1
r
Anno 124 - n. 42
4 novembre 1988
L. 800
Sped. abbonamento postale
Gruppo 1 bls/70
In caso di mancato recapito rispedhe
a: caseUa postale - 10066 Torre Pellice
delle \^lli \aldesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
FIRENZE: Vili ASSEMBLEA FCEI
Un cammino di fede
Un movimento per la comunione e l’arricchimento reciproco - Un luogo ecumenico per le diverse spiritualità evangeliche - La presenza in un processo ecumenico di ampiezza mondiale
C’era una volta (sei anni fa)
E.T., l’extraterrestre simpatico,
amico dei bambini e amato dai
bambini: un personaggio di fantasia. Ma la fantasia dei « creatori d’immagini e di sogni» del
cinema si fonda sulle aspettative (dimostrate o presunte) di
un pubblico fatto di persone.
Non mi è ben chiaro il tipo
di pubblico infantile a cui si rivolge un pupazzo, ultimamente
reclamizzato, che ha la caratteristica di poter essere distrutto
a piacimento; anzi, qui sta io
scopo del gioco: prima lo si costruisce, poi lo si annienta, anzi si è invitati a dargU una morte atroce. Già, perché il pupazzo
è un mostro; può raffigurare un
marziano, un umanoide, l’essenziale è che sia terrificante e faccia ribrezzo; quando è così è lecito metterlo a morte.
Che i bambini abbiano delle
aggressività più o meno represse
credo sia cosa nota, come pure
il latto che que.sti istinti debbano trovare una valvola di slogo. E tuttavia è già discutibile la
simulazione di un supplizio, ma
del tutto intollerabile mi sembra
l’espediente di suggerire al « giocatore » di essere nel giusto: tanto quello è un diverso. Di fronte
alla ripugnanza dell’altro sei autorizzato ad infierire su di lui!
Che poi, magari, se l’è anche
cercato, come alcuni sostengono a proposito dei malati di
AIDS. Insomma, si insegna che
la nostra difficoltà di rapportarci
ai « diversi » si supera con la
violenza. Vi è in tutto questo
qualcosa che potrebbe suonare
come pericolosa legittimazione
di comportamenti di rifiuto e di
intolleranza (l’episodio dell’autobus romano insegna!).
Di questi tempi capita anche
di sentire parlare di perseguire
penalmente i consumatori di
droga. Certo è facile rinchiudere, molto più che cercare di curare. Certo, è facile dare la caccia al tossicodipendente piuttosto che ai boss della più redditizia attività criminale.
E, dal canto nostro, è facile
parlare ed è facUe scrivere un
articolo di giornale: altro è essere in prima fila, altro è lavorare giorno per giorno in mezzo
ai drammi sociali, fianco a fianco con chi cerca di smettere.
Ma una cosa è evidente: se non
si ricupera un senso, che pare
perduto, di solidarietà, di condivisione, sarà più difficile per
tutti: per chi governa, per chi
lotta contro il crimine, pagando
spesso costi umani elevatissimi,
per chi lavora nelle comunità di
recupero, per chi cerea di uscire dal tunnel ed ha, innanzitutto,
bisogno di un rapporto con gli
ultri che lo possa arricchire, invece che angosciare. Ed infine,
per tutti noi, perché il non saperci riconoscere nell’altro che
soffre (tossicodipendente, straniero, deviante, e così via fino
alle mostruose creature costruite per essere distrutte) significa
perdere di vista la nostra umanità, e non solo quella: anche il
messaggio cristiano di liberazione, che è invece rivolto a tutti,
anche a chi è penalizzato dalla
nostra società..
Alberto Corsani
« Protestanti italiani: un cammino di fede ». Un titolo impegnativo per l’ottava Assemblea
della FCEI (Federazione delle
chiese evangeliche in Italia) che
si tiene in questi giorni a Firenze.
Un titolo che, come ha affermato il presidente della FCEI, pastore Aurelio Sbaffi, vuole « esprimere innanzitutto il riconoscimento al Signore per il dono della sua Parola mediante la quale
ha voluto guidare le nostre chiese
per i passi che hanno voluto compiere insieme ». Un percorso che
non è stato fatto in un’unica
struttura istituzionale o in
un'unica organizzazione ecclesiastica, ma in un movimento che
permette la comunione e l’arricchimento reciproco delle varie
componenti, legate più ad un
progetto di testimonianza che ad
una struttura organizzativa.
La Federazione è appunto un
luogo di incontro e di confronto
delle esperienze e dell’impegno di
testimonianza delle chiese evangeliche in Italia.
Un impegno che si traduce in
una gestione comune di alcuni
servizi, quello stampa-radio-televisione, che si articola nell'organizzazione di una agenzia stampa, il NEV, nella organizzazione
del culto radio e della rubrica televisiva Protestantesimo; quindi
il servizio migranti, che coordina il lavoro delle chiese verso gli
immigrati nel nostro paese; e ancora il servizio di azione sociale,
nato dall’esperienza degli evangelici nel terremoto del 1980 e
quello istruzione ed educazione, che organizza il lavoro comvme delle chiese nel campo dell’educazione alla fede pubblicando i sussidi per le scuole domenicali e una rivista.
La FCEI non è solo un luogo
di servizio alle chiese ma è anche
una possibilità per condurre battaglie e prendere posizione su argomenti che travagliano gli uomini del nostro tempo. Così la FCEI
afferma la centralità della questione meridionale per la democrazia e la giustizia nel nostro
paese, conduce la battaglia coerente per Taffermazione della libertà religiosa, sull’ora di religione cattolica nella scuola, sull'esnosizione dei crocifissi negli
edifici pubblici.
La FCEI è un luogo ecumenico
in cui non solo si confrontano le
varie spiritualità evangeliche, ma
in cui si realizzano anche esperienze importanti di lavoro comune con alcuni settori del cattolicesimo, da convegni con le comunità di base al sostegno al periodico ecumenico COM-Nuovi Tem-;
pi. Perciò aH’Assemblea sono presenti, non semplicemente come
osservatori, qualificati esponenti
delle comunità di base: Enzo
Mazzi e Giovanni Franzoni.
La FCEI non disdegna il dialogo ufficiale con la Conferenza
episcopale italiana (a Palermo,
nell’ Assemblea precedente, era
Firenze. I 40 anni del CEC sono stati ricordati da Madeleine Barot
e dal past. Carlo Gay, entrambi presenti all'assemblea di Amsterdam
nel 1948.
presente mons. Abiondi e qui a
Firenze il vescovo di Pinerolo Pietro Giachetti, in rappresentanza
del Segretariato per l’ecumenismo ed il dialogo) e con l’Unione
delle comunità israelitiche con
le quali non solo si sperimentano a livello locale importanti lavori culturali sull’Antico Testamento, ma si conduce una battaglia comune per l’affermazione
dei diritti costituzionali di liber
DOMENICA DELLA RIFORMA: SOLUS CHRISTUS
Uinizio del nuovo mondo
« ... mi proposi di non saper altro fra voi, fuorché Gesù Cristo
e lui crocifisso...» (I Corinzi 2: 2).
Perché non mettere al centro
l’uomo e i suoi bisogni? Forse
che il problema della fame o della salute non era grave a quei
tempi? Oppure, perché non mettere al centro i diritti umani?
Forse che allora non c’erano
schiavi, popolazioni oppresse e
sfruttate, vinti e vincitori che dominavano col diritto della forza?
O perché non mettere al centro la Chiesa, esaltandone le funzioni nell’immane ed avvincente
compito di promozione umana?
Forse che anche la società di allora non aveva bisogno, come la
nostra, anzi, più che la nostra,
di trovare valori autenticamente
umani, e perciò cristiani?
Oppure ancora, perché non il
regno, questo ideale sognato e
sperato, invocato da ogni vittima,
annunciato dai profeti, siglato
col sangue dei martiri, indispensabile per accettare la nostra vita col suo destino di morte? Perché non questa idea, per la quale vivere, combattere, testimoniare, parlare e morire?
E poi, perché Gesù Cristo, e
non la Trinità, che in una umanità dilacerata, schizofrenica come la nostra, ci ridà il senso della pienezza e dell’armonia?
Oppure perché non lo Spirito
Santo, cioè la dimensione della
speranza e del nuovo, sfida quindi a tutte le nostre certezze, ai
nostri sistemi, alle nostre istituzioni? Anche di questo noi abbiamo bisogno, come dell’aria che
respiriamo.
O perché non Dio, il Padre onnipotente, il Creatore di ogni cosa, dalle immense galassie alle
parti più piccole della materia?
Non abbiamo bisogno di ritrovare in lui il senso dell’universo
e della nostra vita?
E invece no: il Cristo. Anzi, Gesù Cristo. Non dunque solo il
Messia glorioso, ma anche l'uomo Gesù: una realtà che può essere derisa, rifiutata, inchiodata
ad una croce, sigillata in un sepolcro.
Una realtà dunque molto simile alla nostra e che perciò rischia
di non dirci nulla di nuovo. Non
un mistero profondo e insondabi
le, non un sogno meraviglioso e
affascinante, non un ideale, non
un’evasione dalla tristezza, del nostro destino.
« ...e lui crocifisso »! Non il risorto, non il Gesù dei miracoli,
del sermone sul monte, delle denunce implacabili contro i capi,
i ricchi, i potenti: né il Gesù che,
mosso da compassione, dà il pane alle folle affamate. Ma il debole, solo, sconfìtto Gesù della
croce. Perché lui in quel momento e non in un altro? Perché è
il solidale coi sofferenti, l’innocente tra gli innocenti, l’oppresso tra gli oppressi...? Forse.
Ma perché è anche, e soprattutto, il Cristo che dipende unicamente e totalmente da Dio; che
prega con le parole del Salmo 22.
Perciò in lui Dio trova finalmente lo spazio per dispiegare
tutta la sua potenza creatrice di
vita nuova.
Nasce l’uomo nuovo; nascono
i nuovi cieli e la nuova terra; nasce la speranza e il futuro per il
mondo, per me che credo, per
l’ateo e il peccatore riconciliato
con Dio in Cristo.
Luciano Deodato
tà. « C’è una convinzione che ci
coinvolge un po’ tutti — ha detto
il vescovo Giachetti —; essa sta
alla base della nostra confessione di fede, delle nostre testimonianze, del nostro cammino di fede. E’ la via evangelica della conversione...; chiediamo al Signore
di aiutarci a camminoffi in avanti. liberati dall’atteggiamento di
possesso esclusivo della verità,
che genera il rifiuto di altri ».
Il processo ecumenico nel anale la FCEI è inserita ha un’ampiezza mondiale e proprio per
questo l’Assemblea ha voluto consacrare un momento significativo ai « quarant’anni del Consiglio Ecumenico delle Chiese ».
Nel corso di un culto in comune
tra tutte le chiese evangeliche
di Firenze, domenica 30 ottobre,
Madeleine Barot e Carlo Gay, in
rappresentanza ideale di coloro
che nell’agosto di quarant’anni
fa, ad Amsterdam, fondarono il
Consiglio Ecumenico delle Chiese, hanno illustrato il cammino
che il CEC ha fatto compiere alle
chiese nel mondo. « Quarant’anni
di una grande avventura, alla
quale tutte le chiese sono state
invitate: mettere fine alla divisione fra le chiese che lacera la
cristianità, scandalo per i non
credenti, ostacolo per l’evangelizzazione nel mondo » come ha
detto Madeleine Barot.
Ortensia Ortega, teologa cubana e responsabile del programma
di educazione teologica del CEC,
ha presentato le sfide che il mondo pone ogai al cammino di fede
dei credenti e che vanno sotto
il nome di « Solidarietà con le
donne » e dell’impegno per « Giustizia, pace e integrità del creato ».
Giovanni Franzoni ha chiesto
che gli evangelici italiani « paghino il loro debito »; la conoscenza
della Bibbia e della teologia non
può essere un capitale da spendere solo all’interno delle boutiGiorgio Gardiol
(continua a pag. 2)
2
commenti e dibattiti
4 novembre 1988
IN MARGINE A UNA ’’BEATIFICAZIONE’
La Controriforma
continua
Il dialogo tra scienza e fede esemplificato dal caso di Niels Stensen, luterano convertito al cattolicesimo - Quale ideale ecumenico?
La Controriforma continua.
Non solo in terra ma anche
in cielo. Non più mediante roghi, esili, galere, gli argomenti
antichi, ma mediante la « béatifìcazione » (come dicono) di protestanti convertiti al cattolicesimo.
L’ultimo di questi spettacoli è
'accaduto domenica scorsa, 23 ottobre, in San Pietro, dove il pontefice e la sua corte hanno « beatificato» imo scienziato danese
del Seicento, Niels Stensen, battezzato e cresciuto nella chiesa
luterana, convertitosi all’età di
circa trentlanni al cattolicesimo
in concomitanza con la sua venuta a Firenze alla corte del
granduca Ferdinando II; fattosi
poi sacerdote fu infine nominato
vescovo e vicario « apostolico »
(come dicono) per i territori del
ducato di Hannover, tradizionalmente protestanti.
Nessuno discute — è necessario dirlo? — le conversioni in
generale o questa in particolare.
Quel che si discute è l’uso che
il pontefice romano ne sta facendo. I convertiti piacciono 'a Giovanni Paolo II. Li « beatifica »
volentieri. In fondo tutti dovrebbero convertirsi al cattolicesimo. I convertiti, anche quelli del Seicento, sono esempi sempre attuali, sono modelli insuperati. Certo il Seicento è lontano, ma il modello è davvero ideale: lo Stensen fu uno scienziato credente (il dialogo tra
scienza e fede non è forse uno
dei luoghi nevralgici della coscienza contemporanea?), e un
credente che da luterano è diventato cattolico (quale migliore
approdo per la cristianità luterana, soprattutto per quella del
Nord Europa da cui lo Stensen
proveniva e che Giovanni Paolo II si propone di visitare l’anno prossimo?).
« Tutta la vita di Niels Stensen
— ha detto il pontefice — è un
instancabile peregrinare alla ricerca della verità, di quella
scientifica e di quella religios’a... »: la prima è andata avanti
con la seconda, e la seconda è
approdata a Roma. Beato dunque Niels Stensen, scienziato rimasto credente; beato Niels
Stensen, luterano diventato cattolico!
E’ questa la nuova faccia —
angelica — della Controriforma.
Pare un « beato » significa — nell’ottica cattolica — proporre un
modello. L’attuale pontefice romano ama proporre modelli di
convertiti: il loro itinerario è
considerato esemplare e come
tale viene innalzato fino ai
« piani alti » dell’universo simbolico religioso (il « cielo »), 'affinché sia ben visibile da tutti.
Soprattutto dai luterani del Nord
Europa (e tanto più da quelli
del Centro). Sono loro — e in
generale l’Europa protestante
— i destinatari della « beatificazione » di Stensen. Il pontefice
guarda lontano: guarda al 1992
e oltre, all’unità europea — della
piccola e della grande Europa
— e al ruolo di Roma all’interno
di questa unità.
Qual è il messaggio « ecumenico » di questa « beatificazione » (e di altre analoghe?). E’ un
messaggio elementare, proposto
con un candore stupefacente.
In sostanza il pontefice dice:
«Dialogare è bello, convertirsi a
Roma è più bello; la diversità
protestante è bella, l’unità cattolica è più bella; l’ecumenismo è
bello, il cattolicesimo è più bello.
Convertitevi dunque anche voi,
cari luterani del Nord (ma —
perché no? — anche del Centro),
così saremo tutti uniti, e ci sarà
una sola Europa, una sola Chiesa, per un solo Pastore. Il vostro
’’beato” Stensen, dall’alto del
cielo, vi addita la strada ».
E’ questo, ancora e sempre,
l’idealè ecumenico di Roma. Non
certo di tutti i cattolici, ma dei
pontefici romani, sì. Altrimenti
Giovaimi Paolo II non continuerebbe imperterrito 'a popolare di
convertiti (non solo protestanti
ma anche ebrei) il cielo di Rc
ma.
La Controriforma continua. Orinai è 'arrivata in cielo e dal
cielo cercherà di raggiungere
l’obiettivo che non è riuscita 'a
raggiungere dalla terra. Comunque, una cosa è chiara: la Controriforma oggi consiste — che
paradosso! — nella «beatificazione » della Riforma. Si intende, a Roma.
Paolo Ricca
LA SINDONE
E LA CHIESA
Caro direttore,
scrivo a proposito degli ultimi sviluppi del « caso Sindone », vale a dire
dell'ammissione del fatto che la Sindone è un « volgare > falso medievale; non vorrei però dare l'impressione
di essere II ■ solito protestante » che
gioisce, pensando « l'avevamo detto,
noi... ». Piuttosto mi hanno colpito le
dichiarazioni a margine della scoperta, vale a dire il fatto che subito è
stato detto che un papa, qualche secolo fa, aveva già affermato che la
Sindone non era santa in sé, ma per
quello che rappresentava ecc.
Cosi come un articolo di Baget Bozzo su Repubblica del giorno dopo la
rivelazione, 14 ottobre 1988, in cui l'autore elogiava il fatto che la Chiesa
aveva scelto la verità, vale a dire aveva mollato una reliquia ormai obsoleta.
Le due voci, nelle loro differenze,
mi hanno fatto ripensare alle parole
di una canzone di Francesco Guccini,
di tanti anni fa, intitolata • Dio è morto », che affermava che Dio era morto
(appunto) « nell'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto... ».
Ecco, è proprio questo che mi dà
fastidio in questa storia della Sindone: non tanto che il lenzuolo non
fosse vero, né che attorno ad esso
fosse proliferata la religiosità popolare, che penso sia più da compatire
e studiare piuttosto che da condannare altezzosamente, ma il fatto che
Ballestrero e sindonologi avessero comunque già pronta la risposta, l'alternativa, la contromossa... insomma, che
il loro tipo di cristianesimo sia fatto
ancora, come sempre, di machiavellismi, di assi nelle maniche e di risposte valide per tutte le stagioni.
Volevate la Sirvdone? Eccovela!
Adesso avete dei dubbi, non vi fidate più? Bene, noi lo sapevamo già,
ma non ve l'avevamo detto per non
farvi dispiacere!
Perché mai dobbiamo essere tutti
come dei bambini davanti ad un grande prestigiatore che tira sempre fuori
dal cappello un coniglio per stupirci?
Ma Gesù Cristo era un • furbo » che
ne sapeva sempre una più degli altri,
oppure uno che qualche volta ha quasi preso un granchio?
Gregorio Plescan, Frali
LETTERA APERTA
ALL’AVIS
Un cammino di fede
(segue da pag. 1)
ques evangeliche, ma deve essere
speso ed investito nei mercati e
nelle piazze italiane per « predicare anche a Róma ».
Il cammino di fede degli evangelici italiani prosegue; ciascuna
chiesa porta aH’interno deU’Assemblea la sua sensibilità, i suoi
strumenti e le sue risorse, si lascia attraversare dalle questioni
che le altre chiese pongono ed affida al Signore la preghiera perché l’opera evangelica nel nostro
paese sia resa stabile. Al momento in cui scriviamo — i lavori sono appena iniziati — i mandati e
le deliberazioni non sono ancora
stati abbozzati, ma una cosa è
certa nella mente di tutti i delegati: «La Federazione costituisce
un’opportunità per le chiese per
mettere in comune i doni per un
rinnovato cammino di fede alla
luce della Parola del Signore »,
come ha affermato Domenico Maselli in un suo intervento.
Giorgio Gardiol
INTERVENTO
Quale futuro per
«Protestantesimo» ?
Ho letto sul n. 32 del giornale
del 26 agosto u.s. il breve articolo di Eugenio Bernardini dal
titolo: « Quale futuro per "Protestantesimo”? ». In esso l'articolista riportava le impressioni avute dal dibattito tenutosi alla Casa valdese il 16 agosto, prima del
Sinodo di Quest'anno, intorno al
futuro della rivista, dopo la scomparsa del prof. Vittorio Subilia.
Mi ha fatto molto piacere apprendere che fra il centinaio di
intervenuti a quell'incontro c’è
stato un buon numero di essi che
si è pronunciato per dare a
« Protestantesimo » una più ampia apertura culturale e, perciò,
non esclusivamente e specificatamente di natura teologica, ma di
varia umanità e tale da interessare i molti lettori che da anni
seguono la rivista.
Debbo sottolineare a questo
punto che il « proposito » non è
nuovo, perché circa dieci anni fa,
o più, lo stesso direttore prof.
Subilia fece apparire sulla rivista una breve nota in cui esprimeva il suo desiderio e interesse
di dare a « Protestantesimo » un
più ampio respiro culturale, facendo entrare nella rivista scritti
di genere vario (umanistici, storici, scientifici, artistici, ecc.) in
una prospettiva evangelica e protestante.
Io allora gli scrissi una lettera
di adesione a questo suo progetto, ed egli mi dimostrò tale sua
decisione quando — dopo aver
letto il mio breve saggio su « Il
problema pedagogico in A. Gramsci » (v. La Procellaria, n. 1-2 del
gennaio-giugno 1977) — mi fece
sapere che lo scritto gli era piaciuto e m’invitava a scrivere, perciò. sullo stesso argomento, ma
sulla base dell'etica religiosa cristiana e protestante.
L’invito mi lusingò molto. Debbo confessare, però, che neH’affrontare l’argomento non sapevo
da dove farlo partire. Mi venne
in aiuto, allora, la frase un po’
troppo avventata di un membro
del Sinodo di qualche anno prima, che sentenziava che nel mondo protestante non c’era stato e
non c’era un grande pedagogista.
Avrei potuto contestare l’infondata sentenza di quel fratello, ma
non lo feci. Però mi rimase nel
petto un bisogno di sfogo, di polemizzare, al fine di mettere in
rilievo il grande impulso che diede la Riforma ai problemi educativi, scolastici e culturali. Scrissi, perciò, il breve saggio per la
rivista « Protestantesimo », intitolandolo: Alla ricerca di una pedagogia protestante (v. « Protestantesimo », a. XXXIII, n. 2, 1978):
un lavoro di documentazione e di
polemica insieme.
Ho voluto ricordare questo episodio a conferma di quanto era
nel realizzando progetto del caro
Vittorio Subilia, col quale eio legato da cordiale amicizia e da reciproca stima, che duravano da
oltre un quarantennio. Egli, pur
non interessandosi di poesia, leggeva i miei versi e pubblicava volentieri le recensioni che riguardavano i miei libri di poesia o di
altro genere. Quindi una mente
aperta a tutte quelle forme di
espressione di pensiero e d’arte
nelle quali il valore della Parola
di Dio e del « solus Christus » doveva emergere e splendere o,
quanto meno, non essere offuscato da orgogli umani.
E concludo col dire che il problema del « futuro » per « Protestantesimo » non credo che non
possa essere risolto nella snaniera più adeguata all’ufficicj che
una rivista del nostro tempo deve
assolvere per la formazione teologica e di varia cultura dei giovani, soprattutto, sempre con un
linguaggio a misura d’uomo, e
cioè non specialistico, e perciò
difficile a capirsi, ma tale da essere capito ed interessare i molti
lettori (si parla di 509 persone e
di 26 enti vari).
Ernesto Puzzanghera
Egregio Signor Presidente,
parecchio tempo fa, in occasione di
una mia donazione, sentii il dovere
di motivare il fatto di non essermi
mai recato a ritirare le onorificenze
attribuitemi in occasione delie locali feste e premiazioni.
La mia motivazione consisteva nel
non ritenere opportuno inserire nel
programma la messa cattolica in
quanto, per statuto, la nostra associazione è aconfessionale e perciò
composta di cittadini che vedono nel
dono del sangue un valore universale
e non patrimonio di una qualche confessione religiosa o di qualche credo politico (da notare che tra gli oratori invitati sono immancabili gli esponenti democristiani). Per tutta risposta
mi sentii dire che le mie osservazioni
erano « cretine » in quanto « l'Italia è
cattolica e non atea ». Premesso che
per non essere atei non è necessario
essere cattolici, non mi risulta che
l’adesione aH’AVIS sia interdetta ai
non credenti. Feci le mie rimostranze
scritte al presidente incaricato dell’AVIS di Asti il quale mi rispose di
aver ricevuto e preso atto e che mi
avrebbe dato una risposta in merito.
Questa risposta non l'ho mai ricevuta, almeno direttamente, in quanto
— Indirettamente — mi è stato risposto continuando ad inserire in ogni
programma la messa cattolica con una
variante significativa: la messa cattolica non si svolge più in una chiesa
ma presso la sala stessa dove si svolge la festa.
Ora, Signor Presidente, vorrei sapere se tutto questo le pare corretto
o se, per caso, per mia disinformazione, nel frattempo l’AVIS è diventata
una associazione cattolica.
Nel ringraziarla anticipatamente per
una sua eventuale risposta la saluto
cordialmente.
Bruno Giaccone, Asti
delle valli valdesi
settimanale delle chiese valdesi e metodiste
Direttore: Giorgio Gardiol
Vicedirettore: Giuseppe Platone
Redattori: Alberto CorsanI, Luciano Deodato, Roberto Glacone, Adriano
Longo, Piervaldo Rostan
Comitato di redazione: Mirella Argentieri Bein, Valdo BenecchI, Alberto
Bragaglia, Rosanna Ciappa NIttI, Gino Conte, Piera Egidi, Paolo Fiorio, Claudio Martelli, Roberto Peyrot, Sergio Ribet, Massimo Romeo, Mirella Scorsonelll, Liliana Vigllelmo
Segreteria: Angelo Actis
Amministrazione: Mitzl Menusan
Correzione bozze: Stello Armand-Hugon, Mariella Taglierò
Spedizione: Loris Bertot
10125 Torino - tele
REDAZIONE e AMMINISTRAZIONE: via Pio V. 15
fono 011/655278
Redazione valli valdesi: via Repubblica, 6 - 10066 Torre Pellice
lafono 0121/932166
te
Stampa: Coop, Tipografica Subaipina - via Arnaud 23 - 10066 Torre Pellice - tei. 0121/91334
Registrazione: Tribunale di Pinerolo n. 175. Respons. Franco Giampiccoll
EDITORE: A.I.P. - via Pio V, 15 - 10125 Torino
Consiglio di amministrazione: Costante Costantino (presidente), Adriano
Longo (vicepresidente). Paolo Gay, Giorgio Gardiol, Franco Rivolra (membri)
Registro nazionaie delia stampa: n. 00961 voi. 10 foglio 481
Il n, 41/'88 è stato consegnato agli Uffici postali di Torino II 26 ottobre, e a quelli decentrati delie valli vaidesi il 27 ottobre 1988.
Hanno collaborato a questo numero: Archimede Bertolino, Luigi Marchetti.
Gregorio Plescan, Aldo Rutigliano, Sergio Velluto.
J
3
4 novembre 1988
commenti e dibattiti
Il problema sollevato dal mio
articolo sul Manifesto del 2
settembre (ripreso sul n. 37) non
era quello dell’insegnamento della religione a scuola. Se in futuro
dovremo o non dovremo modificare le nostre posizioni dipenderà, oltre che dai nuovi rapporti
fra chiesa e stato in Italia, anche e soprattutto da altre decisioni, più importanti, che prenderemo a monte.
La mia preoccupazione oggi è
quella della nostra presenza o
assenza nella società italiana in
un momento come questo di
avanzata politica del potere cattolico, e di accettazione o passività da parte dei partiti politici
che si richiamano alla tradizione laica. Preoccupazioni che ho
espresso anche sul Manifesto del
25 ottobre e su Repubblica dell’8 ottobre con articoli che —
spero — rispondono già in parte alle preoccupazioni espresse
da G. Giovine e G. Quartino, in:
« No all’ora di religione protestante », pubblicato sul numero
39 di questo giornale. La loro
preoccupazione mi sembra essere simile alla mia, anche se poi
le soluzioni appaiono, almeno in
partenza, divergenti.
Mi domando infatti seriamente se come protestanti dobbiamo
continuare ad essere una specie
di appendice « religiosa » della
cultura laica, o se non possiamo
rivendicare più chiaramente una
nostra, fisionomia propria. Ci rallegriamo per i nuovi evangelici
che si aggiungono a noi goccia a
goccia e che ci hanno sempre
abbondantemente arricchito, ieri
DIBATTITO
Per una alternativa ben visibile
Protestanti in Italia: un’appendice della cultura laica? - Le piccole
storie dei singoli - Per uno spazio di fede fondato sulla Bibbia
e oggi, ma dobbiamo anche
preoccuparci di avere nel paese
una presenza visibile e complessiva, misurata sulla forza del
nostro impegno, sulla nostra cultura biblica, sulle risonanze europee e mondiali del nostro essere protestanti,
Sono convinto infatti che il
monopolio culturale e religioso
di un cattolicesimo tutt’altro
che statico e arretrato debba essere contrastato non solo dalla
cultura illuministica laica ma anche dalla presenza combattiva e
convinta di chi ha fatto una
scelta di fede. Sono scelte di questo tipo che, nella situazione attuale, offrono le alternative più
forti e più radicali. Dopo il nuovo Concordato che ha visto il cedimento politico dei due grandi
partiti laici (PCI e PSD sul
fronte dei rapporti chiesa e stato, il ministro della Pubblica
Istruzione ha inventato la parola magica dell’« alternativa ». Ebbene, forse bisogna prenderlo in
parola, andare al di là delle sue
intenzioni, e spostare il concetto
di alternativa dalla scuola alla
società. Si tratta di vedere come
e se è possibile offrire delle alternative al cattolicesimo.
Un discorso utopico? Nel concreto però vediamo, con l’esperienza di chi segue le «piccole»
storie degli individui e delle famiglie, che l’egemonia cattolica
viene messa in questione in modo
radicale e irreversibile soprattutto da scelte religiose diverse:
non tanto da quei « laici » che poi
scelgono la religione cattolica a
scuola per i loro figli, ma da chi
è diventato protestante, o ha
aderito a un movimento evangelico o pentecostale, si è fatto testimone di Geova o musulmano
o buddista. Queste alternative
oggi esistono, ma sono spesso
quasi invisibili; oggi devono diventare visibili nella società in
tutti i suoi aspetti.
Qui si presenta il problema
serio di quella cultura laica non
religiosa che di fronte a una nostra maggiore presenza potrebbe
avere l’impressione di restare
scoperta e quasi abbandonata a
se stessa. Reazioni in questo
senso non sono mancate. Certo,
fino ad oggi abbiamo forse trop
A PROPOSITO DI UN VECCHIO DILEMMA
Pedobattesimo e non
Una scelta responsabile supera la concezione autoritaria a cui è
legato il battesimo di massa - La fede autentica è impegno quotidiano
L’antica « querelle » circa l’opportunità del battesimo dei bambini pare tornata d’attualità in
conseguenza del dialogo ecumenico e della pressante richiesta
di concelebrazioni da parte di alcune coppie miste.
Difficile dire qualcosa di nuovo al riguardo: se, come è ovvio, ciascuno, nel suo rapporto
con Dio, in mancanza di un preciso imperativo scritturale (nell’Evangelo è richiesta la testimonianza battesimale da parte del
credente adulto: non mi pare che
esista un passo in cui si prescriva il pedobattismo) ha il diritto
di regolarsi secondo coscienza,
unica possibile raccomandazione
fraterna è quella di cercare d’essere chiari con se stessi e gli altri, E pertanto sarà forse utile
avanzare, senza pretesa alcuna di
originali approfondimenti teologici, alcune perplessità.
Se è vero che il battesimo è segno di obbedienza e testimoniànza di personale consacrazione a
Dio, è anche vero che esso richiede una volontà responsabile
e adulta. Di certo — almeno così mi pare — più netta sarebbe
la posizione evangelica se al battesimo dei bambini si sostituisse
quello dei credenti, come raccomandato dal Sinodo 1970 (art.
45). Citare a giustificazione del
pedobattismo la Grazia preveniente, significa anche giustificare il battesimo in massa degli
adulti con o senza consenso, così come praticato nel passato per
convertire intere popolazioni.
Simili pratiche — pedobattismo e battesimo in massa — si
può ritenere che facciano parte
di cultura propria di società patriarcali e autoritarie, in cui sovrano e padre padrone venivano
considerati proprietari di sudditi
e figli con diritto ad imporre loro culto religioso, mestiere e coniuge fin dalla nascita.
Questa concezione ’’patrimoniale” del vivere associato dovrebbe
considerarsi superata nella misura in cui, in un moderno stato
di diritto, la libera scelta responsabile viene avvertita come personale, non delegabile e essenziale alla dignità umana. Eppure il
battesimo cattolico, implicitamente accettato nelle concelebrazioni, è di tipo opposto: arcaico,
vanta efficacia ex opere operato
(al di là cioè della volontà di battezzando e battezzatone), si caratterizza come delega impasta (il
bambino non ha facoltà di delegare qualcuno e il padrinato è
sicuramente antiscritturale) ed è
irrevocabile. Chi viene battezzato con rito cattolico deve considerarsi unito alla Chiesa romana — unica depositaria della verità — indissolubilmente per tutta la vita ed oltre, e se rifiuta tanto peggio per lui. « Credente a vita. E come riuscirà ad esserlo? Nessuna paura: ci sono le
leggi dello Stato, anzi dello Stato italiano » (E. Severino, Technè,
Milano 1988, p. 167).
E’ l’istituto del Concordato a
garantire la tutela di questo diritto di proprietà. Lo Stato, accordandosi con la Chiesa, si impegna a rendere definitivo l’obbligo religioso: la salvezza dell’anima in senso cattolico passa sopra ad ogni istanza di iibertà. Un
tempo, lo Stato colpiva con pene
e sanzioni chi rifiutava obbedienza al battesimo; oggi, per l’inevitabile avanzare dello spirito di
libertà, si limita a rendere quanto più possibile obbligatorio con
espedienti e cavilli l’insegnamento religioso nelle scuole, l’assistenza alle funzioni religiose durante il servizio militare e la tassazione a favore delle attività ecclesiastiche. Penso che tutti si
rendano conto che approfittare
della condizione del neonato per
imporgli una appartenenza qualsiasi ha un significato altamente
diseducativo in quanto rappresenta un chiaro invito a considerare lecita e normale la delega
ad altri delle proprie responsabilità, con effetti devastanti di
conformismo e di ignavia. Il credente sa invece molto bene che
po spesso dato l’impressione di
accettare il dogma non scritto
della irrilevanza della nostra
fede e della nostra cultura protestante nella conduzione delle
lotte politiche del fronte laico,
come se quelle fossero solo
« fatti privati ». Ma sono persuaso che aprendo il ventaglio
delle opzioni se ne avvantaggeranno tutti, come avviene nei
paesi di antica democrazia, dove
la laicità delle istituzioni e il pluralismo della società sono assicurati non già da un fronte contrapposto di « laici » e di « religiosi », ma dalla compresenza e
dal libero confronto di molte posizioni, religiose e laiche, moderne e antiche. E questo, fra l’altro, aprirebbe spazi nuovi anche
al pluralismo in seno al mondo
cattolico: non assisteremmo più
con le proprie convinzioni non
ci si sposa ad occhi chiusi una
volta per tutte, ma occorre fare
i conti giorno per giorno, con
animo vigile. Una fede autentica
è quotidiana lotta, dialogo continuo: e ciò significa libertà di e
dal dubbio. Dio non costringe
mai, chiama soltanto. Il battesimo deH’adulto sta appimto a significare questa indispensabile libertà di scelta, che deve coinvolgere la persona nella sua interezza.
Siamo o non siamo convinti
che la fede è rifiuto di conformismo, stimolo alla lotta, invito al
buon combattimento, ribellione
alle imposizioni, alle ingiustizie
ed alle prepotenze, partecipazione volontaria alla ricerca del vero e ad un personale dialogo con
Dio? Se poggia su una scelta altrui, quale forza liberante e persuasiva di personale scoperta potrà mai avere? E allora? Non sarebbe più giusto e più evangelico
rifiutare il battesimo dei bambini? A me pare che soltanto così
sarebbe possibile stimolare i coniugi ad una concrescita nello
spirito della libertà che caratterizza l’Evangelo: il cattolico imparerebbe a riflettere sulla sua
fiducia superstiziosa nella magia
iniziatica del battesimo e sulla
inopportunità di un rito contrario alla libera scelta; l’evangelico
imparerebbe ad impegnarsi alla
massima disponibilità nel dialogo educativo, sì da consentire al
figlio un sostanziale libero orientamento.
In una intesa cristiana non sono i compromessi a contare, ma
le scelte aperte, e — questo —
sarebbe un modo per sollecitare
la Chiesa cattolica'— e le chiese
a lei più vicine sul piano patrimoniale del conteggio delle anime — ad abbandonare le sempre
risorgenti pretese di possesso e
di dominio sulle coscienze, per
una più evangelica visione dell'uomo nel suo libero rapporto
con Dio.
Paolo Angeleri
a un movimento modernista combattuto dalla gerarchia cattolica
e disprezzato e abbandonato a
se stesso dal mondo laico.
Certo, per questo ci vogliono
immaginazione e coraggio; ci
vuole visione del futuro e spirito giovanile vero: occorre forse
rivedere gli schemi che hanno
guidato le nostre battaglie da
40 anni a questa parte; occorre,
per quanto ci riguarda, poter offrire a tutti, in modo realmente
fruibile, imo spazio religioso
alternativo, uno spazio di fede
fondato sull’ispirazione biblica
animata dalla lettura dei grandi
che l’hanno -vissute e predicata,
da Paolo, <a Agostino, a Lutero
e Barth. Uno spazio che potrebbe essere accolto da molti che si
disinteressano di una ricerca di
fede anche perché non vedono
altre alternative vere, profonde,
culturalmente strutturate alle
pressanti offerte di cattolicesimo.
Dobbiamo però avere il coraggio
di uscire dalle nostre chiese e di
abbandonare i nostri linguaggi
un po’ segreti, per vivere la nostra fede in modo pubblico, nel
nostro popolo e come parte del
nostro popolo per trovare risposte che valgano veramente per
tutti.
Giorgio Girardet
IL 1992 DELLE CHIESE
Una chiesa europea?
Riproporre sul piano europeo ciò che le nostre
chiese hanno già costruito a livello locale
Sono sempre più convinto (e
la proposta lanciata da Roland
Revet, dell'Alleanza riformata
mondiale, me ne dà un’ulteriore
conferma) che il lento ma inesorabile processo di integrazione
economica e politica che si svilupperà a partire dal 1992 pone
a noi, credenti evangelici, una serie di interrogativi intorno alla
nostra dimensione ecclesiastica
di un futuro ormai prossimo.
La prima domanda è di ordine pratico. In un’Europa sempre
più unita saranno sempre più numerose le questioni che tenderanno ad investire in modo comune le chiese evangeliche nei
12 paesi, e sempre più forte sarà
allora l’esigenza delle nostre chiese di saper esprimere una voce
’’comune” al riguardo. In quale
modo ricercheranno le nostre
chiese questa voce comune? Al
momento attuale non esiste nessuna forma di collegamento-coordinamento-incontro tra le chiese
specificamente interessate a questa realtà.
Seconda questione. Quali nuove prospettive ecumeniche ci offre questo lento processo di unificazione europea? Se siamo mossi dalla tensione di continuare
a ricercare la fratellanza, l'unione e la comunione ecclesiale tra
tutti coloro che confessano Cristo come Salvatore, non possiamo non porci una tale domanda.
Ci possono essere diversi gradi
di ricerca della nostra risposta,
da quelli più vicini alla nostra
capacità operativa pratica a quelli più distanti e teologicamente
ambiziosi. Se vogliamo limitarci
alla nostra realtà di partenza di
« riformati », dovremmo rivolgerci verso l’idea di una « Chiesa
riformata europea », ma sarebbe
qualcosa di riduttivo sul piano
ecumenico e di addirittura superato sullo stesso piano della realizzazione ecclesiale dal momento che già in Italia, nella nostra
stessa chiesa come in Spagna nella Iglesia evangelica española,
riformati e metodisti hanno da
tempo raggiunto una piena e totale comunione tra di loro. Non
dovremmo allora cercare piuttosto di ripetere sul piano europeo
quello che le nostre chiese sono
già state in grado di costruire sul
piano locale?
A che punto è la maturazione
dei nostri rapporti ecumenici con
i luterani? Teoricamente quasi
completa, dopo la Concordia di
Leuenberg, e di fatto riformati
e luterani hanno saputo costituire tra di loro una « Chiesa evangelica tedesca » nella Germania
Federale. Non ci sentiamo allora
chiamati a muoverci in una più
ampia prospettiva ecumenica, per
la realizzazione di una comunione ecclesiale europea tra riformati, metodisti e luterani, sia pur
nel rispetto delle peculiari diversità, come avviene nella EKD
stessa? E quale è poi il nostro atteggiamento nei confronti delle
altre chiese evangeliche in questa nuova dimensione europea,
per esempio i battisti?
Mi rendo però anche conto che
la risoluzione di tali questioni implica l’aver prima dato una risposta ad un altro interrogativo
di fondo e più prettamente teologico. Dal momento che ben conosciamo anche i guai ed i pericoli del « moltitudinismo », è cristianamente corretto rincorrere
Timmagine (che le attuali circostanze politiche e confessionali
sembrano cominciare a rendere
concretizzabile) di un’unica, forte e grande « Chiesa protestante
d’Europa »? Di chiesa « unica »,
forte ed « universale » ne abbiamo già una e ne abbiamo già tutti abbastanza: non sarebbe magari meno insidioso per la nostra
fede « Tordine sparso ». così come lo viviamo oggi noi evangelici in Europa?
Fra tanti dubbi ed interrogativi rimane però certa la prospettiva nuova che ci si aprirà davanti nei prossimi anni: man mano
che si accentuerà nella gente la
consapevolezza del processo di
unione europea, di nari passo aumenterà la nostra « chance » storica di protestanti italiani di non
venir più considerati i « meno
che niente » nella comune società (lo zero virgola... ner cento)
ma di diventare « l’altra » confessione religiosa degli europei,
di un’Europa sempre più vicina
ed unita nella quale staranno
Tuna di fronte ,all’altra. in modo
equilibrato, due distinte alternative religiose, culturali, etiche.
Dobbiamo accettare la sfida di
questa nuova posizione?
Alberto Romussf
4
fede e cultura
4 novembre 1988
«L’ULTIMA TENTAZIONE DI CRISTO
»
La teologia
di Martin Scorsese
L’ho visto anch’io quel bel faccione da irlandese purosangue aggirarsi, baldanzoso oppure depresso, per il paesaggio marocchino.
Alto, capelli rossicci, Willem Dafoe, il Cristo di Scorsese, è l’antitesi dell’uomo mediterraneo. Si
accompagna con dei discepoli made in USA che, quando alla sera
si prendono un po’ di relax, ricordano, intorno al fuoco, il classico
bivacco dei cow-boy. Ma anziché
gli indiani, arrivano i soldati dell’impero. Parlano tutti in americano salvo i romani e il diavolo, impersonato da un fanciullo che pare uscito da un quadro di Raffaello, che sfoderano un impeccabile
accento britannico. Perché? « A
tutti quelli che nel film sono fuori
dal mondo israelita — spiega in
una lunga intervista rilasciata al
periodico ’’Christianity and Crisis” lo stesso Scorsese — ho messo in bocca un accento diverso.
Gesù è un ebreo tra gli ebrei».
Insomma anche i particolari sono
curati. Nulla è lasciato al caso in
questo filmone di due ore e quaranta sceneggiato da un olandese
riformato, ispirato al romanzo religioso di un greco ortodosso e
diretto da un italo-americano cattolico.
Dalle varie polemiche sul film
emerge un primo dato: la teologia
è un fatto politico. In America la
destra religiosa ha sparato a zero
su questo film che, dopo « Via
col vento », è quello che ha toccato il record di pubblicità. I famosi predicatori fondamentalisti
Jerry Falwell e Pat Robertson
(quest’ultimo trombato mesi fa
nella sua affannosa corsa alle presidenziali dopo aver per anni predicato il ’’non far politica” per i
credenti) hanno aizzato il loro
pubblico ’’televangelistadipendente” contro il film di Scorsese,
« blasfemo e sul quale cadrà la
collera di Dio ». Ma anche una
persona meno settaria come il cattolico democratico Mario Cuomo,
governatore dello Stato di New
York, ha sentenziato che « non
vedrà mai questo film che costituisce una calunnia nei confronti
di Gesù ».
Una libera lettura
del romanzo
Ma perché prendersela tanto?
Molto onestamente Scorsese, all’inizio del film, dichiara che quest’opera è liberamente tratta dal
libro di Kazantzakis che interpreta Cristo nel quadro dell’eterno dilemma tra il bene e il male, tra il
corpo e lo spirito. Ora non stiamo qui a raccontarvi la trama di
questo presepio vivente californiano in cui non mancano i colpi di
scena e neppure le sorprese interpretative.
Sulla croce Gesù sogna di sposarsi, avere dei figli, essere uno
come tanti, insomma di farsi gli
affari propri. Avverte nel profondo di essere un inviato sneciale
dall’Alto, però non ce la fa ad
accettare gli incarichi di questa
missione. Ma è solo un lungo delirio. In realtà prima di morire
sulla croce, in un momento di lucidità, accetterà la propria messianicità. La tentazione del rinunciare a vivere la vocazione che
Willem Dafoe
interpreta il Cristo
nel film di Scorsese
ufficialmente
condannato dalla Chiesa
cattolica. Esso è
considerato
"moralmente offensivo".
Dio rivolge a ciascuno costituisce,
per molti credenti, un problema
irrisolto.
Mi chiedo se lo stesso Scorsese,
che trascorse un periodo in seminario, non abbia proiettato il mancato sacerdozio sul proprio Cristo.
Tuttavia, anche se fosse arrivato a
diventare prete, difficilmente sarebbe riuscito ad innescare una
discussione così vasta sul tema di
Cristo come invece ha fatto da
buon regista.
Un Cristo stregone
e taumaturgo
che i credenti siano in grado di
vedere e giudicare da soli un prodotto artistico senza i paraocchi
del magistero.
Il film, a volte, fa anche ridere
come quando Gesù tira letteralmente fuori dal petto il suo cuore
sanguinante (è il ’’sacro cuore” di
certa iconografia cattolica) e lo
offre ai suoi, o come quella volta
in cui gettando un seme di mela in
terra appare improvvisamente una
bella pianta di mele. C’è poi la
scena di « Lazzaro, vieni fuori »
che è un classico del film dell’orrore con un Cristo tutto taumaturgo e stregone. Non ci
vuole una gran scienza per smontare biblicamente il Gesù gandhiano di Scorsese. Ma il punto
non sta qui. Se l’immagine neohollywoodiana del Salvatore del
mondo nella ’’lettura” psicologica
di Scorsese è lontana da quella
che ci siamo creata, rimane sempre aperta la questione di quale
immagine di Cristo abbiamo noi in
testa. 11 Cristo-greco di Scorsese
perennemente dilacerato da dubbi,
aggredito da una forte sensualità,
formalmente evangelico ma sostanzialmente taumaturgo (e nulla
di più) ha fatto dire a Madre Teresa di Calcutta che chi andrà a
vedere questo film compirà « un
atto sacrilego ». Contro questa interpretazione di Cristo hanno marciato migliaia di integristi religiosi. A Parigi l’incendio doloso di
un locale in cui si proiettava il
film in questione ha provocato dei
morti. E una parte autorevole della gerarchia cattolica ha dichiarato che la pellicola di Scorsese
« ferisce la sensibilità dei credenti ». Ma c’è anche chi ritiene
Tutto sommato questo film non
è male. E’ un tentativo di inventare l’umanità e la psicologia di
Cristo per renderlo più vicino alla sensibilità della gente di oggi.
In effetti Scorsese ammette di
avere proposto un processo di
identificazione con un Gesù di cui
ognuno possa dire: « Ma è proprio come me ». Trovo più scandaloso — a proposito di immagini interpretative di Gesù — lo
storico ’’bidone” della Sindone
che non il Cristo psicologizzato di
chi in fondo ha voluto proporci
una sua affermazione di speranza.
Una risposta onesta, discutibile
ovviamente ma non condannabile,
all’antico interrogativo evangelico
rivolto anche a noi: « Ma voi, chi
dite ch’io sia? » (Me. 8: 29).
Giuseppe Platone
SEGNALAZIONI
Il sommario della
Santa Scrittura
La teologia in America è un fatto politico - Il mancato sacerdozio
proiettato sul protagonista del film? - Le reazioni degli integristi
Il testo fondamentale che, fin
dagli anni trenta del Cinquecento, ha permesso agli italiani ignari di teologia di conoscere il pensiero innovativo di Erasmo e di
Lutero.
Il Sommario fu uno dei libri
più diffusi nel movimento di riforma della chiesa neH’Italia del
’500. Molti imputati di eresia, di
varia estrazione sociale, confessarono di averlo letto, spesso insieme al famoso Benefìcio di Cristo.
Scritto in Olanda, probabilmente in ambiente monastico, da un
originale latino, VOeconomica
Christiana, fu pubblicato in olartdese a Leida nel 1523 e conobbe
un grandissimo successo con traduzioni in francese, in inglese e
in italiano. L’Inquisizione gli die
de una caccia accanita confutandolo e organizzando dei roghi in
varie città d’Italia.
Si tratta di un trattato teologico, imperniato sulla giustificazione per fede e sulla centralità
della vocazione battesimale, in vista di una sostanziale uguaglianza di tutti i credenti, e di un trattato di vita morale rivolto a tutti gli « stati » o condizioni della
cristianità: monaci, sposi, genitori e figli, padroni e servi, ricchi,
governanti, giudici, soldati, ma
soprattutto al mondo dei lavoratori.
Il sommario della Santa Scrittura e
l'ordinario dei cristiani, ed. a cura di
Cesare Bianco, introduzione di Johannes Trapman, collana « Testi della Riforma ■> - ed. Claudiana, 1988 - L. 16.500.
Sulle orme di Bottego
Renzo Milanesio, scrittore e
giornalista di Cuneo, è ormai noto per il suo impegno costante
in favore delle minoranze etniche di tutto il mondo. Nel 1986
ha pubblicato «Gli ultimi Shuar»,
un’opera originale dedicata alle
ultime tribù amazzoniche, ora ci
presenta « Sulle orme di Bottego », un libro che ci trasporta
nel cuore del continente nero.
Insieme ad alcuni suoi amici,
Renzo Milanesio si è recato in
Etiopia e ha ripercorso gli itinerari del famoso esploratore Vittorio Bottego, morto circa un secolo fa dopo aver scoperto il fiume Omo. Il libro ricostruisce le
avventure di Bottego, narrando
contemporaneamente quelle vissute poco tempo fa, nei medesimi territori, da Milanesio e dal
suo gruppo. L’autore ha voluto comunicarci molte cose importanti, invitandoci a riflettere. Si pensa sempre ai bianchi in Africa
come a dei colonizzatori in senso negativo, molti di loro invece
esplorarono terre sconosciute tra
pericoli e disagi spinti da scopi
scientifici, pacifici, umanitari, cercando di porre fine a turpi fenomeni, come il commercio degli
schiavi. Bottego, morto in giovane età, fu tra questi.
Pur condannando le barbarie
fasciste, l’autore ha dedicato il
suo racconto alla memoria di tutti i soldati italiani morti in Africa combattendo una guerra as
surda, che non avevano voluta.
Inoltre, Milanesio sottolinea che
il traffico degli schiavi esiste tuttora e viene tollerato senza problemi dalla « civile » Europa. Nella prefazione, egli si scaglia contro ogni forma di sopraffazione
e di razzismo, ricordandoci che
dappertutto, anche in Italia, a pochi passi da noi, sono sempre i
più deboli, gli indifesi, a pagare,
a subire, sia che si tratti di persone di colore o di anziani, di
handicappati o di bambini, di
donne o di malati.
« Sulle orme di Bottego » è
un’opera equilibrata e completa
in ogni particolare, sostenuta da
un’ampia e rigorosa documentazione storica, geografica e scientifica. L’autore descrive minuziosamente le abitudini degli animali
selvaggi che ha incontrato; leoni, elefanti, ippopotami.
Le fotografie sono stupende.
Particolare rilievo, anche attraverso le foto, viene dato alle mutilazioni rituali inflitte alle donne che, proprio come ai tempi
della spedizione Bottego, hanno
il volto e le orecchie deformati
da orribili piattelli di legno o di
argilla; per inserire il piattello
tra le labbra è spesso necessario,
durante l’infanzia, strappare loro dei denti. Le ragazze dell’ultima generazione cominciano a
contestare questa macabra usanza. Ci sono poi dei braccialetti
che, infilati attorno alle braccia
sin dalla più tenera età, causano
deformazioni.
daudiana editrice
NOVITÀ’
P. NASO, G. BOUCHARD, R. CIAPPA, C. MILANESCHI,
S. AQUILANTE e altri
Eboli ed oltre
Le chiese evangeliche di fronte alla crisi
ed alle speranze del Mezzogiorno
pp. 164, L. 16.000, « Collana Fed. Chiese Evang. in Italia n. 4 »
Il Servizio di Azione Sociale della FCEI ha patrocinato
questo libro che raccoglie le relazioni presentate al Convegno
di studi (organizzato dalla FCEI), tenutosi a Monteforte
Irpino nel dicembre 1987 sulla questione meridionale.
FONDATA NEL 1855
Via Principe Tommaso, 1 - 10125 Torino
t«l. 68.98 04 . C C 1 A. n. J74 482 ■ C C Poit 20780102
codice liscile 00601 900012
Milanesio si è soffermato con
dolorosa partecipazione sulla sofferenza dei bambini: ci descrive
il suo incontro con un bimbo paralizzato e con un piccolo cieco.
« Sulle orme di Bottego » è sta"o presentato il 27 ottobre ’88
presso l’Università di Parma: ricordiamo che Vittorio Bottego
era nato a Parma e frequentò la
scuola per ufficiali di Pinerolo
(To). Il libro è scritto in modo
chiaro, accessibile a tutti. E’ edito da Gribaudo e costa L. 50.000.
Edi Morini
TORRE PELLICE
VENDO
Piazza Guardia Piemontese,
negozio mq. 65, nuovo, riscaldamento autonomo, L. 600.000
mq.
Disponibilità garage varie
metrature, 8-9 milioni.
Telefonare ore pasti 011/
93.99.339.
à\
5
r
4 novembre 1988
ecumenismo
DECENNIO ECUMENICO DI SOLIDARIETÀ’ CON LE DONNE
Ricercare la solidarietà Notizie dal mondo
Dalla situazione locale alla riflessione generale: i compiti delle
chiese - La questione femminile è forse oggi ancora più problematica
Non è il Decennio delle donne,
ma delle chiese, che sono esortate a riflettere con le donne. Uomini e donne, siamo invitati ad
entrare insieme in questa ricerca.
In una prima fase ognuno di
noi potrebbe analizzare la propria situazione sociale, le proprie
difficoltà quotidiane, per mettere in evidenza e condividere con
altri problemi e ingiustizie, evitando di soffocare la piena umanità di ogni persona.
Nello stesso tempo le nostre
comunità sono invitate ad andare alla scoperta delle ingiustizie,
spesso nascoste, partendo dall’anaiisi della situazione locale, ad
esempio dalle difficoltà delle donne in tutti i campi, per fissare
obiettivi comuni.
in questo primo momento è
importante dare spazio alle donne, riconoscendo il loro contributo nei contenuti e nei metodi,
dare ascolto a chi non è ascoltato di solito, prendere in considerazione le donne dando visibilità .ri loro pensieri, alle loro azioni, alla loro storia. La solidarietà non significa che le donne
siano oggetti da aiutare, ma soggetii capaci di produrre cambiamenti. Prospettiva per le nostre
chiese è di diventare luoghi in
cui si sperimenta la giustizia, per
portarla airesterno, alla società
nel suo insieme.
I documenti del Consiglio ecumenico ricordano, a chi pensa
che la questione femminile sia risolta, che la situazione della maggioranza delle donne è peggiorata in questi ultimi 15 anni. In
certi paesi — non solo del terzo
mondo — non ricevono un’educazione adeguata, o mancano di
cure mediche, perché i loro paesi spendono in armamenti, anziché organizzare dei servizi sociali. Le ingiustizie del sistema economico, come la crisi dovuta al
debito pubblico e alle multinazionali, si aggiungono a una cultura patriarcale dominante, dove
troppe donne rimangono sotto la
dipendenza maschile senza poter
decidere per la loro vita personale. Con i bambini, le donne sono le prime vittime dello squilibrio causato dalla povertà dell’emisfero sud e dal profitto dell’emisfero nord.
Non solo continuano ad essere
considerate spesso come oggetti
sessuali o da segregare, ma perfino quelle che militano per i diritti delle donne sono accusate a
volte di disturbare l’ordine sociale.
In Italia tante domande ci turbano: all'interno delle nostre
chiese ci sono cambiamenti da
fare nel nostro modo di vivere
la chiesa, nei nostri metodi di
lavoro? C’è rischio d’impoveriihento a causa dell’invisibilità del
Volontariato? Se le donne sono
Portatrici di stili di vita diversi,
come utilizzarli? Abbiamo scambi con il mondo cattolico su questi problemi? All’esterno, quali
Sono le urgenze: il doppio lavoro per molte, la mancanza di autonomia per molte altre che lavorano senza essere retribuite?
Come organizzare la nostra società in modo da condividere fra
tutti il lavoro retribuito? Quali
sono i nuovi problemi: biotecnologia, solitudine, immigrazione,
disarmo, disagio degli uomini di
fronte alla presa di coscienza
femminile? ecc...
Alla luce di queste considerarioni, al momento attuale siamo
invitati prioritariamente:
• tutti a combattere discriminazioni dappertutto dove si manifestano e ad essere solidali con
sii stranieri nel nostro paese.
Donne e uomini nell’assemblea per decidere insieme.
• Le donne, a rileggere la Bibbia alla luce di quello che vivono.
• Le comunità, a condividere
queste nuove espressioni di fede;
ad analizzare il problema del lavoro, e dell’autonomia che ne risulta o meno; ad iniziare contatti con il mondo cattolico su questi argomenti; ad intensificare
l’impegno per la pace.
Nell’immediato:
• a Pasqua, per l’apertura del
Decennio, le donne hanno presieduto il culto e predicato a Torino (nelle quattro comunità vaidesi), ad Aosta, Firenze, Omegna;
altrove, ad esempio Genova, Trapani, Villasecca... hanno partecipato alla liturgia e al servizio
della Cena del Signore. Si ricorda alle comunità che non l’avessero ancora fatto che tutto il 1988
è valido per fare un culto di apertura e di informazioni sul Decennio, tenuto da donne. Un ordine del giorno del Congresso
FDEI di aprile sollecita ogni tanto dei « culti tenuti da donne o
su tematiche femminili ».
• L’ordine del giorno .del Sinodo ’88 « incoraggia le comunità a
dare seguito al proprio impegno
per il Decennio; le invita ad individuare delle priorità da verificare periodicamente nelle assemblee ecclesiastiche ai vari livelli ».
La commissione comunità donne
uomini nella chiesa, incaricata
del coordinamento del Decennio,
aspetta un elenco di priorità da
parte di distretti, circuiti, comunità, gruppi vari, per poter adeguare la sua ipotesi di pianificazione alle urgenze regionali e locali.
• Il Sinodo invita ad « accogliere il contributo specifico delle donne sui temi della giustizia,
della pace e dell’integrità del
creato ». E’ urgente chiedere alle
donne d’intensificare il loro apporto in quanto portatrici di pace. Inoltre in Italia, zona mediterranea particolarmente coinvolta (basi missilistiche, porti), l’argomento ci tocca più da vicino.
• In ogni distretto un gruppo
potrebbe coordinare scambi tra
responsabili delle comunità per il
Decennio, per le varie iniziative
che possono nascere localmente,
anche in collaborazione con altre persone e gruppi con scopi
simili.
Le chiese sono invitate a ricercare le situazioni di oppressione delle donne per tentare di risolverle.
□ Le donne palestinesi
dicono « Basta! »
Una richiesta di solidarietà è
arrivata al movimento ecumenico
dalle donne palestinesi, perché
senza un riconoscimento dei diritti del loro popolo non ci può
essere pace in tutto il Medio
Oriente. Dicono: « La nostra gioventù rifiuta di trasformare i
suoi sogni in incubi... e grida
’’Basta!”... La battaglia è un
movimento di liberazione e non
semplicemente una lotta per una
migliore qualità della vita... E’
urgente che gli amici ci aiutino a raggiungere i nostri diritti
politici in modi pacifici, è urgente che ci aiutino a prevenire
lo spargimento di sangue dei
giovani ».
I suggerimenti proposti sono:
1) Scrivere a I. Shamir, Primo
Ministro d’Israele; 2) Inviare
copia della lettera all’ambasciatore israeliano nel nostro paese; 3)
Scrivere «al nostro governo, o a
membri parlamentari, per fare
pressione per organizzare una
conferenza internazionale di pace sotto gli auspici delle Nazioni
Unite per chiedere al governo
israeliano di fermare le misure
repressive contro i palestinesi
nei territori occupati; 4) Formare un gruppo di studio nelle nostre associazioni, o sensibilizzare
le nostre comunità sulla situazione; 5) Organizzare una giornata di preghiera per il popolo palestinese. (Richiedere copia di
una lettera suggerita dai documenti CEC a: Decennio chiese
solidali con le donne, via Balziglia 44, 10060 Pomaretto).
□ Pakistan
AU’inaugurazione di un Centro
per la formazione dei laici due
oratrici esperte in giurisprudenza hanno detto che la discriminazione è anche praticata dalle
madri stesse, che spesso fanno
delle differenze tra i figli maschi
e femmine; suggeriscono per
l’anno prossimo un incontro tra
donne musulmane e cristiane
per la Giornata mondiale di preghiera delle donne.
□ USA
In una lettera pastorale sulle
donne i vescovi cattolici dicono
che « il sessismo è un peccato »,
che bisogna eliminare il linguaggio sessista dalle liturgie, e che
posizioni di autorità e leadership nelle chiese siano aperte alle donne. « Le donne sono alienate quando quello che le concerne è considerato insignificante, quando i loro contributi sono
soltanto ammessi, o semplicemente ignorati; sono offese
quando sentono dire che ima
donna non può rappresentare
Cristo nel ministero pastorale ».
□ Ruoli tradizionali di donne
diventano rivoluzionari
Le donne sudafricane hanno
una dura battaglia; come gli uomini, devono combattere lo sfruttamento sul pesto di lavoro e
l’oppressione razziale sotto l’apartheid. E in più devono combattere la discriminazione sessuale perché gli uomini riconoscano che la lotta per la democrazia è anche la lotta delle donne per essere trattate da uguali, e per convincere gli uomini
che per poter partecipare 'alla
lotta fianco a fianco con loro,
alcuni pesi delle donne devono
essere condivisi dagli uomini;
finché le donne saranno le sole
responsabili della casa e dei figli, o 'avranno doppio lavoro, non
potranno partecipare alla lotta
in modo uguale. Si tratta di
prendere sul serio le organizzazioni delle donne, mentre dei
mariti le accusano di trascurare
i loro compiti. Inoltre spesso le
donne fanno l’esperienza che gli
uomini sono maggiormente pre
si sul serio dalle autorità.
Le donne sudafricane non sono vittime passive dell’oppressione (ad es. per 10 anni le
donne di Crossroads hanno affrontato i bulldozer).
Per il Decennio insistono sul
fatto che la teologia è stata male interpretata, per giustificare
l’apartheid; che le donne devono rifiettere teologicamente utilizzando la Bibbia come strumento per la liberazione.
□ Filippine
A Manila il Decennio è stato
lanciato il giorno di Pasqua con
un sermone dove « la pastora »
ha parlato del rinnovo della liturgia delle chiese insistendo su
un linguaggio dal quale le donne non si sentano escluse, come
Gesù quando discuteva di teologia con la samaritana c con
Marta e Maria. Come applicazione del suo messaggio, ha cambiato in un inno « Egli viene »
con « Cristo viene » (al culto di
apertura del nostro Sinodo quest’anno la predicatrice ha cambiato le parole dell’inno 109
« con animo virile » con le parole «con animoso stile»).
Una rappresentante delie donne rurali ha poi messo in evidenza che la povertà può scoraggiare la piena partecipazione
delle donne ai culti perché devono lavorare 'anche di domenica,
e la rappresentante della commissione governativa per le donne ha parlato di sviluppare i
punti di vista femministi nei
vari settori governativi.
L’amministrazione di un villaggio, in relazione con istituzioni giapponesi, ha organizzato
dei viaggi di 10 giorni per uomini giapponesi in cerca di moglie; l’iscrizione comprendeva il
battesimo cattolico degli uomini immediatamente dopo il loro
arrivo nel villaggio, seguito subito dalla cerimonia del matrimonio dove incontrano per la
prima volta la sposa. Diverse associazioni femminili hanno protestato perché non si organizzi in questo modo una realtà
privata come il matrimonio,
chiedendo di ricercare le cause
che portano a tali usi.
□ Germania
L’organizzazione protestante
delle donne elenca un certo numero di domande ad uso delle
comunità tedesche; « Dove lavorano le donne della vostra comunità o paese? Quanto guadagnano? Quante vivono sole, quante
sono divorziate, quante allevano
i figli da sole? Ricevono contributi previdenziali? (Quante sono senza lavoro? Qual è la situazione delle straniere o rifugiate? Come raggiungiamo le
donne che non hanno mai preso parte al nostro gruppo? ».
□ Canada
« ...e le vostre figlie profetizzeranno » è stato l’argomento del
Consiglio interecclesiastico delle donne, per l’inizio del Decennio; 3 profezie sono state messe
in rilievo: la chiesa come agente
di trasformazione sociale, il movimento delle donne attraverso
l’inteipretazione delle Scritture,
i ministeri delle donne nella cura pastorale, nelle professioni di
assistenza, nei ruoli pastori/mogli, con particolare attenzione
alle donne emarginate dalle loro chiese.
□ Donne a Beirut
Per la prima volta dall’inizio
della guerra (1975) un centinaio
di donne, appartenenti a gruppi
di alfabetizzazione, si sono riunite in occasione della Giornata
mondiale delle donne.
Pagina a cura di
Marie-France Coïsson
6
6 prospettive bibliche
4 novembre 1988
ALL’ASCOLTO DELLA PAROLA
La Bibbia,
una testimonianza di fede
« Queste cose sono scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio,
e affinché, credendo, abbiate vita nel suo
nome» (Giov. 20; ,31)
Di fronte alla Scrittura si delineano prevalentemente due posizioni: da un lato vi
sono coloro che accettano la Bibbia come
« Parola di Dio » e lo fanno con assoluta
serietà, tale che la Bibbia infonde in loro
grande fiducia e profondo rispetto. Per costoro la Bibbia è intoccabile, è al di
sopra di ogni discussione. Come è scritto, io accetto. Si tratta di una posizione
devota ma acritica. D’altro lato ci sono coloro che non hanno alcun interesse per la
Bibbia: dai tempi dell’Illuminismo in qua
sono emerse chiaramente le contraddizioni,
non solo a livello scientifico e storico, ma
anche all’interno della Bibbia stessa. Qualcuno ha udito parlare della critica biblica
ed ha deciso che si tratta di un libro superato, un libro che non interessa più nessuno.
A questi due atteggiamenti nettamente
contrapposti io risponderei che ce n’è un
terzo che esprimerei schematicamente così:
la Bibbia è una testimonianza della fede di
un susseguirsi di generazioni (fino a quella
immediatamente seguente il tempo di Gesù),
testimonianza che mi propone di credere
proprio in Gesù Cristo. E questa testimonianza giunge fino a noi, sia pure attraverso
il filtro di linguaggi, situazioni e riferimenti
di un’epoca storica, anzi di svariate epoche
storiche, diverse dalla mia. Ma è qui che si
inserisce la cosiddetta, e a volte famigerata,
lettura storico-critica.
Certo gli scritti biblici sono prodotti del
loro tempo e presentano tendenze diverse
e contrastanti a seconda delle diverse formazioni teologiche e spirituali dei vari autori. E’ anche vero che tra il tempo dei vari
autori ed i fatti che essi raccontano sono
intercorsi talvolta lunghi periodi di tempo,
tanto da far supporre rimaneggiamenti e rielaborazioni a svantaggio dell’obiettività.
Le motivazioni della
comunità primitiva
C’è sicuramente stata l’intenzione da parte della comunità primitiva (nel redigere i
vangeli) di attribuire alla viva voce di Gesù le motivazioni dei propri bisogni culturali, etici, missionari e organizzativi. Ma
è diverso dire che le parole pronunciate da
Gesù e gli atti da lui compiuti sono passati
attraverso una serie di rifacimenti prima di
giungere alla stesura che conosciamo, e
quindi voler cercare di risalire alla forma
pretesa più autentica... e dire, viceversa, e
senza poterlo dimostrare!, che quei discorsi e quei racconti sono stati costruiti ad
arte dalla chiesa primitiva, sia pure con ottime intenzioni (per fini teologici, liturgici,
didattici, apologetici, ecc.), e che essi quindi non avrebbero più niente a che fare con
Gesù. Se così fosse, bene farebbe il Magistero cattolico a situare la Bibbia come uno,
anche se il primo, degli elementi della tradizione, elemento al quale sono seguiti altri,
controllati dal Magistero stesso, o raccolti
all’interno di ciò che è affermato nella
espressione religiosa cristiana. Se nella Bibbia l’annuncio di Cristo è solo il prodotto
della comunità primitiva, allora è comunque la chiesa che prende il sopravvento sulla Parola, ed essa non è più al servizio della
Parola. Vittorio Subilia, che voglio ricordare qui con affetto, ci ha sempre insegnato
che in questo modo il « sola Scriptura » diventa un « sola Ecclesia ».
La chiesa ha invece un solo compito,
quello di proclamare il « solus Christus ».
Infatti così scrive lucidamente Subilia:
« Assumere la Scrittura a norma unica del
pensiero e dell’azione significa procedere
a una reinterpretazione radicale di tutti i
valori e affrontare la questione ultima della
fede o della incredulità, impegnando, non
solo a livello religioso ma a tutti i livelli,
la propria esistenza nel senso dell’Evangelo ».
E così scrive ancora Subilia (« Solus
Christus », Torino, Claudiana, 1985: « Nel
Il 15 agosto scorso si è svolta a PramoIIo la tradizionale festa valdese.
Pubblichiamo la predicazione che il pastore Paolo Sbaffi ha rivolto ai
partecipanti all’incontro, (red.)
1934 si riflette l’eco delle dichiarazioni della Chiesa Confessante a Barmen; ”Se noi
parliamo contro la Scrittura, non ascoltateci. Ma se siamo sottomessi alla Scrittura,
non vi lasciate fermare da alcun timore e
da alcuna seduzione; seguite con noi la
via della fede e dell’ubbidienza alla Parola di Dio... Gesù Cristo, come ci è testimoniato nella Sacra Scrittura, è l’unica Parola di Dio che noi abbiamo da ascoltare,
in cui abbiamo da confidare e a cui abbiamo da ubbidire nella vita e nella morte” ».
Ma ecco, si impone il nostro testo: credere ed avere vita, fede e vita. Mi viene
in mente una rivista della Federazione Italiana del Movimento Cristiano Studenti, sorto nel 1904 ad opera soprattutto di Ludovico Paschetto, Ugo Janni, Giovanni Luzzi,
Mario Falchi e Salvatore Mastrogiovanni
(tra battisti, vecchio-cattolici, metodisti e
valdesi ci si intendeva già allora...). Una
rivista che, sorta nel 1908, aveva per testata proprio le parole « fede e vita », forse
copiando il già esistente periodico francese
«Foi et vie». Direttore della rivista era Giovanni Luzzi (autore in seguito della revisione della traduzione della Bibbia del Diodati). Redattore e amministratore era il giovane avvocato metodista romano Salvatore
Mastrogiovanni, colui che molti anni dopo
scriverà un libro su Jacopo Lombardini,
« Un protestante nella Resistenza ». Tra gli
autori degli articoli nei primi anni, oltre ai
personaggi citati, troviamo: Vincenzo Nitti,
poi pastore a Napoli nella chiesa metodista
di Via dei Cimbri, Teodoro Longo, poi autore con Ernesto Comba dell’introduzione
biblica alla Facoltà Valdese di Teologia, e
poi Alfredo Taglialatela, e un certo Roberto
Pfeiffer, di Bologna, mentre, fin dalla fondazione della rivista dell’MCS (1908) era
segretario del gruppo di Roma un certo Umberto Postpischl, allora 23enne, studente
in teologia, che collaborava con il giovane
Francesco Lo Bue...
Queste persone, insieme con altre, ovviamente, avevano un obiettivo quanto mai
interessante, non solo per 84 anni fa, ma
anche per oggi, sia pure espresso con termini e riferimenti che non sono più in voga
nel nostro tempo.
Cito qualche brano del programma editoriale;
« La fede non è sterile adesione della
mente alla tirannia di un’autorità esterna,
ma è un santo atto interiore a cui partecipano il sentimento, l’intelligenza, la volontà; l’atto della coscienza, la convinzione
intima, personale, determinata, dovuta a
motivi spirituali...; fede determinata da
Cristo dimorante nell’anima. Spirito palpitante in noi. Spirito che_rende testimonianza al nostro spirito. La vita, senza il
sicuro orientamento della fede, non può
finire che in un naufragio; la fede, senza
la vita, non è che una morta parola, o una
vana parvenza, o un’empia ipocrisia ».
Più avanti: « ...per vita noi non intendiamo solo quel tanto di attività che si
esplica nell’ambito della chiesa e con le pratiche della chiesa; la vita, anche per noi
come per il grande apostolo, abbraccia
’’tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli,
tutte le cose giuste, tutte le cose di buona
fama in cui è qualche virtù e qualche lode”. Anche per noi la vita è il presente
secolo... trascorso con la coscienza chiara
e sicura del dover nostro verso noi stessi,
verso il prossimo e verso Dio. E per fede noi
non intendiamo il Simbolo speciale di questa
o di quell’altra chiesa, ma il fremito divino
che passa per tutti quanti i Simboli... di tutte quante le chiese che meritano ancora codesto nome e che non hanno tradito la loro
missione di lavorare nel mondo per il trionfo del Regno di Dio ».
Il problema, per questi nostri padri nella
fede di 84 anni fa, era quello della espressione pubblica, della manifestazione e della
testimonianza della fede in Gesù Cristo, in
colui che è venuto e che viene, che ha dato inizio al tempo nuovo del Regno di Dio
fra gli uomini. Questo problema della testimonianza (o della confessione) della fede, i nostri padri se lo ponevano nel contesto in cui vivevano, con i fermenti culturali
e sociali del tempo, facendo anche delle
scelte politiche non sempre condivise dai
fratelli e dalle sorelle che si ritenevano più
maturi e rispettosi delle tradizioni... Ma essi
non ebbero timore di testimoniare secondo
la loro coscienza. Una cosa mi sembra chiara, almeno nel programma di « Fede e vi
Pramollo. Il pastore Paolo Sbaffi nel corso
della predicazione.
ta » : essi cercavano di evitare di confondere la fede con le sue espressioni.
11 riferimento ai « simboli », diversi fra
loro, nessuno dei quali è la verità, ma attraverso i quali può passare la Parola della
verità, non riguarda solo i simboli di fede
del passato o le diverse teologie confessionali, ma stava ad indicare che allora,
come oggi, la fede si deve esprimere in categorie culturali e socio-politiche sempre aggiornate.
Le espressioni o confessioni della fede
fanno quindi parte della storia, e la storia
non è statica. Solo nelle fantasie della (appunto!) fantascienza, si può dire che il tempo si è fermato. Le confessioni della fede
vanno sempre rivisitate tenendo presente la
loro data di nascita. Dal Credo di Nicea
(325), alla Confessione di Augusta (1530),
alla Confessione di fede valdese (1655), fino alla Dichiarazione teologica di Barmen
(1934)... noi riceviamo solo delle testimonianze storiche della fede, ma non riceviamo dei dogmi; riceviamo quindi un invito
a reinventare la nostra confessione della
fede nel nostro tempo e nella nostra situazione. Recitare acriticamente le antiche confessioni di fede sarebbe, come affermavano
i nostri padri dell’inizio del secolo, dire
« parole morte, vane parvenze, empie ipocrisie ».
Ma nel tentare di confessare la nostra fede
nel tempo in cui viviamo occorre evitare, a
parer mio, soprattutto due rischi: il primo è
quello dell’ingenuità ideologica, il secondo è
quello della furberia ammiccante (in fondo... maligna) verso tutto e tutti, in nome di
una pretesa neutralità e innocenza. Farsi
tutto a tutti, come scriveva ai Corinzi l’apostolo Paolo, non significa affatto stare
sempre con i piedi in due staffe, dare ragione a destra e a manca... Oltretutto così si finisce sempre per dare sostegno a chi
detiene il potere culturale, religioso, politico ed economico... Farsi tutto a tutti significa non escludere alcuno dall’annuncio e
dalla promessa della grazia che chiama tutti al ravvedimento e alla vita nuova, quale
che sia la loro condizione.
Una scelta fondamentale
e inequivocabile
Occorre dunque effettuare delle scelte
lucide e non più equivocabili. Ma la prima scelta, direi quella fondamentale, è
quella che si esprime in una pratica « sociale e religiosa » (entrambi i termini vanno letti tra virgolette!) che sappia tradurre
la nostra confessione di fede in modo che
essa sia credibile, sappia cioè attuare, nel
nostro tempo, la pratica della fede che
Gesù ha indicato e vissuto: la solidarietà
attiva con gli oppressi, gli emarginati, i discriminati. Categorie non neutre, perché
fanno parte del gruppo generale dei cosiddetti « minimi ».
Oggi, quindi, una confessione della fede
che produca vita, cioè liberazione, dignità
umana, giustizia, gioia di essere tra le creature di Dio, non può prescindere ad esempio dall’affrontare il problema del razzismo, della fame nel Terzo Mondo, dell’immigrazione sfruttata e male indirizzata
nel nostro paese, né può prescindere dall’uso delle risorse e delle energie naturali
ed anche di quelle intellettuali... né può prescindere dal contestare all’uomo la convinzione che egli possa trovare in se stesso
individualmente (o tutt’al più nel proprio
clan o gruppo di affini religiosi, politici o
altro...) la risposta a tutti i problemi dell’esistenza, sempre, però, nell’indifferenza
verso gli altri.
Una confessione della fede oggi deve
poter rispondere, come nel secolo scorso,
alla domanda di fondo; che farebbe e direbbe Gesù nella nostra realtà? Come si
può tradurre oggi la « vita » che l’Evangelo
ci dona? Prima di tutto, Gesù non sarebbe
ingenuo come spesso noi siamo nel valutare i fatti e le loro motivazioni. Egli denuncerebbe, come sempre ha fatto, la malafede delle cosiddette « voci ufficiali ».
Basta ricordare le sue parole emblematiche; « Avete udito che fu detto, ma io vi
dico! »... E questo vale per i discorsi di
molti politici e molti leader religiosi quando, avendo in mano certe leve del potere,
fanno notare solo quello che fa loro comodo e non parlano di quello che potrebbe
nuocere al loro dominio. Gesù chiederebbe,
a mio modesto parere, una sola cosa:
quello che fai è utile a tutti o solo ai tuoi
interessi privati? Quello che dici produce
comprensione e crescita nella libertà, oppure crea divisione e discriminazione? Quanto Gesù ha detto e fatto è stato una costante critica ed un appassionato appello al ravvedimento. Noi abbiamo ricevuto l’invito a
vivere in una qualità della vita, che l’Evangelo chiama « vita eterna », che non è nell’aldilà, ma è una proposta di vita nel
quotidiano. Una vita in cui, confessando
la fede nella nuova umanità che è Gesù
Cristo, si riconosce di non avere alcuna
possibilità di vita se non con l’altro da noi,
cioè ogni altro essere umano, di qualunque
nazionalità, colore della pelle od origine
etnica, il quale è per noi il modo con cut
oggi il Signore ci sfida a riconoscerlo nella
storia. ^
Paolo Sbaffi
7
r
4 novembre 1988
obiettivo aperto
IL DRAMMA DELLA MINORANZA TRANSILVANA
Ungheresi in Romania: genocidio culturaie
Il programma governativo prevede la distruzione di 7.000 villaggi per creare insediamenti industriali « moderni » Le alterne vicende di una regione da sempre sconvolta dalle invasioni - Una consultazione delle chiese europee
Costretti a espatriare
Si calcola che, sul totale
dei due milioni di ungheresi
che vivono in Transilvania,
tra 10.000 e 15.000 abbiano
lasciato la Romania dall’inizio di quest'anno. Il fenomeno non è nuovo, ma va accelerandosi parallelamente albi ntensificarsi delle misure
esercitate dal regime di Ceausescu per eliminare ogni possibile traccia della minoranza ungherese in Transilvania.
Abbiamo incontrato due rifugiati, che sono anche riformati e sono fieri di esserlo.
Per comprensibili motivi essi hanno tenuto a mantenere
Tanonimato.
— Perché avete preso una
■decisione grave come quella
di lasciare il vostro paese natale, la famiglia, gli amici,
per andare incontro all'ignoto?
— E’ semplice. Per me c'erano tre possibilità: la prigione, l’ospedale psichiatrico
o la passiva collaborazione
con la dittatura di Ceausescu. Di fronte a tali alternative è preferibile correre alcuni rischi e cercare un sistema di tirarsi fuori. Non
sono un eroe: se lo fossi, sarei rimasto al mio paese per
lottare dall’interno.
La società in cui siamo cresciuti è basata sulla paura.
Non ci si può fidare di nessuno. Non abbiamo mai avuto
modo di poter sognare, e siamo diventati realisti per forza di cose: sappiamo che nessun cambiamento è possibile nella nostra nazione. I nostri bambini non avevano un
avvenire. Ora noi cerchiamo
di integrarci qui nel miglior
modo possibile, perché sappiamo che non potremo mai
tornare a casa nostra. Non
ce l’abbiamo con il popolo
rumeno, ma detestiamo con
tutto il cuore l'attuale governo.
— Come si manifesta, nella vita quotidiana, quello che
è stato chiamato il « genocidio culturale » della minoranza ungherese?
— Uno dei metodi consiste
nel rendere sempre più difficile l’uso della madrelingua.
Il sistema è semplice: per
ottenere un impiego o avviarsi agli studi superiori gli esami si possono sostenere soltanto in rumeno. Le famiglie
che non siano abbastanza agiate da poter pagare delle
lezioni private per i ragazzi
devono inserirli, all’inizio
dell’età scolare, nelle scuole
in cui si parli rumeno. Così,
poco a poco, calano gli iscrit
ti nelle classi di lingua ungherese. Quest’anno il governo ha già chiuso alcune scuole, per mancanza di allievi.
I nomi dei paesi, delle strade, sulle insegne, le scritte
negli edifici pubblici erano
indicati nelle due lingue. Ma
questo bilinguismo sta scomparendo totalmente. Discre-,
tamente, con il pretesto dei
rifacimenti alle facciate, o
della pittura, si sopprimono
tutte le indicazioni in ungherese. Da qualche mese, poi, i
nomi di battesimo che non
abbiano una traduzione ufficiale in rumeno sono proibiti.
Nel campo culturale le opere degli scrittori ungheresi sono introvabili. Nei teatri
ungheresi lo stato crea generalmente una succursale di
lingua rumena che, poco a
poco, soppianta l’istituzione
originaria. Il repertorio viene pesantemente censurato.
Il « Comitato di arte e cultura », che sovrintende a tutte
le manifestazioni culturali,
ha proibito la maggior parte
degli autori occidentali, così
come il repertorio ungherese.
— Voi siete di confessione
riformata: qual è la situazione della vostra chiesa?
— Nella misura in cui le
chiese sono depositarie delle
tradizioni di un popolo, esse
sono sottomesse a forti pressioni. Un iildividuo di modesta condizione può far parte
senza problemi di una comunità religiosa. Invece, questo
è impossibile per chi occupi
un posto importante. Le feste religiose si celebrano essenzialmente in famiglia. Negli ultimi tempi lo stato ha
distrutto molti cimiteri della Transilvania, e così si sono persi i nomi di molti ungheresi. D’altra parte i registri parrocchiali, in cui sono
riportati tutti gli atti ecclesiastici, sono misteriosamente « scomparsi »: un modo
come un altro per intaccare
la memoria di un popolo. E
tuttavia, malgrado queste
difficoltà, penso che le chiese
siano l’unico bastione che
l’attuale regime non è ancora, riuscito a conquistare.
Anne-Marìe Sauter
(da La vie protestante)
Il ruolo delle chiese
La complessa e drammatica situazione che caratterizza da alcuni
mesi la Romania, e in particolare
la minoranza transilvana di lingua
e tradizioni ungheresi, è stata oggetto di un incontro promosso dalla Federazione delle chiese protestanti svizzere.
L’incontro, svoltosi a Zurigo nel
settembre scorso, ha visto l’adesione di numerose chiese europee (tra
cui l’Eglise réformée, la Chiesa di
Scozia, le Chiese evangeliche tedesche e olandesi). La Tavola valdese è stata rappresentata da Valdo Spini.
Di fronte agli sviluppi più violenti delle tensioni che dilacerano
la Romania (si parla di 7.000 villaggi che, nelle intenzioni del regime di Ceausescu, verrebbero ra
SCHEDA
Transilvania, pomo deila discordia
L’attuale Romania trova le sue origini nell’antica Dacia, conquistata dai romani e resa
provincia dall’imperatore Traiano nel 107 d.C.
Questo territorio dell’impero copriva la parte
orientale dell’attuale Ungheria, parte della
Transilvania e dell’Oltenia. Nella regione della
Dobroudja un insediamento greco era arrivato in epoca remota dal mare. Ma la dominazione romana durerà poco: verso il 271, sotto
la pressione dei Goti, le truppe romane si trovano attestate a sud del Danubio. L’imperatore Aurelio abbandona la provincia che, dal
III al XVIII secolo, subirà una serie di invasioni che ne cambieranno la composizione
etnica: Goti, Gepidi, Unni, Avari, Bulgari, Mongoli, ecc.
Questo periodo, oscuro ed agitato, dà luogo
a interpretazioni divergenti. Gli storici rumeni, ai quali l’onomastica sembra dare ragione,
sostengono che la popolazione latinizzata è
rimasta sul posto, o tutt’al più si è ritirata nei
Carpazi, mentre gli ungheresi affermano che
essa avrebbe ripiegato sulla riva destra del
Danubio, per poi rientrare poco a poco nel
territorio nazionale, contemporaneamente agli
altri popoli che lo stavano invadendo. L’esito
della controversia è chiaro: i rumeni pretendono di essere stati i primi occupanti, mentre gli
ungheresi affermano di aver colonizzato, unitamente ad altri, una parte importante dell’attuale Romania, e precisamente la Transilvania.
In ogni modo la nazione, poco abitata, accoglie ancora, nel XII secolo, dei coloni germanici, detti sassoni di Transilvania (Siebenbuerger Sachsen). Nel 1211 l’Ordine teutonico,
fondato nel 1128, si impianta in Transilvania:
essa sarà popolata, ffno ai nostri giorni, di imgheresi, di siculi (un ramo di ungheresi), di
tedeschi e di rumeni. Solo i primi tre gruppi
formano delle « nazioni » privilegiate, mentre
i rumeni non hanno questa connotazione.
La situazione si complica nel XVI secolo.
I sassoni passano al luteranesimo, la maggior
parte degli ungheresi e dei siculi passa
alla Riforma calvinista (o 'aH’unitarismo), mentre i rumeni restano fedeli all’ortodossia. La
Controriforma, condotta dagli Asburgo, fortifica ciò che resta della Chiesa romana. La
lotta per l’indipendenza nazionale nei confronti
delKAustria è sostanzialmente un fatto che riguarda i riformati (Stefano Bocskay, 15571606, principe di Transilvania, compare sul
monumento della Riforma a Ginevra).
Ma a tutto questo segue l'arrivo dei turchi,
che sottomettono la nazione senza però riuscire ad islamizzarla. In seguito, essi finiranno per ritirarsi. A questa ritirata corrisponde, grosso modo, l'avanzata della dinastia degli Asburgo, signori d’Ungheria. La Transilvania sarà completamente annessa all’Ungheria
solo nel 1867. Bssa perderà allora le sue « istituzioni» particolari e i suoi privilegi per subire ima politica di magiarizzazione che provoca la resistenza dei sassoni e dei rumeni.
L’impero degli Asburgo si dissolve alla fine
della prinra guerra mondiale: i rumeni, allora,
proclamano ad Alba Julia il loro ricongiungimento con la Romania (1” dicembre 1918) e
i sassoni li seguiranno poco tempo dopo. Il
trattato di Trianon (4 giugno 1920) confermerà
queste decisioni, e segnerà la proclamazione della Grande Romania.
Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale la
Ungheria, alleata della Germania, rioccupa per
un breve periodo il nord e l’est della Transilvania, ma ne sarà cacciata con il trattato del
10 febbraio 1947, che ristabilisce i confini del
1920.
I secoli hanno fatto della Transilvania una
nazione divisa in due dal punto di vista etnico
e religioso. Gli antichi padroni ungheresi soffrono oggi il fatto di essere una minoranza
sistematicamente sradicata e oppressa. Quanto ai sassoni, sono in molti ad emigrare verso
la Repubblica federale tedesca, di cui possono
diventare cittadini quasi al momento di toccarne il suolo.
si al suolo per fare posto ad insediamenti industriali, mentre gli
attuali abitanti saranno trasferiti
in nuovi condomini), l’assemblea
riunita a Zurigo si è rivolta alle
chiese chiedendo loro di prendere
posizione a più livelli.
Il documento conclusivo dell’incontro esamina preliminarmente
alcuni dati oggettivi: la Romania
vive un difficilissimo momento
economico; i generi di prima necessità scarseggiano, pur essendo
il paese ben fornito di risorse naturali, dovendo dare priorità alle
esportazioni al fine di colmare il
debito.
La vita quotidiana è segnata
dalla presenza, ormai costante,
delle forze di pubblica sicurezza.
Anche le chiese risentono di queste limitazioni poste alle libertà:
nel quadro degli ostacoli agli studi, posti ai giovani di lingua ungherese, lo stato ha anche imposto il numero chiuso (nell’interpretazione più rigida) all’accesso all’Istituto di teologia di Cluj.
Non manca peraltro un accenno
al fatto che la chiesa « ufficiale »
appoggia la politica governativa.
L’invito alla mobilitazione, rivolto alle chiese, si articola in diversi punti: nell’intercessione e
nella sensibilizzazione esse possono — si dice — « difendere gli interessi della popolazione » ed essere « voce degli oppressi ». Ma
già delle azioni concrete sono state avviate: i contatti fra chiese sorelle, la condivisione e l’aiuto reciproco, anche nei confronti di quei
fratelli che giungono, come rifugiati, in Ungheria e in Austria.
Ad un altro livello, le chiese
rappresentate all’assemblea di
settembre chiedono all’Alleanza
riformata mondiale di proseguire
l’opera fin qui compiuta di denuncia dei provvedimenti governativi
in Romania; di non scoraggiarsi
per la mancata riuscita di una visita di una delegazione sul posto; di
fare pressione sulle organizzazioni mondiali affinché queste ultime,
concretamente, facciano della situazione rumena un oggetto di impegno. In particolare si fa riferimento alla Commissione per i diritti umani dell’ONU, all’Alto
Commissariato ONU per i rifugiati, all’UNESCO, al Parlamento europeo e alla Comunità europea.
Misure concrete saranno prese in collaborazione con il Consiglio ecumenico, con la Conferenza delle chiese europee e con
la Federazione luterana mondiale.
Pagina a cura di
Alberto Corsanl
8
8 vita delle chiese
4 novembre 1988
XVI CIRCUITO
CORRISPONDENZE
Impegno verso i migranti ■ diritti dei maiato
Le richieste che giungono alle chiese - La solidarietà verso i popoli alla luce delle celebrazioni per il centenario del Rimpatrio
Razzismo ed immigrazione dal
Terzo Mondo in primo piano all'assemblea delle chiese del XVI
Circuito, che si è svolta domenica 16 ottobre ad Agrigento.
Per non cadere nel pietismo
che non muta la realtà bisogna
avere una chiara conoscenza delle cause politiche, sociali ed economiche che generano il fenomeno migratorio. D’altra parte
ciò non basta, in quanto alle nostre chiese giimgono stimoli e
richieste di natura diversa; aiuto economico immediato, inserimento sociale, ricerca di lavoro,
assistenza sanitaria o legale, ecc.
A ciò va aggiunto il problema del
razzismo da cui certo non siamo
esenti e che comporta in noi
reazioni nettamente sdegnate se
si tratta dei diritti dei neri in
Sud Africa, ma reazioni non altrettanto chiare se la nostra
tranquilla esistenza viene ad incontrarsi con i diritti dei neri
di casa nostra.
Le chiese della Sicilia, sinora,
hanno cercato di dare delle risposte commisurate spesso alla
situazione di emergenza ed alle
esigue forze di cui dispongono.
Si tratta ora di vedere se, in determinate aree, si debba e si
possa pensare a progettare un
intervento più incisivo che goda
della solidarietà di tutte le chiese federate.
In sintonia con quanto espresso dal Sinodo, le chiese valdesi
e metodiste siciliane vogliono
vivere il ricordo del ritorno dei
valdesi nelle loro terre come uri
impegno di solidarietà verso gli
immigrati e i popoli che lottarlo
per poter vivere con giustizia
nella propria terra.
Nell’occasione del « Glorioso
Rimpatrio » le chiese del XVI
Circuito avvertono anche l’esigenza di ridefìnire una identità
anche a partire dalla loro, sia
pur breve, storia. Dopo le stagioni evangelistiche di fine ottocento
e dei primi decermi di questo se
colo le nostre chiese si sono incamminate verso un progressivo declino numerico, mentre si
fatica sempre più a comprendere, e quindi a comunicare agli
altri, il senso del nostro essere
chiesa protestante.
Per chi come noi vive la realtà disgregante della diaspora,
questa ricerca di identità non
può prescindere da una esigenza di maggiore formazione e
dall’analisi della particolare realtà meridionale in cui viviamo.
In tale direzione sono stati programmati anche per quest’anno
i corsi di formazione per predica
tori, i colloqui pastorali, gli incontri per monitori, ima commissione di studio sul mezzogiorno ed un meeting primaverile di tutte le chiese.
Purtroppo queste esigenze di
incontro vengono sempre a cozzare con l’inadeguatezza e la fatiscenza delle nostre strutture di
accoglienza. La foresteria di via
Spezio, le chiese di Marsala, Agrigento. Scicli e Adelfia versano in uno stato consono ad
una chiesa che muore, non ad
una che ricerca le linee della
propria testimonianza futura.
S. V.
FEDE, BIBBIA, VITA
I giovedì del Lombardini
CINISELLO — Il Centro Lombardini, alle cui attività collaborano da sempre sia credenti
(evangelici e cattolici) sia non
credenti, ha avuto fin dal lontano 1968 una riunione periodica
particolarmente dedicata aUa riflessione sulla fede e al confronto fra parola biblica e concreta
situazione quotidiana in cui i
credenti sono chiamati a vivere
e testimoniare di tale parola.
In questi ultimi anni, la riunione del « gruppo biblico » ha
avuto alterne vicende, sia dal
punto di vista della partecipazione che del suo carattere (a
volte più culturale, a volte più
religioso). Tra i difetti, moltihanno sottolineato il fatto che
non aveva una precisa periodicità.
Quest’anno perciò abbiamo deciso di tentare un incontro regolare tutti i giovedì sera.
Per il momento sono previsti:
a) una introduzione, fatta
con linguaggio semplice e non
con dei ragionamenti da « addetti ai lavori », alla fede cristiana. Che cosa significa essere cristiani oggi? Che cosa credono i
cristiani? Perché Gesù Cristo è
decisivo per il mondo? Per affrontare questi e altri interrogativi simili, ci serviremo del bel
libro di Giorgio Girardet, intitolato appunto: « Cristiani perché? »:
b) un confronto diretto con
il testo biblico. Proprio per affiancare il punto precedente, abbiamo pensato di rileggere le
parti salienti del libro degli Atti
degli apostoli;
c) la discussione in comune,
soprattutto dal punto di vista
della fede cristiana, di alcuni temi o questioni resi attuali dal dibattito sulla stampa, o più direttamente legati ad aspetti sociali
e politici, o utili a comprendere
la complessità del fenomeno religioso.
CONVEGNO A RIVOLI
Per leggere la Bibbia
Presso il Centro Filadelfia di
Rivoli si è tenuto, lo scorso 15
ottobre, un convegno di lavoro
organizzato dall’Unione per la lettura della Bibbia (ULB). Temi
dell’incontro erano la presentazione dell’Unione, dei suoi scopi,
delle sue attività nel mondo e in
Italia e le prospettive di ampliamento del lavoro nel nostro paese.
La parte generale ed introduttiva è stata presentata da Fritz
Hopplev, presidente del Consiglio Europeo dell’ULB, e dal pastore Castellina della Chiesa Riformata Svizzera. Della situazione italiana concernente TULB ha
parlato il segretario Sergio Rastello. E’ stato interessante notare la presenza di rappresentanti
delle diverse denominazioni evangeliche presenti nel nostro paese: valdesi (tra cui il past. Gustavo Bouchard, membro del consiglio direttivo), metodisti, battisti, Chiesa dei Fratelli, Azione
’tìostollca.
L’ULB è una associazione evangelica internazionale e interdenominazionale che si propone soprattutto di promuovere la lettura della Bibbia. In particolare,
con l’aiuto delle proprie pubblicazioni, rULB cerca di raggiungere bambini, giovani e adulti di
ogni ambiente invitandoli ed incoraggiandoli nella lettura quotidiana e sistemàtica della Bibbia.
L’ULB è presente in più di 70
paesi nei quali opera in vario
modo; infatti, accanto alla promozione della lettura della Bibbia, alla pubblicazione e diffusione di letteratura cristiana e di
audiovisivi, attività che caratterizzano essenzialmente il lavoro,
per il momento, dell’ULB in Italia, in altri paesi, come la Gran
Bretagna dove TULB è attivissima, essa organizza missioni per
bambini sulle spiagge, missioni
per bambini nelle chiese, gruppi
biblici per giovani, cura la pubblicazione di testi per le scuole
domenicali.
In Italia l’ULB, dal 1984, si è
giuridicamente costituita come
associazione senza scopo di lucro con sede a Genova, dove il responsabile Sergio Rastello lavora aiutato da un gruppo di volontari.
Dal convegno di Rivoli è emerso che attualmente vi è una buona domanda, in Italia, di pubblicazioni che aiutino nella lettura
della Bibbia; prova ne sia che in
pochi anni la pubblicazione maggiormente conosciuta dell'ULB,
« Per l’ora che passa », ha superato i 3.000 abbonati. A questo
proposito è da segnalare che, da
un sondaggio effettuato, risulta
che il 60% circa dei lettori ha
dichiarato di appartenere all’ambiente evangelico (12% circa i vaidesi a fine ’85), il 20% circa a
quello cattolico, il restante 20%
non ha precisato la chiesa frequentata o non frequenta alcuna
chiesa.
Tuttavia attualmente l’ULB italiana si trova ad una svolta importante. Se da un lato infatti
il lavoro è aumentato e non si
riescono a soddisfare tutte le richieste, soprattutto quelle concernenti le pubblicazioni per i
giovani, vista la carenza di collaboratori, dall’altro l’ULB, che
ora è finanziariamente autonoma
all’80%, si prefigge di raggiungere la piena autonomia entro breve tempo. Per ottenere questo risultato sono necessari dei volontari, non soltanto a Genova, che
siano disposti ad offrire un po’
di tempo, e per chi non ha tempo esiste sempre la possibilità di
offrire un piccolo contributo. Chi
fosse interessato ad abbonarsi
per il 1989 a « Per l’ora che passa » (trimestrale di meditazioni
bibliche quotidiane sistematiche)
può versare l’importo di lire 11
mila (25.000 sostenitore) sul conto corr. postale n. 18768168 intestato a: Unione per la lettura
della Bibbia, via Medici del Vascello 5/3 - 16146 Genova. Allo
stesso indirizzo potrà rivolgersi
chi desideri avere informazioni
più dettagliate sul servizio di
collaborazione volontaria e più in
generale sull’Unione per la lettura della Bibbia in Italia.
Francesco Borasio
SESTRI PONENTE — I dirit
ti del malato, l’importanza dell’ascolto, il senso del nostro amore in relazione all’amore di
Dio. Questi temi sono stati toccati alla Croce Verde di Sestri
P. la sera del 28 settembre. La
Croce Verde festeggiava 85 anni di presenza in Sestri, e tutta
la delegazione e le sue associazioni erano coinvolte nei festeggiamenti. Il nostro contributo,
come Chiesa metodista, è stato
quello di promuovere questo
dibattito su « I diritti del malato
e del morente ».
Il prof. Enriquet h>a illustrato
le difficoltà che sono in una cultura medica che vuole solo guarire, dunque si accanisce sul malato che sta morendo oppure
opera una sorta di abbandono e
di isolamento. Gli stessi ostacoli mentali impediscono spesso
di utilizzare a fondo una terapia
contro il dolore, o di trovare il
tempo per dare un aiuto psicologico, per dare ascolto alle persone.
Questo tema, del tempo dell’ascolto e della disponibilità degli operatori sanitari ad instaurare una comunicazione con il
malato, ha percorso tutto il dibattito. Padre S. Baldini, presidente dell’Avo, ha parlato efficacemente del tempo ricco che
il morente vive e nel quale può
ancora lasciare una grossa eredità 'a chi gli sta accanto.
Marco Tullio Fiorio, medico
evangelico, ha insistito sulla necessità che il medico costruisca
una comunicazione non superficiale con il malato; il prendere
del tempo per i colloqui, il sedersi accanto a lui per ascoltarlo,
portano poi naturalmente al discorso delTinformazione sulla
malattia. Discorso difficile e spesso nascosto dietro a piccole giustificazioni.
L’incapacità di comunicare in
modo sincero e diretto, che è
una delle caratteristiche della
nostra società, porta a costruire
quelle barriere di menzogna dietro le quali il malato si trova
isolato a fare i conti con se
stesso. L’informazione invece
permette al malato, a confronto
con la morte, di prendere delle
decisioni sulle terapie da seguire ma, fatto ancora più importante, sulla sua vita di relazione, sui suoi progetti, sui suoi
affetti.
Soprattutto però siamo grati
a Fiorio perché il suo discorso
di medico, impegnato da anni in
questa battaglia, è stato introdotto da una premessa evangelica.
Lo ha fatto di fronte ad un pubblico che non è abituato a sentir mettere in rapporto le nostre scelte umane con l’intervento di Dio. Fiorio ha sottolineato che il nostro amore verso
l’altro, verso il malato, trova il
suo fondamento nell’amore di
Dio verso di noi.
Ogni altro amore rischia di
essere mercenario, perché cerca
nell’altro la gratificazione, la ricompensa; o paternalistico, perché instaura un rapporto di forza in cui il malato è oggetto di
beneficenza, è la parte debole
del rapporto, dunque non sta in
una relazione di reciprocità.
Nel rapporto con il malato,
amore e rispetto della personalità umana vanno insieme: ma è
meglio il rispetto da solo piuttosto che questo amore mercenario ed egoistico.
Al termine del dibattito ci e
sembrato che fossero stati raegiunti due scopi importanti: sollevare un problema fondamentale di diritti della persona, e
sollecitare anche i medici della
delegazione a farsi carico di
questo, che è un problema di
rapporti prima ancom che di
assistenza tecnica; e, in secondo
luogo, dare testimonianza di una
impostazione di fede, indicare
cosa c’entra Dio con la nostra
vita quotidiana.
'• Durante la primavera e Testate abbiamo avuto la gioia della nascita di due bimbi: Eddy, fl
glio di Grazia e Mario; e Ambra,
figlia di Sonia e Luca.
La Scuola domenicale già
pensa ad un programma speciale tutto per loro e nell’attesa vuole, insieme alla comunità, invocare la benedizione del Signore
sui due bambini e sulle loro famiglie.
Anno accademico
ROMA — Sabato 15 ottobre si
è aperto il 134esimo anno accademico della Facoltà valdese di
teologia.
Il professor Giorgio Sptoi, docente di storia presso la Facoltà
di scienze politiche dell’Università di Firenze, che è professore
onorario della Facoltà, ha tenuto una prolusione dal titolo « Per
una lettura teologica di Michelangelo », mettendo in evidenza
Tinfluenza che ha avuto sull’arte
di Michelangelo la sua profonde,
conoscenza delle Sacre Scritture.
Domenica 16 ottobre ha avuto
luogo il culto di inaugurazione
dell’anno accademico, nel tempio metodista di via XX Settembre. Il culto è stato presieduto dal prof. Daniele Garrone,
che da quest’anno subentra ai
prof. Alberto Soggin nella cattedra di Antico Testamento.
Sono presenti in Facoltà 28
studenti, di cui due al primo anno e 14 provenienti dall’estero.
Studi bìblici
MILANO — « I dieci comandamenti : un evangelo di libertà » è il tema di un ciclo ci
studi biblici organizzato dal Centro culturale protestante, a cura
del pastore Valdo Benecchi, ogni
secondo e quarto martedì del
mese alle ore 21 in via F. Sforza 12/a.
Laicità dello Stato
.CATANIA — L’il novembre,
nell’aula magna della Facoltà di
Lettere, per ricordare il 471esimo
anniversario della Riforma, si
terrà un dibattito pubblico su
« Laicità dello Stato ed insegnamento della religione cattolica
nella scuola pubblica »; Torganizzano le chiese battiate e valdesi
con la partecipazione di Paolo
Berretta, Antonino Mirone, Giuseppe Giarrizzo, Piero Trotta.
Le culture diverse
GENOVA — Il 12 e 13 novembre si tiene, nel tempio di via
Assarotti, la riunione del collettivo teologico della Federazione
delle chiese evangeliche in Liguria ; tema : « L’immigrazione
extraeuropea: incontro con diverse culture alla luce della nostra
fede ».
Incontri
TORINO — Sabato 5 novembre alle
ore 16 presso la sala valdese di via
Pio V, 15, nell’ambito delle attività del
SAE e nel quadro del tema dell'anno: Le diverse concezioni cristiane
dell’ecumenismo. Il prof. Oreste Aime
(docente di filosofia morale) presenterà la posizione della chiesa cattolica di fronte aH’ecumenismo.
Seguirà un'agape fraterna.
TORINO — Sabato 12 novembre,
alle ore 15, presso la Sala valdese di
via Pio V, 15 (I p i avrà luogo un convegno sul tema: Non uccidere: un principio etico per i’era atomica. Sono
previste relazioni di Luigi Bonanate,
ordinario di relazioni internazionali
(« Il diritto di uccidere »); Rodolfo Vendlttl, pres. di sezione presso la Corte
d'Appello di Torino (« Il diritto di non
uccidere >); Giannino Piana, docente di
teologia morale (• Al di là del "non
uccidere’’ »).
À
9
4 novembre 1988
vita delle chiese 9
PONTICELLI: I VENT’ANNI DI "VILLA BETANIA”
CRONACA DELLE CHIESE DELLE VALLI
Più che un ospedale Sui passi di Paolo
Un’opera che si deve a tutto l’evangelismo napoletano e che svolge
una funzione importante in una zona priva di altri presidi sanitari
« ...Villa Betania è ben più che
un ospedale; è la risposta a una
chiamata, una sperimentazione
dell’amore di Cristo nel tempo
presente; questo inquieto presente napoletano, così acutamente
caratterizzato dal permanere di
antiche schiavitù e di nuovissime
tecnologie, di impulsi di liberazio.ne e d’infinita, sorridente, rassegnazione »; così si esprime Sergio Nitti, presidente dell’ospedale.
Gli fa eco Giorgio Bouchard, nel
corso della predicazione celebrativa del ventennale: « ...medici, infermiere, diaconesse e tutti quanti che lavorate qui e sostenete
questo ospedale: noi vi chiediamo ben più che un ospedale, più
che una casa efficiente, più di una
casa in cui molti confidano in
Dio. Noi vi chiediamo di essere e
di lottare affinché Villa Betania
sia il pezzo di terra di Naaman ».
(Naaman, come si sa, era il generale assiro che, guarito da Eliseo e divenuto credente, chiese
ai profeta di portare con sé a Damasco un po’ di terra d’Israele,
per quivi meglio adorare l’Eterno - cfr. Il Re 5).
Mci se questo è il primo senso
dell’ospedale evangelico Villa Betania che vent’anni fa veniva inaugurato a Ponticelli, non è da dimenticare, come ha ben messo in
evidenza con passione e convinzione il prof. D. Maselli nella
conferenza tenutasi il sabato pomeriggio, che la progettazione, la
costruzione e la conduzione dell'ospedalé sono opera di tutto
l’evangelismo napoletano.
E’ stata ricordata l’azione del
dott. Teofilo Santi e del fratello
Fabio, indispensabile per portare
avanti e concretare il sogno degli
evangelici napoletani.
Alla festa del primi vent’anni
di vita dell’ospedale, tenutasi il
22 e 23 ottobre, sotto, un grande
tendone piazzato nel terreno retrostante l’ospedale stesso, erano
presenti tutte le componenti dell’evangelismo napoletano, dai salutisti agli avventisti, dai luterani alle Assemblee di Dio, agli
apostolici, ai battisti, ai metodisti, ai valdesi... Erano presenti le
chiese sorelle europee, col segretario generale del Gustav Adolf
13 novembre
In questa domenica tutte le
chiese valdesi e metodiste celebrano la
giornata del predicatore
locale
L’attenzione è portata sulla
necessità che il ministerio
della predicazione, basata sulla lettura della Bibbia, sia
maggiormente condiviso da
tutti i membri delle nostre
chiese. Predicare vuol dire anche studiare, non solo la Bibbia ma anche la teologia. Per
questo le nostre chiese hanno
istituito la Commissione permanente studi. Chi è interessato a questo ministerio si rivolga al pastore della propria
chiesa o direttamente alla
Commissione, presso il past.
Antonio Adamo, via Milazzo
25 - 26100 Cremona. Tei. 0372/
25598.
Villa Betania, Ponticelli: sotto il tendone, efficace soluzione logistica, siedono al tavolo della presidenza gli oratori e gli ospiti. Nella
foto in basso il numeroso pubblico convenuto per l’occasione.
Werk, Nolke, e con il dr. Glenn
G. Williams, già segretario generale della Conferenza delle chiese
europee, e tanti altri.
Erano state invitate le autorità.
11 Presidente della Repubblica,
on.le Francesco Cossiga, ha mandato un telegramma di auguri. Il
Governo si è fatto rappresentare
dall’on.le Valdo Spini, sottosegretario agli Interni; tra le varie autorità una menzione speciale va
fatta per il sindaco di Napoli,
Lezzi.
L’ospedale, è stato sottolineato,
non guarda indietro, in occasione di questi suoi primi venti anni
di vita, ma spinge lo sguardo in
avanti: attende da tempo, pur
avendo tutti i titoli in regola, la
classificazione; questa gli permetterebbe di raddoppiare i suoi posti letto, e divenire uno strumento
ancora più efficace di aiuto alla
popolazione di Ponticelli, dove
manca qualsiasi altro presidio sanitario.
Luciano Deodato
Vili CIRCUITO
Impariamo a predicare
BOLOGNA — E’ giunto sollecito il pastore Bruno Rostagno, rispondendo all’invito del consiglio dell’8” circuito (Lombardia
padana, Emilia-Romagna e Marche) e del consiglio di chiesa di
Bologna, in particolare del gruppo di predicatori locali, cinque
in una comunità di circa 160
membri comunicanti.
Sabato 22 ottobre ha fatto il
punto sul suo libro « La fede nasce dall’ascolto », edito dalla
Claudiana, che è stato riferimento, da parte di un gruppo interconfessionale di Bologna, per
riflettere su vari temi individuabili nello slogan: « impegnarci
in una teologia pratica ».
Si era ima trentina ad ascoltare la relazione di Bruno, che si
articolava, per chiarezza didattica, in quattro punti: la parabola;
il detto con cornice narrativa; il
detto con ’’centro”; la parenesi
apostolica.
Bruno Rostagno ci ha poi proposto un esame pratico: analizzare il testo di Calati 3: 21-29,
che si è studiato in gruppi.
Il lavoro a gruppi ha partorito
ben sei interpretazioni del testo,
tutte oscillanti tra i versetti 24
e 29, ma concentrate sul versetto 26.
Al termine delle esposizioni
dei gruppi, si è concluso che:
a) per la predicazione è utile
una riflessione comunitaria, ma
la sintesi va añídate al singolo.
Non è un ragionamento con reminiscenze aristoteliche o hegeliane, bensì propositivo;
b) occorre sempre sceverare
quale è il centro (il versetto o i
versetti) e l’tntenzione (la pericope) nel messaggio del testo.
Ciò per non incorrere in banali
errori di autointerpretazione o,
peggio ancora, di autoannuncio.
Danilo Venturi
Nell’ambito delle chiese di Angrogna e Pomaretto si sta organizzando un prossimo viaggio
biblico in Grecia dal 3 al 17 luglio '89, diretto dai pastori Cadier e Platone. Dopo aver visitato la Palestina (1983), la Turchia
(1985) e l’Egitto (1987) si concluderà il ciclo biblico con un itinerario sui « passi dell’apostolo
Paolo » che prevede visite ad Atene, Corinto, Salonicco e tante altre località legate a scritti neotestamentari. Sono previste inoltre visite a chiese ortodosse e
studi relativi condotti dal past.
G. Bogo.
Ci sono ancora una ventina di
posti disponibili, il costo (tutto
compreso) sarà inferiore ai due
milioni e « in loco » ci si avvarrà di una guida professionale di
lingua italiana. Il gruppo sarà
composto da italiani e avrà, come
sempre, lìn carattere e una composizione ecumenica. Per ulteriori
informazioni rivolgersi al pastore
di Angrogna, Platone (tei. 0121/
944144).
Gruppo EGEI
FRALI — Alcuni giovani di
Agape e di Frali hanno pensato
di fondare un gruppo EGEI; gli
incontri si terranno ad Agape il
martedì alle ore 20.30. Gli interessati sono vivamente invitati a
partecipare.
...Un canto nuovo
SAN SECONDO — «Cantate
al Signore un cantico nuovo ».
Questo versetto del Salmo 96 è
stato seguito dal nostro gruppo
corale il quale, per il culto della
domenica della Riforma, ha preparato e cantato tre canti nuovi:
il Salmo 96 stesso con le parole della nuova traduzione interconfessionale e musica di
John Bertalot;
« Odi et amo » di Cari Orli;
il « Padre nostro », sempre con
parole prese dalla nuova traduzione interconfessionale e musica di P. G. Colombo.
Futuro pastorale
BOBBIO PELLICE — L’assemblea di chiesa, riunitasi domenica 23 ottobre per esaminare
le proposte della Tavola inerenti la situazione pastorale, ha colto lo spirito di collaborazione e
comunione fra chiese che sta
dietro la proposta, decidendo
dunque di rimettersi alla Tavola
stessa per la provvista pastorale
all’indomani della partenza del
past. Pasquet.
• Le prossime riunioni quartierali avranno luogo lunedì 7 al
Centro, mart. 8 al Podio, mere.
9 ai Campi e giov. 10 ai Cairus.
• Domenica 6 novembre avrà
luogo il culto della Riforma, con
S. Cena.
VILLASECCA — Dopo un’ampia e capillare informazione ed
in seguito ad un lungo e dettagliato dibattito assembleare, la
nostra comunità, pur rendendosi
conto del delicato problema riguardante la dislocazione delle
forze pastorali nella sistemazione del campo di lavoro dei prossimi armi, nell’Assemblea del 9
ottobre ha deciso, con due voti
contrari, di non rimettersi alla
Tavola per quel che concerne
rinvio del nuovo pastore allo
scadere del corrente quattordicennio nel 1990.
• Nel culto di domenica 6 novembre sarà celebrata la Cena
del Signore. In questo culto sarà ricordata la domenica della
Riforma. La colletta sarà devoluta a favore della Società Biblica
Italiana.
Studi biblici
gio comunitario; verranno offerte le caldarroste.
• Riprendono gli studi biblici settimanali: da quest’anno,
accanto al tradizionale appuntamento del lunedì sera, si aggiunge la possibilità di incontro alle
ore 17.30 del sabato presso la
casa unionista; l’inizio è previsto rispettivamente lunedì 7 e
sabato 12 novembre.
Lutto improvviso
ANGROGNA — Profonda impressione ha destato in valle
l’incidente stradale che ha tolto
la vita a Claudio Rivoira, 40
anni, titolare della trattoria « La
Vaccera». Mentre tornava, martedì 25 sera, ¿tal raccogliere legna con il proprio trattore improvvisamente, in località Serre,
una ruota si staccava dal mezzo che, senza controllo, andava a
stringere contro un muro lo sfortunato conduttore. Una massa
imponente di persone ha partecipato giovedì 27 ai funerali svoltisi nel tempio del capoluogo a
testimonianza dei tanti legami
umani che Claudio aveva saputo
tessere. Alla moglie Jolanda, ai
piccoli Silvia di 11 anni e Gianni
di 7, alla sorella di Claudio, Marina, e ai suoi genitori rinnoviamo la nostra cristiana solidarietà.
• Domenica 6 novembre, dopo il culto di presentazione dei
vari gruppi di attività della nostra comunità, a cui parteciperà
la corale, e il dono della Bibbia
ai catecumeni del primo anno di
catechismo e la predicazione del
candidato in teologia Ruggero
Marchetti, avremo nella sala
un’agape fraterna (richiedere
al più presto i biglietti agli anziani), organizzata dall’Unione
femminile.
• Le riunioni quartierali di lunedì 7 al Baussan e martedì 8
ai Jourdan, entrambe alle ore 20,
s'aranno incentrate sulla situazione del futuro pastorale di Angrogna.
TORRE PELLICE — Domenica 6 novembre alle ore 14.30,
presso la scuoletta dell’Inverso
Rolandi, avrà luogo un pomerig
Domenica 6 novembre
□ GIORNATA
DELL’OSPEDALE
VALDESE
POMARETTO — Con il culto presso
il tempio valdese ha inizio la giornata
deH'ospedale; fanno seguito una visita guidata ai nuovi locali dell'ospedale e, nel pomeriggio, presso II cinema Edelweiss, un convegno con vari interventi.
Giovedì 10 novembre ~
□ COLLETTIVO BIBLICO
ECUMENICO
PINEROLO — Il collettivo biblico
ecumenico dedica quest'anno i suoi
incontri al « cammino conciliare di
preparazione deH'assise mondiale del
cristiani su giustizia, pace e salvaguardia della creazione Il prossimo appuntamento, alle ore 20.45 del 10 novembre, vede una riflessione sul tema:
« Le tappe principali del cammino conciliare. La riflessione sulla conciliarltà. Quale chiesa e quale rapporto tra
le chiese ». L'incontro ha luogo presso la comunità di S. Domenico, v.le
Savorgnan d'Osoppm, 1.
Introduce il pastore Sergio Ribet.
Sabato 19 novembre
a CORSO DI ANIMAZIONE
BIBLICA FFEVM
TORRE PELLICE — Presso la foresteria ha luogo un corso di animazione biblica sul tema: . I credenti
di fronte al problema della violenza
nella famiglia ». L'incontro prosegue
domenica 20 novembre.
Per informazioni rivolgersi a Wanda
Rutlgliano, 10060 Riclaretto; telefono
(0121) 808817.
10
10 valli valdesi
4 novembre 1988
DROGA IN VAL PELLICE
Una dimensione da area urbana
Oggi
e domani
La difficile ricerca delle origini del problema: ogni individuo ha una diversa storia alle spalle - Un fenomeno sempre in aumento - L’uso di sostanze « legali » e il problema dell’ AIDS
Manifestazioni
Di droga si muore (lo dicono
le cronache degli ultimi giorni)
sempre più e la campagna di coloro i quali vorrebbero puniti
non soltanto gli spacciatori ma
anche i consumatori riprende vigore.
La situazione in vai Pellice, da
tempo, è quantitativamente paragonabile a quella urbana; im
tentativo di risposta viene, a partire dal 1981, dal servizio tossicodipendenze della USSL 43 che
può contare sul lavoro di un’équipe composta da un medico, dalle
assistenti sociali operanti nei distretti di base, da una psicoioga,
un operatore del servizio di salute mentale ed uno del settore
tempo libero della Comunità
montana.
Affrontiamo l'argomento con il
dott. Laterza, responsabile del
settore. « All'inizio degli anni '80,
nei primi tempi di funzionamento,
queste équipe dovettero pagare
lo scotto tipico degli inizi: si poteva distribuire ai tossicodipendenti il metadone e in molti casi
accadde che proprio a questa attività ci si limitasse. Successivamente l'uso di questo farmaco
sostitutivo è stato sempre più criticato, in quanto i risultati si so
no dimostrati molto scarsi o limitati a poche settimane ».
Passata questa fase, come opera ora l’équipe?
« Oggi si lavora cercando di impostare dei progetti globali riferiti naturalmente al singolo utente, in cui può anche entrare lo
scalare metadonico, ma in generale si cerca di scavare di più
nelle origini (cosa molto difficile) del problema. Si cerca perciò
di coinvolgere le famiglie o comunque delle persone con cui
l'utente ha dei rapporti significativi ».
Quali risultati avete riscontrato in seguito a questo tipo di intervento?
« E’ praticamente impossibile
avere dei riscontri in questo senso; l'unica possibilità potrebbe
derivare da una persona che, una
volta uscita dal "giro", tornasse
qui parlando delle sue esperienze, ma ciò non è fin qui accaduto.
In pratica ci dobbiamo limitare
al "sentito" degli operatori, ma
non si tratta in questo caso di
dati accettabili: questo è un aspetto fortemente critico del problema ».
E’ dunque estremamente difficile quantificare il fenomeno droga in vai Pellice...
« Praticamente impossibile; al
servizio vengono quasi esclusivamente persone che hanno intrapreso questa strada da tempo,
4-5 anni in genere; la cifra degli
utenti è in questi anni in aumento: siamo arrivati ad una cinquantina, con una percentuale del
25% di sesso femminile ed un'età
in misura preponderante intorno
ai 25 anni. E' per altro noto che
fra le persone che fanno uso di
stupefacenti l'età di inizio è molto giovane, ma noi raramente le
vediamo. E' pertanto difficile stabilire con esattezza l'entità numerica del fenomeno: è sicuramente in aumento, forse anche
superiore alle medie nazionali,
ma non sarebbe corretto dire che
sulla base degli utenti del servizio e di determinati parametri
nazionali ci sono 4 o 500 tossicodipendenti.
Tra l'altro dobbiamo rilevare,
ma ancora una volta ci è impossibile quantificarlo, un forte ricorso all'uso di sostanze "legali"
tipo gli psicofarmaci, talvolta in
azione combinata con prodotti
alcoolici, con effetti micidiali ».
L’origine del fenomeno ha spesso nature diverse, cause particolari; è tuttavia possibile individuarne alcune ed anche la prove
COMUNITA’ MONTANA VAL PELLICE
Sì di tutti per la pista al Pra
Sulla base di una norma CEE saranno disponibili dei fondi per la realizzazione di infrastrutture rurali e per interventi di forestazione
Insolitamente affollata di pubblico l’aula consiliare della Comunità Montana Val Pellice in occasione deU’ultimo consiglio; la
causa? Si doveva decidere sul
programma triennale di intervento neH’ambito del regolamento
CEE che attribuisce alla Comunità Montana Val Pellice oltre un
miliardo di lire, da utilizzarsi nel
periodo ’88-’90 per infrastrutture
rurali e forestazione: fra le opere
previste c’è l’apertura di una pista agro-silvo^pastorale interpoderale e relative opere connesse
(muri di sostegno e attraversamenti) tra Villanova ed il Pra.
Nelle ore precedenti alcuni ambientalisti avevano diffuso un volantino invitando ad esprimere il
proprio dissenso su tale progetto
con la presenza in consiglio; sicuramente, a parte i consiglieri
(e forse neppure tutti), pochi dei
presenti erano pienamente convinti di quanto si andava approvando.
Dunque i consiglieri hanno dato il via all’operazione, un intervento che aveva suscitato parecchie discussioni in Giunta, prima
di arrivare alla deliberazione approvata che prevede una spesa
di 344 milioni, mentre un primo
progetto, su cui si era discusso,
prevedeva dei costi decisamente
inferiori. Tuttavia bisogna rilevare che non è stato approvato un
progetto, bensì il tipo di intervento.
Tutti d’accordo? Apparentemente sì, a parte l’astensione del liberale Merlo, ma con qualche
distinguo.
Suppo (PCI), lamentando che
« il dibattito su questo progetto
è stato scarso nelle sedi istituzionali ed abbondante sui giornali », ha fatto notare che se il
Pra è da considerarsi patrimonio
di tutta la valle ed il suo svilup
po importante, si sarebbero dovute orientare su questo progetto ancora maggiori risorse, evitando la logica della distribuzione a tutti i comuni.
Al contrario. Calieri di Sala
(DC) ha espresso al cime perplessità perché gli interventi derivanti dal regolamento CEE « risultano mal distribuiti, con carenze
nella bassa valle ». iD’accordo « in
linea di massima » il capogruppo
della sinistra indipendente, Davit, l’unico ad esprimere soddisfazione piena è stato Stefanetto, a nome del gruppo socialista.
Cosa sarà dunque questo collegamento Villanova-Pra?
In base a quanto descritto nella delibera si tratta unicamente
di pista ad uso agricolo, i finanziamenti CEE del resto sono chiaramente indirizzati a questo scopo; che poi, neppure troppo velatamente in alcuni casi, si voglia
vedere questa pista come primo
passo verso una strada di collegamento con la Francia o comunque ad uso turistico è un fatto
sicuro su cui gli uni dovranno
vigilare, gli altri usare la massima oculatezza nella gestione.
« Ma — ha precisato il sindaco
di Rorà, nonché tecnico provinciale, Odetto — per avere una
strada con tutti i crismi occorrerebbero più di due miliardi al
chilometro ».
ce e Villar Pellice per diradamenti nelle zone boschive e rimboschimenti.
Ancora al centro dell’attenzione il comune di Bobbio con il
progetto di giardino botanico al
colle Barant, una superficie di 17
mila metri quadri, dove il CAI
vuole creare un’area di studio di
tutte le specie vegetali presenti
con eventuale inserimento di altre specie della zona alpina. I lavori preventivati dovrebbero costare intorno ai 32 milioni di lire, secondo quanto dichiarato
dall'assessore Girando. Verrà nominata una commissione mista
di esponenti CAI e di amministratori locali, incaricata di seguire gli sviluppi del progetto.
Infine l’assessore all’agricoltura, Bellion, ha illustrato gli interventi decisi a sostegno di una
campagna di verifica e disinfestazione, mediante distribuzione gratuita agli apicultori di un prodotto chimico contro la diffusione in valle della varroasi, un micidiale acaro parassita delle api
che nel volgere di pochi anni è
in grado, se non si interviene, di
distrugizere un apiario e che ha
ormai invaso quasi tutta l’Europa.
P.V.R.
.intanto il CAI.
Se la parte del leone, sui finanziamenti CEE, l’ha fatta il comune di Bobbio, va comunque
segnalato che anche altri comuni riceveranno dei fondi (Bibiana, Lusernetta e Angrogna, quest’ultima per la realizzazione di
vasche di raccolta e di carico di
acqua e per le tubazioni dell’acquedotto ad uso agricolo) per le
infrastrutture.
Altri 378 milioni verranno utilizzati dai comuni di Torre Pelli
Intanto il CAI Val Pellice ha
distribuito con l’ultimo numero
del suo bollettino « La ciardóssa » un questionario in cui chiede ai soci di pronunciarsi in merito al progetto di valorizzazione
agricola e turistica del Pra.
L’esito di questo vero e proprio
referendum sarà esaminato nel
corso di una assemblea generale
che avrà luogo domenica 27 novembre e che darà il responso
finale su cosa ne pensa il CAI
sull’intera questione.
nienza territoriale degli utenti
del servizio?
« I dati in nostro possesso evidenziano un maggior afflusso dai
due comuni principali della valle, Torre e Luserna, anche se vi
sono casi in tutti gli altri comuni; per quanto riguarda le cause,
è chiaro che restano validi i canoni della difficile situazione familiare o della difficoltà a trovare un lavoro stabile, ma c'è
anche chi un lavoro ce l'ha e lo
svolge con una certa regolarità.
Indubbiamente il problema occupazionale è grosso ed infatti nell'attività dell'équipe si cerca anche di affrontare questo aspetto ».
Si è pensato all’ipotesi di convenzioni con centri di recupero e
reinserimento di tossicodipendenti?
« Stiamo adesso avviando la discussione; tra l'altro si è più volte evidenziata l'esigenza di ricoverare gli utenti in ambienti un
minimo protetti, tipo gli ospedali. Su questo fronte bisogna aggiungere che in alcuni casi il ricovero è determinato da patologie legate all'uso di queste sostanze. Un problema grave è quello dell'AIDS, su cui non abbiamo
dati: accade che la stessa persona abbia nel giro di un anno anche dei test discordanti sulla sieròpositività; i casi di positività
esistono certamente, e ciò va vissuto non come situazione di malattia; ma come un campanello
d'allarme ».
Piervaldo Rostan
S. GERMANO — Domenica 13 novembre, con partenza alle ore 9.30, si
svolgerà la 3" edizione della « Strasangermano », camminata non competitiva per i borghi; le iscrizioni si raccolgono, dietro versamento di 4.000 lire, fino al giorno stesso della camminata. Il ricavato verrà devoluto per la
costruzione dell’Asilo dei vecchi. In
caso di maltempo la manifestazione
si effettuerà domenica 20 novembre.
Cinema
TORRE PELLICE — Il cinema Trento
ha in programma « Good morning Vietnam » sabato 5 novembre alle ore 20
e 22 e domenica 6, ore 16, 18, 20 e 22.
Venerdì 4 novembre alle ore 21.15,
nell’ambito della rassegna di film di
autore, viene proposto « Quarto comandamento » di Tavernieri il film è
una violenta denuncia dei mutamenti
che la storia, nel suo cammino, dimentica di registrare.
Segnalazioni
PINEROLO — Giovedì 3 novembre,
organizzata presso il centro sociale
di via Lequio 36, si svolgerà una serata di testimonianze sulla situazione
delle donne in Nicaragua, raccontata da
Anna Novello, e sui problemi economici, presentati da Cristian Cavagna.
Autunno in vai d’Angrogna
ANGROGNA — Nell’ambito dell’Autunno in vai d’Angrogna, sabato 5
novembre, alle ore 20.45, presso la
scuola di Pradeltorno avrà luogo un
incontro sul tema: « Aree attrezzate
per il turismo in vai d’Angrogna: dove costruirle? ». Seguirà una proiezione di diapositive sulla montagna a cura
di Sergio Mantovani.
POMARETTO
Nucleare, no grazie!
Con la deliberazione adottata
dal consiglio comunale nello scorso luglio e divenuta esecutiva il 21
settembre, Pomaretto rientra nei
numerosi comuni italiani che
hanno dichiarato che « non prevedono di inserire nei propri strumenti urbanistici alcuna installazione nucleare, sia di utilizzo militare che civile, come pure installazioni inquinanti ».
Con la stessa delibera il comune di Pomaretto si impegna « in
una politica di iniziative ed interventi per la diffusione e l’affermazione di una cultura per la
pace: le iniziative saranno rivolte alle scuole ed ai giovani, promuovendo dibattiti, ricerche, mostre sui temi del disarmo, del
sottosviluppo e della fame nel
mondo » e dichiara di « aderire
al comitato pace e disarmo Valli
Chisone e Germanasca, avendo riconosciuto l’identità degli obiettivi e delle modalità di impegno».
Il consiglio comunale di Pomaretto, già negli anni passati, aveva discusso ed approvato analoghe delibere per la denuclearizzazione del territorio comunale:
la prima nel giugno del 1984
e la seconda nel gennaio del
1985, ma entrambe erano state
annullate dal Co.Re.Co.. Con
l’approvazione dell’attuale delibera il comune potrà ora impegnarsi attivamente in una politica che si fondi sugli ideali della
pace, che respinga la logica degli armamenti, che costruisca
una cultura di pace denunciando
ogni forma di ingiustizia, di sfrut
tamento, di dominio, di utilizzo
delle forze della violenza quali
strumenti per risolvere i contrasti di interessi e di ideologie. Il
comitato pace e disarmo Valli
Chisone e Germanasca, che ha
aderito all’associazione per la pace, ringrazia in un comunicato
« il consiglio comunale di Pomaretto ed il sindaco in particolare,
che ha dimostrato da anni di essere veramente interessato e partecipe alle tematiche della pace
e della giustizia e si augura che
alla delibera seguano impegni
concreti ».
Auguri!
Redattori e tipografi si rallegrano
con Pierluigi Sertin, prezioso linotipista, unitosi in matrimonio con Sylvie Giraudo, sabato 29 ottobre.
COMUNE DI ANGROGNA
Avviso
E’ indetto pubblico concorso per titoli ed esami ad un
posto di « operaio addetto
alla guida di mezzi meccanici
e di autobus di linea ed all’esecuzione di lavori in economia ».
Titolo di studio richiesto:
licenza scuola media inferiore; titoli professionali: patente di guida D e Gap (KD).
Scadenza : 30 novembre 1988.
Per informazioni rivolgersi
alla segreteria del Comune.
IL SINDACO
(Co'isson prof. Franca)
11
4 novembre 1988
valli valdesi 11
UN PROBLEMA PER I COMUNI PIU’ PICCOLI
Si chiuderanno ie scuole
in montagna?
Negli ultimi mesi sono stati assunti o proposti molti interventi
volti ad accorpare le realtà scolastiche più piccole, spesso situate
nei comuni montani, in un’ottica che viene definita di razionalizzazione di un servizio primario che, se attuata in modo radicale e
forse anche semplicistico, penaiizzerehbe in modo preoccupante le
zone di alta montagna.
Perciò molti comuni si sono da tempo attivati, forze politiche
sensibili al problema hanno proposto il confronto con le autorità
preposte. La minaccia di soppressione di istituzioni scolastiche coinvolge in modo pesante le valli alpine (basti pensare che su 1.100
pluriclassi funzionanti sul territorio nazionale, ben 400 si trovano
nella provincia di Cuneo ) e 1’« Autunno in vai d’Angrogna » ha rappresentato, con due incontri suil’argomento, un’uiteriore occasione
per rilanciare il dibattito. Pubblichiamo, accanto alla cronaca di
questi due incontri, anche aicune riflessioni di Marco Armand Hugon
coinvolto sotto due vesti dalla questione, in quanto amministratore locale e direttore didattico.
Angrogna ha ormai toccato il
minimo storico di allievi nella
scuola elementare: 14. Eppure
qui, ottant’anni fa, c’erano centinaia di alunni. Quello che nel
fi'àttempo è successo lo sappiamo tutti: emigrazione, spopolamento, denatalità. E il declino
numerico continua lentamente,
inesorabilmente. Le analisi proposte nel primo incontro sulla
scuola — a cui tra gli altri è intervenuto l’on. Soave della Commissione istruzione della Camera dei Deputati — concordano
neirindividuare lo ’’scivolamento
verso la pianura” sostanzialmente in due motivi: perché si è anziani e si teme l’isolamento; oppure, essendo giovani, si cerca di
■avvicinarsi il più possibile al
proprio posto di lavoro. C’è anche chi vede una delle cause
dello ’’.scivolamento a valle” nell’assenza di edilizia popolare che,
in parte, avrebbe potuto frenare
l’emorragia di questi anni. Ma
su quest’ultimo punto i pareri
sono discordi.
La scuola è solo un aspetto
del più vasto problema della
montagna penalizzata da provvedimenti governativi che tendono a renderla economicamente e
culturalmente sempre più marginale. La stessa legge finanziaria prevede tagli sui trasporti,
sulla scuola, sull’assistenza e
tutto questo finirà per ripercuotersi sulle realtà più deboli, come appunto la nostra.
« Ma abbandonare la montagna — ha detto Soave — implica il costo del degrado dell’ambiente naturale, che, finirà con
l’essere alla lunga più oneroso
dell’aiutare oggi economicamente chi in montagna vuole restarci. Il governo da quest’orecchio
non ci sente». Cosa fare dunque? Si tratta d’inventare nuovi
modelli di sviluppo anziché at
tardarsi su modelli di pura sopravvivenza e lottare allo stesso
tempo per ottenere misure legislative di tutela per chi rimane ancora in alta montagna.
Nelle regioni a statuto speciale, come la Valle d’Aosta o
il Trentino, queste ultime cose
sono già, da tempo, operanti.
« Perché — si chiede Soave —
non dovrebbero succedere anche nelle regioni a statuto ordinario? ».
Intanto la soppressione degli
uffici di collocamento in zona e
il progetto di unificazione sia
delle USSL sia delle direzioni didattiche sono inequivocabili segni di una razionalizzazione accentratrice che guarda solo alla
realtà delle cifre. Dietro ai ’’tagli” c’è una profonda disattenzione politica nei confronti dei
problemi della montagna.
E’ chiaro che se chiuderanno
anche le ultime scuole di montagna, sarà lo Stato stesso ad
andarsene per sempre d:ai piccoli comuni montani.
Ancora sulla scuola, in un successivo incontro, ha parlato il
maestro Mario Lodi da sempre
impegnato, nella bassa padana,
a costruire con i suoi allievi una
comunità scolastica aperta ai
problemi della società. Autore di
numerosi libri e di battaglie per
creare un'a scuola realmente capace di formare coscienze libere e critiche, ha cercato di rispondere all’interrogativo posto
dall’eventuale chiusura della piccola scuola di Angrogna. Lodi ha
lungamente raccontato del suo
lavoro nella scuola e del suo metodo basato sul profondo rispetto per l’altro che lo ha portato a scoprire in ogni bambino
un mondo culturale in parte già
costruito, in parte da costruire
nell’ascolto, nel dialogo, nell’avventurarsi insieme sui vari terreni della conoscenza. Il maestro
di Piadena concorda nella convinzione di mantenere aperte le
piccole scuole, soprattutto là dove c’è una chiara identità culturale.
Sul come mantenere vive le sedi periferiche rendendole capaci
di moltiplicare le occasioni di
socializzazione per i bambini, è
intervenuto il direttore didattico
Eynard che ha proposto di valorizzarle anche come ’’laboratori” in cui portare (dal centro
alla periferia), a turno, i bambini
per svolgere nuove, interessanti
attività. Di questa proposta di
’’interscambio” tra le sedi scolastiche si sta discutendo in sede di Consiglio di Circolo. Se un
progetto del genere si concretizzasse, il giorno della chiusura
delle scuole di montagna si allontanerebbe. E forse la tendenza a ’’scivolare” verso il basso
potrebbe avere una prima battuta d’arresto. Speriamo.
G. Platone
Un’altra «tegola» sui comuni
Gli anni del dopoguerra hanno
evidenziato il progressivo abbandono da parte dello Stato dei problemi dei comuni montani, con
una significativa eccezione.
Correva l’anno 1971, lo Stato
istituì le comunità montane. Fu
una svolta importante, un modo
nuovo di affrontare il problema
montagna da parte dello Stato;
ma fìi anche mia fugace illusione. La storia delle comunità montane è storia troppo conosciuta
per essere narrata: lo Stato, ad
un certo punto, le ha dimenticate costringendo quelle comunità
che avevano ben lavorato a sopravvivere a malapena.
In questi ultimi anni si è ricominciato a parlare dei comuni
montani, ma non per cercare di
rivitalizzarli, per cercare di por
freno all’abbandono, per aiutare
gli amministratori a governare
meglio il territorio, bensì per dire che tali cornimi dovevano definitivamente sparire, accorparsi
con quelli più grossi. Anche le
leggi emanate circa la « tutela
ambientale » hanno finito — attraverso vincoli sempre più stretti — per rendere diffìcile e talora
impossibile la vita dei pochi montanari rimasti, con la conseguen
BIBIB^F
tappeti persiani di qualità
garantisce
la qualità e ii iuogo d’origine dei tappeto
persiano
APERTO alla DOMENICA
Esposizione: Torre Pellice • P,zza Municipio, 1 - @ 0121/91430
Torino - Via dei Mille, 29 A • @ 011/8395450
za evidente che gli emarginati di
ieri sono, oggi, sempre più emarginati.
Ma un altro atto si sta preparando: la chiusura delle scuole
di montagna. Il comitato ristretto della VII commissione della
Camera dei deputati ha varato
un testo di legge riguardante i
nuovi ordinamenti per la scuola
elementare prevedendo che il numero degli alunni per ciascuna
scuola dovrà essere superiore a
venti. Gli alunni delle scuole inferiori alle venti unità dovranno
essere concentrati in altri plessi,
« con accorpamenti di plessi e
concentrazioni di alunni nelle
classi ». Se pensiamo alle realtà
di montagna, nelle quali vi sono
scuole che funzionano già attualmente, nella quasi totalità, ben
al di sotto dei venti alunni abbiamo subito un quadro chiarissimo: migliaia di scuole sono destinate a sparire sul territorio
nazionale.
Ma non basta. Vi sono scuole
di montagna che da anni funzionano a tempo pieno, cioè con un
orario prolungato per gli alunni
anche al pomeriggio. Con non pochi sacrifici gli amministratori
comunali hanno garantito i servizi di mensa e trasporto, hanno
migliorato le condizioni edilizie,
talvolta hanno costruito nuovi edifici, dimostrando di volere la
scuola. Attraverso la scuola a
tempo pieno si sono realizzate esperienze culturali importanti,
spesso si è garantito l’insegnamento della lingua locale o di
una lingua straniera (in Val Pellice, per esempio, quasi tutte le
scuole elementari sono a tempo
pieno con insegnamento di una
seconda lingua).
Il testo di « riforma » fa piazza pulita di queste esperienze.
Non solo si chiuderanno le scuole ma, accorpando, si peggiorerà
anche il servizio. Scomparirà di
fatto il tempo pieno. Al posto vi
sarà una scuola di ventisette ore
articolata « a piacere »: cinque o
sei giorni settimanali, con alcuni
ritorni pomeridiani, oppure solo
al mattino (con le ore di cinquanta minuti?). Scomparirà l’insegnamento della seconda lingua
(francese, inglese) là ove era stata inserita anche nelle prime due
classi elementari. Spunterà solo
in terza elementare, ma comunque non subito. Dell’insegnamento del « patois » locale manco si
parla. E d’altronde, con le previsioni di accorpamento, a che cosa e a chi servirebbe?
Non credo che la gente delle
nostre montagne, della nostra
valle, le amministrazioni comunali, la comunità montana, potranno accettare supinamente il balzo indietro che il testo di riforma (se rimarrà così) introdurrà
anche nella nostra realtà montana. Ma è tempo di reagire, in
tutte le possibili sedi, per cercare di salvare almeno il salvabile.
Marco Armand Hugon
RINGRAZIAMENTO
« Ora solo tre cose contano : fede, speranza, amore. La più
grande di tutte è l’amore ».
(I Corinzi 13 ; 13)
E’ mancato aU’affetto dei suoi cari
Enrico Griglio
Nel dame il triste annuncio la moglie Annemarie, il figlio Riccardo con
Susanne, il fratello Carlo ed i parenti
tutti ringraziano sentitamente quanti
hanno preso parte al loro dolore.
Algetshausen (CH); 20 ottobre 1988.
ARREDAMENTI
Mobilificio
GIUSEPPE GRIVA
FABBRICA • ESPOSIZIONE
Via 8. Secondo, 88 - PINEROLO - Tel. (0121) 201712
(di fronte Caserma Alpini « Berardi »)
RINGRAZIAMENTO
« Vegliate dunque perché non
sapete né il giorno, né Vora ».
(Matteo 25: 13)
Figlie, fratello e familiaTi di
Carlo Alessio Rivoira
anni 67
commossi e riconoscenti ringraziano
tutti per l’affetto dimostrato. In particolare i vicini di casa, il pastore Platone e il doti. Bevacqua.
Angrogna, 21 ottobre 1988.
RINGRAZIAMENTO
« Io sono venuto come luce nel
mondo, affinché chi crede in
me non rimanga nelle tenebre ».
(Giovanni 12: 46)
La moglie e le figlie del caro
Renzo Geymonat
commosse per la grande dimostrazione
di affetto tributata al loro caro, ringraziano parenti, amici, conoscenti e
tutti coloro che sono stati loro vicino
in questa triste circostanza. Un ringraziamento particolare al dott. Flavio
Maina, che sempre si è prodigato per
Renzo e per i suoi familiari, ai medici e al personale infermieristico dell’Ospedale Civile di Pinerolo, al .pastore Marco Ayassot, ai compagni e docenti di Elisa e Manuela.
Bricherasio, 22 ottobre 1988.
RINGRAZIAMENTO
I familiari di
Edoardo Monnet
anni 84
ringraziano tutti coloro ohe gli sono
stati vicino. In particolare il medico
curante, il personale medico e paramedico delTOspedale valdese di Torre Pellice e quello delTOspedale Civile di
Pinerolo (reparto chirurgia) e il pastore valdese di Angrogna.
Angrogna, 23 ottobre 1988.
RINGRAZIAMENTO
« Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa,
ho serbato la fede ».
(II Timoteo 4: 7)
E’ mancata aU’affetto dei suoi cari
Anna Maria Bertalot
ved. Benech
di anni 92
La famiglia ringrazia quanti hanno
preso parte al suo dolore. Un particolare ringraziamento al pastore Giuseppe Platone.
Angrogna, 26 ottobre 1988.
RINGRAZIAMENTO
« Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa,
ho serbato la fede ».
(II Timoteo 4: 7)
Si è spento all’età di 91 anni
Luigi Davide Peyrot
(Clot)
Lo annunciano i figli Emilio e Gino, le nuore Rina ed Irene, i nipoti
Sergio, Dino, Iris, Danilo e Franco
con le rispettive famiglie, Ivonne e
Remo Grill.
Si ringraziano in modo .particolare il
pastore Plescan ed il dott. Meli.
Frali (Ghigo), 30 ottobre 1988.
RINGRAZIAMENTO
« Fattosi sera, Gesù disse : passiamo all’altra riva... ».
(Marco 4: 35)
Il nipote ed i parenti tutti di
Maddalena Piston ved. Coisson
di anni 87
ringraziano sentitamente quanti si sono uniti al loro dolore. Esprimono
particolare gratitudine al pastore Platone, al personale e agli ospiti . del
Foyer di Angrogna-Serre, al dottor Bevacqua ed al personale medico e paramedico dell’Ospedale di Torre Pellice.
Angrogna, 31 ottobre 1988.
12
12 fatti e problemi
V
4 novembre 1988
ELEZIONI MUNICIPALI IN SUD AFRICA
Astensione:
un atto di eroismo
La popolazione nera non ha assecondato la "concessione” del regime
segregazionista - Le prime ritorsioni saranno di carattere economico
Anche le elezioni municipali in
Sud Africa sono ormai cosa fatta.
Fra i neri, solo quelli residenti legalmente nei ghetti ai confini delle città del Sud Africa bianco
hanno avuto accesso al voto: non
più di un quarto dell’intera popolazione. Comunque, per svariate
ragioni, non tutti gli adulti con
diritto di voto vengono iscritti
nelle liste elettorali, così che vi è
sempre una discrepanza fra i dati ufficiali e quelli di fonte non
governativa.
voto è stata un atto di eroismo,
a causa della presenza massiccia
deU’esercito e della polizia che
presidiano i ghetti da due anni e
mezzo.
In questa occasione Tafflusso
alle urne è stato del 10,8% secondo le autorità governative, e del
2,8% secondo i dati raccolti sul
territorio da varie organizzazioni
non governative. Fa eccezione il
ghetto di Kaylisha, nei pressi di
Città del Capo (chi ha visto il
film « Grido di libertà » certo lo
ricorderà), che ha dato im afflusso rispettivamente del 43% e del
34% a seconda della fonte di rilevamento. Come mai ima percentuale tanto alta rispetto alla media nazionale? Kaylisha è pesantemente controllata dai « vigilantes », squadroni della morte composti da delinquenti comuni e
collaborazionisti addestrati e pagati per mantenere l’ordine con il
terrore, seminato giorno dopo
giorno e notte dopo notte.
Certo l’appoggio che le chiese
hanno dato a favore dell’astensione è stato di grande peso e significato. Una voce contraria a questa linea di comportamento è venuta dalle chiese pentecostEdi che
dichiarano di non volersi esprimere sull’apartheid per non immischiarsi in questioni politiche,
ed hanno invitato tutti ad ubbidire e votare.
Il governo di Pretoria sta ora
ampiamente strumentalizzando
questo minimo di votanti, additandoli quale esempio di vittoria
della ragione e della moderazione
sull’estremismo con l’accettazionè delle regole della democrazia.
Ma dappertutto l’astensione dal
Per ir popolo nero uno dei primi effetti di queste elezioni potrebbe essere catastrofico. Le autorità municipali sono pagate per
mezzo di una tassa speciale: si
tratta della tassa sul sito dove
sono erette le baracche o casupole date in abitazione, più la tassa
di locazione (e queste non sono
le sole tasse che i neri pagano,
naturalmente!). Di anno in anno
queste tasse si sono fatte sempre
più esose, e ogni rimostranza civile e pacifica è stata pesante
SCHEDA
Una procedura
pseudodemocratica
Per capire la portata delle elezioni municipali del 26 ottobre
e il senso del boicottaggio richiesto all’elettorato nero, occorre
fare un peisso indietro, fino al
1983, quando fu approntato dal
governo Botha il progetto della
Costituzione, poi adottata nel
1984. Erano previste, in origine,
tre « camere » che formano il
parlamento: una di deputati
bianchi (178), una di meticci
(85) e una di indiani (45). In tal
modo (rapporto di4a2al)la
supremazia bianca è assicurata.
vrebbero a loro volta eletto un
collegio elettorale da cui sarebbero uscite 9 persone, destinate
al Consiglio nazionale di stato:
organismo dotato del solo potere consultivo, e finora solo allo
stadio di progetto, esso dovrebbe essere presieduto dallo stesso Botha. Il Consiglio dovrebbe
occuparsi delle materie che interessano i neri del Sud Africa.
Con questa operazione (e qui si
colloca il secondo fine) il governo cerca di smorzare la resistenza all’apartheid.
Nacque allora il Pronte democratico unito (UDF), che si oppose al progetto: la campagna di
boicottaggio delle prime elezioni
ebbe successo: solo il 29,5% degli elettori meticci andò alle urne, e così pure solo il 20,3% degli indiani (356.557 elettori su
1.990.000).
E’ evidente invece che una tale
legislazione elettorale mantiene
tutta l’essenza della segregazione,
dandole « un po’ di trucco » in
superficie.
Nel frattempo l’UDF si occupò anche di combattere il progetto di legge di riforma delle
autoritài locali per i neri. La logica di tutti questi progetti governativi era ed è tuttora quella
di consentire ai diversi gruppi
etnici di votare esclusivamente
per gente della stessa etnia.
Così, dopo la grave crisi politica che pesa sul Sud Africa dal
1984, le elezioni del 26 ottobre
avevano un duplice scopo: da
un lato rimediare all’esclusione
dalla vita politica che colpisce
gli africani dal 1984; essi avrebbero infatti avuto il diritto di eleggere 1.763 consiglieri che a
mente colpita da pene giudiziarie.
Estrema ed ultima possibilità,
tuttora coraggiosamente usata
dagli abitanti dei ghetti, è il rifiuto di pagare le tasse sul sito e
la locazione. Ma il progetto annunciato dal governo in seguito
alle elezioni è che d’ora in poi
questa tassa sulla « vita nella baracca » venga prelevata direttamente alla fonte al momento della paga dei lavoratori.
Ci sarà mai fine alle sofferenze
di questo popolo?
Febe Rossi Cavazzutti
LETTERA PASTORALE DELLA CHIESA METODISTA
Disobbedite alle autorità
La ripugnanza per l’apartheid — quel particolare sistema^ costituzionale, legislativo e giudiziario che in Sud Africa costringe
il popolo nero in una schiavitù senza diritti e senza speranza —
sta crescendo nella coscienza dei cristiani nel mondo.
Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste si è già espresso in
proposito. L’Alleanza riformata mondiale ha dichiarato che chi
pratica l’apartheid si esclude dalla comunità dei credenti perché
pratica una eresia.
Queste ed altre condanne chiare e forti e la risonanza che
hanno impensieriscono assai il governo di Pretoria e lo costringono a compromessi che sopiscano le critiche e rendano accettabile il perdurare dell'apartheid. In questa strategia rientrano le
elezioni amministrative, prontamente smascherate e condannate da
Desmond Tutu, premio Nobel per la pace.
Presentiamo qui, quale documento di notevole significato e
portata, una lettera pastorale sottoscritta dai due presidenti e da
tutti i sovrintendenti di distretto e di circuito della Chiesa metodista del Sud Africa, indirizzata a tutto il popolo metodista sudafricano, che ammonta a circa 3 milioni di membri comunicanti, di cui
l’83% neri.
Carissimi,
L’UDF, congiuntamente al Consiglio delle chiese sudafricane
(SACC), al Congresso dei sindacati sudafricani e ad altre organizzazioni, ha dichiarato che il
sistema dell’apartheid non può
essere riformato, ma che esso
dé%e essere smanteDàto.
Queste elezioni, invece, non solo lo rinforzano ma, con cinismo, utilizzano una procedura
pseudodemocratica per proibire ai neri una vera partecipazione democratica. Troppe sono infatti le organizzazioni dichiarate fuorilegge dal governo.
La posizione del SACC è stata
appoggiata dal Consiglio ecumenico delle chiese, difflla Federazione luterana mondiale e dall’Alleanza riformata mondiale.
vi salutiamo nel nome del nostro unico Signore, e Salvatore
Gesù Cristo. Giacché prima di
ogni altra cosa dobbiamo essere
fedeli a lui, richiamiamo la vostra riflessione sui gravi problemi che le prossime elezioni, che
si terranno in Sud Africa il 26
ottobre 1988, pongono alla nostra
coscienza, rammentandovi che:
1. queste elezioni sono state
presentate come la opportunità
data a tutti i sudafricani di votare un candidato di propria scelta, ma questo è ben lungi dalla
verità in quanto:
1.1 avverranno mentre vige
lo stato di emergenza con drastiche restrizioni delle libertà individuali, la messa al bando di
gran parte di tutte le principali
organizzazioni e l’incarceramento di coloro che le rappresentano, escludendo con ciò le libertà di discussione e di scelta, essenziali per un processo democratico;
1.2 ad esse ci si avvia in un
clima intimidatorio e di paura
in cui il popolo è oggetto di propaganda di parte, supportata da
pesanti pene giudiziarie inflitte a
chiunque esprima dissenso o si
schieri per la non-partecipazione
al voto;
1.3 sono state programmate
secondo la logica di un sistema
costituzionale fondato sulla identità etnica e razziale per cui, in
effetti, sono il prolungamento di
quel regime di apartheid che tutte le chiese maggiori rigettano in
quanto negazione delle verità evangeliche e della giustizia cristiana;
1.4 le autorità amministrative
locali che usciranno elette da
questa consultazione sono le stesse che dovranno indicare i nove
nomi di coloro che siederanno in
un « Consiglio Nazionale » con il
potere di negoziare con il governo del Sud Africa proposte costituzionali per il futuro del nostro paese. Così si nega al popolo la possibilità di essere direttamente rappresentato, fatto vitale
per ogni democrazia vera, e si fa
sì ché' il governo non abbia più
bisogno di trattare con quegli
uomini che la comunità nera si
è liberamente scelta.
2. Perciò noi ci imiamo alla
voce dei rappresentanti di 16
chiese e del «South African Council of ChuTches » per fare appello alle nostre comunità e ai consigli di chiesa affinché si instauri un dibattito aperto e il più
ampio possibile in cui tutti siano informati e possano approdare ad una decisione responsabile
sulla partecipazione o l’astensione dalle elezioni.
2.1 Un dibattito cosi fatto
comprende il diritto ad appoggiare l’astensione, e noi condanniamo la proibizione che colpisce questo diritto e rifiutiamo
di sottostarvi. Per gran parte della nostra gente l’astensione dal
voto è l’unico modo per esprimere il rifiuto delle istituzioni fondate sull’apartheid e protestare
contro la negazione della libertà.
Noi li incoraggiamo a esercitare
questo diritto obbedendo alla
propria coscienza.
2.2 Se vi sono alcuni che, a
causa di particolari circostanze
locali, credono di poter influenzare col proprio voto il corso de
gli eventi realmente verso il meglio, noi ricordiamo che ogni appoggio dato aH'apartheid è peccaminoso e negazione dell’Evangelo di Cristo. Ne consegue che
solo i candidati che abbiano dimostrato di impegnarsi con sincerità e franchezza per la fine
dell’apartheid sono degni di essere sostenuti cristianamente.
2.3 Votare o non votare in
una qualsiasi consultazione elettorale nella neculiare situazione
di ingiustizia che vive il Sud Africa, dove la democrazia è parziale e l’ago della bilancia pende
pesantemente a vantaggio di una
minoranza privilegiata, non è pura e semplice questione personale. In occasioni come questa le
nostre azioni sono specchio della nostra obbedienza a Gesù, per
l’impegno che abbiamo gli uni
verso gli altri nel corpo stesso
di Cristo.
3. Siamo pienamente consapevoli che tutto ciò potrà provocare tensioni e rabbia dentro le
nostre chiese e che i nostri pastori saranno i destinatari di buona parte di questa rabbia: perciò ci sentiamo uniti a voi e del
resto noi stessi non saremo risparmiati. Siamo pronti per darvi tutti i consigli e l’aiuto che potremo.
Il prezzo della fedeltà all’Evangelo non sarà poca cosa, ma dobbiamo insistere su questo: in gioco è proprio la fedeltà. Il vero
senso di queste elezioni è il consolidamento e la legittimazione
dell’apartheid. La nostra chiesa
si è impegnata perché l’apartheid
finisca, fino dal suo primo insorgere.
Perciò:
3.1 incoraggiamo i nostri pastori perché siano certi che questa lettera pastorale sia chiaramente e ampiamente discussa fra
di loro, fra tutti i membri delle
comunità e coloro che ne sono
responsabili;
3.2 chiediamo che dispongano affinché essa sia letta o distribuita in tutte le comunità;
3.3 li raccomandiamo caldamente di prestare grande e attento ascolto ai sentimenti della
gente che vive circostanze diverse dalle proprie, con rispetto per
ogni punto di vista, nel contempo prestando aiuto ai nostri affinché sappiano affrontare le dure sfide che l’Evangelo pone a
tutti noi.