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BILYCHNB
RIVISTA BIMESTRALE ILLVSTRATA DI STUDI RELIGIOSI
Anno II : : Fasc. II. MARZO-APRILE
1913
DAL SOMMARIO :... A. HOUTIN : La vita del P. Giacinto Loyaoo. — A. CRESPI: L'evoluzione della religiosità nell'individuo. — F. LENZI: Di alcune medaglie religiose del IV secolo (con lìluttrazioni). — ASCHENBRÖDEL: Autobiografia e biografia del P. Giorgio Tyrrell (con ritratto). — R. D. SAWYER: La sociologia di Gesù. — NOTE E COMMENTI : Verso il conclave —- La soppressione di quattro papi — Il pensiero religioso dell'Eucken, ecc., ecc. — TRA LIBRI E RIVISTE. — NOTIZIE.
Roma - Via Crescenzio, 2
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo # #
------- Via Crescenzio, 2 - ROMA ----------D. G. Whittinghill, Th. D.» Redattore per 1’Estero
Via Delfini, 16 - ROMA ----------fi Si pubblica alla fine di ogni mese pari in fascicoli di almeno 64 pagine. fi fi fi
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Illustrazioni del presente fascicolo.
Medaglie religiose del IV secolo. (Tavola tra le pagine 114 e 115).
Testa in scultura di Alessandro Sole. (Quattro disegni a pagg. 124, 125, 126 e 127).
Ritrailo del P. Giorgio Tyrrell. (Tavola tra le pagine 132 e 133).
Copertina, disegni e fregi di Paolo A. Paschetto.
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RJVlSÀ DI S1VDI RELIGIOSI EOTTADALLA FACOLTA DELIA 5CVOLA TEOLOGICA BATTISTA • DI ROMAtè
SOMMARIO:
Albert HOUTIN: La vita del Padre Giacinto Loyson........• . pag. ioi
ANGELO Crespi: V evoluzione della religiosità nell'individuo ... > 107
FURIO LENZ1: Di alcune medaglie religiose del IV secolo.. » 113
ASCHENDRÒDEL: Autobiografia e biografia del P. Giorgio Tyrrell. . » 132
Roland D. Sawyer: La sociologia di Gesti ......... » 143
INTERMEZZO :
Vittoria De-Ciani-Fabrizi : Il miracolo.................. > 153
NOTE E COMMENTI :
D. G.: Verso il conclave ................ > 155
E. RUTILI: Dalle Cronache giudiziarie.................. » 158
> La soppressione di quattro Papi ......... » 161
> Per un vescovo degno........................ » 162
F. G. Lo Bue: Il compito del Protestantesimo secondo VEucken . . > 163 Er. : « La Religione e la Vita » secondo Emilio Boutroux . . . . » 166 T. Grandi: Bottoni e il « Pater Poster » .......... >167
L. Luzzatto: Ancora Pirké Abboth ........... »168
G. Adami: Il servizio militare e i primitivi cristiani... > 169
TRA LIBRI E RIVISTE:
Antico Testamento: Il sacrifizio d’Isacco (I. Rivera) .......... » 173
Nuovo Testamento: Il poeta Epimenide e l’apostolo Paolo (P. C.) — Critica
Olandese (E. R.) . . ........ ......... » 174
Storia delle Religioni: Allgemeine Religionsgeschichte (Ram.)....... » 175
Storia del Cristianesimo: Scozia e Protestantesimo (I. Rivera) — Chiesa Cristiana
Cattolica della Svizzera (E. R.)—Come hanno ridotto la Chiesa (E. R.) —
Autobiografia di A. Loisy (E. R.) . . ........... » 177
Religione e Arte: L’arte e i Santi (E. R.) . ........... '. » 182 Paria: Francesco Crispi e la politica ecclesiastica (Ram.) ........ » 182
NOTIZIE.............................................. > 183
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POSSIAMO GIÀ ANNUNZIARE PEL PROSSIMO
IH FASCICOLO (Maggio-Giugno) I SEGUENTI STUDI:
Paul Doumergue: David Livingstone, ossia < Alle sorgenti dell* Azione» (con illustrazioni). (Dalla Rivista di Parigi Foi et Vie').
Dott. Giovanni Costa : La Battaglia di Costantino a Ponte Milvio (con quattro illustrazioni). I. Esposizione e critica degli elementi storici : i* Argomento ; 2® Fonti ; 3® Cronologia ;
4° Forze dei contendenti ; 5® Località dove avvenne la battaglia.
II. Ricostruzione storica degli avvenimenti : 1® Costantino alle porte di Roma ; 2® Preparazione alla battaglia ; 3® Disfatta e morte di Massenzio ; 4® Ingresso di Costantino a Roma.
Prof. Paolo Orano: La Rinascita deir anima.
IV. Dio nella scienza'. Tradizioni deistiche della scienza e della politica. — Mazzini. — L’Idea di Dio, idea di Libertà. — Il Dio di Dante. — Origini Demagogiche dell'ateismo. — Perchè il positivismo divenne ateo. — La scienza mette necessariamente al divino, ecc.
Prof. Francesco Biondolillo: La religiosità del Petrarca (con illustrazioni).
Giacomo Natali: Nuovi studi paolini.
Gino Montalbo: Miti e Religioni dell'antichità classica. (La religione della Grecia antica — Orfismo — Religione e parodia religiosa in Aristofane — Credenze di oltretomba Culti e miti nella storia dell’antica Sicilia — La religione primitiva in Sardegna).
N. B. — Degli articoli firmati sono responsabili i singoli autori.
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LA VITA DEL PADRE GIACINTO LOYSON (,)
(DA DOCUMENTI INEDITI).
Siamo lieti di presentare, per gentile concessione dell’autore, l’Houlin, e di Paolo Loyson, l’illustre drammaturgo, i primi capitoli della Vita del Padre Giacinto Loyson, pubblicati recentemente su La Grande Revue, su documenti inediti. L’Houlin, lo storico ben nolo dei movimenti più salienti del cattolicismo moderno, fin dal 1906 era stato scelto dal venerando Loyson come suo futuro biografo e a lui erano stati affidati lutti i documenti che illustrano non solo la vita intensa di un grande uomo ma gettano luce inattesa su uno dei periodi più agitati e più interessanti del cattolicismo e della Francia, che culminò nel Concilio Valicano e nel-l’ann&í terrible. L’interesse della pubblicazione può esser solo misuralo dalla sorpresa enorme destata dalla rivelazione, voluta dal Loyson stesso, del matrimonio segreto di uno dei più sfortunati amici del Loyson, l’oratoriano Perraud (2), su lettere ed appunti conservati dal Padre Giacinto. L’articolo che riproduciamo ha però ben altra importanza. Nella vita giovanile del Loyson, netta sua dimora in San Sulpizio a Parigi noi troviamo i precedenti, la ch iave per comprendere e giudicare nelle sue direzioni fondamentali la ricca vita spirituale del Loyson. La sua educazione domestica, così intensamen te pia e le sue ammirazioni giovanili per i romantici, la visione d’una missione sacerdotale ereditata dai sogni materni e che lo ossessionerà per fulla la vita, l’entusiasmo della rinascila cristiana partilo dal Chateaubriand e poi dal Lacor-daire ne fissarono per tutta la vita la fisonomía spirituale. Egli fu sopratutto l’erede dei romantici, senza avere molte delle loro debolezze e delle loro incertezze. Ma accanto all’educazione romantica egli subì l’influenza d’un mistico agostiniano, del suipiciano Carlo Teodoro
(0 Tutti i diritti di traduzione, di riproduzione, d’adattamento sono riservati per tutti i paesi. Copyright by Paul Hyacinthe Loyson, 1913.
(2) A. Houtin, Un Preire marié {Charles Perraud) e /lufour d’un Prêtre marie.
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Baudry, durante la sua dimora a San Sulpicio e che gettò nella sua ardente anima giovanile i germi dì quel modo platonicamente elevato e grandioso di considerare le cose dello spirilo e il matrimonio e del bisogno di riformare la Chiesa che sono veramente caratteristici dell’opera del Loyson. Le paròle del Baudry al giovane discepolo « Portiamo in noi l’avvenire della Chiesa : nulla bisogna distruggere, ma lutto trasformare » segnarono nella sua anima un solco incancellabile. B merito dell’ Houtin l’aver messo in evidenza l’influenza suggestiva del Baudry sul Loyson.
M. V.
I. L’infanzia e la giovinezza (1827-1845).
. principio del secolo decimonono, il nonno del grande oratore ebbe da una bretone, Theodosia Le SuC, fervente cattolica, parecchi figli, fra cui Carlo, poeta, morto giovanissimo nei 1826, e Luigi-Giuliano, ispettore e più tardi rettore d’accademia a Metz e a Pau. Questi sposò la dolente fidanzata del fratello Carlo, una savoiarda, la signorina Burnier-Fontanel. « Senza dubbio, le tristi circostanze d’un tal matrimonio influirono profondamente sul carattere del bambino che ne doveva essere il primo frutto e che
ricevette il nome di Carlo, lo scomparso. Ad ogni modo è forse qui che va cercata una delle cause della melanconia caratteristica del padre Giacinto ». Egli nacque ad Orléans il io marzo 1827. Qualche anno dopo suo padre fu mandato dal nuovo governo a Pau, sotto i Pirenei.
A proposito della pietà straordinaria dei suoi genitori possono ricordarsi alcuni episodi caratteristici. Essi avevano consacrato una loro bambina, qualche giorno prima della sua nascita, alla Madonna di Betharram; sua madre, mentre era incinta di lui, un dopo pranzo ebbe come una visione : il suo bambino, sotto l’aspetto di un piccolo prete, sembrava uscire dal pavimento davanti ai suoi occhi stupiti. Da questa visione ebbe la certezza che suo figlio diventerebbe un giorno prete. Suo padre, che aveva rinchiuso in convento tutte le sue figlie, si riservò la cura dell’educazione dei due maschi, Carlo e Giulio, perchè non subissero l’influenza delle nuove idee liberali nelle scuole pubbliche. Di lui si diceva a Pau : < Non è un rettore, ma un vescovo >.
Nei 1838. Carlo ricevette la sua prima comunione. «Ancor oggi, dopo sessantanni — diceva il padre Loyson — celebro tre anniversari principali della mia vita religiosa: il mio battesimo, la mia prima comunione e la mia ordinazione sacerdotale. Ed ecco come, pur combattendo contro Roma, son restato cattolico. Il « prammatismo » cosi alla moda in alcune scuole non potrebbe muovermene un rimprovero. Nel mio prammatismo, però, le esperienze personali suppongono delle realtà misteriose dell’ordine oggettivo».
Sebbene oggetto della predilezione paterna, Carlo si formò da solo. Lamartine con le sue prime Méditations poétiques lo svegliò a tredici anni al pensiero, al sentimento e alla vita e crebbe così solitario ai piedi dei Pirenei, sotto l’influenza
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LA VITA DEL PADRE GIACINTO LOYSON IO3
delia natura, della poesia e della religione. La natura, dolce e magnifica, in questa regione agì potentemente sulla sua anima. Se non ne venne iniziato allo studio scientifico, la sentì in compenso profondamente e, come ebbe poi a dire tante volte, fu per lui una rivelazione delle cose divine... Suo padre gli aveva consegnato la chiave della sua biblioteca, con la sola proibizione di leggervi alcuni libri. Ivi, in una mistica penombra, si compì l’iniziazione dell’adolescente. Senza disciplina intellettuale, sentimentale come sua madre, si abbandonò alla lettura dei nuovi poeti, di Lamartine e di Victor Hugo, degli scrittori dalle calde tinte, Chateaubriand e Michelet e della giovine scuola cattolica, romantica liberale ed ultramontanaallo stesso tempo, di Lacordaire, di Montalambert e di Carlo Sainte-Foi. Naturalmente la Bibbia, secondo l'abitudine dei cattolici, restò per lui lettera morta. Entusiasta specialmente di Chateaubriand, si nutriva dei suoi Saggi. In occasione di un suo discorso alla Camera dei Pari in cui, a proposito delle barricate del luglio 1830, il legittimista malcontento aveva gridato: « I nostri ragazzi di quattordici anni sono dèi giganti ! », Carlo indirizzò una lettera allo scrittore firmandosi « Carlo Loyson, gigante di quattordici anni... ».
La pietà di Carlo era profonda, sebbene in certi momenti egli avesse paura del cristianesimo che gli appariva ristretto e minaccioso, contrario all’aria che respirava e all’ ispirazione degli autori di cui si nutriva. Fin d’allora tradizionalismo e liberalismo, cioè, le due tendenze che avevano diviso la sua famiglia nelle generazioni precedenti, si combattevano nella sua anima. Ma egli si sforzava di conciliarle. Un giorno, non veduto dal padre, passando nella strada dinanzi alla bandiera tricolore issata sulla porta del rettore, fece ingenuamente una genuflessione del tutto cattolica dinanzi all’emblema rivoluzionario.
Il suo primo dubbio lo tormentò a dodici anni, nel raccoglimento stesso della preghiera e nel momento in cui stava per comunicarsi. «Se non fosse?», disse a sè stesso pensando alla presenza reale: e fu come un lugubre lampo che traversò il cielo della sua anima. Il primo grande scandalo che provò gli fu dato da colui che doveva divenir più tardi 1‘ «abbé > Listz. Il celebre pianista si trovava a Pau nel 1845... La conversazione di Listz, che parlò come un uomo senza fede, provocò nel suo giovane ascoltatore delle angoscio d'incertezza sulla verità dell’insegnamento religioso che riceveva. Questi dubbi concernevano il cattoli-cismo e anche il cristianesimo, ma non il teismo. Il Dio personale e vivente, l’esistenza, la responsabilità e l'immortalità dell'anima, la vita felice e perfetta nell’eternità furono per Carlo Loyson delle verità necessarie, come l’ha ripetuto egli stesso, alla sua respirazione morale... A diciott'anni la coscienza religiosa del giovane non conobbe più riposo. Alle volte piegava verso il dubbio, altre volte si abbandonava alla superstizione. Però fu la superstizione che ebbe il sopravvento...
Tuttavia il culto della vita di famiglia serbava nuovi tormenti a questa natura in cui l’esaltamento nasceva dalla concentrazione e che andava in cerca di un assoluto immediato. A diciassette anni, invece di prepararsi diligentemente al baccellierato in lettere, che del resto ottenne con successo, Carlo fece il sogno di ammogliarsi, di fondare una famiglia cristiana... Una giovane alsaziana, che dava lezioni di musica nel convento in cui venivano educate le sue sorelle, gli aveva ispirato una tenera passione. Contemporaneamente, con la rivelazione dei poeti
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romantici tedeschi, di cui ella gli prestava le traduzioni, s’erano risvegliati in lui i primi istinti letterari... Del resto la giovane, Felicita Langenbach, di parecchi anni più anziana di Carlo, non prese sul serio questo amore di collegiale. In fine, l’eroe stesso di questo effimero idillio, una sera, rientrato in camera, « alla luce dei raggi del sole morente » fece la rinunzia del suo sogno, e gridando, in una crisi di lagrime, verso l’amore coniugale di cui la giovane non era stata che 1’evocazione: «Felicità, io t’amerò sempre!».
Ben presto l’ardore del sacrificio lo gettò di nuovo verso un altro amore, verso un'altra forma dell’assoluto.
Al sogno del matrimonio ideale, tenne dietro quello del monachiSmo ideale...
Dall’ influenza di Victor Hugo, passò definitivamente sotto quella del padre Lacordaire, che da qualche tempo dominava il suo orizzonte. « Senza un uomo come lui - diceva egli — io non sarei più cristiano ». Si farebbe dunque religioso come Lacordaire e nel suo ordine... ; con lui lavorerebbe ad un rinnovamento della Chiesa, a una riforma religiosa necessaria di cui aveva il profondo sentimento e che sperava prossima. Carlo volle partire subito per il noviziato dei domenicani. Una seconda volta suo padre lo mise in guardia contro un entusiasmo così repentino e io consigliò a studiare nel seminario di San Sulpizio a Parigi e a entrare nel clero secolare, dicendogli, che più in là avrebbe potuto facilmente farsi frate, se fosse stato sicuro della suà vocazione...
Così Carlo Loyson entrava a San Sulpizio nell’autunno del 1845, dopo di aver fatto una visita ai padre Lacordaire...
II. Il grande seminario (1845-1851).
Carlo Loyson entrava in San Sulpicio proprio quando ne usciva Ernesto Renan. Il seminario che l’oratore ha conosciuto è dunque presso a poco quello che lo scrittore ha reso celebre nei suoi Souvenirs denfance et de jeunesse. Il Renan però ha proiettato su di un ambiente pesante e vuoto di idee i soavi colori della sua fantasia. Preoccupato di dimostrare che l’istituto in cui si era formato non era, dal punto di vista scientifico, come si credeva generalmente e con un po’ di ragione, una scuola di onesta mediocrità, il Renan ha notevolmente esagerato il valore intellettuale dei suoi maestri... In realtà, la persona più notevole della compagnia di San Sulpicio era allora Carlo Teodoro Baudry, che entrò nei seminario a Parigi solo nel 1848.
Di spirito profondamente ecclesiastico e mente speculativa, il Baudry credeva che la Provvidenza avesse fissato alla sua vita un duplice compito : « scrivere un corso di filosofia e dare una spiegazione del Pontificale... ». La sua filosofia era quella di Platone, corretta e completata da s. Agostino, Descartes, Malebranche e Leibnitz. In teologia s’ispirava più ai Padri della Chiesa che agli scolastici del Medio Evo. Era solito, anzi, di dire che solo nei Padri dei primi tre secoli va cercata la « vera » teologia... Noi non possediamo piu le sue meditazioni sul Pontificale romano che facevano tanta impressione sui suoi discepoli e che dovevano dare al Loyson una fisonomía sacerdotale incancellàbile... Nelle spiegazioni
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delle cerimonie degli ordini ecclesiastici egli si elevava alle più nobili considerazioni. In occasione della promessa del celibato, soleva tenere una magnifica conferenza sulla verginità. Mentre i suoi colleghi, secondo le tradizioni della Compagnia, esitavano di parlare dell’ amore, egli non si interdiva d’intrattenersi su questo « mistero » e vedeva nell’ unione dell’ uomo e della donna... l’atto più sublime del culto primitivo, l’estasi dell’amore umano che riconduce i due sposi all’ unità dell’amor divino... Le idee del Baudry sulla verginità lasciarono un forte ricordo nella memoria del padre Loyson che ad esse s’ispirò nelle sue prediche sulla famiglia, sul matrimonio e il divorzio (1).
Carlo ne fece il suo confessore... Il Baudry era anche un fine psicologo. Ritrasse perfettamente l'estrema sensibilità e l’inquietudine di spirito del suo nuovo penitente, il Loyson, in queste due frasi : « Voi avete l’epidermide a nudo » e «Voi rimettete sempre in discussione il punto di partenza... ». Il giornale del Loyson (20 luglio 1871) riporta un grazioso giudizio pronunciato sul Baudry da un suo amico laico: « Aveva degli orizzonti ben diversi da quelli della maggior parte dei preti. Era una donna che amava... ».
Abbandonatosi alla direzione spirituale del Baudry, alle tradizioni mistiche del seminario e al proprio temperamento, Carlo Loyson divenne un seminarista molto pio e non uno studente di teologia positiva... Alla fine dei suoi studi, Carlo si consacrò alla Vergine « come suo schiavo, secondo lo spirito del padre Grignon de Monfort ». Finché restò nella Chiesa, reputò che una delle grazie più importanti della sua vita fosse la « rivelazione » della Vergine avuta nel seminario... Egli fu principalmente un seminarista mistico...
Gli anni del seminario passarono in una tranquillità relativa, travagliata solo di quando' in quando da « tentazioni di dubbio », che egli respingeva vittoriosamente. Dall’esterno una tal pace non fu turbata che dall’idillica rivoluzione del 48...
Carlo Loyson terminò i suoi cinque anni regolamentari di studi teologici con l’anno scolastico 1849-1850... Troppo giovane ancora per venir consacrato sacerdote, risolse d’entrare nella Compagnia di San Sulpicio. Dopo un anno passato nel ritiro sulpiciano di Issy, il Loyson venne ordinato sacerdore il 14 giugno 1851 nella cattedrale di Nòtre-Dame, dove la sua voce doveva risuonare più tardi. Il giorno dopo celebrò la messa nella cappella del seminario d’Issy... Il giovane prete s’era talmente consumato in previsione di questo avvenimento, ed era talmente emaciato che si vedeva la luce « attraverso le sue orecchie di cera... ». Per un eccesso di sacrificio nella liberazione da tutti gli affetti terrestri, eccesso che più tardi doveva amaramente deplorare, non permise ai suoi genitori di trovarsi presenti a questo primo atto del suo sacerdozio, malgrado le loro vive preghiere...
Per tutta la sua vita, il 14 e il 15 giugno restarono per lui degli anniversari sacri. Meritano di venir riferite alcune delle effusioni che cinquantanni più tardi scriveva sul suo giornale in occasione di queste date.
(1) Nel suo diario scriveva il 23 gennaio 1900: « Dopo il problema di Dio, non ce n’è un altro più pratico e più profondo per l’uomo di quello della donna... Il mio matrimonio non è stato che l’applicazione delle teorie del Baudry».
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75 giugno 1901 — Cinquantanni fa... dicevo la mia prima messa... in un singolare stato d’angoscia, che non ho mai dimenticato, e in una crudele mescolanza di dubbio e di fede. Alla fine io caddi come sfinito sull’inginocchiatoio... La messa — come è intesa oggi dalla Chiesa — è stata sempre la mia grande sofferenza come la mia grande gioia... Invece, della messa, spiritualizzata ed elevata in dignità nella nostra chiesa della via d’Arras, io ho molto gioito. Io sentivo però che, nella forma, aveva bisogno ancora di grandi riforme che non mi sento la forza di attuare...
14 giugno 1904 — Cinquantesimo terzo anno del mio sacerdozio. E sempre per me un grande anniversario. La duplice e suprema fioritura della mia vita religiosa è avvenuta nel mio sacerdozio, 14 giugno 1845, e ne* m’° matrimonio, 3 settembre 1872. E duobus unum...
13 giugno 1907 — Domani... anniversario del mio sacerdozio... farò del tutto per andare a pregare a Nòtre-Dame. Non ho mai rinnegato il mio sacerdozio che è d’origine e di carattere cattolico...
zj 1908 — Oggi» cinquant’anni fa, nella cappella dei Seminario d’Issy, cantavo la mia prima messa, la messa solenne della communità. Sotto questa forma, io ero un vero sacerdote di Dio. Ed io credo di poter dire: io morirò tale.
Albert Houtin(i).
(1) Il lungo articolo è stato qua e là largamente sunteggiato e si sono omesse tutte quelle notizie che ci sono sembrate di minore interesse per il lettore italiano. (// trad.).
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L’EVOLUZIONE DELLA RELIGIOSITÀ NELL’INDIVIDUO
NO a pochi anni or sono il fenomeno religioso non era stato scientificamente e imparzialmente studiato: qualche medico e fisiologo lo aveva trattato come una manifestazione morbosa; i filosofi alla moda lo consideravano da un punto di vista puramente intellettualistico e venivano così alla conclusione che esso era una risultante dell’ignoranza, della miseria, della indisciplinata immaginazione e della debolezza di carattere dell’uomo primitivo. Sopra
tutto il fatto della fede era divenuto oggetto di derisione; fede era essenzialmente l’attitudine dello spirito di chi, o inconsciamente o di proposito, tratta come vere proposizioni che sono scientificamente e razionalmente indimostrabili, e perfino assurde o contraddittorie.
Ma da qualche tempo lo studio empirico della vita psichica ha condotto a riconoscere Che la fede è una disposizione che pervade tutti i processi, anche i più astratti e logici, della mente, orientando il pensiero e il sentimento in una direzione piuttosto che in un’altra. A poco a poco si è venuto a riconoscere che i processi della vita percettiva e rappresentativa non costituiscono che la zona più chiara e superficiale della totalità della vita psichica, mentre là zona profonda è data dalle emozioni e dalle volizioni; così tutte le abitudini o norme logiche si chiarirono, derivazioni dell'istinto di conservazione, forme ritmiche dell’esperienza.
Si vennero perciò a distinguere nell’esperienza due gradi od aspetti, quello del mondo dei valori tyjorld of description del Royce) o dei fini, e quello del mondo delle realtà tyorld of description del Royce) Il primo concerne il rapporto di amicizia o di ostilità, per così dire, che è tra il nostro interesse vitale e un dato avvenimento, il grado di soddisfazione o d'insoddisfazione che questo ci procura, e costituisce la materia dei giudizi di valore: il piacere o il dolore che un dato evento ci procura misura il suo valore per la conservazione della nostra vita. Il secondo concerne esclusivamente i rapporti tra i detti eventi, senza riferimento immediato ed anzi astraendo dal loro valore per noi o per un soggetto di esperienza in generale: è il mondo oggettivo puro e semplice. Questo però, in qualche modo, emerge, si sviluppa e si mantiene a servizio del primo, e quindi lo presuppone; esso mira a formulare tra i dati di esperienza le relazioni più atte a farne dei mezzi per la creazione o conservazione di valori vitali : è il mondo della conoscenza che sorge e si espande come mezzo al mondo dell’apprezzamento e dell’azione.
Le esperienze di valore primarie sono di tre specie : le conoscitive, le estetiche e le etiche, e danno origine rispettivamente ai giudizi di verità, di bellezza, di bontà; ove però l’esperienza del buono, come Platone aveva intuito, sembra
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fondamentale a quella della verità e della bellezza, che ne sarebbero particolari specificazioni. Ad ogni momento speciali valori possono avere in noi la prevalenza su altri, come nella storia ad ora ad ora sono prevalenti i valori etici, gli estetici o gli intellettuali; ma essi possono anche presentarsi tutti quanti come insieme concentrati, soprattutto pel predominio degli etici. In questo caso, dal rapporto tra la somma delle esperienze di valore e la somma delle realtà come meramente conosciute ed astratte dai loro valori etici ed estetici, si sprigiona il sentimento del valore della vita umana nell’ universo, che è il nucleo del sentimento religioso.
Sembra, considerando a grandi intervalli così la vita degli individui come dei popoli, che si dia in essi come un ritmo ove a periodi di concentrazione dei valori nello sforzo per crearli o conservarli unitariamente e in blocco, ne succedono altri di relativa autonomia loro.. E’ in questi ultimi che il sentimento religioso è debole, poiché si cercano e procurano valori speciali anziché la sintesi dei valori tutti quanti, e soprattutto si cercano quegli intellettuali ed estetici, in cui la zona chiara e superficiale della vita psichica è esaltata a scapito della zona più ricca e più profonda a cui partecipano gli istinti e gli impulsi più radicali dell'essere nostro, la magna pars della vita intera. E’ quando la rappresentazione puramente intellettuale o estetica o, sebbene più di raro, puramente etica dell'esperienza riesce a contrapporsi come autonoma a quella sintetica della realtà che sorge il problema religioso, il problema cioè della conservazione dei valori presi nella loro unità: soprattutto dei valori più ricchi e concreti di fronte alla egemonia minacciosa o magari alla secessione e ribellione di valori particolari.
Il problema religioso sorge quando la vita ha cessato di essere armonica e si è divisa contro sé stessa. Quando questa scissione è avvenuta e fino a che essa non si sia ricomposta, l’ istinto di conservazione dei valori vitali assume la forma di fede religiosa: si spera, si desidera che, nonostante tutte le apparenze sensibili e intellettnali in contrario, ciò Che per noi è della più alta importanza duri e debba alfine manifestarsi trionfante, e si decide di conformare la propria condotta a questa aspettativa. Dice bene 1’ Hòffding : « la fede è affine alla fedeltà e presuppone fedeltà nel proprio obbietto: è una continuità soggettiva di disposizione e di volontà che si sforza di aderire fermamente a una continuità oggettiva nella realtà ». Non altrimenti lo scienziato aderisce tenacemente alla fede che nonostante l’inestricabile intreccio dei fenomeni vi sono tra questi relazioni costanti ; non altrimenti l’uomo politico crede all’ordine nei fatti sociali pur nel momento in cui tutto sembra caos e tumulto rovinoso.
L’oggetto della fede varia nei vari tempi, luoghi, popoli e individui, ad ora ad ora suggerito dalla paura o dalla speranza, dall'egoismo o dalla simpatia, dal bisogno di concentrazione e di riposo o dal traboccare della propria felicità interiore o dal desiderio di perfezionamento, da forti bisogni intellettuali od estetici come in Platone o da un senso di confidente audacia, di fiducia lieta e serena come in Lutero e Zuinglio: ma sempre è concepito in termini di qualche esperienza tipica che sembra proiettare una special luce rivelatrice su tutte le altre e che sola pare degna di servir di modello, di criterio, di guida infallibile, e che quindi diventa per noi una autorità irresistibile. Così l’intera fede cristiana
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l’evoluzione della religiosità nell’individuo
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riposa sulla irresistibile autorità che ha l’esempio della vita personale di Cristo sui cuori dei suoi fedeli ; questi non possono a meno di riconoscerla sui generis e più di ogni altra incomparabilmente rivelatrice: quell’esempio fa appello alla loro fedeltà e lealtà assoluta. In ogni determinato momento storico vi sono esperienze di valore, vite, che sono capaci di raggruppare intorno a sé più uomini di altre, e di creare fedi collettive ; e queste si propagano e si modificano incessantemente diffondendosi nel tempo e nello spazio. Infatti ogni nuova esperienza di valore intellettuale, etico ed estètico modifica la rappresentazione sintetica dell’oggetto in cui si ripone la sintesi di tutti i valori per mezzo di un incessante processo di critica istintiva, a un tempo disintegratrice e ricostruttiva, ove la speranza, il desiderio, l’istinto di conservazione religiosa senza tregua eliminano ciò che è divenuto inutile e dannoso ed assimilano ciò che risulta nuovo elemento di forza.
La psicologia generale della fede religiosa è così arrivata a riconoscere in essa una funzione normale, non in contraddizione colla vita percettiva e intellettuale, ma che giace ad uno strato più profondo, da cui quella emerge ed affiora restandone costantemente pervasa; a riconoscere nella fede religiosa la forma più elevata e concreta dèli’ istinto di conservazione, sia poi che si voglia in questo vedere un fatto esclusivamente biologico, sia che, notando che in questa ipotesi il contenuto della fede è reso illusorio e la fede stessa diventa sterile, si preferisca confidare nella verità della progressiva definizione che della vita ci dà la fede stessa nelle sue forme più alte e feconde.
Con le nozioni qui delineate possiamo ora avventurarci verso una sommaria coordinazione dei dati d’osservazione dello sviluppo e della funzione della credenza nella vita individuale.
Pel bambino, che appena si desta alla vita cosciente, ogni presentazione della sua mente è un oggetto reale;' l’irreale è per lui una impossibilità assoluta, il dubbio è inesistente; la stessa idea del possibile è per lui un’impossibilità psicologica: presentazione e realtà coincidono. In conseguenza di ciò egli crede tutto quanto sente dire da altri. Noi medesimi assomigliamo ai bambini più di quél che si creda; infatti solo in una infinitesima minoranza di casi, noi dubitiamo dèlia realtà degli oggetti delle nostre rappresentazioni, e sempre, in ogni caso, il primo impulso è di assentire a questa realtà, dubitando solo quando non ne possiamo a meno. Noi in realtà ci sforziamo di credere il più possibile ad ogni cosa; la credulità è la nostra condizione naturale di spirito, da cui nessuno, eccetto che in ¡sparsi momenti della sua giornata ed in relazione a pochissime cose, completamente emerge. Il senso che più immediatamente ed irresistibilmente ispira la nostra fiducia è quello della vista; il senso del tatto e il senso muscolare godono poi della stima di una Corte di cassazione suprema; la loro funzione non è già più che di controllo. Dopo il senso della vista quello dell'udito è il più suggestivo di tutti; ma la fiducia in esso viene presto ad abbisognare del controllo di quello della vista e del senso tattile e muscolare, che è il controllo per eccellenza. Il potere cioè di adoperare i vari sensi come strumenti di reciproco controllo, il potere di istituire tentativi sperimentali e di valutarne le conseguenze non si sviluppa che molto gradualmente nel bambino e non è usato che con la massima persimonia e riluttanza.
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Le cose che più interessano il bambino dapprincipio sono le persone da cui ottiene la consueta soddisfazione dei suoi più urgenti bisogni ; esse sono per lui le realtà per eccellenza, e diventano i modelli sui quali va a poco a poco costruendo l’idea di sè stesso come persona, e di quelle realtà sempre meno analoghe alle personali che divengono per lui gli animali, le piante e in genere le cose. Il mondo gli si presenta essenzialmente come una società di personalità di vario grado: società che per analogia egli tende a concepire in modo analogo alla famiglia, e quindi come governata e presieduta da una persona al cui sapere ed alla cui potenza, come a quella del suo genitore, il bambino non sa pensare alcun limite. Si può affermare senza tema di contraddizione che il bambino arriverebbe da solo, anche senza l’intervento di suggestioni da parte di altri, a postulare l'esistenza di uno o più poteri personali supremi regolatori degli avvenimenti che si svolgono intorno a lui : e ciò perchè, sia nelle realtà esterne che più l’interessano, sia dentro di sè, la personalità è il fatto che gli apre la via alla interpretazione di tutti gli altri.
Una concezione personalistica e teleologica della realtà è uno stadio necessario nello sviluppo della mentalità infantile: il concetto di realtà impersonali non ne deriva che per via di astrazione. Quindi si può anche affermare che, pel solo fatto di essere abituato nelle sue relazioni coi parenti o con altre persone, con cui si sente in rapporto di dipendenza e d’inferiorità, a chiedere, pregare, supplicare, a manifestare affetto, riverenza o timore, il bambino, anche senza suggestioni da parte di adulti, sarebbe irresistibilmente tratto per analogia ad 1 adoprar questi stessi modi di propiziazione per rispetto a fenomeni cosmici, grandi o piccoli, di fronte a cui si sente come in presenza di realtà superiori anche a quelle delle persone che stima tanto più possenti di lui : ossia, a postulare tutta una metafisica religiosa ed a crearsi un completo cerimoniale (i).
Tali considerazioni bastano a mostrare la normalità dello sviluppo religioso nel fanciullo come parte e momento del suo sviluppo psichico generale.
Per altro, nella realtà dei fatti, queste tendenze sono aiutate ed alimentate dalle suggestioni dell’ambiente sociale, dagli insegnamenti paterni e materni, dai discorsi di altre persone, soprattutto dall’esempio, che queste dànno, di credere all’esistenza di poteri personali superiori al loro, con preghiere, supplicazioni» periodiche offerte di sacrifizi ed atti di culto. Per mezzo di tutte queste suggestioni il bambino si vede come anticipata la risposta a tante difficoltà che altrimenti dovrebbe superare da sè, e assai più ricca e compieta. La sua mente si viene così abbeverando alle fonti della religiosità altrui, così come alle fonti della vita sociale ambiente, si viene abbeverando in materia di giuochi, di arte, di cultura pratica ed intellettuale. Il bambino crede per autorità, meccanicamente, semplicemente, perchè così gli si dice di fare e perchè vede che altri fanno così.; la sua naturale tendenza a credere diventa in tal modo una tendenza a credere sull’autorità della parola altrui e soprattutto dall’altrui esempio. Ei non saprebbe resistere, non saprebbe non imitare: in materia emozionale ed intellettuale egli
(i) Vedi Stanley Hall: The religione contení of thè child-mind, in Principies of reli-gious education, New York, 1901, e in Baldwin: Elhical and social inlerprelalion, i capitoli sul sentimento e le sanzioni religiose, 1902.
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l’evoluzione della RELIGIOSITÀ NELL’INDIVIDUI
III
ha paura di essere solo così come ha paura di essere lasciato solo; al buio; egli prova il bisogno di sentirsi sorretto nei suoi tentennamenti emozionali ed intellettuali così come ha bisogno di sentirsi sorretto o vigilato nel muovere i primi passi.
L’autorità ha un’immensa parte anche nella vita di noi adulti, sia nella forma del costume, della tradizione, della moda, sia nell’istintiva adozione dei modi di pensare, d’agire, di sentire di coloro che sono del medesimo nostro partito o mestiere, della nostra classe sociale o professione ; il resisterle esige sempre un grande sforzo, il trionfarne è penosissimo, di pochissimi ed in pochissimi punti, e spesso fatale: figuriamoci nel caso dei bambini! Ed è per mezzo delle varie forme di autorità, più o meno esprimentisi in determinate istituzioni, che la società continua a compiere in forma infinitamente più vasta, complessa e ricca la stessa funzione protettiva, alimentatrice e provvidenziale della madre nella famiglia, evitando gli urti e le discontinuità, preparando ed anticipando questioni e risposte, e fornendo, nel senso della propria conformità alla vita sociale, il sentimento della sicurezza di sè.
Questa forma di credenza per autorità subisce però presto una notevole modifìcaziene ; avviene al bambino di incontrare qualcuno che contraddice quello che egli ha sentito dire e crede per sentito dire ; ei sente e si accorge che pur tra gli adulti non vi è sempre accordo. In questo momento la credenza per autorità da inconsapevole diventa consapevole, e si afferma di ritenere che una cosa è vera perché l’han detta o la credono vera il papà o la mamma o il maestro. Non si deve però confóndere questa con quella forma di credenza per autorità ch’è, ad esempio, la fede nei nostro medico, nell’architetto, in questo o in quell’autore. In questo caso noi abbiamo buone o cattive ragioni per la nostra attitudine; nel caso del bambino allo stadio che stiamo considerando si tratta del richiamo ad una o più forme e fonti di autorità che ancora sopravvivono al crollo di altre, ed a cui ci legano motivi emozionali ed istintivi di preferenza e fiducia. Nel primo caso si crede perchè abbiamo trovato ragioni di credere; nel secondo si continua a credere perchè la nostra fede originaria ed istintiva non è ancora stata scossa. In quello l’autorità è stata più o meno razionalmente ricostrutta; in questo non è ancora stata distrutta; e fra i due sta di mezzo una lunga crisi.
Nella fase, di cui ci stiamo occupando, noi assistiamo al progressivo arricchirsi della futura personalità del bambino, ed al graduale aumento del suo potere di assimilare sempre nuove esperienze e di affermarsi sempre più autonomo di fronte ad esse, senza che il principio di una completa autonomia sia per altro possibile. E intanto di pari passo il dominio dell’autorità esterna va ritirandosi, e non permane che nella misura e nei modi in cui è richiesto dall’imperfetta sebbene crescente autonomia della personalità del bambino. Questo aumento della iniziativa emozionale ed intellettuale di esso è in ragione inversa delle alterazioni che egli fa subire alle cose che gli si insegnano per adattarle alla propria mentalità. Infatti prima è massima la perversione che per opera sua subiscono le cose insegnategli : il bambino cerca di assorbire l’insegnamento più che può letteralmente, ma non ci riesce che in minima misura. Solo a poco a poco la perversione necessaria diminuisce, mentre il bambino traduce nel proprio linguaggio il linguaggio degli adulti ; così ei non può a meno di raffigurare in termini degli
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oggetti e delle persone più famigliari ciò che gli si dice in linguaggio astratto di Dio e del Cielo. Ma in questo stesso sforzo di traduzione la sua mentalità si fa più simile all’adulta, e lo sforzo per tradurre si fa minore, perchè i due linguaggi sono già più vicini ; fino a che viene un momento, che più o meno persiste per tutta la vita, in cui le variazioni nel linguaggio sono minime, e a mala pena ed inadeguatamente lasciano trasparire le ricche variazioni di significato che le medesime parole coprono in adulti o adolescenti. E’ questo lo Stadio in cui Dio appare come un uomo che versa a secchie l’acqua dal cielo, scuote tra loro le nubi per produrre il tuono, porta via i morti, distribuisce i bambini, pone a letto il sole e la luna, getta a terra la lucerna per produrre il fulmine, accende le stelle, ecc., e scrive tutto il giorno su di un gran registro le azioni buone o cattive di ogni uomo. Un razionalismo altrettanto ignorante quanto pretenzioso può ridere di tutto ciò come di superstizione fanciullesca o selvaggia ; l’educatore ed il filosofo devono cercare di scoprire sotto la metafora grossolana la funzione che essa compie, l'interesse che la suscita; poiché il bambino è l’essere più pratico ed utilitario che si possa immaginare, e la sua teologia risponde ad esigenze definite della organizzazione della sua esperienza.
Se noi cerchiamo di riassumere i caratteri generali della religione dell'infanzia, oltre la credulità, troviamo che essa è eminentemente esterna ; nei bambini l’obbedienza, nelle bambine l’imitazione ne sono elementi cospicui ; non mancano tuttavia esempi di dubbio precoce o perfino di completo abbandono della fede. Il bambino, in secondo luogo, si sente intimamente connesso col suo mondo soprannaturale; Dio è un personaggio concreto del suo mondo cui egli volge domande, da cui crede di ottenere risposte, .con cui mercanteggia favori. La paura ha certo la sua parte.
[Continua). ANGELO CRESPI.
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DI ALCUNE MEDAGLIE RELIGIOSE
DEL IV SECOLO
i. Diritto. ALEXSADRI. Testa giovanile di Alessandro il Grande, coperta dalla pelle di leone, volta a sinistra.
Rovescio. DN IHV XPS DEI FILIVS. Asina, a destra, con la testa un po’ abbassata, e allattante un asinelio. Sopra, uno scorpione.
Bronzo, diametro mm. 20, peso 3 gr. 05, buona conservazione. Medagliere della Biblioteca Nazionale di Parigi. Tavola, num. 1.
2. Dir. ALEXAND[ER]. Testa giovanile di Alessandro, coperta dalla pelle di leone, con acconciatura diversa dalla precedente, volta a destra.
Rov. Senza leggenda. Asina, a destra, con la testa eretta, allattante un asinelio. Sopra, uno scorpione.
Bronzo, diametro mm. 15, peso 3 gr. 15, cattiva conservazione. Medagliere della Biblioteca Nazionale di Parigi. Tavola, num. 2. [Manca nel Cohen].
3. Dir. ALEXXANDR. Testa giovanile di Alessandro, di tipo diverso dalle precedenti, coperta dalla pelle di leone, volta a destra.
Rov. Ercole nudo in piedi a sinistra, tenendo la clava nella destra e dando l'altra mano a Minerva elmata, che è in piedi a destra, con uno scudo ai piedi e tiene un'asta.
Bronzo, diametro mm. 15, peso 2 gr. 80, buona conservazione. Medagliere della Biblioteca Nazionale di Parigi. Tavola, num. 3.
4. Dir. ALEXSANDR. Tipo simile al precedente.
Rov. Due figure nude, in atteggiamento erotico; una itifallica alata, l’altra appoggiata a un vaso.
Bronzo, diametro mm. 12, peso 1 gr. 80, buona conservazione. Medagliere della Biblioteca Nazionale di Parigi. Tavola, num, 4.
5. Dir. IOVIS FILIVS. Busto di un imperatore imberbe laurato e con il paludamentum, volto a destra.
Rov. Asina, con la testa alta, allattante un asinelio, a destra.
Bronzo, diametro mm. 11, peso 1 gr. 15, cattiva conservazione. Medagliere della Biblioteca Nazionale di Parigi. Tavola, num. 3. Le lettere sono alterate, e perciò si può credere che si tratti di una cosa sola — in quanto al diritto — con il tipo seguente:
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6. Dir. D N HONORIVS P F AVG. Busto di Onorio laurato e con il palu-damentum, volto a destra.
Rov. ASINA. Asina, con la testa bassa, allattante un asinelio, a destra.
Bronzo, diametro mm. 12. Eckhel Vili, pag. 173 ; Cavedoni in Rev. Num. 1857, pag. 310, n. 4; Cohen Vili, pag. 323, n. 405 [da Tanini; manca a Parigi].
7. Dir. D. N. VA... S (?) P. F. AVG. Busto diademato e drappeggiato di Valentiniano II o III, a destra.
Rov. D. N. IHV. XPS. DEI. FILIVS. Asina allattante un asinelio. Sopra, uno scorpione.
Piccolo bronzo. Cohen Vili, pag. 323, n. 404, lo indica come esistente a Parigi, ma vi manca.
8. Dir. ALEXANDER. Busto giovanile di Alessandro il Grande, coperto dalla pelle di leone, volto a destra. Davanti al mento un simbolo inciso, composto di una ó' entro un cerchio, da cui partono otto segni a forma di croce ansata.
inciso nel mezzo del campo, racchiuso in due cerchi concentrici.
Br onzo, contorniato. Diametro mm. 40, peso 23 gr. 30, buona conservazione. Museo Sacro della Biblioteca Vaticana. '1 avola, num. 6 (1).
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Ai numismatici non è ignota questa serie di monumenti moneti formi, databili alla fine del IV secolo o al principio del V, che offrono la caratteristica di portare dei tipi pagani mischiati con leggende e simboli cristiani. Tuttavia, non ci sembra fuor di luogo tornare sull'argomento che non si può dire sia stato esaurito, benché lo abbiano trattato scrittori eminenti come il Cavedoni, il De Rossi, il Babelon.
Fu il Montfaucon il primo a far conoscere uno di questi singolari pezzi (il num. 1), la cui impronta gli era stata mandata dall’Italia: egli ne riconobbe il carattere di talismano e lo accordò col passo di s. Giovanni Crisostomo, che più sotto vedremo, in cui si parla di talismani costituiti da monete di bronzo con l’effigie di Alessandro il Macedone, modificando anzi erroneamente l’espressione yakzz in monete (Toro, modificazione arbitraria suggerita forse dal
pensiero che il pezzo fosse d'oro, mentre è di bronzo (2). il Vettori volle sostenere che si trattasse di Alessandro Severo (3), e una polemica lunga si svolse
(1) Ringrazio vivissimamente il prof. Ernesto Babelon, conservatore del Gabinétto Numismatico alla Biblioteca Nazionale di Parigi, e il cav. Camillo Serafini, direttore del Gabinetto Numismatico Vaticano, di avermi favorito gentilmente i calchi delle rare medaglie ripro
dotte nella tavola.
(2) Montfaucon, L’antiquité expliquée, Paris, J719, t. II, pag. 2, tav. CLXVIII, pagina 372 ss.
(3) Vettori, De vetuslale et farina mono-grammalis SS. Nominis Jesu, Romae, 1797.
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DI ALCUNE MEDAGLIE RELIGIOSE DEL IV SECOLO
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fra lui (i) e il Paciaudi che fece di questi pezzi un’esatta interpretazione circa la cronologia, rilevando l’impossibilità di assegnarli al periodo dei Severi (2). Il Greppo, basandosi sulla erronea attribuzione, li ritenne falsi (3).
L’Eckhel (4), con quella misura e con quella sicurezza che metteva nella sua illustrazione alle monete antiche, assegnata la serie dei bronzi con l’asina lattante ai tempi di Onorio, prendendo per base il tipo num. 4 con al D. la testa e la leggenda di Onorio, osservava all’ idea del Tanini (5) il quale spiegava questi singolari pezzi come emanazione satirica di pagani contro Onorio il quale aveva severamente represso i culti degli Dei e aveva visto appunto nell’asina una satira contro i cristiani, accusati di adorare quell'animale, che non si poteva ammettere questo scopo nella coniazione dei nostri pezzi, sia perchè i cristiani e i giudei, in caso, erano accusati di adorare la testa d’asino, non l’asino intiero o l’asina lattante come abbiamo qui, sia perchè non possono dimenticarsi gli altri tipi consimili con l’asina al R. ma che al D. non hanno più la testa di Onorio, bensì quella di Alessandro. L’Eckhel volle piuttosto vedere nel tipo singolare un simbolo cristiano, di cui gli sfuggiva il significato esatto, nello stesso modo che il tipo del pesce adombrava il nome del Salvatore.
Nelle ricerche degli studiosi sull’accusa di onolatria e di onocoitismo di cui i cristiani furono addebitati, i nostri pezzi hanno servito agli argomenti più svariati, ma più o meno fondati : e poiché le ipotesi senza sostegno non si possono difendere, nè rigettare, non ci attarderemo su un esame ozioso (6). Il Lenormant pose questi pezzi fra le medaglie talismaniche e vide nel tipo misterioso l’asina che, secondo i Vangeli, accompagnò Gesù nel suo ingresso trionfale in Gerusalemme (7).
Il soggetto fu preso e trattato con quell’acume che gli era proprio dal Ca-vedoni (8) che dette una descrizione esatta dei pezzi, riconobbe nel simbolo del contorniato il simbolo del Sole, e opinò che si trattasse di amuleti, fatti da qualche superstizioso cristiano dei iv o del v secolo, o da gnostici o basilidiani che si servivano di queste medaglie come di pietre astrifere, per propaganda delle loro dottrine. L’eminente numismatico non dava però spiegazioni alla sua tesi, accettata poi dal De Rossi (9) e accettata ultimamente dal Babelon (io) il quale però ha voluto dare per il tipo dell’asina la spiegazione del Lenormant (11).
(1) VEttori, Epistola ad virum cl. P. PI. Paciaudi de Musei ricforii emblematae et de non-nullis numismatibus Alexandri Severi seeundis caris explanalis, Romae, 1747; Dissertano apologetica de quibusdam Alexandri Severi numismatibus, Romae, 1749.
(2) P. M. Paciaudi, Osservazioni sopra alcune singolari e strane medaglie, Napoli, 174S.
(3) J. G. H. Greppo, Dissertations sur les lara ires de l’empereur Alexandre, Belley, 1834, Pag- 3i, 53(4)J. H. Echkel, Doctrina nummorum veterani, Vindobonae, 1798, t. Vili, pag. 173 s.
(5) Tanini, Numism. imp. Romanoriim, Romae 1791.
(6) Leclercq, in Dici, d’arch. chr. di Ca-brol, t. I, col. 2066.
(7) F. Lenormant, La monnaie dans l'antiquité, Paris, 187S, t, I, pag. 43.
(8) C. Cavedoni, Médailles du temps d’Honorine portant des signes chrétiens mêlés à des types païens, in Rev. Num., Paris, 1857, pag. 309 ss., tav. VIII.
(9) G. B. De Rossi, Le medaglie di devozione dei primi sei o sette secoli della chiesa, in Bull, di ardi. cr. Roma, VII, pag. 61.
(io) E. Babelon, Traité des monnaies grecques et romaines, P. L, t. I, col. 6S4.
(11) H. Cohen descrive questi pezzi al t. Vili, pag. 322 s. della sua Description hist. des mon-
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Prima di compiere un esame sui pezzi in parola, da cui cercheremo di trarre una spiegazione alla stranezza dei tipi, la quale ci potrà dire la ragione e l’orii gine di tali pezzi, ci sembra notevole non porre in seconda linea quei document-paralleli che ci possono aiutare nella nostra ricerca e senza i quali, diremo di più, l’esame sarebbe difettoso. Tali documenti sono di due specie : figurati e scritti. Ecco i primi:
A. Contorniati, con al D. il tipo di Alessandro (i).
Non staremo a dare una descrizione minuziosa di questi pezzi, che si potrà trovare nel Sabatier: il Cohen ha raccolto quelli col tipo d’Alessandro dal n. 18 al n. 58 nel t. Vili, pag. 276-281. Nel diritto portano il busto o la testa di Alessandro, coperto dalla pelle di leone, o diademato e la leggenda ALEXANDER MAGNVS MACEDON con diverse varianti, qualche volta in greco AAE-SANAPOC BACIA EVO. Nel rovescio abbiamo:
1. SOLI INVICTO. Il Sole in quadriga di fronte.
2. Apollo, Diana e il serpente Pitone (?)
3. Ercole corrente o che combatte un centauro.
4. MATRI DEVM SALVTARI. Cibele turrita su un trono, sotto il peristilio di un tempio, fuori del quale è Atti in piedi.
5. IIAP0ENO1IE. Partenope assisa sulla spiaggia; vicino il fiume Sebeto.
6. Bellerofonte che combatte la Chimera.
7. Scilla, circondata dai cani, e Ulisse su una galera.
8. Donna turrita seduta fra un guerriero e altra donna turrita in piedi; quattro sfingi e due fiumi.
9. Apollo Che scaglia la freccia al serpente Pitone.
io. Due figure assise su una roccia; nel mezzo un albero, sotto, un serpente.
11. Olimpia, madre di Alessandro.
12. Alessandro su Bucefalo.
13. La Lupa che allatta i gemelli.
14. Il ratto delle Sabine.
15. Rappresentazioni varie del Circo.
16. Rappresentazioni varie di caccia.
Esistono altri pochi rovesci, con tipi speciali ; i tipi del circo e della caccia ricorrono con molta frequenza e in molte varietà.
naies frappici ìouì l’Empire romain, Paris, 1S92, 2 éd. Il pezzo n. 2 è descritto dal Ca-vedoni, e in nota (Rev. Nitnt., 1857, pag. 3x0) J. de Witte asserì che esiste al medagliere di Parigi, ma sfuggì a Cohen.
(i)Per contorniati s’intendono quei pezzi monetiformi che rientrano nella categoria dei cosidetti medaglioni, e che hanno un cerchio all’orlo da cui prendono il nome. Sabatier,
Description gin. des médaillons conformâtes, i860 ; Cavedoni, Oss. crinelle sopra gli antichi med. coni., in Noi. intorno alla vita di moni. Cavedoni, Modena, 1863 ; Robert, in Rev. Num., Paris, 1868, 1885; >n Ann. de la Soc. de Num., Paris, 1879. 1881 ; in Rev. belge de num., Bruxelles, 1882; Gnecchi, in Riv. il. di num., Milano, 1S95, 1898, ecc.
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B. Contorniati con altri tipi. Oltre i suddetti contorniati ne esistono altri, senza la testa di Alessandro, ma con tipi del rovescio consimili ; hanno al dirittto la figura di divinità o di uomini illustri, eroi, filosofi o poeti e al rovescio le rappresentazioni varie del circo, 0 scene di storia romana, 0 scene mitologiche, ecc. Questi tipi hanno fatto avvalorare l’ipotesi che i contorniati si usassero come amuleti contro le malie, dal cui timore erano presi i lottatori del circo e i cacciatori.
C. Altre monete e medaglie, gemme, vetri, rappresentazioni varie simili ai tipi dei nostri pezzi si riscontrano nel materiale archeologico: li ricorderemo volta per volta, quando sarà necessario. Ma vogliamo notare come, fin da principio, sia necessario tener conto di questo materiale che si riallaccia ài piccoli monumenti che studiamo.
I documenti scritti sono poi i seguenti :
A. S. Giovanni Crisostomo, alla fine del IV secolo, rimproverava a certi cristiania di Antiochia l’uso di portare al collo o ai piedi delle medaglie di Alessandro il Macedone: No(uco;xaT% '/’¿k/.ì. ’Afcs(cwfov TOÓ MxzsSóvo? zsoccXcdc zaì T0% “OGI TCSf’.SsGUO'ivTWV (l).
B. Trebellio Pollione, al principio del IV secolo scriveva che la famiglia del tiranno Macrino attribuiva all’ immagine di Alessandro un carattere superstizioso e custodiva molti oggetti in cui era riprodotta quell’immagine: Dicuntur juvari in omni acto suo, qui Alexandrum expressum vel auro gestitaùt vel argento (2).
Esistono altri passi di scrittori, specie di Padri della Chiesa, in cui è accennato all’uso degli amuleti e degli incantesimi presso i cristiani : ma non è il caso di citarli, giacché si riferiscono meno direttamente alla nostra questione (3).
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Passando ora ad un esame dei nostri monumenti che abbiamo chiamato pezzi monetiformi, cerchiamo innanzi tutto di chiarire se si tratti di moneta vera e propria, oppure no. Per il contorniato (num. 6) la risposta è immediata : esso rientra in una categoria ben nota ai numismatici (come i pezzi A, num. 1-16) in cui è evidente e ormai indiscutibile l’asssenza del carattere di moneta legale.
Degli altri pezzi ne esistono due (i num. 6 e 7) che hanno al diritto l’aspetto di vera moneta, per le leggende e il tipo dell'imperatore. L’Eckhel descrisse il num. 6 fra le monete di Onorio, come pure il Mionnet, mentre il Cohen le classificò fra le tessere. Il diritto ha, veramente, l’aspetto di moneta: è simile a quello dei piccoli bronzi di Onorio e di Valentiniano I e II. In quanto al rovescio, il tipo è così caratteristico, che è inutile avvertire che non si trova alcun riscontro, anche lontano, con i tipi delle monete degli stessi imperatori, non solo, ma di tutta la serie imperiale.
(1) Ad illuni. Calechum. Hom. Il, n. 5. in Palr. gr. t. XLIX, c. 240.
(2) Triginti 7yranni, XI IL
(3) Agostino, Servi. CLXIII, in Palr. lai.
t. XXXVIII, colonna 889; Cesario, Senno, CCLXXIX, 4; in Palr. lai., t. XXXIX, colonna 2272 ; Atanasio, Fragnienta, in Palr. gr., t. XXVI, c. 1319, ecc.
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Che non si tratti di monete, si desume da varie circostanze. Il tipo dell’asina lattante ricorre accompagnata con l’effigie di Onorio e di Valentiniano, ma anche con quella di Alessandro Magno ; ora quest’ultima effigie non poteva esser raffigurata su una moneta, quindi non si tratta che di una medaglia o di una tessera. E se è tessera l'una, debbono esser tessere anche le altre: la somiglianza del tipo rivela chiaramente che si tratta di una stessa emissione, dalla stessa fonte, giacché non si può pensare che lo Stato abbia copiato per le monete un tipo di tessere private, nè che abbia permesso che i privati si servissero dei tipi ufficiali per le loro medaglie. Il tipo dell’imperatore, invece, era potuto liberamente usare; anche oggi, nelle medaglie delle associazioni, ricorre l’effigie del re, benché tali medaglie non siano affatto l’emanazione dèi governo. La leggenda del R. del num. i è uguale a quella del num. 7 : è una leggenda cristiana, ma le monete di Onorio, di Valentiniano, eoe., ripetono monotonamente le leggende CONCORDIA AVGG, VICTORIA AVGVSTORVM, ecc., e soltanto dei simboli secondari ci riferiscono che siamo in tempi cristiani, mentre i tipi principali permangono pagani. La figura dell’asina lattante, strana, insolita, e la leggenda cristiana, non si sarebbero potute adottare nella monetazione ufficiale, special-mente in tempi in cui le zecche governative riproducevano per ragioni di arte e di politica i tipi stereotipati dèlia monetazione pagana.
Ci troviamo quindi di fronte a delle medaglie, nome generico con cui possiamo intendere quei pezzi monetiformi mancanti del carattere legale della moneta di Stato.
Queste medaglie sono tutte di estrema rarità : i piccoli bronzi del iv-v secolo sono, generalmente, comuni : dobbiamo pensare quindi che se ne dovette coniare un numero limitatissimo di esemplari, oppure che vi siano state ragioni per il loro sequestro e la loro distruzione.
L’epigrafia è propria del iv secolo. Nel num. 1 la leggenda ALEXSADRI, scorretta e con elemento greco misto al latino, può dirci che si tratti di una colazione a cui non era estraneo in qualche modo un influsso greco. Si confrontino i contorniati con leggenda greca per intiero. Al rovescio l’abbreviazione IHV al luogo di IHS per Jesus, non si accorda col nominativo XPS {Chrislud\ DEI FILIVS (ij: e l’errore si ripete nel num. 7, che ha al diritto il tipo di Valentiniano, ciò che può significare la contemporaneità dell’emissione. Del resto i tipi e le leggende ci mostrano un tale concatenamento, che non si può fare a meno di dire che si tratta di una emissione speciale, fatta in una sola volta o al più in due o tre volte, ma con la stessa direttiva.
Non potendo, per queste ragioni, supporre due emissioni a distanza notevole l’una dall’altra, si potrebbe stabilire che l’epoca in cui tali medaglie sono uscite è quella di Onorio: il num. 6 ne porta il busto e la leggenda, mentre il tipo del rovescio vien ripetuto con la testa di Alessandro. Il fatto che il num. 7 ha il busto e la leggenda di un Valentiniano non deve meravigliare: sotto Onorio i piccoli bronzi degli imperatori anteriori dovevano essere comuni, e gli autori delle nostre tessere che si trovavano a copiare le monete in corso copiarono tanto
(1) Cavedoni, op. ciL, pag. 3x1.
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il ritratto di Onorio, quanto quello di un Valentiniano. Del resto, anche nella monetazione ufficiale di quei tempi è ben nota la confusione di quelle monete in cui vediamo il busto di un imperatore con la leggenda di un altro. Quindi si possono assegnare le nostre medaglie al periodo che corre dal 393, anno in cui Onorio fu nominato Augusto, al 423. epoca della sua morte.
Il luogo di coniazione è Roma: dove esclusivamente tali pezzi si sono rinvenuti.
La ragione di queste medaglie si potrà vedere da uno studio accurato sui tipi: ma, intanto, possiamo escludere l’idea che si tratti di medaglie satiriche contro il cristianesimo e contro Onorio. La medaglia con l'effigie di Onorio non ha alcuna leggenda cristiana, ma la sola figura dell’asina: se si fosse trattato di vera satira, certamente si sarebbe aggiunta un' iscrizione come quella del num. 1. Ma una Volta che il tipo dell'asina accompagnato con quello di Onorio è anche, a sua volta, accompagnato con quello di Alessandro negli altri pezzi, vuol dire che non si riferisce a Onorio esclusivamente, e che l’effigie di Onorio ha lo stesso significato di quella di Alessandro contro il quale, certamente, non vi era ragione di far della satira anti-cristiana; quindi le medaglie sono state emesse con un significato serio.
Che si tratti di medaglie di semplice adornamento è anche da escludersi. L’antichità non conobbe la medaglia nel senso moderno della parola, e non abbiamo medaglie antiche fuse o coniate a scopo di bellezza per adornare le persone : bensì usava per adornamento le monete o le pseudo-monete che avessero pei loro tipi un carattere talismanico contro gli incantesimi, le fatture, ecc., 0 che avessero un effigie religiosa di cui il culto fosse tenuto in particolare onore. Ma tutte queste monete e pseudo-monete che subirono nell’uso tale adattamento sono bucate per essere appese al collo o ribattute agli orli per esser cucite o rilegate in cerchi (1): questi particolari mancano nei nostri pezzi che, piuttosto, appaiono come tessere di riconoscimento o medaglie religiose, giacché il carattere religioso è evidente, benché oscuro.
Alle piccole medaglie abbiamo unito il contorniato, ed abbiamo datato quelle all'epoca di Onorio. II contorniato, invece, dev’essere anteriore, e deve rientrare nella classe ben nota, anzidetta, dei medaglioni contorniati col tipo di Alessandro e deve essersi trattato qui di un esemplare a rovescio liscio. Il simbolo nel diritto e il monogramma nel rovescio sono incisi : si tratta di aggiunte, dunque, praticate in un'epoca più o meno vicina a quella dell’emissione del pezzo. Ma se confrontiamo i due simboli incisi con i simboli delle altre medaglie in parola vediamo uno spiccato nesso ideologico, che più sotto investigheremo : questo ci ha fatto concludere che ad uno stesso periodo di tempo e ad una stessa fonte dobbiamo far risalire e le piccole medaglie e l'adattamento del contorniato.
(1) J. Leite de VASCONCELLOS, Signification religieuse, en Lusitanie, de quelques monnaies percées d’un trou, in Archeologo Portugués, 1905, pag. 169 ss. ; F. Lenzi, Appunii
su alcune monete bucale: il loro significato religioso in Portogallo e in Italia, in Rassegna Numismatica, 190S, pag. 31 ss.
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Queste medaglie appartengono dunque ad un momento importante della storia religiosa di Roma, a quel IV secolo in cui il paganesimo già condannato non mancava, in una delle sue disperate e geniali risorse, di persistere contro il cristianesimo, diremo meglio accanto al cristianesimo.
Quali fossero le condizioni religiose di Roma alla fine del IV secolo è ben noto: si verificavano ancora i frutti del sincretismo del ni secolo, in cui parve che il Pantheon romano volesse abbracciare tutte le divinità straniere e arricchire il suo smagliante esercito politeista, mentre in realtà preparava il terreno al monoteismo, che il cristianesimo avrebbe fatto definitivamente trionfare. Il popolo romano, per tradizione, era in religione sincretista: esso si sentiva trasportato per le divinità straniere, che a volte identificava con le proprie, che a volte anteponeva alle altre.
Diremo di più, il paganesimo era essenzialmente sincretista, giacché anche i Greci avevano arricchito il loro Olimpo di elementi stranieri, e Roma fu tributaria alla Grecia tanto di divinità greche che di divinità straniere più o meno ellenizzate, nello stesso modo che gli dei egiziani, prima di passare a Roma, erano stati modificati ad Alessandria.
Parallelamente a questa continua azione sincretista che raggiunse nel sec. ni il suo più alto sviluppo, il sentimento religioso subiva a Roma un’evoluzione, una di quelle crisi spirituali che lasciano nella storia delle orme incancellabili. Dopo l’ultimo tentativo di Marco Aurelio, la cui filosofia si riattaccava ancora al mondo antico, e che fu la fine dello stoicismo, si risvegliò nella società pagana un bisogno ardente di credere, una preoccupazione costante per la vita futuia, e all’ idea dell’eroismo, substrato dell’ ideale religioso pagano, si sostituì quella della santità, che fu il principio dell’ascetismo, le cui esplicazioni furono la ricerca del perdono, l’espiazione delle colpe, la preoccupazione per la moralità, l’amore dell’ ignoto, e quindi dei mistèri e delle iniziazioni. Mentre il popolo, e con esso i soldati e l’imperatore, rendeva gli onori alle divinità nuove e vecchie, indigene ed esotiche, senza rendersi conto delle contraddizioni in cui cadeva, la società colta idealizzava questo sincretismo, spiegava l'allegoria dei misteri e tendeva ad unire le verità comuni a tutte le religioni in una verità unica superiore. Le imperatrici intellettuali del in secolo e soprattutto Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, i cui saloni erano frequentati da sofisti — sofista ella medesima — contribuirono non poco, nella società elevata, a diffondere le nuove preoccupazioni morali che i filosofi neopitagorici andavano a inculcare, per raggiungere il grado elevato di Apollonio, l’uomo ideale secondo Filostrato (i).
Ma tanto dal sincretismo quanto da queste speculazioni intellettuali rimanevano fuori il giudaismo e il cristianesimo : i tentativi degli gnostici non turbano che in un modo effimero la solitudine di quest’ultimo.
(i) Reville, La religion à Rome sous les Sévères, 1S86.
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Non altrettanto fu dì un’altra religione parimenti orientale, dotata di principi morali e di valori religiosi superiori, e Che parve dovesse prendere una preponderanza tale da far indietreggiare il cristianesimo avanzante : intendiamo dire il mitriacismo. Non importa, per il nostro scopo, soffermarci sull’essenza e sugli aspetti della figura di Mitra: figura complessa quanto mai, di cui le proprietà morali si confondevano con le proprietà religiose, e in cui gli elementi astronomici, derivati dalle influenze caldee, si amalgamavano con le idee morali escatologiche e mistiche dovute al zoroastrismo iranico. La concezione metafisica e la morale mitriaca si fondono sul dualismo mazdeista, in cui Ormuzd e gli yazatas che personificano la luce, la bellezza, la perfezione, sono in lotta con Ahriman e i dévas, i geni delle tenebre e del male: il buon mazdeista deve combattere il male e preparare il trionfo di Ormuzd sulla terra. Negli inni dei Veda e del-l’Avesta Mitra è celebrato come un genio della luce, che non è il sole, nè alcun altro astro, ma una divinità superiore, infallibile, produttrice, consolatrice. Per tali caratteri troviamo nei monumenti accoppiati Mitra e il Sole e, in altri, l’episodio di Mitra col toro in cui è simboleggiata l’azione fecondatrice del Dio: Mitra uccide il toro, il cui sangue, sparso sulla terra, la feconda, benché gli emissari di Ahriman, lo scorpione e il serpente, tentino di succhiare il liquido e di arrestare l’azione benefica del dio lucifero e benevolente (i). Nell’impero romano questo strano culto che conduceva alla meditazione e suggestionava con le sue pratiche è i suoi misteri astrologici doveva ben presto assurgere a grandi onori : e là stessa politica imperiale, che poneva il Sole al disopra di ogni altra divinità, e identificava la persona dell’ imperatore col Sole stesso, doveva favorire naturalmente questa diffusione. Nelle iscrizioni Mitra è chiamato Sol invictus Mithra, oppure Dominus, Summus, ’'ì’òwtos, Gmnipotens, fupiter, Sanctus, Incorni-ptus, llaT^o, Genitor, ecc.; in altre la sua figura è sdoppiata da quella del Sole, ed è quando più ci si avvicina al carattere orientale che distingueva le due figure : Sol socius (2).
La posizione del mitriacismo nell’impero romano doveva pertanto essere questa: favorito dall’ambiente proclive ad arricchire il suo esercito di divinità, qualunque esse fossero, dal momento particolare in cui gli animi si sentivano trasportati verso i misteri di cui non si rendevano conto e Che diventavano perciò delle astruserie, dalla crisi morale che, per un’altra strada, aveva fatto diffondere il cristianesimo, dalle speculazioni filosofiche della gente colta, stanca di un politeismo confusionario e avido di una forma più pura di religione che concentrasse nel Sole l’essenza suprema del dio generatore e benevolente, dalla politica imperiale che assimilava la persona dell’imperatore alla divinità somma della luce, il mitriacismo dovette essere diffuso nei centri colti, nei circoli religiosi,
(i)Cvmont, Textes et monuments figurés relatifs aux Mystères de Mithra, 1S96 e 1S99, 2 vol. (bibliografia ivi, t. I, pag. xxi); Gas-qu et, Essai sur le culte et les mystères de Mithra, 1899; Grill, Die persische Misterien-religion und das Christenthum, 1905 ; Roese, Ueber Mithrasdienst, 1905 ; Wolff, Heber Mithrasdiensl und Mithreen, 1909 ; Toutain, La légende de Mithra, in Rev. d'hist. des religions, 1902, pag. 141 ss.
(2) Cumont, Textes et mon., t. II, pagina $7-184. Nell’Avesta il diodel Sole, Khor-shed, èdistinto da Mitra: Darmesteter, A-vesta, t. II; pag. 441 s.
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a corte, fra le cariche civili, fra i militari e i partigiani dell’imperatore, mentre non doveva fiorire fra gli elementi della borghesia provinciale (i).
Nel iv secolo, in cui il mitriacismo rapidamente cadeva, gli ultimi sforzi di esso furono diretti a tentare una fusione col cristianesimo; e la grande somiglianza fra le pratiche e la dottrina di Mitra e di Cristo dovette far sembrare possibile questa fusione. Le invettive dei Padri della Chiesa si spiegano appunto, più che nella rivalità, nel fatto della straordinaria somiglianza dei dogmi e dei riti delle due religioni (2), che essi spiegano come una contraffazione satanica della verità cristiana.
Mentre il paganesimo agonizza (3) il manicheismo succede al mitriacismo e si diffonde nell’impero al iv secolo: in una sottile unione fra Zoroastro e Cristo, esso porta questa singolare formula d’abiura: 'Ava^sjzaTi^o tov; tòv Zapafe zac BouSav zac tòv Xp'.-rròv zac tov Mavc/aìov zac tÒv ’'HXcvv sva zac tov aùròv slvac Xsyovra; (4). Ormai il paganesimo era morto, ma non era finita la sua eredità: le sette pullulavano e, in quasi tutte, le speculazióni gnostiche richiamavano alla memoria il dualismo mazdeista, fatto già trionfare in Mitra. Così il priscillia-nismo. scomunicato a Cesaraugusta nel 380, era pervaso da speculazioni mitologiche ed astrologiche, cosi il panteismo imbeveva i basilidiani dei suoi complicati dettami.
* » *
Da una di queste sette uscirono le medaglie che abbiamo preso a trattare. Non sarebbe agevole, certo, stabilire a quale setta si debbano attribuire, ma un esame dei tipi ci potrà dire, come noi crediamo, che si tratti di un ultimo e pallido riflesso del mitriacismo, accompagnato col cristianesimo in uno dei disperati e fantastici tentativi dell’anima religiosa romana alla fine del IV secolo.
La figura dell’imperatore, usata come motivo religioso in epoca cristiana, non deve meravigliare: anche dopo Costantino il culto imperiale continuò ad essere in onore in tutto l’impero. L'imperatore vivente è, sempre, il Sole (5), a lui si dedicano i templi (6), è chiamato Numen meum (7), mentre gli Augusti
(i) Cu mont, Les reli ions orientales dans le paganisme romain, 2-^éd., 1909; Toutain, Les cultes païens dans P Empire romain, 1911.
(2) Toutain, cultes païens, pag. 177. Per queste analogie v. le op. cit., passim-, per l’ispirazione dell’arte cristiana dalla mi-triaca, Cumont I, 220, ecc.
(3) Allard, Le Paganisme Romain au IV siede, in Rev. des quest, hist., 1892. Negli ultimi anni del iv secolo Paolino da Nola, nel Poema ullimum, (ed. Bursian, Sitsungsb. Philol. Klasse Akad. München, 1880) scriveva : Quid quod et Ihvìctum spelaea sub atra re-[condurti Quemque legunt tenebrie ardent hune dicere [so lem?
Quis colai occulte lucem sidusque supermini Celet in infernis nisi rerum causa malorum?
Per la persistenza del paganesimo a Roma nel v secolo ricordiamo la serie numismatica imperiale, con il tipo del Sole (Cohen, Description, passim) e le tavolette magiche pubblicate da Wunsch, Sethianisdie Verfluchung-slafeln, 1898, pag. 53 ss.
(4) Kessler, Mani, 18S9, pag. 404.
(5) Cesano, in Rassegna Numismatica, 1911, pag- 35 ss.
(6) Per esempio il tempio di Romolo dedicato a Costantino; Aurelius Victor, De Caesar. 40, 26.
(7) Codex Just., De Justin. Cod. confirm., 2 ; Symmacus, Retai¡ones, passim.
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son chiamati aeterni (1), domus divina la famiglia imperiale (2), e sacro è tuttociò che l’imperatore usa (3). Il volto dell’imperatore è quindi soggetto all'adorazione: non siamo più ai primi tempi dell'impero, in cui era severamente proibito riprodurre le sembianze imperiali in medaglie private, ma si lascia che ciò avvenga per la maggior diffusione del culto stesso. Le statue imperiali ricevono, dai cristiani Stessi, sacrifici, luminarie, preghiere (4), sacri vultus, sacra ¡aurata sono le immagini dell’imperatore, venerabiles formae sono chiamate le monete che le riproducono, mentre i falsi monetari son detti sacri oris imitatore*, divi-norum vultuum adpetitores (5). Il tipo dell’ imperatore in una medaglia esclusiva-mente mistica ha pertanto questo significato politico-religioso: nell’imperatore che fa parte della dinastia solare, si onora la divinità suprema dello Stato. Egli è, quindi, non soltanto il figlio del sole o Sol socius come Mitra, ma è Soie egli stesso, come già si erano dichiarati tali i re di Persia e di Egitto e come per primo Antonio aveva osato dichiararsi, prima in Oriente, poi a Roma stessa (6), seguito dagli imperatori che posero sulle monete la corona radiata, simbolo del sole (7). Con questo significato in cui la politica aveva maggior parte che la religione, e che l’opportunismo imperiale aveva tolto agli usi mistici e misteriosi delle dinastie asiatiche ed egiziane, si spiega, anche in tempi cristiani, la persistenza del tipo del Sole nelle monete di Stato, in cui l'antica divinità indigena, protettrice dei giuochi e delle lotte del circo, è stata assorbita dalla concezione orientale-ellenica, per diventare esclusivamente la rappresentanza simbolico-reli-giosa dell’imperatore regnante.
La figura di Alessandro il Macedone a cui si è applicato il simbolo astrologico, non è meno chiara; si tratta di Alessandro-Sole, tipo già noto nella statuaria, e derivato naturalmente dalla concezione arcana della divinità imperiale che Alessandro aveva tolto agli usi orientali e imposta ai popoli soggiogati e agli stessi Greci. Fu Alessandro infatti che, più che per orgoglio, dovette per opportunità assumere gli stessi attributi dei sovrani orientali i cui paesi ormai eran passati sotto il suo dominio e, primo greco, riuscì a farsi tributare onori divini. Come i Faraoni di Egitto sono le incarnazioni successive del Sole, Se Rà, figlio del Sole (8), e il re di Persia è Dio (9), così Alessandro riuscì non solo a farsi dichiarare figlio di Zeus, ma ad imprimere tanto nell’anima popolare questa elevazione che pur ripugnava, sulle prime, ai sentimenti greci, che anche
(1) Corpus Inscrip. Latin., II, 2203, 2205; Vili, 8480, 10222,10272; IX, 417,2206; Corpus Inscript. Gtaec. 3467, 4350, 4430, 8610, 8646 ; Codex Theod., X, 22, 3; Cod. Just., XI, 2; Amm. Marcellinvs, XV, i.
(2) C. I. L., Vili 1781; Vili 12, 10489; Bull, de PAcad. d’Hippone, XIX, pag. 26.
(3) Beurlier, Essai sur le culte rendu aux Empereurs romains, 1890, pag. 285.
(4) Phi lost, Hist. II, 18: Kat tía Kwvctcmtwm eír.sva tía èst tov íropoupoy xíovoc taTautvav, Svasate tí tXáazsaSat, Xv/voxalat; za: Svatauaa: Ttuav, za: iv/.à; spsaá^tt* Osò ; s. Girolamo,
hi Daniel III, iS in Migne, Pair. Lal. XXV, 509; s. Ambrogio, Hexameron VI, 9, 57, in P. L. XIV, 266; s. Giov. Dam. Or. de ima?. Ill, 41, in Pair. Gr. XCIV, 1357.
(5) Cod. Theod. IX, 38, 6, ecc.
(6) Cesano, in Boll, dell’Ass. Archeologica Rom., 1912, pag. 231 ss.
(7) Rassegna Numismatica, 19ir, pag. 53; Cohen, passim.
(8) Maspero, Hist. anc. des peuples de PO-rient, 1SS6, pag. 46.
(9) Eschilo, Perses, v. 157.
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BILYCHNIS
Testa del Campidoglio.
dopo la sua morte la figura di lui rimase circonfusa di un’aureola di divinità e fece sorgere una leggenda eroico-religiosa le cui traccie si riscontrano persino nel medio evo (i).
E’ naturale pensare come, essendosi già dato al culto di Alessandro tanta diffusione e tanta molteplicità di aspetti, che lo faceva qui Mercurio., là Bacco., là ancora Ercole, ecc., si sia nel IV secolo, imbevuto d’influenze mitriache e in genere orientali, che davano al Sole il più grande posto nel culto, tanto più che, pur essendo ormai in tempi cristiani, tale culto pagano era favorito anche dagli imperatori, si sia pensato di dare ad Alessandro l’attributo del Sole, derivazione logica nel trionfare del sincretismo che tende ad assimilare tutti gli dei, rendendoli emanazioni della forza suprema — il Sole —- preparando così il vero terreno del monoteismo.
Il simbolo è, dunque, quello del Sole. Il disco da cui si partono i raggi è la rappresentanza ideografica dell'astro luminoso, mentre la lettera è la rappresentanza fonetica di Sol. Già in un denaro di C. Coelius Caldus abbiamo, presso la testa radiata dal Sole, la lettera 5 (2) e lo stesso simbolo si ha in un’iscrizione greca di Efeso (3).
La concezione di Alessandro come Sole doveva apparir notevole : il grande numero di contorniati con al diritto al testa di Alessandro a cui più sopra abbiamo accennato e che per le loro
rappresentanze del rovescio si rivelano in relazione stretta coi giuochi del circo, ci dice che la figura di Alessandro doveva esser ritenuta di buon augurio per i
(i)Spiegel, Die Alexandersage bei den Orientale/!, 1S61 ; Zacher, Pseudocallislhenes, 1867 ; Clesz, Die Alexandersage ini Morgen-lande and in Europe, Stuttgart, pag. 113; P. Mayer, Alexandre le Grand dans la littérature française au moyen âge, 1886; D. Car-RAROLi, La leggenda di Alessandro Magno, Mondovi, 1S92. Una moneta antica, con l’immagine di Alessandro, forata e quindi usata come amuleto fu dal Terrin (Mémoires de Trévoux, Mars 1711 pag. 484 ss.) attribuita al gran re, ma appartiene veramente alla Macedonia romana, e vi si legge il nome de)
quaestor AESILLAS (cfr. Rassegna Numismatica 1908, pag. 32).
(2) Borghesi, Œuvres complètes, 1S62, decade VI, oss. 9; Grueber, Coins of the Roman Republic, 1910, I, pag. 474. Si ha anche A per Apollo sui danari di C. Considius Paetus, L per Lycia su un aureo della Servilia, «I» per Philippas, nei denari della Marcia, ecc. Borghesi, decade Vili, oss. Vili; decade XIV, oss. IV ; Babelon, Monnaies de la Rép. Rom.; Grueber, op. cil., passim.
(3) Corpus /user. Grace., 2S95.
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Di ALCUNE MEDAGLIE RELIGIOSE DEL IV SECOLO
,25
giuocatori : ora, il Soie era anch'esso il protettore delle gare e delie lotte, e il suo tempio si trovava appunto presso il circo Massimo, in cui con l’ampliamento di quello fu poi incorporato (i).
Ma, a proposito dell' identificazione di Alessandro col Sole, vogliamo ricordare alcune strane coincidenze che si possono rintracciare nella statuaria.
'lesta del Campidoglio. — E’ una testa di Alessandro, di cui ha i tratti fisionomici bene spiccati : i fóri denotano che dovevano esservi fissati dei raggi metallici. Abbiamo dunque un Alessan-dro-Helios. Helbig ricorda che il culto di Helios era fiorente a Rodi e che il più celebre scultore del luogo fu Chares, allievo di Lisippo. Plinio parla di statue di Filippo e di Alessandro dovute a uno scultore Chaereas : pare che si tratti di un errore di copista, e che Chares sia appunto l’autore della statua di Ales-sandro-Helios, da cui sarebbe derivata la copia del Campidoglio, e anche della statua colossale di Helios, che rese tanto celebre Rodi (2).
Testa di Boston. — E’ lo stesso motivo di quello della testa del Campidoglio : non ne è una copia, ma la derivazione di uno stesso tipo, il tipo di Chares secondo Helbig. Amelung osserva però che l’originale di Chaereas era in bronzo, mentre il tipo di Boston fa pensare a
un originale di marmo ; e che la testa di Helios di Rodi, riprodotta sulle monete, non somiglia a questa (3). Reinach risponde che il fatto che l'originale sia stato un marmo non è certo, e che la replica del Campidoglio fa invece pensare a un modello di bronzo, e in secondo luogo che niente obbliga ad ammettere che 1’ Helios colossale abbia dovuto essere identico o simile a un Alessandro-Helios uscito dalla stessa scuola (4).
Testa di Firenze. — E’ la testa in marmo di un eroe morente: fu creduta per molto tempo una rappresentanza di Alessandro. Ma dopo la scoperta del grande fregio di Pergamo dove figura un giovane gigante nella stessa espressione e nella stessa attitudine, vi si è riconosciuto un gigante fulminato della scuola di Pergamo (5). Reinach osserva però che anche nell’antichità doveva verificarsi
Testa di Boston.
(1) Cesano, in Boll. dell’Ass. Ardi. Romana, 1912, pag. 235; Tacit. Ann. 15, 74.
(2) Helbig, Mommi. ani. Lincei, VI, 1S96, pag. 724(3) Amelung, Boll, comunale, 1S97, pag. 140.
(4) Reinach, Recueil de Utes anliques, 1903, tav. 250, pag. 203.
(5) Amelung, Führer in Florenz, Uv. 24, Pag- 95.
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Testa di Firenze.
in arte un’analogia fra i due tipi, e Alessandro morente poteva esser rappresentato come un giovane gigante atterrato, e un gigante atterrato poteva prendere i tratti di Alessandro (i).
Testa del Laterano. — Fu trovata ad Ostia, e pubblicata dal Visconti nel 1848 (2): egli vi ravvisò Atti, l’amante di Cybele. Si trovò in un santuario nelle vicinanze del tempio di Cybele, che ricorda la disposizione dei mitrei : il pavimento era decorato di mosaici rappresentanti un uomo barbato, una civetta (o un corvo), un gallo, uno scorpione, un serpente, una testa di toro. Accanto alla testa di Atti fu trovata anche una testa radiata del Sole (3).
In queste quattro teste abbiamo dei caratteri comuni : innanzi tutto la capigliatura è trattata nello stesso modo e la sofferenza, che giunge alla più alta espressione nella testa di Firenze, è adombrata ma presente in quelle di Boston e del Campidoglio, non meno che in quella del Laterano. Tuttavia si scorgono le differenze essenziali della scuola di Rodi (Boston e Campidoglio) e di quella di Pergamo (Firenze e Laterano). Nei due primi abbiamo, senza contrasti, il tipo ideale di Alessandro-Sole : una visione di beatitudine pervade il volto, con una sfumatura di malinconia; pare che la bocca si apra come ad invo
care un nome desiderato o a seguire una visione che sfugge. Il carattere doloroso, accentuato nella testa di Boston, fa pensare a qualcosa di più complesso di una rappresentanza di Alessandro-Helios : per esempio di un Atti-Helios sotto le sembianze di Alessandro. Allo stesso modo, la figura del fregio di Pergamo può aver riprodotto, nel gigante, il tipo idealizzato di Alessandro.
Atti, sacerdote di Cybele e da lei amato, morto giovane per lei, divenne nel sincretismo il dio solare, amato dalla madre universale, con cui divideva la supremazia :
MvjTspï sávrwv 'Pêwj tszsìov ts ysvs^Xo) ’’AttsI SóÒ'<ttw za». cùvfevrt tó zav (4).
(1) Reinach, op. cil.t pag. 187.
(2) Ann. dell’Itisi. di Corr. Ardi., 1S68, pag. 4Ji.
(3) Cumont II, pag. 414: Paschetto, Ostia,
storia e monumenti, 1912, pag. 374 ss.
(4) Henzen-Orelli, 6046; Ann. dellTnsl. 1869, pag. 236 ss. ; Macrob., Sat. I, 21, 7 Julian, Orai. V.
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DI ALCUNE MEDAGLIE RELIGIOSE DEL IV SECOLO
127
L’influenza frigia sul sentimento religioso di Roma, già imbevuto di mitria-cismo, accompagnò il culto di Atti con elementi naturalistici-astrologici che tanto ascendente esercitavano sui Romani : Atti, così, è l’essere supremo il cui ermafroditismo lo fa bastare a se stesso nella generazione degli umani, là cui evirazione simboleggia l’inverno in cui la Natura si addormenta per svegliarsi, nella più sfrenata allegrezza, al ritorno del nume che va a nozze, immagine chiara del corso del sole, nei due solstizi d’estate e d’inverno. Così sul suo berretto frigio son posti i raggi del sole, che si convengono alla personificazione dell’astro del giorno, mentre la mezzaluna lo indica come menotyrannuSy come Belo, dio solare dell'Assiria è chiamato Menis magister nello stesso modo che la mezzaluna ha una gran parte nelle rappresentanze di Mitra, divinità primieramente solare.
Ora, se confrontiamo le teste di Boston e del Campidoglio con quelle di Firenze e del Laterano vi scorgiamo dei caratteri fisionomici comuni, propri di Alessandro (2), mentre là malinconia delle due prime non può non paragonarsi al dolore delle due seconde. L’artista che eseguì, per un tempio di Ostia, la immagine di Atti-Sole si deve essere ispirato, con esito più o meno felice, a un modello derivato dalla figura del fregio di Pergamo, come l’autore della testa di
Firenze deve aver ricorso a una fonte simile. Ma nel fregio di Pergamo si debbono essere adoperati nella figura del gigante i tratti fisionomici di Alessandro, mentre l’espressione non serena delle teste di Boston e del Campidoglio non è senza significato e potrebbe avere riallacciato l’idea di Alessandro-Helios con. quella di Atti-Helios.
Testa del Laterano.
* * *
Ma il tipo enigmatico di questa serie di medaglie è costituito dall’asina che allatta un asinelio e che, come abbiamo visto, è stato diversamente interpretato.
Abbiamo già escluso le ipotesi di coloro che vi vedono una satira o una ingiuria per il cristianesimo e per Onorio; l’opinione dell’Eckhel non è meno insostenibile, giacché se Si volesse pensare a un vero simbolo cristiano dovremmo pure averne qualche altra traccia nei monumenti e nei testi. E anche l'idea del
(1) Ann. dell’Inst. 1868, pag. 232.
(2) U.iFALVY, Tybe phisique d’Alexandre le Grand, 1902.
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Lenormant e del Babelon, che si tratti dell’asina dell’ingresso in Gerusalemme, non ci persuade molto, soprattutto perchè non comprendiamo la ragione che doveva farla raffigurare appunto nel momento delle sue funzioni materne.
Le proprietà e i significati che nei testi, nei monumenti, nelle tradizioni, prese l’asino delle leggende cristiane sono ben distinti. Nella calunniosa interpretazione popolare deH’onolatria, la rappresentanza dell'asino ha i caratteri esagerati e mostruosi propri del ridicolo, e cioè rasino crocifisso nel graffito del Palatino (i), il dottore onocefalo che istruisce due scolari in una gemma incisa (2), Gesù con le orecchie d’asino in un’altra gemma incisa (3), l’asino sulla cattedra con la scolaresca nella terracotta di Napoli (4). L’asino di Betlemme ha il ben distinto carattere di essere sempre accompagnato col bue, nei sarcofagi cristiani che si assegnano al iv secolo e prima (5), mentre rasino della fuga in Egitto non fa che un’apparizione effimera e tarda nell’arte cristiana, nell’affresco della chiesa copta di Deir Abou Hennys, presso Antinoe in Egitto (6), e nell’avorio della cattedra detta di Massimiano a Ravenna (7). L’asina dell’ingresso in Gerusalemme quale si riscontra nei sarcofagi e in qualche altro raro monumento, sempre di epoca tarda, non ha maggiori legami con quella riprodotta nelle nostre medaglie: nei sarcofagi l’asina è, innanzi tutto, senza asinelio e naturalmente, ciò che la caratterizza, è cavalcata da Gesù (8) : Gesù è anche raffigurato, cavalcando in un diaspro verde del Museo Britannico (9). In un sarcofago l’asina è scortata dall’asinelio (io).
Nelle nostre medaglie, invece, l’asina non è cavalcata, ma è riprodotta nel momento in cui allatta, ciò che — a nostro avviso — non entra per nulla con l’idea dell’asina di Gerusalemme. Non ci esimiamo, infine, dal ricordare la coppa dorata di uso cristiano, nel cui fondo è figurato un asino corrente, col campanello al collo, e scritto sopra ASINUS(n). Questa’coppa rivela un’origine gnostica, una unione fra la figura di asino del dio Sabaoth, come dice S. Epifanio, e quella dell'asino dei culti di Vesta, di Bacco, di Vulcano e di Priapo (12).
Se cerchiamo nel paganesimo ci potrà invece apparire più facilmente la ragione per la quale, ad una setta gnostica del iv secolo, il tipo dell'asina poteva accentrare il carattere naturalistico di riproduzione e di fecondità che il mitra-cismo, con il mito del toro, aveva impresso nel sincretismo religioso del in secolo.
Si sa quanto gli antichi si dilettassero dei giuochi di parole, ed esercitassero la loro fantasia sulle assonanze: così il nome greco dell'asino óvo; accostandosi
<i) V. bibliografia in cabrol e leclercq, Monum. Eccl. Liturg. 1902, t. I, pag. 3520.
(2) Cabrol, Dici, (Carchi. chirét. I, cól. 2045.
(3) Babelon, Guide illustré au Cabinet de la Bibl. nat. 1900, pag. 274.
(4) Helbig, in Bull. dell’Inst., 1S82, pag. 44; Wissowa, ivi, 1890, t. V, pag. 3.
(5) Cabrol, 1. c., c. 2047 ss.
(6) Bull, de Cinsi. français d’arch. orient., 1902, t. II, tav. 2.
(7) Venturi, Storia dell’arte italiana, 1901, I, pag. 317.
(8) Venturi, o/>. cil., I, pag. 196 s.; Roller, Les catacombes de Rome, 1881, t. II, tav. LX, n. 3, 4.
(9) Dalton, Catalogue of Christian antiqui-lies, 1900, pag. 14, n. 90.
(io) Bosio, Roma sotterranea, 1632, pagina 63.
(ri) Garrucci, Peiri ornali di figure in oro trovali nei cimiteri cristiani di Roma, 1S64, pag. 211, n. io, tav. XXXVII, n. io.
(12) Daremberg e Saglio, Dici, des antiq. grecques et romaines, s. v.
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a quello del vino oìvo; si volle porre in relazione i due elementi, e dal fatto che rasino ama mangiare le foglie di vite sulla pianta stessa, Pausania dice che quell’animale aveva insegnato il taglio della vigna (i). L’asino, quindi, simbolo del vino e dell'ebrezza, personificando la stessa produzione della gradita bevanda, fu posto in stretta relazione con i culti di Dioniso e di Sileno, mentre rimase onorato nelle terre vinicole: sulle monete di Mende in Macedonia si ha il tipo del mulo itifallico per alludere alle ricche vigne del paese che producevano quel vino raccomandato dai medici (2). In Etruria, la testa d’asino ricorre su alcune monete e sul bel vaso da vino, proveniente da Chiusi, su cui è anche dipinta una scena pornografica, gli effetti dell’abuso del vino nelle donne (3). Questo ci dice come le due idee dell’asino e del vino fossero così strettamente associate, mentre ci persuade che l'asino era tenuto in onore nel paganesimo, mentre era disprezzato fra i cristiani e non poteva assurgere a simbolo religioso se non in una setta eretica (4).
Nelle pratiche mitriache il vino aveva una parte preponderante. Nell’Avesta, Haoma è non soltanto il liquore che proviene dalla pianta omonima, ma anche la personificazione di un essere vivificante (5), identificato con Dioniso in occidente (6) dove essendo l’haoma sconosciuto si era rimpiazzato nel rituale mitriaco col vino. Di qui provengono le rappresentanze di Mitra con grappoli d’uva (7). La vigna, secondo il Boundahish, è nata dal sangue del primo toro (8): il suo frutto è ora usato nel sacrificio del celebrante mitriaco, che consuma, dopo averli consacrati, del pane, acqua e vino, compiendo così la commemorazione rituale del festino che Mitra aveva celebrato col Sole prima di ascendere al Cielo. Questa Strana somiglianza col rito cristiano doveva ben suscitare delle meraviglie. Come dalla comunione cristiana, il fedele di Mitra attendeva dal vino — a cui era ammesso dopo un lungo noviziato — degli effetti salutari, anzi l’immortalità, giacché alla bevanda erano attribuite delle virtù soprannaturali.
L’asino di Dioniso, già emblema della vigna, si poteva quindi far accostare — reso in caratteri femminili e colle sue funzioni materne — con l’idea della vigna stessa, da cui proviene la bevanda sacra: 1*immaginazione gnostica non era nuova a questo genere di trasposizioni e niente di più naturale che per simboleggiare la salute eterna, il principio benefico, siasi scelto il tipo dell’animale dionisiaco, già inteso come affine alla produzione del vino, la bevanda che contiene nel rito mazdeista la potenzialità per raggiungere la grazia eterna.
(1) Paus., t. II, col. 38.
(2) Babelon, Traité des mon. gr. et rom. I, 2, pag. 1130; Demosth., in Lacrit. 594. 596; Hippocr., De internis affect., XVII; Froehnbr, in Ann. de la Soc. de numism., t. IH, pag. 54.
(3) NofiL des Vergers, L’Etrurie et les Elrusqiies. 1862-64, t. III, pag. 9, tav. II.
(4) Omero paragona Aiace a un asino {Iliade, II); vedere un asino era buon presagio e vi credevano Alessandro, Mario. Augusto ; è inutile ricordare: citiamo le opere sull’asino di Agrippa, Apuleio e Luciano. I Padri della
Chiesa, invece, davano all’asino quel posto infimo a cui è assegnato anche oggi, e vi vedevano il simbolo della Gentilità : S. Girolamo, Epil. Paulae, in Patr. tal. t. XXII, c. S87, ecc.
(5) Spiegel, Eran. Alterili., t. II, pag. 114 s.; De HarleZ, Avesta, pag. chi; Da'rmeste-ter, Zend~ Avesta, t. I, pag. 79.
(6) Roscher, Lexicon, s. v.
(7) Cumont, op. cit., mon. 69, fig. 62; mon. 251 e.
(8) Boundaish, XIV, 1 (West, pag. 46); ZAd-Sparam, IX, 3 (West, pag. 17S).
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BILYCHNIS
« » «
Sopra la figura dell’asina è posta quella dello scorpione (1), il cui carattere astronomico è evidente. Mentre il toro marca l’equinozio della primavera, in cui la Natura si desta alla vita, lo scorpione invece marca l’equinozio dell’autunno in cui la terra cade in letargo. Così, nelle speculazioni astrologiche, lo scorpione divenne un principio malevolo, un nemico della generazione, e nel Boundahish (2) esso è al primo posto fra gli esseri nocivi creati da Ahriman. Come nel mito avestico di Gayòmart, divorato da Ahriman, quando quest’ ultimo arriva alle parti genitali dell’eroe ne cadono due spruzzi che fecondano due arbusti da cui nasce la prima coppia umana (3), così nelle rappresentanze di Mitra in cui si celebra l’idea generatrice, l’emissario di Ahriman è lo scorpione che cerca di impedire l’azione benefica di Ormuzd. 11 mito di Mitra tauroctono è ben noto, ed è rappresentato in una infinità di bassorilievi (4): Mitra conduce il toro nella caverna, io uccide, ne fa cadere il sangue sulla terra per provocare la generazione: ma lo scorpióne succhia nelle parti genitali il seme della vittima tentando di impedire la vita terrestre (5). Abbiamo così nel toro, segno zodiacale della primavera, il principio della fecondazione, della vita, del bene, laddove nello scorpione, segno zodiacale dell’autunno, abbiamo il principio del male e della morte.
Non altro significato dovette avere lo scorpione nelle nostre medaglie : nel tipo dell’asina che simboleggia la produzione della bevanda sacra e dello scorpione che simboleggia l’azione malefica, abbiamo i due elementi avversi di ogni religione, il principio del bene e il principio del male.
* * *
Il carattere astrologico di queste medaglie, espresso dallo scorpione, e dal simbolo solare, e che ce le ha fatte connettere al culto di Mitra — sia pure ad una deformazione del culto di Mitra, propria della fine del iv secolo — non contraddice per nulla ai simboli e alle leggende cristiane. Abbiamo qui, come si è detto, un tentativo di armonizzare la vecchia con la nuova fede, in una delle tante esplicazioni che ci son note dai testi e dai monumenti : e nessuna religione, meglio del cristianesimo, poteva prestarsi a una fusione con il mitriacismo, con cui aveva dei caratteri comuni. I pagani credevano che i cristiani adorassero l’astro (6), mentre i manichei identificavano in realtà il Sole nella persona di
(1) Tanto la figura dell’asina che dello scorpione non hanno a che fare con tipi consimili già usati nella numismatica greca e ror/ana, e ci esimiamo perciò dal parlarne. Per esempio l’asino è usato come simbolo, per ricordare il nome del monetario, in alcune monete della repubblica romana (Babelon, Descr. des monti, de la Rip. Rom., 1886, passim) e lo scorpione nelle monete dei dinasti di Commagene, dove è dato posto ai segni zodiacali. Il denaro di L. Aquiilius (Babelon, I, pag. 217, n. 11) è dubbio ; vi è poi qualche altro esempio, che è inutile ricordare.
(2) III, 15 (pag. 17 West).
(3) Albìrùnì, Chron. (trad. Suchan) pagina 107, 30 ss.; 108, 22 ss.; Boundahisch, XIV, 1 ss. (52, West).
(4) Cvmont, op. cit., passim.
(5) Altri due animali compaiono in azione, il cane e il serpente, i quali pure leccano il sangue del toro. Ma il carattere clonico dei primo non è certo : può darsi invece che rappresenti un principio buono.
(6) Alti humanius et verisimilius soletti ereditili dentri nostrum, Tertull., Apoi. 16.
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Gesù(i). Nella stessa letteratura cristiana l’uso delle metafore in cui Cristo è paragonato al Sole, doveva far sorgere presso i pagani l’idea che Gesù non fosse altri che il Sole: e il Sol invictus di Mitra si doveva confondere con il Solfasti-tiae che è il Redentore (2).
Nè contraddizione vi è con i tipi di Ercole e di Minerva e con la scena erotica, bacchica delle medaglie nn. 304. Anche in altri monumenti i culti di Mitra e delle deità romane o romanizzate sono fusi e confusi: Ercole è inden-tificato con Verethraghna (3), Minerva con Anàhita (4), Bacco con lo stesso Haoma, la cui importanza nel culto mitriaco abbiamo rilevato. Una statua di Mitra lo rappresenta con un grappolod’uva in mano; un grappolo porge il Sole a Mitra, sulla scena di un bassorilievo (5). Nella scena erotica, in cui una figura è appoggiata a un grande vaso, potremmo vedere una relazione puramente ideale, non cronologica o artistica, naturalmente — con il vaso di Chiusi : avremmo cioè il vaso da vino e, nella scena, un effetto dell’abuso di esso. Questo soggetto, del resto, è affine ad altri usati nelle spinirie (6), su cui non è stata detta ancora dai numismatici l’ultima parola. Ma preferiamo lasciar dei particolari insoluti anziché arrischiare delle ipotesi ardite : ci basti soltanto aver passato in rassegna i vari simboli delle strane medaglie e averne rilevato il carattere prevalentemente astrologico.
Da quale setta siano esattamente uscite le medaglie non possiamo dire : ma evidentemente, dovè trattarsi di una setta in cui il dualismo, il naturalismo, e l astrologia dovevano avere parte preponderante: ciò che ci ha fatto pensare ad una persistenza della religione di Mitra, più o meno deformata. Ma un altro elemento vogliamo rilevare : le traccie di greco nelle leggende latine scorrette. Tutto ci fa pensare dunque a una setta gnostica che in sul cadere del iv secolo fece coniare queste medaglie destinate ad uso di propaganda, e diventate poi rare perchè la Chiesa cattolica si sarà presa cura di incettare e di distruggere questi piccoli monumenti che alteravano la verità cristiana e che, appunto perchè piccoli, erano facili a diffondersi mentre per i loro tipi suggestivi riuscivano ad esercitare un ascendente sulle menti deboli e proclivi all’eresia (7).
Furio Lenze
(1) Baur, Manich. Religion, pag. 295.
(2) Per il sole simbolo di Cristo v. Cumont, ob. eil., I, pag. 355. Per la data del Natale, trasportata al 25 dicembre, in cui si celebrava il natale del Sol invictus, v. Corpus Inscr. Lai. P, pag. 338; Usener, Das Weihnacht/est, 1889, I, pag. 214 ss.; Cumont, I, pag. 342.
(3) Cumont, op. eit., Il, mon. 246c, 263-terc, 6°; I, pag. 143(4) Id., I, pag. 148.
(5) Id., pag. 147.
(6) Si vedano le tessere descritte dall’Eckhel, Vili, pag. 315: Dir. C. MITREIVS L. F. MAG IVVENT. Caput virile nudum. Rov. XI vel XII intra lauream A E III; Dir. Turpes et monstruosi concubitus. Rov. Laurea, intra quam numeri varii.
(/) Quello che abbiamo detto sui carattere
delle nostre medaglie non esclude che nell’z/jo esse abbiano servito da amuleti veri e propri, rientrino cioè nella numerosa serie delle curiose tessere note sotto il nome di ligaturae e wiptawr«, ffcptájAjAara, cpXaxrnpta. Generalmente, esse portavano parole inintelligibili, misteriose e suggestive, mentre nelle nostre le iscrizioni sono ben chiare, e non vi è un vero carattere esoreistico sul genere delle tessere con formule discongiuro: Pelliccioni, Filatterio esoreistico, Modena 1880 pag. 8; Lenormant, De lab. devot. piumbeis alexan-drinis Rheinisch. Mus. 1S54, pag. 371 ; Id. in Mélanges Cahier III pag. 151 ; Gamurrini, in Period. di num. e sfragistica II, pag. 51 ; De Rossi, in Bull. dell'Inst. 1880, pag. 7 ; C. IL. I, n. 820; C. /. Graec. 5858 b, 9064 ; Bruzza, in Bull. Coni. 1881, pag. 165 ss.
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AUTOBIOGRAFIA E BIOGRAFIA
DEL PADRE GIORGIO TYRRELL"
• To resi is lo be dead » (Riposarsi è morire). P. Tyrrell.
« Tu ne me chercherais pas si tu ne m'avais pas trouvé». Pascal.
ON tra l’irrequietezza è il Signore» e: « Dio è un fuoco che consuma». Sono queste due esperienze, non esclusive all’anima Ebraica, non meno perenni che irreducibili, eppure costante-mente concomitanti nel momento religioso. Dioi Ecco Dio l è il grido che seguiva alla folgore del Sinai, alla vista delle colonne di fumo e di fuoco delle carovane nomadi dei figli di Giacobbe, e negli oracoli Greci, all’ossessione della sacerdotessa ispirata: e nel teatro della coscienza individuale, dal
concetto di esperienza religiosa, è inseparabile l’idea di equilibrio instabile, di movimento ansioso, di ricerca perennemente insoddisfatta di un ideale che si presenta, e di cui lo spirito è gravido, ma non mai sazio.
Eppure, un processo universale di selezione e di classificazione delle esperienze supreme dell’anima umana ha assegnato al senso religioso, come sua caratteristica essenziale, l’altro elemento di fiducia, di elasticità, di gusto della vita, di armonia, e di unificazione in un io più complesso, vasto, profondo, nel quale le esperienze di dolore, di sfiducia, insoddisfazione, gioia, tripudio, si fondono e unificano. Benché l’esperienza predominante della inadequatezza della vita a un ideale che ci tortura o ad una felicità a cui aspiriamo abbia in se stessa un valore completo, che può servire, ed è servito a molte anime eccelse e a molte concezioni filosofiche, come un criterio d’interpretazione dell' Universo, che è (*)
(*) A cura di Miss M. Petre. Due volumi. Londra.
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GIORGIO TYRRELL.
[1913 - II.]
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AUTOBIOGRAFIA E BIOGRAFIA DEL P. GIORGIO TYRRELL
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incriticabile da chi sia sotto il dominio di altre esperienze, pure, nella concezione religiosa, o se si voglia, nella concezione cristiana della vita, chi è solo cercatore irrequieto e angoscioso, chi è sotto l’incubo del senso di vuoto e di nausea, ehi non è riuscito a sprigionarsi dal carcere del proprio io, e trovare o crearsi fuori di sè un altro io redentore in cui vivere e sentirsi, non è accolto nella categoria delle anime religiose. Però, danno saggio di una grossolana ottusità psicologica quei cacciatori di conversioni e missionari di mestiere, che con un senso di trionfo dialettico additano Y anima malata, quale omaggio alla sovrana, benefica forza della religione non voluta accogliere : essi non hanno neppur compreso, che il senso religioso — di cui le idee religiose non sono Che la formulazione teorica — non è qualche cosa di separabile dal temperamento e dalle esperienze che prevalgono in alcuni individui, e che si possa sovrappore ad esperienze diverse dalle quali non deriva: essi rimproverano allo spino la sua acerbità, e ne accagionano la sua ostinazione a non voler produrre dei dolci fichi.,
E’ naturale che uno spirito di osservazione così primitivo e miope si sia adagiato come ad una constatazione affatto intuitiva, a riconoscere nel periodo della crisi giovanile « l’ora della potenza delle tenebre > ed abbia ingoiato con disinvoltura il postulato, che abissi di malizia vengono scatenati dalla Volontà libera e cosciente dei giovani, per esser poi il più delle volte, in età più o meno matura, domati (con un diabolico ritardo divino) dalla Grazia e dalla Religione.
Nulla a questi profondi osservatori ha detto il fatto, che la tempesta e la crisi giovanile è risolta il più delle volte da un interesse predominante — il più spesso da un affetto o da un amore sovrano — che di religioso, nel senso specifico o tecnico, non ha nulla, benché riesca a suscitare e a stabilire stati d’animo armonici, fiduciosi, riconciliati con la vita e con l’umanità, a cui di religiosi mancherebbe solo la nomenclatura, se questa fosse una mancanza.
Non hanno intuito, che gli amori religiosi non sono che amori personali, di carattere altrettanto umano, o sovrumano se si voglia, quanto lo può essere l’amore ad una Beatrice ; e che in ambedue i casi, è alla condizione equilibrata e piena dello spirito che li costituisce, e non agli oggetti o alle cause stesse, che si può attribuire l’epiteto di religiosi?
Schiller, che avendo abbracciato l’umanità con un ardore religioso ed essendosi trovato di stringere del ghiaccio, sembrava votato all’armata dei disillusi della vita, ritrova e l’ardore religioso e l’amore all’umanità, nell’amplesso di un essere attraverso a cui gli traspare il valore e la bellezza della vita, che dedicando a Charlotte von Lengefed restituisce all’umanità ancora. Se le « Confes-sions d’un enfant de siede » sono « uno di quei dolori Che sono dei puri strazi > non è alla irreligione che siamo debitori del capolavoro di anatomia spirituale di A. De Musset, ma ad uno dei désenckentements più strazianti che un cuore abbia trasmesso a una mente.
E se lo spirito feerico, tutto nervi e sangue e vibrazioni eteree, di Lacor-daire, dopo aver domandato « alle nuvole del tramonto, alle foglie cadenti d’autunno, alla nostalgia di una notte di estate, al sorriso divino dei pargoli » una nota profonda che, pur straziandola, riempisse la sua anima, finalmente un giorno, allo svolto di una via, trasalisce ad un susurro profondo di un amico invisibile ma ormai noto, che gli diviene da quel giorno più amabile di « un’estasi di madre
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BILYCHNIS
innanzi alla culla, di un’ebbrezza di sposa che penetra la prima volta nella camera nuziale, più seducente e caro di tutto ciò che è e di tutto ciò che non è », oseremmo noi affermare che se il Rabbi di Galilea si fosse incontrato col giovane e spasimante idealista sotto i boschetti di Versailles il cui susurro lo faceva fremere per funesti ricordi, avrebbe potuto dirgli e dargli più di quello che Lacordaire stesso evocò dalle ricchezze del suo essere profondo, e oggettivò e chiamò: Gesù?
Chi non abbia intimamente compreso il significato e il contenuto biologico delle crisi giovanili, chi non abbia riconosciuto nella soluzione religiosa o irreligiosa che ha coronato talune di esse, il risultato > anziché la causa di fattori vari, fisiologici e atavici, di ambiente fisico e morale, di educazione e d’influenze personali, di attività, di affetti, di passioni diverse, che ad esse han fatto capo, nulla potrà intendere del periodo più spasmodico della vita delle personalità più simpatiche e venerabili, e dovrà rinunziare, di fronte ad un auto-biografia quale quella che presentiamo, alla pretesa di comprenderla, cioè di giudicarla.
E’ dalla superficie omogenea del fanciullo immerso e vissuto dal mondo esterno, che partono già vibrazioni mordènti a scuotere la sua coscienza, a dargli la percezione della propria personalità, a dilacerare l'incanto e donargli aspirazioni vaghe, indefinite, tristi, appassionate, ardenti. < Perchè sei triste anima mia, e ti agiti tutta dentro me?» L’irrequietezza, questa divina e funesta prerogativa degli spiriti incontentabili, sospinge il giovane con pungolo angoscioso ad uscire di sè, a ricercare o a porre un oggetto in cui acquietare le proprie brame, e superarsi, e riconciliare \'io superficiale con Via profondo che lo incalza ed affanna. Sulla sua via, esseri, interessi, cause, problemi, gli si offrono, quali punti di appoggio Su cui lasciar precipitare la soluzione satura dei suoi affanni e ideali, ed egli saggierà via via la loro capacità, e altrettanti effimeri equilibri gli daranno l’illusione di aver trovato l’ideale, e altrettante disillusioni gli riporranno di nuovo il problema del perchè della vita... Ma intanto, egli si arricchisce di esperienze ; e la vita gli appare come un successivo guarire per ammalarsi, e il cammino come un continuo riparar la caduta con un altro impulso a cadere: e vede sè:
... simigliarne a quella inferma
Che non può trovar posa in su le piume, Ma con dar volta suo dolore scherma.
Dante, Purgatorio^ (VI, 149-151).
Questo motivo fondamentale del processo dèlia natura naturans costituisce il fondo della vita di ognuno, benché, incanalato nelle varianti individuali, risulti a figure ed a vite si apparentemente discordi e contrarie. La forma religiosa del suo definitivo assestamento, non meno che la irrequietezza religiosa che lo precede, non obliterano i sintomi fondamentali e morbosi di squilibrio, disordine, unilateralità e disarmonie di passioni, di mauvais penchants e impulsività.
Così passa giovinezza, per acqua e per fuoco, per generosi ardori ed entusiasmi divini, ed amarezze spasmodiche e disperati languori: passa quando la luce di una visione radiosa albeggia e seduce ed avvince : passa, anche quando un tramonto senza stelle cade su di un giorno che non ha visto meriggio, confortato forse da speranze di unW/riZ aurora di un altro sole.
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AUTOBIOGRAFIA E BIOGRAFIA DEL P. GIORGIO TYRRELL
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La vita di Giorgio Tyrrell, possiamo, ora, definirla una crisi giovanile in permanenza', se egli ha ricusato nella sua autobiografia, che giunge fino al suo 23o anno di età, di ammettere che il suo passaggio dallo scetticismo religioso all’ interesse pel Cattolicismo prima, e poi per la religione, fino alla professione di Gesuita, sia stata una tipica conversione, chi attentamente legga nello specchio terso della biografia che ad essa fa seguito, compilata in gran parte sul suo epistolario e sulle sue opere, dovrà riconoscere che la grande anima cara di Tyrrell mai non entrò, nè trovò requie, in quel porto, che pure mirò con lo sguardo anelante e a tanti additò. « La mia vera infelicità » — scriveva ancora pochi anni prima della sua morte — « consiste nella contradizione tra i miei ideali e la mia vita... Se io potessi vivere quella perfezione che ho innanzi agli occhi, io sarei felice interamente». La forma che la sua irrequietezza costituzionale assunse dopo là sua conversione, di « ossessione di lavorare come uno schiavo per la causa di Cristo », e di consacrazione al «servizio religioso dell'umanità», se manifesta e spiega l’ingresso nel suo spirito di quell’elemento ottimistico che abbiamo visto caratterizzare e differenziare lo stato religioso, non ci presenta mai però quei caratteri di equilibrio, di possesso, di gioia, che annunziano la soluzione del problema giovanile. L’anima di Tyrrell fu perennemente giovane e perennemente malata. Ciò che il Brémond si domanda nella sua Inquiétude Religieuse dei convertiti al Cattolicismo: « Ont-ils trouvé la paix complète, et toutes leurs inquietudes sont-elles calmees? De loin n’avaient-ils pas cru trop parfaite et trop belle cette Eglise qui les attirait, et ne se méle-t-il a l’austère joie de leurs sacrifìces aucune ombre de déception ? » si può domandare di tutta la vita del Tyrrell, e rispondere con le sue parole : « Solo morte largisce pace » — To resi, is lo be dead.
Nel leggere l’autobiografia, capolavoro morale di sincerità, e letterario di finezza e di vérve non si può non pensare, che se circostanze più benefiche, influenze affettuose, una vita meno agitata, perennemente nomade e raminga, condizioni domestiche più favorevoli, avessero agito sul temperamento ereditario di Giorgio Tyrrell nella sua fanciullezza e giovinezza, la sua vita avrebbe avuto un’altra tonalità e forse un altro sbocco. Per non accennare che ad uno, ma al più importante, dei fattori che nella comune dei casi influiscono decisivamente sul carattere giovanile, quello affettivo, sembra evidente che l’elemento irascibile, crudele, « di collera cieca ed animale » che esplodeva già fin sui sette anni, e che «a 12 anni produceva» — egli dice — «dei veri parossismi di rabbia cieca e impotente, durante i quali usavo di qualunque parola acerba e di qualsiasi arma, col solo intento di far male e di vendicarmi — e per lo più a causa di meno di un nonnulla > avrebbe trovato in un’amicizia e in un affetto, e più tardi in un amore, il suo correttivo naturale : e forse il suo temperamento intero ne sarebbe riuscito rassodato, equilibrato, ed egli avrebbe trovato a portata di mano quell’ ideale umano divino che inseguì invece tra le nuvole dei suoi sogni. Alcune sue parole che ce lo rivelano precocemente bisognoso e capace di affetto, ci fanno indovinare quanto decisiva sia stata e funesta la mancanza dell’amore nella sua vita : « Luisa » — fanciulla dodicenne mentre egli era ottenne — « con quel suo portamento grave e la sua serena bellezza fu la prima Che veramente mi trafisse il cuore col dardo d’oro. Istintivamente celai la mia passione non solo agli altri, ma anche alla regina del mio cuore... Ho sempre
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desiderato d’essere amato... Mi sembra che la mia forte brama d’amare e d’essere amato sviluppasse in me una specie di inconscia finesse... e m’insegnasse a parlare a ciascuno nel modo a lui più conveniente... ». Chi potrà dirci quanta parte ci sfugga della vita intima e del valore interno delle vicende di Tyrrell, — come di tanti altri, — per non poter valutare il sustrato di vuoto, di angoscia, di amarezza che nella sua gioventù non fu colmato? Chi potrà dirci tutto ciò che in questo focolare sempre ardente e mai estinto si consumò, e quanta luce e calore ne abbiam noi derivato? Se gli strazi dell'allontanamento dell’adorata Luisa, e poi di Carolina B., all'età di dieci anni («amore muto, tremante, bramoso, non mai alimentato da un briciolo di consolazione o di speranza»), fossero stati risparmiati al Tyrrel fanciullo, altri Strazi sarebbero certo stati risparmiati alla sua mente e al suo cuore di adulto. Ma sarebbe egli stato più grande?
Della stessa età egli scriveva: «Guglielmo» —suo fratello, ingegno elettissimo, di anima e di corpo malato e precocemente morto, — « non era di natura areligioso come lo ero io, e come forse lo sono tuttavia... Dio, Paradiso, Inferno, Peccato, ecc., non mi dicevano nulla : non negavo nè affermavo... Dio e anima, esseri invisibili, mi erano fortemente sospetti... : non cessai di essere credente, ma solo da non credente divenni miscredente all’età di dieci anni...»•.
Spirito naturalmente positivo e di tipo operativo, anziché contemplativo — l’unica sua abilità da fanciullo era la inventiva^ che lo faceva eccellere nel lavoro materiale, concreto — odiò cordialmente ogni sorta d’applicazione mentale « che non rientrasse nella vita con un interesse attuale».
E così fu, che il suo interesse allo studio cominciò da un’azione: quella di sfogliare i libri del suo fratello, e di sostenere contro di lui polemiche filosofiche ; e l’interesse per la religione, con dazione combattiva per il Ritualismo. Se si fosse dato con azione combattiva ad un-altra causa, ad esempio sociale, è verosimile che avrebbe ritrovato egualmente quella nota fondamentale ¿'interesse che è la via della vita e il principio della sapienza.
«In quel tempo (a 13-15 anni)» — egli scrive — « ero mendace, violento, irreligioso, infingardo...: imparai anche a rubare cose di poca importanza». E in quel tempo stesso, l’estro rituaìistico lo faceva assistere alle funzioni religiose alla chiesa di Grangegorman a Dublin; e l’estro drammatico «mi faceva acquistare crocifissi, e immagini cattoliche e libri di preghiere, e provar di dormire sul suolo, e portare delle cinture di ferro e flagellarmi con la disciplina... ed altre pagliacciate... come da fanciullo mi aveva fatto amare il fucile e la spada»; e la morte improvvisa del fratello, che pochi giorni prima gli aveva detto dell’anima : « va, dopo morte, dove va la fiamma quando la candela è consumata », lo sospingevano con « mille motivi e ragioni alcuni insignificanti, altri buoni, ed altri falsi », con un processo tortuoso ed oscuro, « da prima quasi al Cattolicismo, e poi, malgrado me stesso, al teismo pratico e speculativo, nello sforzo di trovare una base per un sistema sospeso, per così dire, nell’aria». E prosegue: « Quando sentivo tutto crollare sotto a me, mi raccapricciavo, e spaventato della vita vuota e senza scopo, mi ravvolgevo sempre più nel mio mantello d’illusioni ».
Seguendo, sulle tracce dell’autobiografia, il processo caleidoscopico delle vicende religiose, delle letture, delle influenze personali — decisiva fra queste ultime
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AUTOBIOGRAFIA E BIOGRAFIA DEL P. GIORGIO TYRRELL
»S?
quella di Dolling, Che lo staccò dall’Anglicanismo, e a cui dovè « tutte le mie simpatie evangeliche, tutto il mio amore per l’aspetto benigno ed umano del cristianesimo, tutta la mia rivolta contro il fariseismo e il formalismo canonico » — non è facile sottrarsi all’ impressione, che nel periodo decisivo dai 15 ai 18 anni, sia stato piuttosto un parziale rassodamento naturale che seguì alla crisi acuta della pubertà, che lo fece parzialmente aderire e acquietarsi alla forma cattolica « di servizio dell’umanità » — più che di religione, — anziché la superiorità sentita e preferita di essa che servisse a fare precipitare in parte la sua irrequietezza spirituale. Chi può dubitare che, se il Tyrrell fosse nato nel Cattolicismo, il corso naturale della sua ribellione lo avrebbe condotto verso altre forme di religiosità, e lo avrebbe fatto, in parte almeno, appagare in esse?
Non credo sia possibile insistere troppo su questo carattere biologico del processo delle crisi giovanili, o troppo inculcare a chi si accinge a parlare di conversioni qualche studio fondamentale fìsio-psicologico delle fasi della pubertà (ad es., l’opera fondamentale del Marro). Si eviterà così di colpo, tutta una letteratura puerilmente superficiale e pseudo-mistica, che crede di spiegare e giustificare o criticare le diverse forme assunte dalla crisi della pubertà, con l’efficacia causale di quelle idee e sentimenti che invece debbono essi stessi essere spiegati sulla base fisiologica.
I corsi e i ricorsi, gli entusiasmi, le disillusioni e le disperazioni, e i nuovi fervori e i nuovi avvilimenti che si susseguono nella forma religiosa, come nel caso che stiamo esaminando, si verificano esattamente con gli stessi caratteri, più o meno acutamente e nettamente, in tutte le più tipiche crisi giovanili, sotto tutte le forme : caratteristica e costante in tutte esse, la trasfigurazione e la idealizzazione di quell’oggetto, persona o causa, che riesce, per una transazione incosciente fra la potenza trasformatrice del soggetto, ed un minimum almeno di corrispondenza dell’oggetto, a divenire il Deus cordis mei et pars mea.
Per il Tyrrell, per ragioni e circostanze strane che in nulla somigliarono a una ponderata decisione, la seduzione che diè forma all’assestamento psico-morale che si andava maturando nel suo spirito, prese consistenza in un cattolicismo doublé d’un gesuitismo.
Il Cattolicismo appare a lui in quel periodo, come « la società più antica e diffusa che desse un corpo all’esperienza cristiana, e quella che più di tutti si approssimava all’ ideale, per quanto ancora sì distante, di una Chiesa universale ». E allora, la Compagnia di Gesù apparve a lui come la società più disposta a « lavorare per il Cattolicismo per fas e per nefas » (la natura del gamin si fa sentire anche qui), e come la società più lassa e priva di scrupoli, che quindi non avrebbe fatto troppe difficoltà alla sua accettazione. Ma fu solo un insieme di circostanze che lo spinse a divenire tutto questo «... dal principio alla fine, in 24 ore». «Ero uscito» — egli scrive — «di casa nel pomeriggio, senza nessun’intenzione di farmi cattolico subito, ed eccomi di ritorno divenuto un papista, e per metà gesuita ».
« Ero così bisognoso di alimento » — egli scrive del periodo precedente a questa catastrofica decisione — «che se non avessi potuto trovarlo, mi sarei afferrato almeno all’ombra di esso... Quando, scontento di me e di tutto, sbalzavo e gridavo: “Tutto questo è sciocchezza ed inganno!,,, il senso di crollo,
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di sfacelo, di vuoto della vita, mi faceva aggrappare a tutto di nuovo». E così, non farà maraviglia, se più tardi egli dovette capire che veramente aveva preso per alimento reale molte ombre, e dovette dichiararlo solennemente, quando lasciò la Compagnia — nella quale era entrato credendola più una società di missioni., che un ordine religioso.
Ma egli disdegnò sempre, col suo finissimo senso critico, di riconoscere nelle circostanze che ebbero parte sì preponderante nella sua vita l’opera di una provvidenza: « se la Provvidenza fosse disposta a sconvolgere l'ordine degli avvenimenti a vantaggio della mia anima, non posso capire perchè quest’intervento non fosse avvenuto più presto e più efficacemente, a giudicare alla luce del senso comune. E se essa non può essere giudicata con questo criterio, come credo che non lo possa, non potrei pretendere di giudicarla con altre regole non conosciute nè conoscibili ». E rinunziamo anche noi a trovare una finalità estrinseca all’ ingresso di Tyrrell, tutt’insieme, nella Compagnia, nel Cattolicismo, nel Cristianesimo, e direi quasi, nella Religione, in un pomeriggio della primavera del 1879 a 18 anni, come dobbiamo rinunziare a scoprirvi un nesso di causalità intrinseca: non esitiamo però a riconoscervi una superiore finalità immanente e benefica : se non per l'individuo nella sua personalità effimera, certo nella sua anima universale ed eterna di cui è funzione.
Il Tyrrell chiude questa prima e decisiva parte della sua vita, su cui ci siamo più a lungo indugiati perchè più caratteristica, domandandosi, alla distanza di 22 anni: «...Per che cosa abbandonai quelle due care creature (la mamma eroica e la Luisina) che erano < la mia porzione nel mondo ? ».
Per che cosa, in nome di tutto quello che è sano e ragionevole? Per un capriccio, un’idea, una follìa, ovvero per amore e zelo della verità, pel regno di Dio, per il bene dell'umanità?
Avrò io fatto tanto bene a coloro che non avevano diritto alcuno su di me, quanto basti a riparare la mia trascuratezza verso quelle che avevano su di me ogni diritto?
Ecco i piacevoli dubbi che mi vengono alla mente nei momenti di riposo, e mi fanno esclamare: «In verità, ho vissuto in vano!».
Quando il Tyrrell gettava sulla carta queste conclusive parole, egli non aveva ancora affrontato le battaglie più dure che riuscirono alla sua espulsione dalla Compagnia, alla rottura col Cattolicismo e alla Scomunica. E pure, a noi che abbiamo assistito a tutto questo e al suggello che il bacio della morte ha impresso su di una vita appartenente fallita, vien fatto di pensare, innanzi alla tomba del Tyrrell, alle parole che il Pusey scriveva alla dimani della conversione di Newman al Cattolicismo : « La mia speranza è che egli possa essere uno strumento di riforma nella Chiesa Romana ». E questo è Stato ed è tutt’ora il Tyrrell, con là influenza sua personale e con quella dei suoi scritti : ma egli è qualche cosa di più ancora. La simpatia per Tyrrell, per la vittima dell’ ideale a lui presentatosi sotto la forma di rinnovamento dell’ordine dei Gesuiti e della Chiesa di Roma, contribuirà più ad aumentare le simpatie inter ed aconfessionali per l'umanità, che è e rimane fondamentalmente la stessa in tutti i rami, che se egli fosse rimasto nella quiete domestica o nella «Chiesa del mio Battesimo», od anche se fosse riuscito nella grande impresa vagheggiata di riforma del Cattolicismo.
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La pietà e l’amore per l’uomo che soffre, se è il sentimento « più caro agli Dei > non è meno il fiore più prezioso che possa ornare e nobilitare l'umanità, e riconciliarne le sparse e discordi membra. « Il mio fallimento, e quello di molti altri » — ha detto il Tyrrell stesso — potrà preparare la via per eventuali successi ». E il Dolling, citato da lui, soleva ripetergli : « Tutti i grandi progressi sono stati il frutto di qualche disobbedienza, e si sono ottenuti su vie eterodosse ».
« To resi, is to be dead».
* « «
Sul periodo della vita di Tyrrell che dall’ ingresso nella Compagnia va, attraverso le diverse fasi di tirocinio e le diverse mansioni esercitate, e attraverso l’attività di scrittore, alla risoluzione di abbandonare la Compagnia riconosciuta infedele allo spirito del suo fondatore, e più al sogno ideale in cui egli l’aveva vagheggiata ; e poi, sul periodo burrascoso che dalla rottura con Roma, attraverso l’attività di Modernismo militante, e di nuove pubblicazioni sempre più radicali, giunge sulla soglia della dimora eterna in cui lo stanco pellegrino riposò la sua mente e il suo cuore nel 15 luglio 1909 in età di anni 48, siamo costretti a sorvolare, e rimandare il lettore all'originale della Biografia, di cui una traduzione italiana è ora in preparazione (1). Neppure ci soffermeremo su quell’ordine d’idee che il Tyrrell ebbe comuni col movimento Modernista che va operandosi nel seno delle diverse Chiese, e affermandosi con più forza e complessità nel seno del Catolicismo.
Faremo però un cenno sommario di alcune sue vedute su alcuni punti fon damentali, che servano a dare un’idea dello sfondo spirituale su cui si disegnarono le battaglie da lui combattute.
Pochi mesi dopo la scomparsa del Tyrrell, il prof. Loisy commentava mestamente, in un colloquio con lo scrittore di quest’articolo, con queste parole : « Se è vero che tutte le vie ci conducono a Roma, è anche vero che tutte le vie, se seguite logicamente, ce ne allontanano: il Tyrrell per la via del misticismo, io per quella della critica biblica, l’Houtin per quella della critica storica, il Murri per quella sociale, l’Hebert per quella filosofica... E’ l’autonomia dello spirito che rivendica la sua libertà ». E pochi mesi dopo, recensendo l’opera postuma e definitiva dei Tyrrell stesso : Il Cristianesimo al Bivio, dava il giudizio scultorio : « 11 Tyrrell vagheggiò un Cristianesimo senza Cattolicismo, come l’autore di queste righe vagheggiò un Catolicismo senza il Cristianesimo tradizionale. Ora, i tentativi di ambedue giacciono sepolti accanto, nel cimitero comune delle eresie ».
Infatti, caratteristica del Cristianesimo di Tyrrell fu il suo concetto mistico e immanente della religione: egli insistè con una forza ed efficacia dà nessun altro superata, sulla irrazionalità e sulla precedenza e indipendenza della coscienza religiosa, di fronte a qualunque concezione intellettualistica di quella, essendo essa fondata tutta sopra un sentimento che è anteriore e presupposto ad ogni altra forma di pensiero e di sentimento, il senso della nostra costituzione divina : con(i)Per ojjera dell'Editore Battelli, di Perugia.
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seguentemente, e pur distaccandosi dal liberalismo del Newman, il quale, come ogni liberalismo, giudicò una posizione inconseguente e disarmonica, riconobbe, col Newman, il cuore della religione e la base ultima dell’autorità nel sacrario della coscienza, e tradusse i vecchi dommi dalla categoria di sostanze in quella di valori mistico-morali, che attingono il loro significato in un mondo sopra natura. Perciò egli scriveva nel gennaio 1909:
« Houtin e Loisy hanno ragione : il Cristianesimo del futuro consisterà nel misticismo e nella carità, e forse nell’Eucarestia nella sua forma primitiva, come legame esteriore ».
E in tutte le sue opere, ma specialmente in Scylla e Carybdis. insistè con enfasi sull'origine dell'autorità religiosa dalla coscienza dei fedeli, sulla subordinazione dell’autorità al vantaggio del popolo anziché di questo a quella.
« Nel primo periodo della sua attività apostolica » — sono parole di Miss Pe--tre — « egli si sforzò di conquistare l’Umanità alla Chiesa, e nel secondo periodo, di conquistare la Chiesa all’Umanità ». — Nella Fede dei Milioni^ egli apostrofa cosi in sostanza i pastori della Chiesa : « Voi perdete il popolo perchè avete rovinato le sue guide : e avete rovinato costoro perchè la vostra vita spirituale non è stata vigorosa abbastanza per convincere i loro cuori, nè i vostri argomenti per convincere la loro intelligenza. Come potrete riconquistare onestamente le masse ? Riguadagnando onestamente le sue guide. E potrete riconquistarlo disonestamente, con quegli aspri metodi di controversia religiosa che ripugnano a tutti coloro che non sono sì ignoranti come quelli a cui son diretti ».
A proposito del Clero, scriveva in una lettera : « Fino a che il Clero vivrà dell'altare, il suo insegnamento sarà sempre sospetto. E' questa la sorgente in tutti i tempi e nazioni della debolezza della predicazione: non solo perchè discredita il Clero, ma anche perchè lo separa dalla vita civile, con grave danno del clero e del popolo ».
E del celibato obbligatorio del clero, quale vige nel Cattolicismo, diceva: < Vorrei flagellare a sangue l'impostura del celibato ecclesiastico... E’ cosa meravigliosa come Roma riesca a imbiancarci suoi sepolcri...».
Eppure, il Tyrrell mistico, cristianamente ribelle al despotismo di dommi e di autorità, scriveva, e più proclamò con la sua condotta fino alla morte: « Nel mio sistema, io non trovo posto per uno scisma volontario di alcun genere, e devo aspettare che la Chiesa romana mi espella essa stessa ». Egli era persuaso, che solo restando, almeno con lo spirito, unito al vecchio tronco, sia possibile fare una riforma e una rivoluzione feconda. Ed in specie, l'idea Cattolica era per lui sì grande, che anche il Cattolicismo che l’ha usurpata riusciva a nascondergli, con la maschera di essa, molte delle sue debolezze. Egli non perdè mai la fede che lo aveva condotto a Roma, che la Chiesa di Roma avesse preservato il Cristianesimo nella sua forma più ricca e piena, e combattè ostinata-mente, e sperò contro ogni speranza, che l’eredità preziosa ridivenisse fluida e vitale nelle mani di un’autorità conscia del suo carattere ministeriale, e delle sue origini da Dio, solo attravèrso la coscienza degli uomini. E la tragedia più dolorosa dei suoi ultimi anni fu nell’esperienza, che l’erede legittimo ripudiava la sua eredità, e nella certezza che se Roma non voleva trasformarsi, non le restava che il secondo membro del dilemma: perire.
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Se il saper formare i martiri più eroici e simpatici può essere una gloria per coloro che sono responsabili del martirio, il sistema cattolico può rivendicarsi ancora una volta questo vanto. « Rome wrecked him » — scrive di lui il Walker suW' Hibbert Journal — « but she made him first »; « Roma lo spezzò, ma sol dopo averlo prima essa costruito ».
Non così fedele fu egli alla Compagnia di Gesù, dalla quale volontariamente si separò, quando fu persuaso che essa era lo strumento più efficace « per rendere la fede impossibile alla moltitudine delle intelligenze più sincere e religiose d'og-gidì, e a preparare il disastro sociale, politico, intellettuale e morale della Chiesa ».
Nella lettera al Generale della Compagnia, Martin, nel 1905, in cui, senza retorica nè esagerazioni, fa la più superba requisitoria contro la degenerazione di questa istituzione, egli scrive : « ... Io avevo supposto, nell’entrarvi, che la Compagnia fosse composta di uomini svegli ai problemi religiosi del loro tempo, e divoti, sopra tutto, alla riconciliazione della fede e della scienza... Incapace di progredire con l’ambiente che lo circonda, la Società non ha altra speranza di vivere e di mantenere il suo ascendente sulla Chiesa, che mantenendo l’ambiente di questa inalterato : e quindi, fa una guerra sorda contro il progresso, special-mente in materia di educazione laica ed ecclesiastica... ». Ed egli segue accusando la Compagnia di egoismo di corporazione, di un regime di protezionismo per mezzo di un ambiente artificiale, di usare metodi secreti di delazione e di governo, d’incoraggiare le vocazioni religiose con un sistema meccanico, di trattare i suoi membri laici senza carità e senza simpatia... E termina così : « Sono così giunto, stanco ed esausto, ad alcune conclusioni che sembrano banali, tanto sono ammesse universalmente nel mio paese e ai nostri tempi, come moneta corrente, grazie all’esperienza dolorosa di altri... Ma non avrò sprecato questi anni di vita, se sarò giunto con una esperienza e riflessione personale alla soluzione di un inganno così complicato e plausibile, quale è quello del gesuitismo.
E come quei che con lena affannata Uscito fuor del pelago alla riva Si volge all’acqua perigliosa e guata,
anch’io rimiro con una specie di terrore la fosca selva in cui mi smarrii per tanti anni, e donde ora esco di nuovo alla luce e alla libertà ».
Tutte le calunnie dei « Secreti dei Gesuiti » e tutti i racconti sensazionali, non valgono l’autorità di una tale requisitoria fredda, destinata non alla pubblicità, ma ad una privata motivazione di dimissioni.
Molti altri aspetti dello spirito e della persona di Tyrrell ci si presentano dinanzi, che sarebbero attraente argomento di altrettanti capitoli, a cui ci duole di dover rinunziare : l’assoluto altruismo del suo spirito ; l’amore francescano per gli animali; il fine, arguto, inestinguibile umorismo di cui, oltre a tutte le sue opere, era infiorata la sua conversazione, e che non lo abbandonò neppure nell’estremo momento; l’avversione innata, irrefrenabile per il convenzionalismo e il despotismo; la genialità unica con cui ha saputo trattare i testi evangelici e biblici, trovando in essi aspetti e significati luminosamente e suggestivamente moderni e di attualità ; il suo attaccamento, altrettanto appassionato quanto svincolato da qualunque grettezza rituale, al sacramentalismo cattolico, specie alla Messa e alla
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Comunione. Quanto a quest’ ultima, il suo animo appassionato che « ha sempre bramato di amare e d’essere amato » ci spiega il suo culto per quello che per lui era il sacramento dell'amore^ o l'Eucaristia : « Se una pietra coprirà la mia tomba », — scrisse egli nel suo testamento — « essa dica che io fui sacerdote cattolico, e porti scolpito un calice ed un’ostia ».
Benché la precipitosa catastrofe della sua ultima malattia gli abbia impedito l’uso dei riti della Chiesa, e benché l’odio per la sua opera, sopravvissuto alla sua morte, gli abbia negato la sepoltura cattolica, non gli mancò, nè in morte nè dopo morte, la devota assistenza ed il riverente omaggio di amici laici ed ecclesiastici, cattolici o no, Che alla sua anima universale e religiosa hanno reso il tributo più veramente cattolico e religioso.
< Sol chi non lascia eredità d’affètto poca gioia ha dell’urna », ma Giorgio Tyrrell ha lasciata larga eredità di affetto, non solo, ma di imitazione feconda, e d’ispirazione di quei «principi cattolici che io ho difeso contro le eresie dèi Vaticano». « Il seme di frumento morto sotterra, reca frutto abbondante ».
Ed ora, la sua modesta tomba a Storrington, in cimitero non Cattolico, - su cui la lapide porta scolpito il calice e l'ostia, — mèta di devoti pellegrinaggi di anime sorelle; la stanza in cui Tyrrell raccolse la sua anima stanca, e lottò le ultime lotte e scrisse le ultime voci, e rese a Dio la sua anima, ed ora trasformata in santuario domestico; soprattutto, la sua eredità spirituale in cui « ancora vive e parla » : tutto è amorosamente, gelosamente vigilato, da colei che lo accolse naufrago e ne ricevette l’estremo sospiro, da còlei che nell’opera che debolmente abbiamo tentato di ombreggiare, eresse a Giorgio Tyrrell e alla sua idea un monumento
Aere peremnius.
Aschenbrödel.
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Nel periodico The Christian Socialist del i settembre 1912 il Rev. Roland Sawyer ha pubblicato un notevolissimo studio su la Sociologia di Gesù. Ne offriamo ai lettori di Bilychnis la traduzione preceduta da una breve presentazione del periodico e dello scrittore.
Il PERIODICO. Il Christian Socialist ? l'organo settimanale del movimento socialista d'ispirazione religiosa negli Stati Uniti del Nord-America. Esso non rappresenta alcuna politica 0 dottrina settaria, alcuna particolare scuola 0 tendenza teologica, ed esso accoglie il pensiero socialista da qualsiasi punto di vista religioso : israelita, cattolico, protestante, ortodosso, razionalista. Gli aderenti di qualsiasi credo religioso hanno piena libertà di esporre le maravigliose parole e i ma-ravigliosi atti di Dio in relazione col Socialismo. Questo diciamo per avvisare i lettori che il Dott. Sawyer — esponendo i suoi argomenti sulla base di Un concetto teologico che forse non può piacere a tutti — non fa altro che valersi di quel diritto di libera collaborazione che è ancora mal conosciuto e poco praticato nei periodici religiosi d'Europa. E lo diciamo pure perchè i lettori non turbino la bellezza e la forza dell'argomentazione principale col dar peso a inezie che dipendono solo da un credo particolare.
L’AUTORE. Il Rev. Sawyer è pastore di una chiesa congregazionalista ed è attualmente il candidato ufficiale del partito socialista nelle elezioni per il posto di governatore dèlio Stato di Massachusetts.
Questo suo vasto studio diviso in sette capitoli rappresenta anni e anni di lavoro e merita di attirar l'attenzione di ogni uomo intelligente e di ogni donila colta.
G. E. MEILLE.
CAPILOLO PRIMO.
Lo SFONDO DEL PENSIERO DI GESÙ. L'insegnamento sociale di Mosè e dei Profeti.
Nessuno considera più oggi Gesù come un Dio mandato così belle fatto dal cielo. Noi sappiamo oggi ch'egli si sviluppò come si sviluppano gli altri uomini sotto l'impulso delle forze che attraversarono la sua vita. Egli ebbe le sue caratteristiche individuali che lo differenziarono dagli altri uomini. Principale tra queste caratteristiche fu il suo temperamento religioso intenso che lo rese capace di penetrare nelle cose religiose più addentro che qualsiasi altro uomo
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vissuto prima di lui o dopo di lui. A formare questo temperamento religioso concorsero l’azione di Dio nell’ intimo dell’anima sua e l'insegnamento religioso di sua madre, donna sinceramente devota; vi concorse anche l’influenza della semplice fede del popolo di Galilea.
E ancora Gesù fu un poeta. E, come poeta, egli si abbeverò lungamente alle fonti della Natura ; gli uccelli e i fiori, gli alberi e i laghi, le colline e i campi : tutte le belle cose della terra verde di Dio dissero grandi cose alla sua anima.
Ad un carattere così profondamente riflessivo e sensibile come quello di Gesù le dure condizioni politiche ed economiche proprie e dei suoi compatrioti dovettero causare dolore ed egli dovette molto naturalmente rivolgersi alla letteratura del suo popolo per cercare che cosa essa diceva in proposito.
Perciò noi non possiamo intraprendere uno studio di ciò che fu il pensiero maturo di Gesù riguardo ai problemi sociali — non possiamo intraprendere questo studio con speranza di rettamente intendere le cose — finché non abbiamo esaminato la letteratura di Mosè e dei Profeti di cui ebbe conoscenza e dalla quale egli ricavò tanta parte dei propri concetti. Qualcuno potrà pensare che, ciò facendo, si tratta di una passeggiata lungo una via ben nota ; ma così davvero non è. Mentre i critici e i teologi hanno spaccato i capelli in quattro per decidere la data in cui certe disposizioni di legge vennero promulgate ed hanno percorso in tutti i sensi la medesima letteratura per mettere in luce il rituale, le cerimonie religiose, i concetti relativi a Dio, ecc., pochissima attenzione s’è data agl’ insegnamenti sociali ed economici delle Scritture Ebraiche.
Contrariamente all’opinione dominante — la quale, a mio parere, è frutto di conoscenza incompleta — io credo che il movimento Ebraico fu anzitutto non un movimento religioso in rapporto con preoccupazioni ultraterrene e con un regno celeste, ma fu una grande lotta per un miglioramento sociale qui sulla terra.
Il lavoro onorato.
Il concetto economico, nel pensiero mosaico, apparisce in primo luogo nella considerazione cui è tenuto il lavoro. La Repubblica di Platone e la Politica di Aristotile considerano il lavoro con disprezzo, ma la teocrazia di Mosè gli dà un posto d’onore.
L’introduzione alla sua legislazione è un racconto dell'attività manuale dei suoi antenati : Abramo era un pecoraio, Isacco un agricoltore, Giacobbe un giornaliere, ed egli cerca perfino di dimostrare che Giuseppe lavorò per Potifarre, ciò che è lungi dall’essere esatto perchè Giuseppe fu veramente un ideatore di progetti (i), un antico Rockefeller. E questo medesimo concetto, di render onore al lavoro, si ritrova attraverso la storia d’Israele : Samuele lavorò ai campi, Saulle li coltivò, e, più di tutti, i Profeti stessi furono lavoratori. Il libro dei Proverbi parla della donna ideale come di colei che compie lavori manuali e il Salmista descrive l’uomo buono come colui che vive del lavoro delle proprie mani.
(i) O speculatore che dir si voglia; però — a quanto risulta dal racconto biblico — non nel suo interesse finanziario personale. N. d. T.
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La legislazione del lavoro.
Questo onore reso al lavoro trova la sua concreta espressione nella legislazione protettrice del lavoratore. Benché fosse ammessa una certa forma di schiavitù, questa era dolce e limitata se la si confronta con quella ammessa da altre nazioni. Nessun Israelita poteva esser fatto schiavo per più di sette anni, e la schiavitù dei bambini era proibita. Ora, è notevolissimo di trovare concetti simili presso la piccola nazione ebraica, quando si pensa che 800 anni più tardi un uomo illuminato come Aristotile diceva alla Grecia: « Nei rapporti con gli schiavi, non esiste giustizia, non è possibile aver maggiore amore per uno schiavo che per un cavallo»; e che mille anni più tardi Roma permetteva ancora delle forme di schiavitù che presso il popolo d'Israele furono sempre vietate.
Leggi per la protezione dei poveri.
Non v’è stata alcuna nazione nei tempi passati e non ne esiste oggi alcuna che abbia sancito, riguardo ai poveri, provvedimenti simili a quelli degli Ebrei. Il contadino doveva lasciare non mietuta una parte delle sue messi per loro (Lev. Deut. ’7x9). _
La spigolatura dei frutti e della vendemmia toccava a loro (Deut. 720_aJ). I Profeti parlano della bontà e della carità verso i poveri come di una grande virtù, e considerano i maltrattamenti e la durezza di cuore come peccati gravi, Ma questi provvedimenti benefici non erano che un rimedio in extremis\ la legislazione economica, propriamente detta, mirava a render tutti indipendenti, in modo che non ci fossero poveri.
Questa legislazione è esplicita sui quattro grandi punti seguenti : la terra, gli strumenti di lavoro, i debiti e l'interesse.
Le leggi fondiarie.
La terra era stata data a tutti da Geova. Essa non poteva essere usurpata -dall’uomo e doveva, ogni cinquantanni, essere ridistribuita (Lev. *7xo)- Una ripartizione ogni cinquantanni ! Il pensiero che provoca tanto orrore ai buoni seguaci odierni di Mosè e di Gesù! (1).
La terra quindi non era venduta (Lev. ’7i->>) solo era venduto il suo uso, e ciò soltanto fino all’anno giubilare (cinquantesimo). Se mancavano 45 anni al Giubileo, l’uso della terra poteva essere venduto per 45 anni, se mancavano solo io anni poteva esserlo solo per io. E, in qualsiasi momento dopo la vendita,
(1) Qui il Sawyer non è abbastanza esatto (Levit 3S/Xo e ?J). L'anno del giubileo non segnava una nuova ripartizione basata su nuovi apprezzamenti dei bisogni delle tribù', ma segnava un ritorno allo stalli quo della primitiva fondamentale ripartizione. « Santificate l’anno cinquantesimo, siavi di Giubileo e ritorni ciascun di voi nella sua possessione e alla sua famiglia. » Ciò è anche confermato dall’episodio delle figlie di Selofad (Numeri, cap. 36). Però, tenuto conto dell’equità della ripartizione primitiva e del normale sviluppo delle famiglie, il ritorno allo siala quo rappresentava un «calmiere» sufficiente alla formazione di colossali patrimoni privati, calmiere che Oggi solleverebbe di certo infinite proteste da parte degli interessati.
N. d. T.
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se il venditore aveva bisogno della sua terra e s’egli poteva trovare il danaro per redimerla, egli poteva farlo e il compratore (o meglio il temporaneo usufruttuario) era costretto a cedergliela (Lev. Deut. “L, 1 2 Cron. ,
Gioele >/.) (■)•
Gli struménti di lavoro.
Nei nostri paesi civili (e nemmeno in tutti) un operaio stretto da vicino dai creditori può oggigiorno rivolgersi al tribunale e prestare il giuramento del debitore povero, per dimostrare ch’egli non possiede altri beni all’infuori dei suoi strumenti di lavoro — e questi non possono essere pignorati. Tali disposizioni hanno la loro origine nell’antica legge inglese, secondo la quale lo strumento di lavoro dell’uomo non può essere toccato. La scure del boscaiuolo, il libro dello studioso, l’aratro del contadino colle bestie per trascinarlo sono proprietà sacra. Questa legislazione moderna però non fa che trasportare nella vita europea e americana ciò che gli antichi Ebrei riconobbero tanto tempo addietro ; infatti un’antica legge mosaica dice: «Nessuno prenderà in pegno lo strumento di lavoro di un uomo, perchè Chi prende lo struménto di lavoro di un uomo prende la sua vita» (Deut. *■*/<)•
Ora è esattamente questo medesimo principio che sta alla base della domanda socialista pel possesso collettivo dei mezzi di produzione e di distribuzione. Il socialismo constata un fatto che il senso della giustizia ha constatato da lungo tempo : colui che controlla gli strumenti per mezzo dei quali un uomo vive, controlla la sua vita. Orbene, poiché oggi questi strumenti sono un grande e complesso meccanismo, sociale per natura, il socialista chiede che la società li possegga e li adoperi a beneficio di tutti gli uomini. Coloro che detengono gli strumenti per mezzo dei quali la massa degli uomini si procura da vivere, detiene la loro vera e propria vita.
Leggi che governavano i debiti.
Le leggi che governavano i debiti erano rigorose e progredite. Un venditore non poteva chiedere interessi, non poteva trattenere gli arnesi di lavoro di un uomo come garanzia di un prestito, e ogni sette anni il debito era estinto per legge e doveva essere rimesso. Quale superiorità era questa allorquando, tutto intorno al popolo ebraico, i debitori insolvibili potevano essere venduti come schiavi !
(1) E ciò, aggiungo io, al prezzo iniziale d’acquisto; ammesso solo un giusto compenso per le migliorie efìettive arrecate al terreno, ma escluso qualsiasi rimborso pel plus valore eventuale acquistato dal terreno per circostanze indipendenti dalla volontà o dal lavoro del detentore !
E oggi certa gente si ribella nel veder tassato questo plus valore dovuto al progresso sociale, e che perciò è giusto ridondi in parte a beneficio delio Stato, cioè a beneficio di tutti. E’ noto l’esempio classico del plus valore enorme che acquistano in brevissimo tempo i terreni nella vicinanza immediata delle città, trasformandosi talvolta da aridi campi in aree fabbricabili. N. <1. T.
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Come era regolata la materia dell’interesse.
Il percepire un interesse era proibito da Mosè perchè egli ciò considerava come un approfittare delle avversità di un povero. Ben è vero che Mosè permise di percepire un interesse dai Fenici, che erano i commercianti e gli speculatori del tempo (Deut. a,/i9-JO)- Egli sembra avere stimato che il prestatore il quale partecipa ai rischi e aiuta un’impresa abbia il diritto di partecipare agli utili. Ma il gravare d’interesse un prestito fatto a un amico, a un vicino, a un concittadino, era considerato cosa gravemente malvagia ed è condannata in quasi ogni libro delle Scritture Ebraiche (Esodo ”/a$, Deut. a,/l9, Lev. 23/^-i9ì. Ezechiele pone il prestito nella stessa categoria in cui pone l'idolatria, l’omicidio e lo spargimento di sangue (Ezech. ‘8/Ja). H libro dei Proverbi dice che il prestito trasforma le benedizioni di Dio in maledizioni (’8/g_l0). Il Salmista dice: « Chi prende interesse non abiterà nella casa di Dio » ( */$)•
Il “ Referendum „•
Queste leggi — proposte, secondo la narrazione che ce ne vien fatta, da Mosè — furono adottate dal popolo con una votazione a base di referendum democratico e furono per lungo tempo generalmente osservate. Non è dunque da stupirsi se questa nazione composta di elementi operai (fabbricanti di mattoni sotto i Faraoni egizi) diventò un prospero, libero e felice popolo.
Valore statale di questa legislazione.
La legislazione di questa repubblica operaia ebbe il più alto valore statale che il mondo abbia mai potuto vedere.
Anzitutto, essa evitava gli estremi della povertà e della ricchezza ; sotto di essa non era possibile la formazione di estesi poderi, nè lo sviluppo di una classe privilegiata, col suo strascico di masse impoverite.
In secondo luogo, questa legislazione garantiva lo stabilimento in Palestina di una popolazione industriale e agricola ed evitava lo spreco del suolo e delle risorse naturali.
In terzo luogo, essa faceva di ogni uomo un proprietario, un vero patriota, interessato alle sórti del suo proprio paese.
In quarto luogo, essa costituiva un’ampia e giusta ripartizione: 25,000,000 di acri divisi tra 600,000 famiglie davano 42 acri ad ogni famiglia, dunque assai più dei 7 acri per cittadino dell’antica Roma, o dei 3 acri colla libertà che, secondo l’economista Bolton Hall, sarebbero ora necessari.
In quinto luogo, c’era una riserva per l'avvenire e per una futura ripartizione a misura che la popolazione aumentava.
Questo adunque era il pensiero sociale fondamentale della nazione Ebraica ; questo è il sentimento di tutti gli scrittori dell’Antico Testamento, storiografi e poeti ; ma questo soprattutto fu il concetto e il messaggio dei Profeti. Questi uomini furono, come dice così bene il Renan: « Una schiatta di agitatori pel miglioramento sociale e civile ». Essi furono le voci che gridarono alla Nazione
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di mantenersi fedele a questi ideali. I loro scritti sono degli opuscoli di propaganda contro l’oppressione, l’ingiustizia e le cattive condizioni sociali. Essi vigilano e denunziano l’allontanarsi dalla giustizia sociale, ed essi lottano e supplicano per un migliore ordinamento. C’è forse da stupirsi se uno degli scrittori sacri esclama trionfalmente in tono di sfida : « Quale nazione ha dessa degli statuti e dei giudici simili a questa?» (Deut. 4/s).
Certamente ha una solida base la constatazione di Osborne Ward (Ancitnt Lowly^ pag. 59) : « E’ evidente che gli Ebrei furono i primi a organizzare e a sviluppare ciò che oggi è chiamato Socialismo » (1). Ed è evidentemente inam missibile che Gesù — il quale svolse essenzialmente il loro pensiero — abbia potuto, con la sua mente così acuta e col suo cuore così sensibile, non tener conto del loro spirito e non essere impressionato da questo grande pensiero economico e sociale delle anime più elette del suo popolo. E noi sapremmo, anche se una sola sua parola non ci fosse stata conservata, che Gesù, con la sua potenza d’intuizione e col suo ardimento, ha dovuto trovare da dire chiare e coraggiose parole sugli argomenti di carattere sociale. Noi cercheremo appunto, nei prossimi capitoli, di ricavare dai documenti che ci sono stati conservati, quali furono queste parole.
CAPITOLO SECONDO.
Il Messaggi© sociale di Gesù.
Gesù nulla scrisse, tranne un rigo sulla sabbia. Ciò che noi conosciamo del suo pensiero ci giunge per altre due fonti : gli scritti dei suoi seguaci e discepoli, e i loro costumi e abitudini quando misero in pratica ciò Ch’Egli aveva loro insegnato. In questi scritti dei suoi discepoli noi troviamo che Gesù prese posizione a favore delle leggi economiche di Mosè, dichiarando ch’egli era venuto, come erano venuti i profeti, per chiederne l’adempimento, e che nè una virgola, nè uno iota della Legge era abolito. E su quella base egli diventò un crociato a favore della giustizia economica. Egli si presenta con un doppio messaggio: egli insiste presso gli uomini perchè abbandonino le forme e le cerimonie ed amino veramente Iddio ; e, colla medesima energia, egli insiste perchè abbandonino l’ingiustizia e si amino gli uni gli altri. Il suo messaggio fu per metà religioso e per metà sociale. Di tutte le grandi figure del mondo antico, Gesù fu il primo a elevare la voce a favore degli operai e contro l’aristocrazia come tale. Egli fu il primo a insegnare una coscienza di classe. Egli considerò le classi dirigenti intorno a lui come composte di sgherri, mentre i suoi fratelli erano schiavi, e si schierò dal lato degli schiavi. Egli non vide alcuna giustizia in una
(1) Sul carattere socialista della legislazione mosaica, vedi un mio studio in Rivista Cristiana (via de’Serragli, 51, Firenze) dei mese di marzo 1912. Un certo Simplex ha tentato di rispondermi in Rivista Cristiana del giugno 1912. L’ho confutato in Rivista Cristiana luglio-settembre 1912. (N. d. T.).
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classe che si nutriva del lavoro di un’altra classe. < Da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni » — questo principio trovasi nel substrato di tutti i suoi insegnamenti.
Si consideri, per esempio, l'insegnamento da lui dato in Matteo (2%-m) Per quanto concerne la ricompensa del lavoro. Coloro che mormorano quando si discorre di uguaglianza sociale possono non gradire molto questo insegnamento, essi possono non essere d’accordo con esso; ma nulladimeno tale insegnamento è stato dato da Gesù, e qui noi abbiamo insegnate almeno tre cose : Lavoro piacevole per tutti ; sufficiente e adeguato salario per tutti ; uguale salario per tutti.
Ora, i socialisti non si sono ancora decisi in merito al compenso del lavoro nella società socialista dell'avvenire ; le loro teorie sono varie : secondo le une il compenso sarà calcolato sulla base del bisogno, secondo altre sulla base del servizio. Gesù fu più radicale della maggior parte dei socialisti moderni ; egli tagliò senz’altro il nodo e avrebbe voluto che tutti facessero tutto il lavoro possibile e spartissero i proventi ugualmente. Questo insegnamento fu letteralmente messo ad effetto dai suoi primi seguaci.
Nei documenti scritti ci sono tre libri che stanno in prima fila come quelli che ci danno il messaggio sociale di Gesù; essi sono il Vangelo di Luca, il libro dei Fatti Apostolici del medesimo autore, e ¡’Epistola di Giacomo. In questi libri Gesù è presentato più che altro come l’antesignano dei protestatori contro l’ingiustizia economica. Luca era un greco ; egli era immune dalla grettezza giudaica ; come Paolo egli aveva una cultura e un’esperienza più vasta degli altri; egli fu una specie di Tolstoi, poiché rinunciò a quanto pare a una posizione agiata per prender posto tra 1 seguaci di Gesù; egli è l’evangelista socialista. E’ Luca che ha conservato alcuni degli ammaestramenti di Gesù i quali nel modo più evidente sono animati dallo spirito di classe. La versione data da Luca del Discorso sul Monte è tale un’accusa contro il ricco, a base di coscienza di classe, che ne risulterebbe giustificato il socialismo moderno più avanzato (vedi Luca 6/ao-3s)- E’ altresì Luca che conserva i grandi quadri del Ricco e di Lazaro (’%<>)> Ricco stolto ('7,6-22); dell' Economo infedele (’6/x-x3); del Rifiuto di spartire un’eredità (’a/,j)» Ricchi rimandati a mani vuote (’/$}).
Questo aspetto del messaggio di Gesù, quale è presentato da Luca, risulta di facile evidenza quando noi paragoniamo alcune sue citazioni con quelle corrispondenti di Matteo. Per esempio laddove Matteo dice : « Dà a chi domanda », Luca dice : « Dà a chiunque ». Matteo dice : « Vendi ciò che hai e dallo ai poveri », Luca dice : « Vendi ciò che hai », Matteo dice : « Beati i poveri in ¡spirito », Luca dice : « Beati i poveri » e soggiunge : « Guai ai ricchi ». E’ Luca che ci narra della nascita di Gesù nella mangiatoia, della povertà dei suoi genitori, del canto di Maria esaltante i miseri, ed esprimente l’amore di Dio per i poveri e il Suo odio per i ricchi.
Nel parlarci di Giovanni il Battista, Luca fa rilevare come Giovanni esortasse i pubblicani a smettere dalle estorsioni e i soldati a contentarsi del loro soldo. Nel menzionare la chiamata di Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni a seguire Gesù, Luca ci dice eh'essi lasciarono tutto. Laddove Matteo ci dice di amare i nemici e di pregare per loro, Luca dice : « Amate i vostri nemici e prestate loro». Laddove Marco permette ai discepoli di prendere un bastone,
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Luca lo proibisce. L’evangelo di Giovanni è scritto per convalidare la divinità di Cristo, Marco conserva i nudi fatti di fonte petrina della vita e degl’insegnamenti di Gesù, Matteo scrive per dimostrare che Cristo è stato il Messia Giudaico, ma Luca, il Greco rinunziatore, scrive al suo ricco patrone Teofilo e parla dell'attitudine di Gesù di fronte al povero e alla proprietà. E chiunque legga quel libro, che Renan chiamò «il più bel libro del mondo », giungerà presto a constatare che Gesù ebbe un messaggio sociale, un messaggio ardito e ardente.
Oppure si consideri il libro di Giacomo; è un libro che quasi divampa per la sua protesta economica, un libro animato dalla coscienza di classe quanto lo può essere un documento socialista moderno : « Orsù, voi ricchi, piangete e urlate, poiché la miseria sta per piombare su voi. Ecco, il salario degli operai che han mietuti i vostri campi e che voi avete trattenuto per frode, grida ; e il grido è penetrato nelle orecchie di Geova. Udite, voi che siete vissuti sulla terra in delizie e morbidezze e che avete satollato i cuori vostri» (s/i»4»$)- Quando leggiamo parole simili e quindi riflettiamo che Giacomo era un fratello di Gesù, e che forse egli meglio di ogni altro comprese ciò che ardeva nella mente di Cristo, noi possiamo giungere a capire quanto vasto era in quella mente il messaggio sociale.
I fatti Che ci sono conservati della vita di Gesù confermano i suoi insegna-menti. Egli fu un riformatore sociale ; anzi, egli fu più di questo : egli fu un rivoluzionario sociale; i suoi discepoli furono accusati di cercar di sconvolgere le cose. Egli non insegnò che i poveri devono essere pazienti e aspettare per star meglio la vita del cielo, egli non suggerì umilmente che il ricco dovrebbe fare la carità al povero; ma egli fronteggiò arditamente l'intero sistema sociale del suo tempo ed esortò gli uomini a uscire da esso e a divenire comunisti. In un mondo che s'era sempre prosternato davanti alla ricchezza, Gesù non usò verso di essa deferenza alcuna. La compagnia di Gesù era formata di poveri, i suoi amici e compagni furono i miseri e i reietti, ed egli se ne gloriò. Egli disse che il ricco, stando in inferno, solleverebbe lo sguardo verso il mendico andato nell’abitazione dei benedetti (Luca Egli chiamò l’astuto capitalista « un pazzo » (Luca “/iì)' Egli cacciò i mercanti dal tempio, egli condivise la povertà coi poveri, ma non con muta pazienza; egli insegnò loro, persino mentre mangiava, che l’amarezza dell’ingiustizia era in quel pane. Gesù fece risuonare la nota democratica; questa nota, per quanto concerne la religione, l’educazione e la vita politica, già noi popoli civili l’abbiamo adottata; ad essa dovrà presto necessariamente far seguito una democrazia industriale ed economica.
Il libro dei Fatti (e altri frammenti di letteratura cristiana primitiva) dimostrano il carattere proletario del primitivo movimento cristiano. In questo libro dei Fatti noi troviamo che i cristiani, per quanto concerne la proprietà avevano ogni cosa in comune. E questo deve aver durato qualche tempo, perchè Tertulliano, scrivendo 160 anni più tardi, dice: « Ogni cosa è comune tra noi, salvo le donne». Una delle chiese primitive aveva la sua sede nella casa di Simone il cuoiaio, il presidente di una lega del lavoro o di un sindacato operaio. Tutti i dati che abbiamo ci provano che i primitivi cristiani avevano inteso che Gesù aveva recato al mondo un messaggio sociale, un messaggio di comuniSmo, e che essi si conformavano a quel messaggio. E anche quando il Cristianesimo fu catturato dallo Stato fu lenta l’azione soppiantatrice di esso, perchè quei grandi predicatori pri-
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mitivi dissero alcune cose di molto dure riguardo ai ricchi. « I ricchi sono ladroni», dice Crisostomo. «L’uomo ricco è un ladro», dice Basilio. «L’opulenza è sempre il prodotto del furto, dice Girolamo, se non fu commesso dall'attuale possessore lo fu dai suoi antenati». «A rigor di giustizia, ogni cosa dovrebbe appartenere a tutti, l’iniquità ha creato la proprietà privata», dice Clemente ». «Il suolo è stato dato in comune al ricco e al povero, perchè il ricco lo pretende?», domanda Ambrogio. Agostino dichiara che l’origine della ricchezza sta nell’usurpazione (i). E’quindi impossibile, per l'investigatore sincero, di rivolgersi al messaggio di Gesù senza trovarvi il suo grande contenuto sociale.
Gesù dovette possedere una conoscenza di Dio più alta di quella ch’egli senti che avevano i suoi concittadini; egli insistette di fronte a loro ancora ed ancora per una religione più pura, per un più alto concetto, per una più semplice fiducia, ma, nello stesso tempo, egli del continuo fu irritato dalle ingiustizie che lo circondavano e arditamente tentò d'infrangere i legami dei prigionieri di Mammona. Egli disse ai suoi seguaci dei suoi tempi ciò che i socialisti vanno dicendo ai loro seguaci d’oggi : * Cercate prima di realizzare la migliore forma possibile di Società (il Regno di Dio) e tutte le altre cose saranno naturalmente sistemate ». Egli insegnò loro a pregare : « Dacci il nostro pane ogni giorno è annulla i nostri debiti ». Una simile preghiera si adattava soprattutto ai poveri affamati e indebitati. Essa non rimase del resto sempre inesaudita perchè gli antichi Stati ordinarono talvolta, in caso di guerra, che tutti i debiti fossero annullati.
(continua) Roland D. Sawyer.
Nota del Traduttore. — Abbiamo resistito a mala pena alla tentazione di opporre in vari punti di questo capitolo il nostro pensiero a quello dell'autore. Abbondiamo nel senso di riconoscere un elemento sociale importantissimo, e purtroppo trascurato, nell'insegnamento di Gesù. Ma il Cristo, se fu un riformatore sociale, fu anche molto più di questo. Egli fu un Salvatore religioso, cioè un Redentore di tutta la vita, di tutto Puomo, anche e soprattutto degli elementi più intimi e più alti dell'uomo, del suo cuore, della sua anima, della sua coscienza. Chi vuol troppo provare non prova nulla, e rischia di disgustare invece di convincere. E' semplicemente assurdo ridurre al livello economico molti insegnamenti di Cristo i quali, appunto perchè religiosi, avranno di certo la loro applicazione sociale, ma sono per essenza morali e spirituali. Ad esempio questa interpretazione di una domanda del Padre Nostro ci appare alquanto peregrina e del tutto arbitraria.
(i) Questo argomento sarà ripreso e ampiamente sviluppato in un nostro studio intitolato: La proprietà privata negli scritti di alcuni Padri della Chiesa. (N. d. T.).
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Secondo essa il cristiano dovrebbe pregare: fa die siano annullati i miei debiti di danaro come io annullo i crediti che posso avere verso altri. Ma vorremmo sapere perchè ad esempio il cristiano dovrebbe rinunziare al giusto compenso dovutogli per un lavoro o un servizio onestamente prestato. E vorremmo sapere che cosa diventerebbe economicamente la nostra società (composta non di angioli ma di uomini) applicando il principio del mutuo indefinito compenso dei crediti e dei debiti.
Del resto rispondano i testi.
Ben è vero che Matteo (il calunniato Matteo dallo spirito legalista ebraico) dice'. wsc, ty.lv 'cà òos'.^rzaTa ¿jzéov eoa /.ai -/jfzsìa toC; '¿{Z&v (6/ia) *
gli òos’Àzua-ra sono i debiti, Fwtà&’vtic, è il debitore tanto nel senso fisico (denaro) come nel senso morale (offese). Quindi, sulla base di quel Matteo che il nostro autore ha accusato d'indebolire il pensiero di Gesù, sarebbe ancora possibile costruire più o meno solidamente l'originale teoria che noi combattiamo.
Ma ecco Luca (il prediletto Luca, dallo spirito ebionita, qualificato più sopra l'evangelista socialista). Che cosa dice Luca è
Luca dice, e il testo non è criticamente contestato: wqze, '¿jzw rag à$zapTÌa$ ■¿yxov zac yàp aùroì àocoyxv Trarre ¿»©scorre '¿¿zìv (‘ f/4). Ora la parola àjzaprèa è la grande parola che esprime l'idea di peccato, di colpa morale, di debito contratto dall'uomo malvagio di fronte alla giustizia divina, e questa parola non è suscettibile, per quanto si voglia e si faccia, di essere intesa come debito materiale e di essere applicata al campo degli affari. Il fatto eh'essa viene adoperata da Luca è per noi la prova irrefutabile che il senso dato abitualmente alla domanda del Padre nostro (il senso cioè morale e spirituale di perdono delle offese e dei peccati) è quello vero, esatto e corrispondente al pensiero e all insegnamento di Gesù.
Giovanni E. Meille.
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[INTERMEZZO]
IL MIRACOLO
delle rondini. Un sole
L miracolo si compie ; ma quanti di noi se ne accorgono, sebbene egli si faccia luce, profumo, armonia; e ci fluttui d’intorno, e noi lo si respiri e se ne viva?
Guardate! guardate! Gli ultimi ghiacci e le ultime nebbie si disfanno e vaporano; la terra germoglia e fiorisce nel grano tenerello, nelle erbe dei prati, nella fresca leggiadria delle primule, nella simbolica purità dei biancospini; e nell’aria esulta il clamor divino rompe le nubi e folgora di tra la pioggia: gli acquazzoni
di queste primaverili giornate somigliano a gli sfoghi di certe adolescenze vive di forze
incontenibili, per cui tanto il pianto che il riso sono un ristoro e una dolcezza.
C’è nulla, in natura, che non si r in novelli, e non respiri, oggi, la gioia?
E là gioia è il sereno ; e il sereno, fratelli, è la pace... — Nel cuor nostro che c’ è ? Risponde, il cuore, a questa gioia, a questo sereno, a questa pace? 0 egli riman chiuso in una sua acredine, come un pugno violento ansioso di colpire, e si fa una gabbia delle sue diffidenze, de’ suoi orgogli, delle sue vanità ?... Non c’ è, dunque, la primavera dei cuori, mentre quella della natura erompe con mille voci e mille sorrisi? Qual soffio rigeneratore deve mai passare su noi, perchè la polvere, di cui ci ricoprirono i bassi sentieri, e che fa pesanti le palpebre e tarde le membra, si disperda?...perchè le tenui faville, fra le ceneri degli scetticismi e delle stanchezze, si ravvivino e divampino in fiamme di entusiasmo? perchè, infine, in ogni abisso d’ombra, la fede accenda i suoi lampi, e la speranza batta con ali sicure?...
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BI LYCHNIS
Ce le recano le campane disciolte in letizia, dopo il raccoglimento e il lutto della Quaresima; e, purché noi vogliamo, tutto l'esser nostro avrà brividi e fremiti, e la fronte si leverà, come cinta di fulgore, a un’aurora eterna.
Colui cui le campane cantano osanna, chi è? Egli il vaticinato, l’aspettato: la Vai, la Verità, la Vita, che noi ricerchiamo appassionatamente e tragicamente — da quanto! da quanto! — Egli è la primavera delie anime, che dirada ogni nebbia e risolve in luce ogni ombra; e per cui le amaritudini, i tedi, gli squallori fioriscono di soavità.
Cristo! Chi lo seguì pe’ sentieri di Galilea, fratello a gli umili e maestro a’ superbi ; chi s’inteneri per la sua dolcezza coi bimbi e con la donna caduta ; ehi lo vide frustare gl’ipocriti della legge e i profanatori del tempio; chi lo udì proclamarsi Figlio di Dio, e pur lo scorse, condannato dagli uomini, muovere al Calvario sotto una croce.
come un qualunque vigliacco, se abbia presente il comandamento supremo: — Ama Dio sopra tutte le cose e il prossimo come te stesso — veramente nella Croce levata
riconosce il tramite fra il Cielo e la terra; e, in colui che vi muore. Colui che compendia tutti i drammi e gli eroismi dell’ umanità ; quegli in cui ogni anima che voglia il bene, ogni società che raccolga, in fascio, energie disperse, e l’effonda, come raggi e come squille, pel mondo; ogni periodo storico, che si radichi, per l'anelito a una più piena giustizia e libertà, in quanto di meglio ha il passato, e questo superi ed affidi.
trasmutato, in forza di conquista, all’avvenire, trova il proprio insuperati modello; il crisma di vita; il pernio per l'orientamento sicuro ed eterno.
Ricordiamo questo! e amiamo coni’ Egli amò per insegnare! L’amore è il soffio che pervade la terra e trae dalle sue viscere
oscure la poesia dei calici e delle corolle: perchè l'amore non compier;! il miracolo fra gli uomini ?
♦
Ch’egli pervada il nostro profondo e faccia del cuore la fiaccola alta sulla torbita corrente delle nostre viltà: alta, ad accennare, a chi l’abbia spenta, che vi son fratelli a tenerla viva e vigile per lui; alta, ben alta, e ben nutrita, e ben, salda, se infuria la tempesta e i venti la sferzano
perchè alla loro violenza divampi e si agiti, come una bandiera.
Vittoria Fabrizi de’ Biani.
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NOTfet
MMENTI
(i
Verso il conclave.
Volge ornai al tramonto il pontificato di Pio X, illuminando tristamente là pace del deserto che aleggia sulla Chiesa dopo il suo apparente trionfo su tutte le preoccupazioni e su tutte le lotte che erano il segno della robustezza e della vitalità del catolicismo.
Le frequenti ricadute nella sua malattia han fornito una buona occasione ai giornali liberali di far del sentimentalismo e di narrare nuovi aneddoti intorno ad un Pio X di maniera. In realtà le notizie allarmanti sono state accolte con un senso di sollievo e di gioia mal celata negli ambienti ecclesiastici, sopra tutto a Roma. Antiche speranze addormentate si sono ridestate, vecchie passioni covanti si son riaccese : i cardinali di Curia han cominciato a lavorare seriamente per la prima volta sotto il pontificato di papa Sarto ! E' che oramai il programma politico di Pio X — perchè Pio X è stato eminentemente un papa politico, malgrado la diffusa leggenda del mite papa spirituale ed evangelico — ha avuto tutto il tempo di svolgersi organicamente, di esaurirsi e di mostrare i suoi tristi frutti : X^desolatio Ecclesiae! Cosi pensano, cosi sentono i cattolici più avveduti.
Un mutamento nell’ indirizzo politico della Chiesa, essi dicono, s* impone, chè avvertono il senso di disagio, di malessere e anche di malumore diffuso nella Chiesa. « Liberateci da Pio X ! » gridava un capo dell’organizzazione cattolica italiana, interessato nel trust cattolico giornalistico ad un giornalista democratico.
Più che il pettegolezzo aneddotico dei giornali e le previsioni sportive intorno a chi arriverà
primo al....traguardo del pontificato, ci sembra utile ascoltare e tentare di comprendere il brusìo di voci che s’eleva sommesso ma ostile intorno a questa larva di pontefice che sente tutta l’amarezza della solitudine, invano confortata dal serafico Pives y Tufo, in cui è stato abbandonato.
Gli unici a sentir pietà e gratitudine verso Pio X saranno forse gli irlandesi insulari e d’Oceania come quelli d’America, perchè Pio X non li ha sacrificati come Leone XIII alla politica inglese per un platonico sogno di conversione dell’Inghilterra... non più anglicana; ha compreso la loro importanza numerica ed economica, anche per gratitudine ai suoi grandi elettori irlandesi ; ne ha soddisfatto l’irrequieta ambizione con un’infornata di cardinali americani ; ha soddisfatto il loro bisogno di riforme pratiche e moderne; ha dato loro intiera influenza sull’elemento emigratorio italiano, eliminando il clero italiano ; non li ha offesi con la lotta contro il modernismo, perchè, fatte poche eccezioni, essi non vi han visto che il trionfo del buon senso pratico sulle nebbie della alta coltura, a cui si sentivano intieramente estranei.
C’è chi dice che Pio X è Gregorio XVI e che si è alla vigìlia di un conclave che ci darà un nuovo Pio IX. Ogni previsione è per lo meno immatura e in esse è facile scorgere una illusione che rinasce di frequente e che alcuni romanzieri, fra altri, hanno attribuito anche ad alcune frazioni modernistiche ; quella di un papa apostolico, spirituale, liberale che spezza coraggiosamente le vecchie e pesanti gomene che tengono da secoli la mistica barca di Pietro fissata nelle acque stagnanti e mortifere della
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politica e della mondanità. Ma può esistere forse per il cattolicisnio una Chiesa così spirituale e cosi aerea? La Chiesa romana vuol essere, come è riuscita ad essere, una società completa che sente di avere il diritto di dominare incontrastata, di allargarsi sempre più ; la politica, come per un grande Stato è quindi per essa un mezzo necessario per vivere, cioè per mantenere le posizioni conquistate e per svilupparsi. E’ giudicare il cattolicisino con i criteri fondamentali che han trionfato altrove con la Riforma, il pensare alla cessazione nella Chiesa di una sua necessaria funzione politica. Nel loro ambito, è miglior interprete della realtà la sfacciata e paradossale professione di « cattolicismo ateo » di certi clericali più intelligenti che il bel sogno di sublimazione evangelica della Chiesa dei cattolici liberali e nel giuoco delle influenze reali avrà più grande efficacia la prima che il secondo.
Ma se la conoscenza della vera natura e della finalità dei metodi della Chiesa romana, inscindibile dall’istituzione-papato, è un’utile correzione ai nobili tentativi di riforma troppo spirituale dal di dentro, è utile anche a quei di fuori. Limitiamoci alla così detta « politica » vaticana. Quante puerilità, quanta leggerezza nei giudizi e... pregiudizi correnti! I giornali liberali ci hanno abituati ad una visione ristretta, episodica, su di uno sfondo di scandali e di sentimentalismi. Noi italiani poi non vediamo il Vaticano che attraverso le preoccupazioni legittime della lotta nazionale e d’altra parte siamo sempre teneri verso il Papa che ci piace immaginare, per influenza di vecchie tradizioni, come un buon padre, buono, troppo buono, cioè debole, circondato da prelati interessati e corrotti e sobillato abilmente dall’ impalpabile Compagnia di Gesù ! Ebbene, se il Papato è un nemico, una rappresentazione convenzionale e burlesca di esso è un comodo schermo frapposto fra noi e lui per non scorgere le sue rapide evoluzioni e per non colpire un giorno che delle vane ombre cinesi ! L’invito ad abbandonare un’interpretazione sentimentale o settaria, o da moralisti è il dolce richiamo della complessità e della mobilità delia realtà. La politica vaticana, malgrado le untuosità del suo formulario, è una politica come tutte le altre ; una politica da grande Stato conservatore ed assolutista, sebbene non trovi sempre l’uomo «provvidenziale» del momento; gli interessi .determinati dal suo passato come quelli attuali, spesso in contrasto fra di loro, sono le forze che si fanno sentire seriamente e quotidianamente su di essa. Roma (cioè il Vaticano) è v.n po’ quello che Pietroburgo per
esempio è per gli slavi ortodossi che premono minacciosi Sull'Egeo e sull’Adriatico; al posto degli slavi mettete, se vi piace, fra tanti altri, gli irlandesi, i polacchi, i francesi delle colonie e del Canada, ecc. Voi avrete allora un’idea della complessità dei problèmi politici connessi con problemi etnici ed economici della più grande importanza, che porta con sè il cattolicismo, che per milioni e milioni di persone ha la stessa influenza che il sentimento patrio e nazionalista. Pensate che un gesto di Roma, una sua parola d’ordine possono rendere docili ad un governo o un pericolo pubblico delle popolazioni fanatiche. Pensate alla rinascita di un imperialismo cattolico che va prendendo coscienza e consistenza nei popoli nuovi. 11 cattolicismo entra inoltre come un fattore primario nelle future grandi lotte di razza che già si delineano chiaramente. Dal punto poi strettamente politico, la presenza di cattolici in uno Stato rappresenta un elemento' conservatore che è bene tener quieto ed alleato ; ed ecco come, oltre che per altre ragioni, la politica vaticana è influenzata da' ambasciatori e da ministri, più che da prelati. E l’oro dell’obolo? E l’influenza dei grandi ordini religiosi e di certa stampa?
Oggi il papato è divenuto il vero centro del cattolicismo ; di tendenze ecclesiastiche nazionaliste non è più il caso di parlare. Quale è quindi la sua vera situazione, quale il suo fatale orientamento? Problemi complessi; ad ogni modo due cose sembrano chiare : i® lo sviluppo inevitabile della papolatria, che facendo perdere ogni efficienza all’organismo gerarchico ecclesiastico, inette direttamente la massa cattolica unificata sotto l’influenza illimitata del papa; 2® l’orientamento o lo spostamento del papato verso i paesi aperti da poco alla civiltà, che non hanno tradizioni ecclesiastiche, e verso i paesi in cui la parentesi protestante ha distrutto le tradizioni dell’organismo cattolico e che accolgono verginamente la fase attuale del papato onnipotente nel cattolicismo. Il vincolo millenario fra il papato e i popoli latini — che di esso sono stati la culla e la nutrice, che hanno fatto il diritto canonico, che hanno tradizioni di libertà ecclesiastica, — si va insensibilmente sciogliendo. Il papato ripete, per necessità di cose, ciò che fece l’impero romano di fronte al quiritismo latino : appoggiarsi sui popoli entrati dà poco a far parte del vasto corpo imperiale. Il culto dell’imperatore, non va dimenticato, nacque nelle provincie orientali e non a Roma!
Il papato è istituzione oramai italiana, per tradizioni e per spirito ; ma è certo anche che
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NOTE E COMMENTI
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lo sviluppo periferico del cattolicismo e vasti cambiamenti sociali e politici si son fatti sentire fortemente in questi ultimi decenni. Se la politica di Roma è stata influenzata, nel corso del secolo xix, alternativamente da quella della Francia e dell’Austria, oggi è fuori di dubbio che il campo politico del papato è più vasto e s’allarga oltre la preoccupazione non scemata del potere temporale : ci sono altre influenze più lontane e anche più forti, che noi italiani dobbiamo conoscere e pesare in vista dell’avvenire.
É
Nel prossimo Conclave ci piace immaginare •che dalla parte più intelligente ed aperta del Sacro Collegio moveranno le critiche serie al vecchio pontificato di Pio X e che dallo scambio di vedute fra cardinali venuti da regioni le più diverse fra loro, rappresentanti correnti ed interessi svariati, verrà fuori il bilancio della situazione attuale del cattolicismo. L’elezione del nuovo papa, però, sarà dovuta solo in minima parte alla forza delle conclusioni che scenderanno da un acuto esame della situazione e dalla critica degli uomini del governo di papa Sarto : altri interessi, altre forze trionferanno.
È possibile intanto raccogliere per nostro conto qualcuna di queste critiche e di questi -desidèri ? Che cosa, p. es., si dice di Pio X nei circoli ecclesiastici, di tendenze diverse e spesso opposte? Ecco: 1® Pio X avrebbe screditato la serietà della Santa Sede con l’adozione di metodi subdoli, con la menzogna, con misure violente e precipitate (si pensi per esempio allo spionaggio della Revue Moderniste e alla menzogna officiale dell’esito della votazione dell’assemblèa dei vescovi francesi intorno alla accettazione della legge sulle associazioni cultuali) ; 2° Pio X avrebbe indebolito all’interno il cattolicismo: ay con la lotta sleale contro un preteso pericolo, il modernismo, che era piuttosto un segno di risveglio del cattolicismo nei paesi di coltura ; b) con la creazione di un episcopato mediocre e adulatore ; 30 Pio X avrebbe diminuito il prestigio esteriore del papato non circondando la sua persona di quello splendore regale che per lunga tradizione è il fascino di cui hanno bisogno sopratutto le masse cattoliche per sentire l’orgoglio di esser cattolici ; (1’ideale di un papa dalle abitudini borghesi sarebbe un disastro incalcolabile!); 40avrebbe diminuito il prestigio inorale del papato con decreti affrettati, con frasi offensive in discorsi e in documenti, con il ritiro di decreti solenni ;
5° Pio X avrebbe favorito dovunque le scissioni fra cattolici, prendendo vivacemente con poco tatto politico le parti di uno dei contendenti ; 6° Pio X avrebbe indebolito il valore del corpo diplomatico della Santa Sede ; 70 Pio X avrebbe impoverito il senso della tradizione religiosa (esempio : riforma del calendario e del breviario), attuando riforme volute solo da popoli nuovi ; avrebbe burocratizzato il governo ecclesiastico (riforma delle Congregazioni), togliendo ad esso anche quell’aria di governo personale e paterno, che era un prestigio e una forza di prim’ordine di fronte sAV impersonalismo dei governi democratici ; 8® la sua tentata riforma del diritto canonico, rompendo definitivamente con la tradizione giuridica e con lo spirito dell’antico diritto canonico, avrebbe consacrato solo l’arbitrio e l’onnipotenza di Roma, senza d’altra parte dare vera soddisfazione ai bisogni moderni e alla diversità di condizioni dei popoli a cui deve applicarsi; 9° Pio X per rompere definitivamente ogni velleità gallicana, dicono, è andato troppo oltre: ha avvilito ed indebolito la Chiesa di Francia, che è sempre per Roma un vero re-servoir di energie cattoliche; io® infine, tutti lamentano la tirannia e il capriccio elevati a norma di governo ecclesiastico ; dal « gruppo papale », cioè, da un organo non ufficiale, da un governo nel governo, è stata esercitata per anni una influenza illimitata e senza controllo.
Gli elementi che più sentono la grandezza delle tradizioni romane lamentano anche la diminuita influenza della tradizionale egemonia italiana nel governo ecclesiastico, che è stata sempre garanzia di equilibrio e di giustizia. Molti poi deplorano l’attivissima influenza austriaca .succeduta alla francese sotto Leone XIII e il Rampolla e notano malinconicamente che Pio X è il frutto del veto dell’Austria, come Giuseppe Sarto è l’antico suddito dell’l. R. Governo !
I l nuovo papa non dovrà preoccuparsi troppo del pericolo protestante che in realtà è scemato, sebbene resti come diffuso contrasto alla mentalità cattolica, contrasto che la lotta modernista ha messo in piena evidenza. Un grave problema sarà invece quello degli slavi ortodossi- Ricordiamo solo l’energica politica ecclesiastica russa degli ultimi anni, inaugurata da Stolypine e il trionfo balcanico, che significano: a) l'egemonia politica e numerica del-l’Ortodossia nell’Europa orientale; b) la perdita delle posizioni di privilegio e di favore che il cattolicismo, in quanto rappresentava una barriera contro l’Ortodossia eminentemente balcanica, godeva in Europa sotto il governo turco.
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Al nuovo papa spetterà l'oramai facile compito di riannodare i rapporti più o meno diplomatici con la Francia. Dall’attesa rivincita francese sulla Germania, Roma potrà contare eventualmente per riaprire la questione romana ! E poi la Francia di Poincaré non è più la Francia di Combes; lo spirito nazionalista in Francia ha bisogno di una piattaforma : la Chiesa gliela darà ! La riammissione nelle file dell’esercito dell’accusatore di Dreyfus, del tenente colonnello Dii Paty de Clam, decretata da quel ministro Millerand, che era stato uno dei più battaglieri difensori del Dreyfus, al tramonto del ministero Poincaré è significativa. Significa la chiusura di un’epoca e l’intenzione di inaugurare una politica non ostile ai cattolici.
Roma appoggia oramai i polacchi, baluardo cattolico contro l’Ortodossia. Ad essi è probabilmente riservata in un non lontano avvenire una rivincita ed un’influenza non piccola nella politica dell’Europa orientale.
11 cattolicismo delle popolazioni latine del Sud-America ha fatto sentire a Roma la sua forza, la sua ricchezza, le sue pretese in questi ultimi anni. È probabile che ad esso nel prossimo Conclave sieno fatte quelle assicurazioni e quelle promesse che han fatto avanzare sotto Pio X il cattolicismo irlandese. Sicché si può dire, in un certo senso, che la possibile piattaforma politica del nuovo papa sarà costituita da una specie di coalizione latina, da una parte, e dall’altra dagli slavi cattolici. Un’incognita è ancora il cattolicismo spaglinolo; ad ogni modo a molti apparisce evidente che la Spagna peserà presto qualche cosa nella politica mondana come in quella ecclesiastica.
Nella politica interna è probabile che prevalga una politica di rafforzamento, con tendenze non certamente liberali, ma di pacificazione, per riparare ai danni prodotti da Pio X con la sua lotta contro il modernismo che ha impoverito spiritualmente ed intellettualmente sopratutto il cattolicismo latino.
Intanto in Italia ed in Francia è evidente la decadenza dello spirito democratico, con le sue astrazioni, con le sue « illusioni umanitarie », a cui si va sostituendo epidemicamente un vivace senso egoistico del gruppo sociale e delle sue reazioni in opposizione all’ideale di « fratellanza umana ». D’altra parte il clericalismo ha una forte coscienza di partito, di esclusivismo del gruppo, di disciplina sociale ed è efficace scuola di combattività e di violenza. Oltre a questo ha l’idolatria della tradizione. Il nuovo spirito pubblico, che ha
già trovato nel nazionalismo francese e un po’ già anche iu quello italiano una parziale affermazione, per forza di cose, nell’atmosfera del cattolicismo papale, affretterà il suo processo di consolidamento. Il nuovo pontificato troverà cosi spianata la via... Ed allora gli uomini diranno che la mano provvidenziale di Dio era,... evidentemente,... con il papato!
D. G.
Dalle Cronache Giudiziarie.
Non facciamo disquisizioni cattedratiche-Non vai la pena ripetersi all’infinito. Cogliamo solo il lato comico apparso in due volgari processi svoltisi rumorosamente al tribunale di Roma quasi contemporaneamente, in questi giorni, in cui sottane nere e collari paonazzi, sangue bleu e traffichini, ladruncoli e mistificatori hanno ballato una ridda sotto gli occhi poco compiacenti di Temi.
Ecco, in breve, le ragioni per cui i signori giudici sono stati incomodati.
1. Personaggi : Monsignori, marchesi, principi, ecc. Un monsignore, mons. Luzzani, accusa l’altro, mons. De Loupé, di furto. Il supposto ladro afferma che si tratta di una infame calunnia, architettata dal suo collega nel servizio di Dio, per vendicarsi di una signora sua parente che avrebbe resistito. . alle religiose brame dei monsignore accusatore. Del quale fra l’ilarità dei giudici, degli avvocati, degli spettatori e persino, credo, dei mobili della sala e dello stesso palazzo di giustizia, è stata letta una missiva alla sua diletta, che veniva chiamata, tra le altre melensaggini, «fratello Giacomina». «Scrivevo francescanamente » ha dichiarato mons. Luzzani ! !
E son venuti gli alti papaveri della curia ecclesiastica a deporre ed hanno detto... che non dicevano nulla, eccetto che, in fondo, i due preti che si azzuffavano non erano poi peggiori di tutti gli altri. Ma, appunto per questo, all’accusatore é giunta una letterina dal Vicariato in cui gii si ingiungeva di non molestar più oltre il suo diletto fratello in Cristo (!) se non voleva che i fulmini di Santa Madre Chièsa si esercitassero contro di lui. E, coraggiosamente, l’accusatore si è ritirato.
Così, mons. De Loupé ha avuto solo a combattere col principino — sangue bleu purissimo e colonna della fede —, il quale, dice-vasi, aveva provveduto a vender la refurtiva e si era fatto rilasciare il ricavato in grazioso
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NOTE E COMMENTI
prestito. Poi erano nate complicazioni e l’intraprendente monsignore era giunto a sfidare a duello il preteso complice e lo aveva minacciato con la rivoltella per gelosia di una donnina. E giù di questo passo.
Insomma: le donne, i cavalier, l’armi, gli amori e le audaci imprese avrebbe cantato ancor oggi l’Ariosto, sostituendo naturalmente ai « Mori », tanto per conservar la rima, i « Monsignori »....
II. E* più carino ancora. Anche qui l’imputato principale è un Monsignore, uno dei più alti maneggioni delle cose vaticane, monsignor Francesco Cantelmo, già vicario generale, amministratore apostolico di una diocesi, abate mitrato, ecc. ecc. Egli veniva accusato di appropriazione indebita, per lire seimila, in danno di un prete, certo Mosciaro, che si era rivolto a lui per comprare (è la parola giusta) da S. Madre Chiesa uno scampoletto di paonazzo da apporre alla sua veste nera, tanto nera quanto il suo passato sacerdotale.
Mons. Cantelmo prese, in sua mano l’affare, dicendo al suo protetto, che aveva degli scrupoli per il peccato di simonia: «Tu la pensi all’antica! Roma è stata sempre venale e pur di ricevere quattrini dà onorificenze e cariche a chi le paga ». Ed alle obbiezioni circa il passato de] Mosciaro, aggiungeva per sopras-sello: «Tu non conosci la melma di Roma: purché paghi, saprò trovare tutte le strade aperte ».
Così diceva l’atto di accusa, il quale proseguiva col raccontare come mons. Cantelmo si fosse valso, per la nobile bisogna, di un tal Vassetta — altro imputato —, che, a sua volta, richiese l’ausilio di quel mons. Brunner, l’amico degli amici del mons. Benigni.
Questo Brunner, su carta intestata delia Segreteria di Stato, dove era allora archivista, scrisse al vescovo di S. Marco Argentano e Bisignano, mons. Salvatore Scarni, presentandogli il Vassetta ed esponendogli lo scopo della visita di costui, di avere cioè dal vescovo il necessario nulla osta, per il titolo voluto dal canonico Mosciaro. Ed il vescovo, con biglietto riservato, promise quanto si voleva da lui; ma assunte poi informazioni, poiché non conosceva il Mosciaro, emigrato da 25 anni dalla sua diocesi, ed avutele pessime, scrisse direttamente ai Brunner per esporgli lo stato delle cose ed i suoi timori.
In risposta a questa lettera, ricevette una raccomandata da Roma nella quale il Vassetta gli rimetteva un vaglia bancario di lire millecinquecento per elemosina dì una messa ; poi il Vassetta stesso giunse di nuovo a S. Marco
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Argentano e si portò, in prima classe, il vescovo, a Roma. Ma qui li attendeva una terribile delusione. Poiché, nel frattempo, il Mosciaro, temendo di essere raggirato e truffato, aveva sporto querela contro mons. Cantelmo ed il Vassetta, per appropriazione indebita. Il vescovo si vide sequestrate le lire millecinquecento e gli imputati furono tratti dinanzi al tribunale di Roma.
Fra le deposizioni rese in istruttoria ve ne sono alcune di un interesse tutto particolare. In una di esse, un prete, che aveva assistito alle pratiche svoltesi tra il Cantelmo, il Vassetta e il Mosciaro, ha dichiarato che il vescovo Scanu contrattò coi Vassetta, che avrebbe date buone informazioni sul Mosciaro, in cambio di una somma di denaro e di un biglietto di circolazione di prima classe, e che precisamente le millecinquecento lire furono inviate al vescovo « sotto pretesto che quella somma era stata versata da una persona per una messa». E questo prete, Ruotolo Delindo, concludeva la sua deposizione testualmente così : « Del resto truffa non vi è nel fatto perchè nessun raggiro fu messo in campo, mentre ciò che si promise ai Mosciaro dal Cantelmo e dai Vassetta non erano fantastiche promesse, ma pratiche che dolorosamente si fanno presso le afte sfere del Valicano, per ottenere, mediante intrighi dell’alto e del basso personale, onorificenze e titoli ecclesiastici».
Un’altra confessione preziosissima è quella contenuta nella memoria di mons. Cantelmo in cui si dice che, egli a garanzia del Mosciaro, volle presenziare le « operazioni » e si accertò che il denaro venisse utilmente impiegato, ed ebbe a constatare che il Vassetta spiegò la sua attività con mezzi leciti ed onesti.
Al dibattimento tali deposizioni vennero confermate e, se pure è possibile, aggravate. Venne ad esempio prodotta una lettera che dimostrava come non era la prima volta che il Brunner aiutava il Vassetta in simili imprese.
Il tribunale ha affibbiato tre mesetti di reclusione a mons. Cantelmo come maggiore responsabile, e una pena minore al Vassetta, per appropriazione indebita qualificata.
Questa la cronaca : ora un breve commento. Che i vari dicasteri pontifici vendessero croci e ciondoli di una più o meno bufia cavalleria, per solleticare la vanitosa imbecillità di qualcuno a cui tutto fa difetto fuorché il denaro, ciò era ben noto a tutto l’orbe terracqueo.
Cade anzi acconcio il ricordare qui come documentazione alcune righe estratte dal dossier Montagnini (v. biches pontificales, ed. Nourry, Parigi :
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« /6 novembre 1904, decorazione Happe, Versailles: supplemento versato da P. Bau-dricourt, 500 fr. — 30 dicembre 1904, titolo di commendatore di S. Gregorio Magno al signor Décastère-Huet (diocesi di Cambrai), 2500 fr. — 20 gennaio /905, ricevuti 2500 fr. per il conferimento di una commenda — S agosto 1905, ricevuti fr. 1300 per il conferimento di un cavalierato, e cosi di seguito — Parigi, S febbraio 1905: « Trasmetto pure - scrive monsignor Montagnini a Merry del Val - una istanza al S. Padre, con cui sollecito la promozione al grado di commendatore di S. Gregorio M., in favore dell’attivissimo cav. Augusto Potron, istanza munita di una calda commendatizia del card. Richard. 1 promotori [di tale onorificenza] si sono quotati per riunire una somma da offrirsi al S. Padre, affinchè S. Santità si degni accordare il favore domandato, ecc. » — 19 febbraio 1903 — Allo stesso card. Merry del Val — « Mi onoro di trasmetterle una lettera con cui il signor Chalin invia al S. Padre l’omaggio della sua gratitudine per il titolo di fornitore graziosamente conferitogli. Egli ha accolto ben volentieri il consiglio datogli in modo il più delicato da me e mi ha rimésso per (’Obolo di S. Pietro 200 fr. che metto a conto sul prossimo trimestre ». — « Per il ca-valier Giulio Servonnet, il buon Potron m’ha rimesso 1500 fr. A proposito, devo dire che per il grado di commendatore conferito a M. Potron, ho ottenuto un’offerta di 2300 fr. Trattandosi -i una promozione da cavaliere al grado di commendatore, i promotori della supplica si sarebbero limitati a pagar la differenza in più tra l'uno e l’altro grado, ma io li ho indotti ad essere il più possibile generosi, in considerazione dei bisogni della Santa Sede, ecc. ».
Ma che onori e dignità strettamente ecclesiastiche fossero ancor oggi fatte oggetto di turpe mercato, se era noto ad una ristretta cerchia di persone che vivono in questo particolarissimo ambiente vaticano e perciò non si meravigliano più di nulla, era dai credenti in buona fede attribuito a voci calunniose di avversari maligni. Ed è venuto in buon punto questo scandalo, che non si è riuscito a soffocare, a disilluderli.
Poiché abbiamo in questo processo un alto dignitario ecclesiastico che negozia in titoli e dignità della Chiesa, che cioè esercita questo « commercio romano ». Abbiamo lo stesso mons. Cantelmo che dice, a suo discarico, di avere assistito a queste « operazioni » di compra-vendita e di essersi accertato che il denaro
del compratore di titoli ecclesiastici venisse «utilmente impiegato», e che ha constatato che il suo commissionario ha spiegato la sua attività « con mezzi leciti ed onesti ». Si potrebbe domandare, a questo egregio monsignore. se ritenga onorevole far da attore o da manutengolo in una triste commedia come questa ; se egli creda in verità che fra i mezzi « leciti ed onesti » usati dal Vassetta sia pure il mercato della coscienza di un vescovo.
Di più abbiamo qui un vescovo cosi stupido — poiché non vogliamo crederlo disonesto — che non respinge con sdegno il denaro offertogli per comperarne la coscienza, ma che con complimenti e salamelecchi ringrazia per le millecinquecento lire, offertegli « come elemosina di una messa » da colui che gli domandava una falsa testimonianza a favore di un prete immeritevole; che anzi accoglie doppie volte quest’uomo, con particolare onore nel palazzo vescovile, e si sdraia vicino a lui sui vellutati cuscini di prima classe, che il prezzo del mercato ha pagato, in viaggio per Roma... per riconfortare il suo spiritò.
Abbiamo una delle innumerevoli ostriche del Vaticano, quel tal Vassetta, che gode la confidenza di alti prelati e che forse per questo ha la coscienza netta quando si accinge a comperar la coscienza di un vescovo ed a speculare sulle cariche ecclesiastiche. Ma, in fondo,... un buon cristiano, fedelissimo verso il Papa, benché poco o nulla osservante dei più elementari precetti scritti in fondo ad ogni cuore. Si potrebbe quasi quasi chiamare un antimodernista tipo.
Abbiamo un aito impiegato ed ecclesiastico per giunta, che servendosi del suo ufficio, si immischia gaiamente in affari così poco puliti ; abbiamo, infine, un prete, che candidamente dichiara che quel che è passato tra Cantelmo, Mosciaro, Vassetta, Brunner.ecc., cioèfravenditori e compratori di dignità ecclesiastiche, è la cosa la più comune nella Roma papale.
Credereste voi che, contro i colpevoli, l’autorità ecclesiastica abbia provveduto, come la giustizia civile? Avreste ragione. Infatti negli Acta Apostolica^ Sedie vi era una ordinanza con cui era inibito ai Vassetta l’accesso ai dicasteri ecclesiastici. — E gli altri —, domanderete? Ecco: il Mosciaro, il derubato, lo hanno sospeso a divinis. — I monsignori ? — Ah, ma pretendete troppo ! I monsignori non sono punibili, altrimenti dove si andrebbe a finire col principio di autorità?
Ernesto Rutili.
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NOTE E COMMENTI
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La soppressione di quattro Papi.
Quattro Papi, Bonifacio VI, Bonifacio VII, Giovanni XVI e Benedetto X, sono stati radiati dai quadri dei pontefici di Roma nell 'Annuario Ecclesiastico per il 1913, pubblicazione ufficiale del Vaticano.
La cosa ha fatto rumore ed i giornali se ne sono largamente occupati di modo che l’Osservatore Romano (n. del 26 gennaio) si è creduto in dovere di spiegare come \'Annuario non fa altro che pubblicare la serie dei pontefici riveduta da Benedetto XIV. In verità la ragione non è troppo perentoria. Da Benedetto XIV a noi là serie dei papi aveva continuato a contare, fra i legittimi, in atti e documenti ufficiali ed in pubblicazioni lodate, approvate, incoraggiate, i quattro proscritti. Basta ricordare che essi figurano magnificamente nella cronotassi dei pontefici esposta in medaglioni nella basilica di S. Paolo, cronotassi che certo l’artefice non effigiò di suo capriccio, e che la lista che contiene i loro nomi veniva pubblicata da lunghi anni nelle pubblicazioni ufficiali o ufficiose del Vaticano come pure nell'Annuario del 1912 non meno ufficiale di quello di quest’anno.
Accenniamo alla edificante storia di questi poveri reietti. Bonifacio VI, al dir del Platina, « fu legittimamente e con debiti mezzi creato pontefice». Egli, figlio di papa Adriano II, era stato deposto due volte da prete, per indegnità. Ciò non tolse che Io nominassero papa e che venisse chiamato santissimo e beatissimo. Ma non regnò che 15 giorni (ricorderemo per incidens che undici papi non raggiunsero un mese di pontificato e che più di quaranta sedettero sulla cattedra di Roma per meno di un anno), e, dopo morto, il suo successore non meno santissimo e beatissimo, Stefano VI, terribile suo nemico in vita, ne fece dissotterrare il corpo e tradottolo davanti ad un concilio gli istruì contro un processo. E non avendo il cadavere saputo addurre ragioni contro le accuse mossegli, Bonifacio VI fu condannato come usurpatore, e il nuovo vicario di Cristo fece tagliare al cadavere le dita e la testa, e gettare il tutto nel Tevere. Vero è però che Giovanni IX, succeduto a sua volta a Stefano VI, sconfessò costui e riabilitò Bonifacio VI dichiarando validi i suoi atti pontificali.
Bonifacio VII fu eletto dal popolo romano appena appresa la morte di Ottone imperatore che aveva loro imposto un altro vescovo, cioè Benedetto VI. Primo atto del glorioso pontificato di questo nuovo Bonifacio fu quello
di liberarsi di colui al quale si sostituiva, facendolo strangolare. Il legato imperiale Sicco, volle opporsi al nuovo papa e nominò, a successore di‘Benedetto VI, Giovanni XIV. Ma essendo morto Sicco poco tempo dopo, Bonifacio VII rientrò in Roma, per forza d’armi, nell’aprile del 984. E, per non venir meno alle sue abitudini, preso Giovanni XIV, lo cacciò in una delle secrete di Castel S. Angelo e ve lo lasciò, con fraterna carità, morir di fame, come aveva fatto già papa Vigilio (anno 538) verso il suo predecessore Silverio.
Giovanni XVI fu papa per volontà di Crescenzio e conquistò il pontificato a prezzo di sangue. Fu un debole continuamente dominato da altri. Di modo che, perduto l’appoggio, un altro papa, Gregorio V, occupò senza altro il suo posto, e trattò lo spodestato con tanta umanità che si contentò soltanto di fargli strappar gli occhi e tagliare il naso a la lingua. Poi, denudatolo, lo fece porre a cavalcioni alla rovescia su di un asino e lo fece condurre per le vie della città di Roma scortato da carnefici che lo flagellavano a sangue.
Ma, giusto giudizio di Dio, a Gregorio V toccò più tardi lo stesso trattamento da parte del popolo.
Finalmente Benedetto X. Meritò di esser papa forse più di tutti i suoi predecessori e successori del medio-evo. Di lui scrisse il Platina : « Lasciò gran copia d’oro non ai parenti ma alla Chiesa Santa. Quasi non vi fu chi non piangesse nella morte d’un così buono e dotto pontefice». A lui però era successo in vita di essere spodestato da un facinoroso intrigante, irregolarmente eletto, che fu papa Nicolò IL Benedetto, per timore di peggio, abdicò; ma la parola data non valeva, sembra, per un papa legittimo, poiché durante una sacra funzione Benedetto fu arrestato e tratto dinanzi ad un concilio, ligio per paura a Nicolò II, e fu condannato alla deposizione.
Queste le cartelle biografiche dei quattro papi ora cancellati dall’albo pontificale.
Di una cosa si sono dimenticati i giustizieri di questi pontefici, di dirci cioè la ragione per cui li hanno soppressi. Per questo bisogna ricorrere a supposizioni. E queste si possono ridurre a due : la indegnità e la elezione illegittima. Ma se tali criteri avessero presieduto al giudizio, non solo quattro papi, ma almeno i due terzi dei pontefici romani bisognerebbe degradare. A proposito di indegnità, non sapremmo chi si dovrebbe conservare nella lista pontificale di questi che citiamo solo a modo di esempio fra molti altri : Papa Vigilio che fa morir di fame Silverio suo prede-
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cessore; Stefano VI che abbiamo già nominato; Sergio III, l’amante della feroce Maro-zia da cui ebbe quell’altro fior di galantuomo che fu Giovanni XI di cui, scrive mons. Du-chesne {Les premiere lemps de l’Etatpontificai, Parigi, 1904, pag. 338), « il Laterano era divenuto un bordello; una donna onesta non poteva sentirsi sicura a Roma... : si dice che il papa, nei festini orgiastici del Laterano, giungesse sino a bere alla salute di Satana... »; Giovanni XII, eletto papa a 12 anni, omicida, crudele, spergiuro, sacrilego, che dopo una vita condotta fra infamie ed incesti, finiva il glorioso pontificato precipitato dalla finestra da un marito che lo aveva sorpreso in flagrante adulterio con la sua moglie; Benedetto IX, che eletto a 12 anni governò la santa Chiesa fra delitti e deboscie, per tredici anni ; Benedetto XI, che, a detta dello stesso mons. Du-chesne {op. cil., pag. 355 e seg.), « vendè la tiara per sposare la cugina, figlia di Gerardo di Sasso. Infatti, il i° maggio 1045. cedette il sommo pontificato per 1000 o 1500 monete al suo padrino, l’arciprete Giovanni Graziano, e si ritirò in una terra di famiglia, ove potette abbandonarsi tutto ai suoi istinti depravali »; Bonifacio VIII, il primo papa che osò chiamarsi vicario di Gesù Cristo, che non credeva alla immortalità dell’anima e si burlava, nell’intimità, della « favola di S. Giuseppe»; Alessandro VI, cui nullum par elogium; l’infinita schiera dei papi simoniaci; spogliatori della Chiesa per arricchire le parentele, ecc. ecc.
E passando alla elezione illegittima, dovremmo ricordare tutti indistintamente i papi e non solo quelli dell’antico e del medio evo, ma quelli dell’epoca contemporanea. Basta conoscere superficialmente la storia, per sapere come i papi medievali possano chiamarsi in verità papi imperiali; come la loro elezione fosse frutto di sanguinose lotte fra partito e partito, di assassini e di illeciti commerci; come furono a volta a volta, a far le veci dello Spirito Santo, i re di Francia, gli imperatori di Germania, l’aristocrazia laica romana, i conti di Tuscolo, e cosi di seguito. Poi, in tempi più leggiadri, se non meno feroci, si succedettero le lotte nei conclavi, la vendita dei voti al migliore offerente (tipiche le elezioni di Sisto IV, di Innocenzo Vili che pattuisce con i cardinali Savelli, Colonna ed Hu-gonet di dare a ciascuno qualche castello della Chiesa e vescovadi ricchi o legazioni pingui purché lo facciano papa ; di Alessandro VI che fu persino minacciato da Carlo Vili di Francia di un concilio per esaminare per quali vie si fosse impadronito de) pontificato, di
Giulio II che compera direttamente i voti dai cardinali Ascanio Sforza, Carvajal e dall’egregio figlio di Alessandro VI, Cesare Borgia) ; più tardi ancora, fino ad oggi, chi ha fatto i papi sono state influenze e pressioni esterne ed interne, ripicchi, odii, competizioni, intrighi di Corte, vendette politiche. Per esempio: lo Spirito Santo che una volta si sarebbe servito di Marozia o di Teodora, di Ottone o di Carlo imperatori, recentemente si è incarnato in Francesco Giuseppe d’Austria per eleggere Pio X.
E allora, osiamo umilmente domandare, che in virtù di quella scienza che è la logica, o si rimettano nel loro rango i quattro vicari di Cristo ora deposti, perchè non sono peggiori di tanti altri, ed ottennero il pontificato con gli stessi mezzi degli altri papi, ovvero si tiri un frego su tutta la lista pontificale e non se ne parli più.
Ernesto Rutili.
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Per un Vescovo degno.
Dopo avere per una lunga vita saputo conciliare il sentimento religioso più puro all’amore più nobile per la patria ; dopo aver santamente vissuto e degnamente instancabilmente operato; dopo di avere, in questi tempi di schiavitù morale e di servilismo, dato prova di non comune dirittura morale, meglio rilevata dallo splendore dell’ ingegno, moriva nella sua piccola diocesi di Capua, dove lo avevano confinato, il card. Alfonso Capecelatro.
La sua nomina a vescovo e a cardinale fu l’unico buon frutto dei momenti conciliato-risti di Leone XIII, quando questo papa delegava il p. Tosti, al Capecelatro legato fino alla morte da fraterni sentimenti di affetto, a trattare una conciliazione con l’Italia presso il Crispi. Le trattative, è noto, fallirono per la reazione che si impose in Vaticano a Leone XIII, e fu, direi, fortuna, perchè ciò ha fatalmente accelerato il corso degli eventi per una soluzione più radicale e più sincera.
Ma, tornando al Capecelatro, nato in esilio da patrioti e patriota fervente egli stesso, bisogna chinarsi riverenti sulla sua tomba e rammemorarlo con affetto. Non solo come scrittore insigne a cui la patria letteratura molto deve, ma come uomo che fu fra i più sinceri propugnatori della libertà religiosa. E, regnando
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NOTE E COMMENTI
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Pio X, ciò è tutto dire. Sappiamo bene quel che diciamo, e ne abbiamo più prove. Ma se pur non avessimo particolari ragioni per affermar questo, ci basterebbe ricordar la indegna guerra a cui il cardinale, nella sua tarda vecchiezza, fu fatto segno dà una parte del suo clero diocesano, certamente incoraggialo e sorretto, almeno con la compiacente acquiescenza, dalle superiori autorità della Chiesa. E l’odio verso l’uomo buono gli sopravvisse. Poiché — giova ricordare questa pagina di cronaca come esempio e come ammonimento — dopo che negli ultimi anni di sua vita, una vera campagna diffamatoria fu organizzata a base di calunnie e di libelli volgarissimi contro il vecchio pastore, condotta da un decano di quel capitolo a cui si accordarono i peg-gieri soggetti del clero (contro cui unanime fu lo sdegno di tutto un popolo), quando il vescovo agonizzava e fu chiamato il detto decano, come dignitario ecclesiastico, a somministrargli i sacramenti e gli estremi conforti religiosi, questo decano si rifiutò dicendo: « A me non interessa : se gli bisogna l’estrema unzione chiami il parroco ! » E, morto il Cape-celatro sull’imbrunire del 14 novembre scorso, per disposizione del solito prete, le campane non ne indicarono la dipartita se non il giorno dopo a tarda ora, ma per tale permesso fu dovuta pagare, nelle sacre mani di quel sacerdote, la tassa di lire cinque.
Riferiamo tali notizie incredibili da un giornale troppo bene .informato in proposito il quale riferisce fatti notori aggiungendo che il Capitolo della Cattedrale non fu rappresentato ai funerali, che anzi, come estrema offesa alla memoria del defunto, elesse — degno premio a tanta virtù — il decano ribelle al suo vescovo a vicario capitolare. E questi, subito dopo eletto, immemore che oltre il rogo l’ira nemica dovrebbe estinguersi, proscrisse dalle scuole un volumetto del cardinale « La dottrina cattolica », richiamò ad insegnare un prete che il Capecelatro aveva scacciato, e riabilitò un ex parroco, accusato di fatti innominabili, per cui era stato punito meritamente dal defunto.
Non aggiungiamo nulla di nostro. Il defunto cardinale aveva già perdonati questi suoi persecutori, ripetendo in una sua pastorate l’ammirabile parola di Cristo in croce « Perdono perchè non sanno quei che fanno». Ed ora, dal luogo di pace eterna, li perdonerà ancora.
Ma noi non possiamo non ripeterci, stupiti, che queste cose non possono essere ignote alla superiore autorità ecclesiastica, e ne dobbiamo tristemente concludere che nella Chiesa
romana d’oggigiorno l’assassinio morale è un metodo di governo. Fortuna che al disopra di odi di chiese e di conventicole vi sono a giudici la coscienza e Dio, e qualche volta, come ora, l’anima di un popolo e di una nazione. E. R.
Il compito del Protestantesimo secondo l’Eucken.
Il 2 del decorso dicembre il filosofo R. Eu-cken tenne — a Boston, S. U. A., davanti alla MinisUrial Union, nella Channing Hall — una conferenza su : Il compilo del Protestantesimo nell’ora che volge. Il Wendte, D. D., prese degli appunti e li diede alle stampe. Penso di far cosa grata ai nostri lettori, traducendo, parzialmente e liberamente, queste note , nelle quali è rivelato, in modo chiaro e preciso, il pensiero religioso di uno degli « uomini rappresentativi » del nostro tempo.
F. G. Lo Bue.
La situazione odierna della religione è peculiare. Sulla superficie predomina un’agitazione antireligiosa: fra le persone colte, invece, notasi una forte e profonda tendenza verso lo sipiritualismo. Le concezioni ateistiche e materialistiche, una volta, prevalevano nelle università e nei circoli di coltura ; adesso gli studiosi, non paghi di quelle, cercano una filosofia più intellettuale e spirituale.
La coltura credette, a sua volta, di potere riuscire ad occupare e riempire tutta la vita senza valersi affatto della ispirazione religiosa; oggi, però, una coltura areligiosa è stimata come avente dei limiti, limiti che la mente umana non vede di buon grado. La sola coltura non possiede la necessaria unità di mente, di cuore e di volontà ; non sodisfa le aspirazioni morali e spirituali dell’uomo: è troppo legata al momento : ci fa schiavi del tempo ; mentre l’anima proclamasi regina della vita ed erede dell’eternità.
Qual è l’obbligo impostoci dall’odierna rinascita religiosa?
* « *
Dobbiamo, prima di lutto, affrettarci a rivedere, con la dovuta riverenza, i nostri credi tradizionali: solo così la religione potrà vivere da sè. Liberata dall’ involucro dogmatico.
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essa non morrà; anzi la sua parte essenziale e vitale sarà epurata e preparata per la futura germinazione.
A questo còmpito può attendere il Protestantesimo, senza punto esporre al pericolo la sua più intima e profonda natura ; non cosi il Cattolicismo-romano : il suo credo è unito, indissolubilmente, alla filosofia scolastica ; esso rappresenta l’adozione di una fase fissa della coltuta ravvivata dalla religione ; nel suo seno non è possibile un progresso in senso largo.
Ma il Protestantesimo entra più addentro nell’anima umana: ha seco il principio della vita, dell’adattamento, dell’evoluzione e dello sviluppo ; esso fa di tutto per armonizzare le manifestazioni e le conquiste del secolo in una sintesi nuova quanto necessaria ; penetra nell’anima delle cose, sostenendo che la mente umana è creatrice e maestra d’ogni coltura; dichiara, col poeta finnico, Runeberg, che « del passalo che invecchia devesi lasciare l’af-ferramento onde tener fermo il passalo che non invecchia mai... ».
« « *
Il Protestantesimo non solamente ha il dovere d’impossessarsi degli elementi più preziosi del tempo, ma ha l’obbligo, pure, di animarli e di proteggerli : opponga alla Men-schen-Kullur, cultura umana, la Geistes-PCul-tur, coltura spirituale, che rappresenta un mondo assai più elevato : quello spirituale ; non s'identifichi troppo al resto della vita, nè si stacchi da essa : anzi operi in tutte le direzioni di essa, valendosi, per i suoi alti fini; dell’arte, della scienza, della filosofia, della politica, ecc.; eviti, per quanto può, gli aspetti tecnici di tutte queste energie civilizzatrici: chè con la meccanica di quelle la religione non ha nulla di comune; anzi, dato il loro aspetto ideale, esse medesime faranno un giorno appello a lei e, sia detto una volta per sempre, essa non ha bisogno delia grazia di nessuno per esistere : la sua ragion d’essere è nella sua propria natura. Pur nondimeno deve sentir il dovere di tenersi in relazione con tutti quegli elementi che, nell’odierna coltura, lottano per una vita genuinamente intellettuale: se guardasse con diffidenza la filosofia, lascienza, l’arte e la politica commetterebbe un grave fallo: queste energie, rettamente intese, rialzano il fervore e la dignità della vita.
Il Protestantesimo di vecchio conio, avendo ereditato dall’avo — il Cattolicismo romano — la concezione medievale dell’universo statico
e della teologia immutabile, nutre un certo timore ed una vaga avversione per la coltura.
Esso deve persuadersi di questo: che il mondo, più che di cappelle di rifugio, erette a destra e a manca, ha bisogno d’una cattedrale clìe accoglie tutte le anime. Ora, per far giustizia al Protestantesimo, dobbiam dire eh’esso può benissimo rendere questo gran servizio all’umanità: la sua posizione è unica: possiede la libertà, la larghezza e la convinzione richiesta dal còmpito.
Le chiese d’America, per es., dànno all’arte un posto più importante che quelle di Germania, avendo il Protestantesimo tedesco primitivo temuto un po’ troppo l’influenza della pittura, della statuaria, del simbolismo e considerate queste vario manifestazioni d’arte quali mezzi inadatti a conquistare le anime a quella fedeltà che, secondo Lutero e i suoi compagni, doveva essere conquistata solamente mediante la comunione intima e spirituale dell’anima stessa coi Creatore.
Tali considerazioni non devono, oggi, distogliere la Chiesa protestante odierna dall’uso dell’arte nel canto e nel simbolismo.
Di più.
Dobbiamo dare maggiore sviluppo a quelle verità che i protestanti delle diverse denominazioni hanno in comune e cosi raggiungere V unità interiore forte e consapevole che attualmente possediamo solo in parte.
I cattolici romani ci fanno amichevolmente osservare che se il Protestantesimo è buono per l’anima individuale, non lo è per l’anima collettiva : ha molte variazioni ; è troppo diviso in sette, scuole ed opinioni : non risponde a quel bisogno profondo che gli uomini del nostro secolo sentono di un’associazione intima ed efficace, di una fede comune e di uno sforzo che li elevi e li trasporti sulla corrente della gran vita sociale.
1 nostri critici si sbagliano : esiste nel Protestantesimo un senso d’unità: l’unità vera che rappresenta il tipo di comunione spirituale più elevato; l’unità garantita non dall’autorità esteriore, bensì dalla libertà interiore: la sola che abbia valore e che possa durare.
Non è difficile corroborare questa affermazione con esempi tratti dalla storia religiosa e politica delle grandi nazioni protestanti, come i’Olanda, la Germania, la Scandinavia, ecc.: v’è, nella multiforme vita ecclesiastica e intellettuale del Protestantesimo, una profonda unità. Accennerò, a volo d’uccello, ad alcuni aspetti di essa.
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Caratteristica fondamentale del Protestantesimo è l’indipendenza dell’anima nei suoi rapporti con Dio: agevolando ed epurando, cosi, il concetto di comunione fra l’uomo e Dio. Il pensiero centrale dei riformatori fu di togliere di mezzo alla creatura ed al Creatore ogni mediazione umana — sacerdoti, riti, sacramenti, ecc. — e rendere più intima la relazione fra essi. Nell’Evo Medio la virtù principale dei credenti consisteva nell’obbedienza all’autorità, come mezzo di salvezza; il Protestantesimo, invece, insiste sulla intimità della divina rivelazione: Dio si rivela alla mente, al cuore ed alla coscienza dell’uomo: dove mancano la libertà, la scelta e la decisione non può esservi nè spontaneità, nè profondità di vita spirituale: la verità è nella rivelazione personale della vita divina all’anima umana...
Pur troppo i cristiani del passato non compresero questo : la conferma delle verità religiose era cercata in cose esterne: nei miracoli, nei prodigi, nella tradizione...
Persino S. Agostino fa questa dichiarazione: Non crederei nel Vangelo se non fosse per l’autorità...
La vita interiore fu, cosi, sacrificata da chi cercò nel sacramento e nel simbolo, concepiti come sorgenti di rivelazione diretta, l'evidenza tangibile della verità religiosa.
Ma il principio d’indipendenza fa si che l’adorazione cessi di essere un effetto magico portato sull’anima da veicoli materiali e diventi una conoscenza intima: una certezza guadagnata nell’interno dell’anima a mezzo dèlia diretta comunione con Dio...
I grandi pensatori tedeschi, Kant, Goethe, e mille altri, se non sono stati religiosi in senso chiesastico, lo sono stati, però, nel senso che han professato la religione dell’esperienza spirituale intima; religione che hanno contrapposto a quella basata sulla mediazione esterna delle impressioni, che toccano i sensi.
La seconda caratteristica del Protestantesimo è la sua protesta contro la concezione di una religione specifica'. fuori della morale non vi sono atti che abbiano valore meritorio : il sacerdozio casta non esiste. Del resto in codesta concezione — come dimostrano gli storici — v’è un pericolo non lieve: l’esistenza di una forma di vita distintivamente santa, con commissioni e doveri specifici, indebolisce la responsabilità individuale ed abbassa, in un certo senso, la fedeltà alla morale.
L’idea fondamentale di Lutero è che dobbiamo servire Dio sempre durante la vita:
non solamente in certe epoche o in luoghi speciali ; non a mezzo di riti e di prescritte cerimonie : la vera adorazione consiste in una vita cotidianamente ispirata alla morale ed alla religione.
Si è accusato il Protestantesimo di eccessivo individualismo, di ostinatezza nelle sue opinioni e nella rivolta contro la Vecchia Chiesa ; ma si è esagerato molto su questo riguardo : fu una necessità d’ordine intimamente morale che lo spinse a ciò: doveva romperla con concezioni e con sistemi che non erano più sostenibili.
Il motto attribuito a Lutero: «Eccomi; non posso altrimenti; Dio m’aiuti! »è la sintesi dello spirito della Riforma: solo la convinzione d’ordine interioré ci rende forti e coraggiosi nell’adempimento del nostro dovere di fronte all’umanità. —- Cosi il Protestantesimo schiuse la visione d’un nuovo mondo morale ; condannò la religione specifica e riaffermò il diritto della religione universale che, non curandosi di controllare nessuna fase dell’esperienza e dell’attività umana, aspira al governo di tutte le facoltà della vita, aprendo, a mezzo della potenza del divino rivelata nell’umano, un mondo più elevato e per la con templazione e per il servizio...
La chiesa è un mezzo di vita spirituale: non la sola, nè la maggiore sorgente. Come forza che civilizza ed ispira, non dev’essere per nulla deprezzata ; ma il vero protestantesimo farà sempre assegnamento sull’intimità e l’indipendenza dell’attività morale e spirituale dell’uomo: senza l’intima e profonda esperienza spirituale, non può esservi libertà, essendo questa il risultato d’un'azione individuale e indipendente.
Il Protestantesimo ha per base l’indipendenza della personalità umana fondata e ratificata in Dio e sulla superiorità di quella sopra tutte le forme di comunione esteriore, per quanto venerabili ed imponenti esse sieno. Il terreno comune per l’unità è il nuovo genere di vita religiosa ch’esso medesimo introdusse nella società umana e che oggi non solo dovrebbe possedere, ma promuovere...
li settarismo è un gran male per il Cristianesimo: nuoce seriamente all’utilità delie missioni die lavorano all’estero; e dà un tono incerto agli appelli che rivolgiamo alle nazioni meno privilegiate...
Oggi più che nei passato sentesi il bisogno di questa unità ; diamole maggiore consistenza impartendo alle anime religiose i principi fondamentali della nostra fede ; compiendo uno sforzo pratico, ispirato ad una fede libera ed
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umanitaria che consacra tutta la vita; lavorando per una maggiore unità, nelle forme e e nei metodi, senza nuocere alla libertà della fede...
« Rallegriamoci — scriveva il grande tedesco Fitche — della visione più ampia che ci si schiude davanti ; rallegriamoci delia fiducia che abbiamo nelle nostre forze : la nostra missione non conosce limiti... ».
“ La religione e la vita „ secondo Emilio Boutroux.
Emilio Boutroux, l’illustre filosofo spiritualista, ha tenuto in Roma un ciclo di tre letture invitato dal Comitato delle « Letture del Fogazzaro ».
V’e stato chi ha giudicato troppo semplicista il filosofo francese nell’esposizione dei suoi soggetti. Credo che questo giudizio dipenda da una concezione invalsa della filosofia come di scienza astrusa e difficile, per cui più uno parla senza farsi comprendere e più è filosofo profondo. Certo che il Boutroux ha parlato in maniera cosi chiara e semplice come di raro può ascoltarsi da uno studioso che si occupi dei più alti problemi morali. Egli, specialmente nelle due prime conferenze, si è limitato a far rilevare l'abisso che corre fra due cose nobili ed alte, necessarie allo sviluppo dello spirito umano, quali la Laicità ^Scienza e le degenerazioni a cui molti le han tratte per deficienza di cultura o di seria attenzione, originando il Laicismo e lo Scie»Usino di cui, primo ostacola ogni ascensione umana, ed il secondo, considerando la scienza come sola ed assoluta verità, crea un sistema antiscientifico ed antifilosofico, perchè non tien conto della relatività e della contingenza delle leggi scientifiche e suppone non esservi altro in natura che la materialità fenomenica. È doveroso notare che il Boutroux ha dato alla parola « laicismo » un diverso significato di quello attribuitole nell’uso comune fra noi italiani che facciamo consistere il laicismo nelle rivendicazioni della ragione umana e della religione interiore contro l’ecclesiaslicismo, il dogmatismo, le religioni storiche sacerdatoli. Il Boutroux, invece, poco precisamente, ha assunto questa parola per significare l’opinione di coloro che ritengono che la natura umana basti a se stessa, esclusa ogni comunione con forze superiori o soprannaturali, nella quale comunione consisterebbe la religione, secondo il filosofo francese.
Nonostante questo, non mi sembra sia stato un male che il Boutroux abbia posto simili problemi in una forma, sarei per dire, empirica. Senza fare offesa ad alcuno e tanto meno all’uditorio che il conferenzière si ebbe al Collegio Romano, che accoglieva per l’occasione quanto di più scelto v'è in Roma fra i cultori di filosofia, di scienza e d’arte, è certo che è necessario, oggi più che mai, che il dilettantismo filosofico, specialmente in rapporto ai problemi morali, si oppone ad ogni serio e profondo esame, che le questioni trattate dal Boutroux fossero trattate in modo da mostrare il lato ridicolo di tanti che vanno per la maggiore.
E dopo di aver dato questa lezione meri-ritata, il filosofo spiritualista volle nella terza conferenza, dal titolo : « La religione e la vita » uscir dall’empirismo e dal semplicismo per sviscerare con grande abilità e chiarezza il tema propostosi, che era certo più importante degli altri due, ma che doveva avere gli altri due come premessa necessaria.
Egli ha fatto una disamina acuta del problema se e in qual senso sia necessaria la religione. Vi sono —- egli ha detto — molti che vogliono dimostrare l’utilità e la necessità della religione dai servigi che essa può rendere alla vita umana. Ma questo argomento, che pure non manca di valore se usato con molta intelligenza, dà adito ad una facile ritorsione che cioè la religione è utile alla vita in quanto sia questa foggiata sulla religione stessa. Vale a dire che, in fondo, l’argomento si risolverebbe in una petizione di principio o circolo vizioso.
Ricorrer poi a questo ragionamento sarebbe perfettamente inutile contro coloro che credono che la vita umana non differisca da quella di ogni altro animale (materialismo puro) e ritengono in conseguenza che la religione ed i suoi servigi non sono che una violenza fatta allo stato di natura : una forma di tirannia. Ed è la conclusione medesima a cui giungono altri, partendo da principi opposti, ossia che bisogno essenziale — cioè la base — della vita umana, sia il rispetto alla verità ed alla sincerità positivamente dimostrate (positivismo materialista).
Dimostrar la necessità della religione solo col dire che essa è utile, vuol dire considerarla come semplice mezzo in un sistema di un gretto utilitarismo, e non risolve in alcun modo la questione, perchè si potrebbe sempre osservare che il valore del mezzo è subordinato al valore del fine.
Secondo il Boutroux, la fallàcia contenuta in questo argomento, come pure nelle obbie-
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zioni a cui esso dà luogo, è in ciò che il concetto di vita viene considerato indipendentemente dal concetto di verità. E tanto più grave è questa fallacia che senza un rapporto con la verità, la vita non consentirebbe alcun diritto all’uomo che pensa.. Solo, invece, che si ponga la verità in relazione con la vita {non la verità contingente della scienza, ma intesa nella sua più alta concezione) si troverà che la verità suppone la vita, perchè suppone un essere conforme all’intelligenza, e ciò lascia arguire che l’intelligenza è un potere efficace. D’altra parte una vita non merita il nome di • umana » se non in quanto essa è capace di una relazione con la verità.
Stabilito questo concetto superiore della vita sorge immediatamente il problema dei rapporti che essa debba avere con la religione. Tuttodipende dall’idea elicsi ha della religione.
Se questa si fa consistere esclusivamente o prevalentemente nelle formule e nei riti, allora non ha che un rapporto indiretto ed in sostanza nullo con la vita e può anzi costituire un ostacolo per la vita stessa. Ma se — come nel Cristianesimo puro — la religione è più che formula e rito e si eleva alla comunione degli uomini con Dio, allora non è solo di aiuto e non esercita solo un influsso sulla vita, ma è essa stessa vita dello spirito, vita umana nei senso più alto e più completo. «Allora — disse Boutroux — la religione è sorgente di forza, perchè unione con la Causa prima; è sorgente di luce, perchè la Causa prima a cui ci unisce, è necessariamente concepita come principiod’intelligenza e di scienza. Esaltare la vita dell’anima è eccitare, ad un tempo, l’intelligenza e tutte le altre facoltà. Così, bene intese l’una e l’altra, la vita e la religione non sono due cose, ma una cosa sola. La religione è la vita eterna di Aristotele ». Er.
Bodoni ed il “ Pater Noster. „
In quest’anno, e precisamente il 30 novembre, cadrà il primo centenario della morte di Giambattista Bodoni.
A cagione di tale ricorrenza un Comitato Nazionale è sorto, con sede in Torino, per rendere degne onoranze alla memoria del sommo tipografo saluzzese, mediante pubbliche commemorazioni e pubblicazioni di carattere storico ed artistico.
Non sarà inopportuno quindi ricordare qui uno dei principali monumenti della valentia
del Bodoni nell’arte della fonderia di caratteri e della stampa, e cioè l’edizione sua del Pater Noster nelle lingue ch’egli poteva stampare coi caratteri della sua officina in Parma ; edizione poliglotta che per quantità di caratteri, tutti fusi sui punzoni incisi dal Bodoni, e per finezza di esecuzione è assai superiore alle altre consimili che la precedettero.
Si possono queste elencare in breve : quella di Londra del 1700, con più di cento versioni, quella di Amsterdam del 1715. quella di Abs-burgo (con i caratteri esotici non mobili, ma incisi sul rame) e quella del Marcel di Parigi (Stamperia imperiale), con no versioni, uscita nel 1S05.
Il volume del Bodoni, su carta a mano in foglio, si intitola: Oralio Dominica in Cl.V linguai versa et exoticis characleribus pie-rumque expressa (Parmae, Typis bodoniani, MDCCCV1). Suggerito al Bodoni dalla visita fattagli l’anno precedente da Pio VII, è dedicato al viceré d’Italia Eugenio Napoleone ed alla sua consorte. La dedica e la prefazione, redatta nel testo italiano dal Bodoni, sono inserite in francese, in italiano ed in latino. Ogni pagina di testo è contornata da un bordo di fili chiari e neri e sormontata da una targhetta per la numerazione delle pagine distribuita in diverse serie.
Le versioni dellDominica sono contenute in 4 parti, e cioè:
Parte I : Lingue asiatiche, 43 alfabeti, vale a dire: 7 ebraici, 2 samaritani, 2 caldei, 3 rabbinici, 3 siriaci, 3 siro-estrangheli, 2 arabi, 2 fenici, 2 persiani, 1 tartarico, 2 palmireni, 3 malaici, 1 javanico, 2 indostani, 1 bramma-nico, r samscrudonico o malabarico, 1 tabaro-mantchou, 1 cinese (in legno), 1 giorgiano e 2 armeni ;
Parte II : Lingue europee. Di queste 51 con caratteri esotici, cioè: 34 greci (il 1® alfabeto, in lettere quadrate), 2 etruschi. 2 tedeschi, 1 turco, 2 moscoviti, 1 gotico, 1 giudeo-teutonico, ossia ebreo tedesco. 1 slavonico ed 1 illirico;
Parte III: Lingue africane-, caratteri esotici : 1 alfabeto punico e 2 coiti ;
Parte IV : Lingue americane ; con alfabeti nostrani.
In sostanza quindi abbiamo la traduzione del Pater Noster in 155 lingue, espresse in una quantità maggiore di corpi di caratteri mobili, mentre invece le razze, diciamo cosi, di caratteri (indipendentemente dal corpo loro) sono 32, cioè quella latina, che serve per le lingue americane e per moltissime europee, più altre nove europee, più due africane, più
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venti asiatiche. Ogni versione reca in calce l’indicazione di provenienza del testo.
Per curiosità, e per scendere a maggiori particolari statistici di questa pubblicazione, potremo dire che le versioni (155) sono cosi distribuite: 51 asiatiche, 72 europee, 12 africane, 20 americane. Le riproduzioni invece (con varietà di tipi) sono precisamente 215, e cioè : 68 di lingue asiatiche, 114 di europee, 13 di africane e 20 di americane.
Non v’è chi non veda come questa pubblicazione principesca dimostri la importanza grandissima della tipografìa creata dal Bodoni, con l’appoggio del duca di Parma. Essa superava qualunque altra nella capacità di stampare un maggior numero di lingue straniere, e con splendido magistero d’arte.
Aveva scelto il Bodoni il Pater Noster per questo suo catalogo tipografico per superare quelli simili da altri pubblicati, non solo, ma perchè a lui sembrava che siccome tutti credevano nella religione cristiana ed in così varie favelle era stato lodato il Dio dei cristiani, quella e questi senza dubbio dovevano essere la religione ed il Dio veri. Nella epigrafe dedicatoria l’orazione domenicale è infatti detta « la più santa preghiera — degna — come dottrina d’un Dio — e qual complesso d’ogni maniera di voti — di esser a tutti anteposta ».
Il Bodoni non era nuovo a questi saggi poliglotti della sua arte : già aveva date prove, prima del 1806, coi suoi Manuali Tipografici, e specialmente Epitalamio exotieis tingáis reddito (1775)» contenente 25 iscrizioni in altrettante diverse lingue, lavoro dedicato a Pio VI. Dopo di lui un altro simile saggio venne pubblicato a Vienna, dalla Tipografia Imperiale, negli anni 1847-5» : conteneva l’orazione in 815 lingue e dialetti, delle quali 607 in caratteri romani, e 208 in caratteri esotici ; ed un altro ancora, e crediamo ultimo, venne stampato dal Marietti (Tipografia Pontificia) in Roma, in 250 lingue.
Per curiosità riporteremo qui anche l’indicazione delle principali edizioni di Sacre Scritture in lingue esotiche, dalle quali il Bodoni trasse parte dei suoi alfabeti. Sono esse : cinque Bibbie Poliglotte', quella di Alcalá del »5’4-1517 in 4 lingue, quella di Anvers", o di Filippo II, del 1569-»572 in 5 lingue, quella di Parigi del 162S-1643 >n 7 lingue (costò 100,000 scudi), quella del Walton di Londra, del 1657, in 9 lingue, e infine quella, incompleta, dell’Huttero di Norimberga del 1599, in 6 lingue (o nove, se si considera che certe edizioni avevano al posto dello slavonico il francese o l’italiano od il sassone). Quindi,
il Pentateuco Poliglotta di Costantinopoli del 1546 in 4 lingue, il Salterio Ollaplo del Giustiniani di Genova del 1516, ed il Salterio di Colonia del 1518 in 4 lingue. Queste edizioni offrivano, in complesso, oltre le citate quattro lingue, il latino, l’ebraico, il samaritano, il caldaico, il greco, il siriaco, l’etiopico, il persiano, il tedesco.
Per quelli cui potesse interessare, aggiungeremo che questi nostri rilievi furono fatti sul volume bodoniano &A\'Oralio Dominica, con la scorta di alcune indicazioni tolte dalla bibliografia bodoniana fatta dal De Canta (1816) e di altre notizie stampate: queste però quali più, quali meno imperfette.
Terenzio Grandi.
Ancora Pirké Abboth.
Egregio Direttore.
non per riaprire la discussione col signor Lover sui Pirké Abboth, ma solo per toccare un punto della cortese sua lettera di replica nell’ultimo numero del Bilychnis, mi permetta una breve risposta. Riguarda quanto egli dice sulla sentenza degli uomini della così detta Grande Assemblea: « fate una siepe alla Legge ». Essa non significava « fare una siepe alla coscienza, soffocare la spontaneità dell’impulso religioso, rendere gli uomini sempre più schiavi, ecc. » col « precisare le prescrizioni in modo tale che fosse impossibile a chiunque anche il minimo sbaglio » come dice il L.; significava solo difendere la legge quasi con una cinta « ossia, come si esprime il mio venerato avo il prof. S. D. Luzzatto {Discorsi storico-religiosi, pag. 16), insegnare ad evitare i primi e più leggieri errori, che poscia conducono alle maggiori prevaricazioni e ai più gravi misfatti ». E ciò non importa certo necessariamente schiavitù, nè storicamente è vero vi abbia condotto, che anzi tutta l’opera dei Dottori fu di modificare ed allargare l’interpretazione della legge a seconda dei bisogni dei tempi. Su altre difficili questioni toccate dal L. lascio di pronunciarmi. Mi abbia, egregio professore, cordialmente suo Leone Luzzatto.
Ascoli Piceno, 22 marzo 1913.
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Mentre il turbine militarista sembra tutto travolgere
Il servizio militare e i primitivi cristiani.
Guerre e rumori di guerre. Noi viviamo in un’ora folle! Le nazioni più civili, le nazioni cristiane si preparano, invocando tutte l’aiuto dello stesso Dio, ad un urto formidabile che — se avviene — le annienterà tutte quante. Non di rado, al disopra delle armi e delle bandiere, si eleva — nel campo della triplice alleanza e nel campo della triplice intesa — la croce di Cristo. E dovunque trovansi teologi benevoli, militaristi anche loro, i quali affermano e dimostrano coll’Evangelo alla mano (oh! l’abbominevole bestemmia!) che nessun insegnamento di Gesù vieta di uccidere il prossimo... quando l’uccisore e l’ucciso portano un’uniforme militare.
Ai teoristi, agli accademici, ai ragionatori noi vogliamo opporre dei fatti. È presumibile che coloro i quali vissero subito dopo Gesù Cristo ne abbiano rettamente intesa la dottrina. L’atteggiamento pratico da loro preso costituisce perciò il commento più autorevole e legittimo dell’Evangelo. Vediamo dunque quale attitudine hanno assunta, di fronte al servizio militare, i primitivi cristiani. (1)
Nei due primi secoli.
I discepoli di Gesù nei due primi secoli hanno dessi prestato servizio negli eserciti romani ? Giustino martire, citando là profezia di Michea « Delle loro spade fabbricheranno vanghe e delle loro lance faranno falci » sembra indicare che, fra i cristiani del suo tempo, questa profezia si era adempiuta. « Noi che eravamo una volta, die’egli, pieni di pensieri di guerra, di uccisioneedi malvagità, abbiamo, nel mondo intero, trasformato le nostre spade in vanghe, le nostre lance in ¡strumenti agricoli, e coltiviamo ora la pietà, la giustizia, la carità, la fede e la speranza che abbiamo ricevuto dal Padre Celeste per mezzo di Colui che è stato crocifisso ». (2)
(«) Ci serviamo della ben nota Storia della Chiesa fri-mitiva di Backhouse c Tylor, opera il cui valore scientifico è stato universalmente riconosciuto.
(a) Dialogo con Trifone, C1X, CX : Apologià, cap. XI V.
Queste parole purtroppo non possono essere intese nel senso letterale. È certo che molti cristiani sin dal secondo secolo erano arruolati negli eserciti ; però non basta a provarlo la storia cosi spesso narrata della Legióne Fulminante. Questa storia non resiste alla critica. Narrasi che, nell’anno 176, nella guerra contro i Germani e i Sarmati, l’esercito di Marco Aurelio stava morendo di sete. Allora la XII legione, interamente cristiana, si buttò in ginocchio e la sua preghiera fu seguita da una* pioggia torrenziale che tolse la sete ai Romani e terrificò i Barbari. Per riconoscenza l’imperatore diede alla XII legione il nome di fulminante e ordinò di cessare ogni persecuzione contro i cristiani.
Questo racconto è erroneo. La persecuzione di Lione avvenne tre anni dopo e la XII legione si chiamava fulminante sin dai tempi dell’imperatore Augusto. La liberazione dell’esercito romano è attribuita da vari scrittori all’intervento di Giove, in seguito o alle preghiere dell’imperatore,© a quelle dell’esercito, o agl’incantesimi di uno stregone egiziano.
Del resto, qualunque possa essere stata l’infedeltà di alcuni membri della Chiesa, la Chiesa primitiva stessa ha dato, per bocca dei suoi dottori più autorizzati, una'risposta chiara ed esplicita alla questione che ci occupa. Persino Tertulliano trova la carriera militare incompatibile colla fede cristiana. « Mi chiedete, egli scrive, se un credente possa diventar soldato, o se un soldato, un sott’ ufficialo, che non sia tenuto a partecipare ai sacrifizi e alle esecuzioni capitali, possa essere ammesso alla professione della fede. Rispondo che non vi può essere comunione tra il servizio degli uomini e il servizio di Dio, tra il vessillo di Cristo e il vessillo dei Diavolo, tra il campo della luce e il campo delle tenebre. In che modo un soldato combatterà egli senza spada? Ora il Signore glie l’ha tolta. Col disarmare Pietro, egli ha disarmato lutti i soldati ». (1)
Tertulliano torna sull’argomento nel suo trattato della Corona, cap. XI: « Cerchiamo se il servizio militare è lecito per un cristiano. Ma a che vale discutere i singoli casi quando il fondamento stesso è illecito? Può un servizio umano qualsiasi porsi al disopra del servizio che si deve a Dio? Può aversi un altro maestro all’infuori di Cristo? Può essere lecito d’essere un uomo di spada dopo che il Signore ha dichiarato che chi prende la spada perirà per essa?... Ma se, allorquando la fede entra
(s) Mate. 26/5», Giov. 18/36, Il Cor. 10/4, Dell'idolatria XIX.
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nel cuore di un uomo, egli è già soldato, la situazione è diversa... Se quell’uomo è diventato un credente, ei si vedrà obbligato oppure, come lo sono stati molti, ad abbandonare subito l’esercito, oppure a ricorrere ad una quantità di sofismi per evitare d’offender Dio, o finalmente a risolversi ad accettare per Cristo la medesima sorte (cioè il martirio) che i cristiani non soldati son pronti ad accettare». (1)
Risulta dalla testimonianza di Celso (il quale scriveva ài tempi di Marco Aurelio) che i! numero dei soldati cristiani era in quell’epoca: poco numeroso. Difatti Celso rimprovera ai cristiani di non essere utili allo Stato nè come cittadini nè come soldati, al punto che, se tutti seguissero il loro esempio, il sovrano si troverebbe isolato e il mondo governato dai barbari.
E Origene, da vero cristiano fedele, gli risponde nobilmente? « La questione è questa: Cosa avverrebbe se lutti i Romani adottassero i principi del cristianesimo e rinunciassero, per adorare l’Altissimo solo, al servizio degli dei? Rispondo : Siamo convinti che, se due o tre d’infra noi s’accordano per chiedere qualcosa a Dio, Egli non la rifiuta loro. Or dunque, che cosa non potremmo noi aspettarci se non solo più alcuni uomini, ma l’impero romano lutto si rivolgesse a Dio? Se tutti i Romani abbracciassero la fede cristiana, essi vincerebbero i loro nemici colla preghiera. Essi non andrebbero più alla guerra perchè sarebbero protetti dalla potenza divina che ha promesso di salvare città intere per risparmiare cinquanta giusti ». (2)
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Nei secoli terzo e quarto.
Non vi è dubbio che, nel in e nel iv secolo, l’obbiezione contro il servizio militare tratta dall’antinomia tra la guerra e i precetti del-l’Evangelo perdette terreno. Secondo Eusebio si trovavano, ai tempi di Diocleziano, molti ufficiali e soldati cristiani negli eserciti imperiali (3). Possiamo trovare qualche ragguaglio sulla questione che ci occupa nei libri ecclesiastici in uso nei secoli m e seguenti. Le Costiti/(1) Quando Tertulliano scriveva il suo trattato della Corona, egli era già montanina. Prima, nella sua Apologià, egli aveva scritto ■ preghiamo pel valore delle truppe » ; ina, nel suo trattato della Pazienza, anch'esso anteriore al trattato della Corona, egli già diceva che il servire nei campi militari era l'affare dei pagani.
(a) Contro Celta, libro Vili, cap. £8-70.
(3) Entebio, libro VII. cap. ix e libro VII!, cap. 4.
sioni Apostoliche restano a questo riguardo estranee allo Spirito del Nuovo Testamento. Esse non Oltrepassano le idee enunciate da Giovanni Battista : « Se un soldato si presenta, gli s’insegni a non commettere ingiustizie, a non accusare falsamente nessuno, a contentarsi del suo soldo » (1). I Canoni della Chiesa d’Alessandria (attribuiti a torto ad Ippolito) decidono che « un Nazzareno (cristiano) non può diventar soldato che in seguito ad ordini tassativi ». Un’altra edizione dei medesimi Canoni, in uso presso i cristiani di Etiopia, sembra indicare una intelligenza più profonda della regola evangelica : « Non si conviene ai cristiani il portare le armi » (2). Lattanzio (f 325-330) non si limita a condannare i combattimenti dei gladiatori ; egli insiste sulla inviolabilità assoluta della vita umana. « Allorquando Dio ci proibisce d’uccidere, dic’egli, Ei non ci proibisce soltanto le violenze manifeste, ma Ei vuole metterci in guardia contro certi atti reputati leciti nella società. Un uomo pio non potrebbe nè partecipare ad una guerra nè accusare qualcuno d’un delitto passibile di pena capitale; poiché, dal momento che l’azione stessa di mettere a morte è condannata, che imporla se ciò avviene colla spada o colla parola? A questo precetto divino non c’è e non ci può essere alcuna eccezione : è sempre illecito di provocare la morte di quella creatura a cui Dio ha fatto il dono sacro della vita » (3).
V’è una leggenda di quell’epoca, così nota che occorre accennarvi, per quanto essa non possa sopportare un esame critico. È quella della Legione tebana. Si racconta che questa legione, composta di 6600 uomini, tutti cristiani, fosse stata chiamata dall’Oriente nelle Gallie da Massimiano. Giunti presso alla città di Agaunum, nella valle del Rodano, i soldati di quella legione si rendono conto che si vuol adoprarli a forzare i loro fratelli delle Gallie a ritornare alla religione pagana. Allora rifiutano di marciare. Massimiano ordina di decimare due volte la legione. Ciò non bastando l’imperatore esasperato li fa circondare dalle altre truppe e la legione intera, col suo comandante Maurizio, deponendo le armi, si sottomette senza resistenza alla morte. Ciò sarebbe avvenuto nel 2S6. Le prove che stabiliscono questi fatti sono debolissime. Non se ne parla prima dell’anno 520; e si narra un fatto
(1) Luca, 3/14; Emebio, libro VII!, cap. 33.
(2) Canone x4 di Abulide (Ippolito). Non v'è dubbio che, secondo le chiese, vi furono svariati gradi nell’intendere queste applicazioni pratiche del Cristianesimo.
(3) Insli'utsontint dio., libro VI, cap, 20.
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NOTE E COMMENTI
17I
analogo avvenuto in Siria. Un tribuno militare greco, anche lui di nome Maurizio, vi sarebbe stato martirizzato con 70 suoi soldati.
Numerosissimi furono i casi di soldati cristiani che si sottomisero alla morte piuttosto che mancare ai loro principi religiosi per quanto concerneva le pratiche del cullo. Tertulliano racconta la storia d’un cristiano messo a morte non per aver rifiutato di entrare nell'esercito ma per non aver voluto portare la corona di lauro data ai vincitóri (1). Eusebio ci narra il martirio di Marino, soldato cristiano di Cesarea il quale, dovendo essere promosso centurione, rifiutò di accettarne la condizione: -quella di sacrificare all’imperatore (2). Ci è stato pure conservato il racconto del centurione Marcello il quale, piuttosto che partecipare ad una festa pagana, gettò la sua spada e fu condotto al supplizio (3). •
Tutti questi Casi sono casi di rifiuto al servizio militare perchè questo implicava una partecipazione a pratiche di culto ritenute idolatriche; non si tratta di rifiuto al servizio militare per principio, cioè per la convinzione che lo stesso servizio militare è contrario ai precetti dell’Evangelo.
Vi furono casi di resistènza di questo genere? Non lo sapremmo dire. Probabilmente tali scrupoli erano in allora altrettanto impopolari quanto lo sono oggi, ed i cronisti hanno potuto benissimo non mettere uno zelo eccessivo nell’indagarne e nel raccontarne le manifestazioni. La storia ci ha però conservato un notevolissimo esempio di questa fermezza a rifiutare di entrar nell’esercito perchè Cristo ha proibito ai suoi discepoli di partecipare alla guerra. Il primo eroe antimilitarista è uno dei fedeli martiri cristiani del ni secolo.
Nell’anno 295, a Tevesto (oggi Tebessa, in Algeria), città episcopale della Numidia, il sergente reclutatore condusse davanti al proconsole Dione Cassio un giovane di 22 anni, chiamato Massimiliano» ch’egli stimava atto al servizio militare (4). Era quello un periodo di tolleranza religiosa e di quiete. Il giovane era accompagnato da suo padre. Nel momento in cui si stava per verificare la sua statura, egli esclamò: « Non posso prestar servizio, sono cristiano ». Il proconsole non badò affatto
(1) Della corona, 1.
(a) Eusebio, libro VII, cap. ,5 e 16.
(3) Ruinart, Ada, yn, 304. Wordworth, Church Ititi., 3"8, 379. . . . ....
S Secondo il prof. Grivdlucci dell'Università di Pisa to avveniva il 12 marzo 295. Massimiliano sarebbe stato obbligato al servizio militare perche era figlio di un veterano. (Periodico Tentai tfuavi del 7 luglio 19:2).
alle sue parole e ordinò agli addetti alla leva di misurarlo. Mentre era ritto contro il palo indicatore, Massimiliano disse ancora una volta: « Non possimi militare, non possimi male fa-cere, Christianus sum ».
Dione — Misuratelo. (L’ufficiale dichiara la sua altezza: cinque piedi, dieci pollici).
Dione — Dategli le insegne (tatuaggio nelle mani e collare di cuoio).
Il giovane resiste ed esclama : « Non lo permetterò, non potrei partecipare alla guerra ! »
Dione — Se non vuoi servire, morrai.
Massimiliano — Non servirò. Potete troncarmi il capo, se volete. Non posso combattere un combattimento terreno. Sono il soldato di Dio.
Dione — Chi ti ha suggerito simili idee?
Massimiliano — Le mie riflessioni e Colui che mi ha chiamato al suo servizio.
Dione, volgendosi verso il padre: «Da' un savio consiglio a tuo figlio ». Il padre: «Egli sa ciò che deve fare ; il mio consiglio sarebbe inutile ».
Dione (ai Massimiliano) — Accetta le insegne militari.
Massimiliano — Giammai! Io porto le insegne del Cristo.
Dione — Ti spedirò subito, diritto al tuo Cristo.
Massimiliano — Fa pure; sono pronto.
Dione — Suvvia. Segnatelo e mettetegli il collare.
Massimiliano resiste di nuovo. « Infrangerò questo collare perchè lo considero come un oggetto senza valore. Sono cristiano. Non m’è dunque permesso di portare al collo un sigillo di piombo dopo aver ricevuto, per la grazia del mio Signore Gesù Cristo, il figliuolo dell’Iddio vivente, il sigillo della redenzione».
Dione — Pensa alla tua gioventù. È cosa onorevole per un giovane d’esser soldato.
Massimiliano — Non posso combattere che pel mio Signore.
Dione — Ma vi sono dei soldati cristiani negli eserciti imperiali !
Massimiliano — Essi sanno ciò che loro è permesso. In quanto a me, sono cristiano e non posso fare alcun male.
Dione — Quale male adunque fanno coloro che combattono ?
Massimiliano — Tu lo sai benissimo.
Dione — Non disprezzare il servizio militare, altrimenti perirai.
Massimiliano — Non perirò. Tu puoi è verò mettermi a morte, ma l’anima mia vivrà con Cristo.
Dione — Radiate il suo nome!
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Il nome radiato, il proconsole soggiunge: «Poiché, nella tua empietà, tu hai rifiutato di servire, ascolta la tua sentenza e serva essa di ammonimento agli altri ». Poi legge sulle sue tavolette : « Sia Massimiliano messo a morte colla spada a causa del suo empio rifiuto di diventar soldato».
Massimiliano risponde : « Grazie sieno rese a Dio ! ».
Giunto sul luogo dell’esecuzione, egli esclama: « Fratelli diletti, sforzatevi di veder Dio e di ricevere da Lui una tale corona ». Poi, volgendosi verso il padre, gli dice con tono sereno : « Dai a quel soldato il vestito militare nuovo che avevi preparato per me. Verrai a raggiungermi un giorno e glorificheremo insieme il Signore ». Aveva appena pronunziato queste parole quando la testa cadde separata dal corpo. Suo padre tornò a casa pieno di letizia, ringraziando Iddio che gli aveva permesso di offrirgli una vittima cosi preziosa. Una dama, chiamata Pomponiana, richiese il corpo che fu portato a Cartagine e sepolto sotto una collina non lungi dal palazzo e accanto alla tomba di Cipriano (i).
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Cosi mori — secondo il racconto che l’antichità ci ha conservato — quel coraggioso gio
vane. Egli contò la sua vita per nulla di fronte ai comandamenti di Gesù.
Ah, se la gioventù d’oggigiorno, o almeno quella che dichiara di voler ubbidire a Cristo, potesse convincersi che ogni guerra è, di sua natura, assolutamente incompatibile coll’ Evangelo, e potesse lasciarsi guidare da un tale convincimento ! Si vedrebbe ben tosto cessare quella tirannia del militarismo che opprime i popoli. Se i giovani sapessero accettare lietamente, per ubbidire al Cristo,! rimproveri, la prigione, magari la morte, quale forza resisterebbe ad un simile argomento? Non sarebbe questo il vero mezzo, il mezzo divino, per sopprimere gli eserciti permanenti, la coscrizione obbligatoria, le guerre e la preparazione alle guerre che, da tanto tempo, affliggono il mondo ?
Come abbiamo visto, già al in secolo il rispetto pel comandamento di Cristo era meno intenso che nel secolo n. Colle vittorie di Costantino esso scompare del tutto. La coscienza cristiana diventa muta oppure parla per approvare. Bisogna arrivare al secolo xvn per udire nuovamente delle proteste. Ma nell’epoca nostra aumenta ogni giorno il loro numero. Bisognerà bene che le nazioni e coloro che le governano finiscano per udire, e ch’esse adottino una buona volta, in simili materie, una nuova e più santa linea di condotta!
(:) Rumare, Atta Sincera, 300-303.
G. Adami.
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Il sacrificio di Isacco.
Il prof. Davide Smith DD. nel The fìritish Weekly del 13 Marzo, pone ih giusta luce dal punto di vista critico e morale il dibattuto problema del sacrificio di Isacco.
E vero che la storia del sacrificio di Isacco (Gen., xxn, 1-14) offre un sublime esempio di fede eroica (Ebr., xi, 17-19), ma questo non fu il suo movente principale, nè è il suo significato più profondo. Secondo il noto critico inglese, il suo valore reale sta in questo, che esso illustra il metodo divino nelle rivelazione e ci indirizza verso un più giusto apprezzamento della Bibbia. Intanto il fatto essenziale da essere notato è che Israele prese le mosse ascendenti dal piano comune del paganesimo, condividendone la ignoranza e le superstizioni ; e la sua storia non è quindi che un rialzamento graduale e continuo, sotto la guida di Dio, verso concetti sempre più alti e sempre più puri. La conoscenza di Dio non venne perciò sopra Israele come una illuminazione istantanea. Fu come il chiarore dell’alba debole e vago, crescente poi e raffor-zantesi di secolo in secolo fino a raggiungere in un giorno perfetto « la luce della conoscenza della gloria di Dio nella faccia di Gesù Cristo ».
A questo, proposito il prof. Smith si serve delie ultime scoperte archeologiche e storiche dalle quali risulta che il sacrificio umano era praticato in principio da tutte le razze semitiche, e che rimase per lungo tempo ancora come sacrificio primario, se non unico, tra i vicini congiunti d’Israele nel popolo Fenicio. Ancora ai tempi del regno di Tiberio è detto che le madri portavano i loro figli nelle braccia del bronzeo idolo di Moloch, da cui poscia piombavano nell’ ignea fornace sottostante. Perchè le loro grida non offendessero la temuta divinità esse cucivano fermamente le labbra dei loro bambini (II Re, xxm, io).
Non deve quindi stupirci che Àbramo avesse pensato seriamente al sacrificio del suo primogenito, e meno ancora che ciò venga rappresentato come richiesto da Dio. Un padre che oggi, legato il figlio, procedesse a piantargli un coltello nella gola sarebbe arrestato come un vile delinquente, e, se egli allegasse in sua difesa il fatto che agisce sotto il diretto comando di Dio, sarebbe internato in un manicomio. Ma Abramo, dice bene il professor Smith, viveva in un mondo diverso dal nostro, le sue idee a riguardo di Dio e delle esigenze della divinità erano ben diverse dalle nostre. Al suo tempo il sacrificio umano era una istituzione religiosa riconosciuta e l’infame rito era riguardato da tutti come particolarmente accettevole ed efficace. Tutto questo sta alla base del racconto biblico, e nella luce di queste osservazioni apparisce tutta là veridicità e là credibilità della narrazione. Essa « non ci dice quello che è l’essenza del sacrificio, ma bensì quello che non è ; non ciò che Dio richiede, ma ciò che Dio non richiede.
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È un momento culminante nell’evoluzione religiosa e nel progresso della rivelazione ... 11 suo sviluppo apparisce chiaro fra il racconto biblico citato e la veemente protesta dei profeti contro il culto di Moloc!) mille e cento anni dopo »: (Mieli., vi, 6-8) « Con che verrò io davanti al Signore e con che mi inchinerò io all’iddio altissimo? gli verrò io davanti con olocausti, con vitelli di un anno? Gradirà il Signore le migliaia dei montoni e le diecine di migliaia dei ruscelli (o torrenti) d‘olio? (Vedi Segond, Revised Versión; Young, Au-thorized Versión ; Versión Synodale. La Volgata Latina e Diodati hanno evidentemente errato nella traduzione). Darò il mio primogenito per il mio misfatto? il frutto del mio corpo per il peccato della mia anima? O uomo, Egli ti ha dichiarato ciò che è buono ; e che richiede il Signore da te, se non che tu agisca rettamente ed ami la benignità e cammini in umiltà col tuo Dio?»
Vi è cosi un doppio abuso riguardante il racconto del sacrificio di Abramo: o rigettando il fatto come non storico, perchè non consono alle concezioni moderne; oppure interpretando Dio per mezzo della imperfetta concezione che Abramo aveva di lui ; ed il prof. Smith confessa che egli non sa quale di questi due sia più stupido o nocivo.
Ignazio Rivera.
Il poeta Epimenide e l’apostolo Paolo.
È noto che nell’epistola a Tito (1,12), San Paolo cita un verso esametro del filosofo e poeta cretese Epimenide (vi secolo prima dell’era nostra).
« Dei cretesi, sempre mentitori, degli animali malvagi, dei ventri pigri ».
Nel suo discorso agli Ateniesi (Atti 17, 28) cita il principio di un verso del poeta Arato :
« Perchè anche noi siamo sua progenie » progenie di Dio). Ma nessun commentatore, almeno fra i moderni, sembra aver capito che il detto celebre che si legge immediatamente prima:
« Perchè in lui abbiamo la vita, il moto e l’essere », è pure una citazione poetica come le
due altre. Orbene ciò risulta dai due testi siriaci segnalati recentemente da Rendei Harris, il celebre editore e traduttore delle Odi di Salomone. Il più completo di quei testi è un frammento del commentario di Teodoro di Mopsueste sui fatti degli Apostoli. E’ utile il darne qui almeno la porzione più importante.
« L’interprete (Teodoro di Mopsueste) dice che gli ateniesi », ecc.
« In lui noi abbiamo la vita, il moto e l’essere, e come anche alcuni dei nostri poeti hanno detto: Noi siamo sua progenie.
Paolo prende ad imprestito queste due citazioni a certi poeti pagani.
In quanto al primo, i Cretesi dicevano di Zeus (Giove) che era un principe e ch’egli era stato dilaniato da un cinghiale ed era stato sepolto, ed ecco la tomba sua è conosciuta fra di noi. Cosi, Minos, figlio di Zeus, fece un panegirico sul padre suo, e vi diceva:
Ti hanno fatto una tomba, o Santo e Grande!
Dei cretesi bugiardi (i), animali malvagi, ventri pigri ; Perciocché tu non muori, tu vivi e dimori in eterno; Perciocché in tc (a) abbiamo la vita, il moto e l'essere.
Cosi S. Paolo ha presa ad imprestito questa frase a Minos, e ad Arato quest’altra: Noi siamo la razza di Dio».
Da ciò risulta che negli Atti bisognerà da ora innanzi tradurre il passo un po'diversa-niente, in modo da far vedere che ciò che precede è una citazione quanto ciò che segue: « Perciocché in lui abbiamo la vita, il moto e l’essere» come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto ; perciocché siamo anche (»ai) sua progenie ».
Ora si capisce meglio perchè Paolo dice alcuni dei vostri poeti : egli è perchè queste due citazioni provengono da due poeti diversi.
Risulta pure che il primo di quei poeti è identico a quello citato nell'epistola a Tito, cioè Epimenide, il quale aveva infatti composto un poema, andato smarrito, intitolato Minos (3). Facilmente si spiega che gli antichi abbiano attribuito a Minos stesso dei versi provenienti da un poema che portava il suo nome. Quei quattro versi mostrano che le accuse di menzogna, di barbarie, di pigrizia fatte dal poeta contro una parte dei suoi compatrioti, gli furono ispirate dall’esistenza in mezzo ad essi di una tradizione altrettanto
(«> Manca l'avverbio iemfire, che però si legge nell'altro testo.
(a) Paolo ha modificato un po'il testo, per cui l’esametro é imperfetto.
(3) Secondo Diogene Laerzio, conteneva mille versi.
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TRA LIBRI E RIVISTE
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grossolana ed erronea quanto quella. Bisognava essere pigri (intellettualmente) e brutali per erederei e bugiardi per sostenerne la veridicità
Non si tratta qui dei cretesi in genere, ma di quelli che avevano inventata quella fiaba o che ne affermavano la verità. La traduzione latina diede luogo ad un tale errore, perchè l’articolo non esiste in latino; ma, in greco, l’assenza dell’artìcolo dimostra che il poeta parla di certi cretesi e non di tutti.
Il celebre ragionamenro relativo a Epime-nide e ai Cretesi bugiardi, manca adunque di base ; quasi rincresce perchè è una cosa molto curiosa.
L’esametro può essere ristabilito cosi :
Ev coi Y«p za; xivoujuOa zac òr. taatv
(Perchè in te abbiamo la vita e il moto e (ciò che è più importante) l’essere. (Condizione della vita e del moto, senza di cui la vita e il moto sarebbero impossibili).
Per lo spondeo del penultimo piede, cfr. il verso stesso di Arato citato nei Fatti:
T«v yap zac taptv'o i’zirco;
às^ea axjxacvec {Phoenomena. V. 5).
Ch. Bruston in « Revue de théologie et des questions religieuses» (dèe. 1912). P. C.
d*
Critica olandese.
G. A. VAN DEN BERG VAN EISINGA. Die holl&ndische radikale Krilik des Neuen 'Pesta mente (La crìtica radicale olandese del Nuovo Testamento). Iena, 1912, Eugen Diederichs Verlag (Mk. 4).
È un volume questo di molto interesse per la storia della critica biblica. L’autore, un alunno del van Manen, che fu uno dei principali rappresentanti della scuola critica olandese, traccia un quadro completo delle successive fasi di questa scuola da Bruno Bauer e dal Loman fino ai nostri giorni. Non si tratta di una semplice ed arida enumerazione, ma di una esposizione completa e viva in cui noi assistiamo al dibattito ed alle polemiche a cui le varie opinioni succedutesi han dato luogo, polemiche e contrasti che non fecero che spingere ulteriormente la critica nella sua via. Così ci passano dinanzi-le famose Quae-sliones Paulinae del Lomave, le Perisimilia, le Nuculae del Naber, V Antiqua Mater, il
Paulas 1 del van Manen a cui tennero dietro il Paulas II e il Paulus III, le questioni sulla storicità di Gesù agitate dal Loman, dal van Loon, dall’Hugenholtz, e giù giù il radicalismo del Meyboom, la difesa del radicalismo stesso fatta dal van den Berg van Eisinga. Poi ancora le opinioni e gii studi sull’origine del cristianesimo del Bruin, del Bolland, ecc., per finire con la enumerazione dei nove postulati che la critica crede di avere stabilito in merito agli studi sul Nuovo Testamento.
Molti potranno dissentire dalla critica neotestamentaria quando questa sia spinta agli estremi, ma non si potrà disconoscere che gii studi biblici hanno avuto da essa l’impulso maggiore. Cosicché il conoscerne più da vicino le vicende e lo svolgimento progressivo sarà cosa non solo utile per una cognizione più esatta della storia religiosa degli ultimi tempi, ma pure incitamento sempre più forte ad occuparsi con amore dei nostri lesti sacri e della ricerca della verità in merito ad essi.
Perciò consigliamo la lettura del libro di cui veniamo occupandoci a tutti gli studiosi del problema biblico, anche a coloro che vi si son dedicati da lungo tempo, perchè, pur a chi conosce le opinioni della Scuola critica radicale, sarà molto utile averne sott’occhio un quadro complessivo, una vista d’insieme, tracciata con mano maestra dal van den Berg van Eisinga, che della scuola stessa è uno dei migliori campioni.
Non posso tacere, per quel che riguarda l’edizione, la mia ammirazione per la severa, magnifica eleganza del volume, pari a quella che fa di ogni libro edito dal Diederichs un vero gioiello. E. R.
Allgcmeine Religionsgeschichte.
CONRAD VON ORELLI. — Allgemeine Religionsgeschichte & (volume I, (Marcus u. Weber. Bonn, 1912).
E’ in corso di stampa la 2 edizione dèi grosso manuale del Von Orelli sulla Storia delle Religioni. Fino ad oggi sono stati pubblicati il primo volume ed il primo fascicolo del secondo (le religioni dell’ India). L’opera è stata intieramente rifusa e messa al corrente
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BILYCHN'IS
degli ultimi risultati della nuova scienza, che va acquistando ogni giorno maggior importanza. L’A., professore nella facoltà teologica dell’università di Zurigo, ha voluto principalmente offrire agli studenti di Teologia e ai pastori un’opera diffusa, completa e chiara del fenomeno religioso nella storia. Così in un capitolo dell’introduzione parla dei rapporti fra V AlIgemcine Religionsgeschichte e la teologia cristiana, insistendo opportunamente sul concetto che, da un punto di vista cristiano, essa debba rientrare nell’organismo scientifico della teologia. Infatti, l’utilità della Storia delle Religioni e della Scienza della Religione è abbastanza evidente sia dal punto di vista strettamente storico, perchè esse si sforzano di trovare la base generale sulla quale s’è sviluppata, fra le altre, anche la religione di Israele e di determinare le influenze esercitate dalie altre religioni, durante il suo lungo periodo di sviluppo sulla religione biblica; sia per la teologia sistematica e per la teologia pratica : come si potrebbero altrimenti comprendere le linee caratteristiche del cristianesimo ed apprezzarne la sua vera superiorità e, d’altra parte, come dirigere luminosamente l’attività missionaria cristiana fra popoli di razza e di religioni cosi diverse dal cristianesimo, ora che il problema missionario si impone in tutta la sua complessità e gravità con lo sviluppo grandioso della colonizzazione moderna e già si delinea la fisonomía di un nuovo « cristianesimo orientale » ?
La trattazione delle singole religioni è strettamente storica ed è arricchita di traduzioni da testi religiosi originali. L’A. comincia, a differenza di altri manuali, dalla religione cinese, perchè è possibile seguirne fin dalla più remòta antichità ad oggi io sviluppo delie fasi principali.
Segue l’esposizione delle altre religioni del gruppo turanico ; un capitolo a parte è dedicato alla religione dei Finiti. Al gruppo turanico segue la « famiglia Camitica » rappresentata dagli antichi egiziani. L’esposizione della religione egiziana occupa una sessantina di pagine. Il terzo gruppo è rappresentato dalla « famiglia Semitica ». Come è evidente, l’A. colloca la sua esposizione nei quadri offertigli dall’etnografia: dal punto di vista non strettamente scientifico una tale distribuzione si presenta ancora come una delle migliori. Del terzo gruppo, egli tratta successivamente della religione: i° dei babilonesi ed assiri; 2° dei fenici, caananiti e cartaginesi ; 3® degli aramei, ammoniti, moabiti, edomiti ed arabi pre-islamici ; 4® del manicheismo ; 50 del mandeismo (ampiamente) e 6® dell’IsIam. In un capitolo a parte tratta della religione d’Israele e dedica due pagine al cristianesimo (suoi rapporti con il giudaismo e con le religioni contemporanee).
Sebbene il manicheismo e il inandeismo sieno nati sul suolo persiano ed abbiano portato con sè numerosi elementi di origine persiana, il Von Orelli, dietro la guida del Kessler e del Brandt, preferisce farli rientrare nel mondo delle religioni semitiche. Con vera sorpresa non abbiamo trovato alcun accenno agli studi del Franz Cumont sul manicheismo. L’importanza poi dèi Hittiti (Etei) non mi sembra messa bene in evidenza (v. a pag. 1S7 « il regno dei Cheta», il nome egiziano oer i hittim della Bibbia). E’ vero che la scrittura degli Hittiti, malgrado i tentativi dello Sayce e del Jenson, non ci ha fornito ancora la chiave per venir interpretata ; però poteva tenersi un maggior conto dei risultati indiscutibili forniti dalle ricche scoperte archeologiche nell’Asia Minore, che riescono ad illuminare parecchi punti fondamentali delle credenze dei Hittiti. Il V. O. accenna bensì all’importanza storica dei IL, ma non crede opportuno parlarne dal punto di vista della storia delie religioni. Questa è evidentemente una lacuna allò stato attuale dei nostri studi. Nella bibliografia intorno agli H. non si trova citata nè la relazione sugli scavi fatti dal Winkler nè l’opera sintetica del GarstangfThe Land of Hittites, London 1910).
Il v. Orelli tratterà nel secondo volume delle religioni dei gruppo indo-germanico (indi, irani, greci, romani, germani, celti, slavi) e in ultimo parlerà della religione dei nativi del-l’Africa, dell’Australia è dell’Australasia, la cui importanza è veramente grande per lo studio dei problemi della preistoria e per la luce che gettano sullo sviluppo di alcune fasi della religione. L’opera si chiuderà con uno studio sintetico sul fenomeno religioso considerato nel suo sviluppo storico e sull’origine e sullo sviluppo della religione. I problemi più interessanti, più gravi e veramente attuali nello stato odierno della scienza delle religioni come verranno affrontati e discussi dal v. Orelli ? Quando l’opera sarà compiuta sarà opportuno tornarne a parlare e discuterla. Ram.
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TRA LIBRI E RIVISTE
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Scozia e protestantesimo.
HECTOR MACPHERSON. Scolland’s Debí lo Protestanlism. William Blackwood and Sons. Edimburgh and London, 1912.
Il volume porta il numero 32 nelle pubblicazioni del « Knox Club » di Edimburgo, a cui fan capo le più note autorità civili e religiose. La società è stata fondata recentemente con lo scopo di risvegliare la coscienza della Scozia di fronte al problema del clericalismo cattolico sfacciatamente aggressivo e minacciante tutti i rami della libertà e dell’attività politica nel paese.
L’Autore si propone di dimostrare vera la sentenza di sir Rober Peel « che non è lontano il giorno in cui dovremo combattere le battaglie della Riforma ancora una volta ». Le statistiche che egli offre sul progresso della influenza cattolica nel paese, le arti subdole con cui i gesuiti hanno carpito al governo ed ai municipi scozzesi il denaro della collettività protestante per la fondazione di scuole che hanno fatte strumenti di setta e le quali agiscono fuori di ogni controllo dello Stato, l’influenza stessa che i cattolici hanno cercato ed ottenuto nelle scuole primarie e secondarie, non escluse le stesse Università, non sono misteri per alcuno. Basta rimanere qualche tempo nella Scozia per rendersi conto di tutto questo. Come pure non è un mistero per alcuno che il male è venuto solo recentemente nella Scozia per l’eccessiva applicazione dèi principio di tolleranza religiosa, che gli scozzesi, in eccesso di magnanimità, hanno spinta fino all’assurdo. Molte persone colte della Scozia furono scandalizzate quando seppero che io intendevo iniziare un lavoro anticlericale nella città di Glasgow, incominciando dalla colonia italiana stessa.
Tutto questo è semplicemente doloroso, ma è più doloroso ancora quando si pensa che tale stato di cose giace su di una invincibile e caparbia ignoranza del popolo scozzese, che cioè il cattolicismo di oggi è radicalmente mutato da quello della Riforma, che egli ha imparato l’insegnamento della storia e che è
oramai impossibile un assalto serio alle fortezze protestanti della Scozia.
L’Autore, in una superba visione storica, concisa, vigorosa, fantastica attraversa col lettore i campi della lotta per la Riforma scozzese da John Knox, nella sua opera imprescindibilmente politico-religiosa a base teocratica, fino a Leone XIII, fino ad oggi. Il capitolo Vili: Roma persecnlriee, ed il IX: Il Papato ed i tempi moderni possono essere una rivelazione per molti italiani che pure seguono con interesse le fasi della vita vaticana, è deve certo risvegliare bruscamente molti scozzesi che delicatamente avevano sognato la conversione del Vaticano a data incerta. I documenti di cui il libro è arricchito in ogni parte, lo rendono ineluttabilmente efficace.
L’autore svolge con profonda evidenza il fatto che « il Protestantesimo, stabilito sulla base dello studio individuale della Bibbia, fu la salvezza intellettuale e spirituale dela Scozia ». « Il contrasto fra l’Irlanda e la Scozia è semplicemente il contrasto fra il Protestantesimo ed il Cattolicismo ». « Che se il Vaticano oggi non perseguita, grida il Macpher-son, non è perchè gli manchi il volere, ma perchè gli manca la forza ». Egli ricorda ai suoi buoni scozzesi che « se Roma cambia la sua tattica non muta però le sue pretese » e che ora come sempre « il Papato è un colossale sistema il cui scopo è il governo dispotico sull’uomo e sulla società in tutte le loro manifestazioni sacre e profane » chiamando il Papato « il cattivo genio della civiltà ». È la prima volta che mi vien dato di leggere parole così spiccatamente anticlericali dalla penna di uno scrittore scozzese recente.
L’Autore termina il volume con le parole solenni di Melville della Chiesa inglese : « Fate pace, se volete, col Papato, ricevetelo nel vostro Senato, custoditelo nelle vostre chiese, piantatelo nei vostri cuori. Ma siate certi come del cielo e di Dio che stanno sopra voi, che il Papato, così onorato ed abbracciato, è lo stesso Papato che fu disprezzato e degradato dai più santi dei padri vostri, il medesimo in audacia, il medesimo nella intolleranza ; che tiranneggiò sui re, che assunse le prerogative della Deità, che schiacciò la libertà umana e che uccise ¡santi di Dio».
È solo un peccato che la stampa inglese non si interessi abbastanza di queste pubblicazioni anticlericali, ma vi è da sperare che l’Inghilterra non mancherà di risvegliarsi in tempo dal suo letargo, per ricominciare con rinnovato ardore le battaglie della Riforma.
Ignazio Rivera.
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BILYCHN1S
Chiesa cristiana cattolica della Svizzera.
P. GSCHWIND, Geschichle der Enlslehung der chrìstkalholischen Kirche der Schweiz. {Storia dellalgenesi della Chiesa cristiana-cal-lotica della Svizzera). Bern, Buchhandlung A. Franke, Bubenbergplatz, 6. (Marchi 5).
A chi non è adatto digiuno di storia moderna della Chiesa è noto come in seguito alla definizione, nel Concilio vaticano, dell'infallibilità pontificia come dogma di fede, parte dei cattolici con a capo qualche vescovo ed il clero, rifiutarono di aderirvi e si costituirono in Chiesa a parte, che è venuta progredendo sino ad oggi, specialmente in alcune parti della Germania e della Svizzera.
I dettagli di questa resistenza a Roma e io sviluppo e l’organizzazione di queste Chiese sono di particolare interesse e meritano di essere meglio conosciuti e studiati. Lo Gschwind ha voluto appunto nel suo bel libro rievocare le origini e nel tempo stesso illustrare le vicende della Chiesa nazionale svizzera. Ed il volume che egli ci ha dato non è solo interessante nei riguardi della sua confessione particolare, ma pure, maggiormente anzi, in quanto ci dà una breve ma esatta storia del Concilio vaticano in cui si recitò l’ultimo atto della triste commedia dell’assolutismo pontificio.
Pochi infatti, a meno di cinquantanni di distanza, sanno con precisione come si svolsero le sedute di questo Concilio ; come il peggiore forcaiolismo di piazza avesse pervaso la maggioranza dei vescovi convenuti contro la minoranza, quando qualche membro di questa ebbe il coraggio di opporsi pubblicamente, dalla tribuna degli oratori, alla definizione del nuovo dogma ; come questa minoranza, che si vuol far credere di appena qualche diecina di padri, ne contasse invece da centocinquanta a duecento, e, fra questi, i più dotti ed i più celebri cultori delle dottrine storiche e teologiche. Basterebbe ricordare il Dupanloup, il Rettele-, l’Hefele, lo Strossmayer ed i cardinali Schwarzenberg, Rauscher e Diepenbrock.
A questa rievocazione delle vicende del Concilio vaticano sono dedicate circa 150 pagine del volume dello Gschwind. Il resto del libro si occupa, come abbiamo già detto, della organizzazione e dello sviluppo della Chiesa nazionale svizzera che ha preso il nome di cri-stiana-cattolica in opposizione a quello di cat-tolica-romana. I documenti citati dall’A. sono molto importanti e permettono di seguir passo passo il progredire e l’affermarsi di quella con
fessione religiosa e delie opere sociali a cui essa ha saputo dar vita.
Lo Gschwind ha potuto darci un lavoro cosi completo e degno della massima attenzione perchè delle cose di cui parla può dire di essere stato magna pars.
E. R.
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Come hanno ridotto la Chiesa.
***** Ce qu'on a fail de l’Église. Étude d’histoire religieuse, avec ime humble sup-plique à S. S. le pape Pie X. — Paris, Alcali, 10S, boulev. St.-Germain, 1912.
Questo volume ormai famoso — in brevissimo tempo ha avuto una diecina di edizioni — e popolare in Francia sotto il nome di Livre des X, è, a parer nostro, una delle più terribili e insieme delle più serene requisitorie contro la degenerazione profonda a cui, dai suoi uomini posti a governarla, è stata tratta la Chiesa romana. Naturalmente perciò l’arcivescovo di Parigi e molti altri vescovi francesi dopo di lui, si sono affrettati a proscriverlo come « empio, pernicioso e scandaloso ».
In verità lo scandalo vescovile è bene scandalo dei pusilli e di gente che ha orrore di sentirsi dir chiara la verità vera. Eppure nei problemi così profondi e vitali che toccano tutti gli spiriti e non solo le animale delle loro Eccellenze, si ha il diritto santo di dirla la verità anche a dispetto, poiché questi fedeli, che si è voluto paragonare a pecorelle stupide ma che hanno invece un'anima pensante, sentono ormai da gran tempo il desiderio, la necessità di una fede più illuminata. « L’anima che non muore mai — si dice nel libro -- che vive oggi, che viveva ieri, che vivrà domani, che per forza di cose ha vissuto, vive e vivrà sempre della vita del suo tempo reclama il suo diritto alla vita, alla libertà, al progresso».
Questo Roma ed i suoi chiamano rivolta. E la ragione di questo giudizio arbitrario è precisamente nel fatto che «la Chiesa si è abbassata all’ufficio di burocrazia, gelosa dei poteri che possiede ancora ed avida di riconquistar quelli perduti, ridotta ad una forza sterile che tenta di reagire contro il progresso della società».
Quattro parti principali comprende questo libro, e cioè: La conquista romana, la vita
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morale ed intellettuale, gli « instrumenta regni », il Modernismo e la Separazione.
Il modo come i papi sono stati presi dalla fregola imperialistica, di cui il potere temporale restò a lungo testimone, è il soggetto della prima parte. Perduto quest’ultimo scampolo della sovranità terrena, i papi non si sono rassegnati a viver da papi e non da imperatori e brontolano e protestano, e brigano fino a spingere alla guerra nazioni cattoliche come per poco non accadde alla Francia nel 1S71.
Con l’ambizione mondana, col regno mai posseduto, la sete di ricchezze e di conseguènza la fiscalità ed i mercati simoniaci si sono impadroniti di questa Curia romana, che non quaeril ovem sine lana; danles exaudit, non dantibus ostia Claudit, come dice l’antico distico. Ed il libro ricorda appunto come tutto si è sempre comprato e venduto a Roma : l’inquisizione è stata una grande impresa fiscale, si è fatto traffico delle indulgenze, vi si vendono ancor oggi dispense, titoli, decorazioni. Cosicché per forza di cose Roma è divenuta un vivaio di ostriche, afflitta da una onnipotente burocrazia di cui, in fondo, il papato è schiavo.
Conseguenza di ciò è stato pure l'asservimento assoluto dei vescovi ed il tentato asservimento di tutto il clero minore. Ma se con i vescovi l’afìare è stato relativamente facile, con la gran turba del clero minore le cose sono andate diversamente. Ed ogni giorno più, nonostante minaccio e persecuzioni, nonostante la lotta del Vaticano contro la cultura e contro l’intelligenza, la ribellione si fa strada nel clero non disposto a farsi ammanettare. Nè è da credere, secondo gli scrittori del libro, che tale eroica resistenza sia per venir meno.
Se tale è il clero, figurarsi i laici. Essi, per vero, non contano più nulla nella Chiesa, in quanto, per l’autorità essi sono i servi, gli eterni scolaretti : ecclesia discens. Sembra però, che tutti, più o meno, si siano stancati di frequentar le lezioni di tali maestri, ed abbiano scioperato. Ma questo non preoccupa la ecclesia docens, se non nel caso che un laico sia tanto potente da far della Chiesa una sua mancipia. Così, osserva il libro, si accetta ben volentieri l’imposizione di Francesco Giuseppe alla volontà dei cardinali riuniti in conclave per avere un papa di suo gusto, mentre l’autorità ecclesiastica se ne rifarà ad usura su chi non vuol fare un papa, ma vuol vivere veramente la sua vita religiosa.
Fatte queste constatazioni gli autori, come conseguenza da premesse, dimostrano nella
seconda parte, quale sia la vita morale ed intellettuale nella Chiesa. Il culto idolatrico dell’autorità ne è l’indice principale, e di tale idolatria la formula può esser quella dettata dal Loyola. «Se la Chiesa decide che ciò cheè bianco è nero, dobbiamo dir con essa : è nero *. Di questa formula il papa e, per estensione, la Curia, si son valsi per allargar sempre più la cerchia dei loro poteri e proclamarsi infallibili, inerranti in ogni questione su cui venga loro il ticchio di parlare o di spropositare. Per solito, infatti, da Roma ciò che è bianco vien dichiarato nero e viceversa. Ne consegue che l’autorità ecclesiastica è la necroforo di ogni libertà specialmente intellettuale. Ne sanno qualche cosagli scienziati cattolici che il Vaticano vorrebbe ridurre a mannequin* della sua « scienza » particolarissima, e che son sospettati, perseguitati, discacciati, affamati in nome della sapiente asinità romana. Naturalmente chi coglie i primi onori in questa guerra, è la storia che non si adatta ad esser la schiava della teologia e non crede prendere a suo principio fondamentale ed esclusivo l’autorità o la tradizione romana. Il libro ricorda che il card. Capaldi dissuadeva il De Rossi dagli studi archeologici e che mons. Meignan diceva a Loisy : « Ragazzo mio caro, anch’io ho le tue opinioni, ma guardati bene di farti trascinare da illusioni generose. Anch’io ho tentato di dir queste cose: ma ho presto, disgraziatamente, compreso che la Chiesa non era capace, ai giorni nostri, d’intendere certe verità. Se tu persisti nel tuo cammino, sarai senza fallo schiacciato, e coloro stessi che la pensano come te non vorranno difenderti ». In virtù di questo non intervento, Loisy è stato scomunicato e il Meignan fu fatto cardinale.
Coniuttocciò l’opposizione alle volontà di Roma prosegue nel suo cammino, incurante delle proteste interessate. Ma, contro gli oppositori, il Vaticano ha provveduto con speciali istituzioni, gli Instrumenta regni come si esprimono gli autori nella terza parte del volume. Fra tali mezzi primeggiano le Congregazioni romane: il Sant’Ufficio — « questa ghigliottina a secco » che condanna l’accusato senza ascoltarlo neppure o senza tenere alcun conto delle sue difese, tribunale secreto senza ombra di garanzie di serietà e di equità., E il volume ricorda come, nonostante l’ordine scritto di Leone XIII, gli archivi di questa tenebrosa istituzione rimanessero chiusi ad un sapiente benedettino incaricato espressamente dal papa di alcune ricerche storiche, come è successo pure in questi ultimi giorni
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al Pastor, il quale ha scritto in proposito una fiera lettera. Vengono poi : la congregazione dell’Indice, inane e stupido sforzo contro la cultura per la ignoranza, o, come dicono gli autori « dogana organizzata attorno ai fedeli > ; la commissione pontificia degli studi biblici, creata con buoni intenti da Leone XIII, ed ora ridotta all’ufficio di can di guardia contro ogni novità, e famosa per le bestialità definite : la congregazione dei regolari, ecc. Aggiungi le sospensioni ex informala conscienlia che mettono i sacerdoti in balìa dei vescovi che se ne servono per loro fini privati, per odi o per vendette, e che sono la espressione migliore della vigliaccheria ecclesiastica; gli Ordini religiosi e, primo fra questi, la Compagnia di Gesù — su cui un interessantissimo capitolo obbiettivo e sereno è contenuto nel libro —: ed infine la stampa clericale nota generalmente per la sua violenza e per la sua mala fede. Di questa mala fede e delle coscienti falsificazioni perpetrate dalla stampa clericale ai suoi scopi, vari esempi interessantissimi sono contenuti come specimen nel volume. Aggiungete inoltre le misure eccezionali stabilite da Pio X con l'enciclica Pascendi organizzando e dando carattere ufficiale nella Chiesa, che non è certo di Cristo, la nuova inquisizione, il regime di sospetti e di spionaggio, ed avrete un’idea di questi «instrumenta regni».
L’ultima parte sul Modernismo e sulla Separazione in Francia, contiene un’esposizione chiarissima dei procedimenti pontifici. Gli autori dichiarano che « non sono modernisti », nia ciò non toglie che giudichino severamente il procedere odioso di Roma contro il Modernismo. In merito alla Separazione si dimostra come Roma abbia commesso un abuso gravissimo di potere imponendosi e sovrapponendosi alla Chiesa di Francia che aveva chiaramente espresso il suo volere contrario ai placiti del Vaticano.
Questo è il libro. Esso è un grido di anime che amano di amore ardente la loro chiesa e che dichiarano che non senza un tremito hanno pensato e scritto queste pagine frementi, ma che sanno bene che la Chiesa di Cristo non è la contraffazione cesarista a cui oggi è stata ridotta.
Gli autori supplicano Pio X a liberarsi dal teologismo per ritornare alla Chiesa. Bel desiderio, ma pia illusione di spiriti che vorrebbero opporsi allo sgretolamento del ro-manesimo. Esso va fatalmente per la sua china.
Nella prefazione alla settima edizione di questo libro, gli autori, rispondendo alle con
danne ed alle censure, dichiaravano con nobile fierezza a chi crede di rispondere con il cièco furore alla parola di santa rampogna: «... Noi siamo cattolici oggi, come lo eravamo ieri, come lo saremo sempre. Le condanne e le scomuniche potranno colpirci, le abbiamo anzi previste; ma per quanto dolore rechino al nostro cuore ed all’anima nostra, esse, come non saranno capaci di farci lasciar la chiesa, cosi non varranno a soffocare il nostro grido ».
Intanto Roma ride del pianto di queste anime di figli. Er.
Autobiografia di A. Loisy.
ALFREDO LOISY. dioses passtes. — Paris, Emile Nourry, éditeur, 62, rué des Ecoles, «9’3 (L. 3,50).
Per parlare convenientemente di questo nuovo libro del famoso esegeta francese bisognerebbe citar molte delle pagine che lo compongono. Ho letto infatti numerose autobiografie vere e romanzesche, ma credo che ben poche di esse possano stare a fronte a questo volume, in cui c’è tutta l’intensità di una vita vissuta, tutto lo strazio di uno spirito posto al bivio fra la società religiosa a cui si è donato con confidenza senza limiti e che non solo non sa dargli la verità per cibo e abbeverarlo di sincerità, ma gli proibisce formalmente di accostarsi alle fonti della vita vera, e l’intimo senso della coscienza che, maturando lentamente nello studio e nella riflessione, lo distacca dalla sua chiesa, dopo che ogni conciliazione è provata inutile. E confesso che, in qualche pagina, in Loisy ho riconosciuto me stesso, come molti,- leggendo il libro, vi si ritroveranno.
Tanto maggiore interesse sono destinate a suscitare queste «Cose passale» in quanto, come dice l’autore nella prefazione, «il lettore non vi troverà solo gli echi d’una vita tribolata e infranta: ma vi troverà ancora delle esperienze che pur qualche frutto hanno portato, in cui le gioie intime dello spirito si sono mischiate ai rovesci esterni ed alle an-goscie dell’anima.» Rievocar queste cose è parso tanto più opportuno al Loisy, e dobbiamo dire che non si è ingannato, perchè «sembra ormai che a poco a poco i dogmatismi, sempre fieri e presuntuosamente solenni, son tratti all’esaurimento dai loro stessi eccessi, che le intelligenze diffidano sempre più delle
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strettoie di simboli, che le anime non se la sentono ulteriormente di vivere di odi».
Il libro ci dice tutto del suo autore, dei suoi primi anni nelle campagne dell’alta Marna, dei suoi primi studi, del suoi primi dubbi. Poi la vita di maestro e di scienziato, fra soddisfazioni spirituali e fra rappresaglie e vendette, la lotta dell’anima, a cui ho sopra accennato, con tutto il suo lancinante spasimo, fino alle condanne brutali, fino alla liberazione, alla scomunica benedetta. Benedetta perchè ridonava l’uomo all’uomo, ritornandolo nelle vie della verità e della pace per lo spirito. Essa aveva un solo difetto, ci dice il Loisy, ed è che sarebbe dovuta arrivare venti anni più presto. « Non avevo che cinquantini anni, ma quanti di essi contavano per due!».
E qui devo dolermi che non mi sia consentita dal tempo e dallo spazio (la rivista è per andare in macchina) una più vasta analisi del volume. Voglio ciononpertanto citare la dolorosa pagina del diario particolare che il Loisy scriveva già il 9 aprile 1904. « Mi son dato a questo mondo — scriveva egli — molta pena per nulla. Ho preso sul serio la mia vita e la Chiesa ed ho perduto l’una e turbato l’altra. Cercar la verità non è un buon mestiere per un uomo: per un prete è il più gran periglio. E’ già da gran tempo che non mi sento più cattolico nel senso ufficiale della parola... Non so quale sarà la religione dell'avvenire, ma so che il cattolicismo romano, come tale, è destinato a perire, e non meriterà rimpianto. Potrebbe durare trasformandosi, ma non vuole...». E devo ricordare che queste parole, che il cuore di mille e mille con noi si è ripetuto e si ripete incessantemente nel cattolicismo ufficiale, erano scritte dopo che Pio X aveva respinto l’ultima concessione che un’anima umana, dirò anzi meglio, un'anima di credente aveva potuto fargli senza rinnegar se stessa e Dio, dopo che il papa di Roma aveva creduto poter dire di un uomo che compiva l’ultimo dei sacrifizi, «la sua lettera diretta al mio cuore, non parte dal cuore». « Eppure sì — ci dice quest’uomo, oggi a dieci anni di distanza — questa lettera (era la lettera con cui si sottoponeva, senza distrugger se stesso, alle condanne dell 'Indite) partiva dal cuore! Era l’ultima emozione della mia anima cattolica dinanzi al turbamento di cui soffriva la Chiesa, un po’ per causa mia, ma non per mia colpa. E perchè io domandavo di poter morire in pace in questa Chiesa de! mio battesimo, senza che mi si costringesse alla menzogna per esservi tollerato, pareva che si burlassero di me come di un falso martire, d’un folle orgoglioso sino a posar
da vittima (era questa l’idea di Pio X), sino a parlar di una rinunzia che nessuno gli domandava, quando gli si chiedeva un nonnulla, una cosi povera cosa, solo questo cioè: difendere come vero quello che aveva riconosciuto falso, e, reciprocamente, combattere come falso quello che aveva trovato vero!... Quando nell’agosto 1910, il papa ha condannato il Sillón, io dissi agli amici: «la Chiesa romana non ha cuore». Ne dubitavo già sin dal 12 marzo 1904».
Vi sono ancora alcune righe, citate aneli 'esse nel libro dal diario suaccennato, che potrebbero fornire soggetto di serio esame all’infinito numero di quelli che convinti della falsa posizione che occupano tuttora nei ranghi ufficiali della Chiesa romana, si ostinano a rimanervi. Ecco queste espressioni. Che sono in data del 12 maggio 1904: «Resto nella Chiesa per non turbare certe anime, ma con ciò turbo bellamente la mia. Se credo a qualche cosa, non è certo a quel che insegna la Chiesa, e questa non è disposta ad insegnar quello che io credo. Posso rimanervi onestamente?» Altrove aveva detto: «Sembra bene che il mio posto sia fuori della Chiesa, poiché in essa non v’è più per me nè sincerità, nè dignità, nè sicurezza».
Non accenno, per forza di cose, che a qualche breve punto del volume. Lascio da parte tutto ciò che è narrazione di fatti o esposizione di dottrine, perchè dovrei ricopiare il libro. Spero che di ciò qualcuno vorrà occuparsi, traducendolo in italiano. Mi limito a riferire il giudizio dei Loisy sul celibato ecclesiastico, poiché tale questione è fortemente agitata ora fra noi. Il Loisy vi accenna quando parla della sua introduzione nella vita ecclesiastica. «Non è per sposarmi — egli scrive — che mi son fatto scacciar dalla Chiesa; ma non mi credo affatto dappiù di quelli che lasciano il loro abito per contrarre matrimonio. Se essi pensano che la Chiesa cattolica non ha alcuna valida ragione ed alcun diritto d’imporre ai suoi preti il celibato, nelle condizioni in cui essa lo fa promettere ed obbliga di mantenerlo, di quel che Cibele ed Attis non avessero motivo legittimo d’imporre ai loro la nota mutilazione, essi pensano il vero».
Terminerò col ricordare che il vescovo Meignan, scherzando sul desiderio dei membri dell’istituto Cattolico di Parigi di avere il Loisy. ancor giovanissimo, fra di loro, diceva a mons. Duchesne « Voiis avez désiré un prélre qui sori de mon seniinaire; il doil avoir Vesprit terriblement èlroil ! — Mais non, mais non, replicò Duchesne, il n’est pas plus étroit que tuoi». I! Duchesne aveva ragione: ma più a
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ragione ancora avrebbe potuto rispondere: vii est moins élroit que moi». [.a storia giuoca talora certi scherzi...
Ritengo — e la mia esperienza personale mi suffraga — che il Loisy, uscito fuor dal pelago alla riva, per usar l’espressione dantesca, guatando l'acqua perigliosa di queste «cose passate», benedica la vita.
Ernesto Rutili.
RELIGION E ARTE
L’arte e i santi.
M. LIEFMANN. Kunsl und Heilige. (J.’arle ed i santi). Jena 1912, Eugcn Diederichs Verlag. (Marchi 5.50: legato Marchi 6.S0).
Il lavoro del Liefìnann è un manuale iconografico da servire all’illustrazione delle pitture dell’arte italiana e tedesca. Il lavoro, nuovo nel concetto e splendido nella forma, merita la più attenta considerazione ed il più largo favore. In esso sono compendiati i racconti e le leggende bibliche, apologetiche o delle storie dei santi, illustrate dagli artisti, socialmente in Italia in infiniti quadri ed affreschi.
Per ordine alfabetico vengono registrati i nomi dei santi o dei personaggi e, ad ognuno, una breve illustrazione ne dichiara la storia o la leggenda, con, infine, gli attributi particolari al santo e che servono a riconoscerlo nelle figurazioni artistiche. Si-è tenuto pur conto, par quanto lo consentiva la mole del volume, delia simbolica cristiana.
Cito qui due esempi, fra i più brevi, tratti a caso dal volume, perchè il lettore comprenda anche meglio il genere del lavoro del Liefmann:
« Adelaide (Santa), sposa del duca di Bergamo, Lupo. Viene raffigurata con la corona in testa e con un lungo velo. Anche santa Adelaide, la sposa dell’ imperatore Ottone I, viene raffigurata con una corona. Essa fondò molti chiostri e molte chiese, per cui viene dipinta mentre distribuisce elemosine o anche tenendo in mano una piccola chiesa. Anche una barca le viene posta accanto, perchè fatta prigioniera in una gita sul lago di Garda, riuscì a fuggire su di una barca».
« Gertrude (santa), figlia del maggiordomo Pipino dalle terre (Pipin von I^mden). Si ritirò nel monastero di Nivelles e ne fu badessa.
È la patrona dei prodotti dei giardini e dei campi. I suoi attributi sono un giglio e sorci o ratti, perchè questi animali dovettero fuggire dai campi per le sue preghiere».
Ripeto che questi che io cito non sono che brevi esempi e non certo fra i meglio scelti.
In fine del volume è un elenco anch’esso alfabetico degli attributi dei vari santi e brevi illustrazioni dei simboli e dei distintivi ecclesiastici o degli ordini religiosi. Questa seconda parte non è meno interessante della prima e acilita ancor più il riconoscimento dei santi nelle figurazioni artistiche. E. R.
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Francesco Crispi e la politica ecclesiastica»
F. Crispi, Ultimi sci itti e discorsi extra parlamentari, a cura di T. Palainenghi-Crispi. — Roma, 1 ’ Universelle.
In uno degli ultimi volumi pubblicati dal Palamenghi-Crispi, sono raccolti gli ultimi scritti e i discorsi extra-parlamentari di Francesco Crispi dal 1891 al 1901. Essi hanno una certa importanza per l’illustrazione del pensiero dello statista siciliano, che gli ultimi avvenimenti politici e il nuovo orientamento degli spiriti in Italia rendono singolarmente attuale e significativo. Egli, come è noto, fu imputato di megalomania perchè voleva un’Italia potente, la quale non fosse assente nel lavoro politico dei nuovi raggruppamenti degli Stati in Europa. « Per esser forti, basta volerlo e saperlo. Una nazione di 31 milioni d’abitanti che si ecclissa, che si nasconde, che nulla conta nel mondo è una figura geografica e non una potenza ». «La virtù dei cirenei è una vera ingenuità in politica ». Egli comprendeva la gravità del pericolo d’una Francia repubblicana, intenta con un lavoro assiduo e tenace a riparare l’onta del ’70 e a vendicarsi di un’Italia divenuta troppa grande e mostratasi troppo ingrata : il pericolo, dopo un breve periodo d’idillio, s’è fatto per noi di nuovo minaccioso.
Egli era per la triplice; solo lamentava che il governo italiano non avesse saputo trarne tutti i vantaggi nel campo commerciale, quando la Francia denunciando il trattato di commercio e avvilendo i nostri valori ci rovinava
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economicamente. « A che temere dell’Austria? Essa ha già troppe ragioni d’imbarazzo... per non dovere usare della maggióre prudenza e circospezione nella soluzióne della questione balcanica. L’elemento slavo, oggigiorno, ha preso il sopravvento nell’impero poliglotta».
Oggi che il sentimentalismo in Italia s’è pronunciato per il piccolo ed eroico Monte-negro, per la mancanza d’una forte e sana educazione politica, che è visione chiara degli interessi nazionali, nella nostra borghesia, è bene ricordare il pensiero del Crispí, che nel 1900 scriveva : « L’Albania non è slava, è una nazione che ha personalità propria, che ha lingua ed usi a sè. Cosi essendo, si comprenderebbe che, accogliendo un lungo ed antico voto, si consentisse all’Albania di proclamare la sua indipendènza — ma sarebbe gravissimo errore pretendere di incorporarla con i paesi slavi dell’Europa... L'Albania ha in sé tutti gli elementi per uno Stato autonomo, meglio che non li avessero Serbia e Bulgaria, e consentendole uguale autonomia, l’Europa compierebbe opera civile».
È impossibile riassumere o solo accennare brevemente alle questioni, ancor oggi di viva attualità, che pur occasionalmente tratta il Crispi nella raccolta attuale e in cui egli ci appare un vero precursore di idee e di programmi oggi assunti da partiti diversi e spesso in contrasto fra loro. Ricorderemo solo, qui, qualcuno dei suoi pensieri intorno alla politica ecclesiastica ai quali l’acutizzarsi nova-mente delle pretese clericali in Italia dà nuovo significato.
In un saggio « Il papa e l’Italia», pubblicato nella PJorth American Review (1891), egli mostra come il Parlamento italiano nel 1871, nelle Guarentigie, si sia mostrato troppo debole ed imprevidente di fronte al papato, concedendo a questi una posizione di privilegio che nessuna delle altre tre abolizioni del potere temporale avvenute in un secolo (del 179S, con deliberazione del popolo riunito in Campidoglio, dopo l’entrata dei francesi ; del 1809, per decreto di Napoleone I ; del 1849, per legge della república romana) aveva riconosciuto. Anzi Napoleone I aveva ordinato (1S09) il trasporto a Parigi dei cardinali, dei generali di tutti gli ordini religiosi, dei funzionori della Cancelleria, della Dataria e della Penitenzieria degli archivi pontifici, avendo l’intenzione di porre la sede dei papa nei dintorni di Parigi. « La legge del 13 maggio 1871 diede alla Chiesa romana tali prerogative, tanta libertà che nessun culto ebbe ed ha negli stati civili... Quando il papa era principe temporale, bastava una corazzata a
Civitavecchia o un esercito invasore sulle spiagge del suo territorio, perchè avesse dovuto cedere alle esigenze dello straniero ». « Il nuovo diritto publico ecclesiastico non contentò il papa, ma col tempo potrà recare pregiudizio gravissimo al Re d*Italia ».
Nel 1892, in un discorso tenuto a Palermo, egli tratta delia necessità della riforma del diritto pubblico ecclesiastico. « Le leggi del 1866 e del 1S67, politicamente furono inefficaci, e quella del 1871 è un pericolo permanente.
Bisogna che il Parlamento sciolga il problema, la cui soluzione è tanto ansiosamente attesa: quello, cioè, della proprietà ecclesiastica .....
La legge del 13 maggio 1871 lasciò inerme lo Stato in materia di politica ecclesiastica ... Forti dell’6’.r^fl//zr e del placet regio, che alcuni credono irrevocabile, e che ministri deboli accordono con facilità e talora con compiacenza, gli alti funzionari della Chiesa insidiano le istituzioni dello Stato ... Queste cose avvengono perchè nella legislazione ecclesiastica non prevalsero le idee della Sinistra, la quale diffidava a ragione del malvolere e delle arti della Curia Vaticana. È oramai tempo che si provveda, instaurando ab imis fiindanientis il diritto pubblico ecclesiastico, se non vogliamo che il nemico, abusando di una tolleranza che accusa la nostra debolezza, renda sua schiava la potestà civile».
Una politica rettilinea di dignità nazionale, quale voleva il Crispi, sembra che finalmente sia stata inaugurata dai governo e sentita dalla nazione; noi vorremmo che venisse affermata anche di fronte al nostro più grande e carallerislico problema di politica interna: la posizione giuridica ed economica del papato e del clero di fronte allo Stato.
Terminerò riferendo due brevi annedoti intorno al Bismarck, che il Crispi racconta in un articolo scritto in occasione delia morte del Cancelliere tedesco (1898). A Gastein, nel 1877, prendendo occasione dal fatto che ogni anno egli si recava ai bagni nel territorio austrìaco, gli dissi scherzando che amava troppo quel paese e che facilmente non avrebbe tardato a riunirlo al grande impero. « No, vi sbagliate, rispose. Abbiamo abbastanza cattolici per non doverne aumentare il numero». In quel tempo si parlava anche della probabile vicina morte di Pio IX e gli chiesi se, avvenendo il caso, avrebbe preferito un papa liberale o un reazionario. Rispose : «Son tutti gli stessi, liberali o reazionari. Il papato è una istituzione ; sta in essa il male, e il pontefice, qualunque esso sia. non può far valere la sua volontà». RAM.
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Per i sacerdoti laicizzati. — Domenica 13 aprile un gruppo di sacerdoti laicizzati tenne una adunanza preliminare per discutere intorno ai mezzi necessari ed opportuni da usarsi nella organizzazione di una Società di sacerdoti laicizzati italiani.
Fu svolto il seguente ordine del giorno:
a) Costituzione di un comitato promotore.
b) Comunicazione di indirizzi di sacerdoti laicizzati; e discussione intorno ai mezzi da usarsi per fare conoscere l’esistenza della « limone » a tutti gl’interessati.
Il comitato riuscì composto di sei membri presenti.
Si poterono notare una cinquantina di S. L.» molti dei quali hanno già mandata la loro adesione.
Si decise d’inviare a (pianti sarà possibile la seguente circolare : « Si è costituita in Roma una « Unione fra sacerdoti laicizzati ». Essa ha per ¡scopo precipuo di stringere in salda amicizia quanti si sono liberati dai vincoli dell’ecclesiasticismo, in modo da prestarsi reciproca assistenza morale e materiale e di portare aiuto a quei sacerdoti che si propongono di rientrare nella vita civile, combattendo così l’isolamento a cui per necessità ora sono condannati e creando un focolare di vicendevole amore fraterno.
« Nel tempo stesso con i mezzi che sembreranno più opportuni, l’Unione si prefigge, appena il suo sviluppo lo consentirà, di combattere i pregiudizi invalsi nella società contro i S. I-., di tutelare la dignità dei soci contro gli attacchi a cui venissero fatti segno e dì far propaganda fra il popolo per una più alta coscienza spirituale e civile.
« L’Unione ha per primo postulato di essere al di fuori e al di sopra di qualsiasi confessionalismo.
« Alle molte adesioni già pervenuteci, confidiamo, egregio amico, potere aggiungere anche la sua per conseguire con attività concorde i fini dell’Unione.
« Per il Comitato promotore: Rutili Ernesto, via Vespasiano, 12, Roma-Borsari Riccardo, via Firenze, 38, Roma ».
Intanto preghiamo vivamente gli amici e quanti possono interessarsi di quest’opera, di inviarci indirizzi di sacerdoti laicizzati italiani.
La « Nuova Riforma ». — Prosegue pienadi vita le sue pubblicazioni. Abbiamo sott’occhio il n. 9 del 19 aprile col seguente sommario: Verso il sacerdozio laico (G. Avolio) -Per la laicità della scuola (S. Deruta) - La lotta per l’armonia della vita (A. Crespi) - A proposito di conversioni (F. Rubbiani) - Il sabato dell’uomo (L. G.) - Perchè delinquono i minorenni (Prof. M. Scinti) - Igiene alimentare.
Si può avere un numero di saggio, inviando cartolina doppia all’Amministrazione in Napoli, S. Antonio a Tarsia, 2.
Edito dalla Nuova Riforma, abbiamo ricevuto il primo quaderno dedicato al Primo Convegno Modernista Cristiano : bel volumetto di 70 pagine contenente discorsi e adesioni del convegno ch’ebbe luogo il 26 novembre scorso a Napoli e del quale furono informati i lettori di Jìilychnis (1912, pag. 572).
I) volumetto che costa una lira, vien mandato in dono agli abbonati della Nuova Riforma.
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Il secondo quaderno deila Nuova Riforma, di prossima pubblicazione, conterrà la conferenza di Gennaro Avoli© : Verso il sacerdozio laico; costerà una lira e sarà dato agli abbonati della Nuova Riforma per cent. 50.
Concorso a premio. — Circa il concorso a premio, bandito dal bollettino Fede e Vita sul.tema: «La moderna indagine critico-storica sulle Sacre Scritture nei suoi rapporti col contenuto della fede cristiana», ci si comunica :
In seguito ad insistenti preghiere pervenute alla Direzione da varie parti, è stato deliberato di prorogare il termine per la presentazione dei lavori al concorso a premio al j/ agosto /p/? e di portare V estensione massima del lavoro a trecento pagine (corpo 10, formato Fede e Vita}.
Restano ferme le altre norme e condizioni, come all’avviso inserito nel n. 3 del bollettino.
Siamo intanto lieti di annunciare ai nostri lettori che grazie alla cortese e benevola premura delle insigni persone officiate, la Commissione esaminatrice dei lavori è già costituita come segue:
1® Prof. Alessandro Bonucci, ord. di filosofia del diritto nell’università di Siena;
2® Dott. Giovanni buzzi, prof, della Facoltà Valdese di Firenze ;
3® Prof. Francesco Orestano, ord. di filosofia morale nell’università di Palermo;
4® Dott. Luigi Salvatorelli, redattore della Cultura Contemporanea del Quadrotta ;
5® Prof. Bernardino Varisco, ord. di filosofia teoretica nell’università di Roma.
Una Libera Docenza in Storia delle Religioni. — Il Consiglio superiore della P. L, in una sua recente seduta straordinaria, approvava la relazione della Commissione giudicatrice (composta dei professori Cri veli ucci, Guidi, Barzellotti, Pestalozza, De Michelis), pronunziatasi in senso favorevole per conferire al dott. R. Pettazzoni la Libera Docenza in Storia delle Religioni presso la R. Università di Roma.
Per l’Arte Decorativa Religiosa. — Nel numero di gennaio 1913 della Revue Chré-lienne vediamo con piacere il nome di P. A. Paschetto fra i premiati del Concorso di decorazione murale bandito dai Chrìstianisme Social con lo scopo di spingere i giovani artisti cristiani a perseverare nelle ricerche intraprese per reagire contro la povertà, la freddezza e la laidezza sistematica dei nostri luoghi di culto. Un bravo di cuore all’egregio decoratore di lìilyc/inis. P. C.
Un Cimitero Cristiano del hi secolo. — Il prof. Domenico Seghetti, illustratore esimio della storia del Tuscolo (Frascati), dietro notizie private pervenutegli, seppe come nei pressi di Villa Senni, in un terreno di proprietà di tale Sante Angelini si fosse rinvenuto abbondante materiale archeologico. Riflettendo come in quei pressi sulla via Latina, era anticamente un vicus tusculanus ed anche una respublica Decimentium con le ville dei celebri Cecilìi, nobili patrizi, dei quali molti cristiani, ne concluse come probabilmente doveva trattarsi di qualche cemeterio cristiano dei primi secoli.
Interessatane perciò la Commissione di archeologia cristiana, fu da questa inviato sul posto il signor Benvignani con altri membri autorevoli, i quali trovarono sulle prime una iscrizione che sembrò pagana, e poi un’altra ancora, certamente cristiana.
Della cosa si occupò ancora il padre Arsenio Pellegrini, abate di S. Nilo, e regio so-praintendente agli scavi, che d’accordo con il dottor Seghetti, raccolse da vari generosi oblatori delle offerte, riscattando il terreno dal-l’Angelini. Dato poi subito mano a regolari scavi, si ebbero dei risultati oltremodo lusinghieri, tali da dar piena ragione alle previsioni dal Seghetti concepite.
I lavori, sospesi durante la controversia con la Commissione di archeologia cristiana, facilmente risolta, furono ripresi con maggior lena, e le recenti e nuove scoperte han confermato come le supposizioni fatte erano esatte, trattandosi di un cemeterio cristiano del in secolo, dopo cioè la persecuzione di Diocleziano.
Il testamento religioso dell’on. Ro mussi. —- Nel testamento dell’on. Romussi, già per tanti anni direttore del Secolo di Milano, sono contenute le seguenti espressioni :
« Credo in Dio. forza suprema che anima il mondo, di cui siamo particelle infinitesimali. Sento in me il desiderio dell’infinito, che non posso raggiungere perchè sono limitato entro confini ristretti di intelletto e di natura ed affronto, curioso Pai di là per conoscere se — come spero — tutto l’essere nostro non muore ma continua negli affetti. Se questa speranza è un’illusione, sia benedetta, perchè mi ha sorriso nelle più aspre realtà della vita ».
Lo scritto, dopo espresso il desiderio di essere cremato, prosegue:
«Voglio sparire dal mondo lasciando solo l’impressione del sorriso e dell’amore».
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Foglietti Evangelici Popolari. — Si è iniziata la pubblicazione di foglietti evangelici popolari. Ve ne saranno di tre serie: Edificazione, Apologetica e Controversia. Lire 5 ogni mille copie. Non si fanno spedizioni inferiori alle cento copie (L. 0.50).
Rivolgersi al signor C. M. Ferrari, via Firenze, 3$, Roma.
Numero Unico Costantiniano. — L’Osservatore Romano ha pubblicato un numero straordinario dedicato al «XVI Centenario della pace e della libertà della Chiesa ». Sono S pagine di grande formato con numerose illustrazioni. Costa 20 centesimi.
Rivolgersi agli Uffici del giornale: Piazza Mignanelli, 22, Roma.
Futurismo. — ¿a Voce (via Cavour n. 4$, Firenze) del io aprile è intieramente dedicata al futurismo (cent. 20). Contiene: Come ho sorpassato il F. (G. P. Lucini). — 1 pittori f. (R. bonghi). —- La musica f. (G. Bastia-nelli), ecc.
Una Nuova Rivista. — Sotto la direzione del prof. Carlo Pascal dell’università di Pavia è stata iniziata quest’anno la pubblicazione della Rivista Atfienaeum, Studi periodici di letteratura e storia. Nel II Fascicolo (aprile) notiamo due studi che interessano i cultori di scienze religiose: Le controversie penitenziali dei primi secoli e l’antico monachiSmo (A. Pen-nisi) - Il culto della dea Fortuna nella più antica religione romana (G. D’Amico). L’abbonamento annuale costa L. 15. Editore Mat-tei & C., Corso V. E. 63, Pavia.
Studi Romani. — E’ il titolo d’una nuova « Rivista di archeologia e storia ». Esce in fascicoli bimestrali con illustrazioni e tavole. Abb. annuo p. l’Italia L. 20, p. l’estero L. 25. Red. e Amm.: Roma, via Palermo, 73.
Libri per il Popolo. — E’ nota l’iniziativa assunta dall’università Popolare Milanese e dalla Federazione Italiana delle Biblioteche Popolari per la pubblicazione di una serie organica di libri a scopo di volgarizzazione scientifica. Scrittori, scienziati e tecnici di fama, come il Celoria, il Saldini, il Gobbi, il Loria, il Luzzatti, il Oraziani, il Supino, ecc., collaborarono a questa pubblicazione che assume perciò il valore e l'importanza di una altissima intrapresa nazionale di coltura popolare. Dei sessanta volumi che costituiscono la prima parte del programma di lavoro, dodici sono già pubblicati in nitide e copiose edizioni e di qualcuno fu già fatta una seconda ristampa, tanto rapida ne fu la diffusione in tutta Italia. . .
Essendo i volumi della collezione distribuiti gratis agli operai che frequentano i corsi corrispondenti dell’U. P. Milanese e a tutte le Biblioteche Popolari associate alla Federazione Italiana, ed essendo ceduti a metà prezzo a tutti gli altri istituti di coltura popolare, ormai numerosissimi nella Penisola, occorreva un cospicuo fondo per far fronte alle perdite certe e previste.
A costituire questo fondo, con atto d’illuminata filantropia, concorsero alcuni enti e cittadini, fra i quali: dottor Luigi Pisa per L. 6000 — ing. Eugenio Rignano 5500 — Comune di Milano 1500 — Ministero dell’istruzione Pubblica 1000 — Monte di Pietà 1000 —- Camera di Commercio 1000 — dott. Marco De Marchi 1000 — Cassa di Risparmio 500 — marchese Ettore Ponti 500 — dott. Luigi Della Torre 500 — Aldo Norsa 500 — conte Guido Visconti 500 — dott. Alberto Pirelli 500 — Totale L. 20,000.
Il Ministero dell’ istruzione Pubblica, non avendo nel suo bilancio una voce specifica per sussidiare una simile iniziativa, nuova fra noi, ha incaricato’ la Commissione che riferisce sull’assegnazione dei sussidi a opere di coltura popolare di presentargli proposte motivate per lo stanziamento di un più cospicuo aiuto sul bilancio futuro.
Emilio Boutroux a Milano. — Sabato 29 marzo a un numeroso gruppo di giovani che vollero raccogliersi presso il conte Tommaso Gallarati Scotti per dare un ultimo saluto a Emilio Boutroux poco prima della sua partenza, il filosofo, commosso dalla larga simpatia dimostratagli dagli studenti italiani di Roma e di Milano, che gli parve rivelatrice di un movimento di coscienze verso una più reale libertà degli spiriti, fu impensatamente condotto a tenere un discorso in cui espose i principi della sua filosofia morale.
In forma famigliare, ma col calore di profonda convinzione che è la ragione del suo successo, egli prese a trattare dei rapporti delle facoltà intellettuali con le facoltà affettive. Egli osservò anzitutto come queste due potenze distinte, tra le quali l’uomo oscilla — intelligenza e sentimento — sono quelle che importa condurre a unità armonica senza sacrificare in alcun modo l’ima all’altra. La perfezione della vita sta nell’ evitare l’intellettualismo astratto che pretende eliminare
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il sentimento, il pragmatismo ristretto che sostituisce l’azione alla conoscenza. Il principio al quale noi dobbiamo tendere di uniformare tutta la nostra vita è questo: distinta unione del sentimento e dell’intelligenza. Solo in questa faticosa conquista di armonia interiore noi possiamo essere più uomini.
Più uomini nella vita famigliare in cui è necessario unire e penetrare l'uno nell'altra l’amore e l’idea di dovere. Più uomini nella vita nazionale amando la patria, la nostra patria, — sentimento più vasto ma radicale e profondo quanto quello di famiglia —amandola di un amore che sia sentimento naturale che viene dal cuore, conciliato con una alta idea di giustizia universale. Più uomini nella società di tutti gli uomini, amando l’umanità di un amore che non escluda l’idealità di patria, amando la patria di un amore che non escluda l’idea di solidarietà tra tutte le patrie.
Questo principio di armonia tra intelligenza e sentimento trova anche la sua applicazione nella vita intellettuale, artistica e religiosa.
Lo studio deve interessare il cuore come l’intelligenza. Per ben comprendere un autore, non basta di confrontare gli uni agli altri meccanicamente dei testi sparsi, di estrarne delle citazioni tolte dalle sue opere o da opere di altri : bisogna rivivere il pensiero e il sentimento di un autore. Il libro è muto per chi lo legge senza una simpatia che lo renda veramente nostro e che ci trasporti in altri.
La filosofìa non deve essere nè mistica, nè puramente intellettualistica: essa deve fondarsi sulla ragione viva, la quale partecipa ’insieme del sentimento e dell’intelligenza. L’arte deve essere una sintesi di ispirazione creatrice e di adattazione alle forme d’espressione o stili, che ci son trasmessi e che dobbiamo superare. La religione deve unire la vita interiore al rispetto dei dogmi e dei riti tradizionali. La forma non ha senso che per lo spirito, ma lo spirito ha la necessità di trovare una forma che lo esprima e lo comunichi. A questa condizione solo, la religione adempirà alla sua missione che è quella di dare a tutta la vita, ad ogni atto della vita, anche al più umile, un senso del divino e dell’eterno e di preservare l’uomo dal materialismo che lo avvilisce, come dal dilettantismo che lo disperde.
Concludendo il Boutroux disse : Conciliare, unire intimamente il cuore e la intelligenza è un compito difficile; motivo per cui d’ordinario si va da un sistema all’altro, come è avvenuto nel passaggio dai regno dell’intellettualismo del secolo xvm. al regno del sen
timentalismo che è del periodo romantico nel secolo xix. Ma la bellezza e la grandezza delia vita dipende dal modo con cui lottando, noi superiamo in noi queste oscillazioni, elevandoci sempre più in armonia che è anche libertà. Per questo noi dobbiamo volere che tra sentimento e intelligenza, in noi si compia quell’accordo che è espresso dalle due parole di Swedenborg : disi ine te. unum. (Corriere delia Sera).
The Constructive Quarterly. — In questi giorni è stala iniziata contemporaneamente in America ed in Inghilterra la pubblicazione di una nuova rivista trimestrale intitolata The Constructive Quarterly. Essa ha attratto già l’attenzione delle migliori menti del mondo anglo-sassone. Tra gli ammiratori è Teodoro Roosevelt il quale scrive: « Credo che la rivista riempirà una gran lacuna. È impossibile leggerlasenza sentirsi nell’atmosfera dei grandi problemi mondiali ».
Lo scopo principale della rivista è di creare un’intesa più che cordiale fra le varie confessioni del mondo cristiano, attirando l’attenzione sulle credenze che esse hanno in comune. Ogni collaboratore dev’essere leale verso le dottrine essenziali del cristianesimo, come pure verso quelle della propria confessione, ch’egli può difendere, se lo crede, senza però attaccare le altre.
Il primo numero, che contiene scritti di autori appartenenti alle chiese cattolica, anglicana, luterana, ortodossa, presbiteriana, metodista e battista, ha due belle caratteristiche: varietà e larghezza di vedute e di spirito. Ecco alcuni soggetti in esso trattati: Il Cristianesimo costruttivo — La Conversione — La Religione e il Lavoro — Un Santo puritano — Il Messaggio di S. Paolo alla Religione — Il risveglio del Protestantesimo americano, ecc.
Noi di tutto cuore diamo il benvenuto a questa nuova rivista e le auguriamo una lunga e prospera esistenza, mentre osserviamo che fìilychnis, benché pubblicata per cura d’una confessione cristiana (che propugna il libero esame e la libertà di coscienza) ha umilmente anticipato di un anno in Italia il programma di The Constructive Quarterly. (D. G.W).
La Religione negli Stati Uniti. — Interessante e istruttiva è la statistica religiosa degli Stati Uniti per gli anni 1900-1912. Dei 92 milioni di abitanti, So possono considerarsi religiosi. Di questi So milioni gli Evangelici costituiscono i tre quarti. L’aumento delle chiese Cattolica e Ortodossa, dovuto in
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gran parte all’immigrazione, in questi dodici anni, è stato di quattro milioni e mezzo; ma notevoli sono state anche le loro perdite. Gli aumenti delie varie confessioni evangeliche sono nel seguente ordine: nelle Chiese Battiste 1.360.980, nella Chiesa Metodista 988.766, nella Chiesa Luterana 693.535, «ella Chiesa Presbiteriana 406.549, ecc. Queste cifre dimostrano che la religione è tutt’altro che morta nel paese... dei dollari. (D. G. W.)
Giacinto Loyson. — La Grande Revue di Parigi nel suo numero del 25 gennaio ha cominciato la pubblicazione della « Vita di Giacinto Loyson », redatta da Alberto Houtin, il noto ex prete francese. Questa biografìa è fondata su documenti inediti e specialmente sulle note che il P. Giacinto stesso scriveva giorno dopo giorno. Questa pubblicazione continuerà per parecchi mesi su la Grande Revue. Siamo grati della speciale concessione fattaci l»er cui Rilychnis può presentare in questo fascicolo ai suoi lettori un largo riassunto d’una parte molto interessante di quella nobile vita.
Sesto Congresso Internazionale del Progresso Religioso. — Si terrà a Parigi nei giorni 16-21 luglio prossimo. 1 precedenti congressi del genere ebbero luogo a Londra (1901), ad Amsterdam (1903), a Ginevra (1905), a Boston (1907) ed a Berlino (1910). Secondo la circolare dell’ufficio d’organizzazione «il Congresso non impone o non esclude alcun credo-, aspira soltanto a riunire in un’azione efficace lutti coloro che, in mezzo alle diversità delle formule religiose, provano il medesimo ardente bisogno di rinnovamento spirituale, una stessa fame e sete di giustizia e di amore, di fratellanza umana e di mutuo rispetto ».
Il Centenario di Livingstone. — Il centesimo anniversario della nascita del grande missionario esploratore Davide Livingstone è stato commemora lo con entusiasmo in Inghilterra ed in (scozia nel passalo mese di marzo. A Edimburgo è stata inaugurata al Royal Scottish Museum una esposizione di ricordi personali di Livingstone: carte, fotografìe, strumenti, manoscritti, armi, Bibbie, ritratti, ecc. Il 17 marzo lo Società Reale Geografica di Londra ha tenuto una solenne adunanza commemorativa. Nel prossimo fascicolo di /{¡lychnis pubblicheremo la traduzione di un eccellente studio scritto sul Livingstone (Aux sources de r Actwn} d? Paul Doumergue per la rivista Foi et Pie di Parigi. In questo modo
renderemo anche noi il nostro tributo doveroso di ammirazione alla memoria del grande amico dell’Africa tenebrosa, del grande eroe cristiano.
La Macchia Gialla. — Nell’autunno dell’anno corrente dovrà aver luogo a Pietroburgo il Congresso delle Accademie delle scienze. Vi si aspettano delegati di 92 accademie, fra i quali anche l’orientalista di fama mondiale dott. Ignazio Goldriher professore a Budapest. Ma il prof. Goldriher è ebreo e come tale non ha il diritto di trattenersi a Pietroburgo. Quell’accademia delle scienze che tiene molto all’intervento del celebre scienziato si adopera periamo ad ottenere in via eccezionale il permesso di recarsi a Pietroburgo. Se non che lo scienziato ebreo appena avuta cognizione di questi Sforzi dell’Accademia russa s’è sentito talmente offeso che ha deciso di rinunziare all’onore di andare a Pietroburgo in via di grazia. Notevole è il fatto, che i giornali russi rilevano, che il professore Goldriher è socio corrispondente del-l’Accademia di scienze russe. Ad un redattore del periodico ungherese Egyentóseg che lo interpellò in proposito il prof. Goldriher ha fattole seguenti dichiarazioni : « La notizia è esatta,. io non vado a Pietroburgo. Come socio di quella accademia imperiale avrei il privilegio di passare il confine, ma non voglio profittare di tale privilegio. Io amo la mia macchia gialla (*) non me la levo e non accetto nessuna disposizione umiliante. Non ci mancherebbe altro che io dovessi portare al Console il mio diploma di Accademico russo per farlo legittimare, e invocare per me una grazia speciale che ai miei correligionari non è concessa».
Per tal modo l’accademia ungherese non sarà rappresentata al Congresso di Pietroburgo, perchè anche il secondo delegato professore Giulio Konig, è ebreo, e probabilmente seguirà l’esempio del prof. Goldriher; rinunziando egli pure all’onore di poter visitare la capitale della «Santa Russia». (La Settimana Israelitica, 28 marzo 1913).
Il nuovo alfabeto cinese. — I nuovi capi in Cina hanno deciso di abolire il vecchio sistema di scrittura che richiedeva dallo studente uno sforzo di memoria per imparare a mente ottomila ideogrammi.
L’incarico per la formazione del nuovo alfabeto è stalo affidato ad un comitato, com(®) Il segno imposto agli Ebrei nel medio evo per distili guerli dai cristiani.
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posto di Chow-Hi-Chu, segretario della Legazione a Roma, dei sottosegretari Wan e Chou, e del Solonghello, professore di cinese e di giapponese alla scuola di lingue orientali in Napoli. Questi signori hanno esaminato tutti .gli alfabeti conosciuti e li hanno combinati per formarne uno che possa riprodurre ogni suono nella lingua cinese. L’alfabeto adottato consiste di quarantadue segni, dei quali ventitré sono vocali e diciannove consonanti. Delle vocali quattro sono prese dal greco, quattro dal russo, cinque dal latino ed una dal cinese. Delle nove vocali che rimangono, due sono modificate o segni allungati e sette sono ideogrammi rovesciati. Delle consonanti, quattordici sono latine, tre russe e due greche. Con questi segni è possibile scrivere tutte le parole adoperate nella lingua volgare in qualunque parte della Cina. (D. G. W.)
La stampa cinese. — Il nuovo giornalismo in Cina è uno dei mezzi più efficaci che riuscirà ad illuminare quei vasto paese. Centinaia di giornali sono stati iniziati in questi ultimi anni e si cerca attivamente di assicurare che siano non soltanto pubblicati, ma anche letti. In alcune delle provincia si provvedono delle sale dove i giornali vengono letti agli analfabeti. Fino ad ora, i principali giornali della Cina erano sotto la direzione di stranieri e per lo più in inglese, e anche adesso molti dei giornali indigeni pubblicano una colonna o più in quella lingua. La Cina dovrebbe avere una stampa indigena vigorosa, perchè essa è stata la culla di quello che fino ad un anno fa è stato il più antico giornale del mondo: esso aveva quindici o più secoli di vita, e si smise di pubblicarlo per risentimento contro le ingerenze del governo nei diritti e nei privilegi che si arrogava. Si crede che il giornale moderno agirà come ariete potente su questa fortezza asiatica di ignoranza, di superstizione e di sciocco conservatorismo. Ma la stampa quotidiana di un giornale in una lingua per la quale si deve adoperare un tipo che comprende undicimila caratteri diversi è una impresa della cui gravità soltanto un compositore può rendersi conto. (D. G. W.).
Vandervelde, religione e anticlericalismo. — In un gran discorso pronunziato all’assemblea plenaria della Federazione socialista di Bruxelles, il Vandervelde, capo del socialismo belga, ha disapprovato la tendenza del suo partito a mettere a tacere qualsiasi preoccupazione religiosa. Pur riconoscendo che il socialismo è costretto a difendersi contro il
clericalismo, ha dichiarato che, in questa legittima difesa, parecchi oltrepassano i limiti voluti, sostituendo alla lotta contro le pretese della gerarchia cattolica, la lotta contro il sentimento religioso stesso. « Quante volte, ha detto, sono stato urtato nei constatare che il pensiero socialista è lasciato indietro per lasciar passare avanti delle preoccupazioni anticlericali ! Ed ho sofferto quando, invece dei nostri bei canti socialisti, i nostri operai non trovavano da intonare altro di meglio che « A bas la calotte! ». Nelle nostre Case del Popolo, in cui il Cristo è al posto d’onore, io soffro quando odo canzoni urtanti e abominevolmente stupide ».
Scienza e Fede. — H. Bach scriveva da Londra al Témoignage del 19 luglio passato: « Gli scienziati più celebri arrivano in questo momento dal mondo intero a Londra per commemorare coi loro colleghi inglesi il 250° anniversario della Società reale, cioè del-l’Istituto Britannico. Verranno pronunziati molti discorsi, ma nessuno varrà quanto la testimonianza che danno questi scienziati circa la loro fede. Sapete come inizieranno le loro giornate commemorative? Con un culto a Westminster Abbey. Ciò è qui perfettamente naturale. Difatti quasi tutti gli scienziati in Inghilterra sono pii, tutti rispettano la religione. Molti sono cristiani convinti, attivi ; ne ho incontrati parecchi ».
Ricerche archeologiche nella Spinge d’Egitto. — Il prof. Reisner, docente di egittologia all’università di Harward, ha comunicato in questi giorni alle autorità del Museo semitico di Harward ed al Museo di Belle Arti di Boston, i risultati delle sue ricerche sulla sfinge di Egitto. Nell’interno della sfinge il prof. Reisner ha trovato il gran tempio consacrato al sole, tempio più antico delle più antiche piramidi perchè data da circa 6000 anni avanti Cristo, cioè dall’epoca più remota della storia di Egitto. La tomba di Menes, primo re di Egitto conosciuto, che si edificò da solo e fece costruire la sfinge si trova appunto nell’interno del simulacro. Numerose gallerie, scavate nell’interno della sfinge, conducono a caverne, nelle quali non si è potuto ancora penetrare, perchè il lavoro dura solo da cinque mesi. Per ora gli scavi si limitano alla testa della sfinge nella quale si è trovata una saia di iS metri di lunghezza e 5 di larghezza. Questa sala è unita con corridoi al tempio del Sole situato fra le zampe della statua, ivi il prof. Reisner ha trovato centinaia e centinaia
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di oggetti sacri e la famosa croce cerchiata, simbolo del sole. Molte di queste croci sono d’oro e portano fili che servivano ai sacerdoti per far suonare dei campanelli onde invocare gli spiriti. Nell’interno della sfinge si trovano pure numerose piccole piramidi. Secondo il Reisner le piramidi non erano in quell’epoca che giganteschi niomoni di immense meridiane e la sfinge era una divinità solare. La piramide di Chaeope dà del resto l’ora in modo matematico e preciso. Il prof. Reisner spera di poter giungere a scoprire i segreti dei sacerdoti egiziani che avevano conoscenze profonde in magìa. I lavori sono resi più lenti per il fatto che gli arabi non vogliono dormire entro la sfinge, poiché credono che essa sìa popolata da un’infinità di demoni che condannano a morte chi rimane lì dentro tutta la notte.
La Chiesa Libera di Scozia per le Missioni. — La Chiesa Libera di Scozia, che già possiede nelle Missioni 358 agenti inglesi e 4427 agenti locali con 17SS scuole frequentate da 107,886 studenti e con 56,191 membri in diretta unione col movimento, ha deciso coraggiosamente un passo ancora più in avanti e sta raccogliendo un fondo espansionista di un milione di scellini (1,250,000 lire italiane), che permetteranno un notevole allargamento nella sfera di influenza del campo missionario. Al 1® dicembre si trovavano già nel nuovo fondo 396,650 lire e non vi è dubbio che in breve si raggiungerà la somma stabilita. (I. R.).
La Bibbia nella Divina Commedia. — La rivista inglese The Sunday al Home di marzo riporta una interessante statistica delle rifcrenze bibliche nella Divina Commedia. Il pazientissimo studio è stato fatto dal dott. Edward Moore, il quale ha scoperto nel lavoro di Dante più di 500 citazioni bibliche. Lo stesso dottor Moore osserva che « pochi scrittori medioevali o recenti conoscono la Bibbia come Dante la conosceva ». Il poema di Dante è saturo dell'atmosfera e del pensiero della Bibbia. (I. R.).
Battesimo per immersione. — 11 The Quarlerly Reporter, della Missione Battista tedesca, racconta un interessante battesimo per immersione avvenuto nella Chiesa di West-minster, celebrato da uno dei primi predicatori inglesi, non battista, il doti. Campbell Mor-!;an. Fra i catecumeni si trovava anche una anciulla ebrea. La Chiesa di Westminster, sebbene non battista, possiede un bellissimo battistero in marmo per l’immersione. Il discorso del grande uomo sul battesimo e sul suo si
gnificato fu assolutamente battista. Commovente l’istante della immersione della signorina ebrea, sulla quale il Morgan invocò una speciale benedizione. (I. R.).
Designazione più dignitosa. — Il The HeraldàeWo. Società Missionaria Battista (marzo 1913) narra della elevazione di un indiano, un certo Vedanayakam Samuel Azariah, al grado di Vescovo della Chiesa Anglicana con diritti e privilegi eguali ai vescovi di nascita inglese. Poco dopo un ordine ufficiale del governo inglese proibiva l’uso della parola native come designazione degli indiani. In questa maniera le chiese ed il governo si uniscono in un atto concorde per la designazione più rispettosa di un popolo grande per il suo passato e per il suo avvenire. Si chiameranno quindi semplicemente indiani. Il The Missio-nary Record della Chiesa Libera Scozzese, nei numero di aprile, propone di abolire completamente la parola native nello scrivere sulle Missioni Cristiane. (I. R.).
L’evangelista Mott tra gli studenti cinesi. — Il don. J. R. Mott, l’instancabile organizzatore cristiano, dopo di aver presieduto in Calcutta il Congresso Nazionale Indiano del Cristianesimo di tutte le denominazioni e di razze varie, congresso che fu ritenuto da tutti come il più grande avvenimento religioso dell' India (The Herald, marzo 1913) si è recato a Pechino, dove ottenne di poter parlare nel famoso Altare del Cielo (il tempio più sacro della capitale) ad una folla immensa di studenti delle Università cinesi, nelle cui mani sta l'avvenire della repubblica. Subito dopo il suo dircorso, 800 studenti si sono segnati per un corso di studio sul Cristianesimo (The Jìritish IVeeHy, 3 aprile 1913). Chi conosce il fascino infuocato dell’eloquenza del Moti sa che le sue parole sono indimenticabili, come straordinaria è la sua strategia di organizzatore. (I. R.).
Attività dei Battisti in India. — Il distretto di Telegù in India fu lavorato invano per quasi sessantanni dai Battisti dell’America. Finalmente nel 1866 un certo Perazza e sua moglie furono battezzati. Ciò fu il principio di un grande raccolto. Furono indi fatti piccoli gruppi di battesimi di tempo in tempo. Poi in un solo giorno (il 3 luglio 1878) furono battezzati nel fiume 2222 convertiti ed il giorno successivo 1314 altri. Le ultime statistiche riportate dalla International Review of Missione danno 61,687 cristiani nel distretto di Telegù.
(I. R.).
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Eucken a Boston. — Il corrispondente del Congrcgationalisl di Boston narra di una conferenza tenuta dal prof. Eucken alla Associazione dei Ministri Liberali di New York, in cui egli tratteggiò un tale quadro della impotenza dell’uomo contro le grandi forze del cosmo, e i paradossi e le perplessità della civiltà, che l’uditorio cominciò a tremare come sotto un incubo angoscioso. Questo grande, tra i filosofi viventi, che più di tutti ha studiato l’universo nella sua interezza, ha dichiarato che l’uomo non potrà vincere la battaglia, nè impedire il realizzarsi di una vecchiaia sopra l’umanità intera, qualora egli non riesca a fortificarsi con poteri superiori e con forze sovraumane, traendo al più presto nuove energie dalle profondità spirituali della vita. (I. R.).
Una Rivista di Teologia e Filosofia. — Col mese di gennaio è uscito il i® numero della 2" serie della Revue de 'Mitologie et de philosophie ».
La rivista fu fondata nel 186S dal professor E. Daudiran che la diresse fino alla sua morte (1911). Per un anno non fu più pubblicata, ed ora una schiera di giovani, in massima parte discepoli ed ammiratori del prof. Daudiran, hanno deciso di riprenderla con l’intento che l’opera sua sia di essere utile, di stimolare il gusto per le cose dello spirito, di far acquistare un sentimento più vivo delle esigenze della coscienza nel dominio del pensiero, insegnando a meglio conoscerli e ad amarli. Scopo nobile invero. Intanto il i° numero promette bene. Vi si notano, fra l’altri, un articolo di Ph. Bridel, sopra « Le finzioni nella scienza e nella vita umana », uno di Eug. Choisy sul cardinale Carlo Borromeo, uno di A. Maurer su Charles Secretan ecc., oltre una buona Rivista Generale, e Miscellanea.
La « Rivista » sarà pubblicata ogni due mesi in fascicoli di circa So pagine. Il Comitato di redazione si compone dei Sigg. P. Bovet, S. Gagnebin, René Guisan, Charles Mercier, Henri L. Miéville, H. Reverdin e Maurice Vuilleumier.
L’abbonamento è di 12 lire all’anno.
Largizioni di milioni in America durante il 1911. — Molti milioni sono stati elargiti di cui non fu data notizia. I doni conosciuti ammontano a pili di un miliardo e 300 milioni di lire, di cui 800 milioni per scopi individuali, 65 milioni per l’istruzione pubblica e 417 milioni e mezzo per scopi che riguardano il bene pubblico. Il resto della somma fu destinato ad una gran varietà di cose. Il sig. Carnegie solo diede in tutto 215 milioni di lire e dopo lui viene il sig. Rocke-feller, il fondatore dell’università di Chicago.
I doni per scopi religiosi ammontano alla bella somma di 255 milioni, di cui più di una metà fu collcttata da otto società evangeliche missionarie. I cattolici degli Stati Uniti collcttarono durante lo stesso anno un quarto della sopradetta somma, la maggior parte della quale fu spesa per l’istruzione confessionale.
(1 sig. Giacomo Patton elargì 20 milioni per combattere «il flagellò bianco», la tubercolosi, e pel medesimo scopo aveva già versato diecine di milioni il sig. Rockefeller.
La bella somma di 55 milioni fu collcttata da diverse società protestanti per la diffusione del Vangelo, specialmente in Cina, in India ed in Africa. Questi doni sono atti volontari ed un esempio eloquente della vita cristiana e delia larga liberalità evangelica degli Stati, Uniti d’America. (D. G. W.).
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BILYCHNIS
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