1
ECO
DELLE VALLI VALDESI
SIg. FEYROT Arturo
iifoS* 22/5
16122 GEHOVA
Settimanale
della Chiesa Valdese
Una copia Lire 70
Anno 97 - Num. 6
43HOÍN AMENTI
( Eco: L. 2.500 per rinterro
i L. 3.500 per l’estero
Sped, in abb. postale - I Gruppo bis/70
''embìn di indirizzo Lire 50
TORRE PELLICE - 6 Febbraio 1970
Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33ü94
DAL VECCHIO OLIVO
PRETI SPOSATI?
.Nel mio studio ho un bellissimo
disegno fallo da Maria Luisa, una
del gruppo, che lavora qui con noi
a Kiesi. Rappresenta uno dei tanti olivi del nostro Centro. Olivo
dal tronco grosso e torto, molto scuro, con rami terribilmente tormentati che si muovono come per disperazione in tin’atmosfera cupa d’incubo e di tempesta. Alcuni di questi rami sembrano raffigurare un essere mezzo uomo mezzo animale che
con arti bestiali scava, con avidità
indicibile, il suolo ai suoi piedi, come per strappare alla terra o tesori
nascosti o la propria fossa. Nel gioco di ombre scure v’è, però, anche
lina luce forte che viene di fuori ed
illumina alcuni rami. Questa luce
crea sull’uomo-animale stesso la figura di un altro uomo assolutamente diverso che ha le braccia aperte
e che sembra voler dire: « Eccomi,
vengo! >> (Salmo 40; 7).
Guardo spesso il disegno con angoscia e con speranza. E vedo in
quell’uomo bestiale e nell’altro che
sorge da esso « nuovo », a volte uno
di noi, o noi tutti, a volte questa città triste nella quale siamo chiamati
a lavorare. Ormai, del resto, anche
noi ne facciamo parte. Città triste,
da un passato fosco di sofferenza e
di crimini, città che non ha storia
lontana ma che s’è formata da un
raccogliticcio di disperati e di pregiudicati chiamati dai signori del
luogo a lavorare la terra. Pochi secoli fà. La sua eredità non è quella
di una cultura raffinata, né di una
educazione alla libertà e nemmeno
quella di una fede vagliata dagli avvenimenti. Cristo non v’è arrivato.
La sua eredità è, nella migliore delle ipotesi, quella deU’abbrutimento
di chi cerca solo di sopravvivere e
vuol strappare con l’avidità della disperazione quanto gli occorre o
dalla terra o dagli altri.
V’è però l’uomo nuovo che sorge.
Da dove? Non sembra dall’olivo
contorto anche se vi è collegato, ma
piuttosto da quella luce che da dietro, da fuori, risplende nell’oscurità
tragica deH’ambiente. Viene fuori
come per una chiamata che con la
sua forza strappa dalle ramaglie contorte e buie una speranza nuova per
tutto l’olivo e si delinea nella figura
chiara che protende le braccia.
Sarà questa la vicenda di Riesi?
Intanto noi vi siamo dentro e facciamo parte delle stesse ramaglie,
dello stesso tronco, sì delle stesse
radici die affondano nel suolo nero.
A guardare la situazione della città
e con essa la nostra non v’è molta
speranza. Siamo in un intrico di sofferenza e di passioni, siamo nella
lotta per farci spazio, costi quel che
costi. Però non saremmo obbiettivi
.se dimenticassimo la realtà più grande. Quella che viene da fuori, da
dii è diverso da noi. È Lui che può
creare Piiomo nuovo, fatto a sua immagine, che non vuol più strappare
agli altri nulla per soddisfarsi ma,
al contrario, è pronto a darsi, per
che ormai « non vive più per se stes
so, ma per Colui che è morto e ri
suscitato per lui » (2 Cor. 5; 15)
È con questo uomo nuovo che si po
Irà metterci alla costruzione della
città nuova le cui fondamenta non
possono essere altre che quelle di
Colui che fa tutte le cose nuove, le
cui opere è compito nostro di far conoscere. Grande fatica. Fatica della
testimonianza respinta dal mondo
die ha crocifisso Cristo, come ovunque altrove. Fatica di servi inutili
|)erdié non siamo noi a far sorgere
Enomo nuovo ma, come nel disegno, la luce che viene di dietro, da
fuori, e che trasfigura i rami antichi. Diveniamo a poco a poco rami
anche noi del vecchio olivo, se non
siamo presi e condotti da ehi può
mutare ogni cosa. E non è ancora
questione di piantare un olivo nuovo accanto a quello secolare, ma di
innestare, se così si può dire, su di
esso l’altro olivo nuovo, fare sorgere dalla città triste, la città che ha
la gioia di vivere perché ha trovato
il senso della sua esistenza.
Ma veniamo ad ogni giorno. Incontri Filippo, incontri Totò, incontri Rocco, incontri Sasà, incontri
Turiddu, incontri il prof. P., il geometra G... S’intavola il discorso.
Può esser sulla città, può esser sull’agricoltura, sui tempi di repressione che sono i nostri, può esser sui
partiti o sui movimenti extra-parlaineiitari... In ogni colloquio son le
cose ultime che ne danno il tessuto,
l’annunzio del nuovo mondo di Cristo, la luce che illumina da fuori e
da dietro l’olivo, o se volete la città, la luce che è una realtà anche
se non è ricevuta, che è la Verità ultima, fuori della quale non v’è mondo nuovo... ma gli interlocutori, sia
operai che notabili, vi passano oltre
o accanto. I rami rimangono contorti e nel buio, la città triste come
prima.
Certo riconosciamo la nostra debolezza, di essere come gli altri,
ma in fondo in fondo non è vero. Ci
sentiamo sempre un po’ diversi, in
qualche modo maestri degli altri.
Così anche se ci sforziamo di tendere il dito verso Cristo e di essere il
più possibile coerenti col nostro messaggio, vi è un inevitabile distacco
che rende inefficace la testimonian
doppio
za, almeno per quel che dipende da
noi. Cristo invece ei chiama ad incarnare la situazione, come Lui Pha
veramente incarnata, pur essendo
Lui sì del tutto diverso (l’agape stessa di Dio) poiché è nell’essere in comunione col Padre e neU’obbedienza alla Sua volontà che egli si è abbassato ed ha assunta la situazione
umana di servo e di peccatore. Così
è nella misura in cui si è immersi
nella volontà di Dio che si è pure
immersi nella situazione umana,
mentre nella nostra separazione o diversificazione dagli altri ci separiamo anche da Lui e dalla Sua volontà.
Ora è solo Lui che trae dal groviglio di sofferenza e di passioni della
nostra società, dallo stesso pantano
in cui si è affondati, una creazione
nuova.
Continuereii:. È con questo uomo vecchio chi gli altri e noi siamo,
chiamato però ad esser nuovo, che
si edifica la ciiL sui veri fondamenti. Riesi, quest: nostra Riesi, fa parte anch’essa d :.i mondo che, brancolando, temi - le sue braccia nel
buio, per cere la via di una nuova umanità e iempo stesso respinge la sola Via. ’agape di Dio fatta
carne in Crisi- Ma l’agape è questa : «non che oi abbiamo amato
Dio, ma che I ; ha amato noi »
(1 Giov. 4: 10; cpperciò fra le figure mostruose clic i rami del vecchio
olivo compongono deve pur sorgere
alla luce la figwiÌ; nuova dell’uomo
che, scoprendo la misericordia di
Dio, emerge e dice : « Eccomi, ven20 ». 7’ullio Vinay
imtiimimumiminiimiiiiii
taglio
Ecumenismo indolore?
In epoca pre-ecumenica, la .situazione divisa e lacerata della chiesa
di Cristo era in uno stadio patologico indolore, almeno per la quasi
totalità dei cristiani. Poi il sorgere
deH’ecumenismo ha messo in luce
questa situazione patologica ed ha
fatto maturare la sofferenza, quella
« tristezza secondo Dio » che « produce ravvedimento » (2 Corinzi 7,
10). Non tutti la soffrivano, del resto; i più continuavano a pensare
che fossero gli altri, i veri peccatori
lontani dalla vera comunione con
Dio e dalla genuina comunione fraterna, a dover soffrire: al duro e
untuoso clericalismo degli uni si opponeva il fiero e soddisfatto anticlericalismo degli altri; gli ovili, in fondo, erano belli e pronti, in ordine;
soltanto erano due (almeno). Tuttavia il fermento ecumenico operava. Erano i dolori del parto di una
realtà ecclesiastica nuova?
Certo, non si può soffrire sempre;
al tempo di faticosa e dolorosa gestazione deve seguire, a rischio della
vita, il tempo della gioia perchè è
nata alla luce di questo mondo una
vita nuova: terrena, provvisoria, esposta alfa deviazione, incline al male, ma viva. E’, il nostro, il tempo di
questa gioia? Una cosa pare certa:
nel loro complesso le chiese si sono
stancate di soffrire; forse anche di
pregare; vogliono comunque fare.
Lo si è potuto notare anche in
questi giorni, nella settimana per la
unità. Mentre qua e là si trascinano
verso la loro anacronistica consumazione le ultime manifestazioni liturgiche bilaterali di buona volontà
(pure, non si rifugia qui uno spirito
di preghiera che è moneta sempre
più fuori corso?), si sviluppa il nuovo ecumenismo aperto al mondo,
varato dal Vaticano II e da Upsala
’68, stimolato e preceduto dal dissenso.
Il rischio di paralisi è chiaramente
avvertito nel confronto confessionale fra le Chiese (ben diverso dal confronto ecumenico delle Chiese con
la Parola): continuando a dialogare,
si è giunti a un punto morto, o quasi; da questo punto di vista, lo si
riconosca o no, l’ecumenismo ha
abortito. A tale rischio di paralisi
si reagisce allora impegnandosi nelYapertura al mondo: dalle commissioni ecumeniche al massimo livello
fino agli incontri bilaterali locali,
la parola d’ordine è questa. Evidentemente, non sono lo stessa cosa la
teologia e l’azione dello sviluppo e
quelle del dissenso; ma è pure evidente che per le une e per le altre
l’interesse si concentra sull’uomo e
sul mondo senza che sia chiaro se
la rivoluzione copernicana dell’annuncio evangelico (e riformato) del
regno cioè defla centralità e signoria
di Dio sta avvenendo, ovvero se, in
forma aggiornata, Dio è ancora e
sempre inteso come il sole che ruota intorno alla terra degli Uomini.
In altre parole, se vi è sofferenza,
oggi, nelle chiese, è piuttosto una
tristezza per il pesante peccato contro il secondo comandamento, contro l’amore — concreto, efficace —
verso il prossimo. Ma il secondo non
cancella né riassorbe in sé il primo,
il grande, e neppure può es.sergli anteposto.
L’anima, la vita deH’ecumenismo
è Dio, non il prossimo; non quello
ecclesiastico e non quello mondano.
Il confronto vero e fecondo è sempre e soltanto quello con Lui (nell’ecumene ecclesiastica e mondana,
certo, non in uno splendido isolamento orgoglioso e illusorio), non
quello con altre chie.se o/e con il
mondo. Ogni ecumenismo orizzontale, ecclesiastico o/e mondano, pur
appassionato e "sofferto”, se non
è radicato in quella « tristezza secondo Dio» (« Simone di Giovanni,
mi ami tu? » — e Pietro fu rattristato che Gesù glielo aves.se domandato tre volte, Giov. 21 ) che « produce ravvedimento», è evangelicamente indolore — ed evangelicamente sterile. Perchè soltanto quando
un uomo, una chiesa hanno ascoltato nell’Evangelo di Cristo, il lancinante appello di Dio: « Dove sei,
Adamo? », possono veramente ascoltare il secondo suo appello: « Dov'è
tuo fratello? ». Ma pure avviene anche oggi che queste domande — e
in questo ordine — vengano udite,
qua e là. E là, nell’incontro con il
Signore e Padre, i fratelli s’incontrano. g. c.
Il papa ha detto no
Paolo VI si è servito del brevissimo discorso che abitualmente
pronuncia prima di impartire ogni
domenica, a mezzogiorno, la cosiddetta « benedizione apostolica »
ai fedeli raccolti in Piazza S. Pietro, per dichiarare tirbi et orbi la
la sua ferma intenzione di non cedere sulla questione del celibato
sacerdotale, quindi di mantenere
la legge, attualmente in vigore, del
celibato obbligatorio, malgrado le
crescenti pressioni in senso contrario, giunte specialmente dall’Olanda ma anche da molti altri
paesi, tra cui la stessa Italia. Rivolto dunque ai fedeli riuniti in
Piazza S. Pietro domenica 1“ febbraio, dopo aver ribadito che il celibato dei sacerdoti è « una legge
capitale » della Chiesa cattolica latina (come è noto, le Chiese cattoliche d’Oriente non la osservano),
ii pontefice ha dichiarato: « Abbandonarla o metterla in discussione non si può... ». Affermazione
categorica, che dovrebbe stroncare, almeno per il momento, le speranze o le attese diffusesi in molti
ambienti cattolici circa la possibilità che il celibato sacerdotale da
obbligatorio diventasse facoltativo. Anche l’ampio dibattito in corso su questa controversa questione dovrebbe subire una battuta
d’arresto, sempreché la parola del
pontefice venga raccolta e ubbi
dita.
Il « no » di Paolo VI era prevedibile, ma non scontato. Prevedibile lo era in quanto l’attuale pontefice si era già ripetutamente dichiarato contrario ad abrogare o
attenuare la legge sul celibato. Anzi, aveva dedicato un’apposita enciclica al problema (dal titolo, appunto, « Il celibato sacerdotale »),
pubblicata il 24 giugno 1967, in cui
tra l’altro il celibato veniva considerato « come fulgida gemma »
che « conserva tutto il suo valore
anche nel nostro tempo », mentre
la legge sul celibato veniva definita addirittura « aurea ». Era praticamente impensabile che Paolo VI modificasse o rinnegasse nel
1970 la chiara e decisa posizione
assunta nel 1967: in questo senso
il suo « no » era prevedibile. Ma
non era scontato almeno nella sua
formulazione, che avrebbe potuto
essere meno drastica e perentoria.
La marea montante della contestazione del celibato sacerdotale,
avallata persino da un certo numero di vescovi, avrebbe potuto
indurre il pontefice a qualche ripensamento, che nella migliore
delle ipotesi, avrebbe potuto sfociare nella promessa di riesaminare la questione, e nella peggiore
avrebbe potuto disporre il pontefice a un atteggiamento meno rigido. Paolo VI avrebbe potuto, se
non altro, temporeggiare, o almeno evitare lo scontro frontale. Invece non l’ha fatto.
I motivi che hanno spinto Paolo VI a rompere gli indugi e a opporsi così apertamente e con tanta determinazione alle proposte
anti-celibatarie provenienti con
crescente frequenza e insistenza
dall’Olanda e da altrove, sono senza dubbio molteplici e non tutti
facilmente individuabili. Due però
ci paiono evidenti e vanno segnalati.
II primo, e fondamentale, è la
fedeltà alla tradizione cattolica
che, su questo punto, risale parecchio indietro: il celibato dei preti
è diffuso già nel IV secolo, anche
se è e resta ancora per molto tempo facoltativo; dichiarato obbligatorio al Concilio di Trento — ol
tre quattro secoli fa — è sempre
stato, da allora, difeso ed esaltato da tutti i pontefici romani, compreso Giovanni XXIII, di cui conviene ricordare, sull’argomento, le
seguenti affermazioni: « Ci addolora che... si possa da qualcuno vaneggiare circa la volontà o la convenienza per la Chiesa cattolica di
rinunziare a ciò che per secoli e
secoli fu e rimane una delle glorie
più nobili e più pure del suo sacerdozio. La legge del celibato ecclesiastico... ». Se anche Giovanni
XXIII respingeva così categoricamente l’eventualità di una modifi
di Paolo Ricca
ca della legge celibataria, tanto
meno ce la si poteva aspettare da
Paolo VI, assai più sensibile del
suo predecessore alla continuità
dottrinale nel cattolicesimo romano. Si è così creata per la questione del celibato sacerdotale una situazione assai simile a quella che
si ebbe a proposito della famosa
« pillola ». Anche allora Paolo VI
si schierò (con l’infausta enciclica
« Humanae vitae ») dalla parte della dottrina cattolica tradizionale,
malgrado la forte opposizione interna manifestatasi a vari livelli
prima e allargatasi a macchia
dolio dopo il pronunciamento
pontificio. Ieri contro la « pillola », oggi contro il matrimonio dei
sacerdoti: nei due casi Paolo VI ha
preferito l’insegnamento cattolico
tradizionale piuttosto che i nuovi
punti di vista, dottrinali e morali,
affiorati recentemente nella coscienza cattolica su questi (come
su molti altri) argomenti. Il pontefice, insomma, ha preferito il
vecchio al nuovo; ha preferito dare ascolto alla Chiesa cattolica di
ieri piuttosto che a quella di oggi.
Ha optato per la tradizione — antica, sì, ma niente affatto apostolica, in nessuno dei due casi —
contro la cosiddetta « teologia moderna ». Ha conservato, non ha
innovato. Eppure, la legge del celibato sacerdotale — tutti lo
sanno — non ha alcun fondamento nella Sacra Scrittura e
non esisteva nella prima Chiesa cristiana. Non è una legge di
origine divina. È stata promulgata dalla Chiesa ed è vantaggiosa solo per l'istituzione ecclesiastica, non per l'Evangelo. Essa non
dovrebbe essere imposta e fanno
bene coloro che si ribellano a questa ingiusta e indebita imposizione. Il celibato è previsto dalla
Bibbia, ma non in particolare per
coloro che esercitano un ministero e, comunque, non come legge
ma come dono particolare, che si
può riconoscere ma non imporre.
Il momento era dunque propizio
per rivedere la dottrina cattolica
tradizionale alla luce della Scrittura e della Chiesa antica. Ma Paolo VI, oltre a non dare ascolto a
voci sempre più numerose della
Chiesa d’oggi, non ha dato ascolto
neppure alla voce della Chiesa antica. E — quel ch’è peggio — non
ha dato ascolto alla voce della
Bibbia. Così, il suo « no » è anche
un « no » aU’Evangelo; è un atto
di fedeltà alla tradizione cattolica
ma un atto di infedeltà alla testimonianza evangelica.
Ma dicendo « no » alle tendenze
anti-celibatarie di settori cospicui
del clero e del laicato cattolico del
nostro tempo, Paolo VI non ha
solo difeso la tradizione; ha anche
(segue a pag. 6)
2
pag 2
N. 6 — 6 febbraio 1970
SPIGOLATURE DI STORIA VALDESE
I protestardi e le «feste cristiane)
Noterelle intorno al XVII Febbraio Calvino e Gesù Cristo
IV - Ma cos’è questa «festa»?
Sempre la stessa domanda! E il
Témoin vuole fare il punto e fissare
un orientamento che elimini i malintesi. Nel 1883 (n. 7) considera chiusa
la discussione e prende atto che il 17
è diventato « la fête des enfants de notre Eglise »; e poiché vuol mantenersi
sul terreno pratico osserva (1881, n. 8)
che questi ragazzi sarebbero molto
imbarazzati se dovessero spiegare le
ragioni della loro gioia (come pure della loro gioia natalizia e pasquale). A
questa « festa » dei ragazzi occorre
quindi dare un contenuto storico; bisogna far conoscere questa storia nostra, e saluta quindi con gioia l’iniziativa di distribuire ai ragazzi una « brochure » che presenti episodi e figure
della Storia Valdese. Nel 1883 la tiratura dell’opuscolo dedicato a Gianavel
10 è di 6.000 copie.
Festa scolastica è l’espressione di
uso corrente nei resoconti della « festa », tanto che un’assemblea di Chiesa di Torre Pellice verso il 1870, in occasione delTesame del Rapporto annuo
del Concistoro, ha un dibattito, una
discussione « vide, dénuée d’intérêt »
a proposito della « festa scolastica del
17 » e della sua opportunità; come soleva avvenire, allora, discussione che
si arena su una quistione di procedura, perché si fa osservare che Targqmento è di competenza dell’Autorità
scolastica.
A questa Assemblea di Chiesa dei
nostri Padri Torresi erano presenti
ben 20 (venti) persone, compresi i
membri del Concistoro.
Sarebbe interessante sapere se vi
erano anche delle Madri, perché la
Chiesa Valdese sembra esser stata alquanto diffidente in tema di partecipazione femminile alle Assemblee di
Chiesa. Nel resoconto del Sinodo pubblicato in Témoin (1894 n. 337) troviamo che il Sinodo ha condannato la
partecipazione attiva delle donne nelle Assemblee di Chiesa: « une proposition tendant à ne pas accorder la parole aux femmes dans les assemblées
publiques mixtes avait été appuyée
par 56 signatures et plusieurs^ autres
membres du synode Vont signée en la
votant »..
E si discute a lungo sulTopportunità
di celebrare il 17 in epoca più propizia,
perché tutti gli anni o un’epidemia o
11 maltempo intralciano seriamente il
regolare svolgimento della manifestazione di questi ragazzi.
A S. Giovanni per esempio, nel 1890
viene celebrato il 14 marzo; genetliaco
di « S. Ai. Humbert I ». Successo trionfale, tempo buono, niente « angina »,
tanto che il cronista propone candidamente di fissare il 17 febbraio al... 14
marzo, genetliaco del re.
Si grida « Viva l’Emancipazione », si
fanno sventolare le bandiere e si entra allegri e rumorosi nel tempio perché, come scrive il Témoin (1894, n. 7),
questo grido « sfugge ancora dai nostri petti nei quali battono cuori riconoscenti a Dio che dirige i cuori dei
principi come des ruisseaux d’eau, e
al re che ci ha dato la libertà, ed al sovrano bien-aimé che ce la conserva».
...E GLI ALTRI?
Gli altri, i giovani e gli adulti camminano per conto loro, come già abbiamo osservato. La « serata » ed il
" pranzo » assumono una caratteristica
di indipendenza, si orientarlo verso la
celebrazione « civile » (oggi diremmo
laica), che acquista in espansione, ma
si espone ad alcuni pericoli; quelle deviazioni di tipo « mondano » come direbbe il pastore neopietista, di tipo
« strapaese » come direbbe il conservatore.
Deviazioni e pericoli coraggiosamente denunziati dalla nostra starppa che
se la prende con il ballo, ancora una
volta, il quale sta diventando l’appendice « mondana », sia pure privata, della serata. Pericolosa, perché comporta le risse, tanto che a Prarostino, nell’anno 1886 ci scappa un morto. Narra
infatti il Témoin (1886, n. 8-9) che al
Roc una quarantina di giovani hanno
creduto bene di « profanare la festa
valdese con un ballo che si è prolungato fino a un’ora avanzata della notte »\ sul più bello però, sopravvenuta
una « bande de mauvais sujets », scoppiata la rissa, un giovane di 23 anni è
rimasto « étendu raide mort » nella sala da ballo.
Anche il « pranzo » assume una sua
fisionomia caratteristica.
A parte la terminologia: « hanquet »,
« collation (sempre) frugale», «pranzo modesto, ma succolento », « simposio », si inizia una trasformazione oratoria: il numero dei discorsi aumenta
e l’aspetto « civile » (oggi diremmo politicizzato) si caratterizza. Ogni tanto
vediamo il « pranzo » fuso col « banchetto » in onore del sindaco neo-eletto. Fra gli oratori vediamo spuntare
nomi di « amici », che assurneranno
più tardi una posizione di rilievo sul
piano della lotta politica; a S. Giovanni, per esempio, l’avv. Edoardo Giretti,' il quale avrà appunto nel comune
di Luserna S. Giovanni una sua roccaforte elettorale antigiolittiana.
A Torino, il generale Guidotti — ci
informa l’Avvisatore Alpino — concede (1892) l’uscita serale ai militari vaidesi che vogliono partecipare alla serata.
A S. Germano Chisone il « pranzo »
serale dell’Unione è chiamato « agape ».
1 « brindisi » al Re ed alle Autorità
sono di rigore, come i saluti e messaggi dei deputati della zona.
* * *
Nelle Valli, la serata è ricreativa, ina
anche culturale: Villasecca si distingue con « atti » di Molière; e non teme
di portare sulla scena episodi dei Promessi Sposi.
Mentre la tradizione vive a S. Germano, nonostante 250 giovani emigrati
(1894), a Torre Pellice e S. Giovanni la
festa muore in quell’anno.
Per contro, fuori delle Valli, a Torino, a Napoli, a Firenze, la commemorazione del 17 prende piede. In questa
ultima città, sempre nell’anno 1894, la
« festa » è l’occasione per una adunanza in comune, in Via dei Serragli, delle due Chiese, con molti discorsi
(P. Geymonat, Aug. Metile, prof. Bosio,
E. Jalla, prof. Ruzzi). Tempo di discorsi, allora; a Torre Pellice si pagava l’ingresso (alcuni centesimi) per ascoltare
una conferenza di Davide Jahier su
Vittoria Colonna o sul Collegio Valdese.
IL CINQUANTENARIO
Ed arriviamo all’anno del cinquantenario della Emancipazione: 1898.
Sul piano tradizionale-civile grande
rilievo al fatto storico; commemorazioni ufficiali, la vigilia; il commendator Prochet sarà ricevuto il 17 febbraio
« in udienza particolare da Sua Maestà »; si profila... l’emancipazione femminile; qua e là al pranzo si segnala
la presenza di « gentili signore » (ma
non parlano!).
E la Chiesa?
La Tavola (allora La Vénérable) dà
iiiiiiiiiiiiiKiiiiiiiimiiiuiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiii
inizio ad una politica ecclesiastica che
troverà più ampio sviluppo negli anni
e decenni successivi, e potrà offrire
materia di studio ad un futuro 17 febbraio: lo sfruttamento finanziario
del 17!
Perché i... vituperati « Valdesi del
17 » cominciano ad essere una realtà
ed a costituire un problema, che il fuoco fatuo del Risveglio e la ferita non
ancora cicatrizzata della scissione rendono più acuti.
Perciò nella sua Relazione al Sinodo
del 1897, la Tavola propone, per celebrare degnamente il Cinquantenario,
una colletta per un’opera fondamentale della Chiesa: « essa si presenta spontaneamente a noi: il mantenimento ed
il potenziamento dei nostri istituti di
istruzione secondaria: Collegio e Scuola Latina », perché la libertà senza l’istruzione sarebbe inutile; bisogna
« combler le deficit » per poter sfruttare questi strumenti provvidenziali. Come suole accadere, non tutti devono
esser stati d’accordo, ed al Collegio e
Scuola Latina si unì il Rifugio Re Carlo Alberto.
Dalla Relazione del 1898 apprendiamo che, come al solito, grande fu l’entusiasmo, molti i falò e piuttosto scarso il risultato finanziario; circa «10.000
francs».
L’inserimento sempre più effettivo
del movimento Valdese nella realtà
italiana porrà altri interrogativi, cercherà altre soluzioni anche per il 17
febbraio; ma nel 1970 il problema sarà ancora aperto e la Tavola Valdese
cercherà di ricordare pudicamente che,
sul piano finanziario, il 17 è la... festa
(?) della riconoscenza e raccomanderà la colletta.
Gino Costabel
Libertà delio Spirito e responsabilità della Fede
Nell’ultimo articolo, riferito alla
Conferenza Distrettuale di Torre Pellice, abbiamo ricordato che le antiche
chiese protestanti, quella di Ginevra
per esempio, non celebravano le festività cristiane a cui siamo oggi abituati, tra cui lo stesso Natale; questo atteggiamento ci sembra, dicevamo, degno di attenzione perché espressione
di credenti convinti e fondato sull’evangelo. Subito ci si risponde; « Ginevra,
Calvino, Lutero! A noi cosa interessa
Calvino e Ginevra, state sempre a citare gli uomini del passato, che ci
importa di quello che hanno fatto, dopo tutto era gente come noi, né più né
meno, dunque può benissimo aver sbagliato. A Gesù bisogna obbedire, non a
Calvino ». Personalmente sono assolutamente d’accordo: tra un insegnamento di Gesù e una parola di Calvino
non ho dubbi né esitazioni: obbedisco
a Gesù, ma a sentire questi discorsi
c’è sempre da stare in guardia perché
non sono mai del tutto limpidi.
Il fatto è che la gente non ha nessuna voglia né di obbedire a Gesù né di
imitare Calvino, vuole fare quello che
le piace fare; se dici: « attento, guarda
che non mi sembra del tutto giusto
quello che fai, bisognerebbe seguire il
vangelo in questo caso »; cosa ti rispondono : « Io seguo l’esempio dei
vecchi, sto attaccato alle tradizioni di
un tempo, rispetto la fedeltà dei nostri
padri, quella si che era gente convinta
e fedele! » Succede così che oggi non sì
possa criticare niente nella vita della
Chiesa neppure con il Vangelo o la Bibbia in mano perché subito ti dicono:
« i vecchi, una volta, un tempo, si è
111111111111111111111111 I
iiiiiiiimiiiiiiiiiiimiiiiiiiii
iiimiimimiiiiiiimimiiiiiiiiimiiiiiiiii
FACCIAMO CONOSCENZA COL NUOVO INNARIO
A quali fonti si è attinto
Ci è stato chiesto di dare un’idea delle fonti alle quali la Commissione Innario si è attenuta nel compilare il suo
lavoro. Ecco qualche breve cenno: non
è certo possibile elencare le diverse diecine di innari esaminati in varia lisura e con varia attenzione dai vari membri della commissione; inoltre non saprei indicare quelli passati al vaglio
dei colleghi battisti e metodisti. Anzitutto, fra i cantici di lingua italiana,
posso citare (oltre, ovviamente, all'Innario Cristiano del 1922) le precedenti
edizioni valdesi: Inni Sacri Salmi e
Cantici; l’Innario Battista del 1910,
quello Metodista del 1908, e perfino la
raccolta (esaminata più che altro per
curiosità, ma non senza commozione)
del 1853, stampata a Baux-Vives, su incisione litografica a mano. Va citata la
raccolta del Pastore Ugo Janni che alcuni decenni or sono, tentò di dare agli
italiani evangelici un tipo di canto sacro basato su melodie prettamente di
gusto italiano; poi l’innario èdito da
La Speranza, Firenze, nel 1901, per le
famiglie, le .scuole e le Associazioni Cristiane. Inoltre i Salmi e Cantici pubblicati nel 1961 nella Svizzera Italiana, e
l’innario Alleluia, èdito dall’A.M.E.I. nel
1959: ambedue si discostano per vari
motivi dai nostri criteri.
Fra gli innari di tradizione riformata, oltre a quelli che troverete citati nella Prefazione del nuovo innario,
ricordiamo lo Scottish Hymnal & Psalter (il Salterio con testi e musiche intercambiabili, stampato su pagine spezzate a metà: pensate un po’: è dunque
possibile cantare L50 testi di salmi,
sempre con la stessa melodia, se si
vuole!) e poi l’Innario Cecoslovacco apparso a Praga nel 1952. Innari ecumenici plurilingui sono le due edizioni del
Cantate Domino (della Federazione Studenti Cristiani) particolarmente utili
per lo studio dei rapporti fra testo e
musica nelle varie lingue (specialmente per il Forte rocca!). Ha anche valore
internazionale, ma non so fino a che
punto sia usato praticamente, l’innario esperantista Evange’ia Kantaro del
1952 stampato in Svezia. Quanto alla
tradizione anglosassone, prescindendo,
ripeto, dal lavoro dei colleghi più documentali di me posso dire di aver preso visione di un innario Battista americano (Nashville 1956) e di 2 innari Metodisti, uno del 1939, e uno del 1964 (il
primo in uso a Roma, presso la locale
comunità metodista di lingua inglese).
Infine ho passato in rassegna (leggendo
li- battute iniziali, almeno, di tutti i
suoi 1.200 inni...) il Songs & Solos di
Sankev pubblicato a Londra, .senza
data.
Non ci limitammo però agli innari
veri e propri: citerò ancora il volume
curato dal M" F. Ghisi, « Vieilles Chansons des Vallces Vaudoises du Piémont » (Firenze, Sansoni Antiquariato,
1963) dal quale è tratta la Complainte Valdese dei Dieci Comandamenti
(n. 162 innario); il suo testo francese
tratta naturalmente del Decalogo, ed
è stato da noi tradotto liberamente per
motivi d’ordine tecnico, ed anche abbreviato, rispetto all’originale. Non mi
ri.sulta che con quella melodia si cantino altre parole. Invece ho visto in una
raccolta svizzera del 18° secolo il medesimo testo a.ssegnato alla melodia del
nostro inno 63, che è musica dotta c
può ascoltare questa complainte nel
!'edizione in lingua francese, sia eseguita da una voce solista, nel disco
Vieilles Chansons des Vallées Vaudoises, 1963, RIFI Record, sia nell’esecuzione a 4 voci miste nel disco Cori e
Canzoni delle Valli Valdesi, Corale di
Torre Pellice, 1969, ed. Prince).
CHE COS’E PER NOI L’INNARIO?
Il grande pericolo per un’opera di
questo genere è dCj-vs.ciarci soddisfatti
della sua pubblicàzione: ma la stam-.
pa dell’innario non deve essere un punto di arrivo, bensì di partenza. Con esso, è stato detto, le nostre chiese imparano a riscoprire (sotto l’aspetto innologico, ma non solo sotto questo aspetto, credo) la Riforma. Non è detto che
un futuro innario non abbia a sottolineare ed esprimere ed alimentare .nuovi impegni e una nuova coscienza della
chiesa. E le forme di ciò potranno essere anche nuove e svariate. Intanto,
impariamo a capire di nuovo quanto
del canto della chiesa del passato (Riforma, chiesa del deserto, pietismo. Revival, evangelizzazione post-risorgimentale) può avere raggiunto (qual più
qual meno) valori espressivi degni d’essere tramandati. Sia chiaro: non è il
motivo di fondo, né lo stile delle varie
epoche, delle vaile esigenze spirituali che la Commissione ha talora approvato, talora « bocciato »; ma è il livello, e talvolta la praticità, ciò che
abbiamo tenuto presente. Inni bellissimi dell’epoca cla.ssica non sono stati
accettati, per ragioni pratiche; inni magari « tradizionali » del Risveglio sono
stati respinti, non per il loro significato
o per lo stile espressivo della loro epoca, ma perché decisamente inferiori a
molti altri inni dello stesso tipo, che
sono invece stati accettati. Ad ogni
modo, non credo che si debba considerare il nostro Nuovo Innario come un
pezzo » da museo da ascoltare o da
ammirare. Né va considerato come un
arredo sacro, da tenere soltanto sul
banco in chiesa o nello scaffale dei libri preziosi in casa. Possa essere per
ognuno di noi uno strumento di testimonianza, un mezze.) di studio e di perfezionamento, un amico. Chi sa di musica cerchi in esso (oltre all’aspetto spirituale) le vie di un proprio miglioramento tecnico musicale, sempre che
egli interpreti rettamente la propria
cultura musicale come un mezzo di servizio ai fratelli (per es. impratichendosi
nella lettura, nella diteggiatura organistica, all’inno 169, confrontando la
conduzione delle «parti» comò ora e
come era nel vecchio innario, ove sia
modificata; e così via). Ognuno può leggerlo e meditarlo, se ha impegni di
predicazione, per bene capirne la ogica struttura, per cogliere la sua aderenza alla Rivelazione, per saperlo upre efficacemente nella scelta dei testi e
delle musiche, per saperne usare 1 apparato tecnico ed illustrativo da indici e
tabelle. Ogni credente lo mediti, accanto e in umile servizio alla Parola di
Dio, per nutrirne il proprio spirito, malgrado le sue imperfezioni e la molteplicità di mentalità e di gusti che esso
esprime.
E, per finire, ecco alcune oitaponi
dalle prefazioni di innari stranieri;
~ « Nel canto la comunità risponde
alla Parola di Dio: è da questa che esso
è nato; nel canto la Chiesa confessa
la propria fede, prega e ringrazia Dio
per la Sua opera; nel canto, loda la
grandezza di Dio. Esso è nei giorni difficili la sua forza, la sua consolazione,
mentre è la sua gioia nei giorni lieti.
Nel canto, la ricchezza della fede e della
vita cristiana si manifesta con immediata vivezza; ricchezza di tutti i tempi
e di tutte le chiese: appartengono ad
esso i salmi dellAntico Patto, i canti
della chiesa antica, della Riforma, dei
tempi moderni. Talché l’innario è l’unico libro che ci inserisce nella comunanza deU’unica, universale Chiesa di
Gesù Cristo (...). Possa dunque il nuovo
innario essere usato gioiosamente dalle comunità nel loro culto; possa anche
trovare la sua via nelle case e nelle
scuole, e guidare i membri di chiesa
alle sorgenti della benedizione » (Innario svizzero di lingua tedesca, 1952).
— « Questo è un libro di preghiera.
Non lo usate soltanto al culto della vostra chiesa per cantare la vostra fede,
il vostro ringraziamento, il vostro .amore, la vostra consacrazione. I nsieme con
la Bibbia, la cui meditazione nutre la
vostra anima, esso ha il suo posto in
ogni ora della vostra vita, al vostro capezzale, nella .sconfitta, nella vittoria,
nella gioia o nel dolore. Sia esso anche
presso il vostro focolare, come sorgente
di «pietà» familiare; insegnate questi
inni ai vostri figlioli: li conservino iiel
loro cuore, ed imparino, grazie a loro,
a parlare con Dio » (dalla presentazione
dell'Innario riformato di Francia, 1939).
— « Il canto degli inni è un privilegio
concesso ad ogni anima -redenta (...).
Chi, -adorando, canta « col cuore e con
l’intelligenza » partecipa attivamente al
culto, e sente l’unificatrice influenza
della' musica (...). Quando noi cantiamo, non solo esprimiamo l’intimo del
nostro cuore, ma cresciamo nel nostro
carattere cri.stiano e ci rafforziamo nella nostra fede (...). Quando la chiesa
canta, ogni credente può sentirsi innalzato a seguire più da vicino il Salvatore
per la cui nascita cantarono gli angeli »
(dalla Prefazione del Baptist Hymnal,
Convention Press, 1956). F. Coksant
sempre fatto così » e via di questo
passo.
Quando capita che nella storia antica ci sia qualcosa che può suonare critica alle abitudini attuali, allora i vecchi non sono più buoni, si cita Gesù;
lasciano stare la Riforma, i valdesi, il
passato, la tradizione, non si dice più:
« una volta » ma si dice « io seguo solo
Gesù ».
È questo il caso di tutte le nostre
feste. C’è forse nell’evangelo una parola di Gesù che ci invita a celebrare dei
giorni particolari in ricordo di avvenimenti della sua opera e della sua vita?
Gesù ha per esempio detto di celebrare la sua nascita? No di certo, ha chiesto solo ai suoi discepoli di credere
in lui per avere vita eterna. Si può rispondere che Gesù non poteva dire
nulla di simile quando era ancora in
vita e la Chiesa non esisteva ancora;
solo dopo la sua risurrezione i credenti hanno cominciato a radunarsi insieme.
Verissimo, ma vediamo allora cosa
hanno fatto i cristiani delle prime comunità, gli apostoli come Pietro e Paolo. Dal Nuovo Testamento risulta soltanto che si radunavano per celebrare
nelle case il loro culto, in giorno di domenica: di feste speciali, di culti in
occasioni varie, non se ne parla. Sempre per stare in tema natalizio non
bisogna dimenticare che su 4 evangeli,
2 (Marco e Giovanni) non raccontano
nulla della nascita di Gesù, come se
non ci fosse stata: niente notte di Betlemme, pastori, magi, bue ed asinelio,
b cometa. Per Marco e Giovanni la
storia di Gesù comincia con il suo battesimo. L’unica data che merita di e.ssere ricordata, secondo i cristiasii primitivi, è dunque la risurrezione di Cristo, la domenica.
È la chiesa che ad un certo punto
ha preso l’iniziativa di stabilire il suo
calendario ecclesiastico: Avvento, Natale, Epifania, Settimana Santa, Asce.n
sione e Pentecoste. Iniziativa buona
cattiva, non stò a giudicare, ma tardi
va e frutto di una scelta. Possono aveavuto ragione quei cristiani che hanno introdotto nel loro calendario quelle particolari ricorrenze, non ne dubito, lo hanno certamente fatto coi le
migliori intenzioni e per il bene della comunità e possiamo anche riconoscere che queste iniziative sono bru ne oggi ancora e celebrarle, nulla ¡n
contrario; ma dobbiamo s -pere da
dove vengono e che valore hanno. Né
Gesù né gli apostoli le hanno istituite,
non conoscono altro giorno all’infuori
della domenica per ricordare la risurrezio’ dei cristiani le hanno introdotte e ; cristiani (come i riforma'.or'
ed i lesi medievali) le hanno criticate. i- . lì, e noi possiamo bcr.i
mo sciv. ne o lasciarle, continuar!!
o abolirle; così facendo non obbedi..mo a Gesù, ma prendiamo noi la responsabilità di fare cose discutibili ■; ne
il Signore giudica.
Uno vuole celebrare feste cristiane
per esprimere la sua fede? E’ libero di
farlo perché, come dice l’apostolo, -rviamo nella libertà dello Spirito e no,
sotto le prescrizioni della Legge; ma s.
prende le sue responsabilità, decide ha
d' fare così o cosà, questo o quello
perché non ha nessuna base nella Sci -tura. Ma se uno critica questo e per ,i
nalmente -non si sente di anDrovai';non si può dirgli: « sei un profanatore,
un pagano, un miscredente », perché nc!
quadro della sua fede questo genere d,
cose non hanno valore né importanza.
Non si ha il diritto di dirglielo, per !-■.
fonda il suo atteggiamento sull’esempio
di altri credenti del passato.
Dobbiamo insomma avere il c. - ag
gio o di dire come dissero i piami p";;le.stanti: si segue la Bibbia soltanto,^ ■
di dire come i cattolici si segue la Bib
bia e tutto il resto. Perché non c un
caso che le feste dell’Epifania e di Natale sono poi state seguite, con assoluta
buona intenzione, dalle feste dei mcrtiri, poi di Maria, poi dei santi e via
via. Non è un caso, perché le feste sono
come le ciliege: una tira Taltra.
Giorgio Toirn
-iiiiiiimiNiiiiriiimiiiiiimiiK
Contro la sentenza sul Vajont
Roma (Adisla). - Luciana Paladini Conti;
Aldo Paladini, giornalista; Antonio Riva. Coluilato Pacifista Berpainasco: Marco Marchìoni. Servizio Civile Internazionale; Pietro
Gigli* Movimento Internazionale Riconciliazione; Andrea (raggero, Comitato Italiano Pace; Augusto Milana. Movimento Cristiano
Pace: Roberto Cicciomesseri. Partito Radicalo: Marcella Mareliioni Serangeli: Alberto
1/Abate. presidente S.C.L, in seguito alla sorprendente sentenza del tribunale dell .Aquila,
hanno inviato al Presidente della Repubblica
la seguente lettera:
« Signor Presidente.
a .sei anni dalla slrago del Vajonl. dopo tredici mesi di diballimento e 147 udienze, .a
sentenza pronunciata dai Rindiei del tribunale
dcirAquila. a coronamento del processo per
quei tragici falli, ha profondamente offeso il
senso di giustizia non .solo dei super.stili delrimmanc disastro ma di tutta la collellivilà
nazionale, o almeno di quella sua parte che
ancora crede ai valori della .solidarietà umana
nel conte.sto di una .società civile.
In nome delle duemila vittime innocenti
del Vajont e dei loro familiari scampati al
massacro, buona parte dei quasi ha rifiutato
con csem|>lare fermezza morale ogni lusinga
economica proprio perche giustizia fosse fatta,
in nome delle umili lavoratrici e degli umili
lavoratori di hongarone, di F,rlo e Ca.sso. colpiti e delusi dalla incredibile sentenza dell'Atiuila. desideriamo esprimerle, signor Presidente. la imstra più viva prote.sta per un
giudicalo che li lascia indifesi e soli di ironie
a! ])Oterc de! più forte; con la sjieranza che
il |)roees,so di appello ristabilisca i lermini e
h ragioni di una giustizia imparziale, prima
garanzia di qualunque regime che voglia -.'ssere c dichiararsi democratico ».
AVVISO
\a\ « CASA KVANGELICA » in S. Marzano
Olivato (Asti) cerca 2 jiersone per lavori cucina e servizi vari, e persona mansioni di aiti1(1 Direzione per periodo vacanze estive. Trailani(*nto economico « alla pari sjje.se di
viaggio rimborsate. Scrivere a: Past. Giuseppe Anziani - Piazza Bini, 4 - 15100 Alessandria - Telcf. 0131/52378.
3
pag. 4
N. 6 — 6 febbraio 1970
Quando Dio contesta il suo popolo
« La parola che fu rivolta a Geremia da parte dell’Eterno-. Fermati alla porta
della casa dell’Eterno e quivi proclama questa parola: Ascoltate la parola dell’Eterno... Così parla l'Eterno degli eserciti, l’Iddio di Israele: emendate le vostre vie
e le vostre opere ed io vi farò dimorare in questo luogo. Non ponete la vostra fiducia in parole fallaci, dicendo: ’’questo è il tempio dell’Eterno, il tempio dell’Eterno,
il tempio dell’Eterno!". Ma se veramente emendate le vostre vie e le vostre opere,
se praticate sul serio la giustizia gli uni verso gli altri, se non opprimete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargete sangue innocente in questo luogo e
non andate per vostra sciagura dietro ad altri dèi, io vi farò abitare in questo
luogo... » (Geremia 7: 1-7).
Lettera aperta al Moderatore della Tavola Valdese, past. N. Giampiccoli
llepi'essioiie [loliziesca o i'e|ii'essione della verità?
Signor Moderatore,
Dio parla oggi a noi, come parlò allora ad Israele, ed il
contesto storico sociale del tempo di Geremia presenta dei
paralleli evidenti con il nostro tempo: una riforma religiosa
(riforma di Giosia nel 621 a. C.; teologia barthiana nel
protestantesimo e Concilio Vaticano II nel cattolicesimo),
che, allora come oggi, pare abbia portato soltanto ad un
rinnovato interesse per la letteratura, i problemi teologici,
e gli aspetti cultuali della religiosità con una leggera accentuazione penitenziale; una generale atmosfera di tensione
politica mista a timore per la realtà storica di potenze politiche ed ideologiche (l’Assiria a quei tempi, la Russia e la
Cina oggi); una reazione, allora come oggi, contro le voci
profetiche che, come Geremia, contestano le strutture delle
Chiese storiche ed osano proporre una interpretazione della
storia non convenzionale e non condizionata.
Geremia contesta il popolo di Dio innanzi tutto in sede
teologica. Egli predica contro una falsa dottrina del tempio,
cioè contro una falsa ecclesiologia che fa del tempio, luogo
privilegiato della presenza di Dio, una garanzia oggettiva
di salvezza, una struttura ecclesiastica, espressione di religiosità tradizionale di massa, centro di potere religioso e
politico, e giustificazione di una delega in campo spirituale.
È la contestazione di una ecclesiologia che vede la Chiesa
non più .come comunità di credenti chiamati da Dio ad una
specifica e personale vocazione di servizio nel mondo, bensì
come una struttura di potere, sia spirituale che temporale,
che, piuttosto che essere espressione di diakonia, assomma
in sé ogni autorità mediante un magistero, e accentra su di
sé l'interesse dei fedeli.
Errata ecclesiologia che .ritroviamo come tentazione latente o come realtà dolorosa in tutte le strutture ecclesiastiche confessionali, e che si evidenzia nella pretesa di possedere tutta la verità, nel vanto delle proprie tradizioni, nell’illudersi di poter vincolare in modo esclusivo a sé la grazia
di Dio.
Una tale Chiesa non ò più il luogo della presenza di
Dio, ma un idolo che si sostituisce a Ì5io. La Parola di Dio
contesta questa ecclesiologia, proprio insegnando che Dio è
presente nella Chiesa, perché essa è il corpo di Cristo e
Cristo è la presenza di « Dio con noi »; insegnando che Dio
è presente nella vita religiosa, liturgica della comunità ecclesiale, è presente nella teologia e nelle strutture, però lo è
sempre ed in ogni caso nella sua realtà il Signore che rimane libero da ogni tentativo ecclesiastico di monopolizzarlo; libero Signore della Chiesa sia quando fa grazia, sia
quando con autorità è costretto a giudicarla perché essa è
diventata infedele.
Ma la predicazione profetica della Pai'ola di Dio contesta
sul piano etico anche ciascuno di noi come membri di comunità cristiane separate. Infatti una errata ecclesiologia
genera una fede che è formalismo, e produce una frattura
tra vita cultuale-religiosa e comportamento etico quotidiano, per cui, nella misura in cui l’uomo crede di essere « a
posto » con Dio per avere adempiuto agli obblighi, ecclesiastici, perde di vista il prossimo, quei « minimi » che Dio ha
tanto amato e che sono il luogo e la possibilità di attuazione della fede.
Geremia contesta il popolo di Dio per aver trascurato
di « praticare sul serio la giustizia gli uni verso gli altri »
(v. 5); proprio quella giustizia sociale formalmente predicata da ogni pulpito, invocata e proclamata ufficialmente
sia a Ginevra che a Roma, ma che rimane tragicamente
lettera morta quando lo Chiese cioè le comunità dei fedeli,
vengono a trovarsi dinnanzi alla urgenza di tradurla in
azioni concrete.
Lo straniero, l’orfano, la vedova, colui che invoca ed
attende giustizia, non sono figure di un passato remoto,
ma sono nostri fratelli, bene individuabili nel contesto sociale della nostra nazione; sono i profughi, gli emigrati, gli
immigrati del Sud in cerca di lavoro; coloro che non riescono ad inserirsi nell’ambiente perché sono rimasti « stra
nieri» agli altri che, a loro volta, li sentono « estranei »;
coloro che, privi di lavoro e senza mezzi di sussistenza, vivono in alloggi malsani in quelle zone ben reali ma spesso
ignorate della nostra città. Sono coloro che attendono da
anni una decisione dall’alto che dia loro un minimo di giustizia sociale, o quanti ridotti a puri elementi di produzione,
strumenti umani tra strumenti meccanici, invocano una giustizia sociale che è loro negata, o la cui attuazione è differita da quanti, pur dicendosi cristiani, sono divenuti idolatri al servizio delle leggi della produzione e dei consumi
di cui condividono gli utili.
Eppure sono figli di Dio gli uni e gli altri. Figli di Dio
non per diritto di appartenenza ad una Chiesa, ma perché
Iddio ha tanto amato le sue creature. Perciò è nel nostro
deciderci per i minimi, che consiste la prova della nostra
fede davanti a Dio e davanti al mondo.
Non è quindi priva di significato la contestazione che
questi minimi muovono alla Chiesa nel suo insieme, intesa
come espressione sintetica di quella « civiltà cristiana occidentale » ritenuta responsabile di un tale stato di cose.
Rigettare in blocco questo richiamo severo, sarebbe sintomo di pericolosa ed inqualificabile miopia spirituale, sarebbe commettere il medesimo errore di quei giudei che,
volendo eliminare la fastidiosa contestazione del profeta
Geremia, lo gettarono in una cisterna piena di fango, affinché la sua voce tacesse definitivamente.
* * Vf
Vocazione deiruomo è « essere responsabile del proprio
fratello, sotto lo sguardo di Dio ». La Chiesa è vera comunità ‘di Cristo quando è vera espressione della responsabilità
dei suoi singoli credenti. Ogni struttura è provvisoria, ed
ogni teologia è vera nella misura in cui rimane in costante
tensione di ricerca delle indicazioni della Parola di Dio.
La contestazione della Parola di Dio e di coloro che, pur
fuori delle Chiese uftìciali, sono per noi oggi una voce profetica, ci richiama alla libertà di Dio nei nostri confronti;
libertà che potrebbe manifestarsi anche in un rinnegamento,
da parte di Dio, di ogni struiuira e di ogni autoritarismo
ecclesiastico, in un giudizio siniiìc a quello pronunziato contro il tempio di Gerusalemme che fu letteralmente distrutto.
Un giudizio che già si manifesta nella crisi delle istituzioni,
neirallontanamento dalle Chiese uíhciali di una massa di
giovani, di operai, di figli di Dìo che, in nuove forme di
fedeltà al Cristo e con un impegno nuovo di responsabilità
verso il mondo creano nuove comunità ecclesiali che vogliono essere comunità di itestimomanza e di servizio.
Ma ogni giudizio che Dio pronunzia sulla sua Chiesa,
prima deirultimo gioimo, è sempre un giudizio penultimo,
non definitivo, un avvertimento che vuol richiamarci ad un
serio ravvedimento: « emendale le vostre vie e le vostre
opere, ed io vi farò abitare in questo luogo » (v. 3).
Iddio ci contesta non per abbattere e distruggere definitivamente, ma per indurci alla conversione, ad una concreta vita nuova.
Per questo ancora oggi ci interroga tutti insieme,^ perché
Egli vuole che torniamo ad essere la « sua » Chiesa, la
comunità che opera nel mondo come segno del Regno che
viene.
Noi siamo qui oggi in pochi, i pochi di alcune Chiese
separate da secoli; pochi e divisi, ma vogliamo essere insieme nella libertà della fede per sottometterci alla Parola di
Dio, accettarne il giudizio, confessare il nostro peccato comune e tentare un modo nuovo di essere e di vivere la
nostra fede nella libertà, insieme, nel contesto della nostra
città, nella comune responsabilità verso il prossimo.
L’ecumenismo ha senso se è Tinizio di una presa di coscienza delle nostre responsabilità comuni. Ci dia il Signore
quella fede e quella libertà spirituale necessarie per poter
attuare in comune la nostra vocazione cristiana.
Giovanni Scuderi
(dalla predicazione tenuta la domenica 18
gennaio, nella chiesa valdese di Venezia nel
corso del culto ecumenico).
Il modo col quale i periodici « Eco-Luce »
e a Nuovi Tempi » svolgono il loro compito è
fonte di crescenti perplessità, critiche, sospetti delusioni e preoccupazioni — oltre che
di polemiche talvolta aspre — specialmente,
anzi quasi esclusivamente per quanto con
cerne Timpostazione e la trattazione dì temi
politici o para-politici.
Va ricordato, anzitutto, che questi giornali
(come pure « Gioventù Evangelica », del qua
le peraltro non mi occuperò per motivi di
incompatibilità di carattere, oltre che ana
grafica) operano sotto la responsabilità — totale o parziale — della Chiesa Valdese e per
essa della Tavola e col concorso finanziario d
questa, cioè in ultima analisi di tutti i mem'
bri di Chiesa i quali hanno, perciò, diritto
dintervento intorno al modo col quale la
stampa evangelica assolve il suo mandato.
Devo premettere, ancora, che mentre « EcoLuce » riserva, in genere, uno spazio limitato
ancorché ragguardevole alle questioni politiche e dà prova — sempre in linea di massima — di una certa equità di giudizio (che
non vuol dire certo equidistanza) e di una lodevole ansia nella ricerca della verità, non
altrettanto può dirsi per « Nuovi Tempi » il
quale fa della politica il suo pane quotidiano
e ci sguazza dentro allegramente numero dopi numero, dedicando la maggior parte del
giornale a notizie e commenti d'indole strettamente politica (o partitica) anche di modesto o scarso rilievo. Ma questo è il meno. Ciò
che preoccupa e irrita maggiormente è il
constatare che Nuovi Tempi si pone, sempre, senza eccezioni, da una angolatura
particolare (di estrema sinistra, per intenderci) il che, a mio parere, è del tutto incompatibile con quel minimo di serenità e obiettività di giudizio che dovrebbe caratterizzzare
un giornale « evangelico » il quale, al postutto, rappresenta in qualche modo tutte le Chiese che fanno capo alla Federazione Evangelica
Italiana.
È ormai ammesso da tutti che le Chiese
non possono disinteressarsi dei vari problemi
sociali, economici, culturali ecc. ergo politici
in senso lato, che travagliano la società ed io
non rifiuto affatto tale criterio a patto che
esso non serva da pretesto per una vera e propria propaganda politica, prò o contro determinati partiti, prò o contro certi schieramenti
di forze politiche.
Contesto, cioè, il diritto ai responsabili dei
nostri periodici dì propinarci settimanalmente
le loro personalissime vedute politiche, trasformando quella che dovrebbe essere una
predicazione scritta (non per niente entrambi
i direttori sono pastori valdesi) in azione propagandistica talvolta faziosa e bassamente
partigiana, snaturando così completamente la
funzione ad essi affidata dalle Chiese.
La mia protesta si riferisce, in particolare,
al comportamento tenuto dai suddetti periodici su di un tema assai attuale e scottante,
cemportamento che può essere definito come
la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Alludo agli attentati terroristici del 12 dicenij)re 1969 che hanno causato, a Milano, la
morte di ben sedici persone e il ferimento di
moltissime altre, vittime innocenti della feroria e dell'odio politico più bestiale che umano.
Che cosa hanno scritto « Eco-Luce » e
« Nuovi Tempi » su questo tristissimo episodio che tanto orrore e raccaprìccio ha suscitato in Italia e alEestero?
— Eco-Luce: Non ha pubblicato nulla, assolutamente nulla; neppure un rigo di commento sui tre-quattro numeri usciti dopo quei
tragici fatti. (A meno che non sia stata pubblicata una « edizione straordinaria »... che io
non ho ricevuto!).
Mmiimiiuiiiiimmiiiiiiiminiiiimiiiii
Fede e libertà: le Chiese di fronte alla contestazione
La fede cristiana non è fedeltà ad
una struttura ecclesiastica, ad un credo confessionale, bensì è fedeltà al Cristo che incontra l’uomo quale Signore
della nostra vita e delle nostre Chiese
■particolari.
La fede è realtà dinamica. Credere
significa confessare, testimoniare, cioè
esprimere in concreto con l’azione, scelte operative, tutto un modo di essere,
che cosa significhi che Gesù Cristo è il
Signore della vita, della Chiesa, della
storia.
Una tale fede può quindi esprimersi
solo nella libertà da ogni condizionamento. Essa infatti: mette in crisi ogni
valore umano, sociale, culturale, politico, etico, perché li sottomette ad un
continuo confronto con la Parola di
Dio; oppone un netto rifiuto ad ogni
" sistema » umano nella misura in cui
questo pretende di essere definitivo; si
manifesta a livello esistenziale concreto, quotidiano, nel superamento dell’istinto di conservazione mediante Letica del dono e del servizio.
La fede presuppone la libertà cristiana che è libertà da se stessi e dai
condizionamenti storici, .sociali, ambientali, ma non libertà da Dio; anzi
nella misura in cui si è liberi nella
espressione della propria fede, si è servi
di Dio ed al servizio degli uomini.
La contestazione è una realtà che incontra le Chiese nelle loro realizzazioni
storiche, non solo come strutture, ma
come comunità di uomini, e chiede alle
Chiese una giustificazione ed una verifìcà degli aspetti istituzionali del loro
essere nella società.
Le Chiese sono in imbarazzo davanti
alla contestazione perché hanno perso
(oggi come varie altre volte nella storia) il senso della fede e della testimonianza cristiana che quando è testimonianza fedele, ha un carattere dialettico, è cioè nello stesso tempo: a) interpretazione del mondo e della storia alla
luce della Parola di Dio nella libertà da
Spunti di riflessione e dibattito presentati in una tavola rotonda, a Venezia
ogni compromesso con le forze storiche del momento; b) autocritica della
Chiesa, controllo che la Chiesa esercita
su se stessa alla luce della Scrittura.
Oggi invece la Chiesa profondamente
identificatasi con il mondo occidentale,
cioè con il suo massimo prodotto storico, tenta di interpretare il mondo e la
storia senza percorrere più la via dura
ed amara della autocritica profetica,
ma proponendo dall’alto soluzioni che
sanno di sapienza umana.
Ora, quando manca l’autocritica profetica si verificano due fenomeni: a) a
livello teologico vi è uno spostamento
del centro di gravità. La Chiesa non
gravita più sulla Parola di Dio, bensì
su se stessa; la Parola di Dio perde il
suo valore di elemento di verifica e di
confronto per la Chiesa stessa, e viene
inglobata nella Chiesa, posseduta dalla
Chiesa e rie.spressa in uno con la voce
dell’uomo e delle strutture eccle.siastiche. b) a livello storico le forze storiche diventano portatrici di giudizio, ed
oggi dobbiamo riconoscere che la Chiesa si trova « sotto giudizio» e che la
contestazione è portatrice di questo
giudizio.
Ma quale contestazione? Non certo
quella di moda che oppone ad un conformismo di conservazione in via di dissoluzione un neoconformismo di rottura in via di concettualizzazione. Ma la
protesta di coloro che l’Evangelo (Matteo 25: 35-36) chiama i « minimi »: contadini vietnamiti o persiani o del nostro Sud; operai ridotti ad elementi di
produzione braccianti emigranti negri
d’Africa e d’America: i movimenti di liberazione del nostro tempo, dal movimento operaio in Europa ai movimenti
anticoloniali nel mondo.
E’ questa la contestazione che sta
distruggendo tutto un sistema di condizionamenti sociali di cui la Chiesa
SI è giovata per secoli: il cosidetto « sistema costantiniano » che riconosce alla Chiesa un «ruolo pubblico » e le accorda uno spazio « privilegiato » comodo.
Dinnanzi a questa contestazione l’errore più grave che le Chiese possano
commettere è quello di estrarre dal
bagaglio cristiano qualche ideologia
che serva a stabilire, a livello di idee,
un collegamento tra la Chiesa e le forze
della storia contemporanea: progresso,
rivoluzione, dignità dell’uomo, solidarietà umana, etc.
Bisogna invece accettare la realtà
della contestazione, come il buon Samaritano dell’Evangelo, cioè come colui che, pur essendo fuori del popolo
di Dio, il non ortodosso quanto alla
fede, il non rispettabile secondo i criteri della rispettabilità e della religiosità
corrente, è tuttavia colui che si inserisce nella storia della sofferenza degli
uomini feriti dalla vita, percossi e sfruttati, di quei « minimi » che sono stati
osservati dai « notabili » delle Chiese
ufficiali ma non reputati degni di attenzione e di cura.
La contestazione è come colui che ci
soccorre, che svolge un compito positivo da parte di Dio verso di noi, pur
restando un Samaritano, colui che è
fuori, ma al quale siamo debitori dell’Evangelo che ci ricorda le nostre infedeltà.
Ciò deve indurci ad un riconoscimento delle nostre colpe come appartenenti
alle Chiese storiche. Ma la confessione
di peccato non deve divenire 'occasione
per una rinunzia passiva alla nostra testimonianza, né un abdicare al compito
specifico dei credenti che è quello di
testimoniare di Cristo che salva tutto
l’uomo e tutti gli uomini perché il credente non può e non deve delegare ad
altri la sua responsabilità personale.
Ciò sarebbe infatti un rinnegare la fede.
Perciò davanti alle nuove forze storiche la testimonianza delle Chiese non
deve essere muta né implicita, bensì aperta ed esplicita, una testimonianza
che contenga due elementi indivisibili:
1) Partecipazione alle medesime responsabilità senza la pretesa di avere
già una soluzione cristiana per tutti 1
problemi e senza la paura che da questo incontro sul piano della vita concreta la nostra fede possa essere sommersa dalle ideologie storiche, perchè
nella misura in cui sarà una fede fondata esclusivamente su Cristo e quindi
totalmente libera di esprimersi, non
potrà essere sommersa, come non fu
sommersa la fede di Israele nei 50 anni
di esilio a Babilonia
2) Annunzio dell’ Evangelo, sia con
parole chiare: proclamare che il Regno
di Dio verrà e che questa è la vera
realtà ultima che Cristo ha anticipato
con la sua resurrezione, dinnanzi alla
quale tutte le altre realtà sono penultime; che con segni efficaci: vivendo
cioè in concreto con uno stile di vita
nuovo, libero dalla tentazione del successo, sperimentando nuove forme di
vita comunitaria e di servizio.
La Chiesa cristiana deve puntare risolutamente verso una nuova forma di
esistenza in seno al mondo di oggi secolarizzato ambiguo e contraddittorio,
per essere, in modo radicalmente nuovo, l’espressione di una fede che si realizza nella libertà
A livello operativo ciò significa che
non possiamo programmare la nostra
speranza cristiana nel mondo ma che
dobbiamo fare delle scelte concrete in
un settore di lotta. E nell’ impegnarci
dobbiamo essere certi che il Signore
« renderà stabile » (Salmo 90: 16-17) la
nostra azione.
Se faremo così non parleremo di libertà, ma saremo testimoni efficaci che
agiscono nella libertà.
Giovanni Scuderi
Non SO come commentare un così equivoco,
ambiguo silenzio. Lascio a Lei, signor Moderatore, ed ai lettori, di trarne le logiche conclusioni.
— Nuovi Tempi: Tratta Targomento su!
n 51 del 21 dicembre, con un articolo di
prima pagina, senza firma, che dobbiamo
quindi attribuire alla penna del suo direttore,
past. G. Girardet.
Dopo aver e alquanto sbrigativamente “liquidato” Tepisodio in sé, con una blanda « denuncia per la violenza irresponsabile » degli
attentatori, Tarticolo trae spunto dai fatti per
formulare una serie, o meglio un guazzabuglio di ipotesi, congetture, illazioni e divagazioni, tutte dirette ad ingenerare il sospetto
che si sia trattato di un satanico « complotto
fascista » con possibili addentellati internazionali (i colonnelli di Atene fanno sempre
comodo!) concludendo con un virulento attacco ai neofascisti del M.S.L del quale chiede perentoriamente la messa al bando (fuori legge).
Tutto questo viluppo fantapolitico è — ben
s'intende — in perfetta armonia con le tesi
proposte dalla stampa di estrema sinistra che
ha subito cercato — e cerca tuttora — un
capro espiatorio su cui far ricadere la responsabilità (almeno morale) delForrenda strage, ben sapendo che il popolo italiano — e
non solo la polizia e la magistratura — hanno invece chiaramente individuato la vera
matrice di simili gesta criminose, e che questa matrice « si colloca » proprio nei settori
politici di estrema sinistra, in quei settori che
hanno sempre (Nuovi Tempi non escluso) più
0 meno esplicitamente fomentato la violenza
come strumento di “lotta” per i finì della
tanto sospirata « rivoluzione » che deve rovesciare il sistema, l’aborrito sistema democratico-costituzionale, in cui viviamo.
È vero che. finora, non pare siano state
raggiunte prove inconfutabili di reità a carico degli anarchici arrestati dalla polizia ed
ora incriminati dal Magistrato, ma è chiaro
che tutti gli indizi e le prove raccolu* inducono a credere che gl’inquirenti non si sono
sbagliati. E, fino a prova contraria, questi
anarchici non sono a fascisti »; sono, anzi, al
polo opposto, a stretto contatto di gomito con
1 marxisti di ogni estrazione e scuola, dai maoisti agli stalinisti, dai castristi ai togliattisti ecc.
Evidentemente, per N. T., i fatti, le prove,
gli arresti, le incriminazioni non contano.
Quello che conta è accusare gli avversari della propria linea politica e, se occorre, denigrarli, ricorrendo ad ogni trucco dialettico, ad
ogni possibile “intorbidamento di acque”. E
questo è tanto vero che, nello stesso articolo,
si arriva ad accusare un periodico come « Epoca » di aver « ospitato testi di netta marca fascista e reazionaria »... invocanti rintervento...
(f di più o meno attivi Colonnelli » (e dài!).
Ora, con buona pace del sig. Girardet, debbo
dire che essendo io abbonato a “Epoca” da
vari anni, posso affermare, in piena coscienza,
che le sue accuse sono assolutamente infondate. Quella rivista segue, da sempre, una sua
propria linea poltica (discutibile, ovviamente,
ma onesta) tanto lontana dall’estrema destra
quanto daH'estrema sinistra e non ha mancato occasione per ospitare articoli di netta .marca antifascista (tanto per usare il linguaggio
del direttore di N. T.) sia prima che dopo la
strage di Milano, denunciando ogni forma di
violenza e di sopraffazione da qualsiasi parte
provenga.
C'è da chiedersi, a questo punto, sig. Moderatore, come mai siamo giunti a tanto, per
quali motivi un giornale che si autodefinisce
‘ evangelico” prenda — non so se volontariamente o meno — cantonate così macroscopiche.
La risposta — a mio avviso — c'è e potrebbe riassumersi in un vecchio ma sempre
valido proverbio : « Chi va con lo zoppo impara a zoppicare »... e chi s'imbranca con i
marxisti finisce col diventare marxista, con
tutto ciò che logicamente ne consegue.
Potrei addurre decine, centinaia di argomenti, o argomentazioni, basate sui fatti, a
comprova della mia affermazione, che può,
forse, sembrare espressione di un « anticomunismo dozzinale e grossolano » come scrive
P. Ricca, ma che non è meno vera per questo. A forza dì « dialogare » con i marxisti,
quanti nostri giovani e meno giovani « intellettuali » non sono forse diventali marxisti della più belPacqua?! (Vedere, in proposito, il
resoconto di M. Rostan sul recente convegno
di Agape in cui si conferma e si tenta di
giustificare il motto « ci confessiamo cristiani
e ci diciamo marxisti » per averne la riprova).
E da dove nasce tutta questa farneticazione
di « denuncie contro la repressione poliziesca »
se non dalla supina acquiescenza alla linea
marxistica che tenta, in tutti i modi e con
tutti i mezzi, leciti e illeciti, di indebolire lo
Stato democratico per instaurare la sua propria ferrea dittatura?
È strano che a blaterare continuamente di
« libertà repressa », dì « diritti democratici
conculcati » siano proprio i comunLsti più accesi i quali, com'è risaputo, non appena agguantano il potere non esitano ad eliminare,
anche fisicamente, ogni oppositore, non solo,
ma anche i « compagni di cordala » e finanche quelli del proprio partilo solo che poco
poco tentino di sgarrare dalla linea imposta
daU’allo (Ceco.slovacchia — nonché Ru.ssia e
Cina e Albania e Cuba, ecc. insegnano).
È tempo, gran tempo, quindi, che i nostri
marxeristiani (o mamàma che dir .si voglia)
(segue a pag. 5)
La Casa Valdese di Vallecrosia
CERCA
cuoco ovvero cuoca per la prossima ripresa delle attività.
Per informazioni scrivere a:
Casa Valdese per la gioventù
Via Col. Aprosio, 194
18019 Vallecrosia (Impcrb)
4
6 febbraio 1970 — N. 6
pag. 3
SULLA SITUAZIONE DELLE CHIESEj¡EVANGELICHE NEL GIAPPONE
Il Kiodan in crisi, a un bivio
La stampa quotidiana e periodica sottolinea, periodicamente, Feccezionale sviluppo economico e industriale del Giappone, che in questo dopoguerra e dopo il
trauma della ’esperienza atomica’ ha decisamente optato per una politica economica piuttosto che militare
(benché il militarismo, compagno del nazionalismo, sia
tutt’altro che morto nel paese del sol levante). Il Giappone si avvia ad essere, a breve scadenza, « il terzo
grande » dal punto di vista della potenza economica e
industriale, come ha documentato il valente giornalista Robert Guillain in un saggio pubblicato recentemente dalle Editions du Seuil (Le Japón, troisième
grand. Paris 1969). Periodicamente, pure, la stampa si
fa eco della profonda insoddisfazione e inquietudine,
specie studentesca, che agita l’industrioso paese dell’estremo oriente. Alla fine dell’autunno scorso, le ele
zioni hanno confermato l’attuale compagine governativa, ma si sente che le fratture sono profonde e si avverte anche là la spirale che irrigidisce le due parti
conducendole verso uno scontro frontale. Forse, la
grande Fiera internazionale di Osaka — la prima in
Oriente — che si aprirà nel prossimo marzo, coprirà
un poco con i suoi colori e la sua risonanza la frattura,
ma non la colmerà sicuramente. E le Chiese? Il cristianesimo è, in Giappone, una minoranza minuscola ma
viva. Come reagisce ai problemi attuali? Ci pare utile
a questo riguardo riprodurre l’articolo di un cristiano
nipponico, che abbiamo letto nel fascicolo di gennaio
di « Evangelische Kommentare ». In questo numero
j)ubblichiamo la parte che inquadra storicamente la situazione delle Chiese cristiane nel paese; la prossima
settimana seguirà la parte dedicata a presentare la composita e difficile situazione odierna di chiese a un bivio.
UN FILOSOFO MARXISTA
PARLA DI GESÙ
Roger Garaudy
e l'BORM di Nazareth
Chi avrebbe potuto prevedere, ancora due anni fa, che le Chiese evangeliche nel Giappone si sarebbero trovate
oggi in una situazione quasi senza uscite? Soprattutto la maggiore di esse, la
Chiesa unita del Cristo in Giappone (il
Kiodan), con circa 200.000 membri, attraversa — si dice — la crisi più grave
della sua storia ed è chiaramente in
pericolo di scissione. Se anche si riuscirà a conservare un’unità formale,
essa potrebbe perdere la sua intima
unità teologica. La situazione è talmente complicata che è difficile far comprendere ad altri quel che eflettivamente succede; anzi è già molto problematico farsene un’idea corretta. Siccome si tratta di un problema proprio
al cristianesimo nipponico, esso è difficile a intendersi; e d’altra parte si
tratta pure di un problema globale,
che si riscontra altrove.
La diffìcile penetrazione
della fede cristiana
La fede cristiana fu portata in Giappone da un gruppetto di gesuiti portoghesi guidati da F. Xavier: ciò avvenne nel 1549, oltre quattro secoli or
sono. Già dopo un’attività di quaranta
anni si riferisce 1’esistenza di duecento chiese, venti ospedali e 200.000 cristiani comunicanti. Ma dopo questi
primi quarant’anni di attività missionaria, il governo cominciò a perseguitare duramente i cristiani. Molti furono esiliati. La persecuzione si fece
sempre più rigida, il cristiano era passibile della pena di morte. Con la morte degli ultimi cristiani superstiti, la
giovane chiesa cristiana in Giappone
cessava di esistere. Durante i due secoli successivi non si fa più cenno di
una cristianità nipponica, anche se in
seguito si scoperse che parecchi laici
cattolici erano rimasti nascostamente
fedeli alla loro fede, anche senza sacerdoti, durante questi due secoli. Era
l’epoca in cui il Giappone si chiudeva
totalmente al mondo esterno. Soltanto degli Olandesi protestanti potevano
esercitare il commercio, in misura limitata, in un’isoletta del Giappone meridionale. Anche durante la cosidetta
restaurazione Meiji, che segnò l’inizio
della modernizzazione del Giappone, in
un primo tempo la persecuzione continuò, il nuovo governo imperiale la
portò avanti con grande rigore: ad
esempio, ancora cinque anni dopo la
restaurazione 500 cattolici morirono
nelle prigioni. Ma la cosa aveva conseguenze politiche: una missione diplomatica del nuovo governo nipponico
fu accolta con estrema freddezza in
Europa e in America. Fino a quel momento in tutto il paese erano esposti
cartelli che minacciavano ai cristiani
la pena di morte. Questi cartelli furono rimossi soltanto nel 1873, e anche
allora lo si fece unicamente perché
essi danneggiavano le relazioni diplomatiche con l’estero. Ci vollero ancora vent’anni fino a che la libertà di
fede fosse inserita nella costituzione.
Si può comunque dire che il primo lavoro missionario, compiuto principalmente dall’America, iniziò soltanto dopo la modernizzazione del paese.
Da allora sono passati cento anni,
durante i quali abbiamo continuamente vissuto degli alti e bassi. Forse posso dire che il numero di tutti i cristiani, inclusi i cattolici, costituisce lo 0,5
per cento della popolazione (100 milioni di abitanti). In termini statistici l’I
per cento della popolazione dovrebbe
essere cristiano, ma purtroppo molti,
che un giorno furono battezzati, non
si fanno più vedere al culto. Non vivono più cristianamente. Gli evangelici sono lievemente più numerosi dei
cattolici, ma quasi si equivalgono.
a\ìe prese cun il paganesinao
tradizionale, con
il nazionalismo e con il
radicalismo comunista
Sebbene noi cristiani giapponesi a
partire dal nuovo inizio del lavoro missionario abbiamo conquistato anche
legalmente la piena libertà di fede,
non è stato davvero facile per noi vivere da cristiani nel Giappone. L’opera missionaria è stata ostacolata dal
paganesimo tradizionale, dall’aritico
pregiudizio contrario al cristianesimo,
dalla vecchia e illiberale struttura della società e il forte influsso delle idee
atee contemporanee provenienti dall’Europa. In particolare il Tenno, l’im
peratore nipponico, fino alla fine dell’ultima guerra dominava come il dio
incarnato. E anche i cristiani potevano esistere soltanto se in qualche modo si adattavano al culto imperiale. La pressione minacciosa di questo
culto imperiale si è fatta così pesante,
sul finire del conflitto, che nella maggior parte delle comunità i culti dovevano sempre iniziare con la cerimonia della venerazione dell’imperatore.
Perciò i cristiani si sono rallegrati
quando nel 1945, quale conseguenza
della sconfitta della loro patria, pensarono di poter godere per la prima
volta della piena libertà di fede: in base ai fondamenti della democrazia la
quale altro non era che un dono degli americani, dei vincitori, anche se
nella storia nipponica vi sono stati numerosi sforzi democratici. Tuttavia negli ultimi venti anni dopo la guerra
si è fatto sempre più chiaro quanto è
difficile, per noi, costruire un paese veramente democratico, una nazione libera, anche se siamo riusciti a diventare il paese più ricco dell’Asia. E ci
chiediamo talvolta, ora, quale futuro
abbiamo davanti agli occhi, noi giapponesi. Forse è vero che ci troviamo
a un bivio. Le opinioni sulla via da
scegliere in avvenire divergono ed è
tragico che proprio in questa situazione si siano fatte sempre più forti le
opinioni politiche radicali di destra e
di sinistra. Mentre il partito comunista si è fatto potente, specie fra i giovani, è rinato sotto nuova veste l’antico nazionalismo. Fra questi due poli
stanno numerosi giapponesi, che vorrebbero edificare una nazione pacifica
con mezzi pacifici. Questo era l’ideale
dei giapponesi vinti e perciò nella nuona costituzione le forze armate sono
rifiutate come strumento per risolvere
i conflitti fra le nazioni. Oggi però essi
non sanno più che fare per attuare
questo ideale. E vi sono molti cristiani
fra coloro che considerano con disperazione la situazione politica tesa, nella quale le tentazioni vengono, per i
cristiani, dalle due parti.
Il “caso,,
del tempio lasnkumi
Ne è un segno la resistenza cristiana al governo a proposito del problema del tempio lasukumi. Al centro
della capitale, Tokio, vi è un tempio
shintoista, il tempio lasukumi, appunto, nel quale dall’inizio del nuovo impero del Tenno, un secolo fa, vengono
venerati i soldati caduti. Il nazionalismo militare costringeva tutti i giapponesi, quindi pure i cristiani a venerare come degli dèi, in questo tempio,
i soldati caduti. Subito dopo la caduta
del Giappone militarista il tempio divenne indipendente dallo Stato, in base a un articolo della nuova costituzione sulla separazione fra Stato e religione. Il governo ha però presentato
al parlamento un progetto di legge per
ri-statal¡zzare questo tempio. Nell’ultima sessione il parlamento non potè dibattere questo progetto di legge, perché il governo e il suo partito volevano a tutti i costi far passare una legge sul controllo della situazione caotica nelle università e furono così costretti ad accantonare altre questioni;
tuttavia nessuno dubita che il governo
riproporrà al parlamento il medesimo
progetto.
Il governo giustifica la statalizzazione del tempio affermando che è dovere di tutti i giapponesi venerare come
divinità i soldati che si sono sacrificati
per la patria, e che tale venerazione
non dev’essere un atto di culto di una
data religione, ma semplicemente il
gesto di una religiosità giappone.se generale, che va distinta dalle religioni
particolari e che quindi non contrasta
con la fede cristiana. Pure durante il
periodo bellico il governo di allora aveva, con la medesime giustificazioni, fatto dello shintoismo una religione di
Stato e costretto così i cristiani a venerare il tempio shintoista, accanto al
culto imperiale di cui abbiamo parlato prima. Il governo attuale sembra
dunque voler fare una volta ancora un
nuovo passo in quella direzione. Non
soltanto i cristiani, ma anche gli adepti
delle cosidette nuove religioni, oltre al
Soka-Gakkai, e molti buddisti ortodossi protestano con grande energia contro questa decisione politica del governo. Membri delle comunità di varie
denominazioni hanno organizzato dimostrazioni di massa, scioperi della
fame e azioni di protesta contro il
progetto governativo. Alcuni dei dimo
stranti sono stati arrestati dalla polizia, ma subito rimessi in libertà.
Molti giapponesi pensano che questo
culto del tempio corrisponde al sentimento naturale nipponico e stentano
a capire che cosa significhi la libertà
della fede e quanto sia importante. Si
dice: i cristiani non hanno il diritto
di esigere la totale separazione fra religione e Stato. Infatti il cristianesimo
europeo e americano ha alle spalle
una lunga storia di stretti legami con
lo Stato. E chissà se oggi esso è davvero libero dallo Stato o no, anche se
la separazione fra Chiesa e Stato è un
articolo costituzionale delle nazioni
democratiche moderne? Come rispondiamo a queste domande?
Anche su questo punto, però, il fronte si è spezzato in due. Fra i giovani
cristiani si leva sempre più la voce
critica la quale afferma che l’idea della libertà di fede è, in sé, una vecchia
idea borghese e che perciò i cristiani
dovrebbero impostare la loro resistenza non soltanto in termini religiosi, ma
piuttosto come una lotta politica contro il disumano capitalismo imperialistico; soltanto in questo contesto politico sarà risolto anche il problema
religioso. Da quando questa voce si è
fatta udire, i cristiani sono divisi in
due gruppi che discutono e lottano fra
loro.
Tsuneaki Kato
In questi giorni si parla parecchio
del filosofo Roger Garaudy, figura di
primo piano del partito comunista francese, sempre più sospetto per la sua
indipendenza nei confronti del Cremlino, ultimamente condannato con durezza dalla « Pravda », soprattutto in
seguito alla pubblicazione del suo saggio La grande svolta del socialismo;
egli rischia ora l’espulsione dal PCF,
comunque dal suo ufficio politico. La
stampa borghese sottolinea questi contrasti, che per altro non significano affatto un indebolimento del marxismo
di Garaudy. Ma qui vogliamo ricordare che egli è stato da tempo uno dei
più vivi fautori del dialogo fra marxisti e cristiani. Pubblichiamo qui, riprendendoli da «Informations Catholiques Internationales », alcuni stralci
del contributo che R. Garaudy aveva
scritto per il n° di dicembre della rivi-,
sta francescana « Evangile aujourd'hui », intitolato L’homme de Nazareth
e contenente testimonianze e studi su
Gesù, secondo ottiche diverse. Sono pagine appassionate, queste di Garaudy,
e mostrano la possibilità e i limiti severi del confronto fra marxisti e cristiani dinanzi alla testimonianza evangelica.
AU’incirca sotto il regno di Tiberio, non si sa esattamente dove
né quando, un personaggio del
quale si ignora il nome ha aperto
una breccia nell’orizzonte umano.
Non era, senza dubbio, né un filosofo né un tribuno, ma dev’essere
vissuto in modo tale che tutta la
sua vita voleva dire: ciascuno di
noi può, in ogni momento, cominciare un avvenire nuovo (...).
Per gridare fino in fondo la buo
MiimiiiiijDiniiiiiiiiiimiimiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiimiitiimniiiiiiiiiitmmmiiii'iiiiimimiMititiiiHimii
A FIRENZE
La settimana delle controprove
La « Settimana di preghiera per la
unità » ha consentito una serie di verifiche; sappiamo che qui la situazione
è particolare, e non pensiamo che la
nostra linea sia valida ovunque. Ancora una volta ci siamo trovati nella situazione sgradevole di dover fare una
scelta: da un lato una richiesta ufficiosa di riunioni di preghiera liturgica, richiesta girata per mezzo degli
episcopali americani (mai visti fino a
oggi!); dall’altro la fraternità con le
comunità cattoliche del dissenso e i
gruppi parrocchiali ’aperti’.
Abbiamo avuto tre riunioni affollatissime, con rappresentanze di numerosi movimenti cattolico-romani; 500
manifesti hanno detto alla città delle
tesi comuni sul problema ecumenico;
a ogni riunione (dai battisti, in una
chiesa cattolica, dai valdesi) un pastore e un prete hanno aperto un discorso al quale hanno partecipato tanti laici, nella preghiera come nella meditazione biblica. L’agape finale ha visto
circa 160 partecipanti. Erano presenti
dei pastori e missionari protestanti
stranieri come diversi sacerdoti romani; naturalmente la chiesa ufficiale ha
ignorato la cosa, avvallando l’amara
constatazione che l’ecumenismo romano debba cominciare all’interno di
quella stessa chiesa che non accetta
né pluralismo teologico né manifestazioni di libertà evangelica.
Durante la settimana si sono registrate altre iniziative. Allo ’Stensen’ —
un centro universitario gestito dai gesuiti, molto attivo — il nostro anziano
Salvatore Caponetto ha partecipato a
una tavola rotonda sugli « aspetti teologici della chiesa locale nel pensiero
cattolico e nella concezione protestante ». Gli altri interlocutori erano p. V.
Joannes dell’IDOC di Roma e il prof.
M. Adriani dell’università di Firenze.
Il past. Sommani ha partecipato ad
Arezzo a una serie di incontri con la
partecipazione del vescovo e, cosa ancor più interessante, di una bella rappresentanza della locale chiesa dei fratelli. A Perugia lo stesso pastore è sta
to invitato da un gruppo ecumenico,
ed ha portato un contributo evangelico a una riunione informale, estremamente interessante.
Il past. Santini ha aperto un colloquio con gli allievi del seminario minore e gli studenti di varie congregazioni, raccolti con gli insegnanti nell’aula magna; all’introduzione sul problema dell’unità è seguita una fitta serie di domande, di chiarimenti. Lo stesso pastore, su richiesta di un ’consiglio presbiteriale’ (il nostro consiglio
di chiesa!) ha annunziato l’Evangelo
alla messa di mezzogiorno, domenica 25, in una parrocchia cattolico-romana fra le più vive della città.
In sostanza, questa ’settimana’ ci ha
fatto intendere bene che il cattolicesimo oggi è vivo e p’ercorso da fermenti di ogni genere: delle forze latenti si
sono sprigionate, la riscoperta dell’Evangelo — ascoltato con amore, inteso con l’allegrezza di chi scopre una
novità buona — forma dei gruppi, nelle stesse parrocchie, delle personalità
decise e non lasciarsi strumentalizzare dall’onnipotenza dell’istituzione ecclesiastica. Fra i giovani seminaristi
passa uno spirito nuovo, si formano
sacerdoti sempre meno disposti ad accettare l’intimidazione autoritaria. Nel
clero vi è un patimento, una sofferenza provocata dalla sordità delle gerarchie ufficiali come dal percepire la fine
di un mondo (anche teologico) che
sembrava ’definitivo’, ed era solo convenzionale. L’ecumenismo ha un senso
reale per questi uomini e gruppi che
non fanno delle beatitudini una pia
frode.
S.
na novella bisognava che egli stesso, con la sua risurrezione, annunciasse che tutti i limiti, anche il
limite supremo, la morte stessa è
stata vinta.
Questo o quell’erudito può contestare ogni fatto di questa esistenza, ma ciò non cambia nulla a
questa certezza che trasforma la
vita. Un incendio è stato acceso.
Esso prova la scintilla o la fiammata che per prima l’ha fatto nascere.
Questo incendio è stato al principio una sollevazione di miserabili oppressi (gueux), altrimenti da
Nerone a Diocleziano ì’establishment non li avrebbe colpiti con
tale violenza. In quest’uomo l’amore doveva essere militante, sovversivo, altrimenti non sarebbe
stato, lui per primo, crocifisso (...).
Era come una nuova nascita dell’uomo.
Guardo la croce che ne è il simbolo e ripenso assorto a tutti coloro che hanno allargato la breccia: da Giovanni della Croce, che
ci insegna, a forza di non avere
nulla, a scoprire il tutto, a Karl
Marx, che ci ha mostrato come si
può cambiare il mondo, a van
Gogh e a tutti coloro che ci hanno
fatto prendere coscienza che l’uomo è troppo grande per bastare a
sé stesso.
Voi, ricettatori della grande speranza che Costantino ci ha rubata,
voi gente di chiesa, rendeteceLo!
La sua vita e la sua morte sono
anche nostre, di tutti coloro per
i quali hanno un senso. Di noi che
abbiamo imparato da lui che l’uorno è creato creatore.
Il potere di creare, attributo divino dell’ uomo: eccola, la mia
ostia di presenza reale ogni volta
che qualcosa di nuovo sta nascendo per rendere più grande la figura umana, nell’amore più folle come nella ricerca scientifica, nella
poesia come nella rivoluzione.
Roger Garaudy
ASSQC. « AMICI DEL COLLEGIO »
In inenioria del past. Elio Eynard
(seconda lista)
Lydia, Sergio e Bruno Eynard L. 20.000;
la sorella Elda L. 20.000.
Past. Silvio Long, L. 20.000; Geraldo Mathieu e famiglia, 10.000; Prof. Luigi Micol e
famiglia, 6.000; Lea ed Enrico Beux, 5.000;
Maria Grill, 5.000; Bruno Giovanni Elodia,
2.000; Prof. Frida Gardiol, 2.000; Malvina
Besson, 25,000.
liiiiiiiiitiiiiimimiiiimiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiHimiiimiiiiiiiiiimiiitiiiiiiiiiiHmniiMiimiiiii
Espulsione di ebrei dalia Poionia
Zurigo (epd) — A partire daH’autimno 1969 si sta silenziosamente verificando l’espulsione di ebrei dalla loro
patria polacca. Soltanto ultimamente
la stampa mondiale ha cominciato a
riferirne, non senza essere violentemente criticata da parte polacca. È comunque un fatto che sono finora giunti 1.500 ebrei polacchi in Danimarca e
circa 2.000 in Svezia: il loro arrivo è
definitivo, essi devono apprendere la
lingua del paese ed essere in seguito
inseriti nella vita lavorativa. In Danimarca essi sono stati in un primo tempo ospitati su di una nave-hòtel chiaramente visibile nel porto di Copenhagen, in Svezia invece in alberghi in alcuni luoghi di villeggiatura del sud,
pochissimo notati dall’opinione pubblica e passati sotto assoluto silenzio
dalla stampa delle grandi città, soprattutto di Stoccolma, un silenzio inspiegabile. Gli scettici pensano che si tratti di un accordo fra governo e starnpa
— del tutto contrario alle abitudini —
per riguardo alla Polonia e in genere
alle buone relazioni con l’Oriente. Circola pure Fopinione che la Svezia non
sia del tutto disinteressata in questa
emigrazione di massa (la maggiore,
dalla fine della guerra), poiché nella
maggior parte dei casi questi emigranti ebrei polacchi rappresentano un’élite intellettuale (professori, giornalisti,
impiegati superiori), utilmente integrabili nel processo lavorativo svedese.
Malgrado le dichiarazioni ufficiali polacche, è indiscutibile che si tratti di
espulsioni: la persecuzione di questi
pretesi « sionisti » iniziò dopo il conflitto arabo-israeliano. Gli ebrei polacchi cominciarono ad essere sistematicamente allontanati dai loro posti:
nella maggior parte dei casi si tratta
di persone che si sentono meno polacche che ebree; in vari casi sono battezzate e per di più comuniste convinte. Ufficialmente essi hanno ottenuto
il visto di espatrio soltanto per Israele,
mentre il loro passaporto è stato annullato. L’espatrio costa 5.000 zloty e
gli emigranti possono recare con sé
soltanto ciò che possono portare personalmente. Le guardie di confine chiudono maifestamente un occhio, quando gli espulsi non partono alla volta
di Israele ma con il traghetto ufficiale
che porta in Scandinavia. Richiedendo
l’espatrio l’ebreo polacco deve riconoscere di essere un sionista e un « cattivo polacco ». Il passaporto d’emigrazione costa dieci volte il prezzo di un
passaporto normale. Secondo quanto
riferiscono gli emigranti, durante la
prima ondata di espulsioni — un periodo di circa sei settimane — sono
stati epurati 140 impiegati superiori,
fra i quali ministri, docenti, giornalisti ecc., tutti ebrei polacchi.
Nei riguardi degli ebrei polacchi nell’autunno 1969 il governo svedese peva autorizzato la propria ambasciata
a Varsavia a concedere il visto d’ingresso a un contingente di 2.000 ebrei
polacchi, contrariamente alla prassi
consueta che implica il vaglio personale delle domande.
5
6 febbraio 1970 — N. 6
pag. 5
Si orjjiinizza un viag|io per il Sud-Aineriea
PINERQLO
ANCHE IN VAL PELLICE
Tanto nelle Valli Valdesi come in diverse
comunità di altre regioni italiane e così pure
in alcuni cantoni svizzeri è ancora vivo il ricordo del secondo Pellegrinaggio dei Valdesi
deirAmerica del Sud effettuatosi nell’estate
del 1961 cui parteciparono ben 37 fratelli e
sorelle di quel ramo della Chiesa Valdese. Visitatori e visitati ebbero modo di sentire che i
vincoli tra valdesi sudamericani e valdesi
« europei » sono una realtà viva e benefica.
E molti pensano die le visite « collettive » del
1956. del 1958 e del 1964 abbiano contribuito efficacemente al mantenimento ed al rafforzamento di quei vìncoli; forse in modo ancor più efficace di una costituzione unitaria o
delle visite dei rappresentanti « ufficiali » della Chiesa stessa.
E poiché Tultima dì queste visite collettive
è stata fatta nella direzione Sud-America-Europa, tocca ora contraccambiarla... neH'altra
direzione. Ciò era stato previsto, in linea di
massima, per il 1968, ma si dovette, per varie ragioni, rimandare. Ma non alle calende
greche! E siccome Tinteresse ed il desiderio
dei nostri fratelli sudamericani di esprimere
concretamente la loro riconoscenza per l'accoglienza cordiale, generosa, ricevuta ovunque,
non si sono spenti in questi cinque anni e
molte persone aspettano quasi con impazienza di dimostrarlo, e altre persone, in Italia ed
in Svìzzera stanno sollecitando informazioni
sulla eventualità dì un viaggio in America
del Sud nel corso di quest’anno, dopo non pociie esitazioni, ho finalmente preso la decisione di... offrire ì miei servizi per lorganizzazione di tale viaggio. Dopo averne parlato, a
suo tempo, con il « Moderador » della « Mesa
Vaidense » e recentemente con il Moderatore
della Tavola Valdese, ne parlai alcuni giorni
fa con alcuni membri del Comitato Direttivo
delia Società « Enrico Arnaud » di Torre Pellìcc, che nel 1964 aveva accolto l’idea ed
aveva annuncialo che il viaggio in questione
si sarebbe realizzalo nei 1968. Ed oggi « rilanciamo )) Tiniziativa per quest'anno 1970, ed
annunciano che le iscrizioni sono aperte.
Repressione poliziesca
0 repressione della verità?
(continua da pag. 4)
che si sono lasciati irretire, e taluni perfino
inebetire, dalla propaganda marxista siano
chiaramente avvertiti che stanno camminando
verso Tahisso, completamente « braibantizzati »
■o « pasolinizzati » e che. quando si sveglieranno dairipnosi... sarà forse troppo tardi. Per
tutti, ma soprattutto per loro.
Ed è anche tempo, credo, che i gruppi redazionali dei nostri periodici cambino strada
perché, anche se i « conservatori » (ai quali
mi onoro di appartenere, ma non nel senso deteriore e quasi infamante che oggi si vuol
dare a tale appellativo)... non sono il 90% dei
nostri membri di chiesa, come scrive il past.
Santini, essi ne costituiscono tuttavia il maggior nerbo ed hanno pieno diritto ad un minimo di rispetto delle proprie opinioni e — so]>rattutto — della verità, da parte della stampa evangelica che non può e non deve diventare monopolio di alcun gruppo.
','da, sig. Moderatore, Suo
Aldo Long
jiomu. f.' inaio 1970
Un silenzio ambiguo?
Si tratta di una « lettera aperta al Moderatore»: sarà quindi il past. N. GiampiccoU,
se. lo riterrà opportuno, a rispondere alla questione di fondo suscitata dal nostro fratello e
lettore. Tuttavia ¡'autorità ultima di appello,
fra noi. e il Sinodo: e mentre in questi ultimi
unni le linee della nostra stampa periodica so710 stale ripeiutamenie e. a lungo dibattute in
ifitelia sede, dimostrando larghi e profondi
dissensi ma pur senza che la maggioranza dei
rappresentanti delle chiese scojifes.sasse il nostro lavoro, non vedo d'altra parte in questi
ultimi illesi elementi nuovi atti a modificare
questo provvisorio giudizio, imponendo l intervento della Tavola Valdese. Lasciando alréquipe di « ISuovi Tempi » di rispondere
per quel che. la concerne, voglio qui soltanto
spiegare le ragioni del nostro .silenzio, forse
ambiguo, sugli odiosi attentati in questione.
Semplicemente non sapevamo che dire: e — a
dijjerenza di Aldo fjong — siiitìio tuttora nella
piu grande incertezza: coniiCnque. luti altro
che convinti della tesi che per il nostro interlocutore pare co.sì evidente: la responsahilità del Valpreda è infatti tutt altro che accertata (come pure il suo sfondo politico e
umano), mentre le testimonianze sul Pinelli
rendono assai ambigua (questa .sì!) la sua
fine tragica: quindi dàlU alTanarchico (ecc.)
ììoi. fino a migliore informazione, ci rifiutiamo di urlare. E questo non per paura della
verità o. peggio, neirintento conscio o inconscio di disiorcerla. ma proprio per amore
della verità. Come per amore della verità rifiutiamo lo .sfruttamento repressivo a senso
unico — Io sottolineava bene L. Santini, la
scorsa settiTuana — che delle spontanee reazio-^
ni umane a questi crimini (ugualmente odiosi
e condannahili senza appello né riseriw.. qualunque colore abbiano) hanno fatto e ancora
stanno facendo settori e forze facilmente individuabili della società italiana, dai quali
non vorremmo che libertà e democrazia fossero. come già altra volta, fin troppo protette...
Come finì, lo sappiamo. Perdo aspettiamo^ e
cerchiamo — a occhi bene aperti — la venta
vera, quella che la giustizia dol^rebbe infine
mettere in luce e quella che ci si svolge sotto
gli occhi impastata di menzogna. Ora il nostro silenzio non e piii equivoco ne ambiguo.^
È umile, perché ignorante: ma non cieco, né
rassegnato.
Ma vorrei porre ancora una domanda al
fratello Long, concludendo: come mai non ci
rimproiypra un altro silenzio: quello sull «: auliinno caldo »? Quello si è .staio un silenzio
ambiguo, e in redazione lo sentiamo come
una colpa: incertezze e confusioni hanno determinato una grave mancanza di franchezza
evangelica, e per timore, di dir male, non ahhiamo detto nulla.
Gino Conte
Non è possibile precisare le modalità del
viaggio nei loro dettagli, per il semplice fatto che abbiamo bisogno di sapere prima se vi
è un numero sufficiente di persone interessate. Se questo numero non ci fosse, naturalmente riniziativa cadrebbe di per sé. E sarebbe peccato! È dunque indispensabile che
gli interessati ci facciano sapere che sono disposti a fare il viaggio, pur sollecitando tutte
le informazioni che credono opportune, scrivendo. entro il 31 marzo — se possibile prima. è ancor meglio — al sottoscritto. Pastore Silvio Long, Via Zurigo 3, 6900 Lugano,
ovvero all'Ing. Pontet. 10066 Torre Pellice
(Torino).
I dati approssimativi concernenti il costo
del viaggio in nave, la durata del viaggio
e la data del medesimo, che possiamo dare
sin d'ora sono i seguenti :
Cosío; tra le 300 e 350 mila lire o 2000 a
2500 franchi svizzeri (le spese di soggiorno al
Rio de la Piata non sono comprese, ma saranno modiche).
Durala complessiva del viaggio: poco meno
di due mesi.
Data: tra la metà di agosto e la metà di
ottobre.
Restiamo in attesa delle vostre iscrizioni.
E speriamo che siano numerose.
Silvio Loisg
L'asseinbiea di chiesa è stata convocata domenica 25 gennaio con il seguente o.d.g. :
a) relazione dei delegati alla conferenza
distrettuale deIT8 dicembre "69;
b) finanze;
c) nomina dei revisori dei conti. Sono
stati nominati i fratelli: Giancarlo Guìol, Silvio RcveI, Luciano Rivoira.
d) convalida o meno deU'esperimento del
leitorc. (L'esperimento è stato convalidato).
Il 26 sera ha avuto luogo un incontro dei
membri della corale di Torino con i membri
della nostra corale.
La commissione di studio sul matrimonio e
divorzio prosegue il suo lavoro, e riferirà sull'argomento nell assemblea di chiesa dell'8
febbraio.
Giovedì 5 febbraio, alle orel5, organizzata
dairUnìone Femminile, avrà luogo nella nostra sala una conferenza, con proiezioni, del
missionario Roberto Co'isson, sull'opera nel
Gabon. Tutti sono cordialmente invitati.
Domenica 8 alle 14.30 si svolgerà l’assemblea di chiesa con il seguente o.d.g.:
«) relazione sul problema del matrimonio
t divorzio;
b) discussione e formulazione di un o.d.g.
della nostra comunità.
Il Past. Luigi Maraiida ha compiuto felicemente 88 anni. Ci felicitiamo con lui e con
Scuola dell’obbligo; gratuita?
la sua famiglia e chi
stenerlo ancora con !
■diamo al Signore di sosua grazia.
Torre Pellice, 3 febbraio. - Nel corso
deH’incontro scuola-famiglia tenutosi
alla scuola media statale di Torre Pellice, la sera del 2 febbraio, circa sessanta genitori hanno sottoscritto il seguente « volantino », decidendo di non
inviare i figli a scuola, come impegno
di solidarietà con gli studenti di Bobbio Villar, Angrogna, Pra del Torno,
privati del servizio trasprorto-allievi.
L’azione di protesta continuerà fino a
che tale servizio non sarà ripristinato.
Genitori, Studenti, Insegnanti,
Da oggi gli studenti che frequentano
la scuola media statale o le professionali di Torre Pellice e che abitano a
Bobbio Villar ed Angrogna sono senza trasporto. Ancora una volta la scuola italiana denuncia le sue deficienze.
Di fronte alla mancanza di fondi i Comuni di Torre, Villar, Bobbio ed Angrogna sono stati costretti a sospendere il servizio.
Chi porterà le conseguenze di questa
situazione?
La legge stabilisce che la scuola dell’obbligo (fino ai quattordici anni) è
iiimiiiiminmiiminmbiiiiiiiiiiiiii
iiiliiiMiiniimitiimi
La setHmana per
A Venezia
comunione certame»
canti, di preghiere
Anche quest’anno la Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani è
stata organizzata a Venezia in collaborazione con i cattolici ed i greci ortodossi. Superata la fase delle uificialità
e delle prudenze calcolate, abbiamo
avuto in piena libertà e fraterna fiducia, che non è andata delusa, tre culti:
nella Chiesa Valdese (il 18/1), in una
Chiesa cattolica (22/1) e nella Chiesa
ortodossa (25/1); in essi, seguendo la
liturgia del volumetto stampato dalla
Federazione delle Chiese Evangeliche,
è stato possibile ai presenti confrontarsi sulla Parola di Dio ed udire la
predicazione del pastore, di un sacerdote e deH’archimandrita.
Il tema scelto non è stato quello ufficiale della Settimana, bensì quello
che localmente abbiamo reputato più
attuale: Fede e Libertà: le Chiese dinanzi alla necessità di una revisione
ci ha permesso un confronto tra di
noi, e con quella realtà vivente di richiamo ad una concreta fedeltà a Cristo, che risuona nella voce di una parte della contestazione attuale, per cui
ci siamo sentiti realmente liberi nelle
discussioni e nella formulazione dello
schema liturgico i cui passi, diversi
/per ogni Chiesa, avevano però il medesimo fine: richiamare i credenti alla
realtà della contestazione di Dio sulla
sua Chiesa.
Occasione di testimonianza e di presenza evangelica è stato anche l’invito, rivolto al pastore ed accolto con
gioia, a partecipare ad una riunione
di preghiera (per la prima volta a Venezia) organizzata dai Benedettini di
San Giorgio Maggiore. Sia la predicazione del pastore Scuderi su Atti 4:
23-30, che quella del priore su Matteo 6: 5-15 hanno messo i presenti dinanzi alla neces.rità di una revisione
del modo tradizionale di pregare, secondo le indicazioni della Parola di
Dio. È la prima volta che in quella
comunità monastica è possibile a un
pastore parlare e far sentire la voce
di una impostazione teologica e spirituale propria. Che la esperienza sia
stata positiva si può dedurre dal fatto
che il past. Scuderi è stalo invitato ad
un nuovo incontro con quella comunità per una fraterna discussione sulla
base della Parola del Signore.
Martedì 27 il past. Scuderi ha parlato anche al « Movimento impiegati
cattolici » sul tema: La contestazione
nelle Chiese Evangeliche. Due
a V'enezia all’Ateneo Veneto (21/1) ed
a Mestre al Laurentianum (22/1), è stata tenuta la « tavola rotonda » sul tema: Fede e Libertà: le Chiese dinanzi
alla contestazione, e, oltre che nella
esposizione, anche nelle risposte alle
varie domande ò stato possibile presentare senza equivoci la nostra fede
nel momento storico attuale.
Giovanni Scuderi
A Trapani
In questo cslreino lembo (l'Italia le cose
del mondo — le buone e le cattive — .scendono lentamente sino ad arrivare abbastanz.i ritardale nel tempo. Così c per la n Settimana deirUnilà ». Mentre altrove essa è in
fa.se di stanchezza qui, la .seconda volta (die la
celebriamo, c ancora tinta dei tiepidi colori
della novità e della speranza. Come un po'
dovunque in seno alla Chiesa Cattolica, anche qui (lei gruppi aperti avvertono Passurdità della divisione dei cristiani e delle Chiese
. sentono vivo ed attuale l'appello alPunità
che viene da ogni parte. Ma il fatto per cui
li chiesa Cattolica .s'è a ])Oco a poco infinitamente allontanata dal primo messaggio evangelico crea una tale problematica che la (( .settimana (leU'Unilà ». con relative finalità, c
portala ad esaurirsi in gesti formalistici, vuoti
e senza domani.
La domenica del 18 gennaio abbiamo partecipato ad un cullo dì unità tenuto dai cattolici nella chiesa di S. Giuliano. Tutta la
cerimonia, pur bella nella novità della presenza delle due confessioni e inimmaginabile
sino ad alcuni anni fa. si è esaurita in una
sincera ma astratta di
letture.
La domenica segiG nte i cattolici con alcuni sacerdoti hanno eso parte ad un nostro
culto. Il diacono -X. Cusumano ha preso per
primo la parola c
del capitolo tradii
rimi, facendo noi;stiani che in nomi
proprio tra loro.
Gesù, sopraffacen.
glio, della calum
più feroci. 11 pus'.'
pieghiera dì Gesù
poli secondo Gio\ :
non è possibile mrinnegare come e.~
l'unità tutte le C;
sono dottrine di
che. Le teologie
parare i credei! i
mensa deU’unilà
nentando alcuni versetti
ino della prima ai Col’assurda storia dei criCristo hanno straccialo,
ririmo comandamento di
con lo spirito delTorgodeU'odio, delle guerre
quindi, commentando la
r Tunità dei suoi disce17, faceva notare come
l’unità in Cristo senza
fiali alla fede e a queloni e le tradizioni che
ini e di scuole teologie tali non debbono seneppure d’innanzi alla
è TEucaristia, Se unità
dei crìsHanì
significa unità in Cristo — e non può essere
altrimenti — ciò vuol dire che non si può
essere prima cattolici o luterani o ortodossi
c poi cristiani, ma prima di tutto cristiani e
poi, se si vuole, tutto il resto nella libertà
del vicendevole gioioso riconoscimento, nella
fede, di perfetti figli di Dio e fratelli in Gesù
Cristo. Venga il giorno in cui il prete possa
dire ai membri della sua comunità : a chi facesse comodo, in tale via e a tale orario v’è il
culto nella Chiesa Valdese. Dopo ha preso la
parola un sacerdote per sottolineare i punti
d' accordo o di disaccordo col pastore. Particolare attenzione ha suscitato un giovane cattolico che hii proposto degli incontri con la
gioventù evangelica e al quale ha risposto il
giovane universitario Palermo. Una corale di
giovani cattolici ha eseguito dei bei canti. Un
grazie a tutti quanti hanno contribuito alla
buona riuscita, per Tedìficazione vicendevole,
di questa seconda « Settimana dell’Unità » nella nostra città. P. G.
iiiiiiiiiaiiiiiitiKiiiiiiimiiii
iimiiiiiiiiiimiiiiiiMiiiiiiiiiiiiimiimiiimiiiMii
iiiiiiiiiniiiiimmiin
Una sene di riunioni a Torre Pellice
1 concistori di Aog ogna, Luserna S. Giovanni e Torre Pellìd: riuniti una sera nella
nostra sala delle attivjifii hanno deciso di destinare la colletta del culto del 17 febbraio alle
opere sociali del Gabon.
La nostra comunità est rime la sua riconoscenza ai pastori B. Bellica. G. Bertin, G. Bogo, R. Co'isson, E. Ganz, 1'". Jahier, A. Taccia,
E. Tron ed ai predicatori laici D. Gardìol, Lazier, U. Rovara. E. Paschclfo. A. Varese per i
culti che hanno diretto durante l’anno 1969.
Nell’assemblea di chiesa del 25 gennaio si è
parlato della festa del 17 febbraio e sì è discusso sulla liturgia diti matrimonio religioso,
sul divorzio, .sulla eventualità di seconde nozze dei divorziati. Un ordine del giorno riassuntivo. da presentare alla commissione sinodale sul matrimonio, secondo le decisioni del
Sinodo sarà preparato da una commissione
c((mposta da Mirella Bein. Fiorentine Eynard.
Bruno Rostagno e Mario .Sereno.
La sera del 25 gennaio il dott. E. Peyrot
ha presentato una serie di bellissime diapositive della festa del 17 febbraio, alla riunione
della Società E. Arnaud.
Esito veramente lusinghiero ha avuto il
concerto vocale e strumentale di musica sacra
organizzato dal maestro e organista Ferruccio
Rivoir, colla partecipazione della Corale Valdese di Luserna S. Giovanni e del gruppo di
ottoni della Val Pellice. Musiche di Alcock.
Pezelius. Cernohorsky, Roberday, Neumark,
Ghro, Grecite. Werbe, J. S. Bach, Krüger et
Krieger. Metà deU'incasso è stalo devoluto al
Collegio Valdese.
I.a prima domenica di febbraio, nella sala
della Fore.steria. colla competenza che tutti
gl'( conoscono, il prof. A. Soggin ha tenuto
una conferenza organizzala dal comitato del
Collegio Valde.se, sul tema (( Israele, il sionismo c la chiesa cristiana ». Pubblico molto nunicro.so c attento. Auguriamoci vivamente di
avere ancora il Prof. Soggin in mezzo a noi
per altre conferenze.
Si -sono uniti in matrimonio Fiddino Benecb
(Angrogna) e Bruna Laura Bounous (Ravadera).
Hanno terminato la loro esistenza terrena.
Sofia Malati ved. Cbauvie (Chabriols) Armando Peyronel (Appiotti) Giuseppe Bricco (Chabriols). Alle famiglie in lutto rinnoviamo
l'espre.ssione della nostra viva simpatia.
Durante l'anno 1969 abbiamo avuto 20 battesimi. 11 matrimoni e 40 funerali.
Lina Varese
Martedì 17.
ore 10.30
FRALI
L'influenza giunta a Frali relativamente
lardi ha colpito violentemente la comunità
costringendo molti a letto e creando numerosi casi seri e pericolosi. Purtroppo alcuni
Fratelli, già indeboliti da precedenti malattie,
non hanno resistito alle complicazioni che ne
sono derivate. Cosi il 29 dicembre è deceduto
a Iiidritti Giovanni Daniele Arlus all età di
7(1 anni e già da parecchi anni sofferente per
una silicosi contratta durante il lavoro in
miniera.
Pochi giorni dopo, il 13 gennaio è mancalo
Giovannino Barus all'età di soli 17 anni dopo
numerosi anni di sofferenza che avevano gravemente limitala l allività dei suoi anni gio
culto di rendimento di grazie con
la partecipazione degli alunni delle scuole.
ore 12.30 - àgape fraterna, nella Sala Albarin. Discor.so commemorativo e
messaggi.
ore 21 - il « Gruppo Filodrammatico Val
dese di San Giovanili » presenterà il dramma di Artur Miller;
Incidente a Vichy. Negli intervalli, la Corale Valdese di S. Giovanni presenterà alcuni cori.
Il programma completo sarà ripetuto Sabato 21 alle ore 21 e domenica 22 alle ore 15.
Per la partecipazione all'àgape, si prega di
prenotarsi entro sabato 14. acquistando il relativo tagliando (L. 1.400) presso: cari. Bein
(Airali): Confezioni Lapisa (Airali); casalinghi
Lapisa (Via Beckwitli): comm. Malan-Chauvie e Benech-Albarin (Bellonatti).
gratuita. In realtà la spesa dei libri di
testo della media è a carico delle famiglie e le sovvenzioni per il trasportoalunni vengono elargite in misura insufficiente come un sussidio e non come un doveroso servizio sociale.
I finanziamenti per questo scopo
sono dunque precari e la soluzione del
problema è legata troppo spesso alle
possibilità ed alla sensibilità delle amministrazioni locali.
« Il diritto allo studio » è dunque una
frase vuota. Come potranno esercitare
questo diritto gli studenti di Bobbio,
Villar, e Angrogna appartenenti a famiglie non agiate, senza mezzi privati
per raggiungere la scuola? Il peso economico ricade ancora una volta sui
contadini e sugli operai delle nostre
Valli che vengono scoraggiati dal mandare i figli a scuola. Ancora una dimostrazione di come i figli dei « poveri »
debbano fermarsi ai gradi più bassi
dell’istruzione.
Che cosa possiamo fare?
Anzitutto crediamo sia ingiusto che
una parte degli alunni continui a poter
frequentare regolarmente la scuola ed
altri no.
Se qualche azione si può intraprendere, questa deve trovare solidali anche
gli studenti ed i genitori che abitano a
Torre Pellice.
(seguono le firme)
La mattina del 3 gli studenti della
media statale, in sciopero, hanno raggiunto il Collegio Valdese, per invitare
anche quegli studenti a unirsi a loro;
un po’ di gazzarra, tentativi di "assemblee": alla fine gli studenti del Collegio
SI sono uniti ai loro compagni. Si potran fare delle riserve sulla componente festaiola che sempre emerge in occasioni consimili; resta però il fatto
che il problema messo in evidenza è
reale e serio (anche sul piano locale, i
fondi mancano per certe iniziative e
per altre si trovano: sempre il problema della scelta), e se le autorità centrali non provvedono e se le famiglie
non intervengono con tutta l’equilibrata pacatezza dell’età adulta, i ragazzi
scendono in strada. Si può dar loro tutti i torti?
AVVISI ECONOIVIICI
CERCASI pianoforte buone condizioni. Rivolgersi Pastore Genre, S. Secondo di Pinerolo.
vanili. Infine il 23 dello stesso mese decedeva
all’Ospedale di Pomaretto la Sorella Silvia
Grill, ved. Grill di 74 anni, anch’essa dopo
un lungo e doloroso periodo di malattia.
Alle famiglie cosi duramente provate ed a
cu! la Chiesa ha già espresso in vari modi la
sua fraterna solidarietà giunga ancora il pensiero affettuoso e solidale di tutti.
L’epidemia di influenza ha anche avuto alt.e conseguenze, se pur molto meno gravi: le
riunioni quartierali hanno dovuto essere interrotte o variate per un certo periodo e la
festa dell’albero di Natale trasportata al 6
gennaio. Questa serata è stata caratterizzata
da un culto fatto dai ragazzi del catechismo
e delle scuole che hanno voluto dare un tono
più chiaramente evangelico a questo incontro.
Notevole successo hanno avuto le scene presentate dai ragazzi su un soggetto biblico natalizio sotto la direzione della Sig.ra Wanda
Butigliano insegnante a Ghigo. I ragazzi della Scuola Domenicale hanno rinunziato anche
quest'anno al loro sacchetto natalizio in favore dell’Os|iedale di Pomaretto chiedendo al
pubblico di devolvere a questo scopo la collctta fatta aH’uscita. Sempre per l'Ospedale di
Pomaretto è stala devoluta la somma raccolta dagli Unionisti di Frali in memoria di
Giovannino Barus. Queste varie iniziative
hanno permesso di versare per l'acquisto di
un nuovo strumento di analisi la somma di
1,. 75.000.
Due nuove creature .sono venute ad allietare famiglie residenti a Frali : Anna, terzogenita di Danielle e Franco Giampiccoli (Agape)
e Marco, primogenito di Silvana e Sergio .8enech (Hotel Malzat).
È slato amministralo il battesimo a Giovanni Ghigo di Dina e Dino Ghigo (Villar
Perosa) ed a Silvana Ghigo di Amelina c
Guido Ghigo (Ghigo). Ai due cuginetti ed alle loro famiglie giunga ancora il nostro fraterno augurio.
LUSERNA S. GIOVANNI
Le manifestazioni commemorative del XVII
febbraio si svolgeranno anche ([uesl'anno nella
linea tradizionale :
Lunedì 16:
ore 20 - accensione dei falò di gioia sulle
alture.
«Beati i puri di cuore,
perché essi vedranno Iddio »
(Matteo 5: 8)
Dopo breve malattia, il Signore ha
richiamato a Sé, il 26 gennaio 1970,
Madeleine Bonnet
di anni 82
Addolorati lo annunciano, a funerali
avvenuti, i cugini Enrico, Guido, Alfredo Bonnet, Renata Rochat Bonnet
e le rispettive famiglie.
Un ringraziamento particolare alla
Direzione della Casa di riposo di San
Germano Chisone, all’Ospedale di
Pomaretto e a tutte le amiche che per
lunghi anni l’hanno circondata del
loro affetto.
RINGRAZIAMENTO
I familiari, commossi per la simpatia ricevuta in occasione della dipartenza della Cara
Carolina Gayidou
ringraziano tutti coloro che con scritti, parole di conforto e presenza ai
funerali, si sono uniti al loro dolore.
In modo particlare ringraziano il
dott. De Bettini e tutto il Personale
dell’Ospedale Valdese di Torre Pellice
per le amorose cure prestate, i pastori Bogo e Rostagno per la costante e
assidua assistenza, il pastore Jahier
per il messaggio di consolazione alle
esequie, il signor Giorgio Albarin per
l’affettuosa solidarietà dimostrata nella triste circostanza.
« I morti in Cristo risusciteranno »
(I Tess. 4: 16)
Luserna S. Giovanni, 28 gennaio 1970
RINGRAZIAMENTO
Le famiglie Bouvier, Long e Bounous nella dipartenza del compianto
Luigi Bouvier
di anni 50
sentitamente ringraziano tutte le gentili persone che in vari modi hanno
preso parte al loro dolore; in modo
particolare il Dott. Bertolino, il Pastore Pons, gli ex internati e i coscritti per i fiori inviati.
« Noi non abbiamo qui una città
stabile, cerchiamo quella futura »
(Ebrei 13: 14)
Pramollo, 13 dicembre 1969.
6
pag. 6
N. 6 — 6 febbraio 1970
La Chiesa nel mondo
a cura di Roberto Peyrot
Contro la fame degli altri
La collaborazione dei lettori si estenderà al "Centro di sviluppo comunitario,, del Congo Hinshasa
Un "Dipartimento
di servizio"
per ie Chiese africane
Nairobi, Kenya (soepi) - In occasione
della Conferenza delle Chiese dd tutta
TAfrica (svoltasi in settembre ad Abigian e di cui il nostro giornale dette a
suo tempo ampia notizia) vennero date
le necessarie indicazioni per la creazione di un Dipartimento di Servizio che
avesse il compito di ripartire gli aiuti
alle Chiese per mezzo dei Consigli di
Chiesa nazionali.
Esso è entrato in funzione dal 1° gennaio e cioè da quando è terminato il
mandato quinquennale del Programma
ecumenico per le situazioni di urgenza
in Africa (PESUA).
Il pastore della Chiesa anglicana in
Uganda M. Kauma, è stato nominato segretario per i profughi, mentre, per
quando riguarda il settore entraide verrà successivamente nominato un responsabile.
I fondi occorrenti alla realizzazione
dei 99 progetti del PESUA sono stati
raccolti dal Cec. Siccome alcuni progetti non sono ancora stati terminati,
la Conferenza delle Chiese africane ha
annunciato che il Cec stesso si incarica di completare le somme necessarie. La relazione finale del PESUA dichiara che, grazie al suo programma
quinquennale le Chiese in Africa hanno
potuto affrontare i problemi di un continente in evoluzione.
Ricordiamo che il PESUA è stato
creato dalla Conferenza Africana del
1964. Suo scopo era quel. ' di reperire
10 milioni di dollari (oltre nildardi di
lire) per le situazioni di urgenza in
Africa. Alla fine del suo mandato ha
raccolto oltre sei milioni di dollari per
11 programma generale, oltre ad altri
due per gli aiuti in occasione della
guerra in Nigeria. Gli ulteriori fondi
promessi debbono permettere la realizzazione dei progetti ancora in corso di
esecuzione.
II programma previsto dal nuovo Dipartimento di Servizio richiederà una
maggior partecipazione a livello locale
per meglio conoscere le necessità delle
Chiese in Africa.
IN INDIA: STUDIO COMUNE
DELLE QUESTIONI
CONTROVERSE
Bangalore (soepi) - Un gruppo misto di studio di Fede e Costituzione, composto da rappresentanti della Conferenza dei vescovi cattolici dellTndia, del Consiglio cristiano nazionale indiano e dalla Chiesa ortodossa siriana,
si è riunito a Bangalore.
Esso ha deciso di creare otto gruppi di studio regionali che discuteranno di questioni
quali la mariologia, i ministeri, Fautorità
della Scrittura e della tradizione, e l’unità
visibile della Chiesa. La scelta si è dunque
orientata verso i problemi che dividono le
Chiese anziché verso quelli che sono controversi all’interno di ognuna di esse.
Questi gruppi vedranno riuniti dei cattolici, dei protestanti e degli ortodossi, dei professori di facoltà teologiche, dei pastori e dei
laici. Essi saranno incaricati di preparare una
Conferenza di studio prevista per il maggio
1971 e dovranno riunirsi almeno cinque volte
prima che essa abbia luogo.
Bisogna notare che questa decisione deve
ricevere l'approvazione delle varie autorità ecclesiastiche e i fondi necessari alla sua realizzazione.
Il gruppo ha dedicato due giorni della riunione allo studio della Costituzione della
Chiesa come è stata definita dal Concilio Vaticano e dall'Assemblea di Upsala.
IL «JOINT CHURCH AID»
HA CESSATO GLI AIUTI
IN NIGERIA
Ginevra (soepi). - Un flash dell Agenzia
Reuter di Copenaghen informa che le attività della organizzazione ecumenica di soccorsi (c Joint Church Aid », che ha effettuato
3.300 voli nell’ex Biafra nel corso dei trenta
mesi nei quali è durata la guerra civile, sono
terminate dal momento in cui il Biafra ha
cessato di esistere come stato secessionista
(n. d. r.: com'e nolo, il governo federale ni
S. 0. s.
In situazione estremamente critica la
CASA DI RIPOSO
PER EVANGELICI
a VITTORIA
cerca subito donna per servizi
vari. Salario, vitto e alloggio,
camera per conto proprio previdenza ed assistenza secondo
la legge.
Scrivere alla direzione della Casa.
Via Garibaldi, 60 - 97019 Vittoria
telef. 81161
Direttore responsabile: Gino Conte
geriano ha respinto Vofferta di aiuti di questa
organizzazione, in quanto aveva assistito il
Biafra con cibo e medicine durante la guerra).
IL PATRIARCATO DI MOSCA
INVIA UN NUOVO
RAPPRESENTANTE A GINEVRA
Ginevra (soepi) - Il patriarcato di Mosca
della Chiesa ortodossa russa ha nominato il
vescovo Hermogene di Podolk, a sud di Mosca, quale nuovo suo rappresentante al Centro
ecumenico di Ginevra. Egli succede al vescovo
Vladimiro che, qualche mese fa, è stato chiamato alla testa della diocesi ortodossa russa
d' Chernigov, in Ucraina.
Il Vescovo Hermogene, quarantenne (che è
atteso a Ginevra nei prossimi giorni) ha vissuto molto aH’eslero e particolarmente nel
vicino Oriente e parla il francese e Tinglese.
Delegato della Chiesa ortodossa russa alla
quarta Assemblea del CEC ad Upsala, ha anConferenza delle Chiese di tutta LAfrica ad
Abijan, nello scorso settembre.
Il patriarcato di Mosca ha un rappresentante ufficiale presso il Centro Ecumenico di
che partecipato alla seconda Assemblea della
Ginevra dal 1962. La Chiesa ortodossa :.'ussa è
diventata membro del Cec nel 1961, in occasione della terza Assemblea generale di Nuova Dehli.
Pubblichiamo qui appresso un
nuovo elenco di sottoscrittori. Come
i lettori ricorderanno, abbiamo proposto negli scorsi numeri altre iniziative da alternare alla nostra collaborazione al « Centre Evangélique » del Gabon.
Possiamo ora precisare che, sull’ultimo centinaio di offerte pervenuteci, un’alta percentuale è senza
una specifica destinazione, una decina è per il Gabon, una decina è per
il progetto in Congo Kinshasa e solo due per quello in India.
Resta così stabilito — nel rispetto delle indicazioni dei sottoscrittori —- che, in alternanza al « Centre », contribuiremo al progetto in
Congo Kinshasa.
Cogliamo l’occasione per ricordare ai lettori che il suddetto progetto, seguito dall’Eper, l’Ente assistenziale delle Chiese protestanti
svizzere, riguarda il Centro di sviluppo comunitario. Sul corso infe
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 — 8.7.1960
Tip. Subalpina s.p.a - Torre Pellice (Tol
CHI VENDE LE ARMI AGLI UNI
E CHI AGLI ALTRI
^ « La corsa agli armamenti assomiglia a una partita di poker, in cui i
giocatori passano alternativamente da
un attacco a un contrattacco. L’ultimo,
in ordine di tempo (e ha fatto del
chiasso!), è stato quello della vendita
di cento aerei “Mirage”, fatta dal governo francese alla piccola Libia.
Tale vendita è stata vivamente criticata a Londra ed ancor piu a Washington, ma anche da numerosi deputati
gollisti inquieti di vedere il proprio
paese, che s’era vantato della propria
imparzialità, prender partito (in certo
modo) per gli arabi.
Se vogliamo arrivare ad un giudizio
imparziale sulla questione, dobbiamo
conoscere le spiegazioni che ne ha dato, a Parigi, il ministro Michel Debré.
Questi ha detto che, dal momento che
tutti gli Stati trafficano con le armi,
non v’è ragione che la Francia si tenga da parte e perda il benefìcio di
fruttuose operazioni. Se i libici non
fossero stati soddisfatti nelle loro richieste, è certo che essi si sarebbero
rivolti all’URSS, che è senza dubbio
divenuta il più grande mercante d’armi del mondo: per l’URSS, infatti, la
pace e la fratellanza s’accordano benissimo con le stragi.
Dopo questa considerazione generale, che è probabilmente giusta, il Sig.
Debré ha cercato di dissipare i timori
che si manifestavano nell’opinione pubblica. Le cessioni di questi apparecchi
(egli ha detto) verranno diluite nel
tempo: non potranno terminare che
fra tre o quattro anni, e si spera che
in quell’epoca la calma sarà già tornata nel M. Oriente.
Noi saremmo estremamente felici
se questo augurio si realizzasse. Ma, a
parte il Sig. Thant, il dolce buddista,
nessun conoscitore degli affari del Medio Oriente condivide questo ottimismo.
Infine il Sig. Debré ha spiegato che,
per il momento, questa formidabile
squadra aerea è destinata a restare a
terra, perché fra i settemila soldati dell’esercito libico, gli uomini pratici di
questioni aeree si contano sulle dita di
una mano. Ma occorrono molti mesi
per formare un pilota. (...)
Gli Americani rispondono che un
paese modesto come la Libia, che non
è minacciato da nessuna parte, non ha
bisogno di tanti aerei. Quel paese non
saprà che farsene. Questa risposta
sembra non tener conto d’un fatto importante: che, dopo la Conferenza di
Tangeri, il cui esito gli fu tanto sfavorevole, Nasser ha ottenuto tuttavia un
successo politico di cui s’è parlato
troppo poco. Nasser ha concluso, con
la Libia e col Sudan, un trattato d’alleanza secondo il quale i tre Stati metteranno i loro eserciti sotto un comando unico (che non potrà esser altro che egiziano) e costituiranno un
“pool” col loro materiale di guerra.
Visto sotto questo profilo, l’affare
dei "Mirage” prende un aspetto deplorevole. Malgrado le garanzie date dal
compratore, quegli aerei divengono
proprietà collettiva d’un gruppo di
Stati dominati dall’Egitto. E si può
esser certi che tecnici provenienti dal
Cairo si preparano a far gl’istruttori
dei loro fratellini libici, e ad accompagnarli nei loro voli di prova. (...)
Ma in questa contesa provocata dalla vendita di armi, negli ambienti americani inquieti, la cui stampa e passata a critiche d’una violenza spesso eccessiva nei riguardi della Francia (...),
s’è prodotto un fatto importante e sensazionale. In un messaggio indirizzato
ad una Conferenza ebraica, il presidente Nixon ha dichiarato che il Governo
USA è pronto a fornire degli armamenti a dei paesi amici, affinché questi
possano sostenere la difesa delle pro
riore del fiume Congo si sono rifugiati Circa 400 mila profughi dalrAngola portoghese. Essi hanno preferito scegliere la libertà alla dominazione coloniale : sono stati bene
accolti dai Congolesi che hanno dato loro della terra da coltivare in
proprio. È stato necessario —. come
Da Bergamo : Anonimo, 5.000.
Da Napoli: I. Onorato, 2.000.
Da Cinisello (Mi): L. Giainpiccoli, 5.000.
Da Pinerolo: R. Breuza. 10.000.
Da Aiigrogna: R. M. F. C., l.ÓOO.
Da Palazzolo sull'Oglio (Bs.): 0. e E. Kuijfer, 5.000.
Totale L. 171.750; prec. 625.336; interessi
anno 1969 L. 7.965; in cassa L. 805.051.
lo è tutt’ora
seguire questi pro
fughi con centri di distribuzione di
alimenti, di sementi, con scuole e
dispensari, con il vantaggio che le
nuove tecniche portate loro dagli
esperti e dai missionari si propagano lentamente portando i loro frutti
aU’intera provincia.
Attendiamo le generose e costanti
offerte di molti lettori onde poter
collaborare a quest’opera in modo
tangibile e sollecito e colla coscienza di poter aiutare, in spirito di servizio e di solidarietà, l’affermarsi e
lo svilupparsi della personalità e
della dignità umana di questi nostri
fratelli.
Preghiamo inviare le offerte al
conto corrente postale n. 2/39878,
intestato a Roberto Peyrot, corso
Moncalieri 70, 10133 Torino. Gra
mm
prie popolazioni. Ed ha aggiunto: “Noi
sorvegliamo, molto da vicino, l’equilibrio relativo delle forze in quella parte del mondo e noi non esiteremo, in
caso di necessità, a cedere armi ad
Israele”.
Se si prende questa dichiarazione alla lettera, non si tratta d’una “decisione”, ma d’una “eventualità”. Tuttavia
quelli che sanno interpretare il latino
diplomatico, non si sono sbagliati: è
sufficiente constatare la gioia manifestata a Tel-Aviv e la delusione espressa al Cairo, per concludere che, in un
prossimo avvenire, degli aerei “Phantom” andranno a compensare la vendita dei “Mirage” alla Libia.
Mai gli USA potranno abbandonare
Israele. Negli ultimi tempi s’era creduto di capire che i rapporti fra i due
Stati avevano perso un poco del loro
calore abituale. E vero che gli americani desiderosi di facilitare un accordo coi sovietici, per cercare di rappacificare il M. Oriente, avevano dimostrato tiepidezza verso talune rivendicazioni israeliane. Ma quelle concessioni non avevano seri ito a nulla, perché
l’URSS non vuol irritare gli Arabi facendo, dal canto suo, pressione sull’Egitto: perciò quei fuìtiosi incontri fra
le due grandi potenze sono finiti, dopo
nove mesi di sforzi inutili».
(Da un articolo di R. Payot sul Journal de Genève” del 31.1-1.2.70).
QUARANTA REGISTI
PER UN FILM
« Una quarantina di registi e sceneggiatori italiani hanno stilato il seguente documento, intorno al quale
crescono di ora in ora le adesioni e l interesse di tutti gli intellettuali e gli artisti:
“Di fronte alla grave situazione politica e giuridico-costituzionale che, in
seguito al positivo svolgimento della
lotta dei lavoratori, si è creata nel paese, col pretesto degli atti di terrorismo
di Milano e di Roma, un gruppo di cineasti ha deciso d’intervenire per contrastare la costante disinformazione
cui è sottoposta l’opinione pubblica.
Consapevoli che i fenomeni dilaganti di repressione in atto contro i lavoratori, sindacalisti, gruppi rninoritari,
organizzazioni e militanti della sinistra, sono possibili anche per la sopravvivenza di articoli del codice fascista in contrasto col dettato costituzionale (che garantisce a tutti i cittadmi
libertà di critica, di espressione e di
associazione), i cineasti hanno deciso
di realizzare e diffondere pc^rtenfio
dalla migliore esperienza democratica
del cinema italiano, un documento p
mato su quanto sta accadendo nel
^Tcineasti del gruppo, »«f
a dar vita collettivamente a inchte
sta (che entra subito m lavorazione),
si adopreranno altresì «
la proiezione, nei normali circuiti
sale cinematografiche e in ànahms
tro canale d’inforinazione, nonché a
farla diffondere dalla televisione, che
assolverà in tal modo
ristica di servizio pubblico operante
nell’interesse della comunità nazionale”».
Fra le firme notiamo quelle di. Loy,
prandi) e Luchino 'Visconti, Volonte,
Zavattini.
Le adesioni, vivamente richieste, possono esser inviate alla Casa della Cultura, Corso Umberto 267, Roma. « Esse
devono signipcare, nella misura del
possibile, anche un certo impegno a
contribuire, direttamente o indirettamente, alla lavorazione del plm contro
la repressione ».
(Da un articolo, pubblicato su « L’Astrolabio » del 1.2.70, nel quale il documento viene ampiamente commentato dal regista Renato Tomasino).
Da Livorno : I bimbi della scuola domenicale L. 22.250; L. Giorgiolè, 5.000.
Da Torre Pellice: C. Tomasinì, 2.000; E.
F. G., 5.000; A. Pascal, 20.000.
Da Venezia: D. Ispodamia, 2.500; G. Ispodamia, 2.500; C. Bocus, 500.
Da Luserna S. Giovanni: G. Benech, 2.000.
Da Como: L. Malacrida, 20.000.
Da Imperia: E. Garibbo, 5.000.
Da Torino: S. P. R. 30.000; fam. Caruso,
500; D. A. A. 1.000; M. Sacco, 500.
Da S. Germano Chisone : N. N. (quarto versamento), 5.000; N. N. 5.000; E. Bounous e
signora, 5.000; Rossano, Elvio, Paolo e Mireille, in mem. zia Olga, 10.000.
Innovatori
e conservatori
Nel dibattito tra innovatori e
conservatori bisognerebbe che la
gente imparasse a non fidarsi delle etichette. Anzi solo chi rovescia interamente il comune modo
di pensare si avvicina a capire
qualcosa. Chi innova conserva; è
una logica che ogni negoziante
conosce. Chi resta con quel che
ha va indietro.
Una volta fatta la chiesa sono
stati solo i conservatori che l'hanno rinnovata, e solo gli innovatori che l’hanno conservata. Soltanto in certe epoche arretrate
e infelici il vero uomo di chiesa
non è stato anche un « moderno ».
I grandi costruttori di cattedrali sono stati dei « moderni »:
al loro tempo non c’era che qualche movimento popolare come
ad esempio i valdesi che chiedesse di imboccare un’altra strada.
I valdesi chiedevano che si ritoinasse all’antico.
Vie Rabel
Il papa ha detto no
(continua da pag. I)
difeso se stesso, il pontificato e,
più in generale, la funzione docente del pontefice romano. È sintomatico il fatto che in un articolo
comparso sull’« Osservatore Romano » del 31 gennaio, il card. J.
Daniélou abbia sostenuto apertamente che « per taluni dei suoi
promotori la campagna contro il
celibato sacerdotale non è che un
falso scopo: ciò che vogliono colpire per suo tramite è l’autorità
del Sommo Pontefice. Noi vediamo affiorare una manovra che consiste nel contrapporre a Paolo VI
la collegialità episcopale... Si cerca con questo di scuotere l’autorità del Papa, di esercitare su di essa un accerchiamento riduttivo e
poi di sopprimerla ». Qualunque
sia la consistenza di questa ipotesi, è indubbio che l’aperta contestazione della legge celibataria anche ad opera di membri dell’episcopato o di organismi ecclesiastici ufficiali (come il « consiglio
pastorale » d’Olanda), costituisce
un atto di insubordinazione e di
disubbidienza a Paolo VI che, sull’argomento, ha scritto — come
già s’è ricordato — un’enciclica
tutta favorevole al mantenimento
dell’obbligo del celibato. Di conseguenza, contestare il celibato
obbligatorio significa automaticamente contestare l’enciclica di
Paolo VI, dissentire dal pontefice
romano su una questione dottrinale di un certo peso, rifiulare uno
specifico insegnamento pontificio.
Ma imboccare questa strada significa in pratica avviarsi verso il
completo esautoramento del magistero pontificio ordinario. Non solo il pensiero del pontefice, ma la
sua autorità viene messa in quesione. Quel che dice il papa non ha
più il peso morale che aveva un
tempo. Un numero crescente di
cattolici dà ormai maggior peso
alle ragioni della propria coscienza che alle argomentazioni del
pontefice romano. Per loro, il punto di vista del papa è un’opinione
da considerare, non una norma
cui ci si deve necessariamente uniformare. Il papa, insomma, non
fa più testo. Sono queste tendenze
che Paolo VI ha cercato di arginare con la sua netta presa di po
sizione a favore della legge del celibato. Dicendo « no » ai suoi avversari, Paolo VI ha difeso la sua
enciclica del 1967, cercando cc:ì
di riaffermare il valore determinante dell’insegnamento pontificio per la vita e il pensiero delia
Chiesa.
Come reagiranno i nemici del
celibato obbligatorio? Ubbidiranno, rinunciando per ora ai loio
progetti? Qppure insisteranno nel
loro tentativo di rendere facoltativo il celibato dei preti? Il futuro
lo dirà. Qgni previsione sa: bbc
avventata. Quel che si può dua è
che Paolo VI, scegliendo lo scon
tro frontale, il « no » aperto e dichiarato, rischia molto. Ma tacendo o temporeggiando avrebbe for
se rischiato ancora di più.
Paolo Ricca
NOVITÀ
Mario Miegge
Il protestante
nella storia
L’efficacia della parola predicata
Da Calvino al capitale
« Psicanalisi » deH’ecumenismo
Kierkegaard e Bultmann
(collana « nostro tempo », 6)
S”, pp. 176, sovraccop. plasticata,
L. 1.600
Elemento costante nella storia
del protestantesimo è la fiducia
nella potenza e nell’efficacia della parola predicata. Ma nessun
discorso può sottrarsi all’inevitabile dimensione politica della vita quotidiana, coinvolti — come
siamo ■— in una struttura di
classi, in un mondo di disuguaglianza in cui occorre continuamente sapere da che parte si sta
e a quale delle parti giova ciò
che andiamo facendo e dicendo.
EDITRICE CLAUDIANA
Via S. Pio Quinto 18 bis
10125 TORINO
c.c. post. 2/21641