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Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 110 - N’ m. 1
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ANNO 1973
la cosdnza M dtlMlno
G6Sfl Cristo B h stesso ieri, OHÌ. O ioitteno "Ol cassallo Oel mkMra
* 33 1 Giovedì 14 dicembre la Camera dei si ni
« Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi, e
in eterno» (Ebrei 13: 8). Egli non è
prigioniero del tempo come noi.' Noi
non siamo gli stessi ieri e oggi, e tanto meno lo siamo in eterno: oggi non
siamo più quelli di ieri e domani non
saremo — se ancora saremo — quelli
di oggi; cresciamo, invecchiamo, cambiamo continuamente, non siamo mai
gli stessi. Perché? Perché siamo prigionieri del tempo e il tempo ci consuma. È un eufemismo dire che il tempo passa; in realtà siamo noi che passiamo. La Bibbia conosce questo fatto:
lo paragona al fiore del campo che appassisce quando il soffio dell’Eterno vi
passa sopra, oppure all’erba che verdeggia e fiorisce la mattina, la sera è
segata e si secca.
Ma il fatto che non restiamo gli stessi acquista anche, nella Bibbia, un altro significato, positivo ed evangelico.
Noi non dobbiamo restare gli stessi,
siamo chiamati a cambiare e possiamo
cambiare: è Dio stesso che non ci lascia essere gli stessi, ci chiama a essere diversi, anzi « nuovi ». L’evangelo è
anche l’annuncio dell’uomo nuovo: chi
è in Cristo è una nuova creatura; la
parola di Dio può creare cose nuove,
diverse, nella nostra vita. Perciò alla
luce dell’evangelo la constatazione che
non siamo gli stessi ma cambiamo da
un giorno all’altro, da un anno all’altro, non deve avere soltanto il significato negativo che il tempo sta lavorando su di noi per consumarci ma il significato positivo che Dio sta lavorando su di noi per trasformarci. Gesù
non ha bisogno di essere trasformato:
fin dall’i ni’zio è ^UQ'^O " ■'^■'■*0
vo Adamo ». il primogenito di una nuova umanità: già al battesimo Dio dice
«Questi è i' mio diletto figliuo^
lo, nel-quale ,mi sono compiaciuto».
frt'.sH può. a differenza di noi. restare
lo stesso perche e già il vero uomo, la
CUI <i perfetta statura » (Efesini 4: 13)
di uomo secondo il volere di Dio e proposta come meta e modello a tutti gli
uomini.
Che Gesù Cristo sia lo stesso ieri, oggi, e in eterno resta una affermazione
della fede. L’incredulità dice il contrario, e cioè che Gesù non è lo stesso
ieri e oggi: ieri parlava, oggi tace; ieri
agiva, oggi non fa nulla; ieri era una
persona, oggi è un ricordo; ieri era
predente, oggi è assente; ieri era, oggi
non è. Anche la fede dei primi discepoli parlava come se Gesù non fosse
lo stesso ieri e oggi, come se egli fosse
di' Ièri ma non di oggi. I discepoli di
Eihmaus, ad esempio, mentre tornano
a Casa parlano di Gesù soltanto al passato: Gesù appartiene al loro ieri e
non al loro oggi. Oggi, per loro, c’è il
ricordo ma non la realtà di Gesù. Ma
l’esperienza fondamentale dei primi
cristiani è stata che Gesù, contro ogni
attesa, era proprio lo stesso ieri e oggi.
Mentre loro pensavano che non sarebbe stato lo stesso, invece han dovuto
constatare che era lo stesso. È stata
questa la grande sorpresa dei cristiani
dal mattino di Pasqua in poi: Gesù non
diventa un ricordo, non è prigioniero
del passato, è vissuto ieri ma non è di
ieri. Gesù non rimane nel suo tempo,
viene nel nostro. Che Gesù non sia di
ieri ma di oggi, che sia lo stesso ieri
e oggi, che non sia un ricordo ma una
presenza non è soltanto una affermazione ma è la grande e fondamentale
affermazione della fede cristiana. Quando la fede non è più in grado di pronunciarla con franchezza è segno che
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiifiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
comincia a vacillare. La crisi della fede comincia quando, per essa, Gesù
non è lo stesso ieri e oggi, quando sembra più reale il Gesù di ieri che quello
di oggi, quando essa parla e testimonia
del Gesù di ieri come se non fosse anche di oggi. Un pericolo incombente
specialmente sulle chiese storiche, come la nostra insieme a tante altre, è
di credere, tutto sommato, più in un
« PROTESTANTESIMO »
la nuova rubrica televisiva
ogni giovedì alle 18,30
sul II Programma
Gesù di ieri che in un Gesù di oggi,
mentre d’altra parte è significativo che
l’affermazione « Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi, e in eterno » sia un po’ la
parola d’ordine di tutto il movimento
pentecostale.
« Ieri, oggi, e in eterno ». Noi avremmo detto: Ieri, oggi, e domani. L’apostolo, anziché dire ’domani’, dice ’ineterno’. È solo un caso? Forse no. Forse vuol dire che il nostro vero futuro
non è il domani. Domani, lo sappiamo,
diventerà ben presto ieri, il nostro futuro diventa inesorabilmente passato.
In fondo è un futuro momentaneo,
provvisorio, senza durata, un futuro
che si annulla e si volge nel suo contrario: tutto il nostro futuro è così.
L’esperienza della nostra vita è di avere. col passare degli anni, sempre meno futuro e sempre piu passato e, alla
fine, di non avere piu nessun futuro
“'lifa solo piu passato 'ir'dròmam,''àesfinato a diventare ieri, non è il nostro
vero futuro « In eterno » dice l’apostolo — ecco il futuro che Gesù ci prospetta. Leternita e il nostro vero futuro. ieri, oggi, Qomani ^ diciamo noi.
Ieri, oggi, in eterno — dice la Bibbia.
Eternità evoca una realtà che non possiamo in alcun modo concepire, quel
che crediamo di saperne è di solito
frutto della nostra immaginazione. La
Bibbia è molto sobr ia al riguardo e tali dobbiamo essere noi pure. Una cosa
però va detta, ed è che l’eternità non
sta soltanto al di là dell’orizzonte della nostra vita terrena. L'eternità non
comincia con la morte ma con la fede:
chi crede ha vita eterna. L’eternità è
in mezzo a noi, è il tempo di Dio che
Gesù ha introdotto e vissuto in mezzo
al tempo umano che gli era assegnato,
precario e fuggevole come il nostro.
L’eternità comincia ora nella misura
in cui nel nostro rompo che passa e fa
passare, che muore e fa morire, che
divora noi e se siesso. cominciamo a
yi^yere momenti del tempo di Dio, che
è il tempo delle cose che durano: fede,
amore, speranza. Ma piu di tutte dura
l’amore. L’amore di Dio — non il nostro — non verrà mai menò.
Faolo Ricca
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~ in varie chiese responsabili locali curano
la raccolta di abbonamenti e offerte: li ringraziamo vivamente. L'ECO-LUCE
Giovedì 14 dicembre la Camera dei
deputati ha approvato quel testo, già varato al Senato il 30 novembre scorso,
che diverrà così tra giorni la prima legge italiana sugli obiettori di coscienza.
Si vuole in tal modo che il problema
giuridico degli obiettori sia risolto; per
cui da più parti si è subito sentito il
bisogno di strombazzare l’elevato senso sociale e gli alti valori morali insiti
nell’obiezione di coscienza, malgrado
sino a ieri nessun tribunale militare
abbia voluto riconoscerli come movente dell’abiezione al servizio militare per
concedere, con la condanna, la relativa
attenuante. Così pure la Raitv ed i
grandi quotidiani si sono subitamente
lanciati nell’esaltare im provvedimento,
atteso da decenni senza che i grandi
mass-media italiani si fossero invero
né molto né felicemente occupati prima d’ora del problema di fondo. Così
con le interviste ai parlamentari, solo
da ultimo interessatisi al tema e con
la visione della eroica cinepresa della
TV riuscita sol ora a penetrare nella
fortezza di Peschiera rinnovando le gesta delle truppe carlalbertine del 1848,
tutti gli italiani, ammirando il telegiornale di giovedì sera, hanno potuto compiacersi per il fatto del giorno al grido
di: « resa Peschiera» di carducciana
memoria.
Sin dai,primi anni del dopoguerra,
quando pochi eràn disposti a spendere'
una parola per gli obiettori, gli evangelici han cercato di dare il loro modesto,
ma ’non inutile contributo impostando
in modo coerente il problema del riconoscimento dell’obiezione di coscienza.
Ma, riandando al passato, l’emanazione
di questa legge suscita in me pensieri
diversi.
Anzitutto im pensiero riconoscente
t^érso ttìtti gli ùbietiGii die dal 1947 in
avanti hanno saputo obbedire al dettato della loro coscienza mostrando così che, malgrado le enormi contrarietà
e le pesanti conseguenze che la società
infrappone al cammino della libertà.
Erode nel Mozambico
La morte tragica del pastore Zedechias Manganhela, presidente del Consiglio sinodale della Chiesa presbiteriana del Mozambico (membro della
CEVAA), di cui abbiamo dato notizia
nel numero scorso, se non è stata considerata degna di più che un frettoloso
stelloncino sui grandi organi d’informazione, ha vivamente turbato l’ambiente delle Chiese. Riportiamo qui a
parte il testo di alcuni telegrammi ufficiali, inviati alla Chiesa sorella e al
governo portoghese. Il past. Edmond
Perret, segretario generale deH’Alleanza riformata mondiale (ARM), famiglia
confessionale di cui fa parte la Chiesa
presbiteriana del Mozambico, appena
ricevuta la tragica notizia pervenuta al
Dipartimento missionario delle Chiese
protestanti della Svizzera remanda, ha
tra l’altro rivolto a tutte le Chiese dell’ARM un invito « a perseverare nella
preghiera d'intercessione per coloro
che soffrono e conoscono la prova »,
chiedendo in particolare « che i culti
celebrati ovunque in occasione del Natale facciano posto a questi elementi
d’intercessione: la vedova e la famiglia
del pastore Zedechias Manganhela; i
TRE TELEGRAMMI
■ Ecco il testo di due telegrammi inviati da Ginevra a Osias Mucache, a Lourengo Marques,
presidente interinale del Consiglio sinodale della Chiesa presbiteriana del Mozambico:
« l'Alleanza Riformata Mondiale assicura alla sposa del pastore Manganhela, alla sua famiglia e alla Chiesa presbiteriana del Mozambico l'affetto fraterno delle sue 138 Chiese membro.
Rivolge un appello all'intercessione alle sue chiese e la richiesta di un'inchiesta indipendente
sulle circostanze e sui motivi del decesso alle istanze portoghesi e internazionali. Con voi ripone
la sua speranza nella risurrezione di Gesù Cristo ».
EDMOND PERRET, segretario generale ARM
« La comuniU ecumenica intera condivide il vostro dolore nel momento del decesso in carcere del vostro presidente, il pastore Manganhela. Vi assicura la propria intercessione e vuol
vivere in comunione con voi la sua speranza in Gesù Cristo, Signore del mondo ».
PHILIP POTTER, segretario generale CEC
Ed ecco il testo del telegramma inviato al presidente Marcelo Gaetano, primo ministro del
Portogallo, a Lisbona, dal presidente della Federazione delle Chiese protestanti svizzere:
« Eccellenza, abbiamo appreso con stupore e dolore morte tragica, nella prigione Machava,
pastore Manganhela, presidente Chiesa presbiteriana Mozambico e quella di José Sidumo, membro medesima Chiesa, nel luglio 1972, conosciuta cinque mesi più tardi. Legami storici fra Chiese
protestanti di Svizzera e Chiesa presbiteriana del Mozambico ci spingono chiedere con insistenza
o rispetto a vostra Eccellenza assicurare protezione contro sevizie della polizia e permettere liberazione detenuti mozambicani ».
WALTER SIGRIST, presidente FCPS
membri e i responsabili della Chiesa
presbiteriana del Mozambico, incarcerati in stato di segregazione da sei mesi; gli assai numerosi Mozambicani
(parecchie centinaia) arrestati anch’essi lo scorso giugno; i cristiani del Mozambico che, appartenendo ad altre
Chiese, hanno manifestato con degli atti il loro amore fraterno; la polizia e
le autorità portoghesi, nel Mozambico
come nel Portogallo ». Quest’appello, a
causa degli ingorghi postali, è giunto
purtroppo in tempo a ben poche chiese
italiane; questo non vuol dire che l’intercessione non abbia più ragion d’essere!
Intanto, dalla stessa fonte (ricordiamo che i missionari protestanti all’opera nel Mozambico sono nella quasi totalità svizzeri) si è appreso con dolore
che anche José Sidumo, membro del
consiglio della chiesa di Manjacaze, si
è « suicidato » (o è stato « suicidato »?)
in carcere; la morte sarebbe avvenuta
già lo scorso luglio, ma è stata taciuta
per cinque mesi e la si è appresa soltanto ora. La DGS (Direzione generale
di sicurezza, già FIDE, una tipica e
dura polizia politica di regime autoritario) sostiene la tesi dei suicidi e che
sarebbe stato trovato nella cellula del
Manganhela una sua lettera che spiegherebbe i motivi del suicidio. I comunicati ufficiali parlano di « carcere », di
« autorità penitenziarie ». « Ma — nota
Charles Biber nell’articolo di fondo.
Erode nel Mozambico, dell’ultimo numero de ”La vie protestante” — né il
presidente Manganhela né il consigliere di chiesa José Sidumo di Manfacaze
erano condannati. Sono stati arrestati
il 13 giugno con parecchie centinaia di
Mozambicani senza motivo ufficiale e
senza godere della più elementare protezione giuridica. Il "carcere” in questione è il "Centro di ricupero" di Machava, nei pressi di Lourengo Marques,
campo di concentramento per i detenuti politici. L’ “autorità penitenziaria"
altro non è che l’onnipotente DGS, che
ricorda modelli polizieschi ai quali si
preferirebbe non ripensare.
« Queste morti, questi arresti senza
processo regolare, il decreto recente che
porta a tre anni la durata dell’internamento amministrativo, rinnovabili per
altri tre anni, sono altrettante interrogazioni all’opinione pubblica mondiale
sul senso della presenza portoghese in
un paese africano. Se questa presenza
dovesse risolversi nella morte di uomini integri e colti e nella prigionia incontrollabile di uomini e di donne i cui figli sono costretti a quattro anni di servizio militare attivo nelle guerre del
governo, ci si domanda a che vale tutto
ciò. La guerra coloniale, anche se comporta successi vistosi e marginali, distrugge alla base i rapporti: è un clima
senza avvenire.
« .Non siamo soli a porci queste domande. Non è un caso che il Consiglio
ecumenico abbia inaugurato negli ultimi anni una lotta comune delle Chiese contro il razzismo bianco, sia esso
professato apertamente, come nei regimi d’apartheid, o sottilmente praticato,
come nel regime portoghese. Ñé è stato
un colpo di testa, quando nel maggio
1971 i Padri Bianchi si sono ritirati, a
titolo dimostrativo, dal Mozambico nel
quale lavoravano da decenni, denunciando pubblicamente la connivenza
fra la Chiesa ufficiale e lo Stato, basata
sul Concordato del 1940. Anche oggi alcuni sacerdoti cattolici sono incarcerati in segregazione a Machava.
« Con l'Alleanza riformata mondiale
chiediamo che istanze internazionali
svolgano un’inchiesta nel Mozambico
garantendo ogni protezione giuridica.
Chiediamo che il Consiglio federale vieti la vendita di armi svizzere al Portogallo, centro della repressione nei suoi
territori africani. Denunciamo gli investimenti svizzeri attuati nel Mozambico, in una situazione forse assai lucrativa, ma marcia.
« Manganhela, Sidumo e altri ancora
sono di troppo per i padroni del Mozambico. Il bimbo di Bethlehem è forse di troppo per i popoli d’Occidente? ».
Anche le nostre chiese italiane devono porsele, queste domande; e porle, di
conseguenza, alla nostra nazione, al nostro governo. Anche noi vendiamo armi
al Portogallo, investiamo nell’ Africa
portoghese. La vocazione cristiana, d’altra parte, ci spinge ad aiutare indirettamente i guerriglieri a comprarsene,
tramite l’aiuto che il CEC dà ai movimenti di liberazione? Non siamo capaci
di immaginare — e attuare — un’azione
politicamente più rilevante e spiritualmente più qualificante?
g. c.
si può egualmente dare úna chiara testimonianza di civismo per il rispetto
dei più alti valori umani. Tutti costoro, anche se non hanno ancora vinto la
loro battaglia civile, hanno tuttavia
spinto il paese, malgrado la pigrizia
dei più e l’avversità dei peggiori, a ma- r
turare quella riflessione che il loro
esempio aveva fatto insorgere con prepotente impulso nell’animo dei migliori.
Ed una parola di apprezzamento sento anche di doverla rivolgere a quei politici delle più! diversi correnti ideologiche che seppero in questi trent’anni
circa ascoltare in modo più autentico
che non i facitori dell’attuale provvedimento, i motivi conduttori e le esigenze prime dettate dal monito che, gli
obiettori han rivolto al paese. Desidero perciò ricordare gli apporti dell’on.
Quezto articolo avrebbe dovuto giungere
in iempo per essere inserito nel numero
scorso... Siamo comunque lieti di pubblicarlo. Leggere pure, a pag. 5, una rapida scorsa su quella che è stata, nelTultimo ventennio , la partecipazione degli evangelici
italiani alla lotta per II riconoscimento dell'obiezione di coscienza nei nostro paese.
red._
Caporali che sostenne là posizione degli obiettori in seno ajla Costituente
(1947); degli on.li Calosso e Giordani
che presentarono la prima proposta di
legge ai riguardo (1949); e di-poi dell’on.le Basso che facendo risalire il problema dal dimenticatoio dove i più
l’avevano confinato, lo ripresentò all’attenzione della classe dirigente politica
con le proposte di legge del 1957, del
1962 e del 1964. Quindi rammento gli
pn'li PistBlIi,,;pqgliar4i, Paplicchi, Pellj-^^ ,.
cani, ché presentarono aòch'essi pró-*^"“"
poste diverse nel corso della IV legislatura dal 1964 al 1966; ed infine quei
parlamentari che alla Camera, al Senato od in sede di Ministero della difesa
si sono validamente adoperati nel corso di queste due ultime legislature per
far maturare nella coscienza della dirigenza politica del paese il problema del
riconoscimento giuridico degli obiettori, specialmente tra gli altri gli on.li
Anderlini, Fracanzani, Cossiga.
Il provvedimento ora emanato potrà
sistemare il caso di alcuni tra i 167
obiettori ad oggi chiusi nelle carceri
di Peschiera o di Gaeta, ma certamente non risolve il problema dell’obiezione sul piano di quei valori morali e civili che oggi la maggioranza degli italiani sembra pronta a riconoscere propri della tematica sollevata dagli
obiettori. Non è il caso di analizzare
qui le varie disposizioni. Basti ricordare per tutte le due maggiori pecche che
viziano la legge.
Anzitutto quella per cui in ultima
analisi, dopo il verdetto della apposita
Commissione, è il Ministro della difesa
a decidere del riconoscimento o meno
dell’obiettore; cioè a pronunciarsi sul
motivo di coscienza dell’obiettore. Non
è la prima volta che la coscienza dei
cittadini viene per legge depositata nel
cassetto della scrivania di un Ministro.
Come l'art. 143 del regolamento carcerario del 1931, tuttora vigente anche se
passato in recente disuso con una circolare del 1969, obbligava il carcerato
che volesse mutar religione a fame domanda al Ministro della giustizia per
averne il permesso, così ora il cittadino la cui coscienza obietta al servizio
militare deve attendere che la sua coscienza ottenga la libera uscita dal
Ministro della difesa per essere presa
in considerazione.
L’altro sostanziale difetto sta nel carattere punitivo del provvedimento. Infatti agli obiettori è imposto un periodo di servizio di otto mesi più lungo
del servizio di leva. E ciò volere o no
nella pubblica considerazione incide
negativamente sulla « pari dignità sociale » di tutti i cittadini affermata dall’articolo 3 della Costituzione.
Si vedrà in pratica con quale spirito
agiranno la Commissione ed i vari Ministri che si avvicenderanno alla difesa
in questi primi anni di applicazione
della legge e ne determineranno la
prassi; e non si può escludere a priori
che le cose possano sistemarsi via via
nel tempo. Si saprà forse se e per quanti obiettori sarà o non sarà stato riconosciuto l’aver agito per motivi di coscienza e si potrà perciò fare un giudizio definitivo sulla legge non solo ancorato ad un esame delle norme sul
piano tecnico giuridico. Questa legge
infatti tocca i motivi più profondi del
Giorgio Peyrot
(continua a pag. 8)
2
pag. 2
N. 1 — 5 gennaio 1973
IL DISSERVIZIO POSTALE CI AIUTA A RICORDARE
« Pane al pane » dice il Sinodo riformato olandese
e la Claudiana riecheggia
9ÌOrnO è N3tdl6 una parola chiara sulla storia,
il segreto, l’autorità della Bibbia
« Gloria a Dio nei luoghi altissimi,
pace in terra fra gli uomini ch’Egli gradisce! ».
(Luca 2; 14).
Sempre più si manifesta fra il
popolo di Dio un certo imbarazzo
nella celebrazione del Natale; certo, fra tutte le feste cristiane, quella del Natale è stata più di ogni
altra banalizzata, svuotata del suo
contenuto evangelico, commercializzata; ne siamo tutti coscienti e
turbati.
Tanto ìnafggiormente siamo dunque impegnati ad approfondire il
significato del Natale, a ricercare
il messaggio genuino dei racconti
neotestamentari e ad annunziarlo
nelle nostre comunità in modo tale da essere recepito rettamente.
La buona novella
Al di là della poesia del Natale,
nel messaggio degli angeli ai pastori e poi, nel canto delle schiere
celesti, quella che viene annunziata alTumanità è la buona novella della « grazia » di Dio per ogni
creatura: « Dio gradisce gli uomini », dice il nostro testo, tutti gli
uomini: il « figliol prodigo » ed anche « il fratello maggiore », la peccatrice come i farisei, i gentili come gli israeliti. L'amore del Padre
si manifesta nella storia proprio
in questo: « non che noi abbiamo
amato Dio, ma che egli ha amato
noi... ».
Quando ricordiamo il Natale,
noi celebriamo Iddio perché egli
ha realizzato un nuovo rapporto
con l'umanità; questa nostra uma
^ ome abbiamo comunicato nel numero scorso, questo messaggio natalizio del Moderatore Aldo Sbaffi do»eva comparire su quel numero; ma,
■^impostato a Roma (per espresso) la
sera,del 16 dicembre, e stato recapitato
in tipografia, a Torre Pellice, il 29 dicembre. Siamo molto spiacenti di questo disguido; comunque, forse le patrie
poste vogliono a modo loro farci convinti che ogni giorno è Natale...
red.
nità non è più sotto la condanna,
ma, secondo la così ricca espressione di Paolo, essa è stata in Cristo riconciliata con Dio.
Il canto degli angeli
La partecipazione degli angeli
aH'avvenimento, il loro « gloria »,
ha come movente l'esultanza di
fronte alla manifestazione del piano di salvezza di Dio. Secondo
l'antico inno della chiesa: « in Cristo, Dio ha riconciliato con sé tutte le cose che sono sulla terra
quanto quelle che sono nei cieli ».
Il canto degli angeli indica sem
I crìsiiani e la guerra
Riunito a Roma, nei locali della chiesa battista di Via
del Teatro Valle, si è tenuto su questo tema un nuovo
seminario teologico indetto dal Movimento Internazionale della Riconciliazione
I cristiani e la guerra: ecco il problema grosso che oggi, di fronte alle
ecatombi di Hiroshima e Nagasaki,
della seconda guerra mondiale, del popolo vietnamita martire, non ci lascia
pace. Come mai i seguaci di Cristo,
l’amore di Dio incarnato che si è fatto uccidere per gli uomini, continuano
a benedire le armi, a trovare giustificazioni per la guerra, a bombardare la
popolazione civile?
Già aU’inizio della prima guerra
mondiale un gruppo di uomini e donne cristiane di varie confessioni decide di non collaborare più con la guerra. Molti di loro soffriranno come
■obiettori di coscienza, anche fino alla
morte. Nasce così il Movimento internazionale della Riconciliazione (MIR),
che ora ha sezioni in una trentina di
paesi e membri singoli in molti altri.
I suoi membri cercano di lottare contro la guerra, contro le ingiustizie con
i mezzi nonviolenti che vanno dal dialogo, dal denunciare con forza le ingiustizie alla noncooperazione (scioperi,
boicottaggi ecc.), alla disubbidienza civile a leggi ingiuste (obiezione di coscienza, occupazioni, ecc.), sempre con
amore verso l’avversario causa dell’ingiustizia, il quale non è considerato un
nemico da abbattere ma un uomo, figlio di Dio da convertire.
Anche i primi Valdesi credettero che
non si deve uccidere nessun uomo perché « il corpo di qualsiasi uomo è come il corpo stesso del Signore e in
tanto deve essere venerato come il corpo del Signore » (Giovanni Scuderi in
La nonviolenza dei primi valdesi nel
libro Le chiese e la guerra). Questo libro dell’editore Napoleone raccoglie i
documenti del seminario teologico del
MIR sui fondamenti teologici della
nonviolenza e della pace, tenutosi dal
5 all’8 dicembre 1970, seminario nel
quale si approfondì specialmente l’atteggiamento delle chiese cristiane davanti alla guerra.
In un primo convegno nell’aprile 1968
a Vienna venne studiato il problema
« Il cristiano e la rivoluzione »; collaborarono Jean e Hildegard Goss Mayr,
Jean Lasserre, Anibai Guzman e Bari
Smith deH’America Latina, René Dumont di Parigi ed altri. I documenti di
questo convegno, insieme a quelli di
un convegno seguente, sono raccolti
nel volume Una rivoluzione diversa
(Ed. Religioni Oggi, chiedere il volume
al M.I.R. via delle Alpi 20, 00198 Roma,
prezzo: 700 lire).
Dall’8 al 10 dicembre scorso ha avuto luogo l’ultimo seminario col tema
specifico della obiezione di coscienza
(« / cristiani e la guerra »). L’obiezione
di coscienza non viene intesa solo come obiezione alla guerra, rna come
obiezione a tutte le ingiustizie. Significa dire no al momento giusto, ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini.
Per questo il passo Atti 4: 13-31 (Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio) era
un passo fondamentale per tutto il lavoro e venne studiato da una comuni
tà di giovani cattolici e poi approfon
dito durante il seminario.
Il seminario si apre l’8 dicembre con
la lettura di alcuni testi di « obiezione
di coscienza » dell’Antico Testamento
(le levatrici egiziane: Esodo 1: 15-21;
Daniele nella fossa dei leoni: Dan. 6;
quindi un passo di un libro deuterocanonico, il martirio di Eleazar: 2 Maccabei 6: 18).
All’inizio dei lavori Jose Diez Alegria
S. J., docente alla Gregoriana, commenta i documenti ufficiali della Chiesa cattolica sull’obiezione di coscienza
giungendo alla conclusione che « secondo la dottrina del Concilio Vaticano II il diritto dell’obiettore di coscienza ad un riconoscimento legale è un
vero diritto dell’uomo e che la negazione o l’eccessiva limitazione di questo riconoscimento è una vera e
propria ingiustizia e una grave mancanza dell’ordine giuridico nel quale
ciò avviene ». Per chiudere, egli cita la
dichiarazione, ancora più esplicita, del
documento « La giustizia nel mondo »
del Sinodo dei vescovi 1971: «Sia promossa la strategia della nonviolenza
attiva, le nazioni riconoscano e regolino mediante le leggi l’obiezione di coscienza ».
I documenti delle Chiese evangeliche
sulla obiezione di coscienza (Dichiarazione del Sinodo valdese, della Conferenza metodista, della Federazione delle Chiese evangeliche, del Comitato dell’Unione Cristiana evangelica battista
d’Italia, dell’Assemblea del Consiglio
ecumenico delle Chiese a Uppsala) sono stati distribuiti ai partecipanti al
seminario.
Purtroppo Umberto Vivarelli non ha
potuto venire perché malato. La sua
conferenza « Il cristiano di fronte alla
guerra, oggi » sarà pubblicata e mandata a tutti gli iscritti al Seminario,
così come il documento di Paul Lebeau, presidente del M.I.R. belga, su
* La comunità cristiana di fronte alla
rivoluzione necessaria », mandato al
Seminario.
David Power, professore irlandese di
liturgia, nella sua conferenza « Liturgia come celebrazione per la giustizia
e la pace » ha affermato che la liturgia
deve aiutare i credenti a vincere la
violenza, che la violenza può essere dominata soltanto dalla povertà spirituale e che nella celebrazione della Pasqua impariamo la mitezza delle Beatitudini, acquistiamo la forza della nonviolenza. Agli interventi seguono dibattiti vivaci ma con spirito fraterno.
Quattro biblisti ed una comunità introducono agli studi biblici: Aldo Comba, pastore valdese e segretario della
Federazione delle Chiese Evangeliche,
mette i primi due testi (Matteo 5: 2148 e Romani 12: 9-21) nel loro contesto storico e descrive come sono stati
interpretati dai vari cristiani; Antonio
Mongillo O. P., professore all’Angeli
(continua in 3“ pag.)
pre di nuovo al nostro popolo distratto, che l'universo intero non
può rimanere indifferente di fronte al fatto della incarnazione, alla
rivelazione nella istoria della « misericordia » di Dìo, in quanto questo avvenimento^ cosi come il Venerdì Santo e Pq^qua, ha una portata che supera , la storia del nostro piccolo pianeta, esso è avvenimento che ha' ùna portata per
tutta la creazioné che ora geme ed
è in travaglio.
La banalizzazibne del Natale dipende, oltre chq dalla risorgente
mentalità pagana nel nostro tempo, anche e sopratutto dal fatto
che il popolo di Dio ha smarrito
il significato grandioso della incarnazione: la redenzione cosmica.Il contenuto della nostra speranza deve ritrovare la dimensione di una sperànza per tutto il
mondo creato, in questa speranza
ritroveremo anche uno dei motivi
più veri della gioia del Natale.
« Pace in terra »
La volontà di Dio è che ci sia
pace sulla terra. Il messaggio di
Natale non si esaurisce nell'annuncio della « pace » di Dio con
gli uomini. Ove questo nuovo rapporto è creduto e vissuto, sorge
necessariamente un nuovo rapporto umano, anzi, sorge una nuova
umanità.
« Beati quelli che si adoperano
alla pace », diceva Gesù. Non si
tratterà quindi per noi di annunciare soltanto « la pace in Cristo »,
la pace di Dio cOn l'uomo, occorrerà essere nel rjrìOndo, in mezzo
alle tensioni del nostro tempo, dei
« facitori » di pace;
Questa vocazione che Gesù ci ha
rivolto così chiaramente, è veramente ardua a compiersi. La storia ci mostra che la pace può essere attuata là o4e è stata soffocata ogni speranzaMi liberazione degli oppressi. Là « pace » può essere il frutto della rassegnazione:
la pace dello schiavo, dei tempi
antichi o del hpstro tempo, che rinuncia ormai ad ogni progetto di
liberazione, tante sono state le
umiliazioni subite e le delusioni.
Ed ancora, troppo facilmente
gli uomini del nostro tempo parlano di pace: sovente il movente più
vero della loro aspirazione alla pace è quello di poter mantenere privilegi e dominio.
Così, il popolo di Dio non può
essere « facitore » di pace, quando
essa non è altro in realtà che una
perpetuazione della ingiustizia.
La predicazione della pace, in
un mondo lacerato da discriminazioni razziali, diviso da guerre, oppresso dal neocolonialismo, minacciato di morte e di fame significa — è stato affermato — orientare gli uomini verso una nuova
economia dell'agape, che non cerca il proprio interesse; verso la
fine di ogni genere di oppressione
e di sfruttamento deU'uomo da
parte dell'uomo. Veramente, una
predicazione della pace che ignori
questi problemi è un sale divenuto insipido.
In queste situazioni così ambigue delle storia umana l'essere
« facitori » di pace sarà sempre un
seguire Cristo, portando la croce.
Qualcuno ha detto: « Il Principe
della pace, venuto nel mondo, non
si è visto consegnare il premio Nobel per la pace, bensì una corona
di spine ». Questa realtà non può
essere ignorata.
Aldo Sbaffi
Ai oolleghi, agli anziani e diaconi delle nostre comunità, a coloro che maggiormente sono impegnati nelle opere
di assistenza della chiesa valdese, agli
insegnanti delle nostre scuole, a coloro che testimoniano di Cristo in terre
lontane, ai pastori emeriti ed a tutti
i fratelli e le sorelle in fede delle comunità costituite ed a coloro che vivono nell'isolamento o nella emigrazione, a tutti giunga il mio augurio di poter — nella chiarezza della fede e nella gioia — unire le loro voci al coro di
esultanza degli angeli nella notte di
Natale: « Gloria a Dio nei luoghi altissimi »
Aldo Sbaffi, Moderatore
Troppo spesso la Bibbia
è sì al centro della nostra vita ecclesiastica, ma chiusa
H volume è già stato presentato sul
nostro giornale ma merita qualche parola di commento e di qualche osservazione supplementare dato il suo particolare interesse. Il titolo non deve
indurre in errore, è senz’altro poco comune e lo si capisce solo dopo aver letto il libro. Avremmo potuto intitolarlo: « La Bibbia oggi », « Come leggi la
Bibbia », « Dimmi come leggi la Bibbia e ti dirò chi sei », « Piccolo prontuario biblico » ecc., il titolo sarebbe
stato sempre insufficiente perché le 300
pagine contengono molto materiale,
una serie di dati e di riflessioni tali da
soddisfare molte delle nostre esigenze
in materia biblica.
Che la Bibbia debba essere il centro
delle nostre ricerche ,è accettato da
tutti, che noi la si legga troppo poco
è un’altra constatazione comune, che
sia difficile tutti lo sanno, che non si
sappia sempre come interpretare i passi è un’altra verità lapalissiana. Resta
il problema da dove si deve cominciare per risolvere questo giro vizioso:
dalla predicazione, dallo studio biblico
dal catechismo?
Sempre, da qualunque parte si cominci ci si trova posti di fronte a
problemi di interpretazione o più esattamente al problema fondamentale:
che tipo di rapporto deve essere quello che abbiamo come credenti con la
Scrittura. Questo Pane al pane non l'isolverà certo il problema e non dissiperà tutte le incertezze ma imposterà
la questione in modo da permetterci di
imboccare una via giusta.
I vantaggi che presenta sono molti.
Anzitutto si può dire completo, o quasi. Non è solo un piccolo opuscolo in
vista di chiarire un aspetto del problema, è un’ampia trattazione, è un testo
ricco, elaborato, che copre quasi tutti
i problemi di interpretazione, risponde cioè ad un ventaglio di molte domande, a lettura avvenuta si può dire
di avere una visione generale della
questione biblica.
In secondo luogo è scritto in termini molto semplici. Non si tratta certo
di un romanzo, di un giornale d’avventure e le questioni sono sempre ad
un certo livello, sono impegnative ma
il massimo sforzo è stato fatto per essere accessibili a chiunque. Si deve riconoscere onestamente che la teologia
non è sempre messa alla portata di
tutti, il nostro stesso giornale è la prova di come sia più facile scrivere complicato che semplice, qui è stato fatto
il massimo sforzo.
Ih terzo luogo non si tratta di un’opera scritta a tavolino da uno studioso, nra di una relazione letta e dibattuta in un Sinodo, è nata cioè nel quadro di una riflessione di chiesa e per
la chiesa, è impostata per i credenti,
per aiutarli e risolvere le loro difficoltà.
La Chiesa Riformata d’Olanda è fra le
più vicine teologicamente alla nostra
chiesa valdese, ha una sensibilità biblica, uno stile di vita che ce la rende affine e soprattutto ha un profondo amore per la meditazione scritturale e lo
si sente in questo rapporto.
Il quarto vantaggio, o merito, da attribuire al libro è la sua spiritualità;
non si tratta solo di un libro di dottrina, di una teoria sulla Bibbia ma di
uno sforzo di penetrarne l’intimo messaggio, sono pagine «edificanti » se così possiamo dire perché l’intenzione è
sempre quella di dare un messaggio ■.>
non solo una conoscenza, di fortificare
non solo di erudire.
Il libro deve dunque essere largamente diffuso nella comunità, non solo: deve essere sminuzzato, studiato,
utilizzato. Deve essere oggetto di un
confronto fra credenti per poter essere pienamente valorizzato.
Predicatori e monitori, direttori
di scuole domenicali e membri di
gruppi biblici faranno opera utile e
ne ricaveranno indubbio profitto facendone Oggetto di meditazione, di dibattito e di ricerca in comune. Non
resta che augurare al libro di ottenere
anche fra noi quel successo di vendita che ebbe in Qlanda.
Giorgio Tourn
Sinodo Riformato Olandese, Pane al pane!
Ediz. italiana a cura di Thomas Soggi n.
Piccola Biblioteca Teologica, Claudiana,
Torino 1972, 8°, p. 340, L. 2.700.
"Signore, insegnamí a invecchiare!"
Giorni fa, in una chiesa cattolico-romana, vidi tra altra stampa in distribuzione un foglietto con su una « preghiera della terza età ». Mi piacque, e lo presi. Messo fra altre carte, il foglietto
saltò fuori durante una riunione in cui mi trovavo gomito a gomito con un amico assai noto per la sua cultura anche biblica, la
sua assidua pietà, il suo contributo alla vita cattolica; d'età, passati i cinquanta. Senza molto rifiettere, gli porsi il foglietto: — Guarda che bella preghiera ho trovato in S. Trinità. — Lo prese quasi con
entusiasmo; poco dopo me lo rese con aria piuttosto contrariata: probabilmente aveva fatto una smarronata. Eppure la preghiera è bella.
Dice:
« Signore, insegnami a invecchiare! Fammi convinto che la famiglia, la società, gli altri non sono in torto verso di me, se mi vanno
esonerando dalle mie responsabilità, se non chiedono più il mio parere nelle decisioni, se hanno deciso di sostituirmi nel posto che ho
tenuto finora. Toglimi, Signore, la presunzione di volere imporre l’esperienza che io ho fatto; aiutami a vincere l’orgoglio di credermi ancora
indispensabile a qualcosa o a qualcuno.
« Signore, fai che io sappia cogliere nel mio distacco graduale
dalle mie mansioni unicamente la legge del tempo, e avverta in questo avvicendamento dei compiti una delle espressioni più meravigliose del creato, che si rinnova sotto l’impulso della tua Sapienza e della
tua Provvidenza.
« Signore, fai che io riesca ancora utile alla famiglia umana, contribuendo col mio incoraggiamento e la mia preghiera allo sforzo e all’impegno di chi è di turno al lavoro. Che io possa vivere in contatto
utile e sereno con il mondo in trasformazione, senza rimpianti per il
passato e facendo della mia impotenza di oggi un’offerta di collaborazione, un dono di propiziazione. Che la mia uscita dal campo di attività sia calma e luminosa come un dolce tramonto di sole al termine
di una giornata piena di fatica, ma anche di soddisfazione.
« Signore, perdonami se soltanto oggi capisco quanto tu mi hai
amato e aiutato. Che almeno ora io abbia viva e penetrante la percezione del destino di gioia, che mi hai preparato e al quale mi stai incamminando fin dal primo istante della mia vita. Signore, insegnami
a invecchiare così! ».
E' una preghiera forse troppo zeppa di gerontologia e sociologia,
forse a momenti dura e impietosa; ma d'una intuizione fondamentale: « Signore, insegnami a invecchiare! ». Non so e non credo che si
possa decidere per quale millesimo vada bene, perché l'invecchiamento varia da persona a persona, ma ritengo che dinanzi a ogni adulto
debba a un dato momento prospettarsi « un modo di invecchiare ».
E nulla è più penoso e, lasciatemelo dire, ridicolo, dell'anziano che fa
il giovanotto; come rare situazioni hanno la drammaticità di quella
dell’uomo o della donna che d’un tratto, inopinatamente, s’avvedono
d’essere anziani, impietosamente emarginati, come limoni spremuti.
Nel credente, che osserva tutta la propria esistenza come un dono e
una possibilità di servire in Cristo, non può mancare questo sereno
coraggio di guardare a un domani che sarà diverso dall’età adulta,
questa forza di prepararvisi con un adattamento non solo razionale,
psicologico, ma anche intensamente vissuto nella fede.
La nostra società civile fornisce Temarginazione: l’Evangelo ci
garantisce la comprensione della totalità dell’esistenza, e rifiuta
l’emarginazione di una personalità che, diversa resta comunque un
membro del corpo del Signore.
Luigi Santini
3
ff
5 gennaio 1973 — N. 1
pag. 3
LA BIBBIA NON LETTA
L'araldo del "GinnoiItlSipn"
/ lettori ci scrivono
£■
fjV,
GIOELE
Chi legge la Bibbia, o anche soltanto
la sfoglia, così come si presenta oggi
al lettore, quando arriva a Malachia,
interrompe perché è giunto all'ultimo
libro dell’Antico Testamento. A questo
punto era pervenuta la mia ultima noterella sui libri meno letti della Bibbia
e il direttore del giornale mi aveva
persino cortesemente ringraziato per
la serje che credeva terminata [e che
si copre il capo di cenere... n.d.r.}.
Però... (c’è sempre un "però" nella
relatività delle cose umane)... mi erano rimasti nella penna due libretti
(Gioele e Giona) che avevo lasciato da
parte, perché non riuscivo a piazzarli
nell’ordine cronologico che avevo scelto di seguire, per evitare ai lettori la
ginnastica mentale di continue marce
indietro nella storia del Popolo di
Israele.
I libri della Bibbia, come noi l’abbiamo oggi, sono infatti ordinati con un
criterio diverso da quello cronologico.
Criterio che ha, ovviamente, le sue motivazioni, ma che non aiuta a comprendere la successione dei fatti e dei personaggi nella storia del Popolo di Dio.
Evidentemente ogni criterio ha la sua
validità. Comunque, avendo scelto di
mettere in ordine cronologico i libri
che intendevo passare in rapida (e superficiale!) rassegna, mi erano rimasti
fuori due scritti, sulla cui datazione le
opinioni dei biblisti sono alquanto divergenti.
Primo esempio: il libro di Gioele che
i collettori dei testi sacri hanno messo tra Osea e Amos, ossia, addirittura,
tra gli antichissimi e che invece, gli
studiosi moderni datano del IV secolo. TTn divario di circa cinquecento anni! Non è certo il caso di addentrarci
nei "prò” e “contro” delle due epoche: IX e IV secolo, basti dire che riteniamo la seconda assai più probabile, oltre a tutto perché la situazione
ambientale riprodotta dal libro risponde assai meglio a quella che conosciamo del periodo post-exilico.
Un predicatore colto
e credente
Dell'autore sappiamo poco o nulla,
salvo che era figlio di un non meglio
idemilicaio Petuel. Possiamo pero arguire. dal suo interesse per il tempio
e pe 1 t che apparteneva alla c *ta
sacerdotale e possiamo essere ceni che
era uomo di notevole cultura « classica ». in quanto il suo stile e tra i piu
corretti ed eleganti addirittura «classicheggiante » e le sue citazioni e reminiscenze di altri libri della Bibbia sono particolarmente numerose. Quel che
più conta è che Gioele era un credente che possedeva e sapeva esprimere
una robusta fede in un Dio di giustizia e di liberazione, dinnanzi al quale
riti e sacrifizi non hanno valore se non
scaturiscono da un ravvedimento sincero e profondo dell’animo. Basti ricordare. tra i più famosi versetti dovuti alla sua penna, e spesso citati,
l’accorato appello « Stracciatevi il cuore e non le vesti, e tornate al vostro
Dio, poiché Egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e pieno di bontà» (2: 13).
Il libretto consta di soli tre capitoli,
che si sogliono dividere in due parti,
corrispondenti effettivamente a due discorsi diversi, anche se collegati.
Nel primo il Profeta esorta il popolo
a ravvedersi, mentre nel secondo annuncia la prossima liberazione che il
Signore opererà salvando « quelli che
avranno invocato il Suo nome » (2: 32)
ed effondendo il Suo Spirito su ogni
creatura.
Vale la pena di dare uno sguardo più
da vicino ai due discorsi.
Giorno di giudizio e di grazia
Il primo (cap. 1 e 2: 17) annunzia
che il « Giorno del Signore » è già iniziato e che il giudizio di Dio si sta già
effettuando a causa della impenitenza
del popolo. Una terribile siccità ed una
invasione di cavallette (leggerne la descrizione di stupenda efficacia e realismo) tanto da far esclamare al Profeta « Sì, il giorno dell'Eterno è grande, oltremodo terribile, chi lo potrà
sopportare? ». Solo una Vèràce conversione potrà trasformare la maledizione
in benedizione, perché l’Eterno, anche
quando punisce, è «lento all'ira e pieno di bontà e si'pente del male che
manda» (2: 13) ossia prova dolore a
punire ed è sempre pronto a « lasciare
dietro di se una benedizione » (2: 14).
È quindi tempo di ravvedersi e di proclamare un giorno di espiazione:
« Suonate la tromba in Sion, bandite
un digiuno e convocate una solenne
adunanza... piangano i sacerdoti, ministri dell'Eterno e dicano: Risparmia,
0 Eterno, il tuo popolo...».
Nel secondo discorso, che presume
l’avvenuto ravvedimento, il « giorno
del Signore » è presentato come giorno di liberazione e di gioia: « L’Eterno... ha avuto pietà del suo popolo...
e gli ha risposto... ». In questo discorso ci sono due note di particolare interesse.
La prima è quella della gloriosa promessa di una salvezza offerta a chiunque invochi il nome dell’Eterno: « E
avverrà che chiunque invocherà il nome dell'Eterno sarà salvato ». È bensì
vero che questa salvezza è ancora vista nel quadro della mentalità giudaica, come ristretta al popolo d’Israele,
mentre le altre nazioni saranno giudicate nella « Valle del giudizio » (la valle di « Giosafat » che significa appunto: « L’Eterno giudica ») e riceveranno la retribuzione delle sofferenze che
hanno inflitto al popolo eletto con le
loro guerre e persecuzioni: «a motivo
della violenza fatta ai figliuoli di Giuda, sulla terra dei quali hanno sparso
sangue innocente » (3: 19).
Annunzio di Pentecoste
Il secondo pensiero interessante lo
ritroviamo in una lunga citazione che
l’Apostolo Pietro ne farà nel suo discorso della Pentecoste, nella quale ravvisa uh adempimento della profezia di
Gioele: « Ma questo è quel che fu detto per mezzo del profeta Gioele: E avverrà, negli ultimi giorni, che io spanderò U mio spirilo sopra ogni carne, e
1 vostri figli e le vostre figliuole profej,erannQ npc.^. \ (,Ait 2» ió-21 da G*oele
2: 28 e seguenti). La citazione e troppo lunga per essere ripresa per intero. Si deve pero notare che I Apostolo
cita alquanto liberamente e secondo
la traduzione greca « dei Settanta » con
una versione che, su di un punto, è errata e Sminuisce il valore umanitario
del testo di Gioele. In Gioele, infatti,
la promessa dello Spirito Santo è talmente umanitaria (per quei tempi!) da
affermare che lo Spirito scenderà anche « sui servi e sulle serve » (ossia sugli schiavi) (3: 29). La versione adoperata da Pietro dice invece: « anche sui
miei servi e sulle mie serventi », il che
restringe il dono ai « servi di Dio » e
mutila la concezione assai più generósa di Gioele, il quale comprendeva anche gli « schiavi » nel novero dei battezzandi di Spirito Santo.
L’apostolo Paolo, senza citare il versetto, ma, ovviamente, ricordandolo e
confortandosi di quella profezia, ripeterà che, davanti a Dio, « non c’è piu
né schiavo né libero » (Galati 3; 28 e
Colossesi 3: 11).
Una notevole affermazione della pari
dignità delle persone umane, se si pensa che risale a quattrocento anni prima di Cristo, mentre, ancora oggi, se
pure si riconosce (?) che « tutti sono
uguali », ci sono ancora tanti che si
ritengono... « più uguali degli altri »!
Erxesto Ayassot
I cristiani e la guerra
(segue da pag. 2)
cum, parla su Efesini 6: 11-20 in riferimento a tutta la lettera agli Efesini;
il giorno seguente P. de la Potterie S.J.,
professore al Biblicum, introduce a
Giovanni 8: 31-32 (la verità vi farà liberi) e a Giovanni 12: 37-43 (non preferire la gloria degli uomini alla gloria
di Dio), e Michele Sinigaglia, pastore
battista, professore aggregato alla Facoltà valdese di teologia, parla su Apocalisse 11: 15-19 e 19: 1-10 (vittoria della potenza di Dio sulle potenze del
mondo, potenze che distruggono la terra e anzitutto Tuorno; l’unico Signore
della storia è il Cristo; questo per i
cristiani significa che il potere di Cesare deve essere negato). Nelle ore seguenti ha luogo uno scambio fraterno
sui testi biblici e le relazioni e un approfondimento dei problemi. La giornata si conclude con una preghiera comunitaria « celebrazione per la giustizia e la pace ».
Domenica mattina si assiste al culto
della chiesa battista di via del Teatro
Valle; predica il pastore Claudio lafrate, die ha preso anche parte al seminario, parzialmente. Nell’ultima riunione una rappresentante del Terzo
Mondo espone varie azioni della sua
popolazione contro l’oppressione e i
preparativi di guerra. Si conclude il
seminario con una serie di interventi
e proposte per azioni concrete nella
nostra situazione: già nella mattinata
due baraccati avevano proposto una
collaborazione per la lotta per la casa;
don Beppe, della comunità di preti operai e laici di Viareggio, riferisce sul loro lavoro, specialmente sulla loro rappresentazione di « Una fede che lotta »,
un teatro popolare antimilitarista; l’obiettore di coscienza Alberto Gardin
parla della situazione attuale dell’obiezione di coscienza, propone una nuova
Lega per tutelare gli obiettori di fronte alla prossima legge che poco dopo,
infatti, è stata approvata dal Parlamento; l’obiettore Carlo di Cicco, che
ha vissuto per anni tra i baraccati,
propugna il lavoro a lungo termine
(scuole popolari, lavoro di educazione
per svegliare la coscienza dei sofferenti) e propone un fondo permanente di
solidarietà che possa rendere possibile strategie nonviolente, un collegamento tra tutte le forze che lavorano
in questa direzione.
Dopo gli interventi di amici di Sulmona, Bologna, Brescia, Napoli e altrove, Fabrizio Fabbrini conclude i lavori riassumendo le proposte che erano emerse.
Hedí Vaccaro
I Ateìsmo ^
I teorico e pratico
= Caro direttore,
= nelTassociarmi alla vibrata protesta di
= G. E. Castiglione (Eco-Luce n. 49) con
= tro l’inaudito articolo di Eros Vicari, il
= quale ha osato denunciare pubblicamente
= l’ateismo dell’URSS — gloriosa Patria del
= Socialismo — attribuendo ai regimi co
= munisti il proponimento di voler debella
= re la fede cristiada'con l’oppressione e la
= persecuzione — desidero complimentarmi
= col pastore Castiglione per la sua bril
= laute quanto inoppugnabile confutazione
= della tesi vicariana.
= Infatti :
= — che il K giudizio » del Vicari sia an
= tistorifo è cosa tento evidente che ogni
= spiegazione in proposito appare superflua.
= — che esso sia anché specioso sembra
H altresì ovvio in qìianto il V. ha inteso
H strumentalizzare, ni propri! fini anticomu
= nisti, la giusta e sotto certi aspetti dovero
= sa azione repressiva posta in atto nel
= rURSS — certo a malincuore — per im
^ pedire una rinascita della fede cristiana,
= intesa come « religione » cioè oppio dei
= popoli.
= A questo riguardo vorrei far notare che
= anche l’entità delle famose « purghe » di
B Stalin è stata artatamente gonfiata in Oc
= cidente (con la complicità, forse involon
S taria, del famigerato Solgenitzyn e di altri
= suoi accoliti). Si è parlato di venti milio
= ni di vittime! Che esagerazione! Io credo
= che, tutt’al più, si sia trattato di un paio
= di milioni. C’è una bella differenza, vero
= direttore?
“ Interessante, poi, la solidissima argo
= mentazione del pastore C. laddove bolla lo
= scritto di Vicari come «eversivo». Fran
= camente, non si potrebbe spiegare con
= maggiore chiarezza ed efficacia l’errore del
= V. se non con l’esempio, storicamente
“ ineccepibile, che NON furono gli atei e i
H peccatori a far crocifiggere Gesù Cristo,
= bensi i « potenti del mondo ».
= Ma poi, questo lo aggiungo di mio, è
H forse storicamente provato che il Cristo
= fu crocifisso? K chi ci dice che non sia
= morto di freddo.''
= Concludendo, caro direttore, debbo os
= servare che Fav-ere pubblicato sullo stesso
— numero del giornale che ospita la lettera
IT di Q. E. C., la notizia che un soldato so
= vietico (Jvan Moisseiev) è stato assassi
= nato (ma perché usare cosi cruda espres
= sione?) per le sue convinzioni religiose,
“ nonché quella relativa ad un vescovo or
^ todosso esoneralo ^alle sue funzioni... in
“ ossequio al regime, è stata cosa del tutto
= inopportuna,' anche perché può sembrare,
= all’ignaro lettore, 'che lei voglia in qual
= . 'che, modo^ corrobqrare l’assurda tesi di E.
VicarL. ,■ .li; /);» i--'. ; ■
= Cordialmentè, Svio,
= - ' " Asellus
I II nostro ¡obiettore
= Un tenore, da Napoli:
= Caro pastore,
= mi riferisco all’articolo Spunti e appun
= ti a firma Eros Vicari.
= Il Sig. Vicari ha affermato, e non a
= torto, che i russi vogliono ammazzare Dio,
S itìa, dico io, era proprio necesario guar
= dare la Russia èhe è lontana migliaia di
= km. per notare ciò che si può vedere con
= tanta facilità in casa nostra? Anzi, Sig.
= Vicari, se Lei dà uno sgiiardo generale al
= mappamondo, sa dirmi qual’è quel popo
= lo che non ammazza Iddio ogni giorno, in
= ogni modo e con tutti i mezzi, pur fa
= cendo largo uso e abuso del Suo Nome?
S E se i russi possono avere per attenuante
= il loro ateismo, -noi cosa possiamo dire a
= nostra discolpa?'Noì che, ad ogni piè so
= spinto, facciamo’ riferimento a Lui, o a
= Cristo, essendo più proclivi e più soUeciti
= a tradirlo qhe ad adorarlo? Proprio noi
= che marciamo, parliamo, predichiamo sem
= pre con l’Evangélo fra le mani e che in
B ogni nostra discùssione ripetiamo versetti,
= più o meno appropriati, che abbiamo, sì,
= imparato a meiqfria, ma che ci guardiamo
= bene dal metteits .ìn pratica, pur sapendo
= che essi ci sono stati dati dal Cristo.
= Se non ci offuscasse la mente l’egoismo,
= l’avidità di danaro, ringordigia, e chi più
= ne ha più ne pretta, dovremmo ricono
H scere che siamo ^i meno qualificati a giu
= dicare gli altri ed in special modo i russi.
= Se Iddio, e per Esso il Cristo, è quello che
= hanno propinatoli'patriarchi e pope, ai mi
= lioni di contadini di quel paese, ai quali
= era di obbligo solo zittire, morir di freddo
= e di fame, oppure andare a morire in guer
= ra per la grandézza degli Zar, mentre 1
= predetti patriarchi e pope erano affratella
= ti ai primi, li sostenevano nel loro modo
= di concepire la vita, per cui il popolo mi
= nuto, quello composto dai « minimi », era
= considerato e trattato al disotto delle bestie
= e su cui si esercitava impunemente il di
S ritto di vita e di morte, ebbene i russi pos
= sono senz’altro dire : se questo è Dio, cioè,
= se Dio si comporta cosi, padre verso i po
= chi e patrigno verso i molti, noi, ci ri
= fiutiamo di credere che egli sia un padre
= di amore, come voi ci andate dicendo da
= secoli, per cui, dopo d’aver versato tanto
E sangue per spodestare i potenti vestiti di
^ ermellino, col bastone di comando, con to
= ga e tocco, con vistosissimi conti in ban
^ ca, proprietari del 90% dei terreni che noi
= lavoravamo senza neanche riuscire a sfa
H marci, ebbene noi non permetteremo mai
= più che il vostro Dio, quello di ieri, abbia
= cittadinanza fra noi!
= Ma, ripeto, i russi si dichiarano atei e
= quindi si capisce la loro avversione a Dio
= e a Cristo, ma di grazie, mi -vuol spiegare,
S Sig. Vicari, come si devono definire
^ quelle organizzazioni pseudo-evangeliche
— statunitensi che sfacciatamente finanziano
col danaro ricavato dalle collette e dai contributi delle comunità le più grosse industrie belliche di quel paese? E, come se
ciò non bastasse a squalificarli di fronte
a Dio, essi dichiarano: 1) che per non
finanziare le industrie belliche statunitensi, bisognerebbe ritirarsi nel deserto; 2)
che cosi facendo, esse organizzazioni religiose, guadagnano un utile maggiore, col
quale si sovvenzionano le opere sociali!...
Inaudito! Questa sola dichiarazione basterebbe a definire i confratelli degli Stati
Uniti, e non solamente loro. E già, perché
secondo loro il destinare ad opere sociali,
e fra queste il sovvenzionamentq deRe nostre Chiese, l’utile dei predetti finanziamenti, neutralizza il gravissimo fatto che
gli armamenti servono per ammazzare,
come è stato fatto finora e come si sta
continuando a fare, diecine e diecine di
migliaia di figliuoli di Dio. 0 forse, quelli,
perché di pelle diversa dalla nostra, non
sono egualmente figliuoli di Dio? Eppure
gli evangeUci contribuiscono validamente
all’attuale genocidio, naturalmente in Nome di Dio, quello stesso Dio a cui fanno
riferimento, e non a torto, i russi.
I deicidi sono fra noi, anche se fingono
molto bene, allenati come sono alla ipocrisìa, di essere dei cristiani, ma essi strumentalizzano il Nome di Dio e di Cristo
per riempire pancia e portafoglio, con danaro che attingono dalle tasche dei « minimi » i quali versano quanto e quando
possono, privandosi a volte del necessario.
A Lei, Sig. Vicari, ed ai lettori de L’EcoLuce, trarre le conclusioni da quanto ho
detto, seppure in modo non del tutto ortodosso.
Che il nuovo anno sia foriero di pace,
di quella pace che solo il Signore sa dare.
Francesco Jervolino
Un lettore, da Roma:
Caro direttore,
nel numero 47 di « Eco-Luce », pag. 6,
si legge che l’obiettore di coscienza Gianfranco Truddaiu ha partecipato al convegno di Pinerolo « sull’antimilitarismo e
l’obiezione di coscienza » e che si tratta
della stessa persona che, all’epoca della
sessione sinodale 1972, era in carcere quale « imputato del reato di obiezione di coscienza — per motivi politici e religiosi ».
Poiché, un paio di mesi fa, su Eco-Luce
apparve una breve nota dalla quale si apprese che il Truddaiu era stato prosciolto
per insufficienza di prove da tale imputazione ed il giornale si riservava di chiarire successivamente come ciò fosse potuto avvenire (chiarimento che a tutt’oggi
non è stato fatto), è lecito domandare:
1) Il suddetto giovane aveva — o
no — quando fu arrestato, obblighi di
leva?
2) Se si, come si spiega la sua assoluzione, con qualsiasi formula. Visto che
egli non sta prestando servizio militare e
neppure ha rinunciato alla sua posizione dì
« obiettore »?
3) Qualora risultasse, invece, che egli
non avesse né abbia tuttora obblighi di
servizio militare, se ne dovrebbe dedurre
che sul suo coso qualcuno abbia voluto
imbastire, sulla base di errate premesse e
a beneficio del Sinodo ignaro, un dramnia
a fosche tinte che si è rivelato poi una...
commediola a lieto fine!
Credo che, in ogni caso, qualche chiarimento non guasterebbe.
Con i migliori saluti.
Aldo Long
Ho assistito al processo di Gianfranco
Truddaiu presso il tribunale militare di
Verona e posso quindi scrivere qualche riga di chiarimento.
Come molti, spero, sapranno — chi ha
passato un periodo di tempo in carcere per
obiezione deve ripresentarsi poco dopo in
caserma per fare il suo servizio militare :
se egli rifiuta nuovamente sarà di nuovo
arrestato e passerà un altro periodo in carcere; appena uscito sarà di nuovo invitato
a fare il servizio militare e, se rifiuta, starà di nuovo in carcere; finito questo periodo di carcere, sarà di nuovo chiamato, e
se rifiuta, ecc. ecc. Tra un periodo di prigione e l’altro della vita dell’obiettore ci
sono però dei giorni, qualche volta delle
settimane, di libertà : l’ordine di rimettersi
a fare il servizio militare non arriva cioè
immediatamente, pochi minuti dopo che
l’obiettore è uscito di prigione. Per cui capita che ogni tanto qualcuno di loro abbia
un brevissimo periodo di vita che potremmo anche chiamare normale. L’obiettore
Gianfranco Truddaiu era cosi ben conosciuto negli ambienti delle prigioni e dei
tribunali militari che, una volta tanto, si
è pensato di non lasciar passare neppure
quel breve spazio di tempo di tranquillità
tra un arresto e l’altro e non si è neppure
atteso che il cittadino Truddaiu ricevesse
un invito a fare il servizio militare: sicuri che lo avrebbe comunque respinto lo
si è arrestato prima. Dopo tre obiezioni (e
13 mesi e 20 giorni di carcere, se non sono
male informato), lo si è arrestato alla prima occasione e lo si è trattenuto altri 3
mesi e 7 giorni di carcere preventivo in
attesa di una sicura condanna. Ma la condanna questa volta non c’è stata perché
anche il tribunale militare ha convenuto
che non è possibile arrestare qualcuno e
condannarlo perché ha rifiutato un ordine
che non gli era ancora stato rivolto (e che
gli avrebbe dovuto essere rivolto cinque
giorni dopo) : indipendentemente dalle
opinioni dell’imputato non e stato materialmente possibile accusare il Truddaiu
di aver rifiutato un ordine che, quella
quarta volta, non c’era ancora stato. Per
questo è stato assolto : perche non ha materialmente disubbidito (quella quarta volta) a un ordine che non c’è stato, che non
c’era ancora stato, che ci sarebbe stato solo
cinque giorni dopo. Il Truddaiu (non sem
bri un paradosso) è stato assolto per insufficienza di prove sul dolo perché egli,
in quella occasione, non era obiettore. E’
compito della difesa non falsare la posizione dell’accusato e non impedirgU di
protestare se egli vuole protestare; ma è
anche compito della difesa essere estremamente vigilante perché non si possa accusare qualcuno di qualcosa che egli non ha
materialmente fatto.
In conclusione: Gianfranco Truddaiu
non aveva, quando è stato arrestato, obblighi di leva, non avendo ancora ricevuto la cartolina di chiamata. La sua assoluzione si spiega perciò benissimo, anche se
egli non ha rinunciato ad essere obiettore
e — alla prossima chiamata — avrebbe
risposto : Signornò.
Chi ha scritto la lettera al sinodo aveva scontato circa 15 mesi di carcere: non
mi sembra tanto una commedia.
Eugenio Rivoir
Mattinarle
Caro direttore, =
desidero rispondere brevemente alle due =
lettere pubblicate sul nostro settimanale =
(n. 51 del 22-l-’72), riguardanti il ben =
noto processo di Mattmark e firmate ri- =
spettivamente da E. Kiinzler-Koelner e da =
J. P. Muston, =
Del resto sembra che la lettera del Mu- =
ston risponda già, in buona parte, a quella =
del Kiinzler-Koelner. Infatti due afferma- =
zioni del Muston alFinizio della sua let- =
tera mi sembrano particolarmente impor- =
tanti e cioè: 1) doversi considerare a par- =
ticolarmente iniquo un processo nel quale =
si vedono le vittime sul banco degli accu- =
sati »; 2) la colpa di tali vittime consiste =
nel fatto di « non avere grandi conti in =
banca » e d^esser prive di « valore eletto- =
rate ». =
Sono due affermazioni severe ma, a mio =
parere giuste, soprattutto la prima. A que- =
sta si potrebbe obiettare che il processo di =
Sion fu un processo d’appello, cioè non =
un processo nel quale fossero accusati i =
famigliarì degli operai morti a Mattmark. =
Ma il Muston, a mio parere, ha ragione =
nella sostanza, e ciò per due motivi; a) =
perché Topinione che la catastrofe di =
Mattmark fosse prevedibile, anzi addirit- —
tura prevista da numerosi tecnici, non =
soltanto alcuni giorni ma addirittura alcu- =
ne settimane prima della catastrofe stessa, =
è largamente condivisa sia in Italia che in =
Svizzera (ed io stesso ho buone ragioni =
per condividerla); b) perché conseguente- =
mente la sentenza con cui il processo si =
concluse, si risolse in una beffa nei ri- =
guardi di quei famigliarì. Burlati e basto- =
nati! Burlati dunque anche i morti (che =
evidentemente non si possono più basto- =
nare). =
Detto questo, vorrei però rilevare che =
Paolo Ricca (nel suo articolo a Visto che =
calpestate il povero », n. 41 di questo set- =
timanale, 13-10-’72) mette tutto l’accento =
non sull’ingiustizia, ma sull’iniquità della =
sentenza (d’a ingiustizia », si noti, parla =
esplicitamente il Muston verso la fine della =
sua lettera), il che è ben diverso. Ricca =
parla di « vittime della giustizia » (la =
« giustizia di classe ») e di a torto fatto al =
povero ». Nel primo dei tre articoli da me =
pubblicati (« Riflessioni su Mattmark, =
n. 43 del 27-10-’72, « La Svizzera e la re- =
pubblica di Platone », n. 44 del 3-11, H
(( Svizzera e Italia », n. 45 del 10-11), so- =
no poi riportate alcune parole dell’appello H
lanciato dall’« Associazione svizzera per il =
servizio civile internazionale », nel quale H
quella sentenza viene considerata, benché =
giuridicamente valida, un ^insulto ai sen- H
timenti umanitarV^ e un ^’affronto agli =
svizzeri che desiderano avere buoni rap- =
porti coi lavoratori stranieri” ». In nota =
ho accettato questa « validità giuridica » =
soltanto come « contestabile », non come =
certamente falsa. Ciò appunto perché si =
tratta solo probabilmente (molto probabil- =
mente!) di vera e propria ingiustizia, ma =
certamente d’iniquità. S
Il parere esposto dal Muston, Jungamen- =
te e certo con competenza', sulla responsa- ^
bilità del cantone Vallese e non della Con- =
federazione Svizzera, è difficile a condivi- =
dersi, sia perché si tratta di questione in- S
terna alla Svizzera stessa e perciò non è =
valida di fronte agl’italiani, sia più anco- =
ra per la ragione esposta alla fine del mio H
terzo articolo (osservaz. n. 3). Infine anche =
l’accenno ai sinistrati del Vajont e a quel- =
li della valle del Belice, trova già la mia =
risposta nell’osservaz. n. 2 (che immedia- H
tamente precede la n. 3 sopra citata; cfr. =
anche il mio art. « La tratta degli arabi », =
nel n. 46 del 17-11). =
Coi più fraterni saluti dal tuo =
Tullio Viola =
lllllllllllllllllllllllllllllllllMIIIIIItllllinilllllllllllllinilllllllllH
Doni prò Eco-Luce
Da Riclaretto: Elena Viglielmo L. 1.000;
Melania Malanot Grill 500; Ettore Massel 500.
Da Torino: Alberto Selti 1.000; Giovanni
Mantilaro 500; Vittorio Travers 500; Alice
Berutti 1.500; Sergio Gandolfo 1.000; Bartolomeo Soulier 500 Alfredo Camera 500;
Evelina Pons 500; Elena Pascal 1.500.
Da Milano: Giordano Bonomi 500; Silvia
Balmas 500; Giulio Rivoir 1.500; Elvina Manzoni 1.500; Leonardo Barella 1.500.
Da Torre Pellice: Carlo Paschetto 500;
Emilia Giordano 500; Iolanda Davit 1.000;
Riccardo Pellenc 500; Ernesto Di Francesco
1.500; M.F.P. 500; Susanna Eynard 500; Aldina Gamba 200; Enrico Buffa 1.000; Caterina Ercone 500; Bruno Paschetto 500.
Paimira Gay, Genova - Pra 500; Roberto
Cavo, Sampierdarena 500; Levy Massel, Pomaretto 500; Enrico Long, Ospedaletti 500.
Grazie! (continua)
4
pag. 4
N. 1 — 5 gennaio 1973
Proprio il giorno in cui un nuovo tentativo di dirottamento
aereo, da parte di un commando di "Settembre Nero" attirava
l’attenzione del mondo sulla capitale thailandese, il 29 dicembre
1972 circa trecento cristiani venuti da tutti i continenti si riunivano per la Conferenza su « La salvezza oggi », indetta dalla Commissione della missione e dell'evangelizzazione (CME) del Consiglio ecumenico delle Chiese. L'invito a riunirsi in quella sede era
giunto dalla Chiesa di Cristo in Thailandia e le riunioni, che si
protraggono fino all’8 gennaio, si tengono nel Centro della Croce
Rossa, a Bangkok.
La seduta inaugurale è stata aperta dalla principessa Poon
Pismai Diskul, presidente dell’Organizzazione buddista mondiale,
e dal direttore del Dipartimento degli affari religiosi di Thailandia,
che hanno portato all’assemblea il loro saluto augurale. I lavori
veri e propri sono iniziati l’indomani, con la relazione di base del
A Banghoh le Chiese riflettono su
LA SALVEZZA 0661
dr. M. Thomas, di Bangalore (India), presidente del Comitato centrale del CEC, sulla salvezza; il^ dicembre tm’altra relazione fondamentale è stata presentata dal past. Philip Potter, segretario generale del CEC, già direttore della CME, il quale ha fatto il punto
sul lavoio compiuto alla luce dei cambiamenti sopravvenuti nel
mondo dopo l’ultima riunione della CME,, che era stata convocata
a Città del Messico nel 1963.
Durante i lavori, articolati in tre sezioni (I: cultura e identità
- Il: salvezza e giustizia sociale - III: rinnovamento delle Chiese attraverso l’impegno missionario), è in programma pure una discussione con eruditi buddisti, per esaminare il concetto della salvezza
nel contesto del dialogo fra religioni. La partecipazione è delle più
varie: accanto a responsabili di Chiese vi sono parecchi giovani;
numerosi i laici e le donne; accanto ai rappresentanti di Chiese
del CEC, membri di Chiese pentecostali e africane indipendenti,
che per la prima volta partecipano a un’assemblea come questa.
L’ultima sera dell’anno è stata offerta ai partecipanti una serata "thai", con canti e danze indigeniì]or^aniztatct dalla Chiesa di
Cristo in Thailandia, con la partecipazione dei Citiang Mai Seminary. La domenica 7 gennaio tutti i .membji dèlia Conferenza si
disperderanno in numerose chiese thailandesi, partecipando anche attivamente ai culti.
SEZIONE I
Cultura
e identità
ri. Oggi molte cose sognate dagli uomihì stanno diventando realtà, ma anche
&tto ciò che essi istintivamente temono, l’ansietà davanti all’ignoto e la minaccia di distruzione. In questo tempo
e in questo quadro comprendiamo la
salvezza, la voce dei pescatori di Giudea di duemila anni fa, un tema che
può essere un insulto per chi è fiero e
crede di poter da solo salvare l’uomo;
ma per chi è depresso, un tema troppo prezioso perché lo si possa passare
sotto silenzio. La Conferenza di Bangkok si riunisce per studiare «La salvezza oggi »; come può, la salvezza in
Gesù Cristo, essere espressa in modo
pertinente per chi oggi vive in un mondo meccanizzato e materialista? Si porrà pure l’accento sul contesto della vita, che comprende la cultura e l’identità.
In che misura cultura e identità riguardano la vita cristiana, la teologia,
la missione? La cultura è un affinamento del gusto. Non parlo di una "cultura" che affonda le radici nelle tradizioni e nel pensiero ellenici e giudeo-cristiani, i quali, almeno in Occidente,
hanno trasformato il modo di vita “cristiano’’ in religione. Come l’arte, la cultura scaturisce da una fonte più profonda, l’anima del’uomo. È un atto dinamico, un fenomeno proprio più di
un gruppo che di un individuo, condizionato dal tempo e dal luogo. E inseparabile dalla religione, perché hanno
le stesse caratteristiche; per cui, affrontando questioni religiose, è necessario rifiettere a fondo sull’ambiente
culturale e sull’intérdipendenza fra religione e cultura.
Cultura e identità sono legate entrambe alla « coscienza che abbiamo
di noi stessi ». Chi siamo? — ecco la
domanda relativa all’identità. Che cosa, come siamo? — ecco la domanda
relativa alla cultura. In Asia l’Evange
10 cristiano è stato, finora, identificato
spesso con la « coscienza che essi (i
missionari, gli occidentali) hanno di sé
stessi »: perciò l’Evangelo appare spesso straniero a coloro che lo ricevono.
11 senso di un Evangelo che si rivolge
a noi è più forte di quello di un Evangelo che ci è dato: qfuest’ultimo contrasta con la « nòstra identità », in
un’epoca di internazionalismo e di ecumenismo.
Saprà la Conferenza di Bangkok mettere in luce alcuni degli errori della
missione tradizionale, elementi buoni
nelle intenzioni ma sostanzialmente negativi, e attirare l’attenzione sugli elementi imperialisti, culturali, ideologici
e anche confessionali . profondamente
radicati?
le altre credenze
La sottosezione che esamina l’espressione della fede cristiana nelle varie
culture, presuppone esperienze diversificate di dialoghi con gli adepti di
altre tradizioni, fedi, ideologie non cristiane. E sorgono interrogativi.
Anzitutto, l’azione salvatrice di Dio
è presente in altre credenze contemporanee, rispetto alla « Salvezza in Cristo »? Come ammetterlo, sapendo che
« non c’è salvezza se non in Gesù Cristo »? Che significa la parola « salvare » nel contesto delle credenze odierne? Quando diciamo che « per i cristiani » la salvezza è in Gesù Cristo, vuol
dire che questa verità è puramente
soggettiva? La salvezza in Cristo « soltanto » vuol dire necessariamente che
la parola e la speranza di salvezza appartiene ai soli cristiani? Vuol dire negare di fatto che la salvezza di Cristo
concerne tutti gli uomini?
Negli ultimi anni il dialogo ha progredito, e molti si chiedono dove ci
porterà. Nessuno mette in dubbio il
valore di una conversazione amichevole e di scambi di vedute, nel rispetto reciproco, per meglio conoscersi e
creare un’atmosfera di pace: esperienze che possono arricchire tutti. Tuttavia il dialogo con « le altre credenze
contemporanee » non porta alla testimonianza, e la testimonianza alla missione, la missione al ravvedimento e
il ravvedimento alla conversione? Oppure il dialogo è fine a se stesso?
Il dialogo presuppone il pluralismo.
Ci si può domandare che cosa ci si
aspetta dalla pluralità, sia nella fede
cristiana sia nelle altre credenze o ideologie quali il marxismo, il maoismo e
l’umanesimo laico? Quali sono i limiti
del pluralismo rispetto alle religioni e
alle ideologie?
L'identità razziale
La seconda sottosezione affronta « la
identità cristiana e l’identità razziale ».
È necessario mettere la salvezza in
rapporto con l’identità razziale? Sì, risponde il documento preparatorio. 11
fatto di considerare questo problema
più dal punto di vista culturale che
da quello della salvezza permette di
mostrare, fino a che punto salvezza e
cultura sono stati intimamente legati
nell’Occidente, attraverso tutta la sua
tradizione e la sua storia? Leggendo il
rapporto sul Movimento delle Chiese
africane indipendenti, visto come manifestazione dell’identità culturale e
razziale africana, c’è da domandarsi in
che differiscano un « movimento di
chiesa » e un movimento puramente
nazionalista.
Questi problemi non rischiano di
creare difficoltà supplementari in un
settore delicato come quello razziale?
La formulazione di questi interrogativi porta più a una critica della « influenza di una identità culturale occidentale » e delle forme e credenze delle Chiese d’Occidente, che a una chiarificazione della salvezza di Gesù Cristo e dell’importanza che essa ha per
la vita dell’uomo.
Trasformazioni culturali
e conversione
La terza sottosezione, «Trasformazioni culturali e conversione », esamina la ristrutturazione dell’uomo e della cultura: aspetti inseparabili attraverso i quali si possono, da un Iato,
osservare trasformazioni dello stile di
vita, una nuova forma comunitaria,
nuove strutture sociali e culturali, e,
d’altro lato, la necessità di un muta
mento di atteggiamenti profondi, di
uomini nuovi in Cristo, di un nuovo
stile di vita etc., tutti fattori che sottolineano il lato individuale e spirituale.
Ma al centro di tutto ciò vi è l’uomo:
per Dio egli costituisce la preoccupazione essenziale, prendere sul serio
l’uomo è quindi il punto di partenza
per ogni miglioramento e trasformazione. '
* * *
Conoscendo gli organizzatori della
Conferenza di Bangkok e i documenti finora pubblicati, si può predire che
i suoi risultati avranno ripercussioni
sulla comunità, su] mutamento culturale, sulla rivoluzione dei modi di vita,
sulla critica dello statu quo, sulla promozione del pluralismo. L’impatto sarà tuttavia, probabilmente, minore di
quello registrato negli anni 60, più centrato sull’azione. ^Comprensibile. Ma
questa predizione può essere errata, e
la Conferenza può permettere una comprensione piena delle esigenze dell’uomo che non ha soltanto un ambiente
migliore, ma soffre della bancarotta
morale e di una confusione spirituale.
Immenso sarà il contributo se la
Conferenza potrà offrire prospettive e
indicazioni valide sulla struttura e sulla pratica della missione, sulla formazione teologica oggi, esaminando come
la Verità si manifesta nella vita. Speriamo che voci critiche si levino a
Bangkok, valutando la ragion d’essere
del movimento ecumenico e la salvezza oggi.
WoN Yong Ji
segretario per L’Asia
del Dipartimento
di cooperazione delle Chiese
della Fed. Luterana mondiale
SEZIONE MI
Rinnovamento delle Chiese
attraverso rimpegno missionario
SEZIONE II
Salvezza e giustizia sociaie
« Minestra, sapone e salvezza vanno
insieme », diceva William Booth, fondatore dell’organizzazione che ha per
così dire accaparrato la parola « salvezza »: l’Esercito della Salvezza. Anche in questa semplice frase, un po’
discutibile, Booth dava alla sola parola « salvezza » un senso assai più ampio di quello riconosciuto da alcuni
dei suoi militanti. Domandare a qualcuno: « Lei, è salvato? » non è mai una
domanda Banale, ma una domanda che
riguarda ogni aspetto della vita umana
e che vuol dire al tempo stesso: è in
buona salute, guarito, nutrito, vestito,
integrato, perdonato, riconciliato con
Dio e con gli uomini?
La visione utopica
Ma per penetrare più a fondo il significato biblico della parola « salvezza » e per parlare della « salvezza che
hai preparato davanti a tutti i popoli », bisogna riconoscere che non vi è
solo un rapporto con la salute e l’integrità dell’individuo, ma anche con il
benessere e la liberazione dei popoli
nei loro gruppi nazionali e razziali, ed
evidentemente la liberazione finale del
mondo predetta dai profeti di sventura, ma che i credenti devono rifiutare
di accettare come inevitabile finché
credono in un Dio che ha affidato agli
uomini la responsabilità di creare una
società giusta e umana per tuùa l’umanità. Come ha affermato M. Thomas,
uno dei presidenti del CEC, a Utrecht
lo scorso agosto, i cristiani sono stati
investiti della « visione utopica » e della responsabilità di trasformarla in
una realtà ideologica e in un programma pratico e politico di liberazione per
tutti gli oppressi.
Per gli ebrei la storia della salvezza
è cominciata con l’indignazione di un
uomo che ha visto le sofferenze del
suo popolo e si è sentito obbligato ad
andare dagli oppressori con la missione data da Dio: « Lascia andare il mio
popolo ». Con atti di disobbedienza,
dopo lunghi anni di lotta e di caos,
Mosè ha condotto il suo popolo attraverso il deserto verso la terra promessa. I problemi di strategia politica, di
sviluppo comunitario, di lotta violenta
e di resistenza nonviolenta, di stabilimento della legge e dell’ordine, di pianificazione nazionale si ritrovano nella
storia della salvezza degli ebrei, mentre i profeti hanno costantemente continuato a richiamarli a una visione utopica di una società nella quale « la giustizia e la pace si baciano » e i popoli
« faranno ciò che è giusto, ameranno
la misericordia e cammineranno umilmente con il loro Dio ».
Perciò uno dei temi principali della
Conferenza» sulla salvezza oggi dev’essere la lotta per la giustizia sociale,
nelle sue manifestazioni locali, nazionali e internazionali.
Vogliamo scegliere fra le situazioni
esaminate dai rapporti, mostrando ciò
che la lotta per la giustizia sociale implica concretamente, e vedere quali
rapporti le Chiese hanno con alcune di
queste lotte, tenendo conto della loro
missione: predicare un Evangelo di
salvezza fino alle estremità della terra.
In alcuni casi le Chiese si identificano
completamente con le lotte degli oppressi; in altre puntellano lo statu quo.
Mai comunque posspno essere neutrali,
finché ci saranno (^stiani che annunciano che questo biondo è il luogo in
cui si compie Topèra di Dio e che il
giorno della salvezza è ormai giunto.
In un mondo
trasformazione
in
rivoluzionaria
A Bangkok la prima sottosezione
della Commissione « Salvezza e giustizia sociale » si occuperà della portata
del messaggio di salvezza in un mondo
in trasformazione rivoluzionaria violenta. Giustamente, la presiederà il pastore uruguayano Emilio Castro, che
vive in una delle situazioni nelle quali
alcuni sono giunti alla conclusione che
la rivoluzione violenta è l’unico mezzo
per determinare un mutamento nelle
relazioni ingiuste fra individui. Si sarà
oltre lo stadio del puro dibattito accademico; speriamo di udire coloro che
sono impegnati nei movimenti di liberazione nell’Africa australe, e cattolici
e protestanti presi nella tormenta, nelrUlster. Non verranno a noi come specialisti della strategia rivoluzionaria,
ma come cristiani che si sforzano di
annunciare « la buona novella » della
liberazione, là dove la situazione è divenuta talmente esplosiva che la morte è ovunque presente e la violenza genera controviolenza, in un devastatore
circolo vizioso.
La lunga storia della salvezza del popolo d’Israele non si è limitata agli
episodi violenti dell’Esodo. I lunghi anni nel deserto sono stati anch’essi scoraggianti, come pure la ricerca della
manna e del sostentamento — il vero
problema quotidiano di dare pane ai
poveri. Ci sono oggi nel mondo più
sotto-alimentati, analfabeti, malati che
in qualunque altra epoca della storia,
e ciò malgrado un cosidetto « Decennio dello sviluppo» durante il quale le
nazioni avrebbero dovuto impegnarsi
in una collaborazione internazionale
per contrastare lo sfruttamento economico per cui i ricchi diventano ancora
più ricchi e i poveri ancora più poveri, sìa nei singoli paesi che nella comunità internazionale.
Contro lo sfruttamento
del Terzo mondo
Nella seconda sottosezione, presieduta dal generale indonesiano T. B. Simatupang, saranno presentati rapporti da coloro che si sforzano di lottare
contro questo tipo di sfruttamento, in
particolare da coloro che nei paesi ricchi cercano di portare la popolazione
a prender coscienza dello sfruttamento del Terzo mondo attraverso gli investimenti e le convenzioni commerciali internazionali. Le Chiese hanno
ritenuto a lungo che fosse loro comnito nutrire l’affamato, istruire l’incolto, guarire il malato; come partecipa
Pauline Webb
vice-presidente
del Comitato centrale del CEC
(continua a pag. 5)
Bangkok ci invita a studiare quale
valore abbia, per la nostra situazione
umana odierna, la salvezza che ci è offerta nella testimonianza biblica.
Mentre Bangkok prenderà in considerazione la dimensione universale dell’impresa missionaria e in modo speciale i rapporti fra organismi missionari e Chiese locali, non dimenticheremo che, settimana dopo settimana,
innumerevoli uomini e donne si recano
in chiesa per proclamare il mistero
della salvezza, per ricordare le grandi
cose che Dio ha fatto e, forse, per
prendere coscienza delle nuove azioni
di Dio nel mondo contemporaneo. Le
grandi idee devono essere dimostrate
nei luoghi più modesti. In occasione di
riunioni internazionali passiamo invariabilmente il nostro tempo a maneggiare concetti universali, dopo di che
ci spazientiamo quando le comunità locali non riescono ad adattarsi a queste
grandi visioni. Siamo allora costretti
a creare strutture parallele alle Chiese, per condurre a termine le missioni
che consideriamo necessarie in un dato
momento.
Queste istituzioni parallele contribuiscono talvolta a ricordarci talune
dimensioni dell’Evangelo che le Chiese
tendono a dimenticare, ma il nòstro
fine ultimo resta il rinnovamento dell’intera Chiesa di Gesù Cristo. La nostra efficacia di proclamatori e portatori della salvezza dipende dalla misura
in cui sappiamo destare il desiderio di
rinnovamento in ogni Chiesa locale.
Il trauma
della partenza dei missionari
L’esperienza più traumatizzante, per
una Chiesa costituita in quelle che
chiamiamo le « terre di missione », è
forse la partenza dei missionari. Quando i missionari stranieri se-me vanno,
lasciano dietro di sé un senso d’insicurezza. Le conoscenze dottrinali sembrano sparire con lo stile di vita missionario,. Quando si rompono i legami
con la comunità cristiana straniera,
non va perso soltanto il sostegno finanziario, ma anche il senso dell’entità numerica. Con la partenza dei missionari,
svapora tutto il prestigio straniero.
Ma c’è di più: la ’’concentrazione” religiosa della Chiesa non esiste più. Salvo rare eccezioni il missionario è venuto con il solo scopo di predicare
l’Evangelo e di edificare una Chiesa indigena avente quanti più membri possibile. Dojx) la sua partenza si aprono
molte possibilità di creare legami con
varie comunità cristiane e con la comunità nazionali. E allora facile porre
a confronto, con accenti romantici, la
“buona concentrazione" del missionario
e la dispersione di energie operata dal
lavoratore indigeno che gli succede.
Si potrebbe dire che la partenza del
missionario straniero segna la fine di
un’èra nella quale Taccento principale
era posto sullo sviluppo numerico della
Chiesa per l’apporto di nuovi convertiti.
E ora, che accade?
Qra scopriamo che la Chiesa è nostra, degli indigeni. A che scopo? Che
faremo di questa Chiesa autonoma?
Ecco subito la visione derivante dalla
riflessione ecumenica internazionale: è
il mondo che determina l’ordine del
giorno, la Chiesa è una comunità per
gli altri, missione significa responsabilità. La Chiesa deve discernere i movimenti dello Spirito di Dio nella vita
del popolo, celebrarli, proclamarli e lavorare in funzione di essi.
Il risultato del cambiamento s’impone: anzitutto, la comunità ecclesiastica è immersa nell’incertezza, non distingue i propri obiettivi, non sa quel
che vuole. Se l’ordine del giorno è dato dal mondo, l’iniziativa viene dal di
fuori della Chiesa e quest’ultima non è
che l’eco degli avvenimenti importanti
che si verificano altrove. Se ciò che
davvero conta è ciò che Dio fa nel mondo, i laici non hanno più da consacrarsi
a servizio della Chiesa: il loro dovere
— almeno, questa è la loro impressione — è partecipare alle azioni di Dio
nel mondo.
Ma che significa, questo, per la vita
della Chiesa? Forse una nuova forma
di clericalismo, se il pastore deve accollarsi compiti sin qui assunti dai laici... Qppure il pastore partecipa anche
egli al programma di Dio nel mondo?
Se così è, dov’è allora la vita della comunità cristiana? Subito si presenta
una seria divisione: non è più un disaccordo dottrinale, ma tutte le divisioni del mondo ’’laico” penetrano nella Chiesa.
Lo statu quo è forse sacro? Le forze
nuove di trasformazione sociale sono
una benedizione o una maledizióne? La
Chiesa deve parteggiare per le classi
oppresse o preoccuparsi di sapere se
i vari gruppi sociali godono in misura
uguale della prosperità nazionale e hanno le medesime possibilità di parteciparvi? Se la Chiesa è una comunità
« per gli altri », chi sono questi « altri»? Quando la comunità laica è seriamente turbata, che cosa unisce i cristiani nella Chiesa? Che cos’ha, essa,
che manca ai gruppi "laici”? Che può
offrire ai giovani rispetto alle promesse dei gruppi che caldeggiano l’azione
rivoluzionaria?
Quando è il mondo
a dare l'ordine del giorno
Vi è però un altro elemento, davvero
sorprendente: la comunità “laica” scopre aU’improvviso che la Chiesa ha un
volto nuovo, fa parte della comunità
nazionale. L’incertezza della Chiesa non
appare, all’esterno, il mondo esterno
vede soltanto che la Chiesa s'identifica
con i problemi della comunità umana;
anche se l’azione specifica che essa intraprende è talvolta discutibile, resia
pur sempre il fatto che la modesta
Chiesa locale è presa sul serio. Contatti inattesi si avviano con la comunità.
Finora era la Chiesa che batteva alla
porta del mondo per cercare di fargli
ascoltare il proprio messaggio; oggi è
la comunità ’’laica” che batte alla porta
della Chiesa per chiederle il suo parere
e la sua collaborazione.
Il mondo viene alla Chiesa con i suoi
problemi e i suoi sogni, formula le proprie richieste nel linguaggio a lui jaroprio, ma si aspetta che la Chiesa gli risponda in funzione del potenziale di
servizio che si può presumere presente
in una comunità che proclama un messaggio di salvezza. La parola « salvezza » è capita in riferimento all’arppliamento e aU’umanizzazione della vita.
Il mondo comincia a realizzare che la
salvezza non è un mezzo per sfuggire
alle tensioni quotidiane, una fuga verso
la sicurezza individuale, qui o altrove.
L'affermazione della salvezza, della pace di Dio ha conseguenze in tutti i campi della vita umana.
Allora il culto della Chiesa diventa
missionario. Non lo si può concepire
come un esercizio privato 'riservato a
puro beneficio del cristiano. Il mondo
è presente al cuore stesso del cultol La
preghiera a favore dei poveri o dei prigionieri, del governo o degli scioperanti, implica che si avverta una responsabilità che abbraccia tutto ciò che accade nel mondo di Dio. Essa trasforma
Tesperienza cultuale in partecipazione
alle sofferenze, ai dubbi, alle speràrize
dell’intera comunità.
Non siamo soli :
universalità del|a fede
Nuove possibilità si offrono alla partecipazione alla missione nel mondo.
Proprio perché l’ordine del giorno è
determinato dal mondo, che ci richiama con immediatezza alle questioni
universali, noi, membri di una modesta
Chiesa locale, non possiamo restare insensibili al razzismo, ai grandi problemi dello sfruttamento neocolonialista,
alle nuove forme di servizio cristiano
scuscettibili di contrastare la disumanità delle nostre metropoli. Dì fronte
a questi problemi sconfinati, la Chiesa
si sente debole e impotente; ma, con
sua somma sorpresa, scopre che la preghiera l’unisce ai fratelli di altri paesi
e che alcuni dei suoi membri sono in
grado di portare un piccolo contributo
alla soluzione di questi problemi giganteschi, un contributo che è simbolo
della partecipazione alla vocazione che
Dio rivolge al suo popolo sparso in
tutto il mondo.
Questo nuovo volto della Chiesa nella
nazione le permette allora di accogliere missionari stranieri: ora essi verranno per partecipare all’integrazione
di una comunità che si propone di spiegare la volontà missionaria di Dio alla
comunità circostante. L’universalità
della fede, simboleggiata dal missionario straniero, è un arricchimento per
la missione nazionale. Il fatto di vivere
una missione che si radica nella nazione ci permette di aprirci a una prospettiva universale.
Capirai dopo, via via...
Dubbi e divisioni permangono. Nm
tiamo che altri gruppi, seguendo altri
metodi, conseguono apparentemente
maggiori successi e li invidiamo. Ecco
Emilio Castro
presidente della Chiesa
metodista in Uruguay
(continua a pag. 5)
5
5 gennaio 1973 — N. 1
pag. 5
^ Quasi inesistenti, finora,
gli obiettori di coscienza ita*
liani : ma qual è stata, nella
lotta per far maturare nell'opinione pubblica italiana il problema del riconoscimento
xielTobiezione di coscienza, la parte degli evangelici italiani? Uno sguardo alla storia degli ultimi vent'anni
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
può essere utile. ^ Come annunciare oggi agli uomini, in tutti continenti, radicati in molteplici culture, ani*
mati da svariate ideologie la salvezza in Cristo, I'« unico
Nome » dato agli uomini perché siano salvati? A Bangkok
le Chiese se lo stanno chiedendo, con occhi ben apertn sulla realtà A La "ricaduta" dello slancio evangelistico
si fa sentire ben preste, anche
nelle "giovani Chiese": rude
constatazione di un Sinodo
malgascio. E in che
misura la passione missionaria ò presente nel piccolo
mondo evangelico italiano? Anche la costituzione di un Coro può avvenire nel segno della volontà di testimoniare.
LA LOTTA PER IL RICONOSCIMENTO DELL’OBIEZIONE DI COSCIENZA
Dual è stata la partecipazione depii evangeiici itaiiani?
Se finora è stata quasi insignificante quella diretta di nostri giovani obiettori, intenso e vario è stato
invece l'apporto di molti alla maturazione del problema neH’opinione pubblica italiana. Slancio, dunque, nel difendere un aspetto della libertà di coscienza, reticenza nell’assumere un impegno non sufficientemente chiarito a livello teologico, biblico, ecclesiastico.
Salveiza e liustizia sociale
Qual ò stata la partecipazione degli evangelici italiani all» letta prer il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, lotta che ora ha segnato
una tappa certo tutt'altro che soddisfacente, ma
pur sempre una prima tappa? E' giusta l'accusa,
'mossa da qualche parte, che gli evangelici italiani si sono mossi tardi ; che, a parte l'obiezione tutta particolare dei Testimoni di Geova, sono stati gli obiettori cattolici a rappresentare
una posizione religiosa, e più specìficamente
«ristiana, in questo campo?
E' vero che sinora gli obiettori evangelici sono stati quasi inesistenti, il che spiega anche
psicologicamente lo choc dell'ultimo Sinodo
Valdese nel ricevere la lettera di uno di loro.
Tuttavia, riandando le cronache ed esaminando
ì documenti, si nota che sin dall'indomani dell'ultimo conflitto vi sono stati degli evangelici
fra la pattuglia che ha condotto la battaglia per
il riconoscimento di questo diritto. Vale la pena
ricordarlo, non per trarne vanto, ma perché non
si pensi — con entusiasmo o con sufficienza —
che si tratti di una fiammata di oggi.
Nel 1950 si organizza a Roma un primo convegno nazionale sull'obiezione di coscienza :
nell'organizzazione e negli interventi sono impegnati esponenti evangelici, insegnanti alla
Facoltà Valdese di Teologia. In quegli anni solo
un breve scritto del prof. Paolo Bosio si pronuncia contro l'o.d.c., ed egli viene ripreso per
l'abuso di averlo stampato con io stemma della
Chiesa sulla copertina.
Nel 1956 vi ò un nuovo intervento ufficiale
delle Chiese, le quali, tramite l'ufficio legale
dei loro Consiglio federale, d'intesa con la Lega internazionale dei diritti dell'uomo, promuovono un secondo convegno romano sull'o.d.c.,
con interventi anche di esponenti protestanti. Il
convegno promuove una commissione di studio
per la preparazione di un progetto di legge :
alla stesura di esso e della relazione d'accompagnamento partecipa in modo determinante il responsabile del citato ufficio legale, tramite il
quale viene poi officiato nel luglio 1967 l'on,
Lelio Basso, per presentare alla Camera il progetto di legge.
La relazione ufficiale dell'ufficio legale agli
organi delle Chiese evangeliche attesta in quegli
anni un vivo interesse di queste al problema :
dal 1955 al 1959 tale relazione costituisce la
prima e l'unica documentazione sui vari casi cH
obiezione, e stralci di essa inducono in seguito
altri a documentarsi e agire. Lo stesso ufficio
legale del Consiglio federale delle Chiese evangeliche ha raccolto, a partire da quegli anni,
quella documentazione suU'o.d.c. eha. ggigi ancora fa testo sullo svolgimento di tale fenomeno in Italia e che ha servito, sul piano politico
come su quello giuridico, di base per la difesa
di vari casi e per lo studio della questione nel
suo insieme.
Il 1957 è stato un anno vivace, a questo riguardo : nel luglio, ad Agape, si tiene un incontro sui « Problemi di coscienza nella società
moderna », e vi si dibatte anche quello degli
obiettori. Poche settimane dopo, nel Sinodo
Valdese si svolge il primo dibattito sull'o.d.c. e
ne scaturisce un mandato per approfondire lo
studio del problema (A.S. 1957, art. 47 e 52).
L'anno seguente il Sinodo riprende l'argomento
e approva un articolo (A.S. 1958, art. 40) che
costituisce un impegno preciso per le chiese ih
vista del riconoscimento dell'o.d.c.
Sono anni nei quali esponenti evangelici intervengono in vari convegni, in giri di conferenze in città e paesi diversi dove dell'obieziooe, allora certo non ritenuta innocua rispetto
.all'attuale sistema, non si è mai sentito parlare.
il campo invernale del 1959, ad Agape, co.Stituisce un incontro di studio e dibattito imperniato su di un simbolico processo aH'obiettore,
di cui vengono poi pubblicati gli atti.
Nel 1961 l'ufficio légalé dèlie Chiese evangeliche prepara e pubblica, su invite dell'Associazione italiana per la libertà della cultura
(AILC) il primo volumetto di documentazione
divulgativa sul problema degli obiettori ; la
Claudiana collabora alla sua diffusione. Nel
marzo 1962 è ancora alle stesso ufficio legale
che l'AlLC chiede la formulazione del questionario per la tua inchiesta culturale e politica
sul problema dell'o.d.c. e nel quale il tema viene impostato in termini risolutivi sul piano giuridico.
Intanto, in seguito alla decisione del Sinodo
Valdese 1958, viene ripresa l'azione e si sollecitano parlamentari per presentare un nuovo progetto di legge alla terza legislatura repubblicana (1962).
Sul finire dei gennaio 1963 si presenta il prime caso di obiezione da parte di un cattolico
"conciliare": il caso Gezzini, dibattuto a Firensn» per la difesa del quale ancora viene consultato Il responsabile deH'ufficie legale delle Chiese evangeliche. Nel febbraio delle stesse anno la
chiesa valdese di Milano organizza nei suoi locali un dibattito pubblico sull'o.d.c. Nel marzo
snche la Federazione giovanile valdese (FUV)
indice un convegno sul disarmo e sull'o.d.c., da
cui scaturisce un invito al Sinodo a pronunciarsi nuovamente in proposito; e infatti nell'agosto il Sinodo Valdese affronta il tema generale
della nonviolenza in vista di un messaggio impegnativo da rivolgere alle chiese. Parallelamente anche la Conferenza Metodista richiama
l'attenzione dei parlamentari sul problema degli obiettori, richiedendone il riconoscimento.
Come il '57, il '63 è state dunque un anno
In cui la questione è stata particolarmente viva
fra gli evangelici. In quell'anno e nei due successivi, per iniziativa delle chiese evangeliche
in varie città sono indetti conferenze e dibattiti, ed esponenti evangelici prendono parte a
dibattiti pubblici indetti da varie associazioni a
Roma, Milano, Venezia, Poggio Rusco e altrove.
Nel 1965 il II Congresso evangelico italiano,
riunito nei teatro Eliseo di Roma, rivolge un
appello al governo perché presenti un disegno
di legge per il riconoscimento giuridico degli
obiettori consentendo loro di prestare un servizio civile alternativo.
Nel 1966 il Sinodo Valdese, esaminata la posizione delle Chiese di fronte ai problema della
violenza, riafferma che il compito della Chiesa
è di annunciare la riconciliazione in Cristo e che
quindi l'obiezione di coscienza fatta nel nome
di Cristo è un modo valido di testimonianza
concreta della pace del Signore e un annuncio
del Regno di Dio che viene.
Nell'aprile 1969, in un convegno convocato
nella cappella valdese di Perosa, viene svolto
un pubblico processo all'obiettore e viene posto in risalto il carattere dì testimonianza cristiana proprio dell'obiezione. Lo stesso anno la
Federazione delle Chiese evangeliche ( FCEI ) richiama l'attenzione del governo e del Parlamento sulla situazione di quanti scontano in
carcere la propria obiezione di coscienza al servizio militare e sottolinea la necessità che venga
dato un riconoscimento giuridico agli obiettori
con una legge adeguata che permetta loro di
prestare un servizio civile alternativo. Sempre
nel 1969 vari esponenti evangelici e la FCEI
danno il loro appoggio alla Lega per il riconoscimento giuridico dell'o.d.c.
Nel 1971 il Sinodo Valdese esamina il progetto di legge approvato dal Senato e riafferma la necessità di una legislazione sull'o.d.c.
che tenga conto, nel modo più ampio, del principio della libertà di coscienza.
Ciò che è avvenuto nel Sinodo Valdese 1972
è di ieri e i lettori lo ricordano : la lettera -di
un obiettore valdese in carcere rende particolarmente vivo il problema e il dibattito e il Sinodo, oltre a vivere, con i fratelli della Conferen-'
za Metodista, un'ora di riflessione e digiuno e a
votare l'istituzione di un Fondo di solidarietà
con gli obiettori, che raccomanda alle chiese,
dibatte nuovamente il problema dell'o.d.c. e
impegna le Chiese e ì loro organi ad adoperarsi per l'emanazione di una legge che nel riconoscere giuridicamente l'o.d.c. non mortifichi la
dignità umana degli obiettori e non presenti
quindi carattere punitivo. Gli stessi elementi
sono ripresi dal Consiglio delia FCEI, nella sua
seduta a fine novembre.
Varie chiese, intanto, hanno cominciato a diiTcutere ' cà|^ltarmentó'"T¥"’questione é 'àTcuiìe fa
raccolta di offerte; nelle Valli Valdesi si è
avuto il 19 novembre, a Pinerolo, un incontro
"aperto" jdi. Informazione e dibattito; a Genova gli evangelici "federati" partecipano a un
pubblico incontro organizzato dal partito radicale. Parecchi evangelici hanno scrìtto ai responsabili parlamentari facendo presenti, in
buona parte invano, i motivi suesposti. La
stampa evangelica ha dato rilievo, con frequen.
buona parte invano, i motivi suesposti. La
za, a quest'ordine di problemi. Cosi pure, negli
ultimi anni, numerosi evangelici tenendo conferenze, partecipando a dibattiti, pubblicando
articoli nelle sedi più diverse hanno dato un
contributo attivo a far maturare il problema del
riconoscimento giuridico degli obiettori nell'opinione pubblica. Più complesso e più aperto il
problema della loro partecipazione diretta all'obiezione, essa stessa in fase di evoluzione e
diversificazione. E' la storia di domani.
(segue da pag. 4)
no agli sforzi che non si limitano a lenire la sofferenza umana ma vogliono
sopprimerne la causa?
Dai pionieri
ai pianificatori
Un terzo gruppo studierà i problemi
che si pongono in paesi nei quali le
Chiese, responsabili da molti anni dei
programmi assistenziali, sanitari ed
educativi, sono oggi spinte a partecipare a piani nazionali di sviluppo in
questi settori e a mutamenti nelle
strutture sociali. Dove le Chiese e le
missioni hanno svolto opera di pionieri, i governi progettano ora di integrare maggiormente i loro servizi sociali
nella vita della nazione. In qual misu
Rinnovamento delle Chiese
(segue da pag. 4)
un gruppo che fonda il proprio lavoro
sulla coscientizzazione: dispone di un
forte aiuto straniero, di fonte ignota, e
non deve preoccuparsi di finanziare
una facoltà di teologia, una pubblicazione religiosa, un "clero” professionale o il mantenimento di edifici ecclesiastici; gli è facile beffarsi della lentezza
della Chiesa, a confronto con la sua
elasticità e mobilità. Ne siamo risentiti, animati da sospetti e dal desiderio
di respingere la sfida e l’ispirazione
che un simile gruppo d’azione potrebbe suscitare. Ecco, d’altro lato, una
Chiesa che accresce rapidamente il numero dei propri membri; pratica la
guarigione per fede e invita i propri fedeli a vivere un’esperienza di estasi
emozionale. E la gelosia ci spinge a
pronunciare giudizi affrettati su questo
gruppo che ci toglie fedeli, ne mettiamo in luce la dipendenza finanziaria
dall’estero e la mancanza di profondità.
Attenzione, e serbiamoci umili... A
più riprese scopriremo infatti che, da
una parte o dall’altra, è possibile una
inter-azione, un’influenza reciproca e
ci ricorderemo che vi è una Sapienza
superiore alla nostra, capace di servirsi di tutti gli apporti, per quanto contrapposti, per conseguire il suo scopo
ultimo’che è untile futte le cose in tristo.
Noi, membri della Chiesa locale, continuiamo quindi a vivere umilmente,
incapaci di definire con precisione la
nostra missione, ma animati dalla speranza che questa comprensione ci sarà
data, se continuarne a servire. Al tempo stesso prendiamo coscienza dell’im
portanza della Chiesa: luogo in cui l’uomo incontra l’uomo in un mondo diviso, agente d’integrazione dell’uomo totale, proclamando il fine ultimo di Dio
che trascende ogni situazione individuale, familiare o collettiva e ci offre
una vita più completa e più profonda:
questa è la promessa che Dio fa alla
umanità.
Vasi di terra
Quando consideriamo la salvezza di
Dio per l’America latina in funzione
della liberazione, la cui necessità è avvertita in modo crudele in tutto il continente, da ogni nazione e da ogni persona, riconosciamo che le Chiese locali, con le loro divisioni e con i loro dubbi, non sono che vasi di terra indegni
di contenere la promessa di un giorno
nuovo. Ma se a Dio piace di versare il
tesoro del suo Evangelo in questi vasi,
è nostro dovere offrirglieli come strumenti sempre più utili ed efficaci.
Che ci aspettiamo da Bangkok? Il
rinnovamento della Chiesa è, in fin dei
conti, opera dello Spirito di Dio e lo
Spirito soffia dove vuole. Per conto nostro crediamo che può soffiare su una
assemblea. A Bangkok i partecipanti
offriranno il loro spirito a Dio, nell’adorazione e neirubbidienza, pronti a percepire da volontà di"^ina nel dialogo con
i fratelli. Bangkok, occasione di uno
scambio vivo di esperienze, fonti di potenza per le nostre preghiere d’intercessione e di sapienza per le nostre decisioni, ispirerà la nostra piccola Chiesa locale nel suo sforzo in vista di distinguere la propria missione a Montevideo. Emilio Castro
Notiziario Evangelico Italiano
« Cristianesimo oggi » (Ed. Lanterna,
supplemento a « Il Seme del Regno »
della Chiesa di Cristo) dopo cinque
numeri di saggio esce con periodicità
fissa, per ora mensile.
Vi leggiamo che molte comunità della Chiesa di Cristo stanno attuando
una grossa campagna per la distribuzione gratuita del Nuovo Testamento
nelle case italiane. Il testo usato è una
nuova traduzione edita dalla Editrice
Lanterna e fatta sui testi originali greci da Fausto Salvoni e I. Minestroni,
rispettivamente della Facoltà biblica
di Milano e della Scuola Biblica di Firenze. Si è cercato di rendere il testo
greco in un italiano parlato, evitando
i termini antiquati ed ecclesiastici che
rendono diffìcile la comprensione ai
non iniziati. La prima edizione è già
esaurita, si sta preparando la seconda, di 25.000 copie.
* * *
« Parole di vita », Casella Post. 680,
50100 Firenze, offre il disco di Natale:
PDV. 324: « O paese di Betlehem! - Su
sciogliam fratelli il canto - Limpida serata orientai » (45 giri); e per bambini:
PDV. 323: Se son soldato di Gesù - Piccolo David - Io sono un agnellino (45
giri).
* * *
« Prisma », il giornaletto dell’Istituto
battista Taylor di Roma-Centocelle annuncia che si stanno realizzando nell’Istituto alcune delle innovazioni di
cui c’è tanto bisogno. Dopo l’installazione delle lavatrici, è la volta del refettorio che sarà completamente rinnovato per Natale. Queste realizzazioni
sono possibili grazie al fondo raccolto dal CAIT (Club amici Ist. Taylor).
* * *
Su un ciclostilato deH’asilo metodista di Scicli (Sicilia), che si chiama
« Centro per l’infanzia Lucio Schirò »,
leggiamo che l’asilo ha riaperto quest’anno i battenti « sperando contro
speranza ». C’era infatti il pericolo di
dover chiudere per difficoltà finanziarie. Sono sorte in Scicli nuove scuole
materne che offrono anche maggiori
vantaggi. Alcuni genitori però hanno
detto che nell’asilo metodista si trova
qualche cosa che altri non offrono.
L’asilo ha bisogno di ampliarsi e di
completarsi con mobili e giochi. Even
tuali offerte possono essere inviate sul
c.c.p. 16/1668 al Centro per l’infanzia,
Scicli (Ragusa).
* * *
Per l’Esercito della Salvezza sta per
finire, col 1972, Tanno dedicato ai fanciulli. Il 1973 sarà l’anno della famiglia.
it * *
In Sardegna c’è un paese che ha un
sindaco evangelico: è S. Vito del Sarabus e il sindaco è il pastore battista
Luigi D’Isanto.
Questo paese è molto arretrato per
quanto riguarda le opere pubbliche,
come scuole, acqua, luce ecc. Si cerca
ora di vincere soprattutto l’egoismo
che impronta la vita civica, affinché
qualche cosa cambi in questo paese
« ricco solo di sofferenza ».
A tutte queste persone di buona volontà giunga l’augurio dei Valdesi perché il loro lavoro dia molti frutti.
Inda Ade
Settimana di preghiera
per l’unità dei cristiani
“Signore,
Insegnaci a pregare»
Abbiamo provveduto anche quest'anno alla
pubblicazione in opuscolo del testo preparato
dal Segretariato Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico per la SETTIMANA DI
PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRI
STIANI, la quale, quest’anno, avrà come te
ma centrale la domanda a Gesù dei discepo
li: «SIGNORE, INSEGNACI A PREGARE»
Il costo dei fascicoli, tenuto conto delle spe
se di spedizione, è il seguente : 1 copia L
100; fino a 10 copie L. 80 la copia; fino a 25
L. 70; fino a 50 L. 60 la copia; oltre 50 copie L. 50 la copia.
Le ordinazioni debbono essere fatte versando il relativo importo mediante il c.c.p.
1/31822, intestato a Mario Sbaffi, Via Firenze 38, 00184 Roma.
Si prega di non dimenticare di indicare
nel modulo dì c.c.p. la causale del versamento.
La F.C.E.L
Presentato
dal Coro Evangelico di Roma
Ascottando
“Il Messia” di Haeadel
Abbiamo ascoltato, in uno di questi
giorni di avvento, nella Chiesa anglicana di Roma - Via del Babuino, l'oratorio « Il Messia » di Haendel, cantato
dal Coro Evangelico di Roma.
« Il Coro Evangelico è formato da
membri di molte comunità romane che
si riuniscono per le prove una volta la
settimana. I suoi componenti non sono
professionisti e molti di loro non conoscono la musica. Hanno aderito a questa attività liberamente, spinti dalla
gioia di cantare, dall’amore per la buona musica e dalla convinzione che anche il canto può essere una testimonianza della fede cristiana. Gli incontri continui e l'impegno comune stanno
creando tra i componenti del Coro una
atmosfera di simpatìa e di interesse
reciproco che fanno di quest’attività
un’occasione preziosa d’incontro.
« Il "Messia", scritto nel 1742, è l’oratorio più notevole tra i ventidue
creati da Haendel. Anche oggi è l’oratorio più ascoltato nel mondo evangelico.
« Per 24 giorni Haendel lavorò ferocemente senza mai parlare, senza quasi prendere cibo, finché, chiamato il
suo servo, gli fece sentire tutta l’opera. Giunto al coro Alleluia, disse semplicemente: "Qui ho visto la luce del
cielo ed anche il grande Iddio in persona".
« Era presente a Londra, per la prima esecuzione, il Re d’Inghilterra, il
quale, durante l’Alleluia, trascinato dall’entusiasmo, si alzò in piedi e tutta
l’assemblea lo segui; sicché ancor oggi, per antica tradizione, i pubblici britannici sogliono ascoltare in piedi quel
formidabile coro.
« Mai dal "Messia” Haendel volle
ricavare un profitto; lo fece sempre
eseguire per scopi di beneficenza e nel
suo testamento dispose che così si facesse anche dopo la sua morte ». (Dal
Programma).
I. A.
ra i pianificatori supereranno i pionieri? Come decideranno delle esigenze
della comunità in campo sociale? Le
comunità parteciperanno alla pianificazione? Questi gli interrogativi su cui
lavorerà il gruppo presieduto dal dr.
Karefa Smart, della Sierra Leone.
In prima persona
Infine una quarta sottosezione, presieduta dal coreano Jae Shik Oh, studierà da una parte il rapporto fra salvezza e giustizia sociale e, d’altra parte, le lotte e l’azione comune a livello
locale, grazie alle quali i poveri possono definire le loro esigenze, decidere
gli scopi da prefiggersi ed elaborare le
proprie strategie per raggiungerli. In
che misura una teologia della salvezza
per « una vita più abbondante » risponde alle speranze e ai fini espressi nello sviluppo comune? In che modo coloro che sentono veramente la missione lavorano con i poveri piuttosto che
per i poveri, permettendo a coloro che
pensano di non avere alcun potere, di
scoprire quello che è loro intrinseco,
incoraggiando coloro che da tanto tempo hanno accettato passivamente il
proprio destino, a rendersi conto che
la porta del futuro è aperta agli uomini che chiedono, cercano, cozzano contro le strutture ingiuste attuali?
Il filosofo marxista Roger Garaudy,
in uno degli articoli selezionati per la
antologia La salvezza oggi e l’esperienza contemporanea, parla di Gesù che
ha « statalizzato la storia » e ci ha insegnato che l’uomo è nato per essere
il creatore del proprio destino. Scopo
della sezione « Salvezza e giustìzia sociale » sarà capire come il messaggio
della salvezza in Cristo può riuscire a
cacciare Tinevitabilità dell’ingiustizia
dalle nostre istituzioni nazionali e intemazionali attuali e a liberare l’umanità affinché essa raggiunga l’ordine
nuovo nel quale « l’impero sul mondo
appartiene ormai al nostro Signore e
al suo Cristo ». Pauline Webb
Il Sifloih malgiisclo
SHireumiellzzazioie
il Sinodo Nazionale della Ghiera-di Gesù Cristo in Madagascar così si è espresso sull'evangelizzazione :
«La chiesa sembra- auer-perso« di vista la
semplicità delEordine del Signore "fate di tutte le nazioni miei discepoli" ed essersi congelata. Internamente,si muove molto, ma non avanza, come bloccata. E' stato ripetuto troppo spesso che la Missione è la Chiesa. L'evangelizzazione è stata troppo concepita nel senso di individui che entrano a far parte di una comunità
già a posto. Ma se, come spesse accade, questa
comunità i già affetta da anchilosi, rattrappita
da tradizioni e da pregiudizi, significa evangelizzare il voler aggiungere ad una tale Chiesa?
Non è forse meglio, per un certo tempo, passare oltre la Chiesa già costituita e creare nuove Chiese formate da pagani convertiti?
« Nelle grandi città si illude enormemente chi
suppone che le Chiese nella loro ferma attuale divengano strumenti di evangelizzazione nell'ambiente straniero ( indiano, cinese, europeo )
o anche neil'ambiente popolare malgascio : voler integrare in una Chiesa retta da funzionari
e commercianti dei trascinatori di carrozzelle a
mano significa condannare questi ultimi a non
fare mai parte della Chiesa, cioè a non prendere mal decisioni, a non diventare mai adulti
spiritualmente.
« Nei distretti lungo te coste, le circoscrizioni
di cui ha cura un «evangelista » non sono suddivise in base al numero dei pagani, ma al numero dei cristiani in grado di pagare l'evangelista. Si arriva al punto di affidar» 40 Chiese
ad uno stesili '^evangelista". In queste condizioni, chi evangelizzerà? Ma i cristiani stessi, si
dirà ; e dal punto di vista teologico è giusto.
Ma se da anni questi cristiani non sono più
stati preparati, quanto tempo occorrerà per ravvivare lo zelo missionario di queste persone
per le quali, molto spesso, il pagano è il cattivo col quale non bisogna aveVe rapporti?...
« Si tratta dunque di sapere se occorre un
corpo di evangelisti che lavori soprattutto nei
villaggi pagani per creare delle nuove Chiese.
Esiste, è vero, una Società d'Evangelizzazione
d'Imerina, che nel passato ha svolto questo
compito. Essa serve soprattutto d'alibi ad alcune
grandi Chiese che ritengono d'aver fatto il loro dovere versando un'offerta a questa Società.
« La complessità di questi problemi ha indotto il Dipartimento per l'Evangelizzazione a
proporre la creazione di un altro Dipartimento
per incoraggiare tutto ciò che può servire a
questa causa: laici, catecumeni, scuole domenicali, movimenti femminili, ecc. ecc.
« Sull piane locale, il rinnovamento deve ancora essere più profondo che sul plano nazionale. Si tratta di capovolgere totalmente la concezione in voga secondo cui i diversi gruppi e
movimenti della Chiesa locale hanno per scopo
principale di finanziare la Chiesa. Ma in che
modo capovolgere questa situazione e far si
che tutti i rami dell'attivitS ecclesiastica diventino luoghi di azione e di testimonianza nel
mondo piuttosto che una vasta rete di raccolta
di contribuzioni?
« Possiamo concludere con queste parole :
che cosa fare perché la Chiesa si consacri a
qualcos'altro che a pagare i suoi pastori ed alla manutenzione dei suoi stabili? Un piccolo
numero di Chiese vi è già pervenuto; perciò
l'enorme compito del prossimo Sinodo non scaturisce dall'utopia, ma semplicemente da una
fede rinnovata ».
6
pag. 6
CRONACA CELLE VALLI
N. 1 — 5 gennaio 1973
Slancio
di un anno
Il periodo di fine anno è sempre periodo di bilanci, politici, personali, economici; anche se il nostro anno ecclesiastico è abitualmente chiuso con la
Conferenza distrettuale di giugno possiamo fare un bilancio delle nostre attività e della nostra testimonianza.
Che cosa ha significato per le nostre
comunità alle Valli questo 1972? Nel
complesso si deve dire:molto poco, un
anno fra gli- altri, uno come gli altri,
con una lieve, impercettibile regressione, un piccolo passo indietro, che si
assomma a quelli degli anni precedenti, centimetro dopo centimetro e che
sta trasformando la fisionomia delle
nostre Valli senza che ce ne rendiamo
conto. Non è stato comunque l’anno
della ripresa, del rilancio, della svolta,
« on piétine sur place ».
Attività normali nelle parrocchie, col
ritmo abituale di sempre, segnato ormai da decenni: ripresa autunnale,
punta di iniziative a Natale, momento
di rilancio al XVII, le confermazioni, la
Conferenza distrettuale, poi l’estate.
Il ritmo c’è, il programma anche, la
convinzione e la partecipazione sembrano affievolirsi però. Come definiremo l’insieme della nostra vita ecclesiastica interna, cioè dell’insieme delle
nostre attività, se non come un lento
camminare, pieno di perplessità? Non
che le cose non ci siano o non si facciano ma si fanno con un senso di sfiducia e di dubbio. Perché questo? Perché non si rispettano i fratelli, non si
ha fiducia in loro, si sospettano sempre
calcoli, trame, insidie? Quello che manca è il coraggio, la franchezza, la libertà di agire e pensare.
Vecchie iniziative sono portate avanti senza coraggio, senza dinamica perché non sono più sentite, non corrispondono più ad una espressione viva
della fede, ma iniziative nuove stentano
a sorgere, subito frenate, deprezzate,
svalutate. Quando mai un valdese ha
saputo rallegrarsi con un altro valdese
di qualche cosa? Quando ha saputo
gioire di quello che un altro fa e possiede? Quella stessa diffidenza sospettosa che ci muove nel campo della vita
associata sembra muoverci anche nella fede. Sembra quasi che quando
qualàosa va troppo bene, o accenna ad
avviarsi, uno ne risenta disagio, gli da
noia. E’ questo spirito di sospettosa
diffidenza e staticità che deve essere
abbandonato, che deve cedere il passo
ad uno spirito di collaborazione fraterna, di fiduciosa speranza, di iniziativa. Lo dice anche l’apostolo Paolo: a
divorarsi a vicenda si finisce col distruggersi a vicenda; badiamo di non
distruggerci a vicenda è di non causare
COSI là distruzione di molte opportunità, di occasioni, di slanci, di speranze.
Gli anni che ci stanno davanti non
sono certo anni facili, tempi di ottimismo facilone, i problemi che ci sovrastano in campo sociale, politico, economico, e nei quali dovremo inserire la
nostra vita di credenti non sembrano
di rapida soluzione, occorrerà molto
coraggio e pazienza da parte nostra, da
parte di tutti per « non mollare », per
mantenere fede ad una ricerca di fedeltà, per approfondire e ricercare l’impegno. Tutto questo però è possibile
soltanto se esiste in tutti e fra tutti i
credenti rispetto e comunione.
Occorre però anche dire che questa
fiducia reciproca, questa rispettosa collaborazione nella ricerca, questo camminare insieme senza pregiudizi o rimpianti è possibile in un autentico spirito di fede soltanto. E la fede nostra
deve essere libera e fraterna sì ma anche critica; deve cioè saper discernere
il grano dalla zizzania nel campo del
Signore. Non tutto quello che stiamo
facendo, tutto quello in cui crediamo,
e per cui ci battiamo, è pienamente
aderente alla volontà di Cristo, occorre pur dirlo; molte nostre iniziative,
sociali, spirituali, assistenziali, educative o ecclesiastiche sono frutto di entusiasmo e di impegni, ma non tutto è
da noi oro colato, ben lungi.
Come dobbiamo imparare a dare fiducia ai fratelli, a non distruggere la
loro opera con i nostri scetticismi o le
nostre insinuazioni, le critiche ingiuste
e le gelosie, così dobbiamo imparare
ad accogliere le critiche dei fratelli, il
loro avvertimento, la messa in guardia che ci viene dalla loro parole. Se
una parola d’ordine può essere data al
termine di un anno come il 1972 sarà
questa: camminare nel rispetto e nella
collaborazione non in modo facilone
ma da fratelli in fede. Giorgio Tourn
Il servizio sociaie deiia Vai
ed piano iV svVuppo doiia
Poiiito
Eooiunità moniana
Perrero: festa dei bambini
L'Associazione Pro Loco di Ferrerò,
rinnovata nel suo Consiglio di Amministrtizione, ha organizzato il 31 dicembre nel teatrino dell’Asilo di Ferrerò la
Festa dei bambini.
Dopo una serie di proiezioni adatte
alla giovane età del pubblico, i 150
bambini presenti in sala hanno ricevuto un piccolo regalo e altri premi sono
stati estratti a sorte.
La Pro Loco di Ferrerò, che fino ad
oggi ha funzionato con una certa difficoltà, si propone inoltre un programma di manifestazioni per il periodo
della villeggiatura estiva, con giochi
per i bambini e gare per gli adulti.
In una prossima seduta il presidente
geom. Chiaraviglio, residente da molti
anni a Ferrerò, con gli altri membri
del Consiglio, predisporrà il bilancio
preventivo per le future attività.
Non tutti sanno che il Servizio Sociale del Consiglio della Val
Pellice è un’esperienza uitica in Italia; è forse la cosa più felice, concreta ed utile che sia stata operata a favore della popolazione bisognosa. Alcuni Sindaci e Consiglieri lo hanno ricordato neH’ultima riunione
del Consiglio di valle, ptxr lamentando l’impossibilità per una persona
sola à far fronte alle innumerevoli necessità deH’inteià valle con i suoi
9 Comuni, per un totale di circa 20.000 abitanti. t.'
mitaziqni quindi ^l’intervento ed alla
produzione di documentazione;
3) a livello di servizio sociale professionale di zona ip quanto si è dovuto inventare e creare qal nulla, un servizio senza modelli, con poche possibilità di contatti àll’èsterno, con pochi
sostegni a tutti i "livelli, data la novità
del «discorso»;
4) a livello dfi, struttura giuridica
dell’ente (consorziò' di Comuni) per i
municipalismi paralizzanti che talora
rinserrano la politica delle singole amministrazioni in anibiti troppo ristretti.
Le diverse situazioni politiche ed
ambientali dei noVe Comuni facenti
parte del Consiglio’ di Valle, hanno obbligato il servizio ad un continuo lavoro di adattamento dei mezzi di intervento alle diverse realtà e hanno deterniinato una diversa incidenza del
servizio appunto in conseguenza della
diversa sensibilità,,collaborazione e rispondenza incontrate.
Spesso ancora si considera il « discorso di valle » quasi un’interferenza
ed un limite all’autonomia dei singoli
Comuni mentre dovrebbe essere ormai
chiaro che non tutte le realizzazioni
(e, in questo caso, i servizi sociali) possano essere valide e possibili a livello
di singolo Comune ed è appunto il
« discorso di valle » che deve intervenire per costruire insieme;
5) a livello di fstituzioni ed enti,
vale lo stesso discorso tenuto nei confronti dei Comuni, in quanto anche a
questo livello ben diverse sono le politiche e diversa, quindi, la possibilità
di intervento e di collaborazione da
parte del servizio sociale di zona. Questo, infatti, nella sua politica promozionale, urta spessi), contro una tenace difesa di interèssi precostituiti e
contro l’incapacità ;da parte delle istituzioni (scolastiche»“- socio-assistenziali
- sanitarie, ecc.) ad assumere nuovi e
moderni ruoli. Un discorso particolare meritano le difficoltà incontrate nei
confronti degli enti a livello provinciale e nazionale in quanto assai duro è
stato far accettare il servizio sociale
di zona. Spesso intervento del servizio sociale locale è stato considerato
da parte degli entiluna interferenza alle linee accentrataci e tecnocratiche.
Molte volte il servizio di zona ha dovuto urtare cpntro l’assistenza effettuata « a categorie », contro i programmi fatti da lontano con poca considerazione dei bisogni cui dovrebbero rispondere, contro i programmi che non
tengono conto delle risorse già esistenti e rischiano di 'realizzare intervèntidoppione. " '
Ora, da quando con l’intervento della Regione più si parla del decentramento dei servizi, diversa è apparsa la
politica degli enti nei confronti del servizio sociale di zona; essa infatti si è
concretata, da parte di alcuni, in una
maggior collaborazione per precorrere
e prefigurare situazioni future, mentre,
da parte di altri, in una ancor più tenace chiusura per una difesa ad oltranza del proprio ruolo ormai superato.
Nonostante le difficoltà incontrate,
che hanno a volte messo in discussione la sopravvivenza del servizio sociale
di valle, il servizio stesso ha potuto
esistere e progredire.
Obiettivamente, in base a risultanze
concrete, si può affermare che il servizio ha adempiuto alle sue funzioni
di servizio sociale di zona, ed anche
di « comunità », concretandosi a tutti i
livelli in strumento di coordinamento,
stimolo, analisi e promozione.
Il nostro giudizio è, del resto, confortato dalla valutazione positiva che
il servizio sociale della vai Fellice ha
avuto nel corso del 1972 a Grenoble
(Université des sciences sociales. Centre Fluridisciplinaire de Gérontologie);
a Malosco (seminario della Fondazione
Zancan) e, soprattutto, a Roma dove
il servizio è stato invitato a partecipare ad un incontro di studio a livello
nazionale sul servizio sociale di zona,
organizzato dall’ufficio studi dell’A.A.I.
(Amministrazione Attività Assistenziali
Italiane e Intemazionali).
Nell’incontro che ha visto la partecipazione dei maggiori esperti italiani,
si è avuto conferma che quello della
■Val Fellice è ancora oggi l’unico esempio di servizio' sociale di zona a livello
di Consiglio di 'Valle.
Il servizio, attraverso una politica
sociale
Il Servizio Sociale è sorto nel 1965
in seguito alla crisi della Mazzonis ed
è stato affidato alla stessa Assistente
sociale che già operava alle dipendenze dell’Azienda da circa 15 anni.
Foiché fra pochi mesi anche il Consiglio della Val Fellice lascerà il posto
alla « Comunità Montana » che comprenderà lo stesso territorio, è utile
prendere conoscenza delle difficoltà incontrate in questo servizio in modo da
poterlo sostenere e potenziare secondo
le necessità. Fer questo pubblichiamo
la seconda parte di una « comunicazione » che l’Assistente sociale ha presentato al 9« Convegno sui problemi
della montagna, a Torino, che è stata
pure presa in esame dal Consiglio di
Valle, in cui la Sig.ra Gaietti mette in
evidenza le difficoltà incontrate nel suo
lavoro. Tralasciamo invece tutta la prima parte in cui è descritto il lavoro
svolto nelle sue diverse ramificazioni:
a) segretariato sociale; b) servizio sociale professionale di zona; c) assistenza economica; d) assistenza domiciliare socio-sanitaria.
Le difficoltà incontrate nell’impostare e portare avanti il servizio sono state molte, spesso fmstranti.
Soltanto il fatto di credere profondamente nella validità del Consiglio di
Valle e nella sua proiezione futura, unitamente ad un vivo senso di appartenenza alla comunità, e ad un profondo
rispetto verso i « poveri », continuamente oggetto della violenza delle istituzioni, ha permesso di realizzare e
concretare im servizio nuovo.
Le difficoltà si sono presentate a
molteplici livelli:
1) a livello di territorio ed ambiente dovute alla natura della valle, di per
sé dispersiva (la valle, è divisa' in quattro valli secondarie con abitazioni isolate e scarse comunicazioni) nonché
alle forti differenziazioni sociali, culturali, occupazionali, politiche e religiose;
2) a livello di organizzazione interna, in quanto la costante grave carenza di mezizi economici, ha limitato in
modo estremo il numero del personale
costringendolo ad operare in condizioni precarie sotto ogni aspetto, con li
Massello;
Capodanno in gabbia
Ancora una volta Massello è rimasto
isolato, senza telefono e con la strada
interrotta dalle slaviné. Da metà strada tra Ferrerò e Massello, si è ricominciato ad andare a piedi: sono gli stessi
viandanti che si incontravano a vicenda dieci mesi fa, a cui sembra che non
ci sia neppure stata Testate in mezzo:
giovani che si sono stabiliti a valle, che
tornano e si affrettano a vedere come
stanno i genitori rimasti su.
Al momento in cui scriviamo non
sappiamo quanto durerà questa situazione Si deve solo notare che la
strada di Massello e quelle degli altri paesi rimasti senza sviluppo turistico, sono strade dei poveri. E i poveri possono aspettare: tutto: strada,
medicinali, cibi. Le promesse dell’amministrazione provinciale si sono rivelate promesse da marinaio. Tecnicamente lo sgombero della neve, al momento in cui la strada si è chiusa, non
presentava grosse difficoltà: una ruspa
le avrebbe agevolmente risolte in un
paio d’ore al massimo. Due ore sono
troppe per un intervento tempestivo
per i poveri e troppo poche per una
rendita apprezzabile per le ditte che
dispongono di questi mezzi meccanici.
Quando lo sgombero della neve servirà
a procurare lauti guadagni a queste
ultime, allora si aprirà anche la strada
di Massello, e non mancherà qualche
«notabile» (pardon, so che nessuno si
sente tale, ma mi permetto di usare
questa parola per quelli che tali sono
sentiti dalla gente) che si atteggerà a
salvatore della situazione. « Grazie al
suo intervento », si sarà ottenuto un
« contributo speciale », ecc. Le parole
le conosciamo. I fatti, anche.
Claudio Tron
Le disponibilità finanziarie non sono
elevate: oltre al contributo comunale
di 200.000 lire c’è un impegno delTEFT
per 95.000 lire, ma è opinione di tutti
che valga ugualmente la pena di tentare qualcosa.
Anche se il comune di Ferrerò dal
punto di vista turistico non può competere con località più famose ed è
adatto piuttosto al soggiorno di famiglie con bambini e di persone anziane,
si sente tuttavia la necessità di inserire
in qualche modo queste persone nell’ambiente, interessandole e divertendole.
Data la vastità del territorio comunale, sarebbe auspicabile che in ogni
frazione si potesse organizzare qualche
attività, senza limitarsi sempre ed unicamente al capoluogo.
Liliana Viglielmo
Quanto si è realizzato è stato anche
frutto della validissima collaborazione
locale a livello di alcuni Comuni, enti
ed istituzioni che hanno condotto avanti ed insieme al servizio di valle la
stessa politica sociale: costruire i servizi a « misura d’uomo ».
Elemento positivo è stata pure la conoscenza che Tassistente sociale aveva
precedentemente acquisito nei confronti dell’ambiente, il suo vivere nella zona vicino agli utenti, la continuità della sua presenza nel servizio.
Naturalmente il servizio ha avuto
molti limiti e carenze che certamente
avrebbero potuto essere minori ove
maggiori fossero stati i mezzi a disposizione, specie a livello di personale.
È pertanto oggi ben chiaro al servizio lo schema futuro su cui lavorare,
schema non solo puramente teorico ed
astratto, ma per lunghi tempi ed in
innumerevoli occasioni messo a punto
e a confronto con la realtà e i bisogni.
PRQSPETTIVE
La recente legge sulla montagna che
trasforma i Consigli di 'Valle in Comunità Montane, enti di diritto pubblico,
che vuole la promozione dei servizi per
eliminare gli squilibri sociali ed economici delle zone montane, che vuole
evitare lo spopolamento là dove Levitarlo ha un senso, darà larga possibilità di intervento in campo sociale (vedi artt. 1 e 2 legge 3.12.1971 n. 1102).
La validità del servizio sociale a livello di valle ci pare quindi ormai accertata ove si voglia realmente perseguire una politica mirante alla promozione umana, al « recupero dell’uomo »;
compito primario della comunità montana sarà infatti, a nostro parere, il tener conto della dimensione umana senza la quale consideriamo impossibile
un vero sviluppo della montagna.
Fremessa essenziale per il potenziamento dei servizi, sarà però appunto,
una chiara scelta politica che voglia
dare soddisfazione ai bisogni dei cittadini a mezzo di interventi bilanciati.
Sarà necessario adottare sempre più
una politica unitaria nel campo sanità,
scuola e servizi socio-assistenziali, considerando questi vari settori un tutto
unico e inscindibile con l’urbanistica,
la politica economica, l’ecologia, ecc.
In questo contesto andrà visto il servizio sociale di valle non più, quindi,
a livello di intervento singolo mirante
a difendere la comunità dal « bisognoso-parassita » ma come strumento di
programmazione e sviluppo reale della « comunità fatta di uomini ».
È a livello politico che si pone, dunque, il discorso sulle prospettive del
servizio in quanto, nella realtà sociale
di valle esistono tutte le prèmesse per
la validità del servizio stesso e per
concretare seriamente, per quanto ancora manca, il discorso sull’unità locale dei servizi.
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Commissione missionaria
del I Distretto
I membri della Commissione missionaria
sono convocati e i pastori del I Distretto sono
invitati alla seduta periodica della Commissione, indetta a Pinerolo (Via dei Mille 1) per
Domenica 7 gennaio alle 15. R. CoissoN
Torre Pellice
«Un giorno Ei nacque in povertà
e visse insieme ai peccator,
si chHo veder possa il Signor
sul volto delVumanità ».
Cosi hanno cantato gli alunni delle nostre
Scuole Domenicali riunite nel salone della
Fóresteria con la Comunità, per il loro culto
di Natale. I bimbi hanno letto la Parola del
Signore, hanno pregato per gli afflitti, per i
poveri, per i perseguitati, perché Tamore e la
giustizia abbiano il sopravvento, perché tutti i
popoli della terra possano vivere in pace dignitosamente.
Alcuni monitori hanno presentato una ef^
fìcace meditazione sulPincontro di Zaccheo
con Gesù e tutti insieme hanno fatto un'offerta per aiutare i fratelli che si trovano in
particolari necessità.
Tre delle nostre Scuole Domenicali, ognuna
nella propria sede, hanno anche meditato al
lume delle candeline di un albero di Natale
sul significato della venuta del Salvatore :
racconti di esperienze fatte da bimbi come
loro, inni di gioia, scene bibliche. Nel preparare con grande impegno il loro programma,,
gli alunni dei Coppieri hanno, anche confezionato piccoli oggetti da offrire alle persone
anziane e sole dei quartieri di campagna chehanno visitato recando nei vari casolari un
messaggio d'amore col canto.
L’annuncio della Buona Novella « Gloria a
Dio nei luoghi altissimi, pace in terra agli uomini di buona volontà» (Luca 2: 14) ed il
vivo richiamo ad un impegno cristiano concreto, sono stati uditi una volta ancora durante i culti di Natale e deH'ultima domenica dell’anno e la Comunità si è riunita una volta
ancora al tavolo della S. Cena.
La Corale ha cantato tre volte : « Cantiamo
un inno dì giubilo » « Vieni Signor Gesù »,
una delle nuove canzoni spirituali con accompagnamento di chitarra il cui testo e musica
sono dovuti al Direttore della Corale Mae,stro
Ferruccio Corsanì e l’inno 261 « Un anno
ancor volò della mia vita ». Lo studio di questi inni è stato una efficace preparazione spirituale per ognuno dei coristi.
I nostri fratelli di Chiesa in difficoltà finanziarie sonoj stati visitali ed aiutati dalle sorelle della Società di Cucito che non solo a
Natale, ma durante tutto l’anno svolgono la
loro preziosa opera di solidarietà e di conforto'
anche a favore di molte opere evangeliche in
Italia.
II Pastore Sonelli ha presieduto il culto
con S. Cena per le Comunità Terapeutiche
dell’Ospedale. Erano presenti le signore che
due volte al mese hanno contatti personali
con i ricoverati.
Ottima riuscita ha avuto il Bazar delle Missioni l’8 dicembre. Bazar preparato come sem*
pre con molto entusiasmo e amore dalle sorelle delle tre Società Missionarie.
Il 17 dicembre alla Foresteria ha avutO'
luogo un culto comunitario presieduto dai giovani del Collettivo Bonhoeffer sul testo Luca
1: 46-55 « Il Cantico di Maria ». Culto seguito da una vivace e costruttiva discussione.
Terminamo questa cronaca con un salutofraterno a tutte le Chiese Evangeliche d’Ilalia, a tutti i nostri fratelli in fede in Europa
e nel mondo intero.
Possano le seguenti parole cantate dai nostri bimbi a Natale diventare realtà per ognuno di noi :
Voglio donar la vita agli altri,
portar la gioia a chi non Vha,
spartire il pane con chi ha fame
e coi miseri soffrir.
Voglio combattere con gli oppressi
e i lor diritti sostener;
cercar la pace e la giustizia,
che il Signore ci donò.
Lina Varese
LA VOCE DEI LEnORI
ile unitaria, la lotta cóntro Temarginazione, la ricerca partecipata, l’assistenza non a categorie ma aperta a
tutti i cittadini, la dislocazione vicino
agli utenti, l’agilità degli interventi e
l’assenza di schemi prefissati, ha cercato, pur nel caos dell’attuale sistema
assistenziale, di dar migliori soddisfazioni ai bisogni e di attuare la profilassi sociale che non è diagnosi precoce ma eliminazione delle cause.
Il servizio, infatti, attuando una gradualità di interventi ed un’azione sociale perseverante, ha sempre avuto
come fine ultimo la sicurezza sociale
ed in questa direzione ha operato per
creare nel territorio della valle le premesse alla concretizzazione dell’unità
locale dei servizi, che significa appunto decentramento, partecipazione e valorizzazione dell’ente locale.
50 milioni
non in anticamera?
Caro articolista,
intendo con questa risposta chiarire a te e
ad altri quanto sembra non essere chiaro : dove
debba essere usata la somma di 50 milioni assegnata dalla Regione al Comune di Bobbio
per la strada Bobbio-Villanova-Miraboucas (o
meglio Mirabouc). Ma è chiaro che serve per
il proseguimento della strada oltre Villanova!
Lo Stato, col nuovo ordinamento regionale,
delega la Regione a proseguire quanto egli ha
fatto fin’ora, cioè ha erogato 366 milioni ed
ora la Regione, per esso, continua fino a che
la strada abbia una ragion d’essere, piano
piano, siamo d’accordo, ma per lo stesso scopo. Certo che la strada è senza sbocco ma se
non prosegue allora si che quei 366 milioni
sono buttati via. Tu affermi che ormai il
problema del Traforo è abbandonato; ammettiamo che lo sia, ragion di più per riprendere
il Progetto Mantelli e continuare la nuova
arteria fino a Mirabouc e Fra ove c’è una
meta attesa dal turismo di massa di fine settimana, il che non è poco e penso che tu,
amico degli operai, sarai d’accordo con me.
Riguardo poi a quanto il Comune di Bobbio giustamente ha chiesto in aiuto, è di pertinenza delTAmministrazione Provinciale dato
che il tronco Bobbio-Villanova è di sua pertinenza da anni. Ad essa spetta la manutenzione ed eventuali riparazioni di muri e ponti. Per questo dovrebbero interessarsi i numerosi Consiglieri Provinciali della Zona. Pienamente d’accordo che gli abitanti delle Frazioni Ferrera e Cairus ed altre, abbiano il diritto di avere una strada sempre percorribile,
ma questo problema è vecchio e sempre attuale e la Provincia avrebbe già da tempo dovuto provvedervi, ma in modo definitivo.
Inoltre, se la strada prosegue oltre Villanova (si sa che si tende a salire sempre il più
possibile ove i mezzi meccanici possono giungere) potrebbe arrivare già quanto prima fino
al « Pian dei morti » ove è possibile ricavare
uno spiazzo. In tal modo la gente che sale
la domenica non si fermerebbe più lungo il
tratto Bobbio-Villanova, evitando cosi di calpestare i prati e fare danni anche involontari
alla proprietà privata. Se solo tutti, ripeto
tutti i responsabili facessero la loro parte nel
lato pratico, senza tanta demagogia e parole
vane, molti problemi sarebbero già risolti e
meno denaro sciupato.
S. Rivoir
Alla lettera delVamico S. Rivoir obbietta:
1) che il contributo concesso dalla Regione è stato chiesto (e sollecitato tramite amici
consiglieri regionali) per il ripristino della
strada Bobbio-Villanova, che è da lungo tempo ignorata dalla Provincia.
2) che il contributo è stato concesso con
una forma « ambigua », (chiara solo per l’amico Rivoir), essendo letteralmente indicata la
strada Bobbio-Villanova-Mirahoacas, e non il
tratto Villanova-Miraboucas-Pian dei Morti!
3) ritengo, (e non sono il solo) che la
strada del Traforo (oltre Villanova) ha già
inghiottito troppi milioni per realizzare un
progetto che è tutto da rivedere; sia che il
traforo sia autostradale, sia che venga perforato altrove che al Fra, sia che si voglia proseguire per il Prò ma con la prospettiva di
arrivarci fra venti anni.
4) Il progetto Mantelli, approvato, arriva
solo fino alle grange di Miraboucas; la seconda parte del progetto, non ancora approvata,
dovrebbe proseguire prima per Mirabouc e
quindi attraversare il Pellice per proseguire
sulla destra orografica fino al Pra tagliando
fuori il Pian dei Morti e il bel parcheggio
vagheggiato dall’amico Rivoir (soluzione turistica tutta da discutere).
5) Per arrivare alla conca del Pra occorrono non 50 ma 500 milioni e più. E’ solo
uno zero in più ma fa una bella differenza.
R. Gat
Personalia
Il padre di uno dei nostri tipografi, Emanuele Borho, e mancato a Torre Pellice. La
redazione e i colleghi della Cooperativa Tipografica Subalpina esprimo la più viva simpatia a questa famiglia colpita.
7
5 gennaio 1973 — N. 1
pag. 7
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
Portare insieme la responsabilità
Positivo inizio di un nuovo periodo della vita degli « Artigianelli » a Torino Invitati a pensare e ofirire
In vari fra i nostri istituti, compatibilmente con il tipo di ospiti, si
cerca di "responsabilizzare” questi ultimi, coinvolgendoli attivamente nella
vita della casa; tuttavia il primo a vivere il tentativo di una almeno parziale
autogestione è, riteniamo, l’istituto
-«Artigianelli» di Torino. Un bene è
nato dal male. Infatti in periodo recente, e specie nella prima metà del '72,
per un complesso di ragioni che non è
qui il caso di rinvangare, questo istituto — nel quale a rigore gli « artigianelli », cioè ì giovani apprendisti sono
ormai una piccola minoranza e che di
fatto è ora una casa per giovani operai
e studenti, provenienti sia dalle Valli
Valdesi che da molte regioni italiane —
aveva conosciuto una seria crisi: a
scarsa efficienza direzionale rispondeva l'ostruzionismo e l’emigrazione degli ospiti e si sommavano crescenti
difficoltà economiche, proprio nel momento in cui l’opera, trasferita nella
nuova sede, la Casa De Fernex in via
Petrarca, già doveva affrontare spese
considerevoli. Tuttavia nessuno si rassegnava a veder spegnersi un’opera che
non solo ha una storia centenaria, ma
può continuare a offrire un servizio im
portante nella metropoli subalpina.
Inoltre, malgrado l’autonomia dell’istituto, esso è di fatto legato da sempre
in modo profondo alla chiesa valdese
di Torino, non solo per il sostegno economico dato da questa, ma per l’inserimento di parecchi degli ospiti nella vita comunitaria e per la partecipazione
attiva di non pochi membri della comunità valdese alla vita della casa, in
vari modi. Legami che purtroppo erano andati allentandosi; ma la crisi ha
dato una sferzata salutare.
La scorsa estate (n. 27-28, 14 luglio
1972} era stato pubblicato qui un articolo in cui Franco Giampiccoli aveva
ripreso una relazione presentata dalla
assemblea della casa all’assemblea di
chiesa valdese chiedendo che ci si potesse mettere sulla via dell’autogestione. Malgrado alcune perplessità, sopratutto strutturali, la netta maggioranza
dell’assemblea di chiesa aveva fatto fiducia ai proponenti (fra cui alcuni
membri del Concistoro, con il parere
favorevole di una parte almeno del Comitato direttivo) e aveva dato via libera all’esperimento di una almeno parziale autogestione, impegnandosi a
eleggere nel Comitato direttivo, in mi
Ardua, ma promettente
autogestione
A seguito della proposta per la costruzione di un’autogestione comunita. ria, quale si era delineata nel documento approvato dall’ Assemblea di
Chiesa di Torino e reso noto ai lettori
nel n. 27-28 dell’Eco-Luce e a seguito del
lavoro intrapreso, durante l’estate, dalla Commissione incaricata, volto alla
ricerca di un direttore e al reclutamento di giovani, crediamo sia possibile,
oggi, a distanza di soli due mesi dalla
riapertura dell’Istituto a settembre, informare i lettori su alcuni risultati conseguiti e su alcuni primi elementi essenziali che emergono dalla attuazione
di tale esperimento, con la consapevolezza della impossibilità di formulare
valutazioni generali, data la situazione
iniziale e quindi sperimentale in cui ci
si trova.
Constatata la complessità che la portata del progetto comporta, nel porre
il problema di una « ridefinizione »
della realtà dell’Istituto sul piano delle sue finalità generali, della sua struttura giuridico-amministrativa, e dei
criteri di conduzione al suo interno, ci
è derivata la convinzione che, solo lavorando a piani e a livelli diversi, partendo cioè dai problemi tecnici e amministrativi della gestione interna e
dai problemi organizzativi della semplice convivenza, sia possibile avanzare nel lavoro senza sbalzi e sbandamenti e senza soprattutto lasciare indietro nessuno. E’ chiaro quindi che
occorre un enorme sforzo iniziale e
un lavoro costante all’interno per riuscire a dare uno sviluppo graduale a
tale esperimento e riuscire, quindi a
superare i livelli iniziali della semplice
convivenza e della gestione puramente
tecnica della casa in direzione di livelli più significativi che soli possono
caratterizzare l’autogestione in senso
non solo formale, ma sostanziale. Questa prima fase del lavoro, ha visto
quindi tutti i residenti affrontare i problemi più importanti relativi alla gestione ordinaria della casa, (bilancio,
vitto, rifornimenti, rette...) rivelando
una notevole disponibilità e partecipazione di tutti al lavoro portato avanti
sia a livello di Assemblee interne, sia a
livello di piccoli comitati che si costituiscono spontaneamente per affrontare il singolo problema (comitato vitto,
comitato regolamento...) ecc.
Grazie a questo sforzo collettivo si
è riusciti, da un lato, a sottolineare
sempre più il significato del termine
« autogestione » nella realtà della casa,
dalTaltro, coinvolgendo l’attenzione di
ciascuno sui problemi da affrontare e
risolvere collettivamente, a facilitare
lo scambio di rapporti superando, quindi quella logica della pensione e del
pensionante che aveva caratterizzato
finora più o meno tutte le precedenti
gestioni. Questo è forse a nostro avviso, un primo momento positivo che
resperimento presenta, e che è essenziale per partire nella costruzione dell’autogestione da una situazione di fatto auspicante.
E’ chiaro che il lavoro che ci troviamo dinnanzi è lungo e faticoso, ma è
altresì chiaro che sarebbe del tutto utopistico il pensare che si possa partire
dal piano delle idee che ognuno di noi
ha in mente per proCeder'e'Vèrso la riuscita di tale progetto.
Il livello reale della situazione all’interno non può essere altro, al momento, che quello della « semplice convivenza », ma è chiaro che questo è il
terreno col quale occorre misurarsi e in
questo senso per noi, gli scopi e le finalità di tale esperimento, che ovviamente fuoriescono e superano la logica della
semplice convivenza, sono da considerarsi prospettive e mete e non piuttosto presupposti iniziali, raggiungibili,
quindi, attraverso un lungo e lento lavoro di crescita organizzativa e comunitaria all’interno. Nello stesso tempo
la complessità dei problemi e delle difficoltà che la conduzione della casa
comporta e la notevole eterogeneità
generale dei residenti, eterogeneità
dovuta a differenze sociali, di provenienza, di formazione (studenti, operai,
apprendisti; giovani provenienti dalle
Valli e da piccoli centri del Meridione
ecc.) rende necessaria la presenza di
un forte nucleo trainante, che conoscendo le finalità sia in grado di portare avanti il lavoro nella direzione giusta, di cogliere tutti i problemi che apparentemente possono sembrare minimali in Quanto tecnici, amministrativi
o di ordine interno, nell’ottica complessiva dell’autogestione, di operare
infine quelle mediazioni anche ampie
che ci permettono di procedere sì gradatamente, ma in modo unitario, senza
differenziazioni e separazioni tra vari
livelli di crescita interna.
Daniele Rostan
I
novità
\ ciau dia
na
Anonimo
HISTOIRE MEMORABLE
de la guerre faîte par le due de Savoye
contre ses subjeetz des Vallées... (1561)
Testo francese con versione italiana
a cura di Enea Balmas e Vittorio Diena
(«Storici Valdesi»)
pp. 180, 14 tav. f. t., 7 cartine-l-una carta antica in fac-simile
L. 3.600 (bross.), L. 4.500 (rii.)
La prima « guerra di religione » italiana
Testimonianza preziosa di una lotta di popolo contro il sovrano feudale, prima contestazione del carattere illimitato del potere statale,
quest’opera cinquecentesca getta una luce nuova su un momento cruciale
della secolare « resistenza » valdese e sulle condizioni di vita nel « ghetto »
alpino.
EDITRICE CLAUDIANA - c.c.p. 2/21641
Via Principe Tommaso, 1 - 10125 TORINQ
sura paritetica, elementi interni all’istituto, designati dall’assemblea dello
stesso.
Nel corso dell’estate e alla ripresa
autunnale si è cercato di riunire almeno un nucleo di ospiti, che fosse convinto del valore del tentativo e disposto a impegnarvisi; e intorno ad esso
gli altri sono stati a; loro volta interessati, coinvolti, grazie anche al buon lavoro di Bianca e Mario Cerkvenik,
giunti ad assumere là direzione della
Casa per un periodo di prova che tutti
si augurano diventi presto definitivo.
L’autogestione, o cogestione che dir si
voglia, è bene avviata, malgrado le difficoltà, e ne parla uno dei più direttamente interessati, Daniele Rostan. L’ultima assemblea di chiesa ha preso atto delle dimissioni di una parte del
Comitato direttivo e ha, come si diceva,
immesso nello stesso i primi giovani
designati dall’assemblea interna, con
profonda gratitudine per chi ha retto
la vita dell’istituto per lunghi anni e
in momenti spesso assai duri, e con un
augurio fraterno a chi ne assume ora la
responsabilità.
Le presenze sono una trentina, estremamente diversificate. Gli evangelici sono 20 (17 valdesi, 1 pentecostale, 2 protestanti stranieri), 9 cattolici, 1 ebreo.
La provenienza degli evangelici spazia
su tutta Italia e oltre: 9 giovani vengono dalla Val Pellice, 3 dalla Val Germanasca, altri 6 sono piemontesi (Alessandria, Asti, Cuneo, Ivrea), 2 abruzzesi (di cui 1 da S. Giovanni Lipioni), 1
emiliano, 1 calabrese, altri provengono
da Avellino, Corato, Cremona, Napoli,
Roma e due studenti universitari sono
giunti l’uno dal Dahomey, l’altro dal
Madagascar. Per ciò che riguarda l’attività, gli operai sono 8 (di cui 5 in fase di perfezionamento), 8 gli studenti
lavoratori e 14 gli studenti "puri”.
Si riuniscono in assemblea settimanale, con una presenza media del 97%;
l’esperimento di autogestione è stato,
dopo dibattito, approvato da tutti e i
termini della stessa si vanno studiando
dal vivo, in particolare.da parte di una
commissione di quattro membri, nominati dall’assemblea e rappresentanti i
vari orientamenti presenti. L’assemblea
discute naturalmente le posizioni personali: vi è, ad es., l’apprendista che
percepisce 40.000 lire mensili e non può
coprire l’intera retta (52.000-^3.000 di
riscaldamento), per cui occorre trovare borse, a conguagliò rette, che pongano tutti alla parìrndres. tm giovane è
stato dirottato verso la scuola "Centro
di addestramento Città di Torino”, che
oltre a dare una buona preparazione
professionale, dà pure una borsa mensile.
Naturalmente, il .tentativo ha bisogno, specie nella fase di lancio: 1) che
la Casa funzioni a ritmo pieno (i posti
disponibili sono 41, in 15 camere), 2)
che l’opera continui ad essere sostenuta da offerte, da parte della chiesa di
Torino in primo luogo, naturalmente,
ma anche da più lontano. Quante delle
nostre opere sono,', per tanti, perfette
sconosciute. Lo stesso direttore attuale
ci ha confessato: « Prima che mi si rivolgesse l’invito ad assumere questa
responsabilità, non sapevo neppure che
gli "Artigianelli” esistessero! ».
Allo scopo di intensificare contatti e
conoscenza, viene sempre tenuta libera
una camera a due 'letti, per ospiti di
passaggio, che possono essere ospitati
a prezzo modesto, f>er un periodo non
superiore alle due^^ settimane. Inoltre
si è iniziata, con urta riuscita serata natalizia (un centinaio' di presenze!), una
serie di incontri con la comunità torinese; altri ve ne sóno già stati con il
gruppo dell’Ostello femminile valdese.
Il tentativo di autbgestione ha lo scopo di potenziare, fendendola corresponsabile, la vita cofritimitaria: si tratta di
cercare di creare, fuella convivenza di
elementi nel complesso così eterogenei,
qualcosa che aiuti a rompere gli schemi della vita quotidiana, la routine familiare e lavorativa, ¡si tenta appunto la
convivenza di "diversi”: le posizioni sono assai diversificate, percorrono tutto
l’arco riscontrabile nella nostra società
odierna. Manca, nella vita della casa,
l’elemento della esplicita, convinta professione di fede: come potrebbe essere
altrimenti, data l’eterogeneità dell’ambiente? L’esigenza è però avvertita da
molti, il problema non è solo tenuto
presente, è presente. Un augurio a chi
di questo è più direttamente responsabile: una casa è fatta da chi ci abita.
g. c.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiii
+ Alla redazione di questo numero
hanno collaborato Inda Ade, Lalla
Conte, Giorgio Peyrot, Roberto
Peyrot, Teofilo Pons, Franco Taglierò, Elsa e Speranza Tron.
Alla vigilia dalla faalIviU di fina anno, la chiaia avangallcha di Torino — o più precitamanta,
quelle "federate", battiate e valdesi — sono state invitate dalla Federazione giovanile evangelica
( FGEI ) locale, con un volantino di cui riproduciamo qui sotto il testo, a partecipare a una raccolta di fondi per il Vietnam (del Nord, e del Sud "liberato"), nel momento in cui riprendevano feroci i raids aerei al nord. La risposta è stata considerevole, anche se non generale, e all'uscita dei culti parecchi hanno sottoscritto e versato (a Via Nomaglio l'assemblea ha preferito
una colletta particolare, sia nel corse della festa natalizia della scuola domenicale, sia al termina
del culto natalizie ), altri lo fanno presso la Claudiana. VI sarà poi una manifestazione conclusiva domenica 14 gennaio.
Il Comitato torinese Italia-Vietnam (presso
udì, via Giolitti 42), espressione locale del
Comitato nazionale Italia-Vietnam presieduto
dall’on. Riccardo Lombardi, ha indetto una
raccolta di doni per i bambini vietnamiti con
un appello di cui riportiamo l’essenziale :
« L’umanità ha contratto un debito
imperituro col popolo del Vietnam per
le sofferenze, per il coraggio e l’eroismo, per la saggezza che questo popolo ha impiegato in tanti anni pter la difesa di valori universali quali l’indipendenza, la dignità e la libertà dei
propri figli e delia propria nazione.
Questo debito va pagato intensificando la lotta perché più vasta sia la condanna dell’aggressione al popolo Vietnamita e perché sia posta fine al sabotaggio americano contro gli accordi di
pace già elaborati e conclusi nel mese
di ottobre.
Il « Comitato torinese Italia - Vietnam » si rivolge a tutti i cittadini, qualunque sia la loro collocazione politica
e religiosa, perché nei giorni che ciascuno dedica a ritrovarsi nella serenità degli affetti familiari dedichi un nensiero e un impegno al popolo vietnamita.
Quest’anno ogni famiglia torinese
consideri di avere un figlio in più da
colmare di affetto: sia questo un bambino vietnamita che non ha conosciuto
un’ora di pace dal giorno della sua nascita.
Ogni famiglia torinese consideri di
avere nella propria casa un padre, una
madre in più da onorare e da circon
dare con i sentimenti di rispetto e di
riconoscenza: siano un padre e una
madre vietnamiti, che dopo aver sofferto la vita dei propri figli per veder
riconosciuto il loro diritto di vivere liberi e in pace, hanno seminato i campi, hanno scavato rifugi, hanno affrontato una tempesta di ferro e di fuoco
per salvare le dighe, per far sì che la
vita potesse continuare nelle scuole,
negli ospedali, nelle fabbriche, nei villaggi.
PER IL POPOLO DEL VIETNAM:
Un dono che sia consistente ed efficace: perché infiniti sono i bisogni di questo popolo.
Un dono che assieme alla consistenza materiale contenga anche
una carica di protesta e di lotta
contro la continuazione della guerra; perché la pace al Vietnam sia
finalmente assicurata assieme al
diritto di vivere come nazione libera, unita e indipendente ».
La F&EI torinese, nella linea che da anni
sta seguendo a questo proposito a livello nazionale e locale, ha dato la propria adesione
a questa iniziativa che si concluderà con una
manifestazione domenica 14 gennaio; invita i
suoi membri e i membri delle chiese evangeliche di Torino a partecipare a questa espressione di solidarietà e di protesta nel nome del
Signore che è venuto anche « a rimettere in
libertà gli oppressi » (Luca 4: 18).
Oltre ai centri indicati nel volantino del
Comitato, raccoglie le sottoscrizioni anche la
Libreria Claudiana, via P. Tommaso 2.
La FGEI torinese
Giovanni Caltagirone
Anziano
delia Chiesa di Grotte
Giovanni Caltagirone, ottantaduenne
anziano della chiesa di Grotte, è deceduto il 17 novembre scorso. Membro
attivo, impegnato per l’opera del Signore, fu ammésso in chiesa il 1920,
quando si accese la sua fede. Fu segretario della C.d.C. ed in seguito, della
U.G.V. Per lunghi anni curò con amore ed impegno quest’opera sostenendo
dure prove durante il fascismo e subendo persecuzioni. Fu boicottato nello stesso periodo del fascismo quando
occupava la carica di segretario delTartigianato. Per un periodo di otto
anni nell’assenza di pastori egli sostenne in chiesa la predicazione.
S’interessava sempre della chiesa
con grande amore ed impegno, anche
se si era trasferito temporaneamente
a Palermo da un anno e mezzo circa,
perché Tunica sua figlia e lo sposo
Paolo Valvo insegnano nel nostro istituto di via Spezio. Il suo utile contri
buto sia spirituale che finanziario non
mancò sino all’ultimo.
Poco prima di essere colpito da una
trombosi, trovandosi a pranzare con i
cari di famiglia parlava rammaricato
per i compiti della chiesa di Grotte,
alla cui vita non poteva partecipare.
La comunità di Grotte lo ricorda con
affetto pregando il Signore che questi
elementi possano essere un richiamo
alla fede ed all’opera per l’avanzamento del Suo regno.
Nicolò La Mendola
Collegio Valdese e Scuola Latina
Secondo ciclo dì lezioni
e conferenze teologiche
Il secondo ciclo di lezioni e conferenze teologiche si terrà dal 21 al 28 gennaio, a Torre Pelice. Il pastore dott.
Renzo Bertalot presenterà: L’Evangelo sociale e parlerà su La Bibbia oggi:
un ritorno essenziale. Sul prossimo numero il programma dettagliato.
Il Comitato C.V. e S.L.
Il coro degli studenti
del Collegio Valdese
Proseguendo la sua attività, dopo
essere intervenuto alla inaugurazione
del Convitto di Villar Perosa, il Coro
degli Studenti del Collegio Valdese diretto da Carlo Amoulet, si è recato il
22 dicembre scorso a cantare presso
il Padiglione Psicogeriatrico dell’Qspedale Valdese. I giovani, una ventina
ormai, hanno presentato il loro repertorio di canti spirituali e folcloristici,
cimentandosi poi per la prima volta e
con discreto successo con un canto natalizio a 4 voci.
A tutte le ospiti del reparto è stato
offerto un dono preparato con il contributo dell’Associazione Studentesca «Incontro», di cui il Coro è una delle
espressioni insieme alla « Pra del Torno » e al Gruppo di Assistenza agli Anziani. F. T.
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TAVOLA VALDESE
Borse di studio 1972-73
Sono bandite le seguenti borse di studio
valide per l’anno scolastico 1972/73 per studenti del Ginnasio Liceo di Torre Pellice e
della Scuola Latina di Pomaretto:
— Borsa di Studio Fontana Roux, di
L. 120.000;
— Borsa Arturo Long, di L. 100.000 (co»
preferenza a studenti originari di PramoUo,
Pinerolo, Rorà);
— Borsa anonima di L. 100.000.
Gli aspiranti devono far pervenire le domande in carta libera al Preside del Liceo
Ginnasio Valdese di Torre Pellice entro il 15
gennaio, corredate da:
а) Stato di Famiglia in carta libera,
б) dichiarazione del pastore da cui risulti che il concorrente appartiene a famiglia
evangelica,
c) altri eventuali documenti a giudizio
del concorrente.
La commissione assegnerà le borse di studio a suo insindacabile giudizio entro la fine
di gennaio.
Il Moderatore
Aldo Sbaffi
Roma, il 15 dicembre 1972
RINGRAZIAMENTO
« Fattosi sera, Gesù disse : Passiamo all’altra riva».
(S. Marco 4: 35).
La famiglia della compianta
Elsa Rostagno
Vedova Fraschia
riconoscente ringrazia la direzione, il
personale e i medici dell’Ospedale
Mauriziano di Luserna per le amorevoli cure prestate alla cara Estinta
durante la malattia, ed a quanti con
la presenza, scritti e fiori, si sono uniti al suo grande dolore.
Luserna S. Giovanni, 27 die. 1972.
8
pag. 8
N. 1 — 5 gennaio 1973
I NOSTRI GIORNI
Zucchero : la pOlitiGa del M£C. ■ buddisti vietnamiti e ia guerra
di sviluppo
Zucchero alla ribalta. Già la scorsa
settimana abbiamo ricordato che 16
industrie zuccheriere europee, 6 delle
quali italiane, sono state condannate
a pesanti multe daH’Esecutivo della
Comunità economica europea per avere infranto le norme della legge antitrust firmata dai paesi del MEC. Una
lunga indagine, durata due anni, ha definitivamente appurato che le ¿tette
aziende, d’intesa, hanno concluso accordi segreti con i principali esportatori francesi e belgi, accordi che di
fatto avevano soppresso la libera con
richiedessero zucchero alla X di Parigi
o alla Y di Bruxelles, questa risponderebbe di rivolgersi aH’Eridania. Passaggio obbligato; In caso di necessità, il
prezzo praticato a chi non .partecipa
all’accordo è superiore a quello praticato agli zuccherieri italiani capitanati daH’Eridania: di fatto, un regime di
monopolio, in flagrante contravvenzione delle norme comunitarie.
La dura e giusta sanzione è un fatto
senz’altro positivo e rallegrante. Purtuttavia la CEE, nel suo insieme, continua a restare fuori dell’Accordo in
DIPENDENZA DALLO ZUCCHERO DEI PRINCIPALI PAESI
PRODUTTORI DI CANNA DA ZUCCHERO
PAESI % dello zucchero % dello zucchero
nel valore totale nel Prodotto Na delle esportazioni zionale Lordo
nazionali (P.N.L.)
QUEENSLAND, Australia 20,0
FUI 69,3 circa 25
HONDURAS BRIT. 53,0 ’>
SWAZILAND 24,0 (*) ?
MAURITIUS 92,5 31,4
BARBADOS 90,5 18,6
GUYANA 32,6 (*) 27,9
JAMAICA 22,5 (*) 6,1
ST. KITTS 92,1 18,4
TRINIDAD 4,0 (*) 4,0
(*) In questi Paesi lo zucchero occupa la parte maggiore della manodope-
ra agricola.
N.B. - Non disponiamo di dati su Cuba.
correnza nel territorio del MEC, per
questo settore economico.
Le aziende italiane coinvolte sono:
l’Eridania (controllata dal gruppo Monti, rappresentante il 35% del mercato
italiano), la Società Italiana Zuccheri
(controllata dal gruppo Montesi) e altre tre aziende controllate dal gruppo
Maraldi: insieme, i tre grupni assicurano il 75% della produzione saccarifera italiana.
In che termini si pone la questione?
Li desumiamo da un articolo letto sul
mensile « Mani tese » (Via Cavenaghi 4,
20149 Milano), interessato ai problemi'
dello svilupiip, L’Italia non produce
zucchero sufiìciente al suo fabbisogno:
nel 1971 ne abbiamo importato oltre
5 milioni dì (Quintali, per un importo
di oltre 71 miliardi di lire. Secondo le
norme comunitarie relative allo zucchero, in vigore dal 1 luglio 1968, queste importazioni devono essere effettuate dalla Francia e dal Belgio, le sole nazioni del MEC a produrne più di
quel che : consumano. Ora, le aziende
zuccheriere si erano accordate con le
consorelle francesi e belghe, le quali
si erano impegnate a vendere solo ai
produttori italiani anziché ad altri acquirenti come gli industriali dolciari:
se, ad esempio, la Motta o la Ferrerò
ternazionale sullo zucchero, sottoscritto per 5 anni il 24 ottobre 1968: ed è
questo uno degli esempi appariscenti
dello scontro di interessi fra i paesi
del MEC (come in genere i paesi sviluppati) e quelli in via di sviluppo. Lo
zucchero è un prodotto sia delle regioni tropicali (canna da zucchero) sia
delle zone temperate (barbabietola): il
costo di produzione dello zucchero di
barbabietola è assai superiore a quello dello zucchero di canna; ma il MEC
produce più zucchero (di barbabietola, ovviamente) di quanto ne consumi
e vende quindi l’eccedenza sul mercato mondiale, sul quale il prezzo è assai più basso (e la tabella mostra in
quanti paesi la coltivazione della canna da zucchero rappresenti molto della produzione, talvolta la quasi totalità, specie là dove lo sfruttamento coloniale aveva avviato la monocultura
intensiva). Poiché al produttore europeo che coltiva la barbabietola è garantito un prezzo di vendita, la differenza sul mercato mondiale fra il prezzo dello zucchero da barbabietola del
MEC (alto) e il prezzo dello zucchero
da canna (basso) dev’essere coperta,
se si vuol vendere lo zucchero europeo; ed è quello che il MEC fa, fra l’altro, con una cassa integrazione prez
ill
Meno zucchero? Sempre più caro
Come risulta dal grafico (ripreso da
« Le Monde ») pubblicato qui sotto,
sul mercato di Londra il prezzo dello
zucchero ha avuto un’impennata improvvisa e vertiginosa, toccando il livello più alto dal 1964, raggiungendo e
superando, a 97 sterline la tonnellata,
il record registrato con la "punta" del
marzo scorso. In pochi giorni il rialzo
è stato del 20%: come mai? Semplicemente, si sono diffuse voci su nuovi
contratti d’importazione negoziati dall’URSS con il Brasile, per compensare
l’insufficienza del proprio raccolto.
Dato l’aumento meno rapido della
produzione mondiale e la considerevo
vietici, per scatenare il citato rialzo
dei prezzi. Infatti da quella notizia gli
esperti e i commercianti del settore
hanno dedotto che il nuovo raccolto
cubano — il grande partner dell’URSS
nel rapporto produttori-consumatori di
zucchero — deve essere poco abbondante, e ciò potrebbe aggravare la situazione di semi-penuria in cui si rischia di trovarsi, dopo sette anni di
eccedenti di produzione e di conseguente abbassamento dei prezzi.
Secondo gli esperti — riferisce "Le
Monde" — la situazione che si va così
delineando potrebbe protrarsi per vari
anni, dato che il consumo progredisce
JFMAMJJASONDJF
1971 . -
A M J J A S 0 N D
— 1972--- I
le diminuzione degli accantonamenti,
ci vuol poco per squilibrare un mercache si è fatto estremamente sensibile. Perciò sono bastate queste voci,
non ancora confermate, di acquisti so
^irettore responsabile: l.uioi Santini
Direttore: Gino Conte
Via Pio V, 15 • 10125 Torino
Autor. Tribunale di Pinerolo
____ N. 176 - 25/3/1960 ____
Conp TIn. Subalpina - Torre Pellice (Torino)
a forte ritmo, soprattutto nei paesi in
fase di sviluppo, mentre^ la jjroduzione
è soggetta (per oàusé^ cli)nàtìc^e,^ oltre
per deficienze laVor-étìve) a sbalzi considerevoli e imprevedibili.
In parole povere, le grandi imprése
industriali e commerciali, anche in questo settore, fanno a scala planetaria
ciò che si deplora nel piccolo specie
latore individuale: approfittano di
ima situazione (o di un rischio) di periuria per alzare i prezzi, a danno dei
piccoli consumatori interni e dei paesi
produttori del Terzo Mondo.
zi: esso ha finora speso oltre un milione di dollari (circa 650 milioni di
lire) per proteggere una produzione —
superiore al fabbisogno europeo — che
non vale la pena di produrre in Europa. visto che lo zucchero di canna costa assai meno, e lo zucchero raffinato
dovrebbe quindi costare meno ai consumatori, anche europei.
È chiaro che questa politica del MEC
nel settore agricolo zuccheriero danneggia seriamente l’economia dei paesi produttivi di canna; ora poi che, dal
1» gennaio 1973, anche la Gran Bretagna entra nella CEE, e vi sarà pienamente integrata entro il 1974, se il problema non verrà affrontato a fondo e
in modo globale entro quella data, i
paesi produttori di canna, per lo più
tutti nel Tepo mondo, rischiano di perdere libertà di movimento anche sul
mercato inglese, che finora — nel quadro del Commonwealth — assorbiva a
condizioni loro favorevoli la loro produzione saccarifera.
È faticoso, pensare a questo quando
si compra un chilo di zucchero. D’altra parte, comprandolo, è in questa trama di corresponsabilità che ci si trova
inestricabilmente coinvolti.
(Notiziario M.I.R. *) — Secondo un
. decreto del ,18 lùglio 1972 del governo
di Saigon, monaci, preti, novizi e seminaristi buddisti debbono anch’essi
fare il servizio militare. I buddisti credono che la ragione principale per
questo sia il fatto che essi hanno lavorato per la pace. Hanno incoraggiato
la formazione di un governo che rappresenti veramente il popolo vietnamita. Hanno assistito le vittime e aiutato
quelli che si sono rifiutati di prendere
le armi in questo massacro. Per questo molti buddisti hanno sofferto lungarnente in carcere, sono stati torturati, sono morti.
I Per prevenire manifestazioni di contestazione in occasione del 50° anniversario deirURSS, si sono avuti, specie a Mosca,
numerosi arresti, fra i quali parecchi a carico
di ebrei. Un appello di protesta ai popoli di
Israele, dell’URSS, degli Stati Uniti e a tutti
i popoli del mondo è stato firmato da 31 docenti e intellettuali israeliti russi.
(*) M.I.R. è la sigla del Movimento
Internazionale della Riconciliazione, il
cui segretariato italiano ha sede a:
00108 Roma, via delle Alpi 20. Esso accoglie quali membri tutti coloro che
credono che l’amore quale Gesù Cristo
ha manifestato è l'unica forza che può
vincere ogni male. In forza di questo
amore essi credono che gli uomini sono chiamati:
— a seguire questo amore nella vita
personale e sociale;
— a portare la riconciliazione fra
tutti gli uomini praticando l'amore;
— a rifiutare qualsiasi preparazione
e partecipazione di guerra poiché ogni
violenza palese od occulta è contro
l’amore;
—■ a costruire la pace, che è frutto
dell'amore, eliminando col metodo
nonyiolento qualsiasi causa di guerra
o di conflitti, come le ingiustizie sociali, la fame, le discriminazioni razziali
o ideologiche...
Tutti coloro che sono in armonia con
questi principi e condividono i suoi
scopi e metodi vossono diventare soci.
La quota è di lire duemila annue per
soci ordinari, di lire cinquemila e più
per sostenitori.
Ili
La coscienza del cittadino
(Segue da pag. 1)
l’individuo perché avvia a maggior rispetto verso quei diritti inviolabili dell’uomo che la Costituzione vuole riconosciuti e garantiti dalla nostra Repubblica (art. 2). Sarà la prassi quindi
che farà vivere la legge o denuncerà la
sua insufficienza.
Una cosa è però certa fin d’ora ed
ancora una volta dimostrata da questa
legge e dalla lun^ vicenda che l’ha
preceduta. Fino a phe in sede politica
non si vuole che una cosa sia fatta,
non la si fa; ma quando per non rivelati motivi la volontà politica dei più si
decide, allora in soli 15 giorni si riesce
a far approvare una legge dai due rami del Parlamento, anche se essa si
pronuncia su di una questione per la
soluzione della quale sino al giorno prima sembrava ostassero difficoltà insormontabili. La verità è dunque che
se una riforma non si fa, od una legge
nuova non va avanti, ciò è imputabile
unicamente alla carenza di volontà della maggioranza politica. Di questa pertanto anche questa volta è la responsabilità se il nostro paese è arrivato buon
ultimo.
Per l’msufficienza del dispositivo e
perché l’obiezione di coscienza non è
un fatto circoscritto alla prestazione
del servizio militare, ma una realtà di
fondo del vivere civile di un popolo avvertito e responsabile di fronte a se
stesso, la nostra obiezione continua.
Giorgio Peyrot
Il nuovo decreto può anche peggiorare le relazioni fra cattolici e buddisti. Thieu e molti membri del governo
sono cattolici e la grande maggioranza di quelli che soffriranno per questo
decreto sono buddisti. Siccome i cattolici tendono ad avere una posizione
privilegiata, molti non saranno reclutati. Si prevede che gli unici religiosi
cattolici che soffriranno saranno quelli che si sono impegnati per la pace e
per una soluzione nonviolenta del problema vietnamita.
Le sofferenze della popolazione sono
state tali nelle provincie settentrionali
del sud Vietnam per gli ultimi mesi
che la chiesa buddista unificata ha
concentrato tutti i suoi sforzi per aiutare le vittime della guerra, Ha organizzato 26 comitati locali per assistere oltre 120 mila profughi. Quest’onera è finanziata da chiese e gruppi di
vari paesi. I buddisti che aiutano così
le vittime della guerra lo fanno con
gravi rischi. Stanno ai bordi dei luoghi di battaglia, spesso debbono salvare i feriti ed evacuare la popolazione civile sotto il fuoco dei tiri, le bombe e le granate. In una città durante
il momento peggiore del combattimento, monaci e monache buddisti nei loro vestiti color arancio formarono una
linea doppia nella quale la popolazione
terrorizzata potè andare verso una posizione sicura. A Quang Tri sette giovani della scuola buddista per il servizio sociale che organizza questi aiuti
morirono sotto le bombe e a Binh
Dinh due altri vennero uccisi.
A causa delle perdite enormi l’età
del reclutamento è stato abbassato più
volte. A Saigon è ora di 17 anni e ragazzi di 16, 15 e anche 14 anni servono
nella milizia civile.
In risposta agli sforzi del governo
di Saigon di arruolare grandi masse
di giovani, i buddisti hanno organizzato un vasto movimento di resistenza al
reclutamento. Hanno incoraggiato gli
obiettori di coscienza e formato una
rete sotterranea per aiutarli. La reazione del governo è stata immediata e
il quotidiano Le Monde riporta che il
presidente Thieu fece appello a « sforzi
massicci per sopprimere i comunisti e
i nacifisti che stanno nuocendo al morale dell’esercito e agli sforzi per la
guerra ». Decine di migliaia di nuovi
prigionieri politici si sono così aggiunti a quelli già in prigione.
Spese prioritarie
« Tutti gli anni 200 miliardi di dolimi sono destinati agli armamenti:
l'equivalente della somma del reddito
nazionale di tutte le nazioni in via di
sviluppo, il che corrisponde altresì alla somma destinata all’Istruzione e alla Sanità in tutti i paesi sviluppati o in
via di sviluppo ». K. Waldheim, Segretario Generale dell’ONU.
unii
IL TEMPO
DEL DISPREZZO
ic Con questo titolo è uscito l’articolo di testa de "Le
Monde" del 21 dicembre 1972.
« Ci fu un tempo ( neppur tanto lontano) in cui un “Guernica" ^ provocava,
senza tuttavia scatenare un’offensiva
contro la barbarie, la nausea del mondo Occidentale: la nausea prodotta dall’aver scoperto che lui stesso, quel
mondo, era capace di tanto orrore contro l’uomo! Si trattava, già allora, di
una storia d’aerei inviati da una potenza straniera a massacrare una popolazione civile, per sostenere una dittatura.
Da quel giorno, la perversione ha
fatto cammino: oggi essa sale ad un
nuovo livello in quel Nord-Vietnam coperto di "grandi .cimiteri sotto la luna’’. Cento B-52 e centinaia di aerei
bombardieri e da caccia si accaniscono notte e giorno sulla rete, a fitte maglie, dei villaggi del delta: è difficile
soltanto immaginare qual somma di
terrore, di ciechi ma ben deliberati assassini, di mutilazioni atroci, fisiche e
psichiche, questo fatto rappresenti. È
vero che il centro di Hanoi non è stato,
o non è ancora stato, distrutto. Ma
non per ^uesto la situazione è men grave, perché il cuore della capitale, evacuato da gran tempo, è meno popolato
dei vicini sobborghi, mentre le campagne formicolano di contadini ed anche
di bambini, di vecchi, di tutti gl’inabili tolti dalle città e dispersi verso le
capanne di paglia. Ricoprire questa
densa folla di civili con tappeti di bombe, non vuol dire forse sterminare un
popolo, ma certo significa dedicarsi ad
una successione di sternnni localizzati.
Significa passare a ferro e a fuoco le
case e i negozi, gli ospedali e le scuole,
le officine e le cooperative.
I responsabili americani credono
che, al "tempo del disprezzo” nel quale essi sono entrati senza problemi di
coscienza, succederà il “tempo della
resa" dei loro avversari. Ma questi
hanno la testa dura, perché hanno l’intelligenza della- fierezza. Questi, che
qualificano gli americani del titolo
"Unni del ventesimo secolo", hanno
pubblicato un’antologia, molto accurata e in lingua francese, delle loro più
antiche poesie. Tale opera, insieme a
tante altre, è nata quest’anno, sotto le
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
^ Celebre composizione murale dipinta nel
1937 da Fabio Picasso e raffigurante un tragico episodio della guerra civile di Spagna.
bombe, nonostante il blocco e la grande scarsezza della carta. Compatiamo
le persone insensibili, <o che non vogliono capire, o che sono disposte a
far dello spirito su un tale "aneddoto”
avente valore d’esempio. .
Ma il signor Nixon è anche lui nella
verità: egli ha ragione di pensare che
l’ospedale, la fattoria, il campo di riso
devono essere distrutti, perché è là che
la resistenza trova i suoi ideali e i suoi
uomini, almeno altrettanto che negli
stati maggiori. Nixon traduce una tale
realtà nel suo proprio linguaggio, col
termine: “offensiva comunista". Ma, se
egli osasse andare fino al fondo della
sua terribile logica, dovrebbe bombardare oggi Saigon. Un prete di Saigon
ha fatto sapere che, da una diecina di
giorni, centinaia di carcerati fanno lo
sciopero della fame nella prigione di
Chi-Hoa, situata nella capitale. Si tratta di detenuti "politici" raccolti per le
strade dalla polizia del generale Thieu,
oppure arrestati perché cattolici sospetti o studenti che hanno contestato
la dittatura: questi hanno osato chiedere la libertà per il loro popolo e la
fine dei massacri.
Perpetuamente alla ricerca della vittoria, Nixon è così indotto a colpire
sempre più duramente e dovunque,
perché i suoi avversari sono dovunque.
Per molti egli beneficia ancora di tentativi di spiegazione o di giustificazione, perché è stato rieletto e gli USA
non sono un paese totalitario. Ma non
sarebbe ora d’interrogarsi sul valore
preciso di questi meccanismi liberali
superati, traditi dalla logica d’un sistema imperiale e che, distorti dai loro
valori originari, permettono siffatte
abominazioni, permettono lo schiacciamento d’un piccolo popolo il quale
avrebbe volentieri fatto a meno di sentirsi promosso al rango di martire? ».
Quest’articolo incontra tutta la nostra approvazione, ad eccezione di
qualche sfumatura. Ad es. non è proprio di nostro gusto la sottile e feroce
ironìa (che diremmo di stile francese,
e più propriamente cartesiano) contenuta nel capoverso: « Ma il sig. Nixon
è anche lui nella verità... ». Preferiamo
discorsi più semplici e più espliciti, ad
es. quello del giornale inglese “Guardian” (citato dal "Manifesto” del 22
c.), secondo il q'uale: « l’azione di Nixon è quella d’un
uomo accecato dalla furia o incapace
di vedere le conseguenze di ciò che
fa. Vuol forse Nixon passare alla storia come il più
sanguinario e omicida dei presidenti
americani? Bisogna non lasciare ad alcuno il dubbio sul fatto che la sua azione è abominevole ».
IL SOSPETTO
■¡/F « lo sottoscritto m’impegno a tacere, nei miei rapporti con persone
non autorizzate, su ogni e qualunque
fatto venuto, in qualsiasi forma, a mia
conoscenza e che si riferisca o abbia
connessione anche lontana, col mio
lavoro professionale o sociale. Ugualmente m’impegno a difendere, con tutti i mezzi in mio potere, le notizie e le
mie conoscenze personali che devono
esser tenute segrete, nell’interesse politico o industriale o della difesa militare della DDR ( = Repubblica Democratica Tedesca) e degli Stati che le
sono amici.
Sono consapevole d’essere un portatore di segreti della DDR e so quäl
grande privilegio ciò significhi. La società socialista e lo Stato socialista
hanno in me una grande fiducia e mi
affidano una grande responsabilità: io
ho il dovere di dimostrarmi ogni giorno nuovamente degno di tale fiducia.
Questa fiducia richiede soprattutto la
fedeltà e la sincerità di fronte alla
DDR. Con comportamento esemplare
io contribuirò a rafforzare, sia nel
campo politico che in quello militare,
la DDR e i paesi che le sono amici, a
tutelare e ad aumentare il patrimonio
socialista... ».
(Da "Der Spiegel”, settimanale pubblicato ad Amburgo, n. del 18.12.’72).
Ogni impiegato statale della DDR, di
qualsiasi ordine e grado, è stato obbligato recentemente a sottoscrivere la
dichiarazione di cui abbiamo qui riportato la prima parte. Lo scopo è la
difesa dallo spionaggio dei cittadini
della BRD (= Repubblica Federale Tedesca) che, in forza del recente « accordo di base » fra le due Germanie,
sono cominciati ad entrare in gran numero nella DDR. La dichiarazione continua sullo stesso tono per un pezzo.
Una cosa molto tedesca e molto lontana dal Vangelo! (v. Matt. 5:37; 6: 7).