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10066 TORRE PEÍ.E10ÍÍ,
Anno 115 - N. 31
3 agosto 1979 - L. 300
Spedizione in abbonamento postale
1® Gruppo bis/70
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
LA PREDICAZIONE DEL CULTO DI APERTURA DEL PRIMO SINODO DELLE CHIESE VALDESI E METODISTE
Non c'è vera liberazione senza l'Evangelo
Non è possibile la libertà dalle catene della miseria se non si persegue contemporaneamente la libertà dalle catene culturali e religiose
Cristo ci ha affrancati perché fossimo liberi; state dunque
saldi, e non vi lasciate di nuovo porre sotto il giogo della
(Galati 5: 1)
l’ossessione della chiesa, da cui
lo sforzo, che sfiora il parossismo, di costruire una « chiesa
che conti » (quasi che sia la chiesa a costituire il Cristo, e non
esattamente l’opposto; e quasi
che la chiesa sia tanto più fedele quanto più è gloriosa).
Una ossessione che alla fine si
ricollega alla tendenza a porre
al centro noi stessi e le nostre
opere, a fare di noi stessi, delle
nostre opere, delle nostre organizzazioni, il criterio con il quale
misurare la testimonianza, e valutarne l'utilità e rincidenza sulle situazioni in cui si vive: questa è utile e valida se chi la dà è
« forte » e conta.
La conclusione inevitabile è
che, non trovando, a vista umana, in noi e nelle nostre comunità alcuna « forza » degna di questo nome, non si possa fare nulla di valido e di utile e che tutto,
ivi compresa l’evangelizzazione,
debba essere rinviato ad un momento migliore, preoccupandoci,
per il momento, della riostra spiritualità e della nostra pietà, o
dissolvendoci nelle lotte per la
giustizia e la pace, condotte da
altri.
Sembra una conclusione logica, aderente al vero, ed invece
è una mistificazione della nostra
realtà. Con la libertà che ci è donata noi riceviamo anche la possibilità di non dirigere più la
nostra attenzione in primo luogo
verso noi stessi, verso le illusioni di una nostra santità e perfezione, ma di dirigerla in primo
luogo verso Dio e verso ciò che
egli fa per noi: verso la nostra
liberazione, il nostro passaggio.
schiavitù !
La libertà per la quale Cristo
ci ha liberati. Paolo, nell’Epistola ai Galati, la presenta anche
come una liberazione dagli « elementi del mondo », i quali, secondo lui, sono degli esseri personali (Satana, i demoni, ecc.)
che dominano e guidano ii mondo nemico di Dio, presiedono al
corso della storia e vogliono
conservare ad ogni costo una
vita cui Cristo ha messo fine.
Questa immagine del mondo
è indubbiamente lontana da noi:
possiamo tranquillamente dire
che essa, così come è formulata,
non è più la nostra. Mà, ciò chiarito, poniamo subito una- questione: si è proprio certi che
non c’è nulla fuori di noi e della
nostra storia? che tutto, per
esempio , si spiega in termini di
lotta di classe o di psicanalisi?
che perciò "ogni esistenza, fuori
della nostra e della nostra storia, non è altro se non una proiezione di noi stessi, per esempio,
nella sfera della metafisica, una
tragica autoalienazione religiosa?
Sinceramente, a me non sembra che le cose stiano del tutto
così. Sono persuaso che, se si
guarda alla nostra vicenda, personale e collettiva, non dall’interno di schemi predeterminati,
ci si accorge (e certi fatti di quésti ultimi tempi lo mettono ben
in evidenza: si pensi, per esempio a quanto sta accadendo nel
Sud-Est asiatico, o alla crisi che
stiamo vivendo nel nostro mondo occidentale) che c’è una
« realtà del male » che trascende, oltrepassa gli individui e i
gruppi, che sfugge alle nostre
concatenazioni di cause ed effetti in un quadro esclusivamente
storico.
Questa realtà del male, al cui
dominio tutti soggiaciamo, noi
la chiamiamo anche tirannia del
peccato, della legge e della morte: da questa tirannia e dalla
forma di vita in cui concretamente si estrinseca, noi siamo
stati liberati.
L’azione decisiva di Dio è avvenuta e per essa noi abbiamo
parte al tempo nuovo inaugurato. da Gesù: il tempo della grazia, della fede, della libertà. Noi
riceviamo, così, la possibilità
concreta di orientare il nostro
sguardo in una direzione radicalmente diversa da quella lungo la
quale ci muoviamo abitualmente: di percorrere 'un cammino
che non conduca sempre a noi
stessi e alle nostre preoccupazioni, al nostro stato e allo stato
delle nostre comunità.
Non c’è assemblea di chiesa o
di circuito, non c’è conferenza
distrettuale o Convegno, in cui
non si parli delle nostre comunità, della loro pochezza, dei loro
legami con la cultura borghese,
della loro teologia da tale cultura inscindibile; e quindi della loro incapacità di dare risposte
adeguate alle questioni della fede e della predicazione oggi.
L’ossessione
della chiesa
È un discorso, per molti aspetti, corretto. Ma alle volte riflette
una ossessione che ormai circola anche nei nostri ambienti:
in Cristo, dalla condizione di
schiavi a quella di figli.
Con questo non vogliamo affatto proporre una nuova rnitologia: la fuga in una condizione
di vita che non trova riscontro
nella realtà giornaliera. Non vogliamo negare né abbiamo la pretesa di annullare la nostra umanità: questa resta in tutto il suo
spessore di miseria, di debolezza
e di morte.
La nostra giustizia e la nostra
libertà, che pure sono reali, noi
non le possediamo in proprio: esse sono nostre solo nella Parola
del Signore e nel suo ascolto. La
nostra vita, individuale e comunitaria, presa in sé, è davvero
sconsolante e stretta dentro strazianti impossibilità. Ma Dio (e
questa è l’altra faccia della nostra realtà che non va mai dimenticata) compie la sua forza
proprio in questa nostra abissale miseria e debolezza.
La parola biblica ci dice che
Dio opera sem.pre con fnateriale
scarso, di poco o alcun valore,
per cui la giustificazione è in
ultima analisi una sorta di creazione dal nulla, è sempre giustificazione di chi in sé non ha nulla per cui essere giustificato. La
parola biblica ci dice dunque
che l’azione di Dio ha sempre di
mira ciò che non vale, che Dio
sceglie le cose pazze del mondo,
le cose ignobili, le cose sprezzate, anzi le cose che non sono
(I Cor. 1: 27-28).
Ed allora, l’altra faccia della
nostra realtà, direi quella « strutturale », è che siamo uomini e
donne che, come dice il salmista,
Dio tiene « per la mano destra »
(Sai. 73): uomini, donne, comunità che, nella interezza della loro condizione di miseria, di pochezza, di cadute, di sfiducia, di
dubbi e di sconfitte, nel loro es
Anche all’esterno del tempio, ormai gremito, si segue la predicazione del culto inaugurale.
sere cose sprezzate, deboli, ignobili, che addirittura non sono,
appartengono a Dio. E questo è
certo, è vero, anche se lo è solo
nell’ambito della fede; anche se
è solo nella fede che noi apprendiamo di non doverci più tormentare sulla strada che ha per
traguardo obbligatorio l’acquisto
dell’approvazione di Dio; anche
se è solo nella fede che noi siamo raggiunti dal gioioso annuncio che Dio ci ama senza pretendere di trovare in noi un qualche aggancio per il suo amore.
Un discorso
astratto?
A questo punto, però, qualcuno può dire (e forse è anche tra
noi) che questo discorso sulla
libertà dalla tirannia del peccato, della legge e della morte, nonostante tutto, rimane astratto;
INAUGURATO A SAN PAOLO, BRASILE
“Il più grande tempio del mondo”
Più di 8000 persone tra cui il
pastore Philip Potter e numerose
altre personalità — informa il
bollettino del Consiglio Ecumenico SOEPI — hanno partecipato
il r luglio a San Paolo all’inaugurazione del nuovo tempio della
Chiesa evangelica pentecostale
del Brasile per il Cristo. Questo
edificio, che con i suoi diversi
uffici e sale di riunione copre
una superfìcie pari a quella di
un supermercato (circa 9000 niQ,
è ormai già conosciuto come
<dl più grande tempio protestante del mondo».
Iniziando il suo discorso con
il tradizionale saluto pentecostale « a paz de senhor » (la pace
del Signore), il segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, pastore Philip Potter,
ha sottolineato davanti aH’immenso uditarió che « questo luogo è consacrato oggi perché un
gran numero di persone possano ascoltare insieme la Parola
di Dio, celebrare la loro fede nella preghiera e nel canto, esser
battezzate nel nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo,
e questo nella gioia del Signore
e per la gloria di Dio ».
La prima pietra del nuovo tem
pio fu posata il 13 maggio 1962,
quando le chiese protestanti tradizionali del Brasile si opponevano o addirittura perseguitavano questa chiesa fondata appena
24 anni fa da Manoel de Hello.
De Hello, il penultimo di 25 figli
di una famiglia originaria del
nord-est, ima delle regioni più diseredate del Brasile, ha oggi 49
anni. Egli è all’origine di questa
giovane chiesa nella quale porta
il titolo di « missionario ». Questa
chiesa, come le altre quattro
chiese protestanti del Brasile, è
membro del Consiglio Ecumenico. Secondo le proprie stime,
questa chiesa conta già più membri di quanti ne raggruppino le
altre quattro chiese riunite. Hanoel de Hello è, tra l’altro, membro del Comitato centrale del
Consiglio Ecumènico.
Questa giovane chiesa del Brasile è caratterizzata dalla sua
apertura ecumenica e la numerosa folla presente all’inaugurazione non ha mancato di scandire
a più riprese « eu amo irmao catoliko» (amo il mio fratello cattolico), un atteggiamento che
contrasta singolarmente, secondo
gli osservatori, con quello delle
altre chiese storiche protestanti
del paese. La folla andò in delirio quando apparvero, tenendosi per mano, l’arcivescovo Paulo
Evaristo Arns e il pastore Hanoel de Hello. Ambedue sono conosciuti per aver preso ripetutamente posizione per il popolo
brasiliano e contro le violazioni
dei diritti dell’uomo. In particolare sei anni fa i due leaders religiosi avevano presentato, nel
corso di una conferenza stampa,
una edizione ecumenica della dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, quando si commemorava il suo 25“ anniversario. Tale
edizione ecumenica era stata prodotta dalla Commissione del servizio ecumenico, un organismo
di cui fanno parte tre delle chiese membro del CEC e inoltre la
Conferenza dei vescovi cattolici
del Brasile.
Si trattava del primo soggiorno in Brasile del capo délTesecutivo del Consiglio Ecumenico. Accompagnato dal direttore della
Commissione per missione ed
evangelizzazione del CEC, il pastore uruguayano Emilio Castro,
il segretario generale Philip
Potter ha preso contatto con
diversi responsabili delle Chiese del. Brasile.
potrebbe essere al massimo una
predica consolatoria per borghesi satolli che, avendo già tante libertà materiali, possono interessarsi di quelle cosiddette
spirituali. Viceversa questo discorso non avrebbe alcun senso:
— per quei nostri concittadini, per quei nostri amici e quei
nostri fratelli che sono liberi soltanto di abbandonare i loro luoghi di origine, di emigrare nelle
periferie delle grandi città o in
paesi stranieri; oppure di alzarsi la mattina all’alba, quando è
ancora buio, per raggiungere il
posto di lavoro, spesso in zone
lontane, e per tornare, la sera
tardi, sfiniti, desiderosi solo di
andare a dormire, e ricominciare il giorno dopo, in attesa del
sabato e della domenica in cui
a molti di essi è data finalmente
la libertà di riposarsi lavorando
nei campi o occupandosi del bestiame;
— per quei giovani (il cui numero cresce di anno in anno) ai
quali è offerta in pratica la bellissima libertà di vivere nell’ozio,
di stordirsi con le varie droghe,
di riempirsi di disperazione e di
odio, aspettando un primo impiego, che resta però costantemente all’orizzonte d-elle loro
giornate sempre uguali;
— per quelle tante donne, casalinghe e non che ricevono anch’esse la meravigliosa libertà di
realizzare finalmente se stesse
nello sfruttamento del lavoro nero, necessario per contribuire a
mandare avanti la famiglia...
Ed è vero; di fronte a queste
schiavitù così terribilmente visibili, può sembrare astratto, oppiante, parlare di libertà dalla
tirannia del peccato, della legge
e della morte: l’eterna proposta
di risolvere tutto neH’esperienza
di una libertà puramente interiore, distogliendo così gli uornini
dai loro compiti fondamentali, e
cioè dalla lotta per la loro liberazione dall’ ingiustizia e dall’oppressione; l’eternà proposta
di rimandare la libertà esteriore
ad una vita al di là di quella di
Oggi, la cui realizzazione è sempre cosa di domani o dopodomani.
La mia esperienza
mi dice...
L’obiezione appare conclusiva.
E tuttavia, la mia esperienza, ormai trentennale, di partecipazioSergio Aquilante
(Continua a pag. 2)
2
• V> i
3 agosto 1979
Sulla trasmissione " Protestantesimo del 9 luglio abbiamo ricevuto
due lettere (di cui la prima per’ conoscenza) non necessariamente intese
per la pubblicazione ma che riteniamo
utile presentare ai lettori.
A BOm CALDA
Caro Pastore Comba,
appena due righe, a botta calda.
Perché ostinarsi ad utilizzare la dizione « Protestantesimo » per diffondere fra tutti coforo che non ci conoscono (ed ai quali noi Protestanti gradiremmo farci conoscere) trasmissioni
quali quella di ieri sera che, senza alcun evangelico commento illuminante
che la legittimasse appunto sotto II titolo di « Protestantesimo », non poteva
che provocare un irrefrenabile senso di
disgusto, meglio, di schifo?
La laida rozzezza del linguaggio, la
sordida inquadratura di certi ambienti,
H brago rivoltante eruttante dalle bocche di certi « intervistati » mi spingono
(sarà forse una povera illusione!) ad
ipotizzare il dubbio che Lei non abbia « visionato » le riprese che ci sono
state ammannite. Che se invece l'ipotesi mi venisse da Lei smantellata, sarei costretto a valutare con estrema
severità il Suo senso di responsabilità.
E, nel caso specifico, le poche, oscure, contorte, imbarazzate parole del nostro ottirno Giorgio Tourn e del « pacioso » Zizì (!) Platone non hanno fatto
ché accrescere confusione e disorientamento.
In ogni nostro incontro non facciamo
che attirare la nostra reciproca attenzione sui fenomeni dei culti poco frequentati, della diminuzione dei membri
di chiesa, del calo delle contribuzioni:
pensa proprio ohe trasmissioni della
specie possano indurre a modificare lo
stato di cose di cui ci lagnarne?
Con profonda tristezza ma con grande
amore per la nostra Chiesa, continuo
ad ostinarmi a formulare con sincero
animo saluti fraterni.
Angelo Luzzani, Milano
PER GLI INIZIATI
Caro direttore.
Ho visto « Protestantesimo » in TV,
il 9 luglio. Penso che qualcuno si indignerà per questa puntata, dedicata ai
problema dei giovani: verrà messo sotto processo il contenuto (forse non
compreso) ed il linguaggio (molto sinistrese ed alcune parolacce gratuite).
A me il servizio è piaciuto nel messaggio — o meglio — per l'interrogativo che pone. Eppure — mettendomi nei
panni di chi non ha vissuto il '68 o visto/seguito il '77 — (possiamo stimarlo,
ottimisticamente, in un 50% di chi segue ■ Protestantesimo in TV ») — mi
chiedo: cosa mai ha compreso lo spettatore che vedeva girandolare sul teleschermo Mauro Rostagno e Zizzi Platone, Gianfranco Manfredi e Paolo Naso,
con la didascalia in calce di Giorgio
Tourn?
Giovanni fìibet e Gianna Urizio hanno
svolto un sondaggio ottimo, anche se
un po' monco (nessun accenno ai giovani ex^FGEi riassorbiti dall'ovile liberal-democratico; o, sul versante opposto, a chi è refrattario al fair-play
costituzionale ed è disponibile a logiche « alternative •). Hanno strafatto nel
contenuto (il filmato era zeppo di interviste) ma — a mio giudizio — peccato di snobismo nella forma, usando
un linguaggio, anzi un gergo accessibile
agli iniziati.
È rischioso usare codici cifrati, nel
linguaggio e nell'immagine, quando si
intende comunicare ad un pubblico di
massa il messaggio di Giorgio TOurn e
di Zizzi Platone. Sarebbe bene che i
bravi redattori di « Protestantesimo » ne
tenessero conto.
Molti saluti cordiali.
Danilo Venturi, Bologna
NON SONO
DEI ’’LAGER’
Caro Direttore,
Ho ascoltato II Culto per radio di domenica 15 luglio e desidero esprimere
il mio pensiero.
Seno stata perplessa nel sentire che
un Pastore va alla moda qualificando
« lager » le case di riposo. Forse non
sa cosa sonò i lager, e mi stupisco.
Ammetto che non tutte le Case di riposo sono sufficientemente confortevoli, ma non per questo sono dei lager.
Se ben vogliamo ammettere pure le
nostre abitazioni non sono perfettamente confortevoli.
Vorrei sapere se per il Pastore che
ha così definito le case di riposo è più
umano chiuderle anziché continuare a
mandare dei contributi, delie offerte,
per aiutare a renderle più confortevoli.
ampliarle per essere sufficientemente
disponibili alle numerose domande di
ammissione, lo spero per me, un domani ohe non fossi più autosufficiente,
ancora possano esistere 1e Case di riposo.
li dovere dei figli verso i genitori, di
amarli, di onorarli, non vien meno anche quando sono costretti a ricorrere
alle Case di riposo o altre istituzioni
adatte a sopperire alle necessità dell’anziano non più autosufficiente, o peggio ancora infermo, che i figli occupati
nel lavoro non potrebbero abbandonare per parecchie ore privandoli della
dovuta assistenza, isolati in un appartamento dove non potrebbero nemmeno
comunicare con il prossimo, a rischio
e pericolo di ogni cosa che potrebbe
capitare loro nella solitudine deila casa. Questo fe un problema che sempre
è esistito e sempre esisterà e bisogna singolarmente affrontarlo in rapporto al singolo caso familiare.
lo non mi sono sposata per dare il
meglio possibile ai miei cari Genitori
perché per molti anni le loro sofferenze richiedevano una notevole dedizione:
e quando purtroppo, prima per la Mamma e poi per il Babbo, ho dovuto ricorrere alia sistemazione fuori casa,
non mi sento colpevole di averli chiusi in un lager e nemmeno ghettizzati.
Grazie al Signore con le assistenze e
cure amorevoli, che in casa non potevano essere più sufficienti, hanno potuto continuare a vivere per parecchi
anni sorretti pure dal mio costante e
assiduo interessamento.
Onora tuo Padre e tua Madre, ha un
ampio raggio di manifestazioni, in primo luogo il comportamento dei figli in
onestà, rettitudine, amore cristiano,
mettendo in pratica la fede che i nostri
Genitori ci hanno insegnato. Frequentare le comuni adunanze o culti, servire
a Dio con pura coscienza come l’hanno servito I nostri Genitori. Non camminare secondo H consiglio degli empi
né seguire la via dei peccatori. Tutto
il nostro quotidiano comportamento può
essere ad onore o a disonore dei nostri Genitori siano essi viventi in casa
o fuori casa, o siano essi chiamati all’Eterno riposo.
Questo è quanto l’esperienza pratica della vita mi ha insegnato, sarò ben
lieta di leggere chi ha altro da dire o
controbattere.
Ringrazio e porgo fraterni saluti.
Eunice Biglione, Genova
ASSENTEISMO
Signor Direttore,
Ritengo che l'ECO farebbe bene a
promuovere un'indagine per verificare a
quali conclusioni sono pervenute le varie comunità nello studio deH'argomento « Vita della chiesa ».
Quest'idea mi è venuta partecipando
ad un culto domenicale al quale erano
presenti, su oltre 1:000 membri di chiesa, meno di 50 ed un membro di concistoro su 20.
Qualora la presente venga pubblicata, prego, una volta tanto, di omettere
la mia firma, perché non reputo la
mia comunità peggiore delle altre né
vorrei additarla come cattivo esemplò:
sitùazioni analoghe si riscontrano un
po' ovunque e l'assenteismo dalla vita
della chiesa è purtroppo generale e in
continuo aumento.
Ammiro comunque la fede di chi,
malgrado tutto, continua ad essere ottimista sui futuro della nostra chiesa.
Personalmente sono dell'awiso che la
situazione non muterà fintantoché ogni
iniziativa di rinnovamento spirituale continuerà ad essere sistematicamente
ostacolata. ‘
Cordiali saluti.
(segue la firma)
UN PO’ FIACCHI
Caro Direttore,
Ho letto nell'ultimo numero della Luce la risposta che Marcella Gay ha dato
al Signor Daniele Ghigo e ho avuto di
nuovo motivo di rammaricarmi.
Forse M fratello è stato troppo drastico nel suo comunicato, ma evidentemente aveva molto pazientato e per
lungo tempo atteso (come molti altri)
che il giornale si decidesse alfine a
conferire agli articoli pubblicati un carattere più pluralistico (ohimè, che brutta parola!) e non uni-partitico come
spesso andiamo constatando.
Mi sembra, poi, che gli argomenti
addottati dalla Gay per difendere la linea del giornale siano un po' fiacchi e
poco convincenti. Infatti, alla donìanda
« allora se noi del comitato di redazione fossimo tutti liberali o repubblicani
o di qualsiasi altro partito, lei rinnoverebbe l'abbonamento? » credo che il
Sig. Ghigo (che non conosco) risponderebbe « no » se il giornale presentasse lo stesso difetto di trattare gli arVlttoria Stocchetti, Genova
(continua a pag. 10)
(segue da pag. 1)
ne alle battaglie per la soluzione
dei dolorosi e drammatici problemi cui si è appena fatto cenno, mi dice che la contrapposizione tra libertà spirituali e libertà materiali, tra libertà interiore e libertà esteriore, tra privilegiare runa o l’altra, è falsa e,
in definitiva, funzionale alla volontà di non mutare nulla: in
particolare nella nostra situazione, in cui è mancata ima rivoluzione spirituale (o se si vuole
culturale), non è possibile la libertà dalle catene della disoccupazione, della miseria, dello
sfruttamento, se non si persegue
contemporaneamente la libertà
dalle catene culturali e religiose,
dunque la libertà delle coscienze.
Mi dice, la mia esperienza, che
la predicazione della libertà dalla tirannia del peccato, della legge e della morte, non solo non è
in contrasto con l’impegno per
la rimozione del nostri tanti
squilibri sociali, economici e
financo territoriali (si può benissimo credere in questa tirannia
e nell’azione di Dio che ce ne libera, e nello stesso tempo lottare per trasformare e rinnovare
nel profondo questa nostra so- .
cietà), ma anche che è fondamentale proprio in vista della liberazione da quegli squilibri e
da quelle schiavitù.
Insomma, fratelli, io ho la profonda convinzione che Dio ha
voluto e vuole per sé. il nostro
popolo. Fin da quando la sua
chiesa era solo una piccolissima
minoranza egli, tramite il suo
apostolo, ha fatto risuonare alTinterno di questo popolo, la
buona notizia che « il giusto vivrà per fede» (Rom. 1: 17).
« Abbiamo corretto
l’opera tua »
Ma quelli che col tempo si sono costituiti pastori, signori e
guide del popolo, hanno ritenuto di dover modificare queste notizie, e il disegno stesso di Dio.
Ci torna alla memoria la meravigliosa pagina de « I fratelli Karamazov » in cui Dostoievskij
descrive rincontro del Grande
Inquisitore di Siviglia con Gesù,
rinchiuso in carcere perché, tornato, aveva risuscitato una bambina.
« Tu — dice rinquisitore —
non volesti asservire l’uomo col
miracolo, e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio.
Avevi sete di un amore libero, e
non di servili entusiasmi dello,
schiavo davanti alla potenza che
l’ha sempre riempito di terrore...
Noi avevamo il diritto di insegnare agli uomini che non è la
libera decisione dei loro cuori
quello che importa, né l’amore,
ma un mistero, a cui essi debbono ciecamente inchinarsi anche
contro la loro coscienza... Abbiamo corretto l’opera tua, e
l’abbiamo fondata sul miracolo,
sul mistero, sull’autorità... Sappi
che anch’io benedicevo la libertà
di cui letificasti gli uomini... Ma
rni ricredetti e non volli più servire alla causa della follia... Ti
brucerò per essere venuto a disturbarci ».
Le risultanze di questa correzióne della buona notizia di Dio,
dell’opera di Gesù, sono state
contrabbandate e imposte al nostro popolo come verità. È stato
per esempio insegnato a questo
popolo;
— che nella chiesa, in quanto
essa partecipa all’essenza del Cristo esaltato, di cui è la proiezione terrena, si continua l’incarnazione, per cui la chiesa tiene il
luogo di Cristo sulla terra, ed
ha diritto alla « gloria », al rispetto e all’amore da parte di tutti;
— che della chiesa, dei suoi
istituti, dei suoi consigli e dei
suoi precetti tutti hanno bisogno,
perché è nel loro ambito che si
partecipa al processo deila propria redenzione;
— che all’interno delle chiese
ci sono degli uomini « speciali »
che hanno la facoltà di mettere
l’uomo a contatto con il mistero
di Dio, ecc.
Il grande inganno
Ed ecco il grande inganno, la
grande mistificazione: si afferma
che l’uomo ha la libertà di concorrere alla sua salvezza mediante le sue opere, seguendo le indicazioni della chiesa; ma questo ritorno alle opere, invece di
dare libertà riporta alla schiavitù. all’ osservanza obbligatoria
dell’insieme dei riti e delle nor
Non c'è vera
me elaborati dalla tradizione ecclesiastica (l’Inquisitore di Siviglia per lo meno fu sincero!).
La verità che viene spacciata
come una celebrazione della libertà delTuomo (secondo questo insegnamento l’uomo infatti
non è libero se non può operare
per la redenzione), non è altro
che una celebrazione delle opere, la quale conduce ad un rispetto puramente esteriore e
spesso bugiardo della legge indicata come volontà di Dio, e delle
sue esigenze.
. Scrisse Lutero ad Erasmo:
« nessuno può da sé migliorare
la sua vita, e quel miglioramento
della vita di cui tu parli, che avviene senza spirito né fede, il
nostro. Signore Iddio non lo domanda perché produce soltanto
ipocriti » (De Servo Arbitrio).
In pratica, con questo ritorno
alle opere si apre im grosso spazio all’ipocrisia, e la responsabilità deU’uomo, che si dice di voler risvegliare e rafforzare, è invece attenuata e diluita mediante « esercizi ritualistici di interpretazione della legge e di dispensazioni assolutorie » (A. Negri, Protestantesimo e Scolastica
controriformistica, in Storia antologica dei problemi filosofici.
Morale, voi. II, Sansoni).
E quest’uomo — ci riferiamo
ad un uomo che conosciamo
molto bene; Titaliano — viene
estromesso proprio da quel processo della sua salvazione, dentro cui, secondo l’insegnamento
deUe sue guide religiose, egli per
il suo libero arbitrio, dovrebbe
essere.
L’unico risultato pratico di
questo ritorno alle of>ere, è che
l’uomo (l’italiano) viene privato
della libertà che l’Evangelo dona
(la libertà non può vivere nella
costrizione delle opere), e relegato alla accettazione cieca di ciò
che altri decidono per lui, e ai
quali soltanto spetta la direzione della sua coscienza (ciò vale
anche quando questi « altri » decidono per lui, e ai quali soltanto spetta la direzione della sua
coscienza (ciò vale anche quando questi « altri » decidono per
il « rinnovamento » o la « rivoluzione »).
La conseguenza inevitabile è
che questo ritorno alle opere,
che avrebbe dovuto accendere, scatenare un impulso irresistibile all’azione (alla buona
azione), finisce per costruire nell’uomo un atteggiamento di sostanziale passività, di sostanziale disinteresse, perché quest’uomo si abitua solo ad ubbidire,
a delegare ad altri le decisioni,
a stare ai margini, a pensare soltanto alla salvezza dell’anima
propria, e quindi soltanto a se
stesso.
Stando così le cose non c'è da
stupirsi se tanti nostri concittadini non si sentono responsabili
della, cosa pubblica, verso cui
provano solo disprezzo o indifferenza; se tanti nostri concittadini, a destra e a sinistra, non
hanno alcun senso dello Stato.
Insomma non c’è da meravigliarsi se dopo oltre cento anni dall’unità, non siamo diventati ancora nazione.
Di questo non c’è da stupirsi
né da meravigliarsi (nessuno faccia il finto tonto), perché è praticamente impossibile che possa
BARI
La comunità di Bari ha partecipato all’incontro ecumenico,
del 24 giugno, fra Avventisti, Ortodossi e Cattolici. Segnaliamo
l’interessante studio tenuto da
Padre LeonaTdis su: « Il Regno
di Dio e i giovani ». Dopo il culto, presieduto dal pastore Castiglione, il Vescovo Margiassi ha
rivolto un appello ai giovani a
seguire il Cristo («non deve venire meno .nei discepoli l’entusiasmo e il rischio di tanta chiamata »). Il culto nella chiesa
valdese si è svolto in un clima
di fraternità, allietato da inni
scelti dal nostro Innario Evangelico. In chiusura è stato cantato un inno sul ritorno di Cristo preparato dalle suore dell’Istituto Borea.
VENEZIA-MESTRE
Se nelTinsieme la comunità si
presenta abbastanza attiva, analizzandoci secondo il questionario proposto dal Consiglio di
Circuito abbiamoriconosciuto
che, benché aU’interno esista una
buona unità e non vi siano gravi disaccordi fra membri di chiesa, il lavoro si svolge appunto
soprattutto all’interno.
Tuttavia si sono svolti ultimamente alcuni incontri rivolti all’esterno, e possibili di sviluppi.
Ai primi di maggio, dietro invito
della scuola media A. Gramsci
di Campalto (una frazione della
terraferma veneziana), l’anziano
Guido Colonna Romano ha tenuto agli studenti una lezione sulla
Riforma, che è stata seguita con
molta attenzione. Al termine i
ragazzi, che si erano ben preparati sull’argomento arrivando
perfino a compiere su un cartellone le 95 tesi di Lutero, hanno
rivolto molte domande. È stata
espressa la speranza che queste
lezioni possano continuare.
Il 27 maggio si è svolto a Mestre il 3° convegno dei gruppi
ecumenici del Tiiveneto. Don Olivo Bolzon, di Castelfranco Vene
to, ha parlato sul tema « Come
camminare nell’ecumenismo nella realtà interregionale veneta »;
là prof.ssa Florestana Sfredda,
valdese, di Rovereto, ha tenuto
la meditazione biblica sul testo
di Giovanni 17: 21, « che tutti
siano uno ». Si è avvertito fra i
convenuti un forte senso comunitario.
Il 25 maggio abbiamo avuto il
piacere di incontrare a Mestre
il pastore Nestor Rostan e sua
moglie, provenienti dall’Uruguay,
che ci hanno parlato della realtà
e del lavoro della Chiesa Valdese
nel loro paese, illustrandoli con
numerose diapositive. Per l’occasione si è riunito un gruppo abbastanza nutrito da Mestre e da
Venezia, e, cosa molto piacevole,
un gruppo che comprendeva tutte le età, dai dieci anni agli anziani.
Al Culto del 24 giugno a Venezia ha partecipato un nutrito
gruppo di donne ecumenico e internazionale, riunito per un incontro presso la casa Cardinal
Piazza.
Nuovo numero
telefonico
Per cambiamento apportato dalla
Sip comunichiamo il nuovo numero
della Chiesa Evangelica Valdese di
Messina: (090) 40.098.
“La scuola
domenicale”
« La Riforma e il suo contesto
storico » di Ugo Gastaldi, « Lo
sviluppo psicologico del bambino » e « Problemi e perplessità
circa l’Anno internazionale del
bambino » di Rita Gay, « Cosa
sono i centri di addestrarriento
ai Metodi di. educazione attiva »
di Hilda Girardet, questi sono i
principali articoli contenuti nel
numero 1 di luglio della Rivista
« La Scuola domenicale » uscita
in questi giorni.
Oltre ampie note bibliche e didattiche sulla prima parte della
sequenza « Pietro e Paolo » e le
spiegazioni sull’uso del materiale didattico per bambini e ragazzi, segnaliamo le consuete rubriche: « Problemascuola » le recensioni per adulti e bambini oltre due schede di canto.
Per maggiori dettagli o per abbonarsi, rivolgersi a una delle librerie « Claudiana » di Milano,
Torino, Torre Pellice o direttamente presso il Servizio Istruzione Educazione, Via della Signora 6, Milano cap. 20122.
3
3 agosto 1979
liberazione senza l'Evangelo
essere capace di partecipazione,
di senso dello Stato,
— chi per secoli è stato abituato a non avere alcuna funzione
decisionale neH'organismo comunitario (un nostro contemporaneo, non teologo né protestante,
Antonio Gramsci, ha detto che il
« lavorio secolare del Centro Vaticano per annientare ogni traccia di democrazia interna e di
intervento dei fedeli nell'attività
religiosa è pienamente riuscito
ed è divenuto una seconda natura del fedele » (Note sul Macchiavelli),
— chi è stato impedito di accedere al sacerdozio universale dei
credenti, e rinchiuso — come s’è
detto — nella ricerca esclusiva
della salvezza della propria anima,
— chi è stato educato (e questa educazione è diventata per
lui una abitudine di vita) a collocare Dio nella lontananza dei
cieli e ad avere con lui un rapporto che passa attraverso tutta
una serie di mediazioni,
È impossibile che un uomo
così costruito possa aprirsi alla
società, allo Stato, a non sprecare le poche risorse disponibili,
ad intendere il lavoro come un
servizio da rendere ai propri simili, ad esercitare la sua critica
sugli avvenimenti e le cose, e
così via.
C'è dunque, all’origine del modo di vivere che è di tanta parte
del nostro popolo, anche una religiosità fatta di mistero, di autorità gerarchica, di mediazioni
ecc.: questa religiosità giuoca
anch’essa un ruolo, peraltro non
di secondo piano, nel processo di
formazione dei comportamenti,
nella determinazione delle scelte,
anche politiche: un ruolo che è
funzionale al mantenimento dell’attuale stato di cose.
Un nodo
da sciogliere
E sia ben chiaro: questa religiosità non può essere considerata come il puro e semplice prodotto di strutture arretrate, e
cose simili (cambiamo queste e
quella sparirà automaticamente): è viceversa essa stessa un
nodo da sciogliere. Come?
Non intendiamo assolutamente proporre un ritorno all’anticlericalismo vecchia maniera:
questo si è rivelato e si rivela
sterile, perché passa sopra i problemi reali: nel migliore dei casi si ispira ad un razionalismo
che non tiene conto dei sentimenti profondi delle nostre popolazioni,
A nostro avviso, quelle componenti religiose, che sono costitutive ancb’esse di un dato modo
di vivere, e oggettivamente frenanti, vanno affrontate e combattute sul terreno che è loro
proprio, e cioè sul terreno « religioso » (se si vuole, « teologico »), Dunque, per mezzo della
predicazione dell'Evangelo della
libertà, perché è solo questo Evangelo che, se accettato fino in
fondo, può sconfiggere quelle
componenti, e quindi liberare
l’uomo dalla mistificazione della
sua realtà, e dalla sua condizione di minorità che le stesse producono.
Che la nostra attuale situazione sia caratterizzata da una profonda crisi materiale e spirituale è da tutti riconosciuto, anche
dagli ottimisti di mestiere. Ma
le analisi (quelle serie) che vengono condotte per individuare le
cause di questa crisi, é le soluzioni (quelle serie) che vengono
elaborate, rischiano di battere
l’aria, di essere pura esercitazione teorica, se prescindono dalla
necessità e dall’urgenza di costruire «uomini nuovi» (italiani nuovi), capaci di vivere veramente in modo nuovo.
La costruzione di questi « uomini nuovi » ( di questi italiani
nuovi), nella nostra situazione, è
possibile solo nell’esperienza della libertà dalla tirannia del peccato,' della legge e della morte: ogni altra via, per lo meno fino ad oggi, si è rivelata
fallimentare. Annunciare questa
libertà e chiamare gli uomini ad
accettarla, non è allora un discorso colmo di noiosi ed inutili
teologumeni,
A questo proposito torna a
noi, in tutta la sua attualità, in
tutta la sua freschezza, un insegnamento che ci ha lasciato Gio
vanni Miegge, proprio nel suo
Commentario aH’Epistola ai Galati:
« l’uomo che ha gustato sul
piano della fede,,, la sua nuova
dignità di figlio, di fratello, di
eguale, di libero sarà necessariamente tale in tutti i suoi rapporti della sua esistenza attiva,
e non potrà eludere il dovere di
orientare la società civile, di cui
è membro resportsabile, nella direzione e secondo l’analogia di
quei valori »,
Credere non significa fermarsi
ad una contemplazione estetica
di Dio e della sua azione; la nostra salvezza non è cosa che una
volta creduta va da sé: noi dob- _
biamo perseverare in essa e conservarla contro le insidie del passato, che non riusciamo a tener
fuori né daH’ambito della nostra
vita personale, né da quello della vita comunitaria, ma, anzi è
sempre in agguato, e, diremmo,
« gira attorno a guisa di leon
ruggente » (I Pt, 5: 8),
Credere non significa starsene
con le mani in mano: tutti noi
siamo .impegnati a lottare giornalmente per restare nella libertà che ci è donata, perché forte è
il fascino delle pignatte di carne
nel tempo della servitù.
Lottare non esclusivamente nel
campo della interiorità, con l’obiettivo di assaggiare di nascosto, per non condividerla con gli
altri, l’opera di amore, di libertà,
di verità e di pace, cui in Cristo
abbiamo parte; né esclusivamente all’interno di una comunità
con l’obiettivo di farne una
« oasi », distaccata dalla realtà,
nella illusione di realizzarvi una
vita che non sia quella di fuori,
quella delle tristezze e delle lacrime.
No, ai discepoli non fu permesso di alzare delle tende per
continuare a vivere egoisticamente l’esperienza della trasfigurazione nella solitudine della cima dell’alto monte.
Là dove la fede non è vissuta
come « estasi », o come una vicenda puramente interiore; là
dove la fede (e qui siamo pienamente dentro la nostra situazione italiana) non è più una abitudine, una adesione a delle norme e una partecipazione a dei
riti ma diventa una convinzione
profonda e viene vissuta come
fiducia totale in Dio, in un rapporto diretto con lui, é nella consapevolezza di appartenergli, si
produce la libertà della coscienza, quindi un suo risveglio, e in
conseguenza un risveglio della
responsabilità, che non può non
tradursi anche in responsabilità
civile, e l’uomo diventa, come si
usa dire, un soggetto attivo di
storia.
La libertà
della coscienza
L’uomo che vive nella fede la
sua libertà dalla tirannia del peccato, della legge e della morte,
non può non manifestarla nelle
situazioni reali in cui egli è. E
questa libertà:
— è la libertà dalla maledizione sotto la quale inevitabilmente
cadiamo (queste cose le dobbiamo dire), sia per la nostra ribellione e disubbidienza, sia per la
decisione di Dio di scartare ogni
pretesa di giustificazione mediante le opere; è conseguentemente la libertà:
— da una esistenza che pone
se stessa come unica divinità da
adorare, e che, pertanto, staccata da Dio e dalla vita, si conclude inevitabilmente nella morte;
—dalla volontà di vivere esclusivamente per se stessi, di essere
i soli padroni e i costruttori autonomi del proprio presente e del
proprio avvenire.
Dunque, in questa libertà sperimentata nella fede, l’uomo scopre — come già ho avuto modo
di dire in altra occasione — di
non essere e di non'poter essere
un piccolo mondo autosufficiente, in una posizione perennemente antitetica o al massimo neutrale nei confronti degli altri,
considerati anch’essi come piccoli mondi a sé stanti, nemici o
estranei, da ricambiare con
eguale inimicizia o indifferenza.
Matura, quest’uomo che viene
aggredito dalla libertà per la
quale Cristo libera, la consapevolezza di stare assieme all’altro,
di realizzare la sua umanità solo
aprendosi all’altro in un rapporto di fraternità; esce fuori dalla
paura per se stesso, dalla cura
esclusiva dei suoi propri interessi: acquisisce la piena disponibilità per le relazioni attive
con gli altri, la capacità di lottare per la libertà degli altri, di costruire e trasformare a livello
non solo dei rapporti interpersonali, ma delle forme stesse della
vita associata, senza lasciarsi
inebriare dal successo quando
capita di raggiungerlo, né piegarere dall’insuccesso con il quale
più frequentemente ci si imbatte.
Libertà per servire
Il prossimo
Insomma, questa libertà che
Dio dona nel suo Evangelo, che
si gusta nella fede, è la libertà
per la quale l’intenzione dell’uomo — scrive Lutero — è diretta
« soltanto a servire e ad essere
utile agli altri... Paolo ha chiaramente posto la vita cristiana in
questo: che tutte .le opere siano
rivolte al bene del prossimo, poiché ognuno ha a sufficienza per
se stesso nella fede, e gli restano
tutte le opere e la vita per servire con esse, per libero amore, il
suo prossimo » (La libertà del
cristiano); per creare, diremmo
noi, le condizioni per le quali
questo amore non sia semplicemente un sentimento, sia pure
nobile, né semplicemente una dichiarazione, sia pure entusiasmante, ma venga manifestato
in segni concreti.
Emerge allora dalla nostra situazione, la quale — ripeto —
resta sostanzialmente religiosa,
un chiaro dato di fatto: e cioè
che non sernbra probabile costruire un italiano nuovo, capace di un nuovo modo di vivere,
se non lo si libera anche da una
certa idea di Dio, nella cui soggezione egli viene tenuto, quella
idea impastata con i valori di autorità, di gerarchia, di mediazione; se non lo si porta ad un rapporto diverso con Dio, fondato
sulla grazia soltanto, vissuto in
un libero atto di ubbidienza e in
un amore libero.
Non so se negli alti luoghi della religione egemone (nella silenziosa contemplazione aH’interno
del chiostro, o nella riflessione
delle severe aule accademiche) si
sia ipotizzato e magari anche realizzato un aggiornamento o un
mutamento nella concezione dell’azione di Dio, della vita della
chiesa, eoe., cui è stato abituato,
nel corso dei secoli, il nostro popolo. Né so se in certi luoghi
(quelli chiamati « laici ») della
classe dominante, questa religiosità sia stata veramente rifiutata
in blocco, preferendole, secondo
i risultati di certe analisi, la cosiddetta secolarizzazione. Non lo
so perché in quei luoghi non sono di casa, né ci tengo ad esserlo. Sono però di casa presso la
« povera gente », e conosco abbastanza i sentimenti religiosi e
la visione di Dio e della fede che
vivono in larghi strati popolari,
anche quando si dichiarano indifferenti o increduli.
Per esempio, qualche settimana fa, ad Ecumene, durante il
Campo Cadetti, dopo un culto
domenicale, ho potuto discutere con dei genitori in visita (non
erano protestanti): anche se dicevano di essersi allontanati
dalla chiesa e dai suoi riti, si
muovevano nello schema tipico
delle opere e della ricompensa,
e questo era l’unico modo in
cui riuscivano a vedere Dio e la
vita della fede: dai loro discorsi venivano fuori tutte le tradizionali servitù religiose.
Molti dicono che questa religiosità è una realtà con la quale anche noi dobbiamo fare i
conti, pena la perdita di contatto con l’ambiente circostante. È vero! con questa religiosità si deve fare i conti: bisogna però decidere come, questi
conti, li si deve fare.
La via di Paolo
Pàolo a Filippi incontra una
donna che aveva uno spirito indovino: un prodotto tipico della ideologia religiosa egemone
in quella specifica società, la
quale condizionava questa donna nella coscienza, e ne determinava il modo di essere, assegnandole un ruolo (quello di indovina) che era all’origine del
lo sfruttamento esercitato su di
lei dai suoi padroni che, per
l’appunto, traevano guadagni
dai suoi oracoli.
Questa donna, questa « indovina », riconosce in Paolo, e in
Sila che lo accompagnava, dei
messaggeri di Dio, e lo dice chiaramente ai suoi concittadini.
Questo avrebbe potuto essere
di notevole aiuto per Paolo:
avrebbe potuto contribuire a
creare il consenso intorno alla
azione evangelistica che lui e
Sila erano andati a svolgere a
Filippi. Paolo però lo rifiuta:
non accetta alcun compromesso con la religiosità e la « cultura » dei filippesi che gli si presentano tramite questa indovina.
L’Evangelo che egli porta persegue un obiettivo di radicale
rinnovamento: non consente che
possa continuare a sussistere
una religiosità e una « cultura »
così chiaramente funzionali ad
un sistema che permette lo
sfruttamento della creatura umana da parte dei suoi simili, ad
una forma di vita così chiaramente diretta dagli « elementi
del mondo ». Con questa religiosità e con chiunque se ne
serve per i propri fini Paolo sa
che bisogna fare i conti, ma
non per raggiungerci un accordo, dando loro in fondo una patente di validità, bensì per rimuoverli, cambiarli nel profondo. Alla donna pertanto predica l’Evangelo, senza compromessi, e questo EVangelo interviene e la libera.
Fatte tutte le distinzioni tra
la situazione di Paolo a Filippi
e la nostra situazione nell’Italia
di oggi, a me sembra che la
strada seguita da Paolo sia sostanzialmente la strada che dobbiamo seguire anche noi.
Non vogliamo rinchiuderci in
un ghetto, non siamo una setta
chiusa in se stessa, che vive i
suoi rapporti con i problemi
dell'esterno partendo sempre da
sé, dalla preoccupazione per le
sue purezze dottrinali, spirituali e morali: noi siamo un movimento, un insieme di chiese di
Gesù che sono profondamente
radicate nella realtà italiana, e
che, mantenendo intatta la loro
identità, intendono portare un
contributo loro proprio per la
soluzione positiva delle gravi
questioni che travagliano il paese, e peraltro il mondo intero.
Noi perciò poniamo senza indugi l’essenzialità del nostro
ruolo per la edificazione di una
Italia diversa dall’attuale, perché, sia pure nei nostri limiti e
nella relatività di ogni azione
umana, noi, per l’elezione di
Dio, e per il fatto di essere storicamente il luogo della giustificazione per la sola grazia mediante la fede, della Sola Scriptura e del sacerdozio universale, siamo i portatori di una possibilità concreta di trasformazione nel profondo per il rinnovamento comune.
Non certo la possibilità di
condurre e vincere, secondo
una nostra ricetta, le battaglie
politiche e quelle per un nuovo
meccanismo di produzione (ciò
non è di nostra' competenza né
rientra nei compiti delle chiese
di Gesù); neanche la possibilità
di fare la « rivoluzione » (la
« teologia della rivoluzione »
può essere tutt’al più uno stimolo, mai un programma o uno
strumento di analisi e di lotta),
ma la possibilità di cambiare
realmente modo di vivere.
Il cammino
della vita nuova
E non certo attraverso una riproposizione meccanica della Riforma del ’500 (chi pensa che
sia questo ciò che vogliamo non
ha proprio capito come ragioniamo noi protestanti), ma attraverso una rigorosa predicazione dell’Evangelo, nel quadro
della linea riscoperta dalla Riforma, cui comunque restiamo
strettamente ccllegati.
Proprio nella nostra situazione in cui si muovono con una
certa forza tendenze vecchie ma
di cui non è ancora possibile definire con precisione il vestito
che indossano oggi (penso per
esempio alla vena di « radicalismo », o alla chiusura nel « privato » con l’inevitabile sfiducia
verso il « politico », o al tentativo di corporativizzare il movimento operaio: a questo mi
sembra che porti alla fine la linea di « autonomia », ecc. ecc.);
in una situazione in cui (come
s’è detto) è difficile per tutti
proiettare i problemi reali in
uno schema di sviluppo diverso
e individuare soluzioni abbastanza chiare per ottenere un
reale mutamento a livello politico (l’esperienza di questi ultimi anni, e di questi ultimissimi
giorni lo dimostra ampiamente);
proprio in questa situazione
noi diciamo con estrema chiarezza che solo nell’accettazione
dell’Evangelo della libertà, solo
in un sincero ravvedimento, è
possibile imboccare il cammino
della novità di vita, di un nuovo modo di essere, di morire al
vecchio e nascere al nuovo, per
tentare con serietà la costruzione di una Italia,
dove Dio sia finalmente adorato in spirito e verità, e sia rispettato il diritto « dell’orfano
e della vedova »;
dove siano lasciati liberi gli
oppressi e sia infranto ogni sorta di giogo, e ciascuno divida il
suo pane con chi ha fame, e non
si nasconda a colui che è carne
della sua carne;
dove non vi sia più bimbo
nato per pochi giorni né vecchio
che non compia con serenità il
numero dei suoi anni;
dove si costruiscano case e
le si abiti, si piantino vigne e
se ne mangi il frutto, e nessuno
costruisca perché un altro abiti, o piànti perché un altro mangi;
dove non ci si affatichi invano e non si abbiano più figliuoli per vederli morire ad un
tratto; (dai capitoli'58 e 65 di
Isaia).
Tutto questo lo diciamo nel
pieno rispetto delle elaborazioni e delle posizioni altrui: al di
fuori di ogni tentazione « integrista », di ogni volontà di imporre una « etichetta cristiana »
a tutta la realtà, o di proporre,
come l’unica valida, una soluzione « cristiana » della crisi nel
suo spessore economico e politico (le superiori citazioni di
Isaia sono solo «descrittive »).
Ma lo diciamo, e lo ripetiamo
senza stancarci, lo predichiamo
sui tetti, a tempo e fuori di tempo: oggi più che mai è necessario e urgente che si cambi il
nostro modo di vivere.
Non vogliamo che ci si dica
domani: « avevate ragione ». 'Vogliamo che ci si ascolti oggi, prima che sia troppo tardi, prima
che succeda l’irreparabile.
Il compito
delle nostre chiese
Si predica che oggi c’è un ritorno al « religioso »: noi diciamo che oggi si deve piuttosto
tornare a Dio e alla fedeltà al
suo patto 'di grazia e di amore.
Qggi si parla e si scrive fin
troppo di Gesù: noi diciamo che
oggi si lasci piuttosto parlare
Gesù, ci si metta davanti al suo
Evangelo e lo si ascolti seriamente, senza idee preconcette,
così da sottoporsi all’azione dello Spirito, e accedere alla libertà dei figli di Dio.
Dio vuole riportare il nostro
popolo a questa libertà. Non è
possibile che il sangue dei martiri della fede che ha bagnato le
terre della nostra penisola, quello che con tanta abbondanza è
stato sparso in queste vallate,
sia stato invano, per un capriccio della storia. Riesco a vederlo
solo in un disegno di liberazione
del nostro pòpolo dalle infedeltà
a Dio, dalla schiavità delle opere,
delle mediazioni, dei riti, sotto
cui lo si è portato.
È il disegno nel quale rientrano, a mio avviso, anche gli avvenimenti che hanno portato alla nascita delle nostre chiese:
Dio si sceglie degli uomini e delle donne, i nostri padri e noi,
per annunciare al nostro popolo,
in parole e fatti, quella libertà
che, secondo Lutero, « fa libero
il cuore da tutti i peccati, le leggi, i comandamenti ».
È qui il nostro compito storico, ed è qui che trova il suo senso ultimo anche Tintegrazione
delle chiese valdesi e metodiste
di cui celebriamo il primo Sinodo unico.
Ringraziato sia il nostro Dio e
Padre che, con il dono di questo
compito, strappa ancora una
volta la nostra vita dalla vanità
e dalla tristezza del nostro mondo: Egli è colui che ci riempie di
coraggio, dando forza all’anima
nostra (Salmo 138), e a lui solo
siano l’onore e la gloria. Amen!
Sergio Aquilante
4
3 agosto 1979
testimoni protestanti
In questa serie di ritratti compaiono personaggi noti e meno noti, di un passato recente
o più remoto. La loro caratteristica comune è di essere stati dei credenti protestanti. Che
cosa ha significato per loro essere protestanti e in che modo la fede ha inciso nella loro
particolare attività è quanto intendiamo chiederci per poter ricevere la loro testimonianza.
Ferdinando Geremia
Antifascista, non violento, aderì al metodismo dopo una lunga crisi
di fede maturata a vent’anni nel confino lucano - Ricordato a Cartura
Beati
i perseguitati
« Ferdinando Geremia è proposto per l’assegnazione a confino di polizia poiché la sua
azione ed attività contrapposta
agli interessi nazionali, si è resa pericolosa per l’ordine pubblico». Accompagnato dalla laconica ordinanza del Prefetto,
nel 1926, a soli vent’anni. Geremia giunse così a Montemurro,
in Lucania, dal suo paesino della Bassa Padovana. Per farsi
un’idea di cosa poteva essere il
confino lucano è sufficiente andarsi a leggere il « Cristo si è
fermato a Eboli» di Carlo Levi. Un anno di confino grazie
alla probabile soffiata di un delatore di Cartura (Padova) sulle idee repubblicane e chiaramente pacifiste del Geremia.
Oggi, dopo un lungo silenzio,
a Cartura, dove Geremia visse
la sua troppo breve esistenza di
38 anni lo hanno giustamente ricordato come uno dei più interessanti esponenti del Partito
d’Azione e come un teorico della non-violenza, quando nessuno
osava parlare di queste cose. Ma
non è facile parlare di quest’uomo anche perché sinora è mancato quakjuno che ci desse di
lui un profilo organico.
Dai suoi scritti, per lo più
brevi ed acuti, emerge una personalità forte, ispirata agli ideali mazziniani con un chiaro riferimento evangelico particolarmente attento al tema della libertà e della non violenza (’il
disarmo dei cuori’). Sul finire
degli anni ’20 fu studente alla
Facoltà Valdese di Teologia;
collaborò, inoltre, con diversi
scritti alle riviste ’Protestantesimo’ e ’Gioventù Cristiana’. Su
quest’ultima rivista ci ha colpito particolarmente una pagina
di Geremia, scritta a pochi mesi dall’avvento di Hitler al potere, rappresentativa delle sue
idee. Con sconcertante attualità
egli scrive ; « La pace è un ideale cristiano. Più e meglio; è un
preciso comandamento di Dio.
’Questo è il mio comandamento; che vi amiate gli uni e gli
altri come io ho amato voi’
(Gv. 15,12) — dice il Signore.
Né si obietti che il passo giovanneo parla dell’amore che i
cristiani — ed essi soli — vicendevolmente si devono; perché
l’amore di Dio abbraccia buoni
e malvagi, giusti ed ingiusti; il
mondo tutto, come ' il sole che
l’intero universo illumina (Mt.
5,45). E l’amore che l’uomo deve a Dio coincide ’tout court’ e
senza restrizioni col servizio del
prossimo (Mt. 22,34 sgg.). Questo è essenziale ritenersi; che
siamo di fronte alla volontà di
Dio. E se cosi: è le chiese hanno
il preciso compito di richiamare gli uomini all’osservanza dèi
suoi precetti e di protestare
profeticamente contro la loro
trasgressione. Da ciò deriva che
esse devono lavorare a realizzare la pace, concretamente, praticamente, in tutti i modi possibili servendosi di tutti i possibili strumenti; anche di quelli politici ».
Alla televisione
PROTESTANTESIMO
Causa cambiamenti nella programmazione della rete 2, le trasmissioni di
Protestantesimo a partire da agosto
siitteranno di una settimana. Le prossime date perciò saranno le seguenti:
13.8 (Sinodo): 27.8 (canti deli'Esercito
della Salvezza); 10.9; 24.9.
PRESENCE PROTESTANTE
Il programma curato dalla Federazione Protestante Francese e trasmesso
ogni domenica mattina alle ore 10 sul
primo canale della Televisione francese,
trasmetterà domenica 19 agosto « Histoire des Eglises Vaudoises d'Italie en
chansons », il film preparato dal nostro
Servizio Stampa Radio Televisione con
la collaborazione delle corali delle Valli valdesi.
Fu proprio nell’anno di confino a Montemurro di Potenza
che « don Ferdinà » — come lo
chiamavano gli abitanti del villaggio che lo avevano immediatamente accettato come uno dei
loro benché « furastiero » — maturò una profonda crisi di fede;
essa sfocierà poi nella decisione di aderire al metodismo. Lettore infaticabile, attraverso la
discreta amicizia col nipote di
un editore d’avanguardia, divorò; Agostino, Pascal, Kierkegaard e via via sino ai contemporanei Croce, Gentile, Papini,
Cecchi, Prezzolini, Bergese. Ma
la sua lettura preferita fu certamente la Bibbia come si può
indirettamente dedurre dai continui riferimenti biblici che incontriamo nei suoi scritti.
« Così Ferdinando Geremia —
ha scritto recentemente la docente fiorentina Maria La Torraca — venne a Montemurro
come mazziniano e ne partì con
l’esigenza di far proprie, nel
pensiero e nella vita, le esigenze del più puro cristianesimo
evangelico ». Durante l’anno di
confino Geremia s’ingegnò di
dare lezioni di matematica, di
latino (col quale aveva particolare "familiarità nonostante si
fosse diplomato ragioniere) ai
pochi studenti del luogo; ciò gli
permise di rompere l’isolamento in cui l’etichetta d’antifascista lo costringeva. Venne invitato nelle case, curò alcune amicizie; a Montemurro, alcune
persone lo ricordano ancora passeggiare nella piazza del paese
pronto a scambiare quattro
chiacchiere con quelli che incontrava. La sua esile e gracile figura sembrava andare perfettatamente d’accordo con la dolorosa realtà del paese lucano. La
esperienza del confino lo segnò
profondamente ; la condivisione
concreta del destino degli umili, il conoscere direttamente la
condizione della miseria, della
subordinazione e della privazione quotidiana divennero per lui
ulteriori motivi per compiere
un’analisi scientifica e per sentirsi proiettato nel sociale. Da
quell’esperienza il suo antifascismo ne usci; irrobustito insieme
alla sua sete di conoscenza evangelica che si tradusse in un deciso impegno per la non violenza. Tant’è che le rifiessioni
che scrisse, nel pieno della grande crisi mondiale degli anni ’30,
in un’Europa che correva al
riarmo, conservano ancora una
profetica attualità.
G. Platone
Vediamo prima di tutto cos’è
persecuzione.
Persecuzione è ogni atto d’ostilità, d’inimicizia, contro un uomo o un’idea. Può manifestarsi
in forme diversissime che vanno
dall’ indifferenza allo scherno,
dall’opposizione sorda all’attacco aperto, brutale, violento. Non
è detto che le forme meno aspre
siano anche le meno nocive.
Spesso è vero proprio il contrario. Difatti è più facile difenderci dai nemici palesi e dagli
attacchi aperti che dai nemici
occulti e dagli attacchi insidiosi...
Leggendo un interessantissimo
libro sulla civiltà borghese del
teologo tedesco Paul Tillich, io
rimanevo fortemente impressionato dalle conclusioni cui costantemente arrivava quell’autore in seguito ad una analisi minuta e accuratissima delle manifestazioni pratiche intellettuali
e morali dell’epoca nostra. Ogni
indagine terminava con questo
ritornello insistente: il nostro
tempo è satanico perché si chiude compiaciuto in se stesso invece di aprirsi all’influsso dell’Eterno, perché è finità soddisfatta di
sé invece che anelante verso il
soffio vivificatore dell’Infinito.
Coloro che affermano la necessità dell’Eterno e dell’Infinito
sono i perseguitati. Sono gli uomini a-ffamati ed assetati di giustizia, cioè di armonia e di pace
con Dio; gli uomini che fanno
cordoglio perché riconoscono i
falli propri e del mondo, i pubblicani affranti dal peso del peccato, le prostitute che si gettano
ai piedi del Cristo perdonante.
Sono gli uomini che cercano Dio
e perciò ■— secondo le divine promesse — lo trovano e così attingono le altezze della perfezione
evangelica. Sono i poveri in ispi
A PROPOSITO DI UN ARTICOLO DI GIORGIO ROCHAT
Antimilitarismo e storia valdese
Le riflessioni di Giorgio Rochat sulla necessità d’informarsi
per resistere (cfr. « Eco-Luce »
del 13.4.’79) sarebbero ineccepibili se, nel tentativo indubbiamente interessante di relativizzare la denuncia delle guerre
« attraverso una valutazione politica delle situazioni concrete »,
non fosse incorso in qualche, ovviamente a mio parere, imprecisione storica. Al punto 6 del suo
intervento, Rochat scrive testualmente che « ai termini del diritto internazionale, il Glorioso rimpatrio fu un’aggressione a uno
stato indipendente, organizzata
all’estero e finanziata da stati nemici, non diversamente dalla
spedizione anticastrista contro
Cuba gestita dagli americani nel
1961 ». Lasciamo perdere per oggi la questione cubana, e con essa tutte le cosiddette « guerre di
liberazione », di qualunque segno
siano, da quelle del Corno d’Africa alla Cambogia e ultimamente
all’ Uganda, a proposito delle
quali è veramente difficile dire
con obiettività chi è il liberatore
e chi l’oppressore. Ma affermare
che i Valdesi del cosiddetto Glorioso rimpatrio furono degli
« aggressori » ai sensi del diritto internazionale mi pare un po’
grossa, e va contro la stòria ed
anche fuori di essa, sia perché
nel secolo XVII la situazione storico-diplomatica era ben diversa
dall’attuale, sia perché quei Vaidesi col Glorioso rimpatrio non
facevano altro che rientrare nel
loro paese da cui erano stati ingiustamente scacciati. Altro che
aggressione! E che dire allora
degli Israeliani, dei Palestinesi,
dei Cambogiani, del Polisario,
ecc.?
C’è poi lo slogan dei radicali
ricordato da Rochat; « Tutti gli
eserciti sono neri! » Che dire?
L’antimilitarismo, se è davvero
una delle espressioni concrete
della non-violenza, non può ammettere dei « distinguo », e le
mette bene in evidenza G.A.
Comba sullo stesso numero de
« L’Eco-Luce », esaltando tra l’altro il pensiero e l’opera di Aldo
Capitini, del quale fui amico e
collaboratore fin dalla costituzione dei COS (Centri di orientamento sociale) e del « Movimento di religione » ad Arezzo e a Perugia. Tuttavia, nelle riflessioni
di Rochat e di Comba affiora un
altro problema, quello della distinzione tra guerre « giuste »
e guerre « ingiuste »; mentre
Comba si sofferma sulla sconcertante constatazione che « durante questi due ultimi secoli... la
maggior parte dei casi (in cui
dei popoli sono stati costretti a
difendersi) non è stata risolta
dalla difesa degli oppressi ma
dalla superiorità degli armamenti degli assalitori », Rochat dice
che « la resistenza armata contro il nazismo non era nera, la
guerra di liberazione vietnamita
non era nera ». D’accordo, ma
come la mettiamo qui con l’obiezione di coscienza? Claudio Taccia, che sceglie il servizio civile
« per non imbracciare il fucile »,
come si comporterà in casi, purtroppo sempre possibili, di guerre stimate « non nere »? Scenderà a dei compromessi? Farà dei
« distinguo »? Anche i Valdesi
prima della Riforma furono, in
certe occasioni, violenti, contraddicendo certamente ai loro principi; basti ricordare gli assalti
a mano armata (anche di solo
bastone!) contro preti e inquisitori ad Angrogna nel 1332 e 1488
e a Bricherasio nel 1374; «Reazioni di questo genere — scrive
il Molnàr — provano quanto i
montanari valdesi fossero partecipi di una mentalità collettiva
che andava ben oltre la non-violenza professata dai Poveri di un
tempo. È la mentalità di una popolazione rurale, di contadini
che si battono per il libero esercizio dei loro diritti, contro i signori e il borgo feudale » (Storia
dei Valdesi, I, Torino 1974, pp.
93-94).
Per finire, ecco un episodio significativo, di cui mia moglie ed
10 fummo di recente involontari
testimoni. Tornando da un viaggio a Belgrado, ci dovemmo fermare un giorno e mezzo nei pressi di Trieste per noie al cambio.
Così ne approfittammo per visitare il Sacrario militare di Redipuglia. Era di domenica. Verso
le 11 del mattino un gruppetto
di giovani d’ambo i sessi si presenta al Sacrario per deporvi
una corona. Sul nastro si legge:
« Un gruppo di radicali non violenti antimilitaristi ». Non l’avessero mai fatto! I militari di guardia presenti si oppongono, ma la
corona viene ugualmente depositata: è una corona per i morti,
diamine! Ma, qualche ora dopo,
11 nastro viene asportato.
Si capisce, in un luogo consacrato ai caduti per la patria, è
offesa ai morti non la non-violenza. ma l’antimilitarismo! Non si
vuol intendere che la parola antimilitaristi sta per i vivi, come
monito, non c’è offesa per i morti, ma, tant’è, i vivi non capiscono. Forse su quel nastro si sarebbe potuto aggiungere: «Questi sono i risultati...! ».
Giovanni Gönnet
rito, i mansueti, i pacifici, i misericordiosi. E il loro non è un
gretto, sterile ed egoistico sogno
di elevazione personale. Il Signore ha pronunciato una ben severa e ammonitrice sentenza contro coloro che vogliono unicamente salvare V anima propria
dicendo che son quelli — appunto — che la perdono. I beati hanno altre più ampie e più sante
mete: vogliono che tutti abbiano fame e sete di giustizia e che
questa — a dirla col profeta
Amos — scorra a guisa di fiume
copioso, che la misericordia, la
pace, la mansuetudine, l'amore
della povertà semplice, soave e
buona abitino la terra.
È chiaro che la ragione prima
per cui costoro sono perseguitati è questo loro fare cordoglio
e questo loro invitare a cordoglio. Ciò attira su di loro antipatia prima e l’odio poi degli uomini.
Giovanni il Precursore, colui
che battezzava a penitenza, ,non
fu considerato dai farisei come
indemoniato? E meditate l’epiteto spregiativo di Piagnoni che si
attirarono addosso Gerolamo Savonarola e i suoi seguaci...
Io non posso scordare, né certo scorderò mai certe parole di
Cesare Balbo ' intorno a ’Mazzini. Secondo questo storico, il
Ligure poté esercitare soltanto
una limitata influenza sul popolo italiano perché il carattere
giocondo e spensierato di questo cozzava contro l’austerità
della morale sociale di quegli,
contro quell’austerità cioè che
costituisce forse la grandezza del
Mazzini, così come l’intuisce Giosuè Carducci:
« Esule antico,
al ciel mite e severo
leva ora il volto
che giammai non rise ».
Ma se l’invitare a cordoglio irrita i gaudenti, i soddisfatti (i
cosiddetti ottimisti), la grandezza del sogno che i figli di Dio sognano nel loro cuore e l’altezza^
delle mete ch’essi assegnano a sé
ed al mondo li fanno tacciare di
pazzi, di visionari, di utopisti:
da parte dei piccoli uomini terra
terra e dalle vedute corte di una
spanna e che pure si ritengono
ripieni di chissà quale saggezza.
Pieni di sé e del loro egoismo,
questi piccoli uomini non concepiscono che si possa vivere per
un ideale, che si possa aspirare
a qualcosa d’altro che non sia
un impiego ben remunerato. Perciò quando qualcuno si entusiasma per un’idea, dapprima sorridono con sufficienza, e poi — se
quello persiste — si sconcertano, vedono turbata la loro serena ed equilibrata visione della
vita e finiscono per concludere
che sono davanti a un pazzo più
o meno pericoloso...
Ma vincerà la luce o vinceranno le tenebre? La risposta non è
dubbia ed è perciò che noi, in
mezzo a tante difficoltà e traversie, possiamo essere beati.
Beati sono coloro che hanno
fame e sete di giustizia perché
sanno in anticipo che giustizia
sarà loro fatta. Il cristiano, quale sia stato il risultato della sua
opera quaggiù, può ben chiudere
gli occhi con la certezza che, alla fine dei tempi, l’evangelo si
sarà diffuso in tutta la terra,
sarà penetrata in tutti i cuori,
avrà informato tutta la società.
Ma la beatitudine di cui parla
Gesù deriva anche da un altro
motivo. I poveri in ispirito, gli
afflitti, gli affamati ed assetati di
giustizia, i misericordiosi, i pacifici, i mansueti, gli oppressi sono beati perché sono già salvati,
sono già in questa terra congiunti con Dio, quasi una sola cosa
con Lui. Ed è perciò che Gesù
dice di essi: « Voi siete la luce
del mondo, il sale della terra ».
Ferdinando Geremia
(1906-1944)
Cartura, 11 maggio 1931.
(da Ferdinando Geremia: un anno di
confino, a cura di Ivano Cavallaro).
5
3 agosto 1979
« LE TESTAMENT DE DIEU », L’ULTIMO LIBRO DEL PIU’ NOTO TRA I « NOUVEAUX PHILOSOPHES » FRANCESI
Bernard-Henri Lévy: profeta
del moderno radicalismo
Valore della resistenza, esigenza di individualismo, nostalgia di trascendenza:
gli interrogativi dell’uomo post-cristiano e post-marxista a cui Lévy dà voce
Trent’anni, affascinante, coltissimo, già lanciato in una brillante carriera universitaria, è
al centro di dibattiti sui giornali, alla televisione, in convegni
di alta cultura. Da quando alcuni mesi fa ha pubblicato il
suo secondo libro Le Testament
de Dieu Bernard-Henri Lévy,
il più noto dei nouveaux philosophes (sua è la formula coniata qualche anno fa) sta conoscendo un larghissimo successo
di interesse che del resto già La
Barbarie à visage humain aveva in parte anticipato due anni
fa. Perché tanto rumore, in
Francia ma anche in altri paesi?
Una moda? Una vera novità?
È difficile riassumere le tesi
a volte sferzanti a volte nebulose del Testament de Dieu, un
po’ per il loro linguaggio e un
po' per la loro struttura. ■
« Considero la lingua francese
— ha detto Lévy in un’intervista del ’78 — assieme la più cara delle mie malattie e la mia
sola possibile patria. L’asilo e la
grotta per eccellenza. L’armatura e l’arma per eccellenza ». A
parte il fatto che in un’aspra
polemica sul Nouvel Observateur (tradotta dal Manifesto
deiril.7.’79) lo storico Pierre Vidal-Nacquet ha svuotato l’originalità -di questa dichiarazione
dimostrando che era stata presa di peso da una lettera del
poeta Saint John Perse, essa resta comunque una notevole ammissione di come effettivamente
la lingua possa essere non solo
patria e arma ma anche grotta
e armatura in cui, o dietro cui,
nascondersi all’occorrenza.
D’altra parte la struttura del
discorso segue più l’andamento
pirotecnico del susseguirsi di
spunti l’uno innestato sull’altro,
di girandole impostate sullo
schema del paradosso, di bagliori improvvisi che emergono
dal buio, che non l’andamento
della buona vecchia chiarezza
■cartesiana.
Date queste non lievi difficoltà, anziché cercare di riassumere le tesi di Lévy, preferisco riportare un brano del libro che
mi sembra caratteristico e metterne in evidenza gli elementi
costitutivi.
Resistenza e non
sottomissione
Bernard-Henri Lévy appartiene alla generazione del ’68 che
in conseguenza delle delusioni
incontrate nel decennio seguente è approdata ad un’esigenza
di rifiuto globale delle « regolarità mute, o al contrario loquaci » che inquadrano l’esistente.
Ma non si tratta della vecchia
« contestazione » della società
borghese a partire da una^ rinnovata analisi marxista: la delusione che appunto è rifluita
dairURSS dei goulag alla Cambogia di Poi Pot, al Vietnam dei
profughi ha livellato ogni cosa e
ha stretto ogni erba nel fascio
di un indiscriminato totalitarismo i cui caratteri comuni sono il fascismo (bruno, nero o
rosso che sia, anche se « per la
maggior parte i fascismi sono
nati rossi e di sinistra») e il paganesimo (non l’ateismo, ma al
contrario un marcato atteggiamento religioso neo-pagano e
anti-monoteista).
Di fronte a questa realtà l’unico atteggiamento possibile è
la Resistenza come alternativa
alla sottomissione alla « forza
delle cose », alla « cosa imbecille ». Non è resistenza a qualcosa ma a tutto: alle necessità
« della Natura, della Storia, dello Stato, della Società ». In particolare è la Storia stessa che è
« materia di resistenza, la Storia in quanto pretesa maestra
di vita e ineluttabile criterio di
comportamento. Questa Resistenza, che attraversa tutto il libro ed è , sintetizzata in 7 comandamenti che espongono « la
Etica antifascista », raggiunge
culmini di asprezza estrema —
peraltro sempre verbale — contro ogni possibile senso insito
nella Storia: « Dico che bisogna
rompere, smantellare la macchina del senso. Affermo che non
C’è soluzione, né metodo di resistenza se non nell’ammutinainento delPinsensato, in un luddismo^, ontologico che saprà dissipare ad uno ad uno questi miraggi di coerenza ».
...Esiliarmi...
Come si configura concretamente questa Resistenza? La parola chiave che compare nel
brano che ci serve da spunto,
ma che ritorna più volte nel libro, è l’esilio: l’esperienza storica del popolo di Israele diventa simbolo di un uscire dalla
realtà storica per rientrare nelVinteriorità individuale. « In un
mondo di menzogne in cui solo
vale il particolare, non c’è altra
via per coincidere con l'Universale, se non di rientrare in sé e
di aderire, semplicemente, a ciò
che ’pare bene’ ». L’esigenza delrindividualismo, di un «individualismo essenziale che non possiede niente di meglio della desertica solitudine di- un paesaggio interiore » è nello stesso
tempo strumento e motivazione
di resistenza.
Il riflesso politico di questo
individualismo è una riproposizione della vecchia impostazione liberale, perché è quella che
maggiormente consente — con
la netta separazione tra il pubblico e il privato — un’autonomia del privato. « La sola democrazia che tenga è quella che,
inflessibile sulle leggi, lascia che
i valori rifluiscano dalla parte
della gente comune ». Da una
parte quindi lo Stato, il diritto
e il potere che non interessa;
dall’altra la possibilità di « valori » non imposti ma lasciati
alla libertà dell’individuo. Dopo
la delusione di chi ha sognato
la libertà gridando « l’immaginazione al potere », ecco quindi
l’amaro riflusso di chi esalta
ora l’unica libertà possibile:
quella dell’uomo « privato » inteso come « privato di ogni potere ».
Per quanto Lévy si proclami
« intellettuale radicalmente disorganico ma non per questo disertore », è difficile non riconoscere in questo neo-liberalismo
l’espressione di fatto di un netto disimpegno politico della sua
Resistenza il cui settimo comandamento è « per impegnarti devi cominciare col disimpegnarti ».
D’altra parte l’altro lato della
prorompente esigenza individualista è un interesse appassionato per i diritti umani che fanno
premio sul politico, sulla Storia, su tutto: « La lotta per i
diritti dell’uomo è cronologicamente, logicamente e ontologicamente il primo dovere degli
uomini ».
Nel suo negativo come nel
suo positivo, l’individualismo
resta quindi il modo di essere
della Resistenza di Lévy. Ma dove trovare la spinta, il punto di
appoggio, e infine la ragione
stèssa di questa Resistenza?
Nostalgia
della trascendenza
Per resistere alle « regolarità
mute o al contrario loquaci »
che spersonalizzano l’individuo
sottomettendolo a tutte le pretese necessità dell’esistente è
necessario un punto d’appoggio
che sia al di fuori di questa imposizione e che possa quindi essere un « puro oggetto di una
volontà che sia la mia ».
Lévy trova questo punto d’appoggio, questa molla, nella Legge, espressione ultima del Mono
Il nome della Legge
« Quando guardo in me e intorno a me, constato che la mia
normalità non è di volere male, ma di non volere del tutto.
Da per tutto non vedo che forze, regolarità mute, o al contrario loquaci, che mi si presentano come "scientifiche”, "necessarie", a volte anche “divine" dispensandomi così, dall’agire e dal pensare con la mia testa. Non posso indignarmene
senza sentir subito l’universale ammonimento che mi richiama ancora all’ordine e mi comanda di sottomettermi là alle
necessità della Natura, qui a quelle della Storia, dello Stato,
della Società. Se anche volessi dominarle, agire su di esse
appunto, volerle anziché esserne voluto, non sarei sicuro di
riuscire, certo anzi del contrario, tanto mi mancherebbe il
punto d’appoggio, la roccia su cui issarmi. Perché è questo
che mi manca in effetti, che mi manca per volere: nel deserto dell’inintenzione, nell’inferno dell’insignificante, in questo mondo in cui il Male è la meccanicità piuttosto che la
malvagità, un oggetto, uno solo, di cui possa affermare, senza rischio di sbagliarmi, che sia il puro oggetto di una volontà che sia la mia. È questo di cui ho bisogno e di cui hanno
bisogno tutti i sonnambuli, ebbri di irresponsabilità, malati
di dimissione, impazienti, o quanto impazienti, di perdersi
nella macchia oscura dove, non facendo altro che eseguire
delle leggi necessarie e naturali non potranno mai più essere ’malvagi volontariamente’: una Legge, puro prodotto dei
loro cervelli e nello stesso tempo posta al di fuori, radicalmente assente e nello stesso tempo sensibile al cuore, di cui
possano fare, come un tempo si faceva riferimento a Dio, il
correlato della loro coscienza.
Insisto. Perché è necessario, perché io esista, il postulato
di questa Assenza, di questa esteriorità, e, per dire fino in
fondo, di questa sottomissione? Perché tale è il mio destino, per cui non ho scelta, in effetti, se non tra questa sottomissione, perfettamente immaginaria, ne convengo, e quella,
in cambio ben reale, alla ’forza delle cose’ di Saint-Just o di
Hegel. Perché l’altro termine dell’alternativa è sempre il consenso muto, cieco, alle leggi di una esteriorità materiale o
sociale che non penso mai di padroneggiare così, bene se non
quando mi ha privato di tutta la mia libertà. Perché so bene, in altre parole, che senza l’ipotesi di una sublime eteronomia in cui possa esiliarmi e sospendere l’estraneità del
mio volere, non ho ricorso se non a questo esilio immanente, a questo consenso tacito alle leggi del sensibile che fecero dire agli Eichmann e ai kapò di questo secolo che non
volevano ciò che facevano, non sapevano ciò che volevano,
non erano altro che gli esecutori, gli agenti, gli "agiti”, della
cosa imbecille ».
(Le Testament de Dieu, pp. 142-3)
teismo in cui egli identifica il
principio stesso della Resistenza
al totalitarismo moderno neopagano.
II fatto che si tratti di una
Legge mostra già di quale monoteismo si tratti: tra quello
dell’Antico e quello del Nuovo
Testamento, Lévy propende decisamente verso il primo. Ma
sbaglierebbe chi pensasse che la
Legge di cui parla Lévy sia semplicemente la Legge mosaica.
Essa è un principio estremamente rarefatto e astratto. La
Legge è un « imperativo formale e vuoto di ogni contenuto »,
un postulato « sufficientemente
vuoto e formale per non degenerare mai, non cristallizzarsi
mai in Una legalità terrorista ».
Qual è quindi il suo contenuto?
Semplicemente « l’eternità di un
formidabile No a questo regime
della Storia di cui si è visto, da
Epitteto ai marxisti, il potere di
sottomissione... ».
La debolezza di questo postulato non è tanto la sua genericità e la sua estrema astrattezza, quanto il fatto che è una
invenzione, una « finzione », il
« prodotto » dei cervelli di coloro che intendono resistere. Per
questo la Legge è « radicalmente assente », è il « postulato di
questa Assenza», la sottomissione alla quale è « perfettamente
immaginaria, ne convengo ». Se
quindi Lévy vede nella tradizione profetica la matrice culturale
di questo « formidabile No »
nei confronti del mondo impersonato dalla Legge, bisogna dire che gli manca il formidabile
Sì da cui partivano i profeti e
in base al quale pronunciavano
i loro no. In altre parole, manca, dietro alla Legge, l’Autore
della Legge stessa.
Levy lo afferma chiaramente
e anzi con una curiosa esegesi
di Ger. 18: 18 afferma che i profeti stessi suggeriscono che « la
Legge non ha un Autore, un Garante, un Signore che la nomini ». Dio è irrimediabilmente
morto per Lévy (il suo « testamento », la Legge, mi pare perciò da intendersi più nel senso
del legato di un defunto che non
nel senso di « patto »). La Legge deve diventare così il « riferimento » che un tempo era rappresentato da Dio. Il carattere
negativo della Legge riflette il
carattere negativo di Dio, l’unico possibile, e cioè la funzione
desacralizzante: « non gli è mai
sfato assegnato altro compito
che quello di sciogliere i legami
stregati, illuminare le brume
che ristagnano nelle cripte del
cosmo pagano ». Il solo Dio in
cui crede Lévy è « il gran vento
che scaccia indefinitamente lo
sciame di anime e di lari che mi
girano attorno ». Non è quindi
per caso che il libro si chiuda
su un’affermazione ancora una
volta radicalmente negativa:
« La prima esperienza dell’uomo ebreo è quella di una separazione radicale, di una estraneità assoluta, dell’assenza del
Cielo sulla terra e della terra al
Cielo: dell’inesistenza radicale
di colui che egli chiama il suo
Signore ».
Il pensiero di Lévy si muove innegabilmente in una dimensione di trascendenza, ma nel senso, più propriamente, della nostalgia di una trascendenza perduta e che non si può più postulare se non nel suo aspetto
negativo, come « la grande assenza muta, che riempie i cieli ».
Più che smontare
serve capire
Non sarebbe difficile smontare il pensiero di Levy facendo
leva sulle sue contraddizioni sia
dal punto di vista politico che
da quello teologico, ma questo
servirebbe solo a rinchiuderci
in un soddisfatto recinto di riaffermazione di noi stessi. Più che
smontare serve capire. Capire
che nel nucleo centrale delle
esigenze che mette in evidenza
— più che nello svolgimento delle sue proposte — Lévy è profeta del moderno radicalismo
inteso in senso lato.
Il rifiuto totale di .una realtà
sentita come opprimente, precostituita; « regime », il bisogno
di resisterle testardamente, di
abrogarla con una serie infinita
di No, senza preoccuparsi, o
senza essere in grado, di indicare un progetto positivo che
abbia un minimo di globalità,
non è il tratto caratteristico del
radicalismo moderno?
E la relativizzazione del politico dopo che per anni si è ripetuto che « tutto è politico »,
la riscoperta prima timida e poi
appassionata della dimensione
dell’interiorità personale, il valore prioritario riconosciuto ai
diritti umani, non sono le facce complementari di quel « riflusso » in cui è confluita in gran
parte l’ala non ancora disintegrata del '68 e delle leve successive?
E ancora, la sensazione di come sia necessario trovare una
rnolla per il comportamento che
sia al di là di qualsiasi contingente e malferma prospettiva
interumana non è indizio di
quella questione religiosa che
secondo Lévy « sarà forse la
questione chiave della fine del
XX secolo », di una riscoperta
cioè della dimensione trascendente così a lungo compressa
nella dimensione orizzontale o
esiliata nelle chiese?
Il valore della resistenza, l’esigenza deH’individualismo e la
nostalgia della trascendenza sono ciò che rendono importante
il libro di Levy e che probabilmente ne hanno segnato il successo. Al di là infatti delle sue
personali proposte che restano
in gran parte ben al di qua dei
problemi, spesso confuse o inaccettabili, il libro dà voce agli
interrogativi essenziali dell’uomo post-cristiano e post-marxista dell’ultimo quarto del nostro secolo. Con questi interrogativi dobbiamo confrontarci —
ed è quindi essenziale capirli —
se, come credenti, vogliamo incontrare non solo noi stessi ma
quest’uomo, non tanto per opporre un nostro pieno al suo
vuoto, una nostra garanzia alla
sua precarietà, un nostro sì ai
suoi no, ma per significargli nella nostra vita la sconcertante e
mobilitante esperienza dell’eststenza radicale di colui che chiamiamo Signore avendolo conosciuto neH’uomo Gesù di Nazareth.
Franco Giampiccoli
^ Edito da Grasset, Parigi. È uscita
in questi giorni la traduzione italiana:
Il Testamento di Dio presso l’editore
Sugarco, pp. 300, L. 6.000. Le citazioni e il brano riportato in questa pagina sono tratti dall’originale francese.
2 Durante la rivoluzione industriale
il luddismo espresse la protesta operaia con la distruzione delle macchine. (N.d.R.).
6
3 agosto 1979
cronaca delle valli
ALLE VALLI OGGI
Perchè
10 pagine
Quando i lettori (che non siedono in sinodo) avranno sotto
gli occhi questo numero del
giornale, l’assemblea sinodale si
sarà già pronunciata sul progetto presentato per il potenziamento del nostro settimanale.
Come si ricorderà, lo scorso anno, dopo un lungo e non sempre chiaro dibattito, si erano
congelate le diverse possibilità:
creazione di due giornali, mantenerne un unico così com’è, aumentare lo spazio per la cronaca delle valli. In altre parole il
sinodo aveva rinviato una decisione importante per dar tempo
alla riflessione delle chiese che
erano chiamate a pronunciarsi
e al tempo stesso per permettere alla Tavola e alla redazione
di mettere a punto un progetto
chiaro e meditato. I pareri di
numerose chiese si sono fatti
sentire, la conferenza del I distretto si è espressa in modo
preciso e si è ora in grado di
prendere una decisione con tutti gli elementi in mano. Ne è risultato un progetto che abbiamo cercato di concretizzare in
questo numero per renderlo visibile ai membri del sinodo in
modo che possano decidere
avendo in mano un numero che
può considerarsi il facsimile
del progetto che prenderà l’avvio, se così deciderà il sinodo,
11 1° gennaio 1980.
L’idea di creare due settimanali, l’uno per le valli, l’altro a
livello nazionale, non è stata sostenuta dalle chiese che si sono
invece espresse per il mantenimento di un unico settimanale;
così pure si è espressa la conferenza del primo distretto con la
precisa indicazione di “aumentare di due pagine l’attuale cronaca delle valli”. In altre parole
un giornale a 10 pagine, di cui
quattro di cronaca valligiana
con inserzioni pubblicitarie per
contenere il costo di questo ampliamento.
Soluzione soddisfacente? È veramente questa la migliore risposta che siamo in grado di
dare alle nostre chiese per quel
necessario (e richiesto con rinnovata insistenza) potenziamento di informazione che la Circolare alle chiese del I distretto
non basta a fornire? Se esistono delle alternative credibili dovranno manifestarsi durante il
dibattito sinodale: un ulteriore
rinvio di una decisione che arriva, qualunque sia, con un ritardo di mólti anni (troppi) non
è pensabile.
Due problemi restano comunque aperti: il primo concerne il
rapporto tra questo ampliamento dellà cronaca delle valli e la
economia generale del giornale;
in altre parole come organizzare richieste di altre regioni, distretti, circuiti, che intendano
utilizzare l’Eco-Luce per diffusioni particolari su problemàtiche specifiche. Il secondo, come
riempire in modo intelligente il
maggiore spazio disponibile per
la zona valli.
Per quanto concerne il primo
punto la questione è innanzitutto organizzativa: inserti speciali o pagine tematiche hanno
trovato posto nel settimanale e
così potrà continuare ad essere con maggiore frequenza previo accordo con la redazione
per una organica programmazione. Per la realtà delle valli,
nella misura in cui cresce la
collaborazione (e deve crescere
ancora parecchio, soprattutto
raggiungere un più. elevato grado di regolarità), si tratterà di
coordinare con più accuratezza
le varie notizie.
Sembrano piccoli problemi:
in realtà si tratta di una grossa mole di lavoro e di responsabilità che non è più possibile
delegare a poche persone. Un
giornale è come una maglia, che
necessita, se la si vuole usare,
del concorso di tutti i fili. Il
crescente interesse per questo
nostro modesto foglio è un dato incoraggiante: ma non ci si
deve fermare ora, anzi, è il momento giusto per un efficace rilancio che si basi su un dato
elementare: un foglio vive se la
gente lo fa vivere, se lo usa, se
lo legge e lo diffonde.
E. Genre
SINODO 1979
Torre Pellice, la capitale” delle Valli valdesi, ospita come ogni anno
Ü Smodo. Si tratta tuttavia di un Sinodo storico: il primo della compiuta integrazione tra le Chiese valdesi e metodiste. Rimandiamo i lettori al prossimo
numero per un resoconto completo dell’importante avvenimento.
COMPOSIZIONE DEL SINODO
Membri del Sinodo 180
con voce deliberativa 165
con voce consuitiva 15
Ospiti (rappresentanti di chiese sorelle) 27
Valdesi; 125
pastori 62 (50%)
laici 63 (50%)
uomini 97 (77%)
donne 28 (28%)
Metodisti; 40
pastori 20 (50%)
laici 20 (50%)
uomini 33 (82%)
donne 7 (18%)
IL SEGGIO DEL SINODO
Presidente; Giorgio Peyrot.
Vice-presidente; Valdo Benecchl.
Segretario; Emidio Campi,
con Claudia Claudi, Giulio Meisano, Paolo Ribet, Silvia Rutiglìano.
Assessori; Mario Bianconi, Giordano Senesi.
Impressioni del
primo giorno
Un seggio efficiente, con una presidenza non priva
di ’humor' come quella del prof. Giorgio Peyrot, è
riuscito a far decollare in fretta i lavori del Sinodo
Valdese-Metodista. Quella che alla vigilia sembrava,
forse ad alcuni, una macchina complicata, difficile
da far partire ha presentato invece ai membri del
Sinodo, lunedì mattina, subito dopo il culto, un fitto
calendario di temi giornalieri in cui si prevedono anche un paio di sedute serali su: evangelizzazione e finanze della chiesa.
Una prima impressione sulla controrelazione che
ha dato il via al dibattito: si tratta indubbiamente
di un rapporto preciso e documentato (i commissari
hanno spulciato attentamente per un mese tutte le
carte dei nostri organi amministrativi) in cui si sottoUneano argomenti centrali: dall’ecumenismo alla
diaconia della chiesa (specie il problema del finanziamento pubblico alle opere) sino al problema dell’Intesa con lo stato.
Un primo dato di rilievo, per riferire ora brevemente sul dibattito iniziato subito dopo la lettura
del rapporto, riguarda l’energica condanna del Sinodo dell’attendismo governativo nei confronti dell’Intesa accompagnata da una richiesta rivolta alla
Tavola di prendere, per l’immediato futuro, tutte le
misure necessarie per concludere questa trattativa
con lo stato.
Inoltre, è nuovamente emersa la questione dei rapporti con la stampa. E qui il Sinodo ha incoraggiato
il lavoro dell’attuale ufficio-stampa che attraverso rapide sintesi dei dibattiti in aula rende un servizio indispensabile, ai fini di una giusta ’lettura' dello svolgimento sinodale, nei confronti dei numerosi giornalisti presenti. Non a caso i primi articoli comparsi
sui principali quotidiani italiani hanno sinora registrato abbastanza fedelmente (a parte vistose eccezioni, tipo il titolo: « Protestanti più vicini a Roma,
Wojtyla è un papa simpatico » di Stampa Sera) gli
esiti e lo sviluppo del dibattito.
Mentre scriviamo mancano solo poche ore all’appuntamento più atteso che è la seduta sull'evangelizzazione considerato, ormai da tutti, il tema centrale di questo Sinodo. Non è escluso che il confrontò
su questo tema abbia principalmennte una dimensione autocritica, ma tra i delegati circola anche la
speranza che si possa uscire da quest’aula con delle
indicazioni concrete per il domani. G. P.
SAN GERMANO 13-20 AGOSTO
“Camp mission biblique” alle Valli
LA MORTE
DEI LARICI?
Come ogni anno, a luglio ed
agosto, si-mette in moto,, sotto'
gli auspici della Società Evangelica di Ginevra, tutto un complesso programma di evangelizzazione in Belgio, Francia e, quest’anno, anche Italia. Si tratta
di un gruppo di giovani credenti, protestanti e cattolici, che dedicano almeno tre settimane delle loro vacanze per questo lavoro
così impegnativo e così bello. Se
alcuni di essi sono ormai dei
« veterani », vi è sempre chi si
unisce a loro per la prima volta,
lasciando così sperare che que
sf'azione si possa prolungare nel
tempo. Va sottolineato che questi campi di evangelizzazione si
reggono sulle offerte spontanee
dei credenti, grazie alle quali la
Società Evangelica di Ginevra
può mettere ogni anno a disposizione una piccola « flotta » di
minibus, coi quali le varie equipes si spostano per raggiungere
le 8 o 9 zone scelte per svolgere un lavoro di testimonianza.
Sono tuttavia gli stessi partecipanti che, secondo le loro possibilità, coprono le spese vive di
viaggio e di vitto e talvolta anche quelle riguardanti gli stampati, i libri o gli opuscoli da distribuire.
Quest’anno le località prescelte (alcune delle quali lo sono già
per la seconda o terza volta) sono Sugny, nelle Ardenne belghe,
Morisset e Meschers nell’ovest
della Francia, Saillagouse, Argelés, Grau-du-Roi Aubagne nel sud
di quel paese ed infine. San
Germano Chisone. La scelta di
quest’ultima località ha .avuto
origine in alcuni contatti avuti
con dei giovani coinvolti in questo lavoro e nella partecipazione
di due giovani dì San '<3ermano
ad alcuni dei campi degli anni
scorsi. Tutto sempre all’ombra
del motto « Gesù Cristo ti ha
fatto conoscere la buona novella perché tu la comunichi ad altri ».
I gruppi hanno degli effettivi
di 15-25 persone, secondo i casi
e le necessità e svolgono un lavoro capillare sia in mezzo a
quanti si trovano nei camping,
0 in zone montane, sia tra gruppi di credenti francesi o belgi
che vivono talvolta in un isolamento che noi non ci sognarne
neppure. Questi giovani visitano
le famiglie, curano dei pomeriggi o delle serate per i ragazzi
ed i giovani, il canto; drizzano
delle tende nei punti di maggior
passaggio o si avvalgono di locali messi a loro disposizione
per delle serate di appello.
È quanto avverrà anche a San
Germano, nel periodo dal 13 al
20 agosto. Questi fratelli hanno
già ffssato un programma di massima: contano visitare i quartieri di Costabella, Balmas, Bert,
Martinat, Garossini, Gpndini, tenere una serata sotto tenda, ove
possibile nei giardinetti posti tra
1 vari condomini dei IVIondoni il
venerdì, una serata nella Sala
Valdese il sabato e, naturalmente, il culto della domenica 19
agosto.
Da notare che, malgrado questo programma molto intenso, i
15 membri dell’équipe, come
è loro abitudine, avranno un intenso programma di preparazione biblica, di raccoglimento, di
preghiera. Due giovani di San
Germano faranno parte dell’équipe, ma ci auguriamo che altri si
uniscano a questo sforzo evangelistico. L’epoca è mal scelta? Certamente se si considerano le sacrosante date delle ferie. Tuttavia domandiamo a tutti coloro
che appena lo possono di partecipare a queste giornate di riflessione alla luce dell’Evangelo: siamo certi che nessuno di loro se
ne pentirà. Parecchi giovani potrebbero essere utilissimi per dare una mano per smontare e
montare la tenda, nel fare varie
commissioni ecc. Slentre, chi lo
desidera, potrà dare una mano
a questi giovani fornendo qualche prodotto del suo orto e facilitando così la creazione di un
menù capace di saziai t tanti giovani appetiti! Tengo a sottolineare che questo lo propongo
io: non è stato chiesto dai nostri
ospiti. Sarebbe comunque un mo
do semplice e pratico per far
loro sentire che non assistiamo
passivamente al loro servizio per
il nostro villaggio. Ma, indubbiamente, il modo migliore per partecipare a questa occasione di
testimonianza che il Signore ci
dà è di preparare in preghiera
la venuta di questi giovani svizzeri, francesi e belgi, domandando che il Signore susciti anche
in mezzo a noi dei giovani capaci di rispondere alla chiamata
che il Signore rivolge anche a
loro.
Perché dev’essere ben chiaro
che i nostri ospiti non hanno
la minima intenzione di venire in
mezzo a noi per insegnarci a
credere al Signore. Contano invece che, insieme, possiamo rinnovare, grazie all’azione dèlio
Spirito Santo, il nostro impegno
di credenti « che fanno conoscere ad altri » ciò che è stato loro
dato come un dono.
Giovanni Conte
Durante una escursione sulle montagne dei 13 Laghi (Frali) abbiamo constatato con profonda amarezza che distese di larici sono infestati da voracissimi bruchi neri che, passando da
un albero all'altro, si nutrono degli aghi, trasformando in poco tempo il
paesaggio, rendendolo simile a quello
del tardo autunno.
Abbiamo osservato questo fenomeno
anche in altre vallate, sia sul versante
italiano, sia su quello francese.
Ci stupiamo di non aver letto o
sentito niente in proposito; forse ci è
sfuggito.
Gradiremmo quindi che tramite queste pagine si parlasse del fenomeno
in modo ohe tutti siano informati e
sensibilizzati.
Cordiali saluti.
Franco Tron e Silvana Marchetti
Hanno collaborato a questo
numero: Guido Baret - Gustavo Bouchard - Roberta
Colonna Romano - Franco
Davite - Luigi Marchetti Carlo Papini - Paolo Ribet Aldo Rutigliano - Giorgio
Spini - E. Vigliano.
GRAZIE!
3 giorni nella
Val Pellice
Per la festa di Pentecoste, grazie alla collaborazione e all’impegno dei
nostri amici delle Valli, 45 membri
dell'Union Vaudoise di Marsiglia, accompagnati dal loro presidente Jean
Peyronel, hanno potuto passare 3 giorni molto gradevoli nella Val Pellice.
Ringraziamo molto tutti coloro che
ci hanno permesso di organizzare questo viaggio, e in modo particolare il
pastore Bellion e la sua signora.
Nella speranza che tali incontri possano ripetersi sia a Marsiglia che nelle Valli, mandiamo a tutti i nostri saluti più affettuosi.
Per il consiglio dell’Union
Vaudoise di Marsiglia
Jean Peyronel
I Rostan salutano
Prima di lasciare l’Italia per ritornare in Uruguay, desideriamo per mezzo
dell’Eco-Luce dare il nostro saluto
commosso alle chiese valdesi e metodiste italiane. Con profondo senso
di gratitudine pensiamo al moderatore Sbaffi e ai membri della Tavola, ai
colleghi che ci hanno ricevuto nelle
chiese che abbiamo visitato e ai membri di tutte le chiese che si sono
messi a disposizione per aiutarci nel
nostro viaggio con tanto calore ed amore fraterno. Cosi nel ritorno alla nostra
attività in Uruguay il ricordo del viaggio attraverso l'Italia ispirerà il nostro
lavoro e ci sosterrà. Nel comune lavoro, nel quale il Signore ci chiama a
servirlo, invochiamo su tutti voi la benedizione di Dio.
Nestor e Dafne Rostan
7
3 agosto 1979
CRONACA DELLE VALLI
_____ LA CONDIZIONE OPERAIA NEL PINEROLESE
Il giovedì dei disoccupati
Iniziamo con questo numero una serie di articoli sulla
condizione operaia nel Pinerolese a cura di Giorgio Gardiol,
uno dei responsabili del CESP (Centro Sociale Protestante di
Pinerolo). Sul prossimo numero il secondo articolo dal titolo
« Lavorare stanca ».
Pinerolo, Ogni giovedì mattina a palazzo Vittone c’è la chiamata per il lavoro dei disoccupati. Saranno un centinaio quelli
che vi partecipano sugli oltre
1100 iscritti alle liste del comune
di Pinerolo. Un dieci per cento
circa e gli altri? « Qualcuno fa
del lavoro nero, altri si sono
stancati di venire qui, visto gli
scarsi risultati che si ottengono »
mi dice un disoccupato. E la
chiamata procede secondo il solito sistema: arriva la commissione, la collocatrice legge le richieste che sono fatte da varie
ditte. Questa mattina ce ne sono
sei: un ragioniere, un fuochista,
un fresatore, un operaio per
l’upim, una commessa, e un operaio radialista. Chi ha interesse
va al banco della collocatrice e
deposita il suo cartellino. Non
c’è nessun fresatore qualificato
e il posto rimane vacante. Ma ci
sono molti che vogliono avere il
posto di ragioniere, di operaio e
di commessa: si farà una graduatoria. Per il posto di operaio
radialista sorge una contestazione. Un membro del comitato
prende la parola e contesta la
qualifica richiesta: « con questo
sistema, la ditta vuole assumere
chi più gli piace, in effetti si tratta di un generico dell’industria
metalmeccanica ». C’è discussione, poi alla fine viene accolta la
proposta del comitato, dopo
aver consultato la legge e il contratto collettivo di lavoro, e viene avviato al lavoro un generico.
Alla fine vien fatta la graduatoria sulla base dell’anzianità di
iscrizione al collocamento e ai
carichi familiari. 1 prescelti sono evidentemente soddisfatti, gli
esclusi invece rassegnati o disperati. C’è chi vuole strappare il
cartellino, chi se la prende con
gli operai occupati...
Terminata la chiamata, discuto un po’ con gli operai del coordinamento operaio e col comitato dei disoccupati.
«11 collocamento è Tunica struttura che c’è perché chi non ha
lavoro e non ha raccomandazioni ne possa avere uno. Ma non
tutti i posti di lavoro liberi passano di qui: ad esempio nei mesi di gennaio, febbraio e marzo.
su 230 assunzioni (anche stagionali) ben 132 sono state fatte attraverso richieste nominative o
passaggi diretti e quindi non
controllate dal comitato. Ma se
si tolgono le richieste stagionali
per la Galup si arriva ad una cifra di 117 richieste nominative
contro 71 chiamate. Quindi solo
il 40% circa dei posti di lavoro
ufficiali passa attraverso al controllo della gente! Ma questa cifra è già più grande della realtà;
pensiamo che i comuni, gli ospedali, possono assumere anche
fuori del collocamento. Per questo abbiamo deciso che non basta venire qui il giovedì e ci siamo organizzati per cominciare a
fare un po’ di contro informazione sul lavoro nero (c’è ed è abbastanza diffuso) e sugli straordinari che si fanno in molte piccole fabbriche: bisogna far uscire nuovi posti di lavoro, se no
finisce che la gente, i giovani entrino nel sistema delle raccomandazioni per ottenere il lavoro ». Giorgio Gardiol
GIANNI RODARI IN VAL PELLICE
Sui sentieri
deirimmaginazione
Maestri nell’arte di raccontare favole, di condurre i bambini sui sentieri dell’immaginazione, sono da sempre i nonni: o
almeno lo sono stati ancora per
i bambini della mia fanciullezza. Molti avranno senz’altro ricordi di favole raccontate e ripetute decine di volte dai nonni pazienti. Infatti le favole rimangono nei ricordi piacevoli e
fuggevoli degli adulti, che di solito però non le leggono più e
non le sentono più raccontare.
Da molti anni anch’io non
sentivo più narrare favole, anche se amo, talora, leggerle. La
IL DIBATTITO SUL PATRIMONIO LINGUISTICO ALLE VALLI
Il francese nelle scuole
I due interventi sulla conservazione della lingua francese alle
Valli, apparsi su questo settimanale a firma del pastore E. Ayassot e del sig. O. Coìsson, mi trovano consenziente, anche se vale
forse la pena avanzare alcune
precisazioni che specifichino ed
orientino il più ampio discorso
di fondo.
A mio avviso, la conservazione
ed il potenziamento della lingua
francese alle Valli hanno un senso se rientrano nella ricerca di
una più complessa identità culturale, di cui la lingua francese
non è che una componente. Ciò
per evitare facili travisamenti
folkloristici scarsamente motivati, a cui spesso però è dato di assistere anche in zone non molto
distanti dalle Valli. La conoscenza del francese, per un valligiano, non deve costituire unicamente un patrimonio o una patente
internazionalistica (peraltro, da
non sottovalutare; ma allora bisognerebbe allargare l’attenzione
ad altre lingue come l’inglese, il
tedesco, il russo, ecc.), ma uno
strumento utile a ri-deflnire le
« radici » umane e culturali di
ciascuno, aU’interno di una comunità con le sue tradizioni, la
sua storia, i suoi inserimenti più
recenti e via di seguito. Se fosse
solo una questione di internazionalismo o di facilitazione dei rapporti interlinguistici, perché non
puntare su ima sovra-lingua, ad
esempio l’esperanto?
Posto in questa ottica, il discorso mi sembra più articolato
e più impegnativo per tutti, perché globale; riconosce un passato che ha lasciato le sue tracce
ma non vuole rinchiudersi in
esso, bensì guardare alla realtà
di Oggi che va certamente al di
là delle Valli. L’identità nasce
non nella chiusura, nelTisolamento, ma nel confronto aperto con
altre realtà e situazioni.
Le riflessioni fin qui fatte, di
sapore squisitamente pedagogico, non sono prive di una conseguenzialità operativa, di cui voglio dare atto anche agli estensori delle due lettere, come primo contributo all’auspicato costituendo Comitato.
In molte scuole elementari statali della Val Pellice, ormai da
anni, si svolgono settimanalmente alcune ore di « lezione » di
francese, quasi sempre a cura
degli insegnanti, per la loro sensibilità alTargomento. Spesso però si tratta di momenti staccati
dal contesto educativo, con scarsi legami con la rimanente parte
del «programma ». A partire dal
prossimo anno scolastico 1979-80,
a livello sperimentale e sempre
che venga garantito il promesso
appoggio del Centre culturel italo-francese per la formazione dei
docenti, in più sedi si avranno
interventi di formazione linguistica svolti dagli stessi insegnanti di classe (che dovranno seguire un apposito corso di prepa
PRESE di POSIZIONE DELLA « PRO NATURA »
Contro bombardamenti
e spari in montagna
La « Pro Natura » di Torino riprendendo un nostro articolo;
« Si smetta di distruggere la
montagna che ci dà il pane»
(su Eco delle Valli n. 18) ha inviato una lettera al Comandante
SUI CACCIATORI
Gentilissimo Sig. Pastore,
il bravo sig. Peyran in « Cacciatori
non violenti », non dice nulla sulla iniqua sadica e dannosissima, per l'agricoltura, caccia agli uccelli. Se ve ne
fossero a sufficienza e fossero anche
rispettati gli utilissimi passeri (danno
il 35% e utile il 65 per cento) non
sarebbe necessario avvelenare tutto
con gli antiparassitari.
Non tiene conto delle orde di cacciatori cittadini ohe tutto distruggono.
In quanto alle marmotte, degli studi
fatti in U.S.A., hanno dimostrato che
queste si nutrono esclusivamente di
erbe nocive agli animali da pascolo.
Il discorso sarebbe lungo, ma credo
ohe l’amore alla bella creazione di Dio
che è quella che ci fa vivere illumini
sulla via giusta noi tutti.
Cordiali saluti.
Elena Maurin, Genova
militare della regione nord-ovest,
ai giornali e agli Enti Locali in
cui si condannano «le manovre
di carattere militare in territorio montano ». La lettera, corredata da fotocopie del nostro articolo, tra l’altro afferma: «La
nostra associazione, che ha più
volte e pubblicamente invitato gli
enti pubblici e lo stesso governo
a incrementare la spesa pubblica a favore dell’agricoltura in
montagna, non può accettare
per scontato il concetto di servitù militari di territori che si
sta tentando di rivalutare e tutelare variamente: proposte di
recupero dei territori abbandonati mediante coltivazioni di erbe officinali, creazione di parchi
naturali. Grande Traversata delle Alpi, tutela del patrimonio
culturale sotto qualsiasi forma,
protezione della fauna e della
flora». Ci auguriamo che questa
nuova azione serva veramente a
far smettere le pericolose attività di esercitazioni militari che
danneggiano il territorio e le popolazioni montane. In particolare le zone interessate sono Rorà, Villar Pellice, Bobbio Pellice e Bagnolo Piemonte in cui
si svolgono periodicamente manovre militari.
Ora si attende una risposta,
razione metodologica) a carattere intensivo. In altre parole, anziché avere la « lezione » per
due volte alla settimana, risultata troppo pesante, frammentata
e poco proficua, si terranno brevi interventi di 20-30 minuti giornalieri (per 3-4 giorni alla settimana), in modo da avere una serie di stimolazioni brevi ed intense, ma ad intervalli ravvicinati, seguendo le ormai collaudate
linee metodologiche relative alTinsegnamento della seconda lingua.
In questo modo, inserendo lo
insegnamento del francese nel
vivo del tessuto delle attività scolastiche giornaliere e sotto la
guida dell’insegnante che normalmente segue il ragazzo, si potrebbe arrivare a quel più ampio recupero dell’ambiente e del « locale », di cui la scuola — seguendo il dettato costituzionale e gli
orientamenti regionali — dovrebbe sapersi far carico per evitare
l’anonimato e lo sradicamento.
Questo è il progetto operativo a
cui molti insegnanti e genitori
della Val Pellice hanno dato il
loro assenso e che ci si augura
dì poter realizzare nel modo migliore possibile, secondo le intenzionalità di partenza.
A conclusione, vorrei fare cenno ad un’attività di cui si è fatto
promotore il Distretto scolastico
n. 43 « Val Pellice », come programma per il 1979-80: una ricerca nelTambiente scolastico della
« cultura » valligiana e la creazione di una « banca delle informazioni» a cui tutti gli operatori
possano attingere per la loro documentazione. Anche in questo
caso, si tratta di im impegno notevole che, se ben condotto, potrebbe andare a vantaggio di
quella definizione di identità di
cui si parlava e in cui rientra,
a buon diritto, anche il francese
delle Valli.
Roberto Eynard
occasione però di sentirle, di
fantasticare almeno per un’ora,
è stata offerta a quanti credono
nel valore della favola da Gianni Rodari,^ che è stato tre giorni in Val Pellice con i ragazzi
dei soggiorni di vacanza di Bricherasio, Luserna S. Giovanni,
Torre Pellice e al parco della
Flissia di Villar, su invito della Comunità Montana, nell’ambito del programma per Tanno
del bambino.
Moltissimi conoscono Rodari
come scrittore di filastrocche,
racconti, favole per bambini.
Pochi conoscono però Rodari
come narratore, creatore talora
li per lì di inedite favole che
non hanno spesso una fine, ma
che ne possono avere tante, almeno una per ognuno di quelli
che lo stanno ad ascoltare. E
tutti coloro che vengono agli incontri, grandi e piccoli, magari
un po’ titubanti, lo ascoltano.
Anche quel centinaio di persone nel parco della Flissia; bambinj, genitori, nonni, giovani, seguono tutti seduti in un grande
cerchio la favola delle mucche
di Giaveno che producono latte
color arcobaleno... Rodari a
tratti si alza, poi si risiede, si
gira di qua e di là... Qgni tanto
un bambino, ormai entrato nel
vivo del racconto, suggerisce ad
alta voce una possibile continuazione, offrendo un nuovo
spunto al narratore. Poi Rodari tace. La favola finisce e non
finisce. Chi vuol trovare un seguito? Tutti sono invitati a fantasticare e a raccontare. Alcuni
provano a continuare la favola:
sono bambini che sperimentano mirabilmente l’arte difficile
del creare e del tenere vivo quel
filo fantastico che avvolge i presenti, ma sono anche adulti che,
per un attimo, ritrovano il piacevole gusto del lasciarsi andare. Altri non provano: forse preferiscono tenere per sé il seguito della storia che hanno inventato... Infine anche il momento
magico che ha tenuto insieme
nei soggiorni di vacanza e nel
parco di Villar Pellice Rodari,
barnbini, genitori, nonni, animatori, insegnanti, amministratori..., in una grande festa di fantasia, di giochi, di canti e di
suoni, svanisce. SvcUiisce però
nella, certezza comune di una
positiva esperienza creativa di
stare insieme. Un momento fantastico da ripetere.
Marco Armand Hugon
^ di G. Rodari ricordiamo alcune
opere : « Filastrocche in cielo e in terra » (1960), «Favole al telefono»
(1962), « Il libro degli errori » (1964);
« La torta in cielo » (1966); « I viaggi di Giovannino Perdigiorno » (1973);
« Grammatica della fantasia » (1973);
« C’era due volte il barone Lamberto »
(1978).
che speriamo non tardi, da parte dell’autorità militare.
UN POLIGONO DI TIRO
Sempre sulTargomento della
rivalutazione e della salva^ardia della montagna, proprio in
questi giorni, la «Pro Natura»
di Torino ha inviato una presa
di posizione agli Enti Locali contro la nuova iniziativa, voluta
dai cacciatori, di creare a Rodoretto (in località Olot) un poligono di tiro. «Ora in montagna
— afferma la "Pro Natura” —
c’è proprio di tutto; immondizie fumanti lungo strade e torrenti, gare automobilistiche, disboscamenti, speculazione edilizia (...) ed ora, finalmente il
poligono di tiro: non è così che
si aiuta la montagna». Il comunicato così conclude: « Invitiamo i pubblici amministratori a
ben valutare l’opportunità e convenienza ad autorizzare i’apertura del campo di tiro che potrebbe anche trasformarsi in palestra di esercitazione para-militare, ed ancora invitiamo a non
più concedere per il futuro Tautorizzazione per l’annuale « trofeo dei rododendri» che altro
non è che una marcia con rumorosa e carnevalesca sparacchiatura finale».
DALLE VALLI CHISONE E GERMANASCA
Agricoltori in Svizzera
Quanta agricoltori delle Valli
Chisone e Germanasca hanno
compiuto martedì scorso un
viaggio di aggiornamento in
Svizzera, organizzato dalla Comunità Montana.
Accompagnati dal Presidente
Dr. Eugenio Maccari e dal Dr.
Giancarlo Bounous che dirige il
Servizio Agricolo di Comunità,
gli agricoltori hanno visitato nel
Vallese, a Bruson, un centro
sperimentale di coltivazione di
piccoli frutti: lamponi, mirtilli,
ribes, uva spina, fragole.
Il centro svizzero, guidato dal
signor Teretat, fa parte dell’attività agricola svolta dal Governo Federale Elvetico, con una
quindicina di centri in tutta la
Svizzera.
Gli agricoltori, in maggioranza coltivatori di piccoli frutti,
sono stati interessati dai metodi di coltivazione e dalle cose
dette dal tecnico svizzero, che
ha illustrato le iniziative ed ha
lungamente spiegato le colture
di lamponi e degli altri piccoli
frutti di Bruson.
Ne è emersa la validità economica di tali coltivazioni che
anche in Svizzera tentano di
ampliare in quanto la produzione svizzera è appena un quinto
di quanto viene venduto nei
mercati delle città svizzere:
quattro quinti (e sono molte
tonnellate), viene importato particolarmente dall’Italia. La validità di tale produzione è già
stata verificata anche nelle Valli Chisone e Germanasca, dove
la Comunità Montana da alcuni
anni incentiva il piantamento e
dove la produzione ha già raggiunto un valore di molti milioni.
Alla visita, che ha riscosso la
unanimità dei consensi e cfi soddisfazione dei partecipanti, erano anche presenti il Consigliere
Provinciale Flavio Coucoiude e
il Vice Presidente Regionale della Confcoltivatori Andrea Coucourde.
8
CRONACA DELLE VALLI
3 agosto 1979
8
POMARETTO - PERORA ARGENTINA
Costituito un
nuovo gruppo donne
INTERVISTA A FILIPPO SGROPPO
Una mostra per capire la
pittura contemporanea
— La mostra di Arte Contemporanea è arrivata alla sua 30‘
edizione. Vorresti dirci come e
perché è nata?
— La mostra è nata in modo
molto semplice. Il prof. Attilio
Jalla, che a quel tempo insegnava storia dell’arte al Liceo di
Torre Pellice mi scrisse se volevo accompagnare un gruppo di
giovani provenienti dalla Francia, dall'Inghilterra e dalTAmerica per far prendere loro contatto con l’arte contemporanea.
Accettai con piacere ma invece
di iniziare un discorso in maniera astratta pensai di raccogliere alcune opere su cui parlare. Radunai perciò rapidamente opere di vari pittori da collezionisti e gallerie (Casorati,
Sironi, Spazzapan, ecc.). In tal
modo parlavo ai giovani e facevo vedere i quadri. Così è nata
la prima mostra che ebbe un
enorme successo. Poi seguì la
seconda, la terza e ora siamo alla trentesima...
All’inizio prevalevano i novecentisti, Tosi, Carrà, De Pisis,
Rosai, tutti pittori figurativi.
Non c’era allora neanche la prospettiva di puntare suU’astratto.
Intanto io mi ero spostato su
convinzioni di natura espressionista e così cominciai a far vedere i colleghi che ama.vo, seguendo, anche con la mia produzione, l’evoluzione del gusto e
delle tendenze più vive. Non c’è
un artista d’importanza nazionale che non sia passato per
Torre Pellice in tutti questi anni.
— Ma in che modo si è potuto
evitare che la mostra fosse un
discorso solò per specialisti, un
« veda chi vuole, capisca chi
può »?
—Nei primi anni della mostra
noi stavamb fino alle due di
notte a parlare di pittura con la
gente che voleva conoscèrla e
capirla e si cercava di supplire
con le parole a quello che invece è riservato all’atto visivo. È
stato ed è necessario rendersi
personalmente disponibili per
questo. Inutile presupporre una
cultura che non c’è; devi fabbricarla, cioè devi stimolare nel visitatore l’ansia, la volontà e il
piacere di vedere. Allora, in questo caso, la realizzazione è maggiore.
— La mostra comprende anche
una tua personale di tempere e
RORA’
Un bel film sui
cavatori e piccapietre
Largo interesse ha suscitato il
filmato realizzato a cura della Regione Piemonte sui cavatori e
piccapietre della Val Luserna,
proiettato nella sala delle attività
della chiesa valdese gremita di
pubblico sabato 28 luglio.
È nel vallone di Luserna infatti che si estrae la ben nota (in
tutto il mondo come ha evidenziato il filmato) pietra di Luserna; cave di gneiss lamellare che
occupano oltre 500 persone, dislocate nei comuni di Luserna,
Bagnolo e Rorà. Tonnellate di
materiale utilizzato come costruzione, mosaico, per ricoprire i
tetti, ecc., per un fatturato annuo di alcuni miliardi di lire. Il
grosso della produzione è nel comime di Bagnolo (75%), mentre
il 20% è sul comune di Luserna
ed il 5% su Rorà.
Dopo una lunga ma interessante presentazione scientifica sulla
formazione e sulla dislocazione
di questi filoni di gneiss nella
zona (sono interessati anche i
comuni di Bobbio Pellice e Villar ma in misura trascurabile),
la capacità di resistenza ecc., il
tutto visibile su diapositive, il filmato a colori (veramente molto
bello e a cui è stato assegnato
il 2° premio in un concorso a
Roma) ha mostrato i vari momenti della coltivazione della
pietra di Luserna, dall’estrazione. alla lavorazione, ai diversi impieghi possibili. Con non poca
meraviglia i rorenghi hanno visto
scorci panoramici della zona
(non è mancato il costume valdese con il locale museo), cavatori intenti nel loro lavoro, canti montanari ed un’intervista con
il più anziano cavatore di Rorà,
Vittorio Tourn (e a cui è stata
consegnata una pergamena ricordo) che ha ricordato come si lavorava nelle cave all’inizio del
secolo.
Una serata ben riuscita e di
grande interesse culturale che ha
saputo (e di questo bisogna darne atto alla Regione Piemonte)
valorizzare questa importante attività estrattiva, realizzando un
pregevole documentario, costruito insieme alla gente del posto..
È augurabile che questo filmato
(già proiettato a Luserna qualche settimana prima), dopo le
varie tappe per cui è impegnato,
possa ritornare per essere a disposizione delle scuole e della
popolazione locale.
e. g.
multigrafle dell’ultimo decennio. È ovviamente il culmine
della tua produzione. Come lo
hai raggiunto?
— Vedi, quando cominciai a
dipingere a Riesi, in Sicilia, non
avevo i mezzi neppure materiali per lavorare, né alcuno che
mi dicesse che cosa dovevo fare.
Credevo che la pittura dovesse
puntare sempre sul fatto classicheggiante, tant’é vero che da
ragazzo copiai un quadro di Antonello da Messina. Ed è già
notevole che mi volgessi verso
questi modelli anziché verso lo
stile liberty e floreale in auge in
quel tempo. Poi man mano che
le mie informazioni aumentavano, mi spostavo verso altre sintesi. I miei paesaggi qui alle
Valli valdesi non nascevano come fatto documentaristico; ciò
che importava erano le risonanze che un paesaggio suscitava
in me esprimendosi in una determinata sintesi. Poi al di là
di questo, ho capito che esistevano sintesi maggiori. Per me è
stato un grande avvenimento
approdare gradualmente alla pittura astratta, mi sono sentito
liberato dal « materialismo » perché bene o male l’oggetto della
pittura - sia una natura morta,
un paesaggio, un ritratto — condiziona sempre la pittura stessa
con la sua materialità. Se invece il quadro nasce dal di dentro, in senso musicale, il linguaggio rimane più puro, più spirituale.
Questo è stato, molto sommariamente il mio itinerario pittorico e ovviamente quest’ultimo
approdo si riflette particolarmente nella produzione di quest’ultimo decennio.
— Qualche rimpianto in questi trent’anni?
— Sì., che non ci sia più possibile tenere la Mostra nel Collegio, dove fu ospitata per vent’anni. In quella sede e con la
concomitanza del Sinodo, gli
amici che venivano da ogni parte d’Italia, nei momenti di pausa visitavano la Mostra .« naturalmente ». Ora, dopo che una
impostazione puramente commerciale data all’ospitalità della Mostra ci ha costretti a trasferirci nella sede attuale, rincresce che la Mostra sia di latto meno a disposizione di tanti
amici per i quali, insieme ad altri, è allestita.
Intervista a cura di
F. Giampiccoli
Hockey nazionale
Il giovane Luca Rostagno di
Torre Pellice, allievo del Collegio, è stato convocato al raduno della squadra Nazionale Allievi di Hockey su ghiaccio che
si terrà ad Asiago, nel corrente
mese di agosto.
Rallegramenti e auguri vivissimi.
L’idea di costituire un nuovo
gruppo a Pomaretto - Porosa Argentina era nata l’anno precedente quando avevamo deciso
di ritrovarci, come donne evangeliche che vivono sul territorio della Comunità Montana
Valli Chisone e Germanasca,
per prendere posizione riguardo all’istituzione dei Consultori familiari.
Il nuovo gruppo di una quindicina di donne (soprattutto
operaie, casalinghe, insegnanti)
si è ritrovato una volta al mese, da novembre a giugno, con
lo scopo di analizzare la condizione di noi donne alla luce della parola di Dio e di scambiare
le proprie esperienze.
La più grande difficoltà che
si è presentata per i nostri incontri è stata quella della scelta di un giorno accessibile a
tutte a causa dei turni delle
operaie o dei mariti a cui lasciare in custodia i figli.
Fino a febbraio si è lavorato
in poche (7-8 persone), in modo particolare per elaborare e
distribuire un questionario a
tutte le donne della Comunità
per invitarle a partecipare a
questo gruppo di lavoro per
una crescita comune.
Da febbraio a giugno siamo
state una quindicina (evangeliche e cattoliche) ed i nostri incontri sono stati articolati in
tre diversi momenti:
1. - Studi biblici su « Gesù e
le donne attraverso i quattro
Evangeli ».
Il lavoro è stato iniziato da
poco ed ha preso in esame:
— le donne più o meno anonime che seguivano Gesù,
— Anna la profetessa,
— la guarigione della suocera
di Pietro,
— la donna che versa profumo
su Gesù,
— Gesù e la Samaritana (appena abbozzato).
2. - Ricerca sulle «donne qui,
nel passato », basandoci sul libro di Teofllo Pons : « Vita montanara e folclore nelle Valli vaidesi » ed infine intervista ad
una decina di donne (che erano state contadine ed operaie)
presso il Centro d’incontro di
Pomaretto. Questo è stato latto per analizzare meglio i nostri problemi, come introduzione al nostro lavoro e punto di
partenza del gruppo.
3. - Seguire il lavoro del Consultorio familiare creato da poco nella Comunità montana.
Non sono mancati i rapporti
con altri gruppi:
— abbiamo lavorato ogni tanto
con il gruppo UCDG; una
proposta per il futuro è di
continuare ad incontrarci regolarmente ;
— abbiamo avuto contatti con
altri due gruppi femminili,
con essi si è organizzato un
« coordinamento » regolare,
in modo particolare per decidere in merito alla presenza di alcune di noi alla « previsita» ginecologica del Consultorio. Ora questo «coor
dinamento » sta sfociando
nella Consulta femminile per
il Consultorio familiare, organizzata ultimamente dalla
Comunità montana dove come FDEI (Federazione donne evangeliche) abbiamo tre
rappresentanti.
Il suggerimento per la ripresa
del nostro lavoro dopo la pausa estiva è che ognuna analizzi il proprio lavoro (difficoltà, rapporti con gli altri...).
Un’altra proposta è stata
quella di fare incontri in casa
di alcune di noi (se sarà possibile) per invitare donne del proprio quartiere ai nostri incontri.
Per il gruppo donne:
Marie-France, Piera, Anita
AVVISI ECONOMICI
TORRE PELLICE (Appiotti) vendesi
appartamento 3 camere e servizio,
cantina. Rivolgersi; Tomasini Oscar
(Via Pralafera, 2) dopo le ore 18.
ACQUISTO per Biblioteca teologica
americana esemplari completi della
Bibbia francese di Olivetano (1535)
e della Bibbia del Diodati (ed. 1607
e 1641), nonché edizioni originali
della Storia dei Valdesi del Perrin,
Gilles, Morland, Léger, Allix. Scrivere a M. Bridges 22 Rue des Peupliers - 1205 Ginevra (Svizzera).
LTSTITUTO GOULD, via Serragli, 49
50124 Firenze, per accrescimento
attività assume giovane con preparazione pedagogica-educativa, disponibile lavoro convitto in contesto
comunitario. Stipendio, vitto, alloggio ed assicurazioni di legge.
FAMIGLIA evangelica di tre persone
anziane cerca in affitto appartamento di 4 locali più servizi, in località
riviera ligure. Scrivere a Maria Paganini - Vicolo Polluce, 2 - 26100
Cremona.
« Sii fedele sino alla morte e io
ti darò la corona di vita »
(Apocalisse 2: 10)
Il Signore ha chiamato presso di Sé
Vera Varese
lo annunciano con profondo dolore coloro ai quali dedicò amore e dedizione materna : Mercedes con il marito
Helios Querci, Liliana con il marito
Ing. Luigi Innocenti, Roberto con la
moglie Gabriella Ballatore, il fratello
Guido con Jonny e Willy, la cognata
Ade Gardiol, la figlioccia Elia, cugini
e parenti tutti.
Un ringraziamento particolare al
Dott. Enrico Gardiol e personale tutto
deir Asilo Valdese di San Giovanni.
Luserna San Giovanni, 27 luglio 1979
SERVIZIO MEDICO
Comuni di ANGROGNA - TORRE
PELLICE - LUSERNA S. GIOVANNI
- LUSERNETTA - RORA'
Dal 4 al 10 agosto
Dott. SALVATORE PRAVATA'
Tel. 90182 ______________
FARMACIE DI TURNO
festivo e notturno
Domenica 5 agosto
FARMACIA MUSTON
(Dr. Manassero)
Via della Repubblica, 25 - 91.328
Martedì 7 agosto
FARMACIA INTERNAZIONALE
(Dr. Imberti)
Via Arnaud, 5 - Tel. 91.374
Domenica 5 agosto
FARMACIA Dott. PRETI
( Dott .ssa Gaietto)
Via Inversegni - Tel. 90060
Luserna Alta______________
AUTOAMBULANZA
Torre Pellice : Tel. 90118 * 91.273
Croce verde di Porte tei. 74197
VIGILI DEL FUOCO
Torre Pellice : Tel. 91.365 "91.300
Luserna S. G. Tel. 90.884 - 90.205
La nostra amata Ina non c’è più,
Cece, Liliana e Roberto la ricorderanno sempre con infinito amore.
Milano, 27 luglio 1979.
« Tu sei la mia fiducia fin dalla
mia fanciullezza ».
(Salmo 71)
Dando un’ultima testimonianza della sua fede in Cristo è spirata serenamente
Augusta (Tiny) Meille
ved. del pastore Alberto Fuhrmann
Ne danno Tannuncio con infinita
tristezza, ma riconoscenti per il bene
ricevuto: la nuora Jolanda, tutti i nipoti e parenti.
I funerali hanno avuto luogo venerdì 27 luglio 1979 a Mendrisio.
Via Maggi, Mendrisio (Ticino).
Non fiori ma eventuali offerte da
devolvere alla casa di riposo il Gignoro
a Firenze per l’erigenda infermeria.
II Signore ha richiamato a Sé, dopo
breve malattia
Alessandro Maurino
Ne danno il triste annuncio: la moglie Costantin Letizia, la figlia Simona
ved. Coucourde eoi figli e famiglia, la
sorella, la cognata, zio, nipoti, cugini
e parenti tutti.
« Vegliate dunque perché non
sapete né il giorno né l ora »
(Matteo 25: 13)
I familiari della compianta
Alice Gerire Bert
commossi e riconoscenti per la dimostrazione di affetto e di simpatia, ringraziano vivamente quanti hanno preso parte al loro dolore. Un grazie particolare al pastore Cipriano Toum e
al prof. Varese.
Pomaretto, 13 luglio 1979
« Si, o Padre, perché cosi fi
è piacuto» (Luca 10: 21).
9
3 agosto 1979
CRONACA DELLE VALLI
____________A COLLOQUIO CON LUIGI PONS, MANIGLIA
Da cinquanfanni nel Concistoro
MASSELLO
Abbiamo già dato notizia, sull’Eco-Luce delle passate settimane, che il 24 giugno è stato
festeggiato l’Anziano Luigi Pons
della Baissa che da cinquanta
anni è nel Concistoro di Perrero-Maniglia. Non è un fatto di
tutti i giorni vedere un ministero laico durare tanto nel tempo, ed è cosa tanto più importante notare questo fatto proprio in questi tempi in cui in
Sinodo, stimolati dalla necessità di approvare i regolamenti, si
discute se un ministero, che riconosce una vocazione di Dio,
possa essere a termine o non
debba essere considerato valido
per tutta la vita. Ho voluto fare
qualche domanda a Luigi Pons
e la prima è stata naturalmente che mi raccontasse qualcosa
di quando fu eletto per la prima volta.
— È stato nel giugno del 1929,
era pastore' Luigi Micol, e fui
eletto durante una riunione del
quartiere che comprendeva le
borgate di Baissa, Serre e Plancia, di fatto, poi, mi sono dovuto occupare per molti anni anche delle borgate del Lorenzo,
del Saretto e del Clot da Zors,
perché non si riusciva a trovare nessuno che volesse fare l’anziano di quel quartiere. Succedevo nella carica di anziano a
mio padre, che era stato anziano anche lui per molti anni: si
trattava di quartieri ancora molto popolati, vi erano almeno 80
persone, laddove adesso ce ne
sono meno di una ventina.
— Quali sono stati — gli domando — i momenti più lieti e
quelli menò lieti, durante questi cinquanfanni?
— I momenti più tragici sono
stati certamente quelli della
guerra: il quartiere fu tutto bruciato dai tedeschi, per rappresaglia. Allora ci si diede da fare
per aiutare, quelli che avevano
perso la casoi: diverse persone
dovettero dormire nella chiesa,
ad altri diedi una mano a rifare la casa. I momenti più lieti
che ricordo sono invece i festeggiamenti del 17 febbraio: era
una festa piena di gioia.
— Che cos’è cambiato, nella
vita della chiesa?
— Nel 1929, quando fui eletto,
Maniglia era certo più importante di Ferrerò. C’era più gente; ma oggi l’emigrazione ha
portato via la gente e piano piano Maniglia è rimasta solo l’ombra di quello che era un tempo.
Ma tolto questo, nella vita della
chiesa non mi pare di poter dire che sia cambiato molto. Certo, i culti erano più frequentati;
ma la percentuale dei partecipanti era forse più bassa di
adesso. Ricordo che una volta
il pastore Peyronel salì per il
culto e trovò solo dieci persone
in chiesa: se ne andò dicendo
che lui non voleva predicare ai
banchi.
Lo voglio provocare: ...e il ’68?
il dibattito, fede-politica?
— È passato tutto al di sopra
della testa della gente. Ora si
può dire che la predicazione dei
pastori è un po’ cambiata: mentre un tempo si fermava alla
Bibbia, oggi nei sermoni si toccano molti altri argomenti. E
questo mi sembra che sia un
bene perché si allargano le vedute della gente, sono più istruttivi. Rimane però un fatto: nelle riunioni quartierali, dove si
BORA’
Inaugurata la casa del maestro, ristrutturata con l’aiuto dei
fratelli dell’Evangelischer Verband di Ffancoforte. Il Signor
Strasheim ed il past. Weissinger hanno rivolto dei messaggi
alla comunità rallegrandosi con
noi per questa cosa che permetterà incontri e conoscenze recL
proche sempre preziose.
Era con noi anche il presidente del Diakonisches Werk, il pastore Gasche.
Il vicemoderatore, past. Taccia ha tenuto la predicazione e
rivolto parole di apprezzamento
a nome della Tavola.
• Ricordiamo il culto all’aperto (al Eric) domenica 5 agosto
alle ore 10.30. Nel primo pomeriggio apertura del bazar della
comunità (con sempre più rari
oggetti di artigianato locale!).
Un cordiale invito a tutti.
toccano argomenti di attualità,
la gente non ama discutere, non
se ne sente alValfezza. Lo stesso vale per le assemblee di chiesa: oggi come ieri le assemblee
sono disertate.
Paolo Ribet
_____________PRAMOLLO
Domenica 15 luglio è stato
battezzato il piccolo Diego Long
di Enzo e Olga Baret. Domandiamo al Signore di farlo crescere nella Sua grazia.
Domenica 15 luglio, nel corso
del culto, è stato battezzàto
Diego, di Olga e Enzo Long
(Ciotti) ai quali esprimiamo il
sincero augurio di saperlo educare nella fede e hell’amore per
il Signore.
• Con sommo piacere abbiamo
partecipato, sabato 21 luglio, alla indiménticabile serata offertaci dai Sounaires, gruppo occitano che ci ha presenta,to il suo
vasto e ricco repertorio di canti, musiche e danze, dimostrando una bravura ed un entusiasmo eccezionali, che ci hanno
colpiti e di cui li ringraziamo.
• Il culto di domenica 29 luglio è stato presieduto dal pastore A. Bertolino che la comunità tutta ringrazia vivamente
per il messaggio rivoltoci. .
Scuola media
del Collegio
Dal 29 luglio al 5 agosto gli
studenti della scuola media del
Collegio Valdese espongono, nei
lodali!.4élI’lstituto, ì lavori su ceramica, di ricerca e di disegno
eseguiti durante l’anno scolastico. Orario: 16,30-18,30. Ingresso
libero. Tutti sono cordialmente
invitati.
Amici del Rifugio
Ricordiamo agli Amici del Rifugio Carlo Allerto di Lusema
S. Giovanni il consueto incontro con gli ospiti della Casa per
la domenica 5 agosto alle ore
14.30.
Ricordiamo che domenica alle ore 14,30 presso la sala del
Reynaud si terrà il Bazar a favore della scuola di Grangia
Aidile.
SAN SECONDO
• Madame Jean Balmas dei
Brusiti ha avuto il dolore di
perdere sua sorella stroncata in
Svizzera da una fulminea malattia. Le esprimiamo il nostro
affetto e la nostra solidarietà.
• È nato Paolo Borno, il terzogenito di Albertino e di Giovanna Getterò (Prese).
Ci rallegriamo con i genitori
ed i fratelli maggiori ed esprimiamo loro il nostro augurio.
POMARETTO
Due- lutti hanno colpito la comunità nella seconda settimana
del mese: il 12 luglio si sono
svolti i funerali del fratello Maurino Alessandro, di armi 74, deceduto presso l’Ospedale valdese di Pomaretto; il 13 luglio si
sono svolti i funerali della sorella Genre Bert Alice, di anni
61, anch’essa deceduta presso
l’Ospedale valdese di Pomaretto.
Alle famiglie colpite dal lutto
tutta la simpatia cristiana della comunità.
• Nelle domeniche 1” e 8 luglio
i culti sono stati tenuti dal pastore emerito Coisson Lamy. I
ringraziamenti da parte della comunità tutta.
PERRERO-MANIGLIA
RODORETTO
In queste due settimane abbiamo detto addio a due nostri
fratelli che sono mancati: Abele Poet, di Grangette, e Enrico
Pons. Il primo è mancato all’Ospedale di Pomaretto in seguito ad una grave malattia,
mentre il secondo si è spento
all’Asilo di S. Germano, dove
era ricoverato da diversi armi.
Le due comunità hanno dimostrato, partecipando ai funerali
in gran numero di persone, la
simpatia e l’affetto per le famiglie colpite dal lutto.
SAN GERMANO
Per una inspìegabile dimenticanza abbiamo omesso di ricordare, ultimamente, il fratello
Giovanni Balma « Gianot» dei
Ciampetti, che ci ha lasciati dopo molte sofferenze.
Cogliamo questa occasione per
rinnovare alla vedova ed a tutta la famiglia l’espressione della nostra sincera partecipazione a questo lutto.
• Sabato 14 luglio ha avuto
luogo il matrimonio di Alee
Rivoira e Silvia Bounous.
Auguriamo a questi giovani
sposi una vita in comime in cui
tutto possa avere il suo punto
di riferimento nel Signore.
• Domenica 29 luglio si uniranno in matrimonio Enrico
Peyronel e Maria Grangetto.
Anche a loro giimga sin d’ora
il nostro fraterno augurio.
• Il pastore Arnaldo Genre assicurerà sino al 28 luglio il servizio urgente.
Alla Casa di Riposo i culti del
20 e 27 corr. saranno tenuti dai
pastori,Genre e Pons.
Ringraziamo di cuore questi
colleghi.
• Per alcuni giorni sono stati in
mezzo a noi tre tahitiani, di cui
uno Noël Taea, anziano della
chiesa evangelica della Polinesia
francese. Li abbiamo, visti con
gioia partecipare al culto. Il loro
soggiorno troppo breve ci ha impedito di far loro incontrare la
comunità anche in altre occasioni.
Altra visita quella del pastore
francese Thierry Benotmane.
Questo collega lavora attualmente in Svizzera, a La Chaux de
Fond, ma desidererebbe tra un
anno, svolgere il suo ministero
nell’ambito della Chiesa Valdese
e, se possibile, alle Valli. Abbiamo cercato di fargli conoscere
alcuni aspetti della vita della n<>
stra chiesa, nell’attesa di un più
ampio suo contatto con i problemi italo-valdesi. Comunque, le
sue prime impressioni sembrano
essere state positive.
• Abbiamo già ricevuto un primo preventivo per i lavori di restauro dell’organo, ma stiamo
studiando una migliore messa a
punto dei particolari di tali lavori. Cogliamo questa occasione
per ringraziare quanti continuano a versare doni in vista di questa grossa spesa!
Ìì:
%■
%
Doni per i terremotati
jugoslavi (FCEI)
Primo elenco dei contributi pervenuti
alla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia ed inviati al Consiglio
Ecumenico delle Chiese per il suo
progetto a favore delle vittime del
terremoto in Jugoslavia.
Chiese Battiste: Ariccia 57.000; Bari 20.000; Cagliari 80.000; Catania 60
mila; Chiavari 100.000; Ferrara 51.500;
Lentini 200.500; Matera 106.000; Miglionico 30.000; Mottoia 63.150; Napoli 10
mila; Pordenone 305.000; Roma (Garbatella) 120.000; Roma (Teatro Valle) 50
mila; Roma (Trastevere) 117.100; S. Angelo in Villa 70.000; S. Marzano di
Salerno 20.000; Susa 100.000; VareseC aravate 25.000.
Chiese Metodiste; Casertano 20.000;
Firenze 69.500; Intra 20.000; La Spezia
63.000; Luino 23.000; Milano 292.000;
Omegna 10.035; Padova 30.000; Parma
222.000; Palombaro-Pescara 50.000; Piacenza 79.000; Portici (Casa Materna) 20
mila; Roma 241.700; Scicli 20.000; Vercelli 19.515; Vicenza 50.000; Villa San
Sebastiano 30.000; Vintebbio 15.450.
Chiese Valdesi: Angrogna (Festa Corali) 100.000; Aosta 60.000; Bergamo
600.000; Berialda 9.500; Brindisi 8.900;
Coivano 21.500; Campobasso 96.000; Catania 14.000; Chivasso Torrazzo 50.000;
Cosenza 41.000; Dipignano 34.000; Grottaglie 26.100; Ivrea e D.ra Canavesano
200.000; Livorno 60.650; Messina 47.500;
Milano 114.50; Palermo 90.000; Pescolanciano 10.000; Reggio Calabria
53.500: Riesi 40.000; Roma (Piazza Cavour) 100.000; Roma (IV Novembre)
200.000; S. Germano Chisone 50.000;
Sanremo e Alassio 50.000; Susa 130
mila: Taranto 33.500; Torre PelMce 204
mila; Torre Pellice (Precatechismo e
Scuola Domenicale) 126.600; Venezia
(metodisti e valdesi) 127.000.
Esercito della Salvezza (da offerte
varie) 246.700.
Missione Evangelica ADI (Casavatore): 50.000.
Individuali: jA.B. (Roma) 50.000; Antonini L. (Milano) 15.000; Ambus Roberti I. (Roma) 5.000; Avernia G. (Sessa Cilento) 5.000; Boccarrato M. (Roma)
10.000; Gavina G. (Milano) 20.000; Cesato D. e D. (To.) 20.000; CaccavieMo
R. (Napoli) 20.000; Chiapparino M. (Ba
(Messina) 2.000; Chiapparino M. (Bari) 10.000; Comba G. e K. (Torre Pellice) 50.000; Dradi R. (Rivoltella sul
Garda) 20.000; Fogliati F. (Boglietto)
40.000; Fritz__GriM_,P. (Messina) 2hQQ;
Gallo G.*é AmicTTSTMarzàno sul Sarno) 70.000; Giovinozzo P. (Cittanova)
10.000; GuHone D. (Olttanova) 5.000;
Innocenti A. (S. Giovanni Valdarno) 15
mila; Istituto Nostra Signora (Pescara)
85.000; Minniti E. (Messina) 3.000; Movimento Testimonianza Valdese (Torre
Pellice) 27.000; P. Via Libia (Bologna)
10.000; Pillerà T. (Messina) 3.000; Santoro L. e S. (Messina) 10.000; Santoro T. (Messina) 3.000; Scibeila G.
(Palermo) 25.000; Scuratti V. (Milano)
10.000; Tomasetta E. e T. (Napoli)
100.000.
Federazione (da Fondo Speciale) :
370.560.
Totale: L. 6.870.960.
Pervenute fino al 30 giugno 1979.
Doni CIOV
PER RIFUGIO RE CARLO ALBERTO
L. 10.000: Famiglia Abruzzese (Roma).
L. 20.000: Pastore Silvio Long (VIganeilo - Svizzera).
L. 30.000: L. Pennington de Jongh
(Roma).
L. 67.829: Unione Femminile Valdese di Parigi.
L. 5.000: Benedetto Olga, in mem.
dei suoi cari (Angrogna Ciabas).
L. 10.000: Jon Scotta Maria.
L. 20.000: Giraud Miranda (Pinerolo);
Lupo Lily; Long Maria (ospite della
Casa); Unione Femminile Valdese della Chiesa di Frali.
L. 25.000: Moretti Anna (Brescia) ;
Platzer Elide (Milano).
L. 30.000: Pro Villar Pellice, in mem.
di Galofaro Carmelo.
L. 50.000: Chiesa Evangelica Valdese di Aosta.
L. 100.000: I figli, in mem. di Benech Amandina.
L. 130.000: Studenti della Pra del
Torno, per seggiola a ruote.
$ 100: Marauda Clementina, in memoria di Coisson Lidia e Jean Odin,
per seggiola a ruote.
PER ASILO DEI VECCHI S. GERMANO
In memoria di Renato Vola; L.
120.000 i vicini di casa; L. 30.000 sorelle Allasino; L. 20.000 famiglia BossCf; L. 10.000 Paimira Micol; L. 25.000
famiglia Mandrino; L. 25.000 famiglia
Marchese (Pinerolo).
L. 25.000: Gianni e Rosy Gay, in
mem. di Luigi Serafino (Pinerolo).
L. 193.236: Unione Femminile della
Chiesa Evangelica di Lingua Italiana
(Zurigo).
PER OSPEDALE DI TORRE PELLICE
L. 10.000: Famiglia Abruzzese (Roma); Lisa Angelo (Torre Pellice).
L. 25.000: N. N.
L. 20.000: La famiglia, in mem. del
caro Malan Stefano (Luserna S. Giov.).
L. 25.000: Famiglia Durand, in mem.
di Renato Vola (Pinerolo).
L. 30.000: Pierpaolo Dema, in memoria della mamma (Torre Pellice).
L. 75.000: La sorella, fratelli e nipoti Davit, In memoria di Davit Margherita Alma ved. Dema (Torre Pellice) .
L. 79.000: Un gruppo di amici in ricordo della mamma di Pierpaolo Dema (Torre Pellice).
PER OSPEDALE DI POMARETTO
L. 5.000: Leger Elida ved. Pons, ih
mem. di Garro Beniamino (Pinerolo);
Paolasso Vito (Pinasca).
L. 7.000: Peyronel Emilio (Riclaretto).
L. 10.000: Ines, Renata, Edoardo, in
mem. di Carro Beniamino (Pinerolo);
Bouchard Emma (S. Germano Chisone); La sorella, in mem. di Eli Reynaud (S. Germano Chisone); Siati Antonio (Pinerolo) ; Heritier Ruggero
(Roure): Bernardi Lucia (Perosa Argentina); Talmon Albino (Perosa Argentina); Il padrino Comba Ermanno, in occasione della Confermazione di Comba Silvana (S. Germano Chisone); Zio
Giovanni, zia Emma e Claudio Giraud,
in occasione della Confermazione di
Franco Bouchard (S. Germano Chisone);
Nadia Blanc, un fiore in mem. di Barba Eli dei Ciasal (S. Germano Chis ).
L. 15.000: Breusa Giulia, in mem.
di Poetto Rosa (Pomaretto); Tron Pascal Maria Luisa (Pomaretto); Bouchard Elme (S. Germano Chisone).
L. 20.000: Peyret Cesare (Perosa
Argentina); Enrichetta Bouchard, in
mem, della mamma Gilles Jenny (San
Germano Chisone).
L. 25.000: Long Florence, in mem.
del marito Mensa Lorenzo (Inverso
Pinasca);. Fam. Villa Pietro e Aniceta
(Villar Perosa); Fam. Breuza, I nipoti in mem. della nonna Poetto Rosa
(Pomaretto).
L. 30.000: Long Alessandrina (Frali); Fam. Peyrot Giovanni, in mem.
di Grill Onorato (Frali).
L. 40.000: Cognate, cognati e Secondo Rostagno, in mem. di Eli Reinaud (S. Germano Chisone) ; Le sorelle Ughetto, In memoria del carissimo fratello Paimiro (Villar Perosa);
Bonino Benedetta (Pomaretto).
L. 5O.Ò0O: Giacomino Alessandro
(Ferrerò); In memoria di Eli Reynaud:
ia moglie (S. Germano Chisone), I nipoti Guido, Giaurri, Oriana, Italo ed
Enrico (S. Germano Chisone).
Sig. Mariella: donata una carrozzella
(S. Germano Chisone).
Doni per l’Asifo
di Luserna S. Giovanni
Doni per il fondo di solidarietà (1° semestre 1979):
L. 5.000: Visentini Maria (2 versamenti); Tourn Attilia; Reynaud Lea (2 versamenti); Decker Mariuccia; Trombetto
Ivana; Mourglia Isabel; N. N.
L. 10.000: N. N.; Peyrot dr. Gianni
(2 versamenti); Chauvie Elena; Alilo
Ivonne; N. N., in memoria di Quara Carla; Bertin Stefano (2 versamenti); G.
W. B.; Reynaud Lea; Pons .Olga.
L. 14.000: Jalla Ottavia.
L. 15.000; De Paoli Raffaele (2 versamenti).
L. 20.000; BeMIon Matilde.
L. 47.500: Unione Femminile di Prali.
L. 50.000; N. N. (Bibiana); N.N.; Aibarin Arturo; Pons Rivoir Maria.
L. 100.000: Bellora Luisette e Alberto
in memoria del padre.
L. 300.000: N. N.
L. 650.000: N. N.
L. 1.000.000: N. N.
Doni per Nuova Costruzione pervenuti
nel mese di giugno 1979;
L. 990.000: Marangoni Caterina (Svizzera) .
l. 500.000; Gay Aldo (Torre Pellice).
L. 100.000: Iolanda Rivolro Pellegrini,
in ricordo def mio caro papà (Torino);
Martinat Eglantina, in mem. delia sorella Paimira (osp. Asilo); Chiesa dei
Fratelli (Torre Pedice); Cacciatore Emanuele (Roma).
L. 50.000: Unione Femminile di Villasecca; Malan Maddalena (osp. Asilo);
In mem. di Ines Cornelio, le sorelle
(Torre Pedice); Yofer e Laura Lodi.
L. 43.500: Il personale ded'Asilò, in
mem. della mamma di Lelia Chauvie
Malan.
L. 30.000: Pastore-Bertot Irene (Roma); Pons Rivoir Maria, in mem. del
marito (osp. Asilo).
L. 25.000: Gustavo e Laura Bertin, in
mem. di Avondetto ing. Ferruccio.
L. 20.0Q0; Ettore e Itala Beux, in memoria di Margherita Balmas Beux (Torino) ; Ispodamia Bruno, in mem.- del
padre Carlo (Genova); Apiceda Lidia
(Leuman); Apiceda Vittorio (Codegno);
Malanot Pedegrin Ernestina, in mem.
del marito Cesare e fratèlli Luigi e
Alfieri (Torre Pedice); L. M.; Bufalo
Miletto Fede (Condove).
L. 10.000: Stecchetti Vittoria (Genova); Silvio e Mirella Tourn, in mem. di
Naomi Dalmas in Beux; In mem. di
Osvaldo Ricca, la moglie; Lapisa Elsa,
in mem. della mamma Chiavia Nancy;
Poet dr. Luigi (Pinerolo); Chiesa Lucia,
in mem. della sig.ra Vera Creste.
L. 5.000: Reynaud Lea (osp. Asilo);
Coniugi Santanastasio (Torino).
Doni raccolti
dalla FDEI
Elenco delle offerte pervenute per istituti per minori (Uliveto, Casa Materna e Ist. Taylor) in occasione della
« giornata mondiale di preghiera »
1979.
Bologna 54.000; Firenze 70.000; Ili'
Circuito 81.850; Roma 217.000; Milano
150.000; Taranto e Mottoia 30.750; I e
Il Circuito 225.000; Trieste 160.000;
Napoli 79.000; Scioll 16.000; Padova
80.000; Pordenone 70.000; Palombaro
Pescara e diaspora 70.000; Ivrea 22.000;
Omegna 54.000; Torino 45.000; Campobasso 22.500; Salerno 13.000; Palermo
26.00; Livorno 30.000; Genova 75.000;
La Spezia 53.000; Savona 30.000; Catanzaro 30.000; Matera 50.000; Parma
20.000; Como 60.000; RiminI 7.500; Villa S. Sebastiano 30.00; Cremona
62.500; Vercelli 50.000; Q.G.N. Esercito
della Salvezza 137.450; Vicenza 50.000;
Reggio Calabria 30.000.
Tolte le spese di ciclostilatura liturgia e postali, sono state inviate ai tre
istituti di cui sopra L. 680.000 ciascuno.
La cassiera FDEI:
Letìzia SbafR
10
10
3 agosto 1978
PROBLEMASCUOLA
Le bocciature non garantiscono
ia serietà deiia scuoia
L'anno scolastico si è concluso con un’ondata di bocciature e
di rinvii a settembre, sia nella
scuola secondaria superiore, sia
nella fascia dell’obbligo. Il notevole aumento della percentuale
degli alunni rimandati o bocciati rispetto all’anno scorso sembra segnare una inversione di
tendenza rispetto all’epoca della « promozione facile ». Tale fenomeno impone alcune riflessioni. Da im lato vi sono coloro
che salutano il fatto come un
indice di maggiore serietà della
scuola, come la fine dell’era del
permissivismo, dall’altro vi sono
quelli che lo denunciano, al contrario, come un segno di una volontà « restauratrice », di ritorno al passato, di una recrudescenza della selezione di classe.
Non ci sembra si possa sostenere né che l’accresciuta severità
degli scrutini finali signiflchi di
per sé un aumento della serietà
degli studi, né che, all’opposto,
il garantire a tutti la promozione «legale» (in assenza spesso
di Una maturazione reale) sia in
quanto tale un segno di democratizzazione dell’istituzione scolastica, della realizzazione dell’effettivo diritto allo studio. La serietà della scuola non si misura
sul numero dei bocciati, ma sulla
qualità del servizio scolastico:
una scuola seria è quella che è
capace di rinnovarsi nelle sue finalità, nei metodi e nei contenuti per garantire al maggior numero di frequentanti elevati livelli di formazione professionale e culturale in connessione con
i mutamenti della società e in
collegamento con effettivi sbocchi lavorativi. Il problema vero
di fronte al quale ci troviamo è
quello di un sistema scolastico
che sta andando alla deriva in
quanto aspetta invano da anni
una riforma.
Dopo la legge del 1962 istitutiva niella scuola media unica non
vi è più stato, se si escludono le
recenti « miniriforme » della media, alcun intervento legislativo
di riforma scolastica organica;
basti p»ensare alla mancata approvazione della legge di riforma
della secondaria nella passata
legislatura, oltre alla non obbligatorietà della scuola materna e
al fatto che i programmi in vi-'gore attualmentemelle elementari sono stati emanati nel 1955.
La scuola (qui il discorso vale soprattutto per la scuola secondaria superiore) conserva, in
presenza di una frequenza di
massa, l’impianto organizzativo
e culturale proprio della vecchia
scuola gentiliana di cinquant’anni fa, concepita per una minoranza e si presenta dunque come
un’istituzione e un servizio gravemente inadeguati rispetto alle
esigenze di una società profondamente mutata. Non è qualche
bocciato in più che può far ridiventare seria una scuola che
appare sempre più dequalificata
in quanto sempre meno in grado
— in assenza di una politica seria di programmazione — di garantire una formazione culturalmente e professionalmente valida. Non si risolvono i problemi
della scuola con un rigore improvviso nel momento della valutazione finale non preceduta da
un serio rinnovamento degli studi; l’unica risposta valida alla
crisi attuale della scuola non può
che consisterò nella eliminazione
delle cause che la determinano.
Ma - alTopposto è altrettanto
vero che la promozione «legale»
generalizzata in assenza di una
rinnovata serietà della scuola finisce per risolversi in una forma
di « assistenzialismo demagogico», in una negazione di fatto
del diritto allo studio: non ha
senso dire di no alla bocciatura
senza dire di sì alla promozione
reale che non può essere disgiimta da im rinnovato rigore degli
studi. Dichiarare, ad esempio,
promosso il ragazzo culturalmente e socialmente deprivilegiato
al quale la scuola deH’obbligo
non sia stata in grado di insegnare a scrivere e a leggere correttamente è un’operazione profondamente mistificatoria.
L’aumento delle bocciature che
ha segnato la fine dell’ahno scolastico ’78-’79 è dunque il segno
di un disagio e malessere profondi connessi alla grave crisi in cui
versa la scuola; è la risposta
più facile e immediata di larga
parte degli insegnanti, anche di
coloro che dopo le speranze del
’68 si sono trovati a vivere le
delusioni degli anni ’70 derivate
dalla mancata volontà politica,
da parte di chi ha retto le sorti
della scuola a livello governativo, di tradurre in riforme efficaci la domanda sociale di trasformazione delle strutture scolastiche.
Non si può chiedere agli insegnanti di risolvere con il volontarismo didattico còntfaddizioni gravi che riguardano la
funzione della scuola in rapporto
alla società attuale e che richiedono perciò provvedimenti seri
capaci di mettere il sistema scolastico in grado di funzionare.
Bisogna salvare la scuola ma
per cambiarla, per riorganizzarla sulla base di una rinnovata
serietà degli studi in una prospettiva in cui « diritto allo studio »_ non resti uno slogan abusato quanto irrealizzato: per
questo è necessario che le forze
sociali e politiche interessate al
rinnovamento della scuola e della società si mobilitino e dimostrino capacità rivehdicative.
La domanda di fondo è ancora
una volta « quale scuola per quale società » e la risposta va data
con urgenza perché ora ci troviamo ad attraversare la delicata fase della transizione da una
vecchia scuola che non c’è più
a una scuola huova che non c’è
ancora.
Elena Bein Ricco
Autofinanziamento
per l’Eco-Luce
Di fronte ai costi crescenti della stampa e della carta i quotidiani hanno ottenuto quest'anno due aumenti: a L. 250 lo
scorso aprile, a L. 300 a partire dal 1° agosto. Per l’Eco-Luce — che
è legato al prezzo dei quotidiani dalle vantaggiose condizioni di
abbonamento postale del I gruppo — questi aumenti hanno una rilevanza minima: il nostro giornale infatti è quasi interamente distribuito per abbonamenti e solo alcune decine di copie sono vendute. Per questo, di fronte al deficit non indifferente che si profila
anche per quest’anno, lo scorso aprile abbiamo indetto una sottoscrizione di AUTOFINANZIAMENTO chiedendo ai lettori — il cui
abbonamento è restato invariato, a L. 7000, rispetto all’anno scorso — di integrare liberamente il loro abbonamento versato a suo
tempo. Pubblichiamo un primo elenco della risposta a questo appello ringraziando tutti quanti hanno dimostrato con la loro offerta di avere a cuore il loro giornale ed esprimendo la speranza
che molti altri seguano il loro esempio prima di rinnovare, a fine
anno, un abbonamento che certo dovrà subire un netto ritocco.
DONI DI L. 1.000
Taliento Lia Teresa, Roma; Baret Alfredo, S. Germano; Martinat Maria,
Torino; Capparucci Fausta, Roma; Paschetto Ercole, Prarostino; Balmas Silvia, Milano,
DONI DI L. 2.000.
Rivoira Aldo, Rorà; Morbo Giorgio,
S. Germano; Bleynat Giovanni, Pomaretto; Fam, Bernard, id,; Taliento Liateresa, Roma; Giordano Melita.
DONI DI L. 3.000
Tron Giulia, Torre Pellice; Acinelli
Erica, Luserna S, Giovanni; Chauvie Luciana, id.; Leonardi Gianfiliberto, Enemonzo; Roux Lorenzo, Milano; Giordan
Giovanna, Angrogna; Paschetto Giovanni Paolo, Rorà; Tourn Franco e Adriana, id.; Tessoni Cinzia, Parma; Jouve
Alice, Torre Pellice; Pons Fortunata,
Torino; Sassi [vana, id.; Fenouil Franco, Luserna S. Giovanni; Durand Siena, Genova; Comba Fiorella, Pomaretto;
Mauro Mario, San Secondo; Alliaud
Elisa, Pinerolo; Grillo Rina, Udine; Bertinat Emilio, S. Maurizio d'Opaglio;
(
LA SETTIMANA INTERNAZIONALE
a cura di Tullio Viola
La sfida di Carter
Comitato di Redazione : Sergio
Aquìlante, Dino Ciesch, Marco Davite, Niso De Michelis, Giuliana
Gandolfo Pascal, Marcella Gay,
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Direttore Responsabile :
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La Luce: Autor. Tribunale di Pinerolo N. 176, 25 marzo 1960.
L'Eco delle Valli Valdesi Reg. Tribunale di Pinerolo N. 175, 8 luglio 1960.
Cooperativa Tipografica Subalpina
Torre Pellice (Torino)
^ La sera di domenica 15 luglio, alla radio e alla televisione
USA, e la mattina seguente alla
Conferenza delle giunte provinciali a Kansas City, il presidente
americano, in due discorsi che
faranno probabilmente epoca, ha
annunciato un drastico e grandioso piano di riforme, organizzative, dirette ad una completa
! conversione dèH’impiego energetico nel suo paese. L’annuncio si
è accompagnato ad un’invocazione alla coscienza degli americani, per un ritorno alla fiducia
nelle virtù e nelle possibilità del
popolo, alla sobrietà dei costumi, alla gloria delle tradizioni.
Si è accompagnato anche ad una
confessione di errori commessi
da lui stesso e dai suoi consiglieri. E questi tre aspetti si sono
fusi in un’unica orazione, di tono così fortemente e profondamente appassionato, quale ancor
mai s’era sentito uscire dalla
bocca del solitamente prudente,
mite e conciliante Jimmy Carter.
Dal commento di Fausto De
Luca su « La Repubblica » ( del
Un po' fiacchi
(segue da pag 2)
gomenti solo secondo il punto di vista
dei suddetti partiti. In quanto poi a
quella frase « fra chi sta bene e chi
sta male, fra il ricco e il povero Lazzaro, il Vangelo fa una scelta chiara »,
direi che è vero, ma il credente sincero non ha bisogno, per fare la propria scelta, di altre fonti d'ispirazione
e di altra guida se non quelle che gli
vengono dalla parola di Dio.
Per il passato abbiamo molto scritto e molto parlato di queste cose
amareggiando spesso il nostro spirito
e creando dolorose divisioni, e allora
concludo chiedendo alla sorella Gay
e agli altri della redazione se a volte
non sarebbe meglio mostrare uno spirito più umile e « soffrire qualche danno . come dice l’apostolo, affinché un
fratello o una sorella non siano troppo
rattristati e dire, per esempio . Ci dispiace sinceramente di aver dato l'impressione di essere stati troppo influenzati da una particolare ideologia (che
poi, può dare profonde delusioni come
tutte le cose umane!) e cercheremo di
evitare questo errore le prossime volte? ». Vittoria Stocchetti
17.7.’79), sotto il titolo significativo « É una sfida o soltanto un
sermone? » (ma noi siamo per
la prima di queste due qualifiche!), riportiamo quanto segue.
« È ancora presto per dire se,
al di là delle parole, che sono
audaci e ambiziose, il discorso,.
di Carter si tramuterà in uno
di quei grandi messaggi che ogni
tanto partono dall’America e si
diffondono nel mondo, se veramente esso aprirà una “nuova
frontiera", questa volta nel campo dell’energia, nei consumi, nei
modi di vivere.
Nel discorso di Carter è infatti
contenuta una promessa, che è
anche Una sfida: vincere la battaglia dell’energia (con il risparmio del petrolio e con lo sviluppo delle fonti alternative) senza deprimere l’economia, senza
rallentare il ritmo del motore
capitalistico che ha ancora .una
così grande forza trainante per
l’intero mondo produttivo. È possibile? O si tratta della via più
facile, e quindi demagogica, per
un presidente che era ormai al
punto più basso della sua popolarità e tuttavia l’anno prossimo vuole affrontare la campagna per la rielezione?
Carter si era preparato a questo discorso nella residenza di
Camp David, ricevendo non solo
consiglieri economici e politici,
ma personalità di "alta autorità
morale e religiosa”. Per dieci
giorni, un’accurata campagna di
notizie, anticipazioni e indiscrezioni, aveva preparato gli americani al "grande evento”. E di pari passo gli osservatori politici
avevano compreso che per risalire la china, il presidente si preparava ad un rientro spettacoloso per lo stile, mentre per la
sostanza avrebbe confuso la sua
crisi con quella degli USA, legando il proprio successo personale
a quello della battaglia contro
la crisi del petrolio.
Carter ha battuto il pugno sul
tavolo mentre parlava alla televisione, ha puntato il dito verso
gli spettatori, ha usato parole
churchilliane (“lacrime, sudore
e sangue"), ha fatto ricorso alle
cadenze retoriche dei predicatori: “possiamo e dobbiamo riprendere il controllo del nostro
destino".
Le reazioni del mondo politico
USA sono finora complessivamente favorevoli, e così quelle
dei governi dei paesi industrializzati, dall'Europa occidentale al
Giappone. Dopo il vertice di Tokio, si era temuto che gli Stati
Uniti non fossero in -.grado fii
. mantenere gli impegni’^ assunti.
Adesso che Carter sembra aver
superato le indecisioni lanciando la sua sfida al Congresso, si
registra un coro pressoché unanime a suo sostegno.
Diversi, anzi opposti, i giudizi
del mondo finanziario. L'immediata e drastica flessione delle
quotazioni del dollaro e il rialzo
del prezzo dell’oro, esprimono
infatti una profonda incredulità
della finanza internazionale circa la concreta efficacia del piano Carter per quanto riguarda il
mantenimento dei ritmi produttori e del livello degli affari. (...)
Altrettanto nel vago, pur dicendo che qualcosa dovrà cambiare nella civiltà americana basata sull’automobile. Carter si è
mantenuto circa i sacrifici concreti che i cittadini degli Stati
Uniti dovranno affrontare individualmente. È certo che la benzina costerà di più, per finanziare il piano delle fonti alternative
con l’imposta sui maggiori profitti delle compagnie petrolifere.
Ma quanto di più? E come reagiranno i consumatori americani?
Molti sono gl’interrogativi, e
quello più grande riguarda la capacità del presidente di portare
avanti il suo piano, non solo dinanzi 0.1 Congresso e all’opinione
pubblica americana, ma attraverso l’azione concreta della sua
amministrazione, apparsa finora
tanto divisa e incerta da essere
accusata di aver lasciato deteriorare la situazione energetica in
America e nel mondo.
E tuttavia il segno del coraggio, da parte di Carter, adesso c’è
stato. E gli stessi ambienti europei, che restano in atteggiamento più severamente critfc.o verso
il presidente americano, dovrebbero ammettere che finora nessuna decisione è stata presa nei
paesi al di qua dell’Atlantico, per
rendere esecutivo il piano di
contenimento dei consumi concordato a Tokio. Il piano di Carter è ancora tutto da verificare.
Ma è almeno un inizio ».
Grand Anna, Bobbio Pellice; JanaveI
Jacqueline, Villar Pellice; Cirino Giuseppe, Roma; Valenti Paolo, Vicoboneghisio; Carcò Antonio, Catania; Calderone
Giuseppe, Palermo.
DONI DI L. 5.000
Doffini Florisa, Biella; Cattaneo Paolo, Genova; Micol Annalisa, None
Calzi Leone, Torre Pellice; Vigna Dii
va, id.; Tron Enrichetta, Massello
Criveliini Laura, Ancona; Rostan Max
Milano; Pampuro Renato, Genova; Az
zoni Guido, Aosta; Pons Virginia, Mas
sello; Frache Carlo, . Torre Pellice
Balma Elsa, Pinerolo; Eynard Franca
Torre Pellice; Bertalot Giovanni, S
Germano; Fiorio Marco Tullio, Napoli
Pasqui Valdo, Pistoia; Kupfer Olga e
Edvige, Palazzolo sull'Oglio; Jon Scot
ta Laura, Torino; Jon Scotta Maria
id.; Beux Frida, Pomaretto; Verin Pie
tro, Firenze; Marcheselli Miriam, Mi
lane; La Spina Giovanni, Torino.
. Micol Pons Odetta, Perrero; Tourn
Paschetto Ada, Rorà; Peyronel Valdo e
Clot Luigia, Pomaretto; Turin Riccardo,
Luserna S. Giovanni; Purpura Enzo, Torino; Bensa Eugenia, id.; Long Oreste,
Pramollo; Breuza Renato, Pinerolo; Simeón! Anita, Genova; Crespi Felice, Torino; Bertinat Emilio, S. Maurizio d'Opaglio; Monaya Carlo, Aosta; Monnet
Carlo Alberto, Angrogna; Casonato Aldo, Pordenone; Gai Cornelio, Torino:
Dalla Fontana, Rho; Giuliani Rosa, Roma; Jouvenal Enrico, Torino; Jourdan
Marco, Roma; Di Gennaro Anna, Poma
retto; Dattilo Maria, Bolzano; Zeni Ugo
Roma; Albonetti Alessandro, La Spezia
Rocca Silvia, Aosta; Girardet Socci Eie
na, Roma; Conte Giovanni, Genova
Maurizio Americo, Termoli; Long Enrico
Ospedaletti; Barone Giovanni, Mergoz
zo; Molinari Giuseppe, Sanremo; Ro
stagno Laura, Torre Pellice; Cicchese
Marcello, Parma; Zaino Enzo, id.; Boero,
-‘•Soazze; Fratelli Boero, Brasile; De Micheiis Turno, Milano.
DONI DI L. 10.000
Travers Niny, Torino; Buttazzoni Lidia, Udine; Balma Enrico, Pomaretto;
Chiesa Valdese, Livorno; Scimone
Panasela Virginia, Roma; Gottardi Sauro, Albisola sup.; Meylan Rivoire
Emilia, Svizzera; Fam. Eynard, Bergamo; Hermann Eugenia, Roma; Ricca
Armandà, Firenze.
Tomassone Ugo, Imperia; Duprè Franco, Roma; Ferrare Giovanni e Albina.
Milano; Giraud Edoardo, Pinerolo; Grandi Carlo, Moncalieri; Fontana Delia,
Firenze; Banchetti Libero, Rio Marina;
Coisson Assely, Perosa Argentina; Girardet Alberto, Roma; Ceseri Massa
Adriana, Firenze; Avondetto Anna, Milano; Lazier Albert, Villa Pellice; Gatto
Salvatore, Luserna S. Giovanni; Zavaritt Rostain Carla, Bergamo.
DONI DI L. 20.000
Ambrosini Antonio, Venezia; Decker
Bruno, Napoli; Comunità Valdo-Metodista « La Noce », Palermo; Gay Giampiccoli Lily, Pieve Ligure; Cornelio Sylvia,
Torre Pellice.
ABBONAMENTI SOSTENITORI
Ricci Mingani Lisetta, Salea di Albenga; Cerai Ada, Pordenone; Chilosi
Margherita, Massa; Goss Prospero, Torre Pellice; Balla Anna, Torino; Jahier
Cossi Mirella, Bologna; Nitti Anna, Napoli; Manfredi Pier Francesco, Milano:
Jeseri Maria, S. Piero in Bagno; Pre
lato Giovanni, Torino.
Zavaritt Enrica, Gerle; Rocca Podio
Gina, Cascine Vica.
ALTRI DONI
Belloni Luigi, Varese L. 13.000; Comunità valdese. Biella 40.000; Müller
Kollmar Luisa, Germania 15.000; Kramer Lidia, Svizzera 3.500; Rivoira Ida,
Angrogna 2.000; Comba Gustavo, Torre
Pelljce 30.000; N. N., Torino 2.500; PinardbEzio; Danie e Davide, in memoria
di Simonetta 50.000; Damiano Ugo, Novi Ligure 2.000; Chiesa evang. di lingua
italiana, Zurigo 2.000; Pellegrini Umberto, Torre Pellice 4.800; Messina
Claudio, Firenze 9.800; Rispoli Luisella,
Milano 50.000; Schenk Jolanda, Milano 2.000; Giacomelli Elio, S. Giuliano
Terme 30.000; Pisani Emilia, Luserna
S. Giovanni 13.000.