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SKTTIMANALE DELLE CHIESE EVANi,ELICHE BATTISTE. METODISTE, VALDESI
venerdì 20 AGOSTO 1993_
LA STAMPA E I PROTESTANTI
CALVINISTI
«ARCIGNI»?
ANNO I - NUMERO 31
GIORGIO BOUCHARD
Esattamente cinquant’anni
fa, in una calda giornata
del giugno ’43, tornavo a casa dal Collegio valdese, quando trovai mia madre infuriata,
con un «fondo» de La Stampa
in mano. Il titolo recitava: La
calata dei Quaccheri. 11 contenuto era ancor peggio:
l’esercito angloamericano che
oramai premeva ai confini
d’Italia era il rappresentante
armato di una società disordinata e decadente, tenuta insieme solo da queir orrido collante che era l’ipocrisia puritana: lo spirito quacchero,
appunto.
Mia mamma aveva lavorato
sette anni ai confini della
Pennsylvania, e ben sapeva
chi erano i quaccheri: un movimento nonviolento, campione della lotta di emancipazione dei neri, delle donne,
dei carcerati. La mamma concluse, aggrottando la fronte:
«Questi giornalisti sono tutti
ignoranti».
Aggiunse che aveva varie
critiche da fare alla società
americana (per esempio la sedia elettrica, proprio come i
quaccheri) ma sia augurava
che gli americani arrivassero
al più presto in Italia.
Pochi giorni dopo gli americani sbarcavano in Sicilia e
il fuoco micidiale di una intera armada di navi da guerra
impediva che essi venissero
respinti sul bagnasciuga di
mussoliniana memoria; il castello di carte della potenza
fascista crollava di fronte alla
realtà effettiva della società
moderna. Ma tra i parà della
celebre «82'" Airborne Division» i quaccheri non c’erano: stavano combattendo
un’altra e non meno rischiosa
battaglia, sulle frontiere del
soccorso alla vittime della
guerra. Le frontiere dalla riconciliazione e della speranza.
Ho ripensato a questo lontano episodio leggendo una
intervista di Gianfranco Miglio, il quale sostiene che il
processo di Norimberga è dovuto allo spirito quacchero,
cioè, se capisco bene, al moralismo puritano, questa tabe
dei popoli protestanti'. Non
siamo molto lontani dall’articolo de La Stampa che aveva
fatto infuriare mia mamma
cinquant’anni fa.
In compenso, nella stessa
intervista, il prof. Miglio dichiara che l’Italia ha un bisogno di «un bagno nello spirito
della riforma calvinista», che
è poi lo spirito della libera e
dura competizione economica. In questo. Miglio è in ottima compagnia: nella tragica
crisi morale, economica, politica che il nostro paese sta attraversando, numerosi sono
gli appelli allo spirito calvinista, cioè alla serietà del lavoro, al coraggio imprenditoriale, al principio di chi sbaglia
paga. Tutte cose rispettabilissime, ma che col calvinismo
hanno ben poco a che fare: se
questi illustri signori si prendessero la briga di leggere
VIstituzione cristiana di Calvino, i sermoni di Jonathan
Edwards^ le conferenze antifasciste di Karl Bardi, scoprirebbero che il calvinismo è
ben altro. È senso profondo
della santità di Dio, amore infinto per la Scrittura, sterminata cultura umanistica, graduale apertura alla democrazia (per esernpio, in Barth, al
socialismo). È anche (a Ginevra) controllo pubblico sulla
banca e suH’industria, divisione dei poteri fondata su un
senso acuto della malvagità
dell’uomo, rispetto dell’amore e della vita di coppia. E
questo il famoso controllo
puritano.
E qui arriviamo all’ultimo
cliché: i calvinisti sarebbero
arcigni. Questa definizione
l’ho trovata almeno cento
volte sui giornali italiani. Devo concedere che il nostro
puritanesimo ha talvolta delle
sfumature di sconcertante durezza: i nostri padri non andavano a teatro e noi non andiamo in discoteca, siamo diffidenti verso la musica rock e
un certo spirito farisaico plana sulle nostre assemblee, da
Edimburgo a Louisville’, passando per Torre Pellice.
SEGUE A PAGINA 2
L'insegnamento biblico mentre nel mondo si muore per eccesso di lavoro
L'importanza del riposo nella nostra vita
____________HERBERT ANDERS ___________
«Dunque resta ancora possibile per il
popolo di Dio un riposo simile a quello
del settimo giorno. Perché chi entra nel
riposo di Dio riposa dalle proprie opere, come ha fatto Dio stesso. Perciò affrettiamoci a entrare in quel riposo, facciamo in modo che nessuno di noi cada
nella disubbidienza, come i nostri padri».
(Ebrei 4,9-11)
A metà degli anni ’80 è stata introdotta nel vocabolario giapponese una
nuova parola, Karoshi, che significa
«morte da superlavoro», cioè la morte
per aver lavorato troppo. Nel 1991 le
vittime del superlavoro sono state
100.000 tra cui 10.000 morti, tanto
quanto quelli degli incidenti stradali. Un
autista di autobus trentasettenne, per
esempio, è morto di karoshi, accasciato
sul volante fermo a un semaforo. Aveva
lavorato 15 giorni di seguito per 18 ore
al giorno. Nell’ultimo anno aveva lavorato 3.200 ore, il doppio esatto di un
francese o di un italiano.
Di fronte a questi fatti ci chiediamo:
Resta ancora possibile un riposo simile
a quello del settimo giorno? Sappiamo
ancora riposarci dopo una faticosa giornata di lavoro? O non è piuttosto così
che dopo lo stress del lavoro siamo comunque esposti a un altro stress: lo
stress davanti al televisore (perché metà
dei programmi sicuramente non contribuisce a rilassare i nervi, ma solo a renderci ottusi così che non sentiamo più
neanche la nostra stanchezza), lo stress
in famiglia o anche lo stress delle numerose attività in chiesa.
Nonostante il periodo delle vacanze
annuali, mi sembra di dover affermare
che il nostro stress non ha fine. Non
sappiamo più come ci si riposa. Ci troviamo nella stessa situazione a cui allude l’autore dell’epistola, cioè la situazione degli ebrei che attraversarono il
deserto.
Un’impresa che per loro era diventata
una grande fatica perché avevano perso
di vista la loro meta. La maggioranza di
loro non credette più di arrivare nel luogo in cui scorrono latte e miele; furono
stanchi del cammino e trascurarono la
speranza di trovare riposo nel paese
promesso.
Il nostro deserto non è di sabbia e di
sole, ma è quello dei processi di produzione. Stiamo percorrendo il deserto
della società industriale in cui il valore
dell’essere umano è reciprocamente
correlato alla prestazione di lavoro. Tutte le forze che abbiamo vengono succhiate dall’obbligo di essere efficienti
nelle nostre azioni, sia sul posto di lavoro sia nel tempo libero. Persino il prestigio nella società dipende dalla potenza
della nostra attività produttiva.
Come è possibile trovare riposo in un
deserto simile, dove pure i tempi dedicati alla ricreazione sono sottoposti al
controllo dei suddetti fenomeni? Come
è possibile trovare riposo quando tutta
la vita ci sembra una fatica?
L’autore dell’epistola ci risponde che
il riposo ci raggiunge dalla terra promessa. Avendo in vista la nostra meta,
siamo in grado di trascendere le imposizioni della società. La terra promessa, il
regno di Dio, non sono soggetti al nostro sfruttamento, ma sono il paese delle
nostre speranze, dove il valore dell’essere umano è reciprocamente correlato
alla capacità di amare; dove le nostre
forze vengono ristabilite dalla missione
di goderci la vita; e dove la nostra stima
sarà determinata dal grado della nostra
soddisfazione.
Cerchiamo quindi di non permettere
che il cammino attraverso il deserto della società moderna diventi la nostra fine. Vogliamo invece tenere in vista la
speranza per il regno di Dio come il fine
della fede. Non sono quindi soltanto ìe
esasperate vacanze annuali che assicurano il nostro riposo, bensì le nostre speranze nella terra promessa che garantisce un riposo simile a quello del settimo
giorno.
In Giappone la gente muore di lavoro.
Sarebbe un peccato, nel vero senso della
parola, se noi morissimo per non aver
capito l’importanza del riposo.
Torre Pellice
Si apre il
Sinodo valdese
Si aprirà domenica 22 agosto, con un culto nel tempio
valdese di Torre Pellice presieduto dal pastore Bruno
Bellion, l’annuale Sinodo
delle chiese evangeliche vaidesi e metodiste. Il Sinodo,
che costituisce la massima assemblea deliberativa delle
due chiese si concluderà venerdì 27 con l’elezione del
nuovo moderatore della Tavola valdese (l’organo esecutivo), in sostituzione del pastore Franco Giampiccoli che
ha concluso il suo mandato
settennale. Abbiamo chiesto
al moderatore Giampiccoli di
indicarci i temi che saranno
all’ordine del giorno del Sinodo. «La Tavola valdese spiega il pastore Giampiccoli
— propone al Sinodo cinque
priorità: sui temi delle finanze e dell’ordinaria amministrazione, dei rapporti con lo
stato in materia finanziaria,
della cultura, del varo di una
“Commissione sinodale per la
diaconia” e dell’ecumenismo». Per quanto riguarda
l’ultimo punto, il Sinodo valuterà il rapporto finale e il
documento elaborato dalla
Commissione sinodale sui
matrimoni interconfessionali,
insieme alla Commissione
nominata dalla Conferenza
episcopale italiana. «E inoltre
previsto - afferma Giampiccoli - un dibattito generale
sulla situazione ecumenica,
anche in vista dell’elaborazione di un nuovo documento
sull’ecumenismo, che dovrà
sostituire quello approvato
dal Sinodo nel 1982, che speriamo di poter discutere nel
Sinodo del 1994». Per quanto
riguarda i rapporti con lo stato in maniera finanziaria, la
Tavola valdese ha elaborato
un «manuale per la defiscalizzazione», in vista dell’attuazione dell’Intesa recentemente sottoscritta con lo stato. (Nev)
A PAGINA 4 ALTRE
NOTIZIE SUL SINODO
Assemblea
mondiale di
«Fede e Costituzione»
pagina 3
Il dibattito sinodale
del 1943
pagina 10
Parlamento
e immigrazione
pagina 12
2
PAG. 2 RIFORMA
venerdì 20 AGOSTO igq.':!
Oltre cinquecento i partecipanti alla XXXI sessione del Sae alla Mendola
Invochiamo lo Spirito perché rinnovi le chiese
EMMANUELE PASCHETTO
L? ultima settimana di luglio ha visto, anche
quest'anno, oltre 500 corsisti
provenienti da tutta Italia e da
altri paesi europei partecipare
alla sessione di formazione
ecumenica al Passo della
Mendola (Trento) organizzata
dal Segretariato attività ecumeniche (Sae).
11 Sae è un movimento interconfessionale di laici che
si propone di dibattere tematiche comuni alle diverse
confessioni e non dimenticando la necessità ormai ineludibile di allargare e approfondire i legami con
¡’ebraismo, che, per usare
l’immagine che Paolo ci propone nell’epistola ai Romani,
è l’olivo su cui la chiesa è
stata innestata.
Alla XXXI sessione, come
era già avvenuto per le precedenti, erano presenti anche
evangelici delle diverse denominazioni (luterani, riformati,
valdesi, metodisti, battisti,
avventisti, apostolici) e ortodossi (romeni, greci e russi)
oltre a un piccolo numero di
ebrei e alcuni rappresentanti
dell’Islam, dell’induismo e
del buddismo. Il tema della
sessione era stato concepito
come compimento di un breve ciclo trinitario (nel 1990 la
sessione era stata dedicata alla figura di Dio padre, quelle
del 1991 e del 1992 a Gesù
Cristo, il Figlio) e aveva per
titolo;«Manderò il mio Spirito su tutti - L’ecumenismo
nella forza dello Spirito»
Nell’aprire la sessione Maria Vingiani, fondatrice e presidente del Sae, ha detto:
«Oggi invochiamo lo spirito
perché rinnovi la vita delle
nostre chiese. Il richiamo allo
Spirito è un invito a ricuperare l’ecumenismo come movimento». E nell’introdurre il
tema mons. Luigi Sartori,
presidente emerito dell’Associazione teologica italiana, ha
affermato: «Lo Spirito è essenzialmente avvenire. Le
chiese fanno fatica a rinnovarsi perché non danno spazio all’anima giovanile, quella dello Spirito. Occorre ringiovanirsi in Dio».
La settimana si è snodata
seguendo una falsariga ormai
collaudata, talmente fitta di
impegni da mettere a dura
prova la resistenza dei convenuti. Ogni giornata si è aperta
con una meditazione di un
pas.so biblico avente lo Spirito Santo come argomento.
Dopo la prima meditazione
affidata al rabbino capo della
comunità ebraica di Milano,
Giuseppe Laras, evangelici e
cattolici si sono alternati quotidianamente nel commento
alla Scrittura. Molto apprezzati alcuni di questi commenti: Enzo Bianchi della comunità monastica di Bose, sul
cap. 61 di Isaia, che ha invitato i presenti ad accogliere il
«programma dello Spirito
Santo» che è essenzialmente
annuncio di misericordia. Così pure don Mario Polastro, di
Pinerolo, con l’ammonimento
a non dimenticare i minimi.
Tra le conferenze, tavole
rotonde, rifiessioni, vogliamo
ricordare alcuni momenti significativi come il profilo,
tracciato da Maria Vingiani,
dell’intellettuale ebreo Jules
Isaac che tanto influì sull’
apertura del dialogo con
l’ebraismo da parte di Giovanni XXIII, la rievocazione
fatta da Luigi Sartori dell’enciclica «Pacem in terris» a
trent’anni dalla sua promulgazione, e il ricordo di Martin
Luther King, a 25 anni dalla
sua uccisione, ad opera del
La Conferenza metodista britannica
^impegno continua
La riunione pienaria dei partecipanti al corso ecumenico al Passo della Mendola
pastore Massimo Aprile. Interessante anche il confronto
con quattro movimenti spirituali postisi in alternativa alle
chiese istituzionali: il primo
francescanesimo, l’utopia anabattista e i movimenti pentecostali odierni. I convenuti
hanno potuto ascoltare testimonianze dirette di evangelici e cattolici.
L’intenso lavoro dei quindici gruppi di studio, ognuno
volto ad approfondire un particolare aspetto della presenza e dell’opera dello Spirito
Santo, ha prodotto una serie
di relazioni che verranno raccolte in un apposito volume
insieme alle meditazioni e alle conferenze, a costituire un
ricco e colorito mosaico, prezioso per chi vorrà approfondire l’argomento e sentire come oggi lo Spirito pulsi
all’interno, ma non solo, delle
diverse chiese.
I diversi culti (quello evangelico è stato condotto secondo la liturgia luterana dal pastore Hans G. Philipp!, decano della Chiesa luterana in
Italia) hanno visto una partecipazione compatta dei convegnisti.
Una nota che ci pare altamente positiva è stata la partecipazione di parecchi cattolici alla Cena del Signore durante il culto evangelico e di
diversi evangelici all’eucaristia cattolica. Qualcuno ha
detto: «Abbiamo condiviso
in questi giorni le nostre
esperienze e speranze di credenti, abbiamo letto e meditato insieme la Scrittura e insieme cantato e pregato, riconoscendoci fratelli e sorelle
in Cristo; perché separarci
proprio davanti alla mensa
del Signore?». La cosa forse
non piacerà a molti teologi,
ai canonisti, ai cultori dei regolamenti ecclesiastici, ma a
molti è parso un gesto profetico in linea con quella libertà dello Spirito di cui molto si parla.
Come è possibile realizzare
l’intercomunione? ci si è
chiesti spesso. Forse questo
modo di procedere è l’uovo
di Colombo della situazione:
l’intercomunione la si realizza praticandola, in modo
sempre più esteso e massiccio, fino a che i capi e i dottori della legge, e i vari scribi e
farisei, arriveranno a concludere che in fondo in fondo
«nihil obstat» a che coloro
che si sentono fratelli e sorelle in Cristo siedano insieme
alla sua tavola.
_______ LUCA ZABOTTI__________
Si è svolta a Derby dal 23
giugno-5 luglio la Conferenza metodista britannica
del 1993. Nel numero del 23
luglio scorso abbiamo pubblicato un ampio servizio relativo alla questione che più aveva fatto discutere la Conferenza: una mozione sull’omo■sessualità.
Ma la Conferenza ha affrontato anche altri temi.
Il primo rapporto discusso
dalla Conferenza è stato quello della Divisione estero (la
famosa «Overseas Di Vision»). La presentazione del
Segretario ha collocato gli
sviluppi e talvolta le crisi delle chiese nei cinque continenti nel contesto del debito internazionale che, nelle sue
parole «trasferisce le risorse
da continente a continente, da
paesi già poveri a paesi già
prosperi... Siamo nella terza
grande fase della storia delle
relazioni Nord-Sud, che si dimostra tanto scandalosa e devastante quanto la prima
(l’età della tratta degli schiavi) e ben più della seconda (il
periodo coloniale) quando,
pur sfruttando le colonie come serbatoio di lavoro e beni
a buon mercato, la maggior
parte delle potenze coloniali
si prendevano almeno qualche responsabilità per sviluppare un’infrastruttura economica e sociale...». A testimonianza del progressivo impoverimento del Sud del mondo, un deputato del Sierra
Leone ha citato il proprio
reddito mensile, equivalente a
55 sterline nel 1969, e caduto
oggi a meno di 30. Senza dimenticare guerre e oppressioni, spesso ignorate dai mass
media. Per esempio, i quadri
dirigenti e molti membri di
chiesa del Togo sono stati co
Convegno internazionale delle comunità di base a Viteria, nei Paesi baschi
L^opzione è quella per «i poveri e i popoli
»
Dal 2 al 4 luglio le comunità cristiane di base hanno
discusso a Vitoria, nei Paesi
baschi, di Popoli e stati nella
costruzione dell’Europa. I
processi di liberazione, la soiidarietà internazionale, l’identità e la cultura, l’opzione
per i poveri, l’atteggiamento
delle chiese, l’impegno dei
cristiani sono stati gli strumenti, ma anche le linee, con
cui i convenuti hanno disegnato un’Europa dei popoli.
Le relazioni sono state
svolte, tra gli altri, da Jokin
Apalategi (Università del
Paese basco), Aureli Argemi,
segretario generale della Conferenza delle nazioni senza
stato (Conseu), dal teologo
della liberazione e membro
del tribunale dei popoli Giulio Girardi (professore
all’Università di Cagliari), dal
teologo Juan Antonio Estrada, professore all’Università
di Granada e della Uca.
In particolare Girardi ha
cercato di comporre la contraddizione, basata su interessi economici, fra «opzione
per i poveri e opzione per i
popoli», contraddizione che
così ha esemplificato: «L'ondata impetuosa dei cosiddetti
extracomunitari, che premono alle frontiere dell' Europa
e lottano per il lavoro e la sopravvivenza, giunge a provocare nei settori popolari forme di rivalità, di guerra fra i
poveri che a volte assume
aspetti razzisti». I poveri, ha
sottolineato Girardi, non sono
mai singoli individui, sono interi gruppi sociali oppressi
nelle loro aspirazioni e diritti
collettivi, a cui vanno riconosciuti il diritto e la capacità di
diventare soggetti storici. È la
stessa situazione dei «popoli
minorizzati» che sono nel primo mondo (vedi in Europa il
popolo basco, nel Nord America i popoli indigeni), come
nel Terzo Mondo (gli indios e
gli afroamericani dell’America Latina).
L’affermazione dei loro diritti culturali e di autodeterminazione, la vittoria delle loro
lotte di liberazione, l’affrancamento da situazioni di schiavitù possono avvenire solo in
una prospettiva mondiale che
li veda alleati contro la «cultura imperiale».
Ma come superare allora la
contraddizione tra l’«etica
della solidarietà intemazionale» e gli interessi dei «singoli» poveri, siano essi individui. gruppi 0 popoli? Risponde Girardi: «La condizione è
che si verifichi nella coscienza collettiva un approfondimento della stessa idea di
“interesse". In genere con
questa parola si intende il benessere economico (interesse
economico) e il potere di dominio (interesse politico). Ma
esiste una gamma di interessi
politici che sono molto importanti e molto dimenticati:
sono quelli del riconoscimento dei diritti fondamentali,
personali e collettivi, a partire da quello dell' autodeterminazione».
Sono interessi che «non si
impongono automaticamente
ma che emergono a un certo
livello di coscienza: è il caso
per esempio dell' intere.sse per
la partecipazione al potere
decisionale, l'autonomia del
popolo, la sovranità dello stato, la difesa dell’ ambiente, il
diritto alla cultura, la liberazione della donna, ecc.».
«Ora è evidente — ha argomentato Girardi giungendo
aH’impegno dei cristiani che i militanti dei popoli minorizzati dell’ Europa hanno
una sensibilità particolare
verso questi interessi. Da qui
l’ipotesi che essi possano
convertirsi in alleati privilegiati dei popoli del Sud e in
operatori di coscientizzazione
e mobilitazione degli altri oppressi d’Europa». E qui «per
i credenti impegnati nelle lotte di liberazione dei popoli
minorizzati si aprono nuovi
orizzonti nella ricerca dell'
unità e dell’ efficacia storica
dell’a-more», secondo gli insegnamenti di Cristo.
E scandaloso, ha affermato
Girardi, che alcuni cristiani
«stiano sfruttando e opprimendo altri; che alcuni di noi
si stiano arricchendo alle
spalle di nostri fratelli che si
stanno impoverendo e moren
do di fame. La nuova unità
cristiana, l’unica autentica, è
quella (...) che vuol chiudere
con lo scandalo della divisione del mondo e dell’ emarginazione delle grandi minoranze; la nuova unità cristiana è quella che si costruisce
laboriosamente nella lotta
per la gestazione di un mondo
di giustizia, libertà e fratellanza».
«E impressionante - ha
concluso - la profondità del
cambiamento che questa concezione dell’unità comporta
nell’interpretazione della
presenza storica del cristianesimo. Perché nel mondo di
oggi le chiese cristiane sono
molto bene identificate con il
blocco imperiale del Nord:
così le percepisce il movimento indigeno, negro e popolare. Però sappiamo che
questo cambiamento rivoluzionario è, in altri termini, il
riscatto dell’ ispirazione originaria del messaggio biblico
e cristiano».
stretti a rifugiarsi nel confinante Benin abbandonando
tutto e restando con prospettive incerte. E noi... sapremmo
indicare Sierra Leone, Togo e
Benin su una carta muta
dell’Africa?
Meno risonanti esternamente, ma non meno importanti sono stati altri temi ecclesiastici e non. Tra i primi
la discussione di un progetto
di ristrutturazione interna che
superi e snellisca l’attuale articolazione in Divisioni parallele (non sempre comunicanti), e l’approvazione della
sperimentazione di un sistema di autovalutazione assistita dei reverendi e dei membri
dell’Ordine diaconale, dove
l’assistenza è fornita da laici
appositamente preparati su
base distrettuale. Tra i secondi, le politiche dell’immigrazione e della giustizia razziale in Gran Bretagna, la Comunità Europea, la ex Jugoslavia e il bombardamento di
Baghdad.
DALLA PRIMA PAGINA
«Arcigni»?
Ma perché liquidarci come
gente «arcigna», che in fondo
ha paura della vita? Erano
forse «arcigni» i calvinisti
olandesi che nel ’500 che
hanno combattuto la prima
guerra di indipendenza e poi
hanno creato la prima società
pluralista d’Europa? Erano
«arcigni» i calvinisti della
Rivoluzione inglese (1640),
madre di democrazia? Era
«arcigna» Enrichetta Beecher
Stowe quando scriveva la
Capanna dello zio Tom, il
più efficace manifesto antischiavista della storia? Sono
«arcigni» i milioni di coreani
che stanno diventando presbiteriani sotto i nostri occhi?
Sono «arcigni» quei napoletani dei quartieri spagnoli
che entrano nella Chiesa valdese e ne diventano membri
attivi e fedeli?
Eh no, signori giornalisti: i
calvinisti non sono «arcigni».
Sono semplicemente gente
che ha letto la Bibbia fino in
fondo, e poi ha voluto guardare in faccia la storia e qualche volta è anche riuscita a
cambiarla.
Di questo calvinismo ha
bisogno l’Italia di oggi: il
calvinismo di chi ama la Bibbia, è disposto a rischiare per
una responsabilità pubblica, e
sa che lo Spirito assiste i credenti, nel momento della preghiera come in quello
dell’azione.
1) Ma almeno Miglio scrive
«quaccheri» in modo corretto.
Abbiamo visto articolisti di grandi giornali spiegarci che il nome
«quakkeri» o «quacqueri», deriva dall’inglese «quackers» (suppongo per assonanza con
crackers)!
2) Calvinista del ’700, padre
del primo grande Risveglio ( d
Great Awakening del 1734) e figura centrale della cultura americana.
3) Sede del quartier generale
della Chiesa presbiteriana Usa.
FEDERAZIONE GIOVANILE EVANGEUCA ITALIANA
11- congresso nazionale
Ecumene, 2-6 settembre 1993
ìi •
Per le Iscrizioni al Congresso rivolgersi a Daniele
Bouchard, via Ciccarone 51,66054 Vasto (Ch),
tei. 0873/363173,
3
PAG. 3 RIFORMA
. Í T
La quinta Assemblea mondiale di «Fede e Costituzione» a Santiago de Compostela
Verso la koìnonia nella fede^ nella vita^ nella
testimonianza: un traguardo per le chiese
FULVIO FEBRABIO_______
Luogo di pellegrinaggi e
di leggende, di fede e di
superstizione, di cultura e di
turismo, Santiago de Compostela, all’estremità nordoccidentale della Spagna, è recentemente diventato anche uno
spazio di ecumenismo, prima
a livello europeo e ora mondiale; la grande cattedrale, in
cui lo stile romanico diffuso
dai pellegrini in Galizia si
fonde con pesanti elementi
barocchi, ha ospitato, mercoledì 4 agosto, il culto inaugurale della quinta Assemblea
mondiale di Fede e Costituzione, la Commissione teologica del Consiglio ecumenico
delle chiese.
La Commissione
«Fede e Costituzione»
Nata nel 1910, dunque ben
prima del Cec, Fede e Costituzione si propone di individuare la base teologica
dell’unità visibile tra le chiese: il lungo cammino percorso è passato attraverso l’ampliamento della base confessionale del movimento e della
Commissione; gli ortodossi
dell’Europa orientale si sono
uniti nel 1961 al Cec e alla
Commissione, mentre Roma
è ufficialmente rappresentata
in Fede e Costituzione dal
1968, pur senza aderire al
Consiglio ecumenico. Nel
1982 è stato varato il famoso
documento di Lima su «Battesimo, eucaristia, ministero»
quecento persone, provenienti
da ogni parte del mondo e da
quasi tutto lo spettro confessionale del cristianesimo; tra
gli oratori anche un pentecostale delle Assemblee di Dio
a Singapore, autore di un intervento molto significativo.
Il tema dell'Assemblea
Questa variopinta Assemblea è stata chiamata a discutere un documento preparatorio (cinquantaquattro pagine
nell’edizione tedesca) dal titolo: «Verso la koinonia nella
fede, nella vita e nella testimonianza».
Koinonia, com’è noto, significa in greco comunione,
ma anche partecipazione,
condivisione, solidarietà: Fede e Costituzione ha deciso di
mantenere la parola in greco,
appunto per salvaguardare la
ricchezza dei diversi significati.
Il testo, dopo un’introduzione, comprende cinque parti: la prima sviluppa il concetto di koinonia', la seconda affronta prospettive e problemi
di una confessione comune
della fede apostolica; la terza
riguarda il battesimo, la cena
del Signore e il ministero; la
quarta il rapporto tra fede,
etica e missione; la quinta e
ultima (due paginette) propone alcuni interrogativi in vista
del cammino futuro.
Il testo, naturalmente, riflette alcuni tratti caratteristici
dello stile teologico di Fede e
Costituzione: il fatto cristiano
Wolfhart Pannenberg, l’ortodosso Jean Zizioulas e il cardinale Cassidy, responsabile
vaticano per le questioni ecumeniche. Forti di tutti questi
materiali, i partecipanti si sono dedicati ai lavori di gruppo: ogni gruppo (quindici persone circa, aggregate in base a
complicate alchimie che tenevano conto dell’identità confessionale, nazionale, razziale, sessuale e linguistica) ha
esaminato un paio di paragrafi
del documento; i risultati del
lavoro, poi, sono stati discussi
nelle quattro sezioni, dedicate
rispettivamente alle prime
quattro parti del documento
preparatorio. L’Assemblea
plenaria non ha potuto emendare i testi prodotti dalle sezioni, ma solo discuterli; ha
invece rielaborato il messaggio finale, che pubblicheremo prossimamente.
I documenti finali
Riassumere in poche righe
la sostanza dei testi finali è
più che problematico; mi limiterò a dire che, in complesso, i documenti sono, dal
punto di vista di un riformato
italiano, assai migliori del tono generale della discussione
(di cui, peraltro, ho avuto
un’esperienza parziale, avendo partecipato ai lavori di
un’unica sezione, la terza).
La prima impressione ricevuta dal sottoscritto è stata di un
dibattito fortemente segnato
da ortodossi e cattolici romani; la terza sezione ha assunto
Il direttore di «Fede e Costituzione», Günther Gassmann, il metropolita
scovo angiicano Desmond Tulu
(Bern), ampiamente discusso
nelle chiese: recentemente la
Commissione ha pubblicato
un commento ecumenico al
Credo («Confessare insieme
la fede»),, già recensito su
queste colonne.
Presenze variegate
L’Assemblea mondiale, che
non veniva convocata da
trent’anni, ha visto riunite circa cinquecento persone, tra
delegati (gli unici con diritto
di voto), consulenti teologici,
osservatori; in grande maggioranza professori di teologia. ma anche esponenti delle
varie dirigenze, e qualche pastore; a questi vanno aggiunti
un gruppo di «giovani teologi», invitati per un primo
contatto con il movimento
ecumenico, e gli efficientissimi steward (tra cui
una studentessa della nostra
Facoltà di teologia, Caterina
Dupré), che hanno collaborato con l’organizzazione per
una quantità di incombenze
pratiche. In totale circa cin
è presentato in chiave accentuatamente dottrinale, e a tratti dottrinaria (in altre parole la
fede tende a configurarsi come un sistema di dogmi); il
rapporto tra Scrittura e tradizione è problematico (la
Commissione stessa se ne
rende conto, e lo ripropone allo studio); la visione della
chiesa è assai istituzionale e
sacramentale: la terza parte
considera il Bem come punto
di partenza e si muove (in
avanti o indietro, a seconda
dei punti di vista), nella stessa
direzione. Chi abbia letto le
opere del domenicano canadese Jean-Marie Tillard, uno
dei grandi teologi della Commissione, non può fare a meno di notare le profondissime
analogie tra le loro tesi e quelle del testo preparatorio, a
partire appunto dall’accentuazione dell’idea di koinonia.
Oltre che dal documento, i
lavori dell’Assemblea sono
stati nutriti da un ampio ventaglio di relazioni: tra gli oratori più noti Desmond Tutu,
Giovanni di Pergamo e i’arcive
(© P. Williams/Wcc)
come base dei propri lavori la
visione della chiesa presentata nel Bem e ripresa dal documento-base; quest’ultimo,
non pago dell'accento posto
sui sacramenti e sul ministero
«ordinato», anela a un accordo sull’eucaristia come sacrificio (n. 69); accanto a
quella di «sacramento», introduce un’oscura categoria di
«sacramentalità» (n. 65), che
dovrebbe favorire il consenso, ma sembra invece complicare le questioni; sul ministero delle donne il testo cammina sulle uova, cercando di
non ferire la sensibilità di alcuno; e si potrebbe continuare.
Il Credo
I documenti finali delle sezioni contengono invece numerosi spunti interessanti, sopravvissuti alle raffiche di
emendamenti dei delegati ortodossi e romani. La sezione
sul Credo, ad esempio, ha approvato un bel paragrafo sulla
nozione, decisiva, di apostoli
cità della chiesa (a quali condizioni, cioè, la chiesa può
dirsi fondata sulla testimonianza apostolica); l’apostolicità, intanto, non riguarda
solo il ministero ordinato (e
men che meno i soli vescovi)
ma tutta la chiesa fatta da
chierici e laici, uomini e donne, ecc.
La comunità apostolica si
ritrova là dove Cristo si rende
presente (è usata la nozione
di «contemporaneità», con riferimento, immagino, a
Kierkegaard) ed è testimoniato come crocifisso risorto; in
questa chiave. Maria Maddalena è definita, secondo
un’antica ma attualissima tradizione, apostola apostolorum: le conseguenze, relative
al ministero delle donne, non
vengono menzionate ma sono
chiare, come testimonia l’inquietudine ortodossa manifestatasi nel plenum. Molto importante anche la riflessione
della III sezione sulla cosiddetta «intercomunione» (la
partecipazione alla cena del
Signore da parte di credenti
di confessioni diverse: ho
sempre trovato quest’espressione grottesca, perché una
comunione che non sia «inter» è una contraddizione in
termini) svolta dalla sezione
III.
L'intercomunione
L’impegno indefesso di una
delegata luterana alsaziana ha
permesso di includere la
menzione del fatto che molti
credenti, soprattutto cattolici,
praticano 1’«intercomunione»
in aperta e consapevole disobbedienza nei confronti
della loro chiesa (lo ha fatto,
in faccia agli uomini del Vaticano, anche un religioso presente alla conferenza, nel corso di un culto evangelico). Il
paragrafo 17 del rapporto della sezione, che tratta l’argomento, è stato purtroppo
indebolito dagli emendamenti
(lo stesso è avvenuto con i testi sulla questione del ministero delle donne), ma rimane
un segno interessante: il movimento ecumenico, ai suoi
massimi livelli di ufficialità,
si decide a prendere atto per
iscritto delle opinioni di chi,
in queste conferenze, non è
rappresentato: r«intercomunione» che per i gerarchi ecclesiastici e i loro consulenti
teologici è futuro remotissimo, è per molti credenti
realtà compiuta.
Il proselitismo
La IV sezione ha condannato con fermezza il cosiddetto «proselitismo», cioè il
tentativo di «convertire» persone, mediante tecniche cristianamente problematiche,
da una confessione all’altra.
Sono soprattutto gli ortodossi
che contestano questa pratica
a gruppi evangelici fondamentalisti e, in chiave diversa, ai cattolici romani. Qui il
discorso è molto più articolato di quanto appaia nel testo:
da un lato, esistono effettivamente forme squallide di concorrenza religiosa, che rendono una controtestimonianza;
dall’altro anche gli ortodossi
devono capire che l’epoca in
cui l’appartenenza confessionale è fissata dalla cittadinanza è tramontata per sempre.
Il cuore di un evento come
l’Assemblea di Santiago, tuttavia non è solo, e forse neanche principalmente, nei testi.
Intanto, prima di discutere, si
è pregato. I culti mattutini.
Delegati ai lavori deii’Assembiea
corredati da sostanziose meditazioni bibliche sull’epistola ai Galati, sono stati senza
dubbio un momento forte; in
molti abbiamo potuto prendere conoscenza della profonda
esperienza liturgica accumulata dal movimento ecumenico; non tutto si può accogliere acriticamente ma è indubbio che, su questo punto, abbiamo moltissimo da imparare; ricchezza e grande varietà
di canti, sensibilità nelle preghiere, sapienza nelTarchitettura liturgica. Anche le
singole confessioni hanno potuto avere i loro culti (eucaristici) ben separati, secondo la
volontà romana e ortodossa.
Inestimabile, poi, lo scambio di esperienze negli incontri personali per i quali è rimasto, nonostante tutto, un
po’ di tempo.
Momenti infelici
Non sono mancati incidenti
di percorso assolutamente
inesplicabili. Nel culto di
apertura è stato proposto un
terribile inno dedicato a
«Santiago matamoros» (S.
Giacomo che uccide i mori):
secondo la leggenda, il santo
sarebbe comparso in sella a
un bianco destriero nella battaglia contro i musulmani di
Abdar Rahman, decapitandone intere schiere e favorendo
la vittoria del re cristiano; da
allora egli è il simbolo della
«Riconquista», cioè della
cacciata dei non cristiani
(ebrei ed arabi) dalla Spagna,
avvenuta nel 1492. Un delegato evangelico spagnolo ha
fatto rilevare, nel plenum, che
l’inno esprime l’anima intollerante e controriformista della Spagna, com’è testimoniato dalla sua popolarità nei decenni bui del sodalizio clerico-franchista. Forse chi ha organizzato il culto avrebbe potuto riflettere di più su questi
(© P. Williams /Wcc)
dettagli... Un altro momento
triste è stata la lettura, da parte di un rappresentante, del
messaggio del patriarca ortodosso del Nord e Sud America, lakonos, che non ha trovato di meglio che prendersela con le «ordinazioni sconsiderate» (delle donne, naturalmente), la solidarietà con
gli omosessuali e con i movimenti di liberazione: un testo
volgare, che andava senz’altro respinto al mittente.
Un primo bilancio
Che dire, in sede di bilancio? Nella giornata conclusiva, il segretario generale
del Consiglio ecumenico,
Konrad Raiser, ha posto un
grosso punto interrogativo in
margine al lavoro di Fede e
Costituzione. A suo parere,
esso riflette, nella sua essenza, l’atmosfera creata dai dialoghi bilaterali e multilaterali
dei decenni passati: si tratta
di uno stile che, secondo
l’oratore, ha fatto il suo tempo. È tutta l’idea di «unità visibile», cuore delle aspirazioni di Fede e Costituzione, che
dev’essere ripensata. Raiser
propone un approccio confessionalmente e culturalmente
pluralistico, non per unificare
in modo forzoso i vari modelli, ma per giungere alla
comunione di identità che sono e rimangono diverse.
Come ciò sia compatibile
con l’idea romana e ortodossa di unità che presuppone,
né più né meno, l’accettazione altrui degli aspetti caratteristici delle rispettive visioni
della chiesa, resta da vedere.
Come non raramente accade
in questo genere di assemblee, Santiago ha posto sul
tappeto più problemi di quanti non ne abbia risolti. Affaticarsi su di essi sarà il compito dei credenti e dei teologi
del terzo millennio.
Durante II servizio religioso di apertura è stato innalzato il tradizionale «botafumerlo», un largo turibolo {© P. Williams/Wcc)
4
PAG, 4 RIFORMA
¡Vita Delle Chieseì
Nostra intervista al pastore Franco Ciampiccoli, al termine di sette anni di moderatura
Nella crisi della società italiana serve
la cultura del gratuito e il dono di sé
VENERDÌ 20 AGOSTO 19Q':>
________________________GIORGIO GABDIOL,____________________
Franco Ciampiccoli, 59 anni, sposato, tre figlie, giornalista,
autore di alcuni volumi di teologia e di storia, è moderatore
dall’agosto 1986. Per l’ordinamento valdese non è più rieleggibile. Lo incontriamo al suo tavolo di lavoro a Torre Pellice
dove gli abbiamo posto alcune domande allo scopo di fare il
punto su alcuni problemi importanti per le nostre chiese.
opo sette anni di intenso
e faticoso servizio quale
moderatore, ci può dire quali
sono i pregi e i difetti della
moderatura?
«Il maggior pregio della
moderatura nel nostro ordinamento consiste nel fatto che,
all’interno di un esecutivo
collegiale, è una presidenza
annuale che non può andare
oltre il settennato. Questo limite, comune agli altri membri dell’esecutivo, obbliga la
chiesa al ricambio e costituisce una impossibilità istituzionale di istituire ministeri a
vita o per lo meno di lunga
durata. E questo ciò che impedisce alla nostra chiesa di
avere una struttura episcopale. Il difetto maggiore è che
tuttavia troppe responsabilità,
competenze e incarichi vengono a concentrarsi nella persona del moderatore.
Pur nell’ambito di un organismo rigorosamente collegiale come la Tavola, il moderatore in moltissime cose
finisce per essere l’esecutivo
dell’esecutivo. E malgrado
l’aiuto di consulenti (commissioni e singoli esperti), il
cui apporto è cresciuto notevolmente in questi ultimi anni, il moderatore rischia di essere un dilettante nelle troppe
discipline in cui deve cimentarsi.
Il riequilibrio di competenze che si attuerà con l’istituzione della Commissione sinodale per la diaconia, decisa
l’anno scorso dal Sinodo, costituirà già una notevole riduzione di carico per la Tavola.
Air interno di questa, sarà bene operare ulteriori suddivisioni di incarichi scaricando
qualche altro membro della
Tavola di parte dei suoi impegni in modo che possa portee maggiori responsabilità a
livello esecutivo».
- Secondo lei, si ricontrano
pregi e difetti simili a livello
delle chiese locali?
«In parte si. Spesso vi è
troppa dipendenza di una
chiesa locale dal proprio pastore. Ciò può comportare
una unilateralità di impegno
della comunità e un disagio
eccessivo nell’eventualità che
la chiesa resti priva di pastore
per un periodo di tempo. Viceversa i pregi maggiori delle
nostre chiese emergono proprio là dove i pastori riescono
a valorizzare i doni dei membri e la chiesa cresce in una
articolazione di ministeri locali».
-In questi anni della sua
moderatura si sono sviluppati
i rapporti con le altre chiese
evangeliche italiane e in particolare con le chiese battiste.
Questo settimanale ne è un
risultato. Come procede la
collaborazione Bmv?
«Dopo l’impegno per la
creazione di “Riforma” - che
per i tre esecutivi battista,
metodista e valdese è stato
molto più laborioso del previsto - abbiamo avviato lo studio delle rispettive ecclesiologie e una ricerca sulla collaborazione nella cura pastorale di chiese in situazioni di
contiguità o di presenza nella
stessa città. È in atto un collegamento degli organismi incaricati di fornire aiuti e strumenti per l’attivtà evangelistica delle chiese locali.
Meno spedito procede il lavoro di traduzione regolamentare delle decisioni che
hanno sostanziato il patto di
reciproco riconoscimento
dell’Assemblea-Sinodo del
1990. Passi avanti dunque se
ne fanno, ma con una metodologia defatigante che rischia di moltiplicare incontri
e comitati. Mentre si comincia a preparare TAssembleaSinodo che è stata fissata per
l’estate del ’95, ci si interroga
sulle possibilità di ideare un
quadro complessivo che permetta di evitare sia la fuga
verso un’irreale fusione sia il
freno di un semplice accostamento delle due organizzazioni ecclesiastiche, battista e
valdese-metodista, dei loro
organi e delle loro articolazioni assembleati».
- E con le altre chiese
(pentecostali, avventisti, Fratelli, luterani)?
«Direi che vi sono moderati
ma consistenti progressi in
diverse direzioni. Con i pentecostali delle Adi (Assemblee di Dio) e con altre confessionisi prepara il grande
raduno evangelico di Pentecoste ’94; con i pentecostali
indipendenti si sviluppano
contatti e collaborazioni locali (soprattutto in Campania);
con gli avventisti si prospetta
un rapporto anche a livello
federale; con i Fratelli prosegue la serie di incontri di confronto e di scambio (il prossimo a Poggio libertini a fine
settembre).
I progressi più consistenti
si registrano con i luterani
che sono stati invitati a unirsi
alla ricerca ecclesiologica iniziata in campo Bmv e che ci
'»Vk£N
îî’S» ■■■
SINODO DELLE CHÉSÌ
VALDESI E METODISTELT
Il Smodo, secondo quanto disposto dall’attó n. 86
della sessione sinodale europea 1992, è convocato per
DOMENICA 22 AGOSTO 1993 0
^ ^ ■*'
. membri del Sinodo sono invitati a trdvcarsi nell'Aula
sinodale della Casa valdese di Torre Penice alle ore 15,
Il culto di apertura avrà Inizio alle ore 15,30 nel tempio di torre Pellice e sarà presieduto dal pastore Bruno
Bmoderatored^Ta^ofevaldese
3. Fmmo Gìamjpé^li
-è?
m”
Il pastore Franco Giampiccoli intervistato dai giornaiista Mario Rocca per ii Tg3, io scorso anno
“presteranno” un pastore che
curerà a tempo parziale una
delle nostre chiese del Sud
(Brindisi)».
- Anche i rapporti con il
cattolicesimo hanno visto un
maggior coinvolgimento delle
chiese (documento sui matrimoni interconfessionali, Sae,
dibattito con Ratzinger in Facoltà). Quali sono le difficoltà che ancora permangono nel dialogo col cattolicesimo?
«Per quanti sforzi si siano
fatti per trovare punti di contatto sul terreno dottrinale
(per esempio in relatizione al
battesimo, eucarestia e ministero) si manifesta, a viste
umane, insormontabile la discriminante costituita dalla
concezione cattolica della
chiesa monarchica e irreformabile. Con preoccupazione
abbiamo letto di una possibile
imminente enciclica papale in
cui questi due caratteri verrebbero ribaditi e accentuati.
Restano i grandi passi
avanti che si sono compiuti,
spesso insieme, nel serivizio,
nel rispetto reciproco, nella
diffusione delle Scritture, nella ricerca di forme di spiritualità comune. Ma ci si chiede
quale valore abbiano questi
aspetti positivi di fronte alla
pesantezza dell’istituzione
ecclesiastica cattolica».
- Negli ultimi rapporti della Tavola al Sinodo si insiste
sul rapporto fede, democrazia, etica politica. Quale
dev’essere, secondo lei, l’impegno degli evangelici nel
travaglio della società italiana di oggi?
«Oggi ognuno vede che
mafia e corruzione sono i due
nemici mortali che rischiano
di uccidere il nostro paese.
Tutti si indignano per i grandi
crimini e per le truffe colossali. Ma quanti sono disposti ad
ammettere che le propaggini
terminali di questi due flagelli
infe.stano sottilmente da tempo l’intero corpo sociale?
La cultura della raccomandazione, coltivata da chi la ricerca, chi la media e chi la
concede, il servizio pubblico
concepito in funzione dell’
operatore anziché come servizio all’utente, l’appropriazione e lo spreco della cosa
pubblica, sono indizi della
diffusione di “contratti sociali” paralleli a quello stabilito
dal diritto e di un atteggiamento di saccheggio nei confronti dello stato.
Noi evangelici abbiamo tesori di etica sociale nella tradizione protestante. Non sempre li abbiamo spesi con la
necessaria coerenza. Con
l’umiltà che ne deve conseguire, si tratta oggi di fare di
virtù necessità. Il nostro impegno di evangelici nel travaglio della società italiana deve passare per un controllo rigoroso del nostro comportamento non lasciando spazi alla mentalità mañosa e alla
corruttela.
Con discrezione e nei fatti,
abbiamo da indicare l’antidoto che l’Evangelo di Gesù
Cristo offre a questi mali: la
cultura del gratuito e la pratica del dono di sé. Un impegno di questo genere può essere costoso anche in una società che dice di voler cambiare. Ma Gesù non ha mai
detto che il seguirlo fosse una
passeggiata».
- Al termine della moderatura, dopo un «periodo sabbatico» sarà pastore a Palermo, nel cuore dei problemi
della mafia. Da che cosa deriva questa scelta (che ovviamente viene dopo la decisione della chiesa di nominarla
.suo pastore)?
«Ritengo che risposte alla
mentalità “Lega Nord”, che
ha anche qualche traccia nel
nostro ambito ecclesiastico,
vadano date non a parole ma
a fatti. Un pastore milanese a
Palermo - come del resto già
vi sono pastori e diaconi piemontesi a Riesi, Catania, Trapani-Marsala e al Centro diaconale di Palermo - è uno dei
segni del fatto che siamo e
vogliamo essere una chiesa
unita nella solidarietà e
nell’impegno comune di testimonianza evangelica, a tutto campo e senza compartimenti stagni».
PER CAPIRE IL SINODO VALDESE 1993
GLOSSARIO
Come tutte le organizzazioni anche la Chiesa evangelica
valdese (Unione delle chiese
valdesi e metodiste) ha delle
regole, un ordinamento. Le
prime norme di data certa risalgono al 1532, mentre quelle fondamentali oggi in vigore sono state approvate nel
1974 (Disciplina generale
delle Chiese evangeliche valdesi) e 1975 (Patto di integrazione globale tra le Chiese
valdesi e metodiste della zona
italiana).
Al fine di rendere più comprensibili alcuni termini, su
cui spesso c’è confusione nella stampa italiana, presentiamo qui un piccolo glossario
delle parole più ricorrenti.
Governo della chiesa
La Chiesa valdese (Unione
delle chiese valdesi e metodiste) è retta da una gerarchia
di assemblee, ciascuna nel
proprio ambito autonoma;
l’assemblea della Chiesa locale, l’assemblea di un raggruppamento regionale delle
chiese (di circuito, di distretto), il Sinodo nelle sue due
sessioni territoriali (in Europa
e nel Rio de La Piata).
Ciascuna assemblea elegge
un proprio organo collegiale
con funzioni proprie che risponde del proprio operato
alla Assemblea che lo ha eletto. Questi organi sono il Concistoro o Consiglio di chiesa
a livello locale, il Consiglio
di circuito, la Commissione
esecutiva distrettuale, la Tavola valdese, la Mesa vaidense, le Commissioni amministrative sinodali.
Sinodo
E l’Assemblea generale che
esprime l’unità di tutte le
chiese valdesi e metodiste (in
Italia). Nelle sue attività il Sinodo ricerca l’obbedienza alla Parola di Dio sotto la guida
dello Spirito Santo. È la massima autorità umana in materia dottrinaria, legislativa,
giurisdizionale e di governo,
tuttavia non è mai sovrano
perché è soggetto alla sola
sovranità dell’unico Signore
della chiesa. Il Sinodo è composto da un numero pari di
deputati delle chiese e di pastori. Oltre a questi vi sono
altri competenti il Sinodo con
voce consultiva.
Il Sinodo per la sessione
europea viene convocato a
Torre Pellice la domenica che
precede l’ultimo venerdì di
agosto e si apre con un culto
pubblico (ore 15,30) che quest’anno sarà presieduto dal
pastore Bruno Bellion della
Chiesa valdese di Luserna
San Giovanni. Nel corso del
culto vengono consacrati i
pastori. Quest’anno verranno
consacrati al ministero pastorale Eliana Briante, 26 anni,
sposata con un pastore ‘luterano di Milano, e Leonardo
Magri, 34 anni, sposato, con
un figlio, attualmente incaricato della Chiesa valdese di
Orsara di Puglia.
Ogni giornata sinodale è
aperta con un culto. Il Sinodo
è governato da un seggio
composto da presidente, vicepresidente, segretari e assessori.
II presidente viene designato nella .sessione sinodale precedente ed è eletto dai componenti il Sinodo non quando
quest’ultimo è co.stituito. Presidente designato per il Sinodo 1993 è il pastore Claudio
Pasquet, della chiesa di Torre
Pellice.
Al Sinodo possono assistere tutti i membri delle chiese
valdesi e metodiste e coloro
che ne hanno ricevuto auto
rizzazione dal seggio. Al Sinodo partecipano inoltre delegati di altre chiese e persone specialmente invitate.
Commissione d'esame
La Tavola valdese e le altre
Commissioni amministrative
sinodali (Facoltà valdese di
Teologia, Opcemi, Commissione istituti ospitalieri valdesi (Ciov)) presentano ad ogni
Sinodo un rapporto sulla loro
attività. Compito delle Commissioni d’esame, nelle quali
deve essere assicurata la rappresentanza metodista, è
quella di indicare gli argomenti che necessitano una discussione sinodale. La commissione d’esame .sull’operato della Tavola, deH’Opcemi,
della Facoltà è composta quest’anno da Luciano Deodato,
John Hobbins, Bruno Mathieu, Claudio Tron. La Commissione d’esame sull’attività
della Ciov è composta da
France.sca Cozzi, Vittoria
Galli, Ruggero Marchetti,
Roberta Peyrot.
Tavola valdese
E un organo collegiale di 7
persone di cui almeno tre pastori, con una rappresentanza
metodista, dotato di personalità giuridica e rappresenta le
chiese e il Sinodo tra una sessione sinodale e l’altra. La
Tavola dura in carica un anno
e i suoi membri non possono
essere eletti più di 7 volte
consecutive. La Tavola è
convocata periodicamente dal
moderatore. Attualmente
compongono la Tavola: Franco Giampiccoli, moderatore,
Gianna Sciclone, vicemoderatore, Gian Paolo Ricco,
Maddalena Giovenale, Sergio
Ribet, Marco Rostan, Aurelio
Sbaffi.
Opcemi
L’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia,
ente morale con personalità
giuridica, ha per scopo la gestione del patrimonio e curare
le relazioni ecumeniche dei
metodisti italiani. L’organo
esecutivo dell’Opcemi è il
Comitato permanente che attualmente è composto da
Claudio H. Martelli, presidente, Mirella Scorsonelli, vicepresidente, Maria Grazia
Sbaffi Palazzine, Luca Zarotti, Gianna Sciclone.
Facoltà valdese di teologia
E l’istituto autonomo che
provvede alla formazione dei
futuri pastori e promuove gli
studi e la cultura teologica. È
diretto da un Consiglio di facoltà di cui attualmente fanno
parte: Paolo Ricca, decano,
Emmanuele Fiume, Leda
Rocca, Silvana Nitti, Eugenio
Rivoir. Pubblica una rivista
trimestrale «Protestantesimo»
attualmente diretta da Sergio
Rostagno. Organizza corsi di
laurea e di diploma. I titoli
sono riconosciuti dallo stato.
Ciov
La Commissione istituti
ospitalieri valdesi è una commissione amministrativa sinodale che gestisce attualmente due ospedali (Torre
Pellice e Pomaretto), il Rifugio Re Carlo Alberto di Luserna San Giovanni e un
«centro servizi» di aiuto sulle
questione amministrative delle varie opere ecclesiastiche.
Fanno parte della Commissione: Paolo Ribet, presidente, Bruno Bellion, vicepresidente, Mario Campagnolo,
Marco Tullio Fiorio, Paolo
Codino, Franco Rivoira, Ulrico Scroppo, Maddalena Giovenale.
5
^ffNERDÎ 20 AGOSTO 1993
Vita Delle Chie;
PAG. 5 RIFORMA
I'M..>
Le chiese evangeliche di Genova riflettono sulla crisi della convivenza etnica
I credenti devono diventare uno strumento
di pace nella libertà e nella diversità
DOMENICO PICCOLO
Viviamo in un momento di
grande confusione, disorientati. Ci chiediamo che cosa stia realmente succedendo
in questa nostra città di Genova, quale strana malattia l’abbia colpita e quale futuro si
stia preparando.
La si voleva lanciare, nel
1992, con le celebrazioni del
Cinquecentenario della «Scoperta dell’America». Poteva
essere per Genova l’appuntamento decisivo per farla uscire dal suo isolamento, ma è
stata in realtà una semplice
speculazione, e oggi ci ritroviamo con un cancro che sta
letteralmente divorando la
città, che crea disoccupazione,
delinquenza, razzismo.
Il cuore di Genova, il centro
storico, è sempre più malato;
di quanti hanno governato
questa città molti hanno promesso, senza mantenere la parola, una rapida e definitiva
soluzione al degrado. Il centro
storico, un enorme complesso
architettonico, forse il più
grande d’Europa, vive ormai
da 50 anni in uno stato di abbandono quasi totale.
Dopo la prima ondata degli
anni ’40-’50 di immigrazione
dal Sud d’Italia, il centro storico sta vivendo una seconda
ripopolazione da parte degli
extracomunitari: vivono ammassati in appartamenti piccolissimi con affitti da fame,
provengono da diverse parti
deU’Africa, del Medio Oriente
e del Sud America.
Il centro storico è diviso in
quartieri: ogni quartiere ha
creato e dato vita a un suo comitato per fare fronte ai propri
problemi. Questi comitati di
quartiere hanno avuto un ruolo di rappresentanza diretta
degli abitanti, ruolo non trascurabile, anche se non determinante.
Il continuo rinviarsi del dibattito politico cittadino, e la
quasi continua assenza dell’
amministrazione comunale
hanno di fatto rotto il gioco
democratico a tal punto da costringere la gente a autorganizzarsi in gruppi di vigilantes
per il presidio del territorio
contro i tossicodipendenti, gli
spacciatori, le prostitute e,
mettendoli sullo stesso piano,
gli extracomunitari. La gente
è stufa delle parole e passa ai
fatti, ed eccoci agli scontri armati fra bande di vigilantes e
extracomunitari.
Queste bande ormai agiscono per conto proprio indipendentemente dai comitati di
quartiere, talvolta scavalcandoli. Sono persone per lo più
giovani, emarginati, talora
razzisti, e vi sono anche leghisti della peggior cultura. Fra
tutti si sospetta vi siano anche
dei malviventi. L’unico scopo
è quello di mandare via con la
forza «gli intrusi» di colore e
religione diversa. I loro argomenti sono di una disarmante
pericolosità, per loro la soluzione del problema è solo
una: l’eliminazione del problema.
Su questo terreno le varie
associazioni cittadine e la Federazione delle chiese evangeliche si muovono cautamente perché la tensione è altissima. Attualmente si sta
cercando una linea d’azione
comune; le associazioni finalmente si muovono insieme, e
nei primi incontri si sono tracciate le prime strategie:
- lotta contro lo spaccio
della droga nei quartieri del
centro storico «di qualunque
colore» esso sia; sanzioni penali per gli spacciatori italiani
e immediata espulsione dal
paese per quelli stranieri;
- apertura di una fase di
trattativa e di dialogo e superamento della cieca violenza:
occorre aprire la strada al
buonsenso e al confronto.
La stampa locale, per contro, gestisce l’informazione
Il centro «Emilio Nitti» di Ponticelli (Na)
Dio creatore
del cielo e della terra
SALVATORE CORTINI
^ inventato il cielo
e la terra», scrive
Giovanni sul suo disegno appena terminato, due cerchi
con tante linee a rappresentare
la Terra, il Sole e il cielo. In
Giovanni, che ha nove anni,
c’è ancora confusione fra il
«Dio inventore» e il Dio creatore. Così nell’uomo c’è confusione tra distruggere... o
proteggere il creato.
Il Centro culturale «Emilio
Nitti», con il suo programma
estivo, ha sempre dato attenzione ai problemi dell’ambiente. Quest’anno, in collaborazione con la Legaambiente, circa una quarantina di giovanissimi provenienti dai vari
rioni del quartiere hanno potuto discutere, ascoltare e confrontarsi sull’argomento:
l’aria che respiriamo. Lo studio è stato realizzato attraverso interviste, raccolte di dati e
sopralluogo nella zona industriale.
La presenza a Ponticelli del
grosso polo industriale della
raffinazione del petrolio, già
dichiarata «area a rischio» dal
ministro dell’Ambiente fin dal
1987, è causa di inquinamento
e pericolosità per la zona. Secondo i dati forniti dal servizio ecologia della Usi 45, il
tasso di mortalità della popolazione della zona orientale
(Ponticelli, Barra, San Giovanni) per malattie dell’apparato respiratorio è doppio rispetto al resto d’Italia.
Il nostro impegno, in questo
quadro di degrado e rischio
ambientale, vuole essere per i
giovanissimi del quartiere un
laboratorio in cui si formino
coscienze e culture più attente
ai problemi dell’inquinamento. Per questo motivo abbiamo
voluto creare momenti di aggregazione che hanno posto al
centro della loro attenzione il
problema ambiente, che ogni
giorno diventa più grave.
Il nostro compito come credenti, inoltre, è quello di testimoniare il Dio creatore del
cielo e della terra.
spesso in maniera grossolana
e fuorviante, senza grandi distinguo: basti pensare alle cifre riportate sulla presenza dei
clandestini che non tengono
alcun conto delle diverse situazioni personali. Occorre infatti fare una netta distinzione
fra chi sbarca clandestinamente e coloro che hanno fatto regolare richiesta di soggiorno e
sono ancora in attesa dei permessi, oppure transitano semplicemente da Genova per
un’altra destinazione.
Nel secondo caso l’elenco
delle richieste di soggiorno è
infatti lunghissimo, e ciò è dovuto soprattutto alla cattiva e
restrittiva applicazione della
legge Martelli sull’immigrazione. Anche su questo punto
le associazioni e la Federazione delle chiese evangeliche
intendono impegnarsi per sensibilizzare le autorità competenti verso un maggiore rispetto e osservanza delle leggi
in vigore.
Ciò che più ci ferisce come
uomini e donne cittadini di
Genova è che questi problemi
vengono spesso liquidati unicamente come problemi di ordine pubblico, come se l’emarginazione, la droga, l’offesa all’umana dignità siano
problemi da risolvere esclusivamente con il manganello.
Non vogliamo e non dobbiamo, come credenti in Cristo, essere noi a fornire l’alibi
a questo tipo di reazione di
fronte ai problemi della gente; vogliamo essere, veramente, strumenti della pace di
Dio nella libertà e nella diversità.
Chiesa evangelica di Taurianova
Una debole ma ferma
voce contro la mafia
Taurianova, in provincia di
Reggio Calabria, in questa
prima settimana d’agosto è
tornata ad essere un luogo significativo per la testimonianza che come evangelici
diamo in luoghi di frontiera.
Questa volta l’occasione ci è
stata offerta dal Festival dell’
Unità. La coppia Lino e Stella Mirotta, instancabili animatori di Radio Martin
Luther King, sono stati presenti al Festival con un banco
libri della Claudiana dove, in
bella evidenza, si trovavano
anche Bibbie, «Riforma»,
«Confronti» e volantini di
presentazione degli evangelici. Accanto ai libri un televisore proiettava videocassette
su Martin Luther King e sui
programmi di «Protestantesimo». Libri e proiezioni hanno costituito un utile strumento di richiamo per un dialogo e per una testimonianza
personale.
Oltre a questo il pastore
Salvatore Rapisarda, che per
vari anni ha curato le comunità di Reggio Calabria e
Gioia Tauro, ha animato un
dibattito su «Crisi delle istituzioni e nuova eticità della politica». Gli organizzatori del
dibattito, tra cui il sindaco
neoeletto, Emilio Argiroffi,
già due volte senatore del Pei,
non hanno fatto mistero del
loro apprezzamento per la
cultura di libertà, di responsabilità e di servizio insita nella
proposta evangelica. La nuova amministrazione comunale
uscita dalle elezioni del 6 e
del 26 giugno, che hanno liquidato l’egemonia democristiana e del suo patron locale
Francesco Macrì, più noto come «Ciccio mazzetta», non
ha una buona esperienza del
ruolo giocato dai cattolici che
hanno appoggiato la De e in
particolare alcuni personaggi
locali in forte odore di mafia.
Nel tentativo di voltar pagina
i nuovi amministratori richiedono proprio il contributo dei
protestanti per dare vita a un
nuovo modo di intendere la
politica e il dialogo con i cittadini.
La realtà di Taurianova
non è certamente facile. Qui
Il campo cadetti della Casa di Vallecrosia
Alla scoperta della
università delle capre
MARCO CISOIA
la disoccupazione e la criminalità organizzata hanno superato ormai ogni livello di
guardia. Proprio mentre si teneva il Festival, in una frazione di Taurianova veniva
assassinato Giuseppe Zappia,
di 81 anni, esponente di spicco della mafia di vecchio
stampo. Assieme a lui sotto i
colpi di lupara cadeva il figlio omonimo di 54 anni. Più
in là, alla periferia di Polistena, un altro attentato mafioso
feriva gravemente Raffaele
Franzé di 32 anni.
Anche per combattere questo clima da «far west» viene
rivolta agli evangelici una domanda di intervento per una
nuova moralità. Fino a poco
tempo fa a Taurianova era in
funzione Radio Martin Luther
King, una radio evangelica.
Ignoti (balordi o mafiosi) ne
hanno danneggiato gli impianti costringendo al silenzio
una voce che portava il messaggio dell’Evangelo e la cultura di pace e di giustizia che
nell’Evangelo ha il suo fondamento. Oggi la radio attende di riprendere le trasmissioni. Nel frattempo i suoi locali; posti al centro del paese,
sono adibiti a luogo di incontro e di culto.
La voce evangelica, oltre
che al chiuso dei locali comunitari, è stata fatta sentire a
più riprese nelle scuole. Il pastore Piero Santoro, in occasione del XVII febbraio, ha
presentato la storia e la proposta valdese. Il pastore Salvatore Rapisarda, in occasione del 25° anniversario
dell’assassinio di Martin
Luther King, ha presentato
nelle scuole di Taurianova e
Polistena, la persona e il messaggio del pastore M. L.
King, credente e campione
per una società senza discriminazioni e fondata sulla giustizia.
La piccola comunità evangelica di Taurianova, oggi
curata dal pastore Piero Santoro, forse non è in crescita
numerica impressionante, ma
è certo che assolve il compito
della sentinella per il bene
della città nonostante le gravi
difficoltà, (s.r.)
Era una calda mattina della primavera del 1862
quando, pochi mesi prima di
morire, il generale Charles
Beckwith visitò una delle
scuolette di montagna che,
grazie alla sua iniziativa, i
valdesi delle valli avevano
costruite in quasi ogni borgata. Gli allievi e le allieve attendevano le vacanze estive
che alcuni di loro avrebbero
trascorso aiutando la famiglia
nei campi o agli alpeggi.
Dopo la visita il «generale
dalla gamba di legno» si sedette ai piedi di un albero
lungo il sentiero e si mise a
pensare al suo passato: Waterloo e la brusca interruzione
della carriera militare, l’arrivo nelle Valli nel 1827, l’impegno per la costruzione delle
«università delle capre» come
amava chiamare le scuole di
borgata, gli scontri con i vaidesi sui temi della struttura
della chiesa (Beckwith voleva
introdurre la moderatura a vita) e sulla liturgia del culto,
un po’ fredda per un anglicano come lui.
Questa, in sintesi, la traccia
della recita che ha concluso il
campo cadetti (13-15 anni)
svoltosi dal 3 al 17 luglio alla
Casa valdese di Vallecrosia.
Il «lavoro» del campo è stato.
appunto, concretizzato nella
preparazione di questo piccolo spettacolo presentato l’ultima sera davanti a alcuni degli
ospiti della Casa.
Largo spazio è stato dato
inoltre all’attività ricreativa,
soprattutto al tempo trascorso
al mare, e poi ai giochi e allo
sport.
I campi nei centri evangelici non sono certo pura vacanza; inoltre la vita comunitaria
è comunque un’esperienza
importante per dei giovani
che vivono in una società individualista come la nostra.
Tuttavia resta il problema di
che cosa si riesce a trasmettere ai/alle giovani che vi partecipano e di come influisca sul
campo il nostro essere credenti evangelici e la nostra
spiritualità.
Avere ragazzi e ragazze
all’inizio della loro adolescenza insieme per due settimane è un’occasione molto
importante per parlare a loro
e con loro.
Trovare i temi che tocchino
da vicino la loro esperienza e
i loro problemi, e i modi per
farli confrontare con loro in
una prospettiva evangeliea è
una sfida ehe incontri come
questi (così come la catechesi
nelle comunità) pongono a
chi si occupa dei campi nei
nostri centri evangelici.
CENTRO DI FORMAZIONE DIACONALE
«GIUSEPPE COMANDI»
ISCRIZIONI AL CORSO DI FORMAZIONE
Sono aperte le iscrizioni al corso triennale
di forntazione diaconale. La domanda va presentata entro settembre su modulo fornito
dalla segreteria stessa. Si richiede la maturità o
il diploma di scuola secondaria superiore. I/le
candidati/e’ dovranno, contemporaneamente,
iscriversi a un corso o a una scuola di formazione professionale, nell'ambito educativo,
sociale ó sanitario (per esempio
educatori/trici, 'n. assistenti sociali,
infermieri/e). La segreteria è a disposizione
per orientamenti e informazioni in tal senso.
r 3 QUOTA DTSCRIZIONE, CONVITTO,
BORSE DI STUDIO E PRESTITO
La quota di iscrizione per un anno è di lire
lOO.OiX), Gli/le studenti/esse possono chiedere
, di alloggiare presso il convitto del Cfd. In questo caso e lse proseguiranno regolarmente gli •
studi, possono usufruire, di una borsa di studio, inoltre, a loro scelta, possono richiedere
un prestito, senza interesse, rimbórsabile
all'inizio della loro attività lavorativa. La *
segreteria è a disposizione per informazioni
più dettagliate.
INIZIO DEI CORSI, PROGRAMMI,
m '-A- > frequenza
II corso di formazione diaconale inizieià il’
22 ottobre, il programma è disponibile
segreteria. Per l'inizio dei corsi o delle scuede i
di formazione professionale ciascuno/à den^;
"seguire il calendario della scuola prescelta.;Si»?
.per la formazione professionale cne per
mazione diaconale le iscrizioni sono a niaitìéEÓ,,
chiuso e la frequenza è obbligatoria, le arrtófe-,
sioni sono precedute da un colloquio.; <
i ù 'i *‘,■’1*'
La segreteria è apèrta sia in agosto, che a,^
settembre ed è a disposìzionfe par fon:^ tutte
le informazioni necessarie è per risolvere
{ dubbi anche di carattere peiw.hale, Fivpkersi
’ a: Segreteria del Cfd - c/b Ììitftttto «Gòuld» via del Serraci m - 0^
212576 - Fax 055-280274. i
6
PAG. 6 RIFORMA
Della Parola
ETT-.^'______ - ^ ^
VENERDÌ 20 AGOSTO 1993
IL CANTO
DELLA VIGNA
KlAUS UNGENECK
APrarostino', tutti sappiamo che cosa è una vigna.
La nostra conoscenza non è
una conoscenza teorica, ma
conoscenza nel senso dell’
Antico Testamento, conoscenza vissuta. Sappiamo
quanto lavoro, quanta cura,
quanta costanza esige la vigna; sappiamo quanti fattori
diversi devono combinarsi felicemente insieme per far maturare bene l’uva, quanti pericoli minacciano il raccolto;
ma conosciamo anche la soddisfazione, quel momento di
festa nell’annata del contadino, quando si può vendemmiare dell’uva bella e dolce
che promette un vino buono e
forte.
I metodi di coltivazione sono cambiati dai tempi della
Bibbia ad oggi ma, nonostante questo, i molti testi dell’
Antico e del Nuovo Testamento che usano l’immagine
della vigna parlano in modo
particolare al cuore di chi conosce il lavoro della vigna, la
cultura della vigna, e permettono di condividere un’esperienza fondamentale con gli
ascoltatori di Isaia, con l’autore del salmo 80, con gli
ascoltatori di Gesù (Mt. 21,
28-32; Giov. 15, Iss). La vite,
l’uva era una delle ricchezze
della terra promessa (vedi
Num 13, 23; Deut 8, 7ss); la
vigna era già allora per il contadino un pezzo di terra del
tutto particolare a motivo della cura che esige, a motivo
delle preoccupazioni che suscita, a motivo della ricchezza
e della soddisfazione che procura.
La vigna, immagine
del Regno
Non stupisce quindi che
la vigna diventi immagine del popolo di Dio (Sal
mo 80; Is 5, 1-7), immagine
della pace (dello shalom) del
popolo (II Re 18, 19ss; Michea 4, 4; Zacc. 3, 10), e infine, immagine del Regno di
Dio (Mt. 21, 28ss); Dio cura
il suo popolo, i suoi fedeli come il viticoltore cura la sua
vigna, le sue viti.
Il canto della vigna del profeta Isaia però non è semplicemente il lamento su un lavoro fallito, è la storia di un
tradimento. Ma allora nasce
la domanda: come è possibile
che la vigna tradisca il contadino? Come è possibile che
delle viti scelte portino dell’
uva che non vale niente? Il
raccolto dipende da molti fattori diversi, fattori climatici, i
tempi giusti per i vari lavori,
e altro ancora ma come possiamo dare la colpa alla vigna, alle piante?
L'immagine a doppio senso
Questo strano passaggio
del testo si spiega se teniamo conto del doppio senso
dell’immagine della vigna; il
profeta gioca su questo doppio senso. Nel linguaggio patriarcale dell’Antico Vicino
Oriente, la vigna era immagine per la donna. Essere paragonata a una bella vigna era
un complimento per una donna (vedi Salmo 128, 3: «Tua
moglie sarà nella tua casa
come una fertile vigna»), era
uno dei paragoni galanti che
si dicevano alla sposa il giorno delle nozze (vedi Cant. 8,
lls':
«Salomone ha una grande
vigna a Baal-Amon
e T ha affidata a dei guardiani.
Ciascuno gli versa in frutto
mille pezzi d’argento.
Tieni pure i tuoi mille pezzi
d’argento, Salomone,
danne duecento ai tuoi
guardiani.
«Io vo’ cantare per il mio benamato il cantico dell’amico mio circa la sua vigna. Il mio
benamato aveva una vigna sopra una fertile
collina. La dissodò, ne tolse via le pietre, vi
piantò delle viti di scelta, vi fabbricò in mezzo
una torre, e vi scavò uno strettoio. Ei s’aspettava eh’essa gli facesse dell’uva, e gli ha fatto
invece delle lambrusche.
Or dunque, o abitanti di Gerusalemme e
voi uomini di Giuda, giudicate voi fra me e la
mia vigna! Che più si sarebbe potuto fare alla
mia vigna di quello che io ho fatto per essa?
Perché, mentr’io m’aspettavo che facesse
dell’uva, ha essa fatto delle lambrusche?
Ebbene, ora io vi farò conoscere quel che
sto per fare alla mia vigna: ne torrò via la
siepe e vi pascoleranno le bestie; ne abbatterò
il muro di cinta e sarà calpestata. Ne farò un
deserto; non sarà più né potata né zappata, vi
cresceranno i rovi e le spine; e darò ordine
alle nuvole che su di lei non lascino cader
pioggia.
Or la vigna dell’Eterno degli eserciti è la
casa d’Israele, e gli uomini di Giuda son la
piantagione ch’era la sua delizia; ei s’era
aspettato rettitudine, ed ecco spargimento di
sangue; giustizia, ed ecco grida d’angoscia».
(Isaia 5, 1-7)
La mia piccola vigna è qui
ed è tutta per me»).
Ho chiesto alle donne di
Prarostino che cosa pensavano di questo paragone della
donna alla vigna. Una di loro
diceva spontaneamente: «Alle
loro vigne almeno vogliono
veramente bene». E un’altra:
«Se questo significa che ci
curano come le loro vigne,
con fedeltà e costanza...»
Qualcuna sosteneva invece
che questo paragone non rispecchia la realtà.
Le donne nelle famiglie
contadine non sono semplicemente fonte di preoccupazioni e di gioia, quando le preoccupazioni sono vinte, le mogli
e madri hanno un ruolo molto
diverso, molto più attivo nella
vita della famiglia e nel mondo del lavoro. Questa osservazione critica è senz’altro
giustificata^ Il paragone della
sposa-moglie-donna alla vigna appartiene al linguaggio
maschilista, e la Bibbia parla
il linguaggio di una cultura
patriarcale.
Riscoprendo però questo
linguaggio, il Canto della vigna del profeta Isaia riacquista il suo messaggio sferzante, cioè rivela che qui non si
tratta di un investimento fallito, ma di tradimento. E l’ascoltatore rivive questo tradimento in prima persona.
Quando il profeta Inizia:
«Io vo’ cantare per il mio
heneamato il cantico
del mio amico e della sua
vigna...»
che cosa si aspettano gli ascoltatori? Si aspettano una
bella canzone d’amore, la storia di un ragazzo e di una ragazza che sfocia in un matrimonio felice, una di quelle
storie che piacciono alla gente. «E vissero felici e contenti
fino alla fine dei loro giorni».
Dovrebbe essere questa la fine di una canzone che inizia
così. E chi può raccontare
meglio questa storia, se non
l’amico dello sposo\ che a
nome dello sposo ha combinato questo matrimonio, ha
fatto tutte le trattative necessarie e quindi conosce tutti i
dettagli?
Storia di un tradimento
Il profeta tradisce però le
aspettative degli ascoltatori; invece di una bella storia, l’amico dello sposo racconta l’esperienza amara e
tragica del fallimento di questo matrimonio a causa
dell’infedeltà della sposa. Lo
sposo ha fatto di tutto per far
riuscire il suo matrimonio,
proprio T immagine del viticoltore che cura la sua vigna
offre il materiale per illustrare la fedeltà dello sposo, ma
la sposa non sta ai patti, lo
tradisce. La vigna, piantata e
curata con tanta costanza,
non porta il frutto aspettato,
non dà la risposta che corrisponderebbe a tanta cura, a
tanto affetto, a tanta fedeltà.
Isaia chiarisce nel seguito
che la vigna del Signore sono
gli uomini di Giuda. Il suo
discorso si annuncia come
una canzone d’amore, ma poi
si rivela come annuncio di un
giudizio duro sui suoi ascoltatori, gli uomini di Giuda,
che si erano fermati per
ascoltare (le donne di Giuda
probabilmente erano a casa,
occupate con le faccende
domestiche e con i figli).
Il linguaggio della cultura
patriarcale diventa parabola
del rapporto di Dio con il suo
popolo in un determinato
momento storico. Il testo evidenzia però che il popolo di
Dio non è semplicemente un
investimento che Dio fa
nell’umanità, ma nasce da un
rapporto personale e affettivo. Dio non è semplicemente
un principio buono che noi
dovremmo seguire e realizzare, ma è un vis-à-vis personale a cui dobbiamo fedeltà,
lealtà e affetto, a cui dobbiamo rispondere personalmente. Il raccolto della vigna matura ogni giorno nella nostra
vita concreta attraverso le nostre scelte, la nostra coerenza
o la nostra mancanza di coerenza, attraverso il fatto che
la nostra fede diventa prassi
o rimane un discorso teologico teorico.
Dobbiamo portare frutto e
possiamo portare frutto, perché come vigna del Signore
non dipendiamo dai fattori
climatici. Possiamo dare un
buon raccolto sotto tutte le
condizioni culturali, sociali e
politiche, perché sappiamo
che chi ha piantato questa vigna ha fatto di tutto per potersi aspettare un buon raccolto, e di altro non abbiamo
bisogno. Se allora la vigna
produce uva cattiva, la colpa
è veramente delle viti.
L'annuncio del giudizio
Nell’analisi del profeta
Isaia, la vigna del Signore non portava il raccolto
aspettato e Isaia ha dovuto
annunciare il giudizio sulla
vigna: l’abbandono della vigna che significa la sua distruzione. Chi conosce il lavoro della vigna, la cultura
della vigna, come ad esempio
la gente di Prarostino, sa anche che solo poche cose
esprimono meglio la desolazione che una vigna abbandonata. La vite non più potata si inselvatichisce con le erbacce che crescono liberamente, la vite stessa diventa
erbaccia. I pali marciscono,
si piegano e si spezzano sotto
il peso delle piante che tirano
giù i filari. Ciò che fa tristezza è che in questa selva resta
l’impronta della mano
dell’uomo che ha piantato e
curato la vigna, che non ritorna alla natura, ma continua ad esprimere abbandono.
Nel testo di Isaia, l’annuncio del giudizio rimane
nell’immagine della vigna,
nel doppio senso delTimmagine.
Pentimento e salvezza
La vigna non rimane vigna senza la cura del viticoltore, ma diventa luogo di
desolazione. Il popolo di Dio,
abbandonato dal suo Dio,
non ritorna nella schiera degli altri popoli, ma rimane il
popolo abbandonato dal suo
Dio, il popolo che ha tradito
il suo Dio. Il tradimento non
distrugge soltanto la realtà
del rapporto, ma segna la vita
del traditore, come prima
questa vita era segnata dalla
fedeltà, dall’esistenza del
rapporto. La vigna abbandonata diventa luogo di desolazione; la donna, privata della
protezione e della posizione
sociale che il marito le dava,
finiva nell’ emarginazione
totale.
L’immagine della vigna,
nel doppio senso dell’immagine, dà una visione spaventosa del giudizio, spaventosa,
proprio perché non parla di
fuoco e zolfo, ma di abbandono, di perdita di protezione, di essere calpestati, di fenomeni che noi possiamo osservare nella realtà del nostro
mondo e che noi temiamo. Il
giudizio non è la fine di tutto,
ma si realizza nell’esistenza
del giudicato. Il popolo di
Giuda, la città di Gerusalemme, ha dovuto vivere questo
giudizio; il suo muro di cinta
è stato abbattuto, la vigna è
stata calpestata. Già ai tempi
di Isaia si annunziava la catastrofe politica che un secolo
abbondante più tardi avrebbe
travolto il territorio di Giuda
e Gerusalemme (la distruzione della città e l’esilio del popolo di Giuda in Babilonia).
Ma proprio nel fatto che il
giudizio va vissuto, sta anche
l’unica speranza: chi vive,
può pentirsi, può ricevere
perdono, può vivere l’evento
di salvezza; che il viticoltore
ricostruisce il muro di cinta,
ricomincia a potare e a curare
la sua vigna, ricomincia ad
aspettarsi l’uva buona dalla
sua vigna.
(1) L’autore di questa riflessione biblica è pastore a Prarostino. Prarostino era, venendo dalla
Pianura Padana, il primo paese
del vecchio ghetto valdese, situato sui primi pendii delle Alpi tra
l’imboccatura della vai Pellice e
quella della vai Chisone, zona
adatta per la viticoltura. La ricchezza modesta del paese era il
vino, che veniva venduto ai paesi
più alti delle valli valdesi.
(2) L’esistenza del libro «Cantico dei Cantici» nel canone
dell’Antico Testamento pone
non poche domande. L’ipotesi
che all’autore di questa riflessione appare la più convincente è
che il libro è stato accolto nel canone perché la tradizione considerava il re Salomone l’autore di
queste poesie, mentre probabilmente si tratta di una raccolta di
canti nuziali della tradizione popolare. La traduzione di Cant 8,
I Is è quella della Tile.
(3) Come risulta del resto dal
libro di Nulo Revelli, «L’anello
forte», una raccolta di interviste
fatte a delle contadine del Piemonte, di cui le donne dell’Unione femminile di Prarostino hanno parlato.
(4) L’amico dello sposo era
una figura indispensabile per la
realizzazione di un matrimonio,
vedi ad esempio Eliezer, che deve combinare il matrimonio tra
Isacco e Rebecca (Gen 24). Probabilmente il ruolo del nostro testimone del matrimonio contiene
ancora un pallido riferimento a
questa antichissima usanza della
cultura patriarcale.
7
(W;
S|X?diziotìe in aW>. posi. Gr 11 A/70
In caso di mancalo recapito rispedire-<ì:
CASELLA POSTALE 10066
torre PELLICE
Fondato nel 1848
V
E Eco Delle "^lli "\àldesi
Q VENERDÌ 20 AGOSTO 1993
ANNO 129-N. 31
URE 1200
r Un'inchiesta sul livello di scolarità rivela dati che devono far riflettere
Poche lauree^ pochi diplomi: occorre
rivedere l'idea di cultura alle valli valdesi?
DANILO MASSEL
Nel corso degli ultimi mesi, utilizzando le informazioni in possesso delle
amministrazioni comunali, a
cui va la nostra gratitudine
per la collaborazione, sono
stati raccolti alcuni sintetici
dati sul grado di scolarità finale raggiunto dai giovani residenti in diversi Comuni delle Valli. L’idea base è nata
dalla curiosità di mettere in
relazione, per grandi linee e
senza una pretesa di stretta sistematicità, il numero dei diplomati e dei laureati con i
nati nel periodo 1963-1972
ed iscritti nelle liste dei residenti dei diversi Comuni presi in esami.
Sfruttando anche i dati del
censimento del 1991, si desiderava quindi verificare
(soprattutto per i diplomati,
per i laureati vi è una certa
forzatura data la maggiore
durata del corso di studi) il
rapporto tra bacino potenziale
e la quota di soggetti che
hanno effettivamente conseguito un titolo conclusivo
della scuola secondaria e,
eventualmente, del corso di
studi universitario. I Comuni
oggetto di indagine, raggruppati convenzionalmente per
valli, sono stati:
Val Germanasca: Frali,
Massello, Ferrerò, Fomaretto.
Val Chisone: Ferosa Argentina, Finasca, Inverso Finasca, Pramollo, Forte, Frarostino.
Val Penice: Bobbio Fellice, Villar Fellice, Angrogna,
Torre Fellice, Luserna San
Giovanni.
L’elenco non comprende
tutti gli enti locali della zona,
prevalentemente per problemi pratici e di tempo nella
raccolta informazioni, ma
raccoglie comunque una percentuale significativa degli
stessi. I risultati, graficamente sintetizzati, danno valori
medi di 29,03 diplomati e di
1,20 laureati per ogni 100
residenti, ma con delle sensibili variazioni fra le diverse
realtà.
Come era prevedibile, pur
con qualche eccezione incrociata, le percentuali più
basse si registrano, fra i Comuni presi in esame, in quelli
più lontani dai centri in cui si
trovano gli istituti di istruzione secondaria; la media della
vai Germanasca, ad esempio,
è del 21,41 % di diplomati
(ed è sensibilmente alzata dai
dati di Fomaretto); quelle più
alte invece in Comuni quali
Forte, Finasca o Torre Fellice
e Luserna. Questi ultimi due,
oltre ad essere abbastanza vicini a Finerolo, ospitano anche direttamente delle scuole
secondarie.
Una conferma in questo
senso viene anche dalle informazioni raccolte sui trasferimenti nel frattempo intervenuti (non pubblicati perché
non omogeneamente disponibili); i tassi maggiori di
partenze si riscontrano per i
Comuni delle alte valli e lasciano quindi supporre che,
almeno in una certa misura, i
La scolarità in cifre
Val Germanasca Val Chisone Val Penice Totale
Residenti ~]i Diplomati (J Laureati
giovani che si sono spostati
siano andati ad incrementare
il numero dei diplomati (dei
laureati?) del fondovalle.
Il numero dei laureati comunque, anche a livello complessivo, è molto contenuto;
una cinquantina in tutto. Fur
tenendo conto che, tranne casi eccezionali, risultava impossibile per i nati dopo il
1968 completare gli studi
universitari entro il 1991-92
rimangono non più di cinquanta diplomi di laurea, in
cinque anni, espressi dalla
popolazione giovanile di
quindici Comuni.
Un riscontro indiretto alle
informazioni del questionario
sottoposto ai Comuni, e alle
differenze emerse fra le diverse zone esaminate, proviene dagli stessi dati elaborati
dalla Frovincia di Torino in
relazione ai risultati di una rilevazione promossa dalla Regione Fiemonte. Nel distretto
di Ferosa non raggiunge il
50% il numero di ragazzi che
proseguono gli studi dopo le
medie e questa cifra supera di
poco il 60% nei distretti di
Finerolo e di Torre Fellice.
Al di là del confronto sulle
singole realtà locali, che può
già comunque dar luogo a
una serie di riflessioni,
l’aspetto più significativo,
non incoraggiante, dell’indagine nasce dalla comparazione dei dati della zona con la
situazione scolastica nazionale ed intemazionale.
Su base nazionale (Stime
Censis su dati Istat e del ministero del Lavoro - dati
1988-89), un’analisi dei flussi
nel sistema scolastico stima
che, in media, su 100 iscritti
alla prima classe della scuola
media sono 80 coloro che si
iscrivono alla scuola secondaria superiore, 49 quelli che
conseguono il diploma e 10
quelli che raggiungono la laurea.
Guardando agli altri paesi
vediamo che il tasso di scolarizzazione medio nell’Europa Cee, per la fascia 11-18
anni, è del 86%, e che in paesi come Germania e Francia
raggiunge valori anche superiori, rispettivamente 99% e
94% (a. 1990-91 - UnescoYear’s hook).
Si tratta di percentuali e valori comunque più alti di
quelli prima esposti, così alti
da attenuare anche l’effetto di
eventuali imperfezioni nella
rilevazione; la media nazionale di diplomati ogni cen
to giovani della fascia interessata è ampiamente supe
riore alla più alta percentuale
registrata nei Comuni della
zona.
L’impressione è dunque
quella di un contesto locale
non certo all’avanguardia nel
perseguimento della formazione culturale, quantomeno sul piano strettamente scolastico; si tratta in ogni caso
di dati su cui dovremo nei
prossimi mesi proseguire la
riflessione.
Un momento del culto all’Incontro del XV agosto
L'incontro del 15 agosto a Villar Perosa
Un impegno
dì solidarietà
L’annuale incontro del XV
agosto alle Valli si è svolto
quest’anno al «bacino» di Villar Ferosa; stand, servizio buffet, banco libri, momenti musicali e di riflessione; questi
gli ingredienti di una giornata
riuscita malgrado in molti
avrebbero desiderato forse la
più classica ombra dei castagni a quella dei tigli di una località non abbastanza «montuosa».
Il pastore Tom Noffke ha
centrato la sua predicazione
sull’invito a rilanciare il nostro impegno per la solidarietà, l’amore e soprattutto a
rivalutare la vita come strumento di riconciliazione fra
uomini. In questi ultimi anni,
ha detto Noffke, molti muri
sono caduti, ma molti altri sono rimasti o sono stati nuovamente eretti; segni di rinascita
del razzismo, assurdi nazionalismi, convivenze difficili fra
popoli che stanno intorno a
noi.
Brevi messaggi sono stati
portati dai pastori Archimede
Bertolino, che ha parlato
dell’attività della Missione
contro la lebbra, e Giorgio
Bouchard che ha illustrato
l’attività della Federazione
delle chiese evangeliche in
Italia.
Il tema dell’intolleranza e
del razzismo è tornato anche
nel pomeriggio quando Faolo
Naso ha presentato il suo recente libro su Martin Luther
King, alternando alcune riflessioni con brani eseguiti dal
cantautore Tullio Rapone. I
recenti fatti di razzismo, ha tra
l’altro ricordato Naso, rappresentano, per l’America come
per l’Europa, l’esempio di ciò
che lo stesso Martin Luther
King definiva «l’incubo in cui
il mondo rischia di cadere da
un momento all’altro».
Torre Pellice: un confronto-dibattito con alcuni degli estensori del documento
Il federalismo della «Carta dì Chìvasso»
N. SERGIO TURTULICI
Chivasso, 19 dicembre
1943. Sei giovani della
Resistenza si incontrano come
«Rappresentanti delle popolazioni alpine».
Quattro sono valdesi; Mario
Alberto Rollier, Giorgio Feyronel. Gustavo Malan, Osvaldo Coi'sson, due valdostani;
Ernest Fage ed Emile Chanoux. La dichiarazione che essi sottoscrivono, la «Carta di
Chivasso», è intesa a promuovere in un’Italia nuova uno
stato nuovo, organizzato secondo modelli federalisti e autonomisti. Fochi mesi prima, a
Milano, in casa Rollier era
stata fondata la sezione italiana del Movimento federalista
europeo. Alcuni di quei giovani avevano assunto un ruolo
dirigente nel Fartito d’Azione
e nelle brigate G.L.
E questo era naturale, ha
scritto Giorgio Bouchard;
«Giustizia e Libertà» era infatti congeniale al gusto protestante della «riforma senza
apocalisse», di una trasformazione dello stato dal basso,
fondata più sui costumi che
sulle strutture.
Sono passati 50 anni tumultuosi. Le speranze di allora
sono andate deluse, il patto
popolo-ceto di governo tradito, la tensione ideale di allora scoraggiata. Il disegno di
quei giovani di rimodellare lo
stato come federazione di comunità autonome non si è
compiuto. Luigi Sturzo era
stato un estimatore della Costituzione statunitense, Antonio Gramsci aveva pensato
un’Italia federale.
Ma De e Fci nel dopoguerra
respinsero le intuizioni coerentemente autonomistiche
dei loro padri fondatori. E dalla Costituente venne fuori un
ibrido, un compromesso; uno
stato malamente centralista,
un regionalismo velleitario e
inconcludente. Fure oggi di
fronte ai vecchi partiti che,
avendo minato le fondamenta
stesse della stato di diritto,
hanno perso la legittimazione
popolare e sbandano, una proposta federalista, ancorché generica, è rilanciata dalla Lega
che, bene o male, si è rivelata
un fattore dirompente di mutamento elettorale.
Radio Beckwith ha giocato
il clou del suo programma di
«Giornate della radio» riunendo in un incontro sul tema;
«1943 Carta di Chivasso: Autonomia incompiuta?» tre dei
protagonisti valdesi di quella
giornata del ’43 e due esponenti della regione autonome
Valle d’Aosta che idealmente
si ricollegavano a Fage e Chanoux. Ha sollecitato i loro interventi il prof. Gino Lusso,
docente di Scienze politiche a
Torino. La Dichiarazione di
Chivasso è sempre attuale, ha
detto Lusso. La Lega ripropone un progetto federalista, il
nuovo «partito popolare» che
si vuol far nascere dal ceppo
De pare debba avere strutturazione federale. Cosa significa
questo? ha chiesto ai convenuti I rappresentanti delle valli
alpine nel ’43 avevano configurato una federazione di comunità politico-amministrative autonome di tipo cantonale
che dovevano aver rappresentanza nelle assemblee legislative regionali e nazionali; avevano postulato un’autonomia
economica e fiscale. Come si
potrebbe delineare oggi un’organizzazione federale, visto
che questa non appare chiara
nella proposta della Lega?
È scontato che stato federale equivalga ad autonomie locali 0 non potrebbe darsi un
nuovo centralismo, pur se tripolare 0 quadripolare? Nel disegno di Chivasso i partiti nazionali avevano un ruolo importante, può ipotizzarsi ora
una federazione che faccia leva su forze politiche disgiunte
da una dimensione nazionale?
In definitiva si può essere ottimisti, stante l’indifferenza dei
partiti tradizionali rivelata fino ad oggi dai partiti tradizionali a riguardo dell’idea federalista?
«Chivasso non ci appartiene più - ha puntualizzato Gustavo Malan - appartiene ora
a chi la vuol prendere, sia che
la prenda bene o male. E certo si deve tener conto che in
alcuni punti la Carta è datata:
non potremmo parlare di
agricoltura oggi nei termini di
Chivasso; il problema federalista oggi non si pone più su
scala europea, ha una dimensione mondialista, planetaria.
E non c’è in un’equazione necessaria federalismo-autonomia.
SEGUE A PAGINA II
ASILO DEI VECCHI
SAN GERMANO
Dal 28 agosto al 5 settembre
(orario 1430-18)
Mostra
La nostra Africa
Oggetti di artigianato
africano offerti da Giovanna e Franco Calvetti a
sostegno di varie opere.
Inaugurazione il 28 agosto alle ore 14,30.
Mercatino delie pulci
organizzato dal personale per l'acquisto di un
soltevapersone.
28 agosto, alle ore 16;
Concerto di canti
popolari italiani
e francesi
Soprano Elena Martin accompagnata da Claudio
Bonetti (chitarrista). Anche il concerto è per l'acquisto del sollevapersone.
5 settembre, alle ore 14,30:
Bazar dell'asiio
con banchi di vendita e
lotterie
Proiezione della videocassetta realizzata da
Giaima Urizio sulla vita
delia casa.
8
PAG. Il
Il museo storico di Rorà
I «SIMBOLI» DI GUY RIVOIR — Inaugurata il 14 agosto,
resterà aperta al pubblico fino al 25 di questo mese una
«personale» del pittore Guy Rivoir. Ospita la mostra la sala
consiliare della Comunità montana, in corso Lombardini a
Torre Pellice. L’artista, noto per la sua vivacità culturale
avendo esposto non solo in località italiane ma anche in
Francia e in Germania viene definito, nella presentazione
del critico Mario Contini, «spontaneo, vulcanico, generoso
artista la cui estroversione debordante è frutto - a monte d un solido processo introversivo, ciò che garantisce sia
della serietà del suo impegno artistico, sia della sua azione
solidaristica». Rivoir, spesso impegnato a sostenere iniziative di tipo culturale ma anche umanitario coinvolgendo altri
artisti, ha da alcuni anni recuperato il «casotto» del peso
pubblico, sulla strada provinciale, trasformandolo in atelier.
In questa mostra sono selezionati circa quaranta lavori del
periodo recente che evidenziano, sono ancora parole di
Contini, «la maturità artistica e la coerenza stilistica
dell’autore». La mostra è aperta tutti i giorni dalle 10 alle
12 e dalle 15 alle 18.
INCENDIO IN LABORATORIO ARTIGIANO — Sono
notevoli i danni causati da un incendio sviluppatosi nella
pirima mattina di sabato 14 agosto presso il laboratorio della
ditta Lavatutto, una lavanderia di Torre Pellice che oltre ad
un’attività di tipo familiare svolge da alcuni anni il proprio
servizio a favore di varie comunità della zona. Sono intervenuri i vigili del fuoco di Torre Pellice, Lusema San Giovanni e Pinerolo che hanno circoscritto le fiamme. Sono in
corso le indagini dei carabinieri che dovranno chiarire se vi
sia dolo alla base dell’incendio; secondo le prime ipotesi
potrebbe aver appiccato le fiamme un giovane dipendente
dell’azienda, da pochi giorni licenziato.
L’ARCHIVIO DI TORRE PELLICE — Il primo documento
dell’archivio comunale è datato 1547 (se si esclude una copia più tarda di un atto datato 1251 riguardante una causa
coi monaci di Staffarda per i pascoli), ma la documentazione
per il ’500 è scarsa anche per la poca importanza che Torre
Pellice rivestiva in quel periodo. Col passare degli anni la
documentazione si fa più corposa, con un sensibile aumento
nel periodo napoleonico. Le unità archivistiche (volumi o
cartelle di documenti) sono circa 1.200 a cui vanno aggiunti
i registri di stato civile. Tra i documento più interessanti una
delibera del Consiglio comunale del 1808 che sancisce la
laicità della scuola, una successiva (1912) richiesta della
maestra Malan che chiedeva lo sdoppiamento della sua classe composta da più di 70 alunni, la storia delle tasse e delle
imposte comunali, i disegni che dimostrano lo sviluppo del
paese fra il 1814 e il 1871. L’amministrazione comunale ha
deciso di esporre alcuni dei documenti più significativi in
una mostra che verrà inaugurata nella sala consiliare sabato
21 agosto alle 16,30. L’esposizione sarà aperta al pubblico
fino al 29 agosto in orario 16,30-19 nei giorni feriali; 10-12
e 16,30-19 nei giorni festivi e prefestivi.
STORIA VALDESE A TEATRO — «“La flemme ardente
des Vaudois’’, la compagnia teatrale di Jean-Luc Lejeune,
recita questa sera alla porta di Embrun, ore 21». I brianzonesi o forse più di loro i turisti in città sono stati convocati
con questo avviso ad assistere ad una rappresentazione sulla
vicenda valdese. Non è scontato che la vicenda di Valdo e
dei suoi seguaci possa incontrare l’interesse di un autore
moderno; Hutinet, studioso di cinema e teatro, ha incontrato
casualmente la vicenda valdese e dobbiamo essergli grati
per il lavoro che ne ha tratto. Il Centro culturale di Torre
Pellice lo ha fatto, pubblicando il testo in lingua francese.
La messa in scena è stata suggestiva ed avvincente. L’ultima rappresentazione ha avuto luogo il 10 agosto ed è stata
preceduta da una interessante tavola rotonda che ha visto la
partecipazione del regista, del pastore della chiesa riformata
Cadier e del direttore del Centro culturale, Giorgio Toum.
Ma questa rappresentazione va ricordata anche per un altro
motivo. Essa si colloca in un vasto progetto di cooperazione
interregionale fra i due versanti alpini. Anche la rappresentazione di spettacoli teatrali rientra fra le iniziative che .sono
state recentemente approvate e finanziate dalla Cee. Avremo sicuramente altre occasioni di rivedere e di riparlare di
questa «Fiamme ardente».
PER ORA BADARIOTTI RESTA — Aveva assicurato le dimissioni entro il 7 agosto se non si fosse trovata una soluzione alla crisi comunale di Lusema. Per il momento però il
sindaco De, Badariotti, resta al suo p>osto. Nulla trapela circa eventuali soluzioni; si sa solo che il Consiglio comunale
sarà convocato per il 24 agosto. All’ordine del giorno la sostituzione del dimissionario Gobello con il primo escluso,
Mauro Vignola.
PRINZIO NUOVO SINDACO — A seguito della morte del
sindaco Dario Storero il Consiglio comunale di Villar Perosa si è riunito per procedere alla nomina del nuovo primo
cittadino; alla carica è stato eletto l’ex vicesindaco Roberto
Prinzio.
E Eco Delle \àlli Valdesi
Una notevole mostra da poco conclusa a Torre Pellice
Arte e tecnica delPincisione:
maestri italiani del Novecento
ALBERTO CORSAMI
Poche volte, al piacere della visione di una mostra
d’arte, si accompagna il gusto
della scoperta delle tecniche:
è quel che succede, invece,
per la raccolta di incisioni riunite daH’«Associazione amici
della Civica galleria d’arte
contemporanea» di Torre Pellice e esposte nella sala Paschetto del Centro culturale
valdese.
Il titolo dato alla mostra.
Dizionario dei segni: l’acquafòrte, maestri italiani del
Novecento, chiarisce l’intento
dei curatori Andrea Balzola,
Daniele Gay e Pino Mantovani: fornire una tipologia delle
tecniche di incisione e ricostruire queste ultime grazie
anche al bel catalogo, fatto di
schede esplicative sul lavoro
dell’artista e di ingrandimenti
di particolari in evidenza.
Così le opere dei vari Barbi
san, Carrà, Casorati, Maccari,
Manzù, Morandi, Boccioni
vengono analizzate, lette nei
processi e nei passaggi che
portano dall’«idea» alla sua
trasfusione sulla lastra, alla
stampa diretta (e per il catalogo alla stampa ulteriore, tipografica). Emergono ovviamente stili e poetiche molto
diverse e molto lontane fra loro, in opere pensate con intenti diversi (alcune sono come
studi), toni onirici e toni
espressionistici, stili «grafici»
e essenziali.
Un video introduce il visitatore alle varie «tecniche». Ma
oltre alle tecniche emerge dalla mostra anche la «tecnica»,
cioè la passione per l’applicazione dell’artista a un processo complesso fatto di varie fasi che, forse più di altri campi,
dalla pittura alla scultura, richiede progettazione, conoscenze scientifiche, utilizzo di
laboratori, pratica artigianale
nel senso più nobile, trasferimento dell’idea creativa da
una sostanza, da un mezzo
all’altro, da un supporto all’altro.
Nell’epoca elettronica in cui
i «supporti» (un tempo la pietra, poi il papiro, la carta, il
nastro magnetico...) che si impregnano di idee, di sapere e
di segni si rendono sempre più
astratti, leggeri, impalpabili
(si parla di «floppy disk», disco flessibile per il computer)
è interessante ripercorrere la
strada della materialità del lavoro artistico.
Una mostra, dunque, di livello importante che, nel solco dell’attività di animatore di
Filippo Scroppo, speriamo
possa preludere a una definitiva sistemazione delle opere
della Civica galleria, e al ripetersi di simili iniziative, temporanee, che aprono nuovi
squarci sulla produzione artistica del nostro secolo.
Dopo la consultazione organizzata dai l'assessorato regionale
Verso una UssI pinerolese?
Dopo la proposta di accorpare le Ussl delle valli e di
Pinerolo con quella di Orbassano, a formare un’uniea
Unità sanitaria locale di oltre
200.000 abitanti furono molte le proteste da parte di amministrazioni locali e anche
delle chiese.
La consultazione organizzata dall’assessorato regionale alla Sanità con le realtà
territoriali, svoltasi a giugno,
aveva evidenziato questa situazione. Il disegno di legge
presentato dalla giunta regionale tuttavia tiene solo in
parte conto delle richieste
avanzate. Secondo la propo
sta presentata si va verso una
Ussl unica a livello di Pinerolese con la città centro del
bacino sanitario.
Del resto il sindaco di Pinerolo, Trombotto, già a suo
tempo si era dichiarato disponibile a tutte le soluzioni
purché venisse tutelato il
ruolo centrale della sua città.
Dalle valli pochi segnali, anche visto il periodo di ferie.
La Comunità montana vai
Pellice ha nuovamente preso
posizione a favore delle Ussl
coincidenti territorialmente
con le Comunità montane;
non risulta che analoga presa
di posizione sia stata assunta
altrove e non sembra decollare più di tanto il progetto
di Ussl alpina.
«Molto preoccupato» si dice il sindaco di Torre Pellice, Armand Hugon, che teme un afflusso di risorse
economiche concentrato
sull’ospedale di Pinerolo a
discapito dei servizi sul territorio.
Non sono ancora chiari i
tempi con cui la Regione
Piemonte intende procedere
sull’adeguamento del Servizio sanitario a una legge su
cui per altro grava l’ipoteca
di un referendum chiesto da
oltre 700.000 cittadini.
DALLA PRIMA PAGINA
Il federalismo della «Carta di Chivasso»
Allorché i costituenti americani si posero il problema
della scelta federale, c’erano
in campo la posizione hamiltoniana e quella jejfersoniana. Hamilton non amava
molto le autonomie ma, per
fortuna, vinse Jefferson».
«Le autonomie locali — ha
spiegato Peyronel - noi le vedevamo come presupposto
dello stato federale ma pensando il federalismo pensavamo all’Europa, un respiro
più ampio che la sola Italia.
Quanto al ruolo dei partiti,
non mi sembra oggi essenziale.
È dalla base sociale, dal
basso che le autonomie
democratiche vengono vissute. nascono e .si alimentano.
Non è tanto un problema di
istanze politiche quanto di
culture locali, di modelli culturali per le cose da farsi.
Questo vale sullo scenario
italiano e su quello europeo.
Ricordo che il Movimento
funzionalista inglese sosteneva che per fare l’Europa occorre che ci .si metta a lavorare insieme attorno a funzioni comuni; confrontiamoci
sulle cose da fare: questo è
tipico dell’empirismo inglese. Quanti non avevano il dono di quel pragmatismo nel
continente dicevano l’opposto: scriviamo una bella carta normativa ed ecco, l'autonomia è fatta!».
«I partiti - ha convenuto
Coìsson - hanno avuto scarsa sensibilità federalista, anzi hanno boicottato l’idea.
Non vedo quindi un loro ruolo. Potrebbero domani averlo
sul piano propulsivo, non sul
versante delle concrete
realizzazioni, gliene manca
la cultura. Ma ora è tempo di
sentire cosa pensa l’uditorio».
L’uditorio aveva seguito
attento e coinvolto e gli interventi del pubblico hanno allargato la prospettiva del
confronto che già era stata
interessante e propositiva. Il
prof. Gönnet, da storico del
cristianesimo, ha fatto emergere gli aspetti di fede religiosa suscitatrici di esperienze autonomi.ste: nel New England, nelle città svizzere riformate, nel pensiero di Marsilio da Padova. Marco Rostan ha posto l’accento su come calare nel presente una
proposta di federalismo e sul
problema linguistico.
Lucio Malan ha illustrato
la posizione della Lega circa
la definizione dei collegi
elettorali conseguenti alle
nuove leggi elettorali maggioritarie, che sarebbe opportuno fosse coerente con le
specificità alpine. I rappresentanti della Valle d’Aosta
hanno portato il saluto della
loro regione autonoma, Armand Hugon, sindaco di Torre Pellice, ha annunciato la
ripresa dell’impegno delle
Valli mirato all’obiettivo della Provincia alpina.
VENERDÌ 20 AGOSTO I993
Esperienze
Andare verso
la gente
MIRELLA ARGEMTIERI BEHi
Si sono svolte a Torre
Pellice dal 5 all’8 agosto
le consuete «Giornate di Radio Beckwith evangelica».
Nei quattro giorni si sono
alternati momenti diversi,
dalla musica ai dibattiti,
dalla presentazione di libri
alla meditazione biblica,
nell’ambito «laico», accogliente e familiare dei giardinetti di piazza Muston, fra
banchi di articoli artigianali
ed ecologici e gare di vario
tipo.
Nei numerosi stand trovavano voce Amnesty International e le associazioni che
si occupano dell’handicap e
della malattia mentale, mentre nutrite serie di tabelloni
invitavano a riflettere su
problemi di grande attualità
per il nostro tempo: dalla
violenza razzista alle lingue
minoritarie parlate in Europa.
Gli aspetti positivi di queste occasioni di aggregazione meritano di essere sottolineati. In questo caso viene
offerta alla chiesa la possibilità di andare fra la gente
anziché invitare la gente ad
andare in chiesa.
Non è inoltre abituale né
scontato vedere nello stesso
spazio persone di età e formazione diversa, intellettuali
che discutono, bambini che
corrono, disabili non oggetto di particolare curiosità,
persone solitamente ai margini, giovani e meno giovani
che si fanno carico della riuscita dell’«impresa». Ma soprattutto colpisce il rendersi
conto che si trovano tutti «a
casa loro».
Mi sembra poi interessante scoprire che anche altre
iniziative e progetti, pur in
altri contesti (vedi per esempio il parco dell’Asilo di San
Germano) vanno in una
analoga direzione, nell’ottica della condivisione e del
riavvicinamento delle persone. Anche per tutto questo
(ma non solo per questo) è
forse avventato affermare
che ciò che resta del valdismo è solamente attrazione
turistica...
E, a conferma che «tout se
tien» (come è stato ricordato
durante uno dei dibattiti delle giornate) ritrovo nella
bellissima serie di riflessioni
sulla diaconia negli ultimi
numeri di Riforma lo stesso
spirito, la stessa tensione.
Questi segni ci devono rallegrare anche se non ci esimono (ma anzi ci spronano)
dal riconoscere ed esaminare a fondo le molte carenze e dal comunicare e «tradurre» la nostra fede nella
vita di ogni giorno a livello
.singolo e comunitario.
Il 29 agosto a Frali
Incontro italo-francese
Stanti i legami di carattere
■Storico, culturale, religioso e
socio-economico fra le valli
Chisone e Germanasca che
risalgono fino al secolo XIV
si sta recuperando una serie
di contatti fra i quali l’adesione della Comunità montana all’associazione dei paesi
del Viso o il protocollo d’intesa per la costituzione di un
gruppo europeo di interesse
economico.
Sul piano turistico si sono
realizzati percorsi transfron
talieri a cavallo, a piedi o in
bicicletta e sci. Per proseguire e incentivare questi
contatti è stato deciso di dar
vita ad incontri internazionali annuali; il primo appuntamento è per il 29 agosto a
Prali.
Vi sarà una corsa podistica internazionale, ma
anche incontri programmatici fra amministratori dei due
versanti alpini ed esibizione
di gruppi musicali e folcloristici.
9
'.»MERDl 20 AGOSTO 1993
E Eco Delle ¥vlli ¥^ldiei
PAG. Ili
Quale risposta alla grande richiesta di edificabilità?
Val Troncea: costruire sì, ma
seguendo i modelli del passato
La vai Troncea rappresenta per le valli un vero
polmone di tutela ambientale
^1 suo parco, con la sua fauna con il suo habitat. Negli
ultimi tempi si sono susseguite iniziative di valorizzazione del Parco ma, dicono
le associazioni ambientaliste,
vi sono forti perplessità circa
le prospettive.
Nelle domeniche estive si
riversano nel parco centinaia
di veicoli occupando tutti gli
spazi possibili e spesso anche quelli non consentiti: eccessivo affollamento, rumorosità, emissioni di gas di
scarico causano un pesante
impatto ambientale. «E dunque non più procrastinabile dicono gli ambientalisti - la
chiusura festiva della valle al
traffico all’altezza del ponte
di accesso».
In questo senso Cai, Legambiente, Pro Natura e
Wwf pinerolesi hanno lanciato una raccolta di firme
indirizzata alla Regione Piemonte, quella stessa Regione
che nel maggio scorso ha
approvato il piano paesistico
di Pragelato riguardante quel
ristretto ambito territoriale
confinante col parco della
vai Troncea. La complessa
vicenda tecnico-amministrativa aveva preso il via nel
1984 con una richiesta di
edificabilità stimata in 133
mila metri cubi comprendente, oltre alle abitazioni, servizi e un collegamento funiscioviario col bacino del Sestriere.
Il piano approvato nel
maggio scorso prevede una
cubatura di 95 mila metri cubi, pari al 71 % della richiesta
iniziale. L’opzione zero, che
considerava incompatibile
l’intervento urbanistico con
le caratteristiche del paesaggio avanzata dagli ambientalisti, non è stata considerata;
ha preso il sopravvento l’ipotesi di continuità con le caratteristiche del passato,
ammettendo insediamenti a
condizione che siano rispettosi della struttura e forma
tradizionali dell’urbanizzazione locale.
Col piano approvato si fa
strada la valorizzazione attiva dell’ambiente (fare cioè
più che mantenere); fin qui,
dicono le associazioni, tutto
bene. In realtà il piano pare
assumere più valenza di indirizzo che di vero e proprio
vincolo operativo e deroghe
paiono attualmente possibili,
anche sulle caratteristiche dei
La chiesa valdese di Perrero-Maniglia festeggia la ricorrenza
La strada per Grangette ha 20 anni
Quali tipologie per la costruzione nei parchi?
nuovi insediamenti; solo i
volumi, alla fine, paiono essere bloccati.
Il Comune di Pragelato dovrà ora adeguare il proprio
strumento urbanistico ma le
premesse, se si guarda al
passato, non sono incoraggianti. Ci sono i presupposti
per temere un’altra colata di
cemento in montagna. Anche
all’interno del Parco sono in
previsione ristrutturazioni,
secondo il Comune, «in particolare della borgata Tron
cea, ad uso residenziale con
ricostruzione non solo degli
edifici ancora esistenti, ma
anche dei ruderi e degli immobili segnati ormai solo
sulle mappe catastali».
Per questo le associazioni
ambientaliste sono uscite nei
giorni scorsi con un manifesto denuncia e con la petizione: l’imminenza dei mondiali di sci al Sestriere nel
1997 potrebbe fare il resto
«determinando sull’area un
gravissimo impatto».
_______LUCILIA PEYBOT______
La strada che con ripide e
strette curve sale dalla ex
funicolare di Perrero in direzione dei villaggi del Cassas,
Clotes, Grangette e Poumarat
appare estremamente avventurosa anche per un autista
inesperto. Eppure questa strada viene percorsa estate e inverno più volte al giorno dagli
abitanti delle borgate.
Per festeggiare i venti anni
della apertura della strada e le
opere di sostegno ad essa connesse la chiesa di Perrero-Maniglia ha organizzato domenica 8 agosto, a Grangette, una
piccola festa. Ci si può domandare che cosa c’entri la
Chiesa valdese locale con
un’opera squisitamente pubblica come l’apertura della
strada per Grangette.
Il pastore Luciano Deodato,
allora titolare della comunità
di Perrero-Maniglia e promotore dell’iniziativa nel 1973,
ricorda come il progetto e la
realizzazione della strada fu il
risultato di un lungo e complesso lavoro di sensibilizzazione e di accordo fra molte
parti: la popolazione locale, i
contadini che, favorevoli alla
strada, dovevano tuttavia cedere ciascuno parte dei terreni
sul tracciato; l’ente pubblico,
coinvolto nelle spese e nelle
Perosa Argentina: vivace assemblea con l'assessore provinciale
Cinghiali^ caccia controllata?
_______LILIANA VIGLIELMO____
LO sport che più ha appassionato gli italiani in quest’ultimo periodo non è la caccia al cinghiale, ma la caccia
al colpevole, con il suo bagaglio di incriminazioni, arresti
e vittime illustri. E successo
però che in una riunione
molto animata che si è svolta
a Perosa Argentina alla fine di
luglio, vi sia stata una curiosa
convergenza delle varie imputazione; colpevoli dei danni
alle colture sono senza dubbio
i cinghiali, ma le responsabilità della loro presenza sul territorio a chi si devono attribuire?
L’assessore provinciale alla Caccia, Besso Cordero, ha
dovuto tenere testa agli agricoltori locali presenti in gran
numero, che ovviamente lo
accusavano se non altro di disinteressarsi dei loro guai; per
l’amministratore, i re
sponsabili sono, nell’ordine;
la Regione che non legifera
come sarebbe suo compito, i
bracconieri che immettono i
cinghiali nei boschi e gli ambietalisti che li proteggono.
L’assessorato provinciale è attivissimo, le guardie venatorie
tengono sotto controllo gli allevamenti dei suini, ma se il
numero degli animali aumenta
bisogna ricorrere a metodi più
drastici quali la caccia controllata.
Quindi, la proposta è di autorizzare i cacciatori proprietari di fondi a preparare piani
di abbattimento sotto il controllo degli agenti venatori,
non soltanto nel periodo previsto dal calendario.
I cacciatori hanno mosso
varie obiezioni; i cinghiali di
giorno non si trovano, ci sono
troppe zone protette dove possono rifugiarsi, una battuta in
grande con cani riuscirebbe
solo a spaventare la selvaggi
Un gruppo di partecipanti aiia festa
opere più ingenti; i giovani volontari, dieci ragazze e dieci
ragazzi dall’Italia e dall’Europa, raccolti tramite Agape e addetti per un mese alla
costruzione di un grande muro
di sostegno.
Al centro della festa non è
stata perciò la strada, ma il
campo internazionale di lavoro, presente in piccola, ma significativa rappresentanza. Il
ricordo non solo del lavoro,
ma delle serate trascorse insieme con i giovani del villaggio
è stato il momento più intenso
dell’incontro. Alle tre esperienze di «perdono», per
riprendere un’espressione del
pastore Luciano Deodato, vissute nell’estate del 1973, cioè
la riconciliazione e l’accordo
«con Dio» che vegliato sulle
sue figlie e figli, fra la «popolazione» per l’unità di intenti,
con r«ente pubblico» per l’appoggio dato, va aggiunto una
quarta; rincontro, l’accordo
vissuto in quell’estate fra i
contadini e minatori valdesi di
Grangette, legati alle loro tradizioni e alla loro cultura, e i
giovani del capolavoro, «generazione sbocciata nel ‘68», diversa per stile di vita e per
ideali, ma a cui va il merito di
avere sognato e realizzato
un’opera che realizzava semplicemente la solidarietà della
comunità di credenti verso i
bisogni concreti e fondamentali delle persone.
na innocua. Ma le battute notturne sono state considerate
troppo pericolose, altri perciò
hanno proposto di togliere gli
ungulati dal punteggio assegnato ad ogni cacciatore, per
poterne ammazzare di più.
Nel grande coro di proposte,
controproposte e deplorazioni,
è mancata la voce degli ambientalisti ed è probabile che
in un ambiente così suiriscaldato la loro opinione non
avrebbe avuto una cordiale accoglienza.
Grande assente, purtroppo,
anche un mito degli anni passati che andava sotto il nome
di pianificazione equilibrata
del territorio; qui si è visto
ogni gruppo sociale occuparsi
solo dei propri interessi e dare
addosso a tutti gli altri. Gli incolpevoli cinghiali, che qualcuno ha allevato a questo scopo e ha portati lì, continueranno in mezzo alle polemiche a
farsi i fatti loro.
Posta
Apprendere
le lìngue
Il 7 agosto a Torre Pellice il
prof. Giorgio Peyronel, durante
il dibattito sulla «Carta di Chivasso», ha affermato che sarebbe opportuno che a scuola si
insegnasse ai ragazzi non il
piemontese o il dialetto ma
piuttosto il francese, lingua da
secoli praticata nelle valli alpine. Tale dichiarazione ha provocato l’irritazione di un intervenuto, che ha sostenuto la
supremazia del piemontese. Il
dibattito era a quel punto terminato per cui non ho potuto
fare le seguenti osservazioni.
Il piemontese e il dialetto locale sono certamente elementi
fondamentali della cultura, ma
ciò non può determinare confusione dei valori. L’insegnamento di una seconda lingua
deve aprire ai giovani strade
per il loro futuro (lavoro, cultura, relazioni interpersonali
ecc), che non può essere ristretto all’ambito delle pur valide
*? * •*■- t-*— A. \
..i2m
OFFERTE E SÒIT^TOSCRIZIONI A FAVORE DEGLI IS
tradizioni locali. Studiamo pure
il piemontese e pratichiamolo,
possibilmente in modo corretto
e non «imbastardendolo» con
locuzioni tipicamente dialettali
e viceversa.
Sento con fastidio dire «chesa» anziché «gesia» o «piat e
bicher» e non «toundin e goublet», a San Giovanni, da chi
pretende di parlare patuà. Studiare e praticare piemontese,
dialetto, canto e balli del paese,
conservare tradizioni di artigianato, di cucina, di edilizia, di
vestiario tipico sono certo belle
e arricchenti iniziative, come
possono esserlo il gioco degli
scacchi o il collezionare francobolli 0 minerali. Ma non
confondiamo le cose; verso la
società di oggi e di domani i
giovani entreranno con minori
difficoltà se sapranno studiare
e praticare non soltanto le lingue europee, ma anche l’arabo
e il cinese. Forse per il russo è
già tardi perché, mentre ne discutiamo, i russi imparano
l’italiano!
Marco Gay - Luserna San
Giovanni
■ Pro Rifugio
Re Cario Alberto
Luserna S. Giovanni
gennaio-febbraio 1993
£ 20.000: Elena Maurin, Genova.
£ 30.000: Elena Avanoletto Toscano, Torre Pellice; Velia Falchi, Genova.
£ 50.000: Laura Pons, Luserna San
Giovanni; Olga e Silvia Cornelio,
Torre Pellice; Rita Alimonda, Genova; Elena Plavan in memoria di Angela Paletto.
£ 100.000: i condomini di p.za Cattaneo (To) in memoria di Pietro Ferrari; Telma Malacrida, Milano;
Chiesa valdese di Verona; E. B., riconoscente al Signore; Elvira Genre
Talmon in memoria suoi cari; Perassi, Giachero, Bessone, Luserna San
Giovanni; Romano Contini, Ivrea.
£ 150.000: R. G. Angeleri, Asti, ricordando Mily; Unione femminile
valdese di Sanremo: Giuliana Ciardi
e Elia De Filippis, Milano, in memoria del papà Amedeo; Lilia Jon
Scotta, fiori in memoria di Laura
Bertin Trincherà.
£ 200.000: dott. Mario Moretti, Torino; Perassi, Bessone, Giachero,
Luserna; Luigi Rigogliosi. Carimate, in memoria della zia Angela.
£ 300.000: Unione femminile valdese di Bobbio Pellice; Gruppo di
attività femminile della Chiesa metodista di Padova.
£ 330.000: Irma e Adelio.
£ 400.000: la famiglia Morero in
memoria della mamma Irma Venterò.
£ 500.000: Graziella Revel, Luserna, in memoria dei genitori; Olga
Bragaglia, Padova.
£ 640.000: prof. Giorgio Peyrot,
Torre Pellice.
£ 800.000: Unione femminile della
Chiesa valdese di ¡Bergamo.
£ 1.067.500: Jeanette e Eleanor
Montaldo, New York.
£ 1.290.000: Maddalena Rainero,
Torino, in memoria di Pietro Ferrari.
D.M. 500: Maria e Theo Kiefner,
Calw, Germania.
marzo-aprile 1993
£ 30.000: B. E. S. in memoria di
Mario Eynard e Mario Jouve.
£ 70.000: I vicini di casa in memoria di Letizia Varo.
£ 80.000: Mirella Bein.
£ 90.000: Irma e Adelio.
£ 100.000: Nydia Long-Marey prò
Rifugio, Jeanne Bertot, Angrogna,
prò Rifugio; Opcemi da Chiesa metodista di Padova prò Rifugio; la
cognata Margherita Bosio ved. Varo e il nipote Aldo Varo in memoria di Letizia Varo; Nydia Long
Marey, Roma, in memoria di Annie; Marcella Bendiscioli, Torino.
£ 150.000: Unione femminile valdese di Angrogna.
£ 200.000: Ida Frache e Salvatore
in memoria dei genitori; Margherita Pellenc in memoria del marito
Giovanni Planchon; Giachero, Perassi, Bessone, Luserna, prò Rifugio; Giachero, Perassi, Bessone,
Luserna.
£ 300.000: Renato e Alberto Pons
in memoria della mamma Clotilde
Giordan; Giachero, Perassi, Bessone, Luserna.
£ 350.000: Chiesa evangelica di
Torre Pellice.
£ 417.000: la famiglia, in memoria
di Sandro Bazzani, Ivrea.
£ 500.000: famiglia Michialino e
Acaccia in memoria di Oreste
Acaccia.
£ 930.000: m.me Gallay, Ginevra.
£ 1.036.269: U. Knòpfel, cassiera
dell’Unione femminile della Chiesa
evangelica di lingua italiana di Zurigo, Svizzera.
£ 1.500.000: Chiesa valdese Milano.
$ 1.000: Bruno Ricca, Arthur Andersen & Co Foundation.
maggio-giugno 1993
£ 10.000: Enza e Giuseppe Marino,
in memoria di Enza Cappellano.
£ 20.000: Enza e Giuseppe Marino,
in memoria di Enza Cappellano.
£ 50.000: Fernanda Rivoir
£ 200.000: Bruno Redoglia in memoria della mamma Teresa Dal Bo;
Dora e Jacques Picot, Ginevra.
£ 601.000: famiglia Maria Giordan, in memoria di Maria Bynarel.
Eventuali offerte possono essere versate sul conto corrente postale n.
12633103 intestato a Rifugio Re Carlo Alberto, località Musset 1, 10062
Luserna San Giovanni (To).
10
PAG IV
i E Eco Delle "^lli \àldesi
VENERDÌ 20 AGOSTO 1993
Il Torino alcuni giorni in vai Pelllce: intervista all'allenatore Emiliano Mondonico
A Torre Pellice per fare il pieno in vista
di una stagione ricca di impegni agonistici
PIERVALPO ROSTAN
Il calcio di serie A è approdato in vai Pellice; dal 9
al 14 agosto il Torino Calcio
ha soggiornato al Gilly di
Torre Pellice e ha usufruito
delle strutture sportive di Luserna San Giovanni per gli
allenamenti; ad ospitare la
squadra granata è stato il Lusema Calcio che affronterà la
formazione del presidente pinerolese Goveani in amichevole il 2 settembre: un po’ la
ricompensa, anche economica, di tutti gli sforzi sostenuti per avere in valle una
formazione che conta in zona
un notevole seguito.
Un seguito per altro discreto; molta gente agli allenamenti ma pochi fedelissimi a
caccia di autografi fra i propri beniamini; i paesi bardati
di bandiere granata, più che
giocatori in divisa in giro per
le nostre strade, sono stati il
segno tangibile di una presenza meno ordinaria dei soliti turisti o dei membri del
Sinodo. Qualche uscita i calciatori l’hanno pure fatta, ma
sono state rare; per il resto
albergo e campo sportivo.
Una settimana quasi decisiva per il Torino impegnato
il 21 agosto a Washington
contro il Milan per la Supercoppa: «Una settimana positiva - dice l’allenatore Emiliano Mondonico c’è stata
una grande disponibilità da
parte di tutti. Un posto dove
abbiamo sentito la passione
dei tifosi piuttosto che la
contestazione dello scorso
anno, il che rappresenta per
noi un’importante iniezione
di fiducia. Un esperienza difficilmente ripetibile nei fine
settimana in cui giocheremo
a Torino, a causa della lontananza dal “delle Alpi".
È stata l’ultima occasione
per riempire il serbatoio di
benzina; speriamo di averla
utilizzata nel migliore dei
modi perché d’ora in avanti
potremmo solamente spendere; difficilmente riusciremo
ad aggiungere altro carburante».
Un’estate trascorsa senza i
tre uruguaiani impegnati con
la propria rappresentativa nazionale; cosa significa questo
nell’economia della preparazione della squadra?
«Sapevamo di questa situazione — continua «Mondo» -; per certi versi al loro
ritorno ci sarà ancora più
curiosità per la nuova
formazione. Francescoli
nuovo in questa squadra?
Penso che per i buoni giocatori non ci siano problemi di
inserimento».
Il Torino ha intrapreso la
strada dell’austerità anche
sul piano degli ingaggi e
dunque della disponibilità di
giocatori; cosa comporta
questo sull’economia della
squadra?
«Ogni anno si deve cambiare un po’ tutto quanto,
partendo da zero. Una volta
che sai qual è la realtà non ti
puoi neanche meravigliare;
questo è la nostra realtà».
Emiliano Mondonico
Così si valorizza sempre il
molo del vivaio...
«Bisogna fare di necessità
virtù: quando per tanti motivi non si sa a che santo rivolgersi è giusto rivolgersi a
questo nostro vivaio, sperando che questi giovani diventino uomini prima di altri».
Ma questa situazione, per
Mondonico allenatore è solo
un fare di necessità virtù o
rappresenta anche uno stimolo in più?
«C’è stata molta chiarezza
da parte della dirigenza e
perciò posso dire di aver
sposato in toto le scelte della
società».
La conversazione con
Mondonico prosegue, durante uno dei quotidiani incontri
con la stampa, e si addentra
decisamente nelle prospettive agonistiche. Gli impegni
sono alle porte: sabato rincontro col Milan dirà già
qualcosa di più sulla consistenza del Toro, forse arri
verà anche Francescoli; qualche problema in difesa avendo davanti uno degli attacchi
più forti delle squadre italiane.
«Sono partiti due olandesi
su tre - conclude l’allenatore
- il terzo. Van Basten, non
sarà della partita ma io temo
soprattutto Marco Simone
anche se la formazione rossonera resta a mio avviso la
più titolata. Non mi sembra
comunque il caso di fasciarsi
la testa prima del tempo. Se
ad esempio si dovesse arrivare ai tiri di rigore, avendo
davanti un portiere come
Galli non so chi fra le due
squadre rischierebbe di più».
Porterà fortuna la vai Pellice al Torino? La nuova stagione è alle porte e l’ultimo
pensiero di Mondonico, al di
là delle tattiche e degli schemi va ai tifosi: «La squadra
è ben vista e ben voluta; le
nostre scelte sono state spiegate. I tifosi del Toro, al di
là di qualche episodio, sono
fra i migliori sul piano qualitativo per il modo con cui
partecipano alle vicissitudini
della propria squadra».
Per la pubblicità
su L’Eco delle valli valdesi:
Servizi Editoriali s.a.s.
tei. 0121-32.36.38
Appuntamenti
Sabato 21 agosto - TORRE PELLICE: Al campo
sportivo, inizio ore 21, concerto del gruppo I nomadi;
ingresso lire 22.000.
Dal 21 al 22 agosto - PINEROLO: Le comunità di
base propongono, in corso
Torino 288, due giorni di
spiritualità sul tema «Fede e
diaspora, comunità nella diaspora».
Dal 28 agosto al 5 settembre - PINEROLO: In
occasione della Rassegna
dell’artigianato, all’Expo Fenulli, la Società storica pinerolese presenterà una mostra
storico documentaria sul periodo ’43-45.
Domenica 29 agosto TORRE PELLICE: Si conclude la manifestazione
«Torre Pellice fiorita»; in
piazza Muston esibizione
della banda municipale e del
Panda club; alle 21 concerto
di Bandamania. Sotto i portici del municipio esposizione
di quadri e mostra fotografica.
Domenica 29 agosto TORRE PELLICE: Si
svolgerà la tradizionale
«Giornata del Collegio valdese»; alle 12,30 il pranzo in
Foresteria e alle 15 l’assemblea dei soci.
Lunedì 30 agosto - TORRE PELLICE: In piazza
Muston, alle 21, concerto di
musiche e melodie delle isole greche col grappo Sirtos.
Mercoledì 1° settembre TORRE PELLICE: Riu
nione mensile del gruppo
Diapsigra.
Dal 6 al 15 settembre TORRE PELLICE: La bi
blioteca del centro culturale
resta chiusa.
Guardia medica:
notturna, prefestiva, festiva:
Ospedale valdese, Pomaretto
tei. 81154.
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Forneris - Via Umberto 1, tei.
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Ambulanze:
Croce verde, Perosa: tei. 81100
Croce verde. Porte : tei. 201454
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telefono 932433
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L’Eco Delle Valli Valdesi
Reg. Tribunale di Pinerolon. 175/60
Resp. Franco Giampiccoli
Stampa: La Ghisleriana Mondovì
A Torre Pellice, nel 1886, Giuseppe
Morè, abile pasticcere pinerolese,
apre un laboratorio di pasticceria a
cui affianca, dopo i primi faticosi anni
di lavoro, un negozio di vendita con
annesso caffè.
Il prodotto che sin da quegli
anni si afferma è di grade qualità.
La Tradizione delle Valli Valdesi
Gli ingredienti sono tutti naturali
delle campagne della Val Pellice.
Il marchio Morè, sempre più noto e
apprezzato, viene depositato per la
prima volta nel 1933. Da allora i due
valletti che portano il vassoio con le
caramelle contrassegnano le
confezioni Morè.
Molte delle persone che oggi
lavorano alla Morè hanno tradizioni
familiari legate all'/\zienda e hanno
appreso dai loro padri l'arte dolciaria
le misure, i tempi e la pazienza
artigiana per preparare il
prodotto e seguirne con
amore la realizzazione.
L'avvento della mèccanizzazione non ha cambiato la
qualità dei prodotti Morè.ll gusto
caratteristico dei fòndants, la
vellutata bontà delle gelatine alla
frutta e la spiritosa fragranza dei cricri sono sempre gli stessi e
rimarranno inalterati, sicuramente
ancora per un altro secolo.
Oggi Morè presenta la prima serie dei
suoi cofanetti regalo con le preziose
litografie dei luoghi valligiani tanto
cari alla nostra memoria, con il
commento di Osvaldo Coisson, tratte
dal volume "The Waldenses" di
William Beattie. Possono essere un
bel regalo per Natale o per ogni
circostanza dove occorre portare,
anche a chi é lontano da Torre Pellice
un pò delle nostre tradizioni.
Vogliate compilare correttamente il Buono d'Ordine e spedire in busta chiusa a:
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x/FNERDÌ 20 AGOSTO 1993
PAG. 7 RIFORMA
L'azione del Centro diaconale «La Noce» nelle contraddizioni della società
I «bambini di strada» nella città di Palermo
CASPABE CUSIMANO*
Avent’anni dalla sua nascita il Centro diaconale
La Noce è ancora impegnato
in una crisi della quale soltanto ora sembra intravedere
l’uscita, anche grazie a un coraggioso programma di rinnovamento e rilancio delle attività di cui si è fatto carico negli ultimi anni. Tuttavia, vorremmo focalizzare brevemente la nostra attenzione non
tanto sull’attuale condizione
del Centro, quanto sul contesto in cui esso opera tentando
di verificare il significato della sua presenza a Palermo,
cercandone i contenuti anche
di riflesso a quanto altre istituzioni pubbliche o private
già fanno o hanno in progetto
di fare.
La condizione in cui Palermo, al pari di altre città meridionali, vive è stata ormai
descritta decine di volte da
tutti i meccanismi di informazione; è bene ricordare però
alcuni semplici dati: in città
l’abbandono dell’obbligo
scolastico è mediamente del
26% per alunni della scuola
media e del 16% della scuola
elementare; in alcuni quartieri
è del 40%. Si è riusciti a contare dunque, attraverso il
Provveditorato, 4.000 bambini a rischio per i quali ogni
anno esiste una forte correlazione con un percorso di devianza.
Sempre per quanto riguarda
il contesto conviene spendere
due parole sulla rappresentazione che la città ha del Centro diaconale. Com’è noto in
questi anni il Centro ha dato
un enorme contributo teorico,
pratico e clinico in tutti i settori che riguardano l’età evolutiva con particolare riferimento alla scuola, ai disabili,
al disagio ecc. Dunque molti
settori della vita cittadina ormai riconoscono al Centro un
ruolo importante di presenza
a Palermo, anche attraverso i
servizi a cui prima si accennava. Tuttavia episodi di misconoscimento dell’opera e
talvolta pregiudizi colpiscono
ancora l’attenzione degli ope
ratori attraverso casi in cui
bene che vada si viene classificati in blocco come valdesi,
o più generalmente come
«evangelisti» e dunque per
essere meglio collocati si viene assimilati alla grande famiglia dei testimoni di Geova, perfino chi, come me, è
un ben noto miscredente.
Vedremo questo problema
e i suoi esiti più avanti; preferiamo riprendere il discorso
sui bambini di Palermo e in
particolare su quei 4.000 che
associati ad altrettanti adolescenti formano una città nella
città.
È difficile immaginare la
condizione di sofferenza e
confusione in cui questi
«bambini di strada» sono costretti a vivere. Quali risposte
a questa condizione si cerca
di dare a Palermo?
Forse sbaglia chi pensa che
per i bambini di cui sopra la
città faccia poco o niente. Se
per un attimo lasciamo da
parte il Centro diaconale, il
quadro è più o meno il seguente: solo per l’assistenza
ai minori gli enti locali spendono ogni anno circa 20 miliardi attraverso decine di
convenzioni. L’unica attività
con una gestione diretta in
collaborazione con TUniversità è stato il «Progetto infanzia», che è stato chiuso dopo
un anno al pari di un progetto
di prevenzione per le tossicodipendenze che, costato miliardi, non è mai partito. Per
quanto riguarda le convenzioni per minori a rischio il Comune ogni anno ne rinnova
43 con diversi istituti cittadini: 42 appartengono alla Curia, l’altro è il Centro diaconale.
Scendendo un attimo nel
dettaglio si può notare che 20
di essi sono convitti, gli altri
comprendono scuole e semiconvitto e le comunità alloggio. Per quanto riguarda le
comunità, in città ce ne sono
cinque; tra queste, due offrono 80 posti letto (si tratta
dunque nella realtà di otto comunità), una ne offre otto,
un’altra tre. Queste quattro
sono gestite dalla Curia. La
Dopo gli attentati (Ji fine luglio
Evangelici e terrorismo
Sconcerto e preoccupazione hanno suscitato anche nel
mondo evangelico gli avvenimenti di fine luglio. Il pastore Giorgio Bouchard, presidente della Federazione delle
chiese evangeliche in Italia
(Fcei) ha dichiarato che «nel
grave clima di lutto, di violenza, di dolore che ha colpito ancora una volta V Italia in
un momento di rinnovamento
delle sue istituzioni, gli evangelici italiani rinnovando la
scelta di democrazia compiuta in vari momenti cruciali
della storia nazionale, rivolgono la loro solidarietà fraterna alle vittime di tanta
barbarie e innalzano una corale preghiera a Dio affinché
sostenga e illumini quanti nel
nostro paese sono oggi preposti a responsabilità pubbliche e a scelte difficili in difesa della libertà e della giustizia».
Il Consiglio generale delle
Assemblee di Dio in Italia ha
invitato i pastori delle sue comunità a dedicare domenica
8 agosto a una giornata di
preghiera, nel corso della
quale è stato ricordato quanto
è scritto nella Bibbia: «Se il
mio popolo si umilia, prega,
cerca la mia faccia e si converte dalle sue vie malvagie,
io lo esaudirò dal cielo, gli
perdonerò i suoi peccati e
guarirò il suo paese» (II Cronache 7, 14).
Con questo sentimento, dice il Consiglio delle Assemblee di Dio, preghiamo affinché il Signore guidi e dia
saggezza e luce alle più alte
cariche dello stato e sia ristabilita quella legalità e quella
rettitudine indispensabili per
l’amministrazione della cosa
pubblica nella pace, nella libertà e nella democrazia.
Di fronte alla precisa scelta
degli obiettivi colpiti a Roma
non è mancata la solidarietà
con il vicariato della capitale.
Un telegramma firmato da
Maria Sbaffi Girardet, coordinatrice dei Consigli delle
chiese valdesi, metodiste,
battiste e luterane di Roma,
esprime «la più viva cristiana solidarietà ai cattolici romani per un atto di barbarie
che ci colpisce e ci addolora
tutti come cittadini e come
cristiani».
Aspetti del quartiere della Noce di Palermo
quinta è la nostra, che offre
otto posti, è in attesa di convenzione da un anno e vive,
attualmente, con una retta
giornaliera di 22.000 lire per
bambino (a Bologna e Firenze le rette, per gli stessi servizi, oscillano tra le 72.000 e le
85.000 lire al giorno).
Forse è anche opportuno
notare che il Comune ha recentemente ristrutturato quattro vecchie case coloniche
per una delle comunità di cui
sopra (gestita dai Padri mercedari). Per quanto riguarda
gli interventi sul territorio, essi sono gestiti nella quasi totalità dei casi dalla Curia
attraverso programmi finanziati dallo stato o dal Comune. Le Usi sono compietamente assenti.
I controlli di queste strutture, spesso gestite da volontari
o da preti, sono quasi assenti
o comunque molto tolleranti,
nulla è invece dato di sapere
sul progetto educativo o
scientifico che le anima. Per
quanto riguarda la formazione delle assistenti sociali una
delle due scuole è gestita dalla Curia, mentre per le insegnanti di sostegno e l’assistenza ai disabili le scuole
esistenti sono due: una è gestita dalle suore, dell’altra è
presidente il cardinale di Palermo. In merito ai principali
centri di riabilitazione, due
sono privati ma convenzionati, due sono gestiti dall’Aias,
due dalla Curia e dalla Caritas in convenzione.
Ci sembra di poter dire che
da quanto esposto risulti chiaro come le risposte date ai
minori in difficoltà abbiano
rappresentato, anche grazie
all’istituto della convenzione,
una formidabile macchina di
consensi principalmente elettorali, che hanno innescato
una condizione circolare di tipo «do ut des» difficile da interrompere anche per gli amministratori; questo al di là
dell’effettiva validità delle
strutture, validità che soltanto
un giudice tutelare è stato capace di mettere pubblicamente in discussione.
È in questo ambiente che
circolano le idee e i modelli
del Centro diaconale. La strada che il Centro ha deciso di
percorrere vent’anni fa è stata
e forse continuerà ad essere
tutta in salita. Pregiudizi e discriminazioni a volte palesi,
oltre alle difficoltà di un quotidiano pieno di ostacoli talvolta incompatibili con il vivere civile, la rendono una
via da percorrere spesso con
rabbia ma con sempre nuova
determinazione. Ma in città
circolano anche le idee e le
identità degli oltre duecentotrenta bambini che ogni anno
il Centro contribuisce a formare, bambini e operatori con
origini culturali, etniche, sociali, religiose diverse, tutti
animati da istanze di cambiamento. Questo non può e non
deve essere dimenticato. È
principalmente da questi semi
che dobbiamo aspettarci nuovi germogli di una società finalmente multiculturale e forse più civile.
* Psicologo, coordinatore
del «Progetto disabili» presso
il Centro diaconale La Noce
NOTIZIE DA RIESI
LIBERARE
LE COSCIENZE
GIUSEPPE PUTONE*
Lo scuolabus e i bambini
Idati più recenti dell’Istat sulla criminalità indicano un
calo del 10% degli episodi delittuosi. La diminuzione
più significativa è quella registrata dagli omicidi volontari
ascrivibili a mafia, camorra e ’ndrangheta. Anche a Riesi
non si respira più la tragica atmosfera che vedeva, tempo
fa, quasi un omicidio al mese.
A poco più di un anno dalle grandi stragi mafiose, la
gerite è cambiata? Oggi, certamente, c’è meno indifferenza di ieri. C’è più tensione morale verso la politica, anche
se ho dei dubbi sull’aumento di collaborazione con la giustizia. La paura è ancora grande.
Sta di fatto che la Sicilia è militarizzata. Incontro posti
di blocco ovunque. Ci sono più indagini, c’è più repressione. La violenza criminale è tenuta sotto controllo dalla
presenza dell’esercito, della polizia e dei carabinieri. Il
presidente della Commissione parlamentare antimafia ritiene che la mafia, tutt’àltro che sconfitta, tornerà presto a
colpire. Del resto non sono mancati segnali, con le bombe
di Roma e Firenze, con gli ordigni disinnescati accanto al
Tribunale di Palermo, con le bombe di Milano e Roma.
Ma il problema del dominio mafioso non lo si sconfigge
solo con la repressione. Essa è necessaria. E se non ci fosse, l’isola sarebbe da tempo schiava della dittatura di Cosa
nostra. Ma occorre integrare l’impegno di lotta alla mafia
con tre ragioni.
La prima è la memoria. Non bisogna dimenticare ciò
che qui è successo, bisogna continuare a parlarne, a discuterne. Il complice più affidabile di Cosa nostra è il silenzio, l’oblio. Con le nostre scuole siamo stati a Palermo e
visitando la città abbiamo sostato sotto la casa di Giovanni Ealcone. All’ingresso, su una grande magnolia, sono attaccati decine di foglietti; una bambina di quinta ha appeso anche il suo messaggio: «Non credevo che si potesse
arrivare a tanto».
Quella grande magnolia ricorda il sacrificio di un magistrato coraggioso. L’ultimo giorno di scuola, nel giardino
del Monte degli ulivi, con i bambini abbiamo piantato un
carrubo, l’albero antico della Sicilia. Il carrubo rappresenta per questo paese ciò che il castagno fu per i valdesi
all’indomani del ritorno dall’esilio del XVII secolo. Piantare un carrubo o un castagno significa piantare l’albero
del pane. Sono alberi che non crescono in fretta, li si pianta per gli altri che verranno. Altri infatti verranno e si riposeranno alla loro ombra e ne mangeranno i frutti. Oc
corre oggi piantare perché domani si possa raccogliere
Tutti i sacrifici compiuti contro la mafia, anche le vite
schiacciate, non sono state inutili. Ma occorre continuare
a resistere.
La seconda ragione è infatti quella della resistenza. Mi
torna qui in mente il grande affresco del capitolo 13 di
Marco: nelle visioni catastrofiche, da fine del mondo, nel
mezzo delle paure, dell’angoscia collettiva, Cristo invita i
credenti a «vegliare», a resistere. Dio infatti ha in mano il
futuro del mondo: tra i facili ottimismi o le visioni catastrofiche della realtà bisogna riscoprire il realismo di una
fede che non si lascia fermare o condizionare da illusioni
o delusioni.
Il recente passato siciliano è stato difficile, tragico. Ma
non viviamo del passato: esso ci serve per meglio capire,
interpretare il presente. Oggi è importante, nella nostra situazione, non rassegnarci di fronte alla mentalità del lassismo, dell’ignoranza, della violenza, ma continuare a agire
con un’attiva fiducia in Dio.
Tutto questo ci conduce alla terza questione, che tignar
da appunto la speranza. Se non siamo sorretti da una vi
sione vittoriosa che ci permetta di credere possibile un più
alto livello di democrazia, di partecipazione, di vivere
senza violenza, di accogliere i diversi, i deboli, noi ri
schiamo di assuefarci allo sfascio in cui viviamo. Non tut
to però è sfascio: le aree di legalità si stanno allargando:
certo, si fa ancora tanta retorica, c’è ancora molta indiffe
renza, ma si inizia a intravedere un percorso che conduce
a un cambiamento profondo. Condividere questo cambia
mento è il nostro compito di credenti. Gli strumenti che
abbiamo a disposizione sono pochi, e quel poco che ab
biamo deve essere ben organizzato per crescere insieme
riducendo le aree dell’indifferenza, della violenza, tra le
persone e verso l’ambiente, dell’intolleranza.
Il cambiamento nasce prima di tutto nella coscienza. Li
berare la coscienza dai pesi che Fopprimono è la prima
condizione per ricostruire un nuovo tessuto sociale e isti
tuzionale. Il compito di intraprendere nuove strade è reso
oggi ancor più difficile dalla crisi economica generale che
si sta attraversando e che qui tocchiamo con mano. In particolare penso con viva preoccupazione alla situazione
della Meccanica Riesi, le cui maestranze sono da tempo in
cassa integrazione.
Sì, non mancano motivi per essere sfiduciati o pessimi
sti. Non lasciamoci per questo sedurre dall’immobilismo
Liberiamoci da tutto ciò che opprime la nostra vita, la
menzogna, le violenze, la solitudine, la tirannia, i compromessi che intristiscono Resistenza, e lottiamo con la forza
della verità e della pace. Quella forza espressa pienamente
in Cristo, agape di Dio, può cambiare la storia. Lasciamocene dunque afferrare, se vogliamo realmente cambiare le
cose.
* Direttore del Servizio cristiano di Riesi
12
PAG. 8 RIFORMA
Cultura
VENERDÌ 20 AGOSTO I993
I gesti, i volti, i corpi: «Come in uno specchio» (1961)
i . ' rf . ' '
Interpretazioni del «Settimo sigillo»
La Morte, il cavaliere
e il suo scudiero
«Avrei potuto darvi un’erba per purgarvi dalle vostre
preoccupazioni sull’ eternità.
Ma ora sembra sia troppo
tardi. In ogni caso, sento
l’immenso trionfo di quest’
ultimo minuto, quando si può
ancora volgere gli occhi, e
muovere le dita dei piedi».
Così si esprime Jons, ateo
scudiero di un cavaliere crociato che sta perdendo la fede, alla fine del Settimo sigillo; di fronte hanno la Morte
che sta per portarsi via loro e
altri dei protagonisti.
La vicenda del film che ha
dato notorietà intemazionale
al regista è paragonabile a un
affresco medievale, per la
quantità di personaggi che incrociano le loro strade sull’
asse portante del viaggio verso casa di un cavaliere in crisi. In un paese compariranno
un pittore che sta affrescando
(appunto) una chiesa a forti
tinte, una strega che sta per
finire sul rogo, un gruppo di
attori girovaghi che sopravviveranno con il loro bambino,
e, soprattutto, la peste e la
Morte personificata, che ingaggerà una partita a scacchi
vittoriosa (ma con l’inganno!) con il cavaliere.
Più che nel testo, peraltro
molto bello, predomina in
tutto il film il senso dell’angoscia, dell’attesa. L’apocalisse è l’evento sconosciuto
che dovrà cambiare il corso
del mondo: i vari personaggi
si ritroveranno alla fine in un
castello, da cui seguiranno il
precipitare degli eventi, ma il
senso della catastrofe incombente si annuncia fin
dall’inizio.
Una scena del «Settimo sigillo»
In molti hanno scritto del
film. L’abate Ayfre interpreta
il titolo con il riferimento al
fatto che solo l’agnello può
aprire il settimo sigillo, e
quindi procedere alla rivelazione, attraverso i simboli
delle «domande fondamentali
che segnano la condizione
umana, e che fan sì che l’uomo si interroghi sul senso
della sua presenza nel mondo», in attesa che intervenga
la misericordia di Dio che «li
guiderà alle sorgenti delle
acque della vita e asciugherà
ogni lacrima dai loro occhi»
(Apocalisse 7, 17).
Giustamente Ayfre fa riferimento a una precisa scelta
espressiva del regista: «“E
quando VAgnello apri il settimo sigillo - ci dice il testo
[Apoc. 8, 1] - si fece silenzio
nel cielo per circa mezz’ora”
(...) Tutto il fdm di Bergman
(...) si situa in questa mezz’ora. Mentre i flagelli continuano a incrudelire, il cavaliere cerca di interrogare
questo “silenzio del cielo”,
questo segreto che, sembra,
si offre al di là dell’apertura
dell’ultimo sigillo». La domanda però resta senza risposta, e il film si conclude con
la danza macabra guidata dalla Morte con tanto di falce.
In campo protestante è interessante ciò che scrivono
Francine e André Dumas
(L’amour et la mort au cinéma, Ginevra, Labor et Fides,
1983, pp 47-49): «La Morte
non rivelerà niente, perché
niente sa. Neanche la Chiesa
sa niente, e quando essa parla di Dio o dei demoni come
se li avesse visti, essa imbroglia». I Dumas attribuiscono
anche allo scudiero una qualità da «eroe di Sartre, eroe
dell’autenticità, dell’antifanatismo, del bene relativo,
ma autentico e umano», e
concludono che Bergman,
«figlio di pastore, che ha perduto la fede» tra il cavaliere,
lo scudiero e l’attore si identifica un po’ in ognuno, «con
dei momenti di grazia e dei
momenti di ateismo tranquillo, su uno sfondo di ricerca
appassionata, quasi disperata, per conoscere Dio senza
riuscire né a trovarlo né a
ucciderlo, e per incontrare
l’amore».
I 75 anni del regista svedese sono un'occasione per ripercorrerne le numerose opere
Ingmar Bergman: 45 film per cercare il volto
di Dio e analizzare i rapporti fra le persone
ALBERTO CORSANI
A ma il Signore Dio
NyxM. tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima
e con tutta la tua mente...
Ama il tuo prossimo come te
stesso...». La formulazione
del «gran comandamento»
(Matteo 22, 37-39) esprime i
due poli di rapporti in cui si
orienta la vita del credente.
Ingmar Bergman, non credente ma figlio di un pastore
luterano, ha organizzato una
quarantina di film, lungo 40
anni di carriera, intorno a
questi stessi poli.
Per i 75 anni del regista è
in corso in Svezia, ma anche
in Germania dove ha lavorato negli anni ’70 e ’80 come
regista teatrale, una serie di
manifestazioni e rassegne retrospettive: è l’occasione per
fare un bilancio e ripercorrere i densi temi affrontati dal
regista.
I rapporti interpersonali e i
rapporti con Dio, con il trascendente, sono i cardini di
tutta l’attività di Bergman, e
sono, tra l’altro, esemplificati molto chiaramente da uno
degli elementi che «accompagnano» la realizzazione
delle sue opere, cioè la musica.
Due poli, che si intrecciano anche all’interno dello
stesso film (l’abate Amédée
Ayfre, per il quale proprio i
film «basati sull’analisi della vita psicologica» possono
esprimere una coincidenza
tra «altro mondo» come supra-umano o come infraumano, benché il realismo
psicologico sembri escludere
interventi «esterni», dall’alto)*: la ricerca del trascendente rispecchiata dai brani
di Bach (il Bach più rigoroso, più astratto, più rarefatto
delle suites per violoncello
solo a sottolineare l’inquietudine di chi cerca un valore
supremo, che non è di questo mondo, un principio intangibile e ineffabile); i rapporti difficili, tortuosi, ambi
gui, aspri e a volte involuti,
fra gli individui, solcati dalle
note di uno Chopin inteso e
interpretato sì da accentuarne il fascino morboso (interprete di queste ultime pagine
a volte è stata Kabi Laretei,
che è stata moglie del regista). Alcuni titoli: Come in
uno specchio (1961) e Sussurri e grida (1973) per la
prima «serie». Sonata d’autunno (1978) e ancora Sussurri e grida per la seconda.
Il discorso su Dio non è
necessariamente diretto: è un
discorso sull’ansia, sulla volontà di conoscere, di capire,
di spiegarsi le nefandezze
del mondo, di dare un senso
alla sofferenza: la peste e il
rogo della strega nel Settimo
sigillo (1957), la malattia e
la crisi di fede del pastore di
Luci d’inverno (1963, il cui
titolo originale è «I comunicandi»), che non riesce a
scongiurare il suicidio di un
pescatore, la visione mostruosa di Dio nella visione
della ragazza di Come in uno
specchio (1961) sono tentativi di rispondere a una domanda imprescindibile.
Il regista, che tanto ha subito, come ha affermato in
innumerevoli interviste oltre
che nei due libri autobiografici (Lanterna magica, 1987
e Immagini, 1992, entrambi
pubblicati da Garzanti) la rigidità dell’educazione da
parte del padre, di cui ha rigettato la religione, non
sfugge per questo agli interrogativi più profondi. E la risposta sostanzialmente agnostica che Bergman (tramite i personaggi agnostici
dei suoi film) dà all’interrogativo si riflette tutta nell’
analisi complementare dei
comportamenti umani, fisici
e mentali.
L’altro polo è infatti in apparenza un polo di sofferenza senza fine e senza limiti,
ciò che ha portato cinefili e
critici a ingaggiare ferocissime battaglie: Sussurri e grida o il televisivo Scene da
La «Trilogia del silenzio» (1961-63)
Una cruda indagine
sul senso della vita
Un mondo di estraneità e di
disadattamento: Come in uno
specchio, Luci d’inverno e II
silenzio hanno segnato in maniera indelebile il cinema dei
primissimi anni ’60: tre film
che è stato immediato accostare per la vicinanza dei temi
affrontati: il «mal di vivere»
(la protagonista, Karin, ha
sofferto di schizofrenia e il
fratello vive tormenti adolescenziali), l’ansia creatrice e
l’impossibilità di vedere Dio
nel primo e nel secondo, fino
alla negazione assoluta di
ogni possibilità di bene nel Silenzio. Un’opera estrema, se
non fosse che si situò nemmeno a metà del percorso creativo di Bergman. Due sorelle,
una più giovane con un figlio
di 7-8 anni, l’altra gravemente
malata, approdano in un albergo di una località sconosciuta,
percorsa da movimenti di carri armati e rumori minacciosi,
dove si parla una lingua in
comprensibile. Dopo un’avventura erotica della sorella
giovane, dopo l’agonia dell’
altra, l’unica speranza è riposta nel ragazzino; a lui è consegnato un futuro incerto, ma
almeno un futuro.
Come molte volte al cinema, la «tesi» che sembra
emergere (o che ci si sforza di
far emergere) da un film è
molto meno affascinante del
suo svolgersi: la simbologia
appare oggi ingenua (ma pensiamo solo, per esempio, a come si poteva vivere 30 anni fa
l’incubo atomico) e forzata.
Giustamente i Dumas hanno
scritto che «questo film duro e
spoglio ci parla di Dio, non di
un Dio per chierichetti, ma di
Colui che ci potè annunciare
la resurrezione e la vita solo
dopo aver conosciuto l’angoscia, la solitudine del Getsemani, e dopo aver attraversato “la valle dell’ombra della
morte” ».
un matrimonio sono film che
si accettano o si rifiutano, a
dimostrazione che, comunque, toccano corde sensibilissime.
I dialoghi interminabili, le
frasi «ricercate», un po’ contorte per argomentare e controargomentare, un po’ lapidarie quando si tratta essenzialmente di «farsi del male
a vicenda» caratterizzano
l’analisi della fine di un matrimonio, ma anche la progressiva identificazione
dell’infermiera con la paziente afasica in Persona
(1966); e sono gli sguardi, il
modo diverso di porsi dinanzi al pianoforte a contrassegnare la lotta, la rivalità, decenni di incomprensione tra
madre (famosa concertista) e
figlia in Sonata d’autunno (il
cui titolo è stato orrendamente reso in Italia come «Sinfonia d’autunno», da distributori che hanno dimostrato di
capire poco di cinema e
niente di musica, giacché il
film è tutto dimensionato come una partitura «da camera», una sonata appunto).
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Nella difficoltà di rapporti
fra persone (matrimoni che
si sfasciano, conflitti generazionali) e con Dio, esistono
altre strade: quella dell’arte,
evidentemente autobiografica (il gruppo teatrale in II rito - 1969 -, il pittore dell’
Ora del lupo - 1968), quella
della trascendenza laica del
massonico Flauto magico di
Mozart, quella dello spettacolo, della vita come messa
in scena delle passioni.
È qui, più che nei dialoghi,
pur densi e pregnanti, che
Bergman esprime la propria
concezione: come uomo di
spettacolo (che rivendica la
propria inclinazione soprattutto per il palcoscenico, come dimostra l’attività degli
ultimi anni) è nelle pieghe
della suspense, nel ritmo e
nell’inquietudine che egli
manifesta la propria idea
della vita; nello spettacolo la
dobbiamo ricercare.
(*) A. Ayfre; «Cinéma et
transcendance» in H. Agel - A.
Ayfre: Le cinéma et le sacré.
Paris, ed. du Ceri, 1961,
p. 167).
Le parole e gli sguardi: «Scene da un matrimonio»
«Sussurri e grida»
Il linguaggio
parlato
dal corpo
Sussurri e grida mette in
scena ciò che non si potrebbe: una resurrezione. Una
donna di cui si segue la morte, che riprende vita, come
era stato in Ordet (1955) di
Cari Theodor Dreyer, in
qualche modo un fratello
maggiore di Bergman, come
Kierkegaard e Ibsen ne sono
padri.
Le sorelle della malata e i
loro mariti gareggiano
nell’interesse e nell’avidità;
chi si preoccupa di lei è la
cameriera, unico personaggio che Bergman riesce a
considerare positivamente.
Non certo per esaltare una
classe sociale inferiore (la
malata vive nel castello di
famiglia), ma per ritrovare la
fisicità (la serva scalda in
maniera addirittura materna
il corpo infreddolito dell’inferma) come unica strada alla comunicazione in un
mondo di falsità e di egoismi.
Gli ultimi film
Il racconto,
la seduzione,
la messinscena
Fanny e Alexander (1983)
racconta l’odissea di due bambini, strappati alla casa natale
in seguito alla morte di un padre anziano. La madre si risposa con un vescovo luterano
rigidissimo e severo anche
con se stesso. 11 «terzo atto»
di questo film strutturato teatralmente è il ritorno a casa: lo
zio Isak, ebreo, sottrae i bambini al vescovo, li nasconde
nella propria bottega di antiquario, li intrattiene raccontando loro una leggenda meravigliosa. Isak è Bergman che
si scopre narratore e uomo di
spettacolo in quello che voleva fosse l’ultimo film.
Girerà invece un filmino in
apparenza minore (Dopo la
prova, 1984), a tre personaggi
in cui un vecchio regista racconta a un’ attrice di come e
riuscito a farla innarnorare: e
realtà? È un’ipotesi? E soprattutto la magia del teatro e della messa in scena, svelata e
celebrata.
13
venerdì 20 AGOSTO 1993
Cultura
PAG. 9 RIFORMA
La storia del «Regno di Dio»
Il vero autore
è Vittorio Subilia
GINO CONTE
SU Riforma del 23 luglio
ho letto con comprensibile piacere la presentazione
ampia e accurata che Manfredo Pavoni ha fatto del saggio postumo di Vittorio Subilia Il regno di Dio. Interpretazioni nel corso della
Storia, che ho curato per i tipi della Claudiana. Vorrei
solo fare qualche precisazione, ad evitare che si attribuisca al curatore ciò che è
dell’autore.
L’articolo di Pavoni potrebbe ingenerare nel lettore,
che non abbia letto il libro,
l’impressione che vada attribuita al mio lavoro una parte
maggiore di quanto sia stata
in realtà, e soprattutto che
non si riconosca che questo
libro bello e ricco è di Subilia e non metà di Subilia e
metà di Conte (con evidente
deprezzamento) sia pure su
note di Subilia. Forse non sono stato abbastanza chiaro al
riguardo nella prefazione e
nelle note redazionali.
Anzitutto, non si tratta della pubblicazione postuma di
un corso accademico, l’ultimo tenuto in Facoltà nel
1975-76 dal nostro teologo.
Lo spunto iniziale e, per certi
capitoli, il canovaccio era
rappresentato da quel corso;
ma su di esso Subilia ha lavorato accanitamente per oltre due anni (e lo dimostra la
voluminosa e aggiornatissima bibliografia). In particolare tutta l’abbondante prima
parte del libro, quella che
egli ha lasciato rifinita e per
la quale mi sono limitato a
alcuni aggiornamenti bibliografici, è originale e nuova
rispetto a detto corso, del
quale ha ripreso solo pochissime pagine.
La sua scorsa lucida e appassionante sulle interpretazioni che del regno di Dio
sono state date attraverso i
secoli, si è dovuta purtroppo
interrompere alle soglie
dell’Ottocento.
Per i capitoli posteriori mi
sono servito del manoscritto
del corso, integrato da moltissime note, appunti, riferimenti bibliografici tratti dalle
sue innumerevoli schede: per
quanto ho potuto e saputo fare, ho cercato di integrare i
suoi capitoli pur rendendomi
ben conto - e così farà ogni
lettore - dell’abisso fra ciò
che si è potuto pubblicare e
ciò che avrebbe scritto e rifinito Subilia se avesse potuto
condurre a termine questa fatica, emblematica nel tema,
che gli stava particolarmente
a cuore. Il solo capitolo veramente nuovo è quello sull’interpretazione sociale: qui non
c’era alcuna traccia elaborata, solo appunti e, come il
lettore può notare, mi sono
servito pure di articoli che, al
riguardo, Subilia aveva pubblicato nel tempo.
Il lavoro che la cura di
questa pubblicazione ha rappresentato per le mie forze e
capacità modeste è stato notevole; resta il fatto che questo è un libro di Subilia, integralmente.
I lettori, che spero numerosi e attenti, ritroveranno o
troveranno lui, il suo pensiero, la sua lucidità appassionata, la sua chiarezza, la sua
forza di sintesi; riceveranno
stimoli alla riflessione e alla
ricerca e si schiuderanno loro
squarci e prospettive su questo centro della predicazione
e della passione di Gesù, su
questo polo luminoso e magnetico del messaggio evangelico, della nostra fede, della nostra speranza.
I libri sul regno di Dio non
sovrabbondano. Con l’editore ho cercato di rizzare quest’opera sul cavalletto; ma il
quadro è suo, di Vittorio Subilia anche se, purtroppo, incompiuto.
Una raccolta di saggi di Paul Ricoeur
Il credente
lo Stato e il potere
La questione del potere* è
una raccolta di cinque saggi di
Paul Ricoeur, filosofo credente e protestante, uno degli
esponenti più importanti e prolifici della scuola ermeneutica
francese, già apparsi sulla rivista Esprit diretta da Emmanuel
Mounier e nel volume Histoire
et véri té. Tuttavia si tratta di
temi che non hanno perso la
loro attualità, mentre la lucidità con cui viene svolta l’analisi rimane appassionata e
coinvolgente lungo tutti i cinque brevi studi, a partire dal
primo che problematizza il
rapporto tra violenza e nonviolenza.
Anche il rapporto tra credente e stato viene indagato alla luce dell’incontro-scontro
tra l’etica evangelica dell’
amore cristiano e l’etica della
coercizione spesso omicida del
magistrato, rappresentata in
tutta la sua pervasiva e dirompente potenza della guerra.
Sempre in chiave di rapporto
dialettico e conflittuale tra stato totalizzante e soggettività
Due opere teatrali in cartellone
La Riforma
in palcoscenico
Sono in programma per
l’estate-autunno due lavori
teatrali con attinenza alla
Riforma e alla storia delle
chiese.
A Münster, in Germania, si
terrà il 31 ottobre la prima
assoluta dell’opera lirica Divara, che il contemporaneo
Azio Gorghi ha tratto dal
dramma In nomine Dei dello
scrittore portoghese José Saramago, l’autore del Vangelo
secondo Gesù.
Comunista, Saramago è
oggetto di discussioni prevedibilmente aspre, e sarà forse
così anche per quest’opera,
che tratta della lacerazione
della stessa città di Münster,
teatro delle lotte del XVI secolo, allorché gli anabattisti
cercarono di sostenere il loro
modello di «nuova Sion».
L’opera, nelle parole di Mar
dotate di diritti che devono poter essere esercitati si gioca il
saggio dedicato ai regimi socialisti.
Ai rischi reali e non solo accademici che una cultura dominante soffochi a livello
mondiale altre culture, creando scompensi che appariranno
evidenti solo nel lungo periodo, è dedicato il quarto saggio,
mentre l’ultimo si interroga
sulla necessità di un’approfondita riflessione di tipo etico intorno alle scelte socio-economiche che stati e istituzioni
devono operare in misura sempre maggiore: la sfida vera è
rappresentata dalla dimensione
futura di tali scelte, dall’impatto che inevitabilmente avranno
su tutti gli aspetti della vita degli individui,e non solamente
quelli economici o politici.
(*) Paul Ricoeur: La questione del potere. L’uomo nonviolento e la sua presenza nella
storia. Introduz. di Riccardo De
Benedetti. Lungro (Cosenza),
Costantino Marco editore, 1992,
pp 163, £25.000.
co Del Corona, che ne offre
un’anticipazione sul Corriere della sera del 24 luglio,
parte dunque dalle dispute
tra cattolici, luterani e anabattisti, registra la presa del
potere proprio degli anabattisti, a cui seguirà una sorta di
loro teocrazia. La conclusione è tuttavia l’ingresso del
vescovo cattolico Waldeck,
che ristabilirà l’ordine.
Intanto a Verona si replica
Tommaso Moro, opera collettiva del teatro elisabettiano, a cui partecipò anche
Shakespeare. 11 motivo del
dramma ruota intorno a «un
martire cattolico elevato a
protagonista in un'epoca di
assoluta ortodossia protestante come quella di Elisabetta l» (Sergio Perosa, Corriere della sera del 26 lu
I glio).
Lo scrittore portoghese José Saramago
Un libro dell'antropologo Ernest Gellner
Ragione e religione
nel «postmoderno»
Ernest Gellner, presentato
in copertina come già «.enfant terrihle della filosofia
inglese» è indubbiamente un
brillante antropologo apprezzato e rispettato negli ambienti accademici.
Questo volumetto*, pubblicato in Inghilterra nel
1992 e da poco uscito in edizione italiana, avrebbe dovuto essere la metà di un’opera
più corposa scritta insieme a
uno studioso musulmano,
Akbar Ahmed. In seguito,
tuttavia, le parti dei due autori sono state pubblicate separatamente.
L’edizione italiana ha operato un’ulteriore piccola forzatura, escludendo dal titolo
quel richiamo al «postmodernismo» presente nell’originale inglese (Postmodernism,
Reason and Religiori). Omissione non da poco, perché di
fatto il senso del libro di Gellner, più che nel confronto
tra fondamentalismo religioso e razionalismo illuminista,
riposa molto nella polemica
Milano, 1957: presentazione della «Bianchina» con Giovanni Agnelli
(alla guida), Alberto Pirelli, Vittorio Vailetta, Giuseppe Bianchi
Libri
con il relativismi culturale
proprio del postmodernismo.
La gran parte di Ragione e
religione è dedicata alla confutazione (a all’irrisione) del
relativismo culturale, soprattutto nella sua versione antropologico-accademica, che
Gellner ritiene intellettualmente dannosa e professionalmente scorretta.
In questo modo il confronto tra ragione e religione, richiamato dal titolo, non viene granché approfondito; e la
conclusione a cui Gellner
sembrerebbe arrivare è quella che vede fondamentalismo
religioso e razionalismo illuminista in fondo convivere,
posto che si riconosca il primato pratico del secondo sul
primo e che insieme si combatta fino in fondo il vero nemico della società contemporanea: il «relativismo postmodemista».
(*) Ernest Gellner: Ragione e religione. Milano, Il Saggiatore («Biblioteca delle silerchie»), 1993, pp 141, £ 16.000.
L'amarezza grottesca della vita
Luciano Bianciardi, saggista, traduttore e romanziere maremmano precocemente scomparso, racconta ne La vita agra*
l’esperienza scopertamente autobiografica del suo trasferimento a Milano e del suo difficile adattamento alla vita milanese
degli anni ’50.
Il personaggio che si cuce addosso è un militante comunista
«di quegli anni», che un po’ sul serio un po’ per avventura esistenziale e velleitaria parte in missione per vendicare, nella sede padronale, i minatori morti in una di quelle sciagure dovute
all’ansia di profitto più che alle circostanze occasionali. A Milano dovrebbe sabotare il «torracchione» (velata allusione al
grattacielo Pirelli, emblema di una trasformazione sociale per
molti versi drogata) dirigenziale, ma non ne farà nulla.
Anzi, il suo soggiorno si risolverà in un concubinato con Anna, anch’ella militante ancor più convinta finché incontra lui, e
questo farà in barba alla moglie e al bambino lasciati in Maremma. L’esperienza è grottesca e tragica al tempo stesso: tormentato dai debiti, dall’occasionalità dei lavori di traduzione,
dal rischio dei pignoramenti, dall’estraneità a un mondo di dattilografe, piazzisti, impiegati carrieristi (ci vorrebbe un nuovo
Bianciardi per descrivere gli anni ’80! - al cinema l’ha fatto
bene Pupi Avati), l’«io narrante» si lascerà andare in una vita
sempre uguale, di mollezze e di superlavoro curiosamente paralleli. Al di là dell’ideologismo di alcune parti, spicca (e vince) il tono implacabilmente sarcastico nel descrivere le mutazioni della società dello sviluppo economico, i primi accenni
del consumo di massa, l’arrivismo e il lato meschino del capitale in continuo intreccio con le esperienze amorose e esistenziali: un soggetto privilegiato per molta narrativa del dopoguerra, che mostrerà il proprio volto più atroce negli scampoli
dell’incompiuto Petrolio di Pier Paolo Pasolini.
(*) Luciano Bianciardi: La vita agra. Milano, Rizzoli, 1993 (I ed.
1962), ppIX-197,£ 28.000.
Attualità della memoria
Può esistere una letteratura ispirata alla memoria, che però si
declini tutta al presente? È questo l’apparente paradosso a cui
cerca di dare risposta Hector Bianciotti nel suo ultimo romanzo, da poco tradotto in italiano*.
Nato in Argentina nel 1930 da genitori piemontesi, ma residente stabilmente in Europa dal 1955 (ora vive a Parigi), critico
letterario e giornalista, Bianciotti ripercorre i ricordi d’infanzia
e di giovinezza nella pampa, in mezzo alle distese infinite di
pianura, all’ostilità degli altri immigrati italiani, alle bande della «Mano nera»; e in questo ambiente, fatto di terra, lavoro duro, animali, vive le prime, formative, esperienze che lo renderanno uomo.
Di lì a poco infatti ci saranno gli studi in seminario, l’amore
per le arti, una complessa iniziazione al mondo degli adulti e al
sesso. Dove sta l’originalità del libro, visto che il tema (il ricordo, l’infanzia, la formazione, la Bildung) è stato ampiamente
frequentato da generazioni di scrittori? Nel passare dalla prima
alla terza persona, nel mischiare le carte, presentando a tratti
una vera e propria rievocazione, a tratti un’evocazione che potrebbe essere immaginaria e immaginata.
Per questo le parti migliori sono forse quelle dell’infanzia:
più lontane nel tempo, riferite a una stagione in cui il protagonista-narratore non possedeva ancora gli strumenti della critica
e della riflessione matura, lasciano spazio proprio a una maggior fantasia di reinterpretazione. Sarà tutto vero? Chissà: intanto sono pagine affascinanti e verosimili...
(*) Hector Bianciotti: Ciò che la notte racconta al giorno. Milano, Feltrinelli, 1993, pp 247, £ 30.000.
14
PAG. 10 RIFORMA
VENERDÌ 20 AGOSTOigg.-^
-------------------
Cinquant'anni fa il Sinodo si svolse a cavallo dell'8 settembre: i culti, la confessione di peccato, il dibattito chiesa-stato
ECCLESIA SILENS: IL DIBATTITO NEL SINODO DEL 1943
LUCIANO DEODATO
Il 6 settembre del 1943 si
apriva in Torre Pellice il
Sinodo delle chiese valdesi.
Quell’anno non ci furono nuovi pastori consacrati.
Mariano Moreschini, pastore a Bergamo, tenne il culto
inaugurale, predicando il testo
di Isaia 21, 11: «Sentinella, a
che punto è la notte? La sentinella risponde: Vien la mattina e viene anche la notte..».
Non ho trovato traccia del sermone, per cui mi domando
che cosa abbia detto. Il 25 luglio era crollato il fascismo:
poteva essere l’annuncio
dell’alba. Ma il crollo del regime avveniva in un contesto
di guerra. La risposta ambigua
della sentinella, viene la mattina, viene la notte, interpretata col senno di poi, era quanto
mai eloquente. E possibile che
Moreschini, allora, ne abbia
colto il senso? Egli era uomo
di grande cultura, capace di
dialogare con Benedetto Croce; un poeta, dall’animo sensibile e fine. Abbinò al testo di
Isaia una parola dell’apostolo
Paolo, Romani 13, 8-14 dove
fra l’altro è detto: «La notte è
avanzata, il giorno è vicino»
per proseguire poi: «Gettiamo
via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce».
Tenendo conto del clima
generale e dei testi che nel
corso del Sinodo furono proposti alla riflessione, ho la
sensazione che la chiave di
lettura sia stata di tipo consolatorio. Nel culto del lunedì
mattina il pastore Guglielmo
Del Pesco prese un testo che
non lascia adito a dubbi: la
tempesta sedata nella versione
di Marco 4, 35-41. E la Tavola, nel suo rapporto al Sinodo
scriveva: «D( nuovo abbiamo
esperimentato la realtà della
sua promessa: Non temere, io
non ti lascerò e non ti abbandonerò».
La chiesa nella bufera
Che ci fosse bisogno di consolazione, è fuori di dubbio: le
ferite della guerra erano tante
e profonde. Ogni chiesa contava i suoi morti. Ben duemila
erano i giovani sotto le armi,
sparsi sui vari fronti. Ogni
tanto qualcuno tornava a casa,
ma dentro una bara. 1 pastori
Giovanni Bertinatti e Edoardo
Micol erano prigionieri in
Africa. L’evangelista Enrico
Coisson, in servizio a Cheren,
era sparito nel nulla: il suo
corpo e quello di altri due suoi
compagni non furono più trovati. La vedova, con i suoi tre
bambini piccoli, giunse alle
Valli dopo aver fatto il periplo
delTAfrica. Sul fronte russo il
generale Giulio Martinat si
era sacrificato per aprire un
varco di fuga ai suoi alpini. Il
cappellano Alfredo Rostain si
trovava nei Balcani; di lì a poco avrebbe incontrato la morte. Un altro cappellano, Ermanno Rostan, svolgeva la
sua opera lungo tutto il confine alpino, dall’Istria alla Francia. L’invasione degli angloamericani aveva già isolato la
Sicilia dal resto d’Italia, impedito al pastore di Orsara di
raggiungere la sua sede, spezzato i collegamenti. «La nostra parola d’ordine - scriveva la Tavola - è semplicemente questa: fortificarsi nel Signore, compiere il dovere nostro, restare in piè (Efesini 6).
Prendere la nostra debolezza
ed immergerla nella forza della possanza di Dio, certi che il
giorno della ricostruzione
verrà».
La relazione della Cde
La giornata di lunedì 7 si
svolse secondo la prassi. La
commissione d’esame (Cde)
(pastore Luigi Marauda, relatore, pastore Vittorio Subilia,
laici Oliviero Scaccioni e
Leopoldo Bertolé) lesse la sua
relazione che si concludeva
così: «Sappiamo tutti, tacitamente, che le chiese con cui
siamo legati dal legame di
Cristo hanno in questi ultimi
anni guardato a noi e hanno
atteso da noi una voce di protesta, una voce di confessione, una voce di comunione,
come altre chiese di altre nazioni hanno saputo fare: la
Chiesa valdese ha taciuto, ha
lasciato passare un'ora irrevocabile della sua testimonianza.
l tempi sono cambiati: nessun atteggiamento sarebbe
meglio apprezzato dalla coscienza cristiana universale,
di un atteggiamento dignitoso, fermo ed aperto, che si ricordi delle altre chiese non
solo per accennare alle proprie difficoltà finanziarie e
minoritarie, ma per sollecitare e per dare consigli e incitamenti alla fedeltà ed alla testimonianza, per collaborare
alla comunione di Cristo, al
di sopra delle barriere nazionali, continentali e razziali.
Per finire: noi facciamo voti
perché i membri della Tavola
si sentano sostenuti dal consenso e dalle preghiere della
Chiesa ad OSARE».
Quale fu l’impatto di queste
parole nell’assemblea sinoda
Testo dell'odg «Subilia»
Il Sinodo, di fronte alle esigenze dell’ora presente, nella
coscienza di rappresentare la voce di tutte le Comunità della Chiesa Valdese, si umilia davanti a Dio di non aver saputo proclamare in ogni contingenza e a costo di qualsiasi rischio il messaggio di Cristo il Signore, in tutte le sue implicazioni;
afferma la sua solidarietà di fede, di preghiera, di sofferenza e di combattimento con le Chiese in distretta per fedeltà a Cristo;
al di sopra dì ogni torriera di nazione e di razza, si sente
parte viva ed attiva della Chiesa Universale, nel comune
anelito a superare il proprio orgoglio confessionale, a lasciarsi riformare ed arricchire dalla Parola di Dio, a incontrarsi in una rinnovata sottomissione e ccatsacrazione a Cristo, Capo deU’intero Corpo;
esprìme la sua volontà di collaborare alla riconciliazione
dei popoli nel segno del ravvedimento e della ccnnunione di
Cristo e all’educazione della coscienza umana di domani,
all’unica luce dell’Evangelo;
chiede per questo l’mistenza delio Spirito Santo, la Guida, il Consolatore, la Vita della Chiesa, c^gi e domani.
le? Lo si sarebbe visto il giorno dopo.
L'8 settembre
Il giorno dopo, 8 settembre
(!), si aprì con un culto in cui
il pastore Ermanno Rostan
predicò il testo di Ebrei 2, 3:
«... come scamperemo noi, se
trascuriamo una così grande
salvezza?». Che cosa abbia
detto, non lo sappiamo: nei
verbali manca ogni traccia.
Un testo certo molto impegnativo, di giudizio e speranza. Non lo sapremo forse mai.
Sta di fatto che quella giornata si aprì con un testo impressionante: giudizio e salvezza
stavano davanti ai membri del
Sinodo e, in loro, interpellavano la chiesa. Non era Dio a
dover fare la scelta. La sua
scelta, la scelta dell’amore,
della misericordia, del perdono, egli l’aveva fatta già da
tempo. Ma ora era la chiesa a
dover scegliere, a dare la sua
risposta a quella scelta di Dio.
La giornata scivolò via come ogni giornata sinodale fino a che, nella seconda metà
del pomeriggio, il pastore
Luigi Marauda lesse tre ordini
del giorno. Il primo di ringraziamento agli amici esteri, il
secondo di solidarietà con
quanti soffrivano per gli
eventi bellici; ambedue approvati senza discussione,
all’unanimità. Ma non fu così
per il terzo, tradizionalmente
indicato come «ordine del
giorno Subilia» (in calce a sinistra). Sarebbe preferibile
chiamarlo «ordine del giorno
dell’umiliazione», seguendo
in questo il titolo che Mario
A. Rollier gli diede il giorno
dopo in una lettera al presidente del Sinodo. Subilia
c’entra, e molto; suo è il linguaggio, suoi i concetti e, non
a caso, fu lui ad illustrarne il
significato al Sinodo.
L'umiliazione
La discussione (che ricostruisco seguendo il verbale)
fu aspra fin dall’inizio. Il pastore Roberto Nisbet disse che
«pur essendo vero che tutti
sentiamo la costante necessità
dell’umiliazione, si ha l’impressione di trovarsi di fronte
a un odg politico. La chiesa
non poteva compromettere la
sua esistenza. La chiesa doveva quindi essere prudente».
Similmente si espressero anche i pastori Guido Comba e
Guglielmo Del Pesco, respingendo l’accusa di viltà ed infedeltà della chiesa. 11 pastore
Ermanno Rostan dichiarò di
essere favorevole all’odg «Ma
- domandò all’assemblea che cosa pensa Iddio di questa umiliazione? Se vogliamo
umiliarci, umiliamoci qui
stesso, mettendoci in ginocchio e non votando un semplice odg per vederlo dato alle
stampe!». E su quest’ultima
dichiarazione si chiuse la seduta pomeridiana, per riprendere dopo cena, alle 20,40.
Nel frattempo, però i membri del Sinodo appresero dalla
radio la notizia dell’armistizio. Gioia, entusiasmo, preoccupazione, incertezza si mescolarono insieme.
Chiesa confessante
Quando finalmente riprese
la discussione sull’odg, Subilia chiarì che «le esigenze
dell’ora presente non sono
quelle del 25 luglio, ma quelle
che la Chiesa di Cristo sente
nell’ora attuale di camminare
fianco a fianco, la mano nella
mano di Cristo. Per esprimere
questa solidarietà è necessario un atto di umiliazione non
generico, ma specifico». Il pastore Enrico Tron chiese:
«Dobbiamo umiliarci, ma per
che cosa? Per quali atti d’infedeltà?». Dalla galleria qualcuno gridò: «Chiesa confessante!». Si seppe poi che era
Mario A. Rollier. Il pastore
Paolo Bosio, figura carismatica, affermò: «Se avessi coscienza di non essere stato fedele alla predicazione
dell’Evangelo, darei le dimissioni. Una cosa è la debolezza
umana, un’altra l’infedeltà».
Il prof. Bruno Revel pose allora una domanda bruciante:
«Come torneranno i giovani?
Come li abbiamo lasciati partire? Qui sta il punto cruciale.
Tutti i pastori hanno coscienza di aver predicato TEvangelo in forma ortodossa, ma non
abbiamo predicato contro
questa guerra!». Il pubblico
applaudì, sollevando le proteste di Seifredo Colucci. Il
prof. Giovanni Miegge concluse amaramente che «la riluttanza a votare T odg è
T espressione tipica della coscienza incerta» e il prof. Valdo Vinay, che aveva seguito
le vicende della «chiesa confessante», dichiarò: «Il peccato che dobbiamo confessare è
un peccato politico. La chiesa
ha dei doveri verso lo stato.
Abbiamo predicato troppo in
sordina, in un modo debole.
Dovevamo indicare anche allo stato fascista qual era la
sua limitazione». Dopo alcuni
altri pochi interventi che non
apportarono nuovi elementi il
pastore Subilia, a nome della
Cde, ritirò l’odg che tuttavia
fu allegato ai verbali.
A questo punto il moderatore, Virgilio Sommani, limpida e serena figura di credente, prese la parola riconoscendo che «la posizione nostra
non è stata perfettamente nella linea cristiana, perché come chiesa avremmo dovuto
proclamare in certi momenti
il pensiero della chiesa, indipendentemente da ogni politica. Ci siamo trovati davanti a
questa realtà: la Tavola ed il
moderatore in particolar modo avevano una responsabilità per altri. Ci conveniva
forse fare una bella dichiarazione e vedere poi stroncata
l'opera nostra in pieno? Abbiamo passato dei momenti
difficilissimi. Sarebbe bastata
una semplice dichiarazione
per far franare tutta l’opera.
Era giusto privare tutte le nostre congregazioni dell’opera
spirituale per una bella dichiarazione? La nostra chiesa non ha mai asserito ciò
che non doveva asserire. Difatti spesso ci è stata rivolta
invece l’accusa: “Voi con il
vostro silenzio parlate!’’ (...)
Un silenzio significativo che è
stato sentito nei nostri giornali (...). L’odg, discutibile
sotto certi aspetti, ci fa però
vedere che come chiesa abbiamo mancato (...). Umiliamoci, si; ma guardiamo avanti con fiducia. E che Iddio ci
ispiri e ci guidi».
Il fondamento dell'Intesa
Così finì in Sinodo la discussione su quell’odg. Subito
dopo, in quella stessa serata
già così densa di avvenimenti,
fu presentato al Sinodo un odg
elaborato nei giorni precedenti
al Ciabas sui rapporti chiesastato (qui di fianco). Ben articolato, con una premessa e
cinque punti, in esso si dichiarava che «la Chiesa cristiana
deve reggersi da sé, in modo
assolutamente indipendente,
secondo i suoi principi nei limiti del diritto comune». Questo odg passò senza difficoltà.
RESOCONTI
DELLE G I O R N A T E T E O L O G I C II E
UKDICATK AL TEMA
COKCORSATO £ SEPtRAZIOIIE NEI RAPPOITTI FRA CHIESA E STATO
«I AON« TESfTt. A TORNE PRLi.lCE 1 t.lONSI l R J AETTAMBE*: J*ij
SOMMARIO
Inttodutlcnc. pag 1; dei Vrideratore della Chiuda Valdese, pag. li; OIOROIO
PGHiioi': Invito a calire a) Ctab&s. pag. ni; l* Gtomata. Origini storielle dellR politica
cenrordatarla e aeparatiaU I. BRUNO R£V£L; Un eonoordalo eaemplare pag. VII;
tl. VAUX) VINAY; La rlorganlzraItone Lulenina delia Chieaa, pag. XVI: lU. VITTORIO
BUBlUA: Calvino e le Cbiese Ubere, pag. XXllI; 2* Olomtta; Premesse giuridlehe e
^ttrinarle odierne alle Aoltieioni leparaltate e concordeuirte. 1. LEOPOLDO BRRTOLK';
I f Concordati * delU Chiesa Valdese, pag. XXXIV; li. MARIO ALBERTO ROLUER:
Chiese Ubere e Chiese nazionali nel mondo prote»tante, pag. XLIV; OtOVANNI MIEGOB:
Tvi^ teologiche, pag. IrVXI: La libertà di credensa e di culto implica od «Klude la prole*
Itone del culti? La rlapoau di A. Vlnet. pag. IXIV; Le discussioni della prima glor*
nata irai. N. Olampiccoil, O. Peyrot). pag. l<XVn; Le discussioni della seconda, glor«
naU <rel. Pr. Malun. 0. RolUer). pag. LZXIV; DTCHIAXUZIONB DEI CONVSNim
ALLE GIORNATE TEOLOGICHE, pag. LXXVII; Appendlcet L'O.DG. SttlK roliuionl
fra Chiesa e Stato votato dal Sinodo .Valdcac 1949 e I suoi rapporti con i risultati delle
giornate teologiche, pag. LXXIX.
Introduzione
Superando dllAcoltà veramente notevoli si i addivenuu anche Quest’anno alla pub*
l^leazione del resoconti delle < Oioarnate teologiche del Clabàs 1M9 > indette dagli amici
della rivista « L'Aitilo » e raccolti nel presente iasciocdo. CiA à stato possibile tracie
in parte alia gcoeroslUi dei convenuti in parte alla aovvennione di un generoso amico
che vuol mantenere l'incognito e che noi, a nome di tuUl. rtngraelamo qui osslrurandolo
che la nostra rtconoacenaa deri^-a dalla profonda convinrione che il rendere <U pubblica
ragione delle relRzkxil e delle dlacusstoinl avvi^nute liberamente In Italta nel periodo fra
Il 25 luglio c l'g settembre 1949 su un tema quale < Concordato e separaeione nel rapporti
tra Chlcaa e Stato » rapproseniare una chlanhcntlone clte. i>elia attuale crisi, è
ben« tempeètiva, ed un contributo non del tutto trascurabile ad una solution« che
sia finalmente etnie, moderna ed onesto del problema del rapporti di uno stato Italiano
a largo consenso popolare con la Chi&a crtitìana, cioè con TUTTE le chiese storiche
del ceppo erbUano.
Perohè la soluzione di quasto problema, dcilcatisaimo fra tutti in Italia, abbia 1
requisiti che auspichiamo di civiltà modernità ed ooMTà. noi siamo oonvinti ohe essa
debba essere una soluzione penero/fnenfe eaUda nella quid« 11 caso della Chiesa Cattolica Romana rientri non In una condlxinKie di anomalia, o di ius stnffulare, ma iti quella
che sola gli spetta, a parer no»tro.dl inter parer. Schianto cosi, solo in una colai
soluzione al potrà parlare In Itali« di libertà religiosa, cioè di una vera libertà di coscienza e di culto che non suoni irrisione allo straniero quale residuo di mentalità medioevalo ed offesa an^ie ad uno stdo fra gl> italiani.
In questo spirito noi dedichiamo la nozira modesta fatica di raccoglitori dell'sJtrui
lavoro s tutti coloro a cui meomb^à la tremenda responsabilità della riedIficaEione
della patria invoesodo che essi ricevano qucllsfuto e QueU’iUnmtuazàone divini srm« i
quali 1 keo alorst rimarranno vani.
Lo Aedoeloac de « L'Appello >
Gli atti delle giornate teologiche del Ciabas su«Stato e Chiesa» (1943)
Vennero così gettate le basi
della linea che avrebbe condotto l’azione delle nostre
chiese in questi cinquant’anni,
e che nell’Intesa dell’84 ha il
suo punto culminante.
«Vieni, Signor Gesù»
Una serata dunque memorabile: la chiesa si spaccò sulla comprensione che aveva di
sé, e sull’interpretazione dell’
Evangelo, ma si ricompose
per dialogare con lo stato.
Due linee si scontrarono allora, e gran parte della storia
di questo ultimo cinquantennio va letta alla luce di quello
strappo. Non per nulla molto
è stato scritto su quell’episodio, creando amarezza in tanti
e molta incomprensione. Per
dirla in modo grossolano, una
linea era rappresentata dai pastori formatisi alla scuola del
risveglio e del liberalismo
teologico. L’Evangelo, appello alla conversione personale,
era consolazione e speranza,
conforto, guida, sostegno (e il
Signore sa quanto ce n’era bisogno in quel tempo!). L’altra
leggeva nella tragedia che si
era abbattuta sui popoli del
mondo il giudizio di Dio sulla
storia umana, ed anche sulla
chiesa. L’Evangelo era appello alla «metànoia», al cambiamento: solo attraverso la croce poteva esserci consolazione e speranza; anzi, solo sotto
la croce vi era la vera vita. La
chiesa doveva rischiare la parola della croce , scandalo è
follia per il mondo, ma sapienza e potenza di Dio (I Corinzi 1, 22 ss.).
La mattina del 9 settembre
si aprì con un culto in cui il
pastore Seifredo Colucci predicò il testo di Apocalisse 22,
20: «Colui che attesta queste
cose dice: Sì; vengo tosto.
Amen! Vieni, Signor Gesù!».
Anche in questo caso non ci è
stata conservata la traccia della meditazione. 11 Sinodo si
chiudeva con queste parole, le
ultime della Bibbia, in cui si
dice dell’assenza di Dio dalla
nostra storia e della preghiera
della chiesa, l’unica possibile,
in cui s’invoca la sua presenza.
Giudizio e consolazione,
infedeltà e discepolato, croce
e resurrezione, annuncio e silenzio... Tra questi poli si
svolge, oggi come allora,
resistenza della chiesa.
Odg sui rapporti chiesa - stato
(13/SI/1943)
Il Sinodo, ricordando i principi contenuti nella dichiarazione della Tavola Valdese al Governo sardo del 1849 dichiara:
La Chiesa Valdese, «Mater Reformationis», fondata sui
principi deU’Evangelo, fedele alla sua Confessione di fede
ed alla sua costituzione, con la certezza di interpretare la
coscienza cristiana nella situazione attuale, riafferma i principi seguenti:
1 ° La Chiesa cristiana deve reggersi da sé, in modo assolutamente indipendente, secondo i suoi principi nei lìmiti
del diritto comune;
2° La Chiesa cristiana non deve pretendere alcuna condizione di privilegio;
3° La Chiesa cristiana rivendica la più ampia libertà di
coscienza, di culto, di testimonianza per tutti;
4° La Chiesa cristiana riafferma che qualsiasi ingerenza o
restrizione esercitata dallo Stato sulle sue attività e sullo
sviluppo della vita interiore al pari di qualsiasi privilegio,
lederebbe il suo diritto e la sua autonomia e ne falserebbe la
natura compromettendone la purezza e l’integrità del suo
Ministero;
5® Là Chiesa Valdese considera questa completa libertà
civile e indipendenM dallo Stato come condizioni indispensabili al pieno adempimento del suo mandato divino.
15
\/FNERDÎ 20 AGOSTO 1993
Pagina Dei Lettori
PAG. 1 1 RIFORMA
mm
Sul treno
Cara Riforma,
voglio raccontare quel che
mi è successo mentre andavo
a trovare una nipote, che ha
sposato un militare di stanza
a Livorno. Sul treno per caso
mi sono imbattuta in una credente, e parlando del più e
del meno si sono toccati argomenti biblici; è nata una
discussione sul battesimo:
questa signora ce l’aveva con
i valdesi che battezzano i
bambini e poi...
Allora ho risposto che se
non fosse stato per il re Carlo
Alberto, che aveva dato la libertà ai valdesi, le chiese
protestanti provenienti da
fuori, cioè daH’America e
dalla Gran Bretagna, non
avrebbero messo radici e potuto evangelizzare. Se non ci
fosse stato Martin Lutero con
le sue «Tesi» non avremmo
potuto leggere la Bibbia.
Volete sapere come è andata a finire? La signora ha
cambiato argomento poi, salutandoci, ognuna è andata
per la propria strada. Vi saluto fraternamente nel Signore.
Angela Cagnotto - Livorno
Diploma
riconosciuto
Vorrei comunicare una
piccola ma significativa attuazione dell’Intesa tra lo
stato italiano e le chiese rappresentate dalla Tavola valdese, in riferimento all’Allegato alla legge 11 agosto
1984, n. 449, articolo 15:
«Le lauree e i diplomi in teologia rilasciati dalla Facoltà
valdese di teologia sono riconosciuti dalla Repubblica
italiana».
Posso attestare per esperienza personale che il diploma di cultura teologica rilasciato dalla Facoltà valdese
di teologia di Roma è stato
considerato valido, dopo ricorso, dal Provveditorato
agli Studi di Torino nell’am
Da «Le Monde» del 6 agosto 1993
bito delle graduatorie provinciali per il conferimento di
incarichi e supplenze nelle
scuole medie superiori in
qualità di titolo culturale con
valore di punti sei,
Maurizio Abbà - Torino
Filoleghismo?
Caro direttore,
ho letto con stupore l’intervista fatta a un funzionario
della Lega Nord di Torino
apparsa sul n. 27 del settimanale nelle pagine dell’Eco
delle valli.
L’affermazione elettorale
della Lega Nord non può
passare come avvertimento
di poco conto e non può produrre inutile polemica. Su
una parte della nostra Italia il
40% circa degli elettori ritiene questa forza politica capace di governare. In un sistema democratico questo dato
è importante. Con questa forza occorre fare i conti, occorre elaborare progetti politici,
occorre riprendere un cammino democratico reso vano
dalla caduta di un sistema
politico corrotto e corruttore.
Ma occorre soprattutto riflettere riguardo a un altro
fatto: se al Nord la Lega raggiunge obiettivi elettorali
vincenti, al Sud questa forza
politica è completamente
sconosciuta. Questo vuol dire che stiamo assistendo alla
spaccatura politica del nostro
paese. La via intrapresa dal
Risorgimento per l’unità
d’Italia (con tutta la critica al
«come» questa unità è stata
costruita) è oggi messa in
crisi dai fatti.
Riitorma
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REDATTORI: Stello Armand-Hugon, Claudio Bo, Luciano Cirica, Alberto Corsani, Piera Egidi, Fulvio Ferrarlo, Maurizio Girolami, Anna Maffei, Carmelina Maurizio, Luca Negro, Luisa Nitti, Jean-Jacques Peyronel, Roberto
Peyrot, Gian Paolo Ricco. Giancarlo Rinaldi, Fulvio Rocco, Marco Rostan,
Piervaldo Rostan, Marco Schellenbaum, Florence Vinti, Raffaele Volpe
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Riforma è il nuovo titolo della testala La Luce registrata dal Tribunale di Pinerolo con il n. 176 del 1° gennaio 1951, responsabile Franco Giampiccoli. Le
modifiche sono state registrate con ordinanza in data 5 marzo 1993.
Nella foto di prima pagina: Primi passi attraverso ii ponte della vita
Questa deve essere esaminato con attenzione per la
gravità delle conseguenze.
La Lega difende non tanto
interessi settentrionali a discapito di interessi meridionali, ma (e questo è più grave) rifiuta che vi sia una
«questione nazionale» quanto solo questioni regionali. Il
Meridione non è più «questione nazionale», ma una locale questione da rimuovere
facendo leva sulla capacità di
impegno dei meridionali
stessi (credo che così dica
Lucio Malan).
Che cosa dice il nostro settimanale su questo problema? Ho atteso, dopo quella
intervista, un articolo della
redazione o qualcosa di diverso perché non credo che
possiamo accettare senza criticità le cose dette dal funzionario della Lega Nord di Torino. Una precisa analisi critica credo che occorresse farla. Il nostro è il settimanale
delle chiese che vivono da
Aosta a Scicli, non è il settimanale di chiese «federate»
e divise per regione!
Giudico molto negativamente il fatto che come redazione non si è sentito il dovere di intervenire su questo argomento lasciando l’imbarazzante idea che anche il
nostro settimanale condivida
le proposte della Lega Nord.
Un caro saluto.
Giovanni Anziani
Salerno
Facciamo
chiarezza
Vorrei brevemente riferirmi
all’intervento di Vera Velluto
apparso a pag. 3 di «Riforma» del 30 luglio.
Premetto che concordo pienamente con l’autrice del trafiletto per quanto concerne le
dichiarazioni vaticane su una
Chiesa cattolica guidata dal
pontefice e dai suoi vescovi.
Non solo le precedenti norme
sull’ecumenismo, ma l’intero
«Dù-ettorio», approvato il 25
marzo 1993, costruiscono
nuovi steccati anziché tentare
di abbattere quelli già esistenti. lo stessa mi sono permessa
di intervenire nel merito, in
più di un contesto. La figura
del pontefice, la gerarchia
cattolica nel suo insieme, la
pretesa di «universalità» della
Chiesa di Roma, non possono
non amareggiarci profondamente.
Dove peraltro mi sento di
dissentire da Vera Velluto e
da molti altri amici dell’area
protestante italiana è su tre
punti, per me essenziali.
I ) Vera Velluto apre il suo
intervento chiedendosi come
sia possibile invocare l’unità
dei cristiani, parlare di dialogo interconfessionale, quando
uno dei partner (ossia la
Chiesa cattolica) è convinto
che la sua sia Tunica via da
seguire. Giusto: ma è proprio
solo la Chiesa cattolica a rivendicare per sé questo primato? C’è mai stato un protestante o un ortodosso disposto a riconoscere nelle altre
confessioni anche solo un briciolo di verità... «più verità»
della propria? Noi valdesi, ad
esempio, non ci sentiamo i
custodi della unica e assoluta
verità, i dispensatori più fedeli della Parola di Dio? Facciamo mai un minimo di autocritica?
2) Siamo consapevoli di
quanti nella multiforme realtà
cattolica, dalle comunità del
dissenso a molti singoli credenti, siano invece fortemente critici nei confronti della
propria chiesa, di quanti siano
sinceramente aperti al dialogo
interconfessionale e interreligioso? Ne ha conosciuti Vera
Velluto? Io ne ho conosciuti
molti.
3) E infine, conosce Vera
Velluto il Sae (Segretariato
attività ecumeniche), movimento interconfessionale di
laici sorto in Italia negU anni
’60, coraggiosamente in cammino da allora' sulla strada
delTecumenismo al di là di
qualsiasi divieto e di qualsiasi
percorso obbligato, tutt’altro
che «pilotato», certo ben lontano, nelle sue sessioni di stu- •
dio e nel suo operare, dai «dibattiti accademici» e dai «fini
umanitari» di un «lodevole
associazionismo»? Ben saimo
questo i non pochi evangelici
(fra i quali molti pastori) che
vi partecipano da anni.
Certo, è nella «vivificante
libertà dello Spirito» che
l’ecumenismo procede. Procede malgrado noi: perché
questa è la perfetta, santa, accettevole volontà del Signore
(Giov. 17; Ef. 4).
Florestana Sfredda Piccoli
Rovereto
(1) ...e prima di allora la sua
fondatrice. Maria Vingiani, iniziò questo cammino a Venezia
fin dal 1947.
CONTRAPPUNTO
UN TEOREMA
IMPERFEnO
FRANCO CAMPANELLI
IWT oi del Nord, del vostro Sud non ci fidiam», po■Vvl^ trebbe essere l’inizio di un novello inno federalista derivato, inconfondibilmente, da quello che potremmo definire il «teorema fondante» del pensiero separatista; al Nord si sta meglio proprio per il fatto fisico che il
Sud non sta al Nord e viceversa.
Ma, diamine, è facile confutare tale ermetico presupposto con un altrettanto limpido assunto; c’è pur sempre
un Nord più a nord del Nord. Tentiamo quindi di sfatare
Tanzidetto teorema con degli esempi che non vogliono,
naturalmente, essere esaustivi.
Si saranno mai chiesti i connazionali di Pontida, ove si
oltrepassi appena il confine svizzero, in quale considerazione sono tenuti dai premurosi elvetici? Per esperienza
diretta so che non vanno tanto per il sottile nelTapprezzare univocamente gli italici lidi, da Chiasso in giù...
So anche, di certo, come i tedeschi della Baviera vengano stimati da quelli dello Schleswig-Holstein; e non vi
dico, perché vi sarà noto, come i distinti parigini valutino i loro compatrioti marsigliesi.
Ma vi immaginate uno svizzero ticinese che capiti nei
Paesi Bassi, costretto a chiedere un’informazione a un
fiammingo di Anversa o a un olandese dell’Aia? E non
vi dico, poi, che succede se un cittadino di Amburgo arriva a Helsinki. Ma che cosa sarà mai uno di Helsinki visto da un lappone purosangue, se non un infelice meridionale?
Cosicché la storia è tutta qui. C’è sempre, da qualche
parte, una possibilità di vedere l’altro più a sud di se
stesso. E tuttavia non sempre va così. Provate a pensare,
per esempio, a come un sudafricano bianco di Pretoria
consideri uno zairese o un congolese che pure, geograficamente, gli stanno più a nord.
Ecco dimostrato che non è propriamente la localizzazione fìsica a muovere i nostri istinti ora federalisti, ora
separatisti (non voglio usare la parola razzista, che potrebbe pure essere pertinente). C’è come sempre, all’origine, una volontà di preservazione del proprio «ego»,
identificato, di volta in volta, con il proprio paesello, la
provincia, la regione, il circondario.
Ed è ancora Tingiustificata fobia di perdere il proprio
orientamento, la propria identità che, facilmente, fa trovare dei bersagli, fa intravedere dei potenziali attentatori
alla propria sicurezza e stabilità, sia a Nord che a Sud,
sia a Est che a Ovest.
E così, portato il ragionamento alle estreme conseguenze, finiscono per averne colpa, immancabilmente, i
più deboli, i più derelitti: immigrati orientali, lavavetri
tunisini o «vu cumprà» mauritani, capri espiatori di tutti
i mali che affliggono le nostre (non sempre povere di
spirito) società occidentali.
RTECIPAZIONI
«Benedici, anima mia,
l'Eterno; e tutto quello
che è in me, benedica
il nome suo santo»
Salmo 103,1
Il 21 luglio 1993 è tornato al
Padre
Ivo Cardon
A funerali avvenuti lo annunciano la moglie Evelyne, la figlia Ingrid, i fratelli Germano, Mirella,
Luigi e Remo con le rispettive famiglie e i parenti tutti.
Cannes, 24 luglio 1993
RINGRAZIAMENTO
«La nostra attuale sofferenza
è poca cosa e ci prepara
a una vita gloriosa
che non ha eguale»
2 Corinzi 4, 17
I familiari della cara
Giulia Paschetto Reynaud
commossi e riconoscenti per la
grande dimostrazione di affetto e
di stima tributata alla loro cara,
ringraziano sentitamente tutte le
gentili persone che con fiori, scrit
ti, parole di conforto e partecipazione al funerale hanno preso
parte al loro dolore.
Un ringraziamento particolare
al pastore Klaus Langeneck, a tutte le care amiche che l'hanno
amorevolmente assistita durante
la malattia, al dottor Griffa, ai medici, alle suore e al personale infermieristico del reparto medicina
dell'ospedale Cottolengo di Pinerolo, al Centro anziani di San Secondo, alla Sas Mina e agli amici
dell'Associazione nazionaie alpini.
Prarostino, 30 iuglio 1993
RINGRAZIAMENTO
1 familiari di
Enrico Chambon
(René)
riconoscenti per la dimostrazione di stima e affetto tributata al loro caro, ringraziano quanti con
presenza, scritti, parole di solidarietà e conforto, hanno preso parte al loro dolore.
Un ringraziamento particolare
ai vicini di casa per il premuroso
soccorso.
Inverso Rinasca, 10 agosto 1993
Per la pubblicità su RIFORMA
TR3
TRS
Tele Radio Stampa s.n.
via G. B. Fauché, 31 - 20154 Milano
tei. 02/314444-316374
fax 02/316374
RINGRAZIAMENTO
«E ora. Signore, che aspetto?
La mia speranza è in te»
Salmo 39, 7
Ha terminato la sua giornata
terrena
Goffredo Parboni
di anni 92
Le famiglie Parboni, Jahier e
Ribet sono riconoscenti al pastore
Claudio Pasquet, ai medici e al
personale dell'Ospedale valdese
di Torre Pellice, e a tutte le signore che in questi ultimi anni lo hanno aiutato con affetto.
Torre Pellice, 20 agosto 1993
RINGRAZIAMENTO
Giuliana, papà e mamma e familiari tutti del compianto
Mario Paschetto
commossi e riconoscenti, vogliono esprimere un profondo e
sincero ringraziamento a tutte ie
gentili persone che hanno voluto
essere vicine a loro in un momento così difficile e doloroso con fiori, scritti, parole di conforto e presenza ai funerali.
Un grazie particolare al pastore
Giacomo Pistone e al signor Sergio Nisbet e famiglia.
Luserna S. Giov., 20 agosto 1993
I necrologi si accettano
entro 40 ore 9 del lunedì,
Tefefbttare al numero
011-655278 - fax 011657542.
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PAG. 12 RIFORMA
Verso una collaborazione tra battisti
James Scott in Italia
per incontrare l'Ucebi
VENERDÌ 20 AGOSTO 1993
Il presidente delle «American Baptist Churches in thè
USA» (Abc), pastore James
Scott, ha visitato Roma dal 1°
al 4 agosto, su invito dell’
Unione cristiana evangelica
battista d’Italia (Ucebi).
Le Abc sono la più antica
«convenzione» battista degli
Stati Uniti (costituita nel
1639) e la seconda per numero di chiese e di membri
(5.800 chiese con 1,5 milioni
di membri attivi), dopo la
Convenzione battista del Sud.
Denominazione tradizionalmente «bianca», le ABC vedono attualmente crescere il
numero di comunità locali
nere e ispaniche, tanto che si
prevede che entro il 1995
queste etnie costituiranno la
maggioranza delle Abc: il pastore Scott è il loro terzo presidente nero.
Nel corso della visita il presidente delle Abc ha potuto
conoscere alcuni aspetti della
vita delle chiese battiste italiane, predicando nella chiesa
battista di Roma-Trastevere,
visitando il Villaggio della
gioventù di Santa Severa,
l’Istituto Taylor e incontrandosi con rappresentanti del
Comitato esecutivo dell’Ucebi, con il Dipartimento di
Germania
Seconda nella
vendita di armi
La Repubblica federale tedesca è ormai la seconda fra i
paesi esportatori di armi, secondo le indagini dell’Istituto
per la pace di Stoccolma. Attestati saldamente al primo
posto si trovano gli Stati Uniti, con il 45,8%, mentre al secondo posto risulta la Russia
con 1’ 11,1%- Ma poiché nelle
statistiche relative a questo
paese sono comprese anche
quote che riguardano altri stati dell’ex Unione Sovietica, il
10,5% del fatturato mondiale
relativo alla vendita di armi,
realizzato nel 1992 dalla Germania, la colloca senz’altro al
secondo posto in questa singolare classifica.
Il sensibile aumento verificatosi in Germania nel commercio bellico è dovuto in
buona parte alla cessione di
armi dell’esercito della ex
Ddr e alla fornitura di materiale militare tedesco ai partner meridionali della Nato.
Secondo le affermazioni
dell’Istituto per la pace il
mercato degli armamenti si è
ridimensionato fortemente
negli ultimi anni. Nel 1992 il
fatturato relativo alla vendita
delle armi risulterebbe solo il
46% del volume d’affari raggiunto nel 1988. Anche le
spese per armamenti dei diversi stati sono in diminuzione. Le drastiche riduzioni dei
budget dei vari ministeri della
difesa nei paesi dell’ex blocco sovietico hanno ridotto del
15% la spesa mondiale in
questo settore rispetto al
1991.
ABBomummimàTE
Dal settembre 1993
al 31 dicembre 1994
£ 80.000
da versare sul ccp
n. 14548101 intestato a
Edizioni protestanti - To
(offerta \^ida solo per l’Italia}
evangelizzazione della stessa
Ucebi, e con rappresentanti
della Federazione delle chiese
evangeliche in Italia.
Nel corso dell’incontro con
il Comitato esecutivo Ucebi
si sono discusse a lungo le
possibilità di cooperazioni future. In particolare, il presidente dell’Ucebi, pastore
Franco Scaramuccia, ha
avanzato la proposta di avvalersi di pastori neri delle Abc
per il lavoro tra gli immigrati
in Italia.
■ E?'
Germania
In due milioni
lascieranno
le chiese?
La popolazione della Repubblica federale tedesca entro pochi anni si dividerà nettamente in tre gruppi di pari
consistenza, per quanto riguarda l’appartenenza religiosa.
Secondo l’ultimo rilievo
statistico, effettuato alla fine
del 1991 e cioè dopo l’unificazione, gli 80 milioni di tedeschi appartengono per il
37% alla Chiesa evangelica,
per il 35% alla Chiesa cattolica e per il 28% ad altre confessioni cristiane (le altre
chiese evangeliche), ad altre
religioni, o si dichiarano senza religione.
Secondo gli esperti negli
ultimi tre anni il numero dei
cittadini che non vogliono appartenere a nessuna confessione religiosa è cresciuto notevolmente e a fame le spese
sono state le due chiese più
grosse. Le previsioni per il
futuro non lasciano intravvedere alcuna inversione di tendenza. Anzi, poiché dal 1°
gennaio 1995 tornerà in vigore una soprattassa di «solidarietà» che andrà ad aggiungersi alla tassa ecclesiastica
che i membri di chiesa cattolici e luterani pagano, oltre 2
milioni di persone hanno già
preannunciato la loro fuoriuscita dalle due chiese.
Una proposta di legge per i lavoratori stagionali immigrati in Italia
Un patto antìrazzista in Parlamento per
governare limmigrazione dal Terzo Mondo
ANNE4IABIE PUPHÉ
Genova, Villa Literno,
Caserta: le tensioni tra
le fasce deboli della popolazione italiana e il mondo
dell’immigrazione esplodono
puntualmente, come era facilmente prevedibile. Da tempo
l’associazionismo e i sindacati denunciano il fatto che le
istituzioni italiane non gestiscono il fenomeno migratorio
e permettono che la situazione degradi nonostante che
in Italia, a differenza di altri
paesi europei, si tratti ancora
di una realtà molto circoscritta. Da quando è entrata in vigore la cosiddetta legge Martelli (norme in materia di asilo politico, ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari) viene chiesto di applicarla correttamente, rispettandone lo spirito. In particolare, vanno tutelati i lavoratori immigrati che contribuiscono attivamente all’economia
italiana e che prestano i loro
servizi nei settori dove manca
mano d’opera italiana, malgrado esista una crescente
disoccupazione nel nostro
paese.
In primo luogo si tratta dei
lavoratori stagionali per i
quali non esiste nessuna norma legislativa. Eppure, senza
questi lavoratori, vari settori
della nostra economia non
potrebbero produrre normalmente, in particolare nell’
agricoltura. Questo significa
un continuo sfruttamento dei
lavoratori stranieri, che non
godono di nessun diritto e
che vivono in condizioni disumane. Il governo dichiara
di non essere in grado di intervenire attraverso gli ispettori del lavoro, perché esporrebbe i propri operatori a pericoli troppo grossi da parte
della malavita locale. Questo
fenomeno si verifica precisamente in quelle aree del nostro paese che da sempre sono state trascurate da parte
delle istituzioni. Così, questo
problema si aggiunge alla situazione di disagio sociale
preesistente e comporta gravi
tensioni, che facilmente
esplodono in atti di violenza
e di teppismo.
Anche un’altra categoria di
lavoratori stranieri viene te
La vendita degli schiavi in una stampa del XVill secolo
nuta in uno stato di irregolarità forzata. Si tratta dei numerosi lavoratori che hanno
un rapporto di lavoro di fatto.
Sia i lavoratori che molti datori di lavoro sarebbero disposti a mettersi in regola, ma
l’attuale situazione legislativa
non lo permette. Questi lavoratori sono senza diritti ma
non pagano neanche i contributi sociali, il che comporta
per l’Inps una notevole perdita. Lo stesso vale peraltro per
i lavoratori stagionali.
Le due questioni preoccupano il governo ma sul come
affrontarle le posizioni del
governo stesso, quelle dell’
associazionismo e di larga
parte del Parlamento sono
diametralmente opposte. Il
governo, in questo caso il ministro per gli Affari Sociali,
Fernanda Contri, tende a difendere una linea di principio
che rifiuta qualunque risposta
positiva nei confronti dell’
immigrazione irregolare, indipendentemente da quali siano le cause dell’irregolarità
dell’immigrato che spesso è
diventato irregolare a causa
dell’incapacità delle nostre
istituzioni a gestire correttamente il fenomeno delle migrazioni. Non si applica l’art.
Chiesa evangelica dello Hessen-Nassau, in Germania
Omosessuali: non più discriminati
LUDWIO SCHNEIDER
Francoforte: finisce la discriminazione degli
omosessuali nella Chiesa
evangelica dello HessenNassau. L’orientamento sessuale dei pastori e delle pastore non deve essere un criterio relativamente al loro
impiego.
Su questo interrogativo c’è
unanimità nella direzione
(Leitendes Geistliches Amt)
della Chiesa evangelica dello Hessen-Nassau. Lo ha dichiarato il sovrintendente,
pastore Hans Günther Ermel, durante un dibattito sul
«cammino difficile per por
fine alla discriminazione degli omosessuali nella chiesa» a Francoforte.
L’organo-guida della chiesa dell’Assia vuole ancora
quest’anno formulare dei
criteri positivi per l’impiego
di donne e uomini nella
chiesa. Ci sono, secondo Ermel, alcuni pastori e pastore
omosessuali in questa chiesa. Un «procedere di nascosto» in questo interrogativo,
a lungo andare non sarebbe
utile, diceva il «Propst» per
il distretto Nord-Nassau.
Nella direzione della chiesa, di cui fanno parte i/le sette sovrintendenti dei distretti, il «Kirchenpràsident» e il
suo vice, c’è accordo sul fatto che non si può più mantenere un giudizio secondo il
quale l’omosessualità sia un
peccato o una malattia dalla
quale chi è colpito deve essere guarito con il pentimento o con una terapia.
Che nella chiesa si stia
muovendo qualcosa, secon
do Ermel, lo dimostra un documento mandato nel mese
di marzo a tutte le chiese e
alle opere, in cui il «ministero vescovile collettivo» della
chiesa ritiene necessaria una
seria revisione della collocazione e della valutazione etica dell’omosessualità.
Il testo dice letteralmente:
«Noi dobbiamo rifiettere su
come comprendere la visuale biblica dell’ omosessualità
oggi e su come possiamo
rendere giustizia alla situazione di vita di persone omosessuali nella cura d’anime,
nella vita delle chiese e nel
culto».
Come base per la desiderata discussione generale
all’interno della chiesa verrà
utilizzato il documento Amore omosessuale della Chiesa
evangelica della Renania.
2 della legge Martelli, che
prevede una programmazione
dei flussi migratori e che, in
particolare, prevede la possibilità di dare un permesso
di soggiorno per lavoro a chi
è entrato regolarmente con un
altro tipo di permesso, anche
per turismo.
Questa inadempienza produce una notevole sacca di
lavoratori irregolari e costringe queste persone a vivere in
condizioni di marginalizzazione e di precarietà. Non
avendo diritti, essi si aggiungono alla fascia sociale italiana più debole, creando così
una miscela esplosiva. Il governo, su proposta del ministro Contri, ha approvato un
decreto legge per i lavoratori
stagionali che non offre soluzione per i lavoratori stagionali attualmente presenti sul
territorio e che in questo momento sono impegnati nella
raccolta agricola, ma prevede
una chiamata di nuovi lavoratori dall’estero in base ad accordi bilaterali con i paesi di
provenienza, accordi per i
quali il ministero degli Affari
Esteri non ha ancora avviato
le trattative. Una tale norma
non dà una risposta immediata alla situazione critica dei
lavoratori stagionali che lavorano in queste settimane a
Villa Literno, Foggia o Caserta, ma intende chiamare in
un futuro non precisato altri
lavoratori in aggiunta a quelli
già presenti in Italia.
L’associazionismo (anche
il Servizio rifugiati e migranti
della Federazione delle chiese evangeliche in Italia) e
gran parte del mondo sindacale, che cooperano sulle
questioni dell’immigrazione
nel «Patto per un Parlamento
antirazzista», ha proposto un
altro approccio: si deve tentare di distinguere nella massa
dell’immigrazione irregolare
quelli che desiderano mettersi
in regola e svolgere un lavoro
regolare e quelle persone che
preferiscono agire ai margini
della società e rischiano di
sconfinare nel mondo della
criminalità. Per fare emergere
chi vuole inserirsi nella nostra società, prendendosi tutte
le responsabilità, diritti e doveri alla pari con un cittadino
italiano, servono norme che
permettano:
1) al lavoratore stagionale
già presente sul territorio di
poter chiedere un permesso
di lavoro temporaneo (di 6 o
9 mesi, su questo esistono
pareri divergenti), con il quale avrebbe la possibilità di
stipulare un regolare contratto di lavoro, versando anche
i contributi Inps. Alla
conclusione del rapporto di
lavoro stagionale egli dovrà
lasciare l’Italia. Se esce entro
il termine previsto, gli dovrebbe essere concesso un visto di reingresso per il prossimo anno.
2) al lavoratore che dimostra di avere un rapporto di
lavoro di fatto (questa è la situazione di molte colf) di poter chiedere di essere messo
in regola, di sanare la propria
situazione lavorativa, in particolare con il versamento dei
contributi Inps.
In questo modo un notevole numero di situazioni attualmente ambigue potrebbero essere sanate. Queste persone potrebbero uscire
dall’ambiente precario e
marginai izzato, togliendo terreno a chi sfrutta la loro
situazione. Dopo una simile
operazione di discernimento
sarebbe più facile governare
la parte dell’immigrazione
che non desidera risultare
all’amministrazione pubblica. Le persone in regola potrebbero essere avviate a un
processo di integrazione che
le toglierebbe dagli alloggi
precari che attualmente aggiungono un ulteriore elemento di degrado alle zone
socialmente già deboli del
nostro paese.
I due rami del Parlamento,
Camera e Senato, hanno finora fatto proprie, in cinque
occasioni, queste proposte del
«Patto per un Parlamento antirazzista», ma il governo, in
ultima istanza, ha sempre
chiesto la fiducia e con ciò
bloccato la decisione del Parlamento. Si tratta di una palese contrapposizione tra Parlamento e governo, per la quale
numerosi parlamentari hanno
espresso la loro perplessità
sulla costituzionalità del
comportamento del governo
che attualmente cerca di gestire l’immigrazione esclusivamente per via amministrativa o con decreti legge, scavalcando il Parlamento.
Proprio nei momenti così
difficili che l’Italia sta attraversando non bisogna allentare la vigilanza, affinché le nostre istituzioni non scarichino
le tensioni sociali, economiche o politiche interne
sugli stranieri, alimentando
tendenze razziste o xenofobe.