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BILYCHNI5
RIVISTA DI STvDI REUGIO5I EDITA DALLA FACOLTÀ DELLA 5CVO= LA TEOLOGICA BATTISTA DI RÓMA
GENNAIO-FEBBRAIO 1913
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BILYCHNIS - Gennaio-Febbraio 1913
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“BILYCHHI5,, HEL 1913
Possiamo fin d’ora annunziare che durante l’anno verranno pubblicati nella Rivista i se guenti studi:
Giacomo Natali : Costantino, sua religiosità, sua politica religiosa {con illustrazioni). — Dott. Giovanni Costa : La battaglia di Costantino a Ponte Milvio {con illustrazioni). — Id. : La eosidetta persecuzione Dioclezianea. — Furio Lenzi: Di alcune medaglie religiose del quarto secolo {con illustrazioni). — Aschenbrödel: Le Odi di Salomone {Prima ed unica traduzione italiana con note autorizzata da Rendei Harris e con riproduzioni di pagine manoscritte inedite). — Ip. : La biografia di Giorgio Tyrrell. — Francesco Biondolillo: La religiosità di Francesco Petrarca {con illustrazioni). — Arnaldo Cervesato: Mazzini e noi. — Id. : La Scienza e la Fede. — Angelo Crespi: L’evoluzione della religiosità nell’individuo. — Id. : L’evoluzione della religiosità nella società. — Gianni d’Arba : Il sentimento religioso degl’italiani {con illustrazioni). — M. Velato: L’antica Palestina e gli scavi recenti {con illustrazioni). — Id.: Gli Anabattisti. — M. Rosazza : Fedi crepuscolari. — Paolo Orano : IV. Dio nella scienza ; V. Dio nella coscienza; VI. La pazzia; VII. La morte; Vili. Anima, religione, società. —- Giovanni Luzzi : Il modernismo nella Chiesa Cristiana del primo secolo. — Federico Hermanin : Rappresentazioni della vita nell’arte sacra italiana del medio evo {con illustrazioni). — Licurgo Cappelletti : Saggi sulla Riforma in Italia {con illustrazioni). — G. Lesca : Sensi e pensieri religiosi nella poesia di A. Graf {con illustrazioni). — Giosvh Salatjello : L’umanesimo di S. Caterina {con illustrazioni). — Giov. E. Meille : La sociologia di Gesù Cristo. - Id. : Gli sforzi verso l’emancipazione dell’IsIam e l’avvenire dei popoli mussulmani. — Lodovico Paschetto : La religione primitiva in Sardegna e gli studi del Dott. Peltazzoni {con illustrazioni). — Mario Falchi : I pericoli che minacciano i giovani dell’epoca nostra dal punto di vista religioso. — Silvio P. Pons: Voltaire giudice dei «Pensieri» del Pascal {con illustrazioni). — Antonino De Stefano: Adele Kamm.
Siamo stati- onorati da altre buone promesse di collaborazione tra cui menzioniamo quella dell’illustre prof. Alessandro Chiappelll
Il Dott. Ernesto Rutili continuerà a darci le sue Cronache di vita cattolica e altri collaboratori si occuperanno, nelle « cronache » di Sionismo e delle Chiese cristiane orientali.
Sarà nostra cura di alimentare abbondantemente la rubrica Tra Libri e Riviste che tanto favore ha incontrato presso i nostri lettori.
Invieremo in dono di nostri abbonati:
Il 3° voi. della Biblioteca di Studi Religiosi : I BATTISTI (vedi il sommario più avanti) già pubblicato e il volume 4° (in preparazione) dal titolo VERSO LA FEDE contenente scritti originali di noti autori italiani.
Prezzo d’abbonamento annuo: per l’Italia L. 4, per F Estero
L. 6 ; un fascicolo separato cent. 75, per l’Estero L. 1.
indirizzare corrispondenze, articoli e abbonamenti al Prof. Lodovico Paschetto. Via Crescenzio, 2 - Roma. --------------- SI ACCETTANO INSERZIONI A PAGAMENTO ------------------------------------
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“BILYCHNIS,, NEL 1912
SOMMARI DEI SEI FASCICOLI
Fascicolo I — {Gennaio-Febbraio).
Introduzione (La Redazione)— La scienza e la Fede cristiana 0. Orr. prof, a Glasgow. Scozia). — Ricordi studenteschi (L. I’.). — Il posto della Bibbia (B. Labanca, prof, nel-l’Università di Roma). L'insegnamento della Bibbia (E. Catellani, prof, nell’università di Padova). — Il libro più umano e più divino (A. De Gubernatis, prof, nell’università di Roma). — Che cosa dev’essere la Bibbia per noi ,(F. De Sarlo, prof, nell’istituto Superiore di Firenze). — Il Concetto della Vita nel Nuovo Testamento (Giacomo Natali). — La Dottrina dell'Espiazione (D. Scalerà). — Duchesne demolitore (D. G. Whittinghill, Th. D.). — Profili di anime convertite (P. Chiminelli). — Modernismo cristiano (avv. G. Avolio, Direttore di «Battaglie d’Oggi»). — Il mio modernismo (D. Battami, direttore di «Cultura Moderna»). — Religione e Religioni di Otto Pfleiderer (N. H. Shaw). — Il culto di Vulcano e l’antichità di Ostia (prof. L. Paschetto).
Note e Commentii La Religione di Mario Rapisardi (G. Fasulo). — II Signore « degli Eserciti » (prof. M. Falchi). — L’Apostolo (G. Adami). — Padre Giacinto Loyson (L. P.) — L’Anima religiosa di G. Rossetti (L. P.).
Tra Libri e Riviste: Un libro in regalo. — Antico Testamento: Isaia XXIX, x8 (L. PJ. Il documento P nell’Esateuco (P..C.). Mosè e i Libri mosaici (L. P.). Amos (L. P.j. Tracce di babilonese nell’A. T. (P. C.). — Nuovo Testamento : Un nuovo commentario del N. T. (D. G. W.). «Orpheus» e l’Evangelo (prof. G. Nesi). Grammatica del N. T. Greco (D. G. W.). Gesù male accolto a Nazareth (P. C.). — Storia del Cristianesimo : Il .Cristianesimo e la Libertà religiosa (L. P.). Gesù e il Mito di Cristo (prof. G. Nesi). Le origini Cristiane della Tripolitania (L. P.). Intorno 'a Lutero (P. C.). — Storia delle Religioni : L’♦ Orpheus» di S. Reinach (prof. G. Nesi). — Morale: I sofismi della gioventù (professore M. Falcili). Per essere apostolo (prof. M. Falchi); — Religione e questioni sociali : Il valore sociale-dell’Evangelo (E. M.). Per la libertà religiosa. LeChiese e la questione sociale (A. M.). — Filosofia e Religione: Il credente moderno (E. M.). La Religione d’oggi (A. Fasulo).
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s * Là filosofia della croce (I). Scalerà). — Archeologia: Necropoli cristiana ad Ain-Zara. -Polemica : Intorno al battesimo (O. Cocarda). , '
Illustrazioni 3 Ritratti di Mons. L. Duchesne. — Mario Rapisardi. — P. Giacinto Loyson., — Gabriele Rossetti. — Il tempio di Vulcano ad Ostia, disegno.
Fascicolo II — (Marzo-Aprile).
Introduzione (Redazione). — Il prossimo (Traduzione di Giovanni Pascoli). — Giovanni Huss e Girolamo dà Praga (Licurgo Cappelletti). — L’Islam moderno (Giovanni E. Melile). — L’opera spcnceriana (Giovanni Luzzi). — Il misticismo di Caterina da Siena (Giosuè Salatiello). — Crisi contemporanea (Angelo Gambaro). — Il sogno di venerdì santo e il sogno di Pasqua (Alfredo Tagliai atela). — Cipriano di Cartagine e il suo concetto di Chiesa (Ernesto Rutili). — «Tu es Petrus» (Di G. Whittinghill).
Note e Commenti: L'anima religiosa di ‘Giuseppe Mazzini (Ugo.Della Seta). — Giovanni Pascoli (Ernesto Rutili). — L’on. Murri e l’anticlericalismo (Sàlniastro). — Upton ‘ Sinclair (G. Adami).
Tra Libri e Riviste s Un libro in regalo. — Antico Testamento : Il salmo 68 (P. C.). — Nuovo Testamento: Lo scopo della venuta di Cristo (P. C.). — Filosofia e Religione: Il materialismo storico (Enrico Meynier). William James (G. Nesi). La Fede ed il pensiero moderno (M. F.j. Il genio religioso (G. N.). — Storia del Cristianesimo : Giuliano l'Apostata (P. Chiminelli). L’ora decisiva delle missioni Cristiane (H. P. Piggotl). Saggi storici e biografici (L. Jordan). — Morale: Morale e religione (M. F.). — Polemica: Intorno al Battesimo (O. Cócorda). La Bibbia e il Protestantesimo-(A. Fasulo). — Notizie.
. Illustrazioni : Giovanni Huss (da una stampa boema). — II supplizio di G. Huss (da un quadro boemo). — Bosforo : un piccolo cimitero d’una setta musulmana (fot. L. Pa-schetto). — Damasco : convento di Dervisci (fot. T. André). — Caterina- da Siena (fot. AH-nari). — Sogno di venerdì Santo. — Ritratto di G. Mazzini.
Fascicolo III — (Maggio-Giugno).
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« Io ti ammonisco, Italia...» (Gerolamo Savonarola). — Fu il Pascoli poeta cristiano ? (Alfredo Tagliatatela). — La rinascita dell’anima (Note d’un pensatore «libero». Paolo Orano). — Del metodo nello studio della Storia delle religioni. (A proposito di recenti manuali di S. d. R.) (Mario Rosazza). — Inumazione e Cremazione (F. Fornati). — La vita religiosa di Roma antica (G. Natali). — L'autocefalia della Chiesa di Salona (Furio Lenzi). — Cipriano di Cartagine e il suo concetto di Chiesa (Ernesto Rutili). — Arte religiosa domestica (Giovanni E. Meille).
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Note e Commenti 9 Nuovi profili di anime convertite (P. Chiminelli). — Creta madre (Michelangelo Billia). — « Il signore degli Eserciti » (O. Cocorda). — Intorno alla religiosità del Pascoli (A.' Baratone). — I due Socialismi alle prese (E. Gonnelle).
Tra Libri e Riviste : Nuovo Testamento : Chi non è con me è contro di me (P. C.). Gli elenchi degli apostoli nel N. T. — Filosofia e Religione: La Bibbia e le Scienze naturali (R. Teubel). Cristianesimo e Critica (A. Fasulo). — Religione e questioni sociali : Il significato sociale della vita e dell’insegnamento di Gesù (E. Meynier). — Storia delle Religioni: Un manuale di S. d. R. (D. Scalerà). India antica (L. P.). — Storia dei Cristianesimo: Storia dei Dogma (F. Lo Bue). I grandi Santi (E. Meynier). I Padri delia Chiesa (L. P.). La riforma (L. P.). — Archeologia : Ostia Colonia Romana. — Notizie.
illustrazioni : Ritratto (Gerolamo Savonarola). — Ritratto (Giovanni Pascoli). — La vita a Castel vecchio. — Lo studio. — Castel vecchio. — Barga. — Inumazione e cremazione : Discesa della bara nell? fossa. — Tomba neolitica. — Coperchio per mùmmia egizia. — Sarcofago dipinto con cerimonie religiose trovato nell’ìsola di Creta. — Anfora con' rap-. presentanza del rogo di Patroclo. — L’autocefalia della chiesa di Salona : Grande mosaico lateranense. — Cimitero di Manastirine. — Sarcofago di Primus. — Mosaico della basilica urbana di Salona. —- Iscrizione del vescovo Johannes (?) — Epitaffio dell’arcivescovo Massimo. — Arte religiosa domestica.
Fascicolo IV — (Luglio-Agosto).
Là religiosità di Teofilo Folengo (Francesco Biondolillo). — L’ « Orpheus » di Salomone Reinach (Mario Rósazza). — A proposito di J. - J. Rousseau (Raoul Allier). — Il culto dei Santi nell’IsIam (Giovanni E. Metile). — La riforma (Enrico Meynier). — «Tu es Petrus» (D. G. Whittinghill).
Note e Commentii II «Caso Semeria» (Ernesto-'Rùtili); — Là «Contemplazione' della Morte» di G. D’Annunzio (Luigi Renzi).
Spigolature 1 Tumulto d’anime (R. Ottolenghi, P. Orano, Leone Luzzatto). — Conferenze Murri in America (da « La Patria degl’italiani »). — La preoccupazione religiosa del Fogazzaro (P..Molmenti). — Ancora J.-J. Rousseau (L. P.). — Enrico Poincaré e là religione (Memor). —-;Le idee che non muoiono (Scipio Sighele). — Il generale Booth (da « La Stampa»). — L’inquietudine religiosa (Scipio Sighele). — Cristianesimo e Buddismo (Luigi Luzzatti).
Tra Libri e Riviste 1 Le nostre pubblicazioni : Il Pergamo (Pietro Chiminelli). — Storia del Cristianesimo: Intorno ad Agostino. Storia della Chiesa in Germania. La Riforma in Francia. Le Chiese cristiane. La leggenda cristiana di S. Simeone stilila e le sue origini pagane. — Storia delie Religioni: Bahaismo. Mitra. — Antico Testamento: La Bibbia in Tedesco. — Polemica : Intorno al Battesimo (Oscar Cocorda). — Religione e Filosofia : Dogmatica. — Religione e questioni sociali : La legge mosaica e i suoi effetti pratici. — Nelle Riviste estere ed italiane: Riviste inglesi — Riviste tedesche — Riviste francesi — Riviste italiane — Libri ed opuscoli pervenuti alla redazione. — Notizie.
Illustrazioni : La chiesetta dovè fu seppellito il Folengo. — Ritratto (J.-J. Rousseau).
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Fascicolo V — (Settembre-Ottobre).
La rinascita dell’anima: IL L’illusione scientifica (Note d’un pensatore «libero». Paolo Orano). — Il problema di Lutero e la critica moderna (Mario Rosazza). — Il regno dello spirito è democrazia (Angelo Crespi). — Le Général Booth, une noble vie et une grande œuvre (Bianche Peyron-Roussel). — Lo stato attuale della critica biblica del Nuovo Testamento (J. Breitenstein). — A Dio o ad uomini? (Joh. Lover). — Ordini e confraternite dell’IsIam (Giov. E. Meille). — Il culto di Mitra ad Ostia (Lodovico Paschetto). — Il Papa e il modernismo (Arnaldo Cervesato). — Quanto valga il giuramento antimodernista (Ernesto Rutili). — Un antico Battistero scoperto recentemente a Roma (L. P.). — Una parabola di Gesù : Le vergine savie.
Note e Commenti 1 II «Caso Lagrange» (E. R.). — Ancora sul «Caso Semeria» (E. Rutili). — Un buon socialista dev’essere ateo? (G. Adami).
Tra Libri e Riviste e Storia delle religioni : II Congresso di Leida (R. Pettazzoni). Israele (R. Teubel). — Storia del Cristianesimo: Il metodismo (B. Labanca). L’evoluzione del dogma cattolico (E. R.). — Archeologia : Archeologia cristiana (L. P.). —- Psicologia religiosa: Bibliografia. Psicologia del misticismo. — Filosofia e religione: Scienza e fede (E. R.). — Religione e arte : S. Francesco e Savonarola ispiratori dell’arte italiana. — Varia : Mazzini e religione (Er.). Il prete, il suo passato e il suo avvenire (E. R.). La Croce (P. Chimi-nelli). La letteratura ebraica e le invenzioni moderne. Pourquoi je suis chrétien.
Illustrazioni: Ritratto di Lutero (Lucas Cranach). — Ritratto (William Booth). — Critica del Nuovo Testamento : Pagina del manoscritto sinaitico e pagina del manoscritto Alessandrino. Un «ostrakon» del VII sec: dopo Cr. con un passo di Luca. —IsIam: A Gerusalemme : luogo di preghiera dove s’ergeva una volta il tempio di Salomone. — Moschea della Roccia: Il pergamo d’estate, da cui si predica il venerdì durante il mese del Ramadan. — Il culto di Mitra ad Ostia: Scultura rappresentante il sacrificio del toro. Due sculture rappresentanti Kronos. Scultura col sacrifizio del toro. Pianta del Mitreo scoperto dal Visconti nel 1860. Edicoletta con l’imagine di Silvano in mosaici colorati. Statuine di lampa* dofori appartenenti al Mitreo Visconti. Edicoletta del Mitreo Visconti. Pianta del Mitreo scoperto dal Lanciani nel 1886. Mosaici del Mitreo Lanciani. Piànta.di un Mitreo (?) nei pressi del tempio di Cibele. — Disegni in mosaico del pavimento del detto Mitreo. — Un antico Battistero scoperto recentemente a Roma : Disegno della pianta e di una sezione. — Una parabola di Gesù : Le vergini savie. —- Il Battistero di Sidi-Mansur : Pianta della vasca.
Fascicolo VI — (Novembre-Dicembre).
Il problema della educazione religiosa (Angelo Crespi). - Lo stato delle anime dopo la morte secondo il libro XI dell’odissea (C. Rostan). La riforma nell’IsIam (Giov. E. Meille). —- Gli apologisti greci del II secolo (G. Natali). — Andrea Towianski (Joh. Lover).
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— Alla porta del cuore (Alfredo Tagliatatela). — A proposito di Credi (E. Y. Mullins). — Vitalità e vita nel Cattolicismo (Ernesto Rutili).
Note e Commenti b II Vaticano e i sindacati cristiani della Germania (G. Fuschini). — Mishnà Pirkè Abboth (Leone Luzzatto).
Tra Libri e Riviste a Storia del Cristianesimo: L’Inghilterra e la Chiesa cattolica sotto Elisabetta e gli Stuardi (E. R.). — Filosofia e religione: Neotomismo nel sec. XIX (P. C.). Eucken e Bergson (F. G. L.). Libero arbitrio. Determinismo. Rincarnazione (A. F.). — Varia: Una o due campane? (P. C.).
Illustrazioni 1 Ritratto (Andrea Towianski). — Quadro dèi pittore Holman Hunt (La luce del mondo).
I sei fascicoli di “ Bilychnis „ del 1912 costituiscono un volume
di 600 pagine con circa 70 illustrazioni fi fi fi^fi fi
Prezzo dell’annata in Italia L>. 4. ■ Per l’Estero L>. 6.
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BIBLIOTECA DI STUDI RELIGIOSI
È uscito in questi giorni il 3° volume della serie:
I BATTISTI
Volume di pagine 200 — Prezzo Lire 1.50
INDICE DEL VOLUME:
Cenni storici (del Dr. D. G. Whittinghill) : Il nome « Battista». — I precursori spirituali. — Gli Anabattisti. - 1 Mennoniti. — 1 Battisti moderni. — I Battisti nella Gran Brettagna. — I Battisti in America. — I Battisti negli altri paesi. — I Battisti italiani. — Il contributo dato dai Battisti alla civiltà moderna.
. Credenze Battista (del Dr. E. Y. Mullins): Introduzione. — Ix scritture. — Iddio. -La Provvidenza. — La caduta dell’uomo. — L’elezione. —- 11 mediatore. — Lo Spirito Santo; — La rigenerazione. — Il pentimento. — La fede. - La giustificazione. — La santificazione. — La perseveranza dei santi. — Il regno di Dio. — La seconda venuta di Cristo. — La risurrezione. - Il Giudizio. — La Chiesa. - Il battesimo. — La santa cena. — 11 giorno del Signore. — Libertà di coscienza. — Le missioni. — L’educazione o . l’istruzione. — 11 servizio sociale. — Il paradiso e l’inferno.
Il Battesimo (del Dr. G. B. Taylor) : 11 vocabolo greco Basrifcw.— I lessici. — Esame dei passi. — Il battesimo di Giovanni. — Il battesimo dell’eunuco. — Il battesimo e la purificazione. — I tremila battezzati. — Il battesimo figurativo. — L’uso simbolico di Barr&tiv. — L’importanza della forma. — Lutero e Calvino. — La Didaché. — Gli abusi nella pratica del battesimo. — Chi può essere battezzato? — Il battesimo dei bambini. — Il battesimo di famiglie. — I. figliuoli «santi». — Il battesimo e la circoncisione. — Inefii-cacia del battesimo dei bambini. — Gli errori dottrinali che accompagnano il battesimo dei bambini. — Il battesimo dei bambini e, la chiesa di Stato. — I Battist^perseguitati. — Passi biblici addotti in difesa del battesimo dei bambini.
Questo volume sì spedisce in dono agli abbonati di " Bilychnis „ vecchi e nuovi.
GIÀ PUBBLICATI:
N. x. Cristianesimo e Critica (Scritti di vari autori). Si spedisce gratis a richiesta.
N. 2. 11 Pergamo ossia Manuale di Omiletica del prof. N. H. Shaw. — Volume di pag. 304. - Prezzo L. 2.50.
Rivolgersi n\VEditore : Dr. D. G. Whittinghill, 16, Via Delfini - Roma.
IN PREPARAZIONE:
Verso la fede : Scritti originali di noti autori italiani. La scuola della Chiesa del Dr. Everétte Gill.
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LA NUOVA RIFORMA
BATTAGLIE D’OGGI
— :-»<--Direttore: GENNARO AVOLIO - Direzione e Amministrazione: Napoli, S. Antonio a Tarsia, 2. —- Abbonamento annuo ordinario: per l’Italia L. 5; per l’Estero L. 8; abbonamento sostenitore L. IO; un numero separato centesimi 10.
Sommario del 1® Numero (22 Febbraio 1913). Programma breve: La Nuova Riforma. — Tra l’archeologia e la vita (l'ornando da Ostia): Lod. Paschetto. — Cristianesimo in pratica : Aschenbrödel. — Educazione all’aria aperta. - Educazione e nettezza; - Problemi municipali (L’allargamento della cinta daziaria a Napoli): G. A. — Confraternite religiose e opere pie. — L’Eterno Untano (Novella): Olive Schreiner. — La preghiera dei fanciulli per la sera. — Ecc.
Sommario del 2® numerò (1 Marzo 1913). La questione te\V exequatur e i diritti del popolo: Gennaro Avolio. — Per la redenzione del clero: Salvatore Mi nòcchi. — La-dottrina di Gesù e il Socialismo: Otto Feuerstein. — I criteri della carità: Cesarina Giife. Una storia del modernismo: Giuseppe Castelli-Avolio. — Perchè si beve troppo? Gemma Anelli. — Patria e Patriottismo.
Raccomandiamo caldamente ai nostri lettori:
ERNESTO Comba : LA RELIGIONE CRISTIANA. (Edizione riveduta e ampliata.
Terzo migliaio). Elegante volumetto di pag. 160 L. 1. Per l’Estero L. 1,25.
Eccone il sommario :
Parte Prima: Il sentimento religioso — Le religioni del mondo — La religione giudaica — Sommario delia storia del popolo d’Israele— La Cristianità — Contenuto e divisioni della Bibbia — I libri dell’Antico Testamento — L’autorità della Bibbia — Obiezioni alla lettura della Bibbia. — Tavola cronologica.
Parte Seconda:-!. L’uomo e la legge di Dio, ossia: Il Peccato - La coscienza morale - La esistenza di Dio - Origine del inondo - Origine e natura dell’uomo - La Provvidenza - Origine e definizione del peccato - La legge - Le conseguenze del peccato. — IL Gesù Cristo e l’uomo, ossia: Il perdono del peccato - La preparazione della salvezza - La venuta del Salvatore e i suoi nomi - La santità di Gesù Cristo - La divinità di Gesù Cristo - L’insegnamento di Gesù Cristo - La morte di Gesù Cristo - Significato e valore della morte di Gesù Cristo - La risurrezione di Gesù Cristo. — III. La vita cristiana, ossia: La libertà del peccato - Il pentimento e la conversione - La giustificazione e la fede - Lo Spirito Santo -La nuova nascita e la santificazione - La lettura della Bibbia - Il culto -.La preghiera -1 sacramenti (Battesimo e Santa Cena o Comunione) - La Chiesa e le Chiese - La Vita futura.
«Pio cominciato a leggere quest’elegante volumetto per un puro dovere di lealtà verso i lettori oltre che di cortesia per l’A-, e sono arrivato all’ultima pagina, quasi senz’avveder-mene e cbn crescente interesse. Credo che agli altri che già lo conoscono in questa o nella precedente edizione sarà capitato lo stesso : ciò che, per uh catechismo, deve considerarsi una fortuna eccezionalissima...» (Avv. S. Mastrogiovanni in Fede e Vita, febbraio 1913).
Rivolgersi all'Autore, Pia del Carovita, 6, Roma.
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo fi fi Via Crescenzio, 2 - ROMA —
D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per 1*Estero
Via Delfini, 16 - ROMA —
fi Si pubblica alla fine di ogni mese pari in fascicoli di almeno 64 pagine, fi fi fi
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Illustrazioni del presente fascicolo.
Ritratti di Raffaele Mariano e Baldassare Labanca. (Tavola tra le pagine 8 e 9).
Gautamo Buddha nell’arte indiana. (Sei disegni da pagina 23 a 29).
Una pagina autografa di Gabriele Rossetti (pag. 55).
Ritratto di David I.loyd George. (Tavola tra le pagine 58 e 59).
«Venga il tuo Regno» disegno di Alfonso Maria Mucha. (Tavola tra le pagine 74 e 75)Copertina, disegni e fregi di Paolo A. Paschetto.
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R.IVI51À DI SlVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLATEOLOGICA BATTISTA - DI ROMA
SOMMARIO:
Raffaele Mariano: Intorno al Divenire ed all'Assoluto nel sistema
hegeliano. . . . ........ ....... pag. 5 Paolo Orano: La rinascita dell'Anima — III Monismo e Panteismo » 13 Mario Rosazza: La Religione del Nulla......................»23
Mario Falchi: La Bibbia e la posizione attuale del problema dell'origine dell'uomo ..... ............ »31
Cronache :
Ernesto Rutili: Vitalità e Vita nel Cattolicismo........>38
Domenico Ciamboli: Per le opere di Gabriele Rossetti....» 54
Nathanael H. SHAW: David Lloyd George...................» ’58
Per la cultura dell’anima:
Alfredo Tagli alatela: Rinunziamento.......................>66
INTERMEZZO :
GIULIO Salvadori : « Venga il Regno di Dio > ........ »74
NOTE E COMMENTI:
JOH. Dover: Miskna. Pirke Abbotti ........... . >76
Giuseppe Saitta: A proposito di neotomismo.................*77
OHI Raffaele Mariano — Baldassare Labanca SSB..............»78
Un concorso — Biblioteca di scienze delle religioni........*79
TRA LIBRI E RIVISTE:
Antico Testamento : La religione d’Israele durante la Monarchia (I. Rivera) —
Manuale della Bibbia (Rani) — Dizionario Ebraico-Francese (Ram). . »So Nuovo Testamento: San Paolo e le Religioni dei misteri (I. Rivera) . . . . . »82 Storia delle Religioni: Mitologia greca e romana (Ram) — Islam (E. R.) . . . »83 Storia del Cristianesimo: Gesù ha istituito il Papato? (E. R.) — Storia del Dogma
(F. G. Lo Bue) — L’imperatore Costantino (G. Trisch) — Le «Storie» del Modernismo (E. Rutili) — I cristiani Battisti (A. Fasulo) — Missioni
cristiane (I. Rivera) ...... ............ » 84
l'aria: Un nuovo tipo di riformatore (Terenzio Grandi) — Il predicatore (I. Rivera) — Gabriele ci’Annunzio e il moderno spirito italiano (P. Chiminelli). » 92
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INTORNO AL DIVENIRE ED ALL’ASSOLUTO
NEL SISTEMA HEGELIANO.
6» questo argomento l’ illustre e compianto R. Mariano rivolse il pensiero gli ultimi giorni della sua vita. Era stato richiesto di scrivere un capitolo su Dio pel volume « Perso la fede » che il Dr. Whittinghill intende pubblicare quest’anno e pel quale vari noti autori italiani gli hanno promesso la loro collaborazione. Lo aveva da poco compiuto quando fu costretto di mettersi a letto : sperava di ristabilirsi e tornare presto al tavolino per ricopiare le 134 piccole cartelle sulle quali con care Iter e minuto e f ra cancellature e correzioni aveva espresso il suo pensiero. Ma questo lavoro è toccato alla di lui gentile figliuola, che vi ha atteso con vero intelletto d’amore, avendo pieno il cuore della cara memoria paterna.
Ecco il sommario dei vari punti trattati dal Mariano prima di giungere alle pagine che qui appresso pubblichiamo:
Ad una interpretazione esatta del divenire si oppongono difficoltà intrinseche alla cosa — Importanza universale del divenire — La sua totale impotenza a render ragione dell’universo — Ma l’Hegel stesso non è senza colpa — Il suo sistema qual supposta realizzazione della verità assoluta asconde una colossale illusione — Tal realizzazione implicherebbe la cessazione del divenire e della storia — Ambiguità e contradizioni dell’Hegel — Stando allo spirito generale del suo sistema, egli nel divenire e nella storia vede la manifestazione di Dio, dell’Asso-luto — Invece, guardando a certi sviluppi particolari delle sue dottrine, si direbbe che il divenire e la storia siano per lui Iddio stesso — E da questo lato sembra dare appiglio alla interpretazione dei neo-idealisti — I quali appunto del divenire e della storia fanno là suprema ed unica realtà dell’universo — Il vero è che Hegel riconosce bensì la grande funzione del divenire nel tutto — Ma riconosce insieme la sua dipendenza dall’Assoluto — Determinazioni più particolari confermanti questo ch’è il vero concetto del divenire hegeliano —
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Il mondo del divenire e della storia, pur vivendo in Dio e nell’assoluto, non è però tutto divino nè tutto assoluto — Iddio e l’Assoluto non sono nella storia nè un fine non raggiunto nè un fine irraggiungibile — Sono un fine raggiungibile, ma raggiungibile solo in misura limitata e relativa.
L’istorismo o l’evoluzione creatrice lasciano il problèma del mondo insoluto e più buio che mai.
L divenire i neo-idealisti lo additano, senz’altro, quale spiegazione dell’universo la più compiuta che si possa. Posto che sia una volta ad unico ed assoluto principio delle cose, l’isterismo o, ch’è lo stesso, il divenire creativo, tutte, nel pensiero e nell’essere si porgerebbe liscio, chiaro, lampante : la natura e lo spirito, la realtà e la sua cognizione. Per tal via, bandite le astrattezze, le trascendenze e le impossibilità in cui ci s’impiglia con un Assoluto che genera la
natura e la storia, senza confondersi con esse, ci si assicura che s’entra nel ciclo della correttezza. Poiché Iddio, Assoluto, unità dello spirito sono divenire e storia, la logica, innanzi tutto, non è più astratta, ma è resa concreta. La dialettica parimenti, non più vaga e polemica, si trasforma in dialettica reale e totale, ed è veramente la legge dello spirito. E la natura poi e le varie forme distinte della vita spirituale, esistono e si realizzano ciascuna secondo quel che sono, scambio di essere assorbite e di sparire tutte in un’astrazione ch’è Iddio o l’Assoluto. Infine la natura, la storia, il divenire, essendo Dio stesso, l'ultima ombra del trascendente, il Dio personale e creatore, è dissipata: ed è fugato per sempre dal mondo ogni mistero.
Se immagini e metafore e parole alate e razzi e giuochi di una mente audacissima che nel foggiarsi il suo proprio mondo concettuale e nel colorirlo ed esplicarlo con forza conseguenziaria, non conosce ostacoli, bastassero a render ragione dell’esistenza dell’universo, codesta dottrina non farebbe una grinza. Ma i prodigiosi effetti della potenza dell’ isterismo che vi si descrivono, sono appunto di gran belle immagini di una fantasia vivace, sorretta da un linguaggio docile a prestar designazioni verbali nel luogo di cose. Si fa presto ad asserire, e sia pure con spericolata risolutezza, che col divenire e nell’unità dello spirito la logica è resa concreta; che la logica concreta domina il reale; ch’è essa che lo pensa e lo produce onde il reale è il suo se stesso ; che una dialettica totale e reale è veramente la legge dello spirito; che la natura, la realtà, le forme varie della vita dello spirito si spiegano da sé, pur di contemplarle storicamente, pur di scorgerle nel loro perenne e fatale andare e formarsi storico : che arte, scienza, religione, filosofia, istituzioni pratiche ed obiettive indispensabili ad una convivenza socievole sono mercè il divenire ciascuna quel che devono essere. A che giova la grande risolutezza del raffermare? Il fatto è che tutto questo è molto semplicistico. È semplicistico il volere e il credere di aver tutto spiegato, mentre non si spiega nulla. Quando la spiegazione si riduce a dire: le cose e il mondo sono quali sono
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perchè cosi sono diventati, è uno spiegare nulla di nulla. Ma oltre ad essere semplicistico, tutto questo sente troppo dell’artificioso e dell’arzigogolato. La realtà e la verità, vuoi quali oggetti stanti per sè, vuoi quali oggetti scrutati dal soggetto postulano cose tanto più complesse ed insieme tanto più semplici e trascendenti: molto più complesse perchè la logica e la dialettica possano da sole crearle ; ed insieme molto più semplici e trascendenti perchè si disperdano ed abbiano a svaporare nel fenomenismo di un indefinito divenire. Il concepire, lo stendere sulla carta l’ordine dei risultati dell’infinita potenza deH’istorismo può non costare un grave sforzo ; ma ne costa uno grandissimo il comprenderlo. Per lo meno, è un discorso il quale non liquot sino a che non si sia determinato come ed in che senso s’abbia a intendere; come, cioè, e per che modo le cose descritte effettualmente si attuino. Può bene stare che tutto sia contenuto ed accada e diventi nell’unità dello spirito. E del pari, in tesi teorica astratta, si può concedere che legge dello spirito sia davvero una reale e totale dialettica. Ma non si vede come l’unità dello spirito si assommi e si esaurisca interamente nel divenire. E meno che mai poi si vede come la dialettica totale e reale sia una conseguenza del divenire, laddove il contrario, se mai, sembra essere il vero: è per la dialettica che il divenire ha luogo; è dalla dialettica ch’esso assume quella consistenza che gli è propria.
A noi vuol parere che il solo dato solido che si lasci ricavare dalla dottrina di un divenire nell’unità dello spirito e di una logica che produce e genera il reale, sia una corsa sfrenata e pazza verso il farsi ed il rifarsi di cose e di fatti sempre nuovi, verso una mutazione irrequieta quanto cieca nel proseguimento di un ideale di cui niuno saprebbe, non che dire neppure immaginare che cosa più o meno sia oggi e che cosa potrà o dovrà esser domani. Ora che la vita come moto perpetuo, come un impulso a muoversi per muoversi, come un fare ed un farsi a solo scopo di agitare e di agitarsi quasi nel vuoto, possa apparire agli occhi di filosofi impulsivi e furenti ideale massimo della vita, questo niuno lo nega; ma questo è lontanissimo dai poter essere l’ideale delle società umane ed anche dei singoli individui. A quelle e a questi per pensare ed agire con qualche concretezza ed efficacia occorre la convinzione, che il tutto non si risolve in un puro quanto vano fluire di fatti o di cose le une dopo le altre, ma che queste fan capo tutte quante ad un divino principio che con consapevolezza e razionalità le ha predisposte e volute quali sono, ad una verità assoluta che le conduce, scorgendole in guisa, bensì, non meccanica nè con mezzi esteriori, ma internamente e con la forza dello spirito ad un fine di bene, ad una progrediente perfettibilità spirituale e morale. Dite pure, se vi piace, che sul fondamento del principio deH’istorismo non è escluso che si costituisca una storia prammatica universale del mondo naturale e dell’umano. Badiamo : anche in cotal senso storico ed empirico, a causa d’invincibili limitazioni soggettive oggettive, suprema fra tutte il buio in cui vanno a perdersi i tempi andati, ad una cognizione totale dei fatti nemmeno è da pensare, ad ogni modo, niente impedisce di rappresentarsela come possibile e che si tenti di conseguirla rinvan-gando di tutte e singole le cose il loro passato e collegandolo col presente. Ma non dite che la verità fa tutt’uno con le cose divenute via via ; non dite, alla buon’ora, che al di là dell’ isterismo e del divenire non ci è più altro. Già questo non lo
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sapete; e ninno può saperlo. E la logica poi ci avverte che la forinola: l’universo con le sue cose e le sue leggi è quello che è, solo per effetto del 'suo essere diventato così com’è, ha per contenuto una ripetizione dell’ idem per idem. Dentro vi è sottinteso ed implicito quest’unico pensiero : le cose e le leggi delle cose sono così come sono, perchè così si son fatte, così si son da sè create e svolte. Che in ciò sia una soluzione del problema del mondo, lo creda chi può. Data quella forinola, il problema rimane intatto: rimane insoluto non solo, ma più oscuro e tenebroso che mai.
La celebrata unità e potenza dello spirito non toglie che l’universo sia un mistero. Certo, è lo spirito uno ed universale che ha generato la materia e la natura. E poiché sono una genitura di esso, materia e natura portano in sè lo spirito e ne sono animate. Epperò, in un certo senso, si può dire, che tutto in quanto vive è spirito, ed anche la materia e la natura sono spirito, benché in una forma immediata esteriore, inferiore. Ma qual è mai lo spirito uno ed universale generatore del tutto? Forse niente altro che quello spirito stesso che pensa, fa ed opera in noi poveri individui umani ? Qui è il punto. La materia, la natura, l’uomo, le cose, le loro leggi: ecco il mistero dell’universo. In questo mistero il divenire è implicato ; ma si avrebbe un bell’aspettare che il divenire lo chiarisca. E qui è il profondo abisso in cui vanno a sommergersi ed a sparire le promesse di una filosofia che, armata dell’ isterismo metafisico, o della evoluzione creatrice, crede di dar fondo all'universo. Allorché, per ridurre ad absurdum le affermazioni della filosofia trascendentale il Krug chiedeva allo Schelling che gli deducesse la penna con la quale scriveva, non aveva tutti i torti. E l’Hegel che con aria tra di derisione e di spregio gli dava addòsso, chiamandolo, senza complimenti, HERRN Krug non aveva interamente ragione. Ciò cui quest’ultimo accennava era l’impotenza del pensiero umano a creare il mondo e quindi a render ragione in maniera assoluta del diventare delle cose e della realtà. Alla obiezione egli dava una forma popolare e sensibile, ma insieme pure assai intuitiva e formidabile. Il prestarsi forse bersaglio agli strali dell’ ironia del gran maestro, non toglieva che il rispondervi fosse e sia tutt'altro che facile.
E le leggi poi, secondo le quali il mondo sussiste e il divenire succede! Peggio che mai : qui il divenire è affatto mutolo, quando non se la cavi dichiarando addirittura che le leggi sono mere astrazioni irreali, pure creazioni dell’intelletto astratto!
Già, in generale, si noti, da sole queste leggi, a pensarvi su per poco, il risalire del divenire all’Assoluto salta agli occhi lucentissimo. Senza queste leggi niente divenire, niente storia. Ora le leggi sono momenti dell’eterna ragione, dell’assoluto spirito. Mentre per esse ed in esse le cose diventano, è evidente che esse stesse non diventano, non si muovono: sono immutabili ed assolute.
Ma, checché sia di ciò, apre forse il divenire un qualche spiracelo sulla natura intima delle leggi?'
Certo, la realtà delle leggi si fa viva mercè l’azione costante e normale di esse in tutto l’ordine della fenomenalità cosmica tellurica, meccanica, fisica, dinamica, organica, psicologica, sociale. Poiché i fenomeni non succedono se non secondo norme fisse, determinate invariabili, le leggi sono sicuramente potenze reali, dotate di obiettività e di universalità. Ma, per quanto inoppugnabile sia la loro realtà
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RAFFAELE MARIANO
Capua. 5 Settembre 1840.
Fiesole, I Dicembre 1912.
BALDASSARE LABANCA
Agnonc, 1820.
Roma. 23 Gennaio 1913.
(1913 - I.]
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sfuggono ad una visione esteriore apprensibile. Esse sono in sè forze, energie metempiriche e trascendenti, sono dati puri, ideali divini, divinamente ordinati e sussistenti ab aeterno. Epperò si lascian dietro, ad ogni conto, irremovibili gli enimmi: — Ma codeste leggi che cosa sono? ehi le ha stabilite? come e perchè agiscono nel modo in che agiscono? A tali enimmi col divenire non si risponde.
Si prendano a caso i moti, i rivolgimenti dei corpi celesti : come spiegarli ? Diremo con gli astronomi che l’attrazione universale è la loro legge esplicativa? Sta bene. Ma ciò è veramente uno spiegare l’enimma per un altro enimma. Ciò non fa che spostare la spiegazione : resta allora di sapere quale sia l’intima e vera cagione dell’attrazione universale. E quél che si dice della meccanica celeste e della legge della gravitazione accade dire in generale di tutte le leggi dominatrici del mondo fisico e del morale. Gli scienziati ne parlano come di cose sapute non solo, ma appurate di tutto punto con processo sperimentale e logico ed in maniera scientifica. E d’ordinario se ne sente discorrere con la massima disinvoltura, quasi fossero cose delle quali, oltre al descrivere la guisa in che empiricamente appaiono, operando nei fenomeni, noi intendiamo altresì quale sia la costituzione profonda e ciò che in sè siano. L’illusione non è piccola: parlandone, noi ci limitiamo a constatare semplici fatti di esperienza esteriore. La nostra certezza si risolve nell’unica affermazione, che le leggi vivono, si fan valere, diventano nei fatti; e Che i fatti non possono essere altrimenti da quel che sono. Intorno al donde provengono le leggi, al principio che le fa operare, ed insomma a quel che in sè siano, non si dice niente. Si ripete il caso della vita degli esseri : le condizioni estrinseche indispensabili alla vita noi giungiamo a saperle ; ma quale sia la necessità intrinseca e quale lo scopo finale della vita, possiamo ben congetturarlo, ma non lo sappiamo in maniera che il problema sia definitivamente sciolto. Ora, interrogandone specialmente il divenire, esso, replico, è mutolo. Quando delle leggi delle cose cerchiamo l’essenza, l’origine, la cagione assoluta, per cui sono quali sono, indarno ci si provereboe di arrivare al alcunché di concludente, per lo meno ad alcunché di penetrante veramente nell’intimo ed a fondo ; sino a che si piglian le mosse dal divenire, e ci si rinserra in esso. Al paragone di una etiologia trascendentale che si fa forte di codesto principio restando a corto di una qualunque risposta, sembra che sia da dare la preferenza ad una etiologia empirica, terra terra, senza pretensioni speculative e metafisiche. Certo, al vero problema si accosterebbe senza speranza di buon successo ; ma pure di quanta reale importanza concreta e pratica non sono quel suo indagare e distinguere e fissare in maniera scientifica l’àmbito e i confini dell’efficacia delle singole leggi generali, e la corrispondenza ad esse degli infiniti fatti della natura e dello spirito!
Le ultime conclusioni circa alla relazione di subordinazione del divenire e della storia rispetto a Dio e all’Assoluto.
Dopo tutto, però, è da tornare sempre lì, sempre a quell’unico punto: la relazione del divenire con l’Assoluto della storia con Dio, che è il punto culminante e decisivo della questione. Riepilogando le nostre osservazioni esse vanno a far capo a queste supreme e semplici conclusioni.
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Il divenire e la storia non sono e non si muovono che nella verità, nell’Assoluto, in Dio. Fuori di tali cose, ogni loro realtà e serietà sfumano, si dileguano, e nessuno può dire nè che cosa siano, nè a che scopo esistano. Ma statuire una verità che diventa giorno per giorno, istante per istante e deve farsi in ciascuno e quindi è o può essere altra da mente a mente, è statuire la confusione universale, è prendere rimpetto alla verità l'attitudine di Filato: dov’è la verità? qual’è la verità? Negata la verità, tolto Dio come verità assoluta, come ideale eterno di perfezione e di bene, ogni discorso poco poco conclusivo sul divenire e sulla storia cessa come per incanto. Il divenire di una verità che non c’è, è un non senso; ed un divenire eh’è esso stesso la verità, è un assurdo. Se il divenire prosegue una verità, un ideale, quest’ideale ci deve essere; e dev'essere qualcosa in sè e per sè. Si assume che destinazione dell’uomo è di andare sempre in traccia dello spirito assoluto ; e che in tal ricerca ininterrotta consiste il valore della storia e del divenire. Sta bene: ma se lo spirito assoluto non c’è ? Per l’attività dell’uomo nell’agognarvi e nell’appropriar-selo in certa guisa e misura, nel raccoglierlo e provarne gli stimoli e la spinta verso il vero, verso là moralità, verso la virtù, l’ideale dello spirito assoluto, replico, ci dev’essere. Ed evidentemente non è lui, l’uomo che lo può porre. Aspirarvi, sforzarsi di trovarlo e di realizzarlo e porlo, crearlo da se stesso, è un vano ed insulso paralogismo: è un negare l’esistenza dell’assoluto nell’atto medesimo che lo s’invoca e lo si postula. Sicuro, nel rispetto peculiare della storia si ha a dire che ci è in essa moltissimo d’imprevisto e d’imprevedibile. Fatta dagli uomini coi loro appetiti e brame nel mezzo delle condizioni esteriori e dei limiti della natura, fra le circostanze variabili di tempi e di luoghi vi prendono per ineluttabile necessità larghissimo posto il caso, l’accidente, il contingente e sopra di tutto l’arbitrio e le violenze degli individui e dei popoli. Ma ammesso tutto questo, bisognerà proprio convertirsi alla formolà prediletta di un diplomatico tedesco, ancora vivente, che chiamava la storia senz’altro, une fable conveniter L’essenziale è di non fermarsi ai singoli eventi. Pur di tendere lo sguardo alle grandi linee generali della storia ed ai sommi risultati del suo processo, è difficile rifiutarsi di ammettere un divino ordinamento e reggimento morale del mondo. Vico direbbe ch'è incontrovertibile l’azione della divina Provvidenza nella storia, per cui gli uomini li si vede riuscire a fini diversi e spesso opposti a quelli che s’eran prefissi e pei quali avevan lavorato.
Ma ci è poi realmente Iddio ? Ci è un Assoluto, una verità assoluta ? E se sono, che cosa sono? Voi che oppugnate la dottrina del divenire, mettendone a nudo la radicale inadeguatezza alla spiegazione del mistero dell’universo, Sapreste dirci per avventura, che cosa di più concreto e di più persuasivo arrechi in tale spiegazione il concetto di Dio?
È vero: quando per una risposta alla domanda se Iddio ci sia e che cosa sia ci rivolgiamo alla filosofia o, più esattamente, diciamo a molte delle filosofie più in voga oggi, noi non ci s'imbatte che nella pura negazione. Con le loro analisi disgregatorie e il lor sofisticare all’infinito, il punto massimo in cui codeste filosofie s’incontrano e s'accordano è di negare nella vita del mondo e nella storia la viva presenza e l’azione trascendente e mistica, ma realissima di un essere divino ed assoluto; e quale per una via, quale per un’altra finiscono in
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fondo in fondo coi giurare tutte in un universale fenomenismo immediato e contingente, che in ciò si risolvono l’assoluta verità dei neo-idealisti e l’assoluto divenire e' la serie sempre nuova, ma sempre identica del suo accadere nel tempo.
Per fortuna, il caso è alquanto diverso dove ci rivolgiamo non a tali filosofie, ma alla religione e massimamente al Cristianesimo. E di far capo alla religione e d’informarsi di ciò che essa pensi intorno al gran quesito, non ci è, veramente, alcun motivo che consigli di astenersene. Non meno, ma più forse della filosofia, anche la religione si distende per lunghissimo tratto nella vita dello spirito, nel moto del pensiero e nella storia della realtà. E vi si è distesa, si avverta bene, non per forza di artificio o di volere umano; ma per determinazione di un volere superiore a cui gli uomini mal si proverebbero a resistere. E si comprende. Il più proprio della religione è di destare e nutrire nel cuore e nell’intelletto dell’uomo, profondo quanto compatto, il sentimento di Dio, il sentimento che Iddio ci è; e ch’è lui il creatore del mondo e delle cose, il conduttore, il giudice della storia e dei destini delle società umane. Con cotal sentimento così fondamentale e centrale, che s’appunta all’intuito ed alla fede sia pure istintiva, ma viva e forte, in una divina verità eterna ed assoluta, il cammino della vita si rischiara di una luce confortatrice ed incoraggiante al pensare, al fare, al lavorare. E l’uomo e l’umanità veggono o intiaveggono la mèta cui devono tendere, e, volenti o riluttanti, con coscienza serena e consapevole, ovvero attraverso deviazioni ed erramenti, colpe, cadute e pentimenti, indirizzano pure a quella i loro conati e le loro opere.
Questa massima potenza di affermazione ch’è, nella religione, potenza affrancatrice per gli spiriti dalle pretensioni dell’arbitrario criticismo soggettivo, protettrice delle coscienze contro gli assalti del dubbio e dello scetticismo, ci fa intendere come l’Hegel, a culmine del suo sistema, nella prima composizione che ne fece, ponesse non la filosofia ma la religione. Che se poscia invertì le parti e sembrò collocare la filosofia al di sopra della religione (i), ad ogni modo la parola con cui s* inizia la sua Enciclopedia è sempre questa : « A dir vero, la filosofia ha innanzi tutto comune con la religione i suoi obietti. Obietto della religione e della filosofia è la verità, anzi nel senso più alto : nel senso che Dio è la verità e che egli solo è la verità». E nel rispetto di Dio e della sua esistenza, aggiunse che il sentimento del suo concetto e la fede in lui sono così innati, così istintivamente connaturali ed infusi nell’anima umana, che ad essa ogni prova e dimostrazione filosofica al riguardo sono piuttosto superflue. Onde disse;: « Le prove metafisiche dell’esistenza di Dio le si spacciano (ausgegeben) come se per la lor conoscenza e per la convinzione che ne deriva, esse sole abbiano potenza di produrre la fede in Dio e la certezza della sua esistenza. Se così fosse, varrebbe lo stesso quanto affermare che noi non si possa mangiare dove non ci sia prima procacciata la nozione della natura chimica, botanica,
(i) Intorno a questa pretesa superiorità della filosofia a petto della religione, vedi quel che n’è detto nel mio libro: Dall'idealismo nuovo a quello dell'Hegel (voi. X degli «Scritti vari», Firenze, Barbèra, 1908), specialmente il cap. Vili: La ragion filosofica e la religione, pagg. 202 a 246.
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zoologica degli alimenti e che per la digestione si debba aspettare sino a che si sia studiato anatomia e fisiologia...» (i).
E di qui si ricava un ultimo, ma non forse uno dei meno convincenti degli argomenti a favore della interpretazione da noi propugnata nel divenire hegeliano. È impossibile che l'Hegel, parlando e pensando così altamente di Dio non vedesse in lui la suprema cagione del divenire delle cose. Tanto più che ogni dove egli esprime manifesto il pensiero che di una verità, in quanto verità assoluta che sta in sè e per sé, ed è indipendente dalla finitezza e dalla relatività del divenire, l’umanità non può far di meno. Un ideale divino ed assoluto, trascendente la vita fuggitiva e passeggierà del mondo empirico, è necessario che ci sia. Se non ci fosse, il divenire e la storia, a noi resterebbe di doverceli rappresentare qual pretta irrazionale ironia, quale illogico e vacuo e follemente tragico illusionismo. Ridotto l’ideale assoluto al processo del diventare per diventare, crolla ad una volta il fondamento cosi alla ricerca di esso, come ad una progressiva ascensione ad esso. Termine ultimo finale dell’affannoso muoversi dell’umanità : universale dissolvitrice anarchia e sconsolato pessimistico disperatismo.
Raffaele Mariano.
(i) Hegel, Enciclofrddie, Einleiliing, 2 2, 3.
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LA RINASCITA DE LL AN IM A.
Note d’un pensatore “ libero. „
HI.
MONISMO E PANTEISMO.
MONISTI E PANTEISTI — TUTTO ASCENDEREBBE ALL'ANIMA, OPPURE TUTTO Avrebbe anima — due tentativi che rivelano la necessità di < animare » LA MATERIA — I LIMITI DELLA MATERIA — MATERIA È INERZIA PERCHÈ “ OGGETTO „ — MONISTI E PANTEISTI AMMETTONO TUTTO, FUOR CHE SÈ STESSI — PRETESA DEI DUE SISTEMI D’ESSER CRITICI — LA CRITICA PUÒ ESSERE FILOSOFIA, SINO AD UN CERTO PUNTO — VANO TENTATIVO DI DECOMPORRE L’IO, IL VERO, IL BELLO, IL BUONO — ENTITÀ MEDUSÈA : ALL’ INFINITO SI RICOMPONE — L’ “ ELEMENTO „ E LA “ FORZA „ DEI MONISTI E DEI PANTEISTI NON RIDUCONO: COMPLICANO — ASTR ATTIVISMO DEGLI SCIENZIATI SPECIALISTI — ARTE E PASSIONE RIENTRANO TRIONFANTI NELLA FILOSOFIA — L’IO SI RIFIUTA DI CONFONDERSI COL TUTTO E NEGA DI VENIRE DAL TUTTO — LA SCIENZA COME ESPERIMENTO PROVVISORIO — LA NATURA PAESAGGIO DELL’ANIMA.
i. — Il mio monista ripeteva con la voce automatica dei convincimenti a formule che anno destino d’esser veri sempre, d’una verità sospesa nel cielo del-l’indifferenza, fuori della portata del nostro rifiuto : —- La materia è sempre stata una sola cosa con la forza. Insieme anno sempre costituito la vita, questa unica realtà che nella torpidezza dei gradini bassi pescanti nell’immoto, è materia; ma in alto fiammeggia spiritualmente. Tutto a un tempo è materia e spirito, non come il tradizionale materialista intendeva e cioè come se lo spirito fosse un tardo e pallido e non caldo bagliore della vita materiale o della materia vivente, o ancora come una delimitazione metodica di ciò che di fatto altro non è che l’apparizione superficiale, effimera ed epifenomenica d’una combinazione, d’un contrasto. No.
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La vita è già il brivido della materia e in questo brivido si sviluppa ascendendo per gradi, la luce, il calore, il fremito, il vigore, la presente potenza della coscienza, a seconda delle moli e delle dosi combinate, e delle organiche configurazioni. Il « processo » è sempre molto chiaro : l’anima è un grado della vita. Sembra miracolo se la si consideri d’un tratto, in sintesi immediata, come un tutto, configurata già nelle linee d’una sagoma raggiunta, quando appare un organismo spirituale non nato o nato dal di dentro di un se stesso unicamente spirituale. Ma il miracolo dispare, quando si tenga conto per l’appunto che il tempo col suo lento sommare e moltiplicare e divenire aggiunge quotidianamente qualche cosa, il centimetro, il grammo, il prolungamento d’una fibra d’ora in ora più sensiva, e via via e lentamente un consenso, un’adesione, una corrispondenza, una compenetrazione nascono che bagnano e fecondano e rimateriano quasi di loro l’organicità suddivisa e raffinata e fanno la coscienza, quel che s’è detto e si dirà sempre e che in fondo non ci dispiace si dice l’Anima. —
2. — Il monista non potrebbe essere più chiaro. Il panteista, però, pronuncia parole più vaste; le trae — dice lui — da una più universale e plastica visione del vero. L’anima, la coscienza: un grado della Vita! Perchè? Se a un certo grado appaiono, vuol dire che c’erano in potenza; altrimenti come si sarebbero formate? Il monista, assai d’accordo in ciò con l’evoluzionista, come si arroga la libertà di parlare d’un momento nel quale la forza, o l'energia, trapassa dall’essenza, diremo così, del moto, a quella psiche o intelligenza o coscienza o anima? Il monista si permette il diritto ad un salto pericoloso. Tutto quel che la Vita produce è nella Vita ed è in tutta la Vita, nella mole enorme di quel che chiamiamo materia, nelle sfere vertiginose dell’energia eterea, che ci appare come pura di là da ogni tangibile, al pari che nella particella infinitesimalmente piccola, nella cellula, nell’atomo, nel punto vivo. Se l’uomo sente l’anima, l’anima c’è; ma l’anima è dappertutto. Se l’uomo entro l’anima sua sente Dio, Dio c’è ; ma Dio è dappertutto, perchè l’Uomo non avrebbe e dell’aria, e dell'acqua, e della terra, degli alberi, del sole, di tutto quel che diciamo natura, l’intima rivelazione estetica e commossa che à, se anche negli esseri che sono fuori di lui, non vibrasse la forza meravigliosa che trascina d'orizzonte in orizzonte d’amore, forme variando e destini e riplasmando l’essere, con gioia causa e scopo a se stessa. L’uomo la vede, l’ode, la tocca, la sente, perchè c’è; egli si ritrova in ogni cosa ed ogni cosa risponde al palpito, all’ardore e questa comunione profonda che colma di tenerezza il nostro cuore sulla cima dei monti o dinanzi alla stellata conca del mare, è la rivelazione indiscutibile del Dio in noi, di cui ci accorgiamo perchè s’agita, perchè ci fa vivi ed apre tutte le bocche del nostro essere come le ventose d’una piovra dismisurata che assorba l’azzurro e le tempeste ed à un formidabile ansare d’angoscia e di voluttà e fa un giuoco che noi diciamo morte e s'asconde, e si rivela, e si annienta per rilevarsi delira, divinità che non à mai avuto principio, ma entro cui tutto comincia e nulla à potenza di finire. Anima, coscienza, intelligenza, volere, sono in ogni essere, perchè sono. Noi siamo la sensitiva e la sensitiva è l’anima nostra, e la molecola del cristallo, della goccia d’acqua, della scintilla di luce, delle clorofille, della sabbia del mare sono come noi le sensitive, perchè sono e partecipano divinamente d’un tutto che cerca e trova in tale partecipazione l’armonia dai mille clamori o dall' immane silenzio dell’onda vitale. Noi siamo Dio e
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LA RINASCITA DELL’ANIMA
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Dio è noi, e Dio è tutto, e Dio è vita ed essere ed anima, un plasma unico che s’ingobba nei monti, fiammeggia centripeto e centrifugo nel sole, bagna con l’acqua, arde col fuoco, serpeggia col serpe, vola con le ali, dall’interno balza impetuoso ceco e caotico per illuminarsi e aprire occhi e placarsi in un ordine e tornare quindi nella delizia d'una riconfusione, circolazione frenetica, ricominciamento di ogni età, d’ogni ora, d’ogni istante.
3, — Monista e panteista sono più d’accordo di quanto non credano. Ambedue hanno bisogno ti animare la Materia o la Vita o il Mondo. A un certo grado — dice l’uno — il « movimento » già divenuto « funzione » diviene « anima ». E’ un passare, uno sfumarsi, o anche un alterarsi, che il simbolista potrebbe rendere con là similitudine dantesca :
Vedi il calor del sol che si fa vino, Giunto all’unior che dalla vite cola.
L’attività funzionale si fa un po’ morbida, è qualchecosa come l’inacidimento, l’incerconimento del succo dell’acino. Strano fenomeno, ma visibile, logico e, in fondo, semplice. Il pensiero considerato come un saccaronices della linfa che già riempiva le tenui membrane dilatate dal vigore crescente d’una pletora ; qualche cosa come l’irrugginirsi severo delle foglie in autunno, il pensiero, manifestazione autunnale dell’individuo! Ma tuttociò non è indicibilmente, innegabilmente vero, vero, vero ? Bisogna — mi pare — sottolineare la necessità che i monisti della fase più contemporanea anno di ricorrere a una malaise, a una morbidité, se non ad una vera e propria maladie, per entrare con una certa sicurezza e comodamente nel regno dell’anima. I monisti sono quasi d’accordo tutti nel considerare l’origine dei fenomeni psichici — chiamano così l’anima, perchè sembra che sia più chiaro e risolva subito la questione — come il risultato del bisogno di tutela. Movimenti protettivi, movimenti di tutela. Naturalmente, a questa stregua, bisogna chiamare psichico anche il movimento di tutela del coniglio che scappa quando sente rumore: la distinzione tra fisiologico e psichico non è qui del tutto precisa; ma lasciamo andare la finezza e gli scrupoli, poiché non ve n'è proprio bisogno. Il monista, positivista ed evoluzionista, dice a forti parole che, in realtà, per lui, la vita organizzata in un individuo automotore e abbandonato allo struggle for lift a tutto suo rischio e pericolo, è già condizione di fatti e di fenomeni psichici. Sicché funzione è insieme, per colui che ragiona così, fisiologica e psichica. Lo stomaco inizia un certo tipo di movimenti quando i processi di denutrizione dell’organismo generale sono incominciati; l’uomo porta il braccio al capo appena avverte che s’agita in aria l’ombra d’una bastonata. Fisiologia, psicologia; funzione, psiche ; è una cosa sola. E’ tutela, è protezione. Appena la psiche incomincia, la psiche à già un certo numero di movimenti saggi e quindi utili ed efficaci che arrivano allo scopo... La spiegazione è sufficientissima. Ma, forse, non è troppo monistica.
4. — Il monista se la passa liscia agli occhi d'una grande quantità di gente, allorché si tratta di fenomeni psichici iniziali. E’ la psiche « a gradi superiori » — c’è il vinello a 40, il marsala a 150, e la vogda moscovita a 59® — che complica un po’ la dimostrazione. E qui ricorre l’argomento della psiche intesa un po' come
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una morbiditè funzionale. Perché il monista, evoluzionista, positivista, sperimen-talista vi riafferma d’essere emancipato da qualsiasi pregiudiziale di sistema, ma, se voi ficcate gli occhi per lo fondo, lo vedete legato ad una concezione pregiudizialissima. La vita — egli vi dice — à lo scopo di continuare a vivere. Di qui la tutela, la protezione. 11 monista e affini non s’avvedono che questa è già una maniera non molto filosofica, ma certo apprezzativa d’interpretare la Vita, il Mondo, l’Esistenza e l’Anima. La Vita mira a conservarsi; fa di tutto per conservarsi; questo è il suo scopo e diventa e deve diventare il suo ideale. Eccoci dunque davanti ad un certo tal quale ottimismo, in conseguenza di cui il pensiero o la psiche non debbono deviare dal loro destino ed essere più che possono, meglio che possono, tutela o protezione della Vita. Ma pensiero o psiche, a malgrado dell’eccellente punto di partenza dei monisti, una volta preso l’aìre, acquista il capriccio di fare il comodo proprio, di vivere non per la vita, ma per sé, per le stramberie del sogno e della passione, per le chimere del bello, del tragico, del divino, abusiva implacabile, vergine ardente che fugge dall’umido giardino della natura e si precipita nell'onda dell’arte, della fede, del dubbio, mutevoli acque di voluttà e di pena, rigurgiti perenni su baratri luminosi per profonde luci interiori.
Tutela, protezione! Dov’è l’armonia che sarebbe determinata da una tale ragion d’essere della psiche? L’anima non è l’anarchista perenne dello Stato-Vita? Non s'asside Che in solitudine, non à pace che in isolamento, non si sente e riconosce che in contradizione, non sentenzia che da giudice a reo, perchè l’ansia sublime e non placabile dell'Anima nasce dal volere che à il subiettivo di dominare dispoticamente l’obiettivo. L’Anima vola ostile alle vette della propria libertà e si crede lassù scopo a se stessa, superiore alla vita, la Vita che fu un riconoscimento, un’accettazione, una definizione, una delimitazione dell’anima.
Arte, religione, filosofia, terreno del subiettivo arbitrario e contradittorio, ciclo dell’ intuizione libera, àmbito del .genio. Il monista le chiama, più o meno sorridendo di ben disposta compàssioncina clinica, alterazioni, follie. Ecco la parola : follia. Vecchia parola, nuova parola ; non aveva mai spiegato nulla, deve spiegare tutto. Questa formula che spiegherebbe col « pathos » la « psiche >, è documento quanto mai rivelatore. Perchè il carattere apprezzativo e cioè gratuito del monismo cresce; perchè aumenta la proporzione dell’incapacità che il monismo porta seco di spiegare lo spirito, di trovare il raziocinio giusto mediante il quale sia possibile trasferirsi su d’un binario regolare dalla funzione fisiologica alla psiche. Il pensiero nella sua concentrazione culminante lo chiamiamo genio ed è nel genio che noi guardiamo affermarsi lo spirito, il genio che per noi è l’anima, il genio che per noi è la potenza misteriosa, quella che noi avvertiamo e subiamo e adoriamo, vento di tempesta su cui le nostre ali si spalancano, indicibile luce diffusa entro abissi senza fondo in cui ci piace abbandonarci. L’anima giunta all’onnipotenza, il gran frutto maturo, la montagna esauritasi per materiate il limpido e geometrico cristallo, l’albero gigantesco da cui un sol fiore acceso si esprime, tutte le voci che fanno una nota, tutti gli strazi che combinano un sorriso di grazia, tutte le lingue che dicono una parola, tutte le prove Che segnano un breve gesto sicuro, tutte le ascensioni pervenute a un limite ove finito e indefinito e infinito si sommano e si elidono o si unificano, il genio che fa epoca
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e documento e sigilla il vero, e contro tutto e tutti è vero, il genio sarebbe follia. Un disordine spiegherebbe l’onnipotenza dell'ordine, il caos risolverebbe il problema dell’armonia; il manicomio spiegherebbe Leonardo!
5. — Il panteista vede l'anima, vede il divino dappertutto. La certezza che il divino e l’anima del tutto veggano lui, non l'à: dico la certezza, quella che esige trattando di fatti e di fenomeni parziali e minuti della vita. Il panteista è un deista facile, uno spiritualista che non vuole affatto stancarsi nel cercare Dio. E’ come il touriste milionario che, ovunque vada, trova cartelle di rendita, chè-ques, e cioè oro ed oro quanto ne vuole a sua disposizione: il dio oro è dappertutto e, a forza di trovarlo dappertutto, finisce per credere che il mondo sia nato con la missione di seminare l’oro per lui su di ogni punto della propria superficie. Ma quell’oro è Stato distribuito da mani d’uomo, e quel Dio panteistico è stato iniettato in ogni vena e arteria e vaso linfatico e muscolo e organo dal panteista medesimo. Vede Iddio dappertutto: egli lo vede, certo; ma dice che dappertutto è come in lui. Iddio panteonico di Roma conquistatrice e padrona del mondo, passato nel naturalismo dei moderni, nei poeti molto olimpici, negli oratori molto fortunati, nei filosofi dell’accademia.
Chi mi legge intende bene che tutto consiste nell’afferrare il modo speciale e specioso che il panteista à di considerare il divino e l’anima. L’anima è dappertutto egualmente. L’anima delle cose, questa essenza filtrata della forza, che diventa ragione e potenza creativa e armonia unificatrice, lo spirito divino del tutto è precisamente una formula per evitare, saltando a piè pari, il problema che l’uomo si pone dell’anima come intuizione e rivelazione e diciamo ancora sentimento e cosciènza individuale. 11 panteismo sta ad una vera e propria filosofia dello spirito, come il chiasso al suono. L’anima considerata come l’aria fresca sotto le stelle e il buono odore del mare e la dolcezza dei raggi di sole e il coro dei grilli : non va più. Un Illimitato in cui io entro partecipe provvisorio nella forma individua, eterno nell’essenza, nel moto, nel vigore; ma io ò dei limiti; ma io sono io e la mia volontà è di staccarmi, prisma o sfera isolati, sistema di vertici e di faccie che sè in sè foggia e racchiude. Io cerco la spiegazione del mio Io, e il monista, se in me il pensiero è salito a qualche grado più in su della media, mi fa male e mi offende, dandomi la forinola patologica e la ricetta ricostituente perchè sia meno genio e più animale; e il panteista mi manda in giro per gli effluvi dei boschi e gl’infiniti lucreziani rincrespamenti del ceruleo seno. Quei due signori m’ànno preso per uno che vada elemosinando una dottrina. Invece io cerco spazio per fabbricare il mio superbo edificio. Monista e panteista mi trattano come se io dovessi essere iscritto non so a quale pecoresca massoneria o vociante chiesa, come se io dovessi occupare una casella pur che sia.
6. — Il panteista vede una gigantesca forza dappertutto. Egli non ne può essere che una piccola parte. Per un sistema in cui l’esigenza dello Spirito è ridotta al minimo, ciò potrebbe andare in epoche non troppo difficili. Ma perchè associare l’umiltà pensante dell’io alla spiritualità uniforme della natura? Forse perchè non è possibile dire che la natura è tutto e noi siamo pressoché nulla; forse perchè è invincibile il bisogno d’affogarci nell’evaporazione d’un'esistenza che stupisce e piace e assopisce e ci decompone appena ci punge il bisogno di ricomporre la nostra personalità, quando questa personalità non è spiegabile.
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Affermare che Dio o l’Anima o ambedue o una qualsiasi cosa che ambedue li fonda, sono in noi la ripetizione e la perpetuazione d'un universale integrante e ravvolgente, non è rispondere a quel che noi domandiamo. La coscienza del-l’Io è unicamente l’avvertimento che io non sono quello che è il di fuori di me ; e questo Fuori di Me che cosa diventa mai, quando non si sia disprezzata la notazione che, avanti d’occupare il suo posto, il Fuori di Me è stato seminato e coltivato ed à fiorito e fruttificato nel Me?
Questa cosciente diversificazione dell’io, con bonaria suffisance monisti e panteisti potranno anche spiegare come un fenomeno psichico di non si sa quale specie. Ma ormai è troppo dire ch’essi non arrivano alla filosofia. Il discorso filosofico non è ricerca di genesi, non seriazione di passaggi, non persecuzione di trapassi e delle loro sfumature. La psicologia e la psicogenesi — tutto quanto s’è fatto dagli psicologi contemporanei in un cinquantennio potrebbe chiamarsi meglio psicogenia che psicologia — sono la considerazione tecnica della costruzione messa al posto della sensività estetica; l’indagine storica o archeologica sul simbolo e il mito e il rito sostituita alla mistica.
Queste strane pseudofilosofie, dallo sperimentalismo in giù, costituiranno un giorno un insieme che darà da fare ai ricercatori che non vorranno credere e dovranno ridere. Sperimentalisti, ogni sorta di materialisti e di naturalisti, evoluzionisti e panteisti, appariranno i taumaturghi d’una tesi non si sa come nata e perchè sopravvissuta durante un cinquantennio. Io non esisto. Esiste 11 Mondo Esterno. Quel che sembra l’Io è unicamente il riflesso terminale e non necessario del Mondo Esterno. Tutta questa verità è dimostrata in principio, in mezzo ed in fine col Mondo Esterno. La parola l’ò incominciata a pronunciare io ; l’idea l’ò incominciata a pensare io ; il Mondo Esterno incominciò con l’essere una visione mia, nella mia mente. Sono io Che ragiono, io che misuro, io che ritrovo la ragione del Mondo Esterno. Ma non vuol dire! Di me si può fare benissimo a meno, perchè Io non sono la verità, ma la Verità è fuori di me e si impone a me a malgrado di me e dev’essere intesa come la scienza!
E sono stati coloro che ànno ragionato così a giudicare follia i dogmi degli altri, le opinioni degli altri, le idee antiche e vecchie. E questa « dottrina > e questo < sistema » e questa « scienza » ànno preteso che diventasse evidenza, che conquistasse i cuori come una fede, che illuminasse la vita e la via, che apparisse come una liberatrice!
7. — C’è nel monismo e nel panteismo la pretesa d’avere un contenuto ed una portata critica. I primi respiri di queste due dottrine datano dai giorni nei quali albeggiò quel che si chiama eresia. Invano si cercherebbe negli eretici — riformatori, rinnovatori, ribelli, negatori, demolitori — la consapevolezza piena del loro modo di ragionare o meglio di controragionare. Ricordate Cardano e Patrizi e Vernia e Nifo e Pomponazzi e Paleario e Carnesecchi e Bruno e Va-nini; ricordate Galileo. L’uno diceva che è vero in filosofia quel che non lo è in religione; l’altro brutalizzava inconsapevole alcuni dei poteri i più alti dello spirito; quello rivendicava a paradossi barocchi la negata libertà a dire ed a scrivere; questi esagerava quanto era stato rimpicciolito sin’allora 0 riduceva e avviliva quanto era stato grande e venerando. Galileo, non sommo filosofo, non s’accorge che, quando s’è fatto così gigante il creatore e così progressiva la
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creatura creata, certe conciliazioni sono ridicole e io credo che sarebbe stato eroe se avesse capito ciò, mentre, per non averlo capito, rimane una gran brava persona attorno alla mentalità d’un formidabile osservatore. Monismo e panteismo si sommano degli eccessi e dei difetti dell’eresia, che fu un più in là è un più in qua della rigida linea della scienza canonicale cattolica, o meglio un troppo in là e un troppo in qua. In quanto dottrine, monismo e panteismo — dico in quanto dottrine moderne — sono roba umanistica, facili, superficiali, incerte, strambe intuizioni d’astrologi e di onirici alla Paracelso, diventate armi di difesa e d’offesa contro la pretesa ecclesiastica. Ma dentro c’è troppa ira. Se eliminate la polemica dal nostro filosofo barocco — io difendo il Barocco — dal Bruno, quel che rimane è ottimo, eccellente, fecondo, luminoso; ma è poco. A Bruno giova che non si conosca la sua opera definitiva sull’anima — o press’a poco — rimasta manoscritta nella miscellanea del reo nell’Archivio Segreto Vaticano, quella che il Cardinale Bellarmino lesse e noi non leggeremo più. Non c’è bisogno di un Dio persona, non di un’anima personale, non d’una personale immortalità dell’anima, d’una personale responsabilità ; i mondi possono essere infiniti e ciascuno può ripetere l’istoria naturale e umana e religiosa del nostro ; l’uomo è un animale come tutti gli altri e gli animali sono piante come tutte le piante ; la vita è un parassitismo ; tutto apparentemente muore, ma si decompone soltanto; la vita circola ordinandosi a forza di disordine; la divinità è in noi, anzi la siamo noi. Quando penso a questa sorta di formulazione, veggo le statue ventose sui ponti, le facciate a onda, i colonnati energumeni, le fontane sghembe dei berniniani. Mi diverte tutto ciò ; ma nessuno mi leva dal capo che tutto ciò sia nàto per contradizione e sia stato fatto con un gesto un po’ tremante e uno sguardo piuttosto abbacinato. Si voleva opporsi a Michelangelo, quello di San Pietro in Vincolis. Ahimè! La farsa pazza e piacevole finiva in pochade'. il Mosè di San Bernardo alle Terme!
8. — La preoccupazione del dogma cattolico è sempre stata disastrosa al procedere ed al disciplinarsi d’un altro raziocinio filosofico. I diversi, gli avversari, i nemici pare abbiano pensato, rivolti alla Chiesa di Roma: «Tu ài una verità ch’è tua! Io ne avrò un’altra mia! Tu ài una tua religione ed io ne avrò una fatta da me, per me!». Così s’è fatto il dogma dell’antidogma. E il primo e più grave risultato d’una tale sconsideratezza è stato quello d’attribuire alla Chiesa, per negarla più sinteticamente, tutte le glorie e tutti i Valori del passato, trascurando il fatto che San Tomaso è materiato di Mosè e di Paolo e di Gesù oltre che d’Aristotile e che l’architettura del monumentale edilizio della filosofia tomistica è presa, più che non sembri, ai rigidi esemplari della sistemazione giuridica romana. Per far della critica e della negazione alla Chiesa di Roma, neofiti e antesignani del monismo e del panteismo ànno attaccato il Dio personale e (’Anima personale perchè erano tra le altre cose nell’arsenale dogmatico. Una for tezza da espugnare per trarne tesori e vessilli e armi e prigionieri insigni, era la Chiesa di Roma. L’ira degli assedianti si rovesciò sulle difese oscure cecamente e nel parossismo dell’azione sino i migliori strumenti d’assedio furono guasti.
Dinanzi al dogma come dinanzi alla coscienza filosofica la pretesa del monismo e del panteismo di rappresentare una critica, è divenuta ridicola. La concezione del divino com’è nel cristianesimo in genere e quindi in ogni sua derivazione
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storica, è assai più seria e attendibile di quel che non sia nel panteismo. Dio va guardato con occhio individuo, e l’anima personale è ben un punto di vista fatto per guardare e vedere secondo che se ne à il potere. Il divino non è attingibile che dallo spirito che S’è riconosciuto ed à centro e limiti e sagoma e sfera d’azione. E’ per questo che io credo essere pochissimi in fondo coloro che ànno intuizione e notizia di Dio. Intuizione e tramite sono interiori e il Mondo o la Realtà o il Fuori di me non possono che diminuire o alterare il senso del divino che nella storia è prima ebraico, poi cristiano, e resta cristiano immortalmente. Il monista non perviene a comprendere che l’anima à una ragione che è fuori delle vie della vita, perchè è una contradizione. L’anima non à genesi, è fuori del tempo e dello spazio che sono i suoi concetti, come tutto, e non si lascia confondere col Monos ch’ella medesima inventò in un momento d'allegria, perchè ella sa d’essere il principio eroico e l’elemento ostile, la forza intususcettiva di contro al Mondo fattosi per sovrapposizione. L’anima è in tutto; Iddio è in tutto, cioè soprattutto fuori di me o di noi. Questa tendenza disccntrativa è opposta a quel moto caratteristico dell’anima, che noi sentiamo essere accentrativo, quell’andare da noi a un noi più interno, quel cercare nell'interiorità l’affermazione esatta e pura e definitiva del noi. La filosofia è tutta in tale concentramento dell’essere, in questo distaccarsi dell’essere dalla Vita e quindi dalla Natura e dal Mondo e da ogni altra più o meno accertata esistenza del Fuori di Me.
8. — I monisti e i panteisti, bagnati gli uni e gli altri di evoluzione, ànno avuto ed ànno la convinzione d’essere critici. Prendere l’anima dell’individuo e sperderla per il Mondo; pretendere di spiegare quell’anima del Mondo e senza avere spiegata quella individuale; sperdere per il Mondo il Diodi quell’anima, un Dio senza più contenuto umano ed etico ed intellettivo ; tutto ciò a sufficienza prova l’acresia e la non filosofia di costoro.
Ma una deficienza è all’origine di tanto sciatto filosofare ; quella pretesa che una filosofia guadagni a sembrar critica e che finalmente il destino della filosofia sia d’andar diritta diritta a diventare una critica. Basta dare un’occhiata a quel che avviene da un venticinquennio nel mondo. Noi diamo più ascolto al verso d'un poeta che alla formula d’un uomo di scienza, ci convince meglio quel che viene dal segreto dei sogni, e i dolci inganni dell' immagine ci paiono molto più degni d’esser vissuti che non le certezze approssimative e in continuo spostamento delle analisi irte di mali inganni dal volto ambiguo or facile, ora atroce della così detta e sempre detta scienza. I poeti non sono mai stati vissuti quanto oggi. E’ in loro che ritroviamo noi stessi, non soltanto quel che v’è di migliore, ma quel che v’è di più vero, perchè più sincero. La finzione poetica non è per noi una falsità, perchè essa risolve i nostri stati d’animo e muta colore ai paesaggi dello spirito e d'un Colpo fa sorgere panorami di vita e di grandezza dal deserto d’un grave avvilimento scientifico. La lirica contemporanea, con a capo quella francese, vibra e squilla di quest'affermazione dell’io spirituale e ci riesce così immediatamente vissuta e sentita che noi sin d’ora possiamo proclamarla detentrice della vita più nuova, più nostra, più caratteristica dell’epoca nostra. E’ là che si cercherà e si troverà il documento di noi, quando sarà parola di questa nostra epoca tremenda che à spalancato il baratro alla monumentale illusione scientifica del positivismo, del naturalismo, del monismo e del panteismo.
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Quel che oggi si cerca dunque nella filosofia è un consenso placido, vasto e luminoso alle medesime affermazioni spontanee dello spirito. Filosofare, per noi, è constatare come noi intuiamo e sentiamo di essere; tutto il resto è fabbrica di casse da violini e tiraggio di corde musicali; non musica. Realmente l’acutizzarsi della sensibilità lirica à fatto dell’anima nostra una volontà che non sopporta più fracassi di sistemi, risse di dottrine, grida e parolacce di gente molto semplicemente sicura. La nostra filosofia come la nostra lirica, di più in più cercano l’isolamento dell'io di fronte al suo divino amico o al suo avversario demoniaco. Aumentare il nostro Io nel gran silenzio ov’egli si fa meraviglioso ascoltatore della voce interna, scomparso l’orrido e arido Mondo in frammenti: non cerchiamo che questo. E’ in tale isolamento che una scintilla balza e si fa incendio, e il miracolo si compie. Siamo trasportati in un cielo diverso da quello che si incurva a limitare il Mondo e là ci sentiamo non mezzi o fenomeni e sintomi e passaggi, ma unità indivisibili alle quali l’estraneità a quanto è classifica e analisi di sistema dà il privilegio di essere impassibili di giudizio critico. Là sentiamo che una critica non la si vive, come del resto non si vive una filosofia nè una verità, ma il cuore profondo dell’essere individuo e diverso che io sono e ciascuno di noi è, se lo è.
io. — Come l'Io, il vero, il bello, il buono sfuggono alle diagnosi Che sfibrano e decompongono. Sono dogmi nella Scienza — e chi riescirà mai ad emanciparsene degli scienziati, e chi potrà e come e quando sostituire un che di più < critico » ad essi? — sono dogmi l’Elemento e la Forza, Dio uno e trino, no. Ma l’Elemento sì, e la forza Certamente. Un corpo si deve scomporre in elementi, in dosi d’elementi, in presenza di elementi, in attitudine d’elementi, in modo che via via dalla visione geologica si passa a quella biologica, a quella fisiologica, e poi fisica, e poi chimica, e poi ad una scienza dello jonismo che non si sa in fondo troppo bene quel che sia, e se si deve dare ascolto alla poca lede che ne ànno certuni tra gli uomini di scienza — vedi il discorso del Righi dell’anno passato — c’è da non andare a letto tranquilli, anche ad essere il semplicista più esemplare e soddisfatto. Perchè dare scientificamente una considerazione al corpo : il Ferro, per esempio? In natura non c’è il ferro; in altre parole il ferro non esiste naturalmente, al modo ¡stesso col quale non esiste la cellula dell'organismo — Uomo. Degli Elementi del Ferro e di quelli della Cellula non può dirsi altrettanto? Analitica-mente l’uomo di scienza è arrivato agl’intimi remotissimi Elementi del Ferro e come del Ferro dell’Oro, gli Elementi di tutto. Gli Elementi spiegano essi qualche cosa? L’ossigeno è l’ossigeno, nel sangue, nell'aria, nel metallo, ond’è che si dice « ridursi » e metallo e sangue e aria ad ossigeno e ad idrogeno. Niente < semplifica » più la visione e la nozione della vita quanto il pensare che « tutto si riduce » ad idrogeno e ad ossigeno, come del rèsto che la vita è un insieme « semplicissimo » di Materia e di Forza. Benedetta la forza, che se ne va tutte le volte qu'on attrape la Materia per sottometterla all’analisi ! Ma è cosa da poco, poiché il fatto è semplicissimo. La forza sta con la materia, sino a che la Materia è viva, continuativa. Se ne va, quando muore. Quando c’è non la si vede: la Materia la nasconde. Non la si vede nemmeno quando non c’è. Ma c’è. Tutti sappiamo che c’è anche l’araba fenice, fenice e araba, non Anima, non Dio. Siamo intesi !
Fisici, chimici, biologi, monisti insomma e panteisti d’ogni sorta e positivisti compresi sono, a dir vero, le teste più astratte: Elementi, Forze, Materia, Vita,
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Fenomeni. La mente astratta, in questo campo, come altrove, è dispotica, arbitraria, visionaria, semplicistica. S’è costretto « Quel che è » ad apparire come una composizione, una combinazione, e l’espediente tecnico del fornello a servizio dell’ industria à dovuto valere come la rivelazione assoluta e diretta di « Quel che è » ; la nomenclatura e la classifica inquadrando il cumulo di « Quel che è > frammentato sotto definizioni e formule derivate da un'operazione utile, anno finito per determinare la certezza che (’Elemento, la Forza, la Cellula e così via esistono veramente come centri precisi organici, essenziali dinamici, come ragioni delle ragioni, come assoluti vitali. Così pensare e credere è più « positivo > che riconoscere un potere creativo individuo — l’Anima — e un potere multiplo universale — Dio. Tutta la scienza moderna in fondo non è che l’enorme fatica di trovare un’altra spiegazione, di fare un altro ragionamento. Bisognava non parlare più d’Anima e di Dio, bisognava mettere in trono il potere Elemento e il dio Forza, quello che si sa che ci sia, ma quando c’è non lo si vede e nemmeno quando non c’è.
il. — Il punto nel quale ci troviamo oggimai è precisamente il risultato d’un secolo circa di fantasticherie, di verbalismi, di promesse, di vani tentativi, d’un lungo giuoco azzardoso che incomincia a non piacere più nemmeno a chi lo fa. Elemento e forza, in cambio di semplificare e di ridurre, ànno complicato, anno moltiplicato le difficoltà del comprendere, accumulando ostacoli sopra ostacoli lungo la via d’una qualsiasi certezza. Ed ecco la filosofia in piena ribellione contro la scienza, ecco i monisti relegati tra i maniaci quando non tra la gente troppo allegra — abbia pazienza il nostro insigne Ernst Häckel ! — ecco i panteisti rimandati indietro a rioccupare le loro sedi indiane e pitagoree ed eleatiche. Ecco l’Io che la rompe con tanto gomitolo e tanto rumore di dottrine e serra i cancelli e sbarra il portone e nella riconquistata libertà di se medesimo la voce ascolta della verità che non vacilla e non à bisogno del Pathos, del Monos e del Pantheos per ritrovarsi, principio e vita e scopo a se medesima. La coscienza e la certezza tornano all’unica esperienza ed all’unica evidenza, quella interiore. Non i gabinetti e le lenti d’ingrandimento, non le collezioni d’ossa e gli sfibrati tessuti cerebrali ridotti a felpa e stoppa dalle soluzioni d'un’ana-lisi eunuca, ànno trattenuto la casta e il dogma nei confini della storia, ànno emancipato lo spirito umano ; ma l’interiore affermazione dell’esistenza della persona umana. La Scienza è stata un tentativo fallito nei riguardi dello spirito e si tenga se vuole la gloria di stupefacente fabbricatrice di giuocattoli in mare, in terra e in cielo ove gli Elementi e la forza non le si riveleranno scendendo, salendo e raschiando. L’incremento vertiginoso delle scienze, ciascuna arrivata ad un apogeo sotto la spinta implacabile dei profitti pratici, à impedito ad una Scienza, materiata e disciplinata e sistemata come le scienze, di costituirsi. Le scienze ànno ucciso la Scienza. E’ un immane orgoglio quello eh’è caduto, una chiassosa superbia. E’ il pericolo di un’altra schiavitù che è stato vinto. La Scienza continui ancora a tentare di far altro che giuocattoli : l’Anima nel paesaggio or placido or tempestoso della Natura continuerà di quando in quando a guardare la goffa danza dell'Orso Monos e l'ira gridosa dell’Elefante Pantheos.
Paolo Orano.
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sono posta la questione se noi, uomini europei, formati alla coltura europea dalla tradizione greco-romana, inciviliti dal Rinascimento, fatti moralmente coscienti dal Cristianesimo e da Kant, aristotelici o platonici (comunque socratici) nell’intima piega del pensiero, consapevoli di tre cose, l’infinito, l’individuo, il divenire eterno, compendiantisi nell’unità-varietà dello spirito; se noi, dico, che siamo e sappiamo tutto ciò, dobbiamo sentire il bisogno di rifarci al i, espanderci, completarci nella nostra umanità imperfetta.
Buddha, per
Questo, dopo lungo esame, nego atque pernego\ è questione che per lo più vien posta per ozioso vezzo della moda, e anche non senza pregiudizio grave della stessa nostra coltura. Vediamo di porre la questione una volta tanto ne’ suoi
veri termini, per contribuire ad evitare che di una cosa anticamente seria, non si faccia ora una bizzarra e perniciosa sofisticheria moderna. A ciò mi invoglia il recente volume dell’illustre orientalista Carlo Formichi: Acvagkosa poeta del Buddhismo {y}'. e lascerò in disparte volentieri le questioni filologiche, perchè incompetente; chè mi si assicura essere, per questo riguardo, il libro pieno di altissimi pregi.
« Acvaghosa fu uno dei grandi patriarchi buddhisti e visse ai tempi di Kaniska, il monarca che ascese al trono dell’india nell'anno 125 della nostra èra. Il grande Acoka (272-231 av. C.) protesse quel buddhismo dei primi tempi che va sotto il nome di Hinayàna* e propagandolo in tutta l’ìndia e segnatamente nelle provincie del nord fra popolazioni che avevano sentito l’influsso della civiltà greca, aprì la via al buddhismo stesso perchè da quella mera disciplina etica seguita da pochi eletti, la quale è appunto lo Hinayàna, si trasformasse in una vera e propria religione popolare provveduta d’un ricco pantheon, d’immagini miracolose, di
Le illustrazioni di questo articolo sono prese dal volumetto di Albert Grùnwedel : Buddistiche Kunsl in Indien. Il disegno che diamo qui sopra raffigura la testa di Gautama Buddha, scultura trovata a Bara-Budur.
(1) Bari, Laterza-, 1912. — Contiene un ampio studio analitico apologetico, e la traduzione del Buddhacarita di A^vaghosa. Fu pubblicato, questo libro, per il Congresso degli orientalisti, tenutosi in Atene nella primavera del 1912. La terza parte è puramente filologica e grammaticale, ed è il pregio scientifico dell’opera del Formichi.
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cerimonie pompose, e conosciuta sotto il nome di Mahàyàna. Come Acoka fu lo zelante protettore ed apostolo dello Hinayàna, così Kaniska fu il patrono del Mahàyàna. Acvaghosa è quindi il poeta di un buddhismo posteriore che non è più l’antico originario tramandatoci nei testi pàliei. Egli infatti non scrive in pàlico, ma in sanscrito, ha uno stile fiorito e a volte soverchiamente retorico ; e che sia Stato un vero e proprio letterato ci viene confermato dal fatto che fu autore di un trattato di retorica noto sotto il nome di Alankàra càstra. Questo almeno ci riferisce I-tsing, un pellegrino cinese il quale visitò l’india nell’anno 673 dell’era nostra». Questo afferma il Formichi, e quando avremo detto che il poema consta di tredici canti o parti, noi avremo detto storicamente abbastanza.
Il poema di Acvaghosa non ci soddisfa poeticamente. Sarebbe certamente soverchia pretesa la nostra, qualora intendessimo il pieno soddisfacimento estetico, quale ci può largire la lettura di un capolavoro nella lingua originale ; ma non è della insoddisfazione in cui ci lasciano le traduzioni (e questa è assai nobilmente scritta) ch’io intendo dire, sì bene di quella che si esala dalla materia stessa poetica del Buddhacarita. Qnesta lettura ci tedia indicibilmente; non ci afferra mai per sollevarci in alto nella sfera della pura e libera commozione dell’arte; l’artificio verbale ci ferisce, le astrazioni ci soffocano, le dimostrazioni ci tediano, e tutt’insieme le rappresentazioni ci appaiono violentate ed intorbidate. Ci vien da pensare, chiudendo il libro, d’uscire da un estivo incubo pomeridiano, e che l'opera non è di uno stilista sì di un grammatico veramente, non di un artista sì di un retore, non di un poeta ma di un letterato, non di un filosofò ma di un sofista, non di un sacerdote ma di un teologo. Ogni cosa vi è riflessa, non spontanea; è frutto d'ingegno non di genio. In essa non Ci è umanità; non ci troviamo un carattere perfetto ed inobliabile, non un’ azione sia pur maravigliosa ma coerente ; nulla di essa opera ci compenetra e ci completa nella nostra natura istessa sensibile all’arte, come avviene de’ capolavori. Ci addormenta, ecco tutto. E, ai risveglio, invano si tenta di rievocare nella mente una figura che ci commova, che noi possiamo amare ovvero odiare, comunque ammirare ; siamo stanchi e sperduti, slombati ed inerti. L’esagerazione, la violenza verbale, l’iperbole sistematica ci fa apparire il poema come un deserto od un oceano; a quando a quando, ma quanto mai rara, ci apparisce un’isoletta od un’oasi verdeggiante, ed è quando prorompe un accento di commossa umanità dolorosa ; ma subito l’inganno verde dispare, l’inghiottiscono le acque o le sabbie, ed ogni cosa ritorna grigia, pianeggiante, accecante, noiosissima sotto l’intramontabile sole dell'iperbole o dell'astratto ragionamento. Subito subentra al poeta il retore, all’artista il grammatico. Che noia!
Così quando, ad esempio, il giovine principe Gautama Buddha si sente deciso alla grande rinunzia e vuole internarsi nelle foreste come monaco mendicante, dice al padre: «Re degli uomini, concedimi graziosamente il tuo permesso; io desidero farmi monaco mendicante per conseguire la liberazione, che fatale è la mia separazione da te».
« Udendo queste parole di lui, il re vacillò come albero percosso da un elefante, e prendendogli le mani somiglianti a loti, e singhiozzando, pronunziò queste parole:
« Rinunzia, o diletto, a tale proposito ; non è già tempo per te di cercare rifugio nella vita ascetica».
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Statua di Gautama Buddha trovata a Tacht-i Babài.
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Tanto dolore il padre prova, che vacilla, singhiozza, prende il figlio per mano e lo prega : bell’atteggiamento commosso ; noi vediamo questo padre supplice e plorante : ma è visione d'un attimo, l’umanità è ricacciata indietro da una tirata dimostrativa, da un predicozzo artificioso.
Ed è l’unico istante in cui vediamo questo padre sovrano d’un regno iperbolicamente fortunato e felice.
Buddha non aveva mai veduto un infelice, nè un ammalato, nè un vegliardo, nè un morto; ogni sventura era stata tenuta accuratamente lontana da lui, ed il padre « temendo che il principe avesse a vedere qualche cosa di ripugnante che potesse turbargli l’anima, gli ordinò di dimorare nella parte interna dei palazzi e di astenersi dal vagare per le terre ». Un bel giorno, annoiato, riesce a strappare il permesso di fare una gita sul cocchio dorato per la città ; per via vede un vegliardo, domanda all'auriga perchè sia così bianco, così tardo, così curvo, e questi gli risponde essere la vecchiezza che tali riduce gli uomini.
Ogni moto psicologico, ogni atto del giovine cui si rivela per la vista e per l’udito cosa si nuova e grave, qui manca; una strampalata metafora spiega tutto: « sentendo parlare della vecchiezza s" impaurì al pari di un giovenco Che oda scoppiare da vicino un fulmine immane». E naturalmente ragiona come un filosofo. E il vecchio, l’ammalato, il morto sono nel poema astrazioni ; non hanno nome, non significato se non didascalico. Ma si confronti negli Evangeli quale semplice e perspicua chiarità d’arte v'è nei cento episodi consimili ; e chi dimentica per avventura mai e il pietoso Giairo e le dolci sorelle di Lazaro, e tutte le belle creature vive, dolci alla memoria? Qui abbiamo vecchiezza, malattia, morte; Buddha, pur nuovo ad esse, pur avendo « la mente purificata dalla buona disposizione del pensiero conseguita nelle esistenze anteriori », non si commuove se non per se stesso, non domanda chi sien© i tre poveretti, non muovesi verso di loro, non li soccorre ; ragiona, riflette e pensa alla bruttezza di quelle tre cose. E’ un caso questo, raro, in cui il brutto morale collima in modo perfetto col brutto dell’arte : qui c’è nulla della rappresentazione perspicua, nulla : c’è il vuoto, l’astrazione, il deserto; lo stesso Buddha svanisce, si rarefa, svapora nell’espressione incompiuta.
Nel poema è un automa, un’ombra che non ha un grido alto veramente grande e bello d’umanità dolente; conosce repentinamente la sventura e subito si nausea dei piaceri ond’era avvezzo, colmo e beato; ma così, senza passaggio, senza perchè interno e profondo ; in lui il dramma non esiste, non c’è cozzo di sentimenti, di passioni, di idee; c'è un algido meticoloso ragionatore. Ma l’arte occidentale ha infinite creature viventi eterne, lancia al mondo canzoni ed inni, al cielo preghiere e lamenti, celebra azioni grandiose od umili, ben altrimenti di questo poema; il quale circonfonde ogni vivace cosa dell’imperturbabile calma monotona di una fantasia stracca e bislacca, senza sbalzi e vampate geniali, che ottunde in noi ogni parte viva dell’anima, limita ogni volo, soffoca ogni palpito generoso. Oh ! le bianche braccia di Nausicaa graziosa, composta e pietosa; astuzia d’Ulisse, dolore acerbo d’Andromache, forza d’Achille, inutilmente speso coraggio di Ettore ! Oh ! l’angoscia tragica degli Atridi e il canto di Saffo ! E Anchise, Enea, Eurialo, Turno, e il romano canto d’Orazio, e la spiritualizzata natura di Lucrezio, e tutta la bella coorte dell’antica patria nostra ! Ma certo che è il dolore grande
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Teste di Buddha trovate a Tacht-ì Babài.
nell’arte nostra : e la divina melanconia della seconda cantica di Dante, dove egli udiva e piangere e cantare; e dolore che ci fa balzare è il maggior grido di disperazione che l’umanità abbia lanciato a se medesima:
Forse la speme, o povero Mio cor ti volse un riso? Ahi! della speme il viso Io non vedrò mai più.
Proprii mi diede i palpiti Natura, e i dolci inganni. Sospiro in me gli affanni L’ingenita virtù :
Non l’annullar: non vinsela
Il fato e la sventura;
Non con la vista impura L’infausta verità;
Dalle mie vaghe immagini So ben ch’ella discorda: So che natura è sorda. Che miserar non sa.
Ma come tutto è vivo quivi ed altrove, come ogni espressione è tangibile nella sua pienezza e perfezione ; il dolore nell’arte nostra occidentale non è astrazione e tenuità vaga, ma precisione di contenuto, circoscritto dai limiti stessi della vita umana, che soffre anelando alla gioia, che muore ma dopo aver continuata la vita ; è la notte vaga di stelle e melanconica della luna, questo dolore, o corrusca di lampeggiamenti temporaleschi, ma che segue la dolce sera e si affretta alla novella aurora.
E’ Rolando della Canzone che muore per fellonia altrui, e che invano tenta di infrangere la bella Durendala d’oro e che dopo aver fatto risuonare l’olifante
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fatato, se li stende accanto sull’erba sotto un pino, volendo mostrare al suo Imperatore « qu’il fut morz cunquerant ». Si muore, Si soffre, ma si vive e si conquista: chè la vita vera consiste in questa alterna infaticata vicenda.
Certamente perchè Gautama Buddha fosse cagione e materia di poema dovette essere uomo dall’animo grande, dalla vasta parola eroica, il quale avesse suscitato un gorgoglio d'idee nuove, limite forse di un mondo invecchiato, centro e principio di una storia novella. Questo non mi sogno di negare; perchè l'india è là che comprova ogni cosa co’ suoi monumenti architettonici, poetici, filosofici ; Buddha ha avuta una preparazione secolare e non si può concepire senza le dottrine dello Yoga e della Sànkhya-Kàrikà, e senza la poesia mistica anteriore ad esse dei Veda, ch'egli esaurì in sè per l’eternità.
Quello che nego è che il Buddha di Açvaghosa, sia una individuazione, una creazione poetica degna d’altissimo encomio, vivente per le sole sue peculiari qualità nel mondo dell’arte. In questo poema è un manichino vestito di stoffe ricchissime, adorno di gemme grosse come fondi di bicchieri; è un fonografo che ripete le elucubrazioni teologico-filosofiche dello pseudo poeta, letterato di mestiere. E come il mito indiano a questi serve soltanto per sciogliere meccanicamente le situazioni diffìcili, e non è colto e reso nella sua efficace e fresca spontaneità nativa, e però profonda e poetica, come ad esempio in Omero il mito ellenico; così questo Buddha non è intuito ed espresso come nella natura sua egli avrebbe potuto essere, l’uomo che combatte e vince, e diffonde la verità agli appassionati discepoli, che insomma opera; è nebuloso astratto, quale lo si poteva vedere nelle scuole, non tratto dall'arte per virtù onnipotente di un vero poeta.
Vero è che nessun grande poeta potevasi suscitare dalla vita del Buddha ; e in questa impotenza è provata anche la virtù narcotica e abbrutente della sua dottrina, come vedremo: e ciò spiega che sebbene grande il numero dei buddhisti, nulla alla civiltà essi abbiano dato di fattivo veramente. Dal buddhismo, inteso come religione popolare, si può dire che, data la decadenza dell’india e dei paesi finitimi, il buddhista fa suo inconsapevolmente il terribile verso del Bou-delaire: « Résigne-toi, mon cœur; dors ton sommeil de brute». Ciò che è momentanea espressione lirica di abbandono accorato e di stanchezza mortale nell'occidente, in Oriente divenne stato normale
Statua in pietra di G. Buddha.
ed abitudinario. Anche l’arte no-
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strana sul finire del Medio Evo produce poesia pingue delle idee della scuola; ma l’esangue temperamento dei teologi e de' filosofi fu tenuto indietro dal buon gusto popolano e dal sorgere dell’astro di Dante. Anche la Beatrice di questi noi non vediamo con precisi contorni e non udiamo il timbro della sua voce umana; ma noi scorgiamo come essa viva dallo specchio ch’è Dante stesso, il volto di Dante, e come esso si sbianca al suo appressarsi, e come la gente rimira, e come lo specchio s’avviva del color della perla: Beatrice è tutta nel suo poeta che per lei vive, sente, soffre, si bea e canta.
Ma quale imagine suscita in noi di Buddha la lettura dell'opera di A$va-ghosa? Dell’eccelso Buddha adorato dalle femmine cortigiane o no del suo paese di cuccagna, di Buddha nato per miracolo ? Noi lo troviamo alla fine del poema seduto immobilmente al piede di un albero, dove si era posto per sostenere la lotta terribile contro tutte le nemiche forze della natura, contro di Mara, lo spirito del male: e così seduto, floscia ed enorme massa di carne inerte, noi lo troveremo nella mente dell’uomo sino alla consumazione dei secoli. Oh! e si volle paragonarlo a Gesù! Io protesto in nome dell’arte: negli Evangeli Cristo opera, percuote i mercanti del Tempio, soccorre sventure, consola dolori, salva i peccatori, Sta a contatto perenne con tutta l’umanità che lo circonda, che in lui si riflette, e che gode del riflesso di lui ; di lui che passa divinamente pieno l’animo di operoso amore. Non ci vien Cristo descritto come persona, ma noi lo vediamo, lo sentiamo, ci parla e gli parliamo, che egli è partecipe con noi della vita. Buddha invece qui ci vien descritto con particolari realistici minutissimi, a volte persino ripugnanti, sempre con paragoni bestiali; la sua persona fisica ci apparisce (anche dalle statuette messe alla moda dall'esotismo insulso, annoiato e annotante) grottesca; se poi tentiamo di paragonarla alla statuaria greca, divina nella sua armoniosa compostezza, ci vien voglia di ridere.
Non dirò qui del realismo osceno di certe enumerazioni descrittive, come quello delle fanciulle del palazzo, o delle cortigiane del parco, o delle femmine piangenti al triste abbandono; poiché esse di per sé escludono, comedie enumerazioni, ogni attività fantastica, e però ogni felicità narrativa. Ma il realismo naturalistico in quest’opera fa un altro scherzo di pessimo gusto ; è tanto spinto che invece di precisare, confonde,
intorbida, non scolpisce ma de- Gautama Buddha (Antico bronzo siamese) forma e caricatureggia ; così Bud- Dalle rovine di Kampengpet (xii-xm secolo d. Cr.).
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dha è solo descritto qua e colà nelle sue parti fisiche, non spiritualizzate dalla esamina psicologica, in modo da renderlo quasi turpe. Io non so se i pregi fisici di Buddha siano stati proprio quelli attribuitigli da A$vaghosa, o se essi rientrino nelle categorie estetiche della razza indiana; certo essi per noi sono solamente bestiali. Buddha è nato da poco e il santo profeta Asita si reca a rendergli omaggio, e trae lietissimi auspici dai seguenti fausti segni : «i piedi segnati da un disco», «le dita dei piedi e delle mani legate insieme da una membrana, le sopracciglia congiunte da un ciuffo di peli e la borsa elefantina ». Egli che smania rinchiuso in casa « al pari di un elefante rinchiuso nella stalla», ha «grosse e lunghe braccia», «la voce armoniosa del cuculo», « gagliardia di un toro », « ampio e grosso petto » : e un monaco così lo esalta descrivendone la testa : « Questa tua bocca, alla quale sono di fregio il naso di ben nutrito destriero e gli occhi grandi allungati ; questa tua bocca con le labbra scarlatte, i denti bianchi ed aguzzi, la lingua sottile e rossa, è destinata a bere tutto quanto l’oceano 'lei conoscibile ». Questi sono i pregi stilistici del libro, e fisici del Buddha ; questo il materialismo de’ settatori evidente da quella ultima orribile metafora che abbiamo citata. Non è più il caso di estendere la nostra indagine estetica; l’arte, la poesia, come le sono universali, non hanno bisogno di eSser cariche di questo stracco, brutto, falso poema, per rifulgere ancora e per raddolcire la vita. Era fatale che l’eccesso panteistico della filosofia indiana finisse in questa bolgia di materialismo; il quale, ed è questo un caso tipico, compie il suo fatale ciclo fino ad identificarsi nel più illogico e stolido misticismo, ossia rientra nel nulla.
(Continua).
Mario Rosazza.
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O scopo col quale, su una rivista religiosa cristiana, mi accingo a trattare un tema che coinvolge elementi religiosi biblici ed elementi scientifici, è qualche cosa di indiretto.
Tanto se si è fuori di ogni influenza cristiana, quanto se si è cristiani, la quistione non è quistione necessaria.
Si può pensare quello che si vuole a proposito della origine dell’uomo, e anche, a questo riguardo, assumere un atteggiamento del tutto agnostico, e non ostante ciò
avere là visione chiara di Cristo e dell’opera sua. Però ci è utile indagare la quistione, perchè essa perseguita e tormenta tutti quelli che non vogliono rimanere estranei al febbrile movimento della scienza.
In questa prima parte del mio studio mi occuperò del problema antropogenico solo in rapporto alla Bibbia; in una seconda, esaminerò il problema stesso in rapporto alle osservazioni ed alle ipotesi delle scienze naturali.
— Che cosa si deve pensare, in questo mattino di secolo xx, del racconto biblico sull’origine dell’uomo, anche se si lascia da parte una interpretazione affatto materiale e grossolana delle scene, e si guarda invece al fondo della narrazione ?
E più in generale, che cosa si deve pensare della cosmogonia biblica, di cui quella narrazione è parte?
La seconda quistione, provocata dalla prima, potrebbe trarci fuori di strada, allargando eccessivamente il problema, specie in vista dell’esame da farsi poi delle ipotesi scientifiche a riguardo di esso; tuttavia non potremo trascurarla, pur tenendo presente che ci occuperemo specialmente del quesito antropogenico.
Dunque che dire del racconto biblico?
Insensibilmente, nella cerchia della gente colta, s'è formata l’opinione ben decisa Che vi sono due categorie di persone : quella di coloro che amano la realtà delle cose, i fatti, anche se non si possono conoscere che in parte; costoro si rivolgono alla scienza e disprezzano del tutto il racconto biblico : e poi la categoria delle altre che hanno bisogno, si dice, di nutrirsi di illusioni ; costoro accettano in tutto o in parte il racconto biblico.
Alla prima categoria apparterrebbero, si capisce, gli amici della luce; alla seconda le persone dallo spirito poltrone, le persone che amano rifugiarsi nella penombra della leggenda. I primi sarebbero coloro Che camminano edavanzano ; gli altri sarebbero i fossilizzati.
Stando a questa opinione, sembra che una rottura profonda e irrimediabile si sia da ora in poi formata tra il poco che la Bibbia ci lascia intravedere, a riguardo del problema che ci occupa, e il poco che la scienza ha scoperto e scopre.
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È bene tener conto di questo stato d’opinione ; perchè, se per parte nostra non possiamo fare astrazione dalle linee generali del quadro presentato dal racconto biblico, non possiamo d’altra parte mettere in non cale le afìermazioni che vanno pel mondo sotto il nome di dimostrazioni della scienza, di verità scientifiche acquisite. L'alta scienza è prudente, sobria nelle conclusioni e peritosa a formularne; ma la volgarizzazione scientifica, fatta dàlie scuole medie e superiori, dalle riviste, dai giornali, dal libro che segna un numero d’ordine nelle varie Biblioteche Scientifiche, suggerite dallo spirito di speculazione commerciale libraria per lanciare il volume di «attualità», quella volgarizzazione non è sovente che una serie di affermazioni recise e decise, è uno schema scientifico rigido dove l’incertezza dello scienziato ben di rado apparisce.
Dunque, ripeto ancora, che dire del racconto biblico?
Penso che l’atteggiamento nostro di fronte ad esso debba essere quello di uomini di fede, i quali credono esservi nella Bibbia uno sviluppo di rivelazione divina, ma di uomini di fede ragionevole, e di uomini che intendono l’espressione « rivelazione divina » ad un giusto valore.
Questo atteggiamento mi sembra di poterlo riassumere nella espressione mettere a fuoco.
Mettere a fuoco, per poterlo comprendere ed apprezzare adeguatamente, il racconto così ingenuo, così imperfetto per ogni verso, e tuttavia così forte e suggestivo, dei-primi capitoli della Genesi.
Perchè sovente si parla e si giudica del racconto biblico senza essere a fuoco, applicando ad esso, come se fossero le sue, le nostre idee; quelle idee che abbiamo ciecamente accolto o che ci siamo formate nello sforzo incosciente di materializzare in modo tangibile le concezioni espresse con parole, scritte in epoca ben antica, quando le conoscenze erano diverse dalle attuali.
Avviene come quando si tenta di riunire nel campo della camera oscura un panorama; se non si è a distanza tale che le immagini dei vari oggetti vengano a prodursi nel campo focale della lente, la fotografia apparirà detormata, confusa, colle persone e gli alberi inclinati. Si comprenderà ancora di che si tratta, ma sarà una impressione mancata.
Bisogna che la nostra mente sia « a fuoco » per apprezzare al suo giusto valore il quadro abbozzato dal racconto della Genesi, affinchè non ci accada di collocare in esso dei concetti che portano la marca di una data epoca, oppure la nostra propria marca.
Così quando si legge: Iddio disse, Iddio fece, le acque produssero. Iddio creò, ecc., le sono queste altrettante espressioni di fenomeni di cui si intuisce il principio fattore, si vede il risultato, mentre il rapporto fra l'uno e l’altro ci sfugge. Rapporto, questo ond’è quistione, di cui la parola dell’uomo non può esprimere tutti gli aspetti, tutte le sfumature, in nessun’epoca della storia, ma tanto più poi non lo poteva esprimere nell’epoca remota della storia nella quale fu scritto il libro della Genesi. Rapporto, questo ond’è quistione, che lo scrittore biblico non percepiva, e che forse, in mancanza d’altri concetti, credeva ingenuamente corrispondente alle idee espresse dalle parole che impiegava.
Dobbiamo guardarci dal fissare, come se facesse parte del racconto biblico, un « processo » speciale che può essere richiamato alla nostra mente dal valore
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usuale delle parole impiegate nella narrazione per esprimere il rapporto tra il fatto e il suo fattore.
Questa localizzazione del valore delle paróle era essa davvero nelle intenzioni dello scrittore sacro, che vedeva i risultati, che aveva la conoscenza e la rivelazione dell’autore, ma che, per quanto concerne il « processo », era nell’ignoranza ben più di noi? Oppure credeva egli, lo scrittore sacro, il quale riferiva i racconti che, deformati in vari sensi, erano trasmessi per tt adizione presso tutti i popoli di Babilonia, credeva egli nettamente che le cose si fossero svolte come 1’-indicava il senso più materiale delle parole di cui si serviva? E questa una quistione al tempo stesso filologica, storica e psicologica sulla quale si possono avere delle opinioni, ma che non si potrà mai decidere completamente.
Perciò non è possibile, a noi del xx secolo, di fare questa localizzazione di valore delle parole. In altri termini noi dobbiamo valutare le espressioni della cosmogonia biblica, e specialmente l’espressione creare, considerando tutte le azioni possibili — quante sono ? sono esse tutte note ? — per le quali si può intendere che Dio è stato l'autore.
Non si insisterà mai abbastanza su questo. Ordinariamente noi diciamo « il falegname ha fatto quest’armadio », e va bene ; non c’è errore nella espressione. Vediamo colla mente il fattore del fenomeno, il falegname; e vediamo il fatto, l’armadio. Se per di più siamo noi Stessi falegnami, vediamo anche il processo che lega i due termini, cioè ci è nota nei suoi vari Stadi, nei modi, negli elementi, l’azione elaboratrice che dal tronco d'albero ricava l’armadio. Ma se non Siamo noi stessi falegnami, è evidente che, pur avendo la nozione chiara che un’azione del falegname ha prodotto l’armadio, le circostanze, le fasi, gli andamenti di tale azione ci sfuggono del tutto ; e sarebbe da parte nostra atto arbitrario e illogico quello di figurarci che le cose si sieno svolte più così che così, attirando su noi una smentita da parte dei fatti.
È quello Che accade, per esempio, quando all’espressione Iddio creò attribuiamo solo il valore che nasce dall’idea di un colpo di bacchetta magica, dimenticando, o chiamando eterodosse, le numerose azioni possibili in conformità di leggi che, forse ci sono note, o ce io sono soltanto in parte, o non ce lo sono affatto.
Questo senso di relatività nel comprendere certe parole che si adoperano nella quistione di cui ci occupiamo, bisogna però tenerlo presente anche a proposito di altri concetti di cui ci serviamo ad ogni istante e che vengono stavolta non dal campo biblico. Così quando si sentenzia su delle questioni, pronunciando conclusioni nette, e si sente parlare di dimostrazioni della scienza — e con ciò nel nostro pensiero vediamo qualche cosa di chiaro, di rigoroso come un teorema di matematica — quando si fa questo a proposito della quistione della origine dell’uomo, bisogna realizzare che cosa è il problema di cui parliamo. Tentare di ricostruire quel che avvenne al principio della storia del mondo e della umanità, tanto in base ai dati del racconto biblico, quanto in base a quelli della scienza umana, è fare quella che si chiama una operazione inversa.
Ci sono operazioni dirette e operazioni inverse; ed a proposito di esse il prof. M. Pantaloni in qualche parte dei Suoi scritti fa alcune giudiziose osservazioni.
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Ognuno sa che è più facile fare un nodo che disfarlo, ed ognuno si ricorda che, quando era alla scuola trovava più facile di calcolare il quadrato di un numero che la sua radice quadrata. Si potrebbe pensare che questo dipende da qualche proprietà speciale relativa a questi esempi particolari e non a qualche cosa di inerente alla natura dei due generi di operazione, diretta e inversa. Ma non è difficile vedere che la ragione è questa, cioè che vi è qualche cosa di inerente alla natura stessa dei due generi di operazioni.
Un’operazione è diretta quando, date le premesse e le leggi logiche per farle funzionare, si cerea la conclusione.
Questa in generale è una sola. Un’operazione è inversa quando, data la conclusione e le leggi secondo le quali si deve operare, si cercano le premesse che hanno prodotto la conclusione; allora di solito si hanno parecchie conclusioni, tutte ugualmente valide; e può anche darsi che le soluzioni siano in numero infinito.
Così, osserva il Pantaleoni, in quanti modi potremmo rispondere a chi ci domandasse di indovinare quali numeri si sono moltiplicati fra loro per otte-nere 36?
Sembra strana la domanda? Sia; ma allora si noti che è questa appunto la domanda che si fa alla Bibbia quando le si chiede di ricostruire gli elementi ed i procedimenti che hanno prodotto questi fatti, cioè l’universo sensibile e l’uomo. Tanto più che qui ci sono ignote non soltanto le premesse, ma anche le leggi dell’azione.
Orbene, anche se ci riferiamo all’epoca in cui si concepiva la Bibbia come l’opera di un amanuense scrivente sotto la dettatura di Dio, anche allora c’erano troppe lacune, una troppo grande insuffìcenza di parole per esprimere dei processi d’azione, ignorati prima ed ora a noi noti, oppure ancora ignorati da noi, ma che saranno conosciuti dai nostri discendenti.
La Bibbia non poteva rispondere scientìficamente (nel pieno senso della parola) a tale questione; essa era, a questo riguardo, un raggio di luce gettato su un passato di cui la nozione scientifica non era nè necessaria nè sufficiente per l’opera di Dio verso l’uomo.
Ancor meno poi la Bibbia può rispondere col concetto dell’ ispirazione divina quale risulta dal metodo storico e dalle conoscenze che ora abbiamo; concetto d’ispirazione che, se aumenta il valore morale e spirituale del libro sacro, c’ impedisce tuttavia di staccare gli scrittori ispirati dall’ambiente e dall’epoca storica in cui vissero.
Ancor meno, dato questo concetto della ispirazione, possiamo domandare alla Genesi quello che essa nè vuole, nè può darci, cioè l’espressione scientifica dell’origine del mondo e dell’uomo in base ai postulati scientifici attuali. Del resto, lo si sa, questi famosi postulati moderni non sono cose incrollabili; e non si manca di rispetto a coloro che li hanno trovati se si osa affermare che essi forse non saranno i postulati di domani. Per convincersene basta considerare quello che avviene sotto i nostri occhi, nel periodo storico della nostra generazione, e faccio qui allusione allo sconvolgimento delle idee sulla costituzione della materia prodotto dalla scoperta del radio, di modo che non si può prevedere ora quali saranno i principi fondamentali che fra cinquantanni saranno posti alla base della
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chimica, della fisica, della mineralogia, della geologia, e, per riflesso, alla base delle scienze del pensiero.
Tuttavia se non possiamo chiedere alla Genesi quello che essa nè vuole nè può darci, non si può non arrestarsi commossi e pensierosi davanti al quadro cosmogonico e antropogenico che è in essa abbozzato. È quello l’eco d’una leggenda inventata da qualcuno dalla immaginazione feconda e brillante ?
Non lo credo:.
Credo piuttosto che sia il ricordo tradizionale dei grandi fatti che sono all’alba dell’umanità; ricordo rimasto presso tutti i popoli; ricordo d’una rivelazione e di una conoscenza primordiali ; ricordo che presso il popolo ebreo fu irradiato di una ulteriore e maggiore luce sovrumana, sicché il quadro, non ostante le evidenti tracce di elementi umani imperfetti e ingenui, presenta una grandiosità di linee ed una veridicità d’insieme davvero meravigliose.
Non potrei e non saprei dire come questa fusione dell’umano col divino si sia formata, e in quale misura sia l’uno e in quale l’altro; dico come io cerco di spiegarmi la incontestabile realtà grandiosa dell’esistenza di questo racconto; e perciò vorrei valermi di un paragone.
— Figuratevi dunque un negro intelligente e sveglio, ma che non sia mai uscito dal suo paese e che nulla abbia mai veduto del nostro mondo industriale europeo.
Un giorno fategli visitare una delle grandi officine dove si costruiscono le locomotive ; di guisa che egli possa vedere il minerale di ferro, quale viene tolto dalle viscere della terra, trasformarsi in masselli e in lastre d’acciaio, e infine in una lucente e potente Pacific che corre rombando sulle rotaie! Dopo ciò figuratevi il povero negro ricondotto di colpo in Africa, come di colpo ne era stato tolto, e immaginatelo intento a raccontare ai suoi, nella sua lingua rudimentale, le cose meravigliose che egli ha vedute, la creazione (diciamo la parola) a cui ha assistito; figuratevi ciò, e poi dite quale sarà il suo racconto.
Il racconto sarà vero nel fondo ; quantunque ad un europeo alquanto colto possa apparire puerile nelle espressioni. Ma per giudicare del suo valore non bisogna confrontarlo col procedimento meccanico di costruzione esatto Che le nostre cognizioni possono farci intrawedere ; ma bisogna confrontarlo con quello che cercheranno di dire altri negri i quali, pur non avendo visitato officine, hanno in qualche modo udito dire che dei bianchi laggiù, ben lontano, prendono della roccia e la trasformano poi in qualche cosa di terrifico che lancia fumo e fiamme e corre attraverso i boschi, le pianure e le montagne.
Così per giudicare adeguatamente del racconto biblico, e del suo quadro cosmogonico grandioso, bisogna confrontarlo con i racconti apparsi e conservati presso altri popoli che non ebbero, come il popolo ebreo, un’azione divina educatrice diretta, che non ebbero l’aiuto dei diversi stadi della rivelazione.
Allora il racconto biblico prende un aspetto nuovo e d’immenso valore Perchè se lo si spoglia delle espressioni ingenue, dovute all’epoca in cui fu scritto, al linguaggio, alle cognizioni degli scrittori, dei lettori e degli uditori di quel tempo, se si fa questo e si prende lo schema, allora ecco quello che si vede e si riconosce : mentre le cosmogonie e le antropogenie degli altri popoli, di fronte alla conoscenza scientifica, sembrano favole prodotte da immaginazione feconda
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e sbrigliata, qui si ha qualche cosa che si rinsalda col progresso della scienza, e non solo della scienza spoglia di preconcetti, ma della scienza ostile.
Risulta questo; più le parole e le espressioni di cui si sono valsi il testo e le traduzioni appariscono insufficienti per esprimere chiaramente l’azione svoltasi al principio, quando non c’era occhio nè orecchie umani per percepire e fissare il ricordo dell’azione stessa, e più il quadro sintetico sembra l’espressione storica concisa degli avvenimenti attraverso ai quali la vita e l’uomo hanno preso possesso della terra. Se le ricerche scientifiche ci obbligano a spezzare le frontiere di significato che zwz" avevamo posto intorno alle parole « creare », « la distesa dei cieli», «le acque di sotto alla distesa», «giorno», «sera», ecc.— frontiere che erano la conseguenza di un atto arbitrario —; se le ricerche scientifiche ci obbligano a fare questo, tuttavia esse, sforzandosi di darci la storia dell’origine del mondo e dell’apparizione della vita organica vegetale e animale, hanno costruito qualche cosa di cui il rapporto di similitudine, sotto molti aspetti, col racconto biblico non può non fare impressione.
La geologia, la paleontologia e la biologia, senza pure volerlo, sono venute a mostrarci che, se il narratore biblico immaginava, o se ricamava su una misteriosa leggenda il cui nocciolo era comune a tutti i popoli, il frutto della sua immaginazione era talmente simile alla realtà, quale crediamo d’indovinarla ora, da farci credere di essere in presenza di una rivelazione.
Confessiamolo, per essere il risultato di uno sforzo di fantasia.e null'altro, il racconto della Genesi ha un carattere troppo vivo di profezia scientifica, esposta in linguaggio semplice, popolare, ingenuo, incompleto.
Per parte mia, più seguo nei miei studi le ricostruzioni cosmogoniche, biogenetiche ed antropogenetiche tentate senza tregua dalla scienza, e più aumenta là mia ammirazione pel valore di fondo del racconto biblico.
In queste pagine del volume sacro trovo una grande forza di seduzione. Essa scaturisce dal fatto del racconto di una storia, vista soltanto dagli occhi dei fossili tratti ora dagli strati geologici ; narrazione scritta in un’epoca in cui le scienze naturali ancora non esistevano, e tuttavia narrazione che, nei suoi grandi tratti, è tutt’altro Che in contraddizione coll’enorme produzione scientifica dovuta alle ricerche moderne sulla natura, e compiuta sia nei laboratori, sia in fondo alle miniere, sia in mare, sia sulle montagne.
Non conosco nulla in cui, sotto le forme imperfette, ingenue, pregne d’ignoranza umana, meglio si vegga resistenza di un principio potente capace di avvicinarsi alla verità, quale la scopre la scienza con ¡sforzo e fatica.
Quel che ho detto bisognava dirlo; perchè qualunque fosse stato il ragionamento poi svolto anche per semplicemente criticare, dal punto di vista scientifico, le teorie scientifiche sull’origine dell’ uomo, sarebbe rimasta latente nello spirito del lettore la questione : < ma che pensare del racconto biblico, della cosmogonia e dell’antropogenia della Genesi?».
Mi pare di potere riassumere quel che ho detto nelle seguenti conclusioni concernenti la prima parte del soggetto in trattazione:
i° non si deve dimenticare, prima di tutto, che c’è, presso tutti i popoli antichi, un fondo comune di tradizioni sulle origini, e che il popolo ebreo, il quale pure mosse dalle pianure di Babilonia, conobbe queste tradizioni; che non
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LA BIBBIA E LA POSIZIONE ATTUALE DEL PROBLEMA DELL’ORIGINE DELL’UOMO 37
sappiamo in quale maniera e in quale misura la rivelazione divina abbia agito su questo deposito tradizionale, ma che essa ha certamente agito;
2° le parole e le figure del racconto biblico non vanno intese in un senso materiale piuttosto che in un altro, in modo che, per esempio, la parola « creare > esprima solo un’azione quasi magica, ad esclusione di azioni svoltesi secondo azioni speciali;
3° il racconto biblico è come un quadro panoramico molto complicato (complicato nel tempo e nello spazio) di cui noi percepiamo le grandi linee, mentre ci sfuggono gli elementi ed il processo per rilegarli fra loro. Essi non erano necessari per noi; sarebbero stati fuori di posto e non erano nel piano di Dio inteso a rivelare se stesso all’umanità;
4° nelle sue grandi linee, e se si intendono le espressioni impiegate nel modo da noi detto, il racconto biblico ci dà lo schema d’un edificio che la scienza, per conto suo, e con altri mezzi, viene a sua volta ricostruendo senza subire influenze che non siano quelle dell’indagine scientifica stessa;
5° la similitudine nelle linee generali dei due edifici, in luogo di diminuire col progredire degli studi scientifici, s’accentua; e ciò non ostante i contrasti momentanei, dovuti, quasi sempre, da una parte, a preconcetti interpretativi del racconto biblico, e dell’altra a incomplete ed ancora fluttuanti conclusioni scientifiche ;
6° l’aspetto notevole dell'edificio delle origini secondo il racconto biblico risalta tanto più quando si confronta coi dati scientifici più sicuri, non la cosmogonia e l’antropogenia della Bibbia, ma la cosmogonia e l’antropogenia nota ai popoli più antichi, popoli che tuttavia avevano una civiltà e una cultura ben superiori a quelle del popolo ebreo.
Queste sembranmi le conclusioni che si possono onestamente trarre da un esame spassionato del racconto biblico (i).
Mario Falchi.
(i) Seguirà nel prossimo fascicolo l’esame delle varie ipotesi antropogeniche scientifiche.
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Vitalità e vita nel Qaftolicismo.
IL
IL BILANCIO ALLA FINE DEL I9I2 «t LA CONDANNA DEL CATTOLICISMO LIBERALE *. IL “ CASO CARON „ E LA POLITICA ECCLESIASTICA IN ITALIA «C. MODERNISMO ED ANTIMODERNISMO (FATTI E DOCUMENTI).
REDO di aver bene posto in luce, nel precedente articolo, le posizioni che occupa ormai la chiesa romana, ridotta alle ultime trincee, entro le quali, non è da illudersi, è già penetrato in parte l’inimico. Uso di questo termine nel senso con cui lo prende lo stesso Pio X, ed intendo per nemico lo spirito di modernità e di insofferenza; una visione più larga, più serena e, soprattutto, più sincera del momento
presente e delle sue necessità. Poiché il torto della Chiesa di Roma, di quella ufficiale almeno, è di aver voluto rimaner cieca e scettica dinanzi agli eventi incalzantisi, e di aver creduto che il mondo si sia arrestato al secolo xv e fors’anche prima. E qui vai la pena di notare le due formule che, a seconda dei casi, vengono usate dagli uomini di chiesa per i fatti umani. Il < dito di Dio » è il termine di prammatica quando qualche avvenimento possa essere interpretato come rivendicazione per la Chiesa, o punizione di presunte colpe altrui; altrimenti, quando si tratti di cose non troppo gradevoli per l'ecclesia-sticismo, il « dito di Dio » prende nome « iniquità umana > o « umana perfidia ». E in questo caso si attende fatalisticamente l’avvenire, che accumula macerie su macerie. Detto questo per mcidensy non possiamo non notare come il bilancio morale ecclesiastico si chiude quest'anno con un deficit tale che nessuno fra i più pessimisti avrebbe potuto immaginare, e nessuno degli anticlericali più spinti e; più arrabbiati avrebbe potuto augurarsi.
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E il 1913 non si apre certo con i migliori. auspici per il Vaticano. La Tribuna del i° gennaio ha tentato di fissare in brevi linee tutta la profondità del disastro morale e politico segnato dall’anno testé decorso per Pio X e la sua azione molteplice, e ne deduce a ragione fosche previsioni nel prossimo avvenire.
Veramente questo giudizio non è solo di giornali e di uomini estranei alla Chiesa, ma è singolarmente e nettamente confermato dai fogli e dagli uomini del mondo nero, i- quali non nascondono il loro pessimismo. Come sempre però, del male non si scorge che una parte che è naturalmente la più comoda per chi guarda. Sembra, stando fra i cattolici, che tutta questa gente sia colpita da varie forme di daltonismo, per modo che v’ha chi impreca di e notte alla società moderna, alla civiltà, alla scienza, al progresso, ecc., ecc., rendendoli esclusiva-mente responsabili dei disastri della Chiesa e della religione; altri ce l’hanno col papa prò tempore e col suo contorno che lo porta in giro, e quando lo possono fare senza pericolo ne dicono, pur protestando il loro profondo ossequio, peste e corna; qualcuno poi vorrebbe qualche tenue pizzico di riforme, magari sul modo di annusar tabacco, perchè si vegga che vitalità ce n’è ancora per prendere così gravi deliberazioni ; altri ancora vorrebbero più audacemente augurarsi persino un concordismo sulla questione politica e stabilire un contratto bilaterale fra il papa ed i cattolici, in modo che questi continueranno a rimaner fedeli ai sommi principi se il papa permette loro di eleggersi un deputato di loro gusto o, perchè no, di essere essi stessi i delegati apostolici nei vari parlamenti, segnatamente in quello italiano, stimando che con ciò la crisi maligna sarebbe superata.
Tutti però si riducono a due grandi classi: i fatalisti e gli scettici. I primi, emettendo alti lai sulla nequizia del momento, attuale, si confortano col portae inferi non praevalebunt, ed aspettano, poco rassegnati, che il Signore si decida alfine a pubblicare il manifesto con cui annunzi ritornati i tempi del sacro romano impero e delle sacre feste dei roghi ; i secondi, protestano prò forma, ma in fondo si ridono di tutto e di tutti, dei tempi, degli uomini, dei principi, della Chiesa, e persino del papa, che, secondo la formula rituale dei giornali clericali, versa di continuo lacrime cocenti su questa società che vuol far divorzio da lui!
Ah, snaturati!
dfr
La fine del 1912 è stata singolarmente laboriosa per Pio X nell’attuazione del suo programma di rovesciare ogni cosa in Cristo. Abbiamo accennato nel nostro primo articolo alle divergenze fra i cattolici italiani che da lunghi anni stavano fraternamente accapigliandosi, sputandosi vicendevolmente addosso ogni sorta di vituperi negli organi delle varie tendenze, quelli papali e quelli modernizzanti (1). Pio X ha giuocato a lungo all’altalena, ma infine tratto dalle sue voglie imperialiste e stordito dal continuo gridare all’inimico sub vestibus ovium, ha creduto davvero di fare un bel gesto ed ha tentato di incenerire con i suoi
(1) Domando scusa per questo termine barbarico, ma non l’ho coniato io. Modernizzante ed il corrispondente sostantivo modernizzantismo sono frutto, acerbo anzi che no, dei direttore dell’i7w:7d Cattolica. il quale spesso se ne vanta.
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fulmini la parte modernizzante. Vero si è che i giornali su cui la saetta celeste era scagliata non hanno neppur preso fuoco. Ma procediamo con ordine.
Già da qualche tempo le nubi si addensavano su quella parte dei cattolici italiani che credevano ancor possibile essere cattolici e vivere nel secólo ventesimo. A tale scopo mólti fra essi avevano tentato, a più riprese, di vestirsi nella foggia corrente e di nascondere un resto della coda atavica, e di tal numero era stato persino un certo Leone XIII, e per un breve istante, dovuto a distrazione, anche un certo Pio IX. Ma le scorribande dovevano pure avere un termine. Nelle nostre campagne ove le tradizioni sono più vive, ho visto spesso delle ragazze che, eludendo la lincea sorveglianza delle vecchie, tentavano acconciarsi i capelli in modo da costituire un modestissimo tentativo di pettinatura alla moda. Ma non era passata un’ora che, dopo subita la congrua pena di sgridate e di schiaffi, le materne mani ravviavano di nuovo le teste ribelli, tirando forte le varie code e lisciando bene i capelli con olio o sputo chè aderissero tenacemente alla cuticagna.
Il tentativo delle ragazze, che modestamente giudicavano non essere poi una foggia di acconciatura del capo l’esponente dei buoni costumi, è stato ripetuto da molti cattolici, i quali supponevano che la politica o la sociologia avessero meno ancora a che vedere con la fede e che non dovessero anch’esse restare il monopolio di una sola persona, fosse pure il papa. Ma la mano ed anche il piede di Pio X, ha gravato su di essi. Un primo scapaccione lo avevano avuto già dieci anni or sono dopo il famoso congrèsso di Bologna. Sótto Leone XIII, che era anch’egli un po’ giacobino, questo genere di clericali era riuscito a pervadere pian piano le organizzazioni ufficiali ed avervi il sopravvento, e tutti ricordano le epiche lotte di allora della democrazia cristiana contro le tendenze medieva-liste, e come quella avesse clamorosamente battuto, dopo l’avvento di Pio X al pontificato, le truppe sanfediste. Ma la gioia del trionfo fu di breve durata, poiché il nuovo papa senza tanti complimenti mandò all’aria baracca e burattini, cioè per purgare le organizzazioni ufficiali trovò comodo di distruggerle addirittura. Volle poi tentarne la rinascita con altri nomi e con forme sempre mutantisi ed apparentemente diverse, ma questi nuovi istituti han fatto un continuo fallimento morale e sono in liquidazione permanente (i). Il nuovo gesto di Pio X, ad una diecina d’anni di distanza ne è la prova più eloquente.
Dopo lo scioglimento dell’opera dei congressi alcuni dei cattolici, diro così, di sinistra, proseguirono per la loro via senza curarsi più dei voleri politici di Roma. Furono, manco a dirlo, sconfessati e tagliati fuori dal cattolicismo integrale. Altri invece, credendo di essere più furbi e che, lavorando con tenacia mista ad accortezza, il tempo avrebbe dato loro ragione, mostrarono di accettare umilmente lo schiaffo pontificio. La loro ammirevole virtù di adattamento sembrò
(x) In questi ultimi giorni, precisamente il 17 dicembre 1912, Pio X faceva pubblicare un nuovo Statuto — non so qual numero porti nella lunga serie — dell’Unione Popolare fra i cattolici d’Italia. Questo nuovo documento è una nuova e più esplicita afìermazione dell’assolutismo pontifìcio ed una nuova ritorta per i cattolici italiani. Sembra che il papa abbia trovato che questi eran troppo liberi o, almeno, che i ceppi del loro pensiero e della loro azione non erano troppo sicuri.
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dovesse essere premiata dal successo, poiché furono visti ascendere, dapprima alla chetichella poi quasi rumorosamente, le scale di Montecitorio; riapparir quasi da dominatori in congressi e comizi clericali ; fondare e far prosperare un gruppo di cinque o sei giornali di un clericalismo sbiadito che attrassero attorno a sé la folla dei cattolici d’Italia, i quali lasciarono completamente in asso i giornali papali che d’altronde non erano riusciti mai a superare le due 0 tremila copie di tiratura, distribuite per di più in gran parte come omaggio. Così quel po' di modernità che pareva far capolino qua e là nei grandi giornali del trust cattolico li aveva fatti prosperare ed arricchire, mentre gli striminziti papalini dovevano fare ogni anno largo affidamento sull’obolo di S. Pietro.
Le cose erano giunte a tal punto che l’autonomia politica dei cattolici contro il potere pontificio veniva di fatto affermandosi. Come, si vede, era questo un ritorno assoluto alle posizioni del 1902-1904. Perchè il ricordo storico fosse perfetto non mancava che lo scapaccione del papa. E questo è venuto più solenne che non si credesse da alcuno.
Da qualche tempo Pio X sembrava di malumore, Che era stato a mala pena contenuto da qualcuno dei vari cardinali azionisti dei fogli del trust, i quali erano soprattutto preoccupati delle migliaia di lirette investite nella speculazione giornalistica modernizzante. Ed il papa si era limitato a scrivere a particolari ed in termini un po’ generici, o in lettere non destinate a pubblicità, del suo dissenso coi giornali del cattolieismo liberale. Ne aveva parlato in una sua lettera all'episcopato lombardo, in private udienze, e, particolarmente, in una lettera al parroco di Casalpusterlengo, che dopo la condanna esplicita è stata resa di pubblica ragione. In questo documento, in data del 20 ottobre 1912, il papa così scriveva:
« Quanto poi ai giornali, se ella predica contro i giornali cattivi e diffonde per quanto può i buoni, dissuadendo la associazione e la lettura di quelli così detti del trust compie il suo dovere di buon parroco, e fa non solo quello che vuole il Papa, ma ciò che esige il buon senso cattolico. — Come infatti si possono approvare certi giornali che colla etichetta nascosta di cattolici, perchè qualche volta riferiscono i ricevimenti pontifìci o le note vaticane, non solo non dicono mai una parola sulla libertà ed indipendenza della Chiesa, ma fingono di non accorgersi della guerra continua che le vien fatta ? Giornali che non solo non combattono gli errori che avvolgono la società, ma portano il loro contributo alla confusione delle idee e massime divergenti dalla ortodossia, che prodigano incenso agli idoli del giorno, lodano libri, imprese ed uomini nefasti alla religione ?... Questi giornali apportano il massimo dei danni ai buoni, che cercano la luce e bevano le tenebre, abbisognando d’alimento succhiano il veleno.
« Oh, quanto danno alla Chiesa e alle anime per questi giornali ! E quanta responsabilità specialmente in quelli del clero che li diffondono, li incoraggiano, li raccomandano! »
Dopo queste prime avvisaglie, che servirono a Pio X per dare un po' di coraggio a se stesso, e dopo vari altri tentennamenti e ripieghi, finalmente l’uragano si scatenò sui predetti giornali.
Infatti negli Ada apostolicae sedis, organo ufficiale del Vaticano, del i° dicembre, era contenuta la notificazione seguente :
« A togliere l’equivoco che certi giornali vanno creando in mezzo al clero ed ai fedeli, si dichiara che la Santa Sede non riconosce per conformi alle direttive pontificie ed alle norme della lettera di Sua Santità all’Episcopato Lombardo, in data del i° luglio 1911, i giornali seguenti : L'Avvenire d’Italia, Il Momento, Il Corriere d'Italia, Il Corriere di Sicilia, L’Italia. ed altri dello stesso genere, checché ne sia delle intenzioni di alcune egregie persone che li dirigono ed aiutano ».
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Era, per gli uomini in buona fede, una vera e propria condanna.
Come è naturale, l’atto pontificio ebbe una ripercussione immensa sulla stampa d’ogni colore. Articoli, interviste, commenti si susseguirono per giorni e giorni su vari toni e con diversi apprezzamenti, ma tutti rilevando giustamente che la dichiarazione pontificia segnava la fine dell’equivoco a cui abbiamo più sopra accennato.
La gestazione della risposta dei giornali colpiti a Pio X, fu piuttosto lunga e laboriosa. In verità non poteva esigersi una precipitazione. Si era purtroppo al dilemma: accettare il serico cordone dal Padiscià e strangolarsi sopprimendo i giornali stessi o rinunziando, col rientrare tra il pecorume, alla propria ragione di vita, ovvero dichiarare infine senza ambagi di essere ... dei sovversivi. Bisognava trovare una formula che salvasse temporaneamente la situazione ed evitasse la rottura definitiva. Occorreva pertanto rileggere, prima di rispondere, le opere del Machiavelli. Pertanto, dopo aver ponzato parecchio, sei giorni dopo la pedata pontificia, veniva pubblicato uno scritto della Società Editrice Romana, di cui ecco la parte essenziale:
« L'avvertenza pubblicata dagli Acfa Apostolicae Sedis è stata accolta con illimitato ossequio dal nostro cuore di cattolici fìglialmente devoti alla suprema autorità della Chiesa.
E appunto perchè tali noi siamo e intendiamo di restare non siamo stati un sol momento perplessi nella scelta della via tracciataci dal dovere della disciplina, che importa piena ed incondizionata obbedienza agli atti ed alle disposizioni di quella Suprema Autorità. Ci affrettiamo quindi — intendendo dare anche con ciò una prova di questi sinceri sentimenti — a dissipare gli equivoci lamentati dagli Acta, a mantenere i quali noi stessi abbiamo forse potuto involontariamente contribuire per il passato.
I nostri giornali, se sono diretti e scritti dà cittadini italiani di franca fede cattolica, non vogliono pretendere di essere chiamali giornali cattolici nel senso comunemente inteso della parola, ossia di essere organo ufficiale od ufficioso, o comunque autorevole, del pensiero della Suprema Autorità ecclesiastica. Non fu questo nella intenzione di chi li fondò e li sostenne coi più generosi sacrifizi, nè questo può essere per il loro stesso carattere.
Infatti i giornali nostri hanno un carattere necessariamente nazionale, mentre la Chiesa, per la sua natura divina e per la sua universalità, trascendente i confini delle nazioni, deve riguardare tutti i fedeli con eguale affetto ; ed è evidente che tra cittadini cattolici di diverse nazioni, pur restando fermo ed incrollabile il comune patrimonio della Fede, possono esistere o sorgere differenze dì vedute ed anche confluii d’indole politica ed economica, nei quali non huò nè deve essere coinvolta l’Autorità della Chiesa, che a tutti è ugualmente madre.
Cosi alla Chiesa Cattolica i nostri giornali intendono rendere appunto il più doveroso e completo ossequio; poiché evitano il rischio di intralciare il libero svolgimento della sua altissima missione, diretta alia tutela degli interessi generali e particolari dei cattolici di tutti i paesi ».
Evidentemente quei giornali e i cattolici che li dirigevano ciurlavano nel manico. Essi protestavano una obbedienza fino a un certo punto oltre il quale dicevano al papa : — Staitene a casa tua e non immischiarti in faccende che non ti riguardano. E se credi ti riguardino, non ce ne importa un cavolo. Se è l’appellativo di cattolico quello che ti secca in noi, ecco, raschiamo via la etichetta e siamo pari! — Insemina in un involucro di untuosità, resto di sacrestia, era la ribellione. La Perseveranza di Milano (n. dell’8 dicembre) le cui simpatie per questa fatta di cattolici non troppo papali e di patriotti papalini non sono ignote ad alcuno, e che perciò citiamo qui a preferenza di altri giornali, commentava così la dichiarazione su riportata:
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« Il proposito espresso dalla Società Editrice di voler fare dei giornali non cattolici, cioè non organi autorizzati del pensiero dell’autorità ecclesiastica e delle organizzazioni ma soltanto fogli difensori del principio religioso nelle inasse, fautori della morale nelle famiglie e nella società, una specie di giornali cuscinetti tra quelli cattolici che devono servire al clero e quelli anticlericali ed avversari alla causa della Chiesa e del papa, giornali che fossero letti dal grande pubblico per l’abbondanza delle notizie d'ogni genere, sarebbe stata lodevolis-sima se perseguita fin dal nascere di siffatti fogli. Invece allora si mendicò l’autorizzazione dei vescovi, si tolsero gli abbonamenti ai vecchi giornali cattolici, si cercò di assumere l’atteggiamento di organi del clero giovane, commettendo tre errori uno più grave dell’altro. Il primo venendo a fare la concorrenza ai giornali ortodossi, i quali, come si poteva prevedere, non potendo lottare ad armi pari, sarebbero ricorsi all’unico mezzo che loro restava, cioè l’appello al Vaticano per un provvedimento; il secondo, non ottenendo più fra le masse il successo che avrebbero potuto avere se non si fossero dichiarati cattolici, il terzo attirandosi una proibizione da parte del Vaticano alla vigilia della rinnovazione degli abbonamenti; proibizione giustissima se i giornali pretendono ¿li essere... quello che ora dicono di non aver mai preteso di essere.
« Come vi sono dei cattolici deputati e dei deputati cattolici, così vi possono essere dei cattolici che fanno il giornalista e perciò seguono nello scrivere le massime della religione e morale cattolica, e* del giornalisti cattolici i quali sono autorizzati a scrivere per il clero e per le associazioni.
« Ed ecco allora spiegate tante cose e tanti atteggiamenti ma un po’ tardi in verità, perchè la via sbagliata difficilmente ora potrà essere ritrovata ».
Manco a dirlo, quei quattro organi papali che conta l’Italia salirono subito sul cavallo ¿’Orlando. Era infatti il trionfo della intransigenza e del sanfedismo consacrato dalla paróla di Pio X, e i Maramaldi da strapazzo infierirono sui morti. Sui morti? Veramente, con una certa ingenuità, troppo disinvolta per esser creduta vera, i condannati mostrano di esser più vivi di prima. Inde irae. Non c'è giorno, per questo, in cui i più idrofobi fra i giornali papali non dedichino varie colonne in grassetto contro l’inimico che la parola del papa avrebbe dovuto seppellire addirittura e che invece non si rassegna a... rendersi defunto.
Anzi l’atto di Pio X, che tendeva a finirla, una volta per sempre, col dualismo fra i cattolici d’Italia, non ha fatto che rinfocolarlo. Si è ricorso ad ogni mezzo, anche all’intimidazione mal celata sul clero e sugli stessi vescovi perchè aderissero senza riserve e pubblicamente al volere pontificio e proibissero ai rispettivi sudditi i giornali condannati, eppure fino ad oggi, a circa due mesi di distanza, neppure un terzo dei vescovi d’Italia si è arreso alle preghiere e alle minacce. Anzi si dice che qualcuno, stomacato dalla campagna di stupidità e di vituperi condotta dalla stampa papale, in omaggio certo alla carità fraterna, abbia respinto senz’altro gli organi preferiti dal Papa. Così han fatto pure molti sacerdoti. Nel collegio dei cardinali, non pochi hanno con aspre parole giudicato il nuovo atto di Pio X come la più grande delle innumerevoli bètises da lui commesse, e qualcuno di quelli che lo elessero col loro voto è giunto a dire, poco riverentemente, ma molto espressivamente, che quel giorno in cui ebbero la mala ispirazione di votare nel conclave per il cardinale di Venezia, la Colomba-Spirito Santo, invece che nella sala, stava forse a tubare appollaiata su qualche rama del giardino vaticano. Forse però chi si esprimeva così era uno degli azionisti della Società Editrice Romana...
I giornali proscritti, dal canto loro, come se nulla fosse stato inondano delle loro c\xzo\^x\-réclames canoniche, sacrestie e conventi, affermando di essere essi
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i salvatori della religione e della Chiesa A coonestare in qualche modo questa loro condotta contribuisce il Vaticano stesso, che sembra spaventato delle conseguenze del gesto compiuto, e delle ripercussioni gravissime che avrebbe una condanna più esplicita e formale sui cattolici italiani. Così se non un espresso modus-vivendi, certamente un tacito compromesso è intervenuto tra i giornali del trust ed il Vaticano (i). Tanto che, dopo una visita del card. Maffi a Pio X, è stata possibile la fondazione di un nuovo giornale modernizzante a Pisa, il Messaggero Toscano, edito anch’esso dalla Società Editrice Romana, ed altri quotidiani della stessa tinta dicesi sorgeranno ben presto in diverse altre città. Per compenso, la Società Editrice ha risposto a Pio X, in cambio della benigna condiscendenza dopo il cattivo scherzo, con altro condiscendente e grazioso scherzo burlesco, ha finto cioè di sacrificargli Paolo Mattei Gentili che accumulava su di sè la direzione dei giornali del trust. Ma, ripeto, si tratta di una burla, poiché il Mattei Gentili non dirigerà più nominalmente il Corriere d'Italia di Roma, ma resterà a capo di tutti gli altri fogli, i quali poi non sono che una copia del giornale romano. Chi dice che il carnevale è morto ? Se i giornali sconfessati avessero avuto un pupazzettista di spirito, si sarebbero potuti giovare dell’occasione per raccomandare il solito ombrello dato come premio agli abbonati, mostrandolo capace persino di resistere alla immane doccia papale. Che diamine, la fortuna va presa per i capelli.
Ad accrescere la confusione e la gazzarra vale il malumore rumorosamente espresso dai soliti gazzettieri papali che veggonsi sfuggire il frutto della vittoria. E a tale è giunta la loro audacia e la mostra di prender sul serio la loro funzione di numi tutelari dell’ortodossia, da assumere atteggiamenti supervescovili e dittatoriali, da meritar persino un acre rimprovero dall’autorità ecclesiastica, come è avvenuto alla Riscossa, il feroce organetto dei fratelli Scotton di Breganze, monsignori e mercanti di stoffe e di caffè, nonché magazzinieri della fede nella Chiesa romana. Infatti il vescovo di Vicenza, mons. Rodolfi, ha loro indirizzato una lettera, in cui, ricordate le norme prescritte ai giornalisti cattolici col Motti proprio di Pio X, così ammonisce i vice-papa veneti :
« Ci permettiamo di richiamarvele in tutta la loro estensione, specialmente ai paragrafi 16, 17, iS e 19, i quali più da vicino vi riguardano.
« Non dubitiamo che vorrete porre tutto il vostro impegno per non deviare mai da esse di un punto solo, perchè — come in esse Sta scritto — Se i giornali cattolici non le osservassero religiosamente, saranno gravemente ammoniti, e se ammoniti non si emendassero, verranno dall’Autorità ecclesiastica interdetti.
« Niuno che abbia impugnata la penna per la difesa dei diritti di Dio, niuno mai, per nessun tìtolo, può arrogarsi il mandato di entrare nel campo riservato ai vescovi; nè tanto meno può ritenere di avere avuto, in qualche modo con ciò, il mandato di denigrare le persone.
« Vi facciamo perciò le pili calde raccomandazioni perchè, nel sostenere per la Religione e per la Chiesa, la causa della verità e della giustizia, abbiate da usare sempre tutta la carità e là prudenza.
(1) Infatti par certo che lunghi colloqui e trattative laboriose siano da parecchio tempo annodate fra delegati ufficiosi del Vaticano ed il conte Grosoli, rappresentante dei giornali colpiti per trovare una via di uscita dal passo spinosissimo.
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« E inoltre, voi che avete assunto il nobile mandato di difendere la Religione, ricordate sempre, in ogni circostanza per quanto delicata del vostro ufficio, che tale mandato non può in nessuna guisa spingersi oltre i limiti fissali dalle leggi e dalla disciplina ecclesiastica. Il che, se talvolta da taluno si faccia, è da altamente deplorarsi e sconfessarsi ».
Ed il card. Ferrari, senza pur fare il nome, d’altronde già troppo noto, dei giornali papali pescanti nel torbido e che già altre volte hanno dimostrato il loro malo animo contro l’arcivescovo di Milano, scriveva, nella sua recente pastorale per la quaresima del 1913, queste righe all’indirizzo dei difensori della fede:
« Io non posso non deplorare amaramente che, sotto specie di non so qual zelo, si lancino accuse contro le nostre associazioni cattoliche, ed anche, più o meno velatamente, contro le persone, che sono alla testa del movimento cattolico, e che godono tutta la fiducia del vescovo. Le cattoliche associazioni sono strette alla persona del vescovo in modo speciale: chi avesse osservazioni, le presenti a chi si deve ; alla piazza, no, per non far crescere le discordie con irreparabili rovine ».
Gli episodi significativi di questa batracomiomachia da mimi e da maschere potrebbero moltiplicarsi. Ma ci basti solo ricordare che, in una sala dell’episcopio di Milano, in una assemblea tenuta il 29 dicembre e presieduta dal delegato arcivescovi le, un cattolico papale collaboratore di un giornaluccio milanese di quelli cattolici integrali, venne sonoramente fischiato per aver domandato all’onorevole Meda se continuava a scrivere nei giornali sconfessati dal Vaticano poiché in tal caso non era certo un buon cattolico; mentre il Meda raccoglieva un subbisso di applausi per aver risposto che continuava a fare il comodo suo e che rimaneva... ostinato nell’errore di scrivere sui giornali invisi a Pio X.
Viva la sincerità e abbasso la musoneria!
Uno dei soliti giornali clericali ha avuto dal suo corrispondente romano la notizia che forse la mancata concessione <\oAX exequatur al famoso mons. Caron nominato da Pio X arcivescovo di Genova, dipendeva dall’avere il Governo ceduto alle pressioni dei modernisti. Questi devono essere molto solleticati nel loro amor proprio per essere stimati da tanto da coloro stessi che reputavano di averli annientati. Non so che ci sia di vero nella noticina di quel giornale, ma se i modernisti avessero fatto muovere il primo passo verso la sincerità in fatto di politica ecclesiastica al Governo italiano, vissuto finora fra compromessi e debolezze vergognose con la Curia Vaticana, essi meriterebbero plauso ed onore. E sarebbe da augurarsi che ripetessero, dacché son divenuti così potenti, più Spesso il loro gesto, in modo da liberar l’Italia dal putridume che la rode nella sua vita spirituale ed in quella politica.
Il fatto straordinario che il Governo non si sia piegato alle voglie di Pio X e gli abbia rifiutato, senza tanti complimenti, il placito alla nomina di un prefetto in veste paonazza, ha fatto montare in bestia, sia detto con la debita reverenza, i clericali d’Italia, cioè i padri gesuiti, qualcheduno direttamente interessato perchè nel caso Caron ha scorto la spada di Damocle e l’inizio di future e più amare disillusioni, e quei gazzettieri che mangiando a quattro palmenti sui proventi
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di quella truffa organizzata che è l’Obolo e sulle rendite di santa madre Chiesa, hanno il dovere di magnificare la merce della loro ditta.
Il primo ad infuriarsi è stato Pio X, il quale se l’è presa contro Genova ed i genovesi, perchè, a quanto pare, sono stati proprio essi, clero e popolo, a respingergli il poco gradito presente. Così, senza pensarvi nè tanto nè quanto, ha lanciato sulla Superba l’interdetto minore, privandola degli spettacoli ecclesiastici più solenni, come pontificali, cresime, sacre ordinazioni e simili. I rei, così puniti, hanno lasciato correre mostrando di non accorgersi neppure che esiste un Papa. In fin dei conti poi che interessava ad essi se nelle chiese, in cui non va quasi più nessuno, si canta e si suona o non si canta e non si suona? Ci sono i preti... Ma questi avranno in cuor loro benedetto Pio X che ha risparmiato loro un mucchio di tempo inutile e seccature senza fine. In fondò, essi avranno riflettuto, come scriveva un giornale genovese (Lavoro del 15 dicembre) che un vescovo intransigente rappresenta un grosso guaio per il quieto vivere di tanti canonici, di tanti parroci e di quel mondo minuto che vegeta tra la sacrestia e l’opera pia.
Accennato, per dovere di cronaca, a queste indiscrezioni ed alla rappresaglia papale, veniamo al fatto principale. Chiunque sia stato a mettere sull’avviso il Governo ed a fornirgli i documenti in base ai quali il giudizio è stato emesso, il Caron non avrà Xexequatur. Naturalmente ciò doveva causare grande rumore per un cumulo di circostanze, primissima quella della indegna persecuzione contro il Semeria e del tentato assassinio morale contro l’illustre barnabita. Appena l’ufficiosa Tribuna pubblicò la notizia fu uno scatenarsi di ire e di recriminazioni, di accuse al ministro guardasigilli di rendersi mancipio delle sette e di tener mano ai modernisti, opponendosi così al retto ordinamento della Chiesa ed alla libera esplicazione della missione del Pontefice. Manco a dirlo, e l’occasione sembrò propizia, si ripetettero le solite stupidità, che non hanno neppur più la virtù di far sorridere, sulla condizione impossibile fatta al Pontefice dagli usurpatori. Ciò provocò una nuova nota della Tribuna (29 novembre) che tagliò corto a simili corbellerie, mettendo le cose al loro giusto punto. Il giornale ufficioso così rispondeva:
« Nonostante le smentite di qualche giornale noi persistiamo a ritenere non senza fondamento che a mons. Caron non sarà accordato il regio exequalur per l’arcivescovado di Genova. Nè la cosa potrebbe essere altrimenti, dati i precedenti poco patriottici di monsignor Caron nei rapporti della politica italiana, Noi crediamo che il Governo nell'accordare ai prelati tutti i privilegi, prebenda, eccetera che loro derivano dal patrimonio e dalle leggi dello Stato, abbia non solo il diritto, ma il dovere di esìgere che il beneficato riconosca almeno le leggi del paese, sia ossequiente alle sue istituzioni e prima di tutto non sollevi dubbi sulla legittimità della conquista di Roma. Su questo punto non è possibile alcuna transazione. Quindi ben fece oppure bene farà il Governo a non concedere il suo assenso alla nomina di mons. Caron. Si volle da qualcuno spostare la questione cercando la ragione del rifiuto del Governo nelle tendenze anti-moderniste nel campo religioso di mons. Caron in conflitto a Genova con il modernismo, personificato nel padre Semeria. Noi abbiamo ragione di credere che il Governo nostro non siasi punto preoccupato di modernismo o anti-modernismo religioso nella faccenda di mons. Caron e che abbia limitato le sue indagini alle di lui tendenze e precedenti politici in rapporto alle patrie istituzioni e crediamo che il Governo non abbia alcun interesse ed alcuna ragione di preoccupazione della parte religiosa confessionale in siffatte questioni ».
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Tale risposta era un colpo in pieno petto e aveva un significato che eccedeva il caso singolo per dire al Papa ed ai suoi accoliti, che non era più tempo ormai di proteggere e neppur di tollerare i nemici d'Italia.
Ad approvare le deliberazioni del Consiglio dei ministri sorse tutta la stampa italiana, anche quella di opposizione, salvo a polemizzare per ragioni di partito, se il momento fosse stato bene scelto per un atto consimile. Notevole dal punto di vista giuridico e politico, fu un articolo del senatore Rolandi-Ricci {Tribuna del 2 decembre) in cui con sereno giudizio la questione veniva posta
nei suoi veri termini contro le tentate alterazioni e sofisticazioni clericali. Vi si diceva, fra l’altro:
« E pur tempo che gli equivoci a questo riguardo sieno eliminati. La concessione deWexe-qualar non è una in ter inazione, come quelle che agli antichi Senati sardi era ordinato di dare agli atti legislativi del Sovrano assoluto. Concedendo Vexequatur si riconosce dallo Stato al nominato ecclesiasticamente un grado della gerarchia civile, che gli attribuisce poteri e gli dà diritto ad onori civili e militari. Ora l’Italia non può e non deve accogliere nei gradi delle sue gerarchie coloro che il Governo, espressione della volontà del Paese, non ritenga, per qualunque motivo, personale o locale, atti a coprire i gradi stessi.
« Si supponga in ipotesi (non so se questo sia il caso di mons. Caron, ed auguro noi sia), che un vescovo professi non dover la bandiera tricolore italiana trovare ospitalità nelle chiese, o professi non potersi Roma considerare legittimamente ed intangibilmente capitale d’Italia, si potrebbe ragionevolmente pretendere che il Governo italiano desse coW'exequatur il diritto a quel vescovo di avere gli onori militari e civili, e cioè di vedersi salutare da quella bandiera e da quei soldati che devono difendere colla loro vita la gloria del vessillo nazionale e la integrità della patria? e che gli desse la podestà di impartire ufficialmente ai suoi diocesani insegnamenti cosi inconciliabili col sentimento della italianità e del patriottismo?
« ... Non è dunque contro la religiosità, nè avverso la fede, che il potere laico in Italia fa valere i suoi diritti ; nessuna persecuzione, nessuna acrimonia settaria anima questo potere nella sua esplicazione ; ma esso d’altronde non può fare dedizioni nè ammettere ambagi riguardo alla sua assoluta supremazia in materia politica. Il Governo in Italia non può regolarsi secondo ¡ criteri altrui in ciò eh’è l’esercizio della propria autorità. E la cavouriana formula della libertà della Chiesa nella libertà dello Stato, non va intesa davvero nel senso che quando la Chiesa, eleggendo i suoi presuli, incorra in una designazione che contrasti con l’interesse politico del Paese, lo Stato debba non solo acquietatisi, ma ancora munire quella scelta (eh’esso ritenga non conveniente) della sua sanzione a convalidarla ».
La Civiltà Cattolica, il noto periodico dei gesuiti, volle rispondere all'articolo or ora citato, e nel .quaderno del 22 dicembre pubblicava un lungo memoriale di cui ecco la parte essenziale :
« L’on. Roland! Ricci tenta giustificare la teoria tebX'exequatur cogli impacci, che le nomine dei vescovi fatte dal Papa potrebbero creare al Governo. Se veramente ciò avvenisse, questo avrebbe una ragione sufficiente, non già per arrogarsi un’autorità, che non gli può competere, ma per rivolgersi alla S. Sede e. domandare un provvedimento, che bastasse a toglierlo dai suddetti impacci. Ma poiché per la scuola liberale una tal proposta, che è l’unica soluzione pratica dettata dalla natura stessa delle cose, è più che una bestemmia, noi non possiamo in vermi modo-sperare, che venga presa in considerazione e molto meno che venga accettata; quindi confessiamo senza ambagi, che amiamo meglio esser sottoposti all’applicazione del Codice penale, quando ne fosse il caso, con aperta violazione della immunità ecclesiastica, che vedere il Sommo Pontefice costretto ad una dipendenza, la quale ripugna al jus constilutivum Ecclesiae vale a dire, allo stesso diritto divino positivo.
Che importa, si dirà, che la scuoia liberale abbia una concezione del regio exequatur sì esiziale, se questo deve disciplinarsi non secondo gli insegnamenti di lei, ma secondo le disposizioni tassative della legge ? Innanzi tutto, rispondiamo noi, il regio exequatur è sempre
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lesivo della libertà, dell’autorità e della indipendenza del Papa, ancorché in pratica venga applicato in conformità della legge, cioè solo per ottenere il possesso delie temporalità o il diritto alle medesime; ma dato e non concesso che non lo sia, o che la Chiesa per ragioni di forza maggiore si adatti a subirlo cosi, chi è che non sa, che verrebbe applicato secondo lo spirito da cui è informata la legge, che è spirito di puro e pretto liberalismo? Ed infatti se si stesse alla .legge, che dopo avere abolito effettivamente Vexequalur e il placet regio, quale provvedimento ordinato a dare efficacia agli atti dell’autorità ecclesiastica, lo ha lascialo provvisoriamente solo per vigilare sulla proprietà ecclesiastica esistente nel regno, a) l’exequalur non dovrebbe servire ad altro che ad immettere l’investito nel possesso delle temporalità; b) la negazione o la mancanza di esso avrebbe solo l’effetto di privare il vescovo del godimento delle temporalità o del diritto alle medesime, non già quello d* impedirgli il libero esercizio delle sue attribuzioni dipendenti dalla potestà di ordine e di giurisdizione ; e quindi c} il vescovo, ancorché privo di exequalur, dovrebbe avere la rappresentanza del vescovato ; potrebbe assumere l’amministrazione di una opera pia, a cui fosse chiamato dalle tavole di fondazione; potrebbe e dovrebbe conferire i benefici minori col diritto al regio placet. Invece in realtà a che serve? Oltre ad immettere il nuovo vescovo nel possesso delle temporalità, serve ancora a dargli facoltà di esercitare le funzioni inerenti al suo ufficio, salvo quelle di natura puramente spirituale; e ciò non perchè la mancanza te\Vexequalar non lo escluda anche da queste, ma perchè in pratica i vescovi privi di exequalur non furono mai impediti dall’esercitare le dette funzioni spirituali. In conclusione « l’autorità civile considera il regio assenso, di cui devono essere munite le bolle di nomina, come un mezzo per assicurarsi che negli investiti ¿avvi non solo la moralità comune, ma ben anche la moralità politica, che cioè abbiano il senso del rispetto dovuto alia autorità legittimamente costituita... Per tal modo V exequalur, se non tiene luogo del giuramento dei vescovi, abolito colla legge del 1871, rimane però .ancora col carotiere di arma di natura politica nelle mani del Governo per la difesa dell’ordine pubblico e dell'osservanza delle leggi ».
Da questo saggio, che abbiamo creduto doveroso riferire, chi ha un po’ di logica può dedurre immediatamente quanto valore abbia la contradittoria e puerile .dottrina gesuitica in materia legale e politica. Ma, peggio ancora, in esso è contenuta la prova migliore che l’ufficio ora assegnato ai vescovi da quell’uomo religioso che è Pio X non è puramente spirituale, ma che vi sono altre funzioni di ordine diverso loro attribuite e che queste possono esorbitare ed anche opporsi alle leggi poiché, secondo i gesuiti, il Governo non dovrebbe, riguardo ai vescovi, tutelar la difesa dell’ordine pubblico e dell’osservanza delle leggi, negando \'exe-quatur ai nemici ed ai facinorosi.
Insomma, nella comoda dottrina clericale, lo Stato non sarebbe che un puro e semplice commissionario e non un ente a cui è affidata là tutela della legge e della legalità.
Poiché non v’ha chi non vegga oggi, come l’episcopato italiano abbia rinnegato la sua ragione d’essere e come ogni vescovo non sia più che l’organizzatore elettorale, il fattore più o meno fortunato della politica dei singoli centri, il creatore e l’alimentatore di dissensi invece che l'angelo di pace, l’uomo dai mezzucci volgari e dai ripieghi subdoli per attaccare al suo carrozzone ogni fatta di gente, spesso il corruttore ed il compratore, con mezzi morali e con quelli materiali forniti dalle mense vescovili e dall'esperta finanza superiore del Vaticano, delle coscienze dei cittadini d’Italia.
La questione, ingrossatasi così tra polemiche e battaglie, è giunta finalmente alla Camera dei deputati. Quattro interpellanze sulla politica anti-italiana del Vaticano sono state svolte nella seduta del io febbraio. Uno degli interpellanti, ’on. Murri, pose la questione in tutta la sua profondità, poiché, dopo avere accen-
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nato al caso Caron ed illustrato il contenuto antinazionale della politica Vaticana, rilevando l’equivoco che si tenta di fare fra libertà religiosa e libertà della chiesa romana, ebbe il coraggio di dire che principali fautori di queste mene pontificie sono precisamente quei giornali sedicenti libérali, e fece il nome di parécchi, che fornicano col Vaticano e trescano, per fini elettorali o commerciali, con là Segreteria di Pio X.
Il ministro guardasigilli Finocchiaro-Aprile, di fronte alla gravità della questione, volle far dichiarazioni di cui era in Italia da gran tempo sentita la necessità. Egli dopo avere illustrato come lo Stato nell’accordare o no Xexequatur non esercita solo un diritto di pura amministrazione, ma un suo diritto supremo a tutela delle ragioni di ordine pubblico e di difesa sociale, venne al caso particolare del Caron. Le indagini fatte sul conto di costui ne hanno dimostrato lo Spirito assolutamente anti-italiano, e ne son prova parecchi atti pastorali del Caron mentre era vescovo di Ceneda. Dopo ciò, fra la indignazione e gli urli della Camera, stomacata dall’audacia clericale, il ministro lesse le famose tesi svolte nella Scuola sociale cattolica di Bergamo (che riferimmo già nel passato articolo) togliendole di peso dalla Riscossa di Breganze. Quésto giornalucolo e la stampa consimile, il ministro dichiarò di abbandonare al disprezzo degli onesti. Concludendo il guardasigilli affermò solennemente:
« Di fronte a casi come quello di cui si è oggi occupata la Camera doveva prevalere su tutto e su tutti la suprema ragione dello Stato per la quale non può essere conceduto il riconoscimento civile a chi non dà allo Stato l’ossequio che gli è dovuto vagheggiando restaurazioni impossibili.
« La stessa equanimità e la medesima fermezza continueranno ad essere là norma regolatrice del guardasigilli e del Governo. Se il rispetto al sentimento religioso e all’azione dei ministri del culto nell’ambito spirituale si invoca come un diritto a tutela della libertà di coscienza che è uno dèi canoni delia vita moderna, la difesa dei diritti dello Stato sovrano della sua integrità, delle sue istituzioni, della sua legislazione, risponde ad un alto dovere sociale e politico ».
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Ben detto, e ben fatto!
Corre voce Che Pio X intenda protestar solennemente contro l’atto compiuto dal Governo italiano. Sarà, in caso, una nota di più da passare àgli archivi.
Ed ora passiamo al modernismo e all’antimodérnismo.
Della gravissima crisi del clero un nuovo documento ufficiale, la parola stessa del Papa ci rivela la profondità. In una udienza ad alcuni preti tàN Unione Apostolica, il Papa lamentava con forti espressioni che il Clero non ne volesse più saper del Pontefice e di prestargli obbedienza.
« Sembra incredibile — ha detto Pio X — ed è pur doloroso che vi siano dei sacerdoti ai quali debbasi fare questa raccomandazione, ma siamo purtroppo ai nostri giorni in questa dura, infelice condizione di dover dire a dei sacerdoti : amate il Papa !
« E come si deve amarlo il Papa? — ha proseguito Pio X. — Quando si ama una persona si cerca di uniformarsi in tutto ai suoi pensieri, di eseguirne i voleri, di interpretarne i desideri. Chi ama ubbidisce.
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« E però quando si ama il Papa, non si fanno discussioni intorno a quello che esso dispone od esige, o fin dove debba giungere l’obbedienza, ed in quali cose si debba obbedire; quando si ama il Papa, non si dice che non ha parlato abbastanza chiaro, quasi che egli fosse obbligato di ripetere all’orecchio di ognuno la sua volontà; non si mettono in dubbio i suoi ordini adducendo il facile pretesto di chi non vuole ubbidire, che non è il Papa che comanda, ma quelli che lo circondano ; non si limita il campo in cui egli possa e debba esercitare la sua autorità, non si antepone all’autorità del Papa quella di altre persone per quanto dotte che dissentano dal Papa, le quali se sono dotte non sono sante, perchè chi è santo non può dissentire dal Papa.
« È questo — concluse Pio X — io sfogo di un cuore addolorato per la condotta di molti preti che si permettono discutere e sindacare i voleri e le parole del Papa ».
Se Pio X confida su questa così rancida auto-apologia pontificia può sempre meno attendersi che il clero lo segua. L’autoritarismo a cui egli fa appello, è il luogo comune meno adatto ed il meno convincente. Certo, ingenuamente, il Papa ritiene che il clero sia ora la timida bestiola che obbedisce passivamente al cenno del padrone. Invece potrebbe paragonarsi tutt’al più alle belve dominate dallo scudiscio fischiarne e chiuse fra solide sbarre. Come queste, il clero, se potesse annientare il domatore, lo divorerebbe addirittura.
Per questo Pio X è ben logico se raddoppia la sua sorveglianza e se le catene largisce con cuore paterno ai dilettissimi figli in Cristo, guardati a vista dagli apostolici aguzzini (i).
(i) Di questi custodi del bagno penale che si chiama sacerdozio cattolico, ci occupammo già nel passato articolo. Qui voglio solo accennare al caso occorso al denigratore di p. Semeria, il famigerato frate Colletti. Questi con sicumera senza pari, per sollevare intorno a sè del rumore, aveva sull’ Unità Cattolica lanciato urbi et orbi la notizia della secreta conversione al cattolicismo di Andrea Costa nella sua ultima malattia. L’offesa alla memoria del morto era in questo, che un uomo della tempra del Costa, che certo dedicò la sua vita oltre che alle battaglie dell’azione, alle lotte dell’anima per la ricerca della verità, se fosse venuto nella conclusione di dovere riabbracciare il cattolicismo, non lo avrebbe fatto nella vergogna del sotterfugio e nell’ombra, come se commettesse un delitto, ma lo avrebbe proclamato alto con la fierezza e la sincerità che furono i postulati della sua vita. Il Colletti dunque accusava, in fondo, il grande socialista di vigliaccheria e di rispetto umano. Nè valsero a far recedere il frate dalle sue affermazioni le smentite più formali oppostegli dalla curia vescovile d’Imola, ignara affatto di quanto era contenuto nelle supposte rivelazioni, nè le denegazioni più esplicite della vedova del defunto. Con spavalderia continuò nelle sue menzogne giungendo a far pubblicare alcune dichiarazioni anonime di un preteso sacerdote a cui Andrea Costa si sarebbe confessato.
La vedova e gli amici del defunto non vollero attendere più. Il frate era giunto troppo oltre. Recatisi dunque in Assisi, ove Pio X ha mandato il diletto tutore della religione contro il modernismo, ad insegnare corbellerie in quel seminario interdiocesano, costrinsero il frate a rimangiarsi quanto aveva stupidamente affermato, rilasciando una umile dichiarazione in cui si diceva che «non intende più oltre insistere su quanto ha riferito sull’ Unità Cattolica».
Il Colletti ha avuto inoltre, senza neppur tentare una difesa, il più grave degli schiaffi morali che possa toccare ad un sacerdote. Infatti la vedova di Andrea Costa ha affermato pubblicamente :
« Io imputo di menzogna il rev. padre Colletti, invitandolo a darmi querela per diffamazione con la più ampia facoltà di prova, e deploro che la Chiesa possa accogliere nel suo seno chi per vana millanteria e per porsi in evidenza alteri ignominiosamente la verità e ricorra per mostrare l’influenza della Chiesa a mezzi cosi deplorevoli ed indegni verso chi ebbe per missione della sua vita lo scopo di combatterla».
Ed un giornale romano {Messaggero, 20 gennaio 1913), ricordato che questo frate è quello stesso i cui stupidi libelli, dedicati a monsignor Caron, iniziarono la canagliesca campagna contro p. Semeria, così commenta la fuga vergognosa del Colletti nell’affare Costa:
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Ma, per quanto Pio X leghi e stringa e rafforzi i vincoli pare non riesca più a nulla. Neppure il timore sembra più capace di ricondurre l’ordine in questa babeie, a giudicare almeno da molti fatti recentissimi, come i gravi provvedimenti presi contro i preti intervenuti al convegno modernista di Napoli, i quali ai richiami di Roma intimati loro dal vescovo risposero fieramente affermando le ragioni della propria coscienza, e, di fronte ad una punizione lesiva della loro dignità di uomini e di sacerdoti, rinviarono senz’altro al cardinale Prisco le loro sottane da preti.
Accenno solo a questo fatto perchè notorio, e perchè l’ira pontificia è tutta contro i reati di modernismo. Poiché sembra che egli non si preoccupi affatto del marcio immenso nella condotta morale del clero ossequente all’ autorità, marcio che giorno per giorno vien documentato da processi, da condanne, da accuse dettagliate specialmente per reati di truffe e furti e, immensamente più grave, per offese al pudore e corruzioni di minorenni (i).
Ma ritorniamo alle manifestazioni moderniste. Dicevo già che la propaganda modernista sembra ora assumere nuovo vigore. In questi ultimi tempi si sono avuti convegni ed intese particolari quasi in ogni regione d’Italia per determinare il programma di azione immediata. Questo poi verrà senza dubbio fissato dal Congresso che si sta preparando in Roma e che si crede riuscirà una manifestazione di eccezionale importanza. Iniziative per la popolarizzazione della coltura e della critica religiosa sono state ventilate, e saranno tradotte ben presto in atto.
Intanto nuovi periodici vedranno immediatamente la luce. Due quindicinali si pubblicheranno in Roma, l'uno destinato ad agitare il problema della politica ecclesiastica, l’altro i problemi della democrazia. A Napoli Battaglie di Oggi la notissima rivista, si trasformerà in settimanale dal titolo molto significativo La nuova riforma (2), e sarà l’organo di una Unione per la Riforma Religiosa il cui
« Questo padre Colletti, che si ritira in buon ordine dopo aver falsificata pubblicamente e a scopo diffamatorio, la verità, meriterebbe una ben dura lezione, dato che la restaurazione in Cristo predicata da Pio X mirasse a metter fuori circolazione gl’ipocriti e i bugiardi».
« Ma la Chiesa ha paura di epurare ... Dove si andrebbe a finire se un’opera di selezione fosse iniziata e condotta a termine con la dovuta serenità e il dovuto rigore?»
Già, dove prenderebbe allora Pio X i cacciatori di eresia?
Ìt) Le nostre parole non contengono esagerazioni. Basta dare un’occhiata ad uno qual* ei giornali in qualsiasi giorno dell’anno. Specialmente in merito alle accuse d’indole più strettamente morale, mentre i giornali papali usano un linguaggio da beceri contro quei pochi sacerdoti che piuttosto che commettere brutture si sposano legalmente, non trovano un motto solo per fustigare la immensa corruzione dilagante nel clero più strettamente ortodosso. Forse perchè a casa degli impiccati non è bene parlar di corda. Anzi si giunge indirettamente ad assumere la difesa degli ipocriti e dei volgari miserabili. Ad esempio a difesa della legge celibataria e contro i sacerdoti che, rientrati nella vita civile si ammogliano, si poteva leggere su 1’ Unità Cattolica del 18 febbraio 1912 queste parole, di cui preghiamo considerare attentamente quelle che abbiamo messo in corsivo : « sopra mille sacerdoti non se ne trovano dieci i quali vengano meno pubblicamente e con una certa continuità di vita alla lègge del celibato».
Non vale forse un Perù ? Senza aggiungere poi che tale periodo nell’originale doveva suonar così: Sopra mille sacerdoti se ne trovano forse dieci che forse non vengono meno, ecc. Certo il redattore, che credo un uomo sincero, scrisse così ed il compositore e il proto ne svisarono il pensiero...
(2) Direzione: S. Antonio a Tarsia 2, Napoli. Abbonamento annuo per l’Italia, L. 5, per l’Estero L. 8. — [Ha iniziato le sue pubblicazioni il 22 febbraio u. s. - Red.].
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programma già pubblicato ed a cui ha già aderito un numero singolarmente numeroso di sacerdoti e di persone d’ogni ceto, è documento troppo importante perchè non abbia ad essere riportato. Eccolo nella sua integrità:
È costituita — con sede in Italia — un’ Unione per agitare il problema della riforma religiosa e della spiritualizzazione del popolo.
Cotesta Unione non ha alcuna pretesa d’assorgere mai a partito, e neanche ad associazione formale con burocrazia e cariche, per quanto pur miri a far penetrare il suo spirito dappertutto ; ma vuole essere, e rimanere, una semplice unione di spirito, un consenso d’idee e d’affetto. Per questo, coloro che vi aderiscono, non vincolano per nulla la loro libertà, salvo l’obbligo morale di concorrere alla propaganda delle idee dell’ Unione, e, per quanto è possibile, alla loro attuazione, soprattutto vivendo il cristianesimo genuino, affinchè l’esempio diventi, specie per il popolo, la forma più tangibile e più efficace di propaganda.
Sul nome dell’aderente, se ecclesiastico e ne richieda, vien mantenuto il segreto.
li programma pratico dell’ Unione — concordato per referendum — consiste, anzitutto, nella penetrazione, nei modi più diversi, della coscienza pubblica, per predisporla alla riforma della Chiesa, sopra le seguenti basi : .
I. — Libertà d’indagine scientifica e abolizione, o riforma de\V fndiee.
IL — In materia di disciplina, 1’ Unione, mercè la sua multiforme propaganda, cerca di ristabilire nelle coscienze i limiti dell’ubbidienza, secondo l’antica tradizione, chiaramente riassunta da San Tommaso, e, di recente, dal cardinale Newmann. E cioè di persuadere il credente, clero e popolo, che l’ubbidienza assoluta non si deve che a Dio solo, perchè solo con Dio la coscienza umana non può venire in conflitto; mentre nei conflitti tra la propria coscienza e il superiore, fosse questo anche il papa, bisogna ubbidire prima alla propria coscienza, eh’è la voce di Dio in noi, e poi al superiore, essendo l’ ubbidienza contro coscienza peccato. ...... .. .
Fissati cosi i termini dell’ubbidienza, sarà posto un freno all’arbitrio e al dispotismo delle autorità ecclesiastiche, verso il clero soprattutto, che più non potranno affamare ; e così dal clero e dal popolo sarà recuperata quella libertà di spirito, proclamata dai Cristo, eh’è la libertà dei figliuoli di Dio.
III. — Ritorno della Chiesa e del clero al diritto comune, cioè separazione dello Stato dalla Chiesa, senza spirito di persecuzione da parte dello Stato, e semplicemente perchè cessi una condizione di privilegio, umiliante per la Chiesa stessa, e cagione di deviazione e di corruzione della sua funzione spirituale, la quale non potrà vantaggiare che nella libertà. E ancora, perchè cessi ogni funzione politica e diplomatica del papato, così contrarie alla sua missione e allo spirito di sincerità, comandato dal Cristo ; e che non ha più ragion d’essere, una volta chiuso il ciclo storico della sua politica funzione, certo non scevra di merito, in quasi tutto l’evo medio.
IV. — Recupero, dà parte del clero, di tutte le civili libertà, e, avanti, dei suoi naturali •diritti. Limitazione progressiva dei semplici ministri di culto, viventi dell'altare, e avviamento del nuovo clero all’esercizio di libere professioni, compatibili con il sacerdozio, inteso questo •nel senso più alto e più vero, cioè di apostolato per la verità e per il bene; affinchè cessi l’esagerata e interessata tutela del clero per i fedeli, e cessi la fabbrica delle superstizioni e il mercato delle cose sacre, una volta cessati i motivi utilitari del clero. Abolizione dell’abito talare e d’ogni distintivo esteriore.
V. —; Riforma del culto con il ritorno alla sua antica semplicità e purezza e gusto artistico. Ritorno della venerazione dei santi al primitivo concetto affinchè cessi l’abuso del popolo di render loro un culto, ch’è dovuto solo a Dio, o, peggio un culto superstizioso. Ritorno al primitivo significato e alla primitiva pratica dei sacramenti, perchè cessi la funzione magica del prete, e sia ripreso dai credente il senso di personale responsabilità. Riforma del-l’istituto della confessione. Obbligatorietà morale, perii cristiano, della frequente confessione diretta con Dio, con perfetta contrizione, e cessazione dell’obbligo della confessione auricolare: restando sempre là più ampia libertà di ricorrere, per la direzione del pròprio spirito, quando sé ne senta il bisogno, per ovvie ragioni pedagogiche, ma senza alcuna coercizione, agli anziani della Chiesa ; e cioè a quegli uomini dotti, sperimentati e di santa vita, a cui, come a fidati amici, si ricorra per un bisogno del cuore, per consiglio e conforto.
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VI. — Sostituzione del Vangelo alla maggior parte degli attuali libri di pietà, quale lettura spirituale dei fedeli, dello stesso popolo.
VII. — Abolizione del latino nella Liturgia.
Vili. — Rivendicazione dei diritti del laicato nella Chiesa, non solo nella sua amministrazione, ma e soprattutto, nella nomina dei pastori, la cui funzione deve tornare ad essere una funzione, non di dominio, ma di servizio.
IX. — Adesione in massima, alle grandi linee del programma socialista al disopra delle singole tendenze e dei partiti, allo scopo di avviarlo verso un ideale schietto cristiano, e ciò semplicemente per il maggior bene del popolo, affinchè la sua elevazione sia intera, cioè di tutto l’uomo e durevole.
X. — Ravvicinamento tra evangelici e cattolici.
XI. — Per la maggiore sincerità, nella Chiesa, il Collegio dei cardinali, sinché dovrà durare, dovrà rappresentare, anche numericamente, la Chiesa universale, e non già solo una nazione. E poiché le grandi riforme non vengono dall’alto, ma dalla periferia, bisogna rivolgersi alla pubblica opinione, la quale, una volta conquistata, prima o poi finirà per imporsi.
A chi ben considera questo documento apparirà subito chiaro còme esso si limiti ad additare le riforme nella sola parte disciplinare, ed è forse per questo che vi hanno aderito espressamente o tacitamente anche alti dignitari ecclesiastici. Però benché si limiti a questo, Roma non intenderà subirlo. Monsignor De Merode, il ministro della Guerra di Pio IX, diceva fin d’allora che volere introdurre riforme in Vaticano sarebbe lo stesso che voler pulire le piramidi di Egitto con uno spazzolino da denti. I modernisti che hanno ancor fiducia nelle riforme interne, nonostante sappiano questo, non disperano riuscire. E’ riserbato forse alla loro fede il successo?
Vinceranno o vincerà Pio X ,che pur ieri, nonostante la difesa del suo vescovo, deponeva come infetto di eresia, il rettore del seminario di Dillingen in Germania, uomo di grande probità e cultura; che pur ieri ordinava le misure più inquisitoriali per conoscere il nome di alcuni parroci e monsignori che avevano aderito od erano intervenuti al convegno di Napoli ; che non lascia passar giorno senza anatemizzar qualcuno e Senza riaffermare il suo odio e praticare le sue vendette ?
Noi non siamo certo profeti. Ci limitiamo solo, a notare tristemente come la vittoria di Pio X sarebbe forse la più grave delle sconfitte che potrebbe subire mài la Chiesa di Roma.
Ernesto Rutili.
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PER LE OPERE
DI GABRIELE ROSSETTI
zLIAM Michael Rossetti, figlio superstite di Gabriele, ed il sindaco di Vasto, terra nativa del poeta, mi hanno affidato da alcun tempo tutti i manoscritti ch’essi ne possedevano, ben conoscendo la mia costante volontà di raccogliere tutte le vestigia del Vate, per divulgarne l’opera, per integrarne la vita. Ed ora io conservo, come in un sacrario, quasi tutte le sue pagine e più di mille lettere da lui scritte o ricevute. Ivi è il suo Cemento inedito al Purgatorio; la Beatrice,
nota in breve frammento; cinquecen tono vanta poesie inedite; varianti numerose alle opere stampate. Ivi son volumi ove si squaderna tutta l’epopea dell’Italia congiurai rice, d'onde irrompe e si effonde tutta la fiammante fede del magnanimo, che volle, immutabilmente, guerra a ogni tirannia civile o sacerdotale. Treman le mani e l’anima nel toccare le sacre pagine. Volumi interi sono scritti dalla moglie e dai figli, concordi nella dolce carità di sollevare al quasi cieco la pena di non vedere' i suoi caratteri. È la mano di Cristina che scrive le odi meliche e gl'idilli; quella di Francesca Lavinia che segna le folgoranti strofe contro i liberticidi, gli usurpatori, il papato ; quella di Dante Gabriele, che ferma novelle, satire, epigrammi, e che, negl’ intervalli del dettato, disegna a sua posta testine, ghirigori, paesaggi...
Per queste carte la vita del padre, del cittadino, del poeta, s’arricchisce, si completa ; la sua figura spicca nella luce limpida o fosca del tempo ; si accertano gli eventi ; si conoscono amici o avversari ; si scrutano affetti ; si assiste alla elaborazione rapida o lenta del suo pensiero. Egli vive : lotta, soffre, gode, insegna, studia, congiura; è coi suoi, co’ grandi, con gli ospiti, con la gente sua, come fu nel vero, come avrebbe voluto ritrarlo il Carducci, il quale lo amò, augurando che in tal guisa la vita sua si scrivesse.
Ma il Rossetti aveva fatto di meglio ; e dieci anni prima del desiderio d’Eno-trio Romano l’aveva scritta egli medesimo insieme col suo testamento, che pur fra queste carte si trova; sì che, seguendo la sua traccia e gli altri documenti, noi possiamo in fuggevoli tratti accennarla, nei due periodi, nazionale ed inglese.
Fanciullo ancora (era nato sei anni prima dell’89), dall’alto della sua casa, che sembra un fortilizio sugli spaldi dell' incantevole città la quale domina l'Adriatico, egli scandisce i versi al suono dell’ incudine paterna ; disegna paesi e marine d’un’Arcadia fantastica, figure e simboli con nitore di rami ; legge Ovidio e Metastasi© ; scorrazza per le boscaglie d’arance e d’oliveti, componendo anacreontiche a Nice e a Clori, sognando la terra lontana del pane e dèlia gloria.
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[Dall’ ■ autografo > di G. Rossetti, affidato al Prof. CiÀMroy].
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BILYCHNJS
Giovane, abbandonato a Napoli dal suo protettore, Tommaso d’Avalos, improvvisa, canta Giuseppe Napoleone, Tasso, Paisiello ; scrive libretti pel S. Carlo ; custodisce, illustra le statue del museo reale ; accompagna principi e re ; affascina coi carmi dame e patrizi; diventa carbonaro; partecipa al governo murattiano, mentre l’accademia tiberina lo corona, a Roma. Torna a Napoli; congiura e intima a Ferdinando I:
O il tuo regnar eoi popolo dividi,
O sul trono aborrito avrai la tomba!
Canta la rivoluzione; segue il generale Pepe ad Antrodoco; è cercato a morte dagli sgherri borbonici... È una inglese che lo salva, Lady Moore, consorte dell’ammiraglio Sir Graham Moore, che lo accoglie sulla nave e lo sbarca a Malta. A Malta canta San Paolo, sempre improvvisando; insegna l’italiano, si concilia l’amicizia di John Hukhaam Frere, -il celeberrimo traduttore d’Aristofane. Ivi, dopo alcun tempo, mal sopportandone le calunnie, sfida il console, napoletano Gerardi; e finalmente, a schivare ogni insidia, sempre per la protettrice anima inglese, arriva a Londra.
A Londra, fra quel popolo di galantuomini, soccorso e protetto, disciplina le sue facoltà; raccoglie le forze, guarda all’avvenire cui non aveva badato mai nel febrile concitamento di quel regno senza requie e senza coscienza; studia e lavora, tenace, sereno, paziente. L’Inghilterra gli rende il senso della realtà, l’energia dell’apostolato. Egli può pensare come vuole; volere quel ch’è bello, buono, utile a sé, alla patria. L’esilio gl’ impone doveri e dignità novelli. Oramai è redento, col dolore, dalla pressura tirannica. Egli insegna con amore, quasi con orgoglio, la lingua d’Italia ; l’alunno è per lui un amico del paese. D’Italia egli promulga le glorie, i diritti; si concilia l’affetto e il rispetto dei connazionali e più degl'Inglesi, che, pur rigidi, nella vittima d’un mal governo vedono un'anima candida e gentile, un poeta ed un critico. Dalla cattedra del Collegio del Re bandisce le bellezze letterarie del suo paese ; ne’ volumi delle sue poesie, che si seguono e si diffondono per ogni tèrra remota d’Italia, ovunque batta un cuore per amor della libertà, i suoi versi, come i primi, come quelli della rivoluzione di Napoli, infiammano i petti, quanto le congiure e gli scritti di Mazzini.
Di là seguiva con ansia angosciosa, cooperandovi, gli avvenimenti della penisola e d’Europa, e commoveva i cuori col Salterio* L'Arpa Evangelica, gVInni e Salmi, Al? Austria, Cracovia, II meriggio di Italia, le prose polemiche sul papismo ; in essi maturavasi il germe d’idealità trascendenti i casi contemporanei.
Gabriele Rossetti, poeta per natura, spontaneo, ricco d’immagini e di rime, è noto quasi solamente come poeta patriottico; deve rivelarsi, e dev'esser presto, anche come poeta politico e religioso audacissimo, come novelliere romantico, le cui saghe non sono inferiori alle molte nostre di clima medioevale, come umorista fine e mordente, i cui epigrammi e satire valgon meglio di liriche serie, e come fortissimo conoscitore dell’età di mezzo nella storia, nel costume, nella mistica, nell’arte.
Quando si studieranno con maggior cura ed amore tutte le opere sue, massime nella psiche religiosa, ed in quei formidabili volumi, oramai rarissimi, del
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PER LE OPERE DI GABRIELE ROSSETTI 57
Mistero dell'amor platonico nel Medio Evo, che gli costaron tanti anni d’indagini e tanta forza d’occhi, si parrà chiara la vera grandezza di questo libero spirito che trascendeva le angustie delle coscienze irretite in viete credenze ed in vane tradizioni, nelle quali là fede immortale non brillava quanto nell’anima sua come un faro luminoso.
Fedele all’assunto impegno, nel 1910 inaugurai la pubblicazióne delle Opere inedite E RARE di Gabriele Rossetti, dando alla luce per la prima volta e traen-doli dagli autografi, La vita mia e II Testamento, che, arricchiti d’illustrazioni e riproduzioni di disegni del glorioso suo figliuolo Dante Gabriele, con bibliografia e note, formarono un primo volume di circa 400 pagine, splendidamente stampato dal principe degli editori abruzzesi, il cav. Rocco Carabba.
Ora è necessario che la pubblicazione degli altri volumi non s’indugi, massime delle 590 poesie inedite, le quali riveleranno al mondo gii altissimi ideali di religione, di patria, di umanità che accendevano quell’anima generosa. Rivolgo quindi un fervido appello a quanti s’inspirano agli stessi grandi ideali a cui s’inspirò il Rossetti, sia nelle terre d’Italia che nelle straniere, ove battono sempre, sebbene lontani, cuori devoti alla nobile fede che dette al poeta fama imperitura.
In questi volumi essi ritroveranno, non solo la storia delle sventure della patria, le sdegnose rivolte, le invincibili speranze, ma l’aspirazione perenne verso la rigenerazione delle anime e l'innalzamento religioso e morale dei popoli.
E poiché la vendita del primo volume, che ebbe lusinghiera accoglienza, fu destinata ad accrescere il fondo che si va raccogliendo per l'erezione d’un degno monumento nella città di Vasto al suo grande figliuolo, similmente resta destinata allo stesso scopo la vendita di tutti gli altri volumi.
Roma, x° gennaio 1913.
Domenico Ciàmpoli.
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DAVID LLOYD-GEORGE
L soggetto di questo articolo è l’uomo più odiato e più amato nel Regno britannico. Per alcuni egli è un insigne cristiano, pieno di fede e animato dallo spirito di Cristo. Essi parlano di lui con entusiasmo, non soltanto per la sua grande capacità, ma anche per il suo carattere cristiano, per la suà benevolenza e per il suo contegno, che chiamano sunny and amiable (sorridente ed amabile).
Altri sembrano esaurire il vocabolario dei suoi termini
vituperativi nello sforzo di esprimere la loro antipatia ed il loro odio verso di lui. Uno scrive per dire : « Egli è la più sinistra personalità che abbia mai oscurato la vita nazionale ». Un altro, per disprezzarne l’abilità, dice che « sarebbe ben pagato come scrivano con venticinque scellini la settimana ». Nella stampa conservatrice è stato chiamato Giuda, Nerone, Riccardo il Gobbo, Mostro, Bruto, Gallese perfido. Un tale, irritato da qualche benevolo apprezzamento pel ministro in un giornale, scrisse alla redazione, dicendo: «Ora son preparato a legger nelle vostre colonne un elogio del diavolo ». Uh altro ebbe il coraggio di dire : « Se fosse colato a fondo còl 'litanie ! » E un altro : « Se qualcuno lo volesse accoppare! > (I wisk someone would do for him!} Gli ammiratori di Lloyd-George si consolano in mezzo a questa vituperazione col ricordarsi che termini simili vennero lanciati contro a John Bright e a Gladstone, ed i lettori del Nuovo Testamento si rammenteranno d’uno più grande ancora, di cui si legge : « Vi era gran mormorio di lui fra le turbe ; gli uni dicevano : Egli è dabbene ; altri dicevano : No ; anzi egli seduce la moltitudine ».
Ora, l'uomo che, ancor piuttosto giovane — ha soli quarantanove anni — desta tanto entusiasmo ed amóre da una parte e tanta avversione dall’altra deve esser persona rimarchevole ed interessante, e infatti il suo nome è oramai ben conosciuto in ogni parte del mondo. E’ un detto di Solone che nessuno può esser conosciuto per felice avanti la sua morte, e certamente non è possibile giudicare completamente della vita e dell’opera di uno statista come Lloyd-George mentre egli è quasi al principio della sua carriera. Tuttavia è impossibile evitare la discussione riguardo ad un tal uomo, e bisogna pur aspettarsi qualche apprezzamento di lui e della sua politica. Recentemente sono state pubblicate due opere che possono essere d’aiuto a chi voglia farsi un’idea dell’uomo illustre. L’una, che è breve, ci dice quello che molti, ma non tutti sanno, anche se non sono in intimità con lui. L’autore è un gallese che conosce bene la vita pubblica di Lloyd-George, ed il suo libro può esser assai utile ai giovani che non sono stati contemporanei di tutta quella vita. L’altra, della quale è comparso finora un solo dei quattro volumi annunziati, mira a darci una biografìa con una tale abbondanza di particolàri, che riman ben poco a desiderare.
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DAVID LLOYD GEORGE.
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Il Du Parcq, l’autore, benché non sia gallese, anzi nativo dell’ isola di Jersey, e ora avvocato a Londra, conosce perfettamente l’ambiente gallese in cui Lloyd-George è vissuto, e gli archivi della famiglia sono Stati messi a sua disposizione, avendo William George, fratello di David Lloyd, messo nelle sue mani i diari tenuti fin dalla sua fanciullezza. Se il volume del Du Parcq ha un difetto, esso sta nell’abbondanza, nella minutezza dei particolari, e nella narrazione di piccoli avvenimenti che molti stimerebbero di nessuna importanza; ma questo difettuccio sarà da alcuni accettato come pregio. Il volume tratta degli antenati del Lloyd-George, della sua fanciullezza e del principio della sua vita politica fino all’anno 1899.
Ma lo scopo di quest’articolo è di mettere il personaggio davanti ai lettori per quanto sia possibile, tale quale egli è divenuto : cioè la figura più cospicua sul teatro della politica odierna.
La sua fanciullezza.
David Lloyd-George, sebbene gallese, nacque in Inghilterra, e precisamente a Manchester, nel 1863. Suo padre fu maestro di scuola, uomo molto intelligente e d’idee troppo progredite perchè fossero condivise dai suoi contemporanei. Egli morì mentre David era ancora fanciulletto e la vedova e il figliuolo vennero ricoverati presso il cognato, un calzolaio di mente superiore, del villaggio di Llanystumdwy nella contea di Carnarvon. Questo zio del ministro, Riccardo Lloyd, vive tuttora ed è persona notevole, Alto, bello e robusto, egli è distinto tanto per le qualità di corpo, quanto per quelle della mente e dello spirito. Appartiene alla chiesa detta dei «Discepoli di Cristo», un ramo della denominazione battista. Per più di cinquant’anni egli ha fatto da pastore della sua chiesa, senza stipendio, e seguita a farlo ora che ha quasi ottant’anni. Il suo illustre nipote lo crede il miglior predicatore del mondo, ed ha condotto alcuni dei suoi colleghi nel governo all’umile cappella per ascoltarlo. Riccardo Lloyd è stato durante tutta la sua vita un liberale zelante e coraggioso, e senza dubbio, mediante le sue idee e le sue spiccate qualità morali, ha esercitato una grande influenza sul nipote. Il futuro statista è stato allevato in un’atmosfera ben adatta a formare il suo carattere e a renderlo quel che è.
Mentre David era ancora piccino ebbero luogo avvenimenti atti a fare una profonda impressione sulla sua mente che s'andava formando nell’ambiente della casa dello zio. I conservatori erano dominanti nella contea di Carnarvon, e avevano poco riguardo per coloro che non condividevano le loro opinioni politiche. Nel 1868 parecchi agricoltori avendo avuto l’audacia di votare contro di loro, vennero cacciati dai loro poderi, e molti altri furono messi sul lastrico semplicemente per aver osato agire secondo la propria coscienza. Le sofferenze di quegli uomini per i loro principi ed il loro eroismo destarono lo spirito montanaro ed il genio della libertà fra i Gallesi, ed il bambino era abbastanza intelligente per poter osservare ed intendere quel che accadeva. Egli ne dice : « Io era piccoletto » (aveva cinque anni), « ma i ragazzi non dimenticano fatti di quel genere ».
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Lloyd-George a scuòla.
Non vi era nel villaggio di Llanistumdwy che una sola scuola, quella della chiesa anglicana — chiesa ufficiale e dominante ma forestiera — alla quale appartenevano pochissimi di quelli del popolo. La gran maggioranza dei Gallesi consiste di nonconformisti, che hanno protestato per molti anni contro l’imposizione di una chiesa, i cui riti e le cui dottrine non hanno mai voluto accettare. In molte parrocchie la chiesa anglicana era frequentata da pochissime persone, e qualche volta il ministro non conosceva la lingua dei suoi parrocchiani. Mentre scrivo, il parlamentare inglese è occupato nella discussione di un bill presentato dal Governo in risposta al desiderio dei Gallesi per la separazione di questa chiesa dallo Stato.
Nella scuola anglicana tutti i fanciulli, benché di famiglie nonconformiste, dovevano imparare il catechismo che insegnava dottrine contrarie ai principi ed alle convinzioni dei loro genitori, e una volta all’anno vi si dava un esame al quale assistevano il parroco, il signorotto ed altre persone della comunità anglicana, per vedere se i piccoli nonconformisti fossero stati bene ammaestrati nella fede della chiesa ufficiale. Lloyd-George una volta organizzò una congiura del silenzio. I ragazzi si misero d’accordo tra loro di star muti e tutte le domande rimasero senza risposta. Il parroco ed il signorotto non vennero più a far l'esame.
Ogni anno, nell’occasione del Mercoledì delle Ceneri, si soleva condurre i ragazzi della scuola in chiesa: usanza contraria ai principi dei genitori; ma un ragazzo incoraggiato da uno zio ch’era uomo di coscienza, riuscì a promuovere una rivolta che fece sopprimere quell’abuso. Quel ragazzo era il presente Cancelliere dello Scacchiere, che ora combatte per la libertà religiosa nella Camera dei Comuni ; così vera è la parola del poeta Wordsworth : The child's thè father of thè man[y\
Lloyd-George avvocato.
Uscito dalla scuola, David venne collocato presso un avvocato. Qualcuno ha detto che nello studiare egli non è soverchiamente laborioso, ma che qualche giorno prima d’esser assalito da un avversario, un angelo custode lo fornisce misteriosamente della materia per la sua risposta. Ciò vuol dir ch’egli ha delle intuizioni vive, che intravvede ed afferra una conclusione mentre altri si affannano per arrivarvi. Tuttavia deve essere più studioso di quel che non credano alcuni, altrimenti non potrebb'essere così sicuro de' fatti suoi. Egli sembra sempre bene e pienamente informato riguardo alle questioni da discutersi. Io non invidiò l’avversario che osa assalirlo su questioni di Storia o di fatti. E’ quasi certo che quel tale dovrà pentirsene. Comunque sia, David Lloyd-George riuscì nei suoi studi, divenne avvocato a ventunanno, manifestando eccezionale capacità. Ma, uomo del popolo, egli ha sempre nudrito simpatia per i poveri e gli oppressi
(i) Il fanciullo è il padre dell’uomo.
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e ha sempre spiegato zelo e coraggio nel difendere i loro interessi e nel perorare la loro causa contro gl'ingiusti ed i tiranni.
Una causa che gli procacciò fama fu la disputa riguardo al cimitero di un luogo per nome Llanfrothen. Il parroco di questo paesello non volle permettere che un povero vecchio fosse seppellito, secondo il suo espresso desiderio, accanto alla figlia, perchè la famiglia orbata voleva che il servizio funebre fosse tenuto da un ministro nonconformista. Lloyd-George sostenne la causa della famiglia contro il parroco e vinse in una lotta a favore del popolo.
In quei giorni il giovane avvocato dava terribilmente sui nervi ai magistrati tirannici. Questi appartenevano alla classe dei grandi proprietari e solevano essere severissimi contro chi toccasse i loro privilegi. A volte, avevano condannato ad una punizione ridicola per la sua leggerezza un uomo brutale che aveva battuto o calpestato la moglie, ma guai al cacciatore furtivo che fosse stato trovato sopra le loro terre, specie se gli si fosse trovato nella tasca l’uovo d’una fagiana. Tali magistrati passavano sempre un brutto quarto d’ora quando il giovane Lloyd-George era davanti a loro. In un'occasione ebbe luogo una scena di questo genere :
Lloyd-George ai magistrati : « Nel caso di un cacciatore furtivo non è possibile sperare di aver giustizia qui ».
Il Presidente'. «Non ho mai udito un’osservazione più insultante e meno da gentiluomo».
Lloyd-George'. «Ma un’osservazione più vera non fu mai fatta in una Corte di giustizia ».
Il Presidente'. « Mi dica a chi vuol riferirsi ».
Lloyd-George'. «Alludo particolarmente a lei, signore».
Il Presidente si alza e fa per andarsene. Gli altri magistrati seguono il suo esempio, e l’avvocato dice: «Son lieto di questa decisione», e nessun magistrato rimane per continuare la causa.
In un’altra occasione il giovane avvocato comparisce portando un grosso libro. Il Presidente con premura dice : < Spero che non abbia l’intenzione di leggere tutt’intero quel libro». E Lloyd-George risponde: «Se lo facessi, la signoria vostra, a lettura finita, si troverebbe meglio informata sull’argomento di quel che non sia al presente >. Soltanto le circostanze d'allora potevano giustificare un tal contegno, ma in esso vediamo illustrate due cospicue caratteristiche del Lloyd-George, — egli fu sempre coraggioso e sempre dalla parte degli oppressi.
La sua vita politica.
Poeta nascitur non fit, e parimenti si può dire che Lloyd-George è nato politico. Egli s’interessava della religione e della quistione della temperanza, ma anche da giovane scriveva per i giornali articoli politici firmandoli Brutus. Sviluppò presto là facoltà oratoria. Mi ricordo bene di averlo veduto e udito a Cardiff, più di vent’anni fa, quando parlava al Congresso dell’Unione Evangelica Battista. Era già deputato, ma imberbe e sembrava un ragazzo: parlava con grande saggezza ed eloquenza. Era anche modesto, e quando il vasto uditorio
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lo coprì di complimenti egli aggiunse fuoco all’entusiasmo rispondendo : « Non sono che un ragazzo gallese ». Si vede dal suo Diario che quando a diciotto anni fece la sua prima visita a Londra, egli intravedeva già qualcosa del suo avvenire. Visitò la Camera dei Comuni e nel Diario scrisse: « Non nego che io guardava l’assemblea sentendomi in uno spirito simile a quello di Guglielmo il Conquistatore quando mirava l’Inghilterra nell’occasione della sua visita ad Eduardo il Confessore, come sfera dei suo futuro dominio. O vanità ! »
Egli fu eletto deputato di Canarvon nel 1890. Nel suo Diario si trovano le sue osservazioni su Gladstone, Chamberlain, Asquith ed altri. Esse rivelano molta acutezza e sono interessanti, ma non pochi fra i lettori crederanno cosa imprudente la loro pubblicazione. Come deputato egli si fece conoscere presto per un abile polemista, e si dice ch’egli era il solo capace di misurarsi con il Chamberlain, il quale soffriva evidentemente sotta la sferza della critica e dell’eloquenza del giovane gallese. Si oppose energicamente alla guerra nell’Africa meridionale e corse grave pericolo a Birmingham quando i fautori della guerra gli attentarono la vita. Riuscì a scampare travestito da policeman.
Quando i liberali tornarono al potere fu evidente a tutti che il Lloyd-George doveva essere uno dei ministri, ed anche i conservatori confessarono che nessun ministro del commercio (Board of Trade) fu mai più abile. Si dimostrò assai accorto nel comporre le contese fra operai e padroni e finalmente venne chiamato alla Cancelleria, o Ministero delle finanze, posizione seconda soltanto a quella del primo ministro, ora Mr. Asquith.
Cancelliere dello Scacchiere.
In questa carica Lloyd-George ha trovato l’opportunità di svolgere le sue idee ed i suoi piani per migliorare (secondo lui) la condizione dei meno fortunati che sono i più numerosi fra gli abitanti del regno.
La prima legge da lui studiata e presentata con questo scopo, è quella che provvede pensioni ai vecchi d'ambo i sessi giunti ai settant’anni. Vige in Inghilterra un sistema pel quale si provvede al sostentamento degl’ indigenti, e quelli che lo proposero e sostennero han menato vanto del fatto che, grazie ad esso, nessuno può mancare dell’alloggio e del cibo necessario; ma tale è la riluttanza a ricevere l’elemosina e a dipendere dalla carità pubblica, che migliaia di persone preferiscono di soffrir la fame, e alcuni di morire, anziché entrare nel Workhouse (asilo dei poveri). Un tale sentimento d‘ indipendenza prevale specialmente fra i più degni e più rispettabili dei poveri, ed è stato desiderio di Lloyd-George e della maggioranza dei deputati di rispettare quel sentimento e offrire ai poveri nella loro vecchiaia una piccola pensione, la quale non potesse considerarsi come carità, ma che venisse richiesta ed accettata quale diritto del cittadino. La legge entrata in vigore nei 1908, stabilisce che ogni uomo o donna settantenne, che è suddito britannico, ed ha vissuto nel Regno Unito per vent’anni, può ricevere una pensione settimanale di cinque scellini (L. 6.25), purché non goda d’un introito che oltrepassi le L. 525 l’anno. Chi riceve una somma superiore ha diritto ad una pensione diminuita in proporzione dell’ introito più alto, ma chi è in possesso di più di L. 787.50 annue non può ricever nulla. Questa legge è stata già
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di grande sollievo per molti vecchi che prima stentavano a vivere. Fino al 31 marzo 1911, 907,461 persone avevano ricevuto le pensioni che nell’anno 1910-1911 avevano costato allo Stato 248 milioni di lire.
Tutti si ricorderanno della tremenda battaglia intorno al primo ^//¿^/(esposizione finanziaria) del nuovo cancelliere, come fu respinto dalla Camera dei Pari e poi accettato dopo un appello al paese; Allora venne approvata la legge che limita il potere della seconda Camera ; e nel raccomandare e difender quella legge Lloyd-George ebbe una gran parte.
Ma là maggiore impresa fino ad ora è stata la legge d’Assicurazione. Come in Italia, esisteva in Inghilterra già da anni l’obbligo da parte dei padroni di assicurare i loro impiegati contro gl’ infortuni ; ma la nuova legge mira ad assicurare contro la malattia, con pòche eccezioni, tutti i lavoratori d’ogni genere nel regno. Padroni ed impiegati sono obbligati a contribuire mediante un sistema di bolli fissati ad un cartoncino, ai fondi dell’Assicurazione ; ma i padroni devono pagare per sè e per i loro impiegati, defalcando poi la quota di questi dalla paga che periodicamente ricevono, e lo Stato aggiunge in alcuni casi circa una quarta, ed in altri una terza parte della contribuzione richiesta da ogni individuo. Per es., la quota di ninepence (circa cent. 90) per settimana deve esser pagata per testa. Se l’individuo guadagna più di L. 3.12 al giorno, egli paga 40 centesimi, il padrone cent. 30 e lo Stato ne aggiunge 20. Se l’impiegato guadagna L. 3.12, ma non più, egli paga 30 centesimi ed il padrone 40. Se non guadagna più di L. 2.50 al giorno, egli paga io centesimi ed il padrone 50, e se non riceve più di L. 1.80 giornaliere egli non paga niente, ma il padrone è tenuto a contribuire 60 centesimi. Lo Stato in ciascun caso contribuisce quel che manca alla somma di 90 centesimi. Le donne sono assicurate come gli uomini, ma la somma pagata per ciascuna (divisa fra esse, il padrone o la padrona e lo Stato) è di 80 centesimi invece di 90. Prendiamo, ad es., il caso di una domestica. La padrona versa per lei 60 centesimi la settimana e poi deduce dalla sua paga ogni settimana 30 centesimi e lo Stato ne aggiunge 20.
Ora, quali sono i benefici così assicurati?
i° Se il lavorante è malato egli ha il medico e la medicina che gli è necessaria ;
2° Se è afflitto dalla tisi può essere ricoverato in un sanatorio e godere di tutti i mezzi che la scienza d’oggi suggerisce in tal caso;
30 Durante la malattia egli riceve L. 12.50 settimanali, e ciò può continuare per ventisei settimane, cioè per sei mesi;
4° Se poi è reso incapace di lavorare egli riceverà L. 6.20 ogni settimana per tutta la vita;
5° Egli riceverà L. 37.50 (detto beneficio di maternità) ogni volta che sua moglie dovrà partorire. Quest’ultimo beneficio sarà di grande consolazione per quelle povere famiglie, nelle quali la madre è stata finora costretta, per mancanza di mezzi, a lasciare troppo presto il letto dopo il parto per andare al lavoro.
I benefici per una donna sono consimili; ma nella malattia ella riceve L. 9.36 e quando è partoriente la somma di L. 37.50 soltanto quando non viene ammessa sul conto dell’assicurazione del marito.
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Non mi è possibile ora entrare in tutti i particolari di questa legge comprensiva e però complicata, ma basta, credo, quel che ho detto, a dimostrare quanto gran bene reca alla maggior parte dèlia popolazione di questo regno.
Naturalmente essa non può piacere a molti degli abbienti che sono obbligati a pagare per aiutare i meno fortunati, e gli avversari politici di Lloyd-George hanno saputo ■'servirsi di questa circostanza per suscitargli contro l’opposizione. Di più, hanno potuto aizzare contro di lui molti degli operai e delle domestiche di qua e di là, col metter in rilievo le sommette che vengon dedotte dalla loro paga, mentre tacciono o cercan di diminuire i benefici che si acquistano. E siccome (quantunque la legge sia stata approvata e messa in opera da quasi sei mesi), i benefici non possono esser goduti prima del principio dell’anno 1913, e per questi sei mesi abbiamo assistito soltanto all’operazione meno piacevole della legge, i versamenti, non ci dobbiam meravigliare se questo provvedimento sia per il momento impopolare e fino ad un certo punto renda impopolare anche il Governo. Ma i suoi fautori sono convinti Che dopo che i suoi benefici saranno stati per pochi mesi sperimentati, la legge sarà acclamata con gioia e gratitudine dà quasi tutti gli abitanti del regno.
In un recente discorso ad Aberdeen, Lloyd-George, fra altre cose, ha detto : < Fra dodici mesi, principiando dal 15 gennaio prossimo, pagheremo L. 36,500,000 ad un milione di donne per nutrirle nella loro ora di pericolo, e così daremo ai piccoli immigranti (ossia i neonati), un ingresso favorevole in questo freddo mondo. Abbiamo ora in mano L. 150,000,000 per assicurare la cura medica ai nostri operai. L'anno prossimo calcoliamo che riceveranno quel beneficio due milióni di operai i quali senza di esso non potrebbero pagare il medico ».
Ed ecco un altro passo nel medesimo discorso : « La tisi affrontata con tutta la forza d’un grande impero ; la malattia combattuta nelle case più umili ; bambini nudriti mentre i loro genitori lottano con la morte... Se vi sia fra i miei avversari uno che abbia ideato e messo in pratica un progetto che possa far tanto per rimediare alla miseria umana, getti egli il primo la pietra contro di me».
E' incoraggiante udirlo dire nel medesimo discorso, parlando di quelli dai quali si aspettava la maggior opposizione: « Io non ho altro che parole di lode e di viva gratitudine per la gran maggioranza dei padroni e di coloro che impiegano molti lavoranti. Il loro contegno è stato degno del loro patriottismo non soltanto, ma anche del loro sentimento umanitario ».
Di questa legge d’assicurazione non farò che Citare le parole di Maggiorino Ferraris. Egli la chiama « una delle più grandi, delle più coraggiose e organiche riforme che la mente umana possa concepire».
Ora Lloyd-George sta studiando la questione dei terreni, coll’ intenzione di escogitare una legge che, senza dubbio, desterà una tremenda opposizione da parte dei grandi proprietari. Nelle isole britanniche, dei 77,683,084 acri o jugeri che costituiscono l’area intera, più di 30,000,000 rimangono incolti. In alcune parti vasti terreni sono conservati per la caccia, mentre gli uomini che vorrebbero lavorare soffrono la fame o accórrono nelle città per lottarvi per la vita o emigrano. Il numero degli emigranti salì, nel 1910, a 618,859. 1“ un paese che contiene grandi ricchezze e alcuni dei più ricchi possidenti del mondo, si contano 1,069,194 persone che dipendono dalla carità pubblica, oltre un gran numero che langue
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sempre nella miseria. Questo è uno stato di cose che non dovrebbe contentare nessuno. Lloyd-George crede che la radice del male la si debba cercare nelle leggi che riguardano la terra e che il rimedio si trovi nella loro riforma. Egli è tacciato di socialismo. Non è socialista, ma certamente lavora per molte riforme sociali ed ha il coraggio delle sue convinzioni.
Quale sarà l’avvenire di quest’uomo non lo si può predire, ma è probabile che occuperà il posto più alto nel Governo, cioè quello del primo ministro. La sua capacità è grande, e la sua arte oratoria si presta egualmente al comizio popolare ed al Parlamento. E’ pronto sempre nel dibattimento, felice nelle risposte improvvisate agli avversari ed interruttori, ed abile nell’arte della persuasione. Un gruppo di magnati da Liverpool, che gli erano opposti, l’intervistarono con la certezza, come dicevano, di « polverizzarlo », ma nel ritornarsene più savi e più tristi, essi ebbero a confessare che li aveva vinti e che erano stati come tant’argilla nelle sue mani. E una frotta di domestiche, infiammate d’ira accesa in loro dai suoi avversari, ottenuto un abboccamento, si sfogarono, ma dopo le sue spiegazioni furono convertite e uscirono dalla.sua presenza entusiaste di lui e della sua legge d’assicurazione.
Lloyd-George conserva in mezzo alla prosperità e agli onori la sua fede religiosa ed il gusto pel semplice culto cristiano tra i suoi fratelli battisti ; la sua moglie in tutta la parte migliore della vita gli è un « aiuto convenevole ». Nel suo recente discorso ad Aberdeen, egli disse : « Sono stato allevato fra il popolo, e lo conosco bene. Sono attaccato alle classi umili e seguiterò sempre a cercare il loro benessere >. Non è questa la voce di uno statista cristiano ?
Concludo con le parole di Deas Cromarty pubblicate sul British Weekly. *■ In prima fila tra gl' Inglesi d’oggi sta la figura di questo medico politico, chiaro, energico e scienziato, pieno di compassione verso le sofferenze umane nelle quali s'imbatte, e severo contro la ciarlataneria e la negligenza. Iddio aggiunga forza alla sua mano ed alla sua volontà benevola e fraterna ! Salute e lunghi giorni a chi vuol rettificare le ingiustizie che affliggono la nostra nazione ! Che la benedizione del Signore sia sopra il suo servitore, Lloyd-George ! ».
Worting (Inghilterra).
Nath. H. Shaw.
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PERIAC/LT/RA DELL'ANIMA kwm ibuvivwi
Si
RINUNZIAMENTO.
Se alcuno vuol venire dieiro a me rinunzi a se stesso.
Mal. XVI, 34I; Marc. Vili, 34 ; Lue. IX. 33.
I sono parole di Gesù che in qualunque ambiente lanciate incontrano l’approvazione universale, non importa ora se sia approvazione sincera o di convenienza. Per esempio le parole che disse contro l’ipocrisia religiosa o a favore della fratellanza umana. Ma ci sono altre parole sue che sollevano quasi in tutti gli ambienti obiezioni e proteste : per esempio queste ripetute in tutti e tre i sinottici : « Se alcuno vuol venire dietro a me rinunzi a se stesso ». Provate a lanciarle
nel gran pubblico e vfjsaranno tutti addosso : gli uni per denunziarvi, quasi supponendo che non ne abbiate mai sentito parlare, le pazzie commesse in nome della rinunzia dai fanatici ; gli altri per rivelarvi — verità troppo alta per potervi arrivare da voi soli — che col rinunziamento a se stesso si va alla negazione, alla soppressione di se stesso.
JT
Bene, si risponde facilmente ai primi.
Certo nella Chiesa cristiana si sono commesse molte stravaganze in nome del rinunziamento. Per una che ne citano quei signori, noi, che conosciamo la storia della Chiesa un po’ meglio di loro, ne possiamo citare dieci. Vi sono stati di quelli che confondendo il rinunziamento a se stesso col rinunziamento alla vita civile, si sono dannati all’eremitaggio, privando la società d’innumerevoli energie vive e fattive ; quelli che confondendolo col rinunziamento alla propria carne si sono seviziati, macerati, flagellati — strane, sinistre, orribili figure di pazzi nelle quali coabitavano il tormentato e il tormentatore, la vittima e il carnefice — quelli
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA
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che confondendo il rinunziamento a se stesso col rinunziamento alla propria dignità si sono disprezzati e fatti disprezzare : esempio tipico San Filippo Neri che usciva per le vie di Roma in abito da arlecchino e tenendo un fiasco sotto il braccio, felice di essere rincorso e beffato dai monelli; quelli infine che confondendo il rinunziamento a se stesso col rinunziamento alle facoltà costitutive del proprio essere si sono strappati dall’anima, ragione, sentimento, volontà, riducendosi da uomini normali a tronchi, a lacerti d’uomini, pietosi o ripugnanti.
Ma che colpa ha mai la parola di Cristo di queste false interpretazioni e pazze applicazioni ? È responsabile colui che fabbricò una lampada se di essa si serve il ladro notturno per trovare la via della cassa forte? è responsabile colui che fabbricò la corda se di essa si serve il disperato per impiccarsi?
Più meritévole di considerazione e di risposta è l’altra obiezione secondo la quale il rinunziamento cristiano costituirebbe un attentato all’ io, condurrebbe alla diminuzione e quindi alla negazione e soppressione dell'io. E l'obiezione moderna, l’obiezione di Federico Nietzsche, che, geloso com’era del suo io, nella paura e nell’orrore di attaccarsi pure un atomo di rinunziamento, non prendeva ¡’Evangelo in mano, com’egli stesso dichiarò, che a mani inguantate.
Ma anche a questa obiezione si risponde facilmente:
Prima di tutto con un appello ai fatti. Per buona fortuna l’Evangelo e, più che l’Evangelo. tutta la Bibbia, non ci presentano solo la dottrina del rinunziamento, ma dei tipi di rinunziatori, delle figure storiche che quella dottrina han professata e praticata nella vita. Or ci appariscono essi, questi rinunziatori, diminuiti dai loro rinunziamenti? Così dovrebbe essere secondo l’accusa; ma così non è. Guardate Abramo dopo l’uscita da Ur dei Caldei o dopo la separazione da Lot, le due grandi rinunzie della sua vita. Non solo il suo io non è diminuito, ma talmente aggrandito da diventare la ciclopica personalità alla quale s’ispirano tre grandi religioni: ('Ebraismo, il Cristianesimo, 1’ Islamismo. E guardate Mosè dopo che ha rinunziato, per essere il redentore d'Israele, all’opulenza della reggia e alla pace dei suoi campi e della sua vita di pastore. Non che diminuire, la sua personalità si sviluppa e dilata da tutte le parti ; egli assurge alle proporzioni di creatore di un popolo e di una civiltà ; diventa l'uomo — come ha scritto Heine, derisore di tutti, ma grave e solenne quando parla di Mosè — l’uomo sotto i cui piedi appariva, per la grandezza di lui, piccolo il Sinai. E guardate Paolo, l’ex fariseo, il grande rinunziatore del Nuovo Testamento. Trovate forse diminuito il suo io dopo la rinunzia al fariseato? e dove diminuito? nell’intelletto che dettò quel miracolo di pensiero che è (’Epistola ai Romani? o nel sentimento che abbracciò nelle sue vibrazioni amorose tutte le chiese ? o nella volontà che in Roma che vide agire le sublimi volontà di Fabio, di Mario, di Scipione, di Cesare, volle più che queste tutte perchè non si appagò di organizzare gli uomini ma intese a rifarli?
I fatti dunque stanno contro l'obiezione che nella rinunzia vede una diminuzione dell’io. Ma ai fatti unite pure il ragionamento: perchè, infine, il rinun-
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BILYCHNIS
ziamento che Cristo ci chiede è, sì, un rinunziamento all’ io, ma fatto dall' io, dunque un atto dell’io che implica, dietro la rinuncia, un’affermazione dell’io; dunque il rinunziamento all’io superficiale e passeggero fatto dall’io profondo e permanente. E quando? quando l’io superficiale e passeggero si costituisce impedimento all’io profondo e permanente. E perchè?1 a quale scopo? perchè l’impedimento sia rimosso e l’io profondo e permanente, che è il vero io, possa senza impedimenti aumentare, crescere, svilupparsi, dilatarsi. È insomma, lo stesso caso dell’albero Che cresce. Voi vedete che la sua scorza crepa e cade ; evidentemente l'albero, o l’io profondo e permanente dell’albero, rinunzia all’ io superficiale e passeggero, ma rinunzia per oltrepassarlo, per crescere.
Udite o paganeggianti discepoli di Nietzsche, o paladini dell'intangibilità dell’io, o derisori del rinunziamento cristiano: voi non avete capito nulla della dottrina del rinunziamento cristiano; ma se non la capite, se non imparate a rinunziare all’io superficiale e passeggero, a quel vostro io fatto di comodità, di interessi, di abitudini, di avidità, di risentimenti, di ambizioni, di indolenze, d'amor proprio che fascia il vostro io più profondo e più vero... udite : quell’ io che ora vi fascia come una scorza che, volendo, potreste ancora spezzare e rimuovere, diventerà una corazza contro cui riusciranno vani i vostri sforzi; e vorrete crescere e non potrete ; e vorrete espandervi e sarete ricacciati in voi stessi ; e sperimenterete che la rinunzia all’io che voi detestate, la rinunzia che veramente diminuisce e umilia, tocca proprio a chi non ha saputo rinunziare all’ io nel senso cristiano.
Ciò premesso vi darò alcune norme pratiche sul rinunziamento cristiano; ma prima consoliamoci un istante considerando quanta forza di rinunziamento c’è in questo calunniato mondo.
Abbiamo già visto che c’è nella Chiesa. Ho nominato Abramo, Mosè, Paolo; ma costoro ñon sono che un saggio della lunga interminabile serie di rinunziatori che passando a traverso martiri e riformatori, a traverso nomi illustri e nomi oscuri, arriva sino a noi. Vi dico in verità che quando leggo le biografie di questi grandi, cento volte più grandi che il mondo non creda, non so che mi commuova di più, se l’atto stesso di quei loro rinunziamenti (che erano rinun-ziamenti agli agi, alla carriera, agli onori, agli studi, alla famiglia, alla pace, all’amóre, alla vita) o la divina semplicità con cui l’atto era compiuto. E i missionari? Che dire di questa legione di apostoli, bene spesso più grandi dei dodici nominati da Gesù, che hanno tutto affrontato, tutto sofferto, a tutto rinunziato ; che sono stati tra i cannibali e i colerosi — il dottor Patón trent’anni tra i cannibali del Pacifico, il padre Damien vent’anni tra i colerosi delle Molokai... al tredicesimo anno era coleroso egli stesso — eroi tenaci e silenziosi che ancora oggi innaffiano del proprio sangue le stesse zolle su cui hanno prima lanciato il pugno di semenza evangelica. Forse non più di mezza-- dozzina di persone tra quante mi leggono sanno che due anni fa, non più di due anni fa, Orazio Hopkins ed Ettore Macpherson, due missionari protestanti all’arcipelago del Tonga sono stati uccisi e divorati — divorati ! Ah, si dica quel che si vuole, la
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Chiesa, la gente cristiana, tiene ancora il primo posto nella virtù del rinunzia-mento e del sacrificio! E bene fa se vuole veramente cristianizzare il mondo, perchè non v’ha forza di persuasione pari a quella che emana dai sacrificio. Quando Stanley fu mandato alla ricerca di Livingstone nell’ interno dell’Africa, egli era un ateo, un beffardo miscredente, ma la vista dell’uomo che aveva a tutto rinunziato per portare la parola che credeva di verità e di salvezza nelle più inospiti lande e che là viveva con semplicità, con serenità, quasi inconscio del suo sacrificio, indusse il beffardo miscredente, l’ateo, a gettar via da sè come una cosa lurida la sua miscredenza, il suo ateismo ...
Ma anche nel mondo, tra coloro che non sono della Chiesa, vive ed opera una divina virtù di rinunziamento. Gli eroi non sono che dei grandi rinunziatori. Prendete Mazzini quando profugo in Isvizzera nel 1836, nascosto nella casa di un pastore evangelico, dubitò, nelle lunghe e tormentose insonnie visitate dai fantasmi dei fucilati di Alessandria, di Genova, di Chambéry, dubitò che valesse la pena di far quella vita, di rinunziare a tanto. . uditelo : « Rinsavii... giurai a me stesso che nessuna cosa al mondo m’avrebbe sviato dalia mia missione. Mi affratellai col dolore e mi ravvolsi in esso come pellegrino nel suo mantello: imparai a soffrire senza ribellarmi e fui d’allora in poi in tranquilla concordia con l’anima mia. Diedi un lungo tristissimo addio a tutte le gioie, a tutte le speranze di vita individuale per me sulla terra. Scavai con le mie mani la fossa, non agli affetti — Dio m’è testimone eh’ io li sento oggi canuto come nei primi giorni della mia giovinezza — ma ai desideri, alle esigenze, ai conforti ineffabili degli affetti, e calcai la terra su quella fossa sì che altri ignorasse l’io che vi stava sepolto ». Non è questo rinunziamento? E come di Mazzini non è esso una caratteristica di tutti gli eroi? Scorrete le loro biografie e vi convincerete che un grande eroismo è in fondo un grande rinunziamento. Anche i geni sono dèi rinunziatori: il genio è l'eroismo contemplativo, come l’eroismo è il genio attivo. Isacco Newton, per condurre a termine i suoi calcoli e conservare la mente limpida, mangiava quasi soltanto pane e formaggio. Spencer, Kant e Spinoza, per costruire i loro sistemi di filosofia, restarono celibi. E come questi rinunziarono alle tavole imbandite e alla famiglia, altri hanno rinunziato alla agiatezza finanziaria per procurarsi i mezzi di sperimentare, ed altri alla salute. Recentemente una rivista pubblicò notizie sul tenore di vita a cui si assoggetta Marconi tutto assorbito dai suoi studi sulle onde herziane: è un rinunziamento a mille piccoli piaceri, a mille piccoli svaghi, un rinunziamento di tutti i giorni e di tutte le ore, .costante, meraviglioso. Il soldato rinunzia: dal momento che entra sotto le armi rinunzia a mangiare e a vestire e a distribuire la giornata come vorrebbe : ,un continuo olocausto della volontà propria a quella dèi reggimento. L’impiegato rinunzia; quando non è l’impiegato mercenario che non si preoccupa che di ritirare lo Stipendio, egli è un rinunziatore, uno dei più utili rinunziatori che abbia lo Stato, perchè dov’egli sta, onesto e vigile, non si perpetrano le frodi amministrative che sbilanciano l'erario e seminano la sfiducia nel cuòre della nazione.
Ed oltre a tutti costoro non esiste ella una creatura buona e sublime, una dolce ed eroica creatura fatta tutta di rinunziamenti : non esiste la madre ? La nomino soltanto perchè nella semplice evocazione del nome è tutto. E non vi
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sono altre creature che pur non essendo madri rinunziano quasi quanto la madre ? Avete letto che scrisse Paola Lombroso delle trecento maestre rurali che ella ha conosciute e con le quali è in corrispondenza ? Avete letto la storia degli eroici rinunziamenti di queste giovani donne che talvolta non contano più di sedici anni e pur sono lanciate, missionarie della civiltà, in comuni dove non esiste nè un libro nè un giornale, dove la posta arriva una sola volta la settimana, dove si vive i lunghi mesi d’inverno segregati dal mondo? Mal retribuite, mal trattate, mal comprese, esse sono capaci di rifiutare un avanzamento ad un posto migliore per restare tra gli scolaretti cui si sono affezionate ; sono capaci di aggiungere ore supplementari al già lungo orario per insegnare a leggere ai ragazzi che vanno alla fabbrica o ai campi ; sono capaci di girare di casa in casa per insegnare alle mamme a lavare, a pulire, a preservarsi dalla febbre e dalla pellagra... Rinunziamenti ! Storie di rinunziamenti ! L’edificio sociale è basato sul rinunziamento : levate questa base e la società precipita ad essere una bolgia d’inferno;
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Ed eccomi alle norme pratiche del rinunziamento cristiano. Poche:
i° Non impiccolite le proporzioni del rinunziamento evangelico. Vi sono cristiani che si danno a questo lavoro di impicciolimento non tanto per risparmiarsi sacrifici quanto per difendere il Cristianesimo dall’accusa di condurre alla negazione dell’io. Sulla loro bocca trovate frasi come queste: che il Cristianesimo non comanda di rinunziare all’ io ma al cattivo io, a qualche escrescenza, a qualche guasto lineamento dell’io... No. Cristo dice: « a se stesso». Vi sono momenti nei quali non si deve far meno di quel che fece Mazzini: « Scavai la fossa, seppellii l’io, calcai la terra sulla fossa »... Non vi preoccupate delle obiezioni. Lasciate che i maestri rispondano ai maestri e fate, voi, come ha detto Cristo.
2° Non limitate neppure i casi di rinunziamento. Non siate come Pietro che chiedeva: < Fino a quante volte perdonerò? Basta sette?» Non fate questioni di cifre, rinunziate sempre che potrete ; rinunziate tutte le volte che la coscienza suonerà la squilla per annunziarvi che è l’óra di rinunziare.
3° Non rinunziate con ostentazione. Questo fu il peccato dei farisei ma « essi ricevono il loro premio » disse Gesù. Che rinunziamento è mai quello determinato dalla ricerca del plauso? Rinunziare a destra per prendere a sinistra ? rinunziare a ciò che si ambisce meno per ottenere ciò che si ambisce più ?
4° Non disprezzate i piccoli rinunziamenti. È poca cosa alzarsi dal proprio posto in un tram per offrirlo ad una signora o ad un vecchio; poca cosa spegnere il sigaro se qualcuno che sta vicino non lo può soffrire ; poca cosa mandare giù un motto di spirito che potrebbe pungere sul vivo e ferire l’amico; poca cosa, piccoli rinunziamenti, ma che educano a rinunziamenti maggiori. È poca cosa levarsi di buon’ora la mattina, ma, dice bene Robertson, quest’atto di rinuncia al caldo del letto, compiuto per affrontare il dovere, santifica tutta la giornata.
5° Non temete che vi siano rinunziamenti perduti. Certo, vi sono rinunziamenti che falliscono al loro scopo immediato ma contribuiscono pur sempre
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a riscaldare l’aria fredda del mondo, a increspare — come faceva l’angelo che scendeva nella pescina — le acque morte dei cuori e farle capaci di sanità. Rinunziamenti che sembrano, a guardarli con occhio superficiale, completamente mancati allo scopo, hanno svegliato per la loro intima bellezza, per lo stesso fatto del loro fallimento che li ha incoronati dell’aureola della tragedia, hanno suscitata tanta ammirazione che si possono considerare ispiratori di cento e cento altri rinunziamenti riusciti. Nulla che s’ispira al « rinunziate » di Gesù è mai andato perduto. Ogni atto di rinunziamento ha migliorato il mondo.
■ 6° Non rinunziate per la sola mania di rinunziare. Questo fu l'errore degli asceti ai quali bastava che in loro nascesse il desiderio di un bene qualsiasi per credersi in dovere di rinunziarvi. Si racconta di uno che accortosi dell’ impressione piacevole che gli faceva il denaro, rinunziò alle ricchezze distribuendole in elemosine ; ma poi accortosi che anche fare elemosina gli piaceva, rinunziò alle elemosine e riprese le ricchezze. Il motivo dei vostri rinunziamenti non deve essere la mania di rinunziare ma il desiderio di giovare agli altri e a voi stessi. Notate Che Gesù lanciò questa massima del rinunziamento quando Pietro voleva impedirgli di andare verso Gerusalemme e il Calvario. Bisogna — pare gli risponda il Maestro — bisogna invece rinunziare ad ogni cosa e andare, perchè ciò gioverà al mondo.
70 Finalmente — giacché siamo giunti al Calvario — ispiratevi al Calvario. Ivi è non solo il più grande fatto di rinunziamento che abbia visto il mondo, ma la più copiosa produzione di forza di rinunziamento. È la grande dinamo con la quale bisogna che le anime comunichino se vogliono produrre fatti che somiglino al fatto che là fu prodotto.
La vita morale del mondo si va polarizzando fra queste due punte: egoismo, rinunziamento. Ma vincerà il rinunziamento. Federico Nietzsche, che fu come abbiam visto il più strenuo esaltatore dell'egoismo, interrogato chi ammirasse di più tra i suoi con temporanei, rispose, egli, il critico spietato dei suoi contemporanei: — Giuseppe Mazzini.
Ma fu Giuseppe Mazzini colui che disse: « Scavai con le mie mani la fossa ai desideri, alle esigenze, ai conforti ineffabili degli affetti e calcai la terra su quella fossa, sì che altri ignorasse l’io che vi stava sepolto»...
Alfredo Taglialatela.
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Aòc -7C0Ó GW.
(Archimede)
< Ogni anima salvata è un punto sul quale Dio può appoggiar la sua leva >.
W. Rauschenbusch
(Chrittiaxiiing the social Order, p. 460).
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[MENTRE FERVE LA GUERRA]
" VENGA IL REGNO DI DIO n
e che alla scuola del
regno di Dio è il desiderio dell'universo e il desiderio dei secoli; perchè come ogni fiore in certo modo desidera di schiudersi alla luce, ogni cosa nel suo modo desidera di vivere in Dio: e che è soprattutto la nostra vita, se non uri continuo anelito verso « la regione del refrigerio, della luce e della pace», verso la pienezza della visione e deb l'amore, cioè verso la suprema realtà che sola è questo, Figlio, fattosi nostro fratello, abbiamo imparato a chia
mare col nome di Padre? Iddio è il compimento della vera vita nostra: e appunto la promessa che abbiamo di questo compimento è quello che noi chiamiamo ideale, cioè, quando ce ne sia data l’effettuazione, in questa vita la pace, e dopo morte, la vita eterna. L’effettuazione di questo ideale in noi è insomma il Regno di Dio: nè senza ragione il Cristo ci ha insegnato a chiederla mentre stiamo ancora sulla terra, poiché questo Regno, sebbene sotto un velo impenetrabile a occhi superbi, è venuto appunto con lui, che ha dato una nuova vita a tutti i cuori che sinceramente la desideravano, e la dà quindi continuamente alla parte eletta dell’umanità. Il Regno di Dio è dunque la vita nuova ch’egli dà ad ogni cuore che gli si affida, la vita nuova che egli dà alla umanità credente. E veramente non v’è bene che possa paragonarsi a questo. In qualùnque dolore, in qualunque tempesta, la pace del cuore e la gioia unica della unione con Dio sono la felicità : questo è il dono senza prezzo che Dio dà gratuitamente ai poveri d’ogni vile ricchezza, come dà la piena luce del cielo e le pure bellezze e i semplici doni della terra a chi non si chiude in una vita artificiale che gli impedisca di vedere il sole e le stelle.
Naturalmente dunque Iddio dà il bene inestimabile del suo regno, cioè questo dono che chiamiamo col nome di grazia, a chi non ha l’avidità di altri beni senza paragone inferiori; lo dà cioè ai poveri di spirito, a quelli che, in qualunque condizione siano, hanno il cuore libero di cupidigie e sincero. Del resto, solo quando Dio regni in noi, anche i beni che ci sono stati dati e i pregi della mente e del cuore, riconosciuti per quel che sono è impiegati come si deve, acquistano il loro vero valore; non idolatrati, nè abusati, servono anch’essi al
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"VENGA IL TUO REGNO"
(Disegno del pittore moravo Alfonso Maria Mucha).
(1913 - I.]
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«VENGA IL REGNO DI DIO
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bene degli uomini e alia gloria del Padre che ce li dà. Ma se presumiamo di migliorare ambiziosamente il nostro stato e d’ingrandirci eoi beni materiali e le forze del nostro ingegno, procurandoci sempre maggiori comodi, e piaceri sempre più raffinati ; e con questo (poiché certi beni non potranno mai esser di tutti) cerchiamo distinguerci, cioè separarci sempre più dagli -altri uomini, abbagliandoli con la forza e lo splendore dei nostri mezzi e dei nostri talenti, noi diventeremo idoli agli altri uomini, idoli temuti e odiati, e sempre col piede d’argilla che da un momento all’altro ci può fare crollare; ma non avremo quello che più ardentemente desideriamo, cioè la pace che è il dono riserbato da Dio ai poveri ed agli umili. E chi ci può dire che cosa Dio prepara a questi che hanno il cuore povero d’ogni vile ricchezza, che cosa prepara a npi se cercheremo prima d’ogni altra cosa il Regno suo e la obbedienza alla sua legge, poiché è cosa ineffabile solo l’anticipazione che ce ne. dà, e con tutto ciò sentiamo che l’anima nostra è tutta un desiderio, e un desiderio è ogni stilla del nostro sangue, ogni cellula; sicché la nostra vita è racchiusi nel fondo del cuore come fiore ancora involto nel boccio e si restringe in sé quasi in un doloroso stupore, aspettando di dilatarsi tutta in una luce infinita, d’essere come favilla nell’incendio, nel puro e inebriante ardore del cielo? Venga dunque z'Z Regno di Dio.
Giulio Salvadori.
(Dai volumetto: L’anima e Dio}.
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MISHNA. Pirke Abboth.
Ancora a proposito dell’art. “ A Dio o ad uomini?,,— «Bilychnis», 1912.'Fase, V, Pag- 453- «/'■• F7, 5^9)Per l’interessamento di Leone Luzzatto verso il piccolo studio nel quale non ho inteso risolvere ma solo toccare la veramente grave questione del mutuo rapporto tra il pensiero di Gesù e la dottrina rabbinica e per la forma cortese con cui mi rivolge alcuni suoi appunti, prima d’ogni cosa debbo rendergli grazie.
Quindi, dichiarare che nessuna intenzione ostile e nessuna asprezza confessionale mi guidarono mai scrivendo in Bilychnis ed in altre riviste di studi religiosi, essendo in me profondissimo il rispetto per ogni credenza sinceramente professata. Ricordo di più come in uno studio sulla originalità del precetto cristiano della carità ebbi a documentare copiosamente la larghezza delle prescrizioni legali dell’Ebraismo-a proposito della elemosina ed a farne un paragone colle norme di certi casuisti e moralisti cattolici d’oggi non davvero lusinghiero per questi ultimi. Ciò come dilucidazione preliminare.
Rilevo infine (e sarò brevissimo) entrando nel merito dei cortesi appunti fattimi, che
io ho attinto indirettamente alla Mishna cioè ispirandomi ai copiosi squarci che ne reca testualmente (intendo riferirmi alla traduzione latina dell’ebraico) il Lightfoot nella sùa classica opera Borae hebraicae et talmudiche in Evangelium.
E siccome non è possibile che io dubiti della incontrovertibile onestà del venerato esegeta inglese, non esito a credere che se il pensiero dei Detti dei Padri parve meno esattamente riflesso nel mio studio, ciò sia dipeso dal non aver io sufficientemente spiegato il mio.
Il quale era questo.
Io volevo semplicemente imputare al Codice delle tradizioni orali sviluppanti la Legge, ossia alla Seconda Legge, non il precetto < siate circospetti nei vostri giudizi > che è il i° dei tre attribuiti dalla tradizione ai sommi maestri religiosi d’Israele, ma Soltanto i due altri;il20 < fate molti discepoli > e più ancora il 30 « fate una siepe alla Legge >.
Assiepare addirittura la Legge di spiegazioni non poteva altrimenti farsi che col precisarne le prescrizioni in modo tale che fosse impossibile a chiunque anche il minimo sbaglio. Cioè riescire in realtà a fare una siepe alla coscienza, a soffocare la spontaneità dell' impulso religioso, a rendere gli uomini sempre più schiavi invece di condurli a bastare a sè stessi. Tutto ciò con
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NOTE E COMMENTI
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le migliori intenzioni. È l’appunto che si fa oggi da molti al catolicismo ufficiale e che si può fare un po’ a tutte le religioni organizzate in chiese. Ciò e fatale. Ed è pienamente possibile senza scostarsi dal fare della carità una delle tre basi su cui poggia il mondo [Pirke Abboth c. i, § 2), anche prescrivendo di guardare ai poveri come a figli della propria casa (il-id. §5), anche riassumendo come sembra riassumesse Hillel(i) tutta quanta la Legge nel «fare agli altri ciò che si vuol fatto a noi ». O non la riassume così anche la Chiesa Romana con le più autentiche paròle di Gesù?
Ma il litteralismo, il formalismo contro cui Gesù ha combattuto sono dei parassiti e come tali non vivono che a spese di dottrine vive, di leggi e di formule in vigore e quindi relativamente buone in ogni caso.
' Ebbene Gesù ha combattuto per liberare da essi quella legge che non era venuto punto ad abrogare, quelle formule che ha osservate fino all’ultima notte in cui cenò coi discepoli.
E quanti uomini continuano questa lotta — per lo spirito, contro la lettera — a qualunque chiesa essi appartengano io penso che siano suoi.
Joh. Lover.
A proposito di neotomismo.
Ringrazio il sig. Chiminelli della sua breve e benevola recensione al mio volume: Z<f origini del ncotomismo nel secolo XIX(2). Ma qualche osservazione che egli fa non mi pare giusta, e risente — se non m’inganno — dei giudizii che un anonimo recensore del
(1) Lascio impregiudicata la grave questione se certe frasi della Mishna siano da ritenersi ritocchi post-cristiani. Per questa interessantissima questione si potrebbero utilmente esaminare le opere seguenti: EwaLD, Hist. of Israel— FaRRAR, Life of Christ — Df.litz&ch, 'Jesus und flillel — Lutterbech, Die Neutestam. Lchrbcgrifle, I — Gfraerer, Dos Jahrhundert des Ideili t II.
(2) Vedi Bilyehnis, VI, 1912, pag. 593
mio volume ha dato nella Cultura Contemporanea. Se non che tra questo recensore e il Chiminelli passa una grande differenza. Giacché il primo si dimostra ignorante di studii religiosi e quel che è più di filosofia; laddove il secondo ha dato sempre prova di serietà e di modernità di studii.' Ed ecco perchè iò gli rispondo, abusando della gentile ospitalità di Bilychnis.
A me, dunque, è parso che il Chiminelli quando afferma che la mia esposizione del ncotomismo pur assurgendo a grande interesse non è tecnicamente completa e organica, abbia subito una certa impressione dalle affermazioni del critico della Cultura Contemporanea, il quale in una forma ben diversa, cioè semplicemente volgare, si espresse proprio quasi in una maniera identica. Ma se il Chiminelli vorrà fare una lettura più attenta del mio volume riconoscerà che io sono tutt'altro che un profano di studii religiosi (1) e che non si può pigliare sul serio chi, digiuno dei .primi elementi di filosofìa, con faccia sicura, osa asserire che p. es. la mia frase < intelligibilità nel non io » a proposito del Comte, è un grave errore di stampa; chi, sulla fede di un libricciattolo del Besse, mi rimprovera che la Philosophia Christiana del Sanseverino non consta di 5 volumi, come io affermo, ma di 7, quando anche gli scaccini sanno che i volumi 6° e 70 furono aggiunti dal Signoriello ; chi chiama il Croce, il Gentile e l’ umile sottoscritto semplicisti, e dice altre simili sciocchezze.
Questa — spero ne converrà il Chiminelli — è una critica allegra o... umoristica, che però talvolta può far impressione su quanti leggono con una certa fretta come — ripeto, se non m’inganno — è avvenuto appunto al Chiminelli.
Nel mio volume vi sono certamente lacune, e non possono non esservi; ma ciò, io credo, non dà il diritto di chiamare non completamente tecnica la mia opera, eco., se si pensi, segnatamente, che io non ho voluto dare che un quadro 0 un disegno del neotomismo, quale si è configurato nel
(1) Cfr. la mìa risposta al p. Mattiussi S. I. pubblicata nella Rivista di filos. neose., fase, di settembre 1911.
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mio spirito che dalla scolastica per una crisi interiore è passato all’ idealismo. Che questo non abbia intrawisto il Chiminelli mi è veramente dispiaciuto. Come mi è ugualmente dispiaciuto che egli parli d’un certo mio dogmatismo a proposito di Dio, che io dico un semplice presupposto. Mi perdoni il Chiminelli, ma egli ha molto ingegno per non dirgli che non ha capito.
Dio è un semplice presupposto, cioè indimostrato, nella filosofia scolastica. Il che non significa punto che io neghi Dio come Soggetto o semplicemente come Atto, di cui, in senso ben diverso, parla proprio il Chiminelli. Altrimenti, come si potrebbe lodarmi di aver bene rappresentata e dimostrata la caducità 0 falsità della Scolastica ? Non bisogna, caro sig. Chiminelli, isolare certe espressioni, che cosi possono diventare equivoche, ma pensarle come parti essenziali di un organismo vivo, che è, poniamo, il mio spirito o la mia filosofia.
Prof. Giuseppe Saitta
Raffaele Mariano.
Nella sua villa di Fiesole, il i° dicembre, 1912, è morto a 70 anni il prof. Raflaele Mariano.
Laureatosi a Napoli — dopo lunghi viaggi all’estero e specialmente in Germania — si dedicò con passione agli studi filosofici e ben presto si affermò come letterato e filosofo.
Nominato professore ordinario nell’Uni-versità partenopea, vi tenne corsi di storia sulle religioni, che furono assai apprezzati e applauditi e largamente discussi. Membro di quella R. Accademia delle scienze, pubblicò numerosi e importanti studi religiosi, politici, morali e filosofici che da vari anni andava riordinando e pubblicando coi tipi Barbèra.
Nel 1898 rinunciò all'insegnamento e andò a stabilirsi a Firenze, dove a poco a poco si distaccò dal mondo nel quale il suo nome pur suonava alto e rispettato.
Per il suo carattere fiero e sdegnoso di infingimenti, mai brigò e mai chiese onori
o cariche pubbliche ; così che, pur essendo uno spirito eminentemente politico, visse fuori della politica e se ne occupò soltanto per giudicarla in pagine giustamente severe ... fdal CMKoiiwfì],
Baldassare Labanca.
Ad 83 anni, dopo più di 50 anni d’insegnamento nei Licei e nelle Università, di cui gli ultimi ventisei nell’università di Roma, si è spento ih Roma il 23 gennaio u. s., Baldassare Labanca.
Chi vorrà fare la storia della cultura del-l’Italia risorta, dovrà ricordare con onore Srande la sua memoria, giacché a lui spetta merito indiscutibile di aver coltivato in Italia, con operosità lunga e indefessa gli studi religiosi e specialmente di storia del cristianesimo, che, anche oggi tutt’altro che prosperi, erano ignoti fra noi quando egli vi si rivolse.
Il Labanca aveva subito nei suoi giovani anni una crisi interiore, per cui dal cattolicismo ortodosso, anzi dallo stato ecclesiastico, egli era passato ad un cristianesimo libero, ma risolutamente teistico, cui rimase fedele per tutta la vita, appellandosi da se stesso libero credente. In questa crisi forse è da ricercare l’origine del suo interesse per gli studi religiosi. Certo è ch’egli, cultore dapprima di filosofìa, e professore di filosofia a Padova ed a Pisa, tutto poi si diede alla storia del cristianesimo, dacché nel 1886 fu chiamato in Roma ad insegnare storia delle religioni, cattedra ch'egli volle mutata nell’anno seguente, in quella di storia del cristianesimo...
Si può dire che B. Labanca sia morto con la penna in mano ; come pure egli ha continuato per quanto le forze lo hanno sostenuto, fino all’ultimo, ad adempiere ai suoi doveri d’insegnante. E questa sua indefessa operosità fin nella tarda vecchiaia era, insieme con la sua dottrina e la bontà profonda dell’animo, non ultima ragione di ammirazione e venerazione per quanti lo. Conobbero. [da La cultura CMtem/crauca].
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NOTE E COMMENTI
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Un concorso.
L’ultimo fascicolo di Fede e Vita, Bollettino della Federazione italiana degli studenti per la cultura religiosa (Anno V, serie 2a, n. 3, dicembre 1912) bandisce fra tutti i suoi lettori un importante concorso a premio per un lavoro inedito sul tema:
Z,« moderna indagine critico-storica suite Sacre Scritture nei suoi rapporti col. contenuto della fede cristiana.
Premio unico indivisibile: lire cinquecento.
Termine ultimo per la presentazione dei manoscritti: 31 maggio 1913.
Il concorso è aperto soltanto a studiosi di nazionalità italiana.
La trattazione dell’argomento deve essere semplice, chiara, accessibile a studenti italiani universitari di tulle le facoltà.
Estensione del lavoro: non oltre duecento pagine di corpo dieci, formato Fede e Vita.
Il lavoro premiato sarà pubblicato e messo in vendita a cura e per conto della Federazione italiana degli studenti per la cultura religiosa, che ne conserverà l’esclusiva proprietà letteraria. Il vincitore avrà diritto, oltre al premio in danaro, e soltanto per la prima edizione, a cinquanta copie del volume.
Il lavoro dev’essere assolutamente originale e inedito, scritto (a penna o a macchina) sopra una sola facciata di ciascun foglio.
Ogni manoscritto dovrà essere contrassegnato da un motto o da uno pseudonimo che sarà ripetuto sopra una busta chiusa, la quale sarà spedita unitamente al manoscritto, e conterrà il nome e il domicilio del concorrente.
Non si terrà conto dei manoscritti firmati nè di quelli che, in qualsiasi modo, rivelassero i nomi dei concorrenti.
Tutti i lavori dovranno essere spediti al-l’aw. Salvatore Masbogiovanni (y\& Principe Umberto, 92, Roma).
d#
Biblioteca di scienze delle religioni.
Gli editori V. Battelli & C. di Perugia annunziano la pubblicazione di una « Biblioteca di scienze delle religioni » diretta da Bernardino VariscO. D’imminente pubblicazione: Wernle, Le fonti della vita di Gesù', Bous-set, Gesù. In preparazione: Pfleiderer, La preparazione del Cristianesimo nella filosofia greca ; Beker, Cristianesimo ed Islam ; Bous-SET, Za nostra fede in Dio. (Associazione ai primi io numeri L. S.50, franchi di porto in busta. Pagamento anticipato con cartolina-vaglia postale agli editori).
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La Religione d’Israele durante la Monarchia.
A. C. WELCH. The Religion of Israel, under thè Kingdom. Pag. xvi, 306. (Edimburgh, T. and T. Clark).
Quando nel giugno scorso il più influente critico conservatore dell’Antico Testamento mi invitò nel suo grazioso villino di Kirn nella Scozia |>er concedermi qualcuna di quelle ore che nella vita siamo quasi autorizzati di invidiare, io mi ripromettevo tutto da lui, meno che una profezia. Quel giorno, seduti al prato della sua villa, col vasto Clyde risonante ai piedi, nella mite gioia della sua famiglia buona e fiera come lui, il prof. James Orr mi parlò a lungo, con l’entusiasmo di un poeta, delle ultime fasi delia Critica nel Continente e nella Gran Brettagna, chiudendo la sua indimenticabile lezione con le solenni parole : « Creda, amico, fra soli vent’anni i critici si stupiranno di aver negato, e dell’Alta Critica di oggi rimarrà solo quello che essa possiede di buono, cioè il lavoro archeologico, lessico e grammaticale».
Il libro del Welch mi richiamò alla mente la profezia dell’insigne amico di « Bilychnis ». Le sette conferenze stanno di fronte all’Antico Testamento mantenendo bensì tutto il avorio moderno di revisione fatto sulla Bib
bia, ma prendendo di fronte alla Critica ed alla Storia Religiosa d’Israele quella posizione più conservatrice, che apre la via alla visione del dotto professore di Kirn. Così il famoso passo di Geremia, XXXI, 31, 34, contestato dalla Critica, è qui ritenuto come scritto da Geremia, ed il capitolo XXII delia Genesi è pure conservato in tutto il suo valore con argomenti degni di ogni considerazione.
11 libro, che è anche edito con squisita eleganza, è redatto con profondo rispetto per la Storia Religiosa d'Israele; vi alita attraverso ogni pagina una dolcezza fine e pene; trante quale non si trova facilmente nei libri della Critica, e fa sentire al lettore nuovo e vivente il palpito dei geni religiosi del popolo della promessa. L’autore intende «di mettere in luce come, durante la monarchia, gli ampi ideali dei profeti e le visuali troppo strette e meschine del popolo si aiutano vicendevolmente nel principio, per separarsi poi alla fine in una nuova coscienza del lavoro e del dovere individuale di ciascuno».
Il libro perciò non è una vana ripetizione di cose già dette. È un raggio di luce nuova che piove sulle vecchie pagine della Bibbia. La storia palpita qui e vive in tutto lo splendore drammatico ed affascinante del suo secolo d’oro. Per questo l’autore si ferma raramente sulla critica del testo, che suppone accettata dal lettore, e difficilmente egli polemizza con gii scrittori antecedenti, riserbando l’ampio materiale di referenza nelle note alla fine del volume. Cosi pure egli non tratta dell’opera di Michea e di Sofonia perchè, sebbene questi profeti abbiano sviluppato il loro lavoro durante la Monarchia, pure il loro contenuto ideale contribuisce poco allo scopo
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fissato dall’autore nello svolgimento della storia d’Israele. Vi è eziandio eliminata la grande figura di Geremia, che, sebbene appartenente per cronologia a quest’epoca, pure si trovò a svolgere la parte più utile e più ampia del suo lavoro solo quando le ombre della morte già cominciavano a cadere sullo Stato Ebraico.
Il capitolo più interessante è forse quello che tratta dei due documenti storici J. ed A'., cli^ stanno alla base della posteriore compilazione del Pentateuco, avvenuta durante la Monarchia. Secondo l’autore, le differenze fra J. ed E. sono ben più profonde della forma nominale di Dio in ed in A. Si confronti, per esempio, Genesi XXI, 33, XXXV, 14 con Deuter. XII, 3. *E. parla dei tnazzeboth (pi-lieri) come accessori naturali del culto,/, invece non vi fa allusione alcuna. Entrambi hanno raggiunto il concetto che i rapporti fra Dio e i suoi adoratori possono esistere senza emblemi esterni ; ma, mentre l’uno li lascia quali strumenti addirittura indifferenti, l’altro li rimuove come non necessari o anche nocivi ».
Anche l’idea del sacrifizio è rappresentata in J. come non avente alcun rapporto diretto con l’elemento israelitico del culto. « Quando J. rappresenta Abramo che costruisce altari egli ci tiene a ricordare che il Patriarca invoca il nome di Jahveh. (Genesi XXI, 33, XII, 8, XIII, 4). Evidentemente l’elemento israelitico per lui è meglio rappresentato dall’invocazione del nome Jahveh che dal sacrificio, precludendo così la via ai pensiero che le relazioni fra Jahveh e i suoi adoratori possono esistere senza sacrificio, come ne è prova la storia di Giuseppe ».
La tolleranza religiosa del monoteismo di J. ed E. ha qualcosa di caratteristico che diventa inconcepibile in epoche successive. Giuseppe sposa una egiziana figlia di un sacerdote di On {Genesi XLI, 45). La versione di Diodati in questo punto ha bisogno di una correzione. Giacobbe e Labano, che non adorano il medesimo Dio, si uniscono fraternamente in una medesima mensa di sacrificio (Genesi XXXI, 54), e quando Giacobbe discende in Egitto, sono gli Egizi che rifiutano di prendere il loro cibo con lui (Genesi XLIII, 32); e l’autore ne parla come di un costume curioso.
In J. ed E. la libera personalità di Dio, che rivela se stessa a suo beneplacito e che si determina per propria volontà, la sua spiritualità, che si accentua nei suoi rapporti con la natura piuttosto che con l’universo, la sua indipendenza da ogni luogo, la quale gli permette di recarsi al posto del culto (Esodo XX,
24) invece di esserne circoscritto, sono le basi fondamentali su cui si agita là grande anima dei profeti durante la Monarchia.
Sebbene si possa riconoscere con l’autore che molte delle sue conclusioni sono perfettamente discutibil (p. 201), pure sembra forse troppo il dire, come lui, che in questo campo nessuna conclusione è perfettamente sicura. Il prof. James Orr, per esempio, non sarebbe di questo parere. In queste conferenze c’è molto che merita e che avrà la più forte attenzione dei critici della Bibbia, ma vi è anche molto che può piacere al lettore in generale, qualora si interessi seriamente nel Vecchio Testamento. Tengo a confessare che le conclusioni dell’autore hanno veramente un palpito nuovo per la coscienza religiosa moderna. Forse l’autore doveva mettere più in rilievo il fatto che i documenti J. ed E. sono stati editi e riediti nell’interesse di fede successiva, e che quindi molto dovette essere dolorosamente soppresso. Ad ogni modo il libro è un passo positivo e che lascerà profonda orma verso la meta profetizzatami dal vecchio soldato della critica conservatrice nella villetta di Kirn, ed egli, al certo, ne dovrà gioire cordialmente.
Ignazio Rivera.
Manuale della Bibbia.
I. BENZIGER. Bilderatlas zur Bibelkunde. (Manuale per gl’ insegnanti e per gli amici della Bibbia). — I. F. Steinkopf, Stuttgart, 1913.
L’autore, che ha scritto l’eccellente manuale Hebräische Archäologie, ha rifuso interamente e rinnovato, con l’aiuto delle scoperte recenti, un suo atlante di illustrazioni dei paesi biblici pubblicato nel 1906.
La sua opera va ben distinta da un atlante biblico (vi sono appena tre cartine ed in nero): presentare in nitide e splendide incisióni tutto ciò che può servire ad illustrare il libro divino, questo è stato il piano del B. L’attuale edizione ha cosi 453 figure. Notiamo di passaggio, fra le incisioni, la riproduzione della celebre carta della Palestina scoperta a Mà-debà — la città dei mosaici e sede di un vescovato cristiano, nella regione all’oriente del Giordano — rappresentata in un grande mosaico che costituiva il pavimento della navata di una basilica cristiana ; la riproduzione di due modelli plasticifdello Scick, uno del
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tempio erodiano e l’altro del tempio salomonico; una fotografìa di una torre in una vigna (v. la parabola dei cattivi vignaiuoli); la trascrizione in caratteri quadrati dell’iscrizione di Siloe. La parte illustrativa è preceduta da una succosa esposizione ordinata, diversa-mente dai lessici biblici, in maniera organica, 1) della geografia biblica; 2) della storia d’Israele; 3) della storia del culto; 4) della vita quotidiana degli antichi israeliti.
Le illustrazioni sono naturalmente distribuite secondo questa quadruplice divisione.
Il libro rappresenta uno dei primi tentativi di portare a conoscenza del gran pubblico i risultati degli scavi eseguiti con sì buon successo e in materia sistematica sul suolo della Palestina dal 1890 ad oggi.
Ram.
Dizionario Ebraico-Francese.
I. MARIE. Petit Lexique Hébreu-Français. — Paris, Lecoffre, 1912. L. 1.
Libro praticissimo, modellato sui celebri manuali di Bréal-Bailly su Les mots grecs e Les mots latins e di Bossert-Beck su Les mots allemands.
La prima parte del libro contiene circa 800 parole ebraiche, che ricorrono più frequentemente nel Vecchio Testamento, raggruppate in tre grandi categorie: 1* Religione; 2a II mondo fisico; 3* Uomo e famiglia. Ogni parola è accompagnata da un numero d’ordine. Tutte le parole poi della prima parte sono ripetute in ordine alfabetico, con brevi osservazioni grammaticali.
L’A. ha voluto rendere più agevole ai principianti un rapido contatto con la letteratura biblica, permettendo loro di acquistare in breve la conoscenza delle parole che s’incontrano più frequentemente in ogni pagine della Bibbia. Il libro può essere anche di non lieve giovamento nella lettura dei commentari scientifici del Vecchio Testamento. Ram.
San Paolo e le Religioni dei misteri.
Il rito battesimale.
L' « Expositor » del dicembre scorso contiene uno studio di sedici pagine del professore H. A. A. KENNEDY D. D. sopra i riti di purificazione comuni a tutte le religioni, in rapporto con l'idea battesimale di San Paolo.
Una delle principali caratteristiche dei misteri Eleusini era il bagno di purificazione nel mare (ikaSt avara?). Nel racconto della iniziazione di Lucio ai misteri di Iside {Apul. Metamorph., XI, 20) un’abluzione precede tutti i riti centrali. Parte di questa cerimonia consisteva nell’aspersione del neofita. Il rito dell’aspersione era evidentemente comune in Egitto. Un cerimoniale simile è ricordato da Livio nella sua descrizione dei Baccanali. È accertato che l’idea della rigenerazione era associata sempre con questo genere di abluzioni, come d’altronde anche Tertulliano lo afferma deliberatamente. (De Bapt. 5).
Ora il pror. Kennedy dichiara che San Paolo non ebbe alcuna relazione con l’insegnamento e l’influenza di queste religioni dei mistero, contro quello che il prof. Lake ha scritto in un suo libro recente (Earlier Epistles of SI. Paul), in cui attribuisce a Paolo l’idea del-Vopus operatum, che avrebbe assicurata l’ammissione magica del neofita nei Regno, senza alcun riguardo alla futura condotta di lui. Da i vari passi della Ietterà ai Romani che egli esamina brevemente e specialmente dal capitolo V, egli pone in luce che non il battesimo costituiva il criterio della salvezza nella mente di Paolo, ma bensì il perdono dei peccati attraverso un abbandono di fede nei Salvatore. « D’altronde » egli dice « una delle principali impressioni che deve riportare il lettore diligente delle lettere di Paolo, dev’essere quella del distacco assoluto dell’Apostolo da ogni forma di ritualismo».
Tralasciando la discussione profonda del prof. Kennedy sul significato sociale del battesimo, noto con piacere che il dotto professoreinglese afferma pubblicamente, nella prima rivista teologica delia Gran Brettagna, le sue convinzioni battiste, come già fece Harnack
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nella sua opera classica sui primi tre secoli del cristianesimo. « La sua (del credente) sparizione sotto l’acqua, egli dice, è una viva illustrazione della sua separazione dalla vecchia vita del peccato. È una sepoltura della vecchia esistenza, precisamente come la sepoltura di Cristo fu una prova palpabile che egli aveva lasciato le sue condizioni terrene. L’emergere poi dalle acque battesimali significa l’ingresso in un nuovo ordine di cose, nella vita della società cristiana, che è la vita del vivente Signore, comunicata ai suoi fedeli per mezzo dei loro rapporti con Lui ». Egli non conosce altro battesimo biblico che quello degli adulti, e questo battesimo per immersione « sprigionando dall’anima i più potenti motivi morali, diventa una esperienza religiosa di primo grado ».
Siamo lieti di prendere atto di questa dichiarazione del prof. Kennedy, che viene a completare sempre più la testimonianza della storia e della critica in favore del grande movimento Battista.
Ignazio Rivera.
| STORIA DELLE | | er gr RELIGIONI I
Mitologia greca e romana.
D. BASSI. Mitologia greca e romana (Sansoni, Firenze, 1912).
La diffusione veramente confortante della storia delle religioni, l’allargamento dato agli angusti confini e ai rigidi criteri nell’insegnamento puramente filologico e umanistico, in citi si chiudeva nelle nostre scuole la conoscenza del mondo greco e latino, han rinnovato in pochi anni la nostra libreria scolastica.
L’importanza centrale delle credenze dei riti e del carattere peculiare delle religioni ellenica e romana per una piena intelligenza del nostro mondo antico classico si è fatta ormai strada e invece delle nozioni sporadiche, di natura letteraria, somministrate in cataloghi enciclopedici o in frammenti occasionali, si sente il bisogno di presentare una esposizione organica, scientifica della vita religiósa nel mondo classico. Nella fioritura di opere, alcune delle quali veramente eccellenti, che si sforzano di rinnovare anche in questo
punto la nostra cultura, e alle quali auguriamo un successo migliore che ai tentativi di pochi anni fa per diffondere il gusto e la coltura artistica, notiamo il lavoro del Bassi, riccamente illustrato e fornito di 4 tavole fuori tèsto, in cui è condensata la parte migliore della letteratura generale e particolare dell’argomento. « Nell’esposizione dei miti ho dovuto impormi la massima sobrietà e concisione : è però completa, per quanto lo permette la forma compendiaria della trattazione ». In una breve introduzione, l’A. espone il concetto di mito e la natura di una trattazione scientifica della mitologia, che egli , definisce « una dottrina di racconti favolosi intorno alle figure divine», frutto delle speculazioni teologiche, dell’opera di poeti e di artisti. Intesa così, è chiaro che non si possa, passando alla religione romana, parlare di una vera e propria mitologia romana. Una affermazione assai discutibile dal punto di vista della scienza delle religioni mi sembra il dire che « una religione non può avere mitologia se non è politeistica, vale a dire, se non ammette l’esistenza di molte divinità, oggetto di culto», come discutibile l’ipotesi d’una origine monoteistica della religione greca (Introduzione, pag. 1), che l’A. sembra accogliere. L’A. vorrebbe vedere nello Zeus omerico, che «come dio supremo raduna in sè tutte le funzioni della divinità, nessuna eccettuata » il ricordo del monoteismo, « o almeno di una forma speciale (?) di monoteismo » primitivo in opposizione ad una larga superstizione popolare coesistente ad esso, e « che potè agevolmente andar acquistando sempre maggior terreno, e dalia cui fusione si sarebbe svolto il vero politeismo greco ».
L’opera si divide in due parti: 1* gli dei, che s’apre con un capitolo sulla cosmogonia e teogonia (dei del cielo, delle acque, della terra e dell’inferno, con un capitolo a parte sulle divinità speciali romane, che hanno un carattere cosi differente da quelle greche); ±a gli eroi (le origini della stirpe umana : Prometeo e Deucalione; Eracles-Hercules ; leggende regionali greche ; cicli leggendari eroici (Troia, Ulisse, Enea); eroi dell’ingegno (Orfeo, Dedalo, Cassandra, Calcante, ecc.}. Nel capitolo dedicato alle divinità romane, il B. opportunamente parla anche di Mitra « in quanto il suo culto ebbe nell’età imperiale larghissima diffusione in tutto il mondo romano». Degli altri culti orientali introdotti nel pantheon romano parla occasionalmente (Ermes, Magna Mater, Cibele, ecc.').
L’opera ha, per la natura stessa del lavoro, un carattere frammentario, sicché ogni divinità ed eroe è trattato come un tutto a sè.
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L’A. ha cercato nell’introduzione e nell’esposizione stessa di supplire a questa mancanza di organicità e di offrire al lettore il modo di formarsi un’ idea della natura e dello sviluppo delle religioni greca e romana, di cui il mito non è che un momento e non sempre il più importante. 'Rabí.
&
Islam.
AUGUSTO AGABITI. Per la Tripolitania : la religione e la teosofia degli Arabi. Roma, 1912. Loescher & C. (L. 1.50).
B A L D ASS A R RE LA BANCA. La guerra Halo-turca. Considerazioni storiche, politiche e religiose. Agnone, 1912, Tip. Sannitica. (L. 1).
Il bel volumetto dell’AGABi-ri merita di essere letto per la chiarezza con cui espone il non facile argomento e per la serenità non tornirne con cui giudica Maometto e l’opera sua. L’Agabiti ha voluto richiamare l’attenzione degli Italiani sulla necessità, derivante dalla occupazione della Tripolitania, di conoscere la religione degli Arabi e dei Berberi. Egli avrebbe voluto che nel trattato di pace con la Turchia non fosse riconosciuta per le nostre nuove terre, la sovranità religiosa del Califfa, restringendo per gli Arabi la libertà del culto, perchè, egli dice, la forinola Sovranità Califfale se attuata, sarebbe stata poi una difficoltà acerba da superare, perchè, per quelle genti, la sovranità califfale o religiosa, è tutto ; qualsiasi autorità civile, che contrasti o si sovrapponga ad essa, è nulla. Veramente però il ragionamento di cui si serve l’Agabiti per giungere a questa conclusione ci sembra provi troppo per provar qualche cosa, e se egli crede che l’autorità califfale contrasti assolutamente col diritto pubblico e civile di una potenza moderna non vediamo perchè questa non abbia a trovare altra via, per tutelarsi, che menomare la libertà religiosa ciò che si risolverebbe in un’oppressione. Evidentemente, giacché in altra parte del suo libro l’A. non risparmia lodi alla religione quale fu concepita da Maometto, questa potrà essere resa consona coi diritti pubblici dello nazioni civili. Le superfetazioni e le deviazioni religiose non sono la religione, e l’autorità califfale, quando esorbitasse dai suoi limiti e dalle sue attribuzioni religiose, avrebbe valore nullo di fronte al diritto ed ai trattati. In ogni modo ci sembra fuor di luogo il rievocare le repressioni degli « strangolatori di Shira » o gli « uomini lupi ».
Migliore senza dubbio e meritevole d’ogni lode è la parte del volumetto dedicata alle dottrine teosofiche occultistiche e morali del maomettismo. È una disamina serena dell’opera di Maometto e della sua predicazione. Veramente secoli di odio e di rappresaglie religiose han travolto l’opinione dei più nel credere che la religione maomettana, nella sua essenza, sia sensuale e brutale e priva di ogni dote che classifica le religioni superiori. Perciò questa specie di breve rivendicazione tentata dall’Agabiti è opera onesta. Alcune pagine trattano delle associazioni segrete islamiche e specialmente dei sufi, oltre alla credenza maomettana della reincarnazione ed al fatalismo.
Il libro del compianto prof. Labanca, docente di storia del cristianesimo nell’università di Roma, non ci sembra, pur avendo molti pregi, fra le opere migliori dell’autore. Anche questo libro però può concorrere efficacemente alla formazione di una cultura storica sul maomettismo, che vien giudicato, al contrario che nel libro dell’Agabiti, molto severamente.
Il Labanca merita lode per aver voluto portare il suo contributo alla cognizione del mondo musulmano. Bisogna però dire che le sue critiche più che colpire l’islamismo come dottrina religiosa hanno forse avuto di mira quelle superfetazioni, di cui parlavamo più sopra, che purtroppo si riscontrano in ogni dottrina religiosa, e che per l’islamismo in particolare, potevano sembrare, a noi che non ci siamo mai curati troppo di conoscere a fondo Maometto e le sue dottrine, la base stessa della religione musulmana. E. R.
Gesù ha istituito il papato?
Prof. Doct. JOSEPH SCHNITZER, Dalfesus das Papsttum gestiftet? {Gesù ha istituito il Papato?). Augsburg, Verlag Th. Lampart. (Marchi 1).
— Das Papsttum eine Stiftung Jesù? {il Papato è una istituzione di Gesù?). Augsburg, Lampart. (Marchi 1).
Il primo di questi due volumi è opera ben degna del valore e della fama dell’illustre autore, professore all’università di Monaco, la
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cui lotta con Roma nessuno avrà dimenticato. In soli tre mesi si sono esaurite tre edizioni di questo studio magistrale. La trattazione del grave argomento è quanto di più serio e di più severo si possa immaginare.
Egli infatti considera la questione dell’istituzione del papato riferendo dapprima le varie opinioni degli scrittori recenti. Cominciando dall’opera famosa del Döllinger Christentum und Kirche passa in rassegna le prime ricerche critiche sulla vita di Gesù (Strauss, Renan, ecc.), la questione sinottica nei suoi primi studiosi (Schleiermacher, Weisse e Wilde), l’opinione della priorità di Matteo (Baur, Zahn, Holtzmann, ecc.). Dà quindi uno sguardo alle varie scuole: la cattolica (Hug, Schegg, Döllinger, ecc.); la critica e la priorità di Marco (Holtzmann, Pfleiderer, Jüllicher, Wellhausen, Harnack, Spitta, ecc. ecc.); l’ipotesi di un Marco primitivo (v. Soden, Weiss. Hoffmann, ecc.); infine la scuola modernista (Loisy, Murri, Tyrrell) e la reazione cattolica (Batiffol).
Data così un occhiata alla varia letteratura che si è venuta accumulando sull’argomento, lo Schnitzer passa allo studio del problema ai lume dell’Escatologia, e dimostra come Gesù avesse tutt’altro di mira che l’istituzione di una gerarchia, la sua fede nell’imminenza della Parusia e l’influsso che ciò ebbe nella sua etica; poi esamina l’opera di Paolo e del primitivo cristianesimo.
Quindi l’A. studia la questione al lume delia critica evangelica, e, stabilita la priorità di Marco, dimostra la non autenticità delle pretese parole del Signore secondo i’evangelo di Matteo (16, 17 e seg.) e il carattere non gerarchico del passo di Luca (22, 31 e seg.) e di quello di Giovanni (21, 15 e seg.).
Finalmente il problema viene considerato al lume della storia delia Chiesa antica. Questa parte delio studio dello Schmitzer è certo la più completa ed è una splendida trattazione storica. Dagli Alti degli Apostoli, alla Didachè, alla Epistola ßarnabae, al Pastore di Erma, fino ad Origene, a Cipriano, a Firmiiiano, tutte le principali manifestazioni ed i documenti della Chiesa antica vengono ricordati e vagliati. E ne balza fuori la verità che Pietro non fu vescovo di Roma ; che prima della metà del secondo secolo non vi fu in questa città un particolare episcopato e tanto meno un primato; determina, infine, come questa strana pretesa del primato cominciò ad affacciarsi.
Avendo un certo Fritz Tillmann tentato una risposta a questo volume dello Schnitzer sulle colonne della Koelnische Volkszeitung (ripubblicata poi in opuscolo sotto il titolo Jesus
und das Papsttum [ed. Bachem, Colonia], il professore dell’università 'di Monaco è ritornato sull’argomento col secondo suo volumetto : Das Papsttum eine Sliflung Jesu ?, in cui l’oppositore ha trovato veramente il fatto suo. In questo secondo libro, infatti, lo Schnit-zer. illustra più largamente alcuni concetti già svolti nel primo e ribatte le solite affermazioni che il Tillmann gli aveva opposto. Questa controreplica vigorosa comprende in una settantina di pagine cinque capitoli : Dommatica ed Escatologia ; Gesù e l’Escatologia ; Marco e Matteo ; Gesù e Pietro ; Pietro e il primato nell’antica Chiesa.
Così i due volumi si completano a vicenda. Se il primo è una dottissima esposizione dell’argomento in tutti i suoi lati, il secondo ne è la difesa ed è ammirevole esempio di forte polemica.
E. R.
Storia del Dogma.
ADOLFO HARNACK, Storia del Dogma, voi. Ili, Il Dogma ecclesiastico. — Casa editrice « Cultura Moderna », Mendrisio (Svizzera), 1913, in-160, pag. 400. — L. 6.
Siamo lieti di presentare ai nostri lettori il terzo volume della Storia del Dogma, di Adolfo Harnack, la cui traduzione in italiano è dovuta all’ex-sacerdote prof. Domenico Battami.
Fermarci a parlare dell’utilità di quest’opera di capitale importanza sarebbe addirittura superfluo. L’A., prof, dell’università di Berlino, è conosciuto abbastanza anche in Italia ed è da tutti apprezzato per la sua profonda cultura e per l’imparzialità con cui espone il materiale storico che ha attinenza col soggetto che intende trattare.
Il primo capitolo, che consta di 140 pagine, è uno studio serio e paziente sulla cristologia del Logos e specialmente dedicato alla vittoria definitiva della speculazione teologica nella sfera della regola di fede.
Per dare un’idea dell’importanza di questo capitolo, trascriveremo i paragrafi del sommario : 1 ) Introduzione : Significato della dottrina- del Logos — Conseguenze — Sguardo storico retrospettivo — Avversari della dottrina del Logos; 2) Secessione del Monarchianismo dinamico: gli Alogi dell’Asia Minore — I monarchiani romani. — Teodolo il Cambiavalute e gli Arlcmonili — Tracce di Cristologia
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Adozianislica in Oriente; 3) Espulsione del Monarchianismo modalislico : Noezio, Epigono, C/contente, Eschine, Prossea, Vittorino, Zejfirino, Sabellio, Callisto — ecc.
Col II capitolo l’A. apre un nuovo libro, il primo, nel quale tratta più da vicino la storia dello sviluppo del dogma come dottrina dell' Uomo-Dio sulle basi della teologia naturale e dà una descrizione particolareggiata della situazione storica, abbracciando così i secoli iv e vii.
Nel capitolo III l’A. espone, con mirabile precisione, il Concetto fondamentale della salute, e fa un importantissimo schizzo generale del sistema dotbinario che si andava formando specialmente in Oriente dove i conflitti dogmatici si accentravano quasi nella cristologia e nell’incarnazione della divinità. Questo capitolo è seguito da sei supplementi molto interessanti ; uno di questi, il terzo, occupasi della pietà greca in rapporto al dogma. Come saggio della pietà greca l’A. cita la preghiera pei moribondi che Gregorio di Nissa mette sulle labbra di Macrina di cui dà la biografia.
Eccola :
« Tu, o Signore, per noi hai distrutto il Umore della morte. Tu della fine della vita terrena hai fatto il principio della vera vita. Tu hai fatto si che il nostro corpo riposasse per un certo spazio di tempo nel sonno, perchè si risvegliasse al suon della tromba del giudizio. Tu hai consegnala la nostra argilla, fatta con le tue mani, alla terra perchè la conservasse, e tu ripigliasti quanto desti, trasformando nell’imperituro ed in bellezza quanto era mortale e brutto. Ci hai strappato alla maledizione e al peccalo, divenendo lu per noi l’una e l’altra cosa. Hai schiacciato il capo del dragone, che avea afferrato l’uomo e precipitato nell'abisso della disobbedienza. Tu hai per noi spianata la strada della risurrezione, spezzando le porte dell' inferno, e distruggendo colui che avea il potere della morte. Così a coloro che li temono hai dato l'imagine della tua santa croce in segno di distruzione dell’avversario e di sicurezza per la vita nostra... Oh tu che spezzasti la spada fiammeggiante, e restituisti al Paradiso il ladrone con le crocifisso che li supplicava ad aver pietà di luì, ricordali anche di me nel tuo regno, perchè con le sono stala crocifissa, e la mia carne è stala, trapassata da i ch iodi del tuo timore...
Possa l'abisso spaventoso non tenermi divisa dal tuo eletto... ; possano i miei peccati esser cancellali dinanzi agli occhi tuoi... Tu che sulla terra hai il potere di perdonare i peccati concedimi il perdono, acciocché io possa esser pura, ed abbandonando il corpo mi presenti al
tuo cospetto senza macchia nell’anima, sì che l’anima mia, senza macchia e senza biasimo, possa esser ricevuta, nelle lue mani, come sacrifizio al tuo cospetto».
In questa pietà greca, di cui abbiamo dato un’illustrazione classica, devesi cercare la «radice massima del dogma», c.ome opina l’A.
Di non minore importanza sono i quattro capitoli che seguono, dai titoli : Fonti di conoscenza ed autorità, ossia, scrittura, tradizione e chiesa; Presupposti e concetti di Dio, creatore e dispensatore di salute; Presupposti e concetti intorno all’uomo oggetto di salute; Dottrina della necessità e realtà della, redenzione per T incarnazione del figlio di Dio.
Chi accetta la definizione del Hoftmann : «la storia del dogma è la storia della chiesa che esprime con parole la sua fede » saprà apprezzare l’opera dell’A., opera ispirata a criteri rigorosamente scientifici.
F. G. Lo Bue.
L’imperatore Costantino.
LEONARDO CENTONZE, L’imperatore Costantino e la Chiesa cattolica. Voi. in-8®, pag. 76, prezzo L. 0.80. Bari, Casa editrice «Humanitas», 1912.
I punti salienti di questo lavoro sono il Battesimo di Costantino, che l’A. definisce una leggenda, perchè Zosimo, Lattanzio ed Eusebio non convengono nell’assegnarne la là data; VEditto di Milano, che, se se ne toglie la tolleranza per qualunque culto, non ha nulla di straordinario, ma è invece una raffinata menzogna; il Concilio niceno, che l’autore chiama broglio per la negata libertà di discussione con cui fu condotto e per la violenta imposizione con cui furono definiti ed imposti i dogmi della Trinità, della consub-stanzialità e della divinità di Gesù Cristo.
Se per i cattolici Costantino appare un liberatore, un protettore, un santo, di cui solo Dio, secondo Eusebio, può tessere il panegirico; per i’A. invece egli è un uomo raffinato e doppio, ambizioso e degenerato, delinquente nato, vanitoso ed effeminato, volubile e prodigo, sospettoso e crudele.
Egli non fu mai un vero e fervente cristiano, ma un puro « cristianoide », mosso da ambizione di Stato a proteggere i Cristiani, per farsi forte delia loro organizzazione, e per far frónte all’esercito di Massenzio e ai nemici dell’ impero.
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A tale scopo si valse della visione dei Labaro della croce col motto in hoc signo vinces pura e semplice mistificazione sfruttata ad arte da Costantino e di poi dalla Chiesa. In sostanza Costantino con la sua politica ecclesiastica non fece che conservare per sè 1* impero (instrumentum regni) e aggiogare di buon’ora la Chiesa allo Stato. Connubio fatale per le sorti dell’impero, che l’autore crede scomparso per opera della Chiesa.
Alcune delle conclusioni cui giunge l’A. sono un po’ stiracchiate, ed è anche evidente ch’egli, a volte, si lascia trascinare da passione di parte.
G. Trisch.
JT
Le « Storie » del Modernismo.
ALBERT HOUTIN, Histoire du Modernismo calholique. Paris, 1913. Chez l’auteur, x8, rue Cuvier, Paris V.« (L. 5).
Prof. doct.JOSEPH SCHNITZER, Der Katho-lische Modernismus (Sonderdruck der Zeit-schrift fiìr Politik). Berlin, Heymann, 1911.
— Der Katholische Modernismus. Berlin, SchO-neberg, 19x3. Protestantischer Schriftenver-trieb G., m.b. H. (Mk. 1.50)
Prof. dott. ANTON GISLER, Der Modernismus. Einsiedeln, Benziger &• Co, 1912. (Mk. 8).
Io credo che non sia tropppo valido l’appunto fatto da qualcuno agli scrittori dei libri di cui voglio occuparmi, che ancor troppo presto si voleva scriver la storia di un movimento che non è ancor cessato, che anzi, secondo molti, come anche a parer mio, ha appena ora e non ancor completamente, superato il periodo d’incubazione e di formazione per entrare in una fase più attiva e più pratica. Poiché in certi soggetti e particolarmente nelle agitazioni religiose non credo possa stabilirsi dove cessi la cronaca per subentrarvi la storia ; ogni giorno, può dirsi, costituisce una epoca con caratteristiche particolari, nettamente distinte da quelle del giorno prima e da quelle del giorno che succederà. In ogni modo il fissare i punti più importanti dello sviluppo dottrinale o aneddotico del Modernismo, come han tentato di fare gli autori su nominati, potrà tornare opportuno per il futuro, ed anche per il presente, perchè da brevi e monche notizie, più presto dimenticate che lette, i più
non conosceranno mai l’importanza e la vastità di un movimento spirituale, non potranno aderirvi o respingerlo con coscienza, coinè potranno farlo quando le fonti e gli avvenimenti si parino loro davanti inquadrati e coordinati in modo che la ragione e la critica possano esercitarsi su di essi.
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Se l’Houtin avesse intitolato il suo volume Storia del Modernismo in Francia, credo, a parte le conclusioni, che il suo libro avrebbe quasi raggiunto lo scopo. Una cognizione vastissima, se non altrettanto profonda, del soggetto, insieme alle doti più cospicue che fanno dell’Houtin uno storico mirabile, già affermate in molte opere precedenti, han prodotto questa storia che, come la giudicava lo Schnitzer, « è come un romanzo affascinante. Errori e concezioni superbe, povera gente e grandi uomini, scene banali e tragiche, episodi d’amore e di odio, intrighi bassi, vigliacchi e calunniosi, mania di persecuzione, tutto ciò vi si trova come nel più recente romanzo de’ saloni parigini ; la differenza è in questo, che il romanzo scritto dall’Houtin, è una pittura dal vivo ». La genesi e lo sviluppo del Modernismo in Francia, quali l’Houtin li descrive, costituiranno certo una fonte di primissimo ordine per gli storici delle religioni. Uomini come il Duchesne, il Loisy, l’Hebert, il Sabatier, il Tunnel, il Le Roy, l’Ermoni, ecc., attraverso gli aneddoti di cui il libro ridonda, appaiono in tutta la loro luce. Essi ci addimostrano, per non recare che due soli esempi, come sia stata possibile una così profonda evoluzione di pensiero nel Duchesne, il famoso autore della Storia della Chiesa antica, che all’epoca del Concilio vaticano, si dava dattorno per raccoglier firme a Saint-Brieuc, sua diocesi natale, a favore della proclamazione dell’infallibilità pontificia, contro quel vescovo, mons. David, uno dei più tenaci oppositori delle velleità papali, e come sia avvenuto che i fratelli in Cristo (!) e i confratelli dell’ordine religioso a cui apparteneva, abbiano lasciato che l’Ermoni, che con serenità aveva giudicato il Modernismo, morisse di misèria e di fame.
Però non altrettanto preciso ed accurato è l’Houtin nel delincare i fatti e le figure di modernisti di altri paesi. Limitandomi all’Italia, si può bene osservare come incompleto ed impreciso sia lo storico francese, sol che si consideri che egli ha fatto quasi il modernismo italiano una ramificazione di quello francese, mentre è ben noto che i due movimenti partirono da punti diversi: il francese dalla
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critica storica e dalla critica biblica ; l’italiano dalla critica sociale e dalla critica degli ordinamenti ecclesiastici d’oggidi. Poi, e ciò era inevitabile, le due correnti si fusero; ma ciò non toglie che anche nella produzione intellettuale a cui il movimento dette origine nei due paesi s’incontrino posizioni ed atteggiamenti diversissimi. Basterebbe, per esempio, porre a confronto le Lettere di un prete modernista o la celebre risposta all’enciclica « Pascendi » con uno qualsiasi dei libri modernisti francesi della stessa categoria.
Nei giudìzi e nei profili la deficienza è facile notarla scorrendo le pagine dedicate al Murri ed a qualche altro degli italiani, e leggendo il capitolo in cui si parla di quella triste e disgraziata faccenda che fu il processo Ver-desi che viene pomposamente elevato al grado di « processo modernista ».
Ma questi difetti, per quanto gravi, non infirmano del tutto il valore particolarissimo dell’opera. La quale però aveva un vizio d’origine, che ha condotto l’A. a conclusioni che non ritengo giustificate. Il vizio d’origine è nella distinzione purtroppo invalsa fra modernismo cattolico, cioè operato nell’interno della Chiesa, e modernismo extra-ecclesiastico ma che ha di mira la Chiesa stessa, fra ribelli e sudditi. Ora è inconcepibile, secondo me, che i cattolici, quali li concepisce Pio X, possano essere minimamente modernisti, chè se sono afflitti da) più leggero attacco di questa terribile malattia epidemica sono issofatto ribelli. Tutto sta a vedere se il concetto vero di «cattolico » sia quello che ha papa Sarto o quello... dei modernisti. Quello di Pio X è certo troppo semplicista, ma è il concètto ufficiale. Ben povera ragione questa perchè abbia ad imporsi ed uccidere il modernismo ereticale. Per questo il rimaner nella Chiesa o l’uscirne, può tutt’al più indicare uno stadio più o meno avanzato d’infezione modernista, ma, diagnosticamente, la malattia è sempre la stessa, e chi ne è colpito la porta sempre con sè, e la diffonde di continuo dattorno a sè, perchè — ripeto ciò che altre volte ho già detto — è una utopia di Pio X che il Modernismo sia un sistema o un corpo di dottrina, mentre è invece uno stato d’animo individuale facile a ingenerarsi e più facile a comunicarsi.
Per questo la conclusione dell’Houtin, che il Modernismo sia stato completamente debellato, dalle armi di Pio X — armi morali o immorali poco conta — è troppo catastrofica per esser lontanamente vera. E non intendo parlar del Modernismo extra-chiesastico, ma pur di quello nella Chiesa. L’Houtin si è lasciato ingannare dalle apparenze. Ha visto che
i più arditi e più aperti assertori del nuovo moto religioso, o per la persecuzione, o per naturale evoluzione sono usciti dal vecchio campo per lottare più liberamente ; altri ne ha visti tacersi e piegare il dorso, in apparenza vinti. Ebbene, mi permetta l’amico Houtin di paragonarlo a quel viaggiatore notturno, che crede che tutti dormano nell’ interno di una casa incontrata lungo la via, perchè dalle chiuse imposte non traspare luce. Spesso tale giudizio è erroneo, ed è falso specialmente nei rapporti del Modernismo nella Chiesa. Se il rumore par cessato e la luce non si manifesta per un osservatore poco attento, un orecchio più fine avvertirà il rumore sordo di un lento lavorio, ed un occhio più sperimentato non si lascerà sfuggire il bagliore di lanterne cieche. In fondo in fondo poi non occorrerebbe troppa attenzione per percepir tali sintomi. L’indice più sicuro ce lo danno le cronache vaticane d’ogni giorno. E v’è da ritenere che, più presto che non si creda, i silenziosi lavoratori che oggi son più di ieri, e domani saranno più di oggi, rompano con un grido di vittoria l’alta quiete di morte apparente, e le faci innumeri vengano in alto agitate.
Allora l’Houtin, da storico coscienzioso, riprenderà il suo volume per aggiungervi un capitolo nuovo.
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1 due libri dello Schnitzer, hanno un valore eccezionale. Del primo, pubblicato da più di un anno, mi limiterò a dire solamente che esso costituisce la storia più serena ed insieme la difesa più energica del Modernismo. Al contrario dell’Houtin che ci ha dato una storia analitica ed aneddotica, lo Schnitzer col suo primo volume ha voluto mostrare sinteticamente le teorie moderniste e le lotte a cui hanno dato origine. Egli non si è perso troppo dietro i particolari, ma ha voluto cogliere quelli soltanto, fra le minuzie di cronaca, che potevano essere i più sintomatici. Lo Schnitzer è uno storico calmo e severo, un filosofo della storia, mentre l’Houtin è appassionato e brillante collezionista di documenti e di fatti di cui usa con sfoggio e con finezza.
Lo Schnitzer ha il merito di non nascondere nè di attenuare le proprie convinzioni modernistiche. Egli lo dichiarava apertamente l’indomani della sua condanna da parte di Pio X, nell’ultima lezione tenuta all’università di Monaco, che concludeva con queste parole : « Non provo ira o amarezza contro chicchessia. Io m’avvolgo nel manto dell’intima convinzione e proseguo tranquillo per la mia
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strada. Ogni professore dev’essere nel tempo stesso un confessore... ». E nel libro di cui stiamo occupandoci, dichiara candidamente che riconosce per proprie una buona metà delle proposizioni condannate nel sillabo di Pio X.
Con ciò era impossibile che i suoi scritti in materia non fossero di particolàre importanza. Come il volume dell’Houtin illustra magnificamente il Modernismo francese, così questo libro dello Schnitzer è a preferenza indicato per avere una conoscenza esatta del movimento modernista in Germania.
A differenza dell’Houtin, lo Schnitzer ha piena fiducia nell’avvenire del Modernismo. « Il nuovo — egli disse nel discorso surricordato — finisce per imporsi ; l’avvenire è dei giovani. Una immensa rivoluzione religiosa si prepara... ».
Il volume più recente, che porta lo stesso titolo del primo, non ne è un rifacimento, ma s’informa ad altri criteri espositivi. Il fatto che questo secondo libro viene pubblicato nella collezione Die Klassiker der Peligion ne dimostra gl’intenti, ed indica già di per sé il metodo tenuto nello scriverlo. In esso, infatti, lo Schnitzer esamina le varie manifestazioni in Germania, in Francia, in Italia, in Inghilterra, del moto di rinnovamento in seno al cattolicismo e ci dà quadri completi dei principali fra gli attori di questo dramma appassionante, esponendone le dottrine ed i sistemi, rifacendo così la storia di ogni momento della lotta e di ognuno dei tentativi pratici e dottrinali di penetrazione e di critica. Intorno agli astri maggiori, anche i minori vengono delineati in modo che il lettore ha una cognizione precisa nel tempo stesso dello sviluppo storico e di quello dottrinale del modernismo. Anzi, alla storia propriamente detta o per meglio dire ad un sunto degli avvenimenti di questo moto religioso-sociale, è dedicato un capitolo importantissimo, che serve d’introduzione e di preparazione al resto del libro.
Perciò, come il volume dell’Houtin per un lato, così questi dello Schnitzer formeranno necessariamente parte di ogni biblioteca di chi si occupa di storia delle religioni. Come ho detto, le conclusioni dei due autori sono ben diverse. L’Houtin è più che pessimista: ha intonato il De Profundis per il Modernismo a cui Pio X ha fatto da becchino. Lo Schnitzer crede, invece, che il Modernismo seppellirà Pio X e molti altri con lui e dopo di lui. Ed io credo che egli abbia ragione.
Ed eccoci, finalmente, a parlare del libro pesantissimo del Gisler. Pesantissimo nel dop
pio senso della parola, trattandosi di un volume di proporzioni mastodontiche, e opprimente come esposizione. Il Gisler ha scritto quest’opera con le più ortodosse delle intenzioni ma sembra non sia pienamente riuscito nel suo scopo. Egli, tanto per cominciare, ha posto in fronte al volume l’espressione evangelica: Omnis plantalio, quam non piantanti Pater meus coelestis, eradicabilur. Ma questo motto non lo ha salvato. Ricordiamo, en paesani, che il dott. Gisler sembra non sia immune egli stesso da un certo qual microbo, che esaminato al microscopio potrebbe passare per un bacillo modernista. Infatti, nel congresso di Magonza, tenuto nell’agosto del 1911, a proposito del famoso giuramento antimodernista, il Gisler parlava cosi : « Noi abbiamo prestato il giuramento a questi punti di dottrina, secondo il grado d’obbligazione che ciascun d’essi comportava. Questa obbligazione ha infatti diverse gradazioni corrispondenti, nei rapporti con la coscienza, ai valori diversi che a questi punti dottrinali competono ». In altre parole, il Gisler, come infiniti altri, riteneva che il giuramento imposto da Pio X non poteva prestarsi che con l’aiuto di una serqua di riserve mentali che avrebbero permesso di salvar contemporaneamente la capra-coscienza e il cavolo-volere pontificio.
Per sua disgrazia, il Gisler non pensò che certe cose non è troppo prudente il propagarle : si pensano, non si dicono. Oltre che nel congresso di Magonza. ove le promulgò, pare abbia applicato queste sue teorie in alcune parti del suo libro. Di modo che si è tirato addosso una immensa articolessa di quella Sentinella anliniodernisia di Firenze, che vigila con la labarda sugli spalti della fede. E si è meritato che al suo volume venisse appioppato il titolo « un libro antimodernista stonato », come quel periodichetto lo chiama, intimando nel tempo stesso a due preti, che sembra avessero intenzione di tradurlo in italiano, di abbandonare il loro proposito. In fondo da questo appellativo «stonato» dato ad un volume dedicato a combattere il Modernismo a quello di « modernista » la differenza non è molta, se non sono addirittura sinonimi. Tanto vero che nello stesso numero della nominata Sentinella al libro del Gisler è dedicata un’altra noticina in cui viene definito « antimodernista-modernizzante », ed è detto che questo libro può fare un gran male fra la gioventù cattolica.
Pare insomma che si incominci a sentire il puzzo dell’Zmfò? o anche dei Sant’Ufficio per il canonico svizzero.
La colpa del Gisler è di avere condotto il
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suo studio onestamente, per quanto glielo consentiva il suo presupposto. Egli non si è dimostrato di quegli arrabbiati a cui la voglia del sangue o l’ignoranza crassa appanna la vista, ed ha tentato di essere meno feroce e un po’ più accomodante degli altri. Peccato questo gravissimo per i molossi dell’ortodossia.
Il libro del Gisler, che è professore al seminario di Chur (Coira) in Svizzera, risente del metodo scolastico, ed è piuttosto una esposizione dottrinale che una trattazione storica. Ma se la prima prevale, l’altra non è esclusa, ha anzi una buona parte in questo volume. r>a\V americanismo al modernismo « letterario » il Gisler passa in rassegna le diverse manifestazioni modernistiche. Fa innanzi lutto l'esposizione di ciascuna di esse e poi le condisce con una sua critica, che in realtà è ben poco critica tanto spesso è puerile. Ma quando forti ragioni non sovvengono, anche i piccoli cavilli son buoni. Così almeno ha pensato il Gisler. E ciò gli è valso da parte degli antimodernisti il trattamento cui ho già accennato ; dai modernisti gli procura commiserazione. Il Gisler, in fondo, è una vittima dell’ingrato argomento.
Ciò però non toglie che tutto il suo libro non sia opera vana. Resterà documento di una tentata confutazione del Modernismo non fatta a base d’improperi e di condanne, ma di una parvenza di ragione. E questo è un merito singolarissimo. Se poi le ragioni esposte dal Gisler sono di tal fatta da provare il contrario di quanto egli si proponeva, la colpa non è sua. Con armi oneste non è facile attaccare, neppure a papa Pio, un tal nemico. Per questo Pio X adopera il metodo... del-l’azione diretta.
Ma si consoli il Gisler vedendo che i capestri che le sacre paterne mani pontificie da gran tempo vengono apprestando non valgono meglio dei suoi sillogismi.
Ernesto Rutili.
I cristiani battisti.
I BATTISTI. — Cenni storici. D. G. WHIT-TINGHILL.— Credenze. E. Y. MULLINS. — // Battesimo. G. B. TAYLOR. — Edito dalla direzione della Scuola Teologica Battista di Roma. Prezzo L. 1.50.
Il volume / Battisti, edito dalla solerte direzione della Scuola Teologica Battista di Roma, è — ce lo auguriamo — un primo
saggio di quel materiale di studi che dovrà riempire una grave lacuna nel campo della cultura religiosa italiana. Finora — fuori del campo cristiano evangelico, ed anche quivi solo fino ad un certo punto — chi conosce in Italia i Battisti ? Eppure si tratta di un ramo della famiglia cristiana che conta più di venti milioni di membri e che è sulla via di un continuo sviluppo. Basterebbe questa sola nota per far intendere ad ognuno l’importanza della famiglia battista e la necessità, per la completezza della propria cultura, di conoscerne la storia, l’organamento, lo scopo.
Nei paesi cattolici invece i battisti sono completamente sconosciuti o al più sono vagamente riallacciati al gruppo degli anabattisti del xvi secolo clie, per alcune loro aberrazioni, furono crudelmente perseguitati dalle autorità col consenso di Lutero. Ma dopo quel periodo turbinoso gli anabattisti scampati alla strage, sotto la guida del loro mansueto conduttore Mennon Simons, si raccolsero in un importante gruppo e d’allora in poi s’irradiarono in tutte le direzioni — indicati col nome di Battisti — dovunque apportando i loro principi religiosi evangelicamente democratici.
Ai nostri giorni in cui il programma enunciato dal conte di Cavour « libera Chiesa in libero Stato» va facendo sempre nuove conquiste di aderenti — in modo che possiamo con tutta certezza affermare che ineluttabilmente verrà il tempo in cui quel programma dovrà attuarsi anche in Italia, come già è avvenuto altrove — occorre che la conoscenza delle Chiese indipendenti già da secoli e viventi di florida vita sia diffusa almeno tra quelle persone che saranno eventualmente chiamate a dirigere l’opinione pubblica italiana. Per questa ragione noi siamo lietissimi che la direzione della Scuola Teologica Battista di Roma abbia pensato di pubblicare il volume / Battisti che, per quanto succinto, è certamente tale da dare un’esatta conoscenza della Chiesa battista.
Il bel volumetto, terzo della serie, si compone di tre parti dovute a tre autori diversi, ma integrantisi a vicenda: la prima scritta dal direttore della Scuola Teologica Battista di Roma, dottor Whittinghill, dà alcuni rapidi, ma esatti e completi cenni storici dei Battisti; la seconda, del prof. Mullins, presidente del Collegio Teologico Battista di Louis-ville, tratta delle credenze dei Battisti ; la terza, del compianto dottor Taylor, che per lunghi anni lavorò in Italia per diffondervi la conoscenza dei principi battisti, si occupa in modo del lutto esauriente della questione del battesimo.
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Esamineremo brevemente ciascuna di codeste tre parti.
*
Dai rapidi Cenni storici del dottor Whitting-hill risulta che, se la famiglia battista avesse la smania di sostenere la sua origine apostolica, questo compito non le riuscirebbe gran che difficile, poiché i suoi principi — secondo la testimonianza dei più autorevoli storici del Cristianesimo primitivo — sono quelli della Chiesa del primo secolo, ed ancora perchè, attraverso i secoli anche più oscuri, non sono mancate le voci di grandi cristiani invocanti il ritorno della Chiesa alle sue pure origini e proclamanti i principi che oggi dalla Chiesa battista sono proclamati.
Tra i più notevoli principi battisti son da porre: l’autonomia d’ogni singola Chiesa; la piena libertà di coscienza; il battesimo som-ministrato ai soli credenti e nella forma indicata dal Cristo. Sono principi che non si saprebbero apprezzare mai abbastanza per le conseguenze che ne derivano : essi infatti impediscono la tirannia ecclesiastica, la peggiore di tutte le tirannie ; favoriscono il libero svolgersi dell’esperienza cristiana individuale e collettiva; educano l’uomo al senso della responsabilità personale. Ognuno intende il valore indiscutibile di simili principi che, dalla vita religiosa, finiscono necessariamente con l’essere trasportati ed applicali alla vita sociale. E che queste non siano soltanto parole è dimostrato dal fatto significantissimo che già fin dall’inizio del xvii secolo i Battisti furono i soli cristiani che attuarono il principio della assoluta libertà di coscienza e della separa-ziona della Chiesa dallo Stato. Fu il battista Roger Williams che nel 1638 in America — dopo essersi rifugiato in una borgata comprata dagl’ Indiani e che è l’attuale città di Providence —- deliberò di regolarsi secondo il voto della maggioranza soltanto nelle faccende civili, perchè la materia religiosa si sottraeva ad ogni disciplina legislativa.
Ben a ragione Luigi Luzzatti scioglie un inno al Williams ed ai suoi compagni di fede ! «..... la piccola borgata di Providence negli Stati Uniti — egli dice — fondata da Roger Williams tiene un posto luminoso nel mondo morale, quantunque impercettibile nello spazio» (1). E poco dopo aggiunge: «Dal piccolo nido di Providence uscì tutta la nuova legislazione sulla libertà di credere e di non credere; e gli apostoli del secolo xvn ebbero intuizioni di diritto pubblico che divennero poi la dottrina e che appena oggidì la scienza sa elaborare e diffondere» (2).
I Cenni storici del Whittinghill danno una chiara idèa dello sviluppo numerico, oltre che delle dottrine dei Battisti. In tutte le parti del mondo oggi, in piccolo o grande numero, esistono delle Chiese battiste, che lavorano indefessamente per il trionfo dei più puri principi cristiani.
La seconda parte del volume di cui ci occupiamo tratta, come abbiamo detto, delle credenze battiste ed è dovuta alla penna sciolta e persuasiva del prof. Mullins. Fin dal principio del suo scritto la beila libertà di pensiero battista si rivela: il Mullins parla dei credi religiosi senza pregiudizio alcuno ; ne dimostra i pericoli inquantochè essi — sorti in periodi di viva esperienza religiosa — sono paragonabili alla «lava che esce scottante dal vulcano. Una potenza interna li fa scaturire. La lava si raffredda dopo : cosi il credo tende a stereotiparsi ed a formalizzarsi ». Piuttosto che conservare un credo ad ogni costo, anche s’esso non è oramai altro che una semplice ed arida ripetizione di parole, è meglio abolirlo pensando ch’esso fu composto da uomini che non avevano la pretesa di essere ispirati, in un tempo passato, e che perciò poteva rispondere alle esigenze del tempo in cui fu formulato, ma non essere più adatto ai nostri giorni.
Stabilito questo il Mullins procede alla esposizione delle credenze battiste, avvertendo che egli non pretende presentare la sua esposizione come definitiva, potendo essa al contrario essere eventualmente migliorata. La base del suo scritto è esclusivamente fornita dalle Sacre Scritture, alla luce delle quali egli esamina ed espone tutti gli articoli fondamentali che possono costituire un credo. La sua fedeltà alla Bibbia è insospettabile e, per conseguenza, la sua ortodossia è fuori di ogni discussione. Ma quel che attrae molto è lo aver evitato le vecchie slombate definizioni dommatiche — assolutamente contrarie allo spirito moderno — e l’aver usato uno stile sciolto, non untuoso, non cattedratico, non infallibile, pregio questo difficile a riscontrarsi in altri scrittori di opere simili.
Lo studio del Mullins unisce la pietà alla attrattiva e dimostra che si può benissimo cambiare la formulazione verbale di certi articoli di fede senza alterarne la sostanza.
Infine la terza parte del volume è composta di uno studio sul Battesimo, estratto dal Manuale di Teologia Sistematica del dottor Taylor. Che il battesimo istituito dal Cristo e
(1) L. Luzzatti, Liòertà di coscienza t di ifiensà, pa gina 232.
(2) Idkm, id., pag. 236.
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praticato dagli Apostoli fosse un’immersione di tutto il corpo è cosa che oggi non è più messa in dubbio da nessuno studioso in buona fede; troppe sono le prove etimologiche, archeologiche, esegetiche, storiche, che si accumulano a dimostrare l’esclusiva verità della tesi battista. Tuttavia lo studio del dottor Taylor non si può dire superfluo perchè la questione del battesimo non è una semplice questione di forma: si tratta di respingere dalle Chiese la nefasta dottrina della fede vicaria — così dannosa alla vitalità e purezza del Cristianesimo eppure incoraggiata dal battesimo dei pargoli — e d’inculcare invece nel cuore dell’individuo la necessità di quella fede personale così perfettamente simboleggiata dal vero battesimo cristiano, cioè dall’ immersione: la morte dell’uomo vecchio e la nascita dell’uomo nuovo rigenerato dalla fede; la speranza in una vita che oltrepassa i confini della tomba.
Se si cambia la forma del battesimo non si ha più il battesimo, nello stesso modo che se si altera la disposizione dei colori della bandiera italiana non si ha più la nostra bandiera. Nel simbolo la forma è della massima importanza e col mutarla si corre il rischio di mutare anche la dottrina come è accaduto alla Chiesa cattolica, la quale ha finito col dare un valore magico al suo battesimo.
Leggendo lo studio coscienzioso ed esauriente del dottor Taylor, si rimane con l’impressione che la questione del battesimo non è una semplice questione di forma, ma coinvolge tutto uno speciale orientamento della coscienza religiosa.
Era tempo che in Italia si cercasse di far conoscere meglio i Battisti ed i loro principi. Questo volumetto, come primo saggio, serve ottimamente aito scopo.
Aristarco Fasulo.
Questo volume sarà inviato in dono a tutti gli abbonali del 1912 ed ai nuovi dell’anno in corso.
Missioni cristiane.
La International Reviewof Missione di Edimburgo entra trionfalmente nel suo secondo anno di lavoro. È una rivista che applica i criteri scientifici più recenti al lavoro ed alla organizzazione delle Missioni e che ha saputo guadagnarsi i migliori redattori e corrispondenti del mondo missionario.
Essa, unica nel suo genere, è un contributo effettivo al progresso della Scienza delle Missioni, e merita l’attenzione di tutti quelli che si occupano dei problemi missionari.
Ecco il sommario del numero di gennaio 1913 :
Uno sguardo al progresso delle missioni nel 1912. 11 Redattore capo.
L’articolo occupa una sessantina di pagine della Rivista ed è preparato col concorso di tutti i leaders missionari del mondo.
La Bibbia e il mondo. Prof. J. H. Moul-ton D. D.
Zc Missione Russa nel Giappone. C. F. Sweet.
Zc forze vitali del Cristianesimo e dell' I-slam. Prof. Siraj-ud-din.
Lavoro industriale delle Missioni in India: I. La Missione di Basel. J. M filler. — IL La scuola di S. P. G. a Nazareth. Weston. — III. Il lavoro agricolo della Chiesa Presbiteriana d’America a Allahabad. S. Higginbot-tom B. S. A. — IV. La scuola professionale a Pasumalai. W. M. Zumbro.
Il movimento femminista in Europa e in America e la sua influenza sul lavoro missionario. Miss Ruth Rouse.
L'assemblea dei membri del Comitato dì Continuazione al lago Mohonk.
Libri — Riviste — Bibliografía intemazionale.
La Rivista costa 8/ ed è edita in Edimburgo, 100 Princes Street.
Ignazio Rivera.
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Un nuovo tipo di riformatore.
ARDENGO SOFFICI, Lemmonio Boreo. Libreria della Voce, Firenze, 1912.
Lemmonio Boreo è un giovine toscano che, ritornato nel suo borgo natio dopo dieci anni di assenza, si propone di riconoscere la patria sua. Nella casa materna, ove si conservano i vecchi e semplici e lenti usi de’ buoni provinciali, ei si ferma tre settimane intere a leggere, senza interruzione, libri e giornali di letteratura, di cultura e di politica, onde formarsi un giusto criterio sulle condizioni odierne
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d'Italia. Ne resta scandalizzato: gli par di riconoscere tanta vuotaggine ed impostura, sì da esser spinto a figurarsi quale rimedio ai mali constatati, la venuta di un personaggio intelligente e potente che flagellasse senza tregua il male durante il suo cammino. «... Era un uomo dall’aspetto fra di sacerdote e di guerriero, col viso corrucciato e un randello in mano. Andava a gran passi di città in città, di paese in paese, e ogni volta capitava dove si stesse commettendo qualche indegnità, qualche azione poco pulita, accorreva, e giù legnate a tutto spiano, a dèstra e a sinistra». Sedotto da questa immagine, Lemmonio decide d’incarnarla in sè stesso. Lascia la madre e la zia, e va, senza mèta prefissa, per la soleggiata campagna toscana, in cerca di... flagranti cattive azioni, onde compiacersi nel rintuzzare le offese alla dignità umana ed alla giustizia, armato della sua logica e dei suadente suo parlare. Qualcuna gli riesce, qualche altra no, sino a che, a meglio compiere il lo-devolissimo suo proposito di combattere il male — in aperta campagna, tra i barrocciai e i contadini, nei borghi, sul mercato o nelle trattorie, — decide di unire a sè Zaccagna, un giovanottone pieno di salute e di forza, incontrato a caso, il quale più tangibilmente potrebbe rappresentare il « randello » del nostro eroe, visto che le sole parole in molti casi non erano sufficenti a rimettere in seggio la giustizia. E così, in due, — la mente e il braccio — se ne vanno in rustico vagabondaggio che l’ intento nobilita ; dapprima, con risultati buoni ; ma poi, avuta malauguratamente la peggio in qualche impresa, Lem-monio si sconforta, dubita, fin che un terzo personaggio, un azzeccagarbugli consumato, di nome Spillo, gl’infonde nuova fiducia accettando di unirsi con lui e con Zaccagna. Cosi questa curiosa trinità, guidata spiritual-mente e sostenuta materialmente da Lemmonio Boreo, si dispone a proseguire nel cammino intrapreso.
Il libro è tutto qui, ed è doveroso aggiungere subito che un seguito è promesso in altri tre volumi.
Però possiamo permetterci qualche breve giudizio.
Che il tenue intreccio richiami alla mente del lettore Don Chisciotte della Mancia con Sancio Pancia suo scudiero è forse superfluo l’osservare. Anche ci ripresenta, in veste toscana, il Jean Christophe scontento e desideroso di vere armonie, mandato fuori, in Francia, da Romain Rolland. Ma ogni lettore, pur senza impancarsi a critico arcigno, logicamente.
a lettura finita, riassume e si domanda il perchè dell’opera stessa.
In Lemmonio Boreo noi abbiamo tanti episodi separati, scritti nell’ammirabile colorita e viva lingua di Toscana : scenette campestri piene di luminosità gaia, o, talvolta, di sano umorismo: novellette, insomma, che si leggono piacevolmente, a ristoro dello spirito affaticato, quando si ha qualche quarto d’ora disponibile. Anche nella voluta semplicità dello svolgimento e degli argomenti c’è come una reazione alle astrusità e perversioni sentimentali che infiorano la maggior parte de’ nostri libri di letteratura.
Se ciò ha voluto darci Ardengo Soffici, senz’altro, egli è perfettamente riuscito. Ma il proposito manifestato dal nostro protagonista decidendosi a movere in guerra contro « il maligno » e la critica alle condizioni attuali morali d’Italia contenute in principio del libro — critica, per segni troppo trasparenti, fondata su fatti realmente accaduti — ci autorizzano a domandarci se la finalità morale che si suppone debba ispirare questo lavoro sia stata, in questa prima parte, raggiunta, o prometta di essere. Non vogliamo, cioè, imporre ad un autore di far dell’arte a tesi, ma se egli ci offre tutti gli elementi iniziali per ritenerla tale, abbiamo diritto di esprimere, a nostro giudizio, s’egli sia riuscito efficace.
Nel caso nostro, no.
Perchè noi possiamo richiedere che Lemmonio Boreo, questo novello cavaliere errante apportatore di giustizia, ci sia più interessante. I quadretti campagnoli così minuti, precisi, coloriti, possono dar compiacenza alle nostre disposizioni contemplative, ma quanto sarebbero migliori se servissero di sfondo ad una azione che ci commovesse, che ci facesse pensare, che elevasse il nostro spirito a concezioni superiori, che ponesse in qualche modo le nostre volontà interiori allo sbaraglio della realtà quotidiana. Invece il donchisciottismo di Lemmonio Boreo ci fa sorridere. Null’altro. Non è materiato di « umanità ». Egli è un personaggio formalmente non originale, sostanzialmente manchevole.
Figuratevi : egli giunge in Toscana come se piovesse dal mondo della luna. Dopo un po’ di studio, gli si affaccia il dilemma : « O cacciarsi in una solitudine da cinico e lasciar le cose andar per i loro versi come facevano naturalmente tutti gli altri, e se no, pigliare il treno e tornar dov’era stato fino allora, o agire in un modo purchessia ». Curiosa : dov’era stalo fino allora era un paradiso terrestre? Ma è destinato ch’egli debba andare
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ed agire, e quindi si distacca, con un solo e fugace momento di tenerezza, dalla vecchia madre che abbandona a sé stessa, e se ne va per settimane e mési di paese in paese, col... portafogli disposto a mantenere lui, Zaccagna, Spillo, e magari altri ancora in questa vita di avventura. Uno che non venisse... di dove veniva Lemmonio, penserebbe subito che le proprie finanze o gli troncherebbero, presto esaurendosi, il suo apostolato, o, dato che non conoscano fondo, gli potrebbero suggerire ben altri mezzi di correzione sociale che non la individuale azione presso il carrettiere che bastona il ciuco, o il babbo che vuol far stare senza cena il figliolo, od il montanaro sordido che ruba le pecore al vicinato!... Ma certe realtà materiali non entrano nell’orizzonte mentale di Lemmonio Boreo, perchè debba occuparsene, così come non entra l’amore personale ed umano ad integrare la personalità sua. Egli continua a girare, metaforicamente, il suo randello, stando nei borghi toscani, come possono girare le pale di un mulino a vento, protese verso la infinità universale...
Ma forse noi anteponiamo il giudizio. 11 promesso seguito — chi lo sa? — potrebbe illuminarci sulla apparente illogicità della costruzione iniziale. E sarebbe, se possibile, un bene, dato che la narrazione si presenta in veste letteraria cosi pura, e che seducono sempre i propositi di riforma spirituale e sociale... Intanto siamo punti dalla curiosità di sapere che cosa mai riusciranno a fare, congiunti, e se basteranno, da soli, la mente serena e sogna-trice di Lemmonio, il braccio robusto di Zaccagna e l’accortezza matricolata di Spillo...
Terenzio Grandi.
Il predicatore.
J. H. JOWETT M. A., DD., The preacher: his life and work. Pag. 245, Hodder and Stoughton, London, 1912. 5 scellini.
L’Autore, che è riconosciuto il più popolare e il più affascinante fra gli oratori inglesi viventi, ha superato in questo libro i migliori volumi di eloquenza sacra scritti fin qui in Inghilterra. Egli ha voluto prendere in questo libro un punto di partenza personale, in una esposizione intima e completa della sua anima, narrando le sue esperienze e i suoi pensieri con parole, concetti e colori suoi, che hanno reso il libro eminentemente pratico, pieno di sorrisi e di speranze, con un potere e un fa
scino irresistibile. Questo è il giudizio generale con cui la critica inglese ha accolto il nuovo volume di eloquenza sacra. (Vedi The Brilish Weekly, del 17 ottobre 1912).
Noi rimaniamo specialmente attoniti di fronte ad alcune rivelazioni personali di questo uomo che da venti anni domina l’eloquenza sacra inglese. Egli dice, per esempio, che già da molti anni', preparando i suoi discorsi in note o per esteso, egli si sforza di guardare al suo soggetto dal punto di vista di un altro grande oratore che lo ha preceduto, domandandosi come quel dato tema sarebbe stato svolto da Alessandro White, da Spurgeon, da Baie e dagli altri grandi spiriti dell’eloquenza sacra inglese. Egli assicura che questa pratica, pur avendo qualcosa di presuntuoso in se stessa, tuttavia arricchisce l’orizzonte delle vedute personali, anche se le nostre concezioni del tema fossero discordi da quelle degli oratori nominati.
Egli è convinto che un discorso non è pronto per essere predicato o scritto finché il suo soggetto non possa essere espresso in una breve frase esplicita, piena di pensiero e limpida come un cristallo. Confessa che la ricerca di questa frase è stato il lavoro più arduo e più utile della sua vita oratoria.
L’Autore, che segue la scuola mistica di Andrew Bonar basata sul valore della preghiera continua come elemento essenziale del successo, si dimostra specialmente preoccupato della necessità di portare i discorsi in contatto con le rovine, le angoscie, i gemiti e le tempeste della vita. Questo è il segreto che ha fatta ricca la sua opera personale. Preparando un discorso egli è abituato di fissarsi in mente una mezza dozzina di persone che egli conosce, persone reali, di condizioni sociali diverse e dissimili nei loro temperanti e aspirazioni, sforzandosi di far giungere a ciascuna di esse la favilla rigeneratrice del suo pensiero e del suo cuore. Così egli è rimasto negli orizzonti reali della vita.
Con parola infuocata egli parla della sua chiamata al ministero cristiano nel giorno in cui sentì la mano forte che Io moveva verso una via che egli non conosceva ancora. La mano segreta, per mezzo di una coercizione misteriosa, lo conduceva verso la mèta, nell’esperienza stessa di Paolo, nel grido che ancora gli suona nell’anima: Necessità mi è imposta, e guai a. me se io non evangelizzo!
Sono pagine che dànno all’anima un sussulto di gioia, che fanno del bene, che ritemprano le forze alla vita, e che sono destinate a preparare in Inghilterra tutta una nuova generazione di predicatori. (Vedi The Brilish
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Weekly, citato). Le sue pagine sono piene di ottimismo, gioia, serenità, dolcezza e praticità non solo quando parla della vocazione al ministero cristiano, della sua nobiltà e delle sue difficoltà ; ma anche quando s’intrattiene sui pericoli fisici e morali del predicatore ; quando lo ferma sui suoi doveri come uomo di studio, formulando l’assioma che la predicazione che non costa non produce ; quando lo accompagna sul pulpito per fargli sentire il bisogno massimo della naturalezza e della sincerità nel momento culminante del suo lavoro, fino a fargli sospendere per anni la trattazione di un tema che non gli è ancora cresciuto maturo nell’anima; e quando, guidandolo di casa in casa, lo fa essere la luce ed il sorriso delle famiglie. L’ultimo capitolo, non meno geniale, parla del predicatore come uomo di affari. Egli non vuole che l’idealismo del predicatore abbia da togliergli il senso della proporzione e della praticità che sono propri della vita commerciale.
Ignazio Rivera.
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Gabriele d’Annunzio e il moderno spirito italico.
L’idea moderna, «Gabriele d’Annunzio e il moderno spirito italico», pubblicazione bimestrale. Roma, via Varese, n. 4. Abbon. annuo L. 2.
Lo scrittore della monografia studia realisticamente lo spirito della poesia dannunziana. Ed il suo punto di vista nel valutarla è ben nitido se si tiene presente ch’egli muove dal presupposto filosofico del determinismo del «ricorso* che l’Italia deve realizzare delle sue vite passate e delle sue moderne necessità.
Secondo questa visuale, Carducci, seguendo la via ideale che — eccettuatane la deviazione manzoniana — disciplinò Alfieri, Parini, Monti, Foscolo e Leopardi, fu classico perchè la rinascita del nostro spirito riprodusse il classicismo pagano. D’Annunzio, a sua volta, rivive una seconda fase delle passate vite italiche, cioè quella della Roma dell’impero e del rinascimento, e così amplia gli orizzonti della poesia italiana, assorbendo il risultato intellettuale della reazione europea all’egemonia del papato.
L’idea vichiana dei « ricorsi storici », applicata alla produzione estetica, è geniale nel mentre che trova una felice rispondenza ob
biettiva e concatena mirabilmente le successive fioriture del nostro spirito.
Impostata sulla teoria del ricorso storico la indagine sul d’Annunzio, l’autore analizza minutamente gli esponenti genetici di questa complessa personalità artistica, compendiandoli in un senso vivido della natura quasi deificata, in una sensazione iperassimilatrice dèlie infinite armonie dell’arte, senza che per ciò ne scapitasse in lui l’assorbente lusinga delle più svariate voluttà della vita. Questi coefficienti, ben fusi nel crogiolo della sua fervidissima anima, ci dettero l’esponente di un d’Annunzio panteista, esteta, imperialista perchè — secondo l’autore — all’Italia occorrevano questi elementi per compiere la propria evoluzione.
Peraltro, ciò che in codesto fenomeno dannunziano più a noi interessa si è che l’inestinguibile sete di conoscenza del poeta fa ch’egli porti la sua attenzione sui problemi dell’universo e dell’umanità. In questa rivelazione di un d’Annunzio filosofo e pensatore, oltre che superuomo ed esteta dai preziosismi artistici, c’è della novità di concezione.
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Che pensare in primo luogo della credenza del d’Annunzio? È egli teista? È ateo? Nè l’una cosa, nè l’altra: egli è panteista, nel senso dinamico per il quale vede Iddio nell’uomo e nel creato. « D’Annunzio adora Dio nella natura, lo sente dal punto di vista del molteplice, più nell’atto che nell’idea ; più nel moto che nello statico, e lo adora in quanto questo suo eterno divenire ha di misterioso, di mistico, di indefinitamente grandioso » (pagina io).
Da questo suo senso panteista, di vero cristiano del Rinascimento, il poeta è portato conseguentemente ad una grandiosa concezione del mondo, ad una concezione quasi mistica della « realtà trascendentale ».
..... ombra infinita ..... silenzi eterni ove si celano le norme del ritorno e del divenire ove tutte le forme dell'essere S'aprono in misteri ineffabili e la morte e vita e la vito è morte.
E alla superba sublimazione del mondo, il poeta pagano-cristiano della rinascenza, intreccia la credenza nell’immortalità dell’anima
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umana che è la dominatrice della materia; dell’anima che per questo suo vivere terreno si dibatte, paolinamente, come in un carcere.
Entrar sentimmo una possa ignota in noi, crescere un'ala terribile al nostro ardimento, un'ansia d’interno titano sforzare l'angustia nostra, distruggere l'impedimento della corporea chiostra ...
Ed altrove, identicamente :
Come la nube quando è spento il sole dietro le opache cime, di fulgore durabile s'arrossa, cosi dalle affrante ossa l’anima alzata contrasti la morte, avverso il buio perduri splendente.
C’è qualcosa di profezia lirica, c’è tutto un ardore di compresso idealismo che ci solleva come un vento impetuoso nel concetto eroico della vita dannunzianamente intravvista ; c’è quell’atmosfera commossa che preludia un ciclo di grandi fatti storici, rivela noi giovani a noi stessi, ridesta le musiche assopite del nostro spirito, le musiche d’una fede materiata di slanci, d’idealità, di fremiti rinnovatori. A questo richiamo si ridestano gli spiriti magni
diventando i leaders della rinnovata coscienza religiosa e ¿’Annunzio n’è l’orfico cantore che sulla cetera magica modula i nuovi ritmi zampillanti da tutte queste anime.
Ecco quanto, con parola trasparente, commossa, eccitatrice come una fanfara, pare voglia dirci l’autore di questa monografia.
E il moderno spirito italico ascolta questa voce, e vi s’inebria e vi si tuffa come in un detergente lavacro di bellezza elevatrice e si lascia da essa esaltare fino a un fastigio dove il riflesso aurorale del Cristo, del risorgente Cristo, che si trova nel fondo d’ogni poesia della vita e dell’ideale, avvolge l’ànima in una carezza di luce eterea di trasfigurazione.
L’anima conquisa cade a terra e al Dio che s’allontana mormora appassionatamente col poeta:
Per somigliarti
una volta, per esser degno
del tuo sogno, innanzi ch’ci muoia talun di noi darà al rogo l'error che l'ingombra.
Termino : questo non è una fantasia alata, ma preludio eccitatore come una squilla di diana...
P. Chiminelli.
Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore responsabile
ROMA - Tipografìa dell'Unione Editrice, via Federico Cesi, 45
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Prezzo del fascicolo Cent 75