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ECO
DELLE mu VALDESI
Si?. FEYROT Arturo
ia C. Cabella 22/5
16122 GENOVA
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno 108 - Num. 25 ■ABBONAMENTI | L. 3.000 per Tinterno Sped. in abb. postale - I Gruppo bis/70 TORRE PELLICE - 18 Giugno 1971
Una copia Lire 80 L. 4.000 per l’estero Cambio di indirizzo Lire 100 Amm. : Via Cavour 1 - 10066 Torre Pellice - c.c.p. 2/33094
UN RAPPORTO SULLA SITUAZIONE DELLA CHIESA
LA FEDE ALLA PROVA
Dhiagazioni postehnorali
« Dovremo intraprendere l’impresa rischiosa di tentare un’analisi veritiera, senza illusioni, della
nostra situazione. . .e andare avanti teologicamente e spiritualmente
a partire da essa » — ecco la richiesta esplicita avanzata alcune
settimane or sono a un sinodo regionale della Chiesa Evangelica in
Germania, dal pastore e vescovo
evangelico Hììrmann DietzfelbinGER di Monaco di Baviera, al termine del suo rapporto sulla condizione spirituale e teologica della
Chiesa nel nostro tempo: un rapporto pieno di inquietudine e fortemente critico, quasi un grido di
allarme, quanto mai opportuno
secondo alcuni, del tutto fuori
luogo secondo altri. C’è chi lo ha
accolto come una liberazione:
« Finalmente qualcuno che chiama le cose col loro nome »! Ma
c’è anche chi la ha giudicato severamente dicendo: « Qui non è la
fede che parla, ma la paura ».
Secondo il pastore Dietzfelbinger, la situazione è allarmante: aldilà della lenta ma costante erosione del corpo ecclesiastico la cui
consistenza si riduce progressivamente; aldilà del calo di presenza
ai culti e in genere alle attività
della chiesa; aldilà della perdurante paralisi dell’azione evangelistica; aldilà della frustrazione
che pastori e comunità provano
nel nostro tempo; aldilà della evidente crisi d’identità della teologia e della chiesa stessa; aldilà dello smarrimento di molti credenti
che hanno l’impressione che i fondamenti stessi della loro posizione sono scossi; aldilà dei conflitti tra « destra » e « sinistra » (politica o teologica) nella chiesa; aldilà dell’alternativaC fino a che
punto valida?) tra un cristianesimo inteso come rapporto con Dio
(e subordinatamente col prossimo) e un cristianesimo inteso come rapporto col prossimo (e subordinatamente con Dio); aldilà
di tutto questo e dietro tutto questo c’è « la fondamentale crisi della fede » nella quale siamo incappati. Perciò la lotta non avviene
più tra due partiti, o gruppi, o tendenze diverse o anche opposte all’interno di una comunione di fede, tesa ma reale; la lotta oggi non
è tra un orientamento della fede e
un altro, tra un tipo di fede e un
altro, tra posizioni contrapposte
nell’ambito di un comune schieramento di fede; oggi la lotta è « tra
fede e incredulità ». Non si tratta
quindi di modi diversi di intendere, confessare e vivere il cristianesimo nel quadro di un legittimo pluralismo teologico ed ecclesiastico. Si tratta invece di credere o di non credere al messaggio
cristiano come è raccolto e testimoniato nell’Antico e nel Nuovo
Testamento. La Chiesa deve chiedersi se il suo pluralismo esprime
davvero una molteplicità di posizioni di fede o se invece diverse di
queste posizioni sono non già di
fede ma di incredulità; se quello
che si chiama comunemente « fede diversa » non è in realtà una
fede mancante. Ma è proprio questa domanda che viene sistematicamente esclusa nel nostro tempo; non si vuole ammettere che
ormai la scelta è tra fede e incredulità, e questo aggrava ulteriormente la situazione.
Un malato che sa di esserlo, si
cura e può guarire. Ma il malato
che pensa di non esserlo è doppiamente in pericolo. Così, coloro che
oggi negano la crisi della chiesa e
della teologia sia una crisi di fede
e che la vera lotta in corso sia
quella tra fede e incredulità, e ritengono invece che nella crisi attuale la fede non sia in gioco né in
discussione, ingannano se stessi e
la chiesa confermandola nell’illusione di essere ancora in buona
salute, per cui non si cercano rimedi e diminuisce la possibilità
di guarigione. Bisogna scegliere:
« Vogliamo lasciarci aprire gli occhi sull’impressionante disorientamento e annebbiamento intellettuale e spirituale nel quale oggi ci
troviamo e fare i conti con assoluta franchezza con questa realtà,
oppure ci ostiniamo a percorrere
una via sulla quale la fede cristiana e la comunione di fede saranno sempre più, come sembra, sacrificate ad altre forze »?
La situazione odierna della chiesa, secondo il pastore Dietzfelbinger, sarebbe molto più preoccupante di quella in cui si trovò la
Chiesa confessante sotto il nazismo. Allora infatti si poteva dire:
La Parola di Dio non può venir
meno. Oggi la Parola di Dio e Dio
stesso sono in discussione. Allora
ci si poteva appellare al primo
comandamento, e gli altri. Oggi
nella chiesa stessa si è imbarazzati nei confronti dei comandamenti: nel tempo in cui crollano tutti
i tabù, i comandamenti di Dio sono annoverati fra i tabù propri di
mentalità arcaiche e superate. Allora, quando un fratello era imprigionato per la sua testimonianza, la comunità intercedeva per lui
e sperimentava la forza dell’intercessione. Oggi ci si chiede se la
preghiera sia qualcosa di diverso
da un monologo interiore o da
una meditazione. Allora si diceva: La chiesa de\e restare chiesa!
Oggi è proprio questa identità della chiesa che è contestata in nome
di una chiesa che rinuncia a una
esistenza propria e autonoma e si
dissolve nel corpo sociale. Se effettivamente la chiesa sta attraversando una crisi così profonda,
si comprende che le si chieda di
procedere a una verifica coscienziosa non solo della sua vita ma
della sua stessa fede. « Esaminate
voi stessi [cristiani degli anni 701
per vedere se siete nella fede » \2
Corinzi 13,5).
Richiami di questo genere sono
necessari e sarebbe colpevole non
prenderli sul .serio. E’ vero, a nostro avviso, che presto o tardi bisognerà procedei'e a una verifica
della fede della Chiesa perché l’attuale situazione di incertezza, imprecisione, ambigua e talvolta arbitrio non può durare indefinitamente. D’altra, parte il problema
della fede, che è effettivamente
al centro della crisi, non deve essere isolato e disgiunto da quello
della obbedienza. Analogamente,
il problema dell’incredulità va visto in tutti i suoi aspetti: c’è Tincredulità di chi non crede, poniamo, in Cristo, e c’è l’incredulità di
chi « crede » in Cristo ma non gli
ubbidisce. Il travaglio non lieve di
questa generazione cristiana potrà avere uno sbocco positivo se
sfocerà in un duplice movimento:
quello di una fede che diventa ubbidiente e quello di una ubbidienza che diventa credente.
Paolo Ricca
L'ordine (elettorale) è ritornato in
Sicilia, a Roma, a Genova, e un po’ dovunque si sono svolte le elezioni amministrative. Le Segreterie nazionali
dei vari partiti sono occupate nell'improbo e non sappiamo quanto proficuo, lavoro di interpretazione dei risultati.
E ancora troppo presto per decifrarli in modo soddisfacente, ma alcune considerazioni generali sono tuttavia lecite e legittime.
Per i vecchi, queste elezioni sono
una ulteriore fonte di amarezza e di
sconforto: l’ennesima riprova che i
« bei tempi » sono definitivamente tramontati; la « politica » regna sovrana,
n-on si fa più « amministrazione ». Anche le elezioni regionali sono in funzione di quelle politiche. Anche senza
voler essere un « laudator temporis
acti » (=un brontolone) non si può
non rimaner perplessi di fronte alla
eccessiva prepotenza del potere politico sul fronte amministrativo.
Non parliamo dell’attribuzione ài
determinati incarichi ed uffici squisitamente tecnici a uomini che sono
scelti in base a requisiti di squisita
necessità di partito; sarebbe un discorso troppo lungo e fuori posto in
questa noterella. Vogliamo accennare
soltanto al vuoto di potere, se così
possiamo dire, che si è verificato durante quest’ultima settimana elettorale: il Parlamento ha chiuso i battenti.
In un momento di estrema gravità
politica, internazionale e interna, quando la soluzione di gravissimi problemi sociali e culturali (riforma della
Casa, della Sanità, della Scuola, piattaforma rivendicativa della Fiat) è indilazionabile, il Parlamento sospende
i suoi lavori per permettere ai deputati e ministri di recarsi nei vari centri a far propaganda, a promettere
qualcosa di più e di meglio. Non si
nuò, ovviamente, pretendere che tutti
i ministri abbiano il fisico di Donat
Cattin che affronta a Roma il problema Fiat, e a Genova gli elettori!
E i signori politici si stupiscono,
poi, che si diffonda nel paese un qualunquismo pericoloso di gente che dice: « Mah! dopo tutto, che ci siano o
no a Roma non importa; a Roma ci
sono i Grandi, i Capigabinetto, gli
lllllMIIIIIIIIIIIIMIllimilllllllllllfllliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
lllliiiiiililiiillliiilililillMlllilllKiliiliilllliimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Problematica dell’emigrazione
e della diaconia nella Germania d’oggi
Riproducianto — riprendendole da « Un saluto dall’Italia », il
mensile per i lavoratori italiani pubblicato dal Servizio diaconale
evangelico tedesco — alcune parti di una relazione tenuta il 25 aprile
Isella Stiftskirche di Stoccarda in occasione del 141° anniversario della
fondazione della Evangelische Gesellschaft. La festa di quest’anno aveva come tema « La condizione dei lavoratori stranieri nella Repubblica Federale Tedesca». Il testo completo della relazione, che ha suscitato vivaci reazioni (cfr. Stuttgarter Nachrichten 27-4-71 ), può essere
richiesto alla « Diakonische Bezirksstelle » 7 Stuttgart, Bopeserstrasse 6 A.
Chi si sofferma a guardare la carta
geografica dell’Europa pensando alla
emigrazione, deve rilevare a prima vista che l’Europa è divisa in due parti:
paesi da cui la gente emigra (Italia,
Spagna, Portogallo, Jugoslavia, Turchia), paesi in cui la gente immigra
(Germania federale. Svizzera, Francia).
La concentrazione delle zone di emigrazione è facilmente riconoscibile
lungo una stretta fascia di terra che
va da Amburgo a Genova. Perché la
gente deve spostarsi dal proprio paese
ad un altro? Perché deve andare proprio in certe determinate zone dell’Europa centrale? Chi ha deciso che
la emigrazione avvenga in corrispondenza dei grandi fiumi europei. Reno,
Senna, Po? La letteratura sull’emigrazione offre tutta una varietà di risposte a questi interrogativi: dalla « pressione demografica » alla « concentrazione dei mezzi produttivi », alle «ambizioni di miglioramento », fino ai
« sensi di colpa » che affliggerebbero
l’emigrato all’estero, si cerca di spiegare le cause dell’emigrazione.
A nostro parere tali spiegazioni sono
insoddisfacenti e vanno respinte nei
loro presupposti teorici, di cui riconosciamo l’asservimento agli interessi
della borghesia. Riteniamo invece;
1. che l’attuale migrazione di manodopera è il risultato del differente
sviluppo economico della società europea occidentale dopo la seconda guerra mondiale. L’attuale divisione in paesi di emigrazione e paesi di immigrazione non è un capriccio della natura.
né dipende dalla differente distribuzione delle materie prime. In realtà
questa divisione ha origini storiche ed
economiche. In breve: lo sviluppo economico dei paesi di immigrazione è
avvenuto a spese dei paesi di emigrazione. (A chi dubitasse della « scientificità » della tesi si consiglia la lettura
di P. CiNANNi, Emigrazione e imperialismo. Roma 1968).
2. che con il progresso della produzione capitalistica cresce il bisogno
di avere a disposizione un numero eccedente di unità di forza-lavoro, che
siano facilmente spostabili da una località all’altra. Questa parte della classe operaia costituisce una specie di
esercito di riserva» (K. Marx) con
cui è possibile tener bassi i salari, incrementare i profitti, agevolare il processo di concentrazione economica.
Sotto tale riguardo l’emigrazione
non appare né come libera scelta dei
singoli, né come casuale fenomeno, ma
piuttosto come imposizione violenta.
Una violenza esercitata dal sistema capitalistico verso i singoli e i gruppi
sulla base di leggi economiche apparentemente razionali. (...)
Questo aspetto di violenza esercitata dal sistema caratterizza le condizioni materiali della vita degli emigrati.
L’economia che sfrutta la manodopera straniera lo farà tenendo conto
esclusivamente degli interessi economici aziendali. L’integrazione degli
operai stranieri al livello sociale e culturale del paese di immigrazione non
è nell’interesse degli imprenditori, per
ché questo significherebbe una presa
di coscienza politica e l’avanzamento
di maggiori rivendicazioni. I padroni
hanno interesse che l’emigrante limanga al margine della società. Un
rappresentante dell’associazione industriale tedesca ha espresso questa
realtà in maniera chiarissima:
« Nessun datore di lavoro tedesco
occupa gli stranieri per fare una politica educativa o di sviluppo. Ciò che
lo interessa prima di tutto è la forzalavoro e ciò che essa è in grado di
rendere nel processo produttivo »
(R. Weber, Bundesarbeitsblatt 4/1970).
Questo significa in concreto che agli
operai stranieri vengono taciute molte cose: programmi di perfezionamento professionale, corsi di lingua. Si
pensi a tale riguardo alla miseria delle organizzazioni cosiddette culturali
per gli emigrati e alla bassissima percentuale di operai stranieri che possiedono una qualifica o una specializzazione. (...)
— L’economia che sh'utta la manodopera straniera non è disposta a pagare i costi sociali derivanti dall’emigrazione. Si importa semplicemente
manodopera, senza tirare le dovute
conseguenze di una tale straordinaria
crescita della popolazione. Anche se
gli operai stranieri pagano le tasse come gli altri, nel settore delle infrastrutture sociali si offre loro delle soluzioni scandalose. I "Gast”-Arbeiter
pagano annualmente circa 1,2 miliardi
DM per le pensioni, ma ne vengono
corrisposte soltanto per 127 milioni
DM; pagano il contributo per la indennità di disoccupazione, ma hanno
raramente la possibilità di servirsene,
perché non appena sono disoccupati
c’è la minaccia che siano rimpatriati.
Per quanto riguarda la frequenza scolastica dei figli degli operai stranieri
nella RFT è noto che solo il 36% dei
ragazzi in età scolastica vanno a scuola (e quasi sempre con risultati insoddisfacenti), mentre gli altri o restano
a casa o hanno già intrapreso un’atti
(coìUinua a pag. 6)
Ispettori, i Burocrati; i veri padroni
del vapore ».
Era veramente necessario che il signor Ministro andasse ai piedi dell’Etna, in questo momento? O nella
valle del Belice, oggi, e non un anno
fa?
Propaganda elettorale di pura marca italica: eloquenza più o meno fiorita sui grandi problemi di politica internazionale, sulle sottili esercitazioni
machiavelliche degli equilibri più
avanzati o dell’equidistanza dagli opposti estremismi... Qualcuno dirà: e
necessaria ed utile esercitazione pedagogica per avvicinare le masse ed interessarle ai grandi problemi fondamentali del nostro tempo, dalla cui
soluzione dipende, in ultima analisi, il
problema amministrativo.
D’accordo! A prescindere dal fatto
che le « masse » non sono accorse ai
comizi, è lecito domandarsi se la distinzione tra problema amministrativo e potere politico sia veramente legittima. Si potrebbe anche sostenere
che il potere politico dipende dal problema amministrativo; e per evitare
equivoci, e non cadere nel bizantinismo del sapere se è nata prima la gallina o l’uovo, vogliamo più semplicemente e onestamente parlare di etica
politica?
Nelle elezioni recenti, tutti hanno
parlato di tutto; la radio ci ha spietatamente trasmesso un riassunto di
tutti i discorsi festivi e non festivi dei
politici. Di tutto hanno parlato nelle
regionali sicule, ma non della Mafia,
tranne, se non erro. Paletta, che non
ha perso la buona occasione di denunciare le presunte collusioni con determinati ambienti della D.C. Eppure
queste elezioni regionali erano proprio
l’occasione buona per un buon esame
di coscienza.
Nella odierna fase della vita politica italiana il fattore « coscienza », l’elemento « uomo » hanno ancora un
qualche significato valido?
I risultati, come li possiamo approssimativamente valutare in questo primo momento, ci sembrano confermare quanto già è stato ripetutamente
afferrnato su queste colonne: che non
si può parlare efficacemente di riforme di struttura, se non si parla di Riforma: dell’uomo di fronte al suo solo
Signore. Non della Riforma di Lutero
o di Calvino da ritrascriversi sic et
simpliciter qui ed ora. (Anche se un
discorso intelligente ai nostri concittadini sul piano della conoscenza storica dei fatti e delle idee non sarebbe
del tutto inutile ancora oggi). Ma del
principio della Riforma perenne: sola
gratia: per Titano e per Machiavelli.
È forse per questo il dato più significativo dei risultati di queste recenti
elezioni l’affermazione, non sappiamo
quanto prevista, del Movimento Sociale. Che vi abbia contribuito in modo rilevante il trasferimento di una
parte dell’elettorato democristiano può
interessare gli amanti della Statistica.
Il fatto grave è che il mito del Titano
e le arti di un machiavellismo deteriore riescano ancora oggi dopo la catastrofe mussoliniana a polarizzare
l’interesse e l’attenzione di tanti italiani.
Un giornalista autorevole scriveva,
pochi giorni or sono — quasi a metter le mani avanti — che comunque
andassero le cose lo M.S.I. sarebbe
pur sempre solo un nano tra i due colossi demo-cristiano e comunista.
Un ragionamento simile ci sembra
di averlo letto su di un settimanale
pinerolese del 1921, che un anno dopo
doveva prender atto della Marcia su
Roma! La situazione è diversa, oggi.
Se non altro c’è stata la Liberazione
politica, purtroppo soltanto politica.
E allora un ammonimento può venire
per chi ha orecchi per udire; esso è
alto e solenne, perché sempre quando
si rifiuta di riconoscere il solo Signore, è lì pronta una cricca, o partito o
movimento, che non ha nulla di più
sacro che sfruttare il malcontento e
la delusione del popolo ai propri fini.
g. l. c.
illllii¡iiiiliiliiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMMiiiiiiiiiiiii:iiiiiiii
FESTA DEL XV AGOSTO
La Commissione Distrettuale ci ha
comunicato ufficialmente che la festa
del XV agosto, unica per le due Valli,
si svolgerà nella zona di San Secondo.
Fin d’ora notifichiamo tale notizia al
lettori del nostro giornale ed invitiamo i Sansccondesi volenterosi a tenersi disponibili per tutti i servizi che
tale « riunione » richiede.
2
pag. ¿
N. 25 — 18 giugno 1971
Note di storiografia vaidese
Apologetica e disciplina ecclesiastico presso Jean Léger
Nella vivace estroversa umoristica
presentazione del Léger fatta da Gustavo Malan nel n. 21 (21 maggio ’71)
di questo giornale, vi sono due punti
che a parer mio vanno meglio chiariti
0 approfonditi, il primo circa l’esercizio della giustizia all’interno delle comunità sfociante spesso nella scomunica, il secondo relativo alla tesi —
cara a parecchi nostri storici prima
di Emilio Comba — dell’origine apostolica dei Valdesi, coi suoi evidenti o
sottintesi sostrati etnici e apologetici.
GIUSTIZIA SACRA E PROFANA
1) Circa il primo punto Malan scrive che « era una innovazione rispetto
a prima della Riforma, che Léger spiega come dovuta a una diffidenza verso
1 giudici cattolici, ma la ragione deve
essere più profonda ». Non ho sotto
mano il testo del Léger, e perciò non
posso citare con precisione il suo modo di argomentare, ma debbo ricordare che per tutto il medioevo, fino
all’incontro con Ecolampadio e Bucero, i Valdesi della diaspora europea
furono unanimi nel condannare non
solo, genericamente, lo jus gladii, ma
anche, più specificatamente, il ricorso
alla giustizia sia secolare che ecclesiastica, e ciò per ovvii motivi, non solo
di sicurezza personale ma anche di fedeltà testuale a molti precetti del sermone sul monte. Un caso tipico si ebbe proprio all’inizio del secolo XIII.
I Valdesi di quel tempo erano divisi
nei due gruppi degli « italici » o seguaci di Giovanni di Ronco, e dei « valdesiani » o compagni ultramontani di
Valdesio. Su parecchi punti di dottrina o di organizzazione ecclesiastica
non andavano d’accordo, ma verso il
1218, ad una specie di riunione al vertice tenuta nei pressi di Bergamo, cercarono di dirimere le questioni controverse e previo uno scambio di lettere e l’invio di un questionario. Le
due parti non lesinarono critiche e accuse, con grande sfoggio di passi scritturali e col ricorso finale, nei casi non
risolti, ad una vera e propria « comune » o assemblea plenaria di tutti i
componenti della societas valdese.
Ora, uno di questi punti riguardava
proprio la disciplina ecclesiastica. Gli
Ultramontani s’erano lamentati di taluni fratelli italici, tra cui Tommaso e
Giovanni, e li avevano praticamente
esclusi dalla comunità. I Lombardi,
richiesti d’un loro parere, avevano risposto che, se gli accusati si fossero
pentiti dando l’opportuna soddisfazione, non ci sarebbe stato motivo di
non reintegrarli, purché a loro volta i
Francesi agissero nello stesso modo
verso coloro che avevano suscitato le
stesse lagnanze presso gli Italiani; solo allora, se alle parole fossero seguiti
i fatti, la pace e la concordia sarebbero state ristabilite, « secondo Dio e la
sua legge »!
CHIESA E POPOLO
2) In quanto al secondo punto, la
questione è assai più complessa. Malan scrive che « la severità della oritica alla tesi dei Valdesi prima di Valdo va rivista », e subito dopo aggiunge che « raffermazione etnica rimane ». È una tesi nella tesi, ribadita con
un’affermazione messa in bocca allo
stesso Léger che « i Valdesi sono innanzi tutto Valdesi, fossero anche
mussulmani o papisti ». Così siamo
daccapo a discutere del noto dilemma
popolo o chiesa? che già ci tenne svegli e vigilanti ben trent’anni fa, per
merito specialmente dei nostri « rivoluzionari » di allora gravitanti attorno
a Giovanni Miegge nelle pagine vivissime prima di « Gioventù Valdese »,
poi di « Gioventù Evangelica » e de
« L’Appello », tutti intenti a demitizzare la storia valdese nella tensione dialettica di quei due termini (cf. « L’Appello », 1943, pp. 94-95; Tesi del Valdismo). Apparentemente, da un punto
di vista sociologico, contano tutt’e
due, e Malan non sembra dubitarne;
iiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiMiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiimtMMmiimmi
Due libri scomodi
Rudolf BuLTMAivri. Nuovo Testamento e mitologìa. p. 260, L. 2.000.
11 libro raccoglie tre conferenze di Bultmann
sulla demitizzazione. La prima ha dato l'avvio
al dibattito nel 1941: la seconda è una risposta ai suoi critici: nella terza, brevissima, cerca
di definire Lorien taraento del suo lavoro. Chi
volesse approfondire l'argomento, trova in trad.
italiana il I volume de II dibattito sul mito
(Silva. Roma 1969. p. 445, L. 5.800). in cui,
oltre alla risposta di Bultmann, compaiono alcuni testi delle critiche che gli sono state rivolte.
Paul Tili.ìch. Si scuotono le jondamentn. p.
174. L. 2.200.
11 libro è un pò la sintesi del pensiero di
Tillich. un teologo che non ha avuto paura di
dialogare amiehevolmentc con gli atei, di affrontare la frattura esistente tra uomo e uomo e anche quella tra Luomo e la natura ossia i problemi della alienazione e della reificazione. Certo Tillicb non è un teologo commlo
e tranquillo ]>er <lei cristiani, ma non lo è
nemmeno per i militanti dei [>artiti. Ai cristiani riesce .sospetto anche per la suo confidenza con Marx. Freud, il nichilismo: i noncristiani si sentono incastrati quando Tillich
-giudica il loro impegno una .scelta religiosa :
« La protesta contro Dio. il desiderio che non
ci sia nessun Dio. la fuga nell'ateismo, sono
tutti clementi autentici di profonda religione ».
ma, secondo una visuale non dico
pomposamente teologica ma, alla buona, evangelica, dobbiamo domandarci;
che cosa rese quel popolo, valdese? in
altre parole perché quei montanari
contadini artigiani ecc. diventarono
valdesi, finendo per passare alla storia sotto quel nome, e dandolo per
giunta ai loro confratelli non nati nelle famose Valli e sparsi per tutto il
mondo fin nel lontano Uruguay? Non
occorre snendere molte parole per intendere che quel popolo, se non fosse
diventato in tutto o in parte chiesa,
non avrebbe avuto quella storia che
ancor oggi appassiona la nostra destra e la nostra sinistra, tradizionalisti e progressisti, conservatori e rivoluzionari, benpensanti o no che siano.
E’ una storia lunga e piena di difficoltà e di sorprese per chi la vuol rinercorrere con un minimo di apriori.
E’ storia ad un tempo sacra e profana.
E’ un misto, come tutte le storie, di
immanenza e di trascendenza, ammesso - ma non dai materialisti di tutti i
tempi che Dio sia ognor presente nei
fatti umani, lieti o tristi che siano. E’
storia di un popolo e di una chiesa, ma
più di questa che di quello. Il popolo
può morire, ma anche la chiesa. Di popoli eletti ne conosciamo uno solo, anche se il nostro Alexis Muston volle
dare alla « première histoire complète des Vaudois du Piémont et de leurs
colonies » il titolo di LTsrael des Alpes
(Paris 1851). La chiesa perduta, se fedele indipendentemente dai caratteri
etnici, somatici, linguistici dei suoi
membri. Il seme dello spirito e della
grazia non è d’uomo. Dio si potrebbe
compiacere di una base territoriale, di
una specie di sacro interland per la
sua chiesa, ma in realtà preferisce per
i suoi figli la dispersione e il soggiorno
provvisorio in terra straniera. « La terra è mia - disse l’Eterno a Mosè - e voi
state da me come .forestieri e avventizi » (Lev. 25,23). In una storia simile,
quel che conta è la volontà di Dio, e di
conseguenza la fedeltà del popolo
chiesa a questa volontà. Tutto il resto
è apologia. Ciò che è apologia sul terreno dei fatti, è apologetica su quello
della loro narrazione interpretazione.
Chi scrive la storia valdese rischia
sempre di essere apologeta.
APOLOGETICA CONFESSIONALE
Ci sono apologetiche e apologetiche.
C’è l’apologetica confessionale, c’è
quella patriottica e c’è anche quella
denominazionale, e noi Valdesi le abbiamo professate tutt’e tre in tempi
diversi e a volte contemporaneamente,
almeno dalla prirpa metà del secolo
XIII, cioè ad appena pochi anni dalla
riunione di Bergamo ricordata più sopra.
L’apologetica confessionale è sempre all’angolo della casa o dietro la
porta, pronta ad invadere il campo appena le si dà un po’ di corda. Ai tempi
del Léger era in pieno fiore. Chi ha
pratica di queste cose, o se ne diletta,
ricorda bene il tempo in cui i nostri
storici, per opporre in certo qual modo una continuità temporale valdese
alla pretesa successione apostolica del
vescovo di Roma, furono indotti ad indietreggiare le origini della nostra
chiesa facendole risalire via via a Claudio di Torino (IX sec.) o alla donazione di Costantino (IV sec.) o addirittura ai viaggi dell’apostolo Paolo! E con
quale affastellamento di argomentazioni sofistiche, di testi stiracchiati, di induzioni affrettate, di invenzioni e persino di frodi bell’e buone, lo ha provato a sue spese il primo storico critico
tra i valdesi, Emilio Comba, il quale,
avendo posto al vaglio della critica più
accortamente filologica i testi della
nostra prima storia, ben presto fu costretto a far tabula rasa di tutto quel
ciarpame. Per merito suo, il terreno
della storia valdese fu sgombrato definitivamente da quel tipo di apologia
confessionale, contro la quale erano
subito sorti come un sol uomo, come
già al tempo dell’inquisitore Moneta
verso il 1244 e ancora questa volta a
ragione, i polemisti cattolici nostrani e
stranieri, fino al celebre gesuita Giovanni Perrone con i suoi Valdesi primitivi mediani e contemporanei del
1871, usciti proprio all’indomani della
breccia di Porta Pia.
APOLOGETICA PATRIOTTICA
L’apologetica patriottica rispunta
tra noi ad ogni ricorrenza del 17 febbraio, quando alla luce dei falò o al
suono delle fanfare risalgono alla memoria tanti episodi del passato come
il « Glorioso Rimpatrio », i fatti d’arme, le compagnie volanti, la colubrina
di Gianavello ecc. So bene che quella
colubrina divenne il simbolo della lotta per la libertà di coscienza e di culto
in tempi di pieno assolutismo politicorelgioso, e meglio di me lo scrisse il
nostro Armand-Hugon in uno degli opuscoli commemorativi del 17 febbraio
consacrato a Le milizie Valdesi al
XVIII secolo (Torre Pellico 1947). Il
saggio non ebbe buona stampa, non
per l’esattezza storica degli episodi raccontanti, — ma come scrisse un nostro
pastore ne «La Luce» del 15 marzo
dello stesso anno — per « l’infelice scelta di una pagina banale e deteriore di
guerra mercenaria che non fa onore
alla storia valdese ».
Non era valso che l’autore dell’opuscolo incriminato avesse concluso prudentemente che « oggi i tempi sono di
versi; i tempi moderni hanno avanzato
nuovi principi, per cui accanto ai difensori dei regimi assoluti si vedono
sorgere i ribelli o gli obiettori di coscienza; ma nel settecento, in pieno assolutismo, i nostri padri erano in pace
con la loro cosoienza se la guerra condotta dal loro principe era da essi giudicata ingiusta; già prima avevano dimostrato che, quando la libertà di coscienza viene violata, non ci si può se
non ribellare ». Ora, se ho rievocato
quella lontana polemica, è perché penso che oggi più che mai sia necessario
rimeditare su quei fatti, sia che scriviamo noi stessi di storia sia che ci accingiamo a ristampare i « classici » della
storiografia valdese dei secoli XVII e
XVIII. Non si tratta ovviamente di presentare delle versioni rivedute e corrette secondo i gusti o le tendenze del
momento, ma piuttosto di rivalutare
quegli episodi inserendoli, per quel che
sono stati effettivamente, in una nuova visione di essi, centrata secondo me
su quel che fu il compito primario dei
Valdesi nella storia, cioè l’imperativo
della predicazione del Vangelo ad ogni
creatura, ma libero da ogni compromissione coi poteri costituiti o dello
stato o della chiesa.
APOLOGETICA
DENOMINAZIONALE
In quanto a\Vapologetica denominazionale, per fortuna non è più imperante fra noi se non, forse, nell’« arriè
re-pensée » dei più tradizionalisti. Essa
consisteva nel vedere nella storia valdese solo le luci, le vittorie, gli acquisti, lasciando nell’ombra le tenebre, le
sconfitte, i compromessi, le debolezze,
i rinnegamenti; un miraggio che potremo definire come daltonico spirituale, che nrende il negativo per il positivo, attribuisce a Dio fatti puramente umani, trasformando le sconfitte in
vittorie, le tenebre in luce, le debolezze in forza, interpretando a modo suo
sia il motto valdese Lux lucet in tenebris, sia la risposta del Signore alle
suppliche dell’apostolo; « la mia grazia ti basta, perché la mia potenza si
dimostra perfetta nella debolezza » (2
Cor. .12,9). Questa specie di apologetica risorse qualche anno fa a proposito del nome da dare all’auspicata unione valdo-metodista, e talvolta fa capolino anche nella nostra stampa evangelica, con giudizi non sempre obiettivi o
caritatevoli nei riguardi delle altre denominazioni operanti in Italia. Ma oggi è acqua passata, almeno così si spera.
Giovanni Gönnet
Belgrado, 4 giugno 1971
Le Valli valdesi cinquant’anni fa - III
Tutti d'accordo, i buooi e ooo buooi, valdesi;
ci vuole un governo forte
N. d. r. Ai lettori non aggiornati in
tema di evoluzione filologica, ricordiamo che il Vai.desio di cui parla il nostro amico Giovanni Gönnet, è l’ultirna
variante grafica da lui adottata per indicare Valdo prima, poi Valdes. Red.
IL SOCIALISMO:
ECCO IL NEMICO
Com’è noto il 1921 è l’anno della crisi socialista. Al congresso di Livorno,
con la scissione dell’ala sinistra nasce
il partito comunista. I moderati sono
pure in minoranza nel nuovo partito
socialista, travagliato da correnti, e
nel quale si afferma il massimalismo
di Serrati.
Per la maggioranza dei nostri vaidesi, questo non è che un episodio, e
neppure chiarificatore. È il socialismo
in sé che viene denunziato e combattuto. Per L’Echo des Vallées non si
deve parlare di socialisti o comunisti,
ma di « bolscevichi »; si devono deplorare gli incidenti sanguinosi e le spedizioni punitive, ma non si deve dimenticare che i « bolscevichi » strillano, ma prima facevano i prepotenti.
Pur volendo esser obiettivi, gli sembra che la colpa sia dei socialisti. Segnala con gioia la ribellione di Kronstadt, e deplora il suo fallimento.
Purtroppo il socialismo si fa sentire anche in Chiesa. Il sermone di apertura del sinodo è pronunziato dal pastore Banchetti; dura un’ora, è molto
interessante, ma con riserva, a causa
delle sue « vues hardies, voire même
radicales au point de vue social, et
assez loin d’être partagées de tous »
(«opinioni ardite, anzi radicali, dal
punto di vista sociale, e non certo condivise da tutti »). Ma la presa di posizione più interessante la troviamo nel
numero dell’Ecùo del 21 ottobre.
Com’è mai possibile che il partito
socialista che conta solo 100.000 iscritti desti tanto interesse, che i suoi congressi e dibattiti abbiano tanto rilievo
negli organi di stampa dei benpensanti e nella stessa opinione pubblica? Secondo j. c. si tratta di una sopravalutazione fatta dagli organismi dell’ordine, i quali, così facendo, non sì accorgono di fare il gioco di un nemico che
è incapace di soluzioni ragionevoli, anche se Enrico Ferri difende l’autorità
dello Stato.
L’Echo spera, comunque, in Giolitti,
che si è unito ai fascisti quando sono
usciti dall’aula di Montecitorio per
protesta contro il deputato comunista
(disertore) Misiano.
IL SOCIALISMO:
ECCO IL COLPEVOLE
L’Avvisatore-Pellice è più violento,
più nazionalista. « Sissignori: Viva
l’Italia! È la sola risposta che il buon
senso della nazione possa gettare fieramente in faccia ai socialisti raccolti
a congresso a Livorno ». E sentimentale; ha le lacrime facili e si commuove il corrispondente di Luserna S. Giovanni quando può segnalare, in occasione del giuramento delle reclute, come nonostante il socialismo « i nostri
cari soldatini abbiano pronunciato il
FRA LE RIVISTE
« Protestantesimo »
Ecco il sommario del fascicolo 2/1971:
S. Ceterom. Hegel, Kiing, la situazione presente ■ V. Vinai, La parabola dei talenti e
l’etica di Giovanni Calvino (studio critico su
un saggio di M. Miegge) - G. Tourn, Per una
storia della teologia moderna (ampia e vivace
rassegna di opere recenti che presentano panoramiche della teologia moderna). Seguono,
nella rubrica « Documenti e discussioni », uno
scritto di G. Rochat e una risposta di ]. A.
SoGGiN che proseguono il dibattito A proposito di sionismo e antisionismo: una nota critica di V. S., Per un’etica ecumenica, in cui
si documenta una volta ancora la capacità e
volontà inglobante del cattolicesimo; infine la
rassegna bibliografica e un’interessante panoramica di B. CoRSANi. Rivista delle riviste di
Nuovo Testamento (1970).
« Diakonìa »
Il n. 2/1971 è un quaderno monografico
sul tema del prossimo Convegno biblico organizzato dalla EGEI a Ecumene: «Attualità
dell'Antico Testamento »: esso contiene due
scritti: G. Tourn. La Bibbia e la scienza (la
Bibbia, libro di storia, la storiografia, verità
della Bibbia) ■ L. Deodato. La « Storia d'Israele » di Martin Noth.
« The Ecumenical Review »
Il quaderno 2/1971 è interamente dedicato
ai documenti e alla cronaca della sessione del
Comitato centrale del CEC. tenutasi in gennaio ad Addis Abeba; si possono leggere i rapporti di M. M. Thoma.s. e. C. Blacke. G.
Khodr. S. J. Samartiia. L. Visciier. D. Jen
KINS.
« Concilium »
11 fascicolo 4/1971. dedicato aH'ecumenismo
(i quaderni di questo mesile .sono monografici) ha come tema « Il ministero petrino nella
Chiesa ». Dopo un'editoriale di IIan.s KÌÌNG.
una .serie di articoli partono dai Problemi del
papato oggi (di Charles Davis, il teologo che
ha lasciato la Chiesa Romana!), ritornano a
L't po.sizinne e il significato di Pietro nella
Chiesa del Nuovo Testamento: situazione degli studi (R. I’esch). seguono lo svilup))o storico dai primi secoli allo scisma orientalo, al
rifiuto dei Riformatori, al 1870. fino alla problematica attuale della « collegialità ». In
un'ultima parte, le « risposte » : greco-ortodossa, russo-ortodossa (P. Evdokimov), anglicana,
protestante (H. Ott, il successore di Barth
sulla cattedra di sistematica a Basilea, sostiene
un “placet juxta modum” (?!) cui non possiamo associarci) e cattolica. Nelle due rubriche che chiudono il quaderno, P. DE VooGHT
presenta, nel « Bollettino Bibliografico », 1 risultati della ricerca storica recente sul conciliarismo. mentre M. RiJK offre un’interessante
rassegna su II ruolo del padre nella cultura
moderna.
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San Secondo
— Gite. Il 16 maggio. l’Unione Femminile
hi effettuato la sua gita annuale a Pra del
Torno, dove, dopo aver partecipato al culto
e consumato il pranzo alla Foresteria ha visitato il Collegio dei Barbi. Il cielo imbronciato e minaccioso non ha tolto alle nostre
sorelle la gioia di trascorrere irnsieme una
lieta giornata.
— Il 6 giugno, la Scuola Domenicale si è
recata a Pramollo. Tale gita aveva per meta
l’Azarà, ma la pioggia insistente ci ha obbligati a fermarci alla Ruata, dove è stata
mesr,a a nostra disposizione la sala della Chiesa. Un vivo grazie al pastore Pons e Signora
per la calore,sa accoglienza.
— Nozze d'oro. La domenica di Pentecoste,
i coniugi Polis luigi e Po'èt Enriche.tta circondati dai loro cari hanno celebrato, partecipando al culto, 50 anni di vita in comune, vis,suti .sotto lo sguardo del Signore. Nel corso
del culto il pastore ha rivolto parole di felicitazione e di augurio a questi cari festeggiati
ed ha dato un saluto di benvenuto ai parenti
provenienti da Marsiglia, tra cui il pre.sidente
deirUnion vaudoise signor Henri Poi't.
__ Ringraziamenti. 11 pastore Gustavo Ber
tin ed i giovani della nostra Comunità Attilio
Fornerone e Roberto Vicino, hanno ris|>ettivamente pre.sieduto i culti del 2,8 maggio e 6
giugno. Li ringraziamo ancora vivamente per
la preziosa collaborazione.
— Battesimo. Domenica. 13 giugno, è stato
amministrato il battesimo a Gliiraldo Enrico di
Sergio e Buffa Ines.
Il Signore accompagni con la sua benedizione questo bimbo ed aiuti i genitori ad educarlo cristianamente.
“giuro” con una spontaneità e un entusiasmo ammirevoli ».
E un dubbio tormenta il nostro settimanale: « Ma se prendete ad uno ad
uno quei bravi deputati socialisti, a
quattr'occhi, intorno a due bicchieri
di quello buono, domandate loro se ci
credono [alla rivoluzione]; essi vi rideranno in faccia ».
Non ci credono, ma sono i veri colpevoli del marasma politico, economico e sociale che travaglia la nazione.
L’Avvisatore-Pellice non esita ad attribuire ad una bomba « di tipo comunista » la strage anarchica del teatro
Diana a Milano. Non ignora la violenza squadrista, in cui vede la giusta
reazione dell’ordine offeso; perché il
vero colpevole, lo ripete incessantemente, è il partito « socialista, con
tutti i suoi elementi, con tutti i suoi
dirigenti, con tutti i suoi ispiratori, i
destri ed i sinistri »; a lui risale la paternità della « violenza vigliacca e
pazza dei comunisti ».
L’antisocialismo diventa più specificatamente anticomunismo col passar
dei mesi, ed assume atteggiamenti che
riecheggiano temi cari alla propaganda fascista. In settembre L’Avvisatore-Pellice fa suo un incredibile o.d.g.
della Lega di difesa per la libertà di
lavoro, di Torre Pellice, con riferimento ad una iniziativa della Croce
Rossa in favore di un’azione di soccorso alle popolazioni russe minacciate dalla carestia: « Riafferma il principio, in linea di massima, che finché
dura il regime bolscevico, non è possibile venire efficacemente in aiuto
alle popolazioni colpite dalla carestia,
e che ogni soccorso dall’estero servirà
solo a prolungare il martirio della
Russia, ritardando la caduta della tirannide comunista... ».
E NECESSARIO
UN GOVERNO FORTE
Su questo punto tutti sono d’accordo: L’Echo, L'Avvisatore-Pellice, La
Lanterna, con qualche sfumatura significativa però. Per L’Echo non vi è
salvezza se non rimane Giolitti; L’Avvisatore-Pellice si domanda se dopo
tutto il fascismo non potrebbe dire
una parola, qualora si istituzionalizzasse.
È significativo un « pezzo » di J.
(Avvisatore-Pellice) che a Rema ha assistito ad una manifestazione fascista.
«...E sotto il sole primaverile, nell’aria
purissima vibrarono le baldanzose no
te dell’inno [Giovinezza!]; e con esse
vibrò l’anima della nazione; ...[cantal
la nostra gioventù che è scesa cantando dalle trincee, ed ora, cantando, riacquista la sua seconda vittoria... »; ed
a questa gioventù canora augura di
riuscire « non solo a spazzar via la stupida retorica dei socialisti, la pazza
retorica dei comunisti, ma anche di
purificare l’Italia dalle molte e gravi
scorie che ancora trattengono lo slancio dei partiti nazionali e ne intralciano l’azione ».
La vittoria tradita, mutilata: è il tema ricorrente nell’azione e nei comunicati dell’Associazione degli ex-combattenti, molto attiva nelle Valli, e
che comincia a guardare con un certo
sospetto l’attività dei fascisti che riescono a costituire il primo Fascio di
combattirhento a Torre Pellice ed a
farsi offrire un gagliardetto frutto di
pubblica sottoscrizione, di cui il nostro settimanale laico è lieto di pubblicare l’elenco.
E UN PO’ DI QUALUNQUISMO
E l’altro tema è, come potremmo dire oggi, squisitamente qualunquista;
il discredito dalle istituzioni democratiche, in particolar modo dell’istituto
parlamentare. Ricorre del continuo la
polemica pettegola contro i deputati
attaccati al loro cadreghino ed alle
« loro 15.000 lirette » annue.
È significativa una strofa di Parvus
alla vigilia delle elezioni:
Sgombrate onorevoli!
Ponetevi in fila!
Piangete compatti
Le... "quindicimila”!
Il popol d’Italia
La porta or v'addita!
La santa cuccagna
Stavolta è finita!
Chiudiamo la porta
La Camera è morta!
Non prevedeva il buon Parvus che
fra breve il «popol d’Italia», diventato il « Popolo d’Italia », avrebbe annunziato giulivo che il Parlamento era
morto e sepolto con la democrazia; né
il romantico J. prevedeva la strana risonanza di « Giovinezza » nell’aula
« sorda e grigia », cantata da quei fascisti che, lutto sommato, destano la
simpatia di A. P., perché se è vero che
essi, « oggi rinnegano tutti i liberali,
i democratici che li hanno eletti, dichiarando che di essi se ne sono sempre fregati » è altrettanto vero che 1 '
sane forze democratiche sono « deluse », «scandalizzate» e «non si spa
ventano dei più arditi esperimenti sociali », di quello fascista, tanto per intenderci, il quale, in questo primo
tempo non si è ancora liberato da reminiscenze marxiste ed ha presentalo
uno strano programma: un complesso di « opposti » nel quale tutti possono trovare qualcosa di cui si può dire: « Ma, dopo tutto, questo potrebbe
andare... ».
L. A. Vai MAL
3
18 giugno 1971 — N. 25
pag. 3
LA CHIESA E LA SUA MISSIONE NEL MONDO
I cristiani neiia Repubblica federale di Germania
e i loro concittadini stranieri
In ima relazione all’Incontro ecumenico di Pentecoste tenutosi dal 3 al 5 giugno ad
Augsburg il dr. Klaus Lefringhausen ha ricordato che i problemi particolari dei singoli migranti non devono far dimenticare quello di fondo: le cause delle migrazioni
A colloquio con Anita Gay
Il documento che pubblichiamo qui
sotto è la relazione che il dr. Klaus Lefringhausen, del Deutsches Forum fiir
Entwicklungspolitik (Centro tedesco
per la politica dello svduppoj e collaboratore del presidente federale Gustav Heinemann, ha presentato al recente Incontro ecumenico di Pentecoste, ad Augsburg. Gli siamo grati di
averci inviato, tramite il past. Tullio
Vinay, il testo delta sua relazione introduttiva ai dibattiti in una delle sezoni nelle quali rincontro si è articolalo, centrato appunto sulla questione
dei lavoratori migranti, nel quadro dei
problemi dello sviluppo. red.
Quando, alcune settimane fa, un
gruppo di lavoratori stranieri è stalo
messo a confronto con il materiale
preparatorio del nostro gruppo di lavoro, la maggior parte ui loro erano
del parere che poteva trattarsi di una
tecnica diabolica, se nell incontro ecumenico di Pentecoste si mettevano sul
tappeto contemporaneamente tutti i
problemi degli stranieri; in tal modo,
infatti, nella giungla dei problemi particolari si sarebbe perso di vista il
problema di fondo di queste migrazioni di milioni di uomini, in Europa, il
problema delle loro cause economiche
profonde.
Identico il parere degli autori del
quaderno preparatorio. Essi hanno
avuto coscienza del fatto che è lecito
discorrere, ad esempio, circa il numero
di ore lavorative in Germania necessarie al mantenimento dei figli di questi stranieri, soltanto se con questo
non ci si esime dal ricercare come
possa essere eliminata la costruzione
economica che porta a questo movimento migratorio.
A nessuno, neppure alle organizzazioni assistenziali conviene che con
misure caritative si attenui il problema di un ordinamento sociale credibile in Europa, e tanto meno lo si seppellisca, dando all'Europa di domani
un carattere unicamente mercantile e
ponendo alle fondamenta delia pretesa unificazione europea materiale sociale esplosivo ad alto potenziale.
Ci si dice spesso che noi cristiani
siamo maestri universali nel ricondurre problemi complicati a un semplice
aut-aut morale. Ci si rimprovera spesso di forzare i problemi pur di presentare un autoritratto etico dei cristiani, in quanto avanziamo esigenze
politiche irrealizzabili per attestare la
nostra superiorità morale. Siccome la
esperienza insegna che simili esigenze
determinano nella società processi psicologici di rifiuto, i quali a lunga scadenza danneggiano la causa più di
quanto le giovino, ci siamo limitati,
per cominciare, a formulare insieme
ai lavoratori stranieri le domande che
essi rivolgono alla società europea, evitando così che queste questioni vengano aggiornate a tempo indeterminato, poiché nessuno più le pone.
Quando si discute, con rappresentanti dell'economia, se non sia possibile che il capitale venga investito nella patria dei lavoratori stranieri piuttosto di far migrare milioni di stranieri verso le zone ove risiede il capitale, si riceve questa risposta: la cosa, a parte qualche eccezione, non e
possibile. Se l’industria — si dice —
dovesse fare i suoi investimenti all’estero, allora dovrebbe recarsi là dove in avvenire vi saranno effettivamente grandi mercati, ad esempio in Asia
o in America Latina, ma assolutamente non in Sicilia, in Spagna o in altre
zone marginali.
Quando si domanda ai cultori di economia politica quali possibilità sussistano di decentrare le zone di concentrazione europee e, malgrado possibilità di mercato più ristrette, di spingere l’industria a cooperare all’industrializzazione dell’Europa meridionale, questa è la risposta: i nostri problemi di difesa deH’ambiente vietano,
è vero, un ulteriore processo di concentrazione industriale nel Nord-Europa, ma d’altra parte nemmeno le sovvenzioni e le facilitazioni doganali valgono a controbilanciare, per la maggior parte delle imprese, gli svantaggi di sedi sud-europee. Sicché queste
zone potrebbero essere aiutate soltanto attraverso la cosidetta sanatoria
passiva, cioè attraverso l'emigrazione
temporanea o definitiva.
Quando si domanda a uomini politici se il concetto di «sanatoria passiva » non sia semplicemente un eufemismo per indicare una reale costrizione a un ulteriore sottosviluppo, in
quanto sono le forze migliori ad emigrare e coloro che restano alla fine
sono ancora meno in grado di padroneggiare uno sviluppo economico; e
come ci si possa immaginare, alla lunga, una unificazione europea, se alcune nazioni si sentono come dei cuscinetti in funzione anticongiunturale nei
confronti delle nazioni industriali, la
risposta è la seguente; soltanto un
forte governo europeo può mutare in
qualche misura la situazione. Anzi
tutto si dovrebbe dunque superare la
situazione di debolezza europea in un
periodo di transizione.
Quando si domanda a uomini politici dei paesi sudeuropei se non potrebbero fornire all'Europa una sorta
di cooperazione politica allo sviluppo
ponendo il problema sociale europeo
in modo cosi insistente da non permettere che l’Europa si costruisca
strutturalmente sul dislivello di benessere fra il Nord e il Sud, eternandolo, quelli vi rispondono che sarebbe necessario che tale problematica
avesse una forte eco aH’interno della
vita politica delle nazioni industriali:
soltanto così si potrebbe far valere
con un certo peso il problema a Bruxelles.
Ed eccoci pervenuti al compito che
incombe al nostro incontro ecumenico
di Pentecoste.
Dobbiamo riconoscere al nostro popolo il fatto che ci evolviamo come
uno Stato plurinazionale includente
minoranze i cui problemi nazionali e
sociali si potenziano a vicenda. Dobbiamo porre la questione se è lecito
milllllllllllllllllllllllllMIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIliUmiMMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIill
I giovani africani aiia ricerca di una nuova società
Lagos, Nigeria - I movimenti di liberazione,
Tapartheìd, lo sviluppo, l’educazione ed i rapporti fra il cristianesimo e. la vita in Africa
dì oggi: questi saranno i temi discussi alla
Conferenza della gioventù e degli studenti di
tutta l’Africa che avrà luogo nel prossimo dicembre a Ibadam o a Lagos.
Organizzata sotto gli auspici della Conferenza delle Chiese dell’Africa intiera (CETA)
e della sezione africana e malgascia della Federazione universale delle associazioni cristiane di studenti, questa conferenza riunirà
duecento giovani di 31 paesi africani.
Ispirandosi al tema « alla ricerca di una
nuova società in Africa » i giovani partecipanti cercheranno di stabilire il contributo
che essi potranno apportare oggi all"Africa.
Gli oratori svilupperanno il soggetto riferendosi a dei fatti concreti osservati in dilTerenti
paesi; tavole rotonde, poi, renderanno possibile a ciascuno la discussione sui problemi
più brucianti e controversi.
In tutta l’Africa sono stati formati dei comitati nazionali per promuovere studio ed azione nella prospettiva di questa riunione e per
cercare una soluzione aU’eterno problema del
finanziamento. Questi comitati, inoltre, prepareranno i loro delegati a partecipare attivamente ad una conferenza che dovrebbe segnare il debutto di un nuovo capitolo nel
pensiero studentesco africano.
Il responsabile dell’organizzazione della conferenza è Aaron Tolem, della repubblica federale del Cameroun ed è anche il rappresentante africano della FUACE e presidente del
Comitato dell’UNESCO per le organizzazioni
non governative.
A. Tolem ha invitato i 31 comitati nazionali a considerare seriamente le implicazioni
teologiche della conferenza, sia per le Chiese
che per l’Africa. In un recente bollettino del
Dipartimento della gioventù della CETA egli
dichiara : « Intraprenderemo la nostra azione
essendo persuasi che la nostra fede ci chiama
a testimoniare la salvezza in Cristo nella nostra società... e che il nostro impegno debba
essere al servizio di tutti nella ricerca comune di condizioni di vita migliori ».
Il Dipartimento della gioventù della Conferenza delle Chiese deU’Africa tende sempre
più fermamente ad incitare i giovani a giocare un ruolo più grande negli affari della
Chiesa e delle nazioni.
Tempo fa, il Dipartimento ha organizzato
ai Ibadan un ciclo di studi pratici sul problema della disoccupazione giovanile. Egli cosi,
intendeva attirare seriamente Taltenzione sulla situazione di coloro che lasciano la scuola
e dei giovani contadini, che riescono sempre meno facilmente a trovare un impiego.
Questo gruppo di studi ha dato inizio ad
un processo d’educazione che mira a creare
fra gli studenti una presa di coscienza sulla
realtà socio-economica.
Illilllilllimillllllliillllllllllllllllllllim'llllllllillllllllllll)
Continua la collaborazione
missionaria in Madagascar
(soepi) - A seguito di vari artìcoli comparti nella stampa malgascia manifestanti
l’opinione che la Chiesa di Gesù Cristo in Madagascar (C.G.C.M.) non dovrebbe più impiegare mìvSsionari. dato che la loro presenza impedi relibe ai giovani locali di giungere ai posti di responsabilità nella Chiesa, il Consiglio
nazionale ha preso posizione. La C.G.C.M.
continuerà a collaborare colle Chie.se sorelle
d'Europa e d’altrove. tanto sul piano finanziario, quanto su quello dell'aiuto col personale.
Il Consiglio nazionale ha sottolineato che
^annuncio dell'Evaiigelo è la missione di tutte le Chiese che confessano il Cristo Signore
e Salvatore del mondo. Questo compito appartiene a tutti i cristiani senza distinzione, in
quanto membri della Chiesa universale del
Cristo. In questa situazione, bisogna considerare i missionari non come semplici assistenti
tecnici, ma come inviati del Signore per svolgere un compito per il quale hanno avuto una
chiamata ». Venticinque missionari, otto volontari e dodici collaboratori stranieri lavorano oggi nella C.G.C.M.
La crisi della chiesa protestante nel dahon
negare a coloro che sono spinti a una
« sanatoria passiva », cioè aH’emigrazione, lo status di immigrati, anche
quando di fatto questo è il loro status.
Se il problema degli stagionali rappresenta un fattore provvisorio nella vita
europea, allora dobbiamo porre la
questione se vi è qualche mezzo per
eliminare, almeno in larga misura,
questo fattore provvisorio. A breve
scadenza è indubbio che l’emigrazione costituisce per i paesi sudeuropei
uno sgravio considerevole e la libertà
di movimento e di domicilio si presenta come un beneficio. Ma sarà nostro compito fare in modo che questo
sgravio a breve termine non nasconda e non faccia dimenticare i problemi a lungo termine. Il parere del
gruppo preparatorio è che se premiamo al tempo .stesso per una chiarificazione politica di queste questioni,
saremo pure in grado di affrontare i
singoli problemi specifici, altrettanto
urgenti, della convivenza e della collaborazione con i nostri concittadini
stranieri.
Ki.aus Lefringhausen
Durante un semina' io organizzato nell’Africa orientale sul tema « Ideologie dello sviluppo », 54 giovani hanno presentato la fede,
l'Africa australe, lo sviluppo e l’educazione
nel contesto dei loro rispettivi paesi. Essi hanno ascoltato un esposto del pastore Omari,
deirUniversità di Dar Es-Salaam, secondo il
quale la maggior parte degli Africani sono
oggigiorno in uno stato di fallimento culturale per cui è assolutamente urgente rideflnire
fondamentalmente la cultura africana. Il pastore Omari, che lar ira al Dipartimento di
sociologia dell’Unier.-àtà, ha dichiarato che
reliminazione delle divisioni della chiesa cristiana è essenziale per Tafricanizzazione del
cristianesimo, e che la chiesa africana è condannata a morire so non si porrà termine alla resistenza consci-. atrice in Africa.
11 Dipartimento di gioventù incoraggia anche i servizi comunitari nei numerosi paesi.
Egli ha portato come esempio il fatto che nel
Cameroun 260 gruppi erano al lavoro; la rivista « Youth Splash » ha riferito che, in questo paese, dei giovani hanno riparato dei ponti necessari per recarsi ad alcune scuole e
costruito nuove strade conducenti in chiese
ed ospedali.
(redattore del C.E.C.)
WiLBERT FoBKEH
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllimmillllllllllllllllllllllllll
Vino e otri nuovi
alla conferenza del Pacifico
Suva (soepi) - Una nuova organizzazione,
nuovi quadri e nuovi piani di attività: ecco,
fra le altre cose, ciò che i delegati hanno
deciso in occasione della seconda Assemblea
della Conferenza delle Chiese del Pacifico
(CCP) per l’educazione cristiana, alla stessa
stregua delle attuali commissioni per la comunicazione cristiana e per la vita di famiglia.
Verranno creati due nuovi Dipartimenti; Fede
e Azione, e Chiesa e Società.
Nel corso della riunione — in cui sono
stati esaminati a fondo degli appelli sia ai
singoli cristiani che alle Chiese del Pacifico
alla luce del « Progetto di Dio per il Suo
popolo » — si sono affermate due idee : la
necessità deH’indigenizzazione delle forme e
dei modi di vita della Chiesa e l’unità che le
Chiese del Pacifico vogliono realizzare in un
modo loro congeniale.
Particolare attenzione è stata dedicata all'unione organica delle Chiese in Papuasia Nuova Guinea e le isole Salomone, che certamente varrà a incoraggiare il rafforzamento
dei rapporti fra le altre Chiese del Pacifico.
La conferenza ha anche trattato dei problemi
di ordine pratico, riguardanti il luri.smo. la
vita della famiglia, il lavoro e il formarsi di
nuove comunità e centri urbani.
Nella .seduta di chiusura, il .segretario della
Conferenza cristiana dell’Asia orientale ha ricordato che il disegno di Dio è quello di unire tutta la creazione sotto la guida di Cristo
e che è sulla base diq uesta fraternità che i
cristiani devono dividere a.ssieme la vita delle
àsole del Pacifico, mettendosi al servizio dei
più indigenti e oltrepàssando le loro frontiere
per stabilire dei legami con tutta Pumanità.
llimjlllllllllllllllllMIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIMIIMIIIIIIIMIIIIII
MESSA «MACABRA»
IN AUSTRALIA
Invermay (Relazioni Rcligio.se) - In Australia. nella cittadina di Invermay c .stata celebrata una nie.ssa piuttosto insolita anche per
chi oggi si e abituato a sentir parlare di messe nere, rosse, beat ecc. Si tratta della « messa anti-incidente n (« Anti-Smash Mass ») durante la quale si è pregato e predicato per la
sicurezza sulle strade. Assistevano alla cerimonia i membri della polizia che pattugliano le
strade, gli addetti alle ambulanze, camionisti,
i noleggiatori di automobili, aulisti ecc. Ma il
particolare più interessante e macabro è questo : per dieci giorni, prima della messa antiincidente, davanti alla chiesa in cui si è
celebrato il rito è rimasta esposta una macehina. tutta sfasciata per un incidente, con .sopra una bara.
Nel numero del 21 maggio scorso formulavamo l’augurio di poter dare al
più presto possibile notizie dirette della missionaria Anita Gay dopo la sua
partenza dal Gabon, avvenuta in seguito alle discordie interne della locale
Chiesa evangelica.
Abbiamo avuto ora il piacere di incontrare la sig.na Gay che per qualche
giorno - e precisamente fino a fine mese - è qui in Italia, in attesa di riprendere la sua instancabile attività.
Già avevamo dato notizia, a grandi
linee, del discorso del presidente della
repubblica del Gabon, Albert Bernard
Bongo, tenuto l’il marzo scorso ai responsabili della Chiesa evangelica (divisa in due fazioni) davanti aH’Assemblea suprema del governo. La sig.na
Gay ci ha mostrato un esemplare ciclostilato del discorso, dal quale risulta che la decisione di ordinare la partenza di tutti i non gabonesi della Chiesa protestante è dovuta al fatto di evitare in ogni modo che nessuno possa
« seminare il disordine in questo paese ». E’ già con questo spirito - ha proseguito il presidente - che, in quanto
garante della sicurezza, « quando sono
venuto al potere, ho detto che la plurali dei partiti avrebbe rischiato di non
trovare ancora l'unità nazionale: è per
questo motivo che ho creato un partito unico... ». Egli ha poi proseguito
nel discorso dicendo che alcuni missionari « giocano alla sovversione » e si
occupano, invece che dell’evangelizzazione, di « piccolo commercio » (allusione a iniziative quali allevamenti avicoli e diffusione libraria e della Bibbia).
« Che cosa ci portano i missionari?
Niente, anzi, vengono a mangiare il denaro del Gabon...: noi non vogliamo
più essere una vacca lattifera » ha soggiunto. Sono parole che colpiscono e
addolorano: siamo i primi a riconoscere le pesanti responsabilità che certe missioni con l’aiuto delle potenze
colonialiste, hanno avuto e hanno nell’imporre il loro imperialismo spirituale (e non solo quello); ma accusare di
sovversione e di affarismo quello che
era la recente missione in Gabon, ce ne
corre!
In occasione del suo discorso. Bongo ha sciolto i due Consigli antagonisti, invitandoli alla convocazione di un
nuovo sinodo con elezioni unificate. E’
chiaro che egli, specie nelle accuse formulate - come ci ha precisato la sig.na
Gay - ha dato maggior ascolto alla fa
zione dissidente e nazionalista. Ma il
risultato più sorprendente è che il nuovo sinodo ha ancora rieletto l’ex presidente « legale » con 41 voti. I 31 oppositori non hanno votato, sapendosi in
rninoranza: secondo le ultimissime notizie del soepi, questa minoranza, che
rappresenta 20 mila fedeli, contesta la
legittimità del nuovo Consiglio e reclama una direzione collegiale della Chiesa evangelica.
L’ordine di espulsione riguardava tutti i missionari, ma in un secondo tempo (una decina di giorni dopo) un comunicato alla radio annunciava che solo due erano colpiti e cioè un pastore
e un insegnante direttore della Società biblica.
In una lettera indirizzata ai collaboratori europei della Chiesa da parte dei
dirigenti (prima ovviamente dell'ultimo sinodo), veniva loro chiesto di partire tutti quanti: « vogliamo fare l'esperimento - dice la lettera -;occorre che
ci rendiamo conto noi stessi delle nefaste conseguenze delle nostre irriflessive decisioni... ».
La sig.na Gay dopo un avventuroso
espatrio in Camerum (dove invece è rimasta la sig.na Baudraz a continuare
il suo lavoro), ha poi potuto raggiungere l’Italia: ella si dimostra molto serena ed evita di dare giudizi drastici
su quanto successo. L’unica sua preoccupazione è che quanto fatto in fraterno spirito di collaborazione con le popolazioni dei villaggi non vada del tutto perso, specie per quanto riguarda
l’educazione igienico-sanitaria infantile.
Nel ricordare con riconoscenza l’appoggio materiale dato dai lettori al lavoro svolto in Gabon, la sig.na Gay
chiede a tutti noi di pregare affinché lo
Spirito del Signore porti la vera pace e
la riconciliazione in questa Chiesa tormentata.
Abbiamo già accennato alla prossima partenza della sig.na Gay: ella sta
infatti per compiere un altro oneroso
servizio in Madagascar, a Fihaonana, a
60 chilometri circa dalla capitale, Tananarive, ove avrà la conduzione di un
« nido » di bimbi orfani o abbandonati: mentre le auguriamo con cuore fraterno il migliore successo in questa
nuova attività, daremo successivamente sue notizie, assicurandola fin da ora
che le saremo spiritualmente vicini, ed
anche pronti ad affiancare materialmente il suo nuovo servizio.
r. p.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimmiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
I centri cristiani di stndin allargann ii diaingn
Hong Kong (soepi) - Affinché le forze spirituali di tutte le religioni siano accomunate e che la missione di Dio nel mondo giunga
a compimento, è necessario sviluppare il dialogo cogli uomini dialtre religioni e ideologie laiche, hanno dichiarato 32 animatori di
Centri cristiani di studio al termine di un
colloquio di cinque giorni tenutosi a Hong
Kong sotto il patrocinio del Consiglio ecumenico delle Chiese. Questi direttori di centri
rappresentavano 10 paesi sottosviluppati dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina.
Dopo aver puntualizzato Timportanza del
dialogo in una società di religioni multiple,
i partecipanti hanno posto in evidenza Tinteresse che sussiste per i Centri di studi di considerare le preoccupazioni umanitarie proprie
dei marxisti e degli umanisti. « Se i cristiani si tengono al corrente delle applicazioni
della ricerca marxista e umanista, la loro testimonianza nel mondo moderno avrà maggior
peso ».
I vari centri di studio rappresentati sono
stati invitati ad aiutare i cristiani a vivere in
una determinata situazione culturale in rapida evoluzione in modo che la fede cristiana
possa esprimersi secondo nuovi modelli.
I centri sono stati pure invitati ad approfondire la comprensione che ha la Chiesa
del concetto di <c sacro » e del « secolarizzato » in una cultura locale, per consentire una
risposta maggiormente creativa alle differenti
tradizioni religiose di cui vivono le genti.
^ Alla redazione di queste pagine hanno collaborato Inda Ade, Claxjdia e
Roberto Peyrot.
Cambio d’indirizzo
Dal 23 giugno l’indirizzo del Pastore Alberto Taccia, sarà:
Bellonatti
10062 Luserna S. Giovanni (To)
telefono 90271
iiiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiii.iiiiiiiiiiiiniiiiiMiMMiiiiiiiiiiitiiMiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiii
Radio e teievisione agli Avventisti
Gli Avventisti possono giovarsi in
U.S.A. del più moderno e potente mezzo di diffusione del pensiero: la televisione.
Programmi di mezz’ora sono regolarmente diffusi da 240 emittenti; vengono anche preparati films che sono utilizzati per emissioni in paesi come il
Brasile, l’Australia, la Corea, le Antille,
i paesi africani.
È assai più difficile servirsi della televisione nel vecchio continente, perché
in Europa la TV è quasi dovunque monopolio dello Stato. In attesa che questa situazione si evolva, gli Avventisti
ricorrono a stazioni commerciali, come
quella del Lussemburgo e del principato di Monaco. Qgni settimana, dalle antenne di Tele-Lussemburgo, viene diffusa una trasmissione in francese sotto il titolo « Segni dei Tempi ».
Nei loro programmi televisivi gli Avventisti presentano dei grandi problemi riguardanti l’uomo, e si cerca di dimostrare che la soluzione di essi si può
trovare nella Bibbia, e ci si sforza di
portare il messaggio della parola di
Dio.
J. P. Fasnacht, Panimatore dei programmi televisivi, si dice sicuro che la
TV è « chiamata sempre più a svolgere
un ruolo predominante neU’evangelizzazione ».
La radio, essendo un mezzo più antico e accessibile, è usata molto più lar
gamente dagli Avventisti per la diffusione del messaggio biblico. Decine di
milioni di persone vengono raggiunte
settimanalmente, in ogni paese, in un
gran numero di lingue.
Anche per la radio vi sono maggiori
difficoltà in Europa che in U.S.A., e
anche qui ci si deve servire delle stazioni commerciali. Europa N.I., stazione commerciale molto potente, diffonde emissioni avventiste in lingua francese; Sud-Radio, di Andorra, raggiunge
Spagna e Portogallo; Radio Lussemburgo si rivolge alle popolazioni tedesche
e dei Paesi Bassi; un programma educativo è diffuso dalla Radio nazionale
francese. Il titolo di queste trasmissioni è: «La voce della speranza ».
L’introduzione del transistor fa si
che i programmi Avventisti possano
penetrare nelle regioni più isolate, fino
alle popolazioni che vivono lontano
dalla civiltà.
In concomitanza con le radiotrasmissioni sono stati istituiti dei corsi biblici per corrispondenza, offerti oggi in
più di sessanta lingue. Si calcola che
più di venti milioni di persone si sono
iscritte dall’inizio dei corsi (1942), e che
due milioni di queste hanno seguito il
corso completo, che comprende trenta
lezioni.
A. Matton
(Da Vos amis les Advenlistes)
4
r
pag. 4
N. 25 — 18 giugno 1971
Libreria Sacre Scritture
« È la Parola di Dio che ci fa riscoprire fratelli nonostante le nostre differenze dottrinali ».
Il 1° maggio a Roma, presso la Facoltà Valdese di Teologia, vi è stato un
incontro di giovani di varie denominazioni, allo scopo di avere una consultazione sulla diffusione della Bibbia in
Italia. Intorno a questo tema i giovani
hanno discusso per tutto il giorno. Essi
hanno riconosciuto la necessità di richiamare l’attenzione delle comunità
sulla Bibbia come centro della vita della Chiesa e sui metodi di diffusione di
essa. Si è riconosciuto il valore dell’uso di diapositive e di corsi biblici
di aggiornamento per preparare i collaboratori.
Un secondo incontro si è tenuto il
29 maggio presso la Libreria. Inoltre è
stato fissato un convegno per il 9 ottobre, nel quale ognuno parlerà delle sue
esperienze nelle comunità e si prepareranno le basi per il lavoro futuro.
I giovani che si sono incontrati sono
lieti di essersi trovati d’accordo nell’affrontare il compito, e le fatiche che esso comporta, di sensibilizzare l’evangelismo italiano ad un maggior impegno per il ritorno alla centralità della
Bibbia nella vita di tutti.
Il 28 aprile è stata visitata l’Unione
femminile di Ivrea, dove sono state
proiettate diapositive sulla storia della
Bibbia.
Il 29 aprile è stata annunziata la Parola di Dio a Venaria, nel locale di culto della Chiesa Battista. Anche qui sono state proiettate le diapositive.
Dalle Assemblee
dei Frateiii
« Vi chiediamo di pregare per quest’opera e per tutti i fratelli e le
sorelle che vi collaborano ».
Nel periodico « Il Cristiano » del
mese di maggio leggiamo un servizio
sull’opera della tenda. È questo un
mezzo che i Fratelli adoperano per la
loro opera di evangelizzazione, in modo da potersi spostare nei più svariati
luoghi d’Italia. Attualmente vi sono
nel nostro paese cinque gruppi di Fratelli con altrettante tende, che portano ognuna un nome diverso. Le campagne si svolgono prevalentemente in
estate.
Quest’estate la tenda « La Verità »
sarà alzata nel nord d’Italia, dal giugno
al settembre, e precisamente a Mantova, a Rho, a Sesto S. Giovanni, a Carpi, a Mignola.
La tenda « Buona Novella » andrà in
Abruzzo: a Pescara, dove è già fissato
un terreno nella centrale via Firenze, e
a Chieti, dal maggio all’agosto. Qui i
Fratelli si propongono di andare di casa in casa distribuendo letteratura evangelica, di fare riunioni all’aperto e
conferenze sotto la tenda.
Altre campagne con la « Tenda Azzurra » si svolgeranno a Torino e a
Foligno.
Secondo i Fratelli la tenda è un mezzo efficace per l’evangelizzazione perché la sua presenza in una località rivela subito che « sono arrivati gli evangelici », ed agisce da richiamo. Durante le riunioni funziona un altoparlante che si rivolge anche a chi sta fuori. Il gruppo di credenti che si impegna nella campagna viene a formare
una piccola comunità in cui regna una
autentica comunione fraterna.
Certo la spesa per una campagna di
questo genere è rilevante: la tenda richiede T’impegno di circa 25 persone
per un mese o due, o anche tre; deve
essere trasportata, ha bisogno di un
terreno preso in affitto. Il costo complessivo di una campagna si aggira tra
il mezzo milione e il milione e mezzo.
I Fratelli sono in continua ricerca
per migliorare i sistemi delle tende,
per preparare i predicatori, per trovare sempre più numerosi, specialmente
tra i giovani, i continuatori dell’opera.
Parallelamente all’opera della tenda
sta svolgendosi a Roma una campagna speciale di evangelizzazione per
opera di alcuni giovani fratelli NeoZelandesi e Australiani. Essi sono affiancati dall’Assemblea di Via Prenestina. Il loro scopo è evangelizzare una
o due zone della città. « Preghiamo —
essi dicono — affinché in seguito alla
campagna si possano stabilire a Roma
due nuovi gruppi di credenti ».
La Gradata deU^Evangeia
« Anche noi in Italia stiamo facendo la nostra parte... ».
Notiziario Evangelico Italiano
Intorno al libro evangelico
« La Voce del Vangelo », periodico mensile di informazione e cultura
evangelica, ci parla del libro evangelico nelle fiere italiane, prendendo lo
spunto dall’incontro annuale, avvenuto a Roma il 1“ aprile, di venticinque
rappresentanti di editori e librai evangelici.
Quali sono le possibilità di sviluppo neU’editorla evangelica italiana
e particolarmente nella diffusione dell’Evangelo per mezzo della letteratura?
Segretario del Servizio Informazioni Editori-Librai è il Pastore Domenico Torio, direttore della Crociata dell’Evangelo. Egli ha fatto l’introduzione e la relazione; ha tenuto una meditazione l’Anziano A. Biginelli,
direttore dell’Unione Cristiana Edizioni Bibliche. Poi si è parlato della diffusione del libro evangelico, rivolgendo particolare attenzione alla sua distribuzione nelle fiere locali, regionali, internazionali. Una relazione su
questo argomento è stata presentata dalla signorina Jean Henderson, della
Crociera del Libro Cristiano. Essa ha fatto notare che la fortuna del libro
nelle fiere dipende in gran parte dal titolo, dalla copertina, dal prezzo modesto. Le vendite in fiera comunque sono soddisfacenti ed il libro più venduto rimane la Bibbia.
Altro punto di studio è stata l’evangelizzazione attraverso la stampa,
risultando utile all’uopo la diffusione di opuscoli, foglietti, cedole per corsi
biblici, nonché una nuova iniziativa: le inserzioni evangeliche su alcuni
grandi periodici nazionali, curate per ora da « Voce del Vangelo ». Esse sono apparse, nei mesi di aprile e di rnaggio su: « Sorrisi e Canzoni », « Novella », « Europeo », « Bella », « Qui Giovani ».
E stato infine eletto il nuovo comitato direttivo formato da Abele Biginelli, Elio Milazzo, Bill Standridge; segretario riconfermato Domenico
Torio.
Ricordi deiia Ciociaria evanoeiica
Oggi, professore, hai parloto impennacchiato!
lermo un comitato per studiare e
mettere in opera l’evangelizzazione nelle località di Collesano, Marineo, Cimina, Polizzi, Generosa, Trabia, Cefalù,
Altavilla.
Chiesa Evangeiica
indipendente
« Quello che conta è mobilitare
tutte le forze disponibili... ».
Roma. Per la Chiesa Cristiana Evangelica Indipendente di Roma si è iniziato un particolare periodo, chiamato
dai suoi membri « operazione bersa
glio Britannia ». La Chiesa, che ha la
sua sede in Via Britannia, ha voluto
proporsi un obiettivo — un bersaglio
— cioè le 18.000 famiglie del quartiere
che la comunità ha deciso di visitare
sistematicamente a due a due, di casa
in casa. Un mese è durato il periodo
d’istruzione dei membri di chiesa, poi
è cominciata l’attività di visite nelle
case: l’operazione-bersaglio terrà occupata la comunità per tutto il 1971.
Per l’estate sono previste anche riunioni all’aperto.
Auguriamo agli intrepidi operatori
del quartiere Appio una larga messe.
La dipartita di sorella Stamura e la commossa rievocazione di Valdo Yinay (c£. Eco
Luce n. 20 del 14 maggio 1971) ci hanno fatto riemergere dal passato tutta una serie di ricordi che, confrontati col presente e spogli di
ogni aureola romantica, assumono quasi valore di monito e d’incitamento.
Erano gli anni della prima evangelizzazione del Basso Lazio, che ebbe per motivo occasionale la morte e la sepoltura della compagna dell’unico evangelico di Colleferro. Le
parole della vita e della risurrezione pronunciate in quell’occasione al cimitero comunale
destarono presso alcuni del luogo il desiderio
di ria.scoltare la Parola di Dio. Era gente semplice, operai e operaie, compagni e compagne,
militanti prevalentemente nel partito comunista. A loro richiesta si tennero delle conferenze domenicali presso la Casa del Popolo, dove si cercò d’illustrare di volta in volta, alla
luce delle Sacre Scritture, i maggiori problemi
del momento, come la lotta di classe, il lavoro, il pane quotidiano, i rapporti col padronato,
la guerra, la resistenza, la disoccupazione ecc.
Tra i primi ascoltatori c’erano quelli che costituirono il nucleo originario della comunità e che solevano radunarsi nella casa del
fratello Passera. Rivediamo come fosse ieri i
volti sorridenti di Stamura e Sesto Bongelli, di
Augusta e Antonio Ronzoni (presso cui i culti si tennero più tardi), di Marina Cardia, di
Amalia Cristiani, di Rosa e Benito Corinaldesi, di Giovanni Gasperini, di Orlando Ippoliti,
di Concetta e Riccardo Mortari, di Rocco Maturro, di Armerino Perfetti, di Nicoletta Ripari, di Maria e Domenico Passetti, di Vaifro
Veneziano e di tanti altri che vennero ad ag
Inda Ade
llllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllillMlllllllllllllllllllllllllllllllllimillllllllllimillllll!l!M!!lllllll
PER voi RAGAZZi
Racconti Zigani — raccolti da M. VoRiSKOVÀ, illustrati da M. DolezeloVA — Ed. Giunti (Bemporad Marzocco), Firenze, L. 2.700.
Questi zingari che ci infastidiscono
sulle strade di città e di campagna, chi
sono veramente? È molto facile criticarli e molto difficile capire a fondo
questo popolo strano e appartato, la
cui vita inoperosa irrita oltremodo il
nostro tipo di lavoro e' di società. Comunque essi sono per noi degli sconosciuti, dei disprezzati e il loro folklore, i loro pensieri, i loro sentimenti ci
sono estranei. Questo libro contiene
una bellissima raccolta di saghe che
essi hanno tramandato di padre in figlio, raccontandosele durante le loro
peregrinazioni, mentre i carrozzoni sostano vicino a un fuoco di bivacco...
La loro patria d’origine è l’India:
« quando ne furono cacciati si divisero
in due correnti: gli uni andarono verso le steppe dell’i st e furono mandriani. Gli altri scesero lungo le coste, si
guadagnarono la vita suonando e cantando e le loro donne danzavano meravigliosamente ».
Le bellissime illustrazioni di un’artista cecoslovacca rendono viva questa
ricca edizione intei-pretando in pieno
la tristezza, la speranza, la poesia e il
calore umano di questi racconti che
svelano ai ragazzi tutto un mondo
ignoto.
Berta Subilia
giungersi a quei primi.
Dopo un po’ giunse la richiesta di predicare il Vangelo nelle campagne tra Colleferro e
Anaghi e, domenica dopo domenica, un po’ in
corriera e un po’ a piedi, nella polvere d’estate o nel fango d’inverno, con qualsiasi tempo,
si fecero visite in località sempre più lontane,
prima a Colle Curto e a Contrada Spinelle,
poi a Vallevona, alla Foresta di Ferentino, a
Valle Para, agli scali ferroviari di Anagni e di
Sgurgola, a Contrada Macerata, a Tofe MoroIo, a Ferentino e oltre fino a Frosinone e a S.
Giovanni Incarico.
Molto spesso era con noi sorella Stamura,
sola o accompagnata dal marito Sesto e da
altri fratelli e sorelle di Colleferro. La presenza di queste sorelle in fede nelle campagne
della Cioeiaria è stata molto preziosa, perché
contribuì spesso ad infrangere la naturale ritrosia di ambienti agricoli tradizionali dove
generalmente era riservalo agli uomini soli
il contatto politico-sociale. Cosi fin dall’inizio
vennero alle nostre riunioni anche le donne
coi loro bambini, ed esse furono le prime ad
intonare i a canti della riforma » premurosamente allestiti da Mariano Moreschini e da
Margherita Fürst. La predicazione era semplice, con un minimo di liturgia: l’invocazione,
una breve preghiera, un inno, la lettura di
una pericope, la sua spiegazione hic et hunc,
la recita in comune del Padre Nostro e del
Credo, la benedizione finale, il tutto guidato a
turno o da un professore della Facoltà Valdese di Teologia di Roma o dagli studenti della
stessa o da qualche fratello o sorella venuti
da Roma o dalla stessa Colleferro. Spesso, chi
non capiva li per lì una parola o un’espressione interrompeva il predicante e chiedeva
maggiori spiegazioni, come il pecoraio Angelo
dì Ferentino di Sotto che un giorno, sull’aia
assolata, mentre si leggeva il racconto della
resurrezione dì Gesù (Marco 16, 1-7), chiese,
scusandosi, che cosa fossero gli aromi destinali airimbalsamazione. Non c’era posto per i
paroioni difficili. Una domenica, al termine
della riunione, sorella Stamura disse sorridendo al predicatore di turno : a Oggi, professore,
hai parlato impennacchiato »!
La figura della sorella scomparsa ci ha fatto rievocare i nomi di tutti coloro che in un
modo o nell’altro, come i fratelli e le sorelle
in fede salutati dall’apostolo Paolo al termine
delle sue epistole, hanno lavorato e faticato
nell'Opera comune, con gioia e dedizione, al
servizio dei santi (I Cor. 16-16): è questo il
fiore che noi di Belgrado desideriamo depositare sulla tomba della cara estinta.
Wanda e Giovanni Gönnet
iiiiiimiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiinmiiiiiiiitMimiim)
Firenze
Anche qui si fanno pressanti alla memoria
i nomi delle famiglie che ci accolsero fraternamente, aprendo le aie, le stalle, le cucine e
persino le camere da letto ai predicatori del
Vangelo e agli ascoltatori più o meno numerosi venuti dai casolari vicini, tra i quali talvolta qualche sacerdote o due o tre carabinieri
a cavallo! Ricordiamo in particolare le famiglie Benedetti a Contrada Spinelle, Pica e
Rossi a Vallevona, Marra a Valle Para, Bondatti alla Foresta, Valori a Tofe Morolo, Scarselletta. Colletta e Adesse a Contrada Macerata, Pizzotti, Sorteni e Vocavolo a Ferentino,
Aloe allo Scalo di Sgurgola, Seracini a S. Giovanni Incarico ecc.
Agape gigante il 1 aprile, con i 44 giovani
tedeschi si raggiungeva una “tavolata” straordinaria : una serata buona, grazie in particolare al servizio di quel gruppo di sorelle che
avrebbe diritto anche a un cambio, e grazie
alla collaborazione entusiasta del nostro Centro Evangelico di solidarietà.
Ottime le tre serate con le corali nelle chiese cattolico-romane. Forse un i^o’ noioso
rumido della Controriforma di S. Gaetana,
ma perfetta l’accoglienza di S. Miniato e rallegrante il calore popolare dei fiesolani. Un
grazie ai titolari delle tre chiese per la loro
fraterna accoglienza.
.................................Ili................................limi ............. in................................................................................................................................
Cronaca delle Valli
Scuola e famiglia in un incontro a Villar Pollice
Per quanto riguarda l’Istituto Comandi di Firenze, i direttori G. Nunzio ed Elda Artini chiedono la preghiera dei Fratelli acciocché il personale che si occupa della Casa possa essere sempre consacrato e disinteressato, perché si possa far fronte alle spese sempre crescenti e si prosegua l’opera guidati dal Signore.
A Rivoli (Torino) è stato tenuto in
febbraio il 2" Convegno regionale, il
cui tema era: « Rimane ancora una
grandissima parte del paese da conquistare ». (Giosuè 13). Di questo Convegno era stato pubblicato su queste
colonne un resoconto.
I fratelli della Sicilia hanno iniziato
da alcuni mesi un’azione in comune
per aumentare la diffusione della Parola di Dio. E stato costituito a Pa
Venerd'i sera 4 giugno ha avuto luo^
go a Villar Pellice il previsto incontro
con i genitori e le persone interessate
ai problemi della Scuola, organizzato
congiuntamente dal Circolo dei genitori della Media Statale di Torre Pellice, dalla Scuola stessa e dalla Direzione Didattica. Erano presenti, oltre ai
genitori, i pastori di Torre Pellice e
Villar Pellice ed un buon numero di
insegnanti tra cui i sindaci di Villar e
Bobbio.
Ha iniziato la preside, Mirella Bein,
parlando dell’evoluzione della Scuola
secondaria da scuola di élite a scuola
di massa e della conseguente ed inevitabile crisi. Tale crisi, determinata anche da altri fattori, ha costretto i docenti a rivedere molte delle loro posizioni, a cambiare il metro di giudizio
ed i metodi di insegnamento e quindi
in definitiva ad interrogarsi sullo scopo
ultimo della scuola stessa. Chi non si è
chiuso in uno sterile rimpianto delle
categorie del passato e del presunto
decadimento della propria « dignità »
professionale, si è reso conto che è necessario mutare mentalità, guardare
non tanto al « rendimento » del ragazzo stesso per cercare le cause delle
sue difficoltà e delle sue lacune. Si è capita l’inadeguatezza dello strumento
« voto » che pretende esprimere in un
numero le molteplici componenti di
una personalità in divenire.
La scuola fallisce miseramente il suo
compito se allontana chi ha più bisogno di frequentarla e se contribuisce
d’altro lato alla formazione di individui egoisti, unicamente preoccupati della propria riuscita pur se « bravi » nel
senso tradizionale del termine. Far lavorare i ragazzi in gruppo, abituarli ad
aiutare i meno preparati, i meno sorretti da un ambiente favorevole, a spronare gli abulici ecc... significa indicare
modelli diversi basati su di una visione
della vita ispirata alla solidarietà anziché all’arrivismo. Anche il concetto di
cultura va rivisto in questa luce: cultura intesa come conoscenza ed analisi
dei rapporti che regolano la comunità
umana e delle situazioni di ingiustizia
che ne derivano. La preside ha poi brevemente illustrato le iniziative intraprese nella Media Statale di Torre Pel
lice per realizzare una scuola di questo
tipo.
Ha poi preso la parola il direttore didattico prof. Roberto Eynard che ha
ripreso il concetto già espresso nell’intervento precedente della fondamentale unità della scuola dell’obbligo, per
cui è ormai superato il concetto di una
scuola media staccata o peggio in polemica con i cicli precedenti.
Infatti i vari periodi dell’età evolutiva rappresentano momenti ugualmente importanti nella vita del ragazzo.
Egli ha prospettato la necessità e la
IO
studia, bisogna capire perché, interessarlo, aiutarlo.
Ecco come è portato a ragionare, dietro
i suggerimenti dei suoi genitori, il bambino della scuola dell lO.
I 0 vado a scuola.
NOI impariamo : c’è chi impara prima e
chi dopo, non siamo tutti uguali; chi
impara più facilmente aiuta chi ha
più diiTicollà, è bello aiutarci, collaborare, andare avanti TUTTI in
10 studio; se gli altri non studiano, non
mi interessa.
IO imparo: se gli altri non ci riescono,
per qualsiasi motivo, me ne infischio.
— Non è importante chi sia il più
bravo: è importante che la NOSTRA
comunità sia « brava », cioè lavori
volentieri, con profitto facendo cose
interessanti.
I 0 sono il più bravo. È necessario che
esistano degli asini, cosi io posso
primeggiare.
1 0 ho una bella idea ma non la dico,
se no gli altri me la rubano.
I 0 cerco di rendermi simpatico al maestro, e spero di essergli più simpatico degli altri.
1 0 studio bene la lezione, così prendo
dieci.
I 0 sarò promosso, continuerò gli studi,
farò strada nella vita, sarò il primo
anche fuori della scuola: sarò il più
ricco, il più polente, il più bello, il
più fortunato.
E gli altri sì arrangino.
— Ho una bella idea : la voglio dire
subito perché con la discussione le
idee migliorano, ne può nascere una
bella iniziativa per TUTTI.
— Il maestro è uno di NOI, vuol })cne a TUTTI allo stesso modo, ma è
giusto che dia più spesso una mano a
chi ha più bisogno: intanto chi può
andare più avanti degli altri ci vti, e
gli altri non sono gelosi e non ci perdono niente, e sanno che jirimo o poi
lì raggiungeranno.
NOI
NOI studiamo volenlieri perché è hello sapere tante cose; studiamo per amore
della cosa che studiamo, non per far
hella figura, non per far fare brutta
figura agli altri. E non per i voti. . .
come si fa a misurare con i numeri
il piacere di studiare, di .scoprire il
mondo, di lavorare in.sieme'?
— Io
Ecco invece come dovrebbe ragionare
il bambino della scuola del NOI :
NOI andiamo a .scuola.
NOI studiamo; se qualche compagno non
spero che saranno promo.ssi
TUTTI Spero che TUTTI i miei
compagni pos.sano realizzare i loro desideri. Spero che TUTTI noi. uomini
e donne di questa terra, possiamo
avere una vita bella, utile e interessante.
validità del rapporto Scuola-famiglia
(sappiamo che si prevede per il futuro
la costituzione di un circolo di genitori anche per la scuola elementare) come indispensabile contributo alla conoscenza degli alunni e ad un arricchimento reciproco. Egli ha pure indicato le linee lungo le quali dovrebbe
muoversi il lavoro nei primi anni di
scuola. Ad esempio per quanto riguarda la storia e la geografia non ricalcare
i vecchi schemi dello studio di antiche
civiltà e di lontani paesi (che verranno
poi ripresi più volte nei successivi momenti dell’iter scolastico) ma piuttosto
partire dall’ambiente che ci circonda
studiandone le caratteristiche, le origini, i modi di vita, ecc.
Le esposizioni dei due insegnanti sono state seguite da un interessante
scambio di idee da cui è emersa l’approvazione dei genitori per le concezioni prospettate e per le iniziative prese
dalla scuola e si sono rilevate le carenze degli interventi dello Stato nelle
molteplici necessità del settore. Questo ha dato origine ad un confronto di
opinioni sulla validità o meno delle
proteste della base. Si è sostenuto da
un lato che le proteste sono inutili c
vanno riprovate essendo sufficiente perseverare localmente nei limiti del possibile nelle linee che si ritengono giuste,
dall’altro che « protesta » non significa
necessariamente azione violenta o incontrollato sfogo verbale ma piuttosto
movimento di informazione, pressione
di opinione pubblica per richiamare
l’attenzione delle autorità sui problemi
reali da risolvere.
I sindaci hanno spiegato che l’assenza di molti genitori era dovuta all’impegno nel lavoro della campagna
ed hanno espresso il desiderio che
l’anno prossimo riunioni di questo tipo possano ripetersi durante la stagione invernale magari a livello di
quartieri. Qccorrerà fare uno sforzo in
questo senso perché la lontananza non
debba portare sempre come conseguenza l’isolamento sul piano dei rapporti
e del movimento delle idee. Al termine
dell’incontro è stato distribuito un volantino di cui qui sotto riportiamo il
testo.
5
18 giugno 1971 — N. 25
pag
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
^ingresso della Chiesa Cattolica nel CEC Incontri fraterni
Milano
Il problema dell'eventuale ingresso della
Chiesa Cattolica Romana nel C.E.C., è stalo
oggetto di ampio dibattito da parte di un
gruppo congiunto metodista-valdese di Milano,
Il gruppo ha esaminalo in diverse riunioni
la relativa documentazione esistente sia in
campo protestante che in campo cattolico.
Allo stalo attuale della situazione ecumenica, sia per quanto riguarda la Chiesa Romana
come pure lo stesso C.E.C., il gruppo ritiene
che non solo sarebbe prematuro ma anche
non auspicabile pervenire ora ad una tale decisione.
Il nostro gruppo di studio è giunto a questa
conclusione per i seguenti motivi :
1) A fondamento del Movimento Ecumenico, come precisato ad Amsterdam (1948), stava Tesigenza della continua riforma della
Chiesa.
Sorge ora rinquielante domanda se Feventualità dell'ingresso della Chiesa Romana nel
C.E.C. non sorga da un affievolirsi dell'originaria vocazione del Movimento Ecumenico.
Se questa preoccupazione è fondata, la presenza della Chiesa Romana nel C.E.C. comporterebbe un ulteriore aggravamento di questo rischio.
Infatti dobbiamo ancor oggi chiederci fino a che punto la Chiesa Romana, per la sua
stessa natura, possa essere disponibile per rispondere insieme ad altre Chiese alla comune
vocazione di continua riforma, in obbedienza
alla Parola di Dìo.
La domanda non è fuori luogo in quanto
proprio nel « documento dei sei » Pesìgenza
della riforma e completamente ignorata.
2) La Chiesa Romana, pur avendo manifestato al tempo del Concilio Vaticano II e negli anni successivi evidenti segni dì rinnovamento - di cui non possiamo che rallegrarci -,
ha tuttavia espresso, in documenti uffieiali,
posizioni contrastanti con lo spirito del Concilio, fino a giungere recentemente al progetto di una « Lex fundamentalis ».
In essa appare più che evidente un tentativo di ritorno alle posizioni pre-conciliari,
specialmente per ciò che concerne la concezione della Chiesa, condizionata da uno stretto
giuridismo ecclesiastico e non costantemente
rinnovata dalla libera potenza della Parola.
Non possiamo non essere preoccupati, insieme ad ampi settori del cattolicesimo romano, dal fatto che questa a Lex » pretenderebbe, inoltre, di essere « norma stabile e sicura »
per la Chiesa Romana.
Nella « Lex fundamentalis », risuonano ancora alcuni temi del a De ecumenismo » (can.
7, par. 2), tuttavia, qualora essa dovesse essere accettata dal Sinodo dei Vescovi, entrerebbero in crisi gli stessi rapporti ecumenici sviluppatisi in questi ultimi anni.
3) Il C.E.C,, inoltre, non può ignorare il
« dissenso cattolico », né contribuire, di fatto. mediante accordi con la Chiesa Cattolica
ufficiale, ad emarginare questi gruppi. Non
basta infatti dichiarare che il C.E.C. cc deve
anche preoccuparsi che queste voci non ufficiali siano ascoltate nelle sue varie attività ».
Poiché siamo delFavviso che la rappresentanza della Chiesa Romana nel C.E.C. non dovrebbe in alcun caso avvenire attraverso l'.autorità centrale, ma attraverso le Conferenze
Episcopali, ci chiediamo in quale modo il
<f dissenso cattolico » potrebbe avere una sua
reale rappresentanza nel C.E.C.
La nostra solidarietà con il « dissenso cattolico », come si manifesta oggi in molti gruppi e negli scritti di notevoli teologi cattolici,
ha la sua motivazione di fondo nella comune
esigenza della perenne riforma della Chiesa
sul fondamento della Parola di Dio. E naturale. quindi, che la presenza nel C.E.C. di questi movimenti abbia per noi importanza primaria.
ci sia. La pregiudiziale non viene, perciò, da
noi. ma dalla Chiesa Romana.
c) Il C.E.C. è uno strumento al servizio
del movimento ecumenico; in primo luogo dovrebbe servire le chiese per una chiarificazione
e purificazione sulla base della Sacra Scrittura. Purtroppo questo non è ancora avvenuto.
Immaginiamoci cosa succederebbe se la Chiesa Romana entrasse nel C.E.C. con tutto il peso del suo istituzionalismo e gerarchismo legati ai « valori » della Tradizione e centrati sul
sacramentalismo e sul ritualismo!?
Il C.E.C. ha bisogno della massima chiarezza possibile. L’ingresso della Chiesa Romana
nel C.E.C., a parer nostro e allo stato attuale
delle cose, costituirebbe un ulteriore elemento
di confusione anziché di chiarezza e dì comunione.
3) Ora, a meno che la Chiesa Romana
pronunzi parole veramente chiare, nuove e
determinanti, su alcuni punti irrinunciabili
(come quelli sopra accennati, dobbiamo riconoscere che le nostre perplessità costituiscono,
se non un netto rifiuto, per lo meno una forte
riserva all’ingresso della Chiesa Romana nel
C.E.C. almeno per il momento. Il tempo non
ci sembra maturo per una tale operazione.
4) Questo discorso lo facciamo con spirito di profonda umiltà, ben conoscendo le
nostre manchevolezze e la nostra povertà. (Nessuna chiesa può dire, davanti al Signore « io
sono ricca »!) ma lo facciamo anche nella speranza che il Signore voglia ricomporre Lui
l’unità nella Sua Chiesa come e quando Egli
Aosta
Verona
Domenica 16 maggio, l’Assemblea di Chiesa della Comunità di Aosta ha esaminato un
ordine del giorno, preparato da un gruppo di
fratelli e sorelle che avevano studiato l’argomento nel corso di una serie di incontri durante Linverno. sull’eventuale ingresso della
Chiesa Romana nel C.E.C.
L'ordine del giorno contiene i seguenti
punti :
1) Si prende atto delPapcrtura che si è
prodotta neiratleggiamento della Chiesa Romana verso le altre confessioni cristiane. Se
ciò è frutto dello Spirito Santo, non c’è che
da rallegrarsene!
2) Non sembrerebbe ebe ci sia, quindi, da
parte nostra alcuna pregiudiziale contro 1 ammissione della Chiesa Romana nel C.E.C. benché (e non lo nascondiamo) tale ammissione,
allo stato attuale delle cose, ci lasci abbastanza e fortemente perplessi. Ci sembra che,
se di pregiudiziale si deve parlare, questa non
è posta tanto da noi quanto proprio dalla Chiesa Romana stessa.
Facciamo qualche esempio:
a) Benché la Chiesa Romana non parli
più il linguaggio altezzoso di un tempo (si
pensi ancora a quello usato nella « Mortalium
ánimos » di Pio XII del 1938) tuttavia essa
continua a considerarsi come l unica vera
chiesa di Gesù Cristo. Con tale pregiudiziale,
non vediamo come la Chiesa Romana potrebbe far parte del C.E.C. essendo questo una
« comunione » in cui le chiese possono incontrarsi le une con le altre su una base di assoluta parità.
b) Fino a prova contraria, il pontefice romano si proclama capo non solo della sua
chiesa ma dell'intera Cristianità, addirittura
n vicario di Cristo». Parliamoci chiaro: noi
non riconosciamo nessun « vicario » di Cristo,
il solo « vicario » del Signore è lo Spirito Santo. Si può. cerio, dissentire dalle dottrine di
tante chiese (e di falli dissentianut...) ma il
dissenso con la Chiesa Romana si è ancora
aggravalo dal tempo della Riforma e proprio
sul primato papale. Non possiamo accettare una
aiTermazione di così cliiara impostazione imperialista ecclesiastica come quella del « vicario » di Cristo (?!). Questo titolo è nelle affermazioni e nei fatti il più antiecumenico che
A Verona Vassemblea di chiesa ha votato,
dopo lunga discussione, un contrastato ordine
del giorno nel quale prende posizione sulVeventualità di un ingresso della Chiesa cattolica
romana nel CEC (7 voti favorevoli, 1 contrario e 6 astenuti; Vafjluenza alVassemblea e
stata scarsa, ma la proporzione fra i pareri
presenti nella comunità è riflessa correttamente in questo voto: si sono infatti avute due
riunioìii precedenti, assai più frequentate, nelle quali la questione era stata presentata e
dibattuta). Ecco il testo del documento così
controverso:
La comunità valdese di Verona, riunita in
assemblea il 23 maggio 1971, richiesta di
esprimere il suo parere suU’eventuale ingresso
della Chiesa di Roma nel Consiglio ecumenico
delle Chiese, ritiene di poter rispondere con
queste considerazioni :
1) L’entrata della Chiesa cattolica ci sembra che ponga problemi molto gravi (e che
difficilmente potranno essere risolti in breve
tempo). Ne segnaliamo alcuni;
— il fatto che la Chiesa si presenta ora
sia come istituzione religiosa che come Stato
(Città del Vaticano);
— la conseguenza che ne deriva di un
determinato tipo di vita politica legala a determinati partiti ’’cattolici” e, in generale,
“cristiani”;
— il concetto di autorità legato alla persona del papa;
__ la questione della rappresentanza della
Chiesa, legata a un preciso senso del concetto
di unità:
__ il fatto che gli equilibri attualmente
esistenti nel CEC saranno profondamente cambiati;
— la collaborazione eventuale, sul piano
locale, legala al problema dell’evangelizzazione;
__ la questione finanziaria (provenienza
e uso del denaro);
— ecc.
2) Sappiamo che la nostra risposta ha valore molto relativo perché delle decisioni irreversibili sono già state prese a livello di vertice. Questo fatto (che ha impedito una vera
decisione delle comunità locali) mette pero in
questione non solo l’eventuale ingresso della
Chiesa cattolica nel CEC, ma il CEC stesso.
Ci serviremo quindi di quest'ultimo come di
uno strumento che adopereremo esaminandolo
seriamente (essendo grati per le possibilità che
offre — lotta antirazzista e possibilità di incontri con uomini che lottano per la riforma
della chiesa, tra l’altro). Quando questo strumento non ci dovesse più servire, dovremmo
essere pronti a uscire dal CEC.
Trieste
cilio Vaticano li, il concilio ecumenico, come quella che dice : « il movimento ecumenico è sorto anche tra i nostri fratelli separati ».
Gli ostacoli principali rimangono sempre
il papa e la Santa Sede con tutto ciò che essi
rappresentano: il « Principium unìtatis ecclesiae » il primo, la diph*mazia vaticana la seconda. In seno alla chiesa cattolica stessa dovrebbe prima o poi verificarsi un salutare fenomeno di rigetto di queste istituzioni, perché il primato papale e la Santa Sede sono dei
corpi estranei nella Chiesa di Cristo.
Dal punto di vista evangelico un grosso pericolo che si correrebbe con l’immissione della
chiesa di Roma nel C.E.C., sarebbe quello delristituzionalizzazlone. cioè un cristianesimo
istituzionalizzato e gerarchico, centrato sulla
vita sacramentale e sul rituale liturgico. Ci
si pone inoltre un ulteriore interrogativo chiedendoci se rifiuto della tradizione, delle istituzioni. del sistema e dell’autorità, e dell’al di
là, possa significare una possibilità di riforma.
Questa domanda è rimasta a livello di interrogativo, perché non si è saputo darvi una risposta, ma noi vorremmo ricordare che il rifiuto della tradizione, delle istituzioni, dell’autorità, e, fino ad un certo punto, anche del sistema fu una delle componenti della riforma
di Lutero e poi di Calvino.
L’intervento della sorella Bert si è concluso
col ribadire la ncce.ssità di una riforma della
cristianità come prernes.sa per la sua riunificazione e con Finvito alla perseveranza di fronte
alle difficoltà da affrontare. Hanno poi preso la
parola le singole Unioni femminili ed il gruppo giovanile di Trieste, che erano stati pregati di preparare un loro intervento che riassumesse il lavoro svolto nei mesi invernali
sul tema dell’ecumenismo.
Da parte delle Unioni femminili è stata riconosciuta nelle alte sfere della teologia cattolica e protestante un profondo e genuino
spirito di ricerca, ma si è ribadito che solo
l’aiuto di Dio potrà portare alla riforma e all’unità : cammino verso un’unica chiesa sì. ma
in un continuo confronto con la Parola di Dio.
Le profonde differenze che ancora sussistono
tra le posizioni cal ioli che e quelle protestanti
ed i pericoli inerenti aH’ingresso della chiesa
di Roma nel CEC. come quello di una possibile sopraffazione dei protestanti da parte
cattolica, non devono venir sottovalutati, ma
in questi momenti doiibiamo confidare nella
potenza dello Spirito e non scordare l’efficacia
della preghiera.
L’intervento dei giovani ha presentato il
problema deU’ecun eniamo da un punto di
vista diverso da queilo delle Unioni femminili.
Essi hanno rilevato che la divisione primaria,
oggi, non è tanto quell.a tra confessioni diverse, quanto quella che vede schierati, in ogni
confessione, da una parte coloro che rifiutano
la lotta di classe ed apjioggiano gli stati ed i
sistemi vigenti, dall’altra coloro che riconoscono la lotta di classe e scelgono di allinearsi
dalla parte degli sfruttati contro coloro che
opprimono, sfruttano, discriminano. L’ « Ut
unum sint » evangelico non potrà divenire
realtà finché sussisterà questa frattura ed e
quindi mistificante parlare di unità intendendo un’unione di chiese che tendono, per la
loro maggior parte, a conservare il loro potere teologico, politico ed economico. Un’unica
chiesa potrà crescere pian piano quando i cristiani di ogni confessione avranno scelto di
portare la loro testimonianza « nel mondo »
contro il mondo e le sue strutture di peccato.
Soltanto nell’azione comune anche i problemi teologici possono assumere un aspetto
nuovo e diverso ; può cosi emergere Tinconsistenza di alcuni dettati o la funzione strumentalizzatrice di altri.
Dopo quest’ultimo intervento si è sviluppato un acceso dibattito. L’insieme della discussione ha rivelato sia la volontà di proseguire nel dialogo con i cattolici, sia un certo
scetticismo sulla possibilità di una conclusione
positiva di questo dialogo.
Riconosciuta l’esistenza di due forine i
ecumenismo, quella di vertice e quella di base
(soprattutto dissenso cattolico), si è ritenmo
necessario prendere in considerazione ambedue, senza voler riconoscere alcuna priorità
all’uno o all'altro. L’importante per noi evangelici è prendere atto di un momento particolarmente favorevole ad un incontro ecume
nico e di premere da ogni parte.
Torre Pellice
Piove a dirotto, la sera dell’Ascensione ed
è quasi buio quando arrivano a Torre Pellice
i nostri amici di Morges, ma il sole è nei loro cuori e nel cuore di tutti noi che li aspettiamo. La campana suona festosamente dall’alto del campanile della Chiesa ed il loro
sorriso ci fa completamente dimenticare l’inclemenza del tempo.
E’ ormai una simpatica consuetudine, che
le Comunità di Morges (Svizzera), di Luserna
S. Giovanni e di Torre Pellice, s’incontrino
ogni due anni alternativamente in Svizzera e
alle Valli e questa è la terza volta nello spazio di dodici anni, che le nostre Comunità li
ricevono e che i due comitati preparano con
molto impegno il programma da svolgere insieme.
Sono più di una settantina e cinquanta dì
loro sono ospiti delle nostre famiglie. Ritroviamo molti vecchi amici a cui siamo legati
da profondo affetto e che ci sono fedelmente
vicini nella gioia come nel dolore, facciamo
nuove interessanti conoscenze, per tre giorni
viviamo fianco a fianco e realizziamo quanto
sia bello che fratelli e sorelle nel Signore dimorino insieme e s’incoraggiano a vicenda.
Accolti nel tempio con alcune parole di benvenuto del pastore Sonelli, gli ospiti sono
presentati agli ospitati dal pastore Rostagno.
Con loro saliamo a Fra del Torno, visitiamo
la scuola dei Barbi ed il Tempio, udiamo dal
Prof. Augusto Armand Hugon alcuni episodi
dì Storia Valdese e alcuni cori cantati dalla
loro Corale e ci fermiamo alla Foresteria per
una tazza dì thè.
Con loro saliamo a Pramollo per un’Agape
fraterna, preparata con cura dal sig. Sappé.
Oltre ai nostri due pastori, sono con noi il
sig. Th. Pons, pastore di Pramollo e la sua
gentile signora che ci accolgono al nostro arrivo con la loro consueta sincera cordialità.
Ascoltiamo con commozione alcuni episodi di
Storia Valdese, esposti dal sig. Pons e del suo
ministerio pastorale.
Nel tempio i nostri amici cantano ancora
con instancabile slancio e canteranno ancora
sulla via del ritorno all’Asilo di San Germano.
Breve fermata a San Secondo, visita al Tempio e poi agape fraterna nella Sala Albarin a
San Giovanni.
Venerdì sera 21 Maggio nel grande, accogliente salone della Foresteria, gentilmente
concesso, un riuscitissimo programma presentato dal Pastore Rostagno, è stato seguito con
vivo interesse dai presenti. La sala è letteralmente gremita in ogni angolo, le sedie non
bastano e gli ultimi arrivati stanno in piedi.
La bandiera italiana e quella svizzera gentilmente concessa dal Consolato di Torino, salutano i nostri ospiti al loro arrivo. Il Coro
Alpino Valpellice, diretto dal M.o Edgardo
Paschetto, canta molti inni giovanili, sentitamentali e patriottici con particolare sensibilità e fusione di voci.
La Corale di Luserna San Giovanni, diretta
dal M.o Ferruccio Rivoir canta alcuni inni
della Festa di Canto ed il Coro di Morges diretto alternativamente da Claude Metzener e
da Pierre Challet, ha una volta ancora espresso la sua fede e la sua gioia con gli inni che
ha cantato sorridendo e con una meravigliosa
fusione di splendide voci. Alcune scenette argute, rievocanti episodi di un loro viaggio a
Torre Pellice, esecuzioni di Georges Aubert
virtuoso della fisarmonica, messaggi dfl Pastore Roberto Jahier e film del Dr R"h<)ff
sul nostro ultimo viaggio a Morges. Il pubblico esce soddisfatto e riconoscente, restano m
sala i nostri amici svizzeri, i giovani del Co
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Mercoledì 2 giugno, si è tenuto a Trieste,
nei locali di vìa Torrehìanca 41, il convegno
regionale dei gruppi femminili evangelici del
Friuli-Venezia Giulia. Il tema del convegno
era: Tecumenismo oggi.
Oltre al gruppo femminile di Trieste (chiesa valdese, elvetica, metodista, battista) erano
presenti numerose rappresentanti delle Unioni femminili hattiste di Pordenone, metodiste di Gorizia e Udine. Invitato era stato il
gruppo giovanile di Trieste.
L'incontro si è aperto con un breve culto
tenuto dalla sorella Laura Carrari che ha ricordato le parole di Gesù; «Venite a me voi
lutti che siete travagliali ed aggravati ed io vi
darò riposo » (Mt. II; 28) ed ha additato la
via a Gesù come possibile superamento di ogni
tipo dì divisione che sempre ha travagliato
la chiesa fin dai suoi inizi; solo tra coloro che
riconoscono Cristo come Re vi può essere iini
II tema del convegno è stalo introdotto dalla sorella Deh« Beri che ha presentato uno
studio sulTopuscolo n. 37 di Attualità Protestante : « Sì o no all'ingresso della Chiesa di
Roma nel Consiglio Ecumenico ri di Paolo
Ricca. E" stato messo in rilievo il profondo
mutamento verificatosi nella chiesa cattolica
nei riguardi del movimento ecumenico dal
1928 (enciclica « Mortalium ánimos ») -ad oggi c ([uitidi la dis[)onihilità della chiesa di Roma al dialogo ecumenico. Si c ricordato il
« Rapporto (lei Sei n come studio importante
sulle pos.sihililà effettive di entrata della chie.sa cattolica del C.E.C. Si sono però tenuti
presenti anche i rischi clic questo passo comporterclihc. rischi ipotizzabili non solo sulla
base di concezioni teologiche ed ecclesiologiche diverse, ma che traspaiono chiaramente
anche da affermazioni fatte durante il Con
Felonica Po
Secondo l’A. S. n. 21 del 1970 la Chiesa di
Felonica Po ha esaminato, nel corso dell'anno
ecclesiastico 1970-71 il problema delTeventuaIc ingresso della Chiesa Cattolica Romana nel
Consiglie Ecumenico delle Chiese. Lo ha folto sulla base del « parere » richiesto dalla Tavola Valdese al Pastore Paolo Ricca.
È giunta alla conclusione che Tingresso
della Chiesa Cattolica Romana nel C.E.C. e
prematura.
Il fatto che la « Chie.sa Cattolica Romana
comincia ad esperimentare nel suo rinnovamento una tensione tra un ecumenismo dinamico centrato su Cristo e un ecumenismo
statico centrato su Roma » non costituisce una
base sufficiente per il suo ingresso nel C.E.C.,
ma solo un punto di riflessione per ulteriori
.sviluppi suscettibili forse in futuro di perm^tere alla Chiesa Romana di entrare nel C.E.C.
« par rum pari ».
Per ora il suo ingresso sarebbe fonte di
ambiguità e di confusione.
Se è vero infatti che la parte più progredita ed aperta del Cattolicesimo pensa ad un
« ecumenismo centrato su Cristo » non pare
essere ijuesta ropinìone della parte maggiore,
ed c comunque chiaro che quando i non
Cattolici parlano di Ecumenismo centrato .su
Cristo escludono quello che viene ancora .sempre consideralo indiscutìbile dai Cattolici, cioè
che questo Cristo abbia iin vicario che eserciti
le sue veci in terra!
Ecludono inoltre pos.sihilità di franchi, leali
e fraterni rapporti ecumenici i metodi che ancora oggi la Chiesa Romana adotta, ovuiupie
le è possibile, per fare trionfare i propri jninli
di vista ed affermare senza possibilità dì di
scussione la sua autorità. Ricorre senza esitazione al braccio secolare (vedi il Processo delrisolotto) e tenta di imporre il diritto canonico a tutti, credenti e increduli, cattolici e
non (ne abbiamo un es. in Italia con la
questione del divorzio). Non può far parte del
C.E.C. una Chiesa che non accetti che la sua
ecclesiologia sia discussa e discutibile.
Anche gli altri argomenti addotti per permettere Tingresso della Chiesa C. R. nel
C.E.C. — passaggio da una concezione statica ad una concezione dinamica delTEcumenismo; Tunità della Chiesa di Cristo, mèla
del movimento ecumenico, anche meta per la
Chiesa Cattolica (anziché essere essa .stessa
la mèta) — fan l’effetto di tentativi operali
da esperti teologi cattolici, magari coadiuvati
da ingenui protestanti (vedi il cosidetto « comitato dei sei ») per aprire una finestra alla
Chiesa Cattolica per consentirne l’ingresso
nel C.E.C. data Timpossibilità di farla passare
per la porla! E una volta entrata, senza che
vi sia in essa un vero mutamento, sarà il
C.E.C. a Irovar.si in una difficile condizione.
La Chiesa Romana si tirerà inevitabilmente
dietro tutte quelle sovrastrutture, che per essa
però non son tali (quali il Papato, il Magistero
ecclesiastico, la sua certezza di essere chiamala ad essere « mater et magi.stra » per tutti,
anziché essere una chiesa che annuncia Cristo
e vive la sua fede in Lui accanto ad altre
Chie.se. ecc.) e che per ora non accetta siano
poste in discussioni da chicchessia (vedi il
caso H. Kùng).
Non serve pertanto che i teologi cerchino di
trovare un linguaggio comune, quando da
una parte e dalTaltra si attribuiscono alle
singole parole significati e conlcniili diversi.
ro Valpellice e restiamo noi; si balla e si canta in chiusura.
Ringraziamo vivamente i pastori: Vouga,
Centlivres, Zweifel che hanno presieduto il
Culto ad Angrogna Capoluogo, Torre Pelliee, Luserna S. Giovanni.
Un'agape fraterna riunisce ancora prima
della partenza i nostri fratelli di Morges e
una cinquantina di membri della nostra Comunità. Canti, saluti, abbracci. Sono partiti
verso le ore 13,30, domenica 23 maggio. Risuonano ancora nel nostra cuore le note dell’inno « Chant des adieux » :
Faut-il se quìtter sans espoir
de se revoir un jour?
Ce n'est qa'un au revoir mes fr'eres.
Ce n’est qu’un au revoir!
Oui nous nous reverrons mes fr'eres.
Ce n’est qu’un au revoir!
Lina Vare.se
Villar Penosa
Visite Ne abbiamo ricevute parecchie e le
elenchiamo brevemente.
Anzitutto, un gruppo svizzero, diretto dal
Pastore Blaser di Berna, fedele amico della
Chiesa Valdese. Poi, il gruppo di Pinache
(Wurtt) corrispondente alla nostra Pinasca,
guidato dal Pastore Eiss, che ogni anno viene
in pellegrinaggio nella « terra dei padri ».
Con questo gruppo abbiamo avuto una bella
serata comunitaria e il Pastore Eiss ci ha invitali tutti a Schònenberg per il 250 anniversario della morte di Arnaud.
Gruppo di Cross Villar (formato dagli esuli
di Villar Perosa). 11 Pastore Murthum ha predicato in italiano, poi, coi suoi, ha assistito
alla festa di canto a Pinerolo e, la sera, dopo un’agape fraterna, serata comunitaria, con
canti, messaggi diapositive.
Per ultimo, visita di un gruppo francese,
guidato dal Pastore René Bertin, originario dì
Angrogna.
Abbiamo pure avuto varie visite di singoli
e ricordiamo quella del Pastore Schofer, presidente dei valdesi di Germania; dal Pastore
Grefe di Valdensberg, che ci ha dato un messaggio alla Scuola Domenicale ed uno al culto e del Pastore Noach di Berlino, che ci ha
pure dato un messaggio. La sua signora organizzerà un campo nella nostra Foresteria.
Due volte i nostri culti sono stati arricchiti
dalle predicazioni del Pastore Gustavo Bertin
e del cap. salutista Longo. Li ringraziamo sentitamente.
Incontri ecumenici - La corale di Detmold,
in visita alle nostre Valli, ex ha dato un apprezzato concerto di musica sacra, al quale
sono intervenuti molti valdesi e anche vari
amici cattolici. Don Mario, che era pure presente, ci ha rivolto un fraterno messaggio. Il
Pastore Alme, nella sua qualità di Presidente
de! Canto Sacro, ha porto il benvenuto agli
©spiti e la sua Corale ha eseguito alcuni inni.
A Pentecoste, il nostro culto è stato abbellito dai trombettieri di Mannheim, diretti dal
Maestro Elser. La sera essi ci hanno offerto
un magnifico concerto al quale hanno assistito cattolici e valdesi e, anche qui, Don Mario
ci ha dato un ispirato messaggio. I coralisti
presenti si sono uniti per cantare insieme
Finno « A Gerusalemme » accompagnati dall’organo.
La nostra sala - E stata inaugurala in occasione della Festa delle Corali e del Bazar.
Tutti Fhanno ammirata per la sua ampiezza
e luminosità. Non è però finita e abbiamo bisogno ancora dell.aiuto dei nostri amici, nonché di parecchi volontari. Le nostre Sorelle
hanno destinato una buona parte dell'incasso
bazar per la tinteggiatura e le ringraziamo
sentitamente.
Resta ancora da pensare al pavimento, alle
pareli mobili e al palco.
È mancato all’afietto dei suoi cari,
dopo lunghe sofferenze
Rosaldo Clot
Fiduciosi nell’aiuto del Signore, ne
danno il mesto annuncio: la moglie
Marta Bouvier, il figlio Ivano, la figlia Michelina; fratelli e sorelle con
le rispettive famiglie, cognate e cognati, nipoti e parenti tutti.
Un sentito ringraziamento ai Pastori Barite e Sonelli ed a tutte le persone che Thanno assistito e circondato d’affetto.
Un particolare ringraziamento all’infermiere Pons Nino.
« Venite a Me, voi tutti che siete
travagliati ed aggravati ed io vi
darò riposo» (Matteo 11: 28).
Torre Pellice, 9 giugno 1971.
RINGRAZIAMENTO
I familiari tutti della Compianta
Alessandrina Long
ved. Long
profondamente commossi e riconoscenti per la dimostrazione di stima
e di affetto tributata alla cara Scomparsa, nell’impossibilità di farlo personalmente, ringraziano tutti coloro
che, con scritti, preghiere e partecipazione ai funerali hanno preso parte al loro grande dolore.
Un ringraziamento particolare al
medico curante dr. R. De Clementi e
al Pastore T. Pons.
Pramollo (Ciotti), 15 giugno 1971.
6
pag. 6
N. 25 — 18 giugno 1971
I NOSTRI GIORNI
UOMINI, FATTI, SITUAZIONI
Tanto, sono solo
dei poveri...
Il Pakistan orientale in pochi mesi,
e precisamente dal novembre scorso,
è diventato una tragica fonte di notizie: a partire cioè dallo spaventoso tifone della Baia del Bengala, che ha
provocato centinaia di migliaia di vittime, per giungere alla sanguinosa repressione del governo centrale, che
pare abbia causato una strage ancor
più vasta, e che è sfociata nell’apocalittico esodo di milioni di persone che
si rifugiano in India. Se il ritmo attuale dovesse continuare, si calcola che
alla fine di giugno il loro numero sarà
di otto milioni.
Di fianco a queste tragedie, già incredibili in sé, se si pensa che succedono in un mondo che, nell’altro suo
versante, vuole conquistare gli astri e
rischia di morire contaminato dai veleni della sua superproduzione, ne troviamo altre due, una reale ed una potenziale, ma assai « credibile ».
La prima è data dal rapido estendersi dell’epidemia di colera che ormai serpeggia anche nella vicina India ,aifiancata dal tifo e dalla tubercolosi; la seconda è data dalla possibilità che la situazione possa sfociare
in un conflitto fra India e Pakistan.
Il ministro degli esteri indiano ha
iniziato intanto un viaggio alla volta
delle capitali occidentali, da Mosca a
Ottawa allo scopo di ottenere un’assistenza tecnica e finanziaria la più
larga possibile e anche per cercare una
soluzione alla crisi. Ha anche chiesto
la sospensione degli aiuti economici e
militari al Pakistan che sta già incontrando per conto suo delle grosse difficoltà nel far fronte ai suoi debiti internazionali.
Qui si arriva proprio al nodo della
questione, che sta alla base di questa
tragedia dei nostri tempi, e che tanti
giornali paiono ignorare o sottovalutare. Il Pakistan occidentale, lontano
circa duemila chilometri dalla sua
provincia orientale, assegnatagli nelle
assurde e arbitrarie divisioni postcolonialiste, l’ha tenuta per anni al
rango di una colonia, sfruttandola intensivamente (è la prima produttrice
mondiale di juta) e per contro concentrando totalmente all’ovest capitali e
industrie. In occasione delle recenti
elezioni del dicembre scorso il governo centrale, poi, ha rifiutato di riconoscere la schiacciante vittoria elettorale della lega awami autonomista,
cui è seguita la repressione, la guerra
civile, la strage, l’esodo.
Di conseguenza, la tragedia pakistana ha due aspetti ben distinti e, per
quanto gravissimi, non irrisolvibili se
le nazioni vorranno astrarsi da precisi
giochi di potere e di convenienza.
Raniero La Valle, nella sua sensibilità di credente e di uomo impegnato
In margine al «caso Biotti»
A seguito degli incredibili sviluppi del
processo « Calabresi/Lotta continua », un
gruppo di uomini di cultura ha reso pubblica la seguente lettera, aperta a pubblica
sottoscrizione (vedi Espresso n. 24) :
« Il processo che doveva far luce sulla
morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato
davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della
sua line. Luigi Calabresi ha trovato nella
legge la possibilità di ricusare il suo giudice. Chi doveva celebrare il giudizio, Carlo
Biotti, lo ha inquinato con i meschini calcoli di un carrierismo senile. Chi aveva
indossato la toga del patrocinio legale. Michele Lener, vi ha nascosto le trame di
una odiosa coercizione.
Oggi come ieri — quando donunciammo apertamente l'arbitrio calunnioso di
un questore Michele Guida, e l’indegna
copertura concessagli dalla Procura della
Repubblica, nelle persone di Giovanni
Caiazzi e Carlo Amati — il nostro sdegno
è di chi sente spegnersi la fiducia in una
giustizia che non è più tale quando non
può riconoscersi in essa la coscienza dei
cittadini. Per questo, per non rinunciare a
tale fiducia senza la quale morrebbe ogni
possibilità di convivenza civile, noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione.
Una ricusazione di coscienza — che non
ha minor legittimità di quella di diritto —
rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni.
Noi chiediamo Pallontanamento dai loro
uffici di coloro che abbiamo nominato, in
quanto ricusiamo di riconoscere in loro
qualsiasi rappresentanza della legge, dello
Stato dei cittadini ».
di fronte al primo aspetto, quello
umano, nota che già in occasione del
ciclone il dramma si è svolto fra l’indifferenza del mondo « che chiamiamo civile », mentre ora, se pur si sta
facendo qualcosa di più, l’aiuto e la
solidarietà sono del tutto sproporzionati alla nostra pretesa di esser dei
credenti.
Circa l’altro aspetto, quello politico,
egli nota — quanto a ragione! — che
tutte le grandi potenze osservano
strettamente il principio della non interferenza negli affari interni altrui:
loro che hanno inventato la « sovranità limitata » e intervengono dappertutto, dal Vietnam, alla Cecoslovacchia, aH’America Latina. Forse perché
— conclude La Valle — nel Pakistan
orientale non c’è petrolio, non c’è un
17“ parallelo su cui fissare l’estremo
baluardo contro il comunismo, e i poveri che ci muoiono sono poveri che
non servono a nessuno.
La riunione dell’OCSE
A pochi giorni di distanza dalla riunione della NATO (di cui ci siamo occupati la scorsa settimana) si sono incontrati i ministri degli esteri dei 23
paesi membri della OCSE e vale a dire l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico.
Il comunicato finale è quanto mai
generico. Esso infatti, oltre all’annuncio della decisione della costituzione
di un piccolo gruppo di alto livello i
cui membri saranno scelti, in funzione della loro competenza ed esperienza, fra gli alti funzionari o anche fra
altre personalità designate dai governi, per analizzare i problemi commerciali e quelli connessi, il comunicato,
dicevamo, ha anche riconosciuto la
necessità di « una cooperazione internazionale più effettiva », in vista della
preparazione di una conferenza mondiale sul commercio, che potrebbe
aver luogo nel 1973.
Si tratta in pratica di una stasi interlocutoria e di una conclusione assai vaga in risposta ad un interrogativo che era quanto mai chiaro: che
cosa fare cioè per lottare contro l’inflazione e per allargare il commercio
internazionale fra i tre poli dell’economia capitalistica e cioè Stati Uniti,
Europa occidentale e Giappone?
Come mai questa impasse, di cui i
giornali hanno parlato assai poco? Occoi rerà rifarsi ad uno degli argomenti
di fondo della conferenza, che è stato
offerto dalla crescente inflazione (interna ed esportata) degli Stati Uniti.
La bilancia di questo paese è largamente deficitaria, specie in • relazione
alle spese militari sostenute in Europa ed in A.sia, spese che ammontano
a cinque miliardi di dollari annui. La
rappresentanza americana, presieduta
dal segretario di stato Rogers, ha sottolineato che queste spese non vengono fatte solo in nome e per conto dell’America, ma « nell’interesse del mondo libero » ed ha soggiunto che gli pareva che esse non venissero « sufficientemente apprezzate ».
La conclusione è chiara: gli alleati
degli USA aumentino i loro contributi
alle spese militari. È però altrettanto
chiaro che i membri dell’OCSE sono
tutt’altro che convinti e disposti a pagare le spese militari per l’Indocina.
Di fronte però a un tale dissenso gli
Stati Uniti possono a loro volta porre in atto misure di ritorsione, quali
ad esempio l’elevazione di barriere doganali contro le esportazioni in USA
per le merci provenienti da questi
paesi.
Assistiamo così allo stesso fenomeno tanto in campo economico quanto
in campo militare: un vero e proprio
rapporto di subordinazione anche se,
in questo caso gli europei e i giapponesi hanno accusato gli americani di
riversare sui loro alleati le conseguenze della inflazione neqli Stati Uniti.
Roberto Peyrot
Emigrazione e diaconia
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
LA FRANCIA VERSO
L’OSCURANTISMO?
« A Lione, durante una riunione
pubblica, il sig. Roland Leroy, membro del segretariato del comitato centrale del partito comunista, ha invitato le masse popolari alla vigilanza, e
ha chiesto le dimissioni del ministro
degl’interni. Ecco le sue parole:
“Non facendo alcuna distinzione, nel
criticare gli avvenimenti recenti, fra
avventurieri e rivoluzionari, fra provocazioni e rivendicazioni, si prepara
l'opinione pubblica ad una repressione aggravata del movimento operaio
stesso, e ciò nel preciso momento in
cui si sta sviluppando un’azione rivendicativa di massa, e nel momento in
cui gl’indipendenti di sinistra — i gauchistes — sono sempre più isolati e in
declino, non più riconosciuti dai lavoratori.
Si tratta d’una speculazione politica
cui occorre rispondere con un programma di lotta e di guida delle forze interessate alla realizzazione del socialismo, tenendo conto sia delle implicazioni internazionali di questo, sia
delle tradizioni e delle condizioni nazionali. Ma, più ancora che sull’accordo e sulla buona fede di alleati eventuali, noi contiamo, per vincere, sullo
sviluppo dell’azione delle masse" ».
Una simile denuncia (pubblicata su
« Le Monde » del 12.6.’71) è forse poco
convincente per chi abbia sfiducia in
una visione parziale della realtà sociale e politica di oggi, come a buon diritto può esser giudicata l’ideologia
comunista o marxista. Ma il male è
che altre denunce, nello stesso senso
e della stessa gravità, se pure in una
prospettiva diversa, provengono da altre fonti. Tale, ad. es., è quella del quotidiano « Combat ».
« Questo giornale serio e non conformista, indipendente di sinistra (50
mila copie ogni numero), molto letto
negli ambienti politici e intellettuali,
in un suo numero speciale rileva alcuni fatti: nel 1951 scomparsa delV'Aube" (di tendenza democratico-cristiana); nel 1953 di “Ce soir" (procomunista); nel 1957 di “Franc-Tireur” (della
sinistra socialista); nel 1964 di “Libération” (para-comunista); nel 1969 del
"Populaire” (organo del partito socialista). Dove si fermerà l’elenco? La
morte d’un giornale è sempre un fatto doloroso. Si tratta della brusca separazione, preparata dal destino, di
uomini e donne che, per lungo tempo,
hanno lavorato a contatto di gomito:
ma soprattutto sono delle idee che trovano preclusa la possibilità di esprimersi ».
Il declino in Francia di questa possibilità sembra del resto avere qualcosa di fatale, da mezzo secolo a tutt’oggi. « Nel 1914 si contavano, a Parigi, sessanta quotidiani del mattino,
nel 1946 soltanto più trenta. Ma oggi
il loro numero è ridotto a quindici, di
cui circa la metà sono in difficoltà. H
presidente Pompidou, dopo il suo ritorno dal Belgio, si è preoccupato della situazione della stampa francese:
ha dovuto riconoscere che, persino in
molti giornali commerciali (“FranceSoir”, “L'Aurore” ecc.), v’è una crisi
laterite per ragioni materiali. In altri
periodici (per es. "L’Express"), le ragioni sono politiche. È proprio la stessa crisi segnalata nella denuncia di
"Combat" » (Dal « Journal de Genève »
del 10.6.1971).
LA JUGOSLAVIA
FRA LA CINA E UURSS
■5^ « Se si sottraggono al titoismo le
sue componenti "strutturali" a vantaggio dell’impronta che la personalità di
Tito soprattutto gli ha conferito, diventa forse inevitabile pensare che le
sue sorti debbano subire contraccolvi
seri nel giorno in cui lo stesso Tito dovrà uscire di scena. In queste condizioni, anche le appassionate promesse
di “seguire" Tito, ribadite con enfasi
da ultimo nel congresso dell’autogestione svoltosi a Sarajevo dal 5 all’8
maggio, hanno una ben scarsa rilevanza politica, perché è fin troppo noto
che non si dà una ripetizione di uno
schema largamente empirico quando
venga meno il suo ideatore, il suo artefice, il suo ascoltato pilota. Il minimo che ci si possa aspettare è che la
Jugoslavia compia una scelta più netta, non importa se ideologica o pratica: il bivio di cui spesso si parla, fra
una più risoluta “occidentalizzazione"
e un ritorno all’ortodossia “conformista", può essere eccessivo, semplificante; ma è certo che i continui ondeggiamenti assorbiti fin qui grazie al potere del capo carismatico, con relativo
culto della personalità nel senso buono del termine, dovranno in qualche
modo cedere a una politica coerente ».
(Da un articolo di Vittorio Vimercati
su «L’Astrolabio» del 23.5.1971).
Ma intanto le autorità sovietiche
sembrano decise a « sfruttare le attuali difficoltà jugoslave, per portare un
nuovo colpo al sistema dell’autogestione e alla politica d’indipendenza del
maresciallo Tito. Un articolo, pubblicato il 9 c. su “Politika" (quotidiano di
Belgrado), rivela che il Kremlino ha
lanciato una nuova campagna antijugoslava nell’URSS. Conferenzieri informano la popolazione che la politica jugoslava ha fatto bancarotta e che
la situazione economica è caotica. Essi
danno anche consigli per uscire da
questa via cieca: abbandonare il "socialismo autogestito", e tornare al sistema, già sperimentato, della "mano
forte” ». (Dal « Journal de Genève »
del 10 c.).
Ed ecco che, d’adtra parte, « il sig.
Tepavatz, ministro jugoslavo degli
esteri, appena arrivato a Pekino, s’è
visto far tali complimenti, che la tradizionale cortesia cinese non basta a
spiegare. Il vice-primo ministro del
governo di Pekino ha reso onore al popolo che ha saputo lottare “contro le
interferenze e le minacce d’aggressione delle super-potenze", e s’è congratulato del ruolo tenuto dai titoisti nel
terzo mondo. In breve: i dirigenti jugoslavi sono oggi lodati per aver fatto
quello che ieri era stato motivo di biasimo, da parte degli stessi maoisti ».
(Da «Le Monde» del 12.6.1971).
AVVISI ECONOMICI
UN GIOVANE valdese piemonteiie relazionerebbe scopo matrimonio massimo ventiseienne. Scrivere; earta d’identità n. 33844183,
Fermo Posta, 10064 Roletto (Torino).
Direttore responsabile: Gino Conte
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (Torino)
(segue da pag. 1)
vità lavorativa. Per quanto riguarda
gh alloggi l’offerta esistente è una
scelta tra baracche, caserme, case malsane, che piuttosto che ad una casa
fanno pensare ad installazioni della
storia tedesca più recente. (...)
A completare il quadro delle condizioni di vita degli emigrati sono da
aggiungere i condizionamenti soggettivi degli emigrati.
.— chi emigra considera tale situazione come provvisoria e questo lo
spinge in parte a non ricercare il contatto con il paese di emigrazione. E
sintomatico che il periodo di lavoro
all’estero sia spesso paragonato alla
« naja »!
1 chi emigra lo fa quasi sempre per
esigenze economiche. Nel luogo di
emigrazione cerca dunque un miglioramento della sua situazione. Questo
10 conduce inevitabilmente a concentrarsi sul guadagno immediato e a limitare al massimo i consumi. La conseguenza è il disinteresse per un impegno sociale e politico. (...)
Così, in breve, si possono delineare
i condizionamenti sociali e soggettivi
che determinano la vita degli emigrati. Con ciò non si vuole spingere Targomentazione fino a ritenere che tutti gli aspetti della vita di emigrante
abbiano origine economica. Ci sono
anche altri fattori, quelli che nella letteratura sull’emigrazione vanno sotto
11 nome di « problemi socio-culturali •>
(differenze linguistiche, di mentalità,
di abitudini). Siamo però convinti che
tali problemi socio-culturali costituiscono una componente marginale nel
problema dell’emigrazione. E se abbiamo posto l’accento sull’aspetto economico questo è avvenuto perché capita assai di frequente di dover sentire dei dotti discorsi sui "Gast”-Arbeiter dove si tace pudicamente su
questo argomento e si abbonda invece nella descrizione dei fattori socioculturali che condizionano l’integrazione dei « poveri emigranti » nella società nordeuropa. In tal modo si spostano inizialmente i termini reali del
problema: perché parlando della integrazione degli emigrati nella società
di arrivo si dimentica (!) che in fondo il vero problema non sono i « poveri emigrati », ma coloro che li costringono a diventare emigranti. (...)
Con questo siamo giunti al tema
« qual’è il compito della Chiesa nel servizio agli emigranti? ».
Considerando l’attuale situazione
dell’emigrazione sembra necessario che
la Chiesa eviti due errori.
^ 1. Da una parte dovrebbe evitare
l’atteggiamento caritativo e paternalistico, che si esprime normalmente in
due forme: come intervento per la
difesa della « dignità umana » ovvero
cerne simpatia verso coloro che sono
considerati i « minimi della società ».
Non è difficile individuare ciò che di
positivo esiste in questo atteggiamento, e Tesperienza quotidiana mostra
quanto sia ancora utile e necessario.
Ma nella misura in cui lo si riconosce
come uno degli atteggiamenti più tipici delle attività della Chiesa nella si-/
tuazione dell’emigrazione è opportunò
analizzarne le conseguenze pratiche ^
i limiti. Criticare l’emigrazione corrfe
fenomeno che minaccia la « dignità
umana » o considerare gli emigranti
come i « minimi della società » significa arrestarsi ad una critica superficiale e sottrarsi al compito di una analisi approfondita del fenomeno; significa fermarsi alle soglie del problema
senza comprendere quali sono i meccanismi che minacciano la « dignità
umana ». Un atteggiamento caritativopaternalistico si risolve esattamente
nell’opposto di quanto intende perseguire, nerché considera l’emigrante come oggetto della carità e non come
soggetto che partecipa responsabilmente alla trasformazione della sua
condizione. E infine va detto altresì
che un atteggiamento caritativo-paternalistico, sottraendosi all’analisi approfondita delle cause dell’emigrazione, asseconda sia pure inconsapevolmente, gli interessi della borghesia.
Un suo qualificato esponente, il sig.
Balke, presidente dell’associazione industriali tedeschi, in una riunione tra
dirigenti delle organizzazioni assistenziali ecclesiastiche e industriali, ha
fatto osservare:
« E con profonda riconoscenza che
dobbiamo riconoscere che i datori di
lavoro sono stati aiutati in maniera
particolare da organizzazioni caritative e dalle chiese. Senza il loro comprensivo aiuto non saremmo riusciti a
superare le innumerevoli difficoltà.
Noi siamo uniti da una stretta e fiduciosa collaborazione, e per quanto riguarda i nostri compiti e il loro raggiungimento siamo pienamente d’accordo ».
I verbali di quella conferenza non
registrano che qualcuno abbia protestato contro le affermazioni fatte dal
sig. Balke. Non ci resta dunque che
aggiungere: un atteggiamento caritativo — il così detto servizio del "Buon
Samaritano” — che altrimenti potrebbe avere il senso di un appello profetico — si rivolta nel suo contrario:
serve a mantenere l’attuale stato di
ingiustizia. In una società divisa tra
sfruttatori e sfruttati le posizioni caritative servono solo agli sfruttatori.
Ma allora la Diakonia evangelica deve
decidere se effettivamente può essere
« pienamente d’accordo » con gli inte
ressi del sig, Balke e amici, o se invece unirsi a coloro che, sia pure con
difficoltà e discontinuità, lottano per
la trasformazione della situazione attuale. (...)
2. D'altra parte la Chiesa dovrebbe evitare Terrore di credere, che l’interesse sempre più crescente, che va
estendendosi verso i lavoratori stranieri possa portare una trasformazione effettiva del processo emigratorio.
Non bisogna farsi molte illusioni e ritenere che l’attuale tendenza possa apportare un po’ di giustizia e uguaglianza per gli emigranti. Anche qui bisogna ricordare che le recenti misure e
provvedimenti presi in favore degli
operai stranieri hanno delle motivazioni specificamente economiche. La
economia che sfrutta la manodopera
straniera ha due principi fondamentali, con cui sta o cade l’intero sistema capitalista. Il primo è il criterio
del maggior guadagno possibile, il secondo è il criterio del minor rischio
possibile a livello sociale. Il secondo
criterio serve come stabilizzatore del
primo. Un aumento del profitto che
non tenga conto delle implicazioni sociali alla lunga impedisce il profitto
stesso. Una crescente situazione di
scontento e di ingiustizia (e gli emigranti nella RFT sono oramai 2 milioni!) rappresenta per il sistema —
nonostante tutte le protezioni poliziesche e legali a disposizione — un pericolo. La borghesia non è miope per
quel che riguarda i suoi interessi! In
questo contesto i recenti provvedimenti (case, protezione legale, scuole etc.)
si smascherano come tentativi di comporre e affossare le contraddizioni e
la situazione di conflitto esistente tra
gli emigranti e la società. (...)
Qualora la chiesa accettasse tale
comprensione dell’emigrazione e dei
condizionamenti che essa impone alla
vita di milioni di emigranti, la cura
d’anime andrà rivolta a queste cose,
e non più soltanto ai problemi interni
delle persone, e comunque sarà di
estrema importanza che la sua predicazione ponga l’accento sulTevangelo
del Regno molto più di quanto non lo
abbia fatto adesso. Quando diciamo
« predicazione del Regno » non ci riferiamo ad una speranza lontana e distaccata dalla realtà, pensiamo ad essa come ad un giudizio pronunziato
sulle « potenze di questo secolo », che
ici tengono prigionieri. Ma appunto
queste « potenze » devono essere sempre e di nuovo identificate e smascherate nella loro figura storica.
La chiesa non può sottrarsi al compito di individuare qui ed ora dove risiede il potere e in che modo tenta di
incatenarci nell’apparente normalità
della vita quotidiana, del lavoro, dei
consumi. (...) Una simile diakonia è
probabile che non « sia svergognata »
nel giorno del giudizio, cioè che non
perda la faccia dinanzi al suo Signore.
Emidio Campi
lUÌMiiiiiiiiiiiiiiiffiiiiiiffiimimimmiiiiiiijmiiiiiiiiimu ’
La RAI ad Angrogna
Il 25 giugno, alle ore 16, alla Radio, sul
Programma Nazionale, andra in onda una
trasmissione dedicata interamente ad Angrogna, realizzata dal regista Franco Passatore in
collaborazione con gli alunni delle 5 clas.si
della scuola del Capoluogo.
Attraverso canti liberamente inventati ed
eseguiti dai ragazzi, si vuole condurre una ricerca d’ambiente sui temi che più da vicino
riguardano la vita dei nostri bambini.
Ma lasciamo la parola agli alunni :
« Lunedi 10 maggio sono venuti due uomini della RAI di Torino. Si chiamano Franco
Passatore e Silvio De Stefanis e sono i registi
della trasmissione <c Se la cantano così ».
« Se la cantano cosi » è un programma per
ragazzi che va in onda ogni venerdì alla radio, a partire dal 21 maggio, alle ore 16 iol
programma nazionale.
Franco e Silvio sono stati con noi tre giorni e ci hanno proposto un gioco nuovo : si
trattava di inventare delle canzoni, dando loro un contenuto ed una melodia qualsiasi. Se
siamo stati tutti d’accordo nel fare il gioco,
quando si è trattato di cantare nessuno osava
farlo; infine Guido ha rotto il ghiaccio e ha
cantato « Il tempi dcll’Ursa ». . .
Martedì abbiamo inventato, tutti assieme,,
una canzone intitolata : « I giochi ».
Mercoledì ce ne siamo arriviti con una canzone che avevamo inventata a scuola. .. A
mezzogiorno Franco e Silvio sono andati ad
intervistare il Pastore Taccia. . . Questi tre
giorni di scuola sono stati molto belli : peccato che siano pas.sati cosi in fretta. (Quelli di
3-4-5).
SOLE
TU CHE IN CIELO
PUOI PARLARE
CON DIO
ANGELO
DOLCE E PIO;
UCCELLO
CHE PUOI VOLARE
MANDA
I MIEI SALUTI
A GESÙ’
(Marco - 7 anni)
'^1
La relazione e il canto-poesie sono tratti
dal giornalino « Taculot » n. 4.