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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE ILLVSTRATA DI STVDI RELIGIOSI
Anno VII : : Fasc. I.. GENNAIO 1918
Roma - Via Crescenzio, 2
ROMA - 31 GENNAIO 1918
DAL SOMMARIO: MARIO Rossi: I sofismi sulla guerra e la difesa della nostra latinità. Guerra di religione o guerra economica? - AGOSTINO LANZILLO: Il soldato e l’eroe. Saggio di una psicologia della guerra - LUISA GIULIO BENSO : Lamennais e Mazzini. (IV) Epistolario - M. A. GaBELLINI : Morale e religione nella vita e nell’arte di Olindo Guerrini - TRA LIBRI E RIVISTE : Religioni del mondo classico (Giovanni Costa) ; Cronaca biblica (r. e p.) - La LIBERAZIONE DI GERUSALEMME E IL SIONISMO: Notizie, voci, documenti (Giovanni Pioli).
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DII YCHNIS RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI PIÙ I 4 FONDATA NEL 1912
CRITICA BIBLICA - STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA PEDAGOGIA -FILOSOFIA RELIGIOSA MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO - SI PUBBLICA LA FINE_OI OGNI MESE. REDAZIONE: Prof. LODOVICO PaSCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WhITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero ; Via del Babuino, 107,/Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 7; Per l’Estero, L. IO; Un fascicolo, L. I. [Per gli Stali Uniti c per il Canada è autorizzato ad esigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica. B. D. Pattar* 1414 Gasile Ave. PMaddphia, Pa. (U. S. A.)J.
LA CHIESA E I NUOVI TEMPI
■ È questo un volume di grande attualità inteso a prospettare la situazione in cui si trova attualmente la Chiesa cristiana per effetto delle nuove correnti dei tempi modem», ricercando le cause della crisi che travaglia la Chiesa e i rimedi che potranno renderla atta alla sua altissima funziono di rigenerazione individuale e collettiva.
« II disegno del libro è stato concepito organicamente dall’editore, ma l’esecuzione delle singole parti è stata affidata ad altrettanti collaboratori, ognuno dei quali ha sviluppato quella questione per la quale era più competente. Vi è in questo libro a un tempo unità di indirizzo e molta varietà negli argomenti c nel suo svolgimento...
« Tutto l'indirizzo del libro si eleva al di sopra delle competizioni e lotte confessionali. Per ciò col termine di Chiesa si comprendono tutte lo Chiese in cui attualmente è divisa la Cristianità. E non c’è dubbio che in tutte le Chiese si avverte la necessità di trasformazioni o riforme che le rendano meglio atte a comprendere lo spirito dei nuovi tempi e ad interpretare ed applicare il Vangelo secondo queste nuovo tendenze.
« Ci preme di rilevare che la critica contenuta >n questo libro, vigorosa, nutrita di fatti-, nulla ha che fare con certa polemica rabbiósa, mossa da fini settari. Anzi una idea fondamentale che echeggia ripetuta-mente in questo volume e che ne costituisce la nota più alta è appunto questa: in quanto le varie Chiese si purificheranno e rinnoveranno, inevitabilmente verranno
ad accostarsi verso quella fusione, quella sintesi superiore che è una delle aspirazioni più generose dell’epoca nostra. ‘Bisogna che in tutti i rami della Cristianità diventi Eredominante la convinzione che «la hiesa non è fine a se stessa, ma semplicemente un mezzo per raggiungere quel Regno di Dio ch’era sempre il tema dei discorsi di Gesù ». Giungono dall’Inghilterra voci di unione tra tutte le Chiese cristiane per « utilizzare le immense energie spirituali del Cristianesimo, allo stabilimento di rapporti internazionali tali che rendano impossibile il ripetersi di una guerra •>. Divise da! dogma c dalle particolari organizzazioni le Chiese potranno affratellarsi sul terreno dell’azione sociale, nell’opera di rilevamento delle classi popolari.
•< Auguriamo che questo bel volume, che molto si raccomanda anche per relegante veste tipografica e l'artistica copertina, trovi numerosi lettori intelligenti, in grado di apprezzare al suo giusto valore un'opera di combattimento e di fede. E possa altresì convincere coloro che sono incerti o scettici sull’avvenire del Cristianesimo, che so la Chiesa ha avuto i suoi torti e deve necessariamente rinnovarsi, vi è nel genuino Cristianesimo una perenne potenza di vitalità, un principio incessante di rinnovazione e di elevazione spirituale, e ch’Essó si accorda c si sposa senza difficoltà ad ogni legittima e nobile aspirazione dell’epoca nostra. » T. 1...
Da Fede e Vita del 15 ottobre 1917.
Rivolgersi alla Casa Editrice Bìlychnìs, Via Crescenzio, 2, Roma. Prezzo L. 3.50.
Agii abbonati di Bilychnìe In regola con i*Amministrazione : prezzo ridotto L. 3.
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BDCTINBP
RIVIRA DI SlVDi RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SO/OLA TEOLOGICA BATTISTA l - DI ROMAAnno settimo - Fascio. I
Gennaio 1918 (Vol. XI. i)
SOMMARIO:
Mario Rossi: I sofismi sulla guerra e la difesa della nostra latinità. Guerra di religione o guerra economica ? ......... Pag. 3
Il problema - Che cosa bolliva nella caldaia germanica-11 miraggio - La guerra religiosa - La civiltà industriale - Di quale protestantesimo parlate? - La Boemia, gli Sloveni e la reazione cattòlico-tedesca - Le varietà della Riforma - Che cosa è la Riforma? - La Riforma tedesca non fu un movimento anti-latino! - L’evoluzione e le rivoluzioni della Riforma - Che cosa è la Riforma oggi - Clero cattolico tedesco e.clero protestante - Al di là della cortina di nebbia.
AGOSTINO Lanzillo: Il soldato e l'eroe. - Saggio di una psicologia
della guerra (continuazione e fine) ...... ..... »18
LUISA Giulio Benso: Lamennais e Mazzini. - IV. Epistolario . . » 28
M. A. Gabellimi: Morale e religione nella vita e nell'arte di Olindo Guerrini............................................। ...... » 35
TRA LIBRI E RIVISTE:
Giovanni Costa: Religioni del mondo classico (IV): Culto agli dei alberi -Api - Arvali - Atenagora - Demone socratico - Diana - Domande ad un oracolo - Esculapio - Indolenza degli dei - Iside - Tifiti - Etruschi -Giunone - Manicheismo - Paganesimo e Cristianesimo - Persecuzione Deciana - Persecuzione sotto Domiziano - Salii - Sibilla - Tavolette
di esecrazione .................. .......... ■ 44
r. e p.t Cronaca Bìblica (VI): Geografia biblica - Atti degli Apostoli - Farisei e Sadducei - Sincretismo religioso ............... • 52
LA LIBERAZIONE DI GERUSALEMME E IL SIONISMO
(Notizie - Voci - Documenti):
Giovanni Pioli: A Londra - A Roma - Il comunicato ufficiale vaticano -I commenti della stampa italiana - Il proclama di Allenby e le dichia-zioni di Ministri inglesi - Il problema della Palestina - Una proposta -Profezie di Maurice Vernes - Una voce tedesca - 11 pensiero dei sionisti russi - Il sionismo in Polonia - Sionisti italiani ........ * 57
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EJ EJ Qualcuno dei nostri lettori ha creduto che la pubblicazione della Rivista fosse stata sospesa nel 2° semestre dell'anno passato. Questa erronea credenza può essere stata suggerita dallo smarrimento di qualche fascicolo ; ma Bilychnis nel 1917 è uscita, come al solito, in due bei volumi, il primo di 444 e il secondo di 372 pagine.
E) E) A causa del continuo crescere delle spese, specialmente per l'aumentato costo della carta e pel rialzo delle tariffe tipografiche, la nostra Amministrazione è costretta ad elevare i prezzi d’abbonamento alla Rivista.
E1 EJ Col 1° Gennaio 1918 sono come segue:
ALL , k Per 1 Italia . . . L. 7 -Abbonamento annuo' D
• Per 1 Estero . . » 10 E) EJ L'importo dell'abbonamento annuo per F Italia può dividersi in due rate di L. 3.50 da pagarsi in gennaio e in luglio.
EJ EJ Si stanno componendo gl'indici del 2° semestre 1917 (Voi. X) che verranno inviati col fascicolo di Febbraio 1918.
EJ EJ Abbiamo sospeso l’invio della Rivista ai nostri lettori ed abbonati dèlie provincie invase ed anche a parecchi della zona di guerra. Attendiamo i nuovi indirizzi.
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I SOFISMI SULLA GUERRA
; E LA DIFESA DELLA NOSTRA LATINITÀ
GUERRA DI RELIGIONE 0 GUERRA ECONOMICA?(x>
Il problema.
orrei essere un oratore per suscitare questa sera potente-mente in voi tutto quel mondo di sentimenti di terrore e di dolore, di aspirazioni, di fieri propositi che si destano tumultuariamente nell’anima nostra di italiani e. di cristiani — cioè, di uomini abituati da una civiltà più volte millenaria al culto del bello, del giusto e del santo — parlandovi della guerra europea, della guerra che ha creato l’atmosfera nuova in cui ci tocca vivere e muoverci. Da
vanti ai nostri occhi: una visione d’orrore, una violazione sfacciata, cinica di tutte le leggi umane e civili, un pugno di ferro che s’abbatte senza pietà sui deboli e che si proclama il supremo diritto. Ricordate? Belgio, Polonia, Serbia, Montenegro...; dal fondo del nostro cuore in tumulto l’erompere d’.un sentimento di sdegno, il ridestarsi di un pugnace senso di difesa della nostra patria e della nostra civiltà. Badate. Noi non siamo solo degli spettatori atterriti, ma degli attori di questa tragedia della storia moderna. Vedete: non ci si chiede soltanto di giudicare imparzialmente, senza fretta, su di un cimitero vasto quanto l’Europa, in un lontano e desolato domani come ad un papa; no, no! Ci si domanda ed urgentemente di agire, di provvedere per noi, per i nostri figli, per i nostri nepoti. La nostra guerra non è tutta sulle Alpi nevose o sul Carso desolato. Lo dicono tutti,
(i) Questa conferenza è stata tenuta a Napoli nel gennaio 1916.
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tutti lo ripetono e bisogna riconoscere che non hanno torto. Quello lì è un aspetto, una fase della nostra guerra. Ma essa s’estende anche molto al di qua di quella linea di fuoco e s’accende anche in questo paese dove la natura è così bella e così indifferente alle nostre tragedie. A noi che viviamo in una relativa tranquillità, lontani dal rombo dei cannoni, non si chiede solo la virtù di un’attesa piena di speranza, il danaro, la pietà del Samaritano: ci.si domanda anche un’intelligenza più profonda della natura di questa guerra, una sicura direttiva spirituale Che ci prepari alla grande opera di assestamento e di equilibrio necessaria dopo le convulsioni della guerra. Se è necessario continueremo la lotta, se non più con lo spargimento dèi sangue, con l’avvedutezza dell’odio. Noi dobbiamo, in una parola, preparare il domani spirituale dell’Italia. Ampliare i confini della patria e rinnovare l’anima nazionale; allargare i polmoni e ossigenare il nostro sangue: ecco il dovere degli italiani, oggi! Ed io penso che anche in un tempio cristiano — dove ascoltiamo l'ammonimento evangelico di dire la verità e di non nasconderla: di guardare non agli uomini, ina a Dio; di sollevare i cuori in alto c di non perderci dietro le apparenze e le passioni del momento — si possa parlare dei problemi che la nostra guerra ci pone, senza profanare l’atmosfera spirituale in cui si raccolgono i figli di Dio. Noi dobbiamo affrontare questi problemi in uno spirito di pace, di giustizia e di verità, cristianamente; con la semplicità di chi ricerca e non con il facile paradosso sconcertante. Noi sopratutto non possiamo rifiutarci ad assumere quella piccola parte di responsabilità che pesa sulle nostre spalle. Noi non dobbiamo lasciare a degli improvvisatori, a degli incompetenti, a degli interessati, in una parola, alla cattiva genia dei « retori moderni » di far la luce e di indicare il cammino alla nazione. E il dovere di ogni italiano che ha un cuore ed una mente. Lo sapete: degli uomini abili si son già messi all'opera.-È un’opera che frutta quattrini, parlar male dei tedeschi e dire ciò che non si sa! E la gente che non è abituata a pensare, a studiare, a vedere con gli occhi propri, che è profondamente ignorante di storia, di geografia, di questioni sociali ed economiche, che vive di frasi fatte e di mannequins, applaude, gusta questa filosofia della storia astrusa e pietosamente semplicista.
Perchè, guardate: invece di darci una cognizione precisa della Germania moderna (dell'Austria, non so perchè, nessuno parla), dei suoi problemi, della sua vita vera che non è precisamente quella che si legge in qualche paradossale pamphlet di intellettuali, e sopratutto dei suoi immanenti problemi di cui è materiata la storia tedesca da mille anni in qua e che sono la chiave di volta per capire la guerra attuale, ci somministrano delle astruserie filosofiche, degli schietti procedimenti hegeliani di opposizione e di contrasti ideali che non sono mai esistiti c vi foggiano, alia vecchia maniera tedesca, una storia che si risolve in un fantastico giuoco di idee. Un'insalata russa, come dicono i- francesi; un intingolo agrodolce di hegelianismo orecchiante e di paradossi clerico-nazionalisti francesi. Il rifiuto della nuova coltura italiana dopo le stupidaggini del senilismo positivista! L'Arcadia non è morta: non è più incipriata e costa un soldo ai giorno!
Ma torniamo... à nos moulons! Un problema c’è e molti per fortuna io avvertono, perchè questa non è una guerra come tutte le altre; questa guerra di nazioni segna
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I SOFISMI SULLA GUERRA E LA DIFESA DELLA NOSTRA LATINITÀ 5
la crisi di un’età storica. Le sue conseguenze — su questo punto siamo tutti d’accordo — non saranno solo geografiche, politiche ed economiche; saranno anche morali ed intellettuali. E questo lo sentiamo anche noi. pur non essendo a di spirito profetico dotati ».
Ma una cosa intanto sappiamo: che lo spirito nostro resta profondamente turbato dalle analisi superficiali, contradditorie del carattere, della natura vera di questa guerra. Ci sentiamo gettati violentemente su di una strada che può forse condurre alle più amare delusioni una nazione. Noi lo avvertiamo confusamente, io e vói!
Noi cominciamo a divenire nervosi. Nói abbiamo bisogno di sapere, da chi lo può e lo deve sapere — dai nostri studiosi e dai nostii uomini politici — dove s’annida precisamente il nemico — qual’è il lato nostro più'debole -- che cosa dobbiamo difendere. Roteare la spada in un eccesso di furore, come un Don Chisciotte, e colpire le ali di un mulino a vento invece che la testa del nemico, è cosa ridicola ed inutile. Vogliamo colpir giusto e forte!
Noi vogliamo perciò veder meglio in noi stessi e negli avvenimenti contemporanei; noi abbiamo bisogno, prima di tutto, di chiarire i due termini opposti del conflitto rispetto a ciò che ci è più caro: latinità e germanesimo, civiltà latina e civiltà tedesca, spirito latino e spirito tedesco. Vado più in là: spirito italiano, storia italiana e spirito, tedesc o, storia tedesca. Più luce e vera luce!
Questa sera io spero di essere un modesto, ma sincero interprete della vostra legittima ansietà di conoscere da vicino, senza infingimenti, il vostro nemico e di sapere su quale terreno e con quali armi noi pot remo poi combattere la guerra spirituale ed intellettuale, che è necessario integramento di quella combattuta ogni giorno, senza risparmio di sangue.
q Che cosa bolliva nella caldaia germanica ?
Prima domanda, franca domanda: « Quali cause han trascinato la Germania a far la mostruosa guerra attuale? Che cosa bolliva nella pentola germanica? » In altre parole: * È un male occasionale de! pletorico organismo tedesco o un male costituzionale o un male che porta nel sangue? Questa guerra è un prodotto fatale, necessario dello spirito, della storia tedesca o è dovuta a qualche causa che risalga solo a pochi decenni fa? » Non è una domanda oziosa, una domanda da curiosi. È necessario rispondere subito e rispondere chiaro. La nostra attitudine dipende dalla nostra risposta. Se noi uomini non tedeschi del 1916 siamo obbligati dall’evidenza dei fatti a concludere che questa guerra è un prodotto fatale della storia tedesca; ebbene, allora, malgrado che io e voi siamo cristiani, per l’onore del mondo e della nostra civiltà bisogna dichiarar ben alto che non è possibile che una sola soluzione, la distruzione totale, definitiva della razza tedesca o.se volete esser pietosi, l’isolamento perpetuo del lebbroso. Noi dobbiamo difenderci! Ma se per caso noi siamo costretti dai fatti a riconoscere che la follia guerresca ed egemonica della Germania è un brutto male che le si è abbattuto addosso da un trentennio, che è un male nato da alcune direzioni della vita moderna, la nostra attitudine cambia: richiamare energicamente il popolo tedesco
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àlla realtà con un pugno più forte del suo .e riammetterlo, dopo d’averlo ben lavato nel sangue dei suoi figli in guerra, con cautela, dopo la convalescenza, nel consorzio civile.
Potremo allora riprendere con molta discrezione ed avvedutezza i suoi prodotti sani, sia intellettuali che economici ed industriali, ma... dopo, sempre, di averli ben disinfettati! ,
Per carità, non semplifichiamo! Con uno sforzo di volontà richiamiamoci a quel senso della realtà, di cui ci gloriamo e non a torto, come di una delle conquiste più recenti della nostra mentalità, perduta per troppi anni dietro a vaghe sentimentalità o ad arbitrarie schematiche costruzioni ideologiche. Idealisti nel mondo delle idee e realisti, molto realisti, nel mondo dei fatti. Dal giorno in cui ho sentito come un dovere il veder chiaro negli avvenimenti attuali e mi son posto al lavoro con la serenità c l’imparzialità dello studioso, quanto sdegno e sconforto ho provato aggirandomi in quella fungaia delle facili ed interessate interpretazioni di questa grande guerra! E quale uniformità poi, mio Dio! I tedeschi con le loro abitudini di astrazione e di sistema e per il bisogno di giustificare la loro orribile condotta di guerra sono stati i primi ad indurci... in tentazione! Guai a voi se prendeste troppo sul serio quel facile suggest ionatore, creatore di paradossi che è Max Harden con la sua Zìlkunfl! Ma poveri voi, anche, se prendeste troppo su! serio le brochurcs dei nazionalisti francesi! È possibile che gli italiani non sieno riusciti a vedere con quel nostro buon senso i tedeschi la Germania e la guerra attuale con occhi italiani, con cuore italiano e dal punto di vista italiano? È strano; quei che han veduto meglio in questa guerra sono gli inglesi. Non lo avrei creduto, ma è proprio così. Sarà un successo per loro, ve l’assicuro! Altro che inutili diatribe contro la Kultur, contro il principio protestante, contro Lutero; han visto subito e chiaro: lotta a coltello per il dominio del mondo e dei mari, Roma e Cartagine. E si son preparati, senza iniezioni ed ubriacature retoriche. Ed erano impreparati, militarmente e psicologicamente quanto noi e peggio di noi. Eppure!... Perchè han capito e nessuno l'ha ingannati. Non c’era là un vecchio partito, dalle gloriose tradizioni patriottiche, in sfacelo che aveva bisogno del puntello di un partito intollerabilmente audace in Parlamento e fuori!
Sulle vostre labbra è già spuntato un nome, che è un programma ed una cara speranza di vittoria e di vittoria democratica:
Lloyd George, il fiero entusiasta gallese, il predicatore Battista dall’animo di fuoco, il sognatore evangelico è democratico che crea nuove strade selciate dit realtà concreta che s’avanzano inesorabili verso la Germania. Dimenticavo: ma la guerra non è guerra alla civiltà latina, non è la guerra del protestantesimo?...
E come mai questa profanazione? e non siamo qui questa sera per deplorarla altamente? un Lloyd George e l’Inghilterra protestanti che combattono per la civiltà, per la latinità, per la democrazia ?!... (i). Io non ci capisco più nulla! Dov’è
(i) E son andati a Gerusalemme a liberare il sepolcro di Cristo! Eia benevola neutralità cattolica? E l’America protestante in massima parte, con Wilson, il fiero pre-
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Giovanna d’Arco? Non era sulla Marna e Joffre non era il suo strumento? Già, ma poi non l’han vista più, nè lei nè santa Genoveffa... e la guerra continua ancora! Intanto nuovi giovani eserciti inglesi sbarcano dal Channel e s’avviano con quella spensierata giovialità infantile ch’è tutta inglese a difendere la terra cattolica (?) francese e migliaia di giovani ministri di tutte le chiese da tutte le parti dell’impero ravvivano nel cuore deH’esercito inglese le» più alte speranze cristiane nel trionfo della civiltà e centinaia di colportori — gli uomini del Libro — portano fin nelle prime trincee il conforto della parola di Dio, della Bibbia cristiana.
Io vedo cattolici e protestanti da una parte — dalla parte della civiltà e della libertà, ma più protestanti che cattolici, — dall'altra protestanti e cattolici — i cattolici della Germania e dell’Austria, i primi cattolici del mondo, la speranza della Chiesa cattolica, la forza della Chiesa cattolica, e più cattolici che evangelici!
Giuocatori di teorie, fatevi avanti e teorizzate!
Ma la realtà è complessa, la realtà ha tante facce diversamente lucenti, quante non ne ha il più fantastico diamante mille volte sfaccettato. In questa guerra s’incrociano interessi e motivi diversissimi; riprese di vecchi sogni impe- i
rialistici da una parte e dall’altra: risurrezione di gloriosi motivi patriottici e nazionali, come per noi italiani; il maturare di motivi più recenti materiati di realtà economica; uno sforzo per affermare il diritto alla vita della « più grande nazione »: non faccio che un nome: Italia e Adriatico!
x II miraggio — La guerra religiosa.
Ma osservate un generale fenomeno di miraggio!
Il nostro sentimento invece ci porta a concepire le grandi lotte storiche in termini di conflitti ideali e come io svolgimento di una tragedia: Pathos c mito!
Un filosofo potrebbe darci sulla voce e ammonirci: « Applicate rigorosamente il principio di causa sufficiente. Siate fedeli alla verità! Il sofisma è errore, ed ogni errore è un male. Via i veli vaporosi, denudate la verità! ».
È.bello ed emozionante elevare il significato della guerra attuale ad una gigantesca epopea ultra-omerica, ad un urto di popoli, ad una guerra di razze, alla lotta per la vita di due ideali di Stato, di due civiltà..., ma s’è andato più oltre fin a vedere nella guerra attuale la lotta fra due mentalità religiose irreducibili, la latino-cattolica e la germanico-protestante, una guerra religiosa! Ma non s’era detto e proclamato fino alla sazietà che lotte religiose nel mondo moderno non erano più possibili? Io non ci capisco più nulla. Io non riesco a vedere che due
sbiteriano?... Chi in Italia conosce la sua attività come predicatore ed organizzatore evangelico anche nella sua vita occupatissima di presidente? lo m’auguro che presto vengano raccolti e fatti noti fra noi i suoi discorsi religiosi, che potranno essere il miglior commento del suo indimenticabile discorso al Congresso Federale, che segnava l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro la Germania.
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raggruppamenti di nazioni in lotta ira di loro, con i loro interessi specifici c con i loro ben definiti programmi. Il mondo à dimenticato evidentemente le grandi guerre della Rivoluzione e dell’Impero napoleonico di un secolo fa! Tant’è! Se voi andate a sceverare ¡’apparenza dalla realtà in quel mostruoso fenomeno psicologico che è alla base della guerra mossa dalla Germania, voi vi troverete di faccia ad un fenomeno economico, lo sviluppo abnorme del capitalismo industriale in un paese come la Germania arricchitosi improvvisamente con i miliardi francesi del '71, chiuso, per ragioni geografiche e storiche, fra i due suoi nemici millenari, lo slavo e il francese e privo del grande sbocco commerciale, il piedistallo della ricchezza, il mare. Aumento di ricchezza e di popolazione, il processo industriale portato vertiginosamente fino ai limiti estremi: ce n’tra abbastanza, perchè la caldaia tedesca in piena ebollizione dovesse trovarsi nell’alternativa di aprirsi ad ogni costo uno sbocco o di saltare a pezzi. Inghilteria sul mare e sulla via dell’oriente, Francia in Africa, nel Mediterraneo e ricca, col Belgio e il Lussemburgo, dei più ricchi bacini minerari d’Europa; l’Italia e la Russia per la via balcanica ed orientale: altrettanti ostacoli da superare. Eia Gei mania con la sua appendice fatale, l’Austria, c con la ricca ed espansionista Ungheria, s’era venuta preparando a vincere, prima con la rase, con le minacele diplomatiche (Agadir, Marocco) ed infine, ùltima ratio, con le armi. Era necessario fare del popolo tedesco un corpo omogeneo, duttile, pronto al compito necessario, solleticando tutti i difetti e gli appetiti nazionali e il vecchio spirito di lotta e di contesa ereditato da un medioevo relativamente vicino per esso.
Un trentennio è bastato per impregnare lo spirito nazionale della nuova infatuazione nazionalistica ed imperialistica. Io non posso descrivervi qui l’origine e tentare l’analisi del pan-germanesimo, deH'imperialismo tedesco. Ve ne parlerò più in là, quando avremo sgombrato il cammino da un penoso equivoco.
La civiltà industriale.
Mi basta 01 a aver accennato all’ingrosso a qualcuna delle sue cause. Voglio però insistere e richiamar l'attenzione su alcune trasformazioni, sulle quali sarebbe stato bene che il nostro popolo fosse stato illuminato fin da principio e che aiutano a comprendere in parte il meccanismo infernale che ha scavato sotto il felice suolo d’Europa del secolo xx la gigantesca mina che è scoppiata con l’attuale guerra. Avete pensato alla crisi dell'economia moderna .che da regionale prima e poi nazionale è divenuta mondiale e che tende a far del mondo un unico e gigantesco mercato, facendo sparire tutti i contrasti? È il sogno capitalista, di cui l’analogo sogno socialista è figlio e complice.
Questa guerra è una grossa guerra capitalista. La Germania sul vecchio continente è il paese che ha spinto frettolosamente più innanzi degli altri l’intensiva coltura capitalista; la Germania era diventata il più grande laboratorio del capitalismo moderno, pugnace, imperialista, amorale. Si potrebbe dire che la Germania è voluta diventare il più moderno dei paesi d'Europa. Altro che ritorno al medio evo, come v’han predicando i nostri cari filosofi della storia! La Ger-
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mania divenuta tutto un alto forno incandescente e minaccioso, senza avere quelle valvole di sicurezza che sono il dominio dei mari e le immense colonie come l’ha l’impèro britannico! È questa immensa forza capitalista — eccesso di produzione da smaltire e necessità di unificare in una sola mano i mezzi di produzione e i mercati — è questa necessità del mercato mondiale, quella che ha fatto emergere • l’imperialismo tedesco. È dunque il mostruoso capitalismo moderno quello che minaccia la nostra distruzione attraverso la Germania! Non una concezione assolutista dello Stato tipo ancien regime contro la democrazia latina ed inglese; non un contrasto fra due concezioni della vita, della'civiltà, della religione, no. Sotto il belletto del misticismo tedesco e sotto il bollo imperiale i nostri occhi sanno bene scoprire la marca di fabbrica della guerra tedesca: marca industriale —■ made in Germany — uscita dalle officine tedesche. È una guerra che puzza d’officina. La Soziai Demokralie n’è complice insieme alia grassa borghesia — tutti erano semplicemente gli strumenti di questa orgogliosa società capitalista. Negli altri paesi il grande capitalismo si asserve il giornale favorendolo ed arricchendolo; in Germania il capitalismo s’è comprato l’esercito, l'ha fatto crescere smisurato come i suoi appetiti e l’ha fatto il suo strumento. Il Kaiser dai gesti ieratici e medievali era l’amico e l’alleato dei capitalisti e dei grandi industriali, c non dei preti luterani! Le officine si sono trasportate sul campo di battaglia; i metodi, gli scopi della guerra attuale sono gli stessi della gigantesca e spietata lotta capitalista moderna. I metodi della lotta socialista-sindacalista c della lotta capitalista sono dei gemmelli: noi li ritroviamo qui fusi in questa guerra, nutriti -di sangue e incarnati in ognuna di quelle ciniche affermazioni tedesche che i nostri nuovi filosofi della storia vogliono interpretarci con delle idee morte. I metodi della guerra attuale, guerra ad oltranza, guerra di resistenza sono precisamente i metodi della concorrenza capitalista e dello sciopero socialista-sindacalista. Io non posso dilungarmi su questo punto, perchè mi allontanerebbe troppo dallo scopo modesto che ci ha raccolti qui questa sera. Mi basta aver richiamato la vostra attenzione su certe analogie! Noi) parliamo dunque di spirito germanico: parliamo piuttosto di spirito capitalista sul suolo germancio e noi cominceremo a capire qualche cosa!
Sorgerà un altro Zola, uno Zola tedesco, a rivelarci le brutture di questa società germanica divenuta atea, sì, atea immersa nella materia brutale adoratrice della forza organizzata, come quella che si agitava nelle sue immense officine — e ogni istituzione in Germania era divenuta una officina favorita dallo spirito del capitalismo industriale. —dell’ultima generazione e a descrivercene l'inevitabile Sèdani Io mi ingannerò: ma ini pare che questa guerra, provocata da un troppo affrettato sviluppo industriale in un paese, ha affrettato per ragioni di suprema difesa un analogo processo in tutti gli Stati civili, portando l’industrialismo alle sue più audaci cime e ne prepara la catastrofe nei prossimi anni della pace. Forse mai il mondo vedrà una crisi economica così grave come quella che ha provocato lo sviluppo abnorme, uniforme dell'industrialismo, attraverso la guerra! La Germania ha favorito la coltura forzata, troppo forzata, di una civiltà modernissima ultra-industriale che troverà la sua tomba nel suo affrettato gigantesco immaturo sviluppo.
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Di quale protestantesimo parlate?
L’eccesso di difesa contro le teorie e contro l’attuazione del programma pangermanista ci ha portati a delle conclusioni affrettate e lontane dalla realtà. Si •condanna tutto in blocco e si cercano delle cause fantastiche, irreali per spiegare dei fenomeni-che non sono affatto misteriosi a chi conosca un po’ la storia e la vita moderna.
Vi avevo promesso di parlare a lungo di tutti quei sofismi « di falsa causa », come li chiamano i vecchi logici, e che sono la traduzione concreta dell’ignoranza, qualche volta alleata alla malafede, di tanti nostri improvvisati illustratori della guerra. Ma non intendo abusare della vostra cortese attenzione. Li esamineremo, non tutti però, un'altra volta, parlando della difesa delia nostra latinità — badate a quel nostra. su cui poggio la voce — nel campo della coltura e nel campo religioso-morale. Molti di questi sofismi, come vi dicevo, sono effetto di ignoranza e di malafede; ma tutti tradiscono un eccesso di difesa, una difesa cieca, pazzesca, una difesa che non sa precisamente ancora che cosa deve difendere e qual’è e dov’è il nemico. Questa sera desidero sbarazzare il campo da un grave pregiudizio, da uno dei più stupefacenti sofismi che stan radicandosi nell’impreparato terreno della coltura italiana. Dicevo: si è andati troppo in là con la fantasia e s’è finito col concepire questa guerra come una lotta fra la civiltà cattolica e l.a civiltà protestante} Ma esistono, prima di tutto, per lo storico queste due civiltà come tipi distinti? Io non so.
Che queste cose le dicano — e si sa perchè le dicono — i nazionalisti francesi di Claude Maurras io lo comprendo! Sono delle idee che possono fruttare un giorno un mutamento di regime politico in Francia! La Francia con il re, o, se volete, col suo imperatore cattolico — ce n’è per tutti gli appetiti — la Francia, la figlia primogenita del cattolicismo, la Francia liberata da una nuova Giovanna d’Arco dalla tirannia giacobina, dal sentimentalismo umanitario e pacifista dei repubblicani democratici, qual bel sogno! Ma in Italia, dove abbiamo da risolvere un problema penoso, il problema del papato come potere politico, dove la storia nazionale non coincide con la storia del papato; dove l’unità nazionale poggia sulla base incrollabile della fiducia nella mite Casa di Savoia, io non comprendo affatto —- o comprendo troppo — perchè si voglia in questo momento rappresentare dinanzi agli occhi dei popolo italiano questa guerra come una guerra religiosa fra cattolicismo e protestantesimo.
Ma di grazia di quale protestantesimo parlate ?
Quello degli Amici di Dio, dei miti e candidi Friends che non vivono che per il servizio degli uomini e in uno spirito di perfetto amore, che si son fatti imprigionare a decine di migliaia due secoli fa pur di restar fedeli alla loro coscienza cristiana che comandava loro, nel nome della più pura dottrina di Gesù, di non prendere le armi per uccidere altri uomini, figli di Dio corno essi?
Parlare di protestantesimo — orribile soprannome creato in Germania, di marca tedesca e per ragioni politiche e non religiose— parlare, dico, di protestantesimo come se il protestantesimo fosse un rigido corpo uniforme, reggimentalo
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I SOFISMI SULLA GUERRA E LA DIFESA DELLA NOSTRA LATINITÀ II
come il cattolicismo papale, e restalo uguale sotto lutti i cieli, nello spazio di quattro secoli è opera o di malafede o di ignoranza!
Di qui non si sfugge. È enorme, voi lo sapete, l’ignoranza della vita e della storia religiosa in Italia, per colpa del sospettoso clericalismo. Ho sentito io, con queste orecchie, confondere la Palestina, la patria di Gesù, la terra dei profeti, con Paleslrina, un piccolo paese poco lontano da Roma! E il papa divenuto nientedimeno che « il rappresentante dell’Assohito»?
E le rappresentazioni cinematografiche in cui ambienti evangelici, ministri evangelici assumono colorito, foggio, gesti di decadenti, tutti cattolici?...
Non si conosce nulla fra noi del protestantesimo, che pure è la religione dei popoli più civili e che avviva di sè la vita sociale, le istituzioni, la letteratura di quei popoli. E nelle nostre scuole medie s’insegna l’inglese! M’immagino quale idea bizzarra devono formarsi dello sviluppo della letteratura inglese i nostri licealisti moderni. Come possano comprendere la vita inglese ed i classici inglesi impregnati di Bibbia, non so!
Non si conosce nulla delle profonde varietà storiche del protestantesimo; non si sa distinguere una vecchia chiesa nazionale protestante a struttura cattolica, come la luterana, da una giovane chiesa missionaria, data tutta all’opera di evangelizzazione e di rinnovamento sociale; non si sa distinguere il vecchio protestantesimo di Germania dal mirabile movimento dell’evangelismo moderno, iniziato dai dissidenti (i) dei secoli xvn e xvm! Si ignorano le dottrine di libertà politica, prima spinta alle moderne libertà costituzionali — difese e concretate dai perseguitati, dissidenti evangelici sul libero suolo dell'America del Nord! Ignorano la storia degli Stati Uniti e l’importanza dei suoi fattori religiosi? Che ne sanno di Roger Williams, il pastore di Salem, che fugge per creare una patria alla assoluta libertà di coscienza, nel cuore dell’inverno, nella baia di Narragausett, in mezzo agli indiani selvaggi, e fonda la non utopistica città di Providence nel Rhodc Island, in cui tutte le credenze religiose trovarono un siculo asilo, in cui la legge civile era ispirata alla forza onnipotente dell'amore? Non era egli un profeta quando dichiarava che da quel séme benedetto di libertà sarebbe sorto il più glorioso stato conosciuto nella storia umana? E chi conosce, che il più importante articolo della costituzione degli Stati Uniti in cui si garentisce l’assoluta libertà di coscienza a tutti, abolendo ogni chiesa di Stato, fu il risultato delle petizioni dei Battisti al presidente Washington? Chi conosce la nobile anima del quacquero William Penn, che fondò la sua colonia sulle rive del Delaware, ispirata agli stessi principi di amore e di libertà per tutti?
Si vuol,ignorare il magnifico sviluppo pedagogico del secolo xvi e xvn che è stato una delle glorie più belle del protestantesimo! Sanno che Comenio è protestante?
Ricordo una conferenza tenuta a Ginevra durante le feste per il IV centenario della nascita di Calvino sull’organizzazione delle comunità calviniste della Transil-vania. Era una rivelazione! Mi duole di non potervi leggere questa sera i mirabili articoli della loro costituzione politica e religiosa ispirata ai più alti ideali moderni
(i) 1 dissenters inglesi.
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di libertà e di eguaglianza che queste comunità di contadini s’erano data tre secoli fa: c’era il dovere deH'istruzione obbligatoria — chiesa e scuola —; il diritto di voto alle donne e il... pacifismo! Sì, il pacifismo! E una bella smentita a quei signori che fanno responsabile dello spirito di questa guerrra i poveri protestanti! Ma sanno la storia i nostri retori? Come osano chiamare questo sforzo gigantesco che si rivela nella Riforma per creare nuove e migliori condizioni sociali e politiche, più rispondenti ai diritti eterni della coscienza cristiana e alle rinnovate condizioni dell’Europa una fase, una forma dello spirito militaristico ed oppressore tedesco?
Ma essi hanno imparato a conoscere da pochi mesi la Germania e il protestantesimo da quello strano libro antiborghese che è la « Germania » di Heine!
Come non riconoscere — e ciò è al di sopra di ogni contestazione — che nel vasto movimento religioso del secolo xvi era all’opera il risveglio dello spirito nazionale e il sorgere della borghesia, che acquistava coscienza dei suoi diritti, e per fino delle classi povere, degli operai e dei contadini, come nell’Anabattismo, contro il ferreo mondo feudale e contro le anacronistiche pretese unitarie ed egemoniche del papato e dell’impero?
La Boemia, gli Sloveni e la reazione cattolico-tedesca.
Come dimenticare che accogliendo lo spirito e le dottrine (iella Riforma, i popoli, anche i più piccoli, anche i più oscuri, acquistavano coscienza della propria nazionalità, della propria storia, della propria lingua e dei propri destini Accenno qui — e mi dispiace il non poterne fare che un cenno, in questa rapida corsa — accenno qui solo ad un povero popolo, lo sloveno, oggi cresciuto di numero, di potenza a .nostro danno, ai confini orientali, un popolo slavo incolto e senza storia senza letteratura, il quale il giorno in cui la propaganda della Riforma prese piede in esso fissò per la prima volta la sua letteratura e iniziò la sua storia. Non lo credereste? La reazione cattolica, partita dalla Casa tedesca degli Asburgo — che voleva mantenere il suo predominio tedesco sui popoli tedeschi e sui suoi recenti domini verso l’Adriatico — fu quella che spense, combattendo ogni tràccia della Riforma fra i suoi popoli, i sentimenti di nazionalità e fu quella che tolse anche al popolo sloveno la sua lingua, la sua letteratura, la coscienza delia sua nazionalità! Solo dopo tre secoli, col risorgere del movimento nazionale fra gli slavi del sud. gli sloveni ripresero le loro tradizioni e la loro storia, cominciate con la Riforma, ma spezzate dalla reazione cattolica tedesca!
In questi giorni il nostro pensiero corre alla Boemia. e al suo nobile ed attivo pòpolo, oppresso dall’Austria tedesca e cattolica. Noi ricordiamo qui il suo più illustre campione, Giovanni Huss, il più grande nemico dei tedeschi e della loro coltura, il cui nome è un programma di liberazione nazionale e che segna con Wiclif l’aurora della Riforma.
Ebbene, per i boemi lotta contro >i tedeschi e lotta contro la corruzione e la prepotenza egemonica della Curia romana andarono unite. Non era possibile dissociarle! La Boemia con la sorella Moravia divenne per due secoli il campo di esperimento delle più audaci riforme sociali e religiose, un paese che conobbe nella
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I SOFISMI SULLA GUERRA E LA DIFESA DEI-A NOSTRA LATINITÀ 13 lotta contro i tedeschi,— prima quelli della Germania e poi quelli degli Asburgo, i difensori di Roma e i perseguiiatori della libertà religiosa — il suo periodo più glorioso. Ma poi venne la battaglia della Montagna Bianca, a poche miglia da Praga, nel 1620!
Fu un brutto giorno quello per la civiltà e per l'Europa giovano! Fu spento il protestantesimo in Boemia, ma fu spenta anche la coscienza nazionale con l’esilio, con la carneficina, con la tetra reazione cattolica guidata dai gesuiti tedeschi. Queliti battaglia segnò per altri due secoli il trionfo del sistema asburghese. Volete sentire quel che scriveva pochi anni fa uno storico tedesco, austriaco, cattolico di quella battaglia? Siamo in guerra con l'Austria, la nostra nemica tradizionale ed ogni cosa che ci aiuta a conoscerla, sia la benvenuta!
« Quella battaglia fu la salvezza dell’Austria. Il pericolo che si sciogliesse la monarchia austro-ungarica quale era stata foggiata da Ferdinando I fu superato e fu aperta la strada a quel sistema di governo che in Austria durò con piccole modificazioni fino al 1848 (cioè, aggiungo io, alio scoppiare dello spirito di nazionalità in Boemia, in Ungheria e nel Lombardo-Veneto). Grande inoltre fu l’influenza esercitata da questa vittoria sulla vita spirituale di parechi popoli per 220 anni! ». Non lo dimenticate!... E il Vaticano fu il primo a rallegrarsi di questo successo delle armi cattoliche tedesche, perchè liberava l’Austria e l’impero, i baluardi dell’ortodossia contro la marea protestante, da ogni pericolo nell’avvenire. Ma quale pericolo? Un pericolo per l’organizzazione ecclesiastica, sì, ma non un pericolo per lo sviluppo della civiltà europea e per la civiltà latina. I boemi non erano tedeschi, ma slavi!
E i grandi pròfughi boemi protestanti, in lunga teoria dolorante con a capo il venerando Comenio, si rifugiarono nella libera Polonia, nella Slesia, nei paesi tedeschi protestanti a portarvi i germi fecondi di una genialità non smentita, di una religiosità superiore. Ma i retori dicono invece: «a preparare la guerra tedesca, la guerra protestante •». Ma essi-sanno la storia e noi no!
Le varietà della Riforma.
Come non riconoscere che la Riforma, e proprio la Riforma tedesca, fu un prodotto dell’umanesimo italiano? Non è essa il frutto, o, se volete, la conseguenza, della rinascenza delle lettere cristiane, di Paolo, del Vangelo, di s. Agostino, di s. Girolamo, parallela alla riscoperta di Cicerone, di Livio, di Sallustio, di Platone?
E poi perchè voler dimenticare che accanto alla Riforma tedesca c’è stata la Riforma francese di caràttere eminentemente democratico? Che la Francia fu in un cinquantennio quasi tutta guadagnata alla Riforma.latina? Perchè dimenticare che VItalia ha dato al movimento della Riforma le anime più belle e più pure, degli uomini di cui ogni paese ci deve invidiare il possesso e che lottarono per una concezione più liberale, più ardita della Riforma?
Io non faccio che un nome solo, fra tanti: Bernardino 0 chino, che qui a Napol spiegò l’opera sua di predicatore della Riforma, e la cui potenza di parola fu esaltata da Carlo V.
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Perchè dimenticare la nobile opera dei Socini esiliati in Polonia? Perchè dimenticare i predicatoli della Cappella degl’italiani a. Londra al tempo della regina Elisabetta?...
Il fondatore — vedete ironia delle situazioni! — il fondatore del diritto inter-. nazionale, un italiano del cinquecento, Alberico Gentili, fu un luterano, fu un esule vittima dell’inquisizione che trovò in Germania e in Inghilterra la più grande ed onorifica accoglienza. E fu uno dei più puri rappresentanti dello spirito romano, latino, umanistico e nel connubio con lo spirito della Riforma trovò il terreno fecondo per le sue teorie umanitarie. Ma già a parlare di luterani italiani, di umanisti — cioè, di persone imbevute del più puro spirito latino — luterani, e non furono pochi, è uno scandalo troppo grande... ed io non voglio allargarlo! L’Inquisizione in Italia trovò sempre da condannare dei luterani — e i suoi registri pubblicati son lì a dimostrarcelo — fino ai primi decenni del ’700!
L'Italia ha dato un nobile contributo all’opera della Riforma. S’essa fu soffocata in sul nascere qui in Italia, non è già perchè fosse opposta allo spirito italiano — essa fu opera di umanisti — ma perchè qui l’inquisizione con l’aiuto del Governo tedesco-spagnuolo, soffocava contemporaneamente la sfrenata licenza umanistica, lo spirito nazionale e la... Riforma!
Che cosa fu la Riforma ?
Intanto la Riforma del sec. xvi segnò la via, indicò la possibilità di trasformare radicalmente la società medievale e di creare una nuova forma di vita politica e sociale.
Se molti dei suoi rappresentanti non compresero tutta la portata dei principi di libertà che sostenevano, se la libertà e la tolleranza non ottennero che molto tempo dopo il loro pieno' trionfo, se la primitiva teologia protestante portava con sè tanta parte della triste eredità medievale, non sono queste delle ragioni per disconoscere il progresso fondamentale che la Riforma rappresentava sul vecchio sistema ecclesiastico e politico.
La Riforma è figlia del proprio tempo e con essa si delineava definitivamente la sistemazione del mondo moderno. Essa fu la conclusione della lotta fatale iniziata nel secolo xiv contro l’imperialismo della Curia, non meno antipatico e borioso del moderno imperialismo tedesco ed altrettanto pericoloso per lo sviluppo delle nazionalità nascenti.
Un’altra cosa voglio ricordare: Lutero non è tutta la Riforma: gli studi recenti lo hanno dimostrato luminosamente. La Riforma non è un prodotto dello spirito tedesco: due terzi dei paesi tedeschi sono stati e sono ancor oggi tenacemente in lotta contro la Riforma. La Riforma non va guardata nel suo aspetto meno simpatico e meno profondo, nella sua lotta, cioè, nella sua opposizione contro la Chiesa romana.
La Riforma tedesca non fu un movimento anti-latino !
Non è sorta come reazione contro la coltura e la civiltà latina. Fu opera di umanisti cristiani! Questo bisogna dichiararlo ben alto, qui, dentro e fuori di qui.
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È evidente il giuoco di certi giornalisti, che si sono improvvisati degli storici della filosofia, non per servire la verità, ma per servire a delle manovre politiche a cui sarebbe fare una troppo facile réclame, ricordandole o confutandole.
La Rifórma del sec. xv< — lo ripeto — fu un movimento assai più vasto che la Riforma tedesca, che è uno sólo dei fenomeni in cui essa maturò.
Il vasto movimento storico della Riforma non è un movimento anti-latino. Essa è un movimento pregno di storia e di civiltà.
Non è una stolta ribellione di barbari!
Se la Riforma in Germania si rivestì dèlio spirito tedesco, nessuna meraviglia: era l’affermazione più profonda della nazionalità tedesca, e noi difensori ed ammiratori del legittimo spirito nazionale, noi noi potremmo condannare a cuor leggero .il risveglio e l’affermazione di una coscienza nazionale! Voi non siete tedeschi e la vostra concezione evangelica non la prendete da Lutero, il fiero tedesco.
L’evoluzione e le rivoluzioni della Riforma.
Dalla Riforma tedesca, scandinava, francese, italiana, spagnuola, svizzera, ungherese, inglese del 500. al movimento evangelico moderno, ricco di pietà, di umanitarismo, di libertà di fronte ai vincoli statali ed ecclesiastici, con tendenza spiccatamente cattolica ed 'universalista, che non conosce barriere di nazioni e di razza, ricco di spirito missionario e di devozione al social Service, quale profonda evoluzione e rivoluzione! Grande e gloriosa fu la Riforma del sec. xvi; con essa prese nuova forza lo spirito nazionale moderno. Ma questi prodotti della Riforma, come avviene di tutte le cose umane, si chiusero, per colpa degli uomini, in uno stretto circolo di idee e di sentimenti. Si finì col dimenticare le grandiose finalità della Riforma; ed ecco nascere nei paesi della Riforma, in Inghilterra come in Germania, due secoli dopo, uomini che infusero un nuovo spirito cristiano, in armonia con i bisogni umanitari del loro tempo, all’irrigidito corpo delle chiese nazionali protestanti, che avevano finito col cadere negli stessi difetti del vecchio cattolicismo romano.
Questo nuovo periodo della storia religiosa europea non è meno importante del movimento della grande Riforma del 500; meno brillante, meno rumoroso, lontanò dalle lotte politiche, non è però meno interessante, perchè ha operato, nei paesi già guadagnati alla vecchia riforma, una vera rivoluzione sociale e religiosa. Le Chiese libere d’oggigiorno, divenute in Inghilterra più potenti della Chiesa di Stato anglicana, hanno avuto origine appunto da questa nuova Riforma.
E il nuovo periodo della Riforma, che data dal principio del secolo passato, e che non è meno importante per i suoi effetti ne! campo delle idee e dei sentimenti, del rinnovamento cattolico dopo la rivoluzione francese?
Ma che cosa volete che sappiano i nostri buoni giornalisti, la cui coltura storica nel campo religioso è così deplorevolmente povera, come pur troppo lo è per molti italiani anche colti? Essi — per cui la Riforma si riduce a due o tre nomi senza contenuto — per i quali la Riforma è un contrasto capriccioso di barbari
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teologi contro il buon papa? Essi, sulle cui labbra Martin Lutero da frate agostiniano si trasforma in un frate domenicano ed inquisitore? (i)
Ah, separiamo, per carità, spirito tedesco e germanesimo dalla Riforma! Io non voglio giudicare della Riforma tedesca del sec. xvi. Sarebbe troppo lungo farlo questa sera. Ma, per carità, non identificate la ricca varietà della Riforma, che à trovato il suo terreno favorevole in paesi così differenti dalla Germania, come la Francia, la Svizzera, l’Italia, la Moravia, la Boemia, l’Ungheria, la Transilvania, l’Inghilterra, la Scozia e che ha subito tante profonde trasformazioni, con la Riforma luterana!
Che cosa è la Riforma oggi ?
La Riforma è oggi la proclamazione del più grande principio cristiano, della necessità di un continuo rinnovamento alla luce dello spirito di Dio, un rinnovamento a cui debbono sottostare, per progredire, non solo gli individui, ma anche le istituzion i ! È l’esigenza ad un continuo rinnovamento morale e religioso, ad un continuo adattamento degli elementi esteriori della vita religiosa alle mutate condizioni della vita sociale, politica, intellettuale: non la Chiesa sopra il mondo o fuori del mondo, ma nel mondo per rinnovarlo! Ricordate il monito di Gesù: «Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo»?
All’avanguardia, non alla retroguardia, nè per vie traverse! Questa è l’essenza della Riforma! Io vorrei poter esporre i meriti indiscutibili del l’evangelismo moderno in Inghilterra, in America... Essi sono la migliore risposta, la risposta dei fatti, a chi crede di poter identificare la complessa vita spirituale e sociale del mondo evangelico con lp spirito di dominio, di guèrra, di sterminio che è in quella, aberrazione, da cui è stata presa la Germania moderna e che si chiama il pan germaniSmo.
Clero cattolico tedesco e clero protestante.
Io vorrei potervi qui parlare del modo con cui le Chiese cristiane, in Germania ed in Austria, la Chiesa cattolica romana come la Chiesa luterana, hanno tenuto fede agli ideali cristiani, ideali di pace, di amore, di pietà! È una triste pagina questa! Le due Chiese nel mondo tedesco sono state trascinate, nei loro membri come nei loro capi e nei loro uomini di pensiero e di azione più rappresentativi, dalla lolle passione nazionalista. Un velo di passione pesa sui loro occhi; il sangue di Odino, il dio germanico della guerra, freme nelle loro vene, in essi che si sono assisi alla
(x) Lutero, la cui teologia è imbevuta del più puro spirito di s. Agostino naturalmente e fin da principio si trovò a lottare contro la concezione scolastico-tomista, imbevuta di assolutismo, e di aristotelismo, impersonata ne’ domenicani.
Lo spirito di grande libertà di Lutero, malgrado talune incongruenze pratiche, è un fatto fuori di discussione — Lutero è stato chiamato e più di una volta in questi giorni da su i giornali italiani un fratone materialista. Probabilmente il «fiatone » è un epiteto di impressionismo artistico-letterario derivato da un equivoco; il noto ritratto di Lutero fatto dal Cranach può indurre in tentazione un profano di arte e di storia e fargli scambiare l’abito e il berretto dottorale di cui è rivestito Lutero — da giovane e da frate estremamente magro — con un abito monacale ! Ma già, pretendere che si conosca anche la storia degli abiti ! ! ?
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I SOFISMI SULLA GUERRA E LA DIFESA DELLA NOSTRA LATINITÀ 17 mensa eucaristica del Dio della pace. « Prima tedeschi e poi cristiani! » è un grido che è risuonato più volte nei tempi tedeschi, sieno essi cattolici o luterani!
I vescovi, i cardinali tedeschi ed austriaci son venuti meno al loro dovere pastorale: non hanno trovato in loro la lorza cristiana di denunciare ai loro fedeli la violazione ài ogni giustizia, di ogni umanità compiuta dai soldati tedeschi, cattolici e luterani senza distinzione! L’appello del card. Mercier a nome del suo Belgio sventurato ai prelati cattolici tedeschi è restato senza risposta! « Prima tedeschi, poi cristiani! ».
II clero tedesco, nella cattolicissima Austria come nella mezzo protestante Germania, è intieramente asservito dallo Stato per i suoi scopi di asservimento delle coscienze- e delle nazionalità da spegnere. E orribile tutto -questo!
Altro che lotta ira cattolicismo c protestantesimo!
Ah! Se il protestantesimo, ridotto dall’interessato semplicismo dei nostri retori filosofi ad una fittizia unità e decapitato arbitrariamente di più di 200 milioni di seguaci che vivono fuori della Germania in tutte le parti del mondo civile, portasse in sè i germi dello spirito egemonico, distruttivo, intollerante e barbaro, anti-latino che si manifesta nella Germania attuale, io non so capire come abbia atteso quattro secoli a maturarli e a scoppiare! E perchè non sono scoppiati altrove? Perchè i popoli che oggi, come ieri, combattono per la libertà — cito l’Inghilterra come esempio classico — hanno trovato invece nella libertà apportata dalle concezioni protestanti la spinta alle più audaci riforme sociali, al fiorire dello spirito umanitario?
Al di là della cortina di nebbia.
La storia e Vesperienza son contro lo schematismo arbitrario' dei nuovi improvvisatori di filosofia della storia. L’esagerazione, l’unilateralità delle loro affermazioni saltano agli occhi. È perchè la guerra attuale, a cui la Germania non ha potuto sottrarsi, non è una guerra religiosa, una guerra di civiltà, no: è una guerra provocata dal capitalismo moderno!
Oggi la Germania: domani chi sa, un altro Stato! Noi non possiamo prevedere quali saranno gii effetti di questa guerra: se essa segnerà il disfacimento dell’attuale sistema economico mondiale e il ritorno ad una economia più razionale e più modesta, o invece se ne accelererà la folle corsa.
Noi non possiamo ora spingere lo sguardo al di là di quella cortina di fitta nebbia che avvolge milioni di combattenti su più di una linea che attraversa ad oriente e ad occidente il vecchio suolo d’Europa sul quale da millenni si decide il corso della storia mondiale: il giorno della pace vedremo nettamente, dissipata ogni nebbia, quel che celava questa guerra, ne comprenderemo la vera .natura. Cadranno i rossi petali di questo unico fiore immane germogliato dall’umido terreno ricco di milioni di vittime ignorate che aveva fatto in quarantanni di pace il capitalismo europeo, quei rossi petali — imperialismo, egemonia culturale, superiorità di razza, lotta contro la democrazia, lotta della civiltà tedesca contro civiltà latina e viceversa — che si ergevano a nasconderci gii organi essenziali di questo fiore: la rapacità economica, il sustrato materialista ed ateo della moderna società tedesca.
Nuovi cieli, nuova terra, allora! Mario Rossi.
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IL SOLDATO E L’EROE
(SAGGIO DI UNA PSICOLOGIA DELLA GUERRA)
(Contiouaz. e line. Vedi Bilychnit. fate, di Novembre-Dicembre 19:7, p.ig. 309).
Vili.
In queste ore decisive si manifesta trionfale il fenomeno dell’eroismo. Nessun problema della psicologia di guerra è così grande, misterioso e degno d’indagini come quello del coraggio e dell'eroismo. Diamo qualche cenno della sensazione eroica che ha la guerra: cioè di qbesto fono della guerra in armonia con gli altri che abbiamo già esaminati.
È necessario anzitutto estendere il significato d’eroico: vi è un eroismo che è frutto fulmineo di entusiasmo ed un eroismo più modesto, più nascosto, meno riconosciuto, che è il prodotto della volontà tenace nella resistenza e nel sacrificio.
La folla mentre riconosce il primo che facilmente impressiona, per il suo aspetto drammatico, l’animo degli spettatori, non conosce e non apprezza appieno la importanza di quell’altro eroismo, l’eroismo della tenacia.
Ora in Italia non è certo l’entusiasmo che faccia difetto... i popoli latini sono facili a bruciare di incendio violento se pur rapido... Quel che in Italia difetta è il senso della continuità nei propositi, la fermezza nel volere e la tenacia dell‘insistere nel proposito ¡stesso, non1 ostante le difficoltà iniziali, fin quando l’effetto non sia stato raggiunto.
Orbene il primo e grandioso esperimento di questa capacità di resistenza,
che in una sola e più propria parola può chiamarsi serietà è stata data dalla guerra. Perchè abbiamo finalmente lo spettacolo di un esercito numeroso che resiste con ostinazione alle prove di una guerra lunga e grave: lo spettacolo di questo esercito che dà esempio di straordinari'? virtù militari e per anni lotta nelle peggiori condizioni di terreno e di vita, fino al conseguimento dell'obiettivo. Ed il merito di questa enacia non è massimamente dei grandi capi, ma dei singoli soldati, delle varie piccole unità e degli ufficiali inferiori, perocché è a questi ultimi che, specie nelle zone montuose, va dato il vanto della condotta dei soldati.
Questa documentabile e lunga teoria di lotte tenaci ed implacabili costituisce un vero serto di eroismo per il popolo italiano e dimostra la sua capacità a quelle doti di costanza e di fermezza che prima della guerra non si erano troppo rivelate. (1)
E difficile giudicare del coraggio e della paura, sia che si parli di sè stessi, sia che si parli di altri. Un fatto certo si è che non si è sempre coraggiosi. È anche vero che quando si è,paurosi, sì è nati tali, si è sempre paurosi. Voglio
(1) Queste pagine furono scritte prima dell'incomprensibile rovina di Caporettol... Aggiungo oggi che confermo il mio giudizio. Le cause della disfatta spettano indubbiamente — e la storia lo dirà — alla classe dirigente.
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dire cioè che il coraggioso ha delle inevitabili crisi di paura, nelle quali l’uomo sente di avere smarrito tutto il suo coraggio, laddove nel pauroso, nel vero, tipico pauroso, nel vile, queste crisi (in senso contrai io, s’intende!) non si hanno.
Chi è vile, è vile. È tale anche a cento chilometri dal cannone, ha paura delle fucilate quando è... ancora al Deposito, quando nulla lo minaccia, ha paura di tutto: crea a se stesso le più curiose ipotesi, gl’intrecci più strani di possibili eventi dannosi e... ne teme. La sua stessa fantasia alterata è una tonte di nuova paura, perchè arzigogola, costruisco, crea castelli in aria per paventarne. Tutti i ragionamenti del vile sono alterati dalla inevitabile premessa della sua viltà, sicché questa gli toglie qualunque forza logica quando egli parli di fatti attinenti alla guerra. L’uomo intelligente quando ragiona di tali questioni diventa un idiota: la stessa moralità di questi vili si trasforma: quando giudicano di cose guerresche diventano disonesti, capaci di tutto. Sotto l'incubo della paura questi esseri perdono ogni dignità, diventano bambini; ne ho visto qualcuno piangere come un lattante, qualificarsi coi termini meno decorosi, accusare le malattie più straordinarie, rinunziare ai privilegi più ambiti ed onoiifici, confessare apertamente la paura. So di altri, esser restati delle giornate tra cadaveri putrescenti per non mettere fuori la testa dalla buca provvidenziale (che si chiama in scherzoso gergo guerresco fifhaus\) altri, invocare miserevolmente aiuto pel rombo di una granata che passa lontana nell'aria ed è diretta ad altra destinazione: altri diventar verdi, o gialli, o bianchi, assumere le tinte più nuove ed ignote che la pelle del viso possa'assumere in momenti eccezionali.
Questi vili fanno disgusto e pietà, de
stano l’indignazione ed il riso* La loro prudenza non solo di fronte al pericolo, ma di fronte ai più lontani elementi che possono in seguito costituire .un pericolo, è così estrema, così... lungimirante che rasenta il comico. La loro ira contro coloro che vollero la guerra è donchisciottesca, ma non meno umoristica. Le loro misure di salvaguardia, di previggenza, nel presentire i rischi, nello sfuggire a penosi deaeri, nel calcolare le possibilità sfavorevoli, sono così acute, così macchiavelliche, così complicate che stupiscono. Sono capaci di affrontare le più repellenti umiliazioni per sfuggire ad un compito ove intuiscono un pericolo. Confessano sfrontatamente la loro vergognosa viltà, con una delle frasi solite: la pelle al numero uno o la vita se la perdo, chi me la rende? nelle quali non sò se è più grande la banalità, o più delittuoso il concetto.
Molti di costoro sono al fronte e parecchi anche da mesi.. Costretti dalla disciplina a far la campagna vivono tra palpiti continui, con lo sgomento inesauribile del più lontano avvenire, amareggiandosi per la durata della guerra, inveendo contro la follia di questa Europa guerriera, che essi giudicano alla stregua della loro sconfinata viltà.
Molti sono imboscati. La schiera degli imboscati è in grandissima parte costituita dalle numerose legioni degli italiani paurosi. Se vogliamo dare una esatta e... giuridica definizione di questa figura creata dalla guerra bisogna convenire che imboscato è colui che, avendo la capacità di prestare servizio quale combattente riesce per mezzo di protezioni, d’inganni, o di menzogne a sottrarsi a questo sacro dovere ed a restarsene indietro, al sicuro.
Ed è bene ricordare che la qualifica d'imboscato, ormai costituisce una impronta morale che dovrà essere appieno
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vagliata in tulle le vicende avvenire, dopo la guerra.
Molti sono imboscati in qualità di... malati. Sono gente che passano i mesi di campagna facendo la spola tra i reparti e gli ospedali da campo, da questi spingendosi, a furia di lamentele e di pretesti, fino agli ospedali territoriali, spettri affliggenti dei medici, dei comandanti, degli inferiori. Non fanno che ripetere pietosamente i loro malanni, che narrare a chi vuoi conoscerla e sopratutto a chi non vuol conoscerla l’odissea dei loro mali, che, per una strana coincidenza, si rincrudeliscono allorché si approssima l’ora delle operazioni.
La malattia in fondo c’è, ma diversa da quella che essi confessano ed unica per tutti: la viltà! E così c’è un’altra • categoria di paurósi che manifestano la propria viltà come un effetto del loro amor paterno o filiale... Essi per tendenza e per principio sarebbero degli eroi... ma — poverini! — hanno a casa i figli ed è per quelli che credono utile sfuggire ai pericoli e far gettito di ogni umano pudore. È anche questa una categoria molto comune... e degna del più alto disprezzo perchè la paternità non è che la menzogna che dovrebbe giustificare la loro vigliaccheria. Molti che non hanno la fortuna di aver figli, tirano in ballo la madre vecchia che morrebbe di dolore se l’eroico figlio cadesse sul campo di battaglia!
Questi signori non vedono come sia miserevole il loro piatire, questo invocare i figli e le madri, quando si sappia che tutti i combattenti hanno a casa dei cari che attendono, che trepidano, che aspettano.
IX.
Il fenomeno della viltà degli uomini è certamente complesso... il disprezzo che segue quelli che si macchiano di
codardia di fronte al nemico'è un alto sentimento di onore militare che occorre alimentare, ravvivare, esaltare sempre più nel paese. Sarebbe bello e degno che i vili fossero posti all’indice, e la pubblica opinione li conoscesse per poterli disprezzare e le donne negassero loro il sorriso ed un’onda generale di deplorazione li seguisse dovunque e per sempre! Pare a me che questo sentimento di riprovazione non sia sufficientemente diffuso e sentito: il popolo ita-, liano è indulgente, leggero, facile ad obliare e trascurare. Forse non si sa bene in Italia di quali sanguinose conseguenze può esser causa la viltà di pochi, quanti successi forse non si conseguirono o restarono parziali per il delittuoso venir meno ai loro sacri doveri di qualche pugno di vili. Vi son dei momenti nei quali il successo dipende in modo supremo dal coordinato agire di tutti gli elementi, talora di tutti gl’individui... Basta che uno solo manchi al compito affidatogli, e il successo vicn meno...
L'esperienza della vita di guerra mi ha.dimostrato come la viltà sia massimamente una malattia della volontà. È possibile che l’istinto della conservazione, l'egoismo dell’individuo, sia in alcuni più prepotente, ma è certo che una forte volontà può dominare e deve dominare gl'istinti.
Quali nobili figure di eroi la guerra ha impresso nella mia memoria nelle persone di soldati o ufficiali che avevano l'istinto indomito della vita e pur avanzavano verso la morte, con dipinta nettamente nella espressione la potenza ‘dello sforzo volitivo per vincere la paura e andare dove il dovere li chiamava? Nei limiti nei quali è credibile che la volontà possa essere corretta. ed aumentata, può ritenersi che anche i più paurosi tenterebbero di emendarsi ove sapessero di essere espo-
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sti in conseguenza della loro viltà alla esecrazione perenne dei loro concittadini, delle loro stesse famiglie.
Fra i combattenti questo sentimento di disprezzo per i paurosi è diffuso e profondo. Nei reparti sono indicati a dito, conosciuti e... qualificati quei certi sol-, dati (fortunatamente in stretto numero) che hanno sistematicamente paura. Sono costoro oggetto incessante di scherni, di lazzi, di sarcasmi da parte di tutti! L’istesso sentimento di disprezzo e di esecrazione è per coloro che sono restati in Italia dimentichi del l’obbligo di affrontare i rischi della guerra.
X.
Uno degli effetti psicologici più importanti e abbastanza frequenti che la presenza di questi tipi paurosi può determinare, è quello di esaltare in altri il coraggio. Specie nei momenti di abbattimento, l’avere vicino un vile che si lamenta e annoia, produce nel nostro organismo uno stato di collera: è come una frustata eccitatrice. Lo spettacolo del pauroso determina una reazione violenta, in senso contrario: l'abbattimento scompare, sommerso nella indignazione e in un vago indefinibile senso di sfida e di orgoglio.
Sono istanti di vero eroismo, durante i quali si dimentica ogni pericolo e si è trascinati avanti ciecamente dalla collera, che l’atto di viltà suscita, dall’orgoglio di poter dimostrare al vile la propria superiorità morale, il proprio disprezzo per quella vita cui egli si-attacca tenacemente.
L'eroismo si manifesta assai spesso sotto queste forme di esaltazione della personalità.
È in ultima analisi un aspetto nobilissimo e elevatissimo di vanità. La vita è un bene, il più grande dei beni perchè ci manca ogni rapporto per apprezzarlo.
L’incognita della morte rende impossibile una valutazione esatta del valore della vita: altra cosa sarebbe sé si sapesse se questa sia tutto, o una prima esperienza della eternità, se ha quindi un valore assoluto e finito ovvero relativo e transitorio. È quindi il più forte dei beni dell’individuo. Farne getto con disinvoltura con indifferenza signorile ed altera, è gesto di bellezza estetica oltre che morale. In molte anime educate al sentimento dell’onore e della bellezza riesce quindi facile un profondo sentimento di vanità nel dimostrare il loro disprezzo pel pericolo, per la morte. La immediata reazione psicologica dell’atto di eroismo non è talora che questo.
Raramente del resto il fondo psicologico dell’atto di eroismo è l'effetto di una determinazione razionale a freddo. Il sillogismo difficilmente esprime l'eroe, forse mai. Il momento eroico è annegato in una atmosfera di subcoscienza, l’anima è travolta da una tempesta di sentimenti diversi, ma sempre primitivi e fondamentali: l’odio, l’orgoglio, la vendetta, la disperazione, l’amor proprio. la vanità e si opera sotto l’impulso potente di queste forze primigenie e forse ataviche, che nelle ore più tremende affiorano alla superficie dalle profonde e lontane scaturigini della stirpe.
Il momento eroico ha quindi qualcosa di sublime poiché è l’effetto ultimo di una personalità nel pieno ed estremo sviluppo di tutte le sue potenze psicologiche e morali, del suo passato, delle sue concezioni, della sua educazione, del suo modo di sentire. Sotto l'impulso incosciente, vi è cioè tutta l’anima di quell'uomo nella pienezza misteriosa del suo spirito. Lo scatto eroico è possibile quando vi sia quella certa preparazione, una speciale attitudine psicologica. E difficile analizzare questa altitudine psicologica.
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Coraggio, volontà, abnegazione, sacrificio, l’uno o l’altro o altri possibili di questi stati, non bastano: v’è qualcosa di più intimo, indefinibile, misterioso, prodigioso, qualcosa di sovrumano che trascina con la violenza di un uragano, che può essere follìa, stoicismo, estasi mistica, martirio, disperazione, rinunzia...
L’analisi negativa può dirci che i motivi razionali entrano minimamente nell’azione eroica. Nessun eroe va contro la morte, a compiere le più audaci imprese per aver considerato che l’atto che egli compie può essere strategicamente utile, o perchè la egemonia germanica farebbe tramontare per sempre la stella della terza Italia! I motivi dell’atto eroico sono i più semplici ed ingenui che possano concepirsi: io per caso noto tra i soldati un sardo timido che mi guarda con occhi spauriti ed intelligenti...: lo chiamo col gesto, gli domando di che paese sia, quale sia il suo mestiere, se abbia figli, gli batto amichevolmente la mano sulle spalle... Poco dopo il nemico tenta un contrattacco, ho bisogno che un soldato compia un atto ardito, riveggo il soldatino sardo, gli espongo il progetto... ed egli va, fiero, deciso, e può accadere che non torni più... È un eroe...
Questo caso è verisimile e frequente... È assurdo pensare che l’atto del soldato abbia una motivazione razionale. È forse un impulso sentimentale: la riconoscenza del soldato verso l'ufficiale che gli ha dimostrato di averlo caro, è forse il bisogno di provare che meritava quel riguardo, è qualcosa d’altro ma, innestato, tale impulso nella natura forte e fiera, nel passato, nel tempera, mento, nella semplicità psicologica del soldato.
L’eroismo si presenta in aspetti molto difformi, varia molto nei vari individui nei quali si manifesta. È sempre uno
stato di esaltazione per la quale mentre taluni sentimenti prevalgono con eccezionale violenza, altri si attenuano o scompaiono, assume espressioni molteplici a seconda degli uomini, delle circostanze. Vi è l’eroe semplice: è il povero soldatino sardo di cui ho detto più avanti: è l’alpino rude, incolto, ingenuo, che silenzioso ed impavido compie delle gesta epiche.
Nei momenti decisivi delle azioni, quando si sferra l’assalto nella sua terribile ed indefinibile realtà di sublime, e di orrido, questi eroi semplici e puri si svelano numerosi ed impreveduti; spesso l’atto fulgido è stroncato dalla morte.
Questi eroi semplici balzano fulmineamente nelle'ore più difficili, espressi dalla massa degli altri. Il perchè è un mistero commovente ed impenetrabile. Sono dei modesti soldati sconosciuti, pei lo più contadini, quasi sempre analfabeti, ignari di tutto, incapaci di comprendere sia pur lontanamente ciò che fanno e perchè lo fanno, esenti da qualsiasi motivo di ambizione, di vanità, di speranza, di ricompensa che possa concorrere a determinare il loro atto, perchè essi non conoscono che vagamente il significato morale che può avere una medaglia al valore, essi sanno perfettamente che quel segno di gloria non può in nessun modo riflettersi in onore e fortuna quando torneranno al paesello lontano, tra i loro semplici compagni di lavoro.
Raramente ho veduto soldati che si fregiassero del nastrino azzurro guadagnato sul campo: nella loro grande umiltà, figlia della sana e intemerata vita rustica, essi ignorano le passioni che divorano i moderni, e il morso dell’ambizione fra queste... Il loro eroismo trae origine dalle più semplici forme di sentire: l’istinto della docilità, l’affetto e la fedeltà verso gli ufficiali, il sen-
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timento guerriero delia dignità c dell’onore che si ridesta quale doveva essere negli antichi padri che trascorsero nel combattere la loro esistenza.
Il « momento » eroico è quasi sempre autonomo nello spirito del soldato da tutti i suoi possibili precedenti morali, o disciplinari, indipendente dal suo modo di pensare, dalle sue idee politiche e religiose: anzi può essere in contrasto logico con i principi professati dallo stesso eroe. Nelle anime semplici sonvi di queste contraddizioni, che in verità non sono contraddizioni, perchè i semplici non sofisticano e non alterano quindi con le quisquilie del raziocinio gl’impulsi puri e fondamentali da cui sono mossi.
Vi è quindi una notevole differenza fra il modo di pensare dei soldati, anche dei migliori, e il loro agire. Può anzi dirsi in modo generale e con grande approssimazione al vero, che ai fini de! valore militare dei combattenti è perfettamente indifferente, preoccuparsi del loro modo di pensare. Anche il soldato fieramente avverso alla guerra può compiere con bravura il suo compito di soldato. (1) L’eroe è quindi estraneo al complesso delle sue idee: è l’efflorescenza improvvisa di una forza grande e nuova che lo trascina.
Questo tipo di eroe «semplice» qui sopra abbozzato è il più frequente e il meno riconosciuto. Esso scompare nella massa, dopo aver brillato un attimo, e difficilmente l’ufficiale può notarlo e proporlo per le ricompense. È l’eroismo umile, modesto, che illumina solo se stesso della propria luce. Per spiegarlo ed intenderlo occorre aver presente la
(1) Non è fuor di luogo osservare che ciò è vero in quanto esiste un ferreo scheletro disciplinare 'dell’esercito, e i reparti siano inquadrati da ufficiali onesti e coscienti. Specie oggi, queste risei ve sono essenziali...
psicologia del combattente, intendere in altre parole, appieno la concezione della vita che esso ha.
Solo che la personalità del combattente sia pili sviluppata e complessa, in altra forma si presenta il suo atto di eroismo. Altri motivi si aggiungono a determinare il gesto glorioso il quale assume così toni diversi tali da aumentarne o diminuirne il significato morale.
Ho avuto sotto gli occhi una figura caratteristica e suggestiva di eroe. Tentiamo di delincarlo nella sua vera personalità. È un sardo di 28 anni; piccolo, magro,, bruno, viso scarno, occhio vivido e intelligente: una piccola testa su un corpo segaligno: espressione vivace, mobilità perenne del viso, della persona, del gesto: parla con gli occhi,con le mani... si eccita, si entusiasma, si dispera. nervoso, impulsivo, irrequieto. Ama il vino e soddisfa, ampiamente quando può, a cotesta sua predilezione! Fece la campagna libica e... disertò: scoppiata la guerra europea si arruolò, nella Legione straniera,' fu con Garibaldi alle Argonne c vi guadagnò la médailU militai™ (che è la medaglia al valore che si dà agli uomini di truppa).
Sciolta la Legione e graziato della sua diserzione libica fu richiamato in un Reggimento di Fanteria glorioso per la conquista del Col di Lana. E al Col di Lana guadagnò due medaglie al valore e due promozioni per merito di guerra. Ora (mentre scrivo) questo piccolo sardo mobile ed irrequieto è sergente maggiore pei merito di guerra ed è proposto per altra ricompensa al valore.
Si chiama Fais: e quasi analfabeta, ha nella sua Sardegna la vecchia madre, alla quale ha. ceduto l'assegno mensile di venticinque franchi die la Repubblica francese dà ai suoi decorati.
Ora le gesta di questo giovane magro e ardente in combattimento sono invero-
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simili: domina le situazioni affrontandole con una audacia che rasenta la follia. Sotto l'impulso della sua audacia, egli trascina gli uomini da lui dipendenti e conquista gli obiettivi che gli sono assegnati.
Alla fine di luglio 1916 avanzava solo, lontano dalla sua pattuglia di avanscoperta; in terreno sconosciuto. Ad un tratto vide luccicare fra i cespugli delle baionette •austriache. Non esitò un istante: si lanciò contro il gruppo, erano otto soldati, gridando: Savoia! e quegli otto nemici si arresero ed egli li portò nelle nostre file prigionieri! Durante la stessa azione, che si andò sviluppando per molti giorni, Fais’ è sempre il primo, compie altre gesta: ha l’elmetto sfondato da due pallottole, una piccola scheggia di granata nel fianco: due ufficiali gli muoiono accanto: egli esce da tutti questi momenti critici illeso, sempre più ardito, sprezzante della morte, miracolosamente immune da perigli straordinari.
Quel che è strano e nuovo è la disinvoltura, la noncuranza con la quale affronta il pericolo stesso, egli è trascinato come da una ebbrezza che gli vieta la valutazione del pericolo. Anzi pare dalle interrogazioni che gli ho fatte che lo stesso pericolo operi su di lui come sprone. Gli ho chiesto come e perchè si era deciso a gettarsi solo contro il gruppo di nemici. Egli rispose: « Quando vidi quelle baionette luccicanti, ho pensato: sono perduto: e mi sono slanciato avanti gridando: Savoia ». Egli dunque era certo di morire. Molti altri nel suo caso si sarebbero dati alla fuga e sarebbero certamente morti delle fucilate che senza dubbio la pattuglia avrebbe diretto contro il fuggente.
Fais è vanitoso, sente l’orgoglio delle sue medaglie, è fiero e allegro: non nasconde la superbia per la preferenza che i superiori gli dimostrano.
E ripensando a ciò che scrivevo nelle pagine precedenti, sul fattore determinante della vanità nel compimento degli atti eroici, debbo ripetere che in Fais, quella mia osservazione trova piena conferma.
Là figura più rara ma più bella, nobile c completa di eroe è quella che io chiamerei dell 'cioè consapevole: il trionfo dell’individualismo, della volontà fattiva, dell’energia che non conosce ostacoli, della personalità che vuole. L’atto eroico, che tale potenza di carattere e di volontà determina, è in altre parole la superba attuazione del proposito spinta oltre i limiti naturali; atto eroico che è un imperativo di necessità, cui l’uomo forte si sottopone quando sente e vede che senza di esso l’obietto non può raggiungersi. È l’eroismo della virilità, della intelligenza, del carattere integro e fermo. È l’eroismo dei comandanti, degli ufficiali di ogni grado. E basta la presenza di un solo anche di tali caratteri perchè si consegua il successo, mentre Ja loro mancanza, pur concorrendo tutti gli altri clementi, rende vano qualunque conato. È l’eroismo della passione, perchè questi ufficiali che sanno nei momenti supremi operare da eroi sono in genere uomini di passione oltre, che di carattere. Quando quei momenti supremi scoccano e le forze di attacco o di resistenza sono nell’istante critico della massima tensione, l’uomo •forte emerge calmo fra tanta agitazione, vede netto l'obiettivo, trascina con la azione, con la sanzione implacabile, con l’energia indomita del gesto, dell’esempio, della pena, i dipendenti, passa impavido e quasi ignaro fra i proiettili e va alla testa delle colonne di assalto... E vince... Chi non ricorda l’attacco coi gas asfissianti contro le nostre linee verso Mon-falcone nel maggio 1916? Ivi, un uomo: una di queste figure forti e volitive, il colonnello Gancio! fi, oggi generale, con
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lo slancio della propiia energia, con l’impronta eroica della propria volontà, quando pareva che la partita fosse perduta, seppe riprendere le redini della lotta e cacciare il nemico dalle trincee conquistate a tradimento. Senza quella maschia figura (orse l’azione austriaca sarebbe riuscita, (i)
Il valore morale e bellico di questi uomini è immenso. Per quanto la guerra moderna possa aver dato la massima effìcenza all’urto delle grandi masse, alla quantità dei proiettili, ai mezzi più intensi di distruzione, ai fattori meccanici in una parola, Sopravvive sempre, sopratutto in taluni momenti', che si presentano con frequenza anche oggi, la immensa trionfante potenza dello spirito, che sa imporsi con la sovrana e misteriosa eloquenza del carattere e dell’anima alla materia, trascinare i deboli, dominare gli eventi...
L’eroe consapevole è l’uomo forte che vuole, fortemente vuole, e quando ciò debba costargli la vita«, accetta liberamente di perderla purché si adempia quel che egli vuole sia adempiuto. Sotto l’impulso di questa necessità, dimentica ogni altra preoccupazione estranea al fine, procede avanti con calma risoluta e affronta con fermezza qualunque pericolo...
Questa figura d’eroe raggiunge i più alti limiti della grandezza, poiché è la forma veramente umana dell’eroismo, la più degna di gloria e di onore.
Havvi poi l’eroismo che si riassume nel gesto: l’eroismo estetico.
Mentre si svolgeva una grande azione sul Carso, nei primi mesi della guerra, una compagnia di fanteria, condotta da due sottotenenti, si spingeva, non ostante
(i; Nella tragedia di Caporetto furono numerosi gli episodi di siffatto eroismo, ma disgraziatamente non bastarono a porre riparo alla generale rovinai...
che. fosse, ridotta ad un terzo della sua forza, contro talune posizioni importanti. Uno sbalzo aveva condotto i nostri a circa 30 metri dalla trincea nemica; una squadra italiana si era avanzata dalla destra e prendeva di fianco i difensori della trincea stessa. I nostri sparavano febbrilmente: si approssimava il mo.-mento supremo dell’assalto. Ma prima ancora che il pili anziano dei sottotenenti desse il grido di Savoia, l’altro, che si chiamava Delle Code, trasportato da un impeto folle si alzò in piedi c gridò ai nemici: Arrendetevi. Scontò il gesto estremamente imprudente con cinque pallottole ricevute in petto c cadde riverso. .Allora di fronte all’atto di inaudita audacia, bello per la Sua stessa inutilità, di tutta la bellezza epica, i soldati e l’ufficiale superstite saltarono in piedi e diedero in un grande e commosso grido: Viva Delle Code: poi tornati a terra ripresero il fuoco implacabile (1) che durò fino a quando, presso sera, i nemici si arresero.
. Questo episodio è fra i piu belli per la poesia guerriera che ha in sè di quanti ne abbia saputi o veduti.
È una specie di eroismo diverso dagli altri, che merita un esame.
L’episodio di Enrico Toti, il popolano di Trastevere che muore lanciando contro il nemico la stampella, è della stessa tem7 pera. Altro identico ne conosco, che accadde in una-delle tante azioni per la conquista del Col di Lana. Cinque soldati resistono soli, contro una pattuglia austriaca assai più forte: si battono corpo a corpo con tutta la violenza dell’odio e dell’istinto: finalmente gli austriaci friggono; uno dei cinque italiani è restato privo di armi, con le vesti lacere e insan(1) Questo episodio mi è stato raccontato dall’ufnciale superstite: sottotenente Vac-cari di Genova. L’altro è vissuto, ma assai malconcio.
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gùinate, senza mezzo alcuno per arrecare altra offesa ai vinti. Allora si leva il berretto, e con impeto rabbioso lo lancia contro i nemici! (l).
I tre episodi hanno un elemento comune nel loio contenuto eroico: è l’esaltazione estrema dell’eroe nel momento che compie l’atto: oltre l’eroismo v'è il parossismo del sentimento, v’è l’estetica del gesto. Questo genere di atti hanno quindi una bellezza drammatica esteriore, che non risalta così nettamente negli altri esaminati avanti, una mirabile ed alta suggestione artistica che li fa preferire a qualunque altro.
XI.
L'uomo in guerra, posto di conti0 a pericoli quasi ininterrotti, a disagi e fatiche di ogni specie, subisce le più ampie oscillazioni sentimentali e morali del suo spirito.
Vi sono dei momenti nei quali si riesce ad annullare completamente in sè il sentimento della vita, a purificarsi, nel significato francescano della parola, della propria mortalità, ad avere la più alta ed intera libertà dello spirito, quasi si fosse sicuri da qualunque offesa nemica. Le ore di combattimento sono quasi sempre contrasegnate da questa veramente alta liberazione da ogni preoccupazione per la propria spoglia materiale. Specie se il combattimento è lungo, accanito, coronato da successo, si prova questa pienezza di vita e di sicurezza di fionte alla morte. A volte la oscillazione ci porta all’est remo opposto e si hanno le sensazioni della paura. Un uomo sempre coraggioso non ciedo possa esserci; certe ore sono contrasegnate da un sentimento
(1) Questo episodio mi è stato riferito dall’ufficiale osservatore di artiglieria, che dall’osservatorio nè potè, seguire il drammatico svolgimento.
di sconforto e di timóte. La sera delle giornate di battaglia grava sull'anima piena di tutte le ombre del terrore. Lo istinto della conservazione, fugato durante il giorno dalle emozioni della lotta, riprende il suo indomabile imperio, ci abbatte, ci schiaccia.. Il ferito, mentre lascia in barella il campo di battaglia, è dominato molto spesso* dall’¡stesso sentimento di paura. Si vorrebbe che i portaferiti volassero, si ha l’impressione che dopo esser sfuggiti a centinaia di proiettili, l’ultima granata debba colpirci e non ‘ farci’ giungere all’ospedale da campo... Sono sensazioni quasi puerili, che non solo ho provato su di me, ma ho appreso con l’interrogare molti ufficiali e soldati.
L'ora dell’assalto, i minuti che precedono quello stabilito per sferrarlo, sono fra i più prodigiosamente terribili che un uomo possa vivere. Tutte le angoscie e tutti gli spasimi si affollano nell’affanno senza pari di quei minuti. E sono minuti che sembrano ore e insieme secondi: si vorrebbe fermarli e si vorrebbe che volassero: fermarli, per dar tempo al proprio spirito di riprendere calma; che volassero, per uscire da quell’orgasmo insopportabile e affrontare l’ignoto nello scatto estremo di tutte le facoltà vitali.
Gli ultimissimi istanti sono di calma relativa: non si pensa più a nulla, si è assorbiti dalla lancetta del proprio orologio. o dall’elmetto schiacciato di un soldato che è sdraiato accanto, da una inezia. Si vuol richiamare l'immagine della famiglia e non vi si riesce: le persone care appariscono lontane lontane, in un’altra vita, quasi estranea a noi: il contorno delle loro immagini è scialbo, incerto... Si sente solo il fastidio di quell’attesa, l’ansietà per quei minuti che non passano mai, il nervosismo per quelle granate che passano sul nostro capo, sibilanti e che scoppiano or lontane or vicine con quel loro urlo rabbioso, bestiale, feroce. Non si ha la sensazione
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della morte, nè quella della vita, è una parentesi grigia di sfinimento, di angoscia, di torme senza fine. Pare che quella fucileria lontana non debba finire mai. che sia un fenomeno della stessa natura. E si attende nello spasimo convulso di una vita che può essere al suo finire... Poi, in un certo momento, quando pare che non si debba più dare l’assalto, l’attimo scocca, tutte le forze dell’onore, dell’odio, della speranza di vittoria, della necessità sopratutto, riprendono il loro imperio e si scatta fuori e si corre verso la cima agognata, dimentichi di tutto, nel parossismo della lotta e della morte...
XII.
La grandezza dell’eroe è nel dimostrare e nel sentire minore atlaccainento alla vita, nel sapere annullare completamente questo profondo, ed in un certo senso indicibile istinto. Ma la guerra attuale^ siffatta, che tutti i combattenti debbano necessariamente, in misura maggiore o minore, annullare in se stessi questo istinto. In grado diverso essi dònno indiscutibile prova di eroismo.
La fatale coazione della guerra, nel costringe! e gli uomini a soffocare l’istinto' della conservazione, ha una grande efticacia etica. L’uomo che acquista la consuetudine di affrontare ogni giorno ed ogni ora, per mesi e mesi la morte, non può non uscire profondamente trasformato da questa scuola. Con il rendere famigliare al nostro spirito ed alle nostre anime il pensiero e l’esperienza della morte, la guerra rinnova profondamente l’anima degli uomini.
In forza di questa rinnovazione spirituale, è lecito attendere con fiducia e con grande speranza l’avvenire. Il ritorno dalla trincea delle masse contadine, memori de) loro sacrificio dolorante, fortificate dalla lotta, temprate dalle dure prove, significherà un possente fiotto di ossigeno vitale nell’organismo della nazione.
Quegli uomini sentiranno allora, sopratutto allora, la grandezza e la bellezza del sacrificio compiuto, comprenderanno limpidamente, pur con la loro impreparata e incolta mente, le cause, gli effetti, il significato della guerra. Sentiranno l’Italia, l’orgoglio di appartenervi, le leggi storiche della sua unità, lo spirito profondo dell’esistenza nazionale. Le nostre masse rurali che avranno conquistato la patria col dolore, sapranno amarla e volere che sia quale deve essere.
Agostino Lan zirlo.
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LAMENNAIS E MAZZINI
(Coitinuazione. Vedi ¡¡¡lychnis di nov.-dic. 1917, p. 389)
IV.
Epistolario.
« E perchè voi sarete pronti a morire per l’Umaoità, la vita della patria sarà immortale».
G. Maxzixi. Doveri deWuomo, cap. Lo Patria
Lettera di Mazzini a Eleonora Ruffini — Invito a Lamennais affinchè cooperi all'unità d'Italia — Risposta dell’abate francese — Entusiasmo di Mazzini per le • Paroles d'un croyant » — Consiglio ad un amico di andare fra il popolo con il libro di Lamennais alla mano — Giudizio sulle lotte' contro I.amennais — Paragone di Mazzini con l’abate francese — Lodi a Lamennais — Manda alla madre la copia ’d’una sua lettera — Intenzione d’inviar un ricordo all’amico — Parole d'accompagnamento del dono — Definizioni religiose — Panteismo secondo San Paolo —• Giudizio di Sainte-Beuvc su Lamennais — « Maniaco di genio » — Parole nobilissime del sacerdote ribelle agli operai italiani — Suo amoie all’Italia - Sue speranze nelle nostre energie e nella nostra intelligenza — Uno stesso verbo predicato con egual ardore — Armonie del genio.
N una lettera diretta a Eleonora Ruffini, nel 1839, Mazzini chiedeva: « Di Lamennais, ditemi qualche cosa; poteste leggere scritti suoi? V’è noto l’uomo? Io non l’ho veduto mai. ma sono in corrispondenza con lui, ed è tra quei pochi esseri a’ quali guardo ne’ momenti terribili di disperazione d’anima e di scetticismo che mi visitano tuttavia » (1).
Nel 1834 Mazzini cominciò a corrispondere epistolarmente con Lamennais. La sua prima lettera fu un invito ad aiutare
con la parola e con le opere la nostra patria, e l’abate brettone rispose con alcune pagine, in cui dimostra in che concetto tenesse l’esule genovese.
« J’aime votre franchise; j’aime sourtout votre volonté ferme, ardente, de servir l'Humanité, votre pleine acceptation dès souffrances réservées de nos jours aux défenseurs de cette cause sainte, qui triomphera sans aucun doute, mais qui ne triomphera que par le sacrifice; car toute puissance est dans le dévouement, dans l’abandon total du soi' du repos, des intérêts, de la vie... Ce que vous
(1) Mazzini. Scritti editi ed inediti (Epistolario, vol. Ili) ad Eleonora Curlo Ruffini, a Taggia. Londra, 26 marzo 1839.
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LAMENNAIS E MAZZINI • _____ , 2Q
avez fait porterà ses fruits, Vous avez organisé la lutto de l'esprit contro la matière, de la liberté contre la tyrannie: ou ne saurait douter à qui la victoire resterà. La cause quei vous soutenez a pour auxiliaires le berceau et la tombe: la tombe qui dévore le passò, le berceau qui contieni Ics germes de l'avenir. Prenez courage, Monsieur. Les mères enfantent pour vous... »(i).
Queste linee riuscirono graditissime al nostro compatriota: le inviò in una lettera a sua madre, affinchè le facesse apprezzare da molti italiani; furono lette e commentate da tutti i suoi amici, ma siccome non traspariva in esse una profonda concezione dèi nostro valore, una convinzione precisa nella nostra causa, ed un desiderio di aiutar subito, con la parola eccitatrice di latenti energie, con l’afflato profetico che suscita la fede e l’entusiasmo, pensò di fargli comprendere meglio le sue speranze, esaltando l’Italia c mostrandone i difetti e le virtù:
«...Manca all’Italia la fede in Dio protettore del diritto violato, la fede nella propria forza latente, nella propria spada... non ha fede in quella unità di missione, di voti, di patimenti, che può fare d’una prima vittoria una leva potente a suscitare l’intera Penisola: non ha fede nel vigore ignoto finora dei principii, che non rifulsero mai sugli occhi del popolo, che non furono invocati mai e che dirigeranno, lo spero, la nostra prima impresa di libertà » (2).
Perchè questo sentimento di giustizia e di redenzione si risvegliasse nella sua patria, Mazzini fa tradurre i due capitoli sul Giovane Soldato delle « Paroles d’un Croyant ». « Bada, consiglia a Gaspare Ordono de Rosales (da Losanna, Pii agosto 1834), presso Ruggia v’han da essere 200 fogli, contenenti.i due capitoli del giovine soldato di Lamennais. Sono a disposizione tua, di Gualtiero, o di chi vuoi: bisognerebbe cacciarne in Piemonte e in Lombardia, se v’è ora truppa italiana. Io gli scriverò, perchè rimetta a chi si presenterà per ritirarli. Pel Ca-navese, Biellese, Torinese, penso io. Bisognerebbe cacciarne in Alessandria. Novara. ecc. Intenditi con Gualtiero... » (3). '
In un'altra lettera ad un ignoto, inviata da Soletta, il 12 novembre 1S34, ordina, per fomentare la rivolta in Italia: « Lavorate intorno al Popolo, troppo negletto finora. — Organizzate cautamente, ma con volontà, le provincie. — Insegnate a tutti la loro forza — la conseguenza di un fatto. — Dite loro che la Lombardia è un vulcano, ma che il segnale della rivolta lombarda non può sorgere che dal Piemonte. — Organizzate la corrispondenza coll’estero, perchè si possano da noi comunicarvi stampe opportune. — Tentate i parroci di campagna. — Col Lamennais alla manO, dite ad essi che le intenzioni nostre sono la realizzazione dei precetti del Cristianesimo, applicati alla Società — e che s’essi si ostinano a rimanere separati dal Popolo e dalla causa Italiana, rovineranno ogni sentimento religioso nel Popolo e nei patrioti italiani, quando, invece, purché s’affratellino a noi, purché trattino la causa del Popolo, contro lo straniero e contro la tirannide, riabiliteranno la religione, e la faranno più santa e potente » (4).
1) Mazzini. Scritti editi ed inediti, voi. X (Epistolario, pag. 153).
2) Mazzini. Scritti editi ed inediti, voi. X (Epistolario, pag. 153).
3) Mazzini, Scritti editi ed inediti (Epistolario, voi. III. pag. 16).
4) Mazzini, Scritti editi ed inediti, voi. X (Epistolario, voi. HI).
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Le Parolcs d'un croyanl, non piacquero a Roma, secondo le previsioni dei-fautore; vivaci e maligne polemiche si destarono in ogni campo contro il profetico libretto e da Losanna, il 27 agosto 1834, Mazzini avverte la madre: « Il vescovo di Rennes ha inviato una lettera a Lamennais, invitandolo con termini assai commossi a ritornare nel grembo della Santa Chiosa, proponendogli l’esempio di Fénelon. e tant’altre belle cose da muovere il pianto ai sassi. Quel diavolo di Lamennais ha risposto che ringraziava infinitamente Monsignore della sua bontà, che gli sarebbe stato riconoscente, e che coglieva con tanto più piacere l’occasione di protestarglisi devotissimo e ubbidientissimo servitore. — Così nè più, nè meno. — Del soggetto della lettera nemmeno una parola. — Pare una canzonatura schietta, schietta». Quando l’uragano s’addensa addosso al celebre polemista, ribelle ad ogni tergiversazione, fermo nei suoi principi, fedele ai suoi ideali, Mazzini informa di tutto la madre: * Se il Papa ha fatto mettere in Castel Sant’Angelo un Cardinale, perchè ha difeso il Lamennais» ha voluto divertirsi e nulla di più. Bisognerebbe poter mettere in Castello’ una metà dell'Europa ».
Non v’è lettera un po' importante dell’epistolario di Mazzini, non v’è scritto, in cui la causa del ]>opolo sia difesa, che non ricordi il grande francese; ed è curioso vedere come al nostro apostolo fosse gradito essergli paragonato: « Quel tale che io diceva del paragone fra Lamennais e l’autore italiano esagerava, o per amicizia o per altro. Non bisogna andare più in là del vero. Io so appuntino ciò che vai l’uno e ciò che vai l'altro. Tutti due hanno fortissime convinzioni, e un certo slancio perchè scrivon col cuore e non per mestiere. Ecco i due punti di contatto: del resto vi è divario assai ». ' (Lettera alla madre, del 24 aprile 1835). Nelle Lettres intimes del 1839, di Mazzini, pag. 131, dice di Lamennais, che è pieno: « di dolcezza e d’amore, che piange come un bambino ad una sinfonia di Beethowen, che. dà l’ultima sua lira ad un povero, che coltiva i fiori come una donna, e si scosta dalla sua via per non calpestare una formica ». Ancora il 6 febbraio 1835 da Berna, dove la sua vita forzatamente randagia lo portava, seguendo con vivo interesse l’opera di lui, riporta un brano di un articolo, apparso sulla Revue des Deux Mondes alla madre e conclude: « È un prete che parla: il prete più Genio di tutta Europa ».
Da. queste citazioni, si comprende che le dottrine del filosofo francese avessero fatto un grande effetto sul sensibilissimo animo di Mazzini. Si ripercuotevano in lui gli ideali umanitari; la lotta contro la Santa Sede rinfiammava d'entusiasmo; i sacrifìci imposti lo esaltavano e lo incitavano con l’esempio alla dedizione completa ad un sogno di redenzione sociale. Le diversità di carattere scomparivano nell’eguaglianza delle speranze; la vita tumultuosa, misera, infelice dell’uno aveva dei punti di contatto con quella tragica dell’altro, ed i libri di Lamennais, che correvano l’Europa eccitando a volta a volta odio od ammirazione, venivano letti da Mazzini, e gli riuscirono di continuo conforto,- anche negli anni più avanzati.
Da Londra, il 29 luglio 1840, confidava alla madre: « Ho ricevuto due giorni sono una lettera di Lamennais. Da molto tempo non gli scriveva, ed egli mi dimanda di farlo, e di dargli nuove della mia salute: “ Je crains toujours pour
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elle — mi dice — le climat d’Angleterre. Serez-vous donc toujours confiné dans cet humide et triste climat, vous pauvre plante du midi, habitué aux vents doux ed au brillant soleil? Mais il faut être où Dieu nous veut, et partout nous trouvons que ce qui donne seul du prix à la vie, est le devoir de chaque jour et la foi dans '¡'avenir, dans un avenir que nous ne verrons pas, mais que nos travaux et nos souffrances peuvent contribuer à préparer. Un de mes plus vifs désirs terrestres serait de vous voir et de causer avec vous bien à loisir de choses qui nous occupent tous deux. Malheuresement mille liens que je ne puis rompre me retiennent ici”. Anch’io ho vivissimo -lo stesso desiderio. Egli è.l’unica persona in Francia, ed anzi in questo momento in tutta Europa, ch’io desideri di conoscere di persona » (1).
L’affetto all’uomo' col quale divideva fede, speranze e dolori, si riverberava sulle persone ch'egli stimava in modo speciale, e su quelle che sapevano apprezzare le sue opere ed elevarsi ai suoi pensieri. Sempre alla madre carissima, alla quale confidava ogni sua pena ed ogni sodisfaziòne, diceva in una lettera mandata da Londra il 15 settembre 1840.
«...Il giovane prete di cui mi parlate, ha ingegno, oltre le buone intenzioni? che cosa sa di me per prendere interesse alle cose mie? Darei non so quanto per poter conoscere dappresso un certo numero di giovani preti italiani e corrispondere con essi. Potrebbero e dovrebbero far tanto bene all’Italia!
« Sa egli il francese? chiedetegli se conosce, e che cosa conosce di Lamennais, e che cosa ne pensa. Dalla risposta, capirò che uomo è. Precisamente a Lamennais ho intenzione di mandare un ricordo a nome dei nostri operai di qui che lo amano e onorano come un difensore della loro causa: l’ho già proposto in una riunione, ed hanno accettata la proposta. Vedremo che scegliere e ve ne dirò » (2).
In quei giorni usciva il violento opuscolo di Lamennais: Le pays el le gouvernement che, coinè già accennai, destò tanto putiferio nel ministero francese. L’autore fu processato e condannato, ed allora il dono gentile che Mazzini gli voleva inviare, prese un’impronta più affettuosa, e parve una prova di riconoscenza di tutto il popolo d’Europa, all’uomo che combatteva strenuamente per il suo bene.
« A proposito di Lamennais sotto processo — scrive Mazzini alla madre — abbiamo deciso qui nella nostra Unione degli Operai, di cogliere questa occasione per dargli una testimonianza del nostro affetto: e gli mandiamo col denaro lóro, e in nome loro, un bel suggello di lava lavorato, e nel suggello cinque stelle, delle quali ora è difficile darvi l’interpretazione ma indicano un pensiero religioso ch’egli capirà, e intorno le parole: Dio e l’Umanità. Sono incaricato naturalmente di mandarlo e di scrivere una lettera d’offerta che ho concepita così: « Les Ouvriers Italiens, formant une Section de l’Association Nationale de la Jeune Italie, m’ont chargé de vous adresser de leur part un cachet, comme symbole de
(1) Mazzini, Scritti editi ed inediti, vol. XIX (Epistolario, vol. IX, pag. 210).
(2) Mazzini, Scritti editi ed inediti, vcl. XIX (Epistolario, vol. IX, pag. 269).
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leur ferme adhésion aux principes pour lesquels vous endurez la persécution, et pour que vous vous rappeliez quelque fois en le regardant, qu’eux aussi vous honorent et vous aiment.
« “ Il vous honorent pour le Génie que Dieu vous a donné; il vous aiment pour l’usage que vous en faites.
« “ Ils savent que dans toute votre carrière vous n’avez eu, lors même que vous paraissiez vous séparer le plus des apôtres de la Démocratie, qu’une seule inspiration, l’amour du Peuple, qu’une seule chose en vue, le bien moral, intellectuel et matériel du Peuple ” » (1).
Il suggello fu inviato da Mazzini a Lamberti, a Parigi, affinchè lo facesse presentare a Lamennais da Battista (Ruffini), -e vi aggiunse una lettera da Londra al venerato amico per annunziargli il dono, e chiedere se gli pareva opportuno di lasciar pubblicare il testo della .lettera, che accompagnava il fraterno ricordo ncll’^^o-statato Popolare; uno dei tanti giornali che il nostro genovese fece stampare nella sua laboriosa e grande vita, per svegliare energie, eccitare gli italiani all’azione, redimere la patria.
« Nous sommes, egli dice, dans une position tout-à-fait analogue à la vôtre. Vous avez un juste milieu qu’il vous faut renverser, car il traîne la France à genoux dans la boue et efface sa mission dans le-monde. Nous en avons un aussi composé de toutes les petites médiocrités politiques et littéraires nourries aux miettes de l’école anglaise et de votre opposition des quinze ans...
« ...’La première donnée, l’idée du progrès continuel est la nôtre. Et panthéistes jusqu'à un certain point et en un certain sens nous le sommes tous, car nous croyons tous avec St. Paul et plus que St. Paul que Dieu est partout et en tout et que toutes chôses gravitent vers lui » (2).
Al dono gentile, alle parole che l’accompagnavano, Lamennais rispose ai nostri operai, emigrati a Londra con una lettera, che anche dopo tanti anni, in tempi in cui tutte le energie della nostra razza si sono risvegliate per un alto principio di giustizia e di libertà, deve esser letta attentamente, perchè in essa vi sono consigli utili e profezie che dovranno avverarsi.
Sainte-Beuve, scrivendo di Lamennais Ip definì « un maniaco di genio », perchè l’uomo tranquillo, che guarda con piacere al benessere e non è immune da un po’ d’egoismo, quella lotta ad oltranza contro gli opportunismi del mondo, l’assillante desiderio di rinnovare la società, il pessimismo catastrofico che sovente nasconde un grande amore per gli uomini, il sacrificio di tutte le ore non può comprenderli nel loro giusto valore, e volentieri ne sorride, quando non li biasima addirittura. Ma Giuseppe Mazzini capiva lo spirito che animava gli atti del grande e combattuto francese ed ammirò le sue parole, stimandole un vero lievito di vita per i suoi connazionali:
« Ho ricevuto la vostra del 5 dicembre (scriveva alla madre da Londra, il 16 diti) Mazzini, Scritti editi ed inediti, vol. XIX (Epistolario, vol. IX, pag. 344).
(2) Mazzini, Scritti editi ed inediti, vol. XIX (Epistolario, vol. IX, lettera a Félicité de Lamennais à Paris, Londra, 29 novembre 1840, pag. 375).
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cembre 1040). E prima di tutto vi copio la rispósta di Lamennais ai nostri opérai: *• Messieurs. Je conserverai bien précieusement la lettre que vous m'avez fait l'honneur de m’écrire, et le cachet qu'elle m'accompagnait. Je ne suis rien, je ne puis rien, mais vous avez voulu encourager mes faibles efforts pour la défense des vérités qui sauveront le monde. Nous avons en elles la même foi. et dans la lutte du Bien contre le Mal, de la vieille société contre celle ci qui cherche à naître, nous croyons fermement au triomphe final de Dieu et de !’Humanité, de Dieu principe et terme de toutes'choses, de l'Humanité, qu'il conduit, par des voies mystérieuses, à l’accomplissement de ses destinées; et ces destinées seront belles, car ce sera le règne du Père celeste sur la terre, le règne de la Justice et de la Charité. Qui ne se réjouirait de souffrir pour coopérer à cette œuvre magnifique de la sagesse suprême et de l'éternel Amour?
« “ J'aLvu l'Italie, etien’aipula voir sans l'aimer-sans croire qu'un grand avenir lui était reservé, et qué dans la transformation prochaine, elle aurait des hautes fonctions à remplir. Qu’elle s’y prépare, par un travail actif et profond sur elle même. Que dans une pensée d’unité parfaite elle se dégage de ses milles entraves, notamment de celles qui lient l’esprit pour mieux lier le corps, des préjugés de lieux et des funestes jalousies nationales: n’êtes-vous pas tous frères? Qu'elle secoue sa torpeur et son inertie, que prenant confiance en elle-même, elle s'exerce aux saints dévouémens, à la pratique laborieuse du devoir, qu’elle se fasse des moeurs pures et fortes. Alors, maîtresse d'elle-même, et invincible désormais, elle cessera de lever la tête pour chercher hors d’elle à l’horizon le point d’où le salut lui doit venir. Son salut; ce sera sa foi même, et la résolution inébranlable de chacun de ses enfants, de mourir, s’il le faut, pour elle. Gloire aus confesseurs, aux martyres!
« " Peut être ne me sera-t-il pas donné; Messieurs, de voir aucun de vous dans cette vie, qui passe comme une ombre; mais il en est une autre où nous nous verrons. Recevez les vœux ardents que je forme pour vous, pour votre pat rie, . .qui m’est particulièrement chère; et qu’a jamais nous soyons unis par le fond du cœur en Dieu et en l’Humanité. Votre ami très dévoué F. Lamennais/(i).
(1) Mazzint. Scriiti edili ed inediti, vol. XIX 4Epistolario, vol. IX, pag. 380).
Lamennais, Oeuvres inédites de F. Lamennais. publiées par A. Blaize. Due volumi, tom. 11. Correspondance, Mélanges religieux et philosophiques. Lettre à M. Joseph Mazzini, Sainte Pélagie. 18 août 1S41: «...Comme paitout vous ne Jerez rien sans le peuple, et pour qu’il devienne l'instrument de sa propre délivrance, que de choses lui manquent encore! Combien de préjugés à détruire, ¿‘idées nouvelles à substituer aux idées fausses dont il est imbu, d’habitudes à réformer, de désirs à faire naître, et que sais-je? C’est une transformation complète à opérer. Aussi le travail de l’enfantement me paraît-il loin encore de son terme dans l’Europe entière: tout, ce que nous pouvons faire, à mon avis, c'est de le préparer.
« L’affaiblissement du principe moral, conséquence immédiate de l'absence de religion, est la grande plaie de l’âge actuel. Les hommes sans croyances et sans amour ne vivent que dans le présent et y vivent isolés, ennemis les uns des autres, chacun d'eux n’ayant d’autre\règle que l'intérêt, ne songeant qu'à soi, ramenant tout à soi, par un égoïsme raisonné, qui systématiquement détruit tous les liens sociaux. On doit pourtant reconnaître dans Jes masses, avec des sentiments plus humains et plus sympathiques, que la souffrance conserve en elle une vague aspiration, un état moin dégradé, et comme un élan naturel vers Dieu -.
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Questi erano i sentimenti d’un uomo, chemoltijdei suoi contemporanei stigmatizzavano come morto ad ogni fede rigeneratrice, eretico, apostata, pericoloso per le anime che anelavano alla verità. Grandi sono state le debolezze di Lamennais, ma indegne, furono le lotte, subdole con cui si volle abbatterlo, vili le [calunnie e le armi adoperate contro di lui, che pur non valsero a farlo retrocedere dalla sua via, come nessuna forza terrena può fermare la lava [d’un vulcano in eruzione. Quanto .della sua fede, ripeto, del suo pensiero,' della sua opera fecondò l’azione ed il genio di Mazzini? I brani di lettere citati dicono, in parte, quanto il pensiero dell’uno ha influito sull'intelletto dell’altro. Essi sono due profeti* d'uno stesso verbo, che s’amplia collo svolgersi dei tempo, e dalle diversejmenti in cui è accolto, prende luce, solennità, importanza particolari.
Luisa Giulio Benso.
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mente, verso di noi.
ochi -anni fa —r consentitemi questo modestissimo ricordo personale — andando per i portici di Bologna in compagnia di un amico, identificai tra la folla delle persone una fi£o-nomia caratteristica, la quale m’era così bene stampata nella retina del cervello, per le molte imagini. e caricature che ne aveva vedute, ch’io dissi all’amico con piena certezza: —Vedi: Stecchetti! — Il richiamo non fu tanto sommesso che il nominato non udisse, e non si volgesse per un attimo, pacataIl ricordo è molto modesto, come ho detto, e del tutto insignificante. Ma non so dirvi con quale commozione lessi di poi nelle Rime dello Stecchetti quella poesia che s’intitola « Ora triste », e che dimostra come spésso avvenisse al poeta di essere, più o meno discretamente, ravvisato e additato tra la folla: «Quando tia la sottil nebbia serale — vo con la folla anch’io—2 mi sento dir vicino a voce bassa:
— guarda: Stecchetti è quello! » Di ciò il poeta non si rallegra; anzi, sentendosi oramai come un sopravvissuto, si compiange da se medesimo in tal modo: « Son trascinato anch’io dalla mia sorte — col guinzaglio al collare. — Cammino Come voi verso la morte. — Lasciatemi passare! »
E dire che i critici credevano di aver fatto — loro per primi! — la scoperta che lo Stecchetti era morto da un pezzo come poeta. Ma no, ma no: innanzi tutti, se n’era accorto lo stesso puèrrini, che si era anche lepidamente paragonato all'asino magro e slombato che trascina il carico pesante, fin che cade sul lastrico per l’ultima volta. « Il cor che sanguina non ha un desìo, —- l’ingegno e l’anima non han più vita; — ed or che il ridere passato espio«— e il mondo a vivere più non m’invita, — io cado e rantolo nel pianto mio. — Amiqi, ah, 1 ultima prova è compita! — Amici, datemi l’estremo addio! — Questa terribile farsa è finita! » • .
Ma vi prego di non prendere troppo sùl serio questo sfogo malinconico. Non dico che al Guerrini piacesse proprio’ai non essere più l’idolo della folla: solo mi rifiuto di credere che il Guerrini rantolasse nel pianto suo, e non so addirittura imaginarlo così accorato della sua sorte, cioè della sua celebrità, lui che la gloria
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non ricercò mai, e che, venutagli poi, non la sentì, neppure in minima parte, necessaria al suo vivere o la sentì soltanto come un fastidio, solendo ripetere: « Ah, fratei mio, che tormento la celebrità! >
Del resto, quando il poeta pensa alla sua fine, non perde tropjx) del suo buon umore. Sentite il suo testamento: Quando morrò lungo la terra smòssa - -non piantate il cipresso o la mortella: io la mia tomba non la voglio bella, -ma giovevole altrui più che si possa. — A che servono i fior sopra la fossa -l’alito d’april non rinnoverà - le membra, il cor, la vita e le cervella, —- vestito un giorno ed anima deH’ossa? Piantateci una vite! Il suo giocondo, — il suo celeste grappolo spremuto, — diverrà vino ghiotto e rubicondo. — E così, benché morto,, il mio tributo — ai vivi pagherò, rendendo al mondo — qualche goccia del vin che gli ho bevuto ».
Queste « ultime volontà » sono davvero poco malinconiche; e nel breve componimento ritroviamo, per il movimento iniziale, per la struttura della strofe per la giocondità del sentimento tutto l’artista e, se non tutto l’uomo. buòna parte dell’uomo, che si direbbe venuto a! mondo per corbellare il prossimo,; a cominciare da se medesimo. '•
Il che dà il tono a questa commemorazione che .non può e non deve essere sospirosa come un'elegia, per quanto contenuta nei limiti della riverenza, e forse, un poco accesa d’affetto, nel restituire’ alla verità storica la fisonomia del Guerrini. dimezzata o contraffatta dalla leggenda.
■ I.
Olindo Guerrini nacque il 4 ottobre 1845 a Forlì, morì in Bologna il 22 ottobre 1916. Vita abbastanza lunga, dacché si sia abbassato di molto il livello della longevità umana; e vita che, "se se ne toglie un periodo di clamorosa notorietà, non ha « nulla di strano 0 di romanzesco ». Lo riconosce lo stesso Guerrini: « La vita terra terra, se non sempre casta e pura come là dimora di Margherita, non reca però con sé alcuna macchia o alcun rimorso. Vita incolore, ma non insipida, almeno per me, se qualche caso imprevisto non ne intorbida la fine ».
Studente a Ravenna, poi al Collegio Nazionale di Torino, studia — non ci sarebbe bisogno di dirlo — pòco o -nulla, almeno per la scuola. Ma legge, legge molto, e la sera, prima di andare a lètto, fa dei- versi. A Bologna, con minore scio-. perataggine che a Torino, ma senza entusiasmo, studia giurisprudenza, e legge ancora molto. <« Dimenticava troppo spesso il Codice per Byron, Heine e DeMusset, che egli chiamava la sua Trinità ». Conseguita alla meglio la laurea, entra nello studio di un avvocato: « se la teoria della giurisprudenza mi era antipatica, la pratica mi era addirittura ripugnante e tornai a leggere ed a studiare di tutt’altro per conto mìo ». Più tardi, da buon romagnolo, farà della politica, senza, per altro, prendere troppa parte alla vita pubblica: .egli, se mai, fa la politica a tavolino, a colpi di penna e a suon di rime. La sua vita è tutta partita tra la casa e la biblioteca, distraendosi «con lunghe gite in bicicletta, lavoretti di fotografia, e cure di una sua villa ». E gli anni passano: altri tempi; altri ideali, altri gusti e altre mode po~
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litiche e letterarie distraggono l’attenzione de! pubblico dal poeta; ed egli finirà con l’attendere tranquillamente alla compilazione di un libro di ricette di cucina. L’artista e l’uomo Ora è soltanto un ricordò, che rimane e rimarrà, tuttavia, nelle pagine della .storia nazionale.
Parlando del Guerrini in quanto scrittore, comincierò da! porre in rilievo il critico e l’erudito, quasi completamente ignorato dai più. L’esempio del Carducci, lavoratore e studioso infaticabile, aveva ttasfusó in Ini l’amore paziente e illuminato delle indagini profonde ne’ più remoti e polverosi angoli della patria letteratura. E, per la duttilità meravigliosa de! suo ingegno, il, Guerrini passava senza sforzo alcuno dalle opere di fantasia alle esplorazioni critiche più rigorose, dalla giocondità dell’arte all'aspra severità della filologia e della storia letteraria che è arte e scienza ad un tempo. Prima ancora di esserne il bibliotecario, il Guerrini era stato il frequentatore assiduo e diligente della Biblioteca universitaria di Bologna: non uno di quei frequentatori che, come egli stesso dirà più tardi, vanno nelle biblioteche a ricercare gli atlanti di anatomia, ma di quelli che fanno dei templi dell’umano sapere una vera palestra di alienamente, intellettuale. Così, il Guerrini, leggendo con ordine, studiando con ‘metodo, compulsando con passione scrittori illustri ed oscuri, antichi e novissimi, si formò ben presto una erudizione sbalorditiva, affinò il suo spirito critico, e nello spazio di pochi anni (1879-85) con articoli, con prefazioni, con saggi numerósissimi di una genialità e originalità indiscutibili, si cimentò ngi campi più diversi della patria letteratura. Non è da fare il catalogo di questa sua produzione severa; ma gioverà ricordare le prefazioni a parecchi volumi della « Biblioteca Classica Economica », lo studio sul dalmata Francesco Patrizio (sec. xvi), il saggio: I pùnti passi di Maurizio Bufalini, .e il grosso volume su La vita e le opere di Giulio Cesare Croce, monografia dalle linee ampie e sicure, nella quale non solò è intessuta la vita del giocondo poeta popolaresco del ’600, che fu anche autore della vita di Bertoldo e Bertoldino, ma è ricostruita con scrupolosa esattezza tutta la vita bolognese e italiana dal '500 al ’600 È da rimpiangere che il Guerrini abbia quasi d’un tratto arrestato l'opera sua di critico e di erudito, la quale obbediva a un piano rigorosamente scientifico; ma più ancora è da deplorare die il poco che ha lasciato in questo campo — e pur bastevole a consacrare la fama di uno studioso - sia così dimenticato 0 ignorato dal pubblico che non conosce neppure o non conosce a bastanza il Guerrini che fu un magnifico prosatore. Prendete i suoi « Brani » o « Brandelli di .vita » e stupirete e innamorerete di una prosa così italianamente schietta e saporosa, che vi comunica una impressione di freschezza, di giovinezza e, veramente, di vita. Il Guerrini sa l’arte vera di foggiare il periodò e di collocarvi entro vocaboli piecisi e aggettivi pittoreschi, riuscendo di una naturalezza e di una perspicuità tali che al lettore non rimane che da gustare una melodia facile e piana. Anche nei « Brandelli di vita » spesse volte l'ironia, il sarcasmo, l'invettiva sono maneggiate dal Guerrini; ma con un maggior rispetto, che non in poesia, delle leggi della decenza e. della misura. E mantiene sempre vivo l’interesse del lettore, sia che parli di arte o ai filosofia, di politica ó di storia, sia che, senza volerlo, lo conduca ad esplorare un poco il proprio mondo intcriore, il mondo de’ suoi affetti, di cui è gelosissimo.
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Ma la maggioranza — ripeto — salvia e acclama nel Guerrini soltanto il tisico e voluttuoso Stecchetti. l'isterica Argia Sbolenfi, il malinconico Bepi. Lascio da parte le « Ciacolc de Bepi », nelle quali si contengono per altro delicati accenti di poesia, e sono un saggio felicissimo della grande virtù assimilatricc dello Stecchetti: il Guerrini era romagnolo e le « Ciacolc » sono sctitte, come si sa, nel più dolce e puro idioma veneziano. Delle « Poesie Cretine » e delle « Favole morali » di Argia Sbolenfi non è il caso di parlare, anche per la buona ragione che il poeta stesso le ha condannate. Resta, dunque, il poeta di «Postuma» e di «Nova Polemica». Ma non vi ripeterò la scoria troppo risaputa, di' quel riuscitissimo trucco letterario, per il quale il Guerrini è andato celebre sotto il nome di Lorenzo Stecchetti.
Si può. invece, domandare, come in via pregiudiziale: è lo Stecchetti un vero poeta n un semplice verseggiatore? Presso a poco è la domanda che si faceva egli stesso, in tono e in termini ben più recisi: «Sono un poeta o sono un imbecille? »... « E pur mi sento nei cervello anch’io - Qualche cosa che vive e che lavora, — E pur quest’anta che il mio volto sfiora — L’alito par delimitante Iddio! »
Certo, in lui era, ben più clie la stoffa, l’anima di un poeta. Certo, sono pochi i momenti in cui egli si abbandona al vero soffio inspiratore;- ma in quei momenti egli tocca le altezze soprane della lirica. Certo, sono pochi i suoi componimenti che reggano all’urto della critica; ma quei pochi, dalle movenze snelle e felici, di una pienezza canora, di una'semplicità graziosa e maliziosa a un tempo che fanno personale e originalissima la sua poetica, non si possono sgretolare: sono, senza classificazioni retoriche, senza etichette di scuole, sopra ed oltre le simpatie o le antipatie dei veristi o dijgli idealisti, sono poesia: cito ad esempio II Guado, V Annunzia-zione, Ruth, Memento ed altre che verrò in seguito citando, e mi riferisco ad altre che non debbo citare.
Ma il poeta non pi onde sul serio la sua vocazione e l’arte sua. Egli del dono del canto si serve unicamente pei mettere in versi tutto ciò che gli frulla per la mente. Spesso gli manca la vera inspirazione, e canta pei' cantare. Prende pietesto dalle piccole e dalle grandi cose, dal mito e dalla leggenda, dalla storia e dalla profezia. dal passato e da! presente, dagli argomenti più delicati come dai più prosaici o poeticamente negativi, per mettere a prova la sua raffinata perizia tecnica di labro di strofe. La facilità, la fluidezza, la musicalità sono doti che egli possiede in grado eminente: ma spesso queste.doti scialacqua nel modo più miserevole. Il sonetto, la quartina,'se pure non si diverta a farli deliberatamente brutti, riusciranno forsanche impeccabili, ma freddi; sontuosi ma vuoti. I metri neoclassici, così robusti in bocca di Enotrie, si ammorbidiscono sulle labbra dello Stecchetti. Il più delle volte egli è un dilettante, non un artista: un. verseggiatore, non un poeta. Per .questo, la sua produzione poetica è stata pletorica: alludo ifon solo a quella raccolta in volume, ma anche a quella rimasta disseminata in riviste e giornali, poiché si può dire che non ci sia stato in Italia un giornale o un.giornaletto d’avanguardia, al quale lo Stecchetti non abbia recato il contributo della sua collaborazione. La politica diventava nelle sue mani un argomento degno di versificazione. Che più? Egli faceva in versi anche l’elemosina, che mólte volte cedeva i suoi versi unicamente per rialzare le sorti finanziarie di »ma persona o di un giornale prossimo al fallimento.
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Tutto-ciò dei resto non era sfuggito al poeta* stesso che. parlando sia pure con amore paterno de’ suoi sonetti «figli d’un genitor troppo fecondo», li definiva così: «Qr si librano in alto ed or costretti — dalla fralezza lor. radono il suolo; -ora tuban d’amor sotto i boschetti — ed ora in cimiter piangoli di duolo. - E sen vanno così cercando il mondo, — di pensiero in pensici*, di lido in lido, — col volo spensierato e vagabondo ». E si può avvertire, quanto non pure ai caratteri formali ma anche agli spiriti dell’arte poetica del Guerrini, ciò che Arrigo Heine aveva osservato, con lucida coscienza, di se medesimo: « Ad ónta delle mie sterminate campagne contro il romanticismo, sono rimasto pur sempre un romantico, ciò in un grado maggiore che io non sospettassi». Proprio così anche de! nostro strenuo paladino della scuola verista, antiromantica e per convinzione e per programma. Sopra tutto in «Postuma» troviamo ipotiposi, figurazioni, parlate, visioni. fantasmi, pioggia, vento, folgori e tempeste, cipressi ed upupe, esaltazioni e scoramenti, malinconie e voluttà, tutto, in somma, l’armamentario romantico!
* La risata, in lui, si tramuta spesso in singhiozzo, il ditirambo e il brindisi in elegia; il lottatore superbo si avvilisce ai piedi della prima femminuccia che gli capiti innanzi. Non si sa mai bene con lui se ci troviamo in carnevale o in’ quaresima, in una casa allegra o all’ospedale, all’ateneo o al manicomio. Egli è un « sentimentale » più che un « sensuale »: un sentimentale malinconico e, quindi, un romantico a sub malgrado. E a traverso la varietà, l’incocrenza. le contraddizioni dei suoi canti, discopriamo una uniformità, una monotonia che genera stanchezza. Vogliamo trovare dei genitori o dei parenti al poeta? Non ne vale la pena.' È stato fatto il nome del De Mussct, del Béranger, del Baudelaire, e. con maggiore verità, egli molto deriva da quest'ultimo; ed è stato fatto* anche il nome degli ultimi scapigliati romantici milanesi: iì Tarchetti, il Boito, il Praga. Anzi, il Marradi ebbe a dire: « Praga è il dio, e Stecchetti è il suo profeta ». Ma non dobbiamo dimenticare che lo Stecchetti procede anche dal Carducci, sopra tutto per lo spirito combattivo, per gli atteggiamenti di poeta civile, per la virulenza delle invettive. Come nel Carducci, anche nel Guerrini ogrfi strofe vola via Senza guanti, ed è sempre uno schiaffo a qualcuno o a qualche cosa. E come il Carducci un giorno dovè dire: «La nostra patria è vile», così lo Stecchetti si sentì autorizzato ad esclamare, condannando, notate bene, la mancanza di alti sensi e di nobili ideali della sua «sozza età»: < Noi siam vigliacchi! ».. Fu il Cavallotti, allora, ad ammonirlo, tra il grave e il faceto: « Poi sdraia nel porci! l’anima sazia. — E “ Vigliacchi siam noi” si mette a urlare. — Potrà' darsi benissimo. Ma... in grazia..— Se parlaste un pochino al singolare? ». Senza scomporsi, lo Stecchetti rispondeva con ironico atto di pentimento: «ed io per ritornare — in grazia vostra, o puri/- parlerò a ’1 singolare — e scriverò su i muri — l’aforisma novèllo — che c’è un corrotto solo ed io spn quello ».
Tale.il poeta che è stato, in Italia, popolare come nessun altro mai. almeno per un ventennio, a decorrere dal 1S70. Pensate che per molti anni il Carducci fu quasi ignorato, mentre lo Stecchetti ebbe.sùbito vasta rinomanza in tutte le classi della società italiana! Popolare, non solo nel senso di poeta compreso, capito dal grosso pubblico che non ama troppi) le complicazioni della psicologia o le astruserie
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del simbolo; ma anche nel senso che fu accettato ed amato dal pubblico, il quale mc imparò e ripetè gli accenti, come ripete, fischiettando o cantarellando, le arie e i motivi delle opere musicali più in voga. Ciò vuol dire che tra il poeta e il pubblico esisteva un’affinità, una comunione di sensi, di.spiriti, d’ideali, la quale dà appunto la ragione dell’enorme popolarità goduta a’ suoi bei tempi dallo Stecchetti.
Noi possiamo rassomigliare lo Stecchetti a un collegiale che, dopo un regime di severità, evaso aH’aure libere della vita, senza più la vigilanza del pedagogo, padrone di se medesimo, vuole rifarsi delie lunghe privazioni e costrizioni di cui ha sofferto, e della libertà conquistata tanto s’inebria che ha bisogno di gridare a gran voce la sua pazza gioia, ha bisogno di gridare per tutto il tempo che ha dovuto tacere, ha bisogno di dir male di ogni freno e ¿’ogni autorità, di espcri-mcntarc e di fare tutto quello che prima gli era interdetto e di vantarsi anche di ciò che non ha fatto c che non farà mai, pur che finalmente si sappia che egli è libero, libero, libero, e che a nessuno deve o vuole rendere conio de’ suoi pensieri e delle sue azioni. .Ecco lo Stecchetti, con le sue audacie, con le sue monellerie, con le sue irriverenze ed insolenze, con le sue guasconate, con de sue grida, con i suoi cachinni e con le sue bestemmie. Sacrifica a Bacco, ma il suo dio può essere un onesto venditore di birra; s’illude di prendere a braccetto Venere o Fri ne che sono poi Emma o Carolina, salvo a dir male in genere del sesso femminile; o pure si mette risolutamente in cammino « con la fiaccola in mano e con la scure ».
Il pubblico si volge a lui e lo segue con simpatia istintiva. Anche quel pubblico era un po’ il « collegiale » del mio paragone. Ma parliamone con rispetto. Era il giovine popolo italiano, che, dopo i digiuni e le continenze eroiche della lotta per il suo risorgifaento, irrompeva o piuttosto voleva irrompere nei godimenti della vittoiia. del potere, della vita, mentre nella repubblica letteraria e nella monarchia statale c'era troppa disciplina monastica, troppo sentimentalismo ipocrita, troppo cristianesimo: «il cristianesimo nè carne nè pesce degli scrittori che adorano San Pietro e dicono male del suo successore ». Ci voleva un po' di ribellione: e, se la minoranza aveva trovato in questo stesso movimento di rivolta ideale contro la « pudibondaggine scrofolosa degli epigoni romantici », contro le «gesuitate let-. terarie », contro l’insincerità dell’arte, della politica, del vivere civile, un condottiero in Giosuè Carducci e la rivolta ebbe il nome dirò aristocratico di neo classicismo, la maggioranza salutò in Lorenzo Stecchetti il suo interprete e vendicatore, e il movimento popolare per la conquista di nuove libertà si chiamò, più modestamente e pedestremente: verismo.
Si combattè allora, e spesso con accanimento, da una parere dall'altra: dai romantici rugiadosi •• lattiginosi e dai novatori e oai libelli. Lo Stecchetti fu combattitore e segnacolo di battaglia a un tempo. Il Carducci stesso lo paragonò graziosamente ad uno di quegli operai di biblica memoria, i quali lavorando alla costruzione del tempio e. dovendosi difendere dai nemici, con una mano trattavano gli strumenti fabbrili e nell'altra tenevano giavellotti e dardi.
Nel Prologo di Polemica lo Stecchetti, rivolgendosi al lettore maligno, dice: « sentiamo}! peccatacci di questa scuola che tu chiami fíuova, benché abbia la barba
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lunga come il Cantico dei Cantici. La scuola nuova non è cattolica... non parla mai della patria... parla male delle donne... L’arte nuova è carnale, oscena, brutale, corruttrice•• *
A ogni accusa, lo Stecchetti risponde con la foga di un giovine avvocato difensore, con ragioni, con paradossi, con cavilli, con arguzie piacevoli, con ingiurie grossolane. È un avversario balioso e seducente. È pericoloso starlo a sentire. Se non gli si presta soverchia attenzione, si corre il rischio di dargli ragione anche quando ha torto.
Per' esempio: all’accusa « l’arte nuova è carnale, oscena, brutale », lo Stecchet ti risponde: « C’è davvero una reazione' forte contro le svenevolezze degli amgri passati che tendevano a fai dell’aite un mare di latte e miele... L’arte nuova è coi rat trice. Baie! L’arte non ha mai corrotto nessuno; e, in caso, è sempre l'ambiente sociale che corrompe l’arte... Gii aitisti hanno cominciato a catire che il segreto del trionfo sta nel sapersi ispirare.all'ambiente in cui si vive, alla verità di oggi, non a quella di cinquantanni addietro. Hanno capito che in arte bisogna essere del proprio tempo o morire. Poco importa se l’ambiente non è l’ottimo; in quello bisogna vivere. Poco importa se la società non è saña... Che cosa c’entra la moralità nell’arte di un libio? Maio nego l’arte morale, educativa, pudica, poiché la moralità, l’educazione, il pudore non sono niente affatto tropi, ritmi, ornamenti, «ettorica; sono ben altro! Non confondiamo l'arte di uno scrittore co’ suoi concetti ».
A cominciare dall’ultima boutade guerriniana, si può con eguale diritto negare l'arte immorale, corruttrice, oscena, poiché l’immoralità, la corruzione, l'oscenità, anch’esse, non sono affatto tropi, ritmi, ornamenti, retorica, non sono affatto arte. Ed è giusto lo stabilire che per fare dell'arte non bastano intendimenti morali, educativi, religiosi e patriottici; ma è altrettanto giusto riconoscere che, per fare dell’arte, non bastano nè pure due o tre parole, due o tre gisti da trivio. Parimenti: sta bene che la moralità non c'entra con l’arte di un libro, poiché l’arte e la morale sono due cose ben diverse é distìnte; ma purché non sia vietato di condannare come immorale un'opera immorale secondo il codice, ancorché essa sia ai tisicamente bella e forte.- Perchè è vero che l’arte immorale è soltanto quella che non risponde ai canoni estetici,\ quella che non riesce a rappresentare perfettamente uno spettacolo di verità o d’immaginazione e che non riesce a trasfondere le impressioni, le sensazioni, i.sentimenti dell'alt ¡sta; ma è altrettanto vero che l’artista non è dispensato dall‘obbedire alle leggi del decoro e della decenza. Né, per questo, è necessario che l’artista si prefigga degli scopi morali e che sermoneggi come un pedagogo: solo, gli si chiede — e non si sarà certo troppo esigenti — che non faccia dell’arte sua ano strumento di corruzione, e non voglia incorrere nella condanna di quel sommo artista che proclamò: « Galeotto fu il libro e chi lo scrisse ». In ciò, siamo anche sostenuti dal De Sanctis: «Volete veramente servire alle idee morali dell’arte? non ci pensate Voi: lasciate che ci pensi lei! »
D’altra parte, è un po' temerario l’asserire che l’arte non ha mai corrotto nessuno. Disgraziatamente, la letteratura « galeotta » ha fatto troppe vittime, perchè si possa sostenere legittimamente che non ha fatto- male mai ad alcuno, né agii ingenui, nè ai già corrotti; come si può provare storicamente non essere sempre
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vero che l’arte non preceda, ma segua le rivoluzioni. E forse lo stesso Guerrini non riconoscerà più tardi, con dispetto e con disprezzo, che « l'arte — o tenta gl'ignavi e i corrotti — coi canti e le danze sfacciate, — o chiede alle tazze vuotate — il lercio profluvio dei motti»? In fine, non è vero che poco importi se l’ambiente sociale non è l’ottimo, se là società in cui si vive non-è sana. Poco importa o poco potrà importare agli artisti meschinelli c vili, che non sanno levarsi un palmo da terra, nè battere vie nuove; che non hanno il coraggio di andai contro corrente; òhe trovano più comodo il blandire che lo sferzare: mercenari senza coscienza e senz’arte! I grandi, i veri artisti non. hanno mai asservito l’arte loro ai gusti del pubblica < Chi a contemporanei coirotti dà soltanto quello che essi vogliono e applaudiscono, sarà certo abile e fortunato, come furono l'Aretino e il' Marini; ma quegli sarà degno del nome e dell’ufficio di scrittóre che avrà indicate agli uomini una via d’essere migliori e più felici ».
È falso che, per essere del proprio tempo ed inspirarsi all’ambiente, si debba, a mo’ dei cortigiani, adulare i contemporanei: in ciò stdrà riposto il segreto dei trionfi editoriali, non dei veri trionfi artistici. Si può esseie del proprio tempo anche col flagellare i vizi dell’ambiente in cui si vive. E, se in qualche parte, è vero che la società fa l'arte, che vuole, cioè, l’arte a sua indagine e somiglianza (quell’arte che si- merita e le piace, direbbe lo stesso Stecchetti), i grandi, i maggiori artisti da Giovenale a Dante, da Dante al Parini, dal Parini al Carducci, fanno l’arte a immagine e somiglianza loro, e senza cure soverchie dei propri trionfi flagellano inesorabilniente i peccati e i... peccatori del loro tempo. Ma, in fondo, noi predichiamo a un convertite», perchè ancora una volta proprio il Guerrini esclamerà compassionevolmente: «Ah l'arte si compra e si vende». Ma egli voleva vincere stravincendo.
Ora tutte queste scaramuccio letterarie rivestono appena il carattere di una curiosità nella storia del nostro paese. Verismo? Idealismo? Questioni superate, per non dire a dirittura sotterrate. Libertà dcH’arte? E appunto l’arte è stata liberata da infiltrazioni di concetti, di sentimenti, di pregiudizi che non hanno nulla a vedere con l’arte. Oggi l’arte e gli artisti si discutono soltanto in nome dell’arte e secondo i cànoni dell’estetica.
La questione, si è semplificata fino al punto per il quale lo Stecchetti combatteva: « Non ci sono nò veristi nè idealisti. Ci sono degli scrittori che scrivono bene e degli alti i che scrivono male, ecco tutto».
Solo è da ricordare che per fare trionfare concetti così sémplici e giusti, per ottenere vittòrie così modeste, si è dovuto lottare sul serio. E per tutto ciò è doveroso riconoscere che lo Stecchetti non ha servito soltanto alla sincerità, il che vuol dire alla moralità, dell/arte, chiamando le cose col loro nome: « barba la barba, e non Vonor del mento ». Bisogna riconoscere che « sotto il verismo non c’era soltanto l’oscenità, ma qualche cosa di più grave», e cioè: il processo e la condanna dei più vieti pregiudizi, delle più stolide menzogne, dei più vili compromessi, delle più ignominiose ingiustizie. Di qui la febbre dello Stecchetti di una « rivoluzione della giustizia », il suo sogno di una società rinnovellata su nuove basi per la felicità di chi «stentando il pane a frusto a frusto, sangue e lacrime suda», i suoi maschi
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accenti di poesia sociale, che. Ada Negri svilupperà inconsapevolmente più tardi. Di qui anche rarrivederci che egli grida ai filosofi salariati: «A rivederci,, o ma-schei e pagate! — A rivederci, illustri mangiapane! — A rivederci su le barricate! ».
Lo Stecchetti — è evidente — esagera spesso, è eccessivo tanto ne’ suoi odi politici quanto rie' suoi furori letterari, ma lo riconosce egli medesimo: * Nelle battaglie non si misurano le sciabolate.' I romantici esageravano gli scheletri, i classici esageravano gli Dei. I nostri idealisti, rifuggono adesso con orrore sacro dal mangiare carne il venerdì: i veristi affettano di mangiarne per dispetto il venerdì santo... Eccederà la ribellione, ma eccede la reazione, e ribellione e reazione non sono che la tesi e l’antitesi dalle quali trionfante e gloriosa la sintesi proromperà ■.
' M. A. Gabelline
La seconda parie prossimamente).
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RELIGIONI DEL MONDO CLASSICO
IV.
1. Una nota di G. Maspero nel Recueil de ivavaux rclatijs à la phil. et arch. égypl. et assyr. (38, 8) dà brevi quanto preziose informazioni su un antichissimo culto egiziano prestato agli dei alberi, parallelo a <1 nello che ricevevano gli stessi dei in forma d'animali. A questo culto si deve attribuire l’istituzione di boschi sacri numerati in documenti egiziani, boschi che per ogni nomo si componevano di 2 o 3 specie di alberi, probabilmente in stretta comunione con gli dei locali.
2. Prendendo le mosse da alcuni passi di autori classici (Plinio 8, 46; Amm. Marceli. 22, 14, 7; Solin. 32: Plut. de Is. 56) nei quali si afferma che il bue Api quando aveva raggiunto un’età fissata dai libri sacri, era annegato in una fontana. E. ChaSSINAT nel Ree. dee Irav. rei. à la phil. et à l-arch. égypt. et assyr. (38, 33), prende in esame la questione non senza premettere che finora l’opinione più comune de' critici su quest’ argomento era che il culto del bue Api avesse seguito un’evoluzione «Iella quale i testi faraonici mostrerebbero un periodo in cui tale rito non era in uso. mentre quelli greci e romani ne denoterebbero un altro più recente in cui esso era in vigore.
Per poter però esaminare compiuta-mente i testi che paiono riflettere la morte imposta al toro sacro, l'A. ritiene che si debba approfondire prima l’esame delle modificazioni che il mito subì, sópratutto’in rapporto alla credenza greca per cui Api era l’immagine vivente di Osiride, la qual con
cezione, secondo il Maspero, sarebbe stata imposta dall’influsso alessandrino, onde sarebbe derivato il costume rituale simbolico di mettere a morte il toro sacro nel modo tramandatoci dagli autori nominati. Ed esaminando appunto le stele raccolte da M'ariette alSerapeo si può concludere per l’esattezza della tradizione conservataci da Strabono (17, 1.31). secondo cui Api = Osiride.
Senonchè questa concezione non è la sola; noi troviamo pur quella che Api vivente non è l'incarnazione di Osiride, ma quella di Oro e diviene Osiride solo dopo la sua morte; altrove, mentre la madre di Oro si trasforma in vacca durante le sue peregrinazioni, il figlio si trasforma in Api. Nè basta: altri testi ce lo dònno come figlio di Phtah e come Tumu e persino tutte e tre le assimilazioni insieme. Se quindi è vero quel che vuole Plutarco che dopo 25 anni di vita, corrispondenti alla vita terrena del dio da luj rappresentato. Api era annegato, ne segue che ciò deve essere stato fatto quando egli non partecipava affatto alla natura di tutte queste divinità, ma a quella d’una sola.
'D’altra parte, se far la storia del mito d’Api è difficile per le non numerose attestazióni documentarie che abbiamo, non è neppur dubbio che la sua identificazione con Osiride è recente. Per i tempi più antichi invece, si deve concludere ad un avvicinamento di Api con Phtah, l’artefice supremo, che riunisce in sè tutte le forze produttrici del mondo. Questo avvicinamento delle due divinità pare debba esser fatto non nella forma di « rinnovamento »
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di Phtah, ma sotto quella di suo soffio ». di figlio cioè e quindi sol così di colui che io rinnova, lo sostituisce, gli succede sulla terra. Onde'Api è • l'intercessore, il mediatore vivente tra l'umanità e la divinità -. ('osi sarebbe dimostrato quel che diceva già Manette, il quale spiegava in questo modo la duplice natura di Api « Osiride «= Phtah. Api cioè, sarebbe l’incarnazione di Osiride per opera di Phtah, che è la saggezza attiva di Dio. il verbo. Quando esso si manifesta diviene Osiride, il mediatore tra Dio c l’uomo, e quindi Osiride s'incarna in. Api, grazie a Phtah' che, prendendo la forma di fuoco, celeste, feconda la vacca madre.
Api .però è, come Osiride, una divinità nilotica: questo forse ci spiega il fatto della sua morte a 25 (o 28?) anni, -poiché a 28 cubiti era fissato il massimo del livello a Elefantina della piena del Nilo. Anche qui non è diffìcile .vedere come egli si riattacchi a Phtah - il grande-Nilo e quindi come l’assimilazione possa esser ricondotta al punto da cui partimmo.
Lasciando sfare ora gli altri aspetti di Api. l’A. prende in esame acutamente i testi che parlano della morte di Api e rileva come già in quelli della XIX dinastia si abbia questa forinola: <• In questo giorno la maestà di Api si portò al Qobhou (e hi sua anima sali al cielo - — come si può completare con altri testi). Ora questo luogo così denominato. Se può essere il luogo dell’al di là in cui il Nilo nasceva, e la cui acqua fresca costituiva per gl’Isiaci quel paradiso da cui i Latini tolsero il concetto di rcfrigeriuni, qui essendovi un duplicato nella frase che in tal caso verrebbe a dire: « salì al celo (— Qobhou) e l'anima sua si portò al celo» — si deve concludere che il suo significato è differente. Altri testi confrontati permettono difatti all’A. di stabilire che con quel nome si indica semplice-mente una certa quantità d’acqua, una sorgente," una fontana (fons come dicono i testi latini, ricordati), e poiché è noto che nei templi egiziani per le purificazioni si aveva un pozzo, un lago alimentato; mercè una canalizzazione sotterranea, dal Nilo, si deve convenire clic si à cenno esplicito della molte rituale del bue Api fin nei testi della 19» dinastia con la frase: « In questo giorno la maestà d’Api andò alla fonte Sacra * ossia* eufemisticamente, fu annegato (e quindi, poi, lasuaanima salì ài cielo).
11 Ch. termina il suo interessante articolo facendo notare come questo genere di
morte debba forse collcgarsi ad una credenza di cui il Griffi th à trovato cenno in Erodoto (2.90). Qualunque corpo di annegato nel Nilo doveva essere imbalsamato a cura della città a cui era trasportato, dalla corrente; nessuno doveva toccarlo, ad ecce- . zione dei sacerdoti del Nilo. Molti fatti confermano la testimonianza di Erodoto, che doveva rimontare coinè credenza all'episodio della fine tragica di Osiride e grazie alla quale, quindi si doveva in un certo qual modo, assimilare al dio colui che ne aveva seguito la sorte. Perciò i buoi sacri (Api e la vacca d'Iside) non potevano, come rappresentanti viventi degli dei, avere una fine più augusta.
3. Nella 'Rivista -indo-greco-italica (1.3) E. Cocchia ritorna sul carme notissimo quanto vessatissimo degli Arvali con un • contributo ermeneutico di cui chi dovesse occuparsi di quell’insigne documento, anche dal punto religioso, farà bene tener conto. '
4. Per la relazione che la di
Atenagora à con la storia religiosa dell’impero. crediamo opportuno far cenno di un’interessante ricerca di G Porta, pubblicata nel Didiiskaleion (5,5 3) sulla dedica e la data di quell’apologià. È noto cioè che essa è dedicata a due imperatori, padre e figlio (c. 18) e di ciò non dubitano i maggiori critici (Mommsen. Harnack): il fatto però che ai nomi segua l’epiteto di « armeniaci, sarmatici •. sul primo de’quali alcuni si fondarono per vedere negl’imperatori M. Aurelio ed il fratello, anziché M. Aurelio e Commodo, à indotto Mommsen e Harnack a riscontrar nel titolo di « armeniaci » un’alterazione o una falsificazione, ed a retti- ' (icario (rtppavtxetc Mommsen). Il Porta invece, con la scorta, mai bastantemente adoperata, delle iscrizioni e dei papiri, dimostra come in realtà si tratti di M. Aurelio e di Commodo, i quali, in ambedue le categorie di tali documenti, sono denominati --armeniaci» anche dopo la morte di L. Vero. Ne segue che l’operetta di Atena-gora va certamente posta tra il dicembre del 176 ed il marzo del ¡80, durante il qual periodo i due sovrani regnarono insieme. •
Il P. tenta poi di restringere tali termini fondandosi sul noto passo (c. 1) in cui Ater nagora allude alia pace profonda goduta da lutto quanto l'impero, cioè precisamente dalia fine del 176 alla metà del 178, quando si riprese la guerra contro i Germani. Come ipotesi finale, senza pur insistervi, il P. accenna in fine al fatto che nell'agosto 177
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dopo i • fatti » di Lione sarebbe stata spedita la nota lettera delle chiese di Vienna e Lione alle chiese d’Oriente, c che da esse avrebbe avuto la spinta Atenagora, che l’avrebbe conosciuta in Alessandria, per comporre la sua iquopcla, la quale quindi sarebbe dell’anno tra l’agosto i77 e la metà de) 178.
Non nego che l'ipotesi sia seducentissima, ma...
5. Sul demone socratico FÉ». Kjesow fa alcune importanti osservazioni nel Boll, di filologia classica (24, 34 sgg.: 52 sgg.) discutendo brevemente dapprima delle fonti dalle quali può aversene notizia (Platone e Senofonte) c quindi prendendo in esame i luoghi da cui si ricavano gli elementi caratteristici della fede di Socrate in questo importante fattore psicologico della sua dottrina. 11 problema che ne deriva, per l’A. può. esser analizzato, sotto tre aspetti; quello della psicologia dei popoli, quello dell’intendimento socratico su tale denominazione; quello infine della psicologia empirica moderna. Sotto il primo aspetto il non è che una
delle prime forme con cui sorge il concetto dell’anima, forma che si trasforma e si sviluppa a mano a mano che sorge l’eroe e il dio, dal qualè ultimo non si differenzia nella coscienza popolare, mentre nella poesia viene considerato come essere tra il dio e l’uomo. Con Socrate esso ritorna all’anima umana, trasformata. Sotto il secondo aspetto le fonti ci attestano che il tei mine ¿cuplvtov scelto da Socra te è conforme aliaiede popolare, secondo cui i demoni stanno tra gli dei e gli uomini e sono detti persino dei, perchè generati da essi. Così anche il demone socratico è una derivazione della divinità ed una sua rivelazione, onde è chiamato da lui anche «il divino» ~ò stìov. Sotto il terzo aspetto, tenuto conto di quel che ci dice Platone, si deve riconoscere nel 8cu,uèvtov socratico .un processo che appartiene al campo delle inibizioni psichiche, non nel campo intellettualistico (obbiettivo), ma in quello sentimentale (subbiettivo).
Con quest’interpretazione si spiega il perchè Socrate non sappia determinare il fenomeno se non vagamente, usando termini metaforici quando non lo chiami il demonico o il divino. Trattandosi di un’imitazione che parte da un sentimento, ad esso non corrisponde alcun contenuto oggettivo. Esso sorge per via associativa, viene poi appercepito attivamente e rir ferito alla divinità onde /acquista un ca
rattere imperativo che non può suscitare dubbi in Socrate. Un fenomeno simile non è infrequente pur nelle coscienze normali e poiché in quella di Socrate si affermò come rivelazione divina e. con l’esercizio dcll'autoesame acquistò forza e chiarezza di contorni, si comprende-bene come abbia potuto frequentemente ripetersi in tutte le sue azioni.
6. Il culto di Diana in Svizzera offre ad A. Boissier il destro di fare alcune notevoli osservazioni non solo sull’origine del monastero delle donne (Fraumiinster) in Zurigo, ma pur anco sulle connessioni che à il culto stesso con credenze, simboli e leggende delle religioni antiche del mondo classico. Nella comunicazione, difatti, da lui esposta alla società di storia e di archeologia di Ginevra il 13 gennaio 1916 e pubblicata a parte (Ginevra, Kundig, 1916) egli à ripartito l’argomento trattato, in due capitoli, nel primo dei quali esamina la leggenda dell’abazia di Zurigo, mentre nel secondo fa de’ raffronti e delle osservazioni a proposito del culto e del simbolismo di Diana. ' .
La leggenda da cui il Boissier trae lo spunto ricorda come. fondatrici del convento di Zurigo le due figlie del re Luigi il Germanico, nipote di Carlomagìio: esse quando si recavano la sera a.pregare avrebbero avuto per guida un cervo che portava all'estremità delle sue corna due candelieri accesi. Alcuni monumenti che il B. enumera riproducono pure il .cervo leggendario. Ora delle sagaci comparazioni e qualche traccia di culti antichissimi svizzeri permettono all’A. di concludere la prima parte del suo studio con l’affermazione che la chiesa del convento di Zurigo, del Fraumiinster cioè, è stata elevata sul luogo stesso ove sorgeva un tempio di Diana.
Nella seconda parte del suo studio il B. prende in esame alcuni monumenti figurati del ciclo artemisio: la raccolta dì queste varie.forme e di queste differenti prove dell’importanza che ebbe nell’antichità il culto della luna costituisce un importante contributo per lo studio dell’antica religione astrale. [Non bisogna però nascondere al lettore che il difetto di quest'esposizione è il difetto non di rado comune a tal genere di studi riassun? tivi: quello cioè di non tener conto di elementi cronologici ed etnici che chiariscono spesso rapporti e relazioni non sempre facilmente esplicabili altrimenti e che pos-
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sono trarre in errore anelici più cauti degli studiosi. Indubbiamente invece è, a. mio parere, ottimo mezzo di studio anche in questo campo il confronto delle credenze antiche con quelle dei popoli allo stato primitivo, i quali furono recentemente o sono ancora nell’orbita delle nostre osservazioni. A ragione quindi] il B. si serve molto del-* l’opera di P. Schmidt sulle religioni dei popoli dell’Austronesia e passa successivamente in rivista, brevemente, il culto di Diana in Grecia, in Asia, in Siria sia nelle sue manifestazioni zoolatriche, sia nel suo vario simbolismo (corna, ascia, numeri magici). Sopratutto le raffigurazioni zoologiche offrono al B. delle interessanti comparazioni che si estendono pure alle sempre alquanto enigmatiche rappresentazioni dei grifoni che dall’arte orientale passano all’arte classica con una straordinaria ricchezza di tipi e le quali lo conducono ad esaminare perfino degli usi molto suggestivi dell’estremo oriente.
'7. Nell’ultimo volume dei papiri d’Os-sirinco (XIII) accanto a qualche oroscopo che può avere importanza per la cronologia imperiale, ma che non ne à alcuna per sè, notiamo un frammento (1477) di una lista di domande ad un oracolo, numerate, delle quali ci sono rimaste una ventina (e precisamente dal 72 al 92): ne diamo la traduzione per curiosità: « ricc-. vcrò il mio soldo? rimarrò dove sono? sarò venduto? avrò aiuto dall’amico? mi sarà dato di aver relazioni con altri? mi riconcilierò con il figlio? prenderò congedo (ti ÀapPivto xepfccrov)? riceverò il danaro (si cfr. la prima domanda: là ¿4«vtov, qui àp^vpiov) ? vive chi viaggia lontano (àxó8r((W{) ? guadagnerò dall’affare? saranno messi all’asta i miei beni? troverò a negoziare? posso fare ciò che ò in mente? diverrò mendico? dovrò mettermi in fuga? sarò ambasciatore? diverrò senatore? la mia fuga sarà arrestata? perderò.mia moglie? sarò avvelenato? prenderò il mio?»
8. [L’introduzione del culto d'Esculapio in Roma nel 293 a Cr. quale la riferisce la tradizione à trovato generalmente un certo scetticismo tra gli studiosi. Il fatto che si abbiano prove di una diffusione di questo culto presso gli Italici pur anteriormente indurrebbe a credere che esso si fosse introdotto in Roma anche prima. In appoggio a . quest’opinione potrebbe portarsi, sebbene sia piuttosto vago, il noto luogo di Varrone che parla di un antico tempio di Escuiapio (ling. lat.
7,57: «huiuscemodi equites pictos vidi in Aesculapii aede vetere») e, secondo alcuni, ancor più e meglio un luogo di Plinio (n. h. 29,16) il quale accennerebbe alla costruzione del tempio celebre .dell’isola tiberina con un iterum che testimonierebbe, secondo il passo stesso, esservi stato un tempio anteriore ad esso, extra urbern; Ora siccome il tempio dell'isola tiberina, sebbene costruito a quel che pare dopo il 2$i, si connetterebbe all’introduzione del culto di Escuiapio fatta nel 293 mercè la supplicalo ordinata per suggerìmchto dei libri sibillini, si verrebbe implicitamente ad ammettere l’esistenza d’un culto simile anteriormente a tal data. È naturale perciò che il passo pliniano sia stato tormentato, discusso, stiracchiato dai critici a seconda del senso conservatore' della tradizione o antitradizionalc verso il quale erano tratti dai loro studi].
L’ultimo critico, per ora, di questo passo è A. Bartoli che nei Rend. dcl-l’Accad. dei Lincei (26, 573) lo riprende in esame per concludere con la massima probabilità, a mio modo di vedere; di cogliere nel vero, che il luogo di Plinio non è affatto corrotto e che quindi occorre spiegare la notizia ivi riportata in un modo tale da soddisfare le nostre cognizioni e l’intelligenza del testo. E poiché il B. ritiene che non si possa parlare 'di un’introduzione del culto d’Esculapio in Roma anterióre alla data tradizionale del 293 ed accetta per la costruzione del tempio dell'isola tiberina il 291, ne viene di conseguenza che égli pone il primo tempio extra urbcm ad Esculapiot.nèl 293, naturalmente non esigendo la. costruzione di un'aedes, ma ammettendo,,semplicemente la formazione di un’arca sacra per le cerimonie della supplicano, allora ordinata.
11 passo pliniano c meglio ancora l’ubicazione del tempio nell’isola tiberina fanno sórgere un’altra questione, su cui già i critici ànno, come al solito, espresso le più differenti opinioni c cioè se possa accettai si l’attendibilità del racconto tradizionale che asseriva esser stato costruito ivi il tempio per il volere divino manifestato dal salto prodigioso del serpente sacro, dalla nave nell’isola, attendibilità che E. Schmidt con ottime ragioni, a mio modo di vedere, oppugnava. 11 B. invece sostiene la credibilità del racconto tradizionale [e nessuno può dargli torto se si esaminano le ragioni intrinseche del
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racconto. Il guaio è che molti degli studiosi non sonodisposti ad accettare quelle sole per determinare la loro opinione. È vero che alla lor volta, essi rimangono con la delusione della spiegazione finale: noi non sappiamo cioè perchè il tempio fosse eretto proprio nell’isola tiberina e dobbiamo annaspare in cerca di motivi che il B. à ragione di dichiarare subbiet-livi e che non inno il suffragio delle.fonti.
Ma tutte le diversità di opinioni non tolgono al B. il merito di aver dimostrato l’integrità del testo pliniano e l’indiscutibilità quindi del fatto che anteriormente al 293 o. come egli vuole, al 291 in Roma esisteva già un tempio sacro ad Esculapio. E non so perchè io penso con un certo senso di... nostalgia all’Esquilino: ma l’amico B. mi darebbe sulla voce giustamente perchè accumulerei per questo mio pregiudizio ipotesi su ipotesi e quindi... sto zitto e mi dichiaro incompetente.]
9. S. Reinach nella Hevue des études grecques (29,238) prèndendo le mosse dalla concezione epicurea dell’indolenza degli dei o. se si vuol meglio, della loro < atarassia ■ (òtapa^ia x«ì àrovia). che ne faceva degli esseri beati nella pienezza dell’esistenza, non diminuita da alcuna passione, come ripete Lucrezio che li dice quieti e beati, e pur tenendo conto dell’opposizione che esisteva contro tale concezione, come ci risulta da Cicerone e da Virgilio, accenna all’opposizione più grave che una tale dottrina trovò nel cristianesimo. Con la consueta genialità poi il K. ricordando che altri già volle vedere in S. Paolo traccie dello stoicismo crede di poter provare l'esistenza ne! la lettera ai bilippesi (2,5 segg.) di una traccia di questa dottrina epicurea sull’indifferenza e l’indolenza egoista degli dei. 11 che non sarebbe st ratto quando si pensi che Paolo, allievo de' rabbini, era in contatto con gli ebrei del partito ellenista. È un fatto che ne! luogo citato l’apostolo dopo aver esortato i credènti a non essere egoisti, ad essere umili e attivi per gli altri, si riporta all’esempio del Cristo e dice che egli ìv Scoi usàp/.wv oùx xyxoaTO
ri cìvat iaa se», ossia con il 'Reuss: •« Cristo esistendo in una condizione divina non considerò quest’uguaglianza con dio come una cosa da ritenersi con forza, ma s’umiliò. ecc. * e con la Volgata: « Qui cum in forma Dei esset, non rapinai» arbitratus est esse se aequalem Deo, sed, etc. ».
Ora ad onta di queste e di altre innumerevoli illustrazioni (la più recente è quella
di H. Schumacher, professore d'esegesi al-(’Università cattolica di Washington, che ci consacra 176 pagine) la parola ápMypóí è rimasta una crux per i filologi ed i teologi. Secondo il R. basterebbe quindi leggere nel testo invece di la forma
oùx à-payaov per dare alla frase un senso soddisfacente e per togliere quel vocabolo che s’incontra per la prima volta in Paolo. Il significato ci guadagnerebbe, poiché si potrebbe rendere il passo con un < Non rem a cui is vacuam existima vi t se idem esse ac Deum •• ossia*: « Egli non ritenne il fatto d’essere simile a Dio come un sinecura <•. In tal modo si avrebbe un’evidente allusione alla dottrina epicurea su 11’atarassia divina, e l’apostolo vi opporrebbe l’azione, la carità, sull’esempio del Cristo.
10. A proposito della litania d’Iside e dell’appellativo, da noi notato nell’ultimo bollettino [TU, 5] che la dea avrebbe avuto in Persia, il Cumont in Rev. de
phil. (40. 133) osserva come molto probabilmente qui si debba vedere un errore-dei copista che avrebbe confuso Avqetmv (invece di ’Avattav) con Aareivxv, poiché se questo appellativo è poco probabile, quello sarebbe invece giustificato dal fatto che in Persia» il pianeta Venere era sacro ad Anahita - (in greco Anaitis). D’altra parte alcune teorie astrologiche facevano di Venere l’astro d’Iside, onde può essere che questa fosse stata assimilata nell’Iran alla grande dea indigena. li confronto con altri versetti della litania in cui la divinità è identificata con una dea straniera autorizzerebbe quest'ipotesi del C., che è confortata da citazioni del Tetrabiblo di Tolomeo e di Proclo per l'assimilazione persiana di Iside con Afrodite.
11. F. Cumont in una importante comunicazione fatta aìVAcadémie des.inscriptions et belles leltres (C. R. 1917. 119) nella seduta del 20 aprile 1917 à dato notizia di una •scoperta veramente straordinaria che sarebbe stata fatta da un dotto austriaco, scoperta che, se verrà confermata, ci illuminerà su una quantità di problemi storici, politici,' religiosi del più grande interesse e della più grande antichità.
Ñon vi è studioso che non abbia sentito parlare o che non si sia anche-incidentalmente occupato degli Etei o Iititi, popolo sceso nell'Asia Minore tra il 2000 e il 1500 .a. Cr. dal Bosforo o dal Caucaso, che dominò le popolazioni indigene, prese dai Babilonesi il sut sistema di scrittura è dette all'Egitto un faraone. Di esso ci sono ri-
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masti innumerevoli documenti che risalgono al Xiv e xiu sec. a. Cr.» contemporanei quindi del Big-Veda, anteriori ai Gàthas dell’A vesta con il vantaggio di avere, ciò che non ànno gli inni indiani c iranici, una cronologia sicura. Preghiere, inni, regolaménti rituali, trattati, corrispondenze diplomatiche, relazioni storiche, codici di leggi e di disposizioni amministrative completano quest'immenso tesoro scientifico, sinora in gran parte inutilizzato pei la ignoranza in cui eravamo della lingua in cui erano scritti tali documenti.
Ora quest’ignoranza sarebbe trionfalmente vinta da una felice scoperta, che avrebbe permesso ad un professore dell’università di Vienna, Hrozny, di stabilire che la lingua degl'lttiti non è solamente una lingua ariana, ma che appartiene non al gruppo orientale di questa famiglia, come parrebbe a tutta prima, ma a quello occidentale, tanto che il suo più prossimo parente sarebbe il latino. Naturalménte la lingua ariana così importata dai vincitori sarebbe stata deformata dagl’indigeni vinti e da essi avrebbe preso in prestito forme e vocaboli. Ciò per?) non à impedito al dotto scopritore — la cui opera venne pubblicata alla fine del 1916 in una prima puntata, per ora. che per le ragioni politiche note non si conosce ancora direttamente, mentre i risultati delle sue ricerche vennero divulgati nel 1915 nelle Mitteilungen dalla Società orientale tedesca (Berlino), dalle quali il Cumont tolse le notizie ora comunicate -ciò non à impedito, diciamo, allo Hrozny di riscontrare forme ittitc perfettamente corrispondenti al greco ed al latino. P. es., un participio ch'egli declina c confronta così: da-an(za) = dans; da-an-das=dantis; da-an-ti “danti; da-an-dan=»dantem; da-an-tet| d = dantej(d). Così una flessione verbale che nell’indicativo presente darebbe: i-ia-mi (io faccio) i-ia-si«=sT«5wjc; i-iazi »rtinpt;. i-ia-u-e-ni “TÌScuev; i-ia-at-te-ni =TtStTi; i-ia-an-zi=TcStdat. Le desinenze del singolare della declinazione {6 casi come in latino) sarebbero: N. s, G.as, D. i-i; A. n.: Ab. et | d, it (d); altre comparazioni darebbero: uga, ugóeego; zig, ziga“«v*p; tug— tibi; anzàs — nos (ted. uns): an-da = in (endo) ecc.
Inutile insistere oltre; mentre si attende che l’opera originale ci sia conosciuta e che le sue documentazioni ci possano dimostrare fondate queste seducenti promesse, non si può non entusiasmarsi col Cumont dinanzi alla prospettiva del prodigióso con
tributo che questa scoperta apporterebbe alle nostre conoscenze storiche ed all’impulso ch’essa darebbe agli studi religiosi, nell'interesse dei quali, per l'appunto, ò creduto opportuno fare un largo cenno della comunicazione del dotto belga.
12. Ma ad un altro importante problema potrebbe offrir la soluzione la scoperta delia natura della lingua degli Etei. a quello cioè degli Etruschi, e difatt i un benemerito cultore dell'etniscologia E. Lattes vi accenna nei Rendiconti del r. istituto lombardo di scienze e lettere (50. 337. 346) e. in modo più speciale con là competenza che gli è propria, il Nogara nella Rivista indo-greco-italica (i. 361). nella quale, dopo aver esposto i risultati cui giunse lo Hrozny, ne esamina le conseguenze che potrebbero trarsi per la storia primitiva (l'Italia, nella quale il posto quasi isolato che per qualche tempo avevano tenuto gli Etruschi, recentemente si era ridotto in modo che la questione etnisca aveva fatto grandi progressi. Il contributo che alla sua soluzione avevano apportato le indagini del De Cara, del Milani, del Kannengiesser e di altri che avevano avvicinato la lingua, i costumi, le tradizioni ed i monumenti etruschi agli etei. ora appare, al lume della recente scoperta. ben grande e tale dà poter dare una buona volta la soluzione ai numerosi problemi storici, religiosi, etnici che la questione poneva senza riuscire a chiarire. Il Nogara, com'egli stesso giustamente confessa, va forse un po' oltre nelle sue conclusioni sui risultati che aprono così nuove vie alle nostre conoscenze, e noi non Io seguiremo in ciò: non possiamo però non convenire con lui che si à fondata speranza che le nostre conoscenze storiche, grazie a queste recenti scopèrte, si allarghino e si arricchiscano.
13. In un buon articolo del Bollettino della Commissione archeologica municipale (44, 1-36) A. Gameti si occupa del culto di Giunone, lunoSispita materregina, in Lanu-vioc viene con interessanti comparazioni a conclusioni importanti, che riassumeremo in breve il più oggettivamente possibile, quantunque di alcune di esse noi ci permettiamo di dubitare.
Le testimonianze del culto che in Lanuyio si prestava a Giunone, sebbene rimontino tutt’al più al 1 sec. a. Or., analizzate e comparate con i riti religiosi di altri popoli primitivi, ci permettono di asserire che tale culto deve risalire ai tempi preistorici, e deve aver avuto il carattere (l’un rito ma-gico-agrario, destinato alla fertilità della
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terra per l'occasione della semina. Esso doveva svolgersi nel lucus di Lanuvio (oggi la - Selva »: cfr. in quella località la • Madonna della Selva ») per mezzo di vergini che, bendate, portavano in cesti le sacre offerte, sopratutto focaccie, che dovevano essere consumate dai serpenti sacri. Se ciò avveniva, le giovanetto ritornavano liete in braccio ai genitori cd i contadini cantavano: « fertilis annus erit ». In caso contrario, si riteneva che qualche impudica partecipasse al rito e la si condannava a morte per placare la dea. Ora in questo rito non è difficile vedere la sovrapposizione di «lue culti: uno agrario, tendente ad assicurarsi la fecondità della terra, l’altro espiatorio, tendente a placare la divinità che esige la castità.
Il sacrifìcio umano è il vincolo, per così dire, che collega e fonde il culto per la divinità ctonia con la celebrazione del castus lunonis. Lo svolgimento del culto dalla divinità teriomorfica (serpente) a quello della divinità antropomorfica (Giunone) sarebbe avvenuto grazie all’efficacia religiosa che esercitarono gli Etruschi sul Lazio ed alle cerimonie lustrali che alla fine dell'inverno tendevano a propiziarsi la benevolenza dei morti, come protettori e fautori d’una feconda produzione agraria, onde il G. identifica la Inno Sispita di Lanuvio con la luno februala o februalìs di Roma, ambedue così denominate dalla lana lustrale di cui erano coperte-(lana di capra nella Lanuvina: si ricordi la luno caprotina e la statua del Vaticano).
L’identificazione del G. è suffragata dalle cerimonie di carattere funerario che si usavano in ambedue i culti, dall’uso' cioè di offrire lupini, ceci c specialmente fave, delle quali, insieme con i ceci, furono trovati larghi resti negli scavi del tempio lanuvino. La qual forma di lustrazione permette, grazie al fatto che con essa si tendeva ad assicurarsi la fecondazione misteriosa della terra, e quindi la fecondazione in genere, di spiegare come il culto lanuvino si introducesse in Roma non solo nella forma già detta, ma in quella di luno Lucina (ricordo il lucus lunonis Lucinae) e nell’altra prestata a Giunone sull’Esquilino, ove esisteva pure una tana dei serpenti (quelli di- Lanuvio portano ancor oggi il nome di «serpenti della regina-» con evidente allusione alla dea « signora della salute, salvatrice » (Sispita) madre, regina).
Naturalmente l’antropomorficazione, per così dire, del culto lanuvino, fatto sotto finfìusso etrusco, non è senza reminiscenze degli influssi greci, che si possono rilevare facilmente e nel nome di Regina e nella confusione con Era e via dicendo.
Ritornando però al culto primitivo, «li cui i giuochi ginnici, che si celebravan«, anche in tempi storici, non sono se non una nuova prova del suo carattere magico-agrario, avendo essi l’ufficio di ottenere la fertilità del suolo presso tutti i popoli primitivi, il G. asserisce che la potenza della terra s’invocava nel lucus sotto le sembianze di un serpente, il totem della tribù, e col sacrificio del dio stesso della vegetazione, rappresentato da un essere umano.
(Ora, pur non negando questo fatto di carattere religioso, già da altri studiato e dimostrato, io non riesco a vedere come in questo caso il sacrifìcio del dio (serpente) potesse effettuarsi mediante il sacrificio di una vittima umana. Siamo piuttosto in presenza di un ricordo dei sacrifici umani primitivi, atti a propiziare la natura mercè il sacrifìcio d’una primizia, del che abbiamo esempi in tutta la storia religiosa degl’italici: su questo sacrifizio umano, primitivo, si imperniò in uno stadio successivo e più evoluto, il sacrifizio umano di carattere espiatorio, voluto dal castus lunonis, es-.. sendo il sacrifizio espiatorio dì fronte a quello propiziante, sopratutto nella storia dell’evoluzione del sacrifizio umano, un passo che denota un maggior progresso nello sviluppo della concezione dei rapporti tra divino cd umano. •
Quanto al vedere nel serpente il totem «Ielle tribù, per dir così, lanuvine, io giudico l’opinione del G. assolutamente erronea: il serpe è la forma propria delle divinità' ctonie, degli spiriti sotterranei, esso è dotato, come il serpe lanuvino, della virtù mantica, qualunque sia la forma divina cui si riferisce; a lui si offrono, come al serpe lanuvino, focacce. L’esempio tipico di queste divinità teriomorfiche è Esculapio che come spirito per l’appunto ctonio è identificato col serpente che in uno stadio superiore della religione è invece il suo animale sacro. Altri esempi si possono vedere raccolti in Rhode, Psyche, 787 s. v. È quindi assolutamente da escludere il totem che vede il G. riel Spàxov lanuvino].
14. Nella Rivista degli studi orientali (7, 663) E. Buon aiuti, porta un nuovo contributo alle nostre conoscenze sul manicheismo studiando la prima coppia nel sistema manicheo, e giungendo alle seguenti conclusioni:
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i° 11 testo del prezioso trattato manicheo, scoperto dal Pelliot nel 1908 a Tun-huang nelle famose grotte dei mille Budda, pubblicato e tradotto dallo Cha-vannes e dal Pelliot ed in cui si contiene un racconto minuto c pittoresco della formazione dell’uomo, ci dà la chiave per J’intelligenza completa dell'antropologia manichea: 20 Esso ci autorizza a scegliere fra le varie versioni circa la genesi della prima coppia umana nel sistema manicheo, quella più semplice e figurativa di Egemonio (Acta Archelai in Epifanio nel suo capitolo sul manicheismo) a preferenza di quella conservata da ’Teodoro Bar Khóni (V. Cumont, Recherches sur le Manich. I) e da Agostino (de nai. boni, 46) che ànno scorto un’affermazione teorica in quel che era nel testo di Mani semplicemente rivestimento parabolico: 30 La prima coppia umana nel sistema manicheo costituisce l’antitesi del sole e della luna, vascelli della luce purificata, e deve servire quale mezzo di propagazione della luce prigioniera; 40 in questo concetto è la base c la giustificazione dell’avversione manichea alla riproduzione umana.
Abbiamo riportato integralmente le conclusioni del Buonaiuti perchè questa ricostruzione di uno dei concetti fondamentali del manicheismo, grazie ad un documentò trovato nell’estremo oriente, ci permette di avere una più larga conoscenza ed una più profonda comprensione dell’efficacia teorica e pratica che il manicheismo esercitò « su alcune forme di pensiero e di vita religiosa nel mondo mediterraneo del iv secolo ». ,
15. Nella Nuova Rivista storica (2.148) C. Pascal, probabilmente solo in omaggio alle pretese novità di programma cui la redazione del periodico dice di volersi informare, a conclusione di un’esposizione sommaria delle lotte e dei principi del paganesimo e del cristianesimo domanda che una maggior luce d’amore vincoli la società che si rinnova e che la scienza non sia più cosa sterile. L’articolo va segnalato per il nome dell’autore e per l’intendimento già enunciato dai redattori di quella rivista di trovare collegamenti e relazioni con la vita con tem poranea nei fatti storici che meno si lasciano torcere ad ammaestramenti retorici.
16. Nell’ultimo volume dei papiri d’Os-sirinco, il XIII, pubblicato recentemente, notiamo un altro dei già noti libelli della persecuzione deciana, che à qualche ele
mento nuovo in confronto degli altri. Ne diamo la traduzione (n. 1464).
« Ai magistrati per i sacrifici della città di Ossirinco presso Aurelio Gaione figlio di Ammonio e di Tenti. — Uso sempre a sacrificare e fare libazioni c venerare gli dèi secondo le disposizioni del decreto divino ([xa?]& "à xeXeua^évra ùrà "Ti Sica« xptatw«) ed ora in presenza vostra avendo sacrificato e libato e gustato delle offerte (rfiv ¡ioti«?) insieme con la moglie Taoti c con i figli Ammonio ed Ammontano e con la figlia Tecla, ritengo che possiate certificare per me. Nel i° anno di regno (250 dopo Cristo) dell’imp. Cesare Caio Messio Quinto Traiano Decio Pio Felice Au-Susto, luglio 27. — Rilasciato da Aurelio aione. — Aurelio Serapione detto anche Cheremone scrisse per il richiedente, illetterato ».
17. Sulla persecuzione in casa Flavia e sulla congiura contro Domiziano discorre lungamente A. Codara in Didaskaleion (5-*53). dividendo Io studio in due parti. Nella prima, sebbene non sembri molto informato degli studi più recenti sull’argomento e si mostri prolisso e. vago, l’A. conclude con ragione, pur senza lasciare però nel lettore il convincimento che proviene dalla dimostrazione storica più sicura, che la cosidetta persecuzione do-mizianea non è una persecuzione speciale contro i cristiani, ma piuttosto una persecuzione di carattere generale e politico * per tutelare i diritti e favorire la maestà dell’imperatore ».
Nella seconda parte l’A. risponde all’opinione di alcuni critici per i quali alla congiura contro Domiziano, che ne determinò la morte, avrebbero partecipato i cristiani: egli lo esclude e credo sia nel vero; ma anche qui senza dare la prova della bontà della sua .opinione e senza ingenerare il convincimento nel suo lettore. La ragione poi di quest’astensione dal far parte dei congiurati egli la trova in ragioni d’indole religiosa e morale (che indubbiamente ànno il loro peso, ma che se nel campo spirituale ed etico, specialmente, possono essere gravi, non sono altrettanto in quello storico. Pare impossibile che la storia contemporanea, quella che viviamo sanguinosamente oggi, almeno, non insegni nulla a tanti, per cui appaiono scritte apposta le parole del Vangelo sui sordi e sui ciechi!
Concludendo, il lavoro del Codara non apporta nulla di nuovo nel campo degli
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studi di storia religiosa dell'impero, anche se se ne possa raccomandare la lettura ai principianti. Il Didaskaleion. però, che é un’ottima rivista per gli studiosi, poteva fare a meno di questa quarantina di pagine!]
18. Del canne dei Salii E. Cocchia nella Rivista indo-greco-italica (1.119) tenta di dare un'illustrazione, occupandosi dapprima degli elementi sabini nel culto dei Salii; quindi abbozzando dei tentativi ermeneutici a proposito del frammento di Scauro ed infine trattando dei «versus Januli » nei frammenti varroniani (1.255).
19. Stilla morte della Sibilla, R. Sciava in Atene e Roma (20. 38 sgg.) fa alcune osservazioni occupandosi delle premonizioni divine che sono rese vane da un errore del postulante e classificandone alcune: quelle per es. delle omonimie del luogo in cui qualcuno deve morire; quelle del non toccare la terra, specialmente patria; quelle dell’av
verarsi degli avvenimenti per impossibilia. Conclude con qualche accenno a racconti simili se non nel carattere premonitorio per lo meno in quello della sorpresa (ad illustrazione del non ben chiaro proverbio latino « carbonem pio thesauro invenire ». Cfr. il carbone nelle calze dei bimbi per la Befana e il carbone dei gnomi nei racconti tedeschi).
20. Segnaliamo per l’attinenza che à con gli studi che formano l'argomento di questa rivista lo studio iniziato da M. Jeanneret nella Revue de Philologie (40. 229 segg.) sulla lingua delle tavolette dì esecrazione, latine. Dopo un’introduzione che tratta delle tavolette e della loro importanza, l’A. inizia lo studio della fonetica, nella I parte. Seguiranno altre 4 parti in cui l'A. tratterà della morfologia, della formazione delle parole, del vocabolario e della sintassi.
Giovanni Costa.
CRONACA BIBLICA
VI.
GEOGRAFIA BIBLICA
Nel volume postumo del prof. L. Cart. * svizzero, intitolato Au Sinai eldans l*Arabie Pétrée (Parigi, Challamel. 1916: pp. 524 in-8° gr., L. 14), sì legge là narrazione del viaggio ch'egli fece, nel 1906 in compagnia di altri studiosi, andando dal Mar Rosso al Giordano a traverso la penisola sinaitica e il paese degli antichi Nabatei. Il racconto è condotto con bella spigliatezza, ed è accompagnato da schizzi topografici e nitide fotografie. Non vi si apprendono nuove scoperte, ma notizie utili per l’intelligenza di varie pagine dell’antico Testamento. Dei sette capitoli in cui la narrazione è divisa, il penultimo è particolarmente interessante: giacché vi sono bene descritte le rovine di Petra, la capitale degli antichi Nabatei, la cui storia è pure connessa con quella de’ Giudei al tempo del Nuovo Testamento, dove si parla di Areta IV, che era appunto il re di quel popolo arabo, pervenuto a grande potenza politica.
La questione circa l'itinerario che, secondo la Bibbia, gli Ebrei avrebbero percorso peregrinando dall’Egitto verso Canaan, è trattata dall’A. in apposita e diffusa appendice (pp. 359-518), sotto il titolo: •> La geografia dell’Esodo ».
Molti sono i tentativi fatti per determinare quell’itinerario, e in particolare per identificare il Sinai, dove la Bibbia vuole che Mose ricevesse da Dio le tavole della Legge. Chi sottoponga a esame critico le pagine del Pentateuco dove si narra la storia d’Israele nell’età mosaica, deve accorgersi, anche a suo malgrado, che la tradizione biblica é un tessuto di racconti vari e discordi; e che quindi non facile cosa è il determinare le stazioni dell'esodo ebraico, nonché le sue precipue vicende verisimili: dopo di avere fatto larga parte alla leggenda. Ad esempio, molti critici opinano, con. il celebre prof. Wellhausen, che il primitivo racconto biblico non parla della stazione d’Israele al Sinai, ma lo conduce direttamente dall’Egitto a Qades; cd
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ivi avrebbe avuto nascimento la legislazione mosaica. ¡-a questione del Sinai, secondo tali critici, è da lasciare ai «dilettanti ». Il prof. C. non accetta interamente tale opinione, però vi si avvicina nelle conclusioni che trae dal suo studio, le quali non si prestano a un cenno sommario. Egli naturalmente, segue le norme della moderna critica, secondo la quale l'esodo è narrato quattro o cinque volte nel Pentateuco, e sempre con discordanze non lievi. Le leggi dette - sinaitiche • sono una tardiva aggiunta all'originaria legislazione mosaica. Questo studio accurato del professor C. costituisce pure una prova, luminosa per chi abbia occhi a vedere, che non si può attribuire il Pentateuco a Mosè senza offendere la logica. De) resto giova ricordare che per venerare il Decalogo mosaico come parola di Dio basta sentire ch'osso è scolpito nel cuore da Dio: la coscienza morale è il Sinai radioso di luce eterna.
G. A. Smith, dell’università di Aberdeen, fino dal 1904 nella sua celebrata opera geografica della Palestina storica (The H ¿storica/ Geography of thè Holy Land, ediz. 11», pagina 669) promise agli studiosi un - Atlante di geografia storica della Terra Santa -, con la cooperazione del cartografo J. G. Bartholomew. dell'istituto geografico di Edimburgo. Tale promessa è stata compiuta (Alias of thè Historical Geography of thè Holy Land. Londra, Hodder, 1915; 25 scellini). È un atlante ricchissimo e miràbile per accuratezza e nitidezza. Oltre che 60 pagine di mappe, contiene 22 pagine di testo, ossia, di notizie storiche con prospetti cronologici. In questo splendido Atlante e rac-, chiuso precipuamente il frutto degli studi geografici compiuti nella Palestina dal 1871 in poi dai membri dell'opera inglese detta Palestine Exploration Fund. Con l’aiuto di questo Atlante lo.studio della geografia biblica è reso agevole e piacevole.
Merita pure un cenno il manuale di • Geografia storica dei paesi biblici » (Historical Geography of Bible Lands. Nuova York, Scribner*. 1916, pp. VII-84, doli. 1) di IL I lodge. Il testo è diviso in 13 lezioni, ed è corredato di 14 carte. Questo manuale vuol essere utile a chi debba impartire nella scuola le principali nozioni della Storia sacra; ed è ordinato a guisa di narrazione d’un viaggio dagli Stati Uniti in Oriente, e viceversa: molta praticità non disgiunta da una certa genialità.
ATT! DEGÙ APOSTOLI
Già da vari critici fu espressa l’opinione che Luca, o chi altro sia lo scrittore degli Atti, per alcuni tratti della prima parte (capitoli 1-15) si sia giovato non solo di racconti tradizionali, ma anche di fonti scritte aramaiche. Ora uno studioso americano. il prof. Cutter Torrey deli’Univer-sità di Yale, va ben più oltre: come si può vedere nel suo lavoro intitolato: • la composizione e la data degli Atti - (The contpo-silion and date of Acts. Londra. Milford, 1916; pp. 72). A suo avviso. Luca ci dà nei primi quindici capitoli nient’altro che la traduzione di un documento scritto in aramaico palestinese. Tale documento, secondo il prof. T.. sembra sia stato scritto da un giudeo, probabilmente di Gerusalemme, con la pia intenzione «li descrivere ed esaltare il rapido crescere e propagarsi della nascente chiesa gerosolimitana, cui egli apparteneva. Quel pio scrittore si propose anche di mettere in chiara luce il carattere universale della religione cristiana; rilevando specialmente l’opera di san Paolo come apostolo dei gentili. Forse a Gerusalemme ovvero a Roma, dove trova vasi dall’anno 62. Luca potè conoscere quel documento prezioso, composto circa l’anno 50; veduto che armonizzava con le sue idee, lo tradusse in greco c compiè la narrazione con quanto è contenuto nei capitoli 16-28, giovandosi delle sue proprie ricordanze e delie testimonianze altrui. La data della composizione potrcbb’esserc l’anno 64; ed allora, secondo il prof. T., Luca aveva già composto i! vangelo che va sotto il suo nome.
A dimostrare che la prima parte degli Atti non è che la traduzione di uno scritto aramaico, il T. adduce argomenti fondati suH’esame linguistico dei testo. Egli concede che tutto quanto il libio degli Atti palesa una certa uniformità fraseologica e lessicografica; ma questo fatto vale soltanto a rendere plausibile la congettura che uno stesso è lo scrittore, cosi della prima metà tradotta come dell’altra metà da lui composta in greco. Però ii) questa si scorge lo stile d'uno che compone, e in quella lo stile d’uno che traduce. Nei primi 15 capitoli. infatti, abbondano i semitismi; ed anche la sintassi apparisce notevolmente influenzata dall’aramaico. Anzi vi si possono scoprire errori di traduzione che, dice il prof. T.» Luca commise ignorando il significato di certe voci proprie dell’aramaico
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palestinese, e non dell’aramaico parlato in Antiochia, sua patria. Di questi supposti errori o equivoci in cui Luca sarebbe caduto. il T. ne indica una mezza dozzina.
L’ipotesi che Luca nei primi quindici capitoli degli Alti abbia fatto soltanto opera di traduttore, è sì ardita che a renderla plausibile sarebbero necessari argomenti più sicuri di quelli additati dal professor r. Se è vero che l’aramaico palestinese non è u i idioma sconosciuto ai valenti semitisti moderni, però si deve pure riconoscere che ne è possibile una conoscenza solamente congetturale e quindi priva di certezza. A ogni modo, spetta al prof. T. il merito di avere indagato con rara diligenza e perspicacia il colorito semitico di buona parte degli Alti. Per ciò che riguarda la seconda parte, il prof. T. rivendica le opinioni tradizionali circa la sua unità e integrità contro i più autorevoli critici moderni, quasi tutti tedeschi; dicendo e ceicando di mostrare che la loro analisi non e fondata sul terreno di una indagine seria e ponderata, ma sul capriccio di novità giovevoli soltanto a suscitare rumore intorno al nome di chi le scopre per il primo.
Nel periodico londinese The Expositor (febbraio 1917, pp. 108-124) notiamo un articolo del prof. Plooij di Leida, dove si propugna la vecchia opinione che Luca scrisse gli Alti con l’intenzione precipua di far conoscere la natura e la storia della religione cristiana a coloro che in Roma dovevano giudicare san Paolo, appellatosi al tribunale di Cesare.
Secondo W. Ramsay, a cui si devono parecchi volumi che illustrano la storia Ktolica nell’Asia Minore, l'autore degli come del terzo vangelo, è san Luca; ed il valore storico degli scritti di Luca è indiscutibile, è anzi meravigliosamente intero eziandio negli apici. Ciò il Ramsay ripete nel suo ultimo volume intitòlato: • L’importanza delle scoperte recenti per la veracità del N. Testamento » (The hearing o! recent discovery on thè truslworthincss of thè New Testamene Londra, Hodder. 1915, pp. XIV-427, in-8°). Il titolo può far credere che nel volume siano cose nuove e importanti per l’interpretazione storica del Nuovo Testamento: ma ciò non è. Chi abbia letto gli altri scritti del dotto A., in questo non troverà quasi nulla di nuovo. Francamente confessiamo la nostra delusione; e ci pare che il R. metta la sua vasta erudizione a servizio di un metodo che non è in tutto
conforme alla critica sana. « Io non seguo — egli avverte — la tendenza prevalente della critica tedesca circa il Nuovo Testamento: essa è errata perchè angusta, e perchè si fonda su premesse erronee e preconcetti non legittimi ». Però tra le conclusioni della critica tedesca radicale e quelle dell’assoluto storicismo difeso dal Ramsay forse c’è una via di mezzo, quella giusta. Ciò detto, i nostri lettori capiscono perchè ci sbrighiamo così di questo volume, che credevamo meritevole di nota più ampia.
FARISEI E SADDUCEI
Chi fossero e che cosa volessero i farisei e i sadducei, non risulta dalle fonti storiche, compreso il Nuovo Testamento, con perfetta chiarezza: i critici debbono quindi far congetture, le quali variano secondo che maggiore o minore è la parte da essi concessa a Sualche testo dello storico Giuseppe Flavio, el Nuovo Testamento e dell’antica letteratura rabbinica.
Il prof. Eerdmans. noto studioso olandese, pubblicò nel periodico The Expositor (ottobre 1914, pp. 209-315) un articolo in cui pretese di dire qualche cosa di nuovo circa l’origine e il carattere dei farisei e dei sadducei. Gli uni e gli altri erano, a suo avviso. propriamente sètte religiose: i sadducei rappresentavano la tendenza conservatrice è ortodossa della religione giudaica: i farisei, invece, seguivano un indirizzo liberale cercando di ravvivare il vecchio mo-saismo con aggiunte e modificazioni suggerite dalle mutate'cose. Un dissidio fondamentale nasceva dal diverso modo di concepire l’idea dell'aspettato regno messianico. I sadducei serbavano fede in un messianico regno terrestre, com’è ideato dai Profeti: ,i farisei, per lo contrario, trasferivano quel desiderato regno in un mondo fantastico, di cui avevano a far Sirte i giusti risorti da morte. Questa loro >ttrina palesa l’influsso di teorie straniere, persiane e greche; alle quali i sadducei, come conservatori, erano alieni. Nel ravvisare in questa discordia d’indole escatolo-Sica la genesi di quelle sètte sta la novità el critico olandese; giacché tradizionale è l’opinione che le definisce come specificamente religiose; nè ha più sapore di novità l’ipotesi che scorge ne’ farisei la tendenza riformatrice in senso liberale: questa sentenza fu proposta molti anni fa dal dotto israelita tedesco A. Geiger, e poi propugnata da altri studiosi. Il prof. Eerdmans ha combinato insieme l’una e l’altra
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TRA LIBRI E RIVISTE
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opinione nella sua teoria, aggiungendovi l’elemento di attualità, che è l’escatolo-gismo.
Se non che tale teoria sarebbe poco conforme alla retta interpretazione dei testi: così crede anche lo studioso M. Segai, il quale prese a confutare nel predetto periodico (febbraio 1917. pp. 81-108) l’articolo del prof. Eerdmans. Il S. ha una pessima opinione de' sadducei; li accusa d’irreligiosità e di opportunismo scettico e deplorevole sotto ogni riguardo. A suo dire, i sadducei erano anche ignorantissimi della sacra Scrittura. I farisei erano i buoni ortodossi e i sicuri interpreti della legge mosaica. Nell’interpretazione di vari passi della Misnè, ci pare che la ragióne stia da parte del Segai anziché del prof. Eerdmans. Ma quanto ai testi desunti dal Nuovo Testamentó, il Segai non è forse sulla buona via. La questione preliminare, ch’egli dimentica, è di sapere se nel Nuovo Testamento c’è una teoria « uniforme * circa i sadducei. Il prof. Hölscher in uno studio ben noto ha cercato di dimostrare che non c’è; c probabilmente ha ragione.
SINCRETISMO RELIGIOSO
Il prof. Gressmann, dell’università di Gottinga, si adopera instancabilmente a illustrare e promuovere il metodo « storico religioso » nell’esegesi biblica. Di questo metodo egli espone le norme e i pregi nell’opuscolo intitolato: < Alberto Eichhorn e la scuola storico-religiosa » {Albert Eichhorn und die religionsgeschichtliche Schule. Gottinga, Vandenhoeck. 1915, pp. 51). Il G. ravvisa nell’Eichhorn, di cui pòrge la biografia, un inspiratore dei moderni studiosi tedeschi fautori della scuola storico-religiosa; la quale, com’è noto, vuole che la Bibbia sia interpretata volgendo costantemente l'occhio alla ricerca di cose e idee analoghe, quali termini di confronto e mezzi ermeneutici, nella storia tutta di tutte le religioni del mondo antico, dominata dall’evoluzione e dal sincretismo.
Così, ad esempio, lo stesso G. interpreta il racconto della nascita di Gesù'presso Luca, nell’opuscolo dal titolo: « La genesi storica del vangelo di Natale » (Das Weihnachts-Evangelium auf Ursprung und Geschichte untersucht. Gottinga, Vandenhoeck, 1915, p. 46). Questa immortale leggenda evangelica fu ideata dalla coscienza cristiana con due concetti diffusi nel mondo antico, però germogliati, secondo il G., nel paese dei faraoni. Uno è quello della na
scita d’un fanciullo divino di regia progenie, destinato a tenere lo scettro e a meritare il nome di « salvatore ». L'altro è quello della nascita da madre vergine; ce-, leste privilegio che in Egitto, e poi altrove, la leggenda largiva ai re. Il giudaismo può aver attinto direttamente o indirettamente dall’Egitto questi concetti per abbellire la sua leggenda sulla nascita del re messianico; localizzata da una tradizione popolare nella patria del gran re David. Betlemme. L’autore del racconto evangelico si sarebbe giovato di questi elementi leggendari per comporre la sua narrazione; il cui significato è che Gesù è il re messianico, e che Lui solo, non Osiride, non Augusto, nè altri, ha da essere venerato quale « salvatore e signore » del mondo cristiano. Già vari studiosi hanno tentato di spiegare in tal guisa il racconto della nascita di Gesù; e la monografia del Gressmann può vantare qualche originalità solo in quanto vi si accentua l’elemento egiziano come primitivo. Non è cosa certa che Augusto abbia ricevuto in Egitto il nome divino di «salvatore ».
Un altro saggio di esegesi biblica elaborata con questo metodo possiamo additarlo nello scritto del piof. A. Bertholet. del-1* Università di Gottinga, pubblicato in The American Journal of Theology (n. gennaio 1916, pp. 1-30) sulla « credenza precristiana nella resurrezione corporea ». Nella prima parte il B. vuole dimostrate che la fede alla resurrezione di Gesù, espressa nella dottrina lerlio die resurrcxil a mortuis, è indissolubilmente congiunta, nel terreno storico della religione, con la credenza nella resurrezione di numi, diffusa in tutto l’antico mondo orientale. Sono numi della vegetazione campestre, quali Adone, Tammuz. Manine ed altri; ovvero numi siderali, quali Osiride. Atti ed altri. La storia di tali divinità mitologiche mostrerebbe che la fantasia popolare prima ha divinizzato la risorgente vita della natura in primavera; e poi il riapparire, dopo una periodica occultazione, degli astri: e precisamente del sole e della luna; di guisa che certi numi, come Tammuz. dal ciclo della vita tellurica passarono poscia a quello dei fenomeni astrali, a cui fu attribuito un magico influsso divino sulle creature terrestri. Se si rifletta che in Palestina, come si deduce anche da certi accenni fatti nell’/l. Testamento al culto di Adone e Tammuz, tali concetti mitologici penetrarono molto tempo prima che in Gerusalemme si
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parlasse della.resurrezione di Gesù, è lecito supporre che a formare questa dottrina, glorificatrice del Cristo come figlio di Dio. abbia contribuito il sincretismo. Tanto più che, dice il B., il Nuovo Testamento non offre un racconto chiaro c coerente del quando e del come sia avvenuto il ritorno di Gesù alla vita corporea; quantunque un fatto di sì capitale importanza religiosa mestasse di essere attestato e tramandato con la massima concordia di testimonianze e di circostanze.
Dall'esame dei testi « pieni di contradizioni », e specialmente discordi nel grado di corporeità attribuita al Risorto, una sola cosa risulta con certezza storica: » che i discepoli sul fondamento di loro proprie personali esperienze acquistarono via via la' persuasione essere vivo Colui che era stato crocefisso». Quanto alle citazioni dell’/L Testamento con cui san Paolo e Matteo confermano la resurrezione di Gesù, hanno soltanto valore quali dieta probantia, che la coscienza cristiana rintracciò per colorire una dottrina straniera al pensiero giudaico circa il Messia. Ciò che si legge in Isaia (LUI, 2 s.) su la figura pietosa e dolorosa del Servo di lahvé, in cui la teologia cristiana ravvisò il Cristo, rispecchia appunto l’aspetto lugubre del nume che muore >er risorgere, descritto nei testi della mito-ogia asiatica; e per questo lato la leggenda giudaica intorno al fato del re messianico già si prestava forse alla elaborazione della dottrina circa la vita di Gesù divinizzata nel pensicio de' suoi seguaci. Pertanto il B. crede di poter concludere che, alla luce della storia delle religioni, apparisce come « molto probabile l’ipotesi che la fede nella resurrezione di Cristo abbia a che fare con le idee e i riti di culti precristiani ». E indi passa a rintracciare, con copiosa erudizione.
nello stesso terreno l'origine del dogma giudaico e poi cristiano della resurrezione finale dei morti; notando specialmente come questo dogma acquistasse cittadinanza nella religione giudaica gradatamente c non senza contrasti. In somma, questa fede cristiana ha le radici nelle idee religiose dell'universo. Questo fatto, dice il B.. non reca ingiuria al carattere religioso della fede cristiana della resurrezione; giacché la sua vera significazione è sublime quanto la fede in Dio, e la speranza di raggiungerlo, superando la caducità del corpo mortale, con l’anelito dell'anima immortale.
Con questo cenno dell’opinione difesa dal Gressmann circa la nascita di Gesù, e dell’opinione sostenuta, dopo altri, dal Bertholet intorno alla Sua resurrezione, non si vuole turbare la mente dei lettori che serbano fede in quei due fatti sovrannaturali così come furono intesi dalla tradizione cristiana: chi possiede una tal fede può trascurare simili indagini degli studiosi, più o meno ipotetiche come sono tutte le deduzioni ab analogia. Però giova notare che certi moderni critici autorevoli trattano il Nuovo Testamento con questo metodo non già allo scopo di porre in derisione la religione cristiana, ma bensì con la palesata intenzione di salvare, a’ loro occhi, ciò ch’essa ha di più prezioso: la fede in Gesù come Maestro divino.
Quanto ai fatti esteriori, prodigiosi che ne sublimano nella storia evangelica la figura di Figlio di Dio, stimano di doverli interpretare come sant'Agostino consente per i miti pagani: illa omnia quae antiquitus de vita dcorum moribusque conscripta sunt. longe al iter sunt in felli genda atque interpretando sapi entibas (Epist., 91: in Migne, P. /... XXXII1. col. 315).
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A LONDRA
« 1 cattolici di Londra — scrive il Daily Telegrafili — sono stati i primi a celebrare la presa di Gerusalemme con un solenne Te Deum nella Cattedrale di Westminster cantato dal Card. Bourne, a cui seguì il canto dell’inno col quale gli antichi cristiani festeggiarono la liberazione dal dominio pagano.
« La numerosa e prospera colonia israelita di Londra ha accolto con gioia la notizia della liberazione della città santa. Il capo rabbino Hertz dichiara in un comunicato ai giornali che. la vittoria del generale Allcnby segnerà forse, nella storia dell’umanità, una data non meno gloriosa di quella della presa del 'l'empio da parte di Giuda Maccabeo ».
A ROMA
Il Card. Vicario di Roma ne dava l'annunzio ai cattolici romani con un manifesto così concepito: « ...La nostra gioia e il nostro tripudio schiettamente religiosi hanno tuttavia una nube: che i nuovi liberatori del S. Sepolcro non portano tutti nel cuore come i forti crociati del pio Goffredo la santa unità della fede voluta dal Cristo. Ma tutti recano in fronte il sigillo del nome cristiano, e quanto più i secoli si allontanano dal punto in cui fu spezzata la mirabile unità della Chiesa tanto più in fondo alle cose di tutti indistintamente coloro che si gloriano di tal nome si avviva il sospiro verso quella stessa unità cattolica universale.
LA LIBERAZIONE DI GERUSALEMME E IL SIONISMO
[Notìzie - Voci - Documenti]
« Ora che il S. Sepolcro ritorna tra mani cristiane, ridica a tutti i credenti che uno è il Redentore, e quindi una la Fede, uno il Battesimo, una la Dottrina, uno il nostro Capo invisibile. G. Cristo, uno il nostro capo visibile, il suo Vicario in terra ».
IL COMUNICATO UFFICIALE VATICANO
La stampa vaticana ufficiale, d’altra parte aveva questo comunicato:
« I Cattolici non possono non esser lieti che la Città Santa sia in mano di una potenza cristiana piuttosto che di una potenza non cristiana ». Con tale sobrietà ^Osservatore Romano annunziava l’avvenimento.
I COMMENTI DELLA STAMPA ITALIANA
H. Bach dei Giornale d'Italia vi contrapponeva il colpo di Urbano VI alla notizia- della presa di Gerusalemme; le processioni, il suono di campane, il giubilo di Calisto IV dopo la vittoria di Belgrado; di Pio V per quella di Lepanto:-di Innocenzo XI per quella di Vienna; di Clemente XI per quelle di Eugenio di Savoia. E soggiungeva: « Nella spedizione erano rappresentate infatti tutte le genti cristiane eccetto quelle dell’orbita teu-tonico-tartarica e anche le varie religioni che si contesero il dominio spirituale del mondo. Per il metodo e per il fine i più ortodossi fedeli non meno dei liberi pensatori debbono compiacersi che... sia stata strappata dalla mala signoria dei Turch
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distruttori una terra tre volte sacra... Anche le Chiese cristiane si erano rassegnate, non esclusa la Chiesa Romana: il dogma diplomatico dell’intangibilità della Turchia fece nell’ottocento dimenticare del tutto il millenario voto. Le Crociate divennero un mito pressoché irrazionale. Tutt'al più si consideravano con simpatia, in forza del principio di nazionalità, le aspirazioni dei Sionisti verso una patria israelitica nell’antica Palestina.
«La liberazione è avvenuta senza che nessun Pietro l’Eremita infiammasse le. turbe e senza che nessun Papa Urbano pensasse a fare uno strappo alla diplomatica neutralità; anzi è avvenuta quando l’apostolico discendente <Ji Don Giovanni d’Austria vincitore di Lepanto fa issare la mezzaluna sulla cattedrale di Udine mutata in caserma di Curdi, e l’evangelico Hohenzollcrn, il cesareo erede del Barbarossa addita l'aerea torre del veneziano San Marco ai cupidi asiatici suoi mercenari lordi ancora del sangue cristiano degli Armeni. Tuttavia non tarderanno nei templi del Signore le laudi della scrittura: ' Jerusalem, civitas Dei, luce splendida fulgebis. Omnes nationes, terrae adorabunt te ' »...
Il Corriere della Sera dell’ 11 dicembre commentando la notizia della- presa di Gerusalemme scriveva: « Gl’Inglesi... entrano in Gerusalemme come araldi di un ideale umano che soltanto con mezzi internazionali può esser raggiunto... Ideali religiosi della razza ebraica. Data dal 1896 l'aspirazione dei 14 milioni di ebrei sparsi nel mondo a ricostituire attorno a Gerusalemme uno stato nazionale sionistico, che sia la patria a cui i fedeli sommersi nella " dispersione " possano guardare... Ideali religiosi cristiani. La Chiesa del Santo Sepolcro sarà sempre meta di pellegrinaggio devoto finché nella terra sarà viva e feconda la religione cristiana. Insieme coi Francescani... altre rappresentanze di chiese ortodosse e protestanti vanno a gara nel perpetuare il culto di Cristo nel luogo che ne vide il martirio... Ideali religiosi musulmani. La moschea di Omar è uno dei grandi templi di un mondo religioso, le cui ragibni di vita non sono venute meno e che conta 'centinaia di milioni di seguaci nell’impero turco, in Africa, in India, in Cina.
«... Nè l’Italia ha rinunciato ad esercitare una influenza rispondente alla importanza che i suoi ordini religiosi da un lato ed i
suoi mercanti sempre ebbero in Terra Santa».
La Sera. di Milano pubblicava, tre giorni dopo la notizia della liberazione di Gerusalemme, un’intervista da Roma di un suo redattore, con un « cardinale »: eccone alcuni tratti:
« — Qual’è oggi. Eminenza, la situazione creata dalla occupazione degli inglesi con i contingenti francese e italiano?
« — Le dico subito che le alte sfere vaticane, tranne qualche piccola eccezione, vedono con molto favore l’occupazione inglese. L’argomento è delicatissimo e noi dobbiamo tener conto che i francesi, in virtù, della nuova alleanza battezzata nel sangue sui campi di battaglia, vedono di buon occhio oggi gli italiani a Gerusalemme.
« Secondo il pensiero ufficiale cattolico il dominio inglese dà. nel confronto sopratutto con quello tedesco, maggiori guarentigie. Gli inglesi non fanno propaganda per questa piuttosto che per queiraltra comunione religiosa, forse anche perchè nel loro vasto impero le comprendono tutte e con tutte vogliono intrattenere buoni rapporti di amicizia. Non così i tedeschi, le preferenze dei quali per i luterani sono note. Gli stessi latini si urtano fra loro: gli spagnoli sono intolleranti, nazionalisti ad oltranza... per quanto neutralisti nella guerra mondiale.
« Qui Sua Eminenza affronta, con voce chiara c sottolineando le parole, la questione più spinosa per i cattolici:
ll„ Vaticano è favorevole alla costituzione. dell’asilo giuridico per gli israeliti in Palestina. Naturalmente non si vorrà pretendere da noi che si appoggi la formazione in Terra Santa di un vero stato sionistico politico-militare. Ma i cattolici e gli israeliti più evoluti convengono senza esitazioni in questo: bisogna accordare agli ebrei in Palestina le zone occorrenti per raggruppare i loro correligionari, sopra tutto quelli che più si sentono a disagio per varie ragioni, fra le altre nazionalità. nei territori delle quali ora abitano e sono appena tollerati o addirittura malvisti: ebrei della Russia, della Bulgaria, della Turchia e (perchè non lo diremo?) degli Stati Uniti.
« La città di Gerusalemme rimarrà invece cristiana. Gli stessi ebrei ne convengono per ragioni gravi di carattere religioso che li riguardano molto da vicino. Intanto essi, per ridare alla loro comunità tutto il prestigio occorrente, dovrei)-
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bero ricostruire il Tempio: e questo costerebbe molti e molti milioni... L’antico tempio israelitico dell’epoca precristiana era una vera città, come oggi la città vaticana in Roma. Poi dovrebbero gli israeliti ricostituire il sacrificio rituale degli animali: e questo, nei tempi nostri, farebbe ridere...
« Gerusalemme, la città santa, resterà (mi sembra facile il pronostico) sotto il dominio inglese. Il fatto segna una grande sconfìtta religiosa per la Germania che fino dai tempi della Riforma prendeva contatti e sviluppava rapporti ira Luterani e seguaci dell’IsIam. I tentativi della chiesa luterana per propiziarsi l’Oriente risalgono alla fine del secolo xvi quando venne mandata una missione a discutere per risolvere il dissidio fra la dottrina luterana e quella cattolica. Particolare curiosissimo: anche allora un Gerlach tentava con denaro di corrompere due o tre cortigiani. Il tentativo venne sventato dal Patriarca che licenziava il Gerlach...
« Grande è pure la sconfitta dell’Austria. Per parecchi secoli la duplice Monarchia venne considerata come il baluardo della Cristianità contro l’Oriente Turco. Tutte le avanzate militari delia Turchia nei Balcani e fin oltre il Danubio erano volte ad intaccare la compagine cristiana dei tedeschi, degli ungheresi, dei rumeni componenti in terra ferma l’imperio degli Absburgo. 1 patteggiamenti degli Imperi Centrali per la guerra in alleanza col Sultano e ora la caduta di Gerusalemme segnano la fine di quella fiducia del mondo cristiano in Sua Maestà Cattolicissima.
• Un altro fatto, piccolo per numero di attori, caratteristico per significato, é la condizione degli Armeni. Gruppi di religiosi armeni, sfuggendo alle persecuzioni turche, erano riparati in Italia. Ma, scoppiata la nuova guerra fra l’Italia e la Turchia continuavano, per una crudele ironia della sorte, ad essere... sudditi turchi. E bisogna anche aggiungere che le diffidenze contro di loro, per questa condizione giuridica nemica, non erano tutte vinte negli spiriti di corta vista. Oggi quei religiosi armeni sono giubilanti.
« Oggi la luce per l’Oriente viene dall'Europa.. . di Occidente ».
L’Idea Nazionale del 13 dicembre 1917 poneva in evidenza l’importanza di questa vittoria per la civiltà, garanzia per la libertà della Fede cristiana nel mondo... a prescindendo per ora da qua
lunque considerazione circa la costituzione statale che potrebbe esser data alla Palestina, sia come provincia autonoma sotto l'egida di tutte le Potenze, sia come raggiungimento di ogni migliore aspirazione sionista... ».
L’Avanti! del 15 dicembre 1917 commentava così l’avvenimento in stridente contrasto con quasi tutta la stampa italiana cd estera:
« ...Manca all’epoca nostra ogni motivo pratico di offrire agli ebrei un luogo di rifugio: l’ultimo pretesto crollò col trionfo-delia rivoluzione russa... Nella Russia repubblicana gli ebrei sono cittadini come negli altri paesi della terra... del resto se permangono in qualche sito nuclei di ebrei infelici, e molto dubbio che essi sian disposti a trasferirsi in Palestina... Essi preferirono e preferiscono rimanere nelle regioni ostili alla loro stiipe e alla lóro fede, là dove da generazioni innumerevoli vissero i loro antenati... dove mille invisibili fili li legano al suolo nativo »... Inoltre: « Nessuna attrattiva materiale... essendo difficile immaginare una zona più arida e povera di quella che dovrebbe formare lo stato ebraico. Sola attrattiva quella ideale: la gioia di abitare i luoghi abitati dai progenitori antichissimi. Ma di solo ideale non vive un popolo intiero. E dell’attuale popolazione palestinese, che ne faranno i sionisti? Per tre quarti essa è composta di mussulmani: a formare la quarta parte o rimanente concorrono, con gli ebrei, armeni, copti e altri cristiani d’ogni rito. Ove li collocheranno?... Li manderanno via con la violenza?..:
«Ancora: data una sede al popolo disperso, creato uno stato d'Israele, quale sarà la condizione giuridica, e sopratutto quella morale, degli ebrèi restati in altri paesi?... Alla preparazione di quella unica umanità che fonderà in sé tutte le stirpi, ciascuna di queste ha.contribuito nel giro dei tempi svolgendo una sua funzione particolare. La funzione del popolo ebreo fu doppia: finché esso rimase in Palestina, foggiare è insegnare alle altre genti il monoteismo e attraverso la predicazione di Gesù, la filosofia egalitaria e libertaria dei profeti: dopo la dispersione, portare ai diversi popoli fra cui visse un elemento di ribellione e di disgregamento, rappresentare una perpetua protesta contro le ingiustizie sociali, una incoercibile tendenza al progresso e alla libertà. Grande fu la parte degli ebrei nel-l’apprestare e favorire i vasti moti d’idee
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e le famose rivoluzioni onde usci mutata l'anima del mondo: dalla francese del 1789 alla russa del 1914. Oggi la funzione loro è compiuta.: non più in anguste patrie artificialmente restaurate riporre le speranze «lei miglior avvenire, ma nell'unica patria che il socialismo prepara ai deboli e agli oppressi di tutto il globo... -.
Dall'/snw/ del 17 dicembre togliamo:
• Il Domani è in noi. La prospera vicenda non ci addormenti, non ci tolga la coscienza «Ielle difficoltà che soho ancora da superare; l’avversità, qualunque abbia da essere, «leve trovarci preparati. Pensiamo che già qualche cosa di più stabile di ogni presa di possesso territoriale noi abbiamo conquistato. e dobbiamo difenderlo di fronte a chiunque: il riconoscimento ufficiale del nostro diritto di nazione.’
" Nessuna avversitàd’armi può più smentire questo fatto: che il diritto d’Israele fu riconosciuto ufficialmente a pari del diritto di tutti gii altri popoli irredenti, dal governo dei più grande impero del mondo moderno.
• Ma noi dobbiamo fare che questo principio si diffonda e penetri ed illumini ogni coscienza, conquisti trionfalmente tutta l'opinione pubblica del mondo: una Gerusalemme ebraica deve imporsi come verità di giustizia immediata, anche a tutte le coscienze più umili, come una Bruxelles ritornata belga ».
IL PROCLAMA DI ALLENBY E LE DICHIARAZIONI DI MINISTRI INGLESI
Il di 11 dicembre il generale Allenby emanava agli abitanti di Gerusalemme un proclama da cui togliamo il periodo: « Essendo la città nostra oggetto di devozione da parte degli aderenti a tre grandi reli-' gioni dell’umanità, ed essendo il suolo consacrato dalle preghiere e dai pellegrinaggi di moltitudini di devoti di queste tre religioni durante numerosi secoli, desidero perciò affermarvi che tutti gli edifìci sacri e i luoghi santi, le cappelle, le fondazioni, e tutti i luoghi di riunione abituale per le preghiere... delle tre religioni, saranno mantenuti e protetti secondo il costume tradizionale e le credenze di coloro per la cui fede questi luoghi sono riconosciuti sacri...».
Tale uguaglianza di tutti i diritti religiosi degli abitanti e dei pellegrini di Gerusalemme, traduceva in atto le parole già volte dal Ministro degli Esteri Balfour al Comitato Sionista inglese, con cui esprimeva la volontà del suo governo di aiutare
la Costituzione in Palestina di una sede nazionale ebraica, con il sottinteso che • nulla sarà fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle Comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti e lo statuto politico di cui godono gli ebrei in ogni altro paese ».
Ecco le parole dirette dal Balfour, con lettera del 2 novembre, a Lord Rotschild, rappresentante del Comitato Sionista:
- Ho il gran piacere di trasmetterle per parte del governo di S. N. la seguente dichiarazione sottoposta... al Gabinetto e da lui approvata: Il governo di S. M. vede con favore la costituzione in Palestina di una sede nazionale (nalional homo) per il popolo ebraico, e metterà in attoi suoi maggiori sforzi per facilitare il raggiungimento di tale scopo... ». Tale dichiarazione è stata vivamente approvata dal suo predecessore agli Esteri, visconte Edoardo Grey.
E pochi giorni dopo un altro ministro, in un grande comizio, impegnava la parola deH’Inghiiterra per il rapido sviluppo del sogno due volte millenario.
IL PROBLEMA DELLA PALESTINA
Il Daily News in un articolo molto ponderato di novembre, scriveva:
• Abbiamo ragione di ritenere che le potenze dell’Intesa abbiano rivolto la più seria attenzione al problema della Palestina. Però la massima difficoltà .sta nella divergenza che regna fra gli ebrei stessi. Gli uni considerano il giudaismo una religione. un sistema di vita c di pensiero c null’altro: c'è poi un potente nucleo, forte per numero e notevole intellettualmente, il quale insiste nell’affermare che l’ebraismo non è soltanto una religione, ma una nazione che ha perduto la sua patria e va errando sulla faccia della terra. Non è nostra, intenzione intervenire in questi dissensi di famiglia: però è chiaro per qualunque più superficiale osservatore della vita contemporanea, e per il più disattento studioso della storia, che, ammesso pure che il Giudaismo sia soltanto una religione, esso è però talmente diverso da ogni altra credenza. da rendere i suoi seguaci distinti da quelli di altre fedi. Gli Ugonotti abbandonarono la Francia e vennero assorbiti dalla nazione inglese o tedesca. I cattolici spagnuoli e i cattolici francesi emigrati in America costituirono il germe di un tronco americano, e così via. Ma nei secoli il fiume «lell’Ebreismo scorse in mezzo a tutte le nazioni, mantenendosi distinto e conser-
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vando un’identità di caratteristiche fisiche e mentali e un’individualità di pensiero che non ha uguale nella storia di alcun'altra religione •.
Le parole del Daily News hanno fatto sentire all’opinione ebraica l'urgenza di trovare un terreno d'intesa fra i due campi d’Israele, per costituire una feconda e solida unità di opere c d’intenti, se non si vuole compromettere il successo delle speranze ebraiche.
UNA PROPOSTA
Fra le proposte che si son fatte per giungere ad un compromesso, ci pare notevole quella del Jcwish Chronicle, il quale vorrebbe che il governo inglese — che è grandemente interessato alla questione, di Palestina — convocasse una conferenza di sionisti e di non-sionisti, a cui dovrebbero partecipare anche i delegati degli Ebrei dell’Intesa e delie Colonie britanniche, per discutervi, in ispirilo di unità, le proposte pratiche dei governi alleati.
L’antisionista francese Univers Israitile del 30 novembre, riprodotta la dichiarazione ufficiale di Balfour, commentava:
« La grande idea di Teodoro llerzl, accusata d'utopia, sta per essere effettuata? Vedremo la ricostituzione d'uno stato ebraico in Palestina?.
«A questo pensiero, un fremito di gioia ha dovuto agitare tutte le folle sioniste. Sarebbe ben poco fraterno, ben poco generoso gettare in mezzo a questa gioia una nota discordante.
«Ciò che bisogna salutare in modo speciale, colla più legittima speranza, è la possibilità di ristabilire a Gerusalemme, in condizioni di libertà ormai effettuate, dopo due mila anni e nell’atmosfera religiosa che ha mancato ad Israele in tutti i paesi della sua dispersione, il focolare di fede e «li scienza ebraica da cui irradierà un nuovo influsso di vita nell’intero giudaismo.-Nessuno di coloro presso i quali il nome «li Sion mormorato nella preghiera quotidiana risveglia ancora una santa emozione non può rifiutarsi, senza tradire la causa di Israele, di aiutare almeno coi suoi voti il compiersi di questo grandioso disegno ».
PROFEZIE DI MAURICE VERNES
Interessante come espressione della pubblica opinione francese è il pensiero di Maurice Vernes.
Nel corso di una conferenza fatta alla Sorbona sulla religione d’Israele dallo studioso delle religioni. Maurice Vernes, egli
ha detto: « Noi salutiamo con emozione la resurrezione della bella, nobile terra di cui noi ora stiamo studiando gli antichi monumenti sacri. Salutiamo la resurrezione «lolla nazione ebraica, destinata ad 'esser ricostruita sul suolo de’ suoi avi sotto il patronato della Gran Britanhia, della Francia e dei loro alleati. Essa godrà condizioni di autonomia e d’indipendenza che. nel pieno esercizio delle libertà civili, politiche, religiose e intellettuali, necessarie ai popoli moderni, rispetteranno i diritti acquisiti dalle popolazioni, razze e gruppi culturali rappresentati ora in Palestina ».
UNA VOCE TEDESCA
D’altra parte, il tedesco Sociali si iches Monalshejt. scriveva:
•• Come è stato annunziato poco fa nella ■Rundshau, l’ufficio «lei Partito operaio ebreo socialista Poalé-Zion è stato invitato partecipare alla conferenza di Stoccolma. E strano, ma pur vero che l'Internazionale socialista mentre riconosce come nazioni i Lettoni e i Fìnni ed altri piccoli popoli, nega questo titolo agli Ebrei orientali che mostrano le più innegabili caratteristiche nazionali. Tale attitudine è spiegabile da parte dei socialisti-delia nazione ebraica, i quali, in questa questione della nazionalità sono sotto l’influenza d’una filosofia che. per quanto idealistica dall’aspetto umanitario'. considera ogni adesione ad una nazionalità particolare come il ritorno ad una superstizione tramontata. Però, sotto l’azione della Rivoluzione russa, in cui gli Ebrei, coscienti del loro valore, han partecipato come nazione, e che ha riconfermato in loro il convincimento di costituire una nazione che ha diritti .eguali a quelli di qualunque altro popolo, questa finzione, per cui (’Ebreo è cittadino del mondo senza sede nazionale propria, non può più prolungarsi. Un'altra causa, che induce all’abbandono di questa teoria, è il riconoscimento ufficiale da parte dell’America e dei suoi alleati, certo per fini egoistici, del Sionismo come dell’espressione delle aspirazioni nazionali ebraiche.
«È quindi impossibile per l’internazionale negare l’esistenza di una nazione che tutti i governi riconoscono come tale e la cui storia e cultura datano da secoli.
« In tale occasione è interessante riflettere alle osservazioni fatte dal Ministro francese delle munizioni, il socialista Albert Thomas, il quale disse poco fà al corrispondente del giornale new - yorkese Wahrheit, che secondo lui, « la creazione
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d’un centro ebraico in Palestina per il popolo d’Israele è un problema urgente del momento » quantunque egli non creda che • la creazione di tale Stato risolverebbe tutte le difficoltà che opprimorto il Giudaismo ». Noi osserviamo qui che i sionisti medesimi non ritengono che la creazione di un centro nazionale.per gli Ebrei in Palestina costituisca la panacea a tutti i mali del Giudaismo, ma esso contribuirà a risolvere alcune delle sue questioni, ed in ispecie quella che è per loro il problema dei problemi ».
IL PENSIERO DEI SIONISTI RUSSI
Quanto alle aspirazioni risvegliate nel Sionismo russo, il più numeroso e quello più direttamente in causa, richiamiamo in modo speciale l’attenzione dei nostri lettori su questo notevolissimo Rapporto sulla Palestina, pronunziato dal condottiero sionista di Russia M. M. Ussischkin, alla conferenza dei sionisti di Russia, pubblicato dall’Wa 'am (il popolo) il quotidiano ebraico di Mosca. Eccone alcuni tratti:
« La guerra ha posto il problema della Palestina accanto ai problemi mondiali che richiedono una soluzione. Se un anno fa potevamo guardare al sionismo come ad un obbietto attuabile fra molti anni — e secondo altri anche fra secoli — ora noi stiamo davanti ad un problema di domani. Si possono avere opinioni diverse sugli effetti della guerra; una cosa però è certa: che, in un modo o nell’altro, è questa volta che dovrà decidersi la sorte del vicino Oriente. La guerra è scoppiata per causa sua. I Dardanelli, il Canale di Suez,.il Mediterraneo, la ferrovia di Bagdad: ecco i problemi per cui il mondo si dissangua da tre anni. E la Palestina sta nell’ombelico di questo vicino Oriente. Se si stanzieranno colà le forze del mondo grande, colle ricchezze e l’attività del mondo grande, tutti i nostri congressi non serviranno a nulla; la terra cadrà in altre mani. È giunto dunque il momento di dire a noi stessi ed a tutto il mondo, che noi e non altri dobbiamo essere e saremo i padroni della terra d’Israele, e di dirlo con un linguaggio di azione pratica, forte, alacre.
«Ecco la nostra immensa tragedia: mentre tutta la nostra esistenza e tutte le nostre speranze sono legate alla Palestina, mentre i nostri pionieri combattono eroicamente per la loro salvezza, noi qua siam costretti a rimanere in disparte e a mantenere la neutralità. Ecco la tragedia della nostra situazione: che noi non siamo un popolo
come gli altri, ma siamo dispersi in molti Stati. C’è un ebraismo russo di fronte ad un ebraismo tedesco; un ebraismo inglese e uno turco; c’è un ebraismo in Francia ed uno in Austria. E non c’ù un brano d’Israele libero, che possa dire quello che ha in cuore.
«Noi dobbiamo aspirare a questo: si cesserà d’essere gli Ebrei di questo e di quel paese, per tornare ad essere il popolo etèrno, gli Ebrei della terra degli Ebrei,
<i 11 congresso della pace proclamerà il giubileo generale dei popoli: Ogni popolo tornerà alla sua possessione.
«Ed anche noi chiediamo che ci restituiscano la nostra terra. Nel Congresso della Pace ci saranno non solo le parti belligeranti, ma anche i popoli neutrali, tutti i popoli che anelano alla Risurrezione.
«Anche il popolo ebraico sparso nel mondo ha il diritto di chiedere un posto fra i popoli, nel momento che si sentenzia la restaurazione dei territori c la fissazione dei confini.
« Noi andremo all’Assemblea dei popoli non solo per virtù dei messaggi profetici, o nel nome delle nostre terribili sofferenze secolari, — quantunque anche questo abbia un gran valore, — ma presenteremo loro ancora il lavoro effettivo che facemmo in Erez-Israel e dimostreremo colle prove l’energia creatrice del nostro popolo nell’opera di colonizzazione. Noi domanderemo che mandino una missione in Palestina, che la percorra con noi in lungo e in largo, da Dan fino a Beer-Sceba’, da Ma-tulah fino a Ruhama, la quale veda quello che noi abbiamo fatto in 35 anni, nelle condizioni più dure, internamente ed esternamente, senza alcun mezzo materiale e con un materiale umano poverissimo.
« Racconteremo loro che cosa trovammo quando la prima volta arrivammo nel paese, e fu nel 1881. Trovammo il deserto c la sterilità dei secoli, la solitudine mortale d'una provincia asiatica dimenticata. Trovammo il regime di Abdul-Hamid che non permise alla pi ima nave che trasportava i fuggiaschi russi di sbarcarli nella loro antica patria. Ad ogni passo che noi volessimo fare, dovevamo ottenere permessi speciali dell’eccelso Governo, e ci costavano forti somme e spreco incalcolabile di forze. Questa era la condizione legale del nostro primo lavoro.
«E quale materiale umano avevamo? Studenti ed " esterni ”, piccoli mercanti e maestri, rabbini e gente senza professione: ecco il materiale da costruzione da cui dovevamo trarre le basi della nostra colonizzazione rurale, ecco il nucleo di pionieri
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con cui dovemmo ti asformare una terra deserta in humus fecondo. E quali erano i fondi coloniali in nostro possesso? Voi lo sapete. Di tutti i nostri ricchi, grandi e piccoli, non si trovò che un “ giusto ”: il barone Edmondo de Rothschild, che s’interessasse della cosa. Tutti gli altri plutocrati non ebbero per noi che risa e scherno, o — alla migliore ipotesi — un’offerta di 100 rubli.
« E il nostro patrimonio popolare nazionale? Voi ricordate la sua misura. Cominciammo a colonizzare la Palestina coi pochi soldi offertici dai primi Hoverè 7ion nella chiamata alla lettura del Libro, facemmo un gran passo innanzi imponendoci una tassa annua di 3 rubli, e allorché sorse il SioniSmo, arrivammo alle azioni di una lira sterlina. E tutto ciò per gli sforzi di un pugno di uomini.
«Ed anche in un altro camposi manifestò la nostra spaventosa miseria. Arrivammo in Palestina senza linguaggio. 1 primi emigrati venivano da paesi differenti, parlavano diverse lingue senza potersi talvolta capire.
« Nonostante tutte queste diffìcili condizioni che a prima vista potevano parere insormontabili, raccogliemmo fecondi frutti avemmo successo. Ora se un rappresentante deH’Asscmbleà dei popoli verrà a constatare de visti quello che abbiamo ottenuto in così.pochi anni, sarà costretto a convenire che in verità una potente energia creatrice, un’attitudine civilizzatrice, impareggiabile, ha ancor oggi il popolo civile più antico che esista al mondo.
«Noi condurremo quel rappresentante del -l’Assemblea dei popoli in quel delizioso angolo di teira dei dintorni di Tiberiade, a Dagania, a Chinnereth nostra, e gli faremo vedere che noi, non solo sappiamo imitare le opere dei popoli più perfetti, nel nostro lavoro di colonizzazione, ma che sappiamo anche creare nuove cose nostre. Noi facciamo là esperimenti di rinnovamento dei sistemi economici e della cultura umana; venga quel delegato a Merhawjah e veda quello che noi facciamo. Venga ad Athlit a vedere la nostra stazione sperimentale. Venga in Giudea a vedere i giardini di Pethah-Tikwah, fioriti sopra un terreno di fango: venga a vedere i suoi aranci che hanno il primato in tutti i mercati del mondo. Venga a vedere il nuovo esperimento che abbiam fatto a Ruhama, dove siam riusciti a piantare sopra la nuda roccia dove nessuno aveva mai imaginato che potessero crescere e fiorire arbusti. Venga a
veder Hatrah, quel pozzo inquinato in cui « vissero » gli studenti di Charkow, per tre anni e mezzo sotto la volta del cielo, senza tetto, senza riparo dal freddo e dalla pioggia. Vedrà le tombe dei martiri del Scio-mer (guardia) che difesero il possesso ebreo e l'onore ebraico e si sacrificarono per lui. Venga a vedere le nostre scuole di Erez-Israel; udrà la viva lingua ebraica e vedrà di quale spirito siano animati i bambini che sono figli di quei padri che vennero in Palestina privi d’una lingua. Noi racconteremo loro anche con quanto travaglio, con quanto sacrifizio riuscimmo a costruire la scuola ebraica in Erez-Israel, quanti dolori soffrirono i maestri -ebrei, i dolori d’una gestazione d’una lingua, della fecondazione d’un vocabolario, i più crudeli dolori che esistano al mondo.
« Quando vedranno tutto ciò, noi diremo loro: se tutto questo potemmo fare e creare, senza diritti, senza danaro, senza uomini, non è una prova decisiva che il popolo di Israele non è invecchiato, che possiede forze nuove, e che se gli saran dati i mezzi che oggi gli mancano c se le condizioni miglioreranno, egli farà vedere al mondo meraviglie?
« Noi abbiamo bisogno di essere nel più breve termine, i signori del paese. Ciò è diventato oggi una necessità assoluta, non solo dall’aspetto della nostra volontà, ma ancor più dall'aspetto che deve assumere il corso degli eventi nazionali. Non perché l’umanità torni ai suoi errori, si sono versati tanti fiumi di sangue. Un nuovo mondo sorgerà dalle rovine della guerra, ed in questo mondo il vicino Oriente e soprattutto la terra d’Israele, occuperanno il Sosto più importante. Noi abbiamo dunque ¡sogno di conquistarci presto úna posizione nella terra dei nostri avi...
« Due correnti dominarono finora nella vita dei popoli: lo sciovinismo — l'acuto desiderio di un popolo di allontanar quel-l’altro e di mettersi al suo posto — da un lato e il cosmopolitismo dall’altio. La mèta della cultura universale tende oggi ad una terza strada: all’universalismo. Gli uomini migliori sperano ed attendono il giorno in cui tutti i popoli saranno una sola famiglia, non già perchè si sia alterata la personalità o la fisionomia di alcuno di essi, ma perchè si sarà attuata la vera fratellanza e la coscienza della dignità c dei diritti di ciascun popolo. L’umanità va incontro all’ideale luminoso della Federazione generale dei popoli; allora una bandiera sventolerà sulle nazioni, la bandiera
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deli'L'inanità. Su questa bandiera saran disegnate una moltitudine di stelle, una stella per ciascun popolo. Tollereremo noi, il popolo più antico che ci sia al mondo, che sul vessillo dell’umanità manchi la nostra stella? Ai nostri occhi spuntano tanti piccoli popoli, molto più piccoli e più poveri di noi per cultura e per istoria; e ognuno disegna la sua stella sulla bandiera dell’umanità. Soltanto noi rimarremo in disparte, fuori dell'alleanza dei popoli? No, non può essere. Anzi la nostra stella dev’esser ancora più luminosa, poiché al suo splendore avran partecipato tutti i popoli... ».
IL SIONISMO IN POLONIA
Ed ecco il testo del referendum organizzato dalla Federazione sionistica di Polonia. sulla questione della Palestina:
> Noi Ebrei di Polonia, esprimiamo la nostra profonda fiducia e la nostra forte speranza che questa guerra che libererà tutte le nazioni oppresse, condurrà anche alla completa soluzione, del problema ebraico mediante la creazione di una sede garantita al popolo Ebreo nella Terra di Israele, patria dei nostri avi ».
SIONISTI ITALIANI
G. Manasse scriveva sui numeri 29 novembre e 17 dicembre defl’/sroef su l’argomento del Sionismo, due articoli, da cui togliamo:
« Gli Ebrei, a qualunque nazione appartengano. hanno una storia comune, hanno tradizioni secolari che il martirologio subito non è riuscito a cancellare, hanno una svariata e copiosa letteratura densa di pensieri filosofici e morali, che anche oggi possono costituire la base dell’educazione civile di qualsiasi nazione, hanno una lingua propria che in alcune località è anche parlata, vantano infine una civiltà che, per esser ispirata agli eterni principi di giustizia e d'amore,- ha potuto conservarsi
pura c inalterata, attraverso la scomparsa di popoli ed imperi ed il sorgere di nuove civiltà, che con vicenda alterna, ora irradiarono il mondo della loro luce, ora lo ripiombarono nelle tenebre dell’oscurantismo.
«Stabilito adunque che gli Ebrei non sono una semplice associazione religiosa, ma che costituiscono una vera nazione distinta dalle varie popolazioni in mezzo alle quali vivono, è d’uopo riconoscere che anche la nazione ebraica, che anche il pòpolo di Israele, considerato nella sua unità, ha diritto ad avere una patria,* e precisamente quella da cui fu violentemente strappato ed alla quale non ha mai rinunziato...
• Noi Ebrei,- non vogliamo essere considerati alla stregua di quei popoli primitivi nomadi c barbari che fissarono le loro tende su terre invase e finirono per fondersi cogli abitatori di esse in un popolo unico; noi abbiamo un patrimonio di civiltà, di coltura, di moralità, che sarà nostro vanto conservare integro nell’interesse stesso dell’umanità, delle singole patrie d’adozione verso le quali, ciascuno di noi per la propria, sentiamo vivissimo il santo dovere d'una illimitata devozione e .di un incondizionato affetto.
« Noi sionisti, reclamiamo quella patria consacrata dalle virtù e dal sangue dei nostri avi, perchè sia il centro della coltura e dell'attività ebraica in tutte le sue manifestazioni, libeio da ifiirammettenze straniere,, al disopra e al di fuori di qualsiasi sopraffazione, che è sempre il germe di conflitti e di eccidi umani; quella patria verso la quale l’ebraismo cosmopolita potrà rivolgere lo sguardo come ad un faro che ne illumini il cammino attraverso possibili insidie e per la quale la nazione ebraica si sentirà moralmente elevata, in quanto potrà finalmente assidersi degnamente fra le nazioni civili ».
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