurito
76. Rendei Harris: I tre « Misteri » cristiani di Woodbrookc (Introduzione e note di Mario Rossi) (con un disegno di P. Paschetto). 1914, p. 27, in-32» ........ 0,50
77. Bensì Giuseppe: La ragione e la guerra. 1917, p. 27....... 0,75
7$. Rosazza Mario:. Del metodo nello studio della storia delle religioni. 1912, p. 7 ... Esaurito
79. Rosazza Mario: La religione del nulla (Il Buddismo) (con sei disegni). 1913 ........ Esaurito
SO. Rossi Mario: Verso il Conclave, 1913, p. 4 ............... 0,25
Si. Rossi Mario: La chimica del Cristianesimo (conferenza religiosa). 1916, p. 9 ......... 0,50
82. Rossi Mario: Esperiènze religiose contemporanee, 1918, pagine 13 ................. 0,50
83. Rossi Mario: La « Cacciata della i morte ■ a mezza quaresima in un I sinodo boemo del ’300 (Note folk-loriche). 1918, p. 8 ....... 0,50 l
84. Rossi Mario: I .sofismi sulla ' guerra e la difesa della nostra la- > Unità (Guerra di religione o guerra economica?)- 1918, p. 17 0.50
$5. Rostan C.: Lo stato delle anime . dono la morte secóndo il libro XI del!’«Odissea ». 1912, p. 8 Esaurito i
$6. Rostan C.: Le idee religiose di I Pindaro. 1914, p. 9 Esaurito
$7. Rostan C.: L’oltretomba nel li-I bro VI dell’« Eneide ». 1916, pagine 15 ................. 0,50!
$8. Rubbiani Ferruccio: Mazzini o ' Gioberti. 1915. p. 15 .. Esaurito
$9. Rubbiani Ferruccio: Un mo-1 damista del Risorgimento (Il mar- . chese Carlo Guerrieri Gonzaga), j 1917. p. 23 ............. 0.60
90. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita I nel Cattolicismo (I e II). Cronache Cattoliche per gli anni 1912-i 1913 ............... Esaurito
91. Rutili Ernesto: Vitalità c Vita! nel Cattolicismo (III, IV, V). Cro-1 nache cattoliche per gli anni 1913 c 1914 (tre fascicoli di pagine com-, plessi ve 52) ............. 1,50 1
92. Rutili Ernesto: La soppressione dei gesuiti nel 1773 nei versi inediti di uno di essi. 1914, pagine 6 ................... 0,40
93. Sacchini Giovanni: Il Vitalismo-1911, p. 12 ............0,50
94. Salatiello Giosuè: Il misticismo di Caterina da Siena (con una tàvola). 1912, p. 10 ....... 0.50
95. Salatiello Giosuè: L’umanesimo di Caterina da Siena. 1912.
p. 10 ................... 0,50
96. Salvatorelli Luigi: La storia del Cristianesimo ed i suoi rapporti con la storia civile. 1913, p. 10 ............ Esaurito
97. Scaduto Francesco: Indipendenza dello Stato o libertà della
, Chiesa. 1913, p. 25 iu-32» 0,25
98. Tagliatatela Alfredo: Fu il Pascoli poeta cristiano? (con ritratto del Pascoli e 4 disegni di P. Pa-sehetto) 1912, p. li ..... 0,75
99. Taglialatela Alfredo: Il Sogno di Venerdì Santo c il sogno di Pasqua (con 4 disegni originali di Paolo paschetto). 1912. p. 8 0,25
100. Taglialatela Eduardo: Morale c religione. 1916, p. 40 ... 1 —101. Tagliatatela Eduardo : L’insegnamento religioso secondo o-dlerni pedagogisti italiani. 1916, . p. 9 ................... 0,50
162. Tanfani Livio: Il fine dell’educazione nella scuola dei gesuiti. 1918, p. 27 .............. 0,75
103. Tosatti Quinto: Giordano Bruno (con ritratto del Bruno: disegno di P. Paschetto). 1917, p. 19 ................... 1 —
104. Tri vario Camillo: La ragione c lagucrra 1917, p. 151 ..... 0,40
105. Tacci Paolo: La guerra nelle grandi parole di Gesù. 1916, p. 27 ................... 1 —
106. Tacci Paolo: Il Cristianesimo c la storia (A proposito di Cristianesimo e guerra). 1917, pagina 9 ................. 0,50
107. Vitanza Calogero: Studi Com-modianei. I. Gli Anticristi e ¡’Anticristo nel « Carmen apologeti-cum • di Commodinno. II. Com-modiano Docota? 1915, p. 15 0,75
10S. Vitanza Calogero: L'eresia di Dante. 1915, p. 13, Esaurito
109. Vitanza Calogero: Satana nella dottrina della redenzione. 1916, p. 19 ................... 1 —
110. Wiglcy Raffaele: I metodi della speranza (Psicologia religiosa). 1913, p. 14 ... Esaurito
IH. Wiglcy Raffaele: L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa) 1915, p. 39 ................ 1 —
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 83 v
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= II Serie 1919-1921
,21. Nazzari Rinaldo: Intelletto c I ragiono. 1919, p. 15......... 1 —
22. Ferretti Gino: Le fedi, le idee o la condotta. 1919, p. 50 ... 2 —
’ 23. Cento Vincenzo: L’Essenza del Modernismo. 1920, p. 52 .. 3 —
I 24. Minocchi Salvatore: Un disinganno della scienza biblical (/ papiri ara inaici di Elefantina), 1920, p. 11 ................. 1 —
25. Corso Raffaele: La rinascita della superstizione nell ultima guerra. 1920. p. 20 ........ 1,50
26- Colonna di Cesari. G. A.: La .guerra europea dal punto di vista spirituale, 1920, p. 15 .... 1.50
27. Arcavi ì».: Atteggiamenti della pittura religiosa di Eugenio Bur-nand. 1920, p. 14 (con tavole) 1,50
2$. Luzzi G.: A uno studente del see. xx è egli ancora possibile d'essere cristiano7 1920, p. 12.. 1 —
29. Momigliano F.: I momenti ed pensiero italiano (dalla Scolastica alla Rinascenza). 1920, p. 12 1.50
30. Thompson Fr.: Il veltro del ciclo (Versione di M. Praz). 1920. pagine 8 ................ 1,50
31. Tucci G.: A proposito dei rappòrti fra Cristianesimo c Buddismo. 1920, p. 12........ 1,50
32. Mueller V. A.: G. Perez di Valenza O. S. A. vescovo di Chryso-poli e la teologìa di Lutcro.1920. pagine 15 .............. 1.50
33. Troubetzkoi E.: L’utopia bolscevica ed il movimento religioso in Russia. 1920. p. 15 .... 1^,50
34. Momigliano F.: L’educazione religiosa di G. Mazzini. 1920, p. 10 1.50
35. Forinichi C.: La dottrina idealistica delle « Upanishad ». 1920. pagine 16 ............... 2 —
36. Corso Raffaele: Folklore Biblico. 1920, p. 16......... 2 —
37. Persi Guglielmo: La religione della terra. 1920, p. 11 .... 1,50
3$.' Arcari Paolo: Rappresentazioni ed intuiti del divino in G. Previa«. 1920. p. 11 (con 8 tavole) 2,50
39. Nazznri Rinaldo: L’esistenza di Dio e il problema del male. 1920, pagine 12 ............... 1,50
40. Giulio Benso Luisa: Sofia Bisi Albini. 1920, p. 15 (con tav.). 1,50
(..Fattori Agostino: Pensieri dell'ora (Leggendo il Colloquio con Renalo Serra di Vincenzo Cento). 1919, p. 13 ................ 0.50
2. Di Rubba Domenico: La fedo religiosa di Woodrow Wilson-1919, p. 29 ............ 0,50
3. Fra Masseo da Pratoverdo: Intermezzo sacramentalo (A proposito di Unione dello Chiose Cristiano). 1919. p. 17...... 0.75
«. Dell'Isola M. e Provonzal Dino: C’ù una spiegazione logica della vita? 1919, p. 12......... 0.60
5. Biilia Michelangelo: Il vero uomo. 1919. p. 7.......... 0.50
6. Rossi Mario: Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento. 1919. p. 13 ... 0.50
7. Cadorna Carla: I ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541. 1919, p. 7 .................... 0.50
8. Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà. 1919. pagine 11 .................. 0.50
9. Marchi Giovanni: Il Confiteor dei giovani. 1919. p. 8... 0,50
10. Qui Quondam: Dopo-guerra nel clero. 1919. p. 14 ......... 0.60
11. Tucc! Paolo: La guerra e la pace nel pensiero di Lutero. 1919, p. 31 ...................... 1,50
12. Pavollnl Paolo Emilio: Poesia religiosa polacca. 1919. p. 8. 0.50
13. Pioli Giovanni: In memoria del P. Pietro Gazzola. 1919. pagine 15..................... 1.50
14. Provcnzai Dino: Ascensione eroica. 1919. p. 14......... 0.80
15. Renai Giuseppe: Metafisica e lirica. 1919, p. 15.......... I —
16. Falchi Mario: C'è una spiegazione logica della vita? 1919, P. 8 ....................... 0.40
17. Costa Giovanni: Giove ed Ercole (contributi allo studio della ; religione romana nell’impero). । con quattro tavolo. 1919, pa- ! gino 27 ................. 2 —.
18. (•••) Mancanze di garanzie nel- ì lo Schema c nel nuovo Codice di diritto canonico o saggio su le fonti. 1920. p. 52......... 3 — |
19. Della Seta Ugo: La visione morale della vita in Leonardo da Vinci. 1919. p. 3!......... 2 —
20. Lesca Giuseppe: Sensi e pensieri religiosi nella poesia di Arturo Graf (con due tavole). 1914-, 1919, p. 40.................. 2 — |
41. Soler: Giosuò Borei o il Cardinale Mail). 1920, p. 15 (con tav.) 2 —
42. Tilghcr Adriano: Il tempo e l’eternità.' 1920, p. 10 .... I.Sp
43. Salvatorelli Luigi : Il pensiero del Cristianesimo antico intorno allo Stato, dagli Apologeti ad Ori-gene. 1920, p. 4 . . . . . 3,50
44. Renda Antonio: La teoria psicologica dei valori. 1920. p. 4 3.50
45. Formichi C.: Paul Deussen. 1920. p. 15.............. 3 —
46. Puglia! M.: Misteri pagani c mistero cristiano. 1920, p. 19 . . 3,50
47. De Sarlo F.: Ernesto Haeckel.
1921, p. 14 . ....... . . . 2,50
48. Pioli G.: L’«Etica della Simpatia-nella «Teoria dei sentimenti mo» rati» di Adamo Smith.1920, p.73 5—
49. Grabhcr C.: Uu mistico c il suo amore. 1921, p. 8 ....... 1,50
50. Lattea I).: Cristianesimo ed Ebraismo. 1921, p. 14...... 2,50
51 Rossi Mario: Che cosa è la Comunione e il Corpo di Cristo? (con una tavola) 1921 p. 19 . . . 2 —
52. Calderini Aristide: Sacerdozi o sacerdoti nell'Egitto degli Antonini. 1921, p. 14 ....... 2—
53. Rodio G.-Janni U.: Ebraismo o Cristianesimo (Discussione'). 1921, p. IIP........... 1,50
54. Ncal T.: Blondel e il problema religioso. 1921. p. 19 . . . 2 —
55. Farinelli Arturo: Friedrich Spco. 1921, p. 15 ....... 1,50
56. Comba Ernesto: Ebraismo e Cristianesimo. 1921, p. 11 . . 1,25
57. Borsa no Begey M.: La missione spirituale di Napoleone secondo A. Towianski, 1921, p. 11 . . 1,25
58. Levi Della Vida G.: Ebraismo c Cristianesimo, 1921, p. 8 . . 2 —
1
59. J.o Gatto Ettore: La Russia e
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Itai. 15-IV-20).
il suo problema religioso, 1921, P. 11 .......... 2,50
60. Macchierò V.: Monoteismo e Zoroastrismo, 1921, p. 4. .. 3 .
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vi Casa Editrici B1LYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33
GIOVANNI E. MEILLE: PSICOLOGIA DI
COMBATTENTI CRISTIANI
(Estratto dalla Rivista BILYCHNIS)
Doli’ Indice t
I. PROFILI.
II. GLI UOMINI. (I combattenti cristiani sono giovani normali - Amore per la vita -Affetti famigliar! Allegria - Amicizie - Intellettualità - Letteratura -Arte -Poesia della natura - Purezza).
111. I COMBATTENTI. (Sensibilità, modestia, prestigio - Testimonianza cristiana tra i compagni - Ore grigie e pace interiore - Entusiasmo - Coraggio - Nella mischia: onore, sensibilità, pietà - 11 problema tragico e le sue soluzioni - Patriottismo - Rinunziamento e consacrazione - Devozione alla patria e ideali civili -Fede nell’umanità e convinzioni cristiane).
IV. I CRISTIANI. (La Federazione Studenti - I«a Bibbia - La preghiera - L'AI di là -Sviluppo e approfondimento della vita spirituale - L’Ansia sociale - Fraternità interconfessionale - Religiosità moderna - Valore della vita presente - Concetto della felicità - Problemi del dopo guerra - Vette morali e spirituali).
Bel volume (adorno di suggestiva copertina simbolica di P. PASCHETTO) di XII-144 pagine grandi a due colonne. Prezzo L. IO :: Estero frs. io.
'. -- ---- ..........---------- -- -- ~- -------------Novità :
Piero Chiminèlli
LA FORTUNA DI DANTE
NELLA CRISTIANITÀ RIFORMATA
(CON SPECIALE RIFERIMENTO ALL'ITALIA)
Un bel voi. di pag. XI-266 - L. 10 - (Estero L. 15 —).
Il libro è apparso da pochi giorni in vendita e già à suscitato approvazioni e lodi per la materia raccoltavi sinteticamente e chiaramente esposta.
È qno studio diligentissimo o sintetico che forma una dello migliori pubblicazioni della celebrazione del VI® centenario dantesco (Il Patte di Roma).
Dobbiamo tributare a quest' opera sia por di suo piano generale che per le. sue parti speciali le più alto lodi e raccomandarlo in modo speciale ai lettori tedeschi (Bohemia di Praga).
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33 vii
Quaderni di _________________________________________=
= BILYCHNIS nei 1921
Pubblicati :
1. Dino Provenzal, Una vittima del dubbio: Leonida Andreief - Con un'appendice di Ettore Lo Gatto: Cenni bio-bibliografici su L. Andreief e traduzione italiana di alcune scene dell'Anatema dell’Andreief.
Tutta la stampa si è occupata largamente di questo interessante Quaderno, al quale Pompeo Falcone nei Libri del Giorno del settembre 1921, ha dedicato un ampio studio.
2. A. V. Muller, Una fonte ignota dèi sistema di Lutero (Il Beato Fidati da Cascia e la sua teologia).
L’A. mostra le singolari corrispondenze tra il pensiero di questo frate italiano morto nel 1348 e le affermazioni di Lutero, che furono ritenute eretiche e inclina a credere che il frate italiano non dovrà essere ignoto al riformatore tedesco... (Rassegna Moderna).
Le conclusioni generali a cui giunge PA. a noi paiono molto esatte ed-aiutano molto a stabilire su basi veramente storiche la figura di Lutero, figura, cioè, non di un grande pensatore, ma di un grande uomo di azione... (Resto del Carlino).
3. A. Severino, Il sentimento religioso di F. Amiel.
L’A. dopo avere due anni or sono dedicato alla vita e all’opera dell’Arnie! uno studio sintetico che non era male informato, si indugia ora a studiare gli elementi e i caratteri dell'esperienza religiosa affidata a quel Journal intime di cui E. Scherer pubblicava nel 1882 i frammenti più salienti... (E. Buonaiuti nel Tempo).
4. R. Nazzari, La dialettica di Proclo e il sopravvento della filosofia cristiana.
L’A. riesce molto bene a sintetizzare i principi cardinali della gnoseologia e della metafìsica dell’ultimo maestro, che nella seconda .metà del secolo quinto diresse ad Atene la scuola neoplatonica. (E. Bvoxail'.ti nel Tempo).
Da pubblicarsi entro il 1921 :
5. G. Pioli, G. Tyrrei e il suo epistolario.
6. A. Tilgher, La visione greca della vita.
Ogni fascicolo di circa pagine 70 con una o più tavole Lire 4 — per i non abbonati alla Rivista.
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VII!
Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 88
GUGLIELMO QUADROTTA
LA CHIESA CATTOLICA NELLA CRISI UNIVERSALE
Con particolare riguardo -ai rapporti ira Chiesa e Stato in Italia. - Volume di pag. CLXXIX- 178.
Prezzo in Italia L. IO— - J* stero L. 15 —
Il volume tratta argomenti di grande importanza, quali: I-a posizione della Chiesa Cattolica nel mondo' e la necessità della revisione dei suoi rapporti con l'Italia - Il Cristianesimo, la Chiesa c la guerra - La neutralità pontificia - Dà Pio X a Benedetto XV - Chiesa e Stato in Italià - La politica ami-Italiana del Pontificato - La Gran Bretagna c la Chiesa cattolica, ecc. ' •
. Uno dei pregi del volume d nella ricca raccolta dì documenti che esso contiene, che valgono a mettere in luce l’atteggiamento e l’azione del Papato allo scoppio e durante il lungo periodo della grande gucrr.a.
E’ un attacco frontale a quella leggerezza italiana che in momenti come l'attuale costituisce un tradimento verso la Nazione.
La cotte Iasione è che questo è il momento storico per affrontare decisamente il grave problema, che finché rimarrà insoluto, sarà causa di profondo turbamento nella vita nazionale.
Quest'opera è stata largamente discussa e favorevolmente giudicata da tutta la stampa italiana sopratutto nel momento in cui venne risollevata la questione romana, alla quale à offerto ampia messe di materiali. Riportiamo qualche giudizio più significante.
Guglielmo Quadrotta che si fece apprezzare giovanissimo. per lo suo corrispondenze al -Secó/o su questioni vaticano, e, quindi. per i suoi volumi: Socialismo c religione; ¡1 Papa; l'Italia c la atterra; Religione Chiesa c Stalo nel pensiero di Antonio Salandra (1916). sostiene, in questo sur denso lucido volume, ricco di documenti c utilissimi raffronti. In necessità della revisione dei rapporti fra la Chiesa cattolica c l'Italia. Studia, serenamente, l’azione politica del papato, durante c dopo la guerra chiarisce il valore dell'espressione ■ papa religioso • riferita a l'io X. e dclineu, con pochi tratti sicuri, l'opera politica di Benedetto XV. 11 Quadrotta accenna rapidamente, per ragioni evidenti, all'atteggiamento che il pensiero cristiano ebbe verso la guerra, da Agostino d'Ippona a- Desiderato Mcreier. <• ricorda i rapporti fra la Chiesa e i vari stati italiani (Repubblica veneta. Stato di Savoia al tempo di Vittorio Emanuele II e di Carlo Emanuele III), che hanno dato occasione a un numero vile-vantlssimp di contestazioni e di relazioni. (Nuota Rivista Storica).
Opera... interessante... e utile per gli argomenti discussi, pe il calore che Q. vi porta epcr il materiale c I documenti radunati.
L(UIG1) S(ai,vatoreli.I) nella Stampa.
Attualo, viva, nutrita, < la Prefazione al volume: essa dft ai capitoli che seguono, il quadro e l'atmosfera entro cui devono poi trovar posto c giustificazione. I passi che ai riferiscono ai contatti ulliciosi e segreti corsi da due anni ad oggi fra il Vaticano e il Governo italiano (Gasparri. Corretti, 'itti) sono quelli che più precisano li carattere del libro: contributo di Informazioni sicuro, di documenti bene scelti, e di orientamenti acuti, anche se non sempre da noi accettabili, alla stociu futura della politica della Chiesa con I paesi belligeranti, durante e dopo il conflitto. Quindi utilissimo libro. '
R(obkrto) C( anta lupo) (ucll’/dcrt Nazionale)
Ma fra i documenti hanno particolare valore gli scritti inviati all'A. In risposta ad un referch-aum indetto durante la guerra da pensatori, scrittóri, uomini politici di ogni tendenza sulla eventuale partecipazione del Papa alla Conferenza della Pace: scritti che hanno una grande importanza per le I argomentazioni svolte e la copiosa dottrina storica c giuridica che investe l'argomento dèi rapporti.fra I lo btato e la Chiesa. '
In conclusione il libro del Quadrotta è un libro interessa nto di storia e di politica religiosa molto obbiettivo che non può essere trascurato da quanti dedicano la loro attenziofic. e la loro opera ai vari problemi della vita italiana.
Paolo Palmisano (nel c.iomalc di Sicilia).
... cxcclient volume, très documentò ... C'est un volume susccioible d'intcrcsscr graudement le lectcur francai«.
(Mercure de Prancc)
-- - - - ........................................................................ I
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RELIGIOSI
• DALL A-FACOUA- DELLASCVOL A-Jjä »¿TEOLOGICA- BATTISTA-DI-ROMA
Anno X-Fasc. IX. ROMA - SETTEMBRE 1921 Vol. XVIII. 3
MISTICISMO GERMÀNICO
E “ LE RIVELAZIONI ” DI MATILDE DI MAGDEBURG <■>
Abbiamo discorso, un po’ fugacemente, della esaltazione mistica ch’era nella vita del popolo germanico quando già s’ergevano al cielo le guglie dei suoi tempi più arditi, le Commedie divine, immaginate e costrutte dagli architetti audaci che precorsero la Commedia di Dante Alighieri. Vedemmo a quale concezione dell’amore per l’uomo Dio si dessero i solitari contemplanti e disprezzatori dei beni terreni, aspiranti alla beatitudine eterna. Ma appena cercammo di caratterizzare i soliloqui e i colloqui degli araldi della purissima fede; appena rilevammo l'impeto lirico negli sfoghi delle anime appassionate e ardenti. Vita di astrazione e vita di fantasia, mondo di pensiero e mondo di immagini si compenetrano nell'attività spirituale di questi solitari. Dicemmo prevalere l'immaginazione, quindi il lirismo, nelle mistiche confessioni ed esaltazioni della donna; l’astratto pensiero invece, il dogmatico, il teoretico,
(i) Nel fervore attuale degli studi danteschi potrà interessare la stampa di una mia lezione dedicata all’opera della Matilde germanica, che si è confusa un tempo con la Matelda di Dante — frammento di alcune mie discussioni sulla lirica dei mistici, nelle quali m’era pur forza trascurare quanto s’era scritto in Italia sulle Rivelazioni della visionaria di Hackeborn in rapporto con la Commedia di Dante (A. Mancini, Matelda svelala? nella Rivista d’Italia 1902 aprile, e Bull. d. Soc. Dani. Hat. N. S. XII, 93, sgg. — risponde al Bertoldi, La bella donna del Paradiso terrestre, nella Rassegna Nazionale, voi. 122 ; G. Pic-ciola, Matelda. nella Bibliot. slor. crii. d. leit. Dani., S. II disp. I, Bologna 1903; M. Schè-rillo, nel Bull. d. Soc. Dani. Hai., N. S. X, 370 e sgg.; F. D’Ovidio, Nuovi studi danteschi. Il Purgatorio e il suo preludio, Milano, 1906, a cui si oppongono : il Bertoldi, La Signora di Canossa, nei Giorn. Dani., anno XIV, quad. 2, 1907, e il Parodi, Intorno alle fonti dantesche e a Matelda, articolo raccolto dal suo Bull. d. Soc. Dani., e riprodotto nel bel volume: Poesia e Storia nella Divina Commedia, Napoli, 1921).
Per gli scritti sui mistici della Germania si veda l’Appendice bibliografica aggiunta al voi. L’opera di un maestro, Torino, 1920.
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BILYCHNIS
la discussióne teologica nell'opera dell’uomo. In fondo sono i problemi medesimi sulla natura di Dio, sulla natura dell’anima, e sul modo più acconcio per conseguire il congiungimento dell’anima con Dio, che s’agitano nelle coscienze di tutti i mistici di que’ tempi procellosi e torbidi. Gli uni ci arrivano a forza di lavoro concettuale, con la forza di argomenti logici; gli altri con foga, con slanciò, con impeto interiore e il fuoco, il balenio, il raggiare dell’immagine.
La vita religiosa, nei primi secoli dopo il 1000, amoreggiava con la scienza. Problemi di fede erano soggetto di argomentazione filosofica. Si impugna Aristotele, letto dai santi uomini già in varie traduzioni. I succhi del pensiero di Platone s’infiltrano nel pensiero dèi teologi, dei frati e contemplanti anacoreti. Ad Aristotele si stringe Alberto Magno, che già offre ai mistici il motivo fondamentale del loro speculare e fantasticare e delirare. Parla già lui di un salire graduato a Dio; già lui esorta alla perfetta separazione dell'anima da ogni affettamente terreno, perchè, concentrata in sè, purificata, riesca ad essere un solo spirito con Dio. Mediante la grazia potrà divenire quello che Dio è per natura. Si muterà sostanzialmente sino a diventare Dio essa medesima.
Non ci preoccupiamo ora del progredire successivo delle mistiche tendenze ed aspirazioni; non possiamo tracciare la storia dello sviluppo degli ordini monastici, dei francescani e dei domenicani, dove più si accentuano codeste tendenze; e nemmeno possiamo concederci un esame delle opere dei mistici del ’200 e del ’400, per scorgervi gli elementi poetici, lo sfogo lirico dell’anima rapita al suo Dio, aggiunto alla rigida speculazione.
Maestro Eckhart è il duce vero e predestinato da Dio del gran coro dei mistici germanici, la testa pensante, l'ordinatore, il riformatore, il foggiatore di dogmi e di sentenze; poeta pur lui, rapito pur lui dalle estasi ardenti, ma capace di fare violenza affa fantasia, perchè vincesse la ragione, umiliando il mondo delle immagini. L’idea doveva trionfare. Il cervello doveva uccidere il cuore. L'uomo è posto sulla scena della vita per accorrere a Dio, perchè s'avvezzi e s’addestri al sacrificio del terreno, perchè sgombri dal suo interiore le idee mondane, tutti i desideri, e il desiderio di sè medesimo persino; perchè segua, sordo ad ogni voce di Sirena, la corrente che a Dio conduce, a Dio, suo principio, sua origine, sua fine, sua sostanza medesima Il pensiero mistico di Eckhart s’intreccia al pensiero panteistico. Dio è nel cielo e nella terra, e dovunque; è massimamente nell’anima nostra.
Un riassunto breve, chiaro ed efficace della dottrina mistica di Eckhart è nel libretto del Prezzolini, già da me raccomandato, Studi e capricci sui mistici tedeschi, e bene vi si chiariscono le tendenze mistiche ai tempi di Eckhart. — Tu non devi cercare Iddio, diceva Eckhart, qui o là, perchè egli sta ed aspetta non lungi, davanti alla porta del tuo cuore, che tu gli apra e lo lasci penetrare. Ma cosa lo impedisce? lo impedisce ogni oggetto particolare, il qui e il là, il questo e il quello — lo impedisce ogni cosa particolare, che occupi per via d'amore e di odio il nostro cuore. Se il mondo- non è che una frammentaria automanifestazione divina, per ritornare a Dio, bisogna staccarsi dai suoi frammenti. Dio è l’unità assoluta, e come tale è immobile, d’una magnifica enorme perfetta immobilità. Di questa immobilità divina è partecipe
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MISTICISMO GERMANICO E LE « RIVELAZIONI » DI MATILDE DI MAGDEBURG 13$
l’anima della nostra anima, il nostro secondo io, l’io profondo ed intimo. Questo io deve raggiungere il cristiano, perchè questo io è la stessa divinità. E per raggiungerla deve cancellare da sè ogni pensiero del mondo, sia odio sia amore, deve essere in sè e per sè, rinchiuso come una monade, senza partecipare agli altri esseri, nulla di sè stesso, e nemmeno la notizia di questa sua immobilità. Per essere perfetto bisogna che non dica neppure : — io non mi commuovo — perchè se lo dicesse, sarebbe già commosso. Se vuole unirsi a Dio, bisogna che si faccia simile a Dio, e per farsi simile a Dio non v’è migliore e più sicura via che quella della massima separazione e solitudine, che conduce alla perfetta unità e semplicità divina.
Un rigorosismo che può incutere sgomento, una esortazione ad una vita claustrale intensificata, che si inabissa nel centro di sè medesima, morta al mondo che freme e rugge intorno, e distrarrebbe dal suo cammino diritto l’anima anelante a Dio. Ma fremiti del cuore dell’uomo battono entro gli squallidi alti silenzi della magione sacra al rigido asceta; e a questi fremiti, alle contraddizioni in questa dottrina dell'assoluto isolamento, alle apparizioni furtive dell’umano stretto nelle spire del divino dobbiamo i frammenti di poesia nella prosa spirituale del maestro, di cui cento e mille, nella solitudine del chiostro, o attivi sulla tribuna delle chiese, intesero a propagare ed a chiarire la mistica dottrina.
Il breve saggio prezzoliniano riassume anche le poche notizie sulla vita esteriore del maestro. Era nato nella Turingia, nel 1260, cinque anni prima di Dante, e a 16 anni, provvisto di studi, entrò nel convento dei Domenicani a Erfurt. «FratelloEckhart dell'ordine dei predicatori. Vicario della provincia Turingia e priore del Convento di Erfurt », così, già innanzi nella gerarchia ecclesiastica, lo ricorda un documento. Pare seguisse i corsi di teologia a Strasburgo allo Studio Provinciale dei Domenicani, e, investito degli ordini ecclesiastici, varcati i 25 anni, sembra passasse allo Studio generale di Colonia, celebre per l’insegnamento che v’impartivano, prima che Eckhart vi giungesse, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Passa poi Eckhart due anni a Paiigi, nel gran centro degli studi teologici; partecipa alle dispute dei dottori magni; acquista il grado di « magister ». E nella sua qualità di « magister » e dogmatizzatore, Meister Eckhart entrò trionfalmente nel mondo degli spiriti illustri, guida dell’anima nella patria sua. Di un suo Commento a Pietro Lombardo - « quel Pietro, che con la poverella, offerse a santa Chiesa il suo tesoro », come lo celebra il Paradiso di Dante - frutto dello studio scolastico parigino, non è rimasta traccia; e certo si smarrirono parecchi trattati del Maestro ; e aggrovigliatissima ancora è la storia delle prediche che a lui si attribuiscono. Degli scritti in latino, assai meno popolari, s’intende, di quelli stesi nella lingua germanica, restarono traccie ancora più . misere e confuse. E c'è oggidì, pascolo e delizia degli eruditi, una « Eckhart Philologie », fiorentissima. L’arduo lavoro da compiersi dai ricercatori solerti è additato dal discorso rettorale dèlio Strauch, « Meister Eckhart-Probleme ».
_Richiamato Eckhart dalla Francia in Germania per l'assemblea generale dell'ordine, s’ebbe il titolo di Provinciale di Sassonia. Nel 1307 e negli anni in cui più difettano le notizie della vita di Dante, è assegnato a Eckhait l’ufficio di riformare i conventi della Boemia. Torna aJPariginel 13x1: s'azzuffa coi Francescani. Quando è in patria
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è posto alla testa della Scuola teologica di Strasburgo. È il tempo della attività maggiore e del maggior fervore della sua dottrina mistica, che chiarisce in prediche, in discorsi, in orazioni, in esortazioni e trattati —«Trostschriften » — libri di conforto e di eccitamento alle anime devote, come il Buch von der göttlichen Tröstung und von deni edlen Menschen, il Benedictus (per la figlia di re Alberto 1, sposa a Andrea III di Ungheria), le Reden der Unterscheidung, il trattato noto col nome Meister Eckkarts geistlicher Tochter Schwester Katrei, gli Opus sermonum.
Veramente, la voce di questo fervidissimo e attivissimo apostolo della vita contemplativa era ascoltata come oracolo nella patria sua. E crebbe via via in Germania la fama dei suoi sermoni. E i seguaci eckhartiani si sparsero dovunque. E vi furono tribù intere di recitatori e commentatori degli scritti del maestro. discepoli* devotissimi, mistici, invasi dal sacro fuoco della divina dottrina annunciata dalle squille eckhartiane. Eckhart, già al declinare della vita, poteva apparire sospetto di eresia. Tutti i dogmi della Chiesa erano ristretti nel santuario dell’anima; il Dio degli eletti prodigavasi nell’universo; discendeva in tutte le anime devote. Il misticismo eckhartiano, indipendente dalle tradizioni della Chiesa, avverso alle gerarchie dei servi di Dio, arieggiava al panteismo; riponeva nell’individuo, nell’anima personale e particolare quello che comunemente è posto all'esteriore. E bisognava che lo colpisse una condanna provvidenziale. Eckhart moriva nel 1327, sei anni dopo Dante; e non assistette allo strazio che le bolle papali fecero delle sue dottrine; non ebbe sentore della scelta stabilita tra le dottrine buone e salvàbili e quelle cattive e condannabili che spargeva per il mondo.
Poter raggiungere Dio, diventare Dio, lottando cogli istinti di natura, con ogni sforzo della liberà individualità, quest’è l'aspirazione dei mistici della grande scuola di Meister Eckhart. Figura tra i maggióri suoi seguaci Johannes Tauler, sermoneggiatore a Strasburgo, nato nel 1300, morto nel 1361. Tauler sentiva in sè il grande potere educativo delle dottrine mistiche ma nelle prediche e nei trattati (gli si attribuisce il libro Von der Nachfolge des armen Lebens Christi oder von geistlicher Armuth) non fa che stemperare il pensiero del maestro. La sua attività è tutta pratica. La fantasia sua è sempre umiliata di fronte alla ragione. Non c’è in lui potenza di visione, Slancio lirico; non ci sono affetti che straripano; anche nelle continue esortazioni all'amore, fonte unica di vita, appare moderatissimo e persino freddo.
Infinitamente più poesia è negli scritti di Heinrich Suso, contemporaneo del Tauler, specie di « Minnesanger » in ritardo, inneggiante alla « Minne » divina. Sa intrecciare le descrizioni della natura, che interpreta spiritualmente; congiunge primavera e amore, inverno e dolore; compara le donne ai fiori, gli uomini, mossi da idee mondane, ai falchi che s'aggirano per l’aria. È di una delicatezza tutta femminea; maledice il mondo, quella terra che ci toglie alla fruizione del cielo; ma lo fa con tanta soavità; tanto piacere alla vita congiunge all’imprecazione alla vita, tanto sente, tanto ama la natura, che vorrebbe pure spogliata di ogni incanto, per ridursi a quell’unico porto di salvezza di vita verace che è la serena morte
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in Dio. Questo mistico, a eui scompare la terra nella visione del cielo., autore di un celebratissimo trattato dell’eterna saggezza. Das Büchlein der ewigen Weisheit, ha aviito dalla terra gli attacchi più fieri; passò d'una all'altra accusa; trascinò gravosa la sua croce. Lo si volle immorale, corruttore, dedito ai piaceri lascivi. Conobbe Suso il suo Calvario, prima di descriverci! Calvario dizCristo, e la passio ne che solleva e redime e trasfigura. Dai patimenti e dai crudi disinganni, sopportati senza un gemito, è nata la sua poesia.
Il pensiero di Eckhart perde nell’opera ricreata'1 dal discepolo la sua astrusità e rigidezza, e si veste di immagini. Si sente in Suso la scossa interiore, un fremito di vita del cuore, la foga e ressa, il turbinio dei fantasmi. È un mistico che parla più al cuore che alla mente; Non è sforzo in lui. È una natura che si effonde e commuove per la sincerità e immediatezza del sentimento E quando parla di Maria e della grazia divina che la donna divina accorda a chi in lei confida, un’onda di tenerezza molle di pianto lo muove; tutte le armonie sono deste in lui. E come rialza e nobilita la donna, sulla donna, similmente, il lirismo mistico di Suso eser cita il fascino maggiore. »Ma la lira sua, come quella dei compagni nel mistico abbandono a Dio, dispone di pochi accordi. Varia all’infinito un motivo medesimo. L’amore fallace dei fugacissimi beni terreni è opposto instancabilmente alla «göttliche Minne », su cui non ha presa il tempo. Comincia col piacere l'amore mondano e termina col dolore, il tedio e l’amarezza senza rimedio. LI dolcissimo amore invece, « die süsse Minne ». ha principio con la rinunzia e il patimento, e si compie con la gioia incontrastata e la felicità eterna. Ed è singolarissima l’abilità con cui Suso ad ogni lato materiale della vita subito sa opporre, in drammatico contrasto, il lato spirituale. Subito rituffa il profano nel sacro. E sorprendentissima è l’esperienza ch'egli rivela di tutti gli inganni e di tutte le frodi delle Circi affettatrici» additate alla fermezza dell’uomo, che ascende a Dio, Che si ritrova in Dio, perchè resista a tutte le tentazioni, e proceda, senza flettere, diritto ai suoi destini. Il Büchlein der ewigen Weisheit scioglie l’inno alla bellezza eterna, all'amore divino, che tutto regge e tutto muove, ed è l’anima stessa dell’universo; pone lo spirito di fronte a Dio, come l'amante di fronte all’amato. Spiega « wie ¡ninniglieli Gott ist »; narra delle carezze che l'anima ricevette da Dio, « von dem Minnekosen, das die Seele mit Gott gehabt hat ».
Con l'intimità medesima e il medesimo candore, é con non meno vigor poetico, già un secolo prima esaltava la mistica unione dell’anima con Dio Mechthild von Magdeburg, nei frammenti di una sua vita nuova e sacra Commedia, che a torto si disse conosciuta da Dante medesimo, stimolo alla « Commedia » dei tre regni: Das fliessende Licht der Gottheit. Queste confessioni delle anime erano scritte dal 1250 al 1265 circa. Eckhart non era sorto ancora a sermoneggiare alle turbe. Dante non era ancor nato. Non ci meraviglia di trovare affa culla del misticismo germanico la donna, più forte direste dell’uomo, di abnegazione e di rinunzia, più
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capace di vivere in sè, nei labirinti dell’anima, beata delle estasi e delle visioni che l'assediano e l’esaltano, con quello spirito di soavità e di mansuetudine che comunica agli scritti, tutti frammenti della più intensa vita interiore. Il pensiero è poco robusto; e manchevole ancora, puerile talvolta appare la riflessione, soverchia la tensione di questo vivere nell’astratto, senza vera tendenza all’astrazione verace. In compenso il volo delle immagini è più gagliardo. La poesia mistica di Mechthild von Magdeburg è come preludio al misticismo-teologico filosofico di Eckhart, di Tauler e di Suso.
Confessioni intime, sgorgate dai cuore della donna, già ci appaiono nel più remoto medio evo germanico. Ne abbiamo una scritta in prosa nel 1000, un'altra in versi nel 1100. Ad una donna, la monaca Ava, che macerava se stessa coi digiuni ed i cilici in un chiostro dell’Austria, dobbiamo le prime esaltazioni sul congiungimento di Dio con l’anima. Accese da spirito profetico, annunziano la giustizia divina, che dovrà compiersi sulle genti che traviano, altre donne, al tempo stesso in cui Bernard de Clairvaux predicava la croce al popolo germanico. Ed era nei chiostri delle recluse monachelle un fervore di vita religiosa, uno spasimare, per raggiungere in Cristo la vera pace, il vero amore, che stranamente univasi ad un degenerare raccapricciante dei costumi. Non v'è campione del mistico amore e banditore del mistico vangelo che non insorga a condannare le escandescenze dei monasteri, la libidine sensuale dei devoti che dovrebbero essere tutto spirito e servivano la carne, si concedevano al demonio invece di votarsi a Cristo.
Già s’è toccato di certo erotismo che s’insinua nelle estasi religiose delle donne inneggianti all’amore divino. Potrebbero sbizzarrirsi i patologi d’oggidì, investigando quanto debba assegnarsi all’alienazione mentale, all isterismo, alla ribellione dei sènsi mortificati, nel fervor maggiore delle mistiche visioni. Religione e sensualità delirano talora fraterne. Una scrittrice valente. Mela Escherisch, che ci diede, or non è molto, uno studio accurato su Mechthild von Magdeburg, e modernizzo e Spiegò con mólto senno i setti libri del trattato ascetico Dos flìessende Lichl der Gottheit oppose, troppo recisamente forse, ai tipi di donne eroiche, dal 1100 al 1300, capaci di visioni apocalittiche, come Hildegard von Binger (1104-1178) Elisabeth von Schònau (1129-1165), accese da sdegno santissimo, le così dette « Liebhaberinnen» « Frauen, die sich sinnlich in Religion ausleben ». Le visioni di coteste amanti di Dk sono esplosioni di una sensualità mal contenuta, effusioni ricolme di ardore terreno, ribelli ad una vera forma artistica. I misteri della fede si tramutano in esperienz * dei sensi. Queste* donne sono innamorate di Cristo. E Cristo è innamorato di loro. E Dio involge dell’amor suo sconfinato il monde intero. La creazione è ridotta ad un semplice atto di amore fra l’uomo e la donna. Nei chiostri della Fiandra delira particolarmente il tipo della donna mistica, vittima degli estatici innamoramenti e fidanzamenti. Nè occorre che io qui faccia nomi. Tra le tedesche emerge, per nobiltà e virtù di sacrificio e potenza di visioni, Christine Ebner (1277-1324). È la più pura e più devotamente sommessa di queste Maddalene penitenti, anelanti alla liberazione interiore, che si svincolano dal peccato, per redimersi in Dio. Accanto al coro delle
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mistiche amanti vive il còro delle donne, che alla contemplazione ed all’estasi vorrebbero congiungere una carità ed operosità spirituale, sacerdotesse di Dio e dell'umanità ad un tempo, le « Freundinnen » cosi dette, le amiche. Sanno dominare gli istinti; reprimono il fremito della carne; tutte le voluttà sensuali costringono al silenzio, perchè trionfi unicamente la voluttà dello spirito. La femminilità loro si rivela nel dolce abbandono alla scienza mistica, che diffonde l’accesa e virile parola dei duci maggiori. Accanto a Eckhart è attiva la sorella Katrei; accanto a Heinrich von Nordlingen, Margarethe Ebner, accanto a Heinrich Suso, Elisabeth Stage!.
Ma le anime male si acconciano alle nostre distinzioni e suddivisioni e categorie. Non sappiamo se più « amica », o amante, o combattente fosse Matilde di Magdeburg, che precorre alle dottrine mistiche dell’Eckhart, e veste d’immagini quelle che un secolo dopo seduce per il vigore, del pensiero. Si compiacquero parecchi di identificarla con la Matelda dantesca, la bella donna che il poeta introduce nella processione simbolica raffigurante la Chiesa, la donna soletta apparsa sulla riva del fiumicello del Paradiso terrestre, « che si già | cantando ed ¡scegliendo fior da fiore», e scaldavasi a’ raggi d’amóre; e s’è detto da alcuno che i frammenti di visioni, le poetiche improvvisazioni, in cui Matilde dava vita al suo mondo inferiore, servirono come d’abbozzo al grande poema di Dante. Nelle visioni della monaca di Magdeburg s’è voluto trovare quasi tutto il Purgatorio dantesco. Forse, dicevasi, un manoscritto dell’opera voltata assai presto dal basso tedesco in latino, passò in Italia, e determinò certe figurazioni del-l’oltre tomba, che nelle due Commedie offrono singolare analogia.
Ritengo oziose fantasticherie questi ravvicinamenti, basati sulla superficialissima conoscenza del mondo medievale di idee e di sentimenti, e di quelle estasi, di quelle visioni e delle esaltazioni improvvise che accendevano gli spiriti nelle terre germaniche e latine, al settentrione e al mezzodì, e movevano a raffigurare, coi tremiti e le scosse, le ansie dell’anima, i giusti giudizi di Dio, pene e tormenti dei dannati, le beatitudini degli eletti, espiazioni e martiri, sogni ed estasi, l’universale giudizio che si anticipa, perchè le stirpi degeneri abbian timore e coscienza del castigo divino che le minaccia. Con tutta probabilità Dante ignorò il nome persino della mistica ancella di Dio di Eisleben, e nulla mai seppe delle visioni trascritte nella « Luce scorrente della divinità», letta certamente ed apprezzata assai nei chiostri della Germania, nota certamente anche all’Eckhart, e non mai approdata alle mistiche celle degli italiani.
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Dell’esteriore della vitadi Matilde di Magdeburg (nacque nel 1212 e morì nel 1277) pochissimo sappiamo. Si suppone che sia stata sua patria Magdeburg, e che derivasse da famiglia agiata e nobile. Nessun documento su di lei, tranne pochissimi e fugacissimi cenni ad alcune vicende della sua vita, che le sfuggono nei libri che compone a edifica-zionejdello spirito. Dai piaceri fugaci pare che prestissimo ritraesse tedio e disgusto. Presto allettata dalle cose eterne, attratto lo sguardo verso il cielo, nel fiore della gioventù, a ventitré anni, abbandona la famiglia; dove cercasse ricovero non sappiamo. Peregrinò qua e là, e approdò in fine ad un convento di cirstenziensi, a
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Helfta presso Eisleben. Quivi rimase dodici anni e quivi morì. E possiamo immaginare a piacere le tempeste che passarono sul suo capo, il turbine degli affetti nel suo cuore, il fremito delle passioni, vigilate, sedate e vinte da una coscienza ferma, risoluta e gagliarda. Quelle sue espansioni e rivelazioni, le Offenbarungen, che si leggevano abitualmente nell’edizione « altotedesca • del Gali Mordi, ora accessibili nella riduzione moderna della Escherisch, attestano un temperamento vivace di artista, un agitarsi, un fiammeggiare continuo di una vampa interiore, nessuna placidità, nessuna calma, nessuna flemma. Ardori che consumano, estasi e rapimenti e struggimenti che macerano lo spirito. Diritto è il cammino; la meta è sicura. Eppure, a tratti, questa saldissima e pura coscienza è scossa, minacciata di smarrimento. E il grido prorompe: chi m’aiuta? Si invoca un liberatore. Non sarà mancato a Matilde un intimo confidente, capace di confortarla e di sorreggerla alla soglia del dubbio. Ricorda essa medesima i suoi « cari amici »; masono accenni vaghissimi, guizzi di luce che non squarciano le tenebre fitte. Così.è una debolissima memoria, neU’ópera sua, di Heinrich von Halle, che tradusse in latino i primi sei libri delle Offenbat ungen.
Furono in lei pure accese le fiamme amorose; arsero i sensi ed arse lo spirito. Spunti di misticismo erotico non mancano nei soliloqui di quell’anima, accesa al più puro amor divino. Ma è un bisogno in lei di vincere ed abbattere la materia all’altare dello spirito, di porre cielo ov’ era terrà, Dio dove era uomo. « Essa rigetta con disprezzo tutto ciò che è umano, dice di lei la Escherisch, — elevando la su? anima con ali di colomba sino a quella tranquillità infinita dove, più in alto della zona serafica, guizzano solo i rossi lampi della divinità, dove ogni cosa perde il proprio essere ed il proprio nome, dove si inizia l’eterno flusso in cui l’io si sommerge >•.
Non c’è cesa creata che non riveli l’armonia e la potenza divina. Dio è in tutto; è anima di tutto. Non è miracelo che al panteismo approdi l’ardore mistico, e che i più zelanti apostoli del vangelo d’amore divino riescano talora sospetti alla Chiesa, e appaiano sovvertitori dei dogmi e delle sante tradizioni..
Alla visione accesa, fortissima, è subito congiunta l’immediata espressione. Vedere c poeticamente effondersi, esprimersi a precipizio, è per Matilde tutt’una cosa. Non può far vie lenza a sè medesima; non invoca il suo Nume. Solo quando ne è invasa nella pienezza del sentimento, scrive, si concede il suo sfogo. La sua Commedia, Das fliessende Licht der Goltheit, è un seguito di frammenti; non rivela nessuna disposizione pensata, nessuna architettura, nemmeno un organismo artistico. Dante sapeva di essere poeta. Matilde doveva meravigliarsi delle sue effusioni medesime, tradotte in liriche espansioni. Tace per lunghi, lunghissimi intervalli, e poi ripiglia l’opera incompiuta; la rifà in parte, e la chiude al deeli naie estremo della vita. Come Santa Caterina ha la visione dell’astratto; rende l’astratto come corpo e figura. Cómela Santa di Siena ha una lucidità di spirito meravigliosa; dispóne di un linguaggio figurato e metaforico; alterna la prosa al verso, come l’alterna Dante e l’alternavano i provenzali, similmente, gli autori delle rozos famose.
Ma se sa effondersi, non sa concentrare e condensare'; diluisce concetti e immagini talora fino a generare stanchezza e noia. E chi non sa il fervore dell'anima di
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questa innamorata di Dio e la natura del mistico intenerimento, sorride delle immagini, delle galanterie religiose, delle profferte d’amore della « minnende Seele » che appare come la tortorella del suo buon Signore, che la sgomenta della bellezza sfolgorante, di Dio e rivelasi impaziente di ricevere la luce di Dio, il messaggio d’amore divino. «O vampa di fuoco, ardimi! troppo mi è grave’l’attendere un'ora, un giorno mi equivarrebbe a mille anni». Si chiamerebbe beata sé potesse morire di questo amore, morire della sua « Minne». « Muoio volentieri di amore». « È questo un lamento dolcissimo, poiché chi muore d’amore è sepolto in Dio ».
Per essere degni di Dio occorre spogliarsi a grado a grado dell'umano. Ed è un peregrinàggio dell'anima che Matilde prescrive, battendo la via che conduce al Signore. Entro questo peregrinaggio si sviluppa il dramma della.purificazione. L'anima assurge fino agli ultimi fulgori divini e partecipa dell’eterna luce. Rivolgesi a Dio la «minnende Seele», e Dio le risponde: « Ame si giunge attraverso la povertà ed il pentimento, e il dolore della confessionne, lo zelo 'della penitenza e l'amore del mondo e le tentazioni del demonio e la lussuria della carne e la caparbietà nemica di ogni edificazione, che ripiomba molte anime nei diletti materiali; e, infine, dopo avere abbattuto tutti i tuoi più crudeli nemici, sarai stanco del mondo e potrai allora esclamare: 0 mio bel giovane ho desiderio di te. Come ti posso trovare? E parla allora il giovane:
« Sento una voce che mi par quella di Minne (amore puro spirituale). L’ho tanto chiamata per giorni interi coi termini più carezzevoli, ma essa non è venuta a me. Ora però mi sono mosso io: non posso non andarle incontro. Essa è tale che porta con sé e dolore e amore; essa penetra nell’anima come la perla racchiusa nella rugiada mattutina ».
E i solile qui, i colloqui, i discorsi si seguono via via. Alle immagini più concrete e vive si aggiungono talora i ragionamenti più dimessi, una sciatta prosa, che uccide la poesia ispirata, un vaneggiamento infantile, che si associa alla visione robusta e forte e alla possente ispirazione. In gran parte i libri si spezzano in discorsi fra l’anima ed il corpo, fra l’anima e Dio. All'astratto si presta linguaggio concreto. Pensiamo agli Autos Sacramentales dei poeti di Spagna ed alle esuberanze del Calderón.Anche il demonio fa le sue brave apparizioni. E parlano, tra fiamme, i dannati. Hai l'impressione di un’opera, tracciata ma non eseguita. All'abbozzo genialissimo mancava l’artista, capace di dare piena forma e piena vita. Corrono tuttavia prestissimo alle comparazioni gli entusiasti germanici, e ritrovano, a tratti, nella « Luce fluente della divinità », il vigore e l'intensità della visione della Commedia.
Vi ritrovate davvero, come in altre effusioni dei mistici, concetti che sembrano tolti a Platone. La " Minne” ha sua dimora nell'anima, e si solleva sopra i sensi umani, e toglie al corpo la suà volontà. È timida; è persino silenziosa. Abbassa le alie presta orecchio alla voce tacita ed arcana, c guarda entro la luce inconcepibile, e, con desiderio immenso, anela alla volontà del suo Signore. Par di leggere nel Fedro platonico. Abdicare a tutto, spogliarsi di tutto, giungere ad un nirvana dell’essere è condizione indispensabile per accedere all'ultima grazia e fruizione dell’eterno amore: morire a se stesso, morire all’universo, per entrare, vergini e puri, col respiro di una nuova vita.
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nella vita trionfale. Dio può cullarsi tra le braccia l'anima nuda che gli si abbandona: « Signore, io sono un’anima nuda e tu sei per tua stessa natura un Dio meravigliosamente adorno. L’unione di noi due è una gioia eterna». E una pace divina si sprigiona dalla loro volontà reciproca: « egli si dona a lei e lei si dona a lui; essa sa bene ciò che sarà di lei e ciò mi riempie di conforto ».
Era d’altronde destino che così avvenisse. Era prescritto dalla natura dell’anima stessa il suo cammino a Dio. Dice, nel linguaggio suo, Matilde: « Il pesce non può annegare nell’acqua; l’uccello non può cadere nell’aria; l'oro non può guastarsi nel fuoco ove solo si farà più turgido e luminoso. A tutte le creature Dio ordinò di seguire la loro natura. Come potrei io resistere alla mia natura? »
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In questo estinguersi dell'individualità e spogliarsi a grado a grado dell’umano per assumere le sembianze del divino, la nota personale, quella che più colpisce in Dante e maggior vigore e potenza conferisce alla creazione poetica, doveva mancare per necessità, sopprimersi. Negli inni sollevati è represso, talora a forza, il palpito del cuore. Non vi si grondano lacrime. Dannati e beati, in questa «Commedia» dell’anima, tutti hanno lo stesso segno, o di infamia, o di beatitudine. Pure, ad un tratto, è una commozione nell’alta donna, impossibile a trattenere. Il cuore ancora le parla. Il cuore manda il suo grido di dolore.Nella visione dell’oltre terreno è entrata la terra, vivente e fremente ancora. Vede la donna un amico in pena. Non è tra coloro che sono salvi. Ed a quell'anima affannata, che vorrebbe occultare il suo martirio, la donna parla. Come non sei tu in Paradiso? È gettato in quell’inferno il tu, gràvido di affetto e di tenerezza. E la donna scoppia in un : Ohimè! Di pietà le si stringe il cuore. E parla anche lo spirito che espia. Strana somiglianza con l’espiazione di Francesca. Pur qui la lettura di libri galeotti indussero quel peccatore alla colpa e distolsero lui, servo di Dio, dalle cose sacre, per immergerlo nel profano.
« Ho visto nei tormenti un religioso del quale avevo^avuto, mentre egli era in vita» un buon concetto. Ho pregato per tre mesi con profondi gemiti del cuore, per l'anima di lui, perchè non dovessi vederla più tra le pene fino alla sera del giudizio finale.
« Era egli appena spirato, che, mentre pregavo per la povera anima, mi apparve. Non vedevo che lui, e lui non poteva rivelarmi il suo tormento. Egli era come una tenue ombra fra una nebbia. Gli chiesi : Perchè inai non sei in Paradiso?
« Mi rispose con parole oscure, pervase di rimorso e di vergogna, e leggeva piangendo in un libro, ed ogni parola era come un urlò. Ed un fumo, che lo copriva e ¡’avvolgeva tutto, si sprigionava da tali parole, come pure da tutti i libri che aveva letto.
« E disse allora: " Ho avuto troppo amore, nel pensiero, nelle parole e nelle opere, perle cose del mondo.’
« Due draghi stavano ai suoi piedi, che gli suggevan via ogni conforto che avrebbe dovuto ricevere dalla santa cristianità, in compenso di una sommissione profonda, perchè egli aveva voluto senza necessità operare secondo il proprio capriccio«
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« Domandai: ‘ Chi sono i tuoi nemici che devono torturarti? »
« Per la dignità del mio ordine — rispose — non avrebbe dovuto aver presa su me uno spirito maligno. Gravi lotte sostenni coi ni^ei sensi... perciò Dio non mi fece vivere pili a lungo. Io brucio per me stesso; è la mia caparbietà che mi deve martoriare.
« Chiesi allora : ? Deh, dimmi, che cosa può recarti aiuto? ’ (Abbreviò il discorso dello spirito che chiede preci ed esercizi spirituali in suo suffragio) “ Per pietà dì alle vergini ed ai sacerdoti che preghino per me. Non voglio dirti quando la mia pena avrà fine, perchè non voglio accorare i miei fratelli. Ed ora vattene da me! ”
« Assunse egli allora l’aspetto di un demonio e fu una vampa di fuoco e fu tutto silenzio a me d'attorno ».
Nulla di più profondamente umano e di più poetico, e di più semplice di questa scena. Come in altro inferno, le pene sopportate specchiano il peccato commesso, sempre presente al peccatore. E chi si compiace di raffronti colla Commedia di Dante, può esaminare a piacere nel mistico poema della divina rivelazione altre scene, altre visioni di espianti nei regni del Póltre tomba, l’attesa dell’anima sulla montagna fiorita, sollevata per sette gradi, ove l’anima via via procede per le purgazioni successive dei peccati, il Paradiso terrestre ideato da Matilde che è scala all’ultima salvazione. E può rilevare le invettive della veggente contro il clero depravato, i sacerdoti iniqui, che fanno mercato di Cristo, cupidi, macchiati di lussuria, e stupirà ancora dello spirito profetico che invade l’alta donna, mossa a predire ai suoi fidi i guai le persecuzioni che verranno.
Ma noi dobbiamo essere paghi di un esame fugacissimo di questa commedia dell’anima, anteriore di mezzo secolo alla Commedia Dantesca, nota ancora pochissimo in Italia chiusa pur essa, come il Paradiso di Dante, con finn© alla luce eterna, all'eterno amore, all’amore che muove il cielo e Pai tre stelle.
. • Arturo Farinelli.
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L’INFLUSSO DEL BUDDHISMO SULLE
CIVILTÀ DELL’ESTREMO ORIENTE
gni fenomeno religioso vuole essere studiato in rapporto all’ambiente in eui sorse e si diffuse perchè solò in tal modo si può stabilire fino a qual punto esso soddisfece ai bisogni spirituali di una determinata epoca e quindi coglierne nel suo giusto valore l’importanza storica e sociale; Nè infatti a qualunque apprezzamento assoluto sulle singole religioni potrà mai darsi
altro che un valore soggettivo in quanto necessariamente diverso a seconda delle abitudini, della educazione e delle tendenze spirituali di ciascuno.
La nostra ricerca vuole perciò limitarsi ad indagare semplicemente l’efficacia dei Buddhismo sulla civiltà in genere dei popoli dell’Estremo Oriente per notarne i risultati positivi e l’influenza educatrice e morale esercitata sulle coscienze.
Vi sono religioni e dottrine le quali non escono mai dai confini dei paesi ove sorsero e furono credute. Questo appunto accadde per religioni classiche : perchè se anche alcune singole divinità riuscirono a diffondersi fra popoli diversi ciò non si dovette a spontaneo accoglimento da parte delle coscienze' di valori spirituali riconosciuti superiori, ma fu quasi sempre l’effetto di conquiste politiche che poco alla volta, amalgamando civiltà originariamente diverse, fusero in alcuni tipi fondamentali le particolari divinità di singoli gruppi, alcune delle quali tuttavia, benché sotto l’ombra di quelle, riuscirono a sopravvivere.
La religione pagana non si separò mai nettamente dalla funzione dello Stato e restò assolutamente inconciliabile con quello spirito evangelico che caratterizza invece il Cristianesimo, il quale le si contrappose appunto come libero e spontàneo slancio dell’uomo verso Dio Oltre e sopra qualunque diversità storica e sociale.
Non diversamente in India, il Brahmanesimo da cui derivò come continuazione e reazione ad un tempo il Buddhismo, fu soprattutto la fède di una casta la quale, chiusa in se stessa, depositaria di un occulto potere e di segrete formule magiche, si guardava bene dal comunicare ad altri il suo misterioro sapere.
Poco alla volta infatti si diffuse nell'india il concetto che già nella letteratura postvedica — ad es. nello Qàtapathabrahmana — troviamo accennato, per quanto ancora' timidamente, deH'impermanenza e del dolore cui la vita umana fatalmente soggiace. A questo destino che incombe sull’uomo, al perenne nascere e quindi ai perenne morire — punarmrtyu — e soffrire, occorre trovare un rimedio che è sempre
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l’influsso del buddhismo sulle civiltà dell’estremo oriente 145
un’arcana sapienza, una scienza. Come quella che Yama comunica a Naciketa nella Kàthaka-upanishad, una scienza che deve prepararci alla intuizione, la quale traboccherà a sua volta nell’estasi in cui l’io individuale si confonde e si annulla nell'io universale.
Ma questa verità salvatrice alla cui ricerca si affannano le Upanishad non a tutti era nota: costituiva un difficile possesso che abbisognava di anni di Studio e di meditazione nelle selve, presso gli annosi asceti che ne erano i depositari. Contro questa dottrina esoterica degli anacoreti e contro le sette filosofiche in genere che si illudevano bastassero i loro filosofumeni a liberare gli uomini Si oppone la predicazione del Buddha. Egli non fa della metafisica, non discute nè sul nirvana nè sull’tàman nè se sono gli Dei o se non sono, nè sugli altri problemi filosofici alla cui risoluzione s'affaticava la speculazione con temporanea: a bella posta egli li lascia indeterminati. Tutto il suo insegnamento è sintetizzato nelle quattro verità sante; àryasatyàni, la cui pratica è l’insostituibile veicolo che conduce alla liberazione dal dolore : « La mia dottrina è un cammino fra due, io evito tutti gli estremi, io non affermo Che la sensazione è 0 non è distinta dal soggetto del corpo, che l’essere vivente è o no diverso dal corpo, che l'io resta o no identico, di nascita in nascita. Io insegnò la via della salvezza; il dolore della rinàscita procede dall'azione, l'azione deriva dal desiderio, e il desiderio a sua volta nasce dall’ignoranza delle verità («Samyutta • II, 76).
Il suo dunque non vuol essere un sistema filosofico — drsti — ma Una praxis uno yàna, 0 màrga, veicolo, 0 sentiero, 0 mèzzo; mezzo che a differenza dell'esoterismo brahmanico egli offre a tutti. Egli accetta senza dubbio la società in mezzo a cui vive, con le sue caste e le sue istituzioni ma anche afferma che la via alla liberazione — soppressione di ogni desiderio, rassegnazione, pratica del bene, spirito di sacrificio, rinuncia dell’io — è aperta a tutti; ed è così che dinanzi ad Upàli, il figlio del barbiere, egli fa inginocchiare i Qàkya, tristamente famosi per la loro arrogante superbia. Non ad una casta egli predica un vero ascoso, ma agli uomini, all’uomo anzi in cui vede un fratello travagliato dal dolore, insidiato dalla malattia, preda della morte. Non il sanscrito, la lingua sacra sacerdotale egli adopera, ma i dialetti vivi e parlati (Cullavagga.V, 33); non ai brahmani, le cui astruserie e la cui ipocrisia egli rimprovera e combatte (1) si rivolge, ma al popolo tutto che ha buone disposizioni, che sinceramente crede, che fermamente vuole la liberazione: negata la divinità degli dei, condannati i sacrifici, combattuta l'autorità dei Veda, il Buddha assunse una posizione irriducibilmente contraria a quella dei Brahmani: e difatti Kshatriya e Vai^ya, re e mercanti, sono proprio quelli che meglio accolgono la nuova fede, la quale non richiedeva nessuna particolare iniziazione e non era privilegio di nessuna casta. Questo carattere essenzialmente umano della dottrina, l'ardore del suo fondatore, il quale dovette esercitare un fascino irresistibile su chi ravvicinava, q'uello spirito evangelico che fin dagli inizi lo contraddistingue, spiegano il successo ed i rapidi progressi del Buddhismo sulle popolazioni dell’india e quindi dell'Asia, tanto più rapidi
(1) Si veggano sopratutto i due libri « Brahmajàlasutta » e « Samannaphalasutta » del Dlghanikàya.
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ove non esisteva 0 non era ancora in via di formazione quel sistema di caste, che, fondendo i culti e le credenze religiose tradizionali con le istituzioni civili, avrebbe costituito un grave ostacolo alla sua diffusione.
Il Brahmanesimo fuori dell'india sarebbe incomprensibile: mentre il Buddhismo non chiedeva gran cosa nè predicava dottrine che i soli indiani sarebbero stati in grado di comprendere. Errano quanti credono che i suoi precetti rigorosamente applicati farebbero del mondo un gran monastero; il buddhismo non è inconciliabile con la società. Anzitutto troppo esclusivisti si è stati fino ad oggi nel voler vedere la più genuina espressione del Buddhismo soltanto nel Tripi/aka pàlico: questo non è che il canone di una delle tante scuole del Buddhismo le quali tutte si vantavano di essere le ortodosse. Nè del resto nello stesso Tripi/aka mancano i luoghi più contradditori, che l’elaborazione scolastica non volle o non potè togliere, i quali ugualmente s'accomodavano alle interpretazioni più disparate date dalle varie sette e che costituiscono una delle cause precipue di quella diversità di giudizi che divide gli studiosi occidentali su problemi anche essenziali del più antico Buddhismo.
Certo è poi che si può essere buddhisti senza essere monaci. Il fine supremo, il conseguimento del nirvàna rappresenta la meta di un lungo cammino. Basta la pratica della vita informata alla massima purezza e serenità morale, l’osservanza dei cinque primi dei dieci comandamenti, il pentimento sincero, un buon pensiero soltanto anche in punto di morte: tutti questi sono altrettanti meriti che ci fanno acquisire buone disposizioni le quali fatalmente fruttificando ci assicurano una migliore rinascita e ci avvicinano sempre più al fine supremo. La rinuncia completa solo a quando avremo distrutto ogni germe di rinascita. Questo concetto di una sublimazione non immediata, ma progressiva —-? Kramamukti — non estranea neppure alle scuole ortodosse a noi conosciute soprattutto attraverso il canone pàlico della comunità singhalese e certamente rintracciabile fin dal tempo di A^oka (1), prende nel Buddhismo un sempre maggiore sviluppo e costituisce ad ogni modo uno dei postulati fondamentali del Màhàyàna cui si deve appunto la conquista dell’Asia.
Il Brahmanesimo ha un fondo egoistico che lo distingue nettamente dal Buddhismo.
È vero che anche secondo la dottrina buddhistica, il saggio conseguita l'illuminazione è indifferente a tutto — samalosh/akancana: che non distingue la zolla di terra dall'oro —« Colui i cui sensi sono in riposo come cavalli domati dall'auriga, che ha discacciato da sè ogni idea dell'io, che si è liberato da ogni macchia: costui gli stessi dei invidiano » (Dhamnapada, 127). Ma questa indifferenza è ad ogni modo frutto di un infrenamento dei propri desideri e del soffocamento di ogni brama, che è possibile conseguire solo con la continua rinuncia di se stesso. Perchè — e la cosa non mi pare sia stata sufficientemente notata — l’indifferenza che il Buddhismo predica, non riguarda gli altri ma noi stessi. Anche in quel luogo famoso in cui si parla dell'abbandono da parte dei convertiti della moglie e dei figlioli, questa decisione — tanto dolorosa agli occhi nostri — richiede il distacco da ogni affetto terreno.
(1) Editto VI; cfr. ed. di Rupnath.
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Ma la karuna, compassione, e la maitrì, benevolenza, sono pur sempre le migliori doti del saggio. Il Buddha stesso appena conquistata la bodhi, resistendo e vincendo le tentazioni di Màra, non tiene per sè come i brahmani la verità liberatrice, ma corre in aiuto dei suoi fratelli travolti dal turbine del samsàra. « Come una madre veglia sul figliolo, sul suo unico figliolo, così il nostro cuore ed il nostro spirito sentano infinito amore per tutte le creature grandi e piccole: siamo benevoli con tutti e liberiamoci da ogni sentimento d’odio e d’inimicizia ». (Sutta-nipàta 149).
Negli stessi sublimi sacrifici che si narrano come compiuti dal Buddha nelle sue vite anteriori si ha sempre cura di porre in particolare rilievo l’assenza di qualunque fine personale: il sacrificio non è determinato dall’aspirazione a liberarsi dal Samsàra e riposare nel nirvàwa ma- dal solo prepotente desiderio di giovare alle creature e di incitarle con il proprio esempio, alla liberazione.
Per quanto la figura storica del Buddha perda nel corso dei secoli ogni precisa determinazione e via via si annulli nel vago della leggenda accogliendo in sè vari e molteplici elementi mistici già tradizionali nell’india, è certo tuttavia che il ricordo della sua personalità, causa precipua del trionfo della dottrina da lui predicata non si cancellò mai nella mente dei fedeli. Benché soprattutto nelle scuole ortodosse non si parli mai di grazia, perchè la liberazione è opera delle singole coscienze, tuttavia la persona del Buddha rimase pur sempre un esempio vivo che la sua parola conservata dalla tradizione religiosa e più tardi dalle sacre scritture era tuttavia presente ad incitare e spronare i fedeli.
Quindi qualche cosa di concreto si sostituisce all’impreciso delle concezioni panteistiche brahmaniche.
Non più l'insegnamento anonimo, ma il maestro, colui che apre ed indica i) cammino alla gente che soffre, colui che informa di sè e del suo pensiero le correnti spirituali di tutto un mondo.
A questo nuovo valore che acquista l’individuo corrisponde il sorgere di quelle tendenze storiografiche che il panteismo brahmanico, per cui il solo àtman è reale, non poteva favorire; la costituzione stessa degli ordini monastici, la continuità delle tradizioni religiose, con i suoi concili ed i suoi patriarchi lo spiegano a sufficienza. E difatti non è certo per puro caso, se soltanto col sorgere del Buddhismo cominciamo ad essere meglio informati, sia pure per riflesso, sulla storia dell’india. Si iniziano le cronache, si fissano, persino date ed ere, per quanto arbitrarie: il Màhavamsa ed il Dìpavamsa, precedute dèi resto da altre raccolte consimili, sono le più importanti cronache lasciateci dal Buddhismo. Ed è singolare che il primo tentativo di una storia completa di tutta una regione, ,la Ràjatarangini di Kalhana sia stata scritta proprio nel Kashmir, il paese dell'india óve il Buddhismo più a lungo e più efficacemente si mantenne.
Per quanto la leggenda ci nasconda per molta parte la vita di A$oka, le iscrizioni e gli editti di lui rimastici dimostrano che effettivamente [appena egli si convertì al Buddhismo un profondo cambiamento si operò nel suo animo. Il re sente
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un sincero rimorso delle guerre per sete di conquista prima combattute, vuole che anche le popolazioni barbare a lui sottoposte non abbiano a lamentarsi del suo governo, si propone di essere un padre affettuoso per tutti i sudditi, alla vita di corte toglie tutto quel fasto che fino allora aveva avuto, a sè e a tutti quelli che lo circondano impone una frugalità senza esempio.
Il rispetto per la vita di tutte le creature, la pietosa sollecitudine per gli stessi animali — ospizi per le bestie sono in uso, lontano ricordo della sua opera, anch’oggi nell’india — costituiscono un altro documento del benefico influsso su lui esercitato dal Buddhismo. La stessa severità e crudeltà della legislazione di Candra-gupda Maurya suo nonno, il Sandracottos dei Greci, legislazione che noi conosciamo per i frammenti di Megastene, conservatici dai seriori scrittori greci, come Ariano e Strabone, e per l’opera del suo ministro Kau/ilya, furono in parte modificate e raddolcite da A$oka. Questo per lo meno lasciano supporre le numerose amnistie che ogni anno egli promulgava e la istituzione dei dliammamahamantra o « censori » i quali avevano, fra le altre incombenze, l’ufficio di riesaminare i processi in corso e diminuire 0 commutare le pene soprattutto in alcuni casi speciali, degni di particolare considerazione. Per quanto l’opera da A<joka iniziata, non essendo stata continuata dai successori, non ebbe sulle leggi e sul costume dell’india un’efficacia durevole perchè non riuscì a vincere l’influenza di una tradizione secolare, è certo che non tutto andò perduto. Infatti per citare un solo esempio, quando parecchi secoli più tardi i pellegrini cinesi si recheranno in India a visitare il paese sacro, avranno spesso occasione di maravigliarsi della singolare mitezza delle leggi penali di alcune regioni.
Leggiamo ad es. in Fa Sien (iv sec. d. C.), Relazione dei viaggi nell'india, capitolo XVI; « I re non fanno uso di pene capitali : ma solo di multe più o meno forti a seconda delle circostanze. In caso di recidiva in delitti gravissimi si limitano a mozzare le mani o i piedi ». Cap. XXVII: « I ricchi nelle città costruiscono ricoveri ed ospizi: i poveri, gli abbandonati, gli storpi e tutti i malati sono accolti in questi edifici, ove ricevono ciascuno le cure del caso visitati da medici: essi non mancano nè di cibi nè di medicine e vi vivono tranquilli fino a quando, ristabiliti, non vogliano andarsene ». Ed ancora: Cap. XVI, « Nessuno uccide creature viventi, beve vino, o mangia cipolle od agli (considerati cibi particolarmente impuri)».
Questo rispetto per la vita animale —- ahimsà -7- che il Buddhismo inculcò negli animi insieme con il Jainismo e che alcune volte trascese in esagerazioni ridicole, come quando Kumàrapàla, re del Guzarat, confiscò tutti i beni di un mercante che aveva ucciso un pidocchio, costituisce tuttavia uno dei tratti più caratteristici dell’anima indiana: alla cui educazione non fu estraneo il Buddhismo. E tale fu l’influsso delle nuove dottrine da esso predicate, che gli stessi brahmani sentirono il bisogno di migliorare moralmente i tipi stessi dei loro eroi: è noto infatti, che se anche il Ràmàyana non deve considerarsi come già sentenziò il Weber, « un’antica saga buddistica del pio principe Ràma, in cui domina quell'ideale di equanimità che è proprio del Buddhismo », non può tuttavia negarsi che il carattere di Ràma*
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con la sua mitezza, la sua rassegnazione, il suo rispetto per il dharnia fu influenzato dalla morale buddhistica. E per quanto i brahmani si siano preoccupati di cancellarne ogni traccia, numerose reminiscenze buddistiche vien fatto d’incontrare in tutto il Mahàbhàrata. Nè basta: quando le tribù sdite dei Qaka prima, e dei Kushana poi, nel 1 sec. a. C.. circa, invasero e sottomisero l’india settentrionale, non fu già il Brahmanesimo, ma il Buddhismo che tentò, ed in gran parte operò la progressiva fusione degli invasori con i vinti. Con la nuova fede quelli accolsero il pensiero e persino la lingua dell'india: ed è singolare il fatto che le prime iscrizioni in sanscrito o sanscritizzanti che noi conosciamo, sono quelle dei Satrapi del N. 0. dell’india che furono favorevoli al Buddhismo; i brahmani non avrebbero mai permesso nel loro presuntuoso esclusivismo — come giustamente rilevò Silvain Levi — che per iscrizioni di argomento profano si fosse adoperata la lingua sacra. Ed infatti tutti i monumenti scritti più antichi a noi conosciuti, fuori dell’influenza dei nuovi invasori, sono redatti nei vari dialetti letterari o pracriti.
* ♦ ♦
Un fatto singolarissimo coincide col primo diffondersi del Buddhismo : mano a mano che la fede dilaga ed accoglie nuovi proseliti, i confini politici e le barriere interposte fra le varie popolazioni dell’Asia dalla diversità di stirpe e dal conflitto degli interessi, sembra quasi che si spezzino; superato ogni ‘concetto particolaristico di razza non vedendo negli uomini che fratelli sofferenti, missionari pieni di fervore religioso diffondono la nuova fede a genti lontane: e di qui, appena operata la conversione, partono- nuovi fedeli per la terra sacra in pellegrinaggio alle reliquie dell’illuminato, a visitare i luoghi più famosi per qualche fatto importante della sua vita, a cercare libri in cui fossero consegnati i suoi insegnamenti. L'ardore degli apostoli è eguale all’entusiasmo dei neofiti. Da un lato Puma, l’esempio tipico del missionario, che non indietreggia dinanzi a pericoli pur di predicare la dottrina liberatrice, e subisce la persecuzione degli increduli, con tanta serena rassegnazione che i barbari ne sono alfine convertiti (Suttanipàta II, 46, e Divyàvadàna, p. 42).
Dall’altro la schiera innumerevole dei pellegrini cinesi Fa-hien, Hiuen-Tsang, I-Tsing, Wang-hiuen-tse, che non si peritano di sottoporsi a lunghi viaggi pur di visitare il paese benedetto e riportarne i libri sacri della fede. Ritornati in patria, padroni o quasi della lingua dell’india, in cui quelli erano stati redatti, insieme con Indiani chiamati appositamente in Cina, iniziano un’opera colossale di traduzione di cui è monumento mirabile il Tripi/aka cinese, una enorme miniera di preziosi testi del cosiddetto buddhismo settentrionale, nella maggior parte perduti nell’originale. E questi testi non sono costituiti esclusivamente da discorsi del Buddha o da regole della disciplina — vinaya — con i relativi commenti o da puri e semplici precetti religiosi: chè cresciuto l’interesse per le questioni dogmatiche e filosofiche, singolare importanza si dava alle indagini teoriche o logiche, e metafisiche, le quali tanta parte hanno, come è noto, nel Buddhismo medioevale. Non faccia perciò meraviglia se nel Tripi/aka cinese troviamo testi filosofici che non sono affatto buddhi-
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--------------------.-------------------—------------L--------.----------|----- siici, come ad es. la Sàmkhyakarikà di f^varakrsna col commento di Gaudapada, — il ben noto manuale del Sàmkhya — e il Dasapadàrtha^àstra, trattato di filosofia Vaiseli ka.
Quindi i cinesi poco a poco si famigliarizzano con il pensiero indiano che alla speculazione filosofica aveva dato un singolare sviluppo. I Confuciani si opposero certo con violenza ed ostinatezza alla nuova dottrina che era in aperto contrasto con i loro presupposti: l’ideale ascetico che propugnava, la vita monastica che raccomandava, lo stesso concetto pessimistico della vita, male potevano combinarsi con i postulati del Confucianesimo che è un sistema eminentemente pratico e sociale: l’uomo per esso solo vale in quanto efficacemente coopera alla vita civile di cui è parte integrante. Le tre felicità — san fuh — del Confucianesimo: figli benessere, longevità, il Buddhismo disprezzava; mentre per un cinese educato ai principi confuciani costituiva un’empietà il venir meno a quei doveri famigliati e sociali che all'individuo incombono, per la sterile solitudine pensosa e meditativa dell’eremo. E proprio su questo punto ribatte Han-yu nelle sue famose filippiche contro il Buddhismo, che per essere anche troppo franche lo fecero cadere in disgrazia presso l’imperatore fervente buddhista (i).
Tuttavia il Confucianesimo è un razionalismo aristocratico insufficiente ai bisogni religiosi delle folle: queste piuttosto fin dai più antichi tempi furono inclini alle superstiziose meraviglie del Taoismo che per bocca dei suoi grandi dottori antichi Lao-tze, Chwang-tze e Lieh-tze, aveva espresso principi e teorie non molto dissimili da quelle Buddhistiche, tanto è vero che, molti orientalisti europei — a torto secondo me — furono indotti a travare in quelli imitazioni dal pensiero dell’india. E il Buddhismo tollerante in Cina come lo era stato nell’india seppe sfruttare le analogie che lo rassomigliavano al Taoismo: le due religioni si associarono nella comune difesa contro l’intransigenza Confuciana: e Lao-tze e Buddha divennero volta a volta ipostasi l’uno dell’altro. Quindi alla maggiore diffusione del Buddhismo corrisponde una maggiore e migliore conoscenza dell’india e del suo pensiero. Dell’influenza che quella esercitò sulla cultura nazionale, anche se prescindiamo dalla lingua dei testi buddistici, che modellata sugli originali sanscriti e più raramente sui pàlici si differenzia notevolmente dallo stile classico tradizionale cinese, abbiamo una non dispregevole prova nei filosofi del rinascimento Confuciano. Alla più antica speculazione filosofica della Cina era mancato quel metodo e quel rigore sistematico che caratterizza invece il periodo maturo del pensiero indiano; il problema della conoscenza che la filosofia dell'india cominciò subito ad indagare, cercando determinare la validità stessa dei nostri mezzi conoscitivi — pràmàna —- è ignoto alla speculazione cinese. Una esposizione sistematica di principi filosofici non la troviamo nè in Confucio, nè in Mencio, nè nei taoisti, nè nei cosidetti « dissidenti », ove se ne eccettuino forse dei primi [tentativi inSun-tze
(i) Su Hanyu e le sue orazioni: v. il mio articolo in Rivista II. di filosofia, 1914: «Un filosofo apologista cinese del sec. IX ».
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del periodo ante-Tsin (255-207 a. C.). Abbiamo invece quasi sempre il dialogo, l’aforismo, la trattazione particolare di alcuni determinati argomenti staccati. Ben diversamente accadde quando il Buddhismo prese stabile piede in Cina.
In Chou-tze e Chu-hi sotto i Sung (960-1199) troviamo il primo abbozzo di una esposizione sistematica del Confucianesimo che non si sarebbe certo avuta se il Buddhismo, e con esso la filosofia indiana, non avesse via via abituato lentamente gli intelletti cinesi ad una disciplina più rigorosa: cito come esempio di questa nuova letteratura filosofica il « Tai-kì-tu » o « disegno della grande unità » di Chou-tze che nella stessa voluta laconicità arieggia ai trattati dell’india. Ed insieme penetrò e si diffuse accolto dalle masse il concetto che il destino dell’uomo non è determinato dalla provvidenza, al cui misterioso’ e fatale potere i Confuciani si piegavano, lamentandone però le ingiustizie palesi, che sembrano piuttosto premiare i cattivi o punire i buoni —si ricordino le sconsolate osservazioni di Sse-ma Ts'ien nella sua biografia di Po-yi (1) — ma dalle stesse nostre azioni, dal Karman; teoria questa, che assumendo presto il carattere di un dogma religioso poteva influire sulla condotta morale degli individui forse più che non il razionalismo Confuciano, il quale, seguendo le tracce del Maestro, non si curava punto dell’al di là, ma di questa vita. « Perchè mi debbo preoccupare della morte — così leggiamo infatti nel Lun-yp, raccolta di sentenze attribuite a Confucio — quando non conosco ancora la vita ? ». Nè basta; si paragoni l’arte cinese più antica, quella dei Han (206 a. C.-220 d. C.), che ora noi conosciamo attraverso gli studi eccellenti dello Chavannes, con l’arte posteriore dei Wei — le grotte famose di Yun Kang —- e dei Tàng; anche prescindendo dall’impulso dalla nuova fede dato all’attività artistica in tutte le sue forme più varíe, tempi, statue, pitture soprattutto, è indubitato che un immenso progresso si è realizzato nella tecnica. Questo progresso non fu soltanto il risultato di quella naturale evoluzione che suole sempre determinarsi nel corso dei secoli, di pari passo con le cresciute e migliorate forme di vita, ma soprattutto di infiniti influssi esercitati dall'arte buddistica non cinese. Come in seguito alla conquista di Alessandro Magno l’arte greca informò l’arte buddhistica del Gandhara, che si è convenuto chiamare appunto greco-indiana, così in seguito alla diffusione del Buddhismo, questa stessa arte, specialmente la pittura e la plastica, influisce a sua volta potentemente su quella dei popoli vicini e sulla cinese in ¡specie. v
Ed è notevole che il massimo fiorire della scultura cinese coincida appunto col periodo dei maggiori rapporti e contatti con le civiltà dell’Asia centrale, ove, confluendovi correnti ed elementi di cultura disparatissimi, dai greci agli indiani, dai cinesi agli iranici, l'attività artistica ebbe un singolare rigoglio. Certo si è che le eleganti e multiformi sculture delle grotte di Yun Kang, di evidente ispirazione gan-dharica, e i famosi rilievi di Li-Ts’iuen-hien che riproducono i sei cavalli favoriti di T’ai Tsung (627-649 d. C.) sono infinitamente superiori alle colossali ma tozze sculture delle tombe dei Ming del xv o del xvi sec.
(i) V. Chavannes, Le memoires historiques de Sse-Ma Tsien. Paris, 1895, voi. I In-trod. p. LXI e 1! mio studio «Come Sse ma Ts’ien concepì la storia » in Giornale della Società Asiatica Italiana, 1916.
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Se il Buddhismo esercitò un così notevole influsso sul pensiero del popolo cinese che aveva già una fisionomia sua propria ed una storia di millenni è evidente che ben più profonda, dovette essere la sua efficacia su quei popoli dell'Asia che non ancora possedevano una cultura notevolmente progredita, i tibetani ad esempio. Prima infatti che i tibetani cominciassero a convertirsi al Buddhismo vivevano dispersi e divisi in un vario numero di tribù dedite alla pastorizia o alla rapina, ciascuna chiusa in sé e nemica dell’altra.
È notevole che il sentimento d'unità di stirpe nel popolo 'tibetano coincida colla prima diffusione del Buddhismo sotto il re Srong-Tsan Gan po la cui subitanea potenza incombette come una pericolosa minaccia sull'impero cinese Perchè, quantunque le tradizioni indigene, più tardi, sotto l'influsso della cultura indiana, parlino di una serie di dinastie, di cui la prima sarebbe stata fondata dal principe indiano Rùpati è certo che solo con Srong Tsan Gan po (f 650 d. C.) ha inizio la storia del Tibet, che aperto a relazioni frequenti con l’india e la Cina, poco a poco ingentilisce i suoi costumi e si libera dalla sua primitiva e selvaggia barbarie. Infatti se pure il Buddismo non riuscì a sopraffare intieramente i vecchi culti animistici e polide-monistici che soprattutto nelle catene montane del NO. hanno ancora oggi numerosi credenti — i cosiddetti Bon-po — e che del resto costituiscono il fondo del Buddhismo tibetano, meglio noto sotto il nome di Lamaismo, non può negarsi tuttavia che la nuova fede contribuisse efficacemente ad un notevole per quanto lento sviluppo di civiltà.
Sotto l'influenza delle sue due mogli la principessa Bribtsun figlia d’Am^uvar-man, re del Nepal, e la principessa Wen-ch’eng figlia dell’imperatore T’ai Tsung ed entrambe buddhiste, Srong-Tsan Gan-po sentì presto la necessità di creare un alfabeto e una letteratura al suo popolo: e con questo intento nel 632 d. C. mandò in India T-’u-mi perchè vi imparasse il sanscrito, e attendesse alla compilazione di un alfabeto tibetano: ed egli infatti, dopo parecchi anni di permanenza nelle Indie, ritornato in patria sottomise all’approvazione del re i due alfabeti che egli aveva imaginato quello « con la testa » (dbu can) e quello «senza testa » (dbu med). Quindi come era accaduto per la Cina, s’inizia pure nel Tibet la traduzione di tratti i libri sacri del Buddhismo. Ma i Tibetani non possedevano una vera e propria letteratura, e molto meno una tradizione letteraria gloriosa come l’avevano i cinesi: è evidente perciò che tutta questa opera di traduzione a cui si sobbarcano e la sempre maggiore è più profonda famigliarità con il pensiero dell’india, dovettero esercitare un influsso enorme sulla loro stessa lingua e sulla loro letteratura, che per necessità di cose dovette modellarsi sulla indiana. Basta scorrere gli indici del Kanjur e soprattutto del Tan-jur, le due colossali collezioni, frutto di un secolare lavoro di compilazione e di traduzione, per avere un’idea della diversità dei testi sanscriti che essi contengono: dai libri buddistici veri e propri, ai trattati del Sàmkkya, dalle grammatiche e dai lessici trilingui alle opere di medicina, da poemi di argomento buddhistico come l'Avadànakalpalatà di Kshemendra, al Meghadùta di Kàlidàsa e non mancano neppure trattati di arti belle come il Citralakshawa, un manuale di pittura, che
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recentemente ci ha fatto conoscere Laufer. Quando i tibetani non traducono, ma scrivono di proprio pugno opere originali tutta la letteratura sanscrita, sulla quale la loro stessa lingua si è formata è il modello che necessariamente imitano. Così sono tutte le loro opere da quelle attribuite allo stesso Srong-Tsan Gan-po a quelle dello storico Buston (pr. Vuton) e di Tsankapo, il famoso riformatore e fondatore di una nuova scuola buddistica quella dei Gragspa Dpal. E v’è di più. Il tibetano diventa un po' il latino delle chiese buddistiche dell’Asia orientale e difatti i mongoli se ne servirono come lingua sacra e pare se ne servano tutt’ora in alcune chiese calmucche, le quali, come tutti i buddisti della Mongolia, dipendono da Lhasa. Del resto a tutti è nota l'influenza che i tibetani esercitarono sulla dinastia mongola dei Yuen fondata da Kubilai-Khan; questi ordinò la traduzione in mongolico di tutti i testi sanscriti e tibetani e favorì, sebbene non avesse seguito, la riforma di Miliraspail quale ai caratteri mongoli — una derivazione dall’alfabeto siriaco nestoriano — voleva sostituire l’alfabeto tibetano. Lo stesso Tàranàtha, il famoso mongolo che ci ha lasciato una pregevole storia del Buddhismo nell’india, si servì per la sua opera non della lingua propria ma del tibetano.
Più difficile è valutare l’influsso esercitato dal Buddhismo sulle coscienze. Anzitutto bisognerebbe conoscere lo stato della società tibetana, prima della diffusione della nuova fede, meglio di quanto non possiamo attualmente conoscerlo, attraverso le fónti cinesi che cominciano ad abbondare proprio quando il Buddhismo conquista il Tibet. Certo è tuttavia che per quanto quello poco a poco si sia fuso con le credenze magico-animistiche dei Bon-poo abbia degenerato in quel formalismo a tutti noto che riduce la vita religiosa alla sola frase mistica: om mani padine hwn, non può negarsi che se i tibetani lentamente si liberarono dalla primitiva barbarie devesi unicamente al Buddhismo. La stessa forma monastica che, contraddistingue il Lamaismo trova la sua spiegazione principale nelle condizioni geografiche e sociali del Thibet: la povertà del paese, l’asprezza del clima, la popolazione rara e divisa in gruppi isolati e lontani l’uno dall’altro, viventi delle magre risorse che può offrire la pastorizia, costituirono altrettante condizioni proprie al singolare sviluppo che la vita monastica assunse nel Tibet. I conventi del resto favorirono l’agricoltura con notevole vantaggio dell’economia del paese; essi sorgono di sòlito in mezzo a larghe tenute coltivate da tutto un servitorame laico che dipende dai monaci, i quali ammassano nei loro conventi larghe provvigioni che cedono in cambio di altri generi tenendo nelle loro mani tutto il commercio della regione.
Fra questi monaci furbi, oziosi, per cui la religione si riduce ad una pratica meccanica o alla recitazione di una formula o ad una sterile meditazione non mancarono però uomini di grande ingegno, i quali lottarono contro la tradizione, volendo restituire alla fede la perduta purezza: fra questi .primeggia quel Tsankha-po cui ho sopra accennato.
Che se le orde stesse che costituirono-le truppe di Attila e di Genkis Khan o di Tamerlano — e contro cui i Cinesi, che li ebbero a pericolosi nemici fin dagli inizi della loro storia, eresserola famosa muraglia fatta a tal uopo costruire da She-Kwangti
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dei Ts'in (ni sec. a. C.) — diventarono gli innocui guidatori di cammello e i pacifici carovanieri che frequentano i deserti dell’Asia centrale, devesi appunto ad un secolare influsso del Buddhismo.
Il quale, come ogni persona colta attraverso i libri di Lafcadio Hearn può conoscere, ha informato tutte le migliori fioriture della civiltà giapponese; sostituendosi in parte alle vecchie credenze shintoistiche, che costituiscono il fondo della antica religione, in parte spiritualizzandole, non solo suggerì le opere migliori dell’arte e della lettera tura dei Giappone ma influì potentemente sulla storia di tutto il paese, abituando le coscienze a quella paziente operosità, a quella serena rassegnazione, a quella imperturbabile tranquillità di fronte ai pericoli ed ¿la morte stessa, virtù tutte che hanno fatto dei giapponesi anche grandi guerrieri e che perciò costituiscono uno dei coefficienti principali della loro grandezza politica.4
E lo stesso influsso il Buddhismo esercitò sulla Birmania, sul Camboge ove il, sanscrito divenne e si mantenne come lingua ufficiale per vari secoli, e su tutte quelle popolazioni che abitavano il NO. dell’india e l'Asia centrale: perchè lungo la valle del Tarim, nel Khotan, nel Turfan e, più in là, nell’Orkhon, ove oggi è deserto o steppa, fiorirono un tempo civiltà rigogliose che per l’innanzi imperfettamente note, solo attraverso le relazioni dei pellegrini cinesi, rimaste sepolte per secoli sotto la sabbia, le fortunate esplorazioni dello Sven Hedin, del Le Coq, del Radloff, del Clementz, del Pelliot hanno rimesso oggi alla luce. Come il suolo d'Egitto ci ha restituito preziosi frammenti dei classici greci così le sabbie dell’Asia centrale ci hanno dato insieme con documenti d’altre religioni, del manicheismo sopratutto, che con il nestorianesimo e il Buddhismo fu colà largamente diffuso, pregevoli frammenti di testi buddhistici in cinese, in sogdiano, in sanscrito e in quelle lingue che si suole chiamare nord ariane o tochariche, e la cui esistenza, prima di queste scoperte, non si supponeva neppure. Dell'improvviso e singolare sviluppo di queste civiltà, che in breve caddero sotto le ripetute invasioni delle orde tartare, non fu certo ultima causa il diffondersi ed il propagarsi del Buddhismo che con i suoi libri ed i suoi missionari portò in quelle regioni il pensiero e la cultura dell’india. Il Buddhismo infatti via via che nel corso dei secoli si trasforma e s’altera, tende anche ad universalizzarsi sempre più; quella tendenza evangelizzatrice che abbiamo veduto non essere estranea alla più antica dottrina del maestro e dei più immediati discepoli e che s’accentuò soprattutto sotto A$oka, il quale spedì missionari fino nella Grecia e nell’Egitto, raggiunge ora il suo pieno sviluppo.
La conoscenza del sanscrito si divulga: dove non arriva il sanscrito arriva il tibetano che diventa la lingua liturgica della Mongolia. E con i testi sanscriti e tibetani, che di quelli sono la traduzione e su quelli si modellano, si diffonde la cultura dell'india. Le varie civiltà tendono a ravvicinarsi. Le relazioni fra paese e paese, le missioni politiche, i pellegrinaggi religiosi si fanno sempre più frequenti, dal lontano Ceylon i re del luogo mandano ripetutamente ambasciatori alla corte cinese. La nuova religione compie il miracolo di ravvicinare popoli che fino allora non avevano avuto nessun rapporto e s’erano guardati con sospetto: civiltà diversissime vengono a contatto fra loro.
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L INFLUSSO DEL BUDDHISMO SULLE CIVILTÀ DELL’ESTREMO ORIENTE 155
Ecco ad es. come il Re Mahànàma di Ceylon scrive all’imperatore della Cina: « Informo con rispetto l’illustre signore dei Gran Sung che benché monti e mari ci separino notizie sue di tanto in tanto ci pervengono... Quanto a me, io desidero d’accordo con il figlio del Cielo magnificare la buona legge per salvare le creature del male della trasmigrazione » (r). Le spedizioni militari di Pan chao ed i viaggi di Kan Yin che nel i sec. a. C, aveva attraversato l'Asia centrale ed aveva accolto le prime vaghe notizie sull’india e su Roma persino — Ta-Ts'in — sembrano ben poca cosa di fronte alla frequenza degli scambi e delle relazioni sempre più intense fra paese e paese. Il mondo diviso in tanti gruppi ostili sembra ora aprirsi a nuova vita: e dal cozzo di idee tanto disparate nascono azioni e reazioni di pensiero che, se eventi imprevisti non le avessero di lì a poco ostacolate e soffocate e la stessa configurazione geografica dell’Asia non le avesse rese difficili, avrebbero certo dato un altro aspetto alle civiltà dell'Oriente Estremo e quindi indirizzato verso altra via la loro storia. Perchè, come è noto, se la cultura orientale non ha potuto mai assurgere a quelle vette cui è giunta la nostra, ciò si deve soprattutto al secolare isolamento delle singole nazioni per cui ciascuna ha dovuto svilupparsi uniformemente, senza quei contrasti e quegli urti che avvicinando stirpi diverse sono i fattori precipui di un rapido sviluppo della civiltà. Ma tempi infelici s'avvicinavano: le orde tartare ondeggianti nelle steppe dell’Asia si urtano, cozzano, distruggono popoli e civiltà; le strade, già veicoli di un fiorente commercio che avvicinava l’Oriente estremo all'Oe-cidente, quelle strade attraverso cui si importava a Roma prima, a Bisanzio più tardi la seta, e per le quali, almeno nei primi secoli di Cristo, non era raro udire un greco imbastardito adoperato come lingua franca, o gergo commerciale, divenute mal sicure, non sono più percorse.
Le regioni si spopolano, le sabbie invadono quei territori già fiorenti, il deserto tutto nasconde. L’invasione araba compie l’opera di distruzione e col suo fanatismo settario si contrappone ferocemente all’unica fede che poteva contrastarle il dominio dell’Asia: il buddhismo. Dopo aver tentato resistere alle persecuzioni degli invasori, sotto la lotta sorda, ma incessante del dottrinarismo brahmanico, che non riuscendo a sopprimerlo colla forza, o a confutarne i principi con le argomentazioni filosofiche, si era alleato a suo danno con i culti popolari, il Buddhismo, che già tendeva a confondersi nella sua ultima fase — la tantrica — con le tante sette dell'induismo, si dissolve e si perde in questo. E dall'india non irraggia più quella luce che di tanto bene^era stata feconda alle ci viltàji dell’Oriente.
* Giuseppe Tucci.
(’) V. Sylvain Lévi, La mission delWang Hwen-lze dans l'bidè, in fournal Asia-tique, 1900 fase. Il, p. 412
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>NOTE E c COMMENTI
LE TRASFORMAZIONI DELLA DEMOCRAZIA SECONDO VILFREDO PARETO 8
La democrazia si trasforma, o meglio, si trasformano le democrazie, specie dopo la grande guerra, sotto la pressione delle nuove necessità ed energie c sentimenti creati da essa. E i critici della democrazia come concezione generale e sistema di vita pubblica, aumentano e divengono più severi.
V. Pareto non è severo: fedele al suo metodo sperimentale, egli osserva e descrive dall'illimitato fenomenismo cui lo condurrebbero i principi! di quel suo metodo egli si salva faticosamente mercè un complesso di norme, di criteri e di generalizzazioni empiriche che ha esposto nella Sociologia e va riassumendo ed applicando negli scritti minori.
Cosi anche alle attuali trasformazioni della democrazia egli trova numerosi ragguagli storici, ingegnosi sempre ed eruditi, ma validi solo approssimativamente e con molta riserva; e che, in sostanza, giovano solo a scuoprire nei fatti della vita contemporanea, sulla traccia di analogie comparative, aspetti e tratti poco visibili e spesso trascurati.
* A chi attentamente osserva i fatti che giornalmente si svolgono appaiono spiccatissimi almeno tre caratteri principali, cioè: i° L’affievolirsi della sovranità centrale e l’invigorirsi di fattori anarchici. 2. Il voler progredire nel ciclo delle plutocrazia demagogica; 30 La trasformazione di sentimenti della borghesia e della classe che ancora governa ».
Questi tre caratteri delle ¡democrazie occidentali contemporanee esamina Pareto nei tre capitoli del suo studio. Egli vede la degenerazione di una élite storica, la borghesia industriale, e del suo Stato rappresentativo; vede crescere in potenza le masse, abilmente secondate e sfruttate dal grosso capitalismo bancario e parassitario, senza che in questi ceti prevalenti si delinei una nuova élite, che sia davvero tale per qualità intellettuali c morali, di creazione e di governo. In complesso, egli è dunque pessimista. Nel sindacalismo, tendenza apparentemente o in un primo tempo, disgregatrice, non vede profilarsi una nuova disciplina sociale, un prin-• cipio di organizzazione della democrazia, sino ad oggi dissociata e dispersa, salvo che nello Stato accentratore.
Positivista, Pareto crede le attività umane legate ed assoggettate a certi elementi comuni stabili che egli chiama residui e dei quali la diversa combinazione quasi meccanica darebbe luogo alle crisi ed ai vari instabili assetti sociali; non vede, benché ne senta oscuramente il cruccio, la profonda crisi morale che travaglia la società, la quale ha, evidentemente, ‘bisogno di una nuova possente fede nei valori spirituali e divini e di una disciplina, consapevolmente accettata, per l’attuazione di essi nella storia; il pregiudizio antimetafisico gli vela la realtà più profonda e il valore delle più tenaci speranze.
M.
(x) Ed; Corbaccio. Milano
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Da’oggi a noi la cotidiana manna senza la qual per questo aspro diserto a retro va chi più di gir s’affanna.
(Purg.. XI. 13-15)
Concorso dantesco bandito nel febbraio 1921 e giudicato nel giugno 1921 (vedi Bilychnìs del luglio u. s.
gg.ry
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LAVORI PREMIATI
Primo Premio - autore Hugo Rényi (Roma).
Secondo Premio - autore Edoardo Del Neri (Roma).
Terzo Premio - autore Antonio Maria Nardi (Bologna).
AVVERTENZA
Alla Direzione della Rivista preme di richiamare l’attenzione dei lettori sul fatto che le idee svolte dai vincitori del concorso nelle illustrazioni premiate non rispondono perfettamente ai principi che essa professa.
Cionondimeno la larghezza di vedute che fu ed è suo costante programma e la completa libertà concessa ai concorrenti e quindi ai giudici dei lavori presentati han fatto sì che ne venisse effettuata la pubblicazione, anche sé, come nella bella tavola del Rényi, il concetto religioso espresso sia nettamente cattolico. Del resto si comprende l’intenzione dell ’artista di riferirsi al momento storico nel quale furono dettati i versi posti per tema e quindi la sua illustrazione va interpretata come una espressione dello spirito del tèmpo che li dettò.
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HUGO R£NYI
[Vol. XVIII - Tav. 11]
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[Vol. XVIII - Tav. Ill]
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ANTONIO MARIA NARDI
(Voi. XVIII - Tav. IVJ
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ITALIA E VATICANO <”
Qwcsh'oHc romana — I precedenti — Questione giuridica e questione politica — La pubblicazione della Consulta e la pregiudiziale vaticana — Commenti esteri — In un angolo morto I
La questione romana entra rapidamente e in maniera ad alcuni inaspettata in una fase che per molti sintomi può prevedersi risolutiva. È quindi necessario, per l'intelligenza delle discussioni, che sono ancora vive nella stampa, riassumere gli ultimi avvenimenti.
Il risultato delle ultime elezioni, che riportava alla Camera un numero di deputati del partito popolare che superava il centinaio — contro le previsioni di molti iberali anti-clericali —mostrava due fatti, sui quali si poteva variamente discutere, ma che non potevano essere messi in dubbio:
i® che un partito, se non proprio confessionale, certo di tendenze nettamente clericali, si era costituito in Italia su basi abbastanza solide, e ben definite;
2» che attraverso questo partito il Vaticano faceva effettivamente una sua politica in Italia — malgrado le dichiarazioni formali di aconfessionalità e di indipendenza, da parte dei dirigenti del partito.
Da questi due fatti risultava una situazione sempre più equivoca dello Stato italiano di fronte alla Chiesa. Finché quell) Con questo numero assume la redazione di questa rubrica il dott. Mario Vinciguerra. I lettori apprezzeranno fin da questo primo saggio il va-, loro del nostro nuovo collaboratore, dalla cui rassegna, per non distruggerne l'economia non abbiamo voluto togliere qualche passaggio che ha trovato già nelle nostre due cronache precedenti sull’argomento più ampio sviluppo. (AT. <1. D.)
sta viveva nella torre di avorio dcH’a" stensione politica e nella finzione giuridica della reciproca ignoranza, lo Stato poteva ancora sentirsi legislatore intangibile della Legge delle guarentige, imposte alla Chiesa, quantunque, a dir vero, anche questa posizione di principi veniva talvolta smentita nella casistica della politica quotidiana. Ma l’intervento della Chiesa nella vita pubblica del paese e i rapidi successi ottenuti, e ratificati con la conquista del Ministero di Grazia, giustizia e. culti da parte di un deputato cattolico, mettevano lo Stato in una condizione d'inferiorità verso la Chiesa. Questa, in sostanza, poteva usufruire di tutti i vantaggi che offriva la'costituzione di uno Stato liberale, il quale rimanendo chiuso nella finzione giuridica dell’agnosticismo non aveva i mezzi adatti nè per trattare con essa, se alleata, nè per difendersi da essa, se avyersaria.
L’equivoco di questa situazione si era trascinato per tutta la passata legislatura, durante la quale si ricorderà come il partito popolare dominò facilmente il campo parlamentare, senza compromettersi. Ma molti uomini politici avevano ancora così poco apprezzato il fenomeno della costituzione del partito popolare, che lo consideravano come un fenomeno del tutto sporadico e ne aspettavano la prossima fine. Con la nuova Camera non potevano perpetuarsi nè quella illusione nè quell’equivoco, l’una e l'altro pericolosi per lo sviluppo della nostra vita pubblica.
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BILYCHNIS
Questo fu sentito fin dalla scorsa primavera anche da rappresentanti di opinioni meno vicine al clericalismo. Fin dal 29 maggio un articolo del Messaggero — che fu come un primo assaggio dell'o-Sinione pubblica — si domandava se lo tato italiano non dovesse riprendere in esame i suoi rapporti con la Chiesa. Già una simile domanda si era fatta poco prima un valoroso pubblicista, il Quadrotta, nel suo volume sulla Chiesa cattolica nella crisi universale (Roma, Libreria editr. « Bilychnis »), ispirato an-ch’esso non da uno spirito di parte, ma appunto da una valutazione storica degli ultimi avvenimenti politici in Italia.
Su queste affermazioni èi accese una prima discussione nella stampa. Il Corriere d’Italia si affrettò naturalmente a raccogliere le constatazioni del Messaggero; il Tempo aprì le sue colonne ad una discussione, che fu condotta con molta elevatezza specialmente dai professori Buonaiuti e Jemolo e dal dott. Miranda. Il Miranda — che ha roccolo poi recentemente questi con altri suoi pregevoli articoli in un opuscolo: Lo Stato liberale (Bologna, Cappelli) (1) — è, su questo -argomento, un conservatore intransigente. E un geloso custode della tradizione della politica religiosa della destra, in quanto affermazione dello Stato sovrano, dello « Stato etico » come era pensato special-mente dagli Spaventa. Quest’affermazione è contenuta nella Legge delle guarentige; per questo non è possibile mutare ad essa niente, altrimenti s'intacca l’essenza stessa dello Stato.
Questa la posizione del Miranda, giuridicamente impeccabile, ma puramente giuridica.
Il Buonaiuti, sostenendo la tesi della ripresa della discussione, suggeriva la trasformazione della formula storica « Libera Chiesa in libero Stato »in quest’altra: «Chiesa sovrana in relazione di buon vicinato con lo Stato sovrano ».
La rivista Rinascimento, diretta da Romolo Murri, riassumendo questa prima fase della discussione in una nota editoriale (fase. 2°, 1® luglio 1921), riteneva « infelice » questa formula, e 'spiegava:
Ovvio era....il paragone con quel che ha fatto la vicina Repubblica [francese]. Ma chi lo adduceva
(?) Ne pubblicammo nel fascicolo del mese scorso (p. 124) la recensione del Tiìgher.
dimenticava le condizioni di speciale difficoltà dell’Italia, la quale, appunto perchè ha due istituti « sovrani » in una sola città, Roma, non può contentarsi che di soluzioni provvisorie... La conciliazione, alla quale la coscienza italiana deve affaticarsi, non potrà venire che da un termine medio capace di unificare praticamente i due opposti, e questo termine non può essere nè la libertà —- cioè la piena autonoma sovranità — dello Stato, che offende la Chiesa, nè la libertà — cioè la piena autonoma sovranità — della Chiesa, che offende lo Stato; ma deve essere e sarà la libertà dello spirito, civile e religioso a un tempo, quando si conoscerà che da essa ugualmente quelle altre due libertà c gl’istituti, i quali la invocano, discendono, ed in essa trovano la loro sintesi.
Anche il Murri, in sostanza, ammettendo nel dibattito resistenza di una ragione teorica e d'una ragion pratica, veniva a giustificare l’importanza del movimento, quantunque, molto opportunamente, ne circoscrivesse la portata.
Non è infine da trascurare la posizione delle frazioni di destra. Queste si scindevano. Da una parte i gelosi custodi della tradizione della destra storica, che pensò la Legge delle guarentige, per bocca del Giornale d’Italia, si tenevano fermi nella loro posizione,. che è quella, a cui ha dato un contenuto filosofico e la esposizione più rigidamente dialettica il Miranda.. Invece il gruppo nazionalista, distaccandosi dalla tradizione della* destra, proclamava la necessità di nuove trattative, soprattutto per ragioni di politica estera. La posizione dei nazionalisti fu così riassunta dal Cantata po in un articolo della rivista Politica (Italia e Vaticano fase. 30 luglio 1921):
« I nazionalisti, fin dall’arrivo a Roma del signor Jonnart sostennero... essere dal giorno dell'arrivo in Vaticano dell’ambasciatore francese il posto dell'Italia presso la Santa Sede due volte vacante ».
Senza forse ricordarlo, i nazionalisti prendevano una posizione molto vicina a quella che uno scrittore politico — che allora pareva un giovane solitario —. il marchese Nerio Malvezzi, prendeva in un suo scritto del 1890 (L’indipendenza del Papa e la Francia rispetto alla politica italiana), nel quale si legge questo brano: « Or bene, quale sarebbe la più savia condotta per il paese nostro? Fare il gioco degli avversari, cadere nel tranello teso dagl'intransigenti, spingere il Papato nelle braccia della Francia, ovvero... pacifi-
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CRONACHE
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care gradatamente gli animi e nella concordia degli Italiani tutti cementare le forze nazionali ? >
• • ♦
Il governo intanto da queste discussioni riceveva molte indicazioni circa l’atteggiamento della pubblica opinione, e poteva anche farsi un certo orientamento parlamentare. Risultava che, a parte l’estrema sinistra, di cui nessuna voce autorevole si è pronunziata sull’argomento, la maggioranza parlamentare non vedeva sfavorevolmente l’inizio di trattative, che salvaguardassero le prerogative dello Stato italiano. Era anzi notevole il fatto che — contrariamente a quanto poteva prevedere qualche osservatore superficiale — l'opposizione decisa veniva non dalle sinistre, di tendenze nettamente anticlericali, ma dai rappresentanti delle tradizioni della destra, che pure in altri tempi non avevano rifiutato il voto più o meno anonimo dei clericali. . Ma ora che i clericali divenivano un partito ufficiale, quelli si ritraevano nella tradizione. Invece le sinistre, impostando la questione come puramente politica, in relazione con la evoluzione storica del paese e dei partiti, potevano avvicinarsi al problema, senza sentire un pericolo.
Tale èra anche il punto di vista del governo, il quale, messosi su questa via, riaprì per conto proprio la discussione, pubblicando ai primi di agosto una specie di «libro verde» sulla questione vaticana, cioè una raccolta degli scritti comparsi fino allora sulla questione, raccolta ordinata dal valente capo dell’ufficio stampa presso il Ministero degli esteri, il Comm. Amedeo Giannini.
Questa pubblicazione ufficiale ha dato la certezza dell'inizio di trattative vere e proprie.
Quasi contemporaneamente una informazione ufficiosa (31 agosto) diceva:
Nei circoli politici della capitale si dice risultare da tonte ineccepibile che il Consiglio dei Ministri che precedette le brevi vacanze dell’on. Bonomi affidò al Guardasigilli, onorevole Rodinò, l’incarico-di redigere, d’accordo col ministro degli Esteri, on. Della Torretta, un progetto per la regolarizzazione dei rapporti con la Santa Sede.
Si tratta peraltro, di semplici studi, che — a quanto ci si assicura — saranno ben lontani da un progetto concreto, sul quale il Governo intenda o possa impegnare una qualsiasi azione a breve scadenza.
Fino a questo momento il Vaticano si era mantenuto molto »servato, meno che, all’aprirsi della discussione, si era affrettato a mettere, con una nota dell’Ower-valore Romano, la pregiudiziale di una sovranità fondata su di un possesso territoriale, vale,a dire una modificazione effettiva della situazione della Santa sede, alla caduta del potere temporale. Ora finalmente che la discussione si riaccendeva, e da una parte gl'intransigenti insistevano sulla impossibilità di mutare in alcun modo il rapporto giuridico stabilito con la Legge delle guarentige, e da un’altra parte alcuni troppo ottimisti si facevano garanti di un’arrendevolezza quasi illimitata da parte del Vaticano, apparve una seconda nota ufficiosa deWOsservatore romano (2 settembre).
L’organo ufficioso vaticano comincia col rilevare il fondamento giuridico delle rivendicazioni pontificie. La missione spirituale nel mondo, dice {’Osservatore romano, affidata al Romano Pontefice dal Divino Redentore, gli conferisce nello svol-E¡mento di essa il diritto di una piena li-ertà e indipendenza da ogni potere civile e allo stesso tempo gli impone il dovere di reclamare l’attuazione di questo diritto, di guisa che ij Sommo Pontefice mancherebbe gravemente alla sua missione se si contentasse di una posizione subordinata. Questo dovere apparisce anche chiaramente da un’altra considerazione. La Chiesa cattolica è diffusa in tutte le nazioni. In alcune i cattolici formano la quasi totalità o maggioranza della popolazione; in altre la minoranza più o meno importante. Si comprende facilmente quindi come i diversi governi non possano vedere di buon occhio di-Senfiente — in realtà o in apparenza — a un potere civile, il Sommo pontefice, che regge la coscienza di tanti suoi sudditi. Nè basta una libertà e una indipendenza di fatto proveniente cioè dalla libera disposizione del potere civile dominante, ma si richiede una posizione giuridica che dia affidamento di diritto, il che nelle attuali circostanze non sembra potersi ottenere senza una base territoriale. Ed aggiunge:
La legittimità dei possessi pontifici non era contestabile nè fu soppressa dalla violenza, se pur non voglia ammettersi la teoria «/« force prime le droil •. La Santa Sede ha sempre protestato contro la spoliazione, nè potrebbe rinunciare
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BILYCHNIS
a quella parte del suo territorio, che nelle presenti circostanze ritiene necessario a tutela della libertà e indipendenza del suo ministero. Quindi il diritto della Santa Sede, è bene ricordarlo qualche volta, rimane intatto, c l’Italia, ammettendo le modificazioni territoriali, che la Santa Sede giu-* dicasse per avventura sufficienti, noarinuncerebbe affatto ad un possesso legittimo, mentre invece legittimerebbe il possesso del resto.
Quanto al desiderio espresso da un giornale romano che « scomparse le antiche asprezze i rapporti fra Stato e Chiesa in Italia si facciano sempre più amichevoli e cordiali », certo tale desiderio è lodevole; ma è bene ricordare una verità assiomatica, se si pone mente a quanto abbiamo detto sul fondamento giuridico delle rivendicazioni pontifico. Infatti la Santa Sede ha in questo un suo imprescindibile dovere,, e di fronte ai governi esteri non ha potuto nè potrà omettere le sue proteste, anche se l’atteggiamento dei governi italiani sia stato o sia per essere remissivo e cortese. Anzi è chiaro che, ad evitare malintesi ed equivoci, la Santa Sede dovrebbe tanto maggiormente insistere nelle sue proteste, quanto più l’atteggiamento delle autorità italiane inducesse a credere in una intesa, anche tacita, poiché tali proteste non sono che l’indice di quel dissidio, il quale agli occhi dei popoli e dei governi resta l’unica garanzia di fatto, di libertà c di indipendenza. Che se durante la guerra mondiale le prptestc pontifico furono più rare, ciò si deve alle circostanze del momento. 11 rombo del cannone rendeva meno sensibile la voce del Papa e questi, fedele a quella assoluta imparzialità che si era proposta fin dal principio dell'immane conflitto, non voleva rendere con le sue proteste più grave la situazione dell'Italia.
Questa pubblicazione ha dato in alcuni ambienti un cert » senso di freddezza, è parsa un po’ «scostante». I! Giornale d'Italia (3 settembre) si è avvalso di questa impressione diffusa in alcuni circoli politici per riprendere con maggiore lena la sua tesi intransigente:
La Santa Sede mantiene le sue posizioni c ad un patto solo accetterebbe di trattare con l’Italia: che questa cioè ascoltasse pentita e umiliata la sua sentenza: che essa restituisse qualche cosa per avere la sanatoria sul resto. Questo e non altro è il significato della nota di iersera: quanto alla determinazione della cosa da restituire, naturalmente ^Osservatore tace, come tacquero sempre tutti coloro che reclamarono bensì tale restituzione, ma non seppero mai precisarne l’entità: come tacquero i cattolici-deputati prima, e i cento deputati popolari dopo. Ora il giornale pontificio fa comprendere che non si sarebbe lontani dal dirla questa parola, ma il ritardo può sèmpre essere utile: infatti al principio della polemica tra
spariva da qualche frase compiacentemente inserita in giornali liberali, che la Santa Sede volesse in proprietà assoluta i palazzi vaticani che ora ha in «so; volesse una sovranità effettiva, fosse pure microscopica (ma la misura della sovranità ha scarso valore) più tosto che le attuali concessioni.
Era poco; pochissimo in apparenza: poteva apparire niente, quasi, ma con questa formula venivano a spostarsi tutti i rapporti attuali e rientrava indirettamente quella ingerenza straniera in casa nostra, contro cui ci eravamo sempre schierati.
Una volta creato lo Stato Vaticano la « questione romana » poteva sembrare chiusa per l’Italia mentre sarebbe sorta proprio allora. Quelle prerogative che il Parlamento italiano aveva deliberato a favore della Santa Sede, sarebbero sottoposte al controllo delle Nazioni: il che lo Stato italiano non può ammettere, cosi come non può consentire alcuna altra sovranità, grande o piccola, nel suo territorio.
Anche il Popolo romano (i° settembre), tenendosi alla questione di principio, vede un gravissimo peiicolo per la integrità dello Stato:
Qualche ufficioso del Vaticano ha scritto che le pretese di questo appariranno singolarmente modeste il giorno in cui esse saranno note nella loro precisa portata. Si tenta una pia frode, nascondendo dietro il valore quantitativo della richiesta il suo valore qualitativo.
Quello che ai difensori della tradizione canonica dei diritti del papato interessa è ammettere di nuovo nella storia, in quale che si sia proporzione concreta, la sovranità civile del papato stesso; ottenere dall’Italia, cioè dalla realtà e dalla storia, il riconoscimento del principio che la pienezza dell'autorità spirituale del pontefice si integra logicamente c necessariamente nella sovranità civile.
Come possono, dei liberali, non vedere come il migliore spirito del nostro Risorgimento andrebbe annullato c sommerso in questa rivoluzione a rovescio e un insanabile dissidio sarebbe riaperto — non chiuso — in Roma per la riaffermata concezione temporalistica della autorità della Chiesa e tutti i difensori della libertà religiosa, inclusi i cattolici?
È notevole che a questo punto della discussione anche la Stampa, un organo che auspicò il connubio liberale-popolare, compiuto nella passata legislatura dal gabinetto Giolitti, si è allarmato della offesa che verrebbe fatta alla sovranità dello Stato. In una nota romana del 3 settembre è detto:
Il Vaticano ha fatto i suoi calcoli. Esso ha tutto da guadagnare da una conciliazione con l’Italia,
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CRONACHE
tanto da guadagnare per lo meno quanto l’Italia ha da perdere abdicando ad una qualsiasi porzione della sua sovranità territoriale ed abbandonando que'lo statu quo. che volere o volare perdura ormai da più di 50 anni. Esso giudica inoltre che l’attuale sia il momento opportuno perchè l’Italia senta la necessità politica di un accordo pacifico con il capo della cristianità. Si fa balenare agli occhi dell’Italia la minaccia di un futuro favorévole nell’assestamento di quegli interessi di Oriente che l’Italia ha in comune con la Santa Sede, ma in conflitto con le aspirazioni sia della Francia sia dell’Inghilterra. Parimenti, si fa giocare la visione di una pacificazione delle coscienze, che sarebbe utile a quel Governo che sapesse cosi legare al suo carro gli elementi turbolenti del partito cattolico o popolare. Tutto sommato, il Vaticano gioca una manovra abile, ma i cui effetti urteranno pur sempre coi fermi propositi italiani del vecchio partito liberale, il quale non si adatterà mai a fare quella qualunque rinuncia alla sovranità che il Vaticano esige.
Anche a qualche giornale estero d parso che le ultime manifestazioni vaticane segnino piuttosto un passo indietro che un passo avanti. Un attento osservatore di cose nostre. P. de Quirielle, nel Journal des Dibals (4 settembre) metteva in relazione la nota <\e\ì'Osservatore romano con la lèttera del Papa a mons. Bartolomasi di qualche giorno prima, lettera, che può dirsi proprio polemica per certi atteggiamenti... vivaci dei fascisti verso le organizzazioni cattoliche della Venezia Giulia, e nella quale si sottolineava la posizione anormale della Santa Sede in Italia. Contemporaneamente alla pubblicazione della Consulta è stato rinviato a tempo indeterminato il trasporto delle ceneri di Leone XIII nella tomba definitiva di S. Giovanni in Laterano, che. si diceva, avrebbe dato occasione ad una manifestazione vistosa di riconciliazione.
A conclusione di tutto questo pare allo scrittore che sia venuta la nota dell'ufficioso vaticano.
Un’altra voce dall’estero si è avuta al i6° congresso dei cattolici tedeschi, a Francoforte sul Meno, il quale ha votato il seguente ordine del giorno:
Il x6° congresso generale dei cattolici tedeschi in Francoforte esprime all’Augusto Capo della Chiesa cattolica, S. S. Benedetto XV, la sua profondissima venerazione e l’omaggio di fedele, incondizio
nata incrollabile obbedienza. Le recenti discussioni circa la cosidetta questione romana nella stampa italiana, svoltesi in generale con dignità e con rispetto verso la S. Sede, mostrano che l’attuale situazione del Papa in Roma, a confessione stessa dei liberali, è insostenibile c che la maggioranza del popolo italiano desidera che il doloroso e dannoso conflitto possa finalmente trovare una giusta e pronta soluzione. Il congresso generate si associa a questo-desiderio del popolo italiano ed esprime il voto che tutti possano unirsi in una felice soluzione della cosiddetta questione romana.
Anche un corrispondente politico del Daily Telegrafili (29 agosto), prospettando la questione dal lato politico, osservava in primo luogo che il Governo italiano può essere soddisfatto della conciliazione di fatto avvenuta fra il cardinale Ga-sparri e Tittoni durante il'Ministero Nitti. Questo modus vivendi ha dato all’Italia due possibilità: una interna ed una esterna. La prima è l’appoggio del partito popolare, la seconda è un accrescimento di prestigio presso i cristiani di Oriente. Se l’Italia non ha sostituito la Francia nella funzione di protettrice dei cristiani in Levante, lo si deve, dice sempre quel giornale, alla sua politica turcofila. Ma intanto i diritti che l’Italia fa valere sui Luoghi Santi hanno l’appoggio del Vaticano.
Anche all’interno una collaborazione non ufficiale tra lo Stato e la Chiesa sembra la più desiderabile: un argomento contro la conciliazione formale è. che questa toglierebbe al Vaticano troppo del suo carattere internazionale, sicché da ultimo non sarebbe utile .nemmeno all’Italia. Moralmente il Papato oggi non può lagnarsi della sua posizione. Le nazioni rappresentate presso il Vaticano sono oggi più numerose che prima della guerra, e vi figurano anche piccoli Stati non cattolici.
Ma . in questi ultimi giorni sorge la domanda: La questione si è incuneata in un angolo morto sulla tesi di principio, che impedisce un ulteriore sviluppo di trattative politiche? Da alcuni si afferma questo: ma la domanda non ha avuto, ancora nessuna risposta da fonte autorizzata.
(Bologna, 8 settembre)
Mario » Vinciguerra.
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RELIGIONI DELL’ IRAN E DELL’ INDIA
Religione di Zarathustra. — (Raffaele PETTAZZONI, La Religione di Zarathustra nella storia religiosa dell’Iran. Bologna, Nicola Zanichelli Editore, MCMXX). — Questo manuale di 260 pagine è il primo di una serie di pubblicazioni che a cura di Raffaele Pettazzoni verranno a luce nei tipi dello Zanichelli. Si annunziano infatti altri tre volumi: Hutton Webster: Società segrete primitive; R. Pettazzoni: La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro’, Aleksander Brückner: Mitologia slava. Il Pettazzoni, valoroso docente di storia delle Religioni nella R. Università di Bologna, era degnissimo di mettersi a capo d’una tale impresa, e nel volume con cui si apre la serie e che è di sua fattura egli ci porge prove esaurienti di possedere pienamente il buon metodo storico, la preparazione e la dottrina necessarie a trattare dal punto di vista scientifico lo svolgimento d’una qualunque religione nelle sue varie fasi.
Il primo volume della serie, dedicato a Zarathustra, è frutto di un corso di lezioni tenuto dal Pettazzoni circa sei anni fa nell’Ateneo bolognese. Consta d’una prefazione e di sette capitoli nei quali, indagate le origini del Zoroastrismo, se ne espongono le vicende sotto gli Achemenidi (550-330 av. Cristo), la dominazione straniera (330 av. Cr.-227 d. Cr.), i Sassanidi (227-651 d. Cr.), giù giù fino ai nostri giorni. Ogni capitolo è seguito da abbondanti e dense note nelle quali l’A. ha modo di dimostrarsi coscienziosamente al corrente della vasta letteratura sull’argomento.
Nessun lavoro importante gli sfugge, ogni autorevole opinione viene segnalata c discussa, nemmeno uno solo dei doveri bibliografici può dirsi trascurato p dimenticato. Errori di fatto non mi riesce scoprire nel volume. Vero è che a pag. 101, nota 21, si parla del costume della esposizione dei moribondi. Che abbia a leggersi morti invece di moribondi? A pag. 109, nota 69, il lettore ha l’impressione che il vocabolo avestLo Athravan (sacerdote) derivi indubbiamente da alar (fuoco) e significhi custode del fuoco o qualcosa di equivalente, mentre in realtà quel vocabolo, che Imperfetto riscontro nell’indiano alharvan, da cui s’intitola uno dei quattro Veda, è di oscurissima etimologia tanto nell’indiano quanto nell’avestico. Significa pure pretendere troppo dal lettore il mettergli sotto gli occhi a pag. 44 frasi rgvediche come queste: « Libera tu Vasis/ha dal peccato, o re Varuwa » e a Quando io me ne vo simile a un otre rigonfio tremolante, sii benigno, o signore » senza aggiungere una nota, un chiarimento. Crede davvero il Pettazzoni che la maggioranza dei lettori saprà che Vasis/ha è l’autore stesso dell’inno a Varuwa, e che quell’immagine dell’otre accenna al ventre, rigonfio per idropisia, del povero vate punito dal dio Veruna appunto con quel morbo? Ma non bisognava, si dirà, abusare di note! L'abuso, rispondiamo, si sarebbe rivelato proprio in questo caso?
Tutte queste sono mende inevitabili, perchè il Pettazzoni non è nè un iranista nè un indianista; sono anzi, sia detto a sua
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lode, miracolosamente poche se si considera che il non poter valersi delle fonti originarie è una fonte perenne di errori e di equivoci.
A pagg. 187, 188 l’A., contro la sua solita prudenza, è troppo assoluto e reciso nell’affermare che le religioni fondate diventano intransigenti e intolleranti. Egli evidentemente non ha tenuto presente che il Buddhismo è una religione fondata, ripete cioè la sua origine dall’opera personale di un Fondatore, e tuttavia non è mai stato intransigente e intollerante, anzi si segnala fra tutte le religioni per la sua moderazione e tolleranza.
Le altre osservazioni che potremmo venir facendo sul libro, e sulle quali sorvoliamo, non intaccherebbero certo il gran merito acquistatosi dal Pettazzoni quale studioso serio e diligentissimo, critico erudito, coscienzioso e metodico espositore storico.
Piuttosto ci domandiamo: questo manuale su Zarathustra è dedicato ad una larga 0 ristretta cerchia di lettori? Parrebbe che l’indole della serie dei volumi e la stessa veste tipografica accennino ad un’opera di divulgazione. Se così è, il volume su Zarathustra non risponde perfettamente al programma. Nonostante la cultura del Pettazzoni e tutte le doti che gli abbiamo riconosciute, nonostante egli scriva in uno stile sobrio, chiaro e dignitoso, è impossibile procedere senza stento nella lettura del suo manuale. A pag. xvm della Prefazione l’A. candidamente confessa: « Lo svolgimento religioso più che millenario di uno dei popoli — o gruppo di popoli — più importanti dell’Asia fu l'oggetto capitale del mio studio ». Dato questo programma duriamo fatica a capire come mai l’A. ha potuto illudersi di fare opera divulgativa. Lo svolgimento storico d’una religione, e nient’altro che lo svolgimento storico, importa la rinunzia al quadro definitivo e stabile di essa, la rinunzia cioè a quello che appunto cerca il- più dei lettori. XI grosso dei lettori vuol sapere che cosa è il Zoroastrismo e non sa che farsi della dotta esposizione del Pettazzoni e delle sue eruditissime e bibliograficamente impeccabili note. I lettori vogliono avere la fisionomia chiara, caratteristica, definita, una bella fotografia insomma del Zoroastrismo, e invece di questa il Pettazzoni fa passar loro sotto gli occhi velocemente tante e tante negative sbiadite ed
incerte del Zoroastrismo bambino, adolescente, adulto, giovane, maturo, vecchio e decrepito, che alla fine essi, scoraggiati, confessano d’avere una vera e propria confusione nella testa, d’aver visto nient’altro che delle ombre senza contorni e nessun ritratto davvero. La storia, segnatamente come s’intende oggi da noi, è scienza arida, e come tale non è suscettibile di divulgazione. Ora, perchè esporre la scienza, che deve contentarsi di pochi fedeli cultori, ai lazzi e al naturale, direi anzi ragionevole aborrimento di tanti valentuomini amanti della cultura, ma insofferenti delle minuzie di cui è appunto fatta la scienza ?
E per non tenermi sulle generali, citerò un solo esempio a dimostrare il difetto d’efficacia divulgativa nel manuale del Pettazzoni. A pagg. 190, 191 è parola del Manicheismo nel modo che qui segue:
« Elementi di dottrina zervanitica penetrarono anche nel Manicheismo, la religione di Mani (23). Questa nuova religione sorgeva nel msec. ...
< Certo il Manicheismo non è un’emanazione diretta del Mazdeismo, una specie di Mazdeismo modificatosi a contatto col Cristianesimo (Baur) (24). C’è una somma considerevole di elementi babilonesi (zer-vanismo, idea delle triadi, ecc.), ch’è presente nel Manicheismo sin dalle origini (Kessler) (25). Non per questo sarà da concepire il Manicheismo come una formazione religiosa essenzialmente semitica, svoltasi dal fondo naturale della religione naturistica babilonese (Harnack) (26). L'ambiente di formazione del Manicheismo è essenzialmente un ambiente gnostico e sincretistico (Bousset) (27). Una antica tradizione gnostica si continuava in quella setta mesopotamica dei Mughtasilah — ossia « Battisti » — seguaci di Elchasai, affini ai Sabei (28), e dunque ai Mandei (29), alla quale appartenne il padre di Mani, ch’era un Persiano stabilito in Babilonia, (30). Nato in Babilonia, Mani crebbe in questo ambiente; e ne avrà {avuto le prime impressioni e le prime idee, compresa quella del dualismo. Ma poi seguì una via propria: abbandonò — per ordine di un angelo, secondo la tradizione (30), —Mugh-tasila, e fondò la sua religione. L’idea centrale della dottrina di Mani è ancora e sempre il dualismo: ma se questo vi è svolto in forma diversa che nel Gnosticismo (31), e più sistematica e rigorosa, ciò si deve verosimilmente alle influenze del Mazdeismo persiano (32). Elementi di
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origine persiana abbondano nel Manicheismo: e sono in ispecic quegli elementi mitici e leggendari (33) che gli conferiscono quel colorito imaginoso e fantastico onde si rischiara e si riscalda la sua teologia un po’ complicata ed astrusa (34), e in particolare la sua cosmogonia/— quale si può ricostruire sulle tracce delle confutazioni dottrinali di Teodoro bar Khoni, vescovo nestoriano di Kaskar (35), e di Severo, patriarca monofisita di Antiochia (36) ».
Quanta condensazione in questo breve cenno sul Manicheismo, c quante note! Sono la bellezza di quattordici ! E crede davvero il Pettazzoni d’aver fatto capire a un profano che cosa è il Manicheismo? Quella sfilata di opinioni discordanti sostenute rispettivamente dal Baur, dal Kes-sler, dallo Harnack c dal Bousset, più che portar luce ingenera confusione nella testa di chiunque non sia uno specialista: il Manicheismo non è questo, è piuttosto quest’altra cosa, ma nemmeno questa, è in parte quest’altra. Ed è cosi il modo di semplificare e divulgare? Dopo immenso sforzo il lettore arriva a capire che il Manicheismo è una miscela di elementi persiani, babilonesi c gnostici, giunge cioè ad impossessarsi di una idea vaghissima, perchè il novanta per cento dei lettori non vede nessun contenuto ma soltanto delle parole vuote nelle espressioni: elementi ■persiani, elementi babilonesi, elementi gnostici. Bisognava appunto fin dal principio dire aì lettore quali sono questi elementi persiani, babilonesi e gnostici, dirglieli con semplicità, chiarezza e garbo.
Pochi mesi fa mi trovai a recensire la « Storia di Cristo » del Papini e dovetti segnalarne il nessun valore scientifico, anzi la fobia scientifica, accanto a un grandissimo merito letterario ed artistico e ad un’incomparabile efficacia divulgativa. Oggi invece mi tocca lodare la dotta compilazione scientifica del Pettazzoni e insieme affermare che come opera di divulgazione essa non è atta a raggiungere Io scopo. Se nell’opera del Papini ci fosse stato un po’ più di Pettazzoni, e se nell’opera del Pettazzoni ci fosse stato un po' più di Papini, avremmo avuto due capilavori. Ciò che conforta è vedere che in Italia si pensa, si studia e si produce: suoni dunque la nostra critica sincera amichevole esortazione a far meglio.
Un poema di Qàntideva. —(Louis Finot, La Marche à la Lumière, poéme sanscrit
de Qàntideva, traduit avec introduction. Bois dessinés et gravés par H.Tirman.Paris, Editions Bossard, 43, Rue Madame, 1920). — Si è costituita a Parigi un'Associazione degli amici dell’oriente con a capo il signor Victor Goloubew, la quale ha iniziato una raccolta di versioni dei classici dell’oriente, affidandole alla cura dei più illustri filologi, e letterati che vanti la Francia. Il primo volume è stato dedicato al famoso episodio del Mahàbhàrata che narra l’avventurosa storia degli sposi gentili Naia e Damayanti, ben nota a noi altri italiani per il magistrale volgarizzamento in ottava rima che ne fece Michele Ker-baker. La Francia possiede ora essa pure un’opera squisita, nella traduzione curata da Sylvain Lévi, l’indianista parigino di fama mondiale, l’uomo eminente, dotto e geniale, che conosciuto attraverso le sue opere si fa entusiasticamente ammirare, conosciuto di persona si fa amare teneramente. Siamo ora al secondo volume della raccolta, e un altro gioièllo è^yenuto a luce: la fedele, nitida, elegante versione del Bodjiicaryàvatàra dovuta alla sicura dottrina e al magistero letterario di Louis Finot, illustre docente del Collège de Franco. Se si continuerà di questo passo i nuovi amici dell’oriente renderanno davvero all’oriente il più segnalato dei servigi che da Schlegel ed Humboldt fino ad oggi gli sieno stati resi. Questi due volumi ben stampati ed artisticamente illustrati si leggono d’un sol fiato, rivelano la vera Srandezza dell ’India antica, sono un modello i ciò che deve essere l’opera di divulga? zione, vengono opportunamente a provar vero quanto io già nove anni fa affermavo nella prefazione all’A^vaghosa: «a rendere popolari i grandi capilavori letterari sono, checché si pensi e dica, sempre i più adatti gli specialisti, e il segregarsi che questi fanno nella scuola e nelle accademie, è un grave danno che s’infligge alle Lettere ed alla scienza».
Che dunque il Lévi e il Finot sieno u-sciti dall’aula scolastica e dalla sala accademica per presentarsi al gran pubblico, è un vantaggio incalcolabile per le Lettere e per la scienza. Nè dubito che il pubblico italiano si segnalerà nella fretta di partecipare a tanta buona fortuna spirituale e culturale.
Il Bodhicaryàvatàra ossia la marche à la lumière è un poema di Qàntideva vissuto nella metà del vii secolo dopo Cristo. Il testo sanscrito è stato edito tre volte.
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l’ultima da de la Vallèe Poussin nella Bibliotheca indica, Calcutta, 1903-1914. lx> stesso de la Vallèe Poussin ci ha dato di questo testo una dotta versione francese nella Revue d’histoire et de littèrature reli-gieuses (1905-1907) con intenti puramente scientifici. Il Finot ha con fiuto d’artista intuito che si trattava d’un’opera degnissima d’essere resa popolare, e ci ha dato la traduzione che qui lodiamo e magnifi-ehiamo. Un primo merito è d'aver saputo scegliere. I volgarizzamenti di certe opere mediocri, che possono tutt'al più avere un interesse o valore storico, meglio assai sarebbe a non farli.. L’India sovrabbonda di misere produzioni letterarie che sono per essa una calunnia. La vera, la grande India va accuratamente cercata e sceverata come le vene d’oro in una immensa massa di scoria. Il Bodhicary-àvatàra è appunto una vena d’oro e bene ha fatto il Finot a renderla di pubblica ragione. Consta di dieci capitoli e di 913 versi scritti da un fervente buddhista della scuola del Grande Veicolo (Mahàyàna), ossia di quella che fa obbligo ai Buddha di anteporre alla loro entrata nel nirvàna la salvazione delle genti e mette in sostanza l’amore del prossimo e la carità al disopra della illuminazione della mente. £ànti-deva in fondo non fa che predicare il solito Verbo buddhistico: l'estirpazione del desiderio e dell’egoismo, la lotta ad oltranza contro le passioni, la rinunzia al mondo, la vita ascetica, il culto dei Buddha, l’amore verso tutti gii esseri. Sé non che, le stesse còse non sono più le stesse quando sono dette in una forma nuova e con afflato poetico da un grande artista. E un grande artista appunto è £antideva come quello che trasforma i luoghi comuni del vecchio e nuovo canone in verità profonde, luminose, irresistibili. Nel Bodhicary-Avatàra le strofe che potremmo chiamare sublimi sono tante che di esse c’è consentito di dare qui soltanto un saggio esiguo.
Il grande, poeta buddhista non si fa delle vane illusioni e sa benissimo che il male trionfa nel mondo ed è infinitamente più forte del bene. Il bene in tanto esiste in quanto i Buddha, questi uomini straordinari e trascendenti, nascendo di tratto in tratto su questa terra, lo additano alle genti immerse nelle tenebre dell'ignoranza e negl’inferni della passione. L'egoismo impera nel mondo; ma un Buddha, questo miracolo d’uomo, è’scevro d'ogni egoismo.
vuole soltanto il bene di tutte le creature. Il desiderio del bene del mondo è la virtù principe, vale più di qualunque culto, è la chiave di volta della vera religione. Ed ecco come questi pensieri si trovano condensati in poche strofe (I: 5, 6, 21, 22, 25, 27):
• Così come nella notte in cui le nuvole addensano le tenebre, brilla un istante il baleno, del pari, in grazia al potere dei Buddha, posa a volte un istante sul bene il pensiero degli uomini >.
• Pur troppo il bene è sempre mai debole, mentre grande c terribile è la forza del male; quale altro bene che non sia il pensiero della Luce intellettuale potrebbe vincere il* male? »
«Chi benevolmente si propone di guarire alcuni pochi uomini del loro mal di capo si acquista un merito immenso: quanto più dunque chi vuole affrancare tutti gli uomini da un dolore infinito e dotarli d’infinite virtù! »
« Quella perla degli esseri, quella perla senza precedenti che è un Buddha, come fa essa a nascere, poi che tutti i rimanenti uomini non si sentono disposti, magari per interesse, a promuovere il bene degli altri? >
« Un semplice augurio per il bène del mondo s’avvantaggia sull’adorazione del Buddha: quanto più poi se a quello s’associa lo sforzo di dare tutta la felicità a tutti gli esseri! >
Ma è possibile dare tutta la felicità a tutti gli esseri? E non si propone il santo buddhista un ideale irraggiungibile, una chimera? Una chimera vagheggerebbe .indubbiamente chi, per evitare dappertutto e sempre alle piante dei propri piedi il contatto duro e polveroso del suolo, cercasse di rivestire di cuoio la terra tutta intera. Ma la chimera diventa realtà se il cuoiq invece di stenderlo sulla terra viene avvolto intorno ai propri piedi. Del mondo esterno non possiamo mai essere padroni, ma del nostro spirito sì. Che il tuo spirito sia materiato di bontà e potrai dire di beneficare tutti gli esseri, così come con un calzare di cuoio potrai dire d'essere riuscito a ricoprire di cuoio tutta la terra. L’India soltanto è capace di trovare delle immagini così profonde ed originali, e compiango sinceramente il lettore che non si esalta, alla lettura di queste stròfe (V:j9-i4, 17,122, 84, 109):
• Se la perfezione di carità consistesse nel rendere ricco jl mondo, come avrebbero potuto mai possederla gli antichi Redentori che lasciarono il mondo povero come prima? »
« Il pensiero di sacrificare a tutti gli esseri tutto quello che si possiede e il frutto stesso del proprio
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sacrificio, ecco ciò che si chiama perfezione di carità: questa è dunque spirito c nient'altro ».
• Dove mettere al sicuro i pesci e gli altri animali per essere certi, che, non li uccideremo? La perfezione di moralità è spìrito di rinuncia».
«Quanti malvagi mi sarà dato di ammazzare? Infinito come lo spazio ne è il numero. Ma se ammazzo lo spirito dell’ira in me, tutti i miei nemici resteranno immediatamente ammazzati ».
• Dove trovare un cuoio ampio abbastanza per ricoprire tutta la terra? Ma il mero cuoio d’un sandalo basta a tanto ».
« Del pari non posso dominare le esteriorità; ma dominerò il mio spirito: che m’importa delle altre signorie? »
« Per distruggere il dolore e raggiungere la felicità invano errano attraverso lo spazio quanti non hanno coltivato quello spirito arcano che in sè racchiùde la totalità dei fenomeni ».
* Possa io perdere c fortuna ed onori, la vita e ogni altro bene, ma giammai il mio spirito! »
« Con costante energia si lavori in prò degli altri; anche le cose vietate diventano lecite al compassionevole che mira a far del bene ».
« Per mezzo delle azioni proclamerò la Legge; a che prò recitarne soltanto le parole? Chc vantaggio trarrebbe mai l’infermo dal’a mera lettura d’un trattato di medicina?»
Sol che' non si voglia sofisticare, mi sembra che, a prescindere da altri passi de! canone, possediamo nelle seguenti strofe di $àntideva l’esatto, riscontro alla sublime massima evangelica « Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate bene a coloro che vi odiano, e pregate per coloro che vi- fan torto, e vi perseguitano;... perciocché, se voi amate coloro che vi amano, che premio ne avrete ? » (Matteo, V, 44, 46):
« Voglio abbandonare questo mio corpo al beneplacito di tutti gli esseri. Che incessantemente lo percuotano, lo vilipendano, lo coprano di polvere! Si facciano pure del inio corpo un trastullo, un oggetto di beffa e di spasso! Ho dato in dono a loro il mio corpo, che m’importa più di lui ? Lo obblighino a compiere ogni atto che lor talenta! Ma che io non abbia mai a diventare per chicchessia l’occasione di qualche iattura! Se il loro cuore cova sdegno e malevolenza contro di me, possa ciò appunto servire a che tutti raggiungano il loro . intento ! Possano, al pari di tutti gli altri acquistare la luce intellettuale quelli che mi calunniano, mi scherniscono ».
« Un nemico che altri ottenga senza cercarlo, è un tesoro che sorge in casa; deve essermi pur caro questo ausiliatore della mia carriera spirituale ».
■ Entrambi abbiamo diritto al frutto della pazienza; ma deve essere offerto a lui per primo, poi che è lui autore primo della mia pazienza ».
• Ma, tu dirai: il nemico si propone di nuocermi, però non mi sento d’onorare un nemico! Ed io ti rispondo: verso chi vorrai tu dunque esercitar la pazienza, forse verso, ad esempio, un medicodevoto?» (Ili, 12-16; VI, 107, xo8, rxo).
« Per le creature i Buddha si lacerano le carni; penetrano nell’inferno: quel che si fa per le creature si fa dunque per i Buddha. Benefichiamo quindi anche i nostri peggiori nemici » (Vf, 120).
Altre sentenze da ravvicinare alle evangeliche sono, per- esempio, queste altre:
«'L’uomolimitatò non ama nessuno,! Buddha hanno detto, perocché egli non ama rulla fuori della sfera del suo interesse personale » .
• Ma l'amore che passa per la porta dell'interesse non è altro se non amore di se stesso: così, altri deplora. la rovina del tale o tal’altro unicamente per i piaceri che a causa di quella viene a perdere ».
• Debbo combattere il dolore degli altri, perchè è dolore al pari del mio. Debbo far bene agli altri, perchè sono esseri viventi al pari di me ».
« Ma, tu dirai, tocca a chi soffre di difendersi dai dolore. Eppure, ti rispondo io, il dolore del piede non è quello della mano: perchè dunque la mano protegge il piede? »
« Se il patimento di molti cessa per il patimento di un solo, questo uno deve procacciarselo per compassione verso gli altri e verso se stesso ».
«Se fate qualche cosa in prò degli altri, non v'insuperbite, non vi compiacete, non ambite d’es-.scrc rimeritati! Abbiate una sola passione: il bene degli altri ».
• Se do, che mi resterà da mangiare... ? — Questo egoismo ti farà rinascere orco.
« Se mangio che mi resterà a dare? — Questo altruismo ti farà rinascere re degli dei ».
«Tutti quelli che sono infelici sono tali perchè hanno cercato la loro propria felicità; tutti quelli che sono felici sono tali perchè hanno cercato la felicità degli altri ».
« Lungi dal collaborarc al benessere comune, fonte di felicità in questo e nell'altro mondo, gli uomini sono dèditi solo a farsi del male c scontano questo errore con patiménti atroci ».
«Tutte le catastrofi, tutti i dolori, tutti i pericoli del mondo provengono dall’attaccamento, all’io: perchè dunque insistere in esso? » (Vili, 24, 25» 94, 99, »05, 109, X29,125, X33,134).
Con una sempre nuova emozione si leggono i versetti consolatori della - Bibbia che incominciano con le parole: « Beati i poveri in ¡spirito, perciocché il regno dei cieli è loro », e via via confortano .coloro, che fanno cordoglio, i mansueti, gli affamati
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ed assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, i pacifici, i perseguitati. L’esordio del Sermone della Montagna è veramente divino. Eppure note divine di sentimento religioso risuonano nelle strofe con le quali Qàntideva chiude il suo poema e che ben possono, senza profanazione, essere messe accanto alle beneauguranti apocalittiche parole di Gesù. Il vate bud-dhista, quasi rapito nell’estasi del suo fervido amore per tutti gli esseri, prorompe in accenti di poesia che, e per il contenuto e per la forma, toccano il sublime:
< Per virtù dei meriti miei smettano gli animali di divorarsi gli uni gli altri! »
« Possano i ciechi vedere, i sordi sentire, le donne partorire senza doglie, al pari di Màyà Devi! »
• Possano gli uomini aver vesti, cibo, bevande, ghirlande, sandalo, ornamenti, tutto ciò che lusinga i loro cuori, tutto ciò'che può loro addurre bene!»
• Si rassicurino quelli che hanno paura, giocon-dino gli afflitti, trovino serenità e pace i cuori an--gustiati! »
«Salute agli infermi, libertà ai carcerati, forza ai deboli, affetto reciproco a tutti gli uomini! »
« Tutte le plaghe sieno propizie ai viandanti e li scorgano alla mèta del loro viaggio! »
« Possano i naviganti ottenere il loro desio, rientrare felicemente in porto e rallegrarsi coi loro parenti! »
« I raminghi sperduti nella giungla incontrino una carovana e compiano il viaggio senza stanchezza, fuor del pericolo dei ladri c delle tigri! »
« Vigilino i Geni sugli addormentati, i mentecatti, i distratti, i derelitti, i deboli, i vecchi, nei perigli dei morbi c delle foreste! »
« Possano tutte le donne raggiungere (tornando a nascere), il sesso maschile! Possano gli umiliati essere esaltati senza insuperbirsi!»
• Per virtù dei meriti miei, tutti gli uomini senza eccezione, distogliendosi dal peccato, pratichino sempre il bene! ■
• Godano tutti gli esseri d'una vita illimitata!
« Vivano eternamente felici e che il nome stesso della morte scompaia! »
«Sia la terra ovunque senza ghiaia ed altre asprezze, piana come la palma della mano, soave, ricolma di pietre preziose! ■
«Gli uccelli, gli alberi, i raggi, il firmamento facciano incessantemente risuonare agli orecchi degli uomini la voce della Legge! » (X, 17, 19-26, 30, 3b 33. 35. 37)Le poche strofe che abbiamo allegate mi pare bastino ad invogliare qualunque lettore spregiudicato a cercar subito con amore ja traduzione del Finot. Taluni spiriti religiosi restano quasi sconcertati dalla rivelazione di documenti etico-mistici di gran valore unicamente perchè non appartengono alla particolare fede da loro professata. È uri7 sentimento angusto e tapino ed anche un errore; è come vedere in pericolo o menomata la luce.del sole che ci rischiara e ci riscalda sol perchè veniamo a sapere che essa rischiara e riscalda altrove gente diversa dà noi! E per concludere il mio elogio all’opera del dotto e geniale sanscritista francese c< o lievi osservazioni critiche, intese soprattutto a dimostrargli con quanta attenzione io abbia letto le sue pagine, segnalerò un errore di stampa nella strofa 50 a pag. 35: donnne invece di donne', e la mancanza di una nota indispensabile nella strofa ió a pag. 91. Infatti, chiunque legga: « Le courage, l’ar-mèe, l’application, la maîtrise dé soi, l’identification de soi et d’autrui, l’interversion de soi et d’autrui, voilà les facteurs de l’énergie », resterà indubbiamente perplesso circa al senso da attribuire ad armée. Ora, a pag. 93, strofa 31, si legge: « Pour réaliser le salut des créatures il faut une armée de quatre corps: Aspiration, Fierté, joie, Rénonciation ». Perché dunque non corredare la strofa 16 d’una breve nota concepita prcss’a poco così: «cfr. pag. 93, strofa 31 »? Crede poi il Finot che il Capitolo IX intitolato « La Sagesse » possa essere accessibile a lettori che non hanno familiari le sottili controversie fra le diverse scuole filosofiche dell’india? E i lettori che le hanno familiari si contano sulle dita! Il Capitolo IX o doveva essere illustrato e chiarito da numerose note 0, meglio ancora, venir soppresso in un lavorò che vuole essere divulgativo e che per ogni altro rispetto ha raggiunto mirabilmente il suo intento.
Un testo palico: l’Udàna. — (Karl Sei-denstücker: Udâna, das Buch der Jeier-lichen Wortedes Erhabenen. Eine kanonische Schrift des Pâli-Buddhismus in erstmaliger deutscher Uebersetzung aus dem Urtext. Verlag von Theodor Lampart. Augsburg, 1920). — Questo importantissimo lavoro dei Seidenstücker, dotto pàlista della Germania tra i più benemeriti degli studi recenti sul Buddhismo, è la prima traduzione com- a pietà e veramente attendibile che si abbia oggi in Europa del venerando testo intitolato Udâna del canone palico. Udâna in senso collettivo designa una raccolta
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di brevi aforismi, quasi di esclamazioni che profferite dal Buddha inquesta e in quella occasione furono poi tramandate di bocca in bocca fedelmente dai suoi discepoli e dai discepoli dei discepoli. Buddha morì nel 480 av. C., e il Seidenstücker, in una pregevole introduzione densa di fatti e di acute inferenze, din.ostra che l’Udàwa deve essere stato definitivamente compilato non più tardi della'metà, del terzo secolo prima dell'era volgare. Siamo dun-Ìue trasportati nell’ambiente stesso del
;uddha, ih mèzzo agli eventi chi il Buddha assistette, fra gli uomini ai quali il Buddha parlò. La figura del Santo degli Qàkya balza fuori dà questo testo perfettamente consona con quella che abbiamo imparato a conoscere attraverso il Dham-mapada, l’Itivuttaka ed altre famose sezioni del Tipi/aka. Se non che nell'l7¿<taa il Buddha non fa lunghe prediche, ma parla per aforismi, compendia in un detto memorabile il suo pensiero su questo e Snello evento. Per esempio, Ananda, il
iscepolo prediletto del Buddha, elemosinando nella città di Rajagaha, s’imbatte in Devadatta, il Giuda Iscariot indiano, il quale gli annunzia che da quel giorno porterà lo scisma nella comunità. Tornato Ananda nel boschetto di bambù presso il Maestro gli riferisce subito le prave intenzioni del seminator di zizzania. Il Buddha riflette alquanto e poi esclama, ossia profferisce il seguente udàna-. «per il buono è facile fare il bene, difficile è per il malvagio fare il bene. Per il malvagio ò facile fare il male, difficile è per i buoni fare il male * (V, 8).
Un’altra volta il Buddha si trova a camminare per la via maestra seguito da molti monaci. Ècco che gli passa davanti una brigata di giovinastri, chiassosi e loquaci. Il Maestro si ferma un po' e quindi prorompe in questo udàna-.
« Confuse sono perfino le sensate parole di chi si segnala nel dominio delle parole. Spalancano la bocca quanto vogliono;, da chi però sono guidati non sanno».
La raccolta degli Udàna consta di otto capitoli (vagga) ciascuno dei quali abbraccia dieci paragrafi (sutta) più 0 meno lunghi e sempre terminanti con un detto memorabile Lo stile prosastico
della narrazione è quello solito, grave, monotono, colmo di ripetizioni arieggianti la litania. Anche il contenuto non differisce da quello di cui è materiato il resto del canone palico: sradicato il desiderio.
resta distrutto il dolore e dischiusa la porta del nirvana; guai agli illusi che ancora cercano la felicità nelle cose soggette al divenire; beati i monaci che, infranto ogni legame col mondo, indossano il manto giallo e campano di cibo elemosinato. Tutto ciò si presta poco ad essere ammirato dai più e molto a convalidare l’opinione che la dottrina del Buddha in ultima analisi sbocchi nello egoismo. Ma non bisogna mai dimenticare che il canone palico contiene una parte sola della dottrina del Maestro e mira segnatamente a fare l’apoteosi della vita monastica, ossia dell'ultimo stadio del tirocinio buddistico. I monaci che circondano il Buddha sono, al pari del Buddha stesso, dei santi, degli uomini straordinari pòi quali i valori della vita sono completamente invertiti e i doveri morali" non sono, non possono essere quegli stessi dell’uomo che vive in società. Cosi l’ottavo paragrafo del primo capitolo dell'174racconta che il venerando Sangàmaji non degna nemmeno d'uno sguardo la donna che al secolo era stata suà moglie, nemmeno d’uno sguardo il figlioletto che quella gli presenta. «Nutriscimi » chiede la donna, e il venerando Sangàmaji tace; « nutrisci il figlio almeno » e quello persiste a tacere, finché la donna persuasa che ogni affetto, non solo di marito ma di padre, è spento in quell’asceta, si piglia in collo il pargolo e va via. Il Buddha assiste alla scena col suo occhio divino e chiaroveggente, e ci aspetteremmo da lui un biasimo, un generoso scatto contro l’egoismo feroce di quel monaco sordo alla voce del dovere della paternità. Nulla di tutto ciò: il Buddha chiama sconveniente la condotta della donna e pronunzia il seguente udàna-.
«Non si rallegra nel vederla venire, non si affligge nel vederla partire; lui chiamo io un vero brahmano che vincitore nella lotta si è emancipato da ogni vincolo ».
Con ciò vorremo credere che il Buddha autorizzasse i padri a non nutrire i figli che hanno messo ai mondo? Il caso di Sangàmaji è dunque fuori del comune e va giudicato con criteri diversi dai soliti: si fratta d’un santo che vive ormai nell’estasi delle sue meditazioni e per il quale il mondo di qua non ha più nessun significato.
Anche Gesù ha detto: « e chiunque avrà abbandonata casa, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figlioli, o possessioni, per lo mio nome, ne riceverà
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cento cotanti, ed crederà la vita eterna » (Matteo, XIX, 29); anche Gesù rinnega la madre ed i fratelli :
« E alcuno* gli disse: ecco tua madre, e i tuoi fratelli, son là fuori, cercando di parlarti. Ma egli, rispondendo, disse a colui che gli aveva ciò detto: chi è mia madre, e chi sonò i miei fratelli? E distesa la mano verso i suoi discepoli, disse: ecco la madre mia, e i miei fratelli; perciocché chiunque avrà fatta la volontà del padre mio, che è nei cieli, esso è mio fratello, sorella e madre» (Matteo, XII, 47-50); Gesù non esita anzi a dichiarare: « Se alcuno viene a me, se non odia suo padre e sua madre, e la moglie, e i figliuoli, e i fratelli, e le sorelle; anzi ancora la sua propria vita, non può essere mio discepolo » (Luca, XIV, 26).
E non restiamo in sulle prime stupefatti nel veder che Gesù prende le parti di Maria e dà torto a Marta; loda cioè la donna che trascura la casa e biasima la buona massaia ? (Luca, X, 38-42).
Chi, leggendo i Vangeli cristiani, e segnatamente i testi buddistici del canone pàlico, non sa spogliarsi del suo solito modo di giudicare le cose, rinunzi per sempre a capire e ad ammirare il Cri to ed il Buddha. Bisogna persuadersi che di fronte alla rivelazione del supremo Vero fatta da Gesù e da Gotama impallidisce ogni altro valore e diventa grama e tapina qualunque più alta dottrina sollecita solo de) bene mondano degli uomini. C* è un punto in cui del mondo di qua Gesù e Gotama, che pure tanto hanno fatto per esso, si sbarazzano come d’una pastoia: c’è un punto in cui la morale di Gesù c Gotama diventa trascendente ed in apparente conflitto con la morale che tende a far degli uomini altrettanti ottimi cittadini di questo mondo. Il canone pàlico si occupa soprattutto del Buddha e dei santi monaci che lo circondavano, è l’apoteosi dell’estrema tappa dei l’arduo cammino spirituale, e perciò appunto parla ai rimasti indietro un linguaggio che quando non è incomprensibile sembra egoistico e ripugnante. Consci di ciò i grandi poeti del Mahàyàna capirono che a volere rendere popolare la Legge del bene, bisognava cambiar metro, condire il vero in molli versi, adattarsi all’intelligenza delle turbe, magnificare, più die l'estirpazione della sete ed il nirvana, l'amore del prossimo ed il sacrificio di se stesso in prò di tutti gli esseri. Ed il buddhismo ebbe allora la
sua massima diffusione: col piccolo carro (Hinayàna), ossia coll'eroico furore di pochi eletti giunti alla soglia del nirvana, poteva fare poco cammino; col grande carro (Mahàyàna), ossia con la folla dei Buddha passati e futuri che rifiutano il nirvana per emancipare il mondo dal dolore, percorse vittorioso buona parte del continente asiatico.
Per tornare aìì’Uddna, esso va dunque letto con quella preparazione di spirito necessaria a capire l’intero canone pàlico che definirei fattura di monaci ad uso e consumo di monaci non già di laici. C'è pure un buddhismo per i laici, ma non è quello del canone pàlico: lo si cerchi piuttosto nei grandi poeti del Mahàyàna: Ajvaghosha, Aryayùra, Ksemendrà, £àn-tideva ecc.
Il SeidenStucker nella sua introduzione segnala alcune consonanze tra VUddna e i Vangeli cristiani, le quali sembrano anche a me innegabili; e per il grande interesse che offrono mette conto che sieno poste qui sotto gli occhi del lettore.
Il paragrafo ottavo del secondo capitolo parla di una gentildonna che da sette giorni è to: mentala dalle doglie del parto senza riuscire a dare alla luce il bambino. . Credente sincera nella dottrina del Maestro manda il marito a dirgli che essa paziente-mente sopporta il suo atroce dolore solo in quanto pensa che da esso possono affrancarla il Buddha, la sua dottrina, la congre-Sazione, il nirvàna. Udendo questo atto
i fede il Buddha esclama: «sana partorirà un figlio sano », e nell’istante medesimo in cui venivano pronunziate queste parole, la donna partoriva sana un figlio sano.
In Giovanni IV, 46-53 si legge: «Vera un certo ufficiai reale, il cui figliuolo era infermo in Capernaum. Costui, avendo udito che Gesù era venuto di Giudea in Galilea, andò a lui, e lo pregò che scendesse, e guarisse il suo figliuolo; perciocché egli stava per morire. Laonde Gesù gli disse: se voi non vedete segni e miracoli, voi non crederete. L’ufficiai reale gli disse: Signore, scendi prima che il mio fanciullo muoia’ Gesù gli disse: va, il tuo figliuolo vive. E quell'uomo credette alla parola che Gesù gli avea detta; e se ne andava?Óra, come egli già scendeva, i suoi servitori gli vennero incontro e gli rapportarono e dissero: il tuo figliuolo vive. Ed egli domandò loro dell’ora ch’egli era stato meglio. Ed essi
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gli dissero: ieri asette órela febbre lo lasciò. Laonde il padre conobbe ch'era nella stessa ora, che Gesù gli avéa detto: il tuo figliuolo vive; e eredette egli, e tutta la sua casa ».
Nella narrazione evangelica non è più Sarda della donna, ma permane il motivo ella guarigione miracolosa a distanza, quello dell’uomo di elevato grado sociale che va ad implorare il Maestro, e infine l'altro della fede che salva e della contemporaneità delle parole beneaugu-ranti del Maestro e della guarigione dell’infermo.
« Singolarissimo », continua il Seiden-stücker, < è il ragguaglio del Parinibbàna del discepolo Dabba Mallaputta (Vili, 9, io). Egli si libra nell’aria ed il suo corpo, sfolgorante candidamente, arde fino a che ogni avanzo di materia scompare, e diventa tutto luce. Tale ragguaglio richiama alla mente analoghe rappresentazioni dell’antico Cristianesimo: il corpo del santo, librandosi nell'aria, abbarbagliando nell’atto del trasfigurarsi, si sottrae infine, nella sua ascensione al cielo, ad ogni percezione dei sensi ».
Opportunamente l’A. richiama l’attenzione sopra tre altri passi che attribuiscono al Buddha facoltà soprannaturali e fanno pensare a concezioni analoghe del Vangelo cristiano: ne! pòrno (III, 2) il Buddha trasporta in cielo sè stesso e il fratello Nanda per mostrare a quest’ultimo delle ninfe di straordinaria bellezza che dovranno fargli dimenticare la donna della quale è innamorato c che gl’impe-disce di convertirsi; nel secondo (III, 3) il Buddha e cinquecento altri monaci sprofondano in una meditazione che li rende immobili ed assenti dà tutto ciò che si fa e si dice al loro cospetto: nel terzo (Vili, 6) si tratta di passare dal-l’una sponda all’altra del Gange in piena, chi va in cerca d’un battello, chi d’una zattera, chi d’una piattaforma di vimini, quand'ecco il Maestro e i suoi discepoli spariscono di su la sponda di qua, e nell’attimo che occorre a stendere o piegare il braccio, portentosamente si trovano sulla sponda di là.
Inoltre i due miracoli che il Buddha opera nel chiarifitare con la parola le acque torbide ed imbevibili d’un fiume, e la sua sentenza: «a che può giovare più un pozzo quando sempre e d’ogni intorno fluisce acqua corrente > (Vili, 5; VII, 9), richiamano alla mente le parole di Ges'ù alla
Samaritana: « chi berrà dell’acqua ch'io Ìli darò non avrà giammai in eterno sete »
Giovanni, IV, 14),
A queste assonanze' messe in evidenza dal Seidenstucker, se ne può aggiungere un’altra: il santo discepolo Mahà-Kassapa disdegna il cibo che gli offrono in elemosina ben cinquecento divinità e preferisce mendicarlo tra i poverelli di Ràjagaha (1,6:111, 7). Del pari i due piccioli della povera vedova sembrarono' a Gesù più ricca offerta dei molti danari gettati nella cassetta dai tanti doviziosi oblatori (Marco, XII. 41-44)L’importanza dei lavoro del Seidenstucker deve ormai saltare agli occhi di chiunque. Eppure, se egli si fosse limitato a pubblicare il solo quinto paragrafo del capitolo quinto, si sarebbe già meritato tutta la nostra riconoscenza. Riassumo in breve il contenuto dei mirabile passo:
« Una volta il Buddha'dimorava presso Sà-vatthi nell'orto ad oriente del chiostro. Era giorno di festa, ed il Sublime sedeva circondato da una congrega di monaci. Quando, sopravvenuta la notte, si fu al termine della prima vigilia, il venerabile Ananda sorse in piedi, e disse al Sublime: spirata è, Signore, la prima veglia notturna, da tempo i monaci adunati aspettano che il Sublime li ammaestri sulle regole dell'ordine.
Il Buddha rispose col silenzio.
Allo spirare della seconda vigilia ripete Ananda le stesse parole, ma il Buddha continua a tacere.
All'alba rinnova Ananda al Beato l’invito d’ammaestrare i discepoli, e questa volta il Sublime risponde: Ananda, impura c questa adunanza.
Il venerando Mahà-Moggallàna allora pensò tra sè: a chi vorrà mai accennarci! Sublime affermando che questo sodalizio è impuro? E il venerando Mahà-Moggallàna penetrò coi suo spirito lo spirito d’ogni singolo astante si che tutta quell'assemblea fu per lui come trasparente. E scorse subito fra i monaci uno che, pur avendo preso i voti, non era un vero asceta, ma violava ogni disciplina morale. peccava e nascondeva i suoi peccati, infran-, geva il voto di castità, accoglieva nel cuore impure brame e tradiva la mostruosità del suo carattere nel modo timido, compassato e diffidente del suo procedere. Mahà-Moggallàna, scoperto che ebbe quella pietra di scandalo, si levò da sedere, s’avvicinò allo sciagurato, e gli disse: amico, alzati c va via; il Sublime ti ha conosciuto; fra te e questi monaci santi non ci può essere nulla in comune;
Ma l’altro non dii retta a tale intimazione e tacque.
Una seconda volta Mahà-Moggallàna lo esortò ad uscire, e una seconda volta quello restò impassibile e muto.
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Dopo che per la terza volta non obbediva alla intimazione d’allontanarsi dall’assemblea, Mahà-Moggallàna lo prese per un braccio, lo cacciò fuori nel cortile e sbarrò la porta. Si recò poi in presenza del Sublime c gli disse: Signore, l'impuro è stato da me cacciato fuori dell’uscio, voglia ora il Sublime impartire alla congrega purificata le norme dcH’ordine.
Il Buddha allora esclamò: pare impossibile, o Moggallàna. è stupefacente, o Moggallàna, che quello stolido per seguirti abbia avuto bisogno che tu l'afferrassi per un braccio.
Rivoltosi quindi all’assemblea dei monaci il Sublime cosi favellò:
O monaci, il mare immenso possiede otto straordinarie e mirabili qualità per le quali i Titani, che vi dimorano nel fondo, non si saziano mai di godere della sua vista. Il mare immenso difatti:
I. solo gradatamente diventa più profondo, solo gradatamente declina, solo gradatamente si abbassa, e non conosce bruschi e repentini trapassi nel suo scemare;
11. incrollabile per natura giammai straripa;
III. non vuole aver nulla in comune con un cadavere, anzi qualunque corpo morto galleggia sulle sue onde, esso s'affretta a spingerlo immediata-mente'1 verso la spiaggia e lo sbalza infine sulla terraferma;
IV. tutti i fiumi che in esso mettono foce perdono il loro antico nome e diventano tutti nient’al-tro che mare;
V. tutti i fiumi della terra e tutte le acque dell’atmosfera sboccano in esso, eppure esso non cresce nè scema mai di volume;
VI. uno solo è il suo sapore: i 1 sapore del sale;
VII. è il ricettacolo di molte e svariate gemme ;
VILI, è la sede di grossi cetacei.
Ebbene, o monaci, nella mia dottrina, come nel mare, si rivelano otto mirabili pregi per virtù dei quali i monaci mai si saziano di contemplarla. La mia dottrina infatti, al pari del mare:
I. gradatamente s’impara e si pratica, consente solo un graduale progresso sul sentiero, e non conosce improvvisi arrivi sulle vette del sapere;
II. non è mai trasgredita da chi una volta la ha abbracciata;
III. non vuole aver nulla in comune con un impuro, anzi s’affretta a sbalzarlo immediatamente fuori del suo grembo;
IV. cancella i nomi di questa c quella casta e regala un nome solo: quello di asceta del Figliuol dei Sakya;
V. spalanca la porta del regno del nirvàna che non si affolla nè si spopola, quale che abbia ad essere il numero dei santi che vi entrano;
VI. ha un solo sapore: il sapore della redenzione;
VII. è il ricettacolo di molte e svariate gemme i verità e discipline;
Vili è la patria dei grandi santi ».
Siamo, come si vede, sulle cime più alte del Buddhismo: quel paragone tra il mare che ricaccia sulla spiaggia un cadavere e il sodalizio buddhistico che espelle immediatamente dal suo seno chiunque è indegno di appartenérvi, è tra i più grandiosi che mai mente di poeta abbia escogitato. E come è ben messo in evidenza il principio fondamentale del buddhismo che al nirvana non si perviene a sbalzi, ma solo gradatamente e mediante un lento progredire sul cammino della virtù: del pari il mare solo gradatamente diventa più profondo! Che cosa si può domandare di più al magistero della religione? E si può"' volare più alto?
Il Seidenstucker scrive che se si vuole un riscontro cristiano alla grandiosa immagine dei mare arieggiante in otto punti la dottrina del Buddha, bisogna far capo alle sette cose con le quali Matteo ragguaglia il regno dei cieli: I. la semenza caduta lungo la strada, in luoghi pietrosi, tra le spine, in buona terra; II. l'uomo che semina buona semenza nel suo campo; III. il grane! di senape; IV. il lievito, V. il tesoro nascosto in un campo; VI il mercante in cerca di beile perle; VII. la rete che raccoglie ogni sorta di cose.
Ma il ragguaglio non mi pare felice, perchè Matteo propone sempre un nuovo paragone, mentre il magnifico squarcio delVUd&na mette di fronte alla dottrina del Buddha soltanto il mare immenso: il paragone è dunque sempre lo stesso, ma viene ribadito per ben otto volte. •
Piuttosto ad un altro particolare del passo deWUddna mi pare si possa trovare un riscontro cristiano. Quel Moggallàna, che è costretto a ricorrere alla violenza per liberare l’assemblea dei santi da un elemento impuro, compie, parecchi secoli prima, qualche cosa di analogo a quél che fa Gesù nell’atto di cacciare con la sferza fuori del tempio coloro che vendevano buoi, e pecore, e colombi; e i cambiatori (Giovanni,. II, 14, 15). Veramente non è il Buddha che usa la violenza, ma un suo diletto discepolo. Il Buddha dalla sua olimpica altezza si limita ad approvare la violenza e a Stupirsi che essa sia stata necessaria: « pare impossibile, o Moggallàna, è stupefacente, o Mogallàna, che quello stolido per seguirti abbia avuto bisogno che tu l’afferrassi per un braccio!
Gesù agisce direttamente, Gotama per interposta persona: ma entrambi scacciano i profanatori dal tempio!
Al lavoro del Seidenstticker, condotto
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con scrupolosità filologica, denso, come s'è visto, di dottrina e di materiali importantissimi, corredato di 445 lucide, sobrie ed erudite note, non può certo mancare fortuna. Lo segnaliamo intanto all'at-tenzione del colto pubblico italiano.
I Dialoghi di Buddha. — (C. W. and. C. A. F. Rhys Davids; Dialogues oj thè Buddha, translated from thè Pali of thè Digita Nikàya. Pari III. London, Hum phrey Milford, Oxford University Press, Amen Corner, E. C. 1921). — Siamo, come si vede, alla terza parte dei Dialoghi del Buddha che i coniugi Rhys Davids dànno alla luce nella .ben nota raccolta «Sacred Books of thè Bud-dhists » sotto il patronato di S. M. il re del Siam. É questo il quarto volume della serie, e sono tra i pochi fortunati a riceverlo alcune settimane dopo che è apparso a Londra. Delle benemerenze acquistatesi da Mr. e Mrs. Davids rispetto agli studi dei testi buddistici palici, non si potrebbe mai parlare abbastanza: tutta la loro nobile vita è stata e continua ad essere dedicata alla divulgazione della dottrina del Buddha. In questo volume, come nei tanti altri che Mr. e Mrs. Davids hanno dato alle stampe, si ha agio di ammirare la padronanza assoluta del pàlico, il possesso del perfetto metodo filologico, la piena e sicura conoscenza di tutto il vastissimo campo della più antica letteratura buddhistica, la preparazione ideale dello storico delle religioni, acume, chiarezza e, soprattutto, amore sincero dell’argomento.
Sono in tutto undici capitoli che, nel solito stile degli antichi testi palici, trattano di vari argomenti: dei miracoli; dell’ascetismo; del passaggio dallo stato di pace tra gli uomini a quello di guerra c dallo stato di guerra daccapo a quello di pace; della decadenza del genere umano da etere luminoso in impura greggia materia; della fede che soddisfa; dei segni somatici caratteristici del Buddha; di etica sociale e via dicendo.
Il Tipifaka (ossia le tre ceste) contiene, come si sa, una sezione dedicata alla disciplina monacale e intitolata Vinàyapi-laka, una seconda sezione che tratta dell’insegnamento dottrinale del Buddha e ▼a sotto il nome di Suttapifaka, e una terza sezione denominata Abnidhamma-pi/aka che risulta di enumerazioni e partizioni essenzialmente scolastiche. La seconda sezione, ossia il Suttapi/aka, si
divide, alla sua volta, in cinque raccolte (nikàya), la prima delle quali è chiamata Dfghanikàya (la raccolta lunga). I testi, che troviamo egregiamente tradotti ed illustrati con brevi e succose introduzioni e sobrie e dotte note nel volume di cui qui è parola, appartengono tutti al Dighani-kàya. Alcuni di essi sono già stati resi'noti da altre traduzioni: Otto Franke, per esempio, ha tradotto in tedesco il Cakka-vatti-Sfhanàda e l’Aggafiùa-Sutta (1) che i Rhys Davids parafrasano c War, Wickedness and Wealth » e « A book of Genesis ». Così pure il Sigàlovàda Suttanta SThe Sigàia Homily) ha già avuto l'onore i tre traduzioni inglesi, fatte rispettivamente dal Grimblot, dal Gogerly e dal Childers. II Sangtti Suttànta (The Recital) è stato tradotto da Suriyagoda Sumangala.
Se non che, una nuova versione dovuta ai Rhys Davids è sempre un cospicuo vantaggio per la scienza e per la coltura.
A non avere dimestichezza col modo di concepire ed esprimersi dei più antichi buddhisti, si rischia di perdere la bussola via via che si leggono questi dialoghi e discorsi raccolti dai due egregi patisti inglesi: in essi la fantasia ha campo di sbrigliarsi, e solo all’occhio ben sperimentato vien fatto di sorprendere il profondo significato che si nasconde in tutte quelle fantasiose visioni ed audacissime inferenze.
Anzi, nel primo dialogo, denominato Pàfika Suttanta, il Buddha ci appare come una specie di taumaturgo borioso millantatore e provocante, sotto un aspetto cioè che non siamo usi a conoscere in lui. Bene hanno quindi provveduto i Rhys Davids ad avvertire il lettore nella introduzione premessa al dialogo, che qui abbiamo da fare con un testo insipido, differente dagli altri non solo per la volgarità dello stile, ma anche per la dottrina della quale si fa banditore. Di fatti, l’esaltare il Buddha per la sua potenza di operare miracoli è un contraddire alla ortodossia dei testi palici proclamanti ovunque l'avversione sempre avuta dal Sublime a valersi delle sue forze magiche. Nel dialogo Sam-pasàdaniya Suttanta (la fede che contentò), a pag. 106, leggiamo che Sàriputta dice al Maestro:
« Insuperabile è, Signore,, il modo in cui il Sublime insegna che ci sono due specie di poteri soprannaturali: l’ignobile ed il nobile. Ignobile è il
(X) Dtghanikdya in .IttswaH abersetit. Gòttia-gcn, 19x3.
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poter.« di pluralizzarsi, rendersi invisibile, passare attraverso un muro, un bastione, .una montagna come so fossero aria, sprofondare nelle viscere della terra come se fosse acqua, camminare sull’acqua come se fosse terra, volare per l’aria con le gambe incrociate emulando gli uccelli, toccar con la mano la luna ed il sole, trasportarsi in carne e in ossa nel cielo di Brahma. Nobile invece è il potere di. non sentir disgusto fra le cose che sono disgustevoli o fra quelle che sono al tempo stesso disgustevoli e l’opposto, o di sentir disgusto fra le cose che sonò al tempo stesso disgustevoli e l’opposto o finalmente di rimanere indifferente ad entrambe ».
Il lettore dunque non si lasci scoraggiare dalla volgarità del primo dialogo, ma proceda oltre fiducioso, e troverà delle perle.
• E una perla è indubbiamente il magnifico discorso dei Buddha sul graduale tralignare degli uomini da una specie di età dell'oro contrassegnata dalla giustizia, dall’amore, dalla pace e dalla longevità, iti un’epoca sempre più funestata dall’odio, dalla miseria, dalle infermità, dal vizio e dalla morte prematura. La prosperità è frutto di giustizia, di virtù, di carità, di ossequio alla tradizione avita. Là misèria, ed ogni altra infelicità, si origina il giorno stesso in cui si sostituisce il proprio arbitrio alla voce ammonitrice dei padri e si nega la carità ai poveri. Il sovrano che per primo non provvide del necessario gl'indigenti, ebbe a giudicare il primo furto, il primo ladro. A questo primo ladro chiese: «è egli vero che hai preso ciò che non ti era stato dato, che hai commesso quello che gli uomini chiamano un furto? » « È vero Sire ». «Ma perchè lo. hai tu commesso ?»« Perchè non ho di che vivere ». Allora il re gli largì ricchezza sufficiente a sostentare sè stesso e la famiglia e lo esortò a opere buone. Un secondo, un terzo, un quarto ladro ebbero io stesso generoso trattamento, finché il re si accorse che a quel modo egli, anzi che estirpare, incoraggiava il furto, coordinò che al quinto ladro fosse tagliata la testa. Allora i ladri si armarono e diventarono grassatori ed assassini. Così dal' non aver dato la prima volta i mezzi di vivere a chi ne era privo, nacque nel mondo il furto, poi la violenza, poi l’assassinio, la menzogna, la maldicenza, l'adulterio, la calunnia, l’ingordigia, l’incesto, la libidine pervertita, l'assenza di pietà filiale e religiosa, la ribellione ad ogni autorità. E il male guadagnerà sempre terreno, finché
ogni uomo vedrà nell'altro uomo una bestia da cacciare, avrà cioè per l’altro uomo l’istinto del cacciatore per la selvaggina. Allora s’inizierà un periodo di sette giorni, il periodo della spada, durante il quale gli uomini si trucideranno scambievolmente, perchè ognuno crederà di scorgere ne) proprio simile una belva e nulla più. Soltanto pochi per non essere uccisi non uccideranno, e mentre infierirà la strage generale cercheranno rifugio nelle foreste, nelle caverne alpestri, nelle cavità degli alberi, e si ciberanno di radici e di frutta. Allo spirare dell’eccidio di quelle sette micidiali giornate, questi pochi scampati, non lordi di sangue fraterno, verranno fuori dei loro nascondigli, si abbracccranno gli uni gli altri, c, pensando che dai vizi e dalle colpe aveva tratto origine l’orrendo scempio delle sette giornate, fermeranno il proposito di fare il bene e si asterranno dall'ucci-dere. Un effetto benefico si farà subito sentire: la durata della vita sarà maggiore e gli uomini cresceranno in bellezza, i discendenti insisteranno sempre più nel seguire un tenore di vita inspirato alla virtù, sicché a poco a poco spariranno e furto e violenza e menzogna e tutte le altre labi generatrici di decadenza, e un npovo sccol d’oro, giocondato dalla presenza del Sublime Metteyya, s’inizierà sulla terra.
Ho appena accennato al magniloquente discorso del Buddha, eppure credo che quel poco che ho detto basterà perchè ogni lettore faccia tesoro delle pagine da 59 a 76 del volume dei Davids. Più mediterà su di esse, e più da ogni simbolo emergerà una verità profonda e il Buddha apparirà il profeta non di questo o di quel popolo, ma dell’umanità intera, il veggente del passato, del presente e de! futuro.
Altro mirabile discorso è quello che i Davids intitolano « A Book of Genesis » (pag. 77-94)- Per dimostrare che vano è l'orgoglio castale’ e che la superiorità dell’uomo sull’altro uqmo è data solo dalla saggezza e dalla virtù, il Buddha si rifà alle origini del mondo e delinea una storia evolutiva dell’uomo, assai diversa da quella escogitata da Carlo Darwin, punto scientifica, tutta poesia e fantasmagoria, epperò destinata a-non tramontar mai, a non essere mai soppiantata da altre ipotesi, a durare eterna come ogni visione altamente poetica. Quanta sapienza in quel
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tessuto di apparenti assurdità, quanti lampi di chiaroveggenza in quel groviglio di miti, quanta logica sotto a quelle sfrenate fantasie: nei primordi d’un evo mondiale gli uomini sono puro spirito, campano d’estasi, emanano luce dalle loro persone e, privi di gravità, traversano a loro pia- ' cimento l’aria; non c’è luna nè sole nè stelle, non la notte nè il giorno; non ci sono nè mesi nè quindicine nè anni nè stagioni; non ci sono ancora i maschi da una parte e le femmine dall’altra; c’è acqua e tenebra dappertutto. Se non che, dopo moltissimo tempo si stende in quella vasta massa di acqua la terra dotata di colore, di fragranza e di sapore dolcissimo. Ad uno di quegli esseri radiosi salta in mente d’assaggiare col dito la terra e, trovatala dolcissima, ne diventa ghiotto. Gli altri, seguendo il cattivo esempio, si'dànno tutti con le mani a spezzettare la terra e ad assaporarla. La loro luminosità dilegua allora come per incanto, appariscono il. sole e là luna e le stelle, s’iniziano le notti ed i giorni, i mesi, le quindicine, le stagioni e gli anni. Continuando a nutrirsi di terra si solidificano i corpi di quegli esseri radiosi e si diversificano in bellezza. I belli dicono ai brutti: noi siamo belli, voi siete brutti. Mentre risuonano queste frasi di orgoglio e vanità sparisce la' terra saporosa. Sparita la terra saporosa, emergono dal suolo come dei funghi. Gli esseri se ne cibano, e via via che se ne cibano, cresce la materializzazione dei loro corpi e s’accentua la. varietà delle loro forme, sicché più che mai i belli si vantano e disprezzano i brutti. E per questa ragione sparisce pure quella specie di funghi, e in cambio rampollano dal suolo le liane, che, a loro volta, dileguano appena odono accenti di'vanità e d'orgoglio. Il riso prende il posto delle liane e matura scevro ,di polvere e di lolla, fragrante e terso, in luoghi aprichi. Vengono la sera gli uomini a raccoglierlo per la cena; e la mattina seguente lo trovano daccapo ricresciuto, intatto, quando vanno a munirsene per la colazione. E nutrendosi di quel riso gli esseri umani si distinsero in maschi e femmine, e i maschi cominciarono a guardar troppo da vicino le femmine e queste quelli, sicché la concupiscenza entrò in loro, e alcuni diventarono marito e moglie, e lo scandalo fu grande, perchè ciò che oggi è morale allora era immorale. E sentirono il bisogno di nascondersi e cominciarono a costruire delle capanne affine di
celare quella immoralità. Ora avvenne che alcuno, tendente alla pigrizia, disse a se stesso: perchè andare due volte, sera e mattina, a raccogliere il riso? Meglio è che in una sola volta io mi provveda di quel die abbia a bastare per la cena e per là colazióne. E cosi fece, ed il suo esempio fu a. poco a poco seguito dagli altri. Non contenti della provvista per un giorno gli uomini vollero man mano quella per due, tre, quattro, otto giorni. Dal di che gli esseri umani cominciarono a sostentarsi di riso accumulato, la polvere imbrattò i chicchi, comparve la lolla, la spiga mietuta non ricrebbe più, e s’ammonticchiò la stoppia. Vennero allora divisi i campi e stabiliti i limiti, e ognuno ebbe il suo pezzo di terra coltivato a riso. Se non che. un tale, spinto dalla cupidigia, varcò i confini del proprio pezzo di terra e s’impossessò di quello del vicino. Richiamato vanamente all’ordine una prima, una seconda e una terza volta, venne percosso con mani, pietre e bastoni. Così nacque il furto, così si rese necessaria la pena. E gli uomini allora dissero: perchè non eleggiamo di mezzo a noi uno che abbia a sdegnarsi quando lo sdegno sia giusto, a censurare tutto ciò che meriti censura, ad esiliare chi d’esilio è degno? In compenso gli daremo una percentuale del nostro riso. Difatti, raggruppatisi intorno a quello di loro che era il più bello, il più leggiadro ed il più abile, gli dissero: orsù, sdegnati contro tutto ciò che provoca un giusto sdegno, biasima quello che deve èssere biasimato, espelli chi merita d’essere espulso di mezzo a noi, e in contraccambio ti darento una quota parte del riso che ci appartiene. E così si ebbe il primo re fra gli uomini!
Questa storia della evoluzione dell'uomo ho già detto che non è scientifica. Se chi l’ha ideata avesse letto le « Origini delle specie » di Carlo Darwin, sarebbe certamente rimasto ammirato d’una potenza di osservazione e di analisi ignota a lui, per lui impossibile. Ma, viceversa, tutti noi che a tale potenza d’analisi e di osservazione siamo avvezzi, non dobbiamo restar stupiti della potenza di fantasia del mitologo buddhista e riconoscere che essa trascende le facoltà d’un intelletto moderno? E c’è davvero più sapienza nel grosso volume delle «Origini delle specie» che nel dialogo Aggaflfta Suttanta attribuito al Buddha e contenuto in sole diciotto pagine del volume dei Rhys Davids?
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Ho sempre affermato che è un errore di molti il voler giudicare la dottrina del Buddha dalle prediche del Sublime intese ad ammaestrare i soli monaci circa i loro doveri disciplinari e i mezzi più adatti a raggiungere il nirvana. E l’antico canone pático è prevalentemente dedicato ai monaci. Indi si sente accusare il Buddhismo di tendenze antisociali e di egoistico individualismo. Ma la dottrina bud-dhistica è assai più vasta di quello che generalmente si crede: essa si occupa e si preoccupa anche della società laica e sa benissimo che il chiostro a questo mondo sarà sempre l’eccezione c la famiglia la regoli i santi sempre assai pochi, infiniti coloro destinati a dibattersi fra le passioni e a scorgere più o meno da lontano la meta radiosa. È stata quindi per ine ragione di viva compiacenza leggere a pagina 168 queste parole dei Rhys Davids: «in un Canone compilato da membri di un ordine religioso e che si occupa in larga misura delle esperienze mentali e delle idealità di monaci e del loro modo di considerare il’ mondo, riesce di grande interesse trovare un Sutta interamente dedicato al modo in cui il laico deve considerare l’ambiente in mezzo al quale vive e in esso comportarsi.». Anche il Buddha ha predicato: «amatevi gli uni gli altri ». nel Sigálováda Suttanta che va da pag. 173 a 184, e che esorto quanti dubitano ancora dell’importanza data dal Buddha alla benefica forza dell’amore fra gli uomini, a leggere attentamente. E ognuno vedrà, che il Buddha non si appaga di predicare l’amore cosi in generale, ma scende ai det
tagli e prescrive quali debbono essere i doveri dei figli verso i genitori e viceversa di questi verso quelli, i doveri scambievoli di maestro e scolaro, di marito e moglie, degli amici, dei padroni e dei servi. Come saggiò citerò quel che il Buddha dice a proposito di questi ultimi:
• Il padrone deve-assegnare ai servi un lavoro che non superi le loro forze; deve nutrirli, corrisponder loro il salario, curarli quando sono infermi, farli partecipi. della leccornia imbandita nelle grandi occasioni, conceder loro di tanto in tanto un permesso.
I servi, in contraccambio, mostreranno gratitudine ed amore al padrone alzandosi prima di lui al mattino e coricandosi dopo di lui la sera, palesandosi contenti di ciò che loro vien dato, facendo i servizi nel miglior modo possibile dicendo a tutti bene del padrone ».
Che £&ntideva (Bodhicaryàvatàra, Vili. 132) affermi: «senza .parlare del mondo di là. non è forse il nostro interesse danneggiato già in questo mondo se il servo non fa il suo dovere 0 se il padrone non gli paga il salario? » è cosa naturale, considerato lo sviluppo avuto dalla scuola mahàyànica. L’importante è vedere che già negli antichi testi palici esistono i germi d'una dottrina che provvede non solo alla emancipazione di poche anime, superiori dai ceppi dell’esistenza e del dolore, ma anche al benessere ed alla felicità dei tanti uomini viventi fuori d’un chiostro, tra le spine e i pericoli della società.
Roma, luglio del 1921
Carlo Formiche
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L’intuizione mistica ed il Cristianesimo. (Christianity and thè Mystical hisight-The Construclive Quartely, march 1921, — L’A. di questo articolo (P. van der Elst, pastore della Chiesa Riformata Tedesca in Olanda) si propone tre punti di studio in rapporto coll’intuizione mistica, per dimostrare: 1). che i nostri tempi manifestano una tendenza universale verso l’intuizione mistica; 2) quale sia la natura di questa intuizione mistica;, 3) che il Cristianesimo soddisfa piena-' mente questo bisogno.
La tendenza moderna all’intuizione mistica è provata dai movimenti di occultismo, teosofìa, telepatia, suggestione e spiritismo che si sviluppano dappertutto. Tutto quello che può avere rapporto colla vita spirituale istintiva od inconscia è ora seriamente esaminato e studiato. In Inghilterra esiste anche una fiorente società per le ricerche psicologiche, ed essa è già divenuta celebre. Eguale società è ora stata fondata in Olanda.
I nostri tempi difatti non si accontentano più del sorriso dello scettico della scienza superficiale, e la scienza ha dovuto a sua volta riconoscere che vi sono realmente dei dominii della mente e dei fatti spirituali che devono ancora avere una spiegazione. Da parte loro i cultori delle scienze occulte farebbero bene di smettere la pretesa di possedere una dottrina esoterica e misteriosa che può essere compresa solamente dagli adepti, perchè mutua conoscenza e chiarezza, special-mente in questo campo, sono di utilità pratica per tutti. Vi era un tempo in cui sembrava impossibile che un raggio di luce potesse penetrare nel legno, nel cuoio, e nell’organismo umano, e che piccole
vibrazioni, come quelle dell’apparecchio di Ruhmkorff, ci dessero la possibilità di parlare dall’Europa all’America, eppure oggi questi fatti sono di dominio universale.
Così è oggi un fatto accertato e universalmente riconosciuto che nel campo spirituale le distanze scompaiono, che Io spirito di un uomo opera per suggestione in quello di un altro, che la volontà di uno influenza la volontà dell’altro, e che nuovi poteri latenti nell’uomo vengono alla luce. E-tuttavia non siamo sicuri di poter trovare la spiegazione di questi fatti. E se'anche la potessimo trovare, questo non ci aiuterebbe a conoscere la loro intima essenza. Difatti cosaci serve ora il conoscere che l’essenza della elettricità è costituita dagli ingegnosi movimenti degli elettroni positivi e negativi ? La elettricità rimane egualmente un mistero grandioso. Eppure, come diceva Hegel, tutto quello che è reale deve essere, anche ragionevole, e perciò bisogna riconoscere che nel mondo opera una Intelligenza Universale, e questo mistero della Divina Intelligenza è appunto il fondamento del sentimento mistico di tutti i tempi.
Venendo a definire quello che è la intuizione mistica, l’A. fa notare che Kant, torturato nelle ricerche della critica della ragione pura, trova invece riposo solamente nella intuizione della ragione pratica. Spencer, agnostico, si ferma davanti al santuario dell’inconoscibile, di cui non ci è possibile di avere una idea determinata, mentre invece riconosce che ne possiamo avere una indeterminata. Così ogni misticismo considera gli aiuti della ragione come inutili, possedendo un po-
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tere superiore per ottenere «.quella parte migliore • che l’intelletto non può dare. Per conseguenza il misticismo non può mai essere in contraddizione colla scienza, perchè la scienza si occupa solamente di quello che è logico e comprensibile. Il misticismo invece è stupore di contemplazione davanti *a meraviglie sconosciute, è il senso della umile suscettibilità che fa sentire il divino nei misteri del mondo e dell’uomo, è un’estasi interna che conquista l'anima, è una emozione profonda che attraversa tutto il nostro essere. E questo senso mistico è interamente indipendente dallo stato di coltura intellettuale che uno può possedere, altrimenti i più infelici della terra sarebbero appunto quelli che non hanno avuto il privilegio di seguire un corso di filosofia, e più infelici ancora sarebbero quelli, numerosissimi, che non sanno leggere e scrivere. Ma la Verità più alta ha una condiscendenza regale. Essa non guarda allo splendore dèlie persone, ma solamente al desiderio di chi la cerca. E gli spiriti più profondi sono quelli che si sono offerti più umilmente davanti alla Verità di Dio. E la più alta intuizione abita nella via dell'umiltà, perchè questa è la sola via per quella soave e sacra riverenza che ci rende stupiti davanti al mistero. - Cosi i veri aristocratici delio spirito non sono i colti, i potenti del mondo e i presuntuosi. Gli, aristocratici dello spirito, come Gesù disse, sono quelli che diventano come i piccoli fanciulli per essere capaci di comprendere i misteri del Regno. Così il Cristianesimo, che è appunto la eccellente rivelazione del divino agli uomini, è per sua essenza il culmine della intuizione mistica dell'anima. Il vero Cristianesimo Sorta l'anima umana alla radice stessa
ella Vita. Esso domanda una intera consacrazione dell’anima e, a sua volta, si impegna di rinnovare la fonte stessa dei pensieri e dei sentimenti dell’uomo. Secondo la bella immagine di Eckhart, come il lampo del fulmine attrae verso di sè piante, animali e uomini, così il Cristianesimo ha la potenza di attrarre le anime. E come un uomo colpito alla schiena dal fulmine volta la sua faccia verso di essoy e come una pianta di mille foglie, sfiorata dal fulmine, volta tutte le sue mille foglie verso la potenza di esso, così l’anima umana nel Cristianesimo si rivolge verso tutto Siilo che è Eterno. E l’A. è triste che il stianesimo di molte chiese protestanti di oggi sia così fisso sulle formule dottrinali ed intellettuali del Cristianesimo da trascurare non poco la vitalità di questo pieno contatto col Divino, che è invece a disposizione di tutti nei rapporti diretti con Dio. Così uh Protestantesimo rigenerato deve tenere conto specialmente di questo elemento mistico della natura umana e del Cristianesimo stesso, che cioè Iddio deve essere servito sopratutto con la contemplazione del cuore, del cuore rapito nelle meraviglie di Dio,, e. questa è l’aspirazione di moltitudini nei nostri tempi. (ù fj.
I cattolici e le relazioni internazionali. (Roman Catholics and International Rela-tions », by E. Beaupin, The Constructwe Quarterly, March, 1921). — L’A. di questo articolo è segretario generale del Comitato delle Amicizie Cattoliche Francesi al-l'estero.
La prima Società, che poi divenne internazionale, fu quella per la propagazione della fede, fondata nel 1882 da una povera ragazza di Lione, Pauline Jaricot. Essa non regge al confronto della potenza e della immensità delle Società Missionarie delle Chiese Protestanti.
. Un’altra società, essa pure francese, è quella chiamata < La Santa Infanzia • allo scopo di redimere i piccoli dei paesi pagani e di farli cattolici.
Dal 1880 al 1890 incominciano i Congressi Eucaristici Internazionali inaugurati a Liège nel 1883 e poi sospesi a causa della guerra. .
Più notevole invece è la Società Internazionale dèi. Congressi scientifici fondata a Parigi nel 1888 e che disgraziatamente potè vedere solamente quattro congressi. L’ultimo' fu tenuto nel 1900 e poi la Società morì.
Nel 1884 fu fondata l'Unione Cattolica di Friburgo per gli Studi sociali ed economici. I suoi soci fondatori furono venti, tra preti e laici, e i membri non oltrepassarono mai il numero di cinquanta. Essa morì nel 1892.
Nel 1896 fu fondata, pure a Friburgo, l’Associazione Internazionale Cattolica per la Protezione delle Giovani.
Come si vede, le principali di queste Società Cattoliche furono copiate da quelle nate assai prima delle Chiese Protestanti. L’A. ci fa anche sapere che la Società per la Protezione delle Giovani coopera continuamente con le altre organizzazioni simili che non sono cattoliche.
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Nel 1910 fu fondata a Bruxelles la Società Internazionale delle Donne Cattoliche.
Nel 1913 fu fondata la. Lega Internazionale Cattòlica per la Pace per spingere i Governi a risolvere le questioni internazionali coll’arbitrato. Essa voleva riunirsi in Congresso a Liègi nell'agosto del 1914, ma la guerra impedì ai congressisti di riunirsi.
L’Unione Internazionale per lo studio dei Diritti delle Nazioni Cristiane fu fondata a Lovanio nel 1912, cd anche questa dovette sospendere i suoi lavori a causa della guerra.
Durante la guerra fu creato nel Vaticano stesso l’Ufficio dei prigionieri di Guerra, allo scopo di far visitare i prigionieri di guerra da preti delle nazioni neutrali e di esercitare influenze per scambi* di prigionieri e rimpatrii. Contemporaneamente sorgeva a Friburgo la Missione Cattolica Svizzera per la ricerca dei dispersi e per aiutare materialmente e spiritualmente i prigionieri di guerra.
L’Unione Cattolica Internazionale fu fondata nel 1917 da cattolici tedeschi e svizzeri tedeschi ed ottenne subito l’approvazione della S. Sede nel marzo dello stesso anno 1917. Essa aveva lo scopo di studiare la posizione internazionale del Papa e di domandare che, alla conferenza della .Pace, gli interessi dei popoli cattolici fossero difesi da uomini esperti... nel Diritto Canonico (!!!).
Dal 15 al 19 giugno 1920 fu iniziata ad Hague la Confederazione Internazionale dei Sindacati Cristiani, che ha la sua sede ad Utrecht. Essa comprende 4 milioni di membri.
L’Unione Cattolica per gli Studi Internazionali fu fondata a Parigi dal 12 al 14 novembre 1920. Essa si propone di far conoscere ai cattolici i benefici della Lega delle Nazioni, ed allo stesso tempo di protestare che il Papato ne sia stato escluso. Essi sono molto decisi che vi venga ammesso: «They bave set their hearts on ite admission ». Sono le parole testuali. Si vede che la lingua batte dove il dente duole.
Due giorni dopo fu fondata la Confederazione Internazionale dei Sindacato Agricolo per il miglioramento delle popolazioni rurali.
Esiste anche una associazione chiamata semplicemente l'Internazionale Cattolica per la propaganda dell’esperanto, onde
facilitare i rapporti internazionali. Essa fu fondata a Graz, in Austria, dieci anni fa, ed il suo Presidente è l’Abate Poeti-.
Segue poi una lista di Associazioni progettate e non ancora effettuate.
L’Internazionale Democratica per una azione democratica comune fra i cattolici dei vari paesi. L’on. Cavazzoni per l’Italia e Marc Sangnier per la Francia ne sono i promotori. Si desidererebbe che diventasse una unione interparlamentare fra i deputati cattolici dei vari parlamenti del mondo. Ma questo fino ad ora è solamente un desiderio.
Così pure è stata progettata a Wyl, il 3 agosto 1920, una Associazione Internazionale degli Studenti Cattolici.
Progettata è pure una Federazione Internazionale degli ex-pellegrini della Terra Santa allo scopo di promuovere iniziative cattoliche nella Palestina. Per due volte un congresso preparato a questo scopo ad Einsiedeln, in Svizzera, non potè aver luogo cd entrambi le volte fallì.
In ultimo si penserebbe di fare una Federazione Universale Cattolica di tutte le Organizzazioni Cattoliche, divisa in. una quadruplice che comprenda: la stampa, la questione sociale, la filantropia e la scienza, con l’esclusione della politica.
Ma in tutto questo siamo ancora nel campo delle nuvole e dei sogni.
Quello che di pratico i Cattolici hanno fatto fino ad ora è già stato creato in maniera grandiosa e più completa un secolo o mezzo secolo prima di loro dalle Chiese Evangeliche nei loro sforzi collettivi, e fino ad ora il movimento cattolico, che si dice cristiano, manca ancora di una Società qualunque, di carattere internazionale, che sia la copia delia Società Biblica di Londra che diffonde la Bibbia nel mondo in più di 530 lingue. [i. r.].
La medesima rivista ci dà notizia di un articolo intitolato Idealismo moderno (E. S. Brightman, Journal oj Philosophy ,Psy-chology and Scicnlific Melhods, settembre 1920)..
L'autore distingue quattro tipi di idealismo. a) il Platonico, b) il Berkeleiano, c) l’Hegheliano, d) l’idealismo del Lotze. L’idealismo può definirsi un po’ vagamente come la fede nell’ultima realtà o valore cosmico, sia della mente che, in un senso più largo, di tutti i valori rivelati ed apprezzati dalla mente.
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Alcune caratteristiche dell’idealismo durante gli anni 1910-1920 sarebbero le seguenti:
io La sua lotta contro il realismo nella quale l’idealismo ha combattuto per salvare la mente 0 là coscienza dalla dissoluzione in elementi legati da rapporti sólamente neutrali ed esterni, e non da rapporti mentali.
2’0 II peculiare trattamento riguardo alla scienza dei gradi del sapere, nella quale sono interessati tanto gli idealisti heghe-liani quanto i realisti che tuttavia cercano di ripudiare questa teoria. Il risultato è stato il sorgere di una nuova teoria del sapere nella quale l'attività dell'individuo costituisce ancora un fattore del sapere stésso.
3° È sorta con nuovo ardore la filosofia dei valori specialmente fra gli idealisti speculativi e personalisti. Ja. «.].
L’importanza della volontà nella religione.— È il titolo di-un articolo del professore George A. Wilson (MethodistReview, settembre-ottobre 1920) di cui ci dà notizia il Journal oj Religion del marzo u. s.
L’autore annette una grande importanza all’elemento volitivo il quale opera in quello strato subcosciente dell’individuo che è anche il campo principale della religione. Questo elemento volitivo è stato considerato poco fin'ora perchè si è riguardato come l’essenza della religione piuttosto l'elemento emozionale.
Ma grandi forze possono essere mosse dalla volontà la quale deve cercare di soddisfare il bisogno dell’ideale e della spiritualità, inteso dall’uomo, e deve guidarlo nella realizzazione della propria vita religiosa.
Ne consegue Che nelle conversioni la decisione deve essere presa solo quando la volontà sia in grado di controllare la situazione del ctòjvèrtito. La preghiera viene concepita come un rapporto della volontà individuale con la volontà collettiva del cosmo la quale è orientata verso la realizzazione di un regno della volontà, [a. c.}.
La religione e il concetto del progresso (Journal oj Religion, marzo 1921). —■ Clarence Marsh Case, autore di questo articolo, dopo aver constatato come la religione ed il progresso si possano ridurre ambedue ad un processo di valutazione, passa ad esaminare il concetto del progresso quale è inteso dai filosofi naturali
sti. Tale concetto può non rappresentare il vero progresso, che egli crede non possa essere formulato dalla filosofia naturalistica, la quale ammette un’evoluzione che poi, arrivataàd un determinato punto, deve ricominciare il suo ciclo. La spiegazione del fine ultimo al quale deve tendere la umanità, implica una fede nell’immortalità', la quale non è nello spirito della filosofia naturalistica. Forse tale fede è invece nello spirito umano, quantunque sembri che coll'evolversi degli anni il concetto della trascendenza dell’anima vada sempre più .allontanandosi dagli animi degli uomini.
Lo sforzo verso l'evoluzione ha condotto l'umanità in un oscuro cammino in questi ■ ultimi «anni; in queste condizioni solo il risorgere di una fede religiosa può dare una nuova luce al mondo, che altrimenti si troverebbe nella condizione di dover affermare a sè stesso una filosofia di indifferenza e di rassegnazione. [a. c.J.
Il valore del sapere. — Secondo A. D. Ritchie (Hibbert Journal,aprite 1921) è basato soprattutto su di una fiducia mistica dell'uomo che non gli permette di abbandonarsi ad un pessimismo sconsolato. Infatti il pessimismo non ha presa sull’uomo comune, ed egli non riesce, ad abbracciarlo nemmeno se i valori della vita gli vengono ridotti, mediante il ragionamento, al nulla. Si direbbe che da un’invisibile finestra piova su lui una luce che non gli permette di brancolare sconsolatamente nel bivio della vita.
Anche il valore del sapere, se noi lo consideriamo ai soli effètti pratici, si riduce a nulla e se tutto è vanità nella nostra vita, il sapere costituisce la vanità della vanità.
• Ma appunto come l’uomo comune non può considerare la vita da un lato esclusivamente terreno, ma pur senza dirselo e senza risolvere nessuno dei problemi ad esso immanenti guarda verso il trascendente, così anche il sapere, considerato come una manifestazione della vita, trova la sua spiegazione soltanto in una fiducia mistica, in un qualcosa, cioè, di indefinito, un impulso al quale l’uomo obbedisce e che appunto lo soddisfa, pur non dissetandolo mai completamente, solo in quanto egli si appoggia a questo misticismo, [a. c.}.
Fede ed unione con Dio. — (Daniel E Jenkins, in The Princeton Theological Revie w, aprile 1921). — L’A. si propone di
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mostrare le relazioni reciproche che corrono fra i principali postulati del Cristianesimo e l'esperienza cristiana, alla quale, nel suo studio, particolarmente si riferisce, poiché, a suo giudizio, l’affermazione finale e decisiva dei postulati cristiani è appunto in essa. Tale esperiènza è però sopratutto determinata non da motivi religiosi e sentimentali, ma da considerazioni storiche e dottrinali.
Il Cristianesimo, come tutte le altre religioni, si occupa principalmente delle relazioni.spirituali fra l’Uomo e la Divinità, e più particolarmente mira ad introdurre il credente in una comunione determinata e ben definita, di amore con la’ Divinità. La prova di questa affermazione è nell’esperienza, intesa con i criteri sopra esposti.
Se quindi la principale caratteristica della religione è data dal fatto che essa cerca di stabilire una comunióne spirituale fra l’Uomo e la Divinità: occorre esaminare se questa caratteristica sia accidentale o originale della religione stessa. Per stabilire ciò, l'A. mira analiticamente la natura della religione, che egli definisce il mezzo col quale l’Uomo cerca di elevare sé stesso al più alto livello di perfezione.
Ne deriva che essa raggiunge il suo scopo in una forma sociale di esperienza, poiché solo in tal modo le possibilità umane sono suscitate al loro massimo grado.
La religione deve essere quindi interpretata come esperienza sociale trascendènte, che si raggiunge solo attraverso la relazione con la Divinità, concepita come una personalità piena di perfezioni naturali e morali.
Ciò è confermato dal fatto che nella mente umana esiste una tendenza verso una fratellanza idealmente perfetta, ciò che non è altro che un sentimento religioso. Il sentimento personalistico della Divinità non è quindi la promessa, bensì la conseguenza dell’impulso innato nell’anima umana, verso una perfezione di fratellanza.
Dopo aver concluso, in base alle considerazioni sopra svolte, che nulla vi è da obbiettare all'insegnamento del cristianesimo, per quanto riguarda la comunione degli uomini con Dio, attraverso Gesù Cristo, si considerano le altre deduzioni che possono trarsi da quei presupposti storici, teorici e pratici, con i quali l'A. à già caratterizzato l’esperienza dà lui posta come prova delle verità cristiane.
Tali considerazioni, prese insieme, con
fermano sempre di più quel concetto della Divinità come personale e rivelantesi personalmente, che caratterizza tutti i postulati cristiani e particolarmente quello relativo alla fratellanza.
Quest’ultimo postulato, inoltre, è una concezione talmente trascendente che non può essere considerato come il prodotto dell’ idealizzazione della immaginazione religiosa Che tale concezióne sia unica è piuttosto materia di fede che oggetto di pròva, ma, certo, essa non può spie-Sarsi che in due modi: o come un miracolo ell'immaginazione umana o come il riflesso di una rivelazione oggettiva di ciò che è a! di fuori della terra.
In stretta relazione con la conferma storica del Cristianesimo, sono i suoi frutti, quali si manifestano nella vita degli.individui sui quali il Cristianesimo esercita una potente influenza, stimolando ciò che vi è di buono, nella vita umana. Queste prove che vanno a confermare la verità degli insegnamenti cristiani rafforzano quel postulato relativo alla comunione con la Divinità del qualel’A. si occupa principalmente.
Dopo le considerazioni sopra svolte, l’A. si pone di nuovo la questione se sia o no giustificata l’affermazione del Cristianesimo, riguardante la fratellanza con Dio, attraverso Gesù, ma prima di tutto fa rilevare le conseguenze teoretiche e spirituali che deriverebbero dalla negazione e dal dubbiò di una tale affermazione.
Queste conseguenze sono importantissime, perchè l'esame di un tale problema ci pone in contatto con la principale aspirazione ed affermazione del Cristianesimo in particolare e di tutte • le religioni in generale.
Se non si riesce a dimostrare a mezzo dell’esperienza là verità dell’affermazione Cristiana relativamente alla comunione degli uomini con Dio, cadono a fortiori tutti gli altri sentimenti umani, relativi alla religione, i quali necessariamente non possono trovare nell'esperienza religiosa la loro conferma.
Bisogna però osservare che la comunione con la Divinità, affermata dal Cristianesimo, è solò possibile a coloro che credono in tutte le affermazioni Cristiane. In conseguenza il campo dell'indagine si restringe al quesito: Qual’è la risposta dell’esperienza Cristiana relativamente al problema della comunione dell’Uomo con Dio?
A questa domanda non può rispondere che il credente, esaminando sé stesso.
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La relazione personale di fratellanza del-l’Uomo con la Divinità, non può più andare disgiunta dalla fratellanza con gli altri uomini.
Concludendo, l’autore riafferma l’importanza dell’esperienza religiosa soggettiva del credente riguardo alla comunione spirituale con la Divinità. Di fronte a tale Erova tutte le altre considerazioni pro-anti, sia teoriche che storiche e pragmatiche, hanno un valore molto relativo. Il credente non deve quindi che esaminare sè stesso, per confermare la propria fede, domandandosi se egli abbia o no questo sentimento della comunione con Dio attraverso Gesù Cristo e della fratellanza d’amore con i suoi confratelli. (a. c.].
La situazione religiosa e morale in Francia. -— (Victor Monod, Harwdrd Theological Review, aprile 1921). — Il fatto dominante nella vita francese attuale è il predominio della popolazione rurale su quella urbana. Ciò è dovuto alla guerra che i contadini hanno sofferto più degli altri, ma dalla quale ànno anche molto appreso. Inoltro, sin dal tempo dell’armistizio, col crescere dei prodotti del suolo, i contadini hanno realizzato insperati guadagni che ben presto li hanno resi proprietari della loro terra, formando così, naturalmente, una classe profondamente conservatrice, la quale ha ora il predominio.
Questa situazione ha favorito l’accrescimento dell'influenza dèlia Chiesa Cattolica, poiché le classi rurali sono generalmente religiose, e perchè la Chiesa Cattolica è stata sempre considerata come il baluardo dell'ordine e della disciplina sociale.
Non deve quindi far meraviglia il ripristino delle relazioni fra la Repubblica Francese e il Vaticano.
Dapprima considerazioni d’indole esclusivamente politica, quali la necessità di ottenere il permesso per l’esercizio del culto ai sacerdoti francesi in alcune colonie (Marocco) ove l'esclusività era stata data ad altre nazioni e di poter sostituire i Vescovi di nomina tedesca nell’Alsazia e Lorena, poi anche il fatto che gran parte della nazione era favorevole ad una ripresa dei rapporti determinarono una corrente favorevole verso quest’idea. Deschanel deve forse una parte dei voti che ànno determinato la sua elezione ali'essersi mostrato favorevole a tale ripresa.
Infatti l’n marzo 1920 il Governo di Millerand presentò’una proposta di legge per il ristabilimento di un’ambasciata al Vaticano; la discussione del progetto tuttavia fu rimandata sino al novembre, ma il 30 di quel mese la proposta passò con 337 voti contro 209.
Si può ora osservare in Francia un movimento generale per elevare la posizione morale del Papa e per dargli quelle garanzie politiche che ora non ha, anzi il sogno di molti sarebbe di servirsi della Lega delle Nazioni per stabilire lo Stato politico' e territoriale del Papato. L'A. cita a questo proposito un brano sintomatico apparso nell’ottobre 1920 per contò del-l’Ufficio Cattolico delia stampa, auspicante alla Pax Romana. Tuttavia molte difficoltà ancora si oppongono ad una realizzazione di un sogno tanto vasto Che non sembra possa avere attuazione.
Segnala quindi un fatto che può avere conseguenze incalcolabili: lo scarsissimo numero di persone che si dedicano alla carriera ecclesiastica, così che il bisogno più sentito è quello di avere dei buoni sacerdoti, tanto cattolici che protestanti.
La Francia ha ricuperato, si può dire, il suo equilibrio mentale; il bolscevismo e la propaganda rivoluzionaria hanno fallito completamente e gli elementi conservatori sono più forti che mai; la Francia può guardare con sicurezza il suo avvenire che l’A. si augura possa essere legato spiritual-mente a quello degli Stati Uniti, in modo che l’unione delle forze spirituali di queste due grandi nazioni possa salvare il mondo di domani, come l’unione delle loro forze materiali lo salvò nel recente passato.
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.Un risveglio^ religioso nella Russia dei Soviety s’è delineato, secondo l’DuZfò&A, nell'ambiente te\\‘intellighenzia e dei giovani preti della Chiesa Ortodossa, così profondamente diversi dal vecchio tipo del prete ortodosso,*ed amanti del nuovo regime di separazione della Chiesa dallo Stato. Non è raro chei giovani preti, guadagnati alle nuove idee di ilbertà e di demorazia, ma insieme contrari al regime Soviettista, parlino apertamente contro gli abusi dell’attuale regime, s.enza che i bolscevichi osino soffocare tali critiche. Anzi fra i bolscevichi stessi va aumentando il numero di coloro che ritornano alla religione e alle pratiche ecclesiastiche.
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A richiesta dell’esercito rosso un servizio religioso fu tenuto in occasione della inaugurazione di un ospedale militare.
Un gran numero di Fratellanze cristiane sono sorte ultimamente a Pietrogrado.
Sono modellate sui Soviety locali e in- -eludendo tutte le persone che han sentimenti religiosi dimoranti in un determinato quartiere formano una specie di antica comunità cristiana fondata sulla carità e sull’amore fraterno, poiché ogni cosa è divisa in comune.
Visi tengono frequenti adunanze di preghiera e discussioni di filosofìa religiosa. Alla testa sta generalmente un parroco am-modernizzato. I contradittori religiosi si svolgono molto frequentemente nelle chiese dopo il servizio religioso, specialmente nei quartieri popolari. Un testimone oculare narra: « La piccola chiesa malamente illuminata da fumose stecche di legno (perchè candele di cera sono ormai introva-, bili) era affollata come in un giorno di festa, in maggioranza da gente del popolo, le donne con scialli in testa, e gli uomini nel loro abito di lavoro. S’alzò a parlare davanti all’altare il professor Lossky, piccolo di statura ma dalla parola potente. Egli parla dell’anima, dell’universo, della conoscenza di Dio ecc.. Egli parla con chiarezza e semplicità.
« Quando egli ebbe finito vi fu un lungo silenzio. Poi un comunista, un giovanotto sulla ventina, presidente della Unione locale della gioventù comunista, s’alzò e cominciò ad attaccare violentemente la dottrina di Dio e la Chiesa. Ma ad un tratto, come ad un segnale dato, l’intiera congregazione intuona un inno religioso. Un gruppo di giovani a suà volta attacca l’Internazionale. E per un bel pezzo le due melodie — la preghiera e l’Internazionale — s’intrecciarono e si confusero, finché l’Internazionale fu superata dalla potente ondata dell’inno.
« Di nuovo il Lossky prese la parola e quando ebbe finito tutta la folla s’inginocchiò e pregò a lungo e con fervore... E la maggioranza di quella folla erano operai. Era per me questo uno spettacolo strano ».
Il prof. Berdiales, noto filosofo e studioso della questione religiosa russa, ha espresso questa opinione sul rinascente risveglio religioso nella chiesa russa, a È in vìa di formazione una nuova Chiesa ortodossa. Essa sarà libera e più cristiana.
La rivoluzione ha portato la libertà alla Chiesa russa e spezzate le sue catene di schiavitù ». (m. r.).
Alcuni aspetti nella vita odierna della chiesa greca (di F. Gavin, in The Church Quarterly Review, luglio 1921). —- Fu nel 1821 che la Grecia dichiarò la sua indipendenza dalla dominazione straniera, raggiungendo in pari tempo la sua autonomia ecclesiastica.
La storia della vita della Chiesa Greca in questi ultimi cento anni è piena d'interesse ed è fonte di importanti considerazioni.
Due fatti salienti la caratterizzano: la sua impronta nazionale e le sue conseguenti relazioni d’intimità collo Stato.
È noto che l’indipendenza greca è stata preparata, sostenuta e sospinta in molta parte dal clero greco, tanto che nella mente del popolo la Chiesa si è identificata colle speranze e colle aspirazioni nazionali.
Questa identificazione della Chiesa cogli interessi nazionali è rimasta ancora, e la Chiesa non è oggi che la nazione funzionante religiosamente. Avendo inoltre terminato di essere il centro di aspirazioni politiche, ormai realizzate, e mancando allo scopo di progredire nella sua specifica sfera di spiritualità, essa ha preso il secondo posto, dopo lo Stato, nel dominio della temporalità.
Ed è risultato che mentre la Chiesa aveva condotto lo Stato all’esistenza, ora è lo Stato che determina la politica della Chiesa.
Così è avvenuto ad esempio che quando l’attuale re Costantino ordinò al Metropolita Teoclitos di scomunicare Venizelos ed il governo rivoluzionario di Salonicco, questi obbedì; ed a sua volta quando Venizelos salì al potere Teoclitos fu deposto e sostituito da Melizio.
Questo, come altri casi simili, indicano che la Chiesa come forza spirituale, indipendente da obbiettivi nazionali, non ha voce sua propria per farsi sentire. Data questa sua inerzia, in quanto corporazione religiosa, a definire e dichiarare le proprie finalità, non è da meravigliare che, come difatti è avvenuto, la politica dello Stato abbia determinato e determini nella maggiore misura possibile quella della Chiesa.
ÍQuesta, dunque, non esiste come entità ¡pendente: persino le tendenze teologiche furono influenzate dalla politica del Governo, in quanto volta a volta prevalse
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in essa l’interesse per le scuole teologiche inglesi o per quelle tedesche a seconda del-!'orientamento politico dello Stato.
Salvo questi vaghi e lievi contatti si può dire che l’Ortodossia sia rimasta, politica-mente, socialmente e religiosamente, per lo più assente dai movimenti che hanno trasformato l’Europa occidentale.
Lo studio della Chiesa Orientale, che - per l’assenza di qualsiasi contatto colla Riforma ne risente tuttora gli effetti, dimostra, a sua volta, come la Riforma stessa abbia profondamente influito sopra la Chiesa occidentale.
L'organizzazione della Chiesa Greca Ortodossa è rimasta attraverso i secoli pressoché inalterata, chiusa come è stata anche in un accanito lavoro di auto-preservazione exdi conservazione delle tradizioni.
Nessuna teoria dello Stato si è sviluppata, nessun esempio di protesta intellettuale o religiosa si è in essa delineato, salvo il caso di Cirillo Lucar, per combattere il quale la teologia greca diventò almeno conscia che il vero conservatorismo implica sviluppo, come condizione essenziale di vita. [c. r.J.
Dello Sfatato si occupa Thomas Baty nel numero di aprile dello Hibbert Journal. Esamina prima ampiamente i caratteri di questa religione che, perchè non scenae a particolari e non ha una casuística vera e propria, è stata considerata da alcuni come un semplice sistema di etica*
La caratteristica dello Shinto è data dalla devozione ad una realtà vivente. Molte sono le forze che esso contempla (Kami) ma l’ideale supremo è l’Amore, inteso nel suo più vasto significato di luce e di forza.
Il simbolo di questa devozione sulla terra è l’imperatore che, tuttavia, trascende il valore di un simbolo per impersonare l’ideale che in lui viene adorato.
Altre religioni sono state introdotte nel Giappone e principalmente il Buddismo e il Confucianesimo.
Il primo, che ha lasciato di sé quell’elemento malinconico che gli è insito, fu introdotto nel secolo ottavo e prese a considerare i « Kami » dello Shinto, come manifestazioni di Budda. Dal 1868, questa religione è tramontata ufficialmente, ma esiste ancora potente come culto privato.
Il Confucianesimo ha avuto nel Giappo
ne un’influenza quasi totalmente non buona e ad esso si deve la depressione della donna che prima godeva di un posto uguale a quello dell'uomo.
Passando poi ad esaminare i rapporti con la cultura e la civiltà occidentale e l’avvenire del Giappone in relazione al suo culto nazionale, l'autore svolge un parallelo fra alcuni caratteri dello Shinto — principalmente il culto generale della Luce e della Bellezza — eia religione dell'antica Grecia.
Certamente qualora lo Shinto non riuscisse a conciliarsi con la religione occidentale ed il Giappone non fosse disposto ad abbandonarlo, avverrebbe un conflitto fra queste due forze. Ma all’autore sembra di scorgere nel cammino delle religioni occidentali una tendenza verso una concezione religiosa più vasta e generale della presente, nella quale potrebbero conciliarsi con il sintoismo il quale ammette che Dio possa parlare diversamente il suo linguaggio a seconda dei popoli, perchè tutti possano intendere la sua verità. [a. c.J.
Il Rev. Leolie J. Walker nello Hibbert Journal dell’aprile u. s. si occupa della psicologia degli esercizi spirituali fondati da S. Ignazio. Certamente questo santo non si basò nel costituire questi esercizi, su criteri psicologici, pure il sistema usato coincide con le risultanze e coi metodi applicati dalla moderna psicoterapia. Vi sano delle analogie che l’autoié svolge, esaminando le varie regole di questi esercizi spirituali, concludendo che il principio adottato dalla psicoterapia e quello degli esercizi spirituali è quasi il medesimo. Infatti la psicoterapia ammette che esista in noi una personalità subcosciente che può operare ciò che noi non potremo fare volontariamente. Gli esercizi spirituali cercano di operare, come la psicoterapia, servendosi non della semplice suggestione ma della fede nella divinità che può operare ciò che non è in nostro potere. [a. c.J.
La Conferenza di Lambeth e la riunione delle Chiese. — La Rivista The Constructivo Quarterly, una rivista che pone come uno dei suoi scopi principali un maggior affiatamento fra le comunità isolate della Cristianità, riporta in extenso nel numero del 4 dicembre u. s. l’appello e le risoluzioni della conferenza di Lam-
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beth riguardo all’unità, accompagnato da una lettera dell'Arcivescovo di Canterbury sulla Conferenza e facendola seguire da brevi articoli di favorévole commento, da parte del DottoT. F. Gailor Véscovo del Tenessee e secondo Presidente della Chiesa Protestante Episcopale degli Stati Uniti, e del Dott. Lawrence Vescovo del Massachusetts.
Anche altre personalità che non appartengono alla Chiesa Anglicana, come il Dott. W. D. Selbie Capo del Mansfield College di Oxford e il dott.' A. E. £arvie capo del New College di Londra giudicano favorevolmente l’appello della Conferenza di Lambeth. Ambedue riconoscono che l'appello rappresenta un grande passo in avanti, da parte della Chiesa Anglicana verso una maggiore unione, dalla quale potrebbero trarsi incalcolabili ventaggi.
(a. 4
— Il n® poi di marzo 1921 della stessa rivista contiene sullo stesso argomento i seguenti articoli:
I. Il primo articolo è intitolato: The Lambeth Ideal of Unily, by Philip M. Rhine-lander, Bishop of Pensilvania. L’A. pensa che l'appello della Conferenza di Lambeth ai cristiani del mondo sulla Riunione delle Chiese è piuttosto essenzialmente una manifestazione dell’ideale dell’unità della Chiesa, come fu inteso dai Vescovi riuniti, che non uno schema di proposte per raggiungere l'unione organica proposta. D’altronde una cooperazione effettiva nelle direttive di una riunione pratica delle Chiese può essere aspettata solamente da quelli che sono disposti ad adottare il medesimo ideale di unione a cui la Conferenza di Lambeth si è già sottoposta, perchè prima che due uomini si trovino uniti sulla via e sull’itinerario da seguire, è necessario che essi si trovino uniti sulla méta a cui desiderano pervenire.
Detto questo, 1 A. si propone di illuminare questo ideale della Unità della Chiesa cosi come esso fu ricevuto dalla Conferenza di Lambeth. Prima di tutto l’appello di Lambeth ha di mira non una nuova teoria nata improvvisamente, ma il ricupero di un ideale di unione che è stato perduto e che appartiene di diritto a tutto il popolo* cristiano. Questo ideale di unione, secondo l’A., ha quattro basi: 1® il dono dello Spirito Santo, perchè il cristiano può essere giustamente definito: colui che ha ricevuto lo Spirito Santo; 2® la Comunione di cuori
nella camera alta, il che implica una adesione esterna al discepolato cristiano, il che normalmente si ha solamente nella Chiesa. La parola normalmente significa quello che è secondo la volontà di Cristo e il suo comando, perchè fin dal principio della Chiesa troviamo che è posta un’enfasi speciale sulla adesione formale dei nuovi membri di Chiesa; 30 questa adesione formale era ottenuta colla partecipazione esterna e sociale dei mezzi di grazia universalmente accettati, e che disgraziatamente furono poi chiamati sacramenti. Il battesimo e l'eucaristia non erano i soli mezzi di grazia. Fra gli altri vi era la preghiera, che ha il dono di ogni grazia nella risposta di Dio; 4® in ultimo, il ministerio della Chiesa fu istituito- per dare alla Chiesa la forma di un organismo duraturo e vivente. E qui ci casca l’asino, perchè l'A. dice che la vera funzione del ministerio è quella di mantenere un contatto ininterrotto colle sorgenti del Cristianesimo. E noi penseremmo che le sorgenti del Cristianesimo siano le sue dottrine, ma l'A. invece pensa che questo contatto ininterrotto colle sorgenti del Cristianesimo può essere dato solamente dalla successione apostolica, che dura ininterrotta nella Chiesa Anglicana. E quindi ecco perchè la ordinazione episcopale anglicana è presentata alle Chiese dissidenti come una condizione essenziale che deve precedere la Riunione delle Chiese. Questo è l’ideale di unione organica che è stato concepito alla Conferenza di Lambeth, e su questo punto è lecito il fare l’augurio che la prossima Conferenza di Lambeth ne trovi uno migliore.
Tuttavia l'A. dice che la Chiesa Anglicana deve essere pronta a correggere il 19® articolo dei suoi 39 punti in questa ma-' niera: « Come la Chiesa di Gerusalemme, di Alessandria, di Antiochia e di Roma hanno errato, così anche ha errato la Chiesa An-5 tisana nel cercare, come altri hanno fatto, i essere troppo aspramente giudice delle esigenze di Cristo per il popolo del suo amore ». E con gente che ha questo stato di animo una via di intesa può essere ancora trovata per una unione che esca dai limiti più ristretti di una unione puramente spirituale per fondersi in una unione più tangibile che sia anche organica ed
esterna.
Il secondo articolo: The Lambeth Conference and Its Appeal , by the Most Reverend C. F. D'Arcy D. D. Archibishop of Armagh, fa la storia dell'ultima
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conferenza di Lambeth elle raccolse la presenza di 252 Vescovi Anglicani. Speciale enfasi fu subito posta al problema della Riunione delle Chiese,' e a questo scopo fu eletto un comitato di 72 Vescovi, il più numeroso che fosse stato eletto fino ad ora. Una certa unione delle Chiese fu riconosciuta come già esistente, essendo il corpo di Cristo un organismo vivente; ma tuttavia la mancanza di una piena unione organica impedisce ancora la piena testimonianza di Cristo nel mondo e disperde preziose energie in multiformi attività di concorrenza fra le varie Chiese. Le càuse delle divisioni, che così indeboliscono la vita della Chiesa, giacciono profonde nel passato e non sono tanto semplici come a prima vista può sembrare. Nè tutte furono biasimevoli. Vi è stata tuttavia della mancanza di amore, dell’ambizione e dell'egoismo. Vi è- stata anche della cecità di fronte al peccato della divisione. Vi è stato orgoglio ecclesiastico ed intolleranza clericale, tirannia spirituale, insufficiente visione delle iniziative dello spirito di Dio per far fronte ai bisogni spirituali degli uomini. I Vescovi Anglicani confessano francamente la loro parte di colpa nel danneggiare il corpo di Cristo. È uh bene, dice l'A., che essi abbiano fatto questo. Più che qualunque altra cosa del loro appellò, questa confessione prova la loro sincerità. Lo spirito dei Vescovi anglicani è oggi completamente mutato.
Ora come rimediare alla situazione presente? Bisogna raccogliere nella sfera di una vera cattolicità mondiale del Cristianesimo tutti gli elementi cristiani che ora stanno divisi e anche, qualche volta, discordanti fra loro. Bisogna trovare un qualche sistema di interpenetrazione. Diverse forme di organizzazione e di culto sono un segno della vita inestinguibile del Cristianesimo. Le Chiese storiche che si sono trovate di fronte a nuovi movimenti di fede non hanno compresa la importanza e la necessità di essi, e quella forza irresistibile ha dato foni.a ad altre organizzazioni. Così l'interpenetrazione è il solo sistema che possa raccogliere nella Chiesa Riunita la totalità dei nuovi elementi della vita, caratteristici di ciascuna Chiesa. Così la Chiesa avrebbe l'unione organica nella diversità, e potrebbe far fronte ai bisogni più diversi dei vàri caratteri dei credenti, e, nel medesimo tempo, tenerli tutti riuniti in una collettività veramente visibile ed unita. La Conferenza di Lambeth pensa
che questo risultato può essere ottenuto solamente per mezzo dell’episcopato. Esso ci darebbe, oltre alla fede comune ed ai sacramenti comuni, anche un ministerio comune riconosciuto da tutte le Chiese. Quindi la Conferenza di Làmbeth propone alle Chiese di rispettare reciprocamente i vari punti di vedute teologiche e le differenti forme di culto, e di creare nel medesimo tempo un ministerio che possa essere riconosciuto da tutte le sezioni della Chiesa. Questo è- essenziale per evitare nel seno stesso della Chiesa Anglicana un’altra divisione, che sarebbe forse più profonda e più grave di quelle che sono state vedute nel corso della storia, mentre invece i doni delle varie Chiese, messi in comune, sarebbero il bene di tutti.
La Conferenza di Lambeth non si trovò ancora in grado di fare proposte dirette alla Chiesa Cattolica Romana, sebbene l'A. ci assicuri che molti dei Vescovi sono fortemente del parere che essa non deve essere perduta di vista nelle trattative che potrebbero sorgere. L’A. crede che il grandioso quadro di una Chi esa Protestante Riunita, in cui la libertà fosse combinata colla fede nella espansione delle forze evangeliche di questi ultimi tèmpi, non potrebbe non avere una profonda influenza sulla stessa Chiesa Cattolica e porterebbe i suoi frutti. Però l’A. dimentica che, se la Chiesa Anglicana può umiliarsi e pentirsi del suo orgoglio e della sua ingiustizia, Suesto difficilmente può avvenire alla hiesa Cattolica, che, appena da poco, ha definito infallibile, e quindi non ritratta-bile, il suo orgoglio, la sua ingiustizia e la sua crudeltà. Chi parla in questa maniera dimostra perciò di non conoscere a fondo il bigottismo del Vaticano e il fossilizza-mento mentale e dogmatico che ormai è entrato in quella chiesa.
III. Il terzo articolo: Unity, Reunión and thè Lambeth Appeal by Oliver C. Quick, Canon of Newcastle Cathedral, si fonda sulla distinzione fra Unità e Unione. L’unità è dello Spirito,«l’unione invece è il mezzo per cui l’unità dello Spirito può trovare la sua piena espressione esterna. Alcuni, ancor timorosi dei delitti e delle ingiustizie dei sistemi ecclesiastici del passato, vorrebbero che le differenti denominazioni si limitassero a restare come sono, adottando una ristretta cooperazione per scopi distinti speciali, senza formare una unione organica esterna. Altri, invece, preferirebbero una federazione delle Chiese
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in maniera che la libertà individuale fosse serbata, accettando solamente definiti scopi di manifestazione collettiva.
L'unione, però, non dovrebbe essere difficile, secondo l’A., se le Chiese potessero intendersi * sopra quello che costituisce l'essenza del Cristianesimo. E, siccome è già ammésso che l’Eucaristia è il simbolo o l'espressione esterna della unione della Chiesa, così resterebbe solamente da definire: i®ciò che è necessario per la forma del-1*Eucaristia; 2® quali persone la possono amministrare; 3® quali persone la possono ricévere. Un ministerio comune darebbe una comunione comune a tutte le Chiese e l’unione sarebbe fatta.
Oltre a questo piano, che rìsale diretta-mente alla conferenza di Lambeth, l’A. esamina anche le due proposte fatte precedentemente, l’una dal dott. Headlam nelle sue Conferenze di Bampton, e l’altra dalla seconda Conferenza di Mansfield. La prima proposta comprendeva l’accettazione di un credo comune, e a questo scopo era stato indicato il Credo Niceno. Questo fatto escluderebbe così dalla unione delle Chiese quel modernismo che volesse dare al Cristianesimo un contenuto solamente etico e non dottrinale. Inoltre, colla prima proposta, si presentava l’ipotesi -di non domandare alle Chiese dissidenti l'accettazione della ordinazione episcopale. Tuttavia una parte notevole della Chiesa Anglicana dichiarò che l'ordinazione episcopale era un punto vitale della sua posizione. Invece la Conferenza di Mansfield, che fu tenuta prima ancora delle Conferenze di Bampton, proponeva semplicemente di accettare un solenne e mutuo riconoscimento del ministerio delle varie Chiese, senza parlare di ordinazione. L’equivoco di questa espressione fu subito notato. Infatti, se questo riconoscimento non significava l’ordinazione, ciò avrebbe portato gli anglicani a dover riconoscere un carattere sacramentale alle ordinazioni non episcopali. Se,poi invece implicava la ordinazione, e allora perchè non dirlo?
Perchè invitare i ministri cristiani ad accettare qualche cosa che doveva vestirsi di ambiguità e di falso?
Per questi motivi l’A. difende la praticità delle proposte della Conferenza di Lambeth, che, secondo lui, potrebbero accontentare tutti, non domandando da nessuno alcun sacrificio di coscienza, perchè da una parte gl^anglicani otterrebbero il fatto della ordinazione espiscopale nella
Chiesa Riunita, mentre i non conformisti, accettando l’ordinazione episcopale, non sarebbero chiamati a rinnegare il loro ministerio e la sua validità, essendo inteso che con questo essi riceverebbero solamente una autorizzazione più ampia per servire in altre Chiese.
IV. Il quarto articolo: The Ideal of One Wold-Wide Christian Church, è scritto dal gesuita Leslie J. Walter M. A. Il fatto che questo articolo è scritto da un gesuita spiega tutte le esagerazioni e gli spropositi che l’articolo contiene. Al principio l’A. si limita a far notare, con mal celata compiacenza, che se le proposte di Lambeth venivano accettate dalle Chiese non conformiste esse verrebbero con ciò ad essere delle Chiese Episcopali sul tipo anglicano, e questo sarebbe già un gran passo verso il cattolicismo. Che anzi già finó da ora non mancano, secondo lui, segni evidenti di un movimento non conformista verso la Chiesa Cattolica.
Quindi, dal punto di vista cattolico, le proposte della Conferenza di Lambeth invitano molto a sperare, molto più che le paròle che riguardano il riconoscimento degli anglicani per parte ‘ della autorità religiose di altre comunioni, furono messe appositamente non per le Chiese non conformiste, ma per venire incontro alla Chiesa Cattolica, che domanda questo insistentemente.
D'altronde è ammesso che « non vi può essere compimento del piano divino in alcun schema di riunione che non comprenda alla fine anché la grande Chiesa Latina dell’occidente, a cui la Chiesa Anglicana è così unita dalla storia del suo passato e da molteplici legami di tradizione e di fede » (Rapporto del sottocomitato sulla Riunione). L’Eucaristia, che ( Roma ha sempre sostenuta, sta diventando di nuovo il carattere centrale del culto cristiano, e gli uomini incominciano a riconoscere, anche se confusamente, che in qualche maniera la infallibilità che lo • Spirito ha dato alla Chiesa, che Egli guida, è concentrata in Roma. Così alla fine dovrà avvenire che le Chiese separate dovranno cercare di riunirsi alla Chiesa Cattolica, perchè essa ha sempre rappresentato quello che le Chiese separate vanno cercando (!). E vero che le Chiese non conformiste sono ancora Protestanti, ma, dice lui, il protestantesimo di oggi non nega più la dottrina cattolica e non la disprezza, anzi il termine protestante è per-
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fino scomparso dalle recenti confessioni di fede delle Chiese Libere dell’Inghil-' terra, del Canada e dell’Australia. Per intanto il movimento è incominciato ed è già abbastanza avanzato. Il resto verrà da sè, naturalmente. Tuttavia l’A., per bontà sua, riconosce che, mentre gli Evangelici hanno bisogno della fede tenace che ha caratterizzato la Chiesa dei secoli, ¡ cattolici a loro volta hanno bisogno delle immense energie e dalla provata onestà delle Chiese Evangeliche, energia ed onestà di cui è stata improntata ogni loro aspirazione, anche quando combattevano contro la Chiesa Cattolica. Si vede che è un gesuita che parla in un paese come l'Inghilterra, perchè in Italia Padre Pio De-Mandato usa un altro vocabolario. Quanto ho scritto è una raccolta di frasi tradotte, per quanto era possibile alla lettera, dall’articolo del gesuita Leslie, perchè i lettori potessero sentire anche il suòno di questa campana.
V. Lambelh and Reunion and Afler, from an Outsidcr's Point of View, bv Eu-gene Stock, D. C. L.
Il quinto articolo è di minore importanza per i lettori italiani perchè si diffonde ad analizzare i sentimenti individuali dei Vescovi presentì alla Conferenza di Lambeth, e il grande sacrificio che ha costato a molti di loro l’approvare la enciclica finale della conferenza stessa. Pure tutti sentivano in maniera straordinaria che erano trascinati dallo spirito di Dio, ed il grande sacrificio fu fatto. L'articolo è dovuto alla penna di un laico eminente della Chiesa Anglicana. Egli ricopre cariche ufficiali nelle missioni e nella stampa anglicana.
L’A. esamina indi l'accoglienza fatta alla Enciclica dalla stampa nonconformista e dai leaders delle Chiese dissidenti, i quali, quasi nella loro totalità, pur lodando il nuovo spirito dei Vescovi Anglicani, Si sono dimostrati recisamente ostili al pianq della ordinazione episcopale per parte dei Vescovi Anglicani.
Perciò l’A. polemizza lungamente con questi (i nonconformisti) per dimostrare che sacrificio eguale a quello che è chiesto a loro, sono già disposti a fare gli stessi Vescovi Anglicani per far piacere ai Vescovi Cattolici, nella eventualità della Riunione delle Chiese, purché in quél caso certe dottrine e pretese fossero abbandonate dalla Chiesa Cattolica (!!!).
Ad ogni modo l’A. esprime il desidèrio
che si facciano urgentemente congressi di ministri e di laici in ogni diocesi e città sul téma della Riunione delle Chiese e che sia studiato a fondo ogni problema teologico che vi possa avere riguardo.
Per intanto la via migliore e più pratica è quella dello scambio dei pulpiti fra ministri anglicani e dissidenti, aspettando che la dottrina della successione apostòlica cada dalla mente di molti vescovi anglicani che ancora la ritengono come necessaria, anche di fronte al successo ed alla potenza delle chiese nonconformiste, precisamente come, davanti alla evidenza della benedizione divina, cadde dalla mente degli apostoli la dottrina che la circoncisióne fosse necessaria a quelli che non erano ebrei per poter entrare nella Chiesa di Cristo. [¿. y.).
— Alla stessa conferenza à dedicato due ampi articoli molto oggettivi la rivista Etudes nei fascicoli del 5 e 20 maggio u. s. '■
Il Prof. Edouard Jourdaa, di Parigi, Subblica nella Constructive Quartely del icembre u. s. un articolo sul Centenario di Dante e la Chiesa e considera 1 ’opposizione del Poeta alla S. Sede, in alcune questioni del suo tempo, aggiùngendo che l’acutezza del criticismo di Dante, per il fatto che non è contaminata da alcun errore dottrinario, mostra ancor più chiaramente la fermezza della sua fede cattolica. [a. c.J.
Le forme di culto in Ur sotto la quarta dinastia, del principio dal Regno di Ur-Engur, alla fine del regno di Ibi-Sin, vengono decritte dal Rev. Prof. Samuel A. B. Mercier nel Journal of thè Society of Orientai Research, del marzo u. s.
Oltre alle due divinità principali, Nanna?, divinità lunare di Ur, ed Enlil, divinità principale di Nippea, si trovano in questo periodo (2-300. - a. C.) altre divinità, quali Ninlil, sposa di Enlil, N ingai sposa di Nanna?, Shara, Dio di Umma e di altre divinità, della quali alcune furono introdotte dalla stessa quarta Dinastia di Ur, la quale, trovandosi a comandare le due diverse regioni, già aveva riunito le due Divinità Nannar ed Enlil adorate rispettivamente in Ur e in Nippur.
Pare anche che fossero considerati come Divinità anche i Re di questa Dinastia, ad eccezione di Ur-Engur.
Sulle divinità sopra accennate e su altre
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minori convergeva il culto ufficiale che rivestiva tale importanza da fare del tempio il centro di tutta la vita della Sumeria. In esso, oltre a svolgersi le cerimonie religiose, si svolgevano anche tutti gli affari.
L’ordine per la costruzione di un tempio era dato generalmente dal Re. Il principale tempio in Ur, era quello di Nannar, ma sembra che in un certo qual senso esso fosse subordinato a quello di È-Kur, innalzato al-grande .Dio Enlil, in Nippur.
Ogni cosa, intorno e nell'interno del tempio, era sacra e l’oggetto più importante in esso era il trono della divinità cui il tempio era dedicato. Non si sa precisamente che cosa fosse questo trono, forse il seggio dal quale si amministrava la giustizia.
In Sumeria vi erano più di 30 ordini sacerdotali, divisi in diverse classi. Vi erano anche molte sacerdotesse, delle quali pare fosse fornito ogni tempio. Oltre ai Sacerdoti e alle Sacerdotesse vi erano anche ufficiali con incarichi speciali.
Il sacrifìcio che si compieva nel tempio costituisce in questo periodo il principale atto di adorazione. Esso constava di animali e cereali e veniva compiuto sull’altare posto innanzi alla Divinità, fra essa e il fedele. Erano comuni le libazioni, per le quali veniva usata l’acqua, l’olio e il vino; non pare che in questo tempo si facessero sacrifici di vite umane.
L’oggetto principale per il culto era, naturalmente, l’altare a forma di parallelepipedo con un rialzo dalla parte posteriore; sull’altare .veniva posto ciò che serviva al sacrificio e nel rialzo si poneva un vaso.
Le preghiere di culto privato erano quasi sconosciute in Sumeria, quantunque fino ad un certo grado avessero dovuto esistere poiché l’antica letteratura babilonese è ricca a questo riguardo-. Tuttavia questo del culto privato è un punto che attende ancora di essere chiarito, perchè le testimonianze su cui si basano le deduzioni sinora fatte si ricavano solo su documenti di carattere nazionale, più che individuale. [a. c.].
La morale nell’impero egiziano. — (Journal of thè Society of Orientai Research, marzo 1921, Samuel A. B. Mercier). — Il periodo che l’autore si propone di esaminare va dal 1580 al 1150 a. C. e comprende la XVIII, XIX e parte della XX Dinastia.
Il matrimonio era la base della vita pri
vata egiziana e consisteva normalmente nell’unione di un uomo e di una donna; casi di poligamia rarissimiUn ricco egiziano d’ordinario teneva un harem, ma le donne di esso non erano considerate allo stesso livello della consorte.
Dai tempi antichi, sino ai più vicini, il matrimonio con una sorella era frequente, specialmente nella famiglia reale, ma non è possibile dire quanto questa pratica potesse essere generale.
La famiglia era a base patriarcale e il possedere molti figli era considerato come la più grande fortuna.
Nella famiglia egiziana regnava un grande amore come ce lo dimostrano i nomi dati ai fanciulli (Viene la Bellezza, Bel giorno, Il dono di Amore, Fratello di Amore, ecc.k
La Società era divisa in tre classi; il Re e i militari, gli artigiani e i bottegai, 1 sèrvi e gli schiavi forestieri.
Al di sopra stava il Re assoluto, adorato come Dio durante la vita e dopo la morte, che si teneva responsabile del benessere dell’Egitto e che riceveva in cambio l’amore, la devozione e l’obbedienza del suo popolo.
Il senso della responsabilità individuale che divenne, nel periodo dello Impero, una delle principali caratteristiche, deriva principalmente dallo sviluppo delle idee morali nell’Età Media. Il 125® capitolo del Libro dei Mòrti ci dà un elenco formidabile di ciò che gli Egiziani di quel tempo consideravano come riprovevole.
Dal Re emanava la legge che era interpretata dai giudici e le corti di giustizia erano ben organizzate, composte di uomini di senno e preti eruditi che davano a ciascuno il modo di dire le proprie ragioni.
Gli egiziani che in antico e in quasi tutto l’Evo Medio erano stati un popolo pacifico divengono nel periodo imperiale un popolo battagliero: la guerra è considerata come il maggior bene, e viene fatta con crudeltà. Nonostante tuttociò gli Egiziani in fondo rimangono un popolo amante della pace.
Il politeismo e l’antropomorfismo caratterizzano ancora l’idea della Divinità, negli egiziani, ma alquanto attenuata.
La moralità comincia ad avere gran parte nella vita religiosa egiziana e nello stesso tempo si manifesta una tendenza verso l’enoteismo ed anche, addirittura, verso il monoteismo.
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Gli Dei .sono considerati come la fonte della verità e della giustizia, essi appaiono in sonno ad inspirare il Re, dandogli la felicità, senno, potenza, salute, ecc.; curano anche il benessere dell’uomo anche il più umile.
L’idea predominante era il dovere di seguire la volontà degli Dei. Apprezzata era quanto mai la verità, che veniva attribuita agli Dei e veniva praticata dal Re, dai nobili ed era anche l’ideale morale delle masse.
Naturalmente, il maggior peccato di cui un uomo potesse macchiarsi era la falsità, che viene punita anche nel pensiero.
L'idea della libertà del volere, già riscontrata nell’Età Media, è comune .anche all'impero.
Concludendo l’A. dice che gli Egiziani ci presentano lo spettacolo di un popolo antico, molto progredito in alcune cose, ma in altre, specialmente nei principi morali, alquanto indietro- D’altra parte il cittadino egiziano ci si mostra come un uomo giusto, cosciente, veritiero e se pecca non è certo per mancanza di buone intenzioni.
(a c.l.
Chi fu Anathyau? — A. Lemmonyer ha un articolo nella Revue des Sciences Pht-losophiques et Théologiqués (ottobre 1920) su « La Dea. Anath di Elefantina • nel ![uale mostra come il nome Anath si trova acilmente nei nomi dei luoghi e di persone del Vecchio Testamento e che inoltre fu il nome di una divinità ben conosciuta fra i Gesuiti, che non si può tuttavia identificare nè con Antu dei Babilonesi, nè con la Regina del Cielo, di Geremia. Essa fu, secondo ogni probabilità, una divinità bellica. Non vi è un legame antico profondo traAnath e Jeovah, così come potrebbe sembrare dall’unione dei loro nomi nei Papiri Elefantini; tale relazione è un oggetto di culto del tutto- effimero c rappresenta così una deviazione del culto di jeovah. (a. c.].
La letteratura religiosa messicana. — In un articolo « I due Messico » pubblicato da Charles Johnston nell’« A tlan-ticMonthly del dicembre 1920, si richiama l’attenzione sulla cultura dell’antico Messico che è ancora un libro chiuso per ’’Umanità. Solamente pochi pionieri se ne sono occupati. È il Messico degli oscuri distretti popolati di aborigeni, la sede della civiltà e del sapere antico.
Si è recentemente scoperta l’esistenza del popolo Vuh, l’antico nome degli abitanti dei Guatemala, che presenta notevoli punti di contatto con i Purana dell’india. Karl Lunaholtz ha scoperto una nuova serie di meravigliosi libri che contengono inni indirizzati alle deità del Rig Veda, il Dio Sole, la Dea Pioggia, il Padre Cielo e la Madre Terra. Altri tesori del genere attendono di essere decifrati ed usati per arricchire la nostra conoscenza della vita, del governo, del linguaggio, delle istituzioni e delle razze degli abitanti aborigeni del Messico. Vi si possono trovare materiali di un valore inestimabile per lo studioso di religioni. (a. c.J.
La concezione mediovale del regno di Dio (F. J. C. Hearnshan, Hibbert Jour
nal, aprile 1921).
Il Medioevo fu
dominato da una concezione teocratica del Regno di Dio. QuestaxZconcezione che veniva agli uomini di quel tempo dalla coscienza costante della trascendenza della divinità, è basata sopra la Bibbia, che bisogna esaminare per ben comprendere il concetto medioevale.
Il Pentateuco ci presenta il Regno di Dio concepito come attuale nella teocrazia allora esistente e limitato ai soli - fi-5 li d'Israele. Una seconda fase si ha con elezione di un Re: Saul, nella quale la monarchia non viene considerata che come una necessità per tenere a freno il popolo, mentre il Regno di Dio non viene più concepito nel presente, ma nel futuro.
La schiavitù babilonese inizia una terza fase nella quale il Regno di Dio, pur sempre vagheggiato nel futuro, estende il suo orizzonte oltre il Popolo d’Israele a tutta l’Umanità.
Il dominio Persiano, quello Macedone e il dominio Romano che si susseguirono poi, impressero negli Ebrei l’idea che il Regno di Dio si sarebbe avverato solo dopo un violento capovolgimento dell'ordine esistente.
Questa concezione rimane nei primi secoli dell’Era Cristiana, ma allarga ancora il suo orizzonte, divenendo indipendente da ogni circostanza attuale e cioè una materia di fede.
Nello stesso tempo si fanno strada altre due idee. L'una concepisce il Regno di Dio come esclusivamente spirituale, la seconda come l’unione di tutti i credenti, e cioè la Chiesa, che viene considerata piuttosto come il Regno in divenire.
Ma la Chiesa, considerata come il Regno di Dio sulla terra, si trova in contrasto con l’impero e nemmeno quando il con-
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trasto tace con la vittoria del cristianesimo si attua completamente questa concezione. Il Medioevo distinse sempre la Chiesa dallo Stato, il Regno terreno e il Regno Celeste.
Tuttavia il sogno di un’unità fra Chiesa e Stato seduce ogni tanto nel Medioevo l’orgoglio degli Imperatori Germanici, ma frattanto si estende sempre più la concezióne agostiniana della Chiesa Cattolica considerata come il Regno di Dio sulla terra, che veramente sembra affermarsi sotto Gregorio Magno e realizzarsi ancora pili con Innocenzo III.
Ma l’edificio poderoso si disgrega pian piano per molteplici cause e l’ultimo colpo gli vien dato dalla Riforma che fa rivivere l’antica concezione del Regno di Dio nello Spirito, volgendo le speranze degli uomini al futuro regno della gloria, [a. c.].
Scrittori cristiani sul Giudaismo. — Nella Harvard Theological Review (Voi. XIV, n. 3-1921), George Foot Moore si propone di mostrare quali influenze hanno determinato il carattere della letteratura cristiana sul giudaismo, attraverso la storia.
È da notare, anzitutto, che l’interesse dei Cristiani alla letteratura giudaica é sempre stato determinato più da necessità apologetiche o polemiche che da motivi puramenti storici. Infatti, fin dal principio dell’èra cristiana, gli scrittori del N. T. come gli apologeti dei primi secoli, si studiano di trarre dall'interpretazione e dall’applicazione dei passaggi dell’A.T., sia la dimostrazione del compimento delle profezie messianiche sulla natività di Gesù, sulla sua vita e morte, sulla sua risurrezione ed ascensione, sia la prova della sua divinità ed identità col Dio manifesto, od Angelo del Signore, degli Ebrei. La chiave polemicha dei primi Cristiani consiste, inoltre, nel rifarsi dalla letteratura giudaica per dimostrare l’annullamento della dispensazione mosaica in favore della legge di Cristo. Di questo periodo sono le opere di Tertulliano, di Crisostomo e di Isidoro di Siviglia.
Nel Medio Evo, invece, la discussione prese un aspetto più vasto ed assunse un carattere più erudito. La tendenza prevalente mirò a dimostrare che le dottrine cristiane erano sostenute oltre che dalla autentica tradizione ebraica - Talmud, Targum, Midrash - dai più reputati interpreti giudaici. Alcuni, anzi, si spinsero a sostenere che tutte le dottrine cristiane - la 1 rinitàA la Deità di Cristo ed il resto - po
tevano essere dimostrate come ¿íntica teologia esoterica degli stessi Ebrei. Uno dei campioni di questo periodo fu Raimundus Martini (m. ino). Nel progresso della controversia la polemica prevalse sull’apologetica e gli scrittori cristiani cercarono di mettere in evidenza, dalló studio accurato della letteratura giudaica, i punti più vulnerabili delle dottrine rabbiniche, per confondere gli oppositori coll'autorità dei loro stessi libri.
La riforma, rigettando l’autorità della Chiesa Cattolica e delle sue tradizioni, pose ai protestanti il compito di costruire un completo sistema di dottrine solamente su basi scritturali. Essi non solo mirarono a dimostrare che l’antica dottrina giudaica era in/accordo-essenziale col dogma cristiano, ma che, come risultato dèi dibattito tra protestanti e cattolici, gli Ebrei erano dalla parte protestante. La prima esegesi protestante del V. T. e del N. T. fu basata quasi completamente sui commentari ebraici e l'illustrazione di molti passaggi scritturali fu tratta dalle leggi e dai costumi israeliti. L’A. ricorda alcuni di questi scrittori che noi per brevità ométtiamo .non dimenticando però di ricordare che fra essi ci sono Raimondo Lullo, Pico Della Mirandola, ed altri entusiasti degli studi cabalistici.
Concludendo va notato che prima del sec. xix nessun tentativo fu rivolto dagli scrittori cristiani a presentare il Giudaismo, specialmente nel periodo che più li concerneva — cioè dal tempo di Alessandro a quello di Antonino — come tutto a sè e come era in sè e per sé stesso.guando nel xix sec. lo studio del Giudaismo. fu ravvivato, il motivo ispiratore fu la ricerca dell’atmosfera in cui visse il primitivo Cristianesimo. Augusto Federico Gfroerer (1803-1860), col quale comincia il moderno periodo di studi ebraici, concepì questo problema storicamente, senza preoccupazioni apologetiche, includendo la sua descrizione di quel periodo nella sua storia critica del Cristianesimo primitivo. Egli è così il precursore della moderna scuola che attribuisce al Giudaismo paiestinense, come dogma fondamentale, una concezione della Divinità che isola Dio, l'Assoluto, dal mondo nel suo infinito Essere e nella sua inaccostabile Bontà (il termine trascendente è spesso da lui usato per definirlo).
A sua volta Ferdinando Weber si propose di mostrare il sistema della teologia giudaica paiestinense dei primi tre o quat-
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RIVISTA DELLE RIVISTE
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tro secoli ponendolo in antitesi colla teologia e colla religione cristiane quali erano insegnate in certe scuole tedesche a lui contemporanee. Nel disegno di Weber è anche incluso il principio che il legalismo è la somma e la sostanza della religione ed è nella concezione giudaica la sola forma di religione di tutte le età.
Nessuno degli eruditi avversari del Giudaismo nei secoli xvn e xvm, benché incomparabilmente più addentro in quella letteratura dei loro moderni successori, ha mai sospettato che i Rabbini mantenessero un monoteismo astratto - qualunque esso fosse - od un’idea trascendente di Dio come Weber e compagni sostengono.
Nessuno di quegli eruditi che pure misero in ridicolo e cercarono le parti più vulnerabili del Giudaismo dal punto di vista cristiano, affacciò l’ipotesi che l’idea giudaica di Dio differisse da quella cristiana, ed altrettanto dicesi del legalismo che negli ultimi cinquantanni è divenuto la definizione e ad un tempo la condanna del Giudaismo. Weber, quindi, a detta dell’A., compie un lavoro aibitrario paragonando’ il Giudaismo palestinense dei primi cinque secoli della nostra era con una sua propria varietà protestante del xix secolo, antistoricamente identificato col Cristianesimo stesso, invece di mettere l’uno di fronte all'altro il Giudaismo ed il Cristianesimo ciascuno presentato come un tutto completo. L’essenza della Cristianità, e quindi la sua specifica differenza dal Giudaismo, viene per la prima volta cercata nella religione di Gesù, nel suo insegnamento e nella sua personale pietà.
Il titolo del primo libro di Bousset (altro scrittore di questo periodo, in cui possiamo elencare anche Schürer, Baldensperger, Weiss, ecc.) Jesu -predigt in ihrem Gegensatz zum Judentum, è il programma della scuola più giovane. Il conflitto tra Gesù e gli Scribi ed i Farisei, secondo questi a-pologeti, si risolve nel legalismo: il « Padre in cielo », la pietà ritenuta come distintiva di Gesù e del suo insegnamento, domandavano secondo loro un’antitesi nel Giudaismo col Dio inaccessibile che Weber, dal suo differente punto di partenza, riteneva di aver dimostrato. Che cosa allora portò il legalismo sulla linea della nuova apologetica? Non un fresco nè più profondo studio del Giudaismo del principio della nostra era, ma solo un nuovo motivo apologetico conseguente ad un nuova concezione della Cristianità assunta dai nuovi teologi del N. T.
Come ultima conclusione critica si può dire, adoperando le stesse parole dell’A. che, dove il soggetto d'investigazione è rappresentato dalle relazioni del Cristianesimo primitivo col Giudaismo ad esso contemporaneo, sia che il motivo riposi nella ricerca d’intendere storicamente la nascente Cristianità, sia che risieda in un’esposizione apologetica della superiorità della religione di Gesù su quella degli Scribi e dei Farisei, il coordinamento critico ed il vagliamento delle fonti ebraiche è di molto maggiore importanza di quando è proposto un paragone generale del Cristianesimo e del Giudaismo, o, come in Weber, in un paragone ristretto ai primi tre o quattro secoli della nostra era.
Su questa base critica gli studiosi del Giudaismo hanno fatto negli ultimi trenta o quaranta anni un lavoro fondamentale attraverso una preparazione filologica e storica fatta di esauriente conoscenza del materiale di studi giudaici, ed è certo che una grande luce può essere proiettata sull’interpretazione degli Evangeli a mezzo delle fondi rabbiniche se queste vengono studiate con competenza e discernimento, come ha dimostrato, ad esempio. Gustavo Dal man col suo libro: Die Worte Jesu,m\t Berücksichtigung der nachkanonischen jüdischen Schrifttums und der aramäischen Sprache » (1898). [c. /.].
Etica ed escatologia di Metedlo di Olimpo — Le relazioni tra ascetismo e Cristianesimo sono esaminate, nella Harvard Theological Review (voi. XIV, n. 3, 1921) da E. Buonaiuti attraverso gli scritti di Metodio di Olimpo.
Questo eccezionale autore del iv sec., fiero antagonista di Origene ed aureolato di martirio, fornisce meglio degli altri, all’in-fuori della letteratura del N. T. e dell’età post-apostolica, gli elementi per apprezzare obbiettivamente le affinità e le differenze tra l’attitudine ascetica e le aspirazioni specificatamente cristiane.
Fin dal tempo della Riforma si è molto dibattuto sulla questione se i presupposti antropologici che sono implicati nella morale ascètica — la concezione dualista sulla concezione della materia umana e la convinzione pessimista dell’irreconciliabile antagonismo tra lo spirito ed il corpo — sono realmente identici ai principi dell’antropologia cristiana.
Studi abbastanza recenti hanno assodato esaurientemente che tra ascetismo filosofico e Cristianesimo primitivo non v’era
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decisa affinità, partendo i due movimenti da presupposti teorfci contradittori e tendendo verso fini differenti. L’ascetismo, che ha una lunga storia all’infuori del Cristianesimo ed era comune a varie scuole fisoiofiche pre-cristiane, appare, nella sua tendenza a raggiungere l’assoluto dominio della materia, più come il risultato incerto di uno strenuo sforzo razionale determinato da un raffinamento aristocratico di carattere (quindi non comunicabile alle masse nè suscettibile di divenire un gran fattore di cambiamento sociale) che, come nel Cristianesimo, la conseguenza di una trasformazione psichica dovuta ad un’intensa commozione carismatica.
È l’àitaseta ascetica contrapposta alla (MTàvota cristiana.
È possibile, però, provare che il Cristianesimo si è venuto saturando di tendenze prevalentemente ascetiche nella precisa e graduale misura in cui il fervore mistico e l'entusiasmo carismatico presero a declinare.
Ed appunto questo fervore' cominciava a declinare al momento in cui il movimento cristiano stava trasformandosi in una religione ufficiale: e Metodio, alla vigilia della riforma di Costantino, sembra volerlo far rivivere, accompagnandolo coi tratti più vividi ed entusiastici delle primitive aspettazioni escatologiche.
La concezione escatologica di Metodio, che fa rivivere l'idea del Millennio e Si riassume in una provvidenziale palingènesi in cui tutti gli elementi - spirito e corpo -saranno trasformati e migliorati al massimo grado, implicava una moralità eròica di rinunciamento e di continenza carnale che non era nelle prevalenti tendenze della Chiesa ufficiale a lui contemporanea quali, ad esempio, furono in seguito riassunte da Eusebio di Cesarea nella sua Dernons-tratto Evangelica.
E data la mutua azione tra moralità ed escatologia, diventando l’una più - eroica in quanto più è connessa con un’intensa aspettazione di una rivoluzione provvidenziale, la voce di Metodio appare, in mezzo al portentoso sforzo che la società cristiana del iv secolo stava facendo per ridurre la proclamazione del Vangelo alle formule superficiali di una religione conservatrice, come l’ultima sopravvivenza
anacronistica di quell’appello che aveva caratterizzato il primitivo Cristianesimo ed i primi sognatori del Millennio, [c. r.].
Sutta e Vangeli. -> Una ricerca sulle rela-zioni tra i racconti delle nascite soppran-naturali di Budda e di Cristo pubblica F. Harold Smith nella Church Quarterly Review, luglio 1921.
L’A. si propone di valutare la portata delle analogie esistenti tra i racconti evangelici e quelli della letteratura sulla vita di Cristo e di Budda.
Tali analogie hanno indotto, come è noto, alcuni critici a sostenere la derivazione buddista di alcune credenze cristiane ed altri ad ammettere invece la derivazione cristiana di alcune credenze buddiste.
Nel caso specifico della dottrina buddista sulla nascita miracolosa di Budda paragonata alla credenza cristiana della nascita verginale di Cristo, un esame accurato dimostra che le analogie non sono essenziali e che lungi dal condurre all’ipotesi di una derivazione buddista nei racconti evangelici, conferma quella di una leggiera influenza cristiana nella posteriore formulazione della storia buddista.
Infatti, nota l’A., uno studio diretto dei testi mostra come ognuna delle sue dottrine è naturale alla rispettiva religione, ed ha tali caratteristiche proprie da rendere nulla l’importanza di certe vaghe analogie. Una credenza, inoltre, non è un'unità isolata od un’entità a sé che possa essere aggiunta o sottratta ad una religione, come si trasferisce una carta da un mucchio ad un’altro, separandola dall’intero sistema al quale appartiene.
Se ci fu mai un influenza cristiana sulla dottrina buddista nella sua tarda formazióne, è segno che vi doveva essere in que-st'ultima un corpo di credenze pronto a riceverla e ad assimilarla.
A queste conclusioni generali giunge l’A. da un esame diretto ed accurato dei testi buddisti tra i quali il Mahapadana Sultanía, il Lolita Vistara, il Buddha-Karita, il cinese Abhinishkramana Sulra ed altri, i cui racconti fantasiosi e complicati sulla nàscita di Budda nulla hanno a che vedere colla semplicità e spontaneità delle narrazioni evangeliche sulla nascita di Cristo
[c. r.J.
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LA CRITICA RICOSTRUTTRICE
DI UN DEMOLITORE
I tre volumi che alla distanza di pochi giorni uno dall’altro Adriano Tilgher ha pubblicato (i) or non è guari hanno in piccola parte per oggetto lo studio del pensiero antico in alcune delle sue massime individualità, eper buonissima parte studiano ed espongono quella vita di pensiero e di azione che ci passa sotto gli occhi ogni giorno e che Sr tale ragione appunto non richiama che più fugace nostra attenzione analitica, mai quella sintetica. Ora se pensiamo con quanta sagacità di osservazioni, con quanta corrosione di critica, con quanta felicità di esposizione Adriano Tilgher ci mostra sin nelle più intime latebre questa nostra vita così rapidamente mutevole in tutti i suoi aspetti, non ci parrà se non vuota affermazione quella di coloro i quali credono di aver giudicato questo pensatore, a molti forse incomodo, con la facile quanto superficiale qualifica di « catastrofica»* Chi ben consideri troverà infatti che nella critica del Tilgher come elemento predominante è insita la visione catastrofica, ma che la catastrofe, è immanente moralmente e materialmente nel momento che viviamo, onde sol chi non ne abbia la chiara percezione può rimproverare ad altri di vedere quello che egli non riesce a vedere.
Perchè dell’opera che il Tilgher mostra di aver speso con molto frutto in questi ultimi anni e di avere estrinsecato in questi
(i) Filosofi antichi, Todi, Atanòr. - Voci del tempo, Roma, Lib. di scienze e lettere. — La crisi mondiale e saggi critici di marxismo e socialismo. Bologna, Zanichelli, 1921.
tre volumi, quella sui filosofi antichi, mi appare come la prefazione © l’introduzione all’altra in cui sotto differenti punti di vista è esaminato il problema della vita contemporanea. Considerate cioè nella loro manifestazione più importante le grandi correnti del pensiero antico (buddhismo, la Scuola ionica, lo stoicismo, l’epicureismo, lo scetticismo, il neoplatonismo ed il cristianesimo in relazione alla miste-riosofia pagana), messi in evidenza con molta perspicuità alcuni lati non completamente definiti dagli storici precedenti del pensiero filosofico greco — il caratteri -stico bisogno, per esempio, della felicità, che all’incirca per tutte le scuole consiste nella saggezza e che distingue per il suo carattere contemplativo l’antichità dal pensiero moderno che fa suo elemento maggiormente la volontà e l’azione — il Tilgher, cui non è ignota, per profondità di studi e per simpatica comprensione, tutta la manifestazione del pensiero filosofico, nostro e straniero, ha potuto con maggior compiutezza volgersi allo studio del momento attuale.
Il quale, per essere complesso e molteplice, agitato e confuso, almeno nelle apparenze, non poteva non attrarre un critico che fa dell’esame delle cose una viva esplicazione delle sue migliori facoltà spirituali e la sente profondamente, e, quel che è più, la fa sentire intimamente ai suoi lettori. Quindi le individuali espressioni che dal romanzo alla poesia, dal teatro alla politica, dalla scienza alla filosofia dimostrano la costante ricerca del pensiero contemporaneo di trovare una via di uscita alla sua
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energia che per troppo affermare ha tutto negato, le voci del tempo insomma, hanno trovato in lui un attento ascoltatore ed un ancor più diligente riproduttore. I diciannove saggi, che si leggono con interesse veramente straordinario, ci dànno nelle maggiori manifestazioni tutta la gamma multicolore del pensiero moderno e culminano, come il Tilgher ben vede, in quella • religione dell’azione » fissata nelle meravigliose pagine conclusive che io chiamerei volentieri la metafisica dell’ una-munismo.
Ma dove più corrosiva appare la critica dell’A., dove più profonda si manifesta la sua conoscenza del mondo del pensiero, dove meglio si sente su quali ampi e solidi substrati di coltura il Tilgher edifichi le sue concezioni è nella Crisi mondiale, in cui Iuesto spirito distruttore è. come tutti i emolí tori, il più felice ricostruttore, in quanto che ci ricostruisce non solo la forma molto probabile dell’attuale momento, ma ci delinea la visione del futuro con documentazione spirituale tale da produrre realmente una notevole impressione nel lettore.
Il Tilgher è in fondo uno spirito religioso nel senso lato della parola, si preoccupa a buon diritto della irreligiosità contemporanea, della poca consistenza di pensiero della nostra civiltà, del suo fatale scetticismo, del suo ributtante paganesimo e sente, come tanti di noi, la triste mancanza di un cemento sociale fatto di quella ca-, rità e di quell’amore che il Cristo predicò or sono venti secoli, tutti di lui rimasti perennemente e ostinatamente vedovi. La sua pagina sul valore spirituale della Bibbia è capitale; sotto q :e«to aspetto, e ci pare conclusiva, come giusta e felice la sua concezione assoluta del cristianesimo di cui egli nota il carattere anarchico e antisociale.
È evidente che ad uno spirito siffatto il sempre crescente demonazionalismo che si erige a dottrina di Stato e che culmina in quella statolatria che invano i pensatori più liberi tentano di allontanare, non possa se non eccitare disgusto e non debba ap-Sarirgli se non come l’effetto ultimo di un ecadimento della classe dirigente, la quale, mal avvisando ai suoi interessi, tenta di salvarsi dalla mòrte, ormai imminente, Stappandosi ai peggiori puntelli. Onde che assiste nauseato al giovandar-chismo francese, vede malvolentieri avviarsi lo Stato anche da noi a quell’unione
con la Chiesa che dovrebbe metter capo alle peggiori forme d’ipocrisia e di servitù sociale che il Tilgher ironicamente prevede nell’omaggio clericale alla breccia, di Porta Pia o al monumento a G. Bruno.
Così la caduta della borghesia e soprattutto della piccola borghesia non può non lasciarlo indifferente, vista la sua viltà, il suo poco, per non dire il suo nessun senso politico, la sua caparbietà. E nel mondo quindi della coltura egli l’ha constatata e la dimostra con il tramonto di quella mentalità storicistica che ha costituito, imperniata com’era sulla ragione, la ¡orma mentis speciale e caratteristica della fine del secolo xix e del principio del xx. Acuta questa ed interessante osservazione che mette il classico e costante, e,, starei per dire, testardo storicismo nostro dell’ anteguerra in linea con il mito del progresso e fa dell’uno e dell’altro i due labili capisaldi di una coltura che credeva di essere immortale e di avere conquistato il mondo delio spirito, come la borghesia ed il capitalismo avevano asservito quello sociale con la loro volontà di potenza.
♦ ♦ •
Magnifica dunque ricostruzione è questa del Tilgher e degna che gli studiosi l’accolgano ora che la raccolta di tanti saggi che l’estrinsecano permette di vederne compiutamente, anche se con le ripetizioni inevitabili di tal genere di lavori, la sintesi veramente felice.
Se anche in alcuni luoghi, in alcuni raffronti, in qualche deduzione, possa dissentirsi dal critico, non si può, ciò nondimeno, non essere affascinati dalla genialità di un pensiero che può essere demolitore in apparenza, ma in sostanza ha tutti gli elementi dello spirito ricostruttore e sanamente ricostruttore.
Giovanni Cosía.
FILOSOFIA DELLA RELIGIONE
H. Scholz, Reli^ionsphilosophie. Berlin, Reuther u. Reìchard, 1921, pp. 474. Mk 60.
Questo libro è insigne testimonianza del valore eccezionale che la produzione filoso-fico-religiosa tedesca conserva anche dopo la guerra. Crediamo di non errare affermando che esso sia destinato a stampare una orma profonda nella filosofia della religione: tanto è il vigore della costruzione dialettica è l’efficacia dell’impostazione dei pro-
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RECENSIONI
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blemi che Io contraddistinguono, insieme con la chiarezza dell’esposizione.
. La divisione dell'opera è semplice e organica. Un capitolo introduttivo esamina a fondo l’idea di « Filosofia della religione », la gjustifica e, spiegatele diverse concezioni di questa scienza, precisa quella a-dottata dall’autore che potremmo dire empirico-critica. Essa infatti consiste nel non costruire l’idea di religione a priori, in via puramente filosofica, ma nel ricavarla dall’esame delle effettive esperienze religiose, non prese tuttavia in massa, indistintamente, ma scelte secondo che risultano, o no, come ancora viventi, esperimentabili nella civiltà contemporanea. Dopodiché, in tre libri successivi, l’autore esamina l’essenza della religione da lui determinata indirettamente attraverso la critica dei vari sistemi di filosofia della religione, direttamente mediante l’analisi delle esperienze religiose tipiche e infine illuminata confrontandola con le altre attività dello spirito; le sue varie forme, che riduce a tre : .misticismo, panteismo, cristianesimo, e spiega come risultato del carattere e del temperamento degli individui e dei gruppi religiosi la sua verità, riposta nella realtà, o meno, del principio esistenziale religioso intorno a Dio. La verità della religione è per lo S., indimostrabile; la filosofia può solo motivare la sua « credibilità », il che è fatto dallo S. basandosi sul a « inelimi-nabilità » del ’esperienza religiosa e sui caratteri specifici di q. esta.
Il nostro brevissimo sunto avrà indicato abbastanza, speriamo, il valore originale di ricerca e di costruzione del libro: e ciò basti qui, senza entrare in una minuta disamina critica che lo spazio non ci consente.
Luigi Salvatorelli.
PSICOLOGIA RELIGIOSA
Dott. Otto Rank, Psychoanalytische Beiträge zur Mylhenjorschung. Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Leipzig und Wien, 1919.
Dott. Theodor Reik, Probleme der Reli-Sionspsychologie', I Teil, das Ritual', fit einer Vorrede von Professor Dr.
Sigmund Freud. Intern. Psychoanalytischer Verlag. Leipzig und Wien, 1919. Da qualche tempo, e più precisamente dal 1893, quando il viennese S. Freud iniziava le sue pubblicazioni di psico
analisi, una fioritura di pubblicazioni analoghe ha tentato diversi campi d’indagine non escluso quello della religione e del mito. Due recenti pubblicazioni, una del dott. Otto Rank su la mitologia e .un’altra del dott. T. Reik sul rito, dànno un serio contributo a queste indagini, variamente apprezzate nel mondo scientifico e filosofico.
Il dott. Rank raccoglie nel volume di cui qui ci occupiamo, 13 dei suoi scritti che vanno dal 1912 al 1914. Quelli che possono interessare un maggior numero di lettori riguardano la mitologia e la psicoanalisi, la simbolica, il simbolo nel pensiero mitologico, il mito e la leggenda. Gli altri sono applicazioni della psicoanalisi a miti e leggende particolari per tentarne una psicoanalitica spiegazione.
Il volume del dott. Reik contiene quattro scritti sul rito religioso antico e primitivo, ritenendo l’a. che l’analisi della religione debba procedere dalla indagine scientifica del rito. In questo volume non sono contenute discussioni di ordine generale, fuorché nella breve introduzione dovuta al fondatore della psicoanalisi, S. Freud; ma si tenta di dar spiegazioni di alcune usanze e riti che non sono senza importanza per la psicologia religiosa. Particolarmente interessante è uno studio sull’antica musica ebraica, dove l’a. cerca di penetrare traverso indagini circa l’origine degli strumenti musicali e del mitico inventore di essi.
Come si sa la psicoanalisi dà parte preponderante ai desideri repressi, e crede trovare nel subcosciente la ragione di gran parte della vita psichica, se non di tutta; onde questa psicoanaliticamente non sarebbe che un meccanismo da potersi descrivere per mezzo di condensazioni, dislocazioni, ecc. I psicoanalisti hanno una eccessiva e non lodevole tendenza a spiegare fatti superiori della psiche riducendoli a fatti inferiori. È stato a loro giustamente rimproverato, p. es., la riduzione, a fatti sessuali, di alcuni fatti della vita psichica superiore, come quelli religiosi coi quali, come si sa, possono associarsi fatti pseudoreligiosi, ma che non sono da confondersi con essi. I psicoanalisti hanno spesso affrontato, con poca preparazione, i problemi religiosi e non hanno dato opere che abbiano portato un serio contributo per risolverle. Ma non si deve disconoscere che d’a
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qualche tempo a questa parte, studi più rigorosi, specie intorno alla mitologia e al rito, come quelli raccolti nei due volumi di Rank e Reik dei quali qui faccio menzione, tendono a mettersi in maggior contatto con le scienze mitologiche e religiose. Da quando G. Bergère pubblicava: Quelques traits de la vie de Jésus au point de vue psychologique et psychoa-nalythique, allo studio di G. Stanley Hall, Jesus, The Christ, in the Light oj Psychologie (1917) si è fatto non breve cammino. Ma quando la psicoanalisi rientra nei confini di una indagine, efficace a spiegare solo alcuni fatti e alcune concezioni e alcuni aspetti della vita religiosa, essa rientra nell’ambito vasto e giustificato della psicologia religiosa, e più sobria e con minori pretese, può esserle di ausilio. Mario Puglisi.
EVOLUZIONE DELL’UMANITÀ
Pu. Hauser, Evolution intellectuelle et religieuse de l* humanité.Tome premier; Paris, Alcan, 1920 pp. xin-803.
Abbiamo incominciato a sfogliare questa opera, abbracciante tutta la storia umana, con molta curiosità mista, non lo nascondiamo, a qualche diffidenza. La diffidenza si è rafforzata quando abbiamo letto il titolo del capo III: Les Phéniciens initiateurs de 1* âge historique . en Europe ; e si è rafforzata, sentendo, a pag. 168, che Mosè a avait reçu à la cour d’Egypte une éducation et une instruction supérieures ». Ma quando poi a pag. 260 abbiamo letto che il vangelo più antico è quello di S. Giovanni (della fine del primo secolo, mentre gli altri tre sono stati scritti al il secolo); ed a pag. 292, che s. Paolo « sut appliquer le principe de l’évolution des êtres organiques, la sélection naturelle, aux choses de l’ordre moral, en fournis-santaux Grecs... les moyens de l’adapter aux idées spiritualistes de Jésus sans renoncer à leur culte pour les beautés de la nature », allora abbiamo concluso che non era il caso di diffidare, ma più semplicemente di
chiudere il libro. L. S.
IL MISTERO UNIVERSALE Karl Jellinek, Das Weltengeheimnis.
Stuttgart; Ferdinad Enke, 1921.
Noto peri suoi studi fisici e chimici, l’a. di questo volume ha tentato in una serie di conferenze, ora qui raccolte, di armonizzare in una poderosa sintesi le scienze naturali c psicologiche, la filosofia, l’arte e
la religione per assurgere a una nuova concezione del mondo e della vita. Quest'opera vorrebbe servire di orientamento per una rinascita spirituale, e vorrebbe perciò interessare i suoi lettori ai problemi dello spirito, infiammarli di entusiasmo per quel pensiero cosmico, manifestantes!, secondo l’a., nel vero cristianesimo e nel vero braman esimo dalla cui sintesi rinascerà la religione futura.
Da quanto qui accenno, può vedersi che l’a. è passato traverso i più svariati campi d’indagine scientifica e religiosa, orientale e occidentale; e credendo egli d’aver trovata la via conducente ài cuore della verità, vuol enunciarla ai fratelli che cercano. Qual è questa via? quale la verità? Chi deve condurci fuori dal caotico confusionismo economico, giuridico e spirituale in cui vediamo aggirarsi invano la dolorante umanità? Causa dell’anarchia dominante crede l’a. sia la specializzazione delle scienze, donde la imperiosa necessità di una sintesi. Un legame indissolubile unisce arte, scienza, filosofìa e religione. La sintesi del sapere umano, lungi dal condurre al dilettantismo, offre, secondo l’A., la liberazione dal confusionismo.
Assai competente nelle scienze fisiche, chimiche e matematiche, ritiene l’a. che un severo metodo scientifico sia applicabile a questa sintesi, schematica per il momento, ma che egli si propone arricchire e completare nelle future edizioni di quest’opera. Non è questa un’opera storica, ma sistematica. Il metodo adoperato per l’arricchimento della conoscenza non è deduttivo, ma induttivo. Alla critica l’a. preferisce la costruzione positiva. Linea centrale di questa costruzione è la ipotesi che egli fa di una supercoscienza ; l’a. anzi desidera che la sua filosofìa si denomini della supercoscienza. Se si ammette, egli dice, che la coscienza può raggiungere un reale, al di là della coscienza medesima, un subcosciente, è necessario ammettere altresì una supercoscienza che lo permetta. Noi non potremmo altrimenti sapere alcun che di ciò che prima era nella coscienza, e che, sparito da essa, è caduto nel subcosciente; il ricordo e con esso il sapere e la scienza sarebbero impossibili. La scienza del subcosciente è solo possibile nel caso in cui si ammetta in ogni uomo (è questa la tesi dell’a.) oltre alla coscienza, una supercoscienza che lega insieme ciò che è cosciente col subcosciente.
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e che permetta di coglier questo per mezzo della coscienza. Si dirà torse che l’a. ha con ciò descritto una funzione di questa supercoscienza ipotetica, ma non ce ne ha esposto la natura o l'essenza? Ma l’a. non si arresta a questa difficoltà. Secondo lui la conoscenza di Dio e la religione medesima non sarebbero possibili senza supercoscienza, che non è l’intuizione, ma ciò che la produce. Questa che, come dico, sarebbe l’idea centrale dell’opera di K. Jellinek, mostra appunto il lato debole della sua costruzione. La confusione che egli fa tra supercoscienza e Dio, dando indebitamente esistenza reale e indipendenza a stati e funzioni psichiche, lo conduce alle più ardite soluzioni dei dogmi. Ma la coscienza in quanto tale, non dà appiglio ad ammettere realtà che sono al di fuori di essa, e l’ammetterlo è già riconoscerli come contenuti della coscienza medesima. Non si può dalla esistenza del subcosciente e dal venire esso dalla luce della coscienza, inferire la esistenza in noi di una realtà supercosciente. Tali premesse o sono insufficienti per una logica deduzione o non autorizzano ad induzione alcuna. La confusione che l’a. fa tra onniscienza e supercoscienza, così quando parla della suprema divinità, io porta a riconoscere la onniscienza come legame che unisce il supercosciente al cosciente; ma per definizione l’onniscienza è negazione di subcoscienza.
Nella rete immensa di vie che si presentano innanzi al lettore di questo poderoso volume, traverso la materia organica e inorganica, l’anima, la teoria della conoscenza, la logica, la psicologia, l’antropologia, la filologia, la sociologia, la politica, l’economia, la metafisica, la teologia, la religione, la storia, e persino la teosofia e lo spiritismo, un’aspirazione appare costante, ed a questa possiamo dare tutto il nostro consentimento senza riserve: che si liberi l’umanità definitivamente da ogni schiavitù settaria e materiale, da ogni imperialismo e materialismo, per raggiungere una forma superiore di vita.
Mario Puglisi.
TEOLOGIA
Gustav Llunggren: Zw Geschichte der Christlichen Heilsgewìsshcit, von Augustin bis zur Hochscholastik. Goettingen, Vandenhoek und Ruprecht, 1920, in-8, Evin-328.
'autore di questo libro, un giovane studioso svedese, si riferisce spesso a Seeberg come maestro; ma dal grande teologoberlinese, per il quale professo anch’io il più profondo rispetto, non ha imparato nè la chiarezza del concetto nè la limpidezza dell’esposizione. Il difetto più grave dell’autore sta però in ciò che si è proposto un compito che sorpassa di molto le sue forze; e così mi spiego il grande confusionismo di questo libro. Di che cosa ha voluto trattare l’autore? Vuole parlarci della « certitudo gratiae» o della < certi-ludo salutis » che è « certitudo spei », o della « certitudo fidei » come fondamento della « certitudo gratiae »? Sono tre questioni diverse che hanno un fondamento diverso •e nelle quali i teologi cattolici hanno avuto le idee più diverse. Studiando questo libro non si sa veramente che còsa voglia ricercare e provare il giovane autore. Parla un po’ di tutto: della « conscientia », della fede, della speranza, della carità, della grazia e del merito, della contrizione ed attrizione, del « timor castus et sérvilis» e di ben altre questioni teologiche. Si sente che l’autore è novizio in questo genere di studi e che gli. è mancata una guida per fargli capire ed afferrare i punti essenziali del dibattito. Ammetto anch'io che tutto è collegato in teologia, però non è necessario di principiare tutte le questioni colla evocazione di Adamo ed Èva. Non era dunque necessario che il giovane autore per diecine e diecine di pagine si perdesse in questioni che direttamente non hanno che fare colle tre « certezze » sopra riferite, pagine che purtroppo spesso sono prive di ogni senso teologico. La circostanza che l’autore ha scritto una parte del suo libro in svedese e l’ha poi fatta tradurre in tedesco e che l'altra parte è stata scritta da lui direttamente in tedesco, lingua non sua, spiega forse questa mancanza di chiarezza; non può però spiegare la mancanza di metodo.
Perchè l’autore dedica alla prescolastica soltanto tredici pagine del libro e non da che un magro sunto di S. Anseimo, Pietro Lombardo, Ugo di S. Vittore e S. Bernardo, passando sotto silenzio tutti gli altri teologi dal secolo sesto a! secolo dodicesimo? La parte più debole del libro è certamente l’ultima nella quale l’autore studia la scuola francescana e domenicana in rapporto alle diverse «certezze ».Non rileveremo però gli spropositi « scolastici » commessi in tal occasione.
Per un preconcetto molto diffuso ih certi ambienti protestanti l’autore ritiene che S. Bonaventura si avvicini di più
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di S. Tommaso ai concetto luterano delia • certezza. » Questo è un errore del quale l’autore si sarebbe accorto se invece di ricorrere quasi sempre al commentario sulle « Sentenze », un'opera giovanile di S. Tommaso, si fosse imposto di applicarsi di più alla Somma. Ivi 2, 2, qu. 18, art. 4, < per totum », avrebbe visto che la certezza della nostra salute « cioè la certitud© spei » non viene basata principaliter sui nostri meriti, ma proviene bensì « prin-cipaliter» dalla fede nell'onnipotenza e nella misericordia di Dio, fede che ogni credente deve avere, anche se è senza meriti e senza lo stalo di grazia. Ogni credente deve dunque avere anche la » certitudo spei ». Ora una tale certezza non fondata su criterisoggettivi e mobili, come la propria opera, ma su verità immobili è precisa-mente quella che cercava Lutero nell’angoscia dei suoi scrupoli.
A. V. MÜIXER.
S. TOMMASO D*AQUINO
Martin Grabmann: Die echten Schrif-ten des h. Thomas von Aquino (Bei-traege zur Geschichte der Philoso-phie des Mittelalters). Muenster i. W. Aschendorfische Buchhandlung, in-8, pag. vi-275,
Grabmann, autore di due grandi volumi sulla « Geschichte der scholàstischen Me-thode • è oggi uno dei migliori conoscitori non dico della scolastica, ma della storia letteraria della scolastica, cioè dei manoscritti di teologia e di filosofia medievale sparsi per il mondo e dei loro rispettivi autóri. Nel volume presente cerca, colla sua grande erudizione e con metodo scientifico, non però sempre inoppugnabile, di stabilire le opere autentiche, dubbie, spurie e perse di S. Tommaso d’Aquino. Questo suo nuovo lavoro è in parte diretto contro il domenicano Mandonnet, anche lui valente storico e di più valentissimo scolastico. Mandonnet aveva di fronte a diversi antichi cataloghi delle opere dell’Aqui-nate voluto stabilire che uno di essi, quello di Bartolomeo dà Capua, che aveva fatto parte della deposizione di costui nel processo di canonizzazione di Tommaso, dovesse essere ritenuto come « ufficiale » e ciò non soltanto nel senso ecclesiastico, ma anche nel senso della critica letteraria, in modo che tutte le opere non comprese in questo catalogo sarebbero almeno di
dubbia autenticità. Il Grabmann dimostra con argomenti, secondo me convincenti, che la tesi del Mandonnet non è sostenibile, che gli altri cataloghi antichi —- fra i quali due addirittura più antichi di quello cosi detto « ufficiale » — debbono essere valutati come questo quando si tratta della autenticità o non autenticità di opere di S. Tommaso. Di più il Grabmann dimostra che quando si tratta di autenticità è necessario anche consultare i manoscritti stessi per vedere a ehi viene da essi attribuita la loro paternità e giustamente pretende che quando i più antichi manoscritti, cioè, nel nostro caso, quelli scritti prima della canonizzazione di S. Tommaso (1323), riconoscibili e databili anche perchè parlano soltanto di « fra Tommaso invece che di San Tommaso » attribuiscono costantemente un' opera all’ Aquinate, bisogna tenerne conto. Questa polemica letteraria fra Grabmann e . Mandonnet non riguarda però le opere principali di Tommaso che sono tutte fuori discussione, ma bensì soltanto dodici opuscoli che Grabmann col suo* metodo riesce ad attribuire a S. Tommaso.
Fra gli altri risultati del libro di. Grabmann, siano stati questi trovati da lui o soltanto approvati e comprovati, i seguenti hanno un interesse letterario maggiore.
L’autore del cosiddetto « Supplemento » alla « Somma » non è nè Pietro d’Al vernia, nè Enrico da Gorkum, ma bensì un Romano, cioè Reginaldo da Piperno, il compagno inseparabile del Santo e suo successore nella cattedra di Napoli. Reginaldo ha tratto questo « Supple ento • dal commentario giovanile dell’Aquinate sulle « Sentenze ».
Pedagogi ed uomini politici s’interessano specialmente per tre opere di San Tommaso, l’una del titolo: De eruditione pnncipum, là seconda intitolata: De regimine pr-ncipum o de rege et regno e finalmente la terza: in Itbros Politicorum expositio. Orbene la prima opera non é certamente di S. Tommaso, ma probabilmente, secondo Mandonnet, di Vincenzo di Beauvais; la seconda non è di Tommaso che nel primo libro e nei tre primi capitoli del secondo libro. Il resto dell’opera, dalla metà del capitolo quarto del secondo libro fino alla fine, cioè la maggior parte dell'opera, non è più di Tommaso e viene attribuita a Tolomeo di Lucca. Ciò risulta .con certezza dall’ispezione
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dei manoscritti. La terza opera ha Tommaso come autore soltanto nei primi due ibn e nelle sei prime lezioni del terzo libro. Il resto dell’opera, dal libro quarto al libro ottavo, è di Pietro d’Alvernia.
Scrittori d'estetica come il Vallet, il Mignon ed il Valsensise citano un preteso opuscolo di Tommaso: de pulchro. Orbene quest’opuscolo non esiste, ma questo preteso opuscolo non è altro che un capitolo del commentario di Alberto Magno, il grande maestro dell’Aquinate, al libro De divinis nominibus dello pseu-do areopagita. La circostanza che questo trattato si trova in un codice napoletano che viene considerato come un autografo di San Tommaso ha fatto credere che il Santo ne fosse anche l’autore e non soltanto il copista.
Tutte le grandi edizioni delle opere di S. Tommaso dànno due commentari dell’Aquinate sul Cantico dei cantici. Pochi anni fa il Vrede ha dimostrato che uno di questi commentari esisteva già diversi secoli prima di San Tommaso e che l’altro appartiene ad Egidio Colonna o Romano. TI commentario autentico di S. Tommaso su questo libro della sacra scrittura non è stato finora ritrovato.
Perduto rimane finora anche il trattato di S. Tommaso sull’eucaristia a proposito del quale Cristo gli avrebbe detto: «Bene scripsisti de me, Thoma!» Grab-mann ha ancora una tenue speranza di rintracciare questo opuscolo perchè in un catalogo dei manoscritti del convento camaldolese di S. Michele di Murano viene segnato col numero 723 un trattato De corpore Christi S. Thomae de Aquino a proposito del quale Cristo avrebbe pronunziato le su riferite parole. (Mitta-relli : Bibliotheca codicum manuscriptorum monasterii S. Michaelis prope Murianum. Opus posthumum ecc... Venetiis 1779 pag. 1123 s.) Forse quest’accenno aiuterà a rintracciare questo manoscritto. Grab-mann terrebbe a sapere dove sono andati a finire tutti i codici di Murano.
A S. Tommaso teologo e poeta vengono attribuiti gli inni Pange lingua, Verbum Su-grnum, Sacris Sollemniis e la sequenza tuda Sion e del resto tutto l’ufficio e la messa «infesto corporis Christi» come si trova oggi nel breviario e nel missale. Ultimamente però uno scienziato di fama mondiale, come Don Germain Morin dopo Henschenius e Papenbroch ha espresso il dubbio che S. Tommaso non sia l’autore del
l’inno Verbum Supernum ma che l’avesse già trovato nell’ufficio,;« de corpore Christi » in uso allora nella chiesa di Liegi, del quale il Santo si sarebbe servito nella composizione del suo. Purtroppo Grab-mann non ci dà le ragioni sulle quali si fonda il Morin, ma si contenta di farci sapere che il gesuita Blume li ha trovati insufficienti! Che metodo scientifico è questo ? Credo che molti lettori rimarranno con me titubanti non potendo l’autorità sola del Blume, anche se appoggiata dal Grabmann, opporsi senza prove all’autorità universalmente riconosciuta del Morin. Non sono finalmente decisivo le prove addotte dal Grabmann per attribuire a S. Tommaso la bellissima e profondissima’ poesia eucaristica « Adoro te devote latens deitas» e talune preghiere eucaristiche come « Concede mihi miseri-cors Deus ». E poco probabile, come vuole il manoscritto finora più anziano del «Adoro te », che Tommaso abbia fatto questa ammirabile poesia e preghiera nelle ultime ore della sua vita, mentre le sue « vite » non ne sanno niente.
Una fonte simile non merita gran credito. È possibile che Grabmann, l’instancabile ricercatore, riesca a trovare prove migliori. A. V. Müller
SOTEREOLOGIA DI S. BONAVENTURA
Romano Guardini: Die Lehre des heiligen Bonaventura, von der Erloesung, Duesse!dorf,Schvann,i92i,in-8,p.xx-2o6 È una tesi di laurea. Il laureando vuole darci un’idea completa della sotereologia di S. Bonaventura non soltanto per farci conoscere l’intero pensiero di Bonaventura a questo proposito, ma anche per farci vedere tutto lo sviluppo teologico che aveva preso l’idea della redenzione nel corso dèi secoli. Al contrario di taluni dei suoi predecessori, che hanno trattato della sotereologia di San Bonaventura, come Rivière, Harnack e Seeberg, il giovane laureando non si contenta di compulsare il commentario alle Sentenze, il Brevi-loquium e l'Itinerarium mentis ad Deum ma rovista tutte le opere del Santo a questo scopo... Che il guadagno scientifico generale corrisponda alla fatica sprecata dall’autore non oserei dirlo. Certo fa piacere di conoscere le fonti di S. Bonaventura in questa materia: Agostino, Anseimo, Pseudodionisio e Alessandro di Haies.
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Ma in linea generale ciò era già conosciuto e saputo e l’autore lo dimostra soltanto in tutti i particolari. Questa parte del lavoro è ben fatta. Peccato che il giovane autore non faccia che sfiorare il pensiero Bona ventu riano ed eviti qualunque accenno a controversie nel campo teologico sia cattolico sia protestante.
A. V. Müller
DANTE E DA RIFORMA
P. Chiminellt, La fortuna di Dante nella Cristianità riformata, Roma oBilychnis», 1921, p. xi-266, L. io:
Indubbiamente Dante ha esercitato nella cristianità riformata un'efficacia spirituale che non è possibile negare: quel travisamen-, to storico che costituisce la forma più fattiva deH’idealismo c che naturalmente poggia sulla concezione subbiettiva della vita e del pensiero altrui, ha deformato le fondamenta stesse della mentalità dantesca ed ha costituito una forza di propulsione assolutamente notevole per la riforma. Il Dante « deformato ».per dir così, dalla rivoluzione luterana all’anticlericalismo massonico, ha avuto una fortuna che non di rado è mancata al Dante « vero ».
Il Ch. è naturalmente, come tutti noi, convinto di una tale deformazione, ma ha inteso in parte di metterla in evidenza, con l’esposizione del successo che ebbe Dante presso gli uomini maggiori del protestantesimo, non già con l’intento consapevole o no della deformazione, ma con l’animo dell’erudizione e del gusto letterario. Forse più che questa quel a parte avrebbe avuto maggior interesse fer noi, fondata come fu e come altri ha dimostrato già, sull’interpretazione del de monarchia e poggiata sulle invettive dantesche che fecero apparire per l’appunto Dante come un precursore della Riforma. Precursore invece non fu perchè non appartenne neppure a quella corrente antiscolastica di pensiero che, come dimostrerò quando mi sarà possibile, fu presso di noi la reale corrente di protestantesimo.
che non si formò in forma travolgente sol per ragioni’ speciali. Dante ebbe tutt’al più l’anima d’un riformatore ecclesiastico, non l’animo di un riformatore religioso come Lutero.
Premesso ciò, trarremo facilmente la conseguenza che il buon lavoro del Chiminelli ha in fin dei conti un difetto di visuale, che mentre l’avrebbe reso più snello e più vivace, l’avrebbe sottratto dalle opere di pura erudizione e l’avrebbe reso più interessante e più suasivo. Così, senza un accenno alla fortuna di Dante nel momento in cui i Riformati lo studiarono, appare monco e non abbastanza efficace ed il lettore resta dubbioso dinanzi alle sue conclusioni e si chiede se Dante ebbe valore per i riformati solo o pur per gli altri.
Il Ch. è inoltre un giovane di una grande attività e di una notevole tendenza alla lotta per gli ideali che lo entusiasmano giustamente e santamente. Questo suo carattere sprizza dal suo stile eoa una esuberanza non di rado esagerata, con un manierismo che ha bisogno di sobrietà , con un’indeterminatezza di pensiero che domanda freddezza di studio e costrizione di lavoro. Il suo lavoro bibliografico sulla Riforma doveva costituire per lui un ottimo mezzo di esercitazione fredda. Checché egli ne dica, questo su Dante egli l’ha scritto con l’animo dell’apologeta, non con quello dell’erudito, ma, ripeto, è rimasto un po’ troppo nell’equilibrio per essere efficace: doveva buttarsi verso l’apologià completamente ed il lavoro avrebbe avuto mag-Sior valore e forse difetti di stile e
i pensiero gli sarebbero stati evitati.
Non glieli rimprovererò perchè i giovani vanno incoraggiati quando si comprende che possono e vogliono fare e non arruffare; ma mi auguro che egli li riconosca e li corregga in una prossima edizione o in un prossimo lavoro. Ad onta di tutto ciò, questo si legge volentieri: è utile ed interessante: per chi vuol fermarsi a mezza strada può anche bastare. Io spero però che il Ch. non si accontenti.
G. C.
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Raccolta di articoli già pubblicati durante la guerra e, come tali, in gran parte sorpassati. Ciò non toglie che non si leggano con piacere, anche se in molti la rettorica e il luogo comune, giustificati solo dai bisogni del momento, ora ci stanchino. Il saldo e forte sentimento cristiano dell’A. può trovare ori-mai più sobrie forme e più sicure vie.
Maine de Biran, M ¿moire sur les pcrccptions obscuros. Paris, A. Colin, 1920, p. xx-66, Fr. 3.
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P. Villctard, M. et M.me Bilie. Paris, A. Michel, 1921, p. 249, Fr- 6,75D. De Estolla, Meditaciones devotísimas del amor de Dios. Madrid, Gil Blas, p. xv-463, Pesetas 6.
Bellissima edizione e buon prologo di R. Leon dell*Accademia spagnuolà, ma quanto al testò dei padre de Estolla faccio le mie riserve: ho sfogliato le numerose pagine ed ho osservato i xoo capitoli che costituiscono altrettante meditazioni e ñon ho trovato nulla di veramente speciale. La Spagna è ricca di tanti bei libri di fede e di entusiasmo religioso che non mi pare proprio, si sentisse il bisogno di ripubblicar questo, sia pure in una raccolta che vuol rimettere in luce testi dimenticati;
A. Brucrs, Gabriele D’Annunzio e il moderno spirito italico. Roma, La Fionda, 1921, p. 142, L. io.
Vecchi studi, principalmente letterari, sul D’Annunzio, sui suoi presupposti lirici e filosofici c sulle caratteristiche del temperamento e dell’arte sua vista dal lato spirituale. Non è qui il luogo di discu-tere con l’A. sulle tesi sostenute: ritengo piuttosto
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che la figura di D’A. sia così complessa c così sfuggente che non è facile farne la sintesi in poche pagine. Quanto alle affermazioni più generali del B. vi sarebbe molto da osservare. Dal 1910 ad oggi — per citarne una — sono passati altro che n anni e come la generazione d’allora preparasse il ritorno del Cristo il 1914 l'ha ben veduto...
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Questi due numeri di due buone collezioni artistiche di carattere popolare, ben illustrati e sobriamente muniti di un testo informativo sono raccomandabili ad ogni sorta di lettori. L’iconografia dei santi rende dei servizi non solo artistici, ma pur storici di grande valore; la documentazione dì località celebri per le loro glorie religiose, come i famosi calvari bretoni, di preistorica memoria, interessa non solo l’artista, ma pur lo studioso del fenomeno religioso. Una serie siffatta di lavori va incoraggiata e diffusa.
A. Pascal, Gli antitrinitari piemontesi. (G. P- Al-_ cìati)~PineroIo7 Tip. Sociale, 1920, p. 93P. Fornati, Il gran segreto di Dante svelato. Roma Scuola Tip. Salesiana, 1921, p. 15, L- 3S. Vivekananda, Karma Yoga. Leipzig, Theo-sopbisches Verlagshaus, p. 194, Mk. x$.
V. M. Sedgwick, Cristo maestro. Napoli, Federazione Studenti per la Cultura Religiosa.
Di questo opuscolo, così benevolmente noto in Inghilterra, la F. S. per la C. R., ha curato di recente la traduzione e la stampa, convinta di fare opera utile a tutti coloro che s’interessano della educazione dei giovani: tutto il libro, scritto in forma piana ed accessibile, è' pervaso da quello spirito di bontà c di amore che caratterizzò tutta la vita e l’insegnamento del Cristo. In questi tempi in cui tutti sono agitati dal desiderio tenace di godere, il sentirsi ripetere che l’educazione deve preparare alla vita, che questa non è divertimento, ma missione e sacrificio, è cosa che riempie l’animo di speranza e che infonde energia novella per degnamente combattere le battaglie dell’esistenza, spesse volte aspra e dura. Lo raccomandiamo perciò vivamente a tutti.
H. Wirth, Homcr und Babylon. Freiburg, Herder e Co, 1921, p. xix-235, Mk. 75»2OP. Bureau, Quinze Annies de Siparation. Paris, Bloud et Gay, 192 x, p. 248.
!.. Héraon, Maria Chapdelaine. Paris, B. Gras-set, X921, p. 255, Fr. 6,50.
J. Russell Howdcn. The old palhs in thè tight of modem thought. London, The China Inland Mission, p. vni-99 Sii. 2,6.
M. Quartana, La donna romana nella letteratura latina del I secolo. Palermo, Sandron, 1921, p. X-X35 L. 4.
Si tratta di una serie di saggi, scritti con simpatica esuberanza giovanile, sulle domne quali ci appaiono nelle opere di Seneca, nel poema di Lucano, nella poesia di Stazio e nella Satira di Giovenale, preceduta da un saggio sull’ideale repubblicano della donna romana. Lavoro di compilazione, che merita indubbiamente lode, perchè vale più dei cosidetti lavori critici in quanto offre materiali, anziché rovinarli, a quel lavoro di sintesi che l’Ussani nel presentare il libro giustamente auspica. Se l’A. vi $i accingesse dovrebbe scindere nelle analisi letterarie, più di quello che non abbia fatto, il lato convenzionale dal lato veramente sentito e fondare il suo studio sui molti documenti (epigrafi, papiri, monumenti) che possediamo. Auguriamoci che questo lavoro sia presto compiuto da chi già vi si mostra cosi bene avviato.
E. Bréhier, Hisloire de la 'hilosophie allemande. Paris, Payot et C., 1921, p. i( , Fr. 4.
Manualetto breve, ma me to chiaro e mólto preciso sulla filosofia tedesca: fa parte di una Collezione speciale diretta e compilata da buoni autori.
C. Curdo, L’ideale della vita. Napoli, L’Idea Editrice, 1921, p. 41.
C. Curcio, L’estetica Italiana contemporanea. Napoli, A. Morano, 192X, p. 91, L. 4.
E. Grisebacb, Die Setolile des Geisies. Halle, M. Niemcyer, 1921, p. 162.
O. Braun, Geschichtsphilosophie, Eine Einfa-torung. Leipzig, F. Meiner, 1921, p. 127, Mk. 12.
Una guida, in modeste proporzioni, della filosofia della stòria, scritta in forma vivace e sintetica, tanto da poter illuminare non solo i principianti, ma anche quanti vogliano rivedere compendiosamente le loro cognizioni della materia. Precede una breve storia dalla filosofia della storia dall’antichità a O. Spengler. Una sommaria bibliografia chiude il volumetto che non vuol essere una costruzione originale, naturalmente, ma un’esposizione spigliata c chiara delle opinioni e dei sistemi altrui.
Hephzi-Bah, Michdel or .Christ in thè Clouds. London, E. Stock, 1921, p. 5$, Sh. x,6.
J. Dare, Where thè churches fati. London, R. Scott, 1921, p. vili-96, Sh. 3.
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BILYCHNIS
F. Crawford Burkitt, Eucharist and sacrifici. Cambridge, W. Hefter and Sons, X92X, p. 23, 23, Sh. x.
J. Borei, Coloquios. Torino, Società Ed. Internazionale, 1921, p. 246.
G. Borei, Entfettens. Torino, Società Ed. Internazionale, 1921, P- 245.
Come lo dicono i titoli si tratta delle traduzioni francese e spagnuola dei Notissimi Colloqui di G. Borei, il cui valore non solo letterario, ma pur psicologico è ben superiore alle famose Confessioni a Giulia di cui già parlammo. Il 2® ed il 3® quaderno, sopratutto, meritano una considerazione ed un apprezzamento che sarebbe ingiusto tributare ai x® che avrebbe dovuto esser soppresso. Naturalmente questo giudizio è grave dal punto di vista del valore che può assumere il massimo documento della conversione intellettuale e letteraria del B. in quanto che fa passare dalla sua volontà o, se si vuol dir meglio, dall’influsso religioso ad un’altra causa, più eccezionale, il movente della sincerità delle sue confessioni, troppo orgogliosamente chiamate «colloqui». Comunque ciò sia, poiché qui non si esamina l’opera, male sue traduzioni, che pur senza confrontarle con il testo sembran buone, in genere, si deve convenire che non è stato male curarle: di fronte a tante nullità straniere decantateci come geni, il B. può servire con vantaggio a sostenerne il con fron tol
G. Bchrmann., Die Si. Pelri und Paulikirche su Bergedorf. Bergedorf, Köster u. Wobbe, 1921, p.xjò.
A. Nussbaumer, Das Ursymbolum nach der Epi-deixis des hl. Irenäus und dem Dialog Justins des Märtyrers mit Trypho. Paderborn, Ferdinand Schö-ningh, 1921, p. XX4, Mk. 15.
C. T. Strauss, Buddha und seine Lehre, Leipzig, Peter Reinhold, 1921, p. 46, Mk. 4.
P. O. Cohausz, Bilder aus der Urkirche. Leipzig, Vier Quelen Vertag, 192X, Band. I, p. 404, Mk. 22
Bossuct, Sermon sur la mori et mtditation sur la briiveli de la vie. Paris, Hellen et Sergent, 1921, p. 80.
Opuscolo in ediz. tascabile, quale si desidererebbe per tutte le opere di meditazione e di viatico spirituale. Il sermone sulla morte di B. non è certamente capitale nell’opera sua, ma ha qualche tratto interessante che può costituire uno spunto buono per quell’esame di coscienza che è necessario fare. In quest’edizione è accompagnato dallo schizzo di meditazione sulla brevità Hella vita e edito in testo decorosissimo e sobriamente illustrato da fregi e da un ritratto di Bossuet. È il terzo volumetto d’una
collezione « filosofi e moralisti»che non conoscevamo ancora ma che auguriamo al benemerito editore di continuare con operette che siano all’altezza del nome del Bossuet.
M. Hartmann, Zur Geschichte des Islam in China Leipzig, W. Heim, 1921, p. XXIV-X52, Mk. 50.
[American Agnosticj: Rebuilding a lost faith. London Burns Oates and Washbourne, 1921, p. vx-222, Sh. io.
Harnack-Ehrung, Beitrage zur Kirchengeschichte ihrem Lehrer Adolf Von Har nach zu seinem siebzigsten Geburstage. Leipzig, I. C. Hinrichs’sche Buchhandlung, 1921, p. xxi-483,'Mk. 50.
H. Borel, The rhylhrn of life based on thc philoso-phy of Lao-Tse. London, J. Murray, 1921, p. 89, Sh. 3,6.
M. V. Greifet, Eugene Burnand’. sa vie, son oeuvre. Paris, Èditions de Foi et Vie, 1921, p. 48.
Breve opuscolo che illustra in pochi e semplici tratti, con aiuto d’illustrazioni, se pur ridotte, molto nitide, la personalità del B. che i nostri lettori già conoscono per la speciale illustrazione che ne facemmo, ancor durante la sua vita. Non si può dire forse che esista una pittura protestante, ma è certo che nessun pittore ha incarnato meglio di lui l’anima religiosa del protestantesimo, per dir cosi, non solo nella pittura religiosa, ma pur in quella della natura, in cui è stato veramente sovrano. Si dice ch’egli non senta il divino; io credoch’egli l’ha sentito come una realtà immanente nell’ambiente o nel paesaggio dipinto con un’universalità di sentimento che non è forse ben apprezzata perchè è ricercata in particolari ed in atteggiamenti che dovevano sembrargli, come effettivamente sono, teatrali.
L’opuscolo del G. dovrebbe esser nelle mani di quanti amano l’art$ che non è semplicemente disegno impeccabile senza anima e senza idea, ma vita e bellezza.
N. Söderblom. Zur religiösen Frage der Gegenwart. Leipzig, I. C. Hinrich, 1921, p. 32, Mk. 4A. C. Emmerich, Visioni Evangeliche. Milano, Volonteri e C., 1921, p. 183, L. 5.
A. Henrion, Sorella Chiara la primogenita del Poverello. Milano, Libreria Ed. Pop. Ital., 1921, p. XV-30X. L. 16.
Fr. Del Greco, La personalità del « Tossicomane ». Estratto della • Riv. It. di Neuropatologia », 1920, p. X2.
Studio medico e psicologico, anche dal punto di vista sociale della personalità del vizioso per inge-rimento o uso di modi tossici.
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Fondata con questo programma, tende ad abbracciare tutte le differenti manifestazioni dell’attività sociale ed intellettuale per riportarle a quell’unità fondamentale della vita, all’infuori della quale non può esservi comprensione vera delle esigenze e delle aspirazioni di un’epoca.
Contro la sofistica della più gran parte del pensiero contemporaneo, essa propugna la revisione fondamentale dei valori e dei problemi sociali, non scompagnandola mai da una obiettiva considerazione della realtà vivente.
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