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Asso X — N. 7. II SERIE 15 Aprile 18til
LA BUONA NOVELLA
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GIORNALE DEI.LA EVANGELIZZAZIONE H'ALTANA
'VXZVX/XOXAArv''
Seffixenflo la vcritìi nella carità. — Efks. VI. 15.
PUEZ20 DI ASSOCIAMONE J LE A&30C1AZI0NI SI KICEVONO
Per Io Stato [franco a destinazi^]____ £. 3 00 ^ In Toaixo aH'Uffizio del Giornale, via del Principe
Per la Svizzera e Francia, id. . .t“ ...... 4 25 > Tommaso dietro il Tempio Valdese.
Per r Inghilterra, id..........ìT ... „ 5 60 Nelle Provincib per mezzo di franco-hoUi po
Per la Germania id...........1 ... „ 5 50 ; «fait, che dovranno essere Inviati franco al Di
Non si riceyono associazioni per a .-no di un anno. ^ rettore della Bl-o.na Novella.
AH’estero, a’seguenti indirizzi: Parigi, dalla libreria C. Meyrueis, rue llivoli;
Ginevra, dal signori. Beroud libraio : Inghilterra, dal signor G. F. Muller,
General Merchant,Leadenhall Street. E. C.
SOMMARIO
Italia e Chiesa li. — Savonarola II. — Libertà reliffiofa : Circolare dol '\iin'Stro dell’iiy
terno — Gorrlsponden*-i Iella Buona Novella: Palermo, 5 aprile — Solxzie . .¿/ìììo«; Torino,
Nai)oli.
ITALIA E CHIESA
II
(V. il Num. preced.)
13ea sappiamo che da molti anche fra i liberali vien pegata questa
intima solidarietà che esiste tra i principii e gli atti della Chiesji
Cattolica..jEssi fanno una profonda di.stinzione tra i tatti ed i dommi,
tra il temporale e lo spirituale. Bene ! Dio voglia che questa distinzione la si faceia sempre [>iù e sempre meglio. Ma in ciò per l’appunto risiede la prova della nostra tesi; Quella distinzione tanto
importante Roma non la fa ! non la fece mai, uon vuol farla e neppure in avvenire la farà. Per lei, spirituale e temporale è tutt’uno.
Tanto confuse ed immede.simò quei due elementi, cho giunse tino a
f dichiarare più volte cd in mille guise che senza il temporale, lo sj)i
I rituale nou può sussi.st^re, la Chiesa non esiste più. Sfacciato insulto
alla Chiesa stessa, ed insieme strana confessione della propria debolezza ! Noi domanderemo ai nostri avversarli liberali : “ Credete voi
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clie l’ostinatezza di Roma, quella decisione a non transiger mai, ed
il famoso non jwssumus, ossia non volumus, non abbiano nulla che
fare col principio della confusione dei due poteri che è quanto dire
col principio teocratico ì credete voi che sieno estranei alla dottrina
della infallibilità della Chiesa?... credete voi che sieno proprio senza
relazione con quel disprezzo che professa Roma per 1’ umanai ragione, e che due anni fa con tanta chiarezza formolava nella famosa
enciclica diretta contro d’ Azeglio e tutti quelli |che insegnano :
“ l’uomo essere stato creato libero e quindi doversi lasciar libero il
pensiero. ” — Sì, di certo, risponderanno tutti. Or bene, cosa sono
tutti questi jìrincipii se non altrettanti dommif—Voi direte ancora,
che è tutto per l’interesse, per l’amore del dominio, per la sete del
danaro, Auri sacra fames..! Convengo che i motivi morali sono
])otenti, e forse i piii potenti... Ma se nel non possumus havvi molto
del non voltimus, evvi pure confessata la fatale impossibilità in cui
Roma trovasi di riformarsi, perchè vuol essere logica, perchè è infallibile, perchè insomma non vuol contraddirsi. Ah! crediatelo, la forza
dei principii sola potè spingere Roma al punto dove l’abbiam veduta;
e quella medesima forza le vieta pur oggi di tornare indietro. Roma
è trascinata da una specie di fatalità alla quale essa non può più
offrire la menoma resistenza ; e questa fatalità è quella dei principii.
E davvero cosa curiosa il veder gran luimero dei nostri liberaioni
mentre scagliano contro gli abusi ed i vizii di Roma le più furibonde diatribe, rispettarla poi sempre nel domma, piegare il ginocchio davanti alle sue spirituali decisioni e farsi schiavi della sua
religiosa autorità. Ma non s’accorgono essi, che uno di quei dommi
che vogliono rispettare è per l’appunto il potere temporale che distruggono? Non vedono la cotraddizione? 0 lasciate stare Roma
com’ella era, ovvero se la toccate, confessate che togliete via una
pietra alle fondamenta di quell’ediiizio che chiamossi Cattolicismo...
E andate pur tranquilli che tolta una, le altre pietre di quella decrepita fabbrica cascheranno da sè.
Ma qui sorge una obbiezione, volevo dire un’altro partito ... qui
si fa avanti il Clero, e dice : “ Questi principii nostri che ora
combatte l’Italia non sono proprio dei dommi. 11 potere temporale,
la teocrazia, la infallibilità delia Chiesa e la sua autorità civile, non
sono dommi, sono solamente dei pì'incipii, delle proposizioni dommatiche, e tra una proposizione dommatica e un dogma corre una
gran differenza ; distinguo, ! ”
•— Davvero! tra un dogma ed una proposizione dommatica?... non
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lo sapevo... Confesso che la distinzione ò poT lo meno molto sottile...
Dov e questa gran differenza ?
— Risponde il Clero : La divinità di Cristo, ]>er esempio, ecco un
dogma, ma il potere temporale non è di questo genere, è una semplice proposizione.
— Potrebbesi dapprima rispondere che questa distinzione è mera
illusione perocché non sono solamente dommi quegli articoli che
concernano la divinità... havvi dei donimi intorno alla natura dell’uomo, havvene intorno alla natura della Chiesa... e son tutti dommi. Ma il Clero va piit oltre e dice che neppure Ylmmacolata non è
un dogma... che è una 'proposizione dommatica anche quella. ” —
Ho capito, sono dogmi solamente le grandi verità del Cristianesimo;
le altre cose poi che Roma vi ha aggiunte, le sue invenzioni, via, il
Purgatorio, la Messa, l’immacolata non sono che proposizioni. —
A meraviglia! Ma scusino sigg. Dottori... quelle grandi verità cristiane, noii sono proprietà del Cattolicismo, bensì del Cristianesimo;
e nissuno pensa a negarle... Quelle che ora si combatte sono le vostre dottrine, chiamatele ptroposizioni od anche imposizioni non
importa, ma son quelle teorie, son quei principii che si collegano
intimamente colla decadente vostra temporale podestà, e che voi inventaste per servirle di base. Ciò che ora Italia vuol distruggere non
è il Cristianesimo è il Cattolicismo: cose assai diverse l’una dairaltra.
E se voi non l’avete ancora fatta questa distinzione che non è sottile
come le vostre, ma è grossa, grossa...l’Italia ormai l’ha fatta, e non
confonde piii le pure e sublimi dottrine del Cristianesimo, che non
son vostre, col vostro tirannico sistema tutto rivolto a lini mondani.
Ecco in che consiste l’astuzia di Roma, nell’aver sempre fatto appello alle passioni religiose per sostenere la sua materiale potenza,
ed ecco in che risiede la forza d’Italia, ncll’aver separata la causa
religiosa dalla causa politica del papato. E tutta la questione sta
nella libertà. Roma non vuole, non può volere nè libertà civile e politica, nò libertà morale e religiosa perchè professa la supremazia,
universale della Chiesa (anche questo è un domma... suo!) L’Italia^
all’incontro vuole la libertà e per lo Stato e per l’individuo. Il che
bene scorgeva il ])refato sacerdote il quale se scriveva queste parole
già in altro articolo citate ; “ Come si scartò dal Divino modello, la
Chiesa trasmutossi in peggio, non mica nel Domma, Dio aiutante,
ma nello spirito che pur oggi la informa ” aggiungeva poi; '• onde
si allumarono ed ingigantirono due fiere lotte che durano ancora, tra
la Religione che volea l’assoluto imperio sui corpi e sulle anime, e
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l’Italia c:lic volea liberi e corpi cd anime. ” Eosmini, nel suo idealismo cattolico professava la soggezione dello spirito all’autorità della
Chiesa, cd anche la schiavitù del servo al padrone!... ed Egli, come
poi tanti sommi italiani, aspettava la libertà dal Papa, e la rigenerazione d’Italia dal Cattolicismo. Il 1848 ha risposto a quelle folli
speranze, ed il 1861 mentre compie la prova addimostrandoci il Papato più che mai avverso alla libertà, svela pure all’Italia la vera
sorgente d’ogni felicità. Dal Cristianesimo e uon più dal Cattolicismo
essa aspetta la forza e la vita. La dura tenzone non è cessata, ma di
chi debba essere la vittoi-ia già lo proclamano j^iiitti,
0. C.
STORliH
SAVONAROLA
La Storia di Girolamo Savonarola c de’ suoi tempi, nanata da Pasquale Villari con
l’aiuto di nuovi documenti. Voi. l.“o pagine 480. Fiieuze. F. Le Monnier 1859.
II
(Continuazione, ved. il N. V. )
La elezione d’Innocenzo VIII (1484) tolse ai buoni ogni speranza
di migliorare ed ogni fiducia nell’avvenire, e destò nel cuore del Savonarola una tempesta indescrivibile. Fortunatamente fn mandato a
predicare le due quaresime dell’84 e dell’85 nella piccola terra di
S. Geminiano, fra i monti di Siena. Quivi la siia voce echeggiò piiì
sicura e più padrona di sè; e quivi, egli manifestò per la prima volta
le sue idee dominanti: “ia Chiesa sarà flagellata e poi rinnovata;
e ciò sarà presto, ” davanti a un’uditorio scosso e rapito, che all’opposto dei Fiorentini non perdeva le idee sotto le fi’asi, era meno
raffinato e non corrompeva coi sofismi la spontanea ingenuità del
cuore. Nella quaresima dell’86 Tu mandato in Lombardia, e nella
città di Brescia concionò sull’Apocalisse con tanto fervore, con accento così imperioso, con voce così tonante — che le sue minaccie di
futuri danni e flagelli fecero una profonda impressione sul popolo e
lo spaventarono terribilmente. Questo fn il principio della popolarità
del Savonarola e pose il suggello alla sua vita ; da quel tempo, benché sempre modesto ed umile, egli non dubitò mai più di sè stesso.
In 1 n capitolo di Domenicani tenuto a Reggio egli s’accese fortemente nella disputa, quando si venne a parlare della disciplina.
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talché gli uditori immobili ed attoniti lo tennero per uomo straf)rdi
nario, animato da uno spirito superiore. Molti vollero conoscerlo;
parecchi principi ebbero con lui un Carteggio ; ed il famoso Pico
della Mirandola, che interveniva all’adunanza, divenne da quel
giorno suo ammiratore, suo seguace e suo cordiale amico. Dopo avere
predicato a Genova nella quaresima del 90, egli fu richiamato a Firenze per le istanze fatte a Loi enzo da Pico della Mirandola, che
avrebbe senza dubbio vestito l’abito se la morte prematura non l’avesse impedito. Ai primi d’agosto dello stesso anno, non potendo
resistere alle domande dei suoi numerosi uditori, il Savonarola salì
sul pergamo di S. Marco e la predica ch’egli fece compiè il suo successo. In pari tempo mise fuori parecchi scritti per servire d’istruzione al popolo e di ri.sposta agli eruditi, prevedendo che questi
idtimi gli avrebbero ben presto mossa una guerra ostinata, e lo
avTebbero certamente accusato di poca dottrina.
IjC sue opere filosofiche ser\-irono la più parte ad uso dei suoi novizj, e contengono una dottrina che è in fondo un’imperfetto eclettismo, nel quale la filosofia sperimentale si trova accanto ad un misticismo neo-platonico ed alla teologia di S. Tommaso, che formò
parte di tutte le sue idee. Ma ci si trova poi sempre uno spirito libero
cd ardito, ed un’ idea morale chiara, precisa, potente. Più importanti e più noti sono gli opu.^coli religiosi (1492) sull’i/TOiYià, \'Orazione, XAmore di G. G. e la Vita vedovile. Quei trattati esprimono
chiaramente il mistico entusiasmo del Savonarola, ma si aggirano
solo sopra argomenti di morale cristiana e non toccano alle vitali
quistioni del domma. Nei suoi Sermoni è notevole sopra ogni altra
cosa l’uso che seppe fare della Bibbia. Oltre il senso letterale, egli
ne ammetteva altri quattro sopra quasi ciascun ^asso, ed erano ; il
senso spirituale, morale, allegorico ed anagogico. Il senso allegorico
era doppio e riguardava l’Antico ed il Nuovo Testamento, la Chiesa
Ebraica e la Chiesa Cristiana. Nel secondo caso, prendendo ad esempio il primo capitolo della Genesi, sole e terra significano il pajrn e
V imperatore. Come si vede, il Savonarola era ben lungi dall’essere
un protestante ; egli apparteneva a quella scuola rappresentata da
tanti illustri ingegni italiani, i quali, meiitre riconoscevano il bisogno di una riforma disciplinaria e morale in seno alla Chiesa Romana, sognavano tuttavia non so quale papato idieale che non ha
mai esistito. Con questa sua intrepretazione multiforme, il Sa\'onarola trovava nella Bibbia la conferma di tutti i pensieri, di tutte le
ispirazioni, di tutte lo profezie che sorgevano nel suo animo. Eppure
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con istrana contraddizione egli avvertiva di andar cauti in questi
studj : “ Vi bisogna, egli diceva, una conoscenza della lingua e della
“ storia, una continua lettura, una lunga famigliarità; bisogna
“ guardarsi di non andar contro alla ragione, contro alle opinioni
“ ricevute dalla Chiesa e dai dottori, di non tirare la Scrittura ai
“ nostri proprj fini; perché allora si metterebbe il nostro intelletto
“ in luogo della Farola divina. ” Perchè ha egli dimenticato nella
applicazione queste savie riflessioni? Fenomeno singolarissimo, egli
univa una mente acuta e profonda ad una sbrigliata fantasia ohe
troppo spesso lo abbagliava col luccicare di vane visioni.
Il tempio di S. Marco era troppo piccolo pel popolo che vi si affollava; onde, nella quaresima del 1491, il Savonarola predicò nel
Duomo, che per la prima volta echeggiava della sua voce. Da quel
momeoto, egli parve signore del pergamo, padrone del popolo che
ogni giorno cresceva di numero. Quell’entusiasmo popolare dispiacque fortemente a Lorenzo dei Medici ; e il Frate vide una volta
venire a sè una deputazione di cittadini ragguardevoli, che gli consigliarono di usai’e moderazione. Egli rispose bruscamente; “ Vedo
“ che voi non venite per vostro consiglio, ma siete mandati da Lo“ renzo. Ditegli che s’apparecchi a far penitenza dei suoi peccati,
“ perchè il Signore non risparmia nessuno e non ha paura dei prin“ cipi della terra. ” Fugli detto che ove s’ostinasse, poteva essere
esigliato ; egli rispose : “ Io non temo i vostri esilii, perchè questa
“ vostra città è come un grano di lente sulla terra. Ma sebbene io
“ sia forestiero e Lorenzo cittadino cd il primo della città, io debbo
“ restarci ed egli dovrà partirsene. ” In quel tempo medesimo, nella
sagrestia di S. Marco, egli affermò in presenza di molti, che le cose
d’Italia volevano mutar presto e che il Magnifico, il Papa ed il Ee
di Napoli s’avvicinavano alla morte. Nato all’eloquenza battagliera,
egli non poteva cambiar modo nel predicare, anche volendolo ; perciò non si curava del malumore della parte Medicea.
Nel luglio del 1491 fu eletto priore di S. Marco e fece atto d’indipendenza, ricusando di portare ossequio ed ubbidienza al Magnifico, per non piegarsi agli abusi. Lorenzo era dolente di trovare una
simile opposizione in una’città tutta intenta nell’ubbidire al suo minimo cenno ; ma non volendosi mettere in guerra con un Frate, egli
cercò di conciliarselo con la dolcezza. Andò parecchie volte a sentire
la messa in S. Marco, trattenendosi a passeggiare neU’orto colla speranza che il Savonarola verrebbe ad incontrarlo ; ma il Savonarola
non si mosse. Mandò al Convento ricchi donativi e larghe limosino ;
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nel Savonarola crebbe il disprezzo pel tiranno, ed egli mandò l’oro
mediceo ai Bnoni Uomini di San Martino, per darlo ai poveri ed ai
bisognosi. “ Così, ” osserva il Bnrlamacchi, “ Lorenzo si persuase
“ finalmente che questo non era terreno da piantare vigne. ” Il Magnifico si rivolse al Gonnazzano perchè combattesse il Savonarola
dal pergamo ; ma l’insolenza e la bassezza di quel prete venduto
disgustò l'uditorio ed accrebbe il trionfo del priore di S. Marco. Il
Siedici stanco di lottare contro un’uomo che, suo malgrado, cominciava ogni giorno a stimare di piiì, credette alfine conveniente di
lasciarlo in pace.
Nell’avvento del 1491, Savonarola pronunciò diciannove sermoni
sulla prima Epistola di S. Giovanni, massa eterogenea di pensieri
teologici, politici e morali fra i quali il lettore si sman isce ma è costretto tuttavia a riconoscere che il Frate era nato oratore sebbene
mancasse d’arte. I limiti di quest’articolo non consentono di darne
im'alisi, benché il Villari lo abbia fatto con tanta felicità che non ci
rimarrebbe altro se non di seguire le sue pedate. Primeggiano fra
gli altri quelli che trattano della parola della vita argomento caro
al Savonarola, quelli dove parla contro il gitioco, l’usura e gl’immoderati guadagni. Ma dove egli riuscì veramente superiore a sè stesso,
fu nell’esporre i primi versi del II capo di S. Matteo ; la sua descrizione dei Magi venuti d’Oriente, spinti dalla fede, per riverire il Signore, è piena di affetto e d’arte grandissima. Non bisogna credere
però che la sua arte nel condurre un sermone si avvicini alle regole
severe della nostra omiletica; egli non divideva la predica, non proponeva quistione, fuggiv'a gli ornamenti dell’eloquenza ; la sua era
semplice esposizione, verso per verso, all’apostolica, naturale e non
artificiosa. In questo stava il segreto del suo successo e nel grande
affetto che spiravano tutte le parole ch’egli rivolgeva al popolo.
Torniamo per l’ultima volta a Lorenzo dei Medici. Ritirato nella
sua amena villa di Careggi, egli stava per soccombere al male fierissimo di viscere che da molto tempo lo travagliava, e nell’aprile del
1492 non v’era piìi speranza di guarigione. In preda ai terrori della
coscienza che lo mordeva in modo spaventevole, senza fiducia nel
proprio confessore, egli corse colla mente al convento di S. Marco e
mostrò desiderio di confessarsi al Savonarola, a quel frate che non
cedette mai nè alle minaccie nè alle lusinghe. Il priore maravigliato
si mise in cammino, quando seppe il grave stato in cui si trovava il
Magnifico. Lasceremo parlare il Villari :
“ Lorenzo sentivasi quel giorno piii che mai presso alla morte.
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xYveva chiamato a sè il figlio Piero e dato i consigli ultimi e l’estremo addio. Quando gli amici, che erano stati esclusi da questo colloquio, poterono rientrare in camera ed allontanare il figlio la cui presenza lo aveva già troppo commosso, egli mostrò desiderio di rivedere Pico della Mirandola, che subito venne. Parve che la dolce
presenza di quel giovane benevolo e tranquillo lo calmasse un poco,
e gli disse: “ Io sarei morto assai scontento, se non mi fossi prima
“ rallegrato un poco della tua vista. ” Il suo volto si rasserenava, i
suoi discorsi divenivano quasi lieti ; cominciava, infatti, a ridere e
scherzare col suo amico. Non appena si partiva il Pico, che entrava
il Savonarola e s’accostava ossequiosamente al letto del moribondo
Lorenzo. Tre peccati egli voleva confessare a lui e chiederne assoluzione : il sacco di Volterra ; i danari tolti al monte delle fanciulle,
cagione a moltissime di jjerduta vita; il sangue sparso dopo la congiura de’ Pazzi. Nel parlare, il Magnifico si agitava di nuovo, ed il
Savonarola per calmarlo andava ripetendo: Iddio è buono, Iddib è
misei'icordioso. “ Ma, ” aggiunse, non appena Lorenzo ebbe finito di
parlare, “ vi bisognano tre cose. ” — “E quali, padre? ” — rispose
Lorenzo. Il volto del Savonarola divenia grave, e spiegando le dita
della sua destra, egli incominciava a dire: “ Primo, vi bisogna avere
“ una grande e viva fede nella misericordia di Dio ” — “ Questa io
l’ho grandissima. ” — “ Secondo, vi bisogna restituire tutto il mal
tolto, 0 commettere ai vostri figli che lo restituiscano per voi. ” —
A questo il Magnifico parve rimanere maravigliato e dolente ; pure,
facendo forza a sè stesso, acconsentì con un cenno del capo. Il Savonarola levossi finalmente in piedi, e mentre il moribondo principe si
rimpiccioliva pauroso nel letto, egli sembrava divenire maggiore di
sò, dicendo: — “ Ultimo, vi bisogna restituire la libertà al popolo
di Firenze. ” — Il suo volto era solenne ; la voce quasi terribile ; gli
occhi, per indovinare la risposta, stavano intenti e fissi in quelli di
Lorenzo ; il quale, raccogliendo quante forze la natura gli avea lasciate in quel punto, volse sdegnosamente le spalle, senza pronunziar
più parola. E così il Savonarola si partiva senza dare l’assoluzione ;
ed il Magnifico, lacerato dai rimorsi, dava poco di poi l’ultimo fiato,
il giorno 8 aprile 1492. ” (Villari p. 137).
Ai 25 dello stesso mese cessa\'a pure di vivere Innocenzo VIII, e
Borgia comprava il papato. In quest’epoca il Savonarola pose ogni
cura per riordinare il convento di S. Marco. Un breve del Papa, di
cui il Villari ci narra la curiosa storia, lo fece indipendente dalla
cmgrogazione Londiarda. Egli rimise iu vigore la povertà, scemò
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le spese, fondò scuole di pittura, scultura, architettura, arte di scrivere e miniare codici, perchè i frati vivessero col frutto delle loro fatiche, e promosse lo studio della teologia, della morale e massime
delle Sacre Scritture; per l'iutelligenza delle quali s’insegnava il
greco, l’ebraico ed altre lingue orientali. Queste riforme fecero fiorire
rapidamente il convento e crearono grande entusiasmo nel popolo e
in altri conventi i quali domandarono di rientrare nella Congregazione toscana e furono ricevuti. Intanto il priore, modello vivo e
parlante dei principii che inculcava, riprendeva la sua popolarissima
l>redicazione nell’avvento del 1494; esponendo a grandi tratti la sua
dottrina sulla fede, la necessità delle opere, il libero arbitrio e la
cooperazione dell’uomo alla grazia. E qui giudichi il lettore sj>rcgiudicato se veramente il Savonarola può dirsi protestante. Egli ammette che la fede è un dono soprannaturale, che non è messa in
potestà nostra, e la definisce un lume infuso di sopra nella mente
detl’uomo ; egli combatte i Pelagiani che fanno dipendere la nostra
elezione dalla nostre opere in questa vita, e dice colla Scrittura che
non il fine solo del bene operare, ma il p'rincipio viene da Dio ; anzi
t utte le nostre buone opere, è Iddio che le opera in noi ; che adunque
la volontà divina è causa della predestinazione e non i nostri meriti. Eppure dicendo la grazia un dono gratuito del Signore, egli
afferma che noi possiamo e dwl^iamo ap|)arecchiarci a ricevere questo dono collo sforzarsi a credere, col pregare ed operare, — che la
volontà delVuomo è libera perchè è volontà, che l’uomo infine deve
concorrere oll'atio della giustificazione. Concilii chi può queste contraddizioni ; noi ne trarremo la conseguenza che le idee del Savonarola erano ben lungi dall’e.'^sere matuie, e ch’egli oscillava continuaniente tra il concetto biblico del domma e il concetto scolastico del
quale s’era imbevuta ìa sua mente nei suoi giovanili studj. Il motto
ch’egli assumeva era questo: Tanto sa ciascuno quanto opera; perciò potrebbe chiamarsi la sua dottrina la dottrina delle opere. Egli
si scatenava poi contro gli ecclesiastici dei quali dà un quadro assai
umoristico ; Costoro, egli diceva, sono quelli che cercano le prime
cattedre nelle sinagoghe, i primi perqami d’Italia. Costoro cercano
la mattina d'essere trovati in piazza, ed essere salutati, ed essere
eh carnati maestri e rabbi ; dilatano le fimbrie efilatterie loro ; sputano tondo ; vanno in sul grave, e vogliono essere intesi ai cenni.
Dai prelati egli passava a discorrere dei principi d’Italia, c li simboleggiava in uua città degli stolti e degli empj, novella Babilonia
che il Signore vuole distruggere. Con uguale ardire egli dipingeva
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la Chiesa di quel tempo siccome non edificata •piii di ■pietre vive...
ma tutta dipinta e inorpellata ; diceva frasche tutte le cerimonie
esterne e chiudeva il suo ragionamento con un’arguto confronto tra
la Chiesa primitiva dove li calici erano di legno e li prelati d’oro,
con quella moderna che ha li calici d’.oro e li prela ti di legno. La
costante conclusione dei suoi discorsi si aggirava intorno al flagello
ohe si avvicinava e doveva percuotere la sferk politica e la sfera religiosa. — Ma queste prediche del 93 furono avanzate in eloquenza
e ardire dal quaresimale del 94, sopra Varca di Noè. Con istrana
allegoria, egli fece di quest’arca, un’arca mistica, la riunione dei
buoni; ogni giorno, egli diceva di mettervi una nuova tavola, e sotto
questo colore esponeva partitamente le virtù cristiane. Quando l’arca
fu compiuta, egli invitò ognuno ad entrarvi, e ad affrettarsi mentre
la porta era aperta, perchè vicini erano i flagelli, già si appressava
un nuovo Ciro che correrebbe l’Italia senza romper lancia, ed allora
l’arca sarebbe chiusa e molti si iientirebbero di non esservi entrati.
Il 21 settembre doveva predicare sopra Grenesi VI, 17 : che parla
del diluvio ; quel giorno fu memorabile pel Savonarola e pel suo
uditorio :
“ Il Duomo bastava appena a contenere la folla, che, piena d’una
nuova e strana ansietà attendeva da più ore. L’oratore saliva finalmente sul pergamo ; l’attenzione ed il silenzio erano maggiori assai
del solito. Quando egli ebbe collo sguai-do misurato il suo uditorio,
quando egli ebbe visto Finsolita trepidazione che lo dominava, gridò
terribilmente : Ecce ego adducam aquas super terram. Quella voce
parve come una folgore che scoppiasse nel tempio ; quelle parole
sembrarono mettere uno strano terrore nell’anima d’ognuno. Pico
della Mirandola raccontava che un brivido era corso per tutte le sue
ossa, che i capelli gli s’erano rizzati sulla fronte ; ed il Savonarola
ci assicura ch’egli non era quel giorno meno commosso dei suoi
ascoltatori ” (Villari, p. 174).
L’agitazione era tanta, dice uno storico, che ciascuno, quasi semivivo senza parlare per la città si aggirava. La cagiope, a dir
vero, era gravissima; in quei giorni appunto giungeva la nuova della
•calata di Carlo Vili con le sue bande feroci che mettevano spavento nei cuori di tutti gl’italiani. La folla cercava ajuto dal Savonarola ; tutti gli occhi si rivolgevano verso di lui. Da quel momento
«gli era divenuto, per la sola logica dei fatti, un’uomo politico, e il
Buo partito si trovò, come per incanto, padrone della città,
(sarà continuato)
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lilBERTA RELIGIOSA
LA QUESTIONE DELLE SEPOLTrRE
Coloro che sanno tli quante noie fosse sorgente agli Evangelici
sempre più numerosi in Italia, l’ostiuazione dei clericali (cui troppo
spesso favoriva l’ignoranza o la pusillanimità dei municipii), a non voler ammettere nel cimitero conmne quei cittadini che avevano provveduto alla salvezza dell’auima iu modo che non andava a genio ai
preti, accoglieranno con gioia e gratitudine la seguente Circolare
che dal sig. Ministro deH’interno, Commendatore Minghetti, veniva,
giorni sono, diramata a tutti i Governatori, Intendenti generali ed
Intendenti di Circondario, allo scopo di fare cessare una volta per
sempre siffatti sconci.
« Le leggi e le discipline clic regolano Io stabilimento, la destinazione e
il trasporto dei cimiteri, e le inumazioni dei cadaveri anche fuori delle località ove avvenne la morte, informate al generale principio di abolire nell'interesse della pubblica igiene qualunque privilegio, meno poche e ben
definite eccezioni, non potevano di conseguenza rinvenire nelle differenze
dei varii culti professati dai diversi regnicoli una causa od un titolo sufficiente alla limitazione del generale principio sanzionato nelle disposizioni
medesime, quello cioè che tutte le inumazioni debbano indistintamente aver
luogo nei cimiteri comuni.
« Considerazioni d’un ordine affatto estraneo ai principii della salute
pubblica e direttamente collegate colle differenze dei riti e delle credenze
religiose professate dalle popolazioni, consigliano però la convenienza di
ammettere dentro i limiti dello stesso ed unico recinto (ove già non ne esista uno apposito) una separazione di luogo a favore degli acattolici, nell’unico scopo di prevenire per quanto è possibile quelle opposizioni e quello
rimostranze che non mancarono di suscitare, benché in casi rarissimi ed
eccezionali, le inumazioni promiscue, e che trovano il principale loro fondamento e la più naturale esplicazione in inveterate abitudini.
« Ciò posto lo scrivente avvisa opportuno di richiamare l’attenzione dei
signori Governatori, Intendenti generali ed Intendenti sull’argomento, onde
con sicure norme ed uniformi direzioni possano aU’eveuienza dei casi attenersi a quelle prescrizioni che siano più consentanee agli esposti principii.
« Ritenuta quindi la massima generale che le inumazioni tutte debbano
aver luogo nei recinti dei cimiteri comuni, verrà in questi (ove già non esi-
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stano località aU’uopo) destinata una parte dcH'area da distinguersi dalla
rimanente con fossa, muro o siepe, a norma dei casi e dell’ importanza edilizia del luogo, pei seppellimenti degli acattolici, salvo alla podestà ecclesiastica di premettere i riti e le formalità solite praticarsi dalla medesima
in tali contigenze.
« Egualmente una páíte separata del cimitero comune dovrà essere destinata all'inumazione dei bambini nati da genitori cattolici e morti prima
del rito battesimale.
« Ma ogni classificazione fra i defunti che appartennero allo stesso culto,
come p. e. pei suicidi, poi giustiziati e simili non dev’essere ammessa, giacché la separazione di sepoltura entro il recinto comune è fondata unicamente sulla differenza dei culti professati dalla popolazione.
« E qui giova avvertire che se i principii diversi di culto professati dai
varii popoli appresero a tutte le nazioni più colte sì antiche che moderne
il rispetto e la pietà verso gli estinti, non per questo debbonsi considerare
i cimiteri dal lato solamente religioso, ma eziandio come istituzioni eminentemente civili, e quindi sarà sempre giusto e conveniente che i medesimi
siano opportunamente regolati e diretti dalle civili Autorità.
Torino, addì 31 marzo 1861.
Il Ministro
MLN GHETTI.
Cou questa circolare perde quasi del tutto la sua importanza il
ricorso testé aporto dal sig. pastore Ribetti al Municipio di Livorno,
motivo per cui, contrariamente alla fatta promessa, ci asterremo dal
pubblicarlo.
CORRISPONDENZA DELLA B. NOVELLA
Palermo, 5 aprile.
Caro fratello,
Ieri era il 4°; e come i Siciliani amano molto le feste, ne hanno celebrata
una nuova in memoria della rivoluzione che scoppiò l’anno scorso in quello
stesso giorno. Quanto sia stato deplorabile l’antico governo, si può giudicare
dal fatto che tutti gareggiano nell’esprimere la gioia che risentono della
SUI caduta. 11 fatto sta che tutti sono unanimi ad esecrare la memoria dei
Borboni. Visitavo l’altro giorno un barone molto amico del sistema papale,
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egli si lagnava altamente dell'immoralità di molti degl’impiegati anche superiori deU'attualo regime, era poco soddisfatto della legge sopra i conventi,
e diceva rammentarsi a tal proposito del tiranno Dionisio il qmile, avendo
sentito che molti fornai guastavano il pane, comandò immediatamente di
chiudere tutti i forni, o dì tal altro il quale offeso d’aver ricevuto un pugno,
voleva far tagliare a tutti i pugni ed ancora i piedi per evitare i calci ; e
quando gli domandai : « ma d’onde viene che Ella pure riconosce molti
frati di Sicilia e molti conventi essere corrotti c guasti ?» mi rispose risolutamente che, a suo parere, ne era cagione il mal governo dei Borboni, cd
il sistema di spionaggio ch’essi avevano organizzato, cosicché spesso i più
cattivi erano considerati come i più utili, ed in conseguenza erano accarezzati dai governanti.
Per coloro i quali non han conosciuta l'isola prima della rivoluziono sono
noiose le ripetute feste che si fanno adesso, ma per il popolo siciliano è
tatfaltra cosa. Per ben sei settimane, l’anno scorso, nissuno poteva uscir
di casa ; una signora forestiera mi diceva : « nel Toledo io era la sola che
« ardiva mostrarsi, e mio marito avendo il giorno 4 fatto un saggio d'uscir
« di casa, sentì passar le palle vicinissme al capo suo, percliò i soldati bor« bonici tiravano lungo lo strade e fucilavano chiunque passava; non andava
« giorno senza che si ammiizzasscro alcuni nella città; e ijuando si fecero
c< scavi nelle case rovinato ne trascinarono o portarono fuori 607 corpi, il
(( mio marito trovò in una stanza uua donna con sei ragazzi e bambini
« tutti morti. »
Tln'altra persona degnissima di fede mi assicurava ehe, alcuni dei borbonici
feriti gli dicevano con una sfacciataggine incredibile ; 4 Quando si prese il
« sobborgo di Sant'Antonio vi erano molto donne le quali furono tutte bruciate
« nell’incendio cho se ne fece ; e se lei avesse sentito come quelle donnic« ciuole gridavano là dentro ! » Tutti temevano un macello generalo nella
città. Con tali fatti ancora freschi, freschi non è da maravigliarsi che si celebri la ricorrenza del 4 aprile 18(.i0.
La festa di ieri avea una fisionomia tutta siciliana, se ne giudichi dal
fatto che il centro della rivoluzione fu un convento, e che tra i primi promotori del movimento liberale furono i padri cappuccini della Gancia.
Perciò tutta la Chiesa della Gancia era decorata con sfarzosi addobbamenti , con patriottiche iscrizioni, con fiori e pitture. Nella mattina vi fu
gran messa alla quale intervennero tutte lo autorità ; neH’eloquente sua
predica (il frate) di San Francesco che occupava il j>ulpito parlò energicamente contro il potere temporale del papa, e quando foce cenno delle sofferenze passate, dei pericoli sostenuti e delle vittime uccise , gli uomini
stessi non rimasero coll’occhio asciutto , ma più d'uno piangeva, benché
,<!otto l’uniforme. — Al pian terreno del convento scorgcvasi una lastrica
di marmo bianco, di forma irregolare, coiriscrizinne strana : « buca fh' sai-
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Vizza, » ma ud’altra, incastrata nel muro un poco più sopra, ne dava, e ne
dà tuttora la spiegazione seguente :
« Monuinento di patria carità.
« Gaspjare Bivona e FU. Patti, dall’eccidio commesso da’ Regi,il IV aprile,
<L scampati, ricoverando fra i cadaveri, dopo cinque giorni d'inedia , delusi
« dalla carità dei vicini i hirri del Borhone, che stavano di giorno e di notte
a. fare la guardia, ritornarono, come per prodigio, alla luce ed alla libertà,
passando per questa angusto huco. IX aprile 1860,
All’entrata si leggevano le seguenti parole forse un po’ troppo ricercate
ed intralciate ;
Qui, a redenzione di patria, accuorata dalla mala Signorìa de’ Borioni,
frati convenivano e civi : i magnanimi rifiutando per libertà la vita, sancirono di non mormorar cosa vane, ma con travagli accomunati onninamente
fare : dentro alle viscere di queste religiose pareti, con accorgimenti e coperte
vie fu — sotto la indispettita larharie di un potere dai cento occhi, accatastato, sepolto ogni'argomento che a guerra e per la tua emanipiazione civile,
o popolo siciliano, inservisse : In lai civi, in colali frati, I Catoni del secolo XIX. Italia ! Riconosci oggi ed ammira ! ! — 0 casa di Dio ! Sid
limitar della soglia tua prostrate riverenti l’umanità un giorno, e la storia
con voce libera, te additeranno a’ venturi per segnacolo della civiltà cristiana:
all'orbe di presente rigenerato sarai Betlemme novella : Cristo allora, per te
venne Messia Garibaldi. Salve ! in Eterno. Salve ! ! I ! ! !
Nella navata principale avevano appesi alle colonne della Chiesa i nomi
delle vittime dei Borboni, e nel cortile del convento vedevansi i padri
cappuccini che mostravano qua e là agli andanti i luoghi illustrati dal
4 aprile, e narravano come erano stati condotti prigionieri al castello, e
siccome tre d’essi erano stati ammazzati. Fuor della porta del convento
lessi la spiegazione seguente che mi parve molto significativa : Qui, delazione infame precorsa spense di moschetti e di cannoni fratricidi, la sortita,
gli eventi: qui dal soldato, dal birro , sostegni mercenari ed iniqui dì una
dinastia, lupa di ogni brama, carca, furono sagre cose e profane manomesse,
ospitali spogliati : qui — sangue di martiri piovuto — dalla polvere sanguinenta di questa via fede al riscatto sorvennero aiuti provvidenziali e libertà: per essa il potere temporale dei papi abolito, più venerandi, più maestosi, più saldi, e in amorevole amplesso legali, cattolicismo e unità politica
a grandezza d’Italia consorgeranno domani ! Gioite o popoli ! il trionfo dei
vostri dritti, gloria sarà dei dritti di Dio ! ! !
Si vede dunque chiaramente la contraddizione nella quale si muove il
cattolicismo attuale. A Roma, laddove giudicano delle cose secondo i
principii rigorosi del papismo , non fanno separazione tra quelli i quali
contrastano al potere temporale ed i nemici dell’intero sistema papale ;
mettono Garibaldi nella stessa linea con Lutero, come lo diceva testé una
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pubblicazione uscita dai torchi del papa : « Garibaldi è riformatore politico,
Lutero fu riformatore religioso. » ; Cavour si trova accoppiato a Calvino; e
taluno che si dichiara figlio divotissimo della Chiesa, n’è reciso por la scomunicS affatto come noi evangelici. — Ma chi avrebbe creduto di vedere un
convento di cappuccini farsi propagatore della dottring. nuova della caduta
del potere temporale ? E pure, piuttosto il moro cangierebbe la pelle ed il
pprdo le macchie, anziché que’ pochi cappuccini rinnovassero la loro dottrina per ritornare alla primitiva semplicità ; cosicché, al loro parere, sono
figli divotissimi di ìladre Chiesa, e secondo il Padre visibile di essa Chiesa
sono ribelli e nemici ! Non facciamoci lusinghe ; la caduta del temporale
potere non sarà la caduta del papato, benché un primo giudizio divino
contro l'usurpatore, il quale si fa adorare nella Chiesa come Iddio. Rimarrà
dopo la caduta del papa-re, il papa-vescovo, onnipotente sopra le coscienze,
nemico accanito della verità evangelica, e chi sa se quello che rifiutarono i
popoli al papa-re non l'accorderanno al papa vescovo ? Chi sa se, nel mezzodì deirEuropa ai potrà mai cangiar l'idea pagana, caitolira-romana, che
la religione è affare di nazione e non già di coscienza, e che gl'italiani debbono essere Cattolici-romani per la stessa ragione per la quale i Cinesi
sono Buddisti, ed i Turchi Maomettani ! Sia che c’ importa ? Per noi
rimane sempre lo stesso dovere, cioè di far conoscere -quello che ci ha ri ■
scattati e ci ha procacciata la libertà dei figliuoli di Dio ! I popoli non si
•salvano, ma gli individui ; il prezzo d’una sola anima é immenso, infinito ;
rimarrà per te,, cristiano, sino alla fine dei giorni la beata promessa : « Pra« telli, se alcun di voi gyia dalla verità, e alcuno lo converte, sappia colui,
« che chi avrà convertito un peccatore dall’errore della sua via, salverà
« un'anima da morto, e coprirà moltitudine di peccati. » S. Giac. v, 19, 20.
NOTIZIE RELIGIOSE
Torino — La sepoltura di G. Modena e le Lien. — Troviamo nel Lien,
dei 30 Marzo, sulla sepoltura del celebre artista drammatico G. Modena
il seguente articolo così pieno zeppo di errori, nella sua brevità, che crediamo debito nostro il rettificarlo :
« Uno degli scrittori pii! rinomati dell’Italia contemporanea, il sig. Modena, morì non ha guari a Torino. Il sig. Modena, che avea preso parte alle
guerre del 1848 e 1849 contro gli Austriaci, avea rotto da molto tempo
colla Chiesa romana, ma egli nutriva tuttavia sentimenti religiosi, quantunque non si fosse fatto ammettere nel grembo della Chiesa evangelica. Negli
estremi momenti si dice che mandasse da un pastore ; in ogni caso, egli ha
voluto essere sepolto secondo i riti e nel cimitero degli Evangelici. La cerimonia venne presieduta dal signor Bert; i generali 'Turr, Medici e Cosenz
nonché un gran numero di scrittori cd artisti erodisi uniti alla comitiva,
che fu assai commossa dalle parole dette dal pastore. Il fatto in se stesso
ha destato grande impressione in Torino si.
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Finquì il Lien. Ora chiunque conosce le cose quali sieno realmente sa :
1° Che il Modena non era scrittore, ma bensì il primo artista drammatico ehe vantasse T Italia dei nostri tempi ;
2° Che il Modena, in fatto di sistema religioso, era materialista, jiel
senso più tristo di questa parola, respingendo come un’assurdo la dottrina
dell’immortalità dell’anima e l’altra tutte che su questa si fondano;
3° Che non solo il Modena non chiamò presso di sò un pastore e non
volle essere seppellito Secondo i riti evangelici; ma che morendo, raccomandò nel modo più positivo ai suoi amici, che nissun rito religioso qualun<pe venisse celebrato sulla sua tomba;
4“ Che, anziché la funebre cerimonia sia stata dal sig. pastore Bert,
presieduta, il medesimo non intervenne alla sepoltura neppure come privato.
Perchè il. Modena abbia chiesto, come infatti egli ha chiesto, dì essere
sepolto nel cimitero degli Evangelici, questo noi non sappiamo, nè vogliamo
indagarlo; ma la cosa di cui siamo certi si è che ciò non avvenne per affinità veruna di principii religiosi, ch’egli avesse cogli Evangelici.
Noi ci siamo astenuti e ci asterremo, ancora por più riguardi, di discorrere in dettaglio, sì di questo funerale, che di fatti rincrescevoli assai cho vi
si riferiscono, ma abbiamo stimato dover nostro, lo ripetiamo, (ed il Lùn
non sel’avrà a male) di rettificare le asserzioni erronee del nostro confratello
di Parigi, a scanso, altresì, dell’uso che da taluno, malevole anzichenò, se nc
sarebbe potuto fare.
Napoli — Morte di un colporfore. — L’ottimo nostro colportore Carlo
Actis, che da anni e con zelo indefesso, si affaticava a spargere in Italia il
buon grano dell’Evangelo, da alcuni gionii ha lasciato il suo terrestre albergo, per entrare in possesso di quella casa eterna fatta senz’opera di
mano, ch’egli aspettava dalla gratuita misericordia del suo Redentore. Ecco
quanto ne scrivo in proposito l’egregio pastore cho l’ha assistito nella sua
malattia, sig. Roller di Napoli :
« Caro signore e fratello in G. C. II vostro povero colportore Carlo Actis
ha cessato or ora di vivere, nel nostro ospedale evangelico, in seguito ad una
malattia di petto. Egli se n’è andato nella pace del Signore, pregando di
continuo. Da più settimane ad altro non voleva più pensare che al suo Dio.
Felice quando avevamo pregato assieme, egli si rallegi-ava pensando alla
prossima partenza. La vigilia della sua morte sovratutto, nel parlare di quel
momento che si avvicinava, il suo viso diveniva raggiante. Rare volte siamo
stati testimonii di qualche cosa di così edificante. Appena poteano gli assalti
nervosi toglierlo un’ istante alla sua serenità ».
TI caro nostro defunto lascia dietro di sè una vedova e quattro figli che
caldamente raccomandiamo alle preghiere ed alla carità dei fratelli.
Wcigt Giovanni gerente
TORINO — Tipografìa CLAUBTANA, diretta da It. Trombetta