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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno X. - Fasc. VII
ROMA - LUGLIO 1921
Volume XVII. i
SOMMARIO
M. PUGLISI : Franz Brentano (notizie e ricordi) - con ritratto....................p. I
F. GIULIO: Il calore etico dell*idealismo attuale.........................................13 I
V. MaCCHIORO : Cristianesimo ed Ebraismo 21 i
Per la cultura dell’anima:
G. E. MEILLE: Gli ostacoli alla visione del Cristo . 27
Cronache::
Italia e Vaticano . . ........ 33 I
Rassegne:
R. e />.: Studi biblici..........................36 |
Rivista delle riviste:
Riviste tedesche . . . . ; , . 41
La vita dello spirito nella letteratura:
D. PROVENZAL: Letteratura... amena . . . . 50
Recensioni :
Studi sul giansenismo italiano - Filosofia antica e cristianesimo - IsIam - Protestantesimo francese -Schleiermacher - Lituania - Apologetica cristiana
Lituania Teoria della relatività Psicologia . . 55
Bollettino bibliografico : .
Novità librarie - Pubblicazioni pervenute alla Redazione. 65
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RTT YCHNIS RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
* VniNlO < « < < FONDATA NEL 1912 > > > ►
CRITICA BIBLICA ~ STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA. PEDAGOGIA, FILOSOFIA RELIGIOSE MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO ~ LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO CRONACHE - RIVISTA DELLE RIVISTE BIBLIOGRAFIA REDAZIONE: Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma. D. G. WhìTTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d'indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ BILYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gii articoli firmati vincolano unicamente l’opinione dei loro autori.
/ manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
Abbonamenti pel 19S1
Gli abbonati riceveranno nel 1921:
i 12 fascicoli mensili di “ BILYCHNIS ”, di pag: 64 l'uno in-8® grande, illustrati, formanti 2 volumi di pag. 384 l’uno ;
i 6 fascicoli bimestrali dei Quaderni di Bilychnis, eleganti volumetti in-8° piccolo di pag. 64 (o, se raggruppati, multipli di 64), illustrati, formanti un’insieme di 384 pagine annue.
Gli abbonati potranno inoltre ottenere a prezzo ridotto:
l’abbonamento cumulativo col “TESTIMONIO”, rivista mensile delle chiese battista italiane;
il bel volume del CHIMINELLI, “ Il Padre nostro „ e il mondo modèrno ;
1 interessante opera da noi edita, La Chiesa e i nuovi tempi.
CONDIZIONI: IN ITALIA PER 1 ANNO | PER 6 MESI 1 ESTERO 1 PER 1 ANNO
“ BILYCHNIS ” e i Quaderni. . . L 16 — 9- 30 —
“ BILYCHNIS ”, i Quaderni e “ IL TESTIMONIO”........ » 18,50 10,50 40 —
“BILYCHNIS”, Quaderni, “IL TESTIMONIO ” e i due volumi suindicati > 24 — 16 — 45,50
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 38 i
Pel Centenario Dantesco
Concorso artistico a premio
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE
Esaminati accuratamente i 27 lavori dei 22 concorrenti abbiamo dovuto constatare con rincrescimento che il risultato del concorso è stato piuttosto scarso e siamo rimasti in dubbio se veramente il premio potesse essere assegnato.
Informatici però delle intenzioni della Rivista circa l’eventuale annullamento del concorso, ed avendo rilevato che era desiderio di essa che a ciò possibilmente non si addivenisse; proponiamo che in base ai giudizi fin da principio formatici sui singoli lavori venga assegnato un compenso di L. 300 all’Autore del disegno che porta il motto S. Giovanni e S. Luca, perchè riteniamo detto disegno come il migliore, essendo in esso più che negli altri graficamente resa con molto opportuno sapore trecentesco un’idea che si avvicina a quella espressa nella terzina di Dante. Nello stesso tempo ci sembra che il disegno possegga sufficienti pregi artistici e ben si presti ad una facile riproduzione.
Proponiamo che un secondo compenso di L. 200 venga assegnato all’Autore del disegno che porta il motto Dagmar: anche ih questo lavoro si scorge se non mólto chiaramente tutta intera l’idea voluta, un sentimento che con essa ha punti di contatto ; sentimento espresso quasi con ingenua, ma efficace semplicità di mezzi.
Riteniamo anche degno di essere menzionato, e possibilmente pubblicato, il lavoro dal motto Pane spirituale. In esso il sentimento della preghiera non è espresso, ma vi si scorge bene però l’affanno dell’anima umana che cerca pace e nel duro pellegrinaggio è sorretta e confortata dalle creature celesti.
(Continua a pagina agüenle).
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n Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 38
11 disegno contrassegnato Astra possiede anch’esso qualità pregevoli di esecuzioni, ma l’idea vi è però vagamente espressa. Ci limitiamo a menzionarlo, perchè non si presterebbe ad una facile ed efficace riproduzione sulle pagine della Rivista.
Tutti gli altri disegni progettati sono, secondo noi, troppo al disotto di ciò che poteasi desiderare, sopratutto per quanto riguarda lo svolgimento del concetto ed in molti casi per non lieve deficienza delle indispensabili qualità artistiche. *
Colla persuasione di avere con coscienza adempiuto il nostro compito, sentiamo di dover ringraziare la Rivista BILYCHNIS per 1 onore e la prova di stima tributatici, affidandoci il non facile mandato.
f.to: Aleardó Terzi, Pittore Giuseppe Cellini, Pittore Paolo A. Paschettó Pittore
* * *
Aperte le buste recanti i motti dei lavori segnalati dalla Commissione si è constato che:
Il primo compenso di L. 300 spetta al Sig. HUGO RÉNYI
Via Fontanella Borghese, 48 - ROMA (Mòtto: Si Giovanni e S. Luca) .
Il secondo compenso di L. 200
al .Sig. EDOARDO DEL NERI
Via delle Colonnette, 26 - RÓMA (Motto: Dagmar)
Il lavoro indicato come meritevole di pubblicazione è quello del Sig. ANTONIO MARIA NARDI
Foro Boario, 24 - BOLOGNA (Motto: Pane Spirituale) e il lavoro degno di considerazione è quello del
Sig. GIUSEPPE BRAVI
Via Mecenate, 27 ROMA (Motto: Astra)
Per la Direzione della Rivista f.to: LODOVICO PASCHETTÓ
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Il TESTIMONIO R1VISTA mensile delle chieSi pubblica in fascicoli di 36 pagine elegantemente fregiate ed illustrate - Pubblica articoli di propaganda e di informazione sul cristianesimo in genere e sul movimento battista in ¡specie - Rubriche spedali: Rubrica dello spirito, Vita ecclesiastica, La pagina dei piccoli. Si propone di fornire ai pastori argomenti per meditazioni e sermoni e di essere largo di notizie sulle chiese battiste d’Italia.
:: :: DIREZIONE: ARISTARCO FASOLO - Via Casslodoro, 1 - ROMA 33 AMMINISTRAZIONE: BENIAMINO FODERA - Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
Abbonamento per l’Italia, annuo L. 5 - Semestrale L. 3
Per l’Estero, L. 10 - Un fascicolo separato L. 0,60
PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
CULTURA DELL’ANIMA
Boisari R. : Guardando il sole — 2 —
BurtW.: Sermoni e allocuzioni . ..............2 —
GRATRY A. : Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 5,40 Monod W.: L’Evangile du Royaume .................io —
— Délivrances . . . .io— — Il régnera...........io —
— Il vit...............io —
— Silence et prière . .. . io — Vienot J. : Paroles françaises
Erononcées a 1’ oratoire du ouvre ...... 3,50
Wagner C.: L'ami . . . 12 — — Justice.............io —
Rivista Propheia (Unica annata 1914) .........5 —
FILOSOFIA
BLONDEL M.: “L’Azione”,
Saggio di una crìtica della vita e di una scienza della pratica (voi. I e II) .28 — Della §eta U.: G. Mazzini pensatore .....................15 —
Della Seta U. : Filosofia morale (Voi. I e li). , 15 —
। Eucken : La visione della vita nei grandi pensatori (2* ediz.)
36 —
Ferretti G.: L’Alfabeto c i fanciulli ........ 2 —
Lombardo Radice G.. Clericali e massoni di. fronte al problema della scuola. . . 2 —
Losacco M.: Razionalismo e
Intuizionismo .... 1 —
Momigliano F. : Vita dello spirito ed eroi dello spirito 8 —
Neal TH: Vico e l’immanenza
1 —
—. Giovanni Vailati . . . 1 —
Panini G.: Il tragico quotidiano ....... 5,50
— Chiudiamo le scuole 1 —
— La Toscana e la filosofia italiana ... . . . . . 1 —
Rensi G.: Sic et non (metafisica e poesia) . . . 3,50 ScmpriniG. : La morale mistica dell’Imitazione di Cristo
Tagliatatela E.: Giovanni Locke1 educatore, (per la prima volta tradotto in italiano) . . 4 — !
Tilgher A.: Filosofi antichi io — |
Tilgher A. : Voci del tempo (profili di etterati e filosofi contemporanei) . . . 8.50
GUERRA E ATTUALITÀ
Brauzzi U. : La questione sociale ......... 1 — Koipinska A.: 1 precursori della rivoluzione russa 6 — Murri R. : L’anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) .... 1,25 MURRI R. : Guerra e religione, Voi. 1.11 sangue e l’altare 2 — MURRI R. : Guerra e religione.
Voi. II. L’imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa ........ 2 — — Dalla democrazia cristiana al partito popolare ita!. 5 — ZANOTTI-BIANCO e CAFFI A.: La pace di Versailles, note e documenti (con 20 car-■ te etnografiche . c politiche) io —
La Chiesa e i nuovi tempi 3,50
Raccolta di scrìtti originali dì Giovanni Pioli - Romolo Murri -Giovanni E. Mcille - Ugo Ianni - Mario Falchi - Mario Rossi -“ Qui Quondam „ - Antonino De Stefano - Alfredo Tagliatatela.
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. - (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20).
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Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib.-Ital. 15-IV-20).
LETTERATURA
Arcati P. : Arnie! .... 2 —
Brauzzi U.: I Luciferi . 5 —
Bonavia C.: La tenda’ e la notte ......... 3,50
Chini M.: F. Mistral . . 2 —
Croce B.: La poesia di Dante
15.50
Della Seta U.: Morale, Diritto e Politica internazionale nella ménte di G. Mazzini.
1,50
Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne ....... 2,50
F. Momigliano: Scintille del Roveto di Stagliene . io Gallatati Scotti T.: La vita di
A. Fogazzaro . . . . . 12 —
Jahicr P.: Ragazzo . . 3,50
Lanzillo A.: Giorgio Sorel. 1 —
Papini G.: Esperienza futurista
3.50
Papini G. : Cento pagine di poesia ......... 5 —
Sheldon : Che f arebbe Gesù ? 2 —
Soffici A.: Scoperte e massacri (Scritti sull’arte) 5 —
Vitanza C.: Spiriti e forme del divino nella poesia di M. Ra-pisardi (conferenze). 1,50
RELIGIONE E STORIA
Buonaiuti E.: S. Girolamo 2 —
Caracciolo I.: Bagliori di co-munismo nella Riforma. Lai guerra dei contadini . 6 —
Carpenter J. E-: Il posto del Cristianesimo fra le religioni (Traduzionedi G. Conte - prefazione di M- Puglisi) 2 —
CHIMINELLI P.: Gesù di Nazareth 2ft Ediz. ... 6 —
— Il Padrenostro e il mondo moderno ...... 3——
— Bibliografia della Storia della Riforma religiosa in Italia
5“
¡Costa G.: Diocleziano . 3 — (Profili) Ediz. Fbrnùggini.
— Politica e religione nell’impero romano . . . . . 2 — Cumont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano ........ 6,50
Di Soragna A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 7.50
Doellinger I. : Il papato dalle origini fino al 1S70 . 30 —
Fasulo A.: Dalle indulgenze alla dieta di Worms . 0,50
Janni U.: Il dogma dell’Eucari-' stia e la ragione cristiana 1,25
Labanca B.: La riforma del sec. XVI ed il celibato chiesastico ........ 1 —
LOISY A.: La paixdes nations 1,50
PETTAZZONI R. : La religione primitiva in Sardegna 6 —
— La Religione di’ Zarathustra ..................15 —
Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni. . . . . 5 —
—« La Bibbia» Introduzione al-l'Antico e Nuovo Testamento .......... 20 —
— Il significato di « Nazareno » ........ 1,50 Schurè E._: - I grandi iniziati
16,50
- Santuari d’Oriente . 12,50
TYRREL G.: Autobiografia e Biografia (per cura di M.
D. Petre) ...... 15 —
Tyrrel G. : Lettera confidenziale ad un professore d'antropologia .............0,50
Vitanza C.: La leggenda del « Descensus Christi ad inferes» ....... 1,50
Wenck F.: Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75
X. La Bibbia e la Critica. 2 — X. Lettere di un prete mo derrista ...... 3,50
II Nuovo Testamento (Edizione Fides et Amor) . . 5 — I Vangeli (Edizione Fides et
Amor). . ■....... 180
La Bibbia (Vere. Diodati Edizione 1919) ...... 3,50
Nuovo Testamento e Salmi ad uso dei vecchi........2 —
I Salmi (Edizione Fides et Amor) ...... 1,80 Giobbe, tradotto da G. buzzi
1.80
Tagliatatela E.: L’educazione nella Chiesa dei primi secoli
3.50
Taylor G. B.: Il Battesimo 0,50
VARIA
Almanacco dei ragazzi . 5,50 Beatrice E.: Origini filosofiche ed economiche dell’attuale letta di classe . . . . 4,80
Bar Jona.: Ite missa est 5 — Cadetti A. : Con quali sentimenti soni tornato dalla guèrra ... .. ....... . 1,50
Del Vecchio G.: Effetti morali del terremoto in Calabria secondo F. M. Pagano . 2 —
Inni-sacri (320), senza mus ca
1-50
Majer Rizzoli E: Fratelli e sorelle (Libro di guerra 1915^ 1918) ......... 4,50
Niccolini E.: I contadini e la terra ......... 2,50
Fanzini A.: Il libro di lettura per le scuole popolari . 2 —
Pioli G.: Educhiamo i nostri padroni . . •. . . . . 2.50
NOVITÀ
PAPINI G.
STORIA di CRISTO
680 pagine L. 17 —
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Casa Editrice BI LYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33
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ESTRATTI DELLA RIVISTA “ BILYCHNIS „
===== l Serie
1. Amendola Èva: Il pensiero re- 1 ligioso c filosofico di F. Dostoiev-, ►ky (con tavola fuori testo: ritrat-, to del D. disegnato da P. Pa-1 schctto). 1917. p. 40 . Esaurito
2. Bernardo (fra) da Quintavailc: ' I. ‘avvenire secondo l’insegna mento di Gesù. 1917, p. 43 ..... 0,80,'
3. Biondoiillo Francesco: .La reli-: giosità di Tcofllo Folengo (con nn disegno). 1912, p. 12 . 0,40 !
4. Biondoiillo Francesco: Per la ; - religiosità di F. Petrarca (con una tavola). 1913, p. 9 ... 0.40
5. Cappelletti Licurgo: Il conclave ; del 1774 ola Satira a Roma. 1918, P- 10 ....................... 0,50
6. Conto Vincenzo: Colloquio con Renato Serra. 1918, p. 11 0,60
7. Chiapponi Alessandro: Contro I l’identificazione della filosofia c ! della storia c pei diritti della critica. 1918, p. 12............ 0,60
8. Corso Raffaele: Ultimo vestigio ! della lapidazione (con 2 disegni l originali di P. Paschotto). 1917,! P? 11 ................... Esaurito
9. Corso Raffaele: Lo studio dei riti nuziali. 1917, p. 9 ... 0,40 I
10/Cono .Raffaele: Deus Pluvlus (saggio di mitologia popolare). 1918, p. 13 .................. 0,75 j
11. Costa Giovanni: La battaglia di I Costantino a Ponto Milvio (con duo tavolo 0 duo disegni). 1913, pa-«‘uo 14 ................. 1,50
12. Costa Giovanni: Critica 0 tradizione. Osservazioni sulla politica o sulla religione di Costantino. 1914, p. 23 ................. 1,50
13. Costa Giovanni: Impero romano c cristianesimo (con due tav.). 1915, p. 49................. 2 —
14. Costa Giovanni: Il « Christus » della < Cincs ». 1917, p. 11 0,30
15. Crespi Angelo: 11 problema del-l educazione (introduzione). 1912, P- 11 ................... Esaurito
16. Crespi Angelo: L’evoluzione della religiosità nell'individuo. 1913.
P- 1*................ ..... 0,50 I
17. Do Stefano Antonino: Lo origini dpi Frati Gaudenti. 1915, pa-K*no 26....................... 1,50
18. Do Stefano Antonino: I Tedeschi e l’eresia medievalo in Italia.
1916, p. 17................ I —
29. Giulio-Benso Luisa: < La vita , d un sogno » di Arturo Farinelli.
1917, p. 16 ............... 0,50
30. Giulio-Benso Luisa: Lamcnnais c Mazzini (con una tavola f. t.: ritratto del Lamcnnais). 1918, P- 40 -•••-................. 1,50
31. Giulio-Bonso Luisa: Il sentimento religioso nell’opera di Alfredo Oriani. 1918, p. 43 . 1,50
32. Lanzillo Agostino: Il soldato 0 l’eroe' (Frammenti di psicologia di guerra). 1918, p. 25 Esaurito
33. Lattea Dante: Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico.
1918, p. 21............... 1,25
34. Lonzi Furio: L’autocefalia della Chiesa di Salona (con undici il-lustrazioni). 1912, p. 16 ... 1 —
35. Lonzi Furio: Di alcuno medaglie religioso del iv secolo (con una tavola 0 quattro disegni). 1913, P- 21 ...................... 1,50
19. De Stefano Antonino: Delle origini dei • poveri lombardi • e di alcuni gruppi valdesi. 1917, pagine 23..................... 1 —
20. Fallot T.: Sulla soglia (considerazioni sull'af di là) (con una tavola f. t., disegno di P. Paschotto).
1916, p. 14 ............... 0,50
21. Fasulo Aristarco: Pel IV centenario della Riforma. 1917, pagine 18 ..................... 0,50
22. Fasulo Aristarco: Brevi motivi d’unu grande sintonia (Della Provvidenza). 1918, p. 16......... 0.50
23. Formichi Carlo:' Cenni sullo più antiche religioni dell’ìndia (con suggerimenti bibliografici). 1917, P- 15 .................. 1 —
24. Fornaci F.: Inumazione e cremazione (con quattro tavole).
1912, p. 6 .............Esaurito
25. Gabcllini M. A.: Olindo Gnor-tini: l’uomo 0 l’artista. 1918, pagine 17 ................. 0,50
26. Gambaro Angelo: Crisi Contemporanea, 1912, p. 7........... 0,30
27. Ghignoni P. A.: Lettera a R. Murri (A proposito di Crigiiane-simo e guerra). 1916, pagine 9
Esaurito
28. Giretti Edoardo: Perché sono per la guerra. 1915, pagine 11
Esaurito
36. Leopold IL: Lo memorie apostoliche a Roma c 1 recenti scavi di S. Sebastiano (con una tavola).
1916, p. 14 .......... Esaurito
! 37. Luzzi Giovanni: L’opera Spcn-ccriana. 1912, p. 7........ 0,30
■38. .'(asini Enrico: La liberazione-di Gerusalemme. Salmo. 1917P- 2 ...................... 0,25
: 39. Melile Giovanni E.: Il cristiano nella vita pubblica. 1913, p. 31 in-32* .................... 0,25
40. Molilo Giovanni e Ada: Già-navcllo. Scene valdesi In quattro atti. (Disegni e xilografie di P. A. Paschotto). 1918, p. 67 ... 2,50
41. Minocchi Salvatore: 1 miti babilonesi c lo origini della gnosi, 1914, p. 43...............Esaurito
12. Momigliano Felice: 11 giudaismo di ieri c di domani. 1916, pagi• »0 16...................... 0,60
143. Mùllor Alphons Victor: Ago-Stino Favaroni (f!443) (generalo dell Ordine Agostiniano) o la teologia di Lutero. 1914, p. 17 0,50
44. Murri Romolo: L’individuo o la storia (A proposito di Cristianesimo c guerra). 1915. p. 12 . 0,50
45. Murri Romolo: La religione nel-I insegnamento pubblico in Italia.
1915, p. 22................ 0.75
| 46. Murri Romolo: La < Religione » di Alfredo Loisy. 1918, pagine 16.................... 1,25
47. Murri Romolo: Gl'Italiani o la libertà religiosa nel secolo xvu.
1918, p. 10 ............... 0.50
48. Muttineili Ferruccio: Il profilo intellettuale di Sant’Agostino 1917 P- 8 ........................ 0,40
49. Nazzari R.: Le concezioni idealistiche dei inalo. 1918, pagine 16 ........................ 1 —
50. Neal T.: Maino de Biran. 1914. P- 9 ........................ 0,50
51. Orano Paolo: La rinascita dell’anima, 1912, p. 9.......... 0,50
52. Orano Paolo: Dio in Giovanni Prati (con una lettera autografa inedita cd un ritratto). 1915.
P. 19 ...................... 1 —
53. Orano Paolo : Gesù e la guerra.
1915. p. 11 ............... o,5O
Sui prezzi dei presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20L
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VI Casà Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 38
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’As». Tip. Lib. Ital. 15-1V-20).
6i. Orano • Paolo. Il Papa a Congresso. 1916, p. 12........ 0,75
55. Paolo Orano: La nuova coscienza religiosa in Italia. 1917, p. 19
Esaurito
56. Orr James: La Scienza c la Fede Cristiana (secondo il punto di vista conoiltatorista). 1912, p. 25 0,25
57. Pascal Arturo: Antonio Caracciolo, Vescovo di Troycs. 1915, P- 39 ......................... 1 58. Pioli Giovanni: Marcel Hóbcrt (con ritratto cd un autografo).
1916, p. 23 ................. 1 59. Pioli Giovanni: Inghilterra di ieri, di oggi, di domani. Esperienze c previsioni (con sci tavolo). 1917, p. 57 ........... 1,50
60. Pioli Giovanni: La fede c l'immortalità nel Mora et vita » di Alfredo Loisy (con ritratto del Loisy). 1917. p. 22 .......... 0,60
61. Pioli Giovanni: Morale o religione nelle opere di Shakespeare (con cinque tavole). 1918, p. 46 2 —
62. Pioli Giovanni: Il cattolicismo tedesco eli* centro cattolico ». 1918, p. 21.................. 1,25
63. Pioli Giovanni: Lo spirito della Riforma c quello della Germania contemporanca. 1918, p. 11 0,50
61. Pons Silvio: La nuova crociata dei bambini. 1914, p. 6 Esaurito
65. Pons Silvio: Saggi Pascaliani. I.
Il pensiero politico c sociale del pascal, II. Voltaire giudico dei . Pensieri del Pascal». HI. Tre fedi (Montaigne, Pascal, Alfred do Vi-gny) (con due tavole fuori testo). 1914, p. 30 ................ 1,50
66. Provenza! Dino: Giuoco fatto.
1917, p. 12................. 0,40
67. Provenza! Dino: L'anima religiosa di un eroe. 1918, p. 12 0,75
68. Puglisi Mario: il problema morale nelle religioni primitivo. 1915, P. 36 ......................... 1 69. Puglisi Mario: Lo fonti religioso del problema del malo. 1917, pagine 97 .................. Esaurito
70. Puglisi Mario: Realtà o idealità religiosa (a proposito di un nuovo libro di A. Lolsy). 1918. pagine 13 ......................... i —
71. Quadrotta Guglielmo: Religione, Chiesa c Stato nel pensiero di Antonio Salandra (con ritratto o una lotterà di Antonio Salandra).
1916, p. 31 .......'........ I —
72. Qui Quondam: Visione di Na- ; tale. Frammento (con otto disegni di P. Paschctto). 1916, pa-i glne.7 .'................. Esaurito
73. Qui Quondam: Carducci c il Cristianesimo in un libro di G. Papini. 1918, p. Il......... 0,50
74. Qui Quondam: La Carriola (La bruottc). Dallo Musardiscs di Rostand (con duo disegni di Paolo Paschctto). 1918, p. 5....... 0,40
75. Ro-Bartlctt: Il Cristianesimo e lo Chioso, 1918, p. 10 Esaurito
76. Rendei Harris: I tre « Misteri » cristiani di Woodbrookc (Introduzione e noto di Alarlo Rossi) (con un disegno di P. Paschetto). 1914, p.«27, ln-32® ......... 0,50
77. Rcnsi Giuseppe: La ragiono e la guerra. 1917, p. 27...... 0.75
78. Rosazza Mario: Del metodo nello studio della storia delle religioni. 1912, p. 7 ... Esaurito^
79. Rosazza Mario: La religione del nulla (Il Buddismo) (con sci disegni). 1913 ........... Esaurito
SO. Rossi Mario: Verso il Conclave, 1913, p. 4.................. 0,25
81. Rossi Mario: La chimica del. Cristianesimo (conferenza religiosa). 1916, p. 9.......... 0,50
82. Rossi Mario: Esperienze religiose contemporaneo, 1918, pagine 13..................... 0,50
83. Rossi Mario: La « Cacciata della morte » a mozza quaresima in un sinodo boemo del '300 (Note folk-loriche). 1918, p. 8........ 0,50
84. Rossi Mario: I sofismi sulla guerra c la difesa della nostra latinità (Guerra di religione o guerra economica!). 1918, p. 17 0,50
85. Rostan G.: Lo stato dello animo dopo la morte secondo il libro XII dell’*Odissea». 1912, p. 8 Esaurito!
86. Rostan C.: Lo ideo religioso di Pindaro. 1911, p. 9 Esaurito
87. Rostan C.: L’oltretomba nel libro VI dell’« Eneide ». 1916, pagine 15 ..................... 0,50
88. Rubbiani Ferruccio: Mazzini e Gioberti. 1915. p. 15 .. Esaurito
89. Rubbiani Ferruccio: Un modernista del Risorgimento (11 marchese Cario Guerrieri Gonzaga). 1917, p. 23 ............. 0,60
90. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo (I e II). Cronache Cattoliche per gli anni 1012-1913 ............... Esaurito
91. Rutili Ernesto: Vitalità e Vita nel Cattolicismo (III, IV, V). Cronache cattoliche per gli anni 1913 e 1914 (tre fascicoli di pagine complessive 52) ............... 1,50
92. Rutili Ernesto: La soppressione «Jet gesuiti nel 1773 nel versi lue-atti di uno di essi. 1914, pagine 6 ....................... 0,40
93. Sacchini Giovanni: Il Vitalismo-1914, p. 12 ................ 0.50
94. Salatiello Giosuò: 11 misticismo di Caterina da Siena (con un» tavola). 1912, p. 10....... 0.50
95. Salatiello Giosuò: L’umanesimo di Caterina da Siena. 1912.
p. 10...................... 0,50
96. Salvatorelli Luigi: La storia del Cristianesimo ed 1 suoi rapporti con la storia civile. 1913.
P. 10 ............ Esaurito
97. Scaduto Francesco: Indipendenza dello Stato c libertà dell« Chiesa. 1913, p. 25 in-32* 0,25
98; Taglia la tela Alfredo: Fu il Pa-. scoli poeta cristiano? (con ritratto
del Pascoli o 4 disegni di P. Pa-schctto) 1912, p. 11....... 0,75
99. Tagliatatela Alfredo: Il Seguo di Venerdì Santo e il sogno di Pasqua (con 4 disegni originali di Paolo Paschctto). 1912. p. 8 0,25
100. Tagliatatela Eduardo: Morale u religione. 1916, p. -10 ... 1 —
101. Tagliatatela Eduardo : L’insegna mento religioso secondo o-dicrni pedagogisti italiani. 1916. p. 9 ................... 0,50
102. Tanfuni Livio: 11 fine dell'educazione nella scuota dei gesuiti.
1918, p. 27 ............. 0,75
103. Tosatti Quinto: Giordano Bruno (con ritratto del Bruno: disegno di P. Paschctto). J917. p. 19 ..................... 1 —
10-1. Trivcrio Camillo: La ragiono c taguorra 1917, p. 151 ..... 0,40
105. Tacci Paolo: La guerra nelle grandi parole .di Gesù. 1916, P- 27 ................... 1 —
106. Tacci Paolo: Il Cristianesimo c la storia (A proposito di Cristianesimo C guerra). 1917, pagina 9 ................. 0,50
107. Vitanza Calogero: Studi Com-modianci. I. Gli Anticristi e l'An-ticristo nel « Carmen apologeti-cum » di Commodiano. XI. Com-modiano Doccia? 1915, p. 15 0,75
108. Vitanza Calogero: L'eresia di Danto. 1915. p. 13. Esaurito
109. Vitanza Calogero: Satana nella dottrina della redenzione. 1916, p. 19........................ 1 —
110. Wigley Raffaele: I metodi della speranza (Psicologia reli-- giosa). 1913, p. 14 . .. Esaurito
ill. Wigley Raffaele: L’autorità del Cristo (Psicologia religiosa) 1915, p. 39............... 1 —
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Casa Editrice BILYCHNIS - Via Crescenzio 2 - Roma 33 vn
IT Serie 1019-1921
0.60
vero 0,50
II
1. Fattori Agostino: Pensieri dell'ora (Leggendo il Colloquio con Renalo Serra di Vincenzo Cento). 1919, p. 13 ............ 0.50
2. Di llubba Domenico: La fede religiosa di Woodrow Wilson* 1919, p. 29 ............ 0,50
3. Fra Massco da Pratoverde: Intermezzo sacramentalo (A proposito di Unione delle Chiese Cristiane). 1919, p. 17 ....... 0,75
4. Dell'Isola M. e Provonzal Dino: C'ò una spiegazione logica della vita? 1919, p. 12 .. ..
5. Billia Michelangelo: uomo. 1919, p. 7 ....
6. Rossi Mario: Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento. 1919, p. 13 ... 0,50
7. Cadorna Carla: I ritrovi spirituali di Viterbo nel 1511. 1919, P- 7 ................... 0.50
8. Masini Enrico: Epistola ai fratelli di buona volontà. 1919, pagine 11 ................. 0.50
9. Marchi Giovanni: li Confiteor dei giovani. 1919, p. S ... .. 0,50
10. Qui Quondam: Dopo-guerra nel clero. 1919, p. 14______... 0.60
11. Tuccl Paolo: La guerra e la paco nel pensiero di Lutero. 1919, P- 31 ................... 1,50
12. Pavelini Paolo Emilio: Poesia religiosa polacca. 1919, p. $. 0,50
13. Pioli Giovanni: In memoria del P. Pietro Gazzola. 1919, pagine 15 ................. 1,50
14. Provonzal Dino: Ascensione eroica. 1919. p. 14........ 0,80
15. Rensi Giuseppe: Metafisica e lirica. 1919, p. 15 ......... 1 —
16. Falchi Mario: C’è una spiegazione logica della vita? 1919, P- 8 ................... 0,40
17. Costa Giovanni: Giove ed Èrcole (contributi allo studio della religione romana nell’impero), con quattro tavole. 1919, pagine 27 ................. 2 —
1$. (•••) Mancanze di garanzie nello Schema e nel nuovo Codice di diritto canonico o saggio su lo fonti. 1920. p. 52 ......... 3 —
19. Della Seta Ugo: La visiono morale della vita in Leonardo da
Vinci. 1919, p. 31 ......... 2—
20. Losca Giuseppe: Sensi c pensieri religiosi nella poesia di Arturo Orai (con due tavolo). 1914-1919, p. 40 ............. 2 —
21. Nazzari Rinaldo:. Intelletto e ragione. 1919, p. 15 ....... 1 —22. Ferretti Gino: Le fedi, le idee e la condotta. 1919, p. 50 ... 2 —
23. Conto Vincenzo: L’Essenza del Modernismo. 1920, p. 52 .. 3 —
24. Mlnocchi Salvatore: Un disinganno della scienza biblica? (I papiri aramaici di Elefantina), 1920, p. 117 ............... 1 —
25. Corso Raffaele: La rinascita della superstizione nell ultima guerra. 1920, p. 20 ........ 1,50
26. Colonna di Cesarò G. A.: La • guerra europea dal punto di vista spirituale, 1920, p. 15 .... 1.50
27. Arcati P.: Atteggiamenti della pittura religiósa di Eugenio Bur-nand. 1920, p. 14 (con tavole) 1,50
2$. Luzzi G-: A uno studente de! sec. xx ù egli ancora possibile d’essere cristiano? 1920, p. 12.. 1 —I
29. Momigliano F.: I momenti ed pensiero italiano (dalla Scolastica alla Rinascenza). 1920, p. 12 1,50
30. Thompson Fr.: Il veltro del ciclo (Versione di M. Praz). 1920, pagine $ ..............* 1,50
31. Tucci G.: A proposito dei rapporti fra Cristianesimo e Buddismo. 1920, p. 12........ 1.50 I
32. Mucller V. a.: G. Perez di Valenza O. S. A. vescovo di Chryso-poli o la teologia di Lutero. 1920. pagine 15 .............. 1.50
33. Troubctzkol E.: L'utopia bolscevica ed il movimento religioso In Russia. 1920. p. 15 .... 1.50
34. Momigliano F.: L'educazione re-ligiosa di G. Mazzini. 1920, p. 10
1.50
35. Formichi C.: La dottrina idealistica delle « Upanishad ». 1920, pagine 16 ............... 2 —
36. Corso Raffaele: Folklore Biblico. 1920, p. 16 ......... 2 —
37. Porsi Guglielmo: La religione della terra. 1920, p. 11 .... 1,50
38. Arcati Paolo: Rappresentazioni od intuiti del divino in G. Pro-viatl. 1920, p. 14 (con 8 tavole) 2,50
39. Nazzari Rinaldo: L’esistenza di Dio o il problema del male. 1920. pagine 12 ............... 1,50
40. Giulio Benso Luisa: Sofia Bis!
Albini. 1920, p. 15 (con tav.). 1,50
41. Soter: Giosuè Borei 0 il Cardinale Muffi. 1920, p. 15 (con tav.) 2 —
42. Tilghcr Adriano: Il tempo e l’eternità. 1920, p. 10 .... 1,80
43. Salvatorelli Luigi’: Il pensiero del Cristianesimo antico intorno allo Stato, dagli Apologeti ad Ori-gene. 1920, p- 4 . . . . . 3,50
44. Renda Antonio: La teoria psicologica dei valori. 1920. p. 4 3,50
45. Formichi C.: Paul Deussen. 1920.
P- 15.......................346. Pagliai M.: Misteri pagani e mistero cristiano. 1920, p. 19 . . 3,50
47. De Sarlo F.: Ernesto Hacckcl. 1921, p. 14........... 2,50
48. Piòli G.: L’«Etica della Simpatia» nella «Teoria dei sentimenti morali» di Adamo Smith.1920, p. 73 5—
49. Grabher C.: Un mistico e il suo amore. 1921, p. 8 ....... 1,50
50. Lattea D.: Cristianesimo ed Ebraismo. 1921, p. 14.......2.50
51 Rossi Mario : Che cosa è la Coma • niono 0 il Corpo di Cristo? (con una tavola) 1921 p. 19 . . . 2 —
52. Oaldcrlni Aristide: Sacerdozi e sacerdoti nell'Egitto degli Antonini. 1921, p. 14 ....... 2—
QUADERNI di BILYCHNB pubblicatile da pubblicarsi nel 1921
1. D. Provenzal-E. Lo Gatto: Una vittima del dubbio (Leonida Androief).
2. V. A. Mcller : Una ’ fonte ignota del sistema di Lutero.
3. Agostino Severino: Il sentimento religioso di Federico
Amiel.
4. R. Nazzari: La dialettica di Proclo.
5. G. Pioli: G. Tyrrel e il suo epistolario.
6. A. Tilgher: La visióne greca della vita.
Ciascun volumetto in-8° di pàgine 70 circa, viene inviato gratis agli abbonati di /¡ilychnis ; per i non abbonati alia rivista si vende al prezzo di . L. 4—
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NELLA CRISTIANITÀ RIFORMATA
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Anno X - Fasc. VII.
BLÏCHNI5
RIVISTA Dl STVDI RELIGIOSI
EDITA- DALLA-FACOLTA- DELLASCVOL A-JsSS S^SäkTEOLOGICA- BATTISTA-DI-ROMA
ROMA - LUGLIO 1921
Vol. XVIII. i
FRANZ BRENTANO
NOTIZIE E RICORDI
on è facile dire di un uomo che non fu certo comune, di lino scrittore che, sdegnoso della pubblicità, pochi libri diede alla stampa benché molti ne scrisse, e lasciò in gran parte incompiuti, esplorando quasi ogni campo del sapere filosofico e scientifico. Non è facile scriver di lui, quando ò potuto esaminare solo una parte delle sue opere inedite, nè mi sembra giunto il momento in cui la figura spirituale di F. Brentano possa esser nettamente disegnata, e la complessa e ricca opera sua serenamente esaminata e giudicata (i).
Un rapido sommario della sua origine e delle date principali della sua vita, ci insegnerà a conoscerlo come italiano, e gioverà forse a svegliare maggior interesse per l’opera sua fra noi; poiché se è vero che tutti dobbiamo profondo ri(i) Già diversi si sono occupati di lui in Germania, in Austria e in Isvizzera. Ne rammento alcuni: E. Utiz, R. S. Sternberg, Max Foges, Hermine Cloeter, E. Mandi, Adolf Stöhr, A. Höfler, Rudolf Steiner, M. Pidoll, F. W. Förster, A. Marty, ecc. Più notevole è il volume di Oskar Kraus, Franz Brentano - mit Beiträgen von Carl Stumpf und Edmond Husserl (C. M. Beck, München, 1919) dal quale ò trattoj qui e là delle notizie. Mi astengo dal rilevare alcune inesattezze nello scritto del prof- Husserl, contenuto in questo volume-
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spetto ai fedeli dell’eterno ideale, maggior dovere è quello di rammentar coloro che, per circostanze diverse, nati e operanti in terra straniera, sono più esposti all'oblio. E tanto più urge rammentarli ed apprezzarli, quando sono fra le gemme più splendide di cui può arricchirsi la fronte gloriosa della patria nostra, oggi pur troppo così crudamente offesa da molti immemori figli.
Noi possiamo rintracciare le origini italiane della famiglia Brentano fino al medio evo, e ridiscendere a lui che, riacquistata la cittadinanza dei suoi avi, si gloriò di ritrovarsi italiano, non tanto per forza giuridica, quanto per intima natura degli atteggiamenti dello spirito suo e del suo carattere.
I Brentanus, signori del Castello omonimo sul Brenta, nel Titolo, dopo lunghe e cruenti lotte col famoso Ezelino da Romano, avendo avuto anco una volta distrutto il loro castello dai Caldomazzo, verso la fine del 1250, emigrarono in parte dall’Italia. Il ramo emigrato in Germania vanta uomini illustri come Clemente Brentano, il grande scrittore del romanticismo, paragonato a Gcethe; Bettina von Arnim, l'amica intellettuale del maggior poeta tedesco; Sofia Laroche e il noto giurista Savigny. Da Cristiano Brentano, scrittore stimato, e da Emilia Genger, una pia e coltissima donna, nasceva Franz Brentano il 16 gennaio 1838 in un piccolo e ameno villaggio (Marienberg), nelle regioni renane. Aveva appena 13 anni quando perdette il padre. Mostrando una straordinaria vocazione per gli studi, e inclinazione per la vita religiosa, alla quale la madre amorosamente lo educò, entrava nel 1856 all'Università di Monaco, dove conobbe e stimò il grande storico della Chiesa Ignazio Dòllinger — allora uno dei maggiori teologi ortodossi del romanticismo cattolico tedesco — e uno dei critici più acuti e forti che la scomunica abbia colpito nel secolo scorso. Andato F. Brentano a Berlino, per seguire i corsi di filosofia in quella Università, fu discepolo di Adolfo Trendelenburg, uno dei più formidabili avversari dell'hegelismo allora ivi fiorente. Nel 1856 si laureava in Tubinga, e nel 1862 abbiamo la prima sua pubblicazione dedicata con riconoscenza al suo maestro, sul Vario Significato dell'Essere secondo Aristotele, opera che rivela la profonda conoscenza ch’egli aveva sin d’allora del filosofo di Stagira, e la sua predilezione per i pensatori dell'antichità. Il 16 agosto 1864 egli diveniva sacerdote e nel 1866 lo vediamo libero docente a Wurzburg, acclamato e seguito da numeroso stuolo di discepoli. Nella primavera del 1870 egli è allo svolto più grave della vita religiosa e della sua attività filosofica.
Il 13 maggio 1872 viene nominato professore ordinario nella Università di Vurzburg e il 22 gennaio 1874 nell’università di Vienna, dove rimase sino al 1895. Con questa data finisce il periodo del suo insegnamento universitario e comincia più viva, e forse più feconda, la sua attività scientifica, e quell’insegnamento che egli prodigò a pochi, ma fedeli discepoli. Abbandonata l’Austria, in seguito a dispiaceri che egli espresse in una sua pubblicazione, stigmatizzando quel governo, egli si trasporta prima a Zurigo, poi a Losanna, a Roma, a Palermo, e finalmente a Firenze, che egli chiamava la capitale spirituale d'Italia, ¡’Atene di questa Grecia della moderna civiltà, dove volle fissare la sua dimora. Ma fiero assertore del principio della non resistenza al male, pari in questo a Tolstoi, quando scoppiò la con-
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FRANZ BRENTANO
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flagrazione europea, cercò rifugio in terra neutrale, a Zurigo, dove, dopo, due anni di residenza, il 17 marzo 1917, quasi ottantenne, si spense.
Queste le date che riassumono, in pochi tratti, la vita di Franz Brentano; arida cronaca di una vita che fu, come poche altre, ricca di pensiero. Non mi è possibile menzionare soltanto la lunghissima lista dei suoi manoscritti su questioni di storia della filosofia, logica, teoria della conoscenza, etica, estetica, psicologia metafisica, storia ecclesiastica, scienze naturali, matematica e mi limiterò quindi a far cenno di alcune sue teorie, e a richiamare l’attenzione su alcuni ¿fatti più decisivi della sua vita, che meglio servano a lumeggiare il suo pensieri i Poiché, di lui non la dottrina o la vita soltanto devono rammentarsi, frammenti di una unità che presi isolatamente là deformano, ma l'ima e l’altra insieme, essendo la prima ragione e norma della seconda.
Ora a me sembra che per intender la vita e il pensiero di F. Brentano, dobbiamo anzitutto esaminare ciò che lo determinò ài passo più decisivo, alla sua crisi religiosa. Da queste aspre cime possiamo stendere intorno lo sguardo per il vasto orizzonte del suo spirito e meglio intenderne gli atteggiamenti.
Chi avesse potuto penetrare entro gli austeri, bianchi, silenziosi muri del convento domenicano di Graz verso la fine del 1864, ed osservare in una cella una figura pallida, alta, dai capelli neri, spioventi, inginocchiata dinanzi a un crocifisso,’con gli occhi pieni di luce e di fervore, passar gran parte delle lunghe notti invernali in silenziosa adorazione; chi avesse visto questo giovane sacerdote sottoporsi fedelmente, con ammirazione di quei monaci, alla severità non comune della loro regola, e l’avesse riveduto alcuni anni dopo, tormentato dal dolore che involontariamente infliggeva al cuore materno, affrontare la calunnia dei nemici, e la maldicenza dei finti amici, lasciare la cattedra universitaria e i numerosi discepoli che da ogni parte della Germania e dell’Austria a lui accorrevano, avrebbe pensato, e non a torto, che una travolgente tempesta passava in quell’anima.
La radice di questo travolgimento dovrebbe cercarsi — come di poi tutta la sua vita ne rese testimonianza— nell’interesse che egli aveva per la verità, nell'indomabile coraggio per sostenerla, nell’affrontare qualsiasi conseguenza alla quale la sua inesorabile logica lo avesse condotto. « Vi sono alcuni, diceva Edmondo Scherer, il di cui atteggiamento intellettuale non è di ricerca ma di piena soddisfazione, non di un nuovo acquisto, ma di difesa del possesso. Il loro spirito non è curioso ed esigente, e ammettono, con segreta compiacenza, le soluzioni favorevoli alla loro concezione del mondo. Tali uomini passano indifferenti accanto alle obiezioni, e quando si presentano, facendo violenza alla loro coscienza critica, evitano di guardarle in faccia. Preoccupati da un ordine superiore di verità, essi ànno perduta la loro lealtà di fronte al vero.... Ma altri vi sono — ed a questi appartenne F. Brentano — che riconosciuta l’autorità suprema dèlia scienza ànno pensato che tutto si riduce infine a una questione di fatto e di logica; di prove storiche e di dimostrazioni razionali: essi ànno la convinzione che le medesime affermazioni dèlia fede e del sentimento religioso non possono sfuggire alla necessità di conciliarsi con lè condizioni del pensiero e coi dati del sapere... ».
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Brentano aveva da pochi anni lasciata ¡’Università di Wiirzburg, quando il suo discepolo, il sacerdote Ermanno Schell che lo seguiva nell’insegnamento, ricordando forse del maestro, faceva incidere sul frontone di quella Università una sola, ma grande parola: Veritati, come su tempio ad essa dedicato. Se Dio è verità, come è amore e giustizia, diceva il maestro, a nessun’altra insegna riconosceremo noi la religione e nessun’altra norma daremo alla nostra vita. Il desiderio del vero aveva condotto F. Brentano prima allo studio e poi all'insegnamento della filosofia. E quando quel desiderio, divenuto incoercibile, lo spinse a verificare la credibilità dei dogmi della religione in cui era nato e cresciuto, il più tragico conflitto sorse nell’animo suo.
Era l’estate del 1869 quando il mondo cattolico si agitava intorno al preposto dogma della infallibilità papale, appoggiato dai gesuiti. In Germania si disegnava nettamente una viva opposizione, e non solo da parte di Ignazio Dòllinger, al quale dianzi accennavo, ma anche da parte di valenti vescovi come Ketteler ed Hefele e di dotti ecclesiastici, come l’abate benedettino Haneberg. Fra i sostenitori di questa opposizione in Francia erano Montalembert, Gratry e Lacordaire; in Ungheria il vescovo Strossmayer, in Inghilterra Lord Acton ed altri. I vescovi tedeschi ebbero una convegno in Fulda e F. Brentano fu allora incaricato, da parte del vescovo Ketteler, di scrivere una memoria storica e filosofica per combattere quel dogma. Questo scritto, che fu riconosciuto come la migliore espressione del partito, ebbe un grande effetto nei circoli ecclesiastici, ma pochissimi al di fuori di essi lo conobbero. In questa memoria Brentano enumerava gli errori dei papi parlanti ex cathedra, e portava vari argomenti contro questa pretesa, la più ardita, diceva il domenicano Lacordaire, che si sia avuta in nome di Gesù Cristo.
Errerebbe, però, chi volesse ascrivere alla contrarietà di veder poi accettato dalla chiesa il dogma combattuto, la causa per cui F. Brentano lasciò, circa tre anni dopo, l’abito ecclesiastico ed effettuò il formale distacco dalla chiesa. L'accettazione di quel dogma ne fu solo l’occasione.
Fra i suoi manoscritti compiuti ce n’è uno che s'intitola « La dottrina di Gesù e il suo eterno valore », composto negli ultimi anni della sua vita, quasi testamento religioso. Nella breve prefazione fa cenno alla sua crisi religiosa. È la prima, anzi, l’unica volta che ciò avviene: « Nato in una famiglia cattolica, egli scrive, fui condotto ad accettare lo stato ecclesiastico, ma ò dovute più tardi separarmi dalla chiesa. Solo il desiderio di servire più aiti interessi mi condusse a questo passo, e il procedimento delle mie ulteriori convinzioni mi fece riconoscere la impossibilità di poterle raggiungere per la via che avevo dapprima intrapreso.
« Nella mia viva esigenza d’indagine, mi ero dapprima e ripetutamente adoperato a risolvere certe contraddizioni in cui sembra trovarsi la ragione con la rivelazione così detta sovrannaturale, in un modo soddisfacente per la ragione e per la religione, poiché s tutto quanto veniva detto in proposito mi pareva insufficiente. La fallita di ogni mio tentativo per risolvere quelle contraddizioni mi fece poco a poco nascere serii dubbi circa la verità di quei dogmi. Ma la credenza
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religiosa essendomi stata presentata come un dovere sacro, la di cui infrazione faceva incorrere nella eterna condanna, i dubbi intorno all’obbfìgo della credenza, mi parvero malefiche tentazioni; e come dinanzi a un quadro eccitatore di lascivia si chiudono gli occhi per non destare bassi desideri, così dinanzi alle difficoltà dogmatiche volgevo allora altrove i miei sguardi col proposito di ritornare a esaminarli più tardi, quando l’inclinazione al dubbiò non sarebbe stata così forte. Questo si ripeteva tante e tante volte, e non sarei forse venuto mai ad una decisione, non credendomi autorizzato a compiere una indagine critica dei dogmi, se non fosse accaduto un avvenimento straordinario. Doveva aver luogo il Concilio Vaticano nel quale si doveva discutere della infallibilità del papa. Si trattava qui di una dottrina su la quale ancora il dubbio non era considerato come peccato, e quindi non esistevano ancora per me vincoli che potessero turbare la mia coscienza e mi impedissero di esaminar liberamente la questione: esame che mi portò alla più salda persuasione •della insostenibilità di quel dogma ».
Come si vede, Brentano era giunto, questa volta, là dove prima non poteva, essendogli preclusa la via dall’obbligazione a credere. Egli aveva potuto ora esser convinto della insostenibilità di un dogma prima che ne fosse vietato l’esame.
Dal momento che la chiesa lo accettava non vi era più alcun dubbio possibile che, almeno sopra un punto, la dottrina ecclesiastica fosse in contrasto con la verità Cadeva allora inerte lo scrupolo che gli aveva impedito di esaminare il valore logico di altri dogmi, come quello della trinità e della incarnazione, e la stessa dottrina della obbligazione a credere doveva esser riesaminata.
Pascal ritiene doveroso Credere nella chiesa anche se parli contro la verità, e non mancano teologi che elevano il merito di colui che sacrifica la ragione* su l'altare della fede. Ma la chiesa non fa proprio questo punto di vista e i suoi più grandi maestri (e qui Brentano si riferisce specialmente a Tommaso d’Aquino) àhno detto che se si trova una contraddizione, anche in un sol punto della dottrina, cade ogni obbligo a credere. Quando Brentano procedette, più tardi, all’esame psicologico della credenza stessa, non approvò più il punto di vista ecclesiastico che pone il campo del credere tra le ragioni dimostrative e il grado della persuasione (ciò che aveva portato la chiesa ad atti di intolleranza), ma pose il credere tra l’opinare e il sapere, quasi nel mezzo, avendo in comune con l'opinare la mancanza di fondamento e col sapere la piena persuasione e l’esclusione del dubbio.
Brentano si avviava così verso il distacco della chiesa, ma prima che si decidesse a tal passo cercò l'austera solitudine di un chiostro e ivi passò lunghe settimane in meditazioni e preghiere. Egli promise allora a Dio e a se stesso di esaminare, senza alcuna prevenzione, gl’insegnamenti dalla chiesa cercando risolverne le contraddizioni con animo piuttosto incline ad eliminarle. Nello stesso tempo pregava fervidamente Dio che non gli facesse commetter cosa alcuna che potesse dispiacergli, e si riprovava all’esame dei dogmi. In quest’esame, come può vedersi dai suoi- manoscritti e anche da note al margine sui libri sacri che gli erano famigliali
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e su le storie dei concili e dei dogmi che egli consultava (autori tutti cattolici) tenne presente quanto a sua conoscenza potesse riuscire favorevole al punto di vista ecclesiastico. Ma il risultato è conosciuto.
L'ondeggiamento che il suo distacco dalla chièda determinò fra i suoi discepoli giovò, se così posso esprimermi, a purificare la sua scuola. Il Conte von Hertling suo discepolo, ben noto a noi nella recente guerra quando divenne Cancelliere dell’impero tedesco, con pochi altri si allontanò, da lui. Ma molti nuovi discepoli continuò ad acquistare la sua scuola,- e spiritualmente a lui vicino rimase, il modernista Ermanno Schei! col quale, a detta di alcuni suoi ammiratori, il pensiero cattolico del secolo xix aveva toccato il suo culmine. Fedele discépolo gli rimase, e fra i più intimi, Antonio Marty, autore dell’opera forse più acuta e dotta che siasi scritta su l'origine e la filosofia del linguaggio, prete allora anche lui, che del maestro seguì non solo il pensiero, ma anche l’esempio. Similmente avveniva di Cario Stumpf — uno dei più noti psicologi viventi — allora in seminario, che lasciò l’abito ecclesiastico e seguì con entusiasmo il maestro.
Per la nomina a professore- ordinario nella Università di Vienna trovò Brentano forti opposizioni. Lo aveva chiamato a insegnare il Ministro Stremayr, ma il Cardinale Baustrer protestava. Il filosofo Lotze sosteneva la sua candidatura, ma l’imperatore la contrastava. Quando, vinte le opposizioni, egli iniziò l’insegnamento pubblico, il teologo Stahl invitava a diffidare dell’ateo e la Kreuz Zeitung del deista, il Volksfrcund lo attaccava personalmente, ma il celebre zoologo Claus gli doveva cedere la sua sala, non bastando più quella della vecchia Università viennese a contenere il numeroso uditorio che a lui accorreva. D'altra parte si diceva ch'egli era stato determinato a lasciare l’abito ecclesiastico per orgoglio e per il desiderio di prender moglie (ciò che avvenne invece dieci anni più tardi), nè mancò chi lo dicesse impazzito, mentre altri assicurava egli volesse farsi fondatore di una nuova religione.
In tante affermazioni contradditorie e in tanto rumore che attorno a lui si faceva, tutti attendevano ch’egli fosse colpito dalla scomunica; ma questa non venne e, forse, non si pensò mai, da parte delle autorità ecclesiastiche, di fare alèùii atto capace di determinare incresciose polemiche.
Bisogna aggiùngere però che, contrariamente a quanto suole accadere di quelli che si distaccano dalla chiesa (si rammentino solo Renan e Strauss), F. Brentano rimase religioso nel senso più vero e proprio della parola. Uscito dalla chiesa cattolica, Ernesto Renan si sentiva come espatriato; vedeva, egli dice, intorno a sé un mondo in rovina, scialbo e triste; si ritrovava in un universo deserto, come sperduto in un formicaio di pigmei.
Davide, Straus, col protestantesimo, abbandonava anche egli le più consolanti credenze che invano poi ricercava nel mondo crollante che lo circondava. Ma F. Brentano non provava quel doloroso sentimento di espatriazione, non sentiva quella dolorosa sorpresa che avrebbe avuto Archimede se avesse visto una irrimediabile soluzione di continuità nella concatenazione dei suoi teoremi; egli vedeva.
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al contrario, che i teoremi fondamentali rimanevano saldi. Il distacco dalla Chiesa non fece obliare a Brentano la sua grandezza spirituale: « quanto mi à commosso, scriveva da Oxford ad un amico, vedere, accanto ai sontuosi monumenti che posseggono gli anglicani, quella piccola e modesta cappella cattolica che pure sopra tutte le altre eccelle ». « Io mi sento legato, dice altrove, al cristianesimo per la mia educazione fondata su la credenza nella divina provvidenza e nella continuazione ultraterrena della nostra vita». «Noi non siamo più cristiani, diceva Brentano, nel senso di una accettazione completa di una concezione cristiana del mondo, o di quella annunciata da Gesù secondo gli evangeli; ma il Cristianesimo è per noi la religione che più d'ogni altra à la facoltà di riempire l’anima dello spirito di Dio; siamo cristiani nel senso che nel pensiero e nella vita prendiamo esempio da Gesù e lo riconosciamo nostro maestro. Se Gesù ritornasse non ricuserebbe certo di riconoscere come suoi discepoli coloro che vogliono imitarlo nell’amore del Padre e che, come egli amò i suoi fratelli, così Cercano servirsi scambievolmente con amore». Egli non concludeva quindi con Strauss che non siamo più cristiani; ma « non lo fummo, diceva, se non abbiamo ancora negato quei valori su cui si fonda l’attuale concezione materialistica della vita ». E così, mentre per tanti altri usciti dalla chiesa si spegneva ogni luce interiore, in lui si direbbe quasi che più viva si riaccendesse, e certo con maggior vigore volle egli vivere nello spirito del cristianesimo e conservarne tenacemente i suoi eterni valori.
Nella vita religiosa egli conservò la meditazione, la contemplazione, la preghiera; del pensiero religioso quelle verità che credeva essere essenziali. Pur avendo sempre presenti i grandi spiriti di Anassagora, Socrate, Platone, Aristotele, Tommaso d’Aquino, Descartes, Locke e Leibniz, considerò il santo come tipo di perfezione umana, e pose al di sopra dei santi Gesù» come più d'ogni altro vicino al Padre celeste. Stimò altamente l'efficacia della chiesa e del culto per la educazione del Carattere, ma cercò con la indagine filosofica di accostarsi alla soluzione dei fondamentali problemi religiosi.
II.
A prima vista ci colpisce la molteplicità di rappresentanti di diverse tendenze filosofiche e religiose che si adunano nella sua scuola. Uomini assai diversi, come Th. G. Masarick, Carlo Stumpf, Ermanno Schei!, Antonio Marty, Edmondo Husserl, Aloisio Meinong, A. Hòfler, H. Hillebrand, Chr. von Ehrenfels e lo stesso von Hertling, per citarne solo alcuni, si dicono suoi discepoli e ammiratori. Si è voluto, e con ragione, ascrivere un tal fatto alla straordinaria vastità della sua cultura e all’entusiasmo che sapeva destare la sua travolgente eloquenza. Ma anche il metodo del suo insegnamento à esercitato una grande influenza. Insegnamento notevole è certi) quello che non impone la dottrina del maestro, ma fa di se stesso una ricca fonte alla quale i più diversi atteggiamenti possono attingere vigoria di pensiero.
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F. Brentano non ripudiava senz'altro ciò che era stato fatto prima di lui, nè seguiva ciecamente l’autorità della tradizione, ma pensava che questa dovesse essere accuratamente esaminata e abbandonata solo dove fosse insostenibile.
Brentano risaliva così ad Aristotele non perchè, come anno superficialmente giudicato alcuni, egli fosse un aristotelico, o uno scolastico, ma perchè in questo genio filosofico egli vide portato il pensiero antico alle maggiori altezze, pur essendo oggi l’aristotelico concetto del mondo, in molte parti insostenibile. Educato alla filosofia scolastica ne fu profondo conoscitore, ma sarebbe erroneo pensare che ne seguisse le dottrine. Stimò altamente Tommaso d’Aquino, come il maggior filosofo che abbia avuto l’Italia, ma non ne ignorò le deficienze, nè risparmiò alla filosofia scolastica le sue critiche.
Il filosofo, secondo Brentano, deve procedere nella sua indagine come procede il naturalista, poiché le leggi dell’accrescimento della conoscenza sono uguali per ogni campo dello scibile; ed è assurdo cercare in un campo la verità seguendo alcuni principi, e abbandonarli in un altro. Per raggiungere un progrèsso è necessario quindi rifarsi alle reali conquiste della tradizione e seguire il metodo cheà dato buoni risultati nelle altre scienze. Oggi la maniera d'indagine scientifica suole opporsi, da alcuni, a quella filosofica come essenzialmente diversa; ma F. Brentano ripudia questo dualismo. La filosofia, egli dice, si diversifica dalle scienze naturali solo per la nobiltà dell'oggetto che la prima si pone; e come dimostrò nella sua tesi sostenuta nel-l’Università di Würzburg: «Vera e philosophiae methodus nulla alia nisi scientiae naturalis est. ».
L’applicazione di questo metodo condusse Brentano anzitutto ad una critica distruttiva della storia della filosofia e ad un riesame del valore dei filosofi.
Emerge dalla sua critica che noi viviamo in un periodo di decadenza.
In un'opera ancora inedita, ritornando su l'argomento, propone che la storia della filosofia sia storia dei problemi filosofici, e che lo storico, nella scelta della sua materia, metta da parte problemi e sistemi inutili, includendo invece questioni sin oggi a torto escluse, come i paralipomeni di Pascal, Fermai, Bernouilli, Laplace, Franklin, Giovanni Müller, Thompson, Helmoltz, Hering e d'altri.
Si poneva così in contrasto con l’opinicne di molti pensatori contemporanei ma pochi furono di lui più spogli di scrupoli convenzionali. Poteva parere orgoglio, ma era sincerità.
Egli si ribellò contro i governi imperialisti e militaristi, quando ancora non erano esposti alla comune esecrazione. Ebbe parole durissime per Bismarck quando era l’idolo della Germania, e criticò severamente il governo prussiano nel tempo in cui veniva proposto come modello agli stati germanici. Tenne una serie di lezioni contro alcune deviazioni darwiniane quando si accettavano generalmente come le uniche soluzioni degli enigmi dell’universo; e al tempo in cui Kant stava sul maggiore altare nel sacrario filosofico, egli osò definirlo un filosofo della decadenza e mostrò come la famosa tesi della inapplicabilità degli assiomi e delle categorie al trascendente rendesse impossibile non solo ogni metafisica ma anche quelle medesime scienze sperimentali che lo stesso Kant voleva difendere dallo scetticismo di Hume.
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(Voi. XVIII. Tav. 1]
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Un’accusa spesso rivolta a Brentano lo* dice psicologista; essa è fondata sopra un equivoco perchè nessuno fu più lontano di lui dal subiettivismo. Ma tale accusa ci dà occasione di accennare a un altro aspetto del suo metodo d'indagine.
Egli per primo propose in Germania la fondazione degli istituti di psicologia sperimentale; voleva che la psicologia fosse scienza fondamentale per gli studi filosofici, e non risolveva; come fanno gli psicologisti, la filosofia in psicologia.
Tutta la più recente teoria brentaniana della rappresentazione è poco conosciuta, ma non potrebbe essere esposta qui. Dirò solo che la sua teoria dei modi della rappresentazione, apparsa per la prima volta in italiano, toglie ogni fondamento al fenomenalismo di Kant e di Schopenhauer.
Esser fenomeno presente alla coscienza, per Brentano non dice altro che vi è qualcuno il quale à una rappresentazione. Cosicché quando Kant insegna che siamo solo capaci di verità fenomenali, Brentano risponde che dire qualcosa fenomeno e negare qualche altra cosa che pensa il fenomeno, come cosa in sè, è una contraddizione; perchè chi afferma quest’ultimo lo afferma come cosa in sè e non come fenomeno. Più conosciuta è invece la sua teoria del giudizio che per lui è un’attività sui generis, fondamentalmente distinta dalla rappresentatone.
Potrà forse bastare ch’io accenni alla riduzione brentaniana in tutte le proposizioni alla esistenziale, onde per lui non vi sono che due qualità di giudizi: affermativi (sempre particolari) e negativi (sempre universali), per accennare soltanto alla sua riforma e semplificazione della logica tradizionale (i).
La triplice ripartizione delle attività psichiche conduceva Brentano a riconoscere che l’estetica appartiene al campo della rappresentazione, la logica a quello v del giudizio, l'etica a quello della volontà o delle attività effettive.
Per Brentano vi è un bene vàlido per tutti i pensanti. Un doppio criterio di bene sarebbe, secondo lui, come per Leibniz, assurdo; ed il criterio del giudizio di ciò eh'è moralmente buono è dato dalla preferenza che si può rettamente dire giusta.
Per chiarire il suo pensiero si riferisce a ciò che à detto circa l’evidenza. Come la correttezza del giudizio si fonda su l’evidenza, unica pietra di sostegno per non cadere nello scetticismo, così nel campo delle attività affettive una quasi evidenza del ripudiare e del preferire è il criterio del male e del bene. Di questa specie è p. es. la preferenza che si accorda al piacere anziché al dolore, alla conoscenza anziché alla ignoranza, alla verità anziché all'errore.
Riconoscere qualcosa per buona e pregevole non altro significa se non concepire quella cosa come dev'essere; e se si dice in generale che qualcosa è buona, si afferma che nessuno può giustamente giudicarla cattiva. Si tratta quindi di conoscenze apodittiche e per tutti valide, alle quali si perviene per mezzo di concetti che attingono alla esperienza di preferenze e apprezzamenti caratterizzati giusti.
(x) È notevole che Leibniz era venuto alle medesime conclusioni nel suo scritto Genera lis inquisiliones de analysi notionum et veritatem (pag. 1x3-121). Scritto che Bren-nota ignorò, e che è stato recentemente, per la prima volta, rammentato da C. Cou-turat (La Logique de Leibniz). Questi però ascrive erroneamente la ripresa della teoria leibniziana a Maccoll (1878). méntre Brentano l’aveva pubblicata nel 1874.
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Come misura pratica per il bene deve valere la medesima preferenza che Aristotele accordava a una somma di beni anziché a uno solo; e ciò sempre dal concetto che abbiamo di colui che preferisce la somma dei beni a un solo dei sommandi. Promuovere il bene, dice Brentano, nella forma più piena e nella maggiore estensione possibile è manifestamente il giusto scopo della esistenza, verso il quale dev'esser rivolta ogni azione; ed è questo il supremo comandamento dal quale tutti gli altri dipendono.
Ma il problema fondamentale rimane sempre per Brentano quello metafìsico perchè sta, come dice Schopenhauer, alla base dell’ affermazione e negazione della vita.
Non è infatti senza conseguenze per le determinazioni della volontà, conoscere se la vita umana è da considerarsi come spezzato frammento di una storia che non à senso, o come parte inscindibile dell'armonia del tutto in cui à una determinata funzione. E per affrontare i più astrusi problemi della metafisica egli procedeva metodologicamente da quelli del continuo, dello spazio, del tempo, della causalità, della sostanziale determinazione dei corpi, a quelli della, spiritualità e immortalità dell'anima, ‘della esistenza di Dio.
I problemi del continuo e dei tempo richiamarono, dopo quello dell'esistenza di Dio, più a lungo la sua infaticata attenzione. E quando trovò i modi temporali della rappresentazione, quando trovò cioè che il tempo è dato nella rappresentazione (non vi è per lui rappresentazione senza oggetto e senza un modo temporale) pensò che il problema del tempo avesse fatto un gran passo verso la soluzione. Rimangono di lui molti manoscritti su questo argomento, che egli riteneva fra i più importanti per la metafisica; e i rapporti tra Dio e tempo occuparono la sua mente negli ultimi anni della sua residenza fiorentina, verso i quali tornava frequentemente conversando con gli amici.
In diversi trattati, ma specialmente ih uno in cui egli esamina la questione Lorenz-Einstein, espone Brentano e difende la sua ipotesi di una sostanza unica e della, quale i corpi non sarebbero che suoi accidenti o modi di essere. Il concetto di spazio e di tempo gli aveva dato modo di determinare la natura degli oggetti reali in quanto sono {per lui sostanzialmente determinati nello spazio e nel tempo. Tutta la materia ponderabile, atomi ed elettroni, non sono che modi di essere o se si preferisce dire, qualità di un’unica sostanza che potrebbe essere ciò che sin oggi si è chiamato etere. I modi e le proprietà sono stati considerati sin'ora come sostanza della materia corporea, ma nella ipotesi brentaniana questi non sono che aspetti di un’unica sostanza fondamentale alla quale essi ineriscono, come vi ineriscono luce ed elettricità,quali suoi modi di essere, non avendo in altro la loro determinazione sostanziale fuor che nello spazio e nel tempo.
Fanno riscontro alle sue ipotesi esplicative del mondo fisico le indagini intorno alla spiritualità dell’anima. Egli aveva già da lungo tempo pensato su la spiritualità e immortalità dell’anima, quando i risultati dei suoi studi intorno al continuo ed al tempo davano nuovo impulso alle sue indagini'.
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II
Devo sorpassare su le prove brentaniane della immortalità dell'anima per accennare alla teoria su cui egli fonda la dimostrazione dell’esistènza di Dio, dimostrazione dalla quale dipende l’interesse che noi possiamo avere per una vita futura.. Poiché se anche avessimo inconfutabilmente dimostrata la immortalità dell’anima senza aver potuto raggiungere la garanzia che il suo destino sarà sempre subordinato ad una giustizia regolatrice; se il risultato dell’opera nostra dovesse dare una vita eterna, condannata a subire il cieco capriccio del caso, o la meccanica necessità di una legge che non à in sè la norma della moralità, vana essa sarebbe o, peggio ancora, tormentosa. Con grande diligenza esaminò Brentano la legge della causalità e della universale necessità. Alcuni punti della sua. teoria della causalità espose nel suo scritto su «L'origine della conoscenza morale» e altri ne accennò Marty nel suo libro .su «Spazio e Tempo » (p. 105 e segg.).
Riconducendo il principium rationis sufficientis alla legge di contraddizione, egli credette aver definitivamente assicurata la proposizione che niente può essere che non sia mediatamente 0 immediatamente necessario. Eliminata la possibilità di un assoluto sorgere e decadere casuale, perchè in tal caso in ogni momento dovrebbe essere ugualmente fàcile un rapido mutamento tra essere e non essere, mentre un tal mutamento è infinitamente più raro della continuazione, e negando di conseguenza un assoluto sorgere casuale, si viene ad affermare che tutto è necessario. Ma di due specie è questa necessità: una à in sè stessa la necessità dell'essere suo, e perciò non può non essere ; l’altra non à la necessità in sè stessa e può quindi essere e non essere. La prima necessità è Dio, la seconda è il mondo che à in Dio la sua necessità.
Riesaminando Brentano la critica kantiana della prova, cosi detta cosmologica, della esistenza di Dio, dopo aver mostrato la capricciosità delle sue sintesi a priori, e l'artificiosità della loro costruzione, avverte, fra l’altro, non aver tenuto conto il filosofo di Königsberg, che Leibniz non partiva nella sua dimostrazione dalla semplice esistenza delle cose, ma da quelle che sono mediatamente necessarie (contingenti). Ed affermando Leibniz come causa di queste un essere che è in sè stesso necessario, * aveva aperta la via per la quale poteva raggiungersi una esatta dimostrazione della esistenza di Dio. Riprendendo questo ragionamento, procedeva Brentano a quella dimostrazione or ora accennata e che Leibniz non aveva dato.
Le sue speculazioni su la natura divina, mostrano sino a quali altezze era capace di elevarsi il suo pensiero, e con quanto fervore religioso tentava egli la soluzione di questi problemi. Sebbene l'uomo, egli diceva, possa solo accostarsi alla conoscenza di Dio senza mai raggiungerla appieno, pure è solo da essa che possiamo intendere la natura dell’opera sua. Come Dio conoscendo se stesso conosce il tutto dalla causa prima, così è solo accostandoci a lui che possiamo sperare di penetrare più addentro nel mistero che ci circonda.
Brentano non à costruito un sistema filosòfico, e non volle costruirlo, sia per ragione di metodo, occorrendo, prima della nuova costruzione ch’egli aveva ideato, preparare le pietre basilari; sia per ragioni intrinseche alla natura della scienza umana, frammentària e imperfetta.
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Ma saldamente à legato la varia opera sua con un unico legame, subordinando tutte le sue indagini a due principii: fare della scienza umana ricerca della rivelazione divina; trasformare l'ultimo momento della ricerca stessa in adorazione. Filosofia non è propriamente scienza delle cose terrene, ma, come per Aristotele, essa è la scienza zar’è'óyAy dalla quale tutte le al tre dipendono e alla quale tutte debbono riferirsi come ad origine e fonte del sapere. Filosofo non è colui che esercita la filosofia come un’arte, ma chi della filosofia fa norma della propria vita, chi fa della vita incarnazione vivente del proprio pensiero, chi dell'amore della sapienza si giova per elevarsi nella sfera delle cose divine. I problemi delle scienze naturali, delle matematiche e delle filosofiche non sono così che punti oscuri da chiarire per spiccare da essi il volo verso maggiori altezze.
La infaticata attività del suo intelletto si volgeva alle più svariate difficoltà per superarle. Quando non si occupava di problemi filosofici dipingeva, si esercitava nella composizione musicale, scriveva poesie e indovinelli, o tentava la soluzione dei più difficili problemi di scacchi; la sua meravigliosa memoria gli permetteva di giuo-care senza guardare la scacchiera, tenendo a mente la posizione di tutti i pezzi. Egli poteva ripetere in greco diversi canti di Omero e lunghissimi brani delle opere di Aristotele, padroneggiandone la lingua sino a seguirne le più lievi sfumature di pensiero. Nelle sue passeggiate poteva ripetere per lunghe ore poesie latine, pagine di S. Agostino e di S. Tommaso, di Shakespeare, di Schiller e di Gòthe, canti di Dante e di Leopardi che aveva tradotti in versi tedeschi.
Pochi conobbero come Brentano la serena dolcezza della meditazione, per la quale, egli diceva, avrebbe, occorrendo, gettato al vento tutto il suo bagaglio scientifico; ma anche pochi conobbero come lui le ardue e profonde gioie della conoscenza; sole gioie che non stancano mai, diceva Virgilio; suprema beatitudine di Dio, diceva Aristotele. Volgendo egli fieramente le spalle agli effimeri idoli della plebe, tenne fermi gli sguardi a quei fari luminosi che . sembra Iddio abbia disposto su l'oscuro cammino della storia, perchè l'uomo non perda la via che alla verità lo conduce; ed elevandosi col pensiero alle regioni dove la leggenda poneva la prometèa scintilla, volle con essa accendere il fuoco sacro nelle anime assetate di verità e di amore.
Mario Puglisi.
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filosofia greca-platonica considera la verità non come la viva fattura dello spirito ma come un oggetto indipendente che esso può conseguire ma che non crea, effettivamente, coll’atto suo. E poiché l’idea è una realtà compiuta e perfetta in sé stessa, al di là del mobile e perpètuo fluire delle cose sensibili e particolari, il pensiero non può comprenderla in tutta la sua purezza se non e pensiero finito e trascendendo quei limiti che gl’impediscono la
piena visione della verità. La posizione dell’uomo di fronte a questa è, dunque, essenzialmente passiva, in quanto essa vien presupposta all’atto del pensiero e considerata come oggetto di speculazione e non come creazione dello spirito, onde la verità non è sostanza viva del pensiero, fiamma ardente che investe e pervade tutta l’anima e risolve ogni cosa nella sua luce purificatrice, ma bensì oggetto di astratta contemplazione.
La filosofia antica è intellettualistica poiché essa presuppone la verità al pensiero il quale non contribuisce alla creazione .di essa, onde tutta l’operosa attività dell'uomo è implicitamente svalutata. E questa verità alla quale l’uomo tende come a fine supremo della sua vita, non è sostanza che trasformi nella sua fiamma ideale tutti gli elementi della coscienza dell’individuo, nè diventa legge ¡mina? nente della condotta, poiché essa è presupposta alla realtà corrente nella quale l’individuo vive e quindi non è presente ed operante in essa.
Il concetto moderno della verità è profondamente distinto dal concetto or ora illustrato. L’uomo non concepisce più l’idea come una realtà compiuta e perfetta al di là de’ fenomeni nei quali si attua la sua vita, ma come la sostanza viva dello spirito, che non cerca la verità al di fuori di "se stesso, ma la possiede nell’atto stesso in cui la genera.
La verità non è più esterna alla vita che noi viviamo, ma la sua legge ed essenza è immanente e quindi non è una realtà inerte ed inefficace, nella sua schiva purezza, ma luce che penetra ed illumina e trasforma tutta la nostra condotta.
(:•) Fedeli al nostro programma, ospitiamo volentieri in queste pagine l’interessante professione di fede nell’idealismo contemporaneo del nostro amico prof. Giulio. Il nostro vecchio idealismo cristiano non crede di far atto di superbia, affermando di non sentirsi ancora al tramonto... perciò non teme la discussione. Crediamo che le chiare parole del Giulio possano dar luogo ad un utile scambio di vedute sulla questione vivissima dei rapporti tra il Cristianesimo e /'idealismo attuale. [JV. d. ZX].
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Per determinare il valore di questa nuova concezione della verità di contro all'antica, è opportuno considerare quale sia la sua efficacia pratica, cioè la sua capacità a penetrare nella vita e ad eccelerarne ed intensificarne il palpito. Poiché una filosofia è tanto più concrèta e viva, quanto più essa riesce a radicarsi nella storia, in quella realtà, cioè, nella quale noi viviamo ed operiamo, e ad illuminarla e valorizzarla in tutta la sua pienezza; una filosofìa è tanto più efficace quanto più essa rappresenta la ragione immanente della storia, e non è una costruzione astratta od arbitraria che si voglia sovrapporre a quella senza che ne esprima le intrinseche esigenze.
Le due .concezioni — le quali corrispondono a due forme o momenti dello spirito — che dividono, a considerarla nelle sue caratteristiche generali e non nelle sue sfumature e gradazioni e passaggi, la storia della filosofia, sono la concezione astrattamente oggettiva della realtà spirituale, la quale è propria, in sostanza, di tutta la speculazione greca, medioevale e moderna a giungere fino ad E. Kant, e considera la idea come oggetto del pensiero; e la concezione soggettiva e concreta la quale considera la verità come la perenne e viva fattura del nostro spirito.
Concezione, questa, la quale, si manifesta come esigenza profonda nella filosofia idealistica tedesca, ma della quale non sarà penetrato tutto il valore se non dopo lungo e continuo travaglio di pensiero.
È evidente che, a seconda di queste due concezioni della verità, tutta la vita viene considerata e valutata in modi profondamente distinti. Esaminiamo quali sono le conseguenze della concezione oggettiva della sostanza spirituale.
« • «
I. — Se la idea viene concepita come oggetto del nostro pensiero, e però come una realtà compiuta — idealismo platonicé — il pensiero coll’atto suo non vi porta alcun mutamento, ma per raggiungerla deve soltanto adeguarsi ad essa, negando quello che si trova ad essere. La vita del nostro pensiero, ropera della nostra volontà, non hanno valore come creatori della verità, poiché la verità è già fatta ab aeterno, oggetto immobile di astratta contemplazione. È ovvio che, in tal caso, il nostro pensiero, il quale è di per se stesso finito e determinato, è un limite che non ci permette di raggiungere la verità in tutta la sua pienezza, ma ci concede soltanto — ammesso che noi possiamo raggiungerla— di conseguirne qualche piccola e difettosa notizia, onde la nostra persona determinata e concreta non è un valore ma un vincolo, una schiavitù dalla quale dobbiamo liberarci per godere della verità nella sua perfezione. E poiché la verità è considerata come un fatto, questa concezione è la svalutazione della operosa attività dello spirito e la celebrazione della pura ed astratta vita contemplativa.
La conseguenza che questa dottrina genera nella vita è — e la storia ne ha date le prove — la indifferenza o, meglio, il disdegno della concreta, attuosa, efficace operosità dell’uomo nella storia, è la celebrazione del monachiSmo (ascetismo), pel quale l'uomo si strania dalla vita, e, in luogo di operare fortemente in essa consuma il suo spirito in una vana ed insaziabile aspirazione della divinità; in-
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saziabile perché quella verità che ci è esterna non può essere raggiùnta, e quando pur lo venisse non porterebbe soddisfazione alcuna poiché implicherebbe la negazione dell’individuo che vi aspira.
Sebbene questa concezione abbia un valore etico in quanto eleva l’individuo al di sopra della vita materiale dei sensi (i) e lo rende puro ed atto a vivere la vita superiore dello spirito — momento od aspetto catarsico—, poiché essa è la negazione della vita concreta, questo suo valore non si realizza come potenza effettiva nella realtà, ma è sterile.
La concezione oggettiva della verità è dunque profondamente pessimistica, poiché toglie all’uomo la fede in se stesso e nell’opera sua, nella quale non palpita quel calore eterno che solo può dare la pace e la forza di operare, sicuri che nulla di quanto abbiamo fatto verrà annullato ma tutto concorre a quel grande lavoro al quale cooperiamo: la realizzazione dei valori assoluti.
La ricerca e la conquista continua del vero, la volontà eroica del bene, il quale non è un fatto ma un atto eterno col quale l’uomo celebra ed instaura continuamente la essenza divina del suo spirito, in questa concezione vengono svalutate in una immobile ed astratta contemplazione.
♦ ♦ ♦
II. - La nuova concezione della verità.la quale s'inizia col Rinascimento e attraverso alla filosofia cartesiana assurge a più chiara coscienza nella scuola idealistica tedesca e si spande poi ed allarga con rapido ritmo, è quella della soggettività della sostanza spirituale. La concezione soggettiva è la negazione dell'astratto concetto della verità, considerata come un termine estrinseco allo spirito, che l'uomo può conseguire ma annullando la sua individualità particolare. Per essa la verità non è oggetto del pensiero, ma il pensiero stesso nel suo movimento, e quindi l'idea non è più un termine irraggiungibile, ma la stessa viva creatura dello spirito, onde tutta la vita e l’operosità umana viene rivalutata poiché non fuori di essa, ma in essa medesima, sono quei valori ai quali l'uomo aspira, e Dio — come unità dei valori — non è più una lontana ed inaccessibile mèta, ma il Dio vivente che soffre gode ed opera con noi, e vive della inconsutile vita del nostro spirito. Tutta la infinita distesa delle opere umane, tutte le azioni nelle quali si realizza la nostra volontà, non sono più fuggevoli fenomeni, apparenze o riflessi di un valore assoluto che è lontano e al di fuori di essi, poiché in essi medesimi lo spirito attua questi valori, e però ogni più fuggevole fenomeno, ogni più piccola azione, supera i cancelli dello spazio e del tempo ed è eterna. La conclusione pessimistica della concezione oggettiva della verità sparisce per dar luogo alla più alta ed entusiastica celebrazione della vita dello spirito, poiché la verità non è più un termine estrinseco al nostro pensiero, ma è lo stesso valore che noi veniamo instaurando nella sua vita operosa.
(1) Benché, appunto per questa sua negazione astratta del reale, l’ascetismo non superi nè risolva effettivamente la vita inferiore o animale, ma la mantenga sempre, in forme larvate o morbose, nella sua aspirazione superiore.
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Questo concetto della verità come divenire nòn riesce punto alla affermazione che la verità è un fenomeno passeggero e temporaneo, e nemmeno all'altra pessimistica conclusione che il tendere alla verità è una mera aspirazione, insaziata ed insaziabile, perchè non la raggiungiamo mai, in questo perenne fluire dell'atto. Non è la affermazione della contingenza del vero, poiché l’idea, assolutamente parlando, non muta, nelle sue forme necessarie, attraverso a questo fluire continuo delle cose, benché il suo valore si • arricchisca perennemente e venga posseduto sempre più profondamente ed intensamente attraverso a tutti i singoli problemi che sono posti e risolti nella storia; non è la affermazione della vanità del processo nella incessante ed insaziata aspirazione di un vero che non si raggiunge mai, poiché il progresso non è un tendere all’infinito, verso un’irraggiungibile mèta, ma è progresso all’infinito ed al finito nello stesso tempo, poiché in ogni momento lo spirito posa nella verità, ond’è eternamente beato, ed in ogni momento questa verità è insufficiente, e deve essere integrata, ond’è eternamente insodisfatto.
Il concetto della verità come divenire ha un profondo valore etico. Con esso si afferma a punto che il valore del nostro spirito non sta nel fatto, realtà attuata nella quale l’individuo beato si adagia e riposa della fatica ma consiste nella perenne ed eroica operosità. La verità e la moralità non sono delle realtà compiute una volta per sempre, ma un dover essere, una continua creazione di opere buone, nelle quali si concreta la infinita virtù dello spirito.
Un altro concetto fondamentale dell'idealismo contemporaneo (attuale) è quello dell’io trascendentale, negazione dell’astratto concetto dell'individuo considerato come momento fra altri momenti, frammento fra altri frammenti di realtà. L’individuo empirico — particolare limitato — è un momento astratto senza significato nè valore, poiché ogni individuo non esiste e non è pensabile se non viene concepito in relazione a tutti gli altri individui coi quali si attua dialetticamente la sua vita, onde non si può porre un momento senza porre, nello stesso tempo, tutti gli altri momenti come compresenti e costitutivi di esso. L’Io trascendentale non è la negazione delle: individualità particolari — come l’unità non è la negazione della distinzione, bensì l’affermazione di essa — ma il riconoscimento dell'unità concreta del reale, e del valore di ciascun momento, non come elemento avulso dalla realtà e fissato nella sua astratta distinzione, ma bensì come parte viva del tutto.
Ed infatti non v’è realtà o frammento di realtà che sia estèrno all'àmbito della nostra coscienza, e qualsiasi cosa si pensi e di qualsiasi cosa si parli e qualunque cosa si ricordi, essa rientra sempre nel foco luminoso del pensiero (come elemento vivo ed inscindibile da esso) che non si può trascendere. Oltre e al di fuori della sfera oggettiva del pensiero non v’è realtà alcuna.
Il valore etico del concetto dell'io trascendentale è evidente. Assurgendo ad esso, l’individuo supera gli angusti limiti dell’egoismo, allarga gli stretti confini della sua persona per risolvere nella fiamma ardente dello spirito, in una fraterna comunione di affetti e di opere, tutti gli altri individui. Il valore catarsico di
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IL VALORE ETICO DELL’IDEALISMO ATTUALE
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-questo processo non è comparabile a quello affermato dall'ascetismo medievale, poiché l’individuo supera gli angusti confini della sua persona — individuo empirico e particolare — non per dileguare in una vuota e sterile contemplazione, ma per vivere una vita più alta e di più ampio respiro — la vera vita — per penetrare più profondamente nella realtà ed agire efficacemente in essa.
Il Tilgher osservava-in un suo articolo che questa concezione della verità come divenire — nobile ed entusiastica affermazione della viva operosità dello spirito — è una religione paurosa che non dà pace al suo fedele, ma gl’ingiunge di lavorare senza tregua e senza riposo, per un'opera che non ha fine. Il Tilgher, il quale non riesce a superare uno stato sentimentale di smarrimento, pone in rilievo uria condizione che questa filosofia genera nell'animo nostro.
La concezione idealistica della verità come divenire è la negazione di ogni forma di trascendenza. Orbene, è appunto questa negazione della trascendenza (astratta), — di questa trascendenza che è pure un bisogno profondo dello spirito, e che verrà riaffermata, ma con tutt'altro significato, dall'idealismo contemporaneo — che desta od ha destato uno smarrimento nell'animo di molti e forse di tutti noi, nel periodo travaglioso del superamento dell'antica concezione della verità. La -credenza in Dio, come realtà suprema, termine ultimo dèi nostro operare, aveva un valore effettivo per l'individuo, che in esso figgeva lo sguardo, come a porto sicuro e tranquillo dopo il lungo e travaglioso lavoro; ed aveva ancora un altro lato di verità per il quale si era radicato profondamente nell'anima, e nasceva dal bisogno che sentiamo noi, individui particolari, e finiti, di credere in una personalità superiore alla nostra — Dio Padre — la quale ci sorregga nei dolori ci guidi nel l’operare ed alla quale possiamo rivolgere l'animo stanco, fiduciosi di essere alleviati.
Orbene, questi concetti fondamentali nella concezione trascendente di Dio, che sono appunto quelli che esercitano untosi grande fascino sulle coscienze e le rendono riluttanti ad accogliere la nuova concezione idealistica della vita, non sono annullati in questa, ma anzi vengono integrati ed affermati in tutto il loro profondo significato. Nella filosofia idealistica è negato il concetto di una verità trascendente, termine ultimo del nostro operare, nel quale la nostra brama si sazia, ed invece è affermato vigorosamente il concetto della viva e perenne operosità dello spirito; così vien superata l’astrattezza del platonismo il quale riesce alla negazione della vita e quindi di ogni realtà, in una immobile, astratta fissità alla quale lo spirito profondamente ripugna; ma, nello stesso tempo è riconosciuta l’esigenza affermata nel concetto della trascendenza — verità assoluta nella quale lo spirito posa sicuro, senza smarrimento — poiché la verità, la quale non muta, assolutamente parlando, nè è soggetta al labile fluire delle cose sensibili, è un possesso perenne ed attuale del nostro spirito. Mutano i .problemi ne' quali vive e si concreta la verità e quindi essa viene posseduta sempre più profondamente attraverso a tutte le singole questioni e soluzioni che sorgono nella vita (storia), ma la verità che si attua in esse, non muta (1).
(1) Le forine assolute dello spirito non sono soggette a cangiamento.
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Così pure l’idealismo mantiene, inverandolo, l’altro concetto al quale abbiamo accennato del Dio Padre, poiché ogni individuo sentendosi parte viva del tutto, e non un frammento, un’ombra fuggevole nella vita, ha la profonda fiducia che l’opera sua non è vana, nè vanirà nel nulla, che egli può — non per oziare, ma operando — affidarsi a quello Spirito che in lui vive, sicuro che il suo compito non sarà frustrato, ma che trionferà la verità nella vita. Trionferà perchè, pur attraverso le singole forme di attuazione, una sola volontà permea tutta la storia e la realtà, ed è volontà di realizzare i valori assoluti dello spirito.
* * •
III. - Si potrebbe osservare che l’idealismo attuale, in quanto è l'affermazione della assoluta immanenza della verità allo spirito, è la negazione del momento religioso per il quale l’uomo, superando sé stesso come individuo particolare, afferma quella verità assoluta alla quale come essere limitato e finito si sottomette riconoscendone l'infinito valore e instaurando il regno dello spirito, il quale è superiore ad ogni coscienza o momento particolare e trascende ogni singolo interesse. È appunto pel momento religioso che l’uomo attua la legge morale poiché la coscienza morale implica la affermazione della superiorità della legge all’individuo come norma inderogabile della condotta (momento eteronomico), alla quale l’individuo deve obbedire. È per il momento religioso che l’uomo supera ogni tendenza od interesse personale, per affermare, nella loro assoluta purezza, i valori dello spirito. Orbene, l’idealismo attuale, poiché nega ogni forma di trascendenza, non è forse la svalutazione del momento religioso?
Il fenomeno religioso nella concezione trascendente della verità (Dio) non è nè può essere penetrato in tutto il suo pregio, poiché se l’oggetto della coscienza religiosa è considerato come effettivamente trascendente il nostro spirito, manca quel carattere che è proprio e costitutivo di essa e che è dato dal sentimento delia intimità ed immanenza di Dio all’anima nostra. Se, da un lato, l’oggetto della coscienza religiosa è una realtà che trascende i confini angusti e .determinati di quella, per cui appunto il religioso sente di superare se stesso nell'adergersi ¡verso Iddio, Dio è, nello stesso tempo, sentito come la sostanza e la verità dell’anima, in quanto partecipa della personale ed intima vita del suo fedele. Se l'individuo non sentisse questa effettiva presenza di Dio in se stesso, non come di morto oggetto o termine immobile, ma come azione continua che Dio compie nell’anima sua, per la quale egli crede ed afferma — ed è nel vero — che Iddio vive ed opera in lui, ed è lui stesso, mancherebbe il sentimento religioso; come mancherebbe se nel sentire questa presenza effettuale di Dio (i) non sentisse, nello stesso tempo, ch’esso è un termine che sfugge sempre alla sua anima, oggetto di perpetuo ritrovamento e di perpetua ricerca. Il momento eteronomico (alterità) è essenziale al sentimento religioso, ma, di per se stesso ed indipendentemente dall’altro — momento autonomia» — è astratto, poichè^il Dio oggetto della nostra appassionata
(i) Vera e propria identificazione del nostro collo spirito divino.
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IL VALORE ETICÓ DELL'IDEALISMO ATTUALE
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aspirazione se è esterno al nostro spirito non è una realtà viva alla quale l’uomo partecipi con tutto l'ardore dell'anima sua, ma oggetto di arida e fredda speculazione.
La concezione trascendente-teistica della verità ¡è, rigorosamente intésa, la negazione del sentimento religioso, e quindi non riesce a determinarne effettivamente quale ne sia il valore.
Il momento religioso è proprio di tutte le forme dello spirito, benché esso abbia un suo particolare valore e significato ed aspetto, onde la religiosità All’arte e la religiosità nella filosofia, e la religiosità nella scienza e la religiosità »»Ila morale, è profondamente distinta per le sue caratteristiche dal vero e proprio fenomeno religioso; ed è quel momento per il quale l’individuo, come abbiamo osservate altrove, nella viva dialettica dell’atto spirituale, considera la verità ch’egli crea non solo come la legge immanente e la espressione più intima della sua coscienza, ma, nello stesso tempo, cóme altra da lui ed assoluta. Dalla qual posizione derivano la considerazione impersonale nella valutazione, (la quale -è una posizione propria e costitutiva della coscienza morale) poiché a punto pel momento religioso dello spirito l’individuo sente che i valori sono indipendenti da tutti gli individui, come persone particolari e finite, e quindi non devono essere considerati in rapporto a nessun elemento od interesse empirico o personale; è la devozione alla verità come valore assoluto.
Questo valore del momento religioso non può essere adeguatamente penetrato se noi concepiamo ancora la verità o l’idea come trascendenti effettivamente l'atto concreto col quale noi instauriamo il regno dello spirito.
Poiché in questo caso vien pósto soltanto in rilievo il momento astratto della alterità — eteronomica — della verità, alterità che non può essere, se non assoluta irrelatività. Invece nell’idealismo attuale il valore del momento religioso è riconosciuto in tutto il suo profondo significato. L'oggetto della coscienza religiosa non è più quell'astratto termine esterno al quale l'individuo non può giungere se non annullando la sua stessa vita spirituale, ma è quella religiosità vivente che è viva partecipazione e creazione del proprio Dio. L'atto dello spirito è una eterna creazione e possesso della verità, ehe è ed appare come la realtà più intima della nostra anima, e una eterna aspirazione a conseguirla, perchè essa sempre ci sfugge. In questa viva dialettica dell’atto, la quale è la stessa dialettica della vita e della verità — che non è un fatto, realtà compiuta ed immobile, ma un fare — in questo eterno conseguimento dei valori che è, nello stesso tempo, eterna aspirazione ad essi, sta il sentimento religioso, il quale partecipa di questi due aspetti o momenti, per i quali, da un lato l’individuo sente che Dio vive della sua vita ed è intimo all’anima sua come la realtà più vera e profonda, è, nello stesso tempo, è un termine che trascende continuamente il suo atto, ed al quale continuamente deve aspirare. Il fenomeno religioso partecipa, adunque, dei momenti autonómico ed eteronomico dello spirito, poiché la realtà divina è un continuo possesso ed una continua aspirazione, in quanto non appena la si è raggiunta
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e si erede di posare tranquilli in essa, il Dio si è dileguato e allontanato da noi, e noi dobbiamo ricercarlo e ricrearlo nel nostro spirito per ritrovarlo e vivere della sua vita (z).
Questa religiosità instaurata dall’idealismo attuale non è dunque più la religiosità astratta del teismo, svalutazione della vita concreta, ma la celebrazione più alta del momento religioso, come perpetua creazione di valori, e perpetua instaurazione del Dio vivente nella inconsutile vita dello spirito.
La concezione idealistica della vita è la concezione eticamente più alta, serena e severa che l’uomo abbia raggiunto. Più alta: per essa l’individuo è spinto a superare ogni interesse limitato, particolare ed egoistico e ad assurgere a quella visione superiore per la quale non si sente più momento fra altri momenti nella realtà, reciprocamente contrastanti, ma sente palpitare sul suo il cuore degli altri; più alta perchè essa è la vera religione del lavoro, di quella viva e perenne operosità che è la celebrazione della sostanza morale della vita; più serena, perchè per essa l’uomo ha fiducia nell’opera sua e sa che nulla perirà di quanto egli* ha compiuto e che in lui vive l’eterno — quel Dio al quale aspira e nel quale riposa —; la più severa, perchè essa ci fa consci della infinita responsabilità delle nostre azioni, ci vieta di arrestarci oziosi in sul cammino, e ci sprona ad operare, poiché solo nell'io vivo dello spirito, che è purificazione eterna e idealizzazione della nostra realtà, si celebrano i valori morali della vita; la più severa, perchè essa ci ammonisce che noi dobbiamo lottare contro tutto quello che v’è di inferiore in noi, contro ogni interesse angusto, per la celebrazione di quei valori assoluti di bellezza, di verità e di bene, che sono superiori ad ogni interesse personale, e pei quali noi dobbiamo essere pronti a sacrificare la vita.
F. Giulio.
(i) In un saggio antecedente dicemmo che anche l’atto morale è caratterizzato da questi aspetti o momenti autonomico ed eteronomico. La religione è dunque la medesima cosa della moralità ?
La posizione della coscienza morale è essenzialmente soggettiva-autonomica nel senso che la legge viene attuata come la nostra legge e noi ci sentiamo legislatori di noi medesimi, e l’eteronomia non è propriamente quella del momento r ligioso, poiché la eteronomia della coscienza morale significa assolutezza, universalità, indipendenza delia legge da considerazioni e valutazioni particolari, mentre nella coscienza religiosa l’autonomia significa, sì, partecipazione viva di Dio, ma come di una realtà che pur vivendo in noi è sempre altra da noi, onde noi sentiamo quasi e crediamo che vi sia una altra personalità infinitamente superiore alla nostra, immanente ed operante in noi medesimi, oggetto vivo del nostro culto, e la eteronomia non significa soltanto assolutezza, universalità, indipendenza da considerazioni, valutazioni, tendenze particolari, ma superiorità, perfezione di un essere personale, infinito, oggetto della nostra aspirazione. Mentre nella legge morale, rigorosamente intesa, questo sentimento della aspirazione — carattrizzato da motivi sentimentali, affettivi e passionali — non v’è, perchè la eteronomia non è eteronomia di una realtà personale, ma di una norma o legge.
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CRISTIANESIMO ED EBRAISMO
Ba tesi che Dante I-attes sostiene nel fascicolo di febbraio, 1921, di Bilychnis è genericamente ammessa da tutti, benché solo da pochi sia valutata con giusta misura: cioè l'origine ebraica del pensiero di Gesù e la derivazione dall’ebraismo del contenuto morale della sua dottrina.
Su questo punto, come su altre considerazioni intorno a talune ingiustizie storiche delle quali è vittima l’ebraismo, con danno della coltura e offesa della morale, ogni anima bennata si sentirà in accordo con l’egregio autore. Nè vi è dubbio che tanto il giudaismo quanto il cristianesimo hanno solo dà guadagnare da una reciproca maggior simpatia e da una reciproca maggiore giustizia.
Per questo ci duole di non poter consentire con le idee espresse, certamente con la più nobile delle intenzioni, dal Lattes che mi pare — se non erro — ispirato da una visione assai ristretta, ed anche errata, del cristianesimo. Questa errata visione dipende, a mio parere, da una concezione meramente etica, e direi quasi troppo giudaica, del fatto religioso, che lo trae a restringere il suo parallelo tra le due religioni alla parte puramente morale e sociale; nel qual caso è ovvio che, essendo il contenuto morale e sociale di esse quasi lo stesso, il cristianesimo deve apparire come una propaggine giudaica.
Ma il fatto religioso non è un fatto puramente morale. Non è il contenuto etico che dà l’impronta e la dignità a una religione perchè in tutte le religioni superiori vi è un contenuto morale comune che è poi il contenuto morale della nostra stessa coscienza. Per questo sarebbe assai facile ripetere i parallelismi morali giudaico-cristiani del Lattes applicandoli p. es. al buddismo e al confucianesimo, e dimostrare che anche in queste religioni si ritrova molta parte della morale cristiana, anzi della morale di Gesù. Ciò che è stato fatto, del resto, senza che da
questi confronti uscisse la negazione dello specifico valore del cristianesimo.
Perchè il valore specifico di una religione non sta nel suo contenuto morale, ma nella sua esperienza religiosa; risulta cioè dalla via che essa mostra per arrivare alla realizzazione del divino, alla comunione con Dio. Il cristianesimo ha questa vi a in Gesù Cristo: e questo gli confer isce la sua speciale dignità e il suo valore.
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Ma dice il Lattes; « se il cristianesimo va considerato come la dottrina di Gesù, esso è un fenomeno puramente ebraico che noi Ebrei possiamo rivendicare, trasportandolo nella sua atmosfera palestinese e nejle correnti che dominavano in Terra Santa, dove e allorché si svolse la predicazione di Gesù ». E qui sta l'errore; perchè il cristianesimo, come qualunque altro fatto dello spirito, non è un'entità immobile, ma una attività in perpetuo divenire, la quale non pqò esser intesa se non come storia. Ora poiché è un fatto che il cristianesimo poggia bensì sulla dottrina di Gesù, ma che questa dottrina si affermò e si universalizzò per opera del cristianesimo stesso, fuori dell'atmosfera giudaica, volerla riportare alla sua originaria atmosfera, significa negare tutta quanta la storia del cristianesimo, da San Paolo a noi. Il Lattes — mi pare — usa un poco il ragionamento di ehi, volendo giudicare un uomo, gli dicesse: Prima di giudicarti, poiché tu sei figlio di tuo padre, riportiamo tutta quanta la tua vita al giorno in cui nascesti.
« L'ebraismo — dice l'egregio autore — non potrà mai sottoscrivere a quelle che sono state le interpretazioni posteriori della missione di Gesù. » Sta bene: ma questo gli è un accettare le origini respingendo lo svolgimento, gli è un accettare il fanciullo per respingere l'uomo; gli è insomma un negare la storia; un annullare, cioè, in blocco tutta intera la evoluzione del cristianesimo e condannarla tutta quanta come una deviazione dal pensiero di Gesù, cioè come un errore. E questo è assurdo: perchè una storia bimillenaria, che ha pure la sua logica interna, non può consistere tutta in un progressivo smarrimento della verità. Deve anzi considerarsi, al contrario, come una progressiva conquista della verità.
A ogni modo, respingendo così in blocco la storia del cristianesimo, il Lattes viene ad affermarne l'originalità e l’indipendenza di fronte al giudaismo. Perchè, condannando il cristianesimo storico come una deformazione del pensiero giudaico di Gesù, si viene a dire che la religione cristiana ha una propria originalità, che essa, insomma, sia pure deformando la sua eredità, ha saputo uscir fuori dal giudaismo e conquistare una sua propria dignità. Il Lattes afferma, in somma, la impossibilità di ridurre il cristianesimo a giudaismo nell'atto stesso che cerca di attuare questa riduzione.
L'errore di metodo e di visione è evidente. Non è possibile porsi così al di fuori della storia e negarne la validità. La storia va concepita come spirito e non come lettera.
Il cristianesimo storico, dunque, va cercato sì nella dottrina di Gesù, ma attraverso tutto intero lo svolgimento, che la storia le ha dato, nella perpetua ricerca di quello che è il fondamento del pensiero di Gesù e l'essenza dell'esperienza cristiana: la rinascita dell'uomo in Cristo.
Tutta la storia del cristianesimo non è altro se non la conseguenza e là manifestazione di questa ricerca; questo hanno sempre cercato i credenti attraverso le varie chiese e i vari dommi; questo è lo scopo supremo versò cui si avvia lo spirito cristiano. Or quando il Lattes respinge quelle che egli chiama « le interpretazioni posteriori della missione di Gesù », égli non fa che negare questo svolgimento della esperienza cristiana, cioè, in conclusione, negare il cristianesimo come religione.
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E allora, ridotto il cristianesimo al suo puro e semplice contenuto morale, riportato questo contenuto al suo punto di origine giudaico, si comprende benissimo che il cristianesimo dev'esser per forza o giudaismo o deviazione dal giudaismo» Considerato invece nella sua essenza, cioè nella rinascita dell'uomo in Cristo, il cristianesimo appare con caratteri così netti e marcatamente diversi dal giudaismo, che non si può ñon parlare, proprio come fa il Renán, di uno « spirito nuovo » Il Lattes nega questo spirito e ne limita la novità al solo mondo pagano: ebbene, io credo invece che, come esperienza religiosa, non considerando ora l'eticità, il cristianesimo fosse assai più vicino al « paganesimo » che non al giudaismo, e che alla formazione dell'esperienza cristiana contribuisse assai più l'ellenismo che non l'ebraismo.
Comunque sia ciò, messa la questione così, cioè giudicando dei caratteri specifici di una religione non dal |punto di vista della morale. Che può esser derivata dalla religione, ma non è elemento costitutivo della religione, ma dal punto di vista dell’essenza e della funzione della religione, cioè dal punto di vista dell’esperienza religiosa, la diversità e anche un poco la opposizione tra giudaismo e cristianesimo sono innegabili. La storia del cristianesimo primitivo ci insegna che l’esperienza cristiana si viene determinando, a poco a poco fuori e talora anche contro il giudaismo. Questa diversità non può esser sentita dal Lattes perchè egli sta fuori del campo della esperienza religiosa, cioè fuori di quel campo per l’appunto dove è dato constatarla. Egli dice, per esempio: « il purgamento dei nostri peccati che nel-l'Epistola agli Ebrei è compiuto da Gesù, per gli Ebrei viene da Dio. », E crede di aver con ciò dimostrato che, per questo punto, tra le due religioni non v’ha differenza sostanziale. Ora è chiaro che quella che egli intende come una affinità è invece una profonda diversità, che deriva proprio dà quello che è il punto di partenza del cristianesimo: la mediazione di Gesù tra uomo e Dio. Mediazione che implica una posizione del tutto diversa nelle due religioni di fronte a Dio, e una differenza enorme nella esperienza religiosa. Certamente, lasciando da parte, come fa il Lattes, questa specifica esperienza incentrata nel Salvatore, e restringendo il cristianesimo al puro e semplice contenuto morale, le due religioni appaiono sostanzialmente simili e quasi identiche. Ma ehi considera quella che è la peculiare dignità del cristianesimo, cioè la persona del Cristo, dovrà convenire che questa dignità non gli venne dal giudaismo, ma dalla sua stessa storia, cioè da sé medesimo. Leviamo la persona del Cristo e allora noi avremo una morale che si può benissimo chiamare morale giudaica, perchè tale è in fondo, ma non avremo più quella specifica vita dello spirito che si chiama la fede cristiana.
Il giudaismo non può dar questa vita dello spirito: ne darà un’altra, anche migliore, ma quella no; la fede cristiana si è svolta fuori e anche contro dell'ebraismo. Ora, il ritorno al Vangelo di Gesù come regola di vita morale, sarebbe certamente un ritorno all’ebraismo, come afferma il Lattes, ma non mi pare che lo spirito cristiano tenda propriamente verso il vangelo di Gesù; esso tende piuttosto verso la persona di Gesù. Tende cioè verso la conquista di un rapporto sempre più immediato
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con Io spirito del Salvatore, fuori e anché contro degli ecclesiasticismi e dei domma-tismi. Se questo è vero, non si può-dire che il cristianesimo sia da considerarsi, come fa il Lattes, come un momento di passaggio verso un giudaismo universalistico dell’avvenire.
II.
Per altre ragioni ancora noi dobbiamo dissentire dal Lattes, non senza meravigliarci del suo scarso senso storico, e della sua quasi completa astrazione da quei che potremmo chiamare l'intuito del reale. Alludo alla sua, implicita od esplicita, valutazione della persona di Gesù, che io considero in questo momento naturalmente da un punto di vista puramente giudaico, fuori di tutto quello che la fede cristiana possa pensare.
Il Lattes considera Gesù come un puro e semplice ebreo, il cui pensiero sarebbe derivato, senza alcuna sua propria originalità, dall’ebraismo: « la predicazione evangelica non ha creato nè innovato nulla in quanto alla sua essenza morale, in quanto essa è concepimento e dottrina di carità e d’amore, in quanto è alimento spirituale »; « l’Evangelo ripete le idee della vecchia Bibbia ebrea, colle parole della Bibbia e colle formule sintetiche con cui eransi venute concretando nelle scuole e nelle dottrine farisaiche le idealità ebree »; « Gesù è nella Bibbia e in tutto il pensiero-ebraico dai Salmi al Talmud ». Così dice il dotto ebraicista.
Concediamo che la verità sia proprio questa, senza fermarci a discutere taluni raffronti del Lattes (i) e chiediamo: perchè mai quel Hillel che egli oppone a Gesù, che insegnò al tempo di Gesù e dal quale Gesù avrebbe tolta la sua dottrina, è rimasto ignorato dalla storia, fatta eccezione della erudizione giudaica, mentre Gesù è divenuto il pensiero centrale di tutta la civiltà di Occidente? Perchè le massime di Hillel sono conosciute solo dagli ebraicisti, nè so se sieno poi tanto diffuse entro lo stesso mondo israelita, mentre le massime di Gesù sono sulla bocca e nel pensiero di tutto il mondo ? Eppure Hillel insegnava a una dotta e ricca e colta congrega, mentre Gesù predicava alla povera gente dei campi; Hillel morì presidente del sinedrio e Gesù morì in croce come ribelle.
Ingiustizia della storia, si dirà, e forse il Lattes sarebbe disposto a dire. Ma che valore ha questa accusa volta alla storia, come se questa non fosse necessaria e potesse essere diversa da quella che è ? Una idea falsa, sia questa una panzana ingegnosa di Cagliostro o una falsa epigrafe di Pirro Ligorio, vince momentanea(I) Per es; la povertà in spirito (il Lattes scrive - poveri di spirito»!) è cosa assai eversa e assai piu complessa, come risulta dallo stesso testo greco (v. il mio studio nel testimonio dell ottobre 1920) della «contrizione ■ di cui parla Isaia 57, 15; la massima «ama il tuo prossimo come te stesso »è fondamentalmente diversa da quella di Hillei che il L cita: « non fare agli altri ciò che dispiace a te ». La prima è positiva e riguarda il sentimento, la seconda è negativa e riguarda la ragióne.
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EBRAISMO E CRISTIANESIMO 2
mente, ma resta fuòri della storia; non circola, non diventa patrimonio dell'umanità, e un bel giorno cade a terra come una foglia secca. Ma una idea vera può perdersi momentaneamente, può parer morta, ma vive e trionfa sia con chi la formulò, sia con altri, sia consapevolmente, sia inconsciamente, per il suo stesso intrinseco valore. Non vi sono dunque vere e proprie ingiustizie nella storia, se questa è processo spirituale, cioè idea in atto. Or se la grandezza di Gesù non fosse vera grandezza, se la sua personalità non fosse stata che la ripetizione di altre personalità, non dubiti il Lattes che l’umanità se ne sarebbe accorta da un pezzo, e oggi invece di venerar Cristo venererebbe un Hillel, o un altro rabbino ebreo.
Il Lattes considera le idee come astrazioni, fuori della loro concreta storica realizzazione, ma questo è assurdo. Non vi sono idee senza l'io che le pensi e che le attui, non si può scindere l'idea dalla persona e giudicar quella senza tener conto di questa. Perciò gli è una ingenuità credere che un'idea in quanto pensata da Hillel abbia davvero lo stesso valore che se fosse pensata da Gesù; ciò sarebbe vero solo se si potesse dire che le due personalità sono eguali. E a questo la storia ha già risposto.
Questo è ciò che il Lattes non ha pensato. E appar simile a chi, parlando delle battaglie napoleoniche, ne rivendicasse il merito al professore di strategia che insegnò a Napoleone a Brienne, senza ricordare che quello scolaro era il futuro imperatore dei Francesi.
La grandezza della persona di Gesù sfugge completamente al Lattes perchè egli la misura nella lettera e non nello spirito. Eppure senza di essa la storia del cristianesimo appare come un enimma, alla cui soluzione tutto può contribuire ma nulla può veramente condurre. Giudaismo, ellenismo, essenismo e via dicendo: tutte queste sono vuote categorie se non si riempiano con la persona concreta del Messia. Non solo per i primissimi tempi, quando questa persona visse e operò, ma per tutta intera la storia del cristianesimo; perchè la cristologia in Costanza non è che la rappresentazione fantastica della impressione profonda che Gesù fece ai suoi contemporanei, e che i posteri da questi ricevettero. Chi legge il Vangelo solo per trarne materia di confronti dottrinali con altre religioni e non per afferrare e sentire viva e presente questa persona poderosa, si chiude la via a capire il cristianesimo. Sono più logici i mitologi i quali, volendo negar la concretezza di questa persona non per questo la distruggono, ma la proiettano dal campo del reale e quel del fantastico, e sostituiscono all’uomo un dio.
Per questo non è punto vero che - glorificando la spiritualità e l'idealità evangelica, nella sua sostanza immutevole, al di là dei mutamenti e dei supplementi dei tempi e delle chiese, i seguaci di Gesù glorificano lo spirito creatóre di Israele ». Questo non è punto vero. I seguaci di Gesù glorificano puramente e semplicemente la persona del Salvatore; quali si sieno le correnti storiche che hanno contribuito a formarla e ad arricchirla: e sono convinti che questa glorificazione è legittima perchè pensano che per Gesù sia cominciata una nuova storia dello spi rito; abbiano cioè trionfato nel mondo una concezione e una esperienza di Dio che
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non sono quelle contenute ed affermate nell’antico testamento. Della concezione cristiana di Dio si possono e si debbono trovar gli addentellati prima di Gesù, perchè anche Gesù sottostette alle leggi dell’evoluzione umana, e sarebbe comico considerare la sua dottrina come una creazione dal nulla, senza nessun riferimento col passato: ma sarebbe un chiuder gli occhi al vero negare che il Dio che domina tutto il libro fondamentale sacro e canonico dell’ebraismo, cioè l'antico testamento, è assai diverso dal Dio del Vangelo. Tra l'ùna e l'altra concezione vi è disaccordo ed antitesi: tutti i raffronti filologici del mondo non possono distruggere un fatto che è nella coscienza di tutta l’umanità, e che ha avuto talora ripercussioni filosofiche e religiose di terribile profondità. Basta ricordare nel protocristianesimo Marcione e nell’età moderna Emanuele Kant.
Queste sono le osservazioni che crediamo di dover fare al pensiero troppo semplicistico del dotto ebraicista. Non vi è dubbio che il ¡pensiero di Gesù era tutto materiato di pensiero giudaico: lo disse Egli stesso, e ogni uomo che non sia stolto lo vede. Ma altrettanto Stolto sarebbe chi volesse ridurre tutto il cristianesimo alla dottrina di Gesù, senza tener conto della persona di Lui e di tutta la storia, ricchissima di esperienze, che con Lui comincia, e non è ancor finita. Il Lattes invoca per l’ebraismo una maggiore giustizia, e scrive un periodo al quale sottoscriviamo di tutto cuore. « La morale ebraica — egli dice — la religione ebraica, l’ideale ebraico non possono giudicarsi attraverso un testo od un articolo del codice penale o civile, intesi come immutabile cosa, alla lettera, in senso angusto. È necessario ricostruire e approfondire il complesso della loro mentalità, tutte le forme e i progressi e gli ardimenti del loro pensiero. L’Ebraismo è un corpo vivente, e v’è anche in lui quella che si potrebbe chiamare l’Evoluzione, per cui esso è sempre variabile e sempre identico in sostanza». Giustissimo. Ma anche la morale cristiana, anche la religione cristiana, anche l'ideale cristiano possono reclamare quei diritti che il Lattes reclama per l'ebraismo; anche il cristianesimo ha la sua evoluzione. E se il Lattes esige che a giudicare rettamente l'ebraismo si debba comprendere tutta l'evoluzione del pensiero ebraico, dai Salmi al Talmud, noi possiamo ben chiedergli che per giudicar del cristianesimo egli voglia cercarlo in tutta la sua evoluzione, da Gesù a Lutero.
Napoli, giugno 1921.
Vittorio Macchioro.
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PER.-LÆCVETURA 'DELL’ANIMAGLI OSTÀCOLI ALLA
VISIONE DEL CRISTO
Zaccheo cercava di veder Gesù per sapere chi egli era ma non poteva a motivo della folla c perchè era piccolo di statura; e corse innanzi e sali sopra un sicomoro per vederlo.
Luca XIX 3,4. (Leggere Luca XIX 1 a xo).
« Zaccheo cercava di veder Gesù per saper chi egli era «: ottimo proposito quello di vedere coi propri occhi il Cristo, quello di farsene un concetto basato sopra una esperienza personale.
Ma a questo proposito si opponevano difficoltà appartenenti a due ordini ben distinti. Zaccheo non poteva veder Gesù:
anzitutto “ a motivo della folla
e poi perchè egli stesso era “ piccolo „
Essendo però salito sopra un albero — un sicomòro — egli vide Gesù.
L’episodio di Zaccheo si ripete tutti i giorni: il Cristo nel quale noi crediamo è un Cristo vivente: ancora oggi, dopo 19 secoli, e col medesimo spirito di amore e di giustizia, egli passa per le nostre città e per le nostre campagne; e ancora oggi siamo in molti — uomini e donne — i quali vorremmo vederlo per sapere chi veramente egli sia.
Soltanto, anche per noi ci sono degli ostacoli, e questi ostacoli sono di due ordini:
Ci sono anzitutto degli ostacoli che dipendono più dalle circostanze che da noi.: questi ostacoli non li possiamo rimuovere col solo sforzo della nostra buona volontà e coll’ardore e la sincerità del nostro desi
derio. Ci sono persone, cioè, che non possono vedere Gesù a motivo della folla.
Altri ostacoli, invece, dipendono da noi, dalle nostre condizioni personali, dal modo in cui noi intendiamo o trascorriamo la vita: ci sono persone, cioè, che non possono vedere Gesù perchè sono pìccole di statura.
I.
A. — Il Problema economico.
II primo ostacolo, indipendente dalla volontà dell’uomo singolo, che impedisce la visione del Cristo è rappresentato dalle condizioni economiche in cui viviamo.
Più resistenza si complica, più la vita rincara, più cresce la pressione degli affari e più lo spirito è offuscato dall'eccessivo lavoro; e le vittime del lavoro si trovano in tutte le sfere dell’umana esistenza. Il Sistema economico della società presente mantiene lo spirito in uno stato di spavento cronico. Chi è proprio sicuro del domani? Non lo è chi ha pochi mezzi e neppure lo è chi ne ha molti. L’ossessione della ricchezza altro non è, spesse volte, se non una forma dell’incubo della povertà: si vuol salire, spingendosi innanzi i figli, perchè ci si sente sopra un pendio sdrucciolevole. Si vive in uno stato d'incertezza, d’inquietudine, preparati ogni giorno a qualche sorpresa. Si ha paura gli uni degli altri, si-teme per il presente, si trema per. l’avvenire e questo spavento secreto impedisce che sboccino e fioriscano in noi le facoltà superiori.
Da un capo all’altro della scala sociale gli spiriti oggi sono schiavi. Chi è libero.
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infatti, chi è veramente libero d’esprimere tutto il suo pensiero, di agire rigorosamente secondo la propria coscienza? Quanti sono che, direttamente o indirettamente, non dipendono da altri pel loro pane quotidiano? E, tra i pochi priviligiati che godono di un’assoluta indipen'denza economica, quanti non sono schiavi del loro stesso denaro, delle loro relazioni mondane o commerciali, della loro posizione politica o sociale?
Il raccoglimento, il silenzio interiore, la visione del Cristo — cioè l’atto di ubbidienza alla verità di oggi e di domani — non è possibile senza l’atmosfera d’una libertà, se non illimitata, almeno più ampia di quello che possa essere nelle circostanze attuali; poiché, lo domando ancora, chi è oggi veramente libero?
Molti — intuendo la loro dolorosa condizione, ma non conoscendone le ragioni profonde—-si limitano ad una critica superficiale. Molti si lamentano perchè, in tanta lotta per resistenza, non c’è più tempo sufficiente per leggere, per istruirsi, per svagarsi.
Ma noi cristiani ci lamentiamo di una cosa assai più grave: sembra che non ci sia più tempo per pensare alla propria anima.
Ora, quand’anche, per assurdo, fosse dimostrata la legittimità di privare l’uomo di tutti i suoi diritti, noi cristiani, che conosciamo e rivendichiamo il valore infinito dell’anima umana, affermiamo che c’è un diritto di cui l'uomo non potrà mai essere privato senza che si compia un’ingiustizia sacrilega, senza che si prepari, tosto o tardi, uno sfacelo generale: e questo è il diritto personale alla realizzazione della propria anima.
B. — Il Problema del dolore.
Un secondo ostacolo, più o meno estraneo alla volontà umana, che impedisce la visione del Cristo è il dolore sotto tutte le sue torme: malattie, infermità, disgrazie, morti, cataclismi.
Io non credo che il dolore sia voluto, sia mandato da Dio per « punire » gli uomini, e neppure credo che il dolore sia da Dio « permesso » per « metterli alla prova », come si dice di solito.
Certo, per mezzo della fede e nella comunione spirituale col Cristo crocifìsso, il dolore può in certi casi trasformarsi in benedizione. Certo, anche attraverso la
prova, può rifulgere l’amore, la sapienza e la gloria del Padre celeste: anche dal male Dio può trarre il bene.
Io non penso dunque un solo istante a mettere in dubbio certe sacre esperienze cristiane. Esse dimostrano che è possibile vedere Gesù nonostante il dolore: che è forse anzi possibile, in certi casi eccezionali, di vederlo meglio per mezzo della sofferenza.
Ma ciò detto, io non temo di affermare che Dio non si serve di proposito del male per ottenere il bene. Anche per Dio è iniqua la massima « il fine giustifica i mezzi »
Nè vale il solito paragone col padre di famiglia il quale castiga i suoi figliuoli discoli, paragone suffragato da qualche citazione tratta dall’Antico Testamento. Non vale perchè, nel caso del padre di famiglia, la punizione non solo è motivata dalla colpa, ma sopratutto perchè le è proporzionata; mentre,, ih tema di dolori e di lutti, è di tale, evidenza la sproporzione tra i singoli casi che la speranza nella futura « equilibrazione » tra gioie e dolóri in un'altra economia è per me uno dei migliori argomenti coi quali si possa suffragare la fede nell’Al di Là.
Tale concetto — del castigo divino — è del resto confutato vittoriosamente dà Cristo medesimo il quale— mentre dichiara che Dio fa risplendere il suo sole sui cattivi e sui buoni e manda la sua pioggia sui giusti e sugl'ingiusti (Matteo 5,45) —pone esplicitamente il quesito, e lo risolve negativamente, sia ricordando i Galilei massacrati da Pilato e le diciotto persone schiacciate dalla torre di Si loe: « Credete voi che fossero più colpevoli degli altri ? — No, vi dico! » (Luca 13,135); sia guarendo il cieco nato «Rabbi: chi ha peccato: costui o i suoi genitori?—Nè lui nè i suoi genitori! » (Giovanni 9, 2)
Più chiaro di cosi! Più categorico di così!
È inutile voler ostinarsi a sostenere l’insostenibile. Il male è il male. Esso costituisce un ostacolo enorme alla visione del Cristo, alla fede in un Padre d’amore. Quanti filosofi diventati scettici perchè non hanno potuto risolvere il problema del male! Quante anime deboli, in cui la sofferenza non ha ravvivato, no, ma ha spento l’ultima fiammella della fede! Quanti letti di dolore in cui non si prega più, ma si bestemmia e si maledice! Colpa degli uomini émpi? Sì. certo. Ma anche colpa del dolore!
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Gesù» in tutta la sua vita, non ha avuto che un solo desiderio: fare là volontà di Dio. Ebbene Gesù non si è mai rassegnato e non ha mai insegnato a rassegnarsi di fronte al male. Gesù, invece, ha lottato durante l’intera sua vita contro il male sotto tutte le sue forme: non solo contro il male morale rappresentato dal peccato, ma altresì contro il male intellettuale rappresentato dall’errore e sopratutto contro il male fisico rappresentato dalla miseria, dalla sofferenza e dalla morte.
Ora, io ve lo domando, avrebbe Gestì così agito s’egli avesse visto nella malattia e nel dolore la manifestazione del volere del Padre? Avrebbe egli così combattuta l’esplicita volontà, od anche, diciamo pure, la semplice « permissione • di Dio?
No, vi dico! Se Cristo così ha operato è perchè considerava il male come il nemico del bene, perchè constatava che la potenza del male era opposta alla potenza di redenzione da Lui, Cristo, rappresentata.
Nella « parabola delle zizzanie » il padrone del campo — alzatosi al mattino e visto il suo podere invaso dalla gramigna — esclama « un nemico ha fatto ciò » (Matteo 13.28). Molte malattie sono presentate dagli scrittori degli Evangeli come « possessioni » demoniache (Matteo 9, 32 e 12,22; Marco 1, 23 e 5, 2 ecc.) e, d’altra parte, il poter di guarigione di Gesù viene opposto dai suoi contemporanei alla calunnia lanciatagli contro d’essere egli medesimo un «posseduto» (Giovanni 10,21 cfr. Luca n, 1 a 23). La scena della tentazione del Cristo è drammatizzata addirittura in un dialogo tra Gesù e il Male, raffigurato, personificato, incarnato in Satana (Luca 4, 1 a 13). Mentre i primi settanta missionari sono all’opera, Gesù constata gli effetti liberatori della loro propaganda vedendo « Satana cadere dal cielo come un fulmineo (Luca 10,18). E finalmente, alla vigilia del tradimento, mentre Sàtana « entra in Giuda Iscariot •> (Luca 22,3) Gesù dichiara ai suoi intimi : «Il Principe di questo mondo viene e non ha nulla in comune con me » (Giovanni 14, 30). Se dunque si vuole tentare ad ogni costo la costruzione d’un sistema, l’unico che logicamente possa dedursi dai testi evangelici è quello che vede l’origine del male nella disubbidienza umana alla volontà divina, disubbidienza suggerita e facilitata dalla disubbidienza, dalla infedeltà, dalla ribellione a Dio di una creatura superiore all’uomo (cioè di un « angelo », Sa
tana), ribellione i cui funesti effetti si ripercuotono sul mondo fisico e cosmico, disorganizzandone e deviandone e traviandone Ile leggi.
Questa dottrina soddisfa... fintantoché non fa incappare chi l’accetta negli scogli quant’altri mai scoscesi e pericolosi del dualismo manicheo!...
Ma non possiamo qui dilungarci dal momento che queste vogliono essere non pagine teologiche, bensì pagine religiose. Unico scopo di queste nostre considerazioni sommarie è di ribadire la nostra asserzione che, ad ogni modo, deve cessare il malvezzo d’una arbitraria interpretazione del dolore che fa torto a Dio e reca agli uomini discutibilissime consolazioni spirituali.
Chi scrive sa per esperienza di non essere il solo assolutamente « refrattario » a tal genere, purtroppo così «corrente», d’interpretazione e vorrebbe contribuire a far relegare una buona volta tra i ferri vecchi di una sorpassata apologetica la vacua teoria della « prova • mandata o permessa da Dio.
Ad ogni modo — qualunque siano le contingenze dolorose dell’ora presente — davanti a noi brilla di luce vivida e inof-fuscabile la grande Speranza: Gesù è venuto a fondare sulla terra il Regno di Dio e, nel Regno di Dio, quando sulla terra la volontà dei Padre sarà fatta, come già oggi è fatta « nel cielo », non vi sarà più il peccato morale, non vi sarà più l’errore intellettuale e neppure vi sarà pili fra gli uomini il dolore materiale.
G. —- Il Problema della guerra.
Un terzo ostacolo, certamente estraneo alla volontà dei singoli, il quale ha velato in questi ultimi anni e vela ancor’oggi la visione del Cristo è la guerra, considerata tanto in se stessa quanto nelle sue conseguenze.
Chi avrebbe mai creduto possibile che — dopo centinaia di anni di Cristianesimo, in questo nostro secolo di luce e di progresso, dopo aver tanto parlato e scritto di solidarietà sociale, di pace internazionale e di fratellanza umana —noi avremmo assistito allo scatenarsi della più tremenda e più mostruosa guerra che abbia mai inondato di lacrime e di sangue la faccia del nostro povero pianeta!
Io non voglio davvero fare qui della politica, non voglio discutere le ragioni e i torti dei vari popoli. Ma ci sono dei fatti
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politici che si possono considerare da un pùnto di vista morale e religioso. Anzi, tutta la politica sarebbe trasformata se gli uomini che la dirigono, e che spesso diconsi « cristiani », vivessero davvero, tanto nella vita privata quanto nella vita pubblica, il Cristianesimo di Gesù Cristo.
Di fronte alla guerra—considerata dallo speciale punto di vista in cui ne stiamo parlando, come ostacolo cioè che fa velo alla visione del Cristo — di fronte alla guerra, dico, gli uomini si possono dividere in due categorie:
a) Coloro che, già prima dell'ultimo cataclisma mondiale, accusavano il Cristianesimo d’impotenza hanno avuto buon gioco per dichiararne il fallimento: quei soldati che si -bombardavano e si sgozzavano a vicenda non erano forse, in grande maggioranza, discepoli di Colui la cui nascita era stata annunziata al mondo dal coro angelico: « Pace in terra per gli uomini dalla volontà buona »? Dunque, per quei soldati, i precetti del Cristo — precetti espliciti di perdono, di sopportazione, di amore pei nemici, d’intercessione pei persecutori — non rappresentavano un imperativo intransigente, assoluto; non costituivano una regola di condotta rigida, categorica, che a nessun costo può diventar contingente, che per nessun motivo può subordinarsi non solo a qualsiasi altro interesse, ma neppure a qualsiasi altro dovere?
E se altri doveri, altri valóri, erano proprio, o potevano in certi casi diventare, superiori al Dovere, al Valore supremo dell’Amore costante e per tutti proclamato dal Cristo, se la morale del ■ cittadino • era diversa dalla morale del «membro di chiesa », se la ragion di Stato era più forte che la Ragion di Dio, allora come mai poteva ancora considerarsi degno dell’autorità e del titolo di Maestro, di Messia, di Salvatore, di Re, un uomo i cui ammaestramenti si rivelavano fallaci, un uomo responsabile di aver fondato tutto l’insegnamento suo sopra un immenso errore morale?
Così, di fronte alla guerra, hanno potuto ragionare i nemici, o gli estranei al Cristianesimo.
b) Ed anche coloro i quali, prima della guerra, credevano nel Cristo e —- pur essendo turbati da simili dilemmi, pur riuscendo malamente a conciliare dei principi in apparenza antitetici — hanno cercato d’esser fedeli ad un tempo alla loro patria e al loro Maestro, anche costoro hanno corso spesse volte il rischio di non pili vedere Gesù.
Che cosa può velare il volto del Cristo !>iù di quanto non lo veli il fumo d’una ratricida battaglia? Si combatta pure Eer una causa che si ritiene giusta, è dif-cile difendersi senza offendere, è difficile lottare, e ferire, ed uccidere — è specialmente difficile vedere il nemico che ferisce ed uccide—e non odiare questo nemico.
Ora, l’odio è un avvelenamento dell’anima, esso turba le fonti più intime e più pure della vita spirituale. Non solo l’odio ottenebra la vista, esso rende affatto ciechi e, se chi è cieco non vede il sole, come potrebbe egli, io ve lo domando, come potrebbe egli vedere Gesù ?
II.
Vorrei ora tratteggiare alcuni ostacoli alla visione del Cristo i quali appartengono ad una categoria affatto diversa da quella che ho considerata sino ad ora.
Come Zaccheo — abbiamo detto incominciando — anche, gli uomini d’oggi non possono vedere il Cristo, non solamente a motivo della fòlla, manerchè essi stessi sono, moralmente parlando, piccoli di statura.
A. — Il peccato.
La causa principale, la causa più frequente della nostra piccolezza morale è il peccato.
Il peccato è una malattia dell'anima, una malattia ch’io non saprei meglio - paragonare che alla filossera della vite. Esso, come la filossera, si attacca a tutte le parti del nostro organismo spirituale. Il peccato, sotto certe forme, rode le radici della nostra anima, sotto altre ne fa appassire i fiori, sotto altre ancora ne fa disseccare i frutti. Esso, di solito, ap-Ere più evidente quando riveste le mani-tazioni esteriori più grossolane della menzogna, dell’avarizia, dell’ impurità, della sete inestinguibile del piacere, del furto, del delitto.
Ma la radice profonda di tutte le manifestazioni esterne del peccato è una sola: l’egoismo, il quale ci separa dai fratelli.
Per rimettere l’ordine nell’attività umana ci vuole la visione del Cristo. Ma, per ottenere questa visione, bisogna elevarsi.
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e siccome l’uomo non può sollevarsi còlle proprie forze al disopra di -se stesso, occorre ch’egli salga sopra ' un sicomòro sul sicomòro della fede.
B. — L’illusione circa il proprio stato d'animo.
E ancora in altro modo noi siamo piccoli di statura. Siamo piccoli di statura quando siamo pieni di propria giustizia.
La « pròpria giustizia » consiste nel credersi giusti, nello stimarsi perfetti, o almeno avviati coll’ausilio delle sole pro-Srie forze, versò la santità. Tale illusione ell’esagerata fiducia in se stessi, tale illusione — più generale che non si creda, perchè la nutrono in fondo al cuore tutti coloro che, guardandovi con occhi attoniti, vi dicono: « Che male faccio io? » — tale illusione è, per la vita dello spirito, più pericolosa ancora del peccato. Il peccatore può riconoscere la propria colpa e pentirsi, il « proprio giusto », finché è pieno di se stesso, non si pente: semplicemente perchè non ne sente il bisogno o non lo crede necessàrio. L’essenza della «propria giustizia » è l’orgoglio, il quale ci allontana da Dio.
Guai a coloro che sono ripieni di « propria giustizia »! Essi sono ammalati di una malattia per la quale non c’è medicina che valga. Si credono dei giganti e sono dei pigmei: dei giganti in fatto di vanità, dei pigmei in fatto di vita spirituale. Da soli, non arriveranno mai a vedere Gesù. Per vederlo bisogna che salgano sopra un sicomòro, il quale si chiama il bisogno di salvezza.
C. — La mancanza d indipendenza personale.
lina terza categoria di uomini possono trovare in loro stessi un ostacolo alla visione del Cristo: intendo parlare degli schiavi dell’opinione pubblica, che potrebbero anche essere chiamati: gli schiavi del « si dice ».
Ci sono persone la cui preoccupazione dominante è quella di sapere che cosa si pensi di loro. E ciò non per correggere, se occorre, la propria condotta, ma per darla meglio ad intendere, ó per farsi più facilmente una buona riputazione. Queste persone desiderano essere amiche con tutti. Sono dunque pronte a sacrificare i loro principi (se ne hanno) e a mutare la loro
linea di condotta (nel caso ne posseggano una) pur di piacere, pur di accaparrarsi la così detta « stima » degli uomini.
Ebbene, gli schiavi dell'opinione pubblica sono dei piccoli di statura. Se vogliono vedere Gesù, occorre che s’arrampichino sopra un sicomòro molto alto che si chiama la libertà di pensiero e la franchezza nelle parole e nella vita.
I) . — La grettezza religiosa.
Ancora vi vorrei presentare un’ultima categoria di piccoli di statura: sono coloro Che noti mancano di religiosità, anzi ne hanno fin troppa. Ma questa loro religiosità è una cosa miseramente piccina: essa consiste il più delle volte in una ortodossia gretta, pusillanime, che s’offusca di ogni idea nuova, che si scandalizza per la più piccola infrazione alle consuetudini, che s’adombra quando le pare siano lesi i diritti del « si è sempre fatto così ».
Questa religiosità meschina, racchiusa nei gusci disseccati di quattro dogmi, fa il paio con quel puritanismo — proprio di altri tempi, ma che in certi ambienti vige tutt’oggi — con quella ridicola « pruderie » che si scandalizzava e si scandalizza, ad esempio, per una bizzarria della moda: una scollatura magari troppo audace, un cappellino magari troppo piumato, e rimaneva e rimane impassibile davanti alle peggiori ingiustizie umane, per esempio la tratta degli schiavi o l’asservimento di un libero popolo, o le mille forme dello sfruttamento moderno.
Oh, di certo, se costoro vogliono vedere Cristo, essi non arriveranno mai ad un’altezza sufficiente rizzandosi sulla punta dei propri piccoli piedi. Per vedere Gesù — il Gesù vivente che passa oggi pel mondo, e non il Gesù morto della loro ammuffita teologia — essi devono salire sopra un sicomòro altissimo, il quale sicomòro si chiama spirito moderno, sana critica storica, libertà di coscienza e di scienza, larghezza di vedute, intuizione psicologica e sopratutto amore, amore, amore.
III.
Faccio ora ai miei lettori ed a me stesso questa semplice domanda: Ti riconosci tu in cjualcuna — o in varie — delle categorie di persone che sin qui ho cercato di tratteggiare?
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Sei tu una vittima del lavoro, una vittima della ricchezza o una vittima della miseria?
Cerca di non opprimere nessuno, di non danneggiare nessuno e lavora anche te — ostinatamente — malgrado ogni delusione — per sostituire al regime della lotta per l’esistenza il regime della cooperazione per la vita. Così facendo, tu servirai nel migliore dei modi gl’interessi dell'anima — tua e dei tuoi fratelli — nel mondo intero.
Credilo: la preoccupazione sociale — lo studio dei problemi economici in rapporto coi problemi intellettuali e morali: in rapporto cioè colla coltura, coll’educazione, col progresso vero: in rapporto insomma coll’autentica elevazione, colla progressiva ascensione di tutta l'umanità — lo sforzo per capire, e quindi agire, mirando alla giustizia — la preoccupazione sociale, dico, è diventata, oggi più che mai, una necessità civica, una obbligazione spirituale, un dovere religioso. Nella sfera nazionale come in quella internazionale, tra le classi di un popolo come tra gli eserciti di vari popoli, la lotta di tutti contro a tutti lascia stremati e vinti e vincitori. Gli uomini son fatti non per combattersi a vicenda, ma per aiutarsi a vicenda, da un capo al-, l’altro del mondo. L'umanità non può sussistere se. di tutti i popoli, di tutte le razze e di tutte le religioni, non si forma al più presto — non in cielo soltanto, ma anche sulla terra — una famiglia sola: tale è il destino del genere umano, tale la legge del suo sviluppo che non impunemente s'infrange, tale la natura della sua vocazione, poiché Iddio, ch’è-padre di tutti gli uomini, !|ualùnque sia la lingua che parlano o la orma in cui l’adorano. Iddio è. uno\
Ancora.
Sei tu perseguitato dal dolore, dalla malattia, dal lutto?
Non ti accasciare in vani rimpianti, non ti abbandonare ad una deprimente desolazione. Afferra la speranza cristiana, quella speranza che ha brillato per la prima volta il mattino di Pasqua sulla fronte del Cristo vittorioso della morte e — al di là del dolore, al di là della malattia, al di là del sepoicro — tu vedrai Gesù.
Ancora.
Sei tu preoccupato, ossessionato dallo spettacolo di questo angoscioso dopoguerra? Hai tù> in certi momenti, l’impressione che i più sacri principi del diritto, dell’umanità, del cristianesimo, sono stati annientati dalla bufera immensa di odio
e di barbarie che per cinque anni ha travolto le nazioni e Che ora, in ogni nazione; travolge tutte le classi di cittadini?
Oh! se così pensi, se così senti, non lasciarti prendere dal dubbio. Se anche i suoi discepoli gli sono infedeli. Cristo è fedele. Se anche il Cristianesimo, inteso male come è stato sin'ora, sta morendo, ricordati che il Cristo vive. Ed Egli deve regnare. Egli deve trionfare. Egli deve aver ragione di tutti i suoi nemici: anche dell’odio, anche della guerra, anche della violenza, sotto tutte le sue forme!
Il principio della Paternità di Dio, che si trae dietro il principio delia Fraternità umana, rimane piantato nel cuore della Società nonostante tutte le aberrazioni dei popoli. Verrà il giorno in cui, su tutti gl’ideali transeunti e fallaci, si ergerà l'ideale supremo ed eterno:
• Oh Amore, Amore, che vinci ogni cosa! >
E ancora, lettore mio, ti accorgi tu di essere piccolo di statura?
Arrampicati sul sicomòro!
Sei un peccatore?
Ecco, vicino a te, la fede.
Sei una persona ripiena di « propria giustizia » ?
Ecco il pentimento.
Sei un temperamento debole, vittima dell’opinione pubblica?
Metti in tensione tutte le molle del tuo carattere e fatti ad ogni costo una personalità propria.
Sei tu piccino nella tua religiosità, nelle tue aspirazioni, nei tuoi ideali?
Questa religiosità, queste aspirazioni, questi ideali, armonizzali colle esigenze dell’epoca in cui vivi. Sali sopra il sicomòro che, in una fila ininterrotta di alberi simili, porta come caratteristica un semplice numero d’ordine: 1921. Sali, e tu vedrai orizzonti infiniti. Sali, e tu vedrai Gesù!
E poi, pensa.
Nell’atto in cui Zaccheo vide Cristo, Cristo vide lui e gli disse: « Scendi, oggi ho da albergare in casa tua ».
Anche per noi succederà lo stesso.
Nell’atto in cui noi vedremo Gesù» egli vedrà noi. E allora non avremo più bisogno di sicomòri. Scenderemo e ci butteremo nelle braccia del Maestro e sentiremo il nostro cuore premuto contro al Suo cuore e il nostro spirito vibrerà e palpiterà all’unisono collo spirito Suo, nella gioia ineffabile del Salvatore, finalmente trovato*
Giovanni E. Meillb.
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CRONACHE
ITALIA E VATICANO
i. Le prime avvisaglie - 2. L'offensiva vaticana - 3. L'allocuzione pontificia del ¡3 giugno e la logorrea italiana — 4. Conclusione.
1. Dopo avere a lungo e pazientemente informato il lettore sui rapporti tra Francia e Vaticano è venuto per il cronista il momento di aprire un altro capitolo: Italia e Vaticano. Che la discussione su questo argomento fosse ormai voluta, richiesta, desiderata lo dimostra l'accoglienza che ebbe l’articolo del Messaggero che alla fine di maggio metteva la questione sul tappeto.
In sostanza, il giornale diceva questo. La Francia dopo diciassette anni di rottura col Vaticano ha riconosciuto che non poteva restare assente presso quell’im-portantissimo centro di influenze internazionali. E adesso tutte le nazioni grandi e piccole hanno uh proprio rappresentante presso il Papa. C’è un solo paese assènte, e questo è l'Italia, la quale non ha interessi minori di quelli delle altre potenze da sostenere presso il Vaticano. Il problema che parve chiuso cinquantanni fa si è mosso ed in senso da poterne discutere senza timore che il prestigio dello Stato italiano possa soffrirne. L’Italia è uscita, forse, matura dalla guerra e dalia vittoria, per affrontare anche questo problema.
A questo appello faceva eco per il primo il Corriere d'Italia, naturalmente mettendone in evidenza l’importanza, concludendo però: « se da un semplice commento giornalistico si dovesse passare a qualche cosa di più effettivo, sappiamo bene che la delicatezza dell’argomento impone che
sia lasciato a ben altri lo studio dei mezzi atti a dare la soluzione del grave problema ■».
L'Idea Nazionale e II Tempo, vedremo poi in che senso, continuavano il concetto nel quale entravano subito - segno di uno stato di cose meno latente di quel che forse non si credesse - le voci ufficiose.
Quella della Consulta affermava che un eventuale accordo tra il Governo italiano e la Santa Sede non trovava opposizione preconcetta itegli ambienti politici, e che all'op-posizione rimanevano i cosidetli integralisti che sono gli stessi che hanno ostacolato in ogni modo e con ogni mezzo la conciliazione tra la Santa Sede e la Francia.
Quella del Vaticano (Osservatore Romano), èri naturalmente... più cauta e meno ingenua della governativa. Diceva testualmente così:
« Il Messaggero, l’idea Nazionale, li Tempo, in occasione della ripresa dei rapporti diplomatici tra la Francia e la Santa Sede, hanno parlato interpretando un sentimento popolare, del resto spiegabilissimo, della utilità di un simile avvenimento anche per l'Italia. Il fatto però che gli scritti^di questi giornali siano stati raccolti e commentati da altri che non militano nello stesso campo potrebbe indurre l'opinione pubblica e più particolarmente i cattolici ad una esatta valutazione delle differenti condizioni che una simile impresa dovrebbe affrontare e superare in Italia, ove permane in realtà l’imprescindibile soluzione di pregiudiziali
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che non esistevano con il Portogallo e la Francia, per citare i due ultimi Stati che hanno ripristinato le loro relazioni con la Santa Sede.
• E’ obbiettivamente giusto pertanto, che l'opinione pubblica, ma sopratutto i cattolici, si rendano conto in modo chiaro c preciso di quelle differenze di situazione, che ne rendono intempestivo, non solo l'esame particolare, ma la stessa designazione dei poteri all’uopo competenti perchè si tratta solo come altra volta di semplici ipotesi c di espressioni di pensièro soggettivo ».
¡.a qual attitudine veniva corroborata dai commenti dei circoli vaticani i quali, notando il tono col quale la stampa amica del Governo discuteva la forma in cui le relazioni fra i due poteri si avvierebbero alla soluzione, ritenevano ch’esso rivelasse se non un’intesa effettiva, almeno una tal q naie tendenza allo studio del delicato problema. A questo proposito si ricordava come il primo accenno ad una eventuale soluzione era stato dato alcuni mesi fa da una pubblicazione comparsa a Firenze di un opuscolo che portava la firma di « Constanti-nus • di cui si eia voluto attribuire se non la paternità, certo l'ispirazione al Cardinal Gasparri, mentre si seppe più. tardi che era l’opera di un prelato fiorentino. La polemica attuale non sarebbe stata che la ripresa in considerazione del tema svolto da quello scrittore, le cui idee non erano mai state sconfessate dalla stampa e dalla autorità cattolica. Ora, dati i rapporti personali di un alto funzionario italiano (il direttore generale del fondo per il culto, barone Monti] col Pontefice si riteneva non fpsse difficile il dedurre che l’attuale questione non si svolgesse all’insaputa della Santa Sede, ed in contrasto colle idee prevalenti in Vaticano
2 Questi i preamboli di fatto. Quanto ai giornali, l’opinione deWIdea Nazionale poteva essere nucleata intorno a questo periodo: « Non essendo l’Italia in alcun modo ufficiale nè ufficioso rappresentata in Vaticano, ed essendo arrivato in Vaticano il rappresentante della penultima nazione, che non ancora l’aveva, cioè la Francia, il posto dell’Italia presso la Santa Sede è, da oggi, da considerarsi due volte vacante ».
Quella del Tempo, a firma di e(rnesto) fc(uonaiuti), quindi, come ben diceva l’A-zione di Genova, • di evidente intonazione della Segreteria di Stato » aveva un altro
tenore ed un’altra conclusione. Proponeva, in sostanza, una nuova formula nei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia: « Chiesa sovrana in rapporti di buon vicinato collo Stato sovrano », e quindi una cessione territoriale sia pur minima, - « modestissima zona spaziale » - facendo appello all’Italia perchè approfittasse delle buone disposizioni degli « uomini che oggi presiedono alle sorti del cattolicismo ».
Il carattere ufficioso del giornale in cui appariva questo articolo... ufficioso deliba tra sponda accreditava naturalmente l’idea che les avances venissero dal governo italiano e la stampa cattolica, piccola e grande, innalzava il suo osanna, domandando però naturalmente che venissero più esplicitamente e più direttamente sottoposte al Papa le • condizioni » di pace. Quella meno cauta formulava addirittura le condizioni, chiedendo Roma, mentre il Messaggero ritornava sull’argomento cedendo tutt’al più i palazzi apostolici e il Corriere d’Italia, applaudito dall’/rfea Nazionale, fissava i termini del problema nei due suoi rami principali: questione romana {sovranità pontificia): questione italiana (legislazione ecclesiastica italiana). Questo articolo, dovuto ad Enrico Pucci, aveva una grande eco per la sua larga impostazione, sebbene nascondesse terribili difficoltà che i cosiddetti liberali non hanno veduto o ànno fatto le viste di non vedere, e lo riproducevano tutti i massimi giornali cattolici dell’Italia.
L’unica opposizione in questa campagna, così finemente condotta dal Vaticano, era rappresentata dal Giornale d’Italia che si domandava con molta tranquillità e con molto buon senso, quale sarebbe stato il vantaggio che avrebbe ricavato l’Italia da questa riconciliazione. I socialisti, secondo l’inchiesta fatta dall’Eco di Bergamo, rimanevano indifferenti e scettici per lo meno sulla possibilità che la cosa si effettuasse; consule Giolitti, salvo che questi non la volesse affrettare per un egotismo megalomane e promettevano la loto... astensione per non appoggiare il provvedimento e per non fare il giuoco della massoneria.
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3 . Si era a questo punto della discussione quando intervenne un fatto nuovo. Il tredici giugno il Papa nel concistoro teneva una allocuzione di grande importanza.
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CRONACHE
In essa, prendendo posizione contro il sionismo e la politica inglése in Terra Santa, lamentava cose che, nella forma, dovevano riuscire dolorose ad ogni cuore, nonché cristiano, d’uomo che sentisse e avesse a cuore la civiltà moderna: « Ad haec multa videmus e multis dari operam ut Loca sanala profanentur, atque in volupiarios quosdam secessus converlantur, importan* dis illue deliciarán) illecebris omnisque generis invitamentis ad luxuriam, quae quidem probari nunquam alibi possunt, nedum ubi- passim augusta religionis ex-stant monumenta ».
Senonchè la stampa non curò molto questo passo che era forse quello che poteva trovare il maggior consenso e indurre tutti ad approvare l'appello del Papa alle nazioni civili perchè di tale scempio fosse allontanata là minaccia (x).
Essa si fermò a discutere a lungo l’altro punto, diplomaticamente sibillino, in cui, dopo aver salutato con gioia la ripresa delle relazioni colla Francia, il Papa usciva in questa dichiarazione: « Quod igitur haud ita pridem difficilimum factu in hac tristitia temporum videbatur, id nunc, Dei providentis nutu, est, ut — ubi improbanda non adsit rerum condicio Romani Pòntificatus impediens libertatem — cultarum gentium respublicae fere uni-versae cum ¡sede apostolica societatem habeant ».
Tutta la stampa s’impossessò naturalmente dell'accenno e se lo biascicò in tutti i sensi per cavarne il massimo sufcc’o: chi con l’aria di dimostrare che il Papa aveva usato straordinario riguardo all’Italia, chi con la volontà di masticatore
(x) Non potendo dare precisi particolari su tale allusione riferiamo qui in nota quanto troviamo riportato a commento di questo passo neW Oriente Moderno (fase. 2 pag. 82): « È opportuno rilevare che (contrariamente ai commenti di parte della stampa) l’allusione alla profanazione dei luoghi santi non si riferisce ai progetti edilizi per Gerusalemme, bensì alla Società Sionista dèi « Carmelo » sorta per trasformare in luogo di ritrovi mondani e di villeggiature eleganti il Mónte Carmelo (prospiciente il mare presso Caiffa), caro alla tradizione cristiana medioevale e luogo d’origine dell’ordine dei Carmelitani ».
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di hascisc per inebriarsene e salutare l’avvento dei novi tempi; pochi - la Perseveranza eli Giornale d'Italia tra questi -con la gravità che richiedeva l’argomento intorno a cui verteva la discussione.
Ne venne fuori un gran dilagare di parole vuote, di articoli, di cronache, di storie ad usuni delphini che non esaminarono affatto intuì et in cute il problema gravissimo, non ne videro iiè la difficoltà, nè i danni ed i pericoli, n< igli eventuali benefici.
Srtingi stringi, tutto si ridusse in tanta miseria di pensiero e in tanta ricchezza di- parole ad affermare da una parte che si sarebbe limitata la richiesta del riconoscimento di sovranità sui palazzi apostolici, dall’altra che era assolutamente necessario risolvere la questione, approfittare delle buone disposizioni papali e... scimmiottare la Francia nominando un rappresentante italiano presso il Vaticano. In fin dei conti l’Italia dimostrava di essere giunta... al gran passo da un puro e semplice bisogno imperialistico che contava di servirsi della Chiesa per le sue vedute di dominio e di violenza. Se la S. Sede abbia ben valutato questo sentimento non lo sappiamo: certamente essa era disposta a passarvi sopra, pur di trovare un appoggio sicuro ed una più sicura difesa’.
4. Lo spazio ci vieta di informare più a lungo i lettori su quésta cronistoria che si prolunga ancora e che à dei lati comici come à dei lati veramente gravi. Prospettandola, brevemente, così come l’abbiamo rilevato dalla stampa, ci riserviamo di continuarla nel prossimo numero non tanto cronologicamente, quanto rendendo conto diwalcune opinioni veramente importanti espresse da alcuni uomini politici sull’argomento in riviste e giornali e so-fratutto non di rado in relazione di quel-opera che il nostro collaboratore Guglielmo Quadrotta à pubblicato per i nostri tipi, onde possiamo affermare con qualche orgoglio che anche noi abbiamo non infruttuosamente contribuito, se non alla soluzione, per lo meno all'impostazione del grave problema.
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STUDI BIBLICI
Un manuale di storia orientale degno di nota anche nel campo biblico è quello di H. Hall (The ancienl hislory of thè near East. Londra, Methuen, 1920 4’ ediz., prezzo 16 s.) compilato per le scuole universitarie di Oxford. I vecchi compendi di storia dell'antico Oriente, situato tra le rive dell’Egeo e le montagne della Persia, oggi risultano manchevoli perchè basati Ìiuasi soltanto sui dati tradizionali delle . onti letterarie. La moderna esplorazione di quel mondo fatta dagli archeologi di Ogni nazione, ci offre risultati positivi da cui si sprigiona nuova luce. Di quei risultati si giova l’A. dell'anzidetto Manuale compiutamente; attingendo dagli scritti dei Ìiù reputati archeologi specialisti nell’in-agine storica delle singole regioni orientali. L’essere questo cospicuo volume pervenuto alla quarta edizione in un lass > di tempo relativamente breve e poco propiziò agli studi di storia antica, può prendersi come sicuro indizio di pregio intrinseco non comune. Alla storia degli Ebrei l’A. concede un largo posto; e la tratteggia con molta indipendenza dagli schemi tradizionali, usualmente consacrati nelle pagine dei Manuali. Nella prossima edizione egli potrà utilmente giovarsi anche di scoperte fatte in questi ultimi anni in Etiopia e nel Caucaso, nonché delle ricerche su gli Etéi nella pubblicazione tedesca (BoghazMi Studien) diretta dall’assirio-logo O. Weber.
Le ultime scoperte in Etiopia sono descritte magistralmente da G. Reisner in un articolo pubblicato in The Harvard Theo-gical Review (voi. XIII, 1920, pp. 23-44), Egli affe-ma che, grazie alle scoperte fatte
dalla spedizione archeologica nòrdamericana tra il 1916 e il 1919, 0 ormai è stabilito il mondamento per una storia dell’Etiopia, compresovi il periodo connesso con quella della Palestina » (p. 25). Il quale periodo, come si sa, cade nei tempo del profeta Isaia e del re Ezechia, che regnò in Gerusalemme dal 714 al 685, ed ebbe a che fare con il famoso monarca assiro Sennacherib. Nelle vicinanze di Rapata, che fu la capitale dell’Etiopia dal 900 al 300 av. C., si rinvennero, e si poterono sicuramente accertare, le tombe di venticinque monarchi etiopi che regnarono dal 550 al 300 av. C.; tra cui Pfanchi, Sabaca, abataca, Tirhaca e Tanutaman, che signoreggiarono l’Egitto da Assuan al Delta. Di tali monarchi ora è stabilita con Ì»recisione la successione cronologica, il amoso Tirhaca è menzionato nella Bibbia (Il Re 18, 19; Isaia 36, 37). Alla luce di tali scoperte il R. esamina brevemente anche le relazioni politiche dell’Etiopia dominatrice dell’Egitto con l’Assina e la Palestina, al tempo dell’anzidetto monarca, che regnò dal 689 al 663 av. C.; e gli sembra di potere così confermare le congetture della moderna critica circa l’interpretazione di alcuni passi del Vecchio Testamento che a quelle si riferiscono.
Cronologia babilonese. — Il paese di Su-mer e di Accad, là Babilonide, si affaccia alla’ storia crepuscolare come un aggregato di Stati minuscoli; ciascuno de’ quali ha un principe, una città e dintorni, nonché un dio suo proprio con tempio e riti. Da uno di quegli staterelli, originar amente chiamato Agadè, mercé l’opera del sovrano Ham-murabì, circa ventun secoli av. C., trasse
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origine il primo regno di Babilonia. Gli assiriologi hanno potuto stabilire la cronologia della dinastia babilonese resa gloriosa dal nome di quel re, conquistatore e sapiente; però non ogni dubbio è dissipato. A meglio stabilirla ha recato un contributo ragguardevole l’assiriologo francese Thurean-Dangin con una monografia intitolata: La Chronologie des dynasties de Sumer et Accad (Parigi, Leroux, 1918. pp. I-67). Si tratta, óltre che della prima dinastia babilones.e, di quelle in parte sincrone di Larsa e di Nisin. Gli studiosi competenti hanno accolto con favore le conclusioni di questa monografia. Ad esempio, l'assiriologo A. Deime! S. I. le approva, illustrandole con pregevoli osservazioni, in una recensione — in lingua tedesca — pubblicata nel periodico romano Biblica (voi. I (an. 1920), n. 1, pp. 117.123 ). In fine questi nota che l’anzidetta monografia ha importanza non solo per gli assiriologi, ma eziandio per gli studiosi della antica storia orientale, e segnatamente per i cultori della Bibbia, in quanto abbisognano di dati sicuri per la cronologia biblica. Gli sembra che l’A. abbia definitivamente in vari punti accertata, o quasi, la cronologia di re Hammurabì • il quale, giusta la comune opinione, è identico con il biblico Amrafel; contro la quale supposizione finora non si potè, nè sotto l’aspetto filologico nè sotto l’aspetto storico, apporre qualche fondata ragione ». Che che sia di ciò, re Hammurabì (il quale, secondo il Thu-reau-Dangin, ha incominciato la sua conquista nel 2123 av. C.) ci ha tramandato un codice di lèggi meritevole d’essere noto a ogni persona colta, e in certe parti degno di ammirazione ancor oggi.
I papiri- di Elefantina. — La letteratura circa questi antichissimi documenti giudaici, già esaminati autorevolmente dal prof. Minocchi in questo periodico, oramai è copiosa fuori d’Italia. E presto si arricchirà della edizione, sótto ogni aspetto compiuta e grandiosa, che in Inghilterra si sta preparando a cura precipua dell’esigne semitista A. Cowley. Intanto egli volle offrirne la miglior parte, cioè 38, nuovamente interpretati e raccolti in un volumetto intitolato : • Documenti giudaici del tempo di Ezra » Jewish Documenti of thè limes Ezra. Londra, Macmillan, 1919; pp. xxv-roo : prezzo 4 s. 6 d.). Benché sia destinata al largo pubblico delle personé cólte, questa interpretazione si
presenta con tutta la precisione scientifica possibile in tale lavoro; e le notizie date-nell’introduzione sono ben degne di considerazione, uscendo dalla penna del Cowley che per il primo decifrò alcuni di quei papiri; e poi li ha studiati tutti quanti con gran cura.
Come si sa, essi furono via via scoperti tra il 1898 e il 1908 nei ruderi di Elefantina; che anticamente sorgeva sulla destra de Nilo, di rimpetto ad Assuan ovvero-Siene II nome Elefantina è la traduzione ?:reca dell’egiziano Jeb, che significa •• eie-ante »:/ vi fioriva il commercio dell’avorio, essendo vicina alla Nubia ricca di elefanti. Anticamente Elefantina e Siene costituivano una fortezza militare, presidiata con truppe mercenarie incaricate di sorvegliare i passi della vicina popolazione etiopica, sempre agognante al fertile paese del Nilo. Nel quinto secolo av. C., còme ora sappiamo da quei papiri, la guarnigione militare di Elefantina era formata in parte da uomini ebrei con le loro famiglie. Non è detto che tutta quanta la colonia giudaica di Elefantina facesse parte della guarnigione allora; ma vi andò in origine, forse al tempo di Psammetico II (595-590) se non prima, come addetta mercenariamente al presidio} militare. Nel quinto secolo avs C. l’Egitto, apparteneva all’impero della Persia; e appunto dall’anno di regno dei vari monarchi persiani sono datati, quasi tutti, quei papiri; che furono scritti fra il 494 e il 400 circa av. C. Recano la data, non solo dell'anno, ma anche del mese e del giorno perchè sono, la più parte, documenti civili, ossia atti e contratti legali. Alcuni però, e questi sono i più importanti per la critica biblica, si riferiscono al santuario e al culto di quella colonia giudaica; anche di essi si conosce la data. Vi sono pure due testi di carattere letterario: la versione in aramaico della famosa iscrizione di Behistun e la storia di Achicar, che è l’Achiacaro del racconto biblico di Tobia. Tutti questi documenti appartenevano alla comunità ebrea di Elefantina; e ci rivelano quindi la vita civile e religiosa giudaica in quell’angolo lontano di terra egiziana nel tempo che in Palestina, essa pure soggetta ai Persiani, per opera specialmente di Ezra, si restaurava, dopo l'esilio babilonese, la vita sociale e religiosa della nazione de’ Giudei.
Quanto alla autenticità di quei documenti, il Cowlej non ne dubita affatto e in vero non merita di essere confutata l’opinione, isolata e fantastica, che quei papiri siano
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opera di un falsario. Il C. non teme d’ingannarsi dicendo, per esempio, che il papiro V fu sigillato nel 471 a. C.. e fu poi aperto la prima vòlta nel 1904 alla Bodleiana in Oxford. La lingua in cui sonò scritti, dice il C., è l’aramaica; e la scrittura é quella stessa che Ezra dovette usare in Palestina : i moderni caratteri quadrati ebraici traggono origine da tale grafia. Si sa che l’idioma aramaico, affine all’ebraico, in quel tempo era come il linguaggio diplomatico internazionale in Oriènte: era adoperato dal governo persiano nell’amministrazione deli'? province, nonché in Babilonia. Di questo idioma naturalmente dovevano servirsi anche gli Ebrei di Elefantina, essi pure sudditti dei monarchi persiani.
Quanto alla vita religiosa di quella colonia giudaica, il C. la scorge rivelata dai papiri in modo tale da fornire alla moderna critica biblica un prezioso a silio-Le cose religiose, e anche civili, della comunità erano affidate ai sacerdoti del santuario: ina essi nei papiri non ricevono mai il nome biblico di figli di Aronne. Quei coloni professavano il culto del Dio degli Ebrei chiamato Jahu, che è la forma primitiva (e non l’abbreviazione) del nome Jahvé; ma ignoravano o negligevano la. proibizione di non scrivere e di non pronunciare questo santo nome. Inoltre sembra che con Jahu associassero altre divinità seconda-darie: e non si facevano scrupolo, contrattando con persone egiziane, di giurare in nome della dea Sati. Cele’; ravano il culto in un loro prop io e vero santuario, con l’altare degli olocausti. Ciò non sarebbe stato lecito secondo la prescrizione del Deuteronomio (xii, 5-6 ecc.) che designa Gerusalemme come luogo unico dove offrire a Dio i sacrifici. Ignoravano essi la detta legge oppure, conoscendola, volevano ereticamente spregiarla ? Non pare che si tenessero per eretici, giacché chiesero ripetutamente a Gerusalemme aiuto per rifabbricare il loro santuario di Jahu, dopo che fu demolito nell’anno 140 del regno di Dario Il (424-404) dai sacerdoti del dio Cnub, protetti da Vaidrang, governatore della fortezza di Jeb (Elefantina). Piuttosto sembra che quei coloni ebrei tranquillamente continuassero il costume dei loro antenati del tempo di Samuele: il quale profeta offriva sacrifici in Ghilgal e altri sacrificavano piamente qua e là in Palestina per molto tempo dopo. Che ne era allora del Deuteronomio dettato da Mosè, centralizzatore del culto nazionale in Gerusalem
me? La moderna' critica risponde che il detto codice di leggi non esisteva prima del 621 a. C., e prima di Ezra non si conosceva neanche in Palestina quella legislazione religiosa che era ignorata dagli Ebrei di Elefantina. Così nasce là questione se e in che misura le idee e le condizioni religiose rivelate da questi papiri rechino conferma alla moderna teoria circa l’origine successiva e tardiva della legislazione religiosa della Bibbia. Il C., insieme con altri critici autorevoli, pensa che i papiri costituiscono nell'insieme, non os ante contengano cose difficili e indecifrabili, una cospicua riprova dell’anzidetta teoria.! Ma la questione?«! complica a cagione degli elementi pagani che sembrano commisti con il culto di Jahu c qualche critico,^ per esempio Van Hoonacker, vuole in quel coloni di Elefantina ravvisare dei « samaritani » invece che dei « giudei ». Ci sembra, a ogni modo, che tali papiri, se alla moderna critica biblica non portano una conferma indiscutibile, nemmeno le fanno contrasto.
L'umbllico della terra. —Circa il costume di vari popoli antichi, compreso quello ebreo, di additare nel 'oro proprio pac e « l’umbilico della terra », si possono leggere notizie erudite in due Memorie pubblicate recentemente a Lipsia da W. H. Roscher in Abhandlungen der philoXog. histor. K lasse der kgl. Gesellschafl der Wissenscha/ten (tomo 29, n. 9; tomo 31, n. 1): le troviamo sunteggiate in una nota di J. Dóbler nella Zeitschrijl fiir katholische Theologie (àn. 1919, pp. 742-46) con l’intento di giovare agli.studiosi delle credenze giudaiche.
Il R. osserva che l’usanza «li designare in qualche luogo del loro proprio territorio l’umbilico della terra non si trova solamente presso i Babilonesi?— donde alcuni la vorrebbero derivata agli Ebrei —, ma bensì presso tanti popoli antichi o primitivi; come i Persiani che chiamano Cuzco l’umbilico dei mondo. Un tale costume deve stimarsi come effetto spontaneo della mentalità popolare; non c’è bisogno di cercare dove sia sorto la prima volta 'e come di là siasi propagato nel seno di altri popoli. Va ricordato che anticamente, come si arguisce pure da certe locuzioni omeriche, l’anima dell'uomo con la facoltà della ragio ne credevasi dimorante nel mezzo del corpo, cioè nella regione umbilicale.Questacreden za cessò dopo che Ippocrate ed altri dotti dell’antichità additarono la fronte come sede della ragione: ma sul greco suolo ne
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rimase traccia per lungo tempo: basta ricordare la curiosa setta degli omfalopsi-col gì che nel convento di Athos fioriva durante il secolo xiv: la voce greca omphalós significa umbilico. Che che sia di questa obliterata superstizione, la tendènza popolare a cercare l'umbilico. del mondò è quasi sempre congiunta con la supposizione della rotondità della terra — orbis terrarum — ed è poi provocata anche da ciò che chi osserva il cielo sopra del suo Koprio capo ha l’illusione di trovarsi nel
3go terrestr e più distante da quello; < ssia nel luogo a cui perpendicolarmente sovrasta il centro della volta celeste. Si nota però che nelle località designate come umbilico della terra trovasi ordinariamente praticato un culto; ossia, vi è un tempio: per esempio, un tempio di Apollo era a Delfi, ' a Patara e a Thymbra; e il tempio di Jahvé sorgeva in Gerusalemme, vantata come umbilico del a terra santa e poi anche del mondo abitato.
Il R. opina che la elezione di Gerusalemme a sede unica del Santuario di Jahvé, voluta dalla legge registrata nel Deuteronomio (C. 12, 5), avesse connessione appunto con la credenza che fosse quella città l’umbilico della terra. Ma, come giustamente osserva il D. nella nota sopra menzionata, è per lo meno ugualmente probabile la supposizione inversa. A giudicare qualche testo biblico (Giudici, 9, yy: • ecco una gente che scende da\V umbilico del paese ») in Sichem ovvero nel monte Garizim, prima che in Gerusalemme ovvero nel monte Sion, fu additato il centro della terra israelitica. Nella letteratura profetica il vanto è già passato alla capitale della Giudea. Nella letteratura rabbinica poi si parla così: Israele dimora in mezzo dei popoli, . Gerusalemme sorge nel mezzo del paese d’Israele; il tempio nel mezzo di Gerusalemme; il luogo, più santo trovasi nel mezzo del tempio; l’arca nel mezzo del luogo più santo; e la sacra rupe dinanzi all’arca quale fondamento dell’universo. La sacra rupe venne mutata dai cristiani nella sacra località del Golgota; dove per la morte di Cristo fu operata la redenzione del mondo. Tale deduzione fu appoggiata con la citazione biblica: « Dio ha operato la salvezza nel mezzo della terra » (Salmo 74,. 12). La vulgata reca: Deus opéralas est salutem tn medio ter rae: equivocamente, perchè la corrispondente frase del testo ebraico significa «dentro il paese». Si sa che anche Dante ricevette dalla tradizione giudaica e cri
stiana la credenza che Gerusalemme sia posta nel centro del mondo abitato (Inf-34, 14). Oggi noi sappiamo dùnque che i Babilonesi prima degli Ebrei, ed altri popoli antichi e primitivi insieme con Israele, avevano ed hanno la ingenua persuasione di abitare, nonché di venerare la divinità, nel punto centrale dell’orbe terrestre; ma sappiamo pure che Israele non divide con nessun popolo del mondo pagano l'idea sublime del Dio dei Profeti adorato nel tempio di Sion: ciò ha vera importanza, non il resto.
La religióne punica. — Benché fiorente nel mondo della civiltà greca, e da questa influenzata notevolmente, Cartagine era ed essenzialmente rimase, nell’età punica, una colonia di Fenici, cioè di gente semitica fedele alle credenze e alle pratiche religiose de’ suoi antenati di Siria; vicini agli Ebrei non solo geograficamente, ma eziandio storicamente. Tutto quello che alla luce dei testi antichi e dei moderni trovati archeologici ci è dato di congetturare intorno alla vita sociale e religiosa d i Cartaginesi, con varia probabilità storica, trovasi nel dotto volum • di S. Gsell intitolato La Givi Usatimi Carlhaginoise (Parigi, Hachette, 1920; pagine 515 in 8®): che è il iv tomo della sua « Storia antica dell’Africa settentrionale », opera di gran pregio critico.
Quanto alle divinità dei Cartaginesi, l’indagine storica è necessitata a chiedere lume dall’oriente semitico, poiché la loro mitologia non ci è direttamente attestata. Ad esempio, si sa che tra le loro divinità aveva un posto preminente quella chiamata da essi Tanit Peni Baal; ma di questa magna dea punica non si Sa quasi altro che il nome; che nei tes'i s’incontra sovente accompagnato da quello di Baal Hammon un’altra divinità popolare e per noi misteriosa. Circa il significato della locuzione peni baal si è nell’incertezza: l’A. esamina tutte le congetture proposte finora, ma senza giungere a conclusione definitiva; e di fronte a tanta oscurità non osa sentenziare che quella dea fosse peregrinata da Sidone a Cartagine: potè essere anche una dea ivi trovata dai Fenici, e da essi accettata e accompagnata con Baal Hammon, dio fenicio. Probabilmente l’appellazione anzi detta significa «l’astante dinanzi a Baal » e può essere riscontrata con la frase biblica per via della quale sono designati i pani collocati dinanzi a Jahvé (ebraicamente òanìm), nonché con quella adoperata parlandosi dell’angelo Raffaele (Tobia 12, 15)
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e dell’angelo Gabriele (Luca i, 19); «l’astante dinanzi a Dio ». Se la voce hamtnon cor. isponde a quella ebraica hamntan, Baal Hammon significherebbe « Signore della stela » ovvero dell’altare intorno al quale sórgevano stele o figure sacre (11 Cronache, 34, 4): il recinto sacro, l’altare, il santuario e gli accessori assurgevano presso i Semiti al grado di entità divine: si ricordi l’usanza giudaica, menziona: a nella storia evangelica, di giurare per Fai are ecc., (Matteo, 23, 18). Non possiamo additare neppure sommariamente le indagini dell’A. circa le altre divinità cartaginesi e le relazioni di esse con quelle del mondo greco e romano. Come risultato generale FA. stabilisce che • i Cartaginesi attraverso i secoli si tennero fedeli agli dei della Fenicia ». Ciò non toglie che nelle credenze e nelle pratiche religiose essi abbiano subito l’influsso dell’ambiente locale: ad esempio, come già si sapeva da Erodoto, grazie al loro contatto con i Greci presto i Cartaginesi abbandonarono il barbaro rito orientale della circoncisione. Ebbero primitivamente il costume di bruciare i cadaveri; molto tardi presero quello di seppellirli.
Il racconto del paradiso terrestre non termina con la notissima pagina pittoresca del Genesi, ma prosegue in altre pagine della letteratura biblica e giudaica: ha un’evoluzione analoga alle varie fasi dell’ebraismo. Inoltre, va notato che quel racconto vuol essere, precipuamente, non il veicolo di una dottrina teologica astratta, ma bensì la popolare espressione, ossia, la plastica rappresentazione dell’umano anelito incessante verso un ideale di felicità nella vita sulla terra. Come è naturale il simbolo paradisiaco biblico reca nell’origine e nella evoluzione l’impronta del paese, della razza e della vita storica degli Ebrei: di guisa che tali elementi di fatto hanno da costituire il criterio d’interpretazione. Un saggio esegetico a norma dei dati storici è quello che, sotto il titolo di Le jardín d'Elohim et la source de vie, si legge nella parigina Revue de l'histoire des Religione (an. 1920, pp. 289-332): ne è autore A. Causse, noto cultore di studi biblici.
A raffigurare l’ideale della vita felice nel pacifico soggiorno e nel quieto lavoro di un orto, allietato da fresche acque e da ombrosi alberi fruttiferi, dovette porgere stimolo la condizione dell’agricoltore palestinese. Il beneficio delle fontane e delle piante alimentate da quelle fu sempre pregiato moltissimo nella Palestina, terra fertile se irrigata, ma in quasi tutta la sua superficie cisgiordanica povera di corsi d'acqua e di alberi verdeggianti; e per lunghi mesi bruciata da un sole ardente e implacabile. Tanto care furono e sono ancora agli abitanti di quel paese le poche sorgenti che sgorgano perenni nelle vai li 0 sui fianchi delle colline; fon ane creatrici di fresche e verdi oa-? i nella distesa monotona e desolata. « L’hom-me jardinier dans le jardin divin, c'est là le réve du paysan palestinien*» (p. 298). A ciò si aggiunga la tendenza semitica — originata forse dall’aridità delle steppe di Arabia e di Siria — a ravvisare nelle fonti e nelle verdi piante ombrose rn singolare effetto della divina potenza; e quindi a venerarle anche come simboli dell’adorata divinità. La fonte e l’albero vivente sono due cose che fanno parte della religione, non solo presso i Babilonesi — con le leggende dei quali il racconto bib'ico è palesemente connesso —, ma presso tutti gli antichi popoli orientali vicini a quello degli Ebrei. Premesse simili osservazioni circa la genesi del « mito paradisiaco in Israele », il C. ne addita l'evoluzione in simbolo escatologico — com’è nelle visioni dei Profeti — e poi apocalittico — com’è nella letteratura giudaica popolare al tempo di Cristo. La triste esperienza di ogni dì e di ogni età induce il figlio d’Israele a collocare nel lontano avvenire il suo sogno di felicità terrestre che non si può avverare mai: ciò è ben capito dall’evangelista che fa parlare Gesù con la Samaritana al pozzo di Sichem: non alla fonte di Giacobbe, che dissetava le pecore, ma solamente a quella del Cristo, divina sorgente di vita spirituale, può trovare refrigerio l’uomo eternamente dolorante.
r. e. p.
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RIVISTE TEDESCHE
L’Essenza del Cristianesimo secondo Lessing e Kant. — Dopo Leibniz furono certamente Lessing e Kant ehe impressero l’orma più durevole sul pensiero contemporaneo intorno al problema della teodicea ed a quello religioso. Lutero aveva ripudiata l’autorità dei Concilii, della Chiesa, della tradizione, e accettava come norma pér il pensiero religioso la Bibbia. Ma Lessing, come avverte J. P. Steifes {Historisch-Politische Blätter, voi. 166, 9, io) rilevando le inesattezze di questa, apriva il varco alla discussione circa la ispirazione. La religione e il Cristianesimo si trovano per Lessing nella Bibbia, ma non ne dipendono. Il Cristianesimo, che esisteva prima della Bibbia, continuerebbe a vivere anche se questa più non fosse. Con questa tesi Lessing si metteva in aperto contrasto con la maggior parte dei più noti pensatori e teologi del suo tempo. Nel suo pensiero il Cristianesimo rappresenta una tappa dello sviluppo, religioso, la più elevata; è la religione dell’amore, ma non ancora del supremo amore; questo dovrà essere annunciato da un nuovo e vangelo, \' Evangelium aeternum. Il Cristianesimo quindi non è considerato da Lessing come una rivelazione definitiva.
Quest’indirizzo idealistico razionalista trova il suo complemento in Kant. Lessing aveva postulato un progresso intellettuale indefinito; ma Kant, negando la possibilità della metafisica, non ammette che la ragione possa affermare qualcosa di Dio, del l’anima, della libertà, dell’immortalità, ecc., e quindi per lui della religione non rimane che l'aspetto pratico. Il senso della religione, secondo Kant, consiste nel considerare i comandamenti morali
come comandamenti di Dio. Di conseguenza il Cristianesimo è vero solo in quanto serve alla morale: e Gesù e la Bibbia devono essere giudicati da questi punti di vista. L’essenza della religione, che è devozione a una realtà superiore, rimase, come si vede, ignota a Kant. Egli disconobbe tanto l’oggetto religioso, quanto il soggetto, l’uomo, che non può separarsi in essere fenomenico senza ragione, e in essere razionale senza contenuto. Egli ignorò l’interiore azione di Dio che ritenne pericolosa per l’autonomia dello spirito, mancò del senso storico di Lessine, e se ne precluse la via con la sua critica della ragion pura. Ma tanto Lessing che Kant rigettano il soprannaturale nel senso in cui l’insegna il Cristianesimo. Abbandonano essi il concetto biblico di Dio, abbandonano la rivelazione, la grazia, il peccato, i sacramenti e i fatti della religione cristiana, quando non dànno loro un altro senso. Dal punto di vista dogmatico, conclude Steffes, la filosofia religiosa di questi due pensatori ebbe conseguenze distruttive, ma benefiche influenze esercitò l’idealismo etico in Germania su l'ulteriore sviluppo teologico.
L’assolutezza del Cristianesimo alla luce della Storia delle Religioni. — Cattolici e protestanti sono uniti nel dire che il Cristianesimo ^religione assoluta, cioè a dire la sola religione perfetta rivelata da Dio. Ma quando si conosce la storia delle Religioni può sorgere qualche dubbio. Sin dal tempo del razionalismo, dice F. Heiler {Die Christliche Veli, 34, 15) l’opinione che il Cristianesimo sia una religione come le altre, o migliore, è penetrata in molti circoli estraecclesiastici, e
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il dubbio che Iddio abbia rivelato la sua volontà solo ad una piccola parte dell’umanità, lasciando l’altra nell’errore, si è fatto sempre più forte. La scienza delle religioni ci à enunciato tre fondamentali concezioni: i° la religiosità non cristiana à innumerevoli analogie con quella cristiana e col suo valore profóndo e centrale; 2° la religione cristiana sta in contatto storico con la religione non cristiana; 3® la religione cristiana è determinata dalle medesime leggi storiche e psicologiche delle religioni non cristiane. La constatazione di questi tre fatti, à una portata superiore a quella di una semplice conoscenza scientifica, elevandosi al grado di una esperienza religiosa, alla conoscenza della unità religiosa di tutta l’umanità. Questa conoscenza non è nuova, perchè i mistici di tutti i tempi l’ànno concepita ed espressa. Noi dunque non possiamo affermare l’assolutezza del Cristianesimo nel vecchio senso della parola, cioè'1 come una interruzione del processo storico; ma raffermiamo in un senso nuovo. La storia comparata delle religioni ci insegna che il Cristianesimo è un anello nella catena delle religioni, ma ci insegna altresì che ad esso compete un posto particolare per i caratteri unici che esso possiede, ed è in questo senso che può dirsi assoluto, li cristianesimo è religione assoluta perchè contiene tutti i valori religiosi della vita. Non solo esso è la patria del misticismo e della preghiera, non solo esso possiede in copia maggiore ciò che le altre religioni posseggono, ma esso, con Israele, è rivelazione profetica e storica, è religione cioè personale, in contrasto con tutte le altre. L’assolutezza del Cristianesimo quindi si riferisce non tanto al suo miracoloso apparire, quanto al senso del suo .valore.
I principali motivi del culto della madonna. — Dello stesso F. Heiler leggiamo con questo titolo, in Zeitschrifl fùrTheo-ogie und Kirche (28, 6) un articolo in cui, seguendo i motivi del culto di Maria, distingue le successive rappresentazioni di essa, come vergine madre di Dio, liberatrice, ascoltatrice delle preghiere, regina del cielo, amata celeste, madre amante e dolorante. Da queste diverse concezioni, seguendo lo sviluppo del culto, critica FA. il pensiero espresso da parte protestante (Max Junguikel) di un ritorno al culto di Maria: contro questa opinione
sostiene che una tale ripresa sarebbe contraria alla sincerità storica e alla essenza della religione profetica.. Ammette egli nondimeno il relativo diritto del culto della Madonna « nel sincretismo così meravigliosamente ricco della Chiesa cattolica » ma lo ritiene « bassa •», torbida forma della fede cristiana. Non vuole impedire l’A. per i cristiani più sviluppati, che s’introduca .una divozione senza preghiera e culto, della madre di Gesù; e traccia il significato universalmente umano, eterno-sopraconfessionale della incarnazione d’o-gni valore morale, religioso e artistico coni, presi nella femminilità. Ma quest’ideale non appartiene al cielo, esso è tutto terreno.'Maria non è un essere metafisico a Dio somigliante, ma un luminoso simbolo della femminilità.
Mistica e Cattolicismo: — Il movimento religioso contemporaneo non è per Alois Mayer (Die Tal, aprile 1921) una ripresa della religiosità del periodo romantico, come altri vogliono. Il romanticismo era un anello intermedio tra« estremo idealismo ed estremo naturalismo: il movimento presente procede, al contrario,: dall’arido positivismo e va verso la saliente linea della interiorità spirituale. Comune a entrambi è la tinta mistica. Ma quando il misticismo romantico si esauriva in un entusiasmo sentimentale e nella contemplazione della natura, gl’impulsi mistici del nostro tempo, vogliono raggiungere la coscienza della divina presenza e dei suoi effetti. La questione dell’essenza della mistica non è per noi solo in parte religiosa, ma fondamentalmente religiosa. Mistica e cattolicismo sono termini di una equazione. La vera mistica, dice l’A., appartiene essenzialmente alla religiosità cattolica. Ma essa non deve confondersi col -disinteresse, con la passività, col quietismo, con la rassegnazione, con la contemplazione; nè deve ascriversi ?uesta al cattolicismo, nè dire che l’altra a quale in contrasto con questa cerca il mondo e lo afferma, tipo di mistica profetica) non sia cattolica. I ntorno all’essenza della mistica non danno alcuna formale risposta nè la Bibbia, nè la Chiesa, nè la dogmatica tradizionale- Si spiegano quindi le tumultuarie opinioni attuali circa la mistica cattolica. In Francia stanno di fronte due correnti. Secondo l’una (Sandreau-Lamballe) la mistica non è altro che una intensiva elevazione graduale dello stato di grazia. Se-
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condo l’altra (Poulain) l'esperienza mistica è un nuovo speciale stato spirituale che si eleva dada ordinaria pratica delle virtù. In Germania non si è pervenuti nè con Zahn, nè con Krebs a un chiaro punto di vista ecclesiastico. In Inghilterra è scoppiata una divergenza tra benedettini e domenicani. È notevole da pertutto la differenza delle opinioni circa la definizione della mistica. La Chiesa si è ufficialmente pronunciata contro alcuni punti della mistica (Eckhart, Molinos, Fénélon) ma si n’ora non sappiamo nè che cosa sia essenzialmente la mistica, nè che cosa separa mistici da non mistici. L’A. vuol procedere dalla osservazione interna perchè solo la psicologia può insegnare il cammino per raggiungere questa conoscenza. Egli perviene così a riconoscere che l’esperienza mistica cristiana à sempre un carattere
suo proprio. L’azione di Dio su l’anima può esser diversa di grado, non di specie ; mentre gli effetti della grazia divina possono esser diversi di grado e di specie.
Da questo'punto vuol raggiungere l’A. __________________ .... —....... ___ ._..o____
la linea che separa la vita mistica da quella • quando di/e che essa è cultura superiore, non mistica. La mistica, di fronte alla gra- ......
zia, si distingue per il fatto della sua incompiutezza; del suo divenire, della sua capacità di graduale sviluppo. Risultato della vita mistica sarebbe per l’A. che l’animaà unasua vita spirituale senza alcun rapporto col corpo. Da ciò l’A. vuol spiegare altri fatti c fenomeni della vita mistica. Se l’anima è attiva come puro spirito, essa à immediata esperienza di se stessa e quindi dell’azione di grazia che Dio esercita su di essa. Riesce perciò comprensibile come i mistici parlino di una diretta esperienza di Dio, e considerino ciò come passiva conoscenza di Dio, come una specie di percezione sensibile. Ma qui occorre chiarire il rapporto tra credenza e intuizione, o immediata esperienza di Dio. La scienza della mistica dovrèbbe dire la natura e la specie della intuizione mistica, ma sembra certo che la conoscenza mistica di Dio, non sia una semplice conoscenza per credenza, per concetti, per rappresentazioni, e nemmeno la immediata conoscenza dell’esser divino in sè come promette di fare la visto beala. Nella conoscenza mistica ciò che viene immediatamente percepito è la propria anima, è l’azione naturale e soprannaturale che Dio esercita su di essa. Solo con questo mezzo viene percepito il Dio Agente; e poiché tra Dio e anima non vi è altro in
terposto fuor che l'anima stessa, cosi la mistica conoscenza del Dio Agente può esser considerata, ih senso largo, come immediata, ma in realtà non lo è.
La missione della Chiesa nel nostro tempo. — Il numero di aprile del periodico mensile Die Tal, tutto scritto da cattolici, prende in esame una delle questioni attualmente più dibattute in Germania: la missione della Chiesa nel nostro tempo. Riferendosi J. Mumbauer a un libro di H. Hefele (Dos Gesetz der Form} critica
il capriccioso subiettivismo in antitesi con la legge della forma, conducente ad armonia lo sregolato ondeggiamento delio spirito umano.
Analogamente in antitesi si trovano natura e cultura, costrizione e libertà, capriccio e tradizione. L’A. mette in rilievo il fatto che non vi è forma senza costrizione, nè educazione è cultura senza tradizione. Si deve però uscire dai limiti del
l’umanesimo in cui rimane Hefele. Questi considera solo un aspetto della religione.
supremo equilibrio, che non risiede nell’intimo dell’anima, ma nel dogma esteriore, nella realtà data e volontàriamente accettata: che essa non è una naturale efflorescenza, ma un lavoro di educazione, di formazione; non un fòrte sentimento vitale, ma un giusto adattamento alla regola. Nel complesso delle sue manifestazioni la Chiesa non è che la incarnazione dell’obiettività e dell’ordine. Questa concezione però, potrebbe, dice l’A., essere esatta per il tipo benedettino, non per il cattolicismo in genere, secondo il quale la religione è esteriorità e interiorità, forma e contenuto, fatto e intenzione. La Chiesa è comunità di pensiero, di volontà e sopratutto di preghiera. Si tratta qui di una forma di vita religiosa sopraindividuale in cui ciò che è causale e particolare si trasforma in necessario e generale.
La Chiesa è compiuta apparizione di ordine di vita religiosa divenuta obiettiva. Essa non è una somma di singoli •individui, ma anima biella comunità in cui i singoli si attaccano per servire comi-materia da costruzione per la esplicazione della sua essenza autonoma e indipendente. L’adattamento a questa forma è suprema libertà in quanto il singolo può sviluppare in essa tutte quelle energie dell’organismo sopraindividuale che individualmente gli sono negate. La funzione della Chiesa è
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unica, in quanto essa possiede la grazia partecipata e garantita da una positiva rivelazione. Da qui l’errore di ogni tentativo di ridurre la religione alla immanenza, o alla morale: e non senza ragione la Chiesa à elevato sempre il Logos al disopra dell’E/àos. Dare la supremazia alla volontà su la conoscenza, non è atteggiamento cattolico. Guardini esprime nettamente il principio cattolico quando dice: ogni cosa perdona la Chiesa, all’in-fuori di un’offesa alla verità. Ogni tentativo di dare al dogma un valore pratico non è cattolico. La Chiesa considera il dogma, la verità, come una realtà assoluta che non à bisogno di alcuna base morale e pratica. La verità è verità, perchè è verità. Solo su questa via si trova un punto saldo. La Chiesa fonda là religione sul dogma e sulla legge morale che ne deriva. Il dogma non è l'espressione di un certo tempo e di certi uomini, ciò che risolverebbe l’obiettività della religione in subiettività e relativismo. Il dogma non è semplice esperienza, ma realtà che domanda incondizionata sottomissione, ed è perciò » immutabile per tutti gli uomini e per tutti i tempi. Esso è eterno come espressione della verità divina. Solo la sua accettazione è una esperienza personale. La missione delia Chiesa per l’uomo moderno è designata dalla sua obiettività che non fa della religione una legge come il giudaismo, nè una gerarchia, che sarebbe in con-traddizione col vangelo di Gesù. La missione moderna della Chiesa non è legata all’accessorio. Lontana dall’intellettualismo, dall’agnosticismo, dal subiettivismo volontaristico essa unisce il di qua all’al di là, il sapere al credere.
Cattolicismo e cultura moderna. — Un altro notevole articolo, in questo medesimo fascicolo della Tal, è di M. Fischer su cattolicismo e cultura moderna. Questo autore però, si mette qui e là in contrasto con Mumbauer del quale abbiamo riferito or ora il pensiero su la missione contemporanea della Chiesa cattolica. Egli dice che il cattolicismo presenta' una soluzione di ' continuità tra il periodo che precede la Riforma e quello che lo segue. Il cattolicismo moderno, secondo lui, si è mostrato improduttivo nella filosofia, nella mistica, nell’arte e perciò assai inferiore a quello medioevale. Una uniformità e un meccanicismo nelle tendenze organizzatrici del cattolicismo moderno, è anche innegabile.
11 carattere individuale, proprio agli ordini religiosi medioevali, in cui si rispecchiava la meravigliosa ricchezza della Chiesa, non esiste più. E solo negli ultimi anni ricomincia una religiosità benedettina a far valere il suo particolare carattere religioso. La concezione storica della Chiesa mostra che essa è una verità eterna, la quale, dal principio del cristianesimo^ si è manifestata in varie' forme temporali. La Chiesa è conservativa in quanto si attiene, come a suo fondamento, alla tradizione storica, ma non deve esser reazionaria vietando le ulteriori costruzioni su queste basi. Essa deve promuovere, per dir così, un progresso conservativo: essa deve costruire, con spirito antico, il nuovo. La Chiesa dev’esser stabile e immutabile nelle sue verità, ma le manifestazioni dello spirito cristiano, del pensiero cristiano, dell’arte, della vita cristiana non devono esser costrette in una cornice inamovibile. AII’A. sembra questo il momento di superare gradatamente le differenze tra Chiesa e cultura europea.
Ma lo sviluppo culturale dei cattolicismo è minacciato dallo spirito reazionario di alcuni circoli ecclesiastici, tende nti a farlo precipitare nel pietismo ed a fargli acquistare addirittura un carattere farisaico. Quanto siano retrogradi questi circoli ecclesiastici si vede chiaramente nella lotta contro il socialismo, in cui essi disconoscono completamente gli elementi cristiani. Cristianesimo e socialismo sono insieme nella lotta contro il dominio dell’egoismo e per l'avvento della fratellanza umana. Sono entrambi sogni messianici nati dallo stesso dolore, animati dalla stessa speranza di perfezióne. Essi si separano nell’individuazione della causa delle miserie umane. Il cristianesimo la trova nell’anima umana, il socialismo nelle esteriori circostanze alle quali gli uomini soggiacciono. Ma lo spirito del socialismo è cristiano. Esso erra quando vuol trovare la redenzione umana nel mutamento dei rapporti materiali e partecipa delle eresie che vedono la salvezza in qualche cosa limitata invece che in un rinnovamento spirituale. La Chiesa dovrebbe mirare ad un ideale ordine sociale, in cui le anime siano liberate dalla schiavitù del capitalo. Ma tali agitatori di idee sociali mancano alla Chiesa moderna, che deve essere rinsanguata per affrontare le difficoltà che le attendono nei prossimi tempi. Quando la Chiesa riuscirà a riunire le
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45 più nobili energie della cultura moderna ed a raccoglierle in sè, il cristianesimo sarà tornato alla sua missione soprastatalc e unificatrice dei popoli come nel medioevo e ritornerà ad essere forza spirituale, unificatrice degli Stati. In questo senso la perdita del potere temporale, che parve una sconfitta del cattolicismo, acquisterà un significato provvidenziale, giacché proprio il possesso di una potenza terrena, equivale a uri grave impedimento per la missione soprastatale della Chiesa. Nella sua essenza la Chiesa cattolica è potenza spirituale. Essa deve conservare questa potenza con mezzi spirituali, senza territorio proprio e soldati. E fu fortuna per la Chiesa cattolica, che nel momento in cui perdeva l’eredità del peri odo feudale compiva la costruzione del suo statuto monarchico, preparandosi in tal guisa ad affrontare i nuovi tempi e ad assolvere i nuovi compiti. • Solo la religione può ridestare l’Europa e ricondurre il cristianesimo in un nuovo splendore e ai suo ufficio pacificatore sulla terra ». Di queste parole, che il poeta Novalis pronunciava or sono 120 anni, intendiamosolooggi il senso profondo.
Religione, individualismo e comunità religiosa. — Nel contrasto di opinioni intorno al posto thè spetta alla Chiesa, contrasto fatto pili acuto oggi in Germania per la costituzione di una chiesa che non dev’essere più dello Stato ma del popolo, accanto al punto di vista cattolico, or ora menzionato, riferiamo qui il giudizio di un luterano tedesco, il parroco Themel ( Volkskirche, 3,1). Ricorda egli che con Lutero comincia a sciogliersi il legame che univa l’individuo alla Chiesa visibile e che d’allora l’uomo veniva posto direttamente e solo, di fronte a Dio. Schleiermacher aveva chiaramente messo in rilievo che nel protestantesimo il Cristo deve prender quel posto che la Chiesa à nel cattolicismo-Ma da questo punto-di vista non è più possibile, q almeno è assai difficile, raggiùngere la costituzione di una Chiesa. La nuova concezione dell’ordine sociale porta però ad uno spostamento verso la collettività, verso la classe, verso l’organizzazione. Ciò che prima della guerra si accennava appena, ora è ben visibile; la guerra à dato il colpo di grazia all’individualismo. Il processo è cominciato dal proletariato, e ora invade tutte le altre classi: l’uomo si è confuso nel popolo. La rivoluzione à tolto allo Stato il suo aspetto individualistico, il monarca;
e<l ha trasformato i singoli politici in rappresentanti di classi, organizzazioni, popoli. L'individualismo luterano appartiene a un mondo che più non esiste. La nuova concezione religiosa deve essere teocentrica. La re -ligiosità individuale deve confondersi nella religiosità sociale in cui l’uomo diviene membro d’un mondo intero. Il nuovo mondo aspira verso una nuova umanità; e la vecchia domanda che diceva: che valore à la Chiesa per la religione? deve essere sostituita da quest’altra: Che valore anno l’individuo e la sua religiosità; che valore à la Chiesa per l’avvento del regno di Dio?
Conseguenze dell'ultima guerra su l'attuale e futura politica ecclesiastica-Hermann Mulert pubblica in Die Ch/i-slliche. Welt un lungo articolo (n. 16, 17. 20) diviso in sei capitoli, in cui esamina successivamente alcune questioni di attualità come: rapporti tra religione e cristianesimo, cristianesimo orientale, càtróiicismo romano e protestantesimo in generale, papato. Siacifìsmo e unionismo protestante^ catto-icismo e protestantesimo in Germania. Ne riassumiamo alcuni punti.
Le guerre, quantunque non siano state negli ultimi secoli guerre religiose, ànno avuto sempre cèrte conseguenze per la politica ecclesiastica. L’A. ritiene che l'atteggiamento dell’Intesa contro le missioni tedesche fomenti odio per la dominazione straniera in genere e moltiplichi, di conseguenza, le avversioni contro il cristianesimo. A dimostrarlo cita l’esempio della storia moderna dell’IsIam. Per il cristianesimo orientale, per le chiese jugoslave, rumene, bulgare e greche era prevedibile che in seguito alla guerra dovessero avvenire alcuni cambiamenti, dati gli stretti rapporti che quivi univano Chiesa e Stato. Le cose russe rimangono ancor?, molto all’oscuro.
Dopo la rivoluzione del 1917 sembrava che l'antica istituzione dovesse esser guidata da un patriarca, ma gli avvenimenti precipitarono e i bolscevichi rimangono oggi in lotta contro la chiesa, quantunque fra i rivoluzionari non manchino uomini in cui il sentimento religioso è assai forte. L’A. non esclude che fra i bolscevichi si diffonda la nostalgia della liberazione e l’ansietà religiosa. Egli vorrebbe che i tedeschi esercitassero una influenza culturale e religiosa su la Russia; la quale non à ma^ac* colto con reale simpatia gli inviti di unione, o sottomissione, che le venivano da Roma. Se la Chiesa romana abbia guadagnato 0
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perduto dalla-'gnerra e dalle rivoluzioni è oggi molto discusso (Beurath, Zuy Bilanz von Protestanlismus und Katholizismus vor und nach dem Kriege). Negli Stati Uniti d'America il cattolicismo si è sviluppato, ma il protestantesimo trova un formidabile sostegno nelle grandi risorse che l’America possiede e nella sua attività culturale e missionaria. Si può pensare che la guerra abbia in generale danneggiato il cristianesimo. discreditandolo agli occhi dei nemici. Ma assai più à essa discreditato l’imperialismo e il militarismo. Guardiamo il posto che occupa oggi il cattolicismo in Europa dovè'in paesi cattolici gli Stati ànno seguito una politica contraria al cattolici-smocomein Austria, Francia e Italia. L’Austria, potenza strettamente cattolica, è caduta; la Francia à ripreso i suoi rapporti col Vaticano (cièche non rimarrà senza conseguenze per la politica ecclesiastica); l’Italia vede per la prima volta in Parlamento un partito cattolico. Anche nei paesi protestanti, come la Germania, l’influenza cattolica diviene sempre più forte. Negli Stati sorti dalle ceneri dell’Austria si sono formati partiti clericali, ma non potranno mai esercitare quella potenza che esercitava il clericalismo alla corte viennese. I cattolici romani croati sono stati abbandonati ai serbi. Un reale guadagno per la Chiesa romana è la rinascita della Polonia, dove tedeschi e protestanti sono ugualmente mal visti. La cattolica Lituania potrebbe divenire un avamposto della Chiesa romana: ma le pretese che su di essa vantano i polacchi, non facilitano la stabilità dei rapporti tra Roma e Lituania. La prudenza politica di Benedetto XV à giovato ad accrescere il rispetto verso il papato nel mondò. Ma i due principali desideri che i cattolici esprimevano durante la guerra non sono stati esauditi. Una soluzione definitiva della questione romana non avrebbe in alcun modo potuto portare il papa al potere temporale contro ia volontà degli italiani, e l’invio di un suo rappresentante alla conferenza della pace non à avuto luogo. Il papato à perduto così una grande occasione per accrescere la suà autorità politica. L’unità della Chiesa romana di fronte alla molteplicità delle chiese protestanti, à. mostrato durante la guerra là sua forza. Non in quanto dalla Chiesa romana siano partiti ammonimenti umanitari che da altre parti non partirono, perchè troppo legate agli interess-dei diversi governi, ma in quanto i protestanti, all’opposto dei cattolici, nei diversi
paesi nemici non furono mai uniti come un'unica organizzazione ecclesiastica. Così durante Ja guerra nacque e si fece di poi più viva, una tendenza all’unione ecclesiastica fra i protestanti, tendenza che Sòderblom à così ben rappresentato e che à avuto la sua migliore manifestazione al convegno di Lambeth. 1 protestanti tedeschi non sono così sensibili, come lo sono cattolici e anglicani per queste unioni, e ritengono che il cristianesimo evangelico sviluppi la sua missione storica non tanto come forma istituzionale, quanto come energia intenzionale. I rapporti internazionali del protestantesimo non sono stati abbastanza apprezzati e coltivati. Se ne è sperimentatala conseguenza durante la guerra. Sarebbe lungo esporre i tentativi fatti in questo senso. Passiamo invece ai rappòrti tra'cattolicismo e protestantesimo in Germania. La perdita di alcune provincie à sensìbilmente diminuito il numero dei protestanti in Germania a vantaggio dei cattolici. Prima della guerra, dei 65 milioni di tedeschi 40 erano protestanti e circa 25 cattolici. Se poi l’Austria tedesca dovesse annettersi alla Germania, là popolazione cattolica tedesca diverrebbe notevolmente più numerosa di quanto lo era prima del 1914. La influenza esercitata prima della guerra dal partito del centro è nota, come è nota quella esercitata da alcuni re e principi. La Germania del Sud era considerata giustamente come un posto avanzato del cattolicismo. Ma la rivoluzione à posto fine a questo stato di cose. Si errerebbe tuttavia pensando che le conseguenze siano state eguali per cattolici e protestanti. La Prussia, il cuore della Germania, era governata da una famiglia protestante. Ma ora, nel Parlamento, di fronte a 175 deputati evangelici ne siedono 105 cattolici e 133 aconfessionali. L’influenza del centro si è era rivolta all’istruzione religiosa nelle scuole, e si vedrà ciò che sarà capace di fare nella prossima votazione su la riforma dell’istruzione pubblica. Altro segno della crescente influenza del partito cattolico in Germania, si à nella nomina di un nunzio pontificio in Berlino. Ma ciò che deciderà delle sorti religiose in Germania non sarà tanto l’influenza che eserciterà l’una o l’altra forma del cristianesimo occidentale, ma lo spirito che dominerà nelle Chiese e nel popolo. Si dice che sarebbe vantaggioso al cattolicismo se fosse affievolito l’individualismo specie presso la gioventù a vantaggio di una religiosità collettiva. Ma ogni comunità re-
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iigiosa penetra più facilmente nelle masse quando meglio sa servirle. Uhlhorn è dell’opinione che l’influenza delle due Chiese (cattolica e protestante) sarà decisa in Germania sfecondo il contributo che esse daranno alla soluzione del problema sociale. Questo giudizio, conclude l’A., dev’essere al-quanto più esteso. Non sono misure legali o successi' politici che dànno reale importanza al cristianesimo e alle Chiese, ma la fòrza con cui esse imprimono nel cuore degli uomini la volontà del Maestro e la trasformano in atti.
L'insegnamento religioso — Nella lotta, impegnatasi in Germania per l’insegnamento religioso è notevole, per osservazioni e notizie, un articolo pubblicato in Der Geisteskampf (yj', in cui si combatte l'opinione di A. Bahlke (Zh> Weltliche Schu-le, Berlin 1920) che i paesi civili facciano à meno dell’insegnamento religioso. L'anonimo articolista avverte che i difensori dell'abolizione dell'insegnamento religioso nelle scuole commettono generalmente tre errori che possono condurre a false conseguenze. Essi parlano di scuole in genere, ma considerano invece solo quelle governative. Dimenticano di men zionare che quasi in ogni Stato accanto a scuole governative ne. esistono altre private, non meno fiorenti, in cui viene impartito l’insegnamento religioso confessionale. Trascurano infine di menzionare quei paesi in cui non esistono scuole governative, dove non sia impartito insegnamento religioso. In Francia la istruzione1 religiosa separata sin nel 1833 dall'insegnamento morale, fu abolita nel 1882 sotto pretesto delle esigenze della libertà di coscienza. Ma il risultato pratico è stato disastroso. Molti ànno osservato che l’attuale decadenza dei costumi, ad onta dell’insegnamento morale, si deve all’abolizione di quello religioso.pL'insegna-mento morale, secondo documenti autorevoli, riesce arido e spesso viene contaminato dalla politica. Spesso si limita alla lettura pura e semplice di precetti morali. È stato avvertito d'altra parte quanto esso riesca astratto e quindi inaccessibile alla mentalità dei fanciulli ai quali viene impartito. Dopo cinque anni dall’applicazione della legge, si avevano in Francia più di 180 libri di testo diversi che tentavano di ridurre la materia, arida per sé, accessibile alla intelligenza dei bambini;, ma oggi, dopo quarant'anni di tentativi, non si può dire che lo scopo sia raggiunto dagli attuali ma
nuali di Compagré e Boyer (Ott, Der Moral Unterricht in den französischen Volksschule}-Ad onta delie difficoltà create dal governo sono sorte in Francia scuole private cattoliche che vengono ritenute oggi come le migliori. Nel Belgio, sin dalla rivoluzione del. 1820, si è impegnata una lotta intorno alla scuola. La legge del 1879 eliminava l’insegnamento religioso. Ma quella lotta cessava col trionfo del partito cattolico, come mostrò la legge del 20 settembre 1884. Il numero delle scuole comunali diminuì sempre più, e crebbe quello confessionale fino a che una nuova legge nel 1895 restituì alle scuole l’insegnamento religioso accanto a quello della morale. In Olanda, sin dal 1852, veniva abolito l'insegnamento religioso in tutte le scuole comunali del regno ma per mezzo di Groen Van Prinsterer si accentuava sempre più il movimento contrario che voleva fondare scuole cristiane. La legge del 1878 cercava distruggerle, ma invano. E nel 1889 si riuscì a fondare scuole confessionali che divennero prosperose nel 1903 col ministero di Abramo Kuyper. Ecco alcune cifre significative. Nel 185.7 v* e" rano in Olanda 58 scuole private confessionali con diecimila studenti; nel 1878 vi erano 326 scuole con 53 mila studenti; nel 1906 ve ne erano 788 con 127.196 studenti; nel 1911 vi erano 1005 scuole con 158.824 studenti e 3366 maestri e maestre.
In Inghilterra vi sono scuole religiose, così dette Voluntary Schools, fondate per Io più da comunità religiose e da esse mantenute. Lo Stato ne sorveglia l’organizzazione esterna ed interna. Anche le Council Schools, la di cui fondazione è avvenuta nel 1870 per mezzo della Educalion Art, ànno il diritto di impartire l’insegnamento religioso. Questo, che non è obbligatorio per' gli studenti, deve essere dato ih principio o in fine delle altre lezioni per non •'* interromperle. Oggi accanto a 8621 scuole comunali con 4.329.252 ragazzi, che pur ammettono l’insegnamento religioso, esistono in Inghilterra 12.302 scuole confessionali con 2.837.913 studenti. E poiché le scuole confessionali in media sono frequentate da 220 studenti, di fronte a 500 delle scuole comunali, non è esclusa la possibilità di un sistema di insegnamento più organico che dia migliori risultati {Journal of Education, aprile 1920). Nell’America del Nord e nella Svizzera esiste una grande varietà di scuole a cui è lasciata ampia libertà in ogni direzione. LoStato non se ne occupa. Ma anche qui le scuole confessionali ottengono il mi-
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glior successo. Nella Scandinavia le scuole sono strettamente connesse con la Chiesa, con la religione, e quando in Norvegia fu fatto il tentativo da parte di democratici sociali di abolire forzatamente l'insegnamento religioso, il partito socialista sub! una grave crisi.
Amos Comenius. — Su questo geniale pedagogo, ventesimo e ultimo vescovo dei Fratelli Boemi, nato nel 1592 aNiwnitz, morto il 15 novembre 1670 in Amsterdam, scrive un articolo il prof. F. J. Schmidt in Geisteskultur und Volksbildung che è appunto l'organo della Comenius - Gesellschaft (30, i, 2) in Berlino. Il prof. Schmidt, che è anche il presidente di questa Associazione, prende in considerazione non solo il metodo didattico di Comenius. ma anche e special-mente il fatto di aver egli raccolto quanto di meglio era stato pensato su l’educazione. Comenius non fu soltanto pedagogo, ma anche metodologo. Egli vide la necessità di pubblici istituti per la educazione generale affinchè tutti potessero indistintamente godere di un unico organico istituto educativo. Di conseguenza non bastò a Comenius che accanto a università e ginnasi sorgessero scuole popolari, come già avveniva sin dal tempo della Riforma, ma concepì persino il pensiero di una educazione sociale che mirasse, nei diversi istituti di cultura, alio stesso scopo di educazione morale. Non il sapere scientifico, ma l’educazione morale dev’esser per tutti la medesima; e a tutti dev’esser schiusa la possibilità, sebbene non tutti ugualmente dotati da natura, di raggiunger la formazione morale della propria persona. Quando ancora non si conosceva la frase « questione sociale • Comenius insegnava che una sincera comunità di vita nella umanità non è possibile sul piano economico, giuridico, 0 statale, ma solo e unicamente su l’unità della educazione della persona. L’educazione perciò dev’esser comune a tutti affinchè ognuno, secondo le sue disposizioni individuali, non rimanga moralmente indietro. E dev’esser pubblica perchè questo lavoro educativo può venire svolto solo in una organizzata comunità educativa. Queste idee di educazione sociale dopo 250 anni che sono state formulate non sono ancora realizzate appieno. Cento anni dopo Comenius venne Rousseau che credette poter raggiungere il medesimo scopo con l'uguaglianza politica e giuridica, ma non riuscì-Dopo duecento anni venne la teoria del socialismo economico, ed anche questo si mostra incapace a realizzare quella comunità sociale che è solo possibile su la base di un’unica educazione etico-sociale. Alla natura della istruzione è dato differenziare le forze individuali e non socializzarle. Solo l’insegnamento morale le socializza ed è quindi necessario, per l'educazione del popolo, non un'unica scuola, ma un’unica educazione morale.
Adolfo Harnack. — In occasione del settantesimo anniversario (7 maggio 1921) del più notò teologo e storico del ’cristianesimo che vanti oggi la Germania, la Christliche Welt à pubblicato un numero unico, e parecchi altri periodici hanno pure ricordato questa data. La Christliche Well riproduce il primo articolo pubblicato da Harnack in quel periodico nel gennaio del 18.87 su Sant’Agostino. Più notevole di tutti un articolo di A. Jülicher, a proposito della recente e magistrale opera di Harnack su Marcione. in cui mette in rilievo un contrasto di vedute tra Harnack e Bousset. Gii altri articoli sono ricordi personali di discepoli ed amici, di W. Bornemann, di E. Forster, di M. Rade, di O. Beumgarten. 'L'Evangelischer Wochenbrief (aprile) del Srof. A. Dcissmann, pubblica un articolo i fondo su Harnack. Sono ricordi personali e considerazioni su la importanza dell'opera sua che oltrepassa i limiti della storia della teologia tedesca. In questo fascicolo dell'Evangelischer Wochenbrief sono anche riportate parecchie sentenze tolte dagli scritti di Harnack.
Movimento evangelico unionistico e rais sioni — Nella Zeitschrift für Missionskunde und Religionswissenschaft (3, 77) si legge per intiero la comunicazione fatta dà H. Keller nel convegno annuale delle missioni protestanti in Zurigo, riguardante « il moviménto unionistico e le missioni ». Egli prende dettagliatamente in esame le singole tendenze e organizzazioni che si propongono l’unione ecclesiastica, come la Lega dei Riformati, la Lega mondiale per il fraterno lavoro tra le Chiese, il Congresso for life and work, il Congresso for faith and order e mostra come le missioni, dopo il dissidio cagionato dalla guerra, vedono la loro salvezza solo in questo movimento. Di fronte alla, crisi economica generale, dice l'A.Jacooperazione tra le missioni deve subentrare alla concorrenza.
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Il tragitto aitai di là. -— L’idea di un passaggio dei morti in una barca che da questo li conduca all’altro mondo, viene esaminata nel suo sviluppo storico da M. Ebert in Prähistorische Zeitschrift (11-12, 179). In nessun luogo si è trovata tanta copia di documenti della rappresentazione di un passaggio in barca all’altro mondo, quanto presso i popoli di origine germanica della seconda metà dei primo secolo d. C. In seguito ora a nuovi scavi, nelle regioni nordiche, sembra a Ebert poter dimostrare che l’idea di quella forma di passaggio risalga, nel Nord, all’epoca del bronzo, e sia ivi perdurata sino a circa 300 anni a. C. Risorge a nuova vita verso la fine dell’impero Romano. Nel primo periodo (300-500 d.C.) non si à ancora la materializzazione dell’idea; ma nel secondo periodo* si riscontra chiaramente questa materializzazione, specialmente nei sepolcri dei re.
Intorno alla questione Omerica. — Della figurazione classica del rapsodo, dell'antico poeta girovago che canta al popolo — le sue poesie, accompagnandosi spesso con la cetra, scrive Wilamowitz in Deutsche Pundschau(mnrzo) un interessante articolo. Egli analizza le novelle che ànno per tema 1 rapsodo e viene alle seguenti conclusioni:
Indubbiamente vi fu un poeta famoso che si chiamò Omero; il nome significa approssimativamente «servo», e indica perciò le sue origini popolari; il luogo di nascita fu Smyrne; egli è in qualche modo in rapporto con l’Iliade; fu navigatore, povero, maestro di scuola. Come si vede è questa una imagine di Omero alquanto modesta e ben diversa da quella comunemente accettata.
Prove sperimentali della sopravvivenza personale. — Hans von Gumppcnberg scrive in Xunstwart (marzo) alcune considerazioni su la così detta materializzazione degli spiriti e su la prova che da essa si vuol trarre in favore della sopravvivenza dell’anima. Anche alla presenza di una materializzazione, egli dice—la prova ideale degli occultisti —noi diremo che niente essa dimostra fuorché la rappresentazione plastica della figura umana del morto per mezzo della mediale materia sottile, la rappresentazione di qualche sconosc uta volontà non identica con là cosciente volontà dei presenti. Ciò che per sé sarebbe già certamente assai strano, ma non è ancora una Ìrova della sopravvivenza, poiché nulla ci ice di convincente circa lo stato attuale del morto.
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LETTERATURA... AMENA
E passiamo alla letteratura amena. Immagino lo stupore delle mie quattrocento alunne se sapessero che quando posso lasciare da parte romanzi e novelle mi sCìito meglio, che considero un grave sacrificio legger per debito d'ufficio tanti e tanti vo lumi da loro cupidamente adocchiati nelle vetrine denterai e che chiamo letteratura amena quella che mi permette di conoscere un po’ di realtà o di ascoltar pensieri e ragionamenti quando sono stanco di seguire i rigiri fantastici, così monotoni spesso, così incolori, così noiosi, di molti sfaccendati che adoperan la penna per ozio.
Ma, provino, esse, a far con me un’indigestione dei frutti a loro proibiti e poi mi sapranno dire!
Un vero riposo è stata per me la lettura del libro di Giuseppe Gigli, Balzac in Italia (Milano, Treves). Il titolo, secondo le consuetudini letterarie d’oggi, farebbe pen sare a una storia della fortuna di Balzac fra noi, a un elenco, sia pure rimpolpato di considerazioni, degli ammiratori, detrattori ed imitatori dell’opera balzacchiana. Invece no: il Gigli ci mostra proprio lui, il grande Onorato, lo scrittore illustre, il « dottore in medicina sociale », come soleva chiamarsi da se stesso, in viaggio per l’Italia ove già l’aveva preceduto la fama dei suoi romanzi. Più volte il Balzac venne in Italia, fra il 1837, e il 1846 e visitò successivamente Milano, Venezia, la Sardegna, Roma, accolto da per tutto con gran festa, adulato dagli uomini, corteggiato dalle signore, salutato con vivissima simpatia
dalla stampa. Non mancarono anche frecciate e morsi, ma probabilmente egli, ch’era infatuato di sé ed aveva il torto (da lui stesso rimproverato allo Chateaubriand!) di parlar soltanto dell’opera propria, non ne seppe nulla o non se ne occupò. Principalmente avversi gli furono, com’era naturale, coloro che non ammettevano l’arte senza un diretto fine etico, e certo il Balzac fu preso di mira fra i primi nel severo giudizio pronunziato da Giuseppe Mazzini contro «la gente della letteratura leggera, confessi la chiamano, volgare e - immorale come a me sembra ». Ma più ancora gli si accanirono addosso i clericali e in genere Ìiuanti nell’opera di Bai zac vedevano un’of-esa alla religione; come il Tommaseo, che scrivendo del romanziere francese fu più burbero, più acido e più virulento del solito; Eppure il Balzac si professava cristiano» anzi cattolico (« il cristianesimo e il catto-licismo specialmente » scrive nella prefazione alla Commedia umana « è’ un sistema completo di repressione delle tendenze malvage dell'uomo, è il maggior fattore dell'ordine sociale »), sognava di comporre un libro religioso, pieno di fede, in cui fosse esaltata « la sublimità del dono di se stessi », un libro da porsi in mano di tutte le donne, una specie à’ Imitazione di Cristo, e a Roma baciò reverente la pantofola del Papa che gli regalò un rosario benedetto. Chissà? Fofse nei letterati ci fu un po’ d’invidia per il collega fortunatissimo e fors’anche le sue ostentazioni di pietà religiosa non furon credute sincere espressioni dell’animo
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ma atteggiamenti di moda; era una nuova posa, come osservava il buon abate Giuseppe Capparozzo:
Un <11 fra gli Arcadi d’amor cantava chi non amava-; or fra i Romantici fa chi non crede inni alla Fede.
C’era poi ehi rimproverava al Balzac il tono altezzosamente benevolo con cui parlava del Manzoni e certo il marchese di San Tommaso dovette rimanere un po’ male quando, presentatolo al gran Lombardo, notò che durante la visita il Balzac non parlò che di sé. Interessantissime sono le pagine su Roma: mentre nelle altre città d'Italia il Balzac sembra aver osservato più le persone che i luoghi, di Roma e soprattutto della chiesa di San Pietro parla con una commozione quasi mistica: e a Roma per la prima vòlta Fautore della Commedia umana s'avvicinò all'autore della Commedia divina, perchè attraverso alle illustrazioni di Michelangelo Caétani sentì come quello che fin allora gli era parso « un immenso enigma » fosse « il solo poema che i moderni possano opporre al poema d’Omero ». In grazia di tale ammirazione perdoniamogli la maniera smaccatamente adulatoria con cui ringrazia il Caetani: « Comprender così Dante vuol dire esser grande come lui, ma a voi tutte le grandezze sono famigliali ».
Più ancora della ricchezza d’informazioni è lodevole in questo lavoro il modo discreto e garbato con cui l’A. nasconde se stesso facendo parlare i documenti, sicché par pròprio di vivere la storia senza intermediàri e d’affacciarsi ad una finestra sul secolo deci monono: e lo stesso pregio ho trovato nel libro di Tecla Navarra Masi. La rivoluzione francese e la letteratura siciliana (Noto, tip. della Verità). Quali ripercussioni nelle coscienze, quali riflessi nella letteratura ebbe fra i Siciliani il maggior avvenimento dei tempi moderni? La signora Navarra ci dà modo, con la gran copia di notizie raccolte, di rispondere sicuramente a questa domanda: la Sicilia non comprese nè le ragioni nè lo spirito nè le conseguenze della rivoluzione francese. Nell’isola lontana, tanto più lontana per le comunicazioni difficili e per la scarsezza dei giornali (il governo ne proibiva la diffu
sione e si vide persino buttare in carcere un povero diavolo d’abate prò lettura ga-zetarum cum delectationeì) l'eco delle faccende politiche arrivava tardi e male. Poco dopo la metà del *700, alcuni eruditi siciliani, lasciate da parte le questioncelle. letterarie, si mettono a confutare Rousseau e gli Enciclopedisti con la stessa leggerezza (salvo rare eccezioni) che adoperavano cicalando nelle accademie. L’unico che, nei Diritti dell'uomo, dimostrò d’aver intese e ripensate le nuove dottrine r Nicola Spe-dalieri, era siciliano solo di nascita, ma a Roma ebbe l’educazione e a Roma scrisse il libro che gli fruttò così terribili persecuzioni. Quando poi giungono di Frància le notizie del Terrore, tutte la classi sociali si sentono accese d’odio contro la. nazione impazzita, nemica dell’altare e del trono. All’esecrazione contro i Giacobini che avevano voluto la testa del Re e avevano profanato la religione dei padri, si aggiungeva il fermento misogallico che dal Vespro in poi non ha mai cessato di bollire in Sicilia. Nei canti popolari era un'espressione quasi proverbiale che dopo il Vespro, più presto o più tardi, per i francesi bisognava sonare a compieta; e quando nel 1763 il viceré Caracciolo aveva scelto il monastèro di Santo Spirito come luogo adatto per il camposanto di Palermo, c’era stata una mezza rivoluzione, Serchè lì erano state sepolte a mucchi le ossa ei francesi caduti nelle giornate del Vespro e i Palermitani, ancor dopo cinque secoli, inorridivano all’idea che i loro cari stessero a contatto dei morti oppressori. Perciò i Siciliani non trovano parole sufficienti per vituperare e maledire gl’insorti di Francia e si stringono sempre più intorno a quel fanfarone ipocrita di re Ferdinando che rappresentava ai loro occhi la difesa delle istituzioni, l’erede della tradizione monarchica e l’uomo che avrebbe, secondo un antico vóto della Sicilia, distaccata l’isola dal Regno di Napoli, dandole l’autonomia amministrativa. Tale abbagliamento, tale cieca fiducia fecero sì che dalla Sicilia non partisse una voce di protesta contro i massacri del ’99e anzi il re fedifrago e Maria Carolina fossero festeggiatissimi mentre a Nelson si conferiva la cittadinanza onoraria di Palermo! S’intende poi che il merito della restaurazione era tutto di Santa Rosalia, e mentre perfino negli abbecedari si stampava una canzoncina in cui i Francesi venivano messi in mazzo coi Turchi mentici di Cristo e di Maria, sulle bocche di tutti ero-
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reva una strofe contro....San Gennaro reo di giacobismo:
T’aju fattu la varva, o San Ginnaru, giacchi t’ha* fattu giacubinu amara, tradi turi, patroni e daquagghiaru, viva dunca Rosalia e non Ginnaru.
L’antica ruggine tra Napoli e Palermo s’attaccava anche ai Santi; un fatto simile accadeva, del resto, novant’anni dopo, in altra parte dell'ìsola: ricordo ben io, infatti, di aver udito qualche Catanese vantar la superiorità di Sant'Agata rispetto alla Madonna della Lettera, perchè questa aveva lasciato distrugger Messina, mentre l’altra aveva salvato dal flagello Catania. Soltanto all'alba del secolo decimonono la Sicilia si sveglia: la tenace affezione alla monarchia va spegnendosi dinanzi all'ingiusto e quasi ostentato disprezzo dei Sovrani per l'isola: il vento di ribellione che ormai spira per tutta l'Europa giunge anche laggiù e a poco a poco gli schiavi che prima avevano benedetto la schiavitù (quante st.ofe contro l’odiata « libertà » sono raccolte nelle pagine della Navarra!) incominciarono a sognare e desiderare un nuovo assetto politico. Vero è che anche col mutarsi delle aspi razioni popolari un sentimento rimane invariato: l’avversione ai Francesi. Per Napoleone imperatore la Sicilia non ha maggior simpatia che per i giacobini: tanto più che a ravvivar l’odio antico alla Francia lavorano abilmente gl’inglesi e ormai la canzone popolare suona così: « Viva li 'Ngrisi, man naja la Fianza! » Con un cenno sul Meli entusiasta per Ferdinando, per Maria Carolina e per Nelson e nemico acerrimo delle novità francesi, si chiude questo libro tutto fatti, tutto cose, dove ogni pagina ci dà la gioia d’una cognizione nuova. Giovanni Gentile, che ne ha scritto la prefazione, si compiace di notare che i giovani siciliani non si contentano più della storia regionale nel senso vècchio della parola, ma o studiano la regione nativa con criterio più largo, sentendo l’intimo legame che unisce la Sicilia all'Italia o spingono addirittura lo lo sguardo oltre i confini dell'isola.
Ed ecco che, quasi a conferma delle parole del Gentile, un suo discepolo siciliano (non so se gli sia stato scolaro all’università ma certo ne segue l’indirizzo filosofico) scrive un libro che illustra tutto un periodo della c-ltura nazionale. Il libro s’intitola: Il fallimento della pedagogia scientifica italiana (Città di Castello, Il Solco): l’auto
re si chiama Filippo Giuffrida. Mólte cose «scientifiche» sono fallite in questi ultimi trent’anni, e i giovani dànno di gran colpi sul feretro del Positivismo quasi a dir sulla faccia a noi ed ai padri nostri che fummo ben creduloni, ingenui e di facile contentatura appagandoci delle chiacchiere dei sedicenti « scienziati ». Dura lezione a coloro che presunsero d’illuminar cielo e terra riducendo tutto a peso, misura, dati statistici ed esperienze di gabinetto. Ma il Giuffrida ha un gran merito: esaminando gli scritti dei pedagogisti italiani devoti al Positivismo, dal Cattaneo al Gabelli, dal Villari al Siciliani e all’An-giulli, dall'Ardigò al Colozza, al De Domi-nicis, al Marchesini, al Tarozzi, distingue le opere degli autori, dimostra che parecchi di loro, se furono deboli pedagogisti in teoria furono ottimi educatori in pratica e pur dissentendo dalle idee che quegli scrittori bandirono, cerca il perchè degli errori, si allieta quando scorge un raggio di verità e sempre ha parole rispettose per chi, in un modo o nell'altro, ebbe a cuore l'educazione e l'istruzione del popolo italiano. Perciò il libro si l'gge volentieri anche da chi non è del mestiere e che, forse a causa dell’età non più tanto fresca, teme che i banditori del nuovo verbo pedagogico possano, di qui a poco, su bir la sorte di tutta la brava gente no- a minata più su... A me profano, per esempio, non sembra una grande scoperta quella che fa del docente e del discepolo un solo inscindibile spirito e nega ogni valore alla pedagogia antica soltanto perchè considerava l'uno e l’altro come unità distinte; Se, tanto, in pratica sarà sempre necessario distinguere chi sa da chi ignora, colui che attende l’educazione da colui che già ha formato in sè, con una lunga disciplina, il cuore e la mente, a che serve quell’affermazione su cui il Giuffrida insiste come su di un canone della nuova scuola? Ho detto la mia impressione modestamente, da lettore che vuol capire, non, per l'amor di Dio, da scrittore che pretenda insegnare; e se ho sbagliato chiedo indulgenza.
Sempre da lettore e non con la fastidiosa preoccupazione di scriverne la rassegna, ho percorso il volume Uomini 22, città 3 (Firenze, Vallecchi) di Giuseppe Prezzoline Il titolo è un atto d'onestà e uno sfogo di stizza. In un articolo di qualche tempo fa. il Prezzolini si lagnava della « morte del libro ». Oggi, secondo lui, non si pubblicano più che raccolte di articoli, raccolte di novelle, raccolte di saggi, e così si mettono
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insieme dei volumi: ma il libro ben archi-tettato e composto con una sapiente armonia di elementi perfettamente equilibrati non si fa più. E oltre alla nostalgia per il libro di un tempo, il Prezzolini esprimeva il disgusto per l’artificio di chi vorrebbe con titoli e sottotitoli speciosi far credere a un collegamento ideale fra tutta quella roba raccogliticcia; perciò egli annunziava un volume che avrebbe avuto un titolo segno del massimo disordine, un titolo che ricorda vagamente la scritta dei vagoni-merci: Uomini 22, città 3. Ma possiamo affermar subito senz’adulazione (mi preparo a dir bene del mio editore e mi si può credere come alla nuora che tessa le lodi della suocera) che gli articoli qui riuniti sarebbe stato un peccato lasciarli perdere nei giornali ove tra il 1905 e il 1917 videro la luce. Gli uomini di cui si parla sono diversissimi: filosofi ed artisti, italiani e stranieri, antichi è contemporanei: e diverse sono le città, Perugia in cui il Prezzolini nota le sopravvivenze medievali, Firenze della quale esalta lo sforzo per diventare una città moderna, e Norimberga ove andò per respirare aria di leggenda (sogno della nostra infanzia, Norimberga patria di bambole, di arche di Noè, di gingilli multicolori, di balocchi ingegnosi) e invece scoprì un centro industriale monotono e prosaico. Definire il Prezzolini scrittore è fatica disperata: vi sfugge di mano come Proteo. Chiamatelo letterato: vi risponderà dicendo corna della letteratura e parlandovi di filosofia: lodate, dopo aver letto 1 ’« Arte di persuadere » e i saggi sul pragmatismo, la sua mentalità filosofica e scrollerà le spalle dicendo che lui è appena un osservatore della vita quotidiana (il Cantarti aro de\V Epoca »): ma se poi vi congratulate della sua attività giornalistica, vi guarderà male. ■ Non lo sapete ancora » vi domanderà «¡che io faccio il libraio e che le lettere e i letterati li peso, li valuto e li apprezzo (o li disprezzo) soltanto perchè sono la mia merce?» Senza ricercare ora quanto ci sia di civetteria maliziosa e quanto di amarezza contenuta in questi disdegni, diciamo soltanto (e nessuno potrà smentirci) che il Prezzolini è scrittore di razza e critico nato. Scrittore di razza: voglia farci vedere Perugia con le vie strette e gli archi rampanti o Norimberga «cól luccicare torvo dello zinco e, diritti verso il cielo, come bestemmie, i mille camini che sputano fumo > o voglia farci passar davanti agli occhi una cucina e...sissignore una latrina, trova sempre la parola vera, propria.
giusta, che non colorisce l’idea nè la veste, ma(ciò che è molto meglio) la esprime. Critico nato: demolisca Sergi e Negri od ami Gentile e Croce, abbia una parola di simpatia per l’Aretino e per il Baratti o s’arrabbi con Eckermann perchè è un uomo-grammofono e con Gourmont perchè distrugge ciò che tocca, egli non è mai insensibile passando accanto ad un’opera di pensiero: anzi, secondo qualche barbassoro, è forse troppo sensibile. Infatti la sua vivacità ha l’aspetto d’irrequietezza: se ammira uno scrittore e non lo vede in tutto e per tutto come lo vorrebbe lui, si riscalda e ci soffre come gli càpita per Rousseau e per Dostojewski; e non va a caccia delle miserie degli uomini di genio per compiacersene, ma osserva che « il carattere dei grandi sta in questo, che le loro sciocchezze son quelle del tempo, c le verità appartengono loro in proprio »; e quando parla di coloro che non videro la gloria perchè la morte li portò yia prima che il sogno fosse raggiunto, come Charles Louis Philippe o Giosuè Dorsi, ha parole commosse di vero rimpianto e dai frammenti rimasti sa ricostruire, per un miracolo d'amore, l’opera non compiuta. Ma quel che piace anche più in questo critico è il rispètto all’opera d’arte, rispetto senza il quale neppure l’intelligenza più acuta arriverà mai a sorprendere c intendere il fenomeno artistico nella sua formazione. A proposito di Giovanni Fattori, egli riferisce un aneddoto caratteristico. Interrogato di quel che facessero certi cavalli da lui dipinti, il rude pittore livornese rispose: «Fanno cosa gli pare ». Questa, che pare al Prezzolini ( ed è veramente) una risposta grande può anche essere un canone d’arte: e quando il Prezzolini trova.uno scrittore che manifesta schiettamente l’animo proprio o descrive la natura com’è o crea persone di carne e ossa e sangue invéce che manichini di moda, si consola tutto come se incontrasse un fratello.
E per oggi potrebbe bastare, ma ecco ancora un volumetto elegante, civettuolo; sulla candida copertina, fra croci, nodi, spine e fiamme, leggo il titolo color ciliegia: Preghiere (Milano, Treves) di Matilde Serao, Quanto al valore letterario del libro ci si può sbrigar facilmente: ha tutti i difetti, senza i pregi, dei romanzi della Serao; la carne è tornata verbo: parole, parole, parole. Quanto poi al valore spirituale debbo esprimere un mio preconcetto. Se tanta gente che prega contìnuamente Iddio, vo-
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lesse piuttosto ascoltarlo? E se, dopo «aver ascoltato in silenzio, com’è dovere del piccolo di fronte al Massimo, il credente dicesse soltanto poche ingenue parole, quelle che lì per lì salgono disadorne e in fretta su dal fondo del cuore, non basterebbe? Dev'essere non solo uno sciocco, ma un frigido innamorato colui che si serve del Segretario galante per scrivere alla sua bella! E i libri sul tipo di questo della Serao hanno tutta l’aria di «segretari galanti» per corrispo* dere col buon Dio. Preghiera di una poveri meretrice', preghiera di una superba cortigiana; preghiera di una maritata pericolante per i sensi; preghiera di una maritata pericolante per sentimento; preghiera di una donna sterile; preghiera di un marito tradito', e poi tre preghiere per maritate peccatrici, per la peccatrice per protervia, per la peccatrice per vanità e per la peccatrice nel pensiero. Ce n’è di tutti i colori e di tutti i sapori, tanto che non sappiamo cornei'Autrice possa sperare di vederlo sotto gli occhi dei fanciulli un libro così... saporito; eppure essa mostra di nutrire questa speranza, se ci ha messo anche una preghiera di una bimba dodicenne e una per un ragazzo decenne che ha fatto la prima comunione. Non mancala preghiera di un uomo povero, il quale certo spenderà sette lire e cinquanta per ever la gioia di pregare con le parole di una ce
lebre romanziera: e perchè non c’è un’ora" zioncina per il buon pescecane? Ma sicco" me non ho nascosto di aver qualche pre" venzione in materia, tanto che ¡'Autrice potrà facilmente accusarmi d’incompetenza e di poca serenità, un altro preconcetto vo-Flio manifestare. Io penso che il nome del-autore, molto più se si tratta di un nome famoso in letteratura, non debba giovare presso i credenti. C’è una preghiera sola di cui l’autore è conosciuto e che tuttavia ha una discreta efficacia, ma l’autore si chiamava Gesù Cristo e fu insegnata sulla santa montagna, non composta a Saint-Moritz donde, con qualche mondana compiacenza, in una giornata d’estate, la Serao ha licenziato il suo librò. L'Autrice sembra aver dubitato anch’essa che il nome potesse, esser più dannoso che utile in un’opera simile, perchè chiùde la dedica al lettore così: « Dimentica il mio nome ma ricordati che la mia ricerca e la mia fatica furono fatte solo per indicarti il Cielo». Dimentica il mio nome', ma l’editore forse non l’ha pensata allo stesso modo, perchè ha fatto precedere al frontispizio una bibliografìa dell’Autrice, bibliografia in cui, per ironico riavvicinamerito, il libro di preghiere sta fra II paese di cuccagna e un romanzo dal titolo atroce. L’ebbrezza, il servaggio e la morte\
Dino Provenzal.
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STUDI SUL GIANSENISMO ITALIANO
N. Rodolico - Gli amici e i tempi di Scipione dei Ricci (Firenze, Le Monnier, 1920).
A. C. Iemolo - Dottrine teologiche dei Giansenisti italiani dell’ultimo 700 (« Riv. Trini, di Studi Filosofici e religiosi », voi. i°, n. 4).
B. Ricci - Il maggior teologo giansenista d’Italia, Pietro Tamburini. (In «LàScuola Cattolica», gennaio 1921, c ss).
Il Giansenismo: uno dei movimenti religiosi più seri della seconda metà del secolo xvii in seno al cattolicismo francese, risoltosi nel tentativo di una riforma nella contro riforma, politica ed istituzionale; un ritorno essenzialmente all’Ago-stinianismo nella dottrina della grazia che circa due secoli prima aveva dato origine al movimento teologico di Wittemberg e alla Riforma. Pochi nomi bastano ad eternailo: Pascal, l’-Arnault e il Convento di Port-Royal. Il movimento ebbe le sue propaggini anche in Italia nel '700. con diversa intensità e in diverse fasi. Se il movimento fu principalmente francese travolgendo gran parte del clero francese, e i suoi meriti e le sue caratteristiche appaiono più nette in Francia e nella colonia francese presso gli Appellanti di Utrecht che altrove (nella lotta contro la morale casuística e pelagiana dei gesuiti, negli arditi piani di riforma ecclesiastica, nel forte senso pedagogico del suo sevèro insegnamento cristiano) in Italia prese un accentuato colore politico, alleato delle lotte giurisdizionali dei principi riformatori contro’i privilegi ecclesiastici, e si consumò nel tentativo di risvegliare la coltura religiosa del clero, senza riuscire a preparare questo ad una piena intelli-Sìnza dei presupposti teologici e storici si movimento. E finì travolto dallo spirito di reazione scoppiato in Italia dopo gli eccessi rivoluzionari del 1799.
Un nome riassume e conclude il giansenismo italiano: il vescovo toscano Scipione De Ricci con il suo fallito tentativo di riforma giansenista nel sinodo pistoiese. Ad alcuni momenti della vita del Ricci e ai ricciani d’Italia è dedicato il libro del Rodolico, à cui deve tener dietro un secondo sui gruppi degli amici del Ricci nelle diverse regioni d’Italia. Il giansenismo italiano fu importazione straniera, sebbene assumesse in Italia una fisonomia propria. In questo accurato volume il R., largamente utilizzando il carteggio del Ricci con giansenisti italiani e stranieri, studia due momenti della vita del Ricci: l’influenza esercitata su di lui, studente dei gesuiti al Seminario Romano, dal gruppo degli ecclesiastici frequentatori della casa ospitale di Mons. Bottazzi, prefetto della Biblioteca Vaticana, all’Archetto (1757) e più tardi a Firenze dai professori cassinesi ferventi agostiniani; dall'eredità della ricca biblioteca del can. Córso de’ Ricci gran nemicodei gesuiti e dall’amicizia con il can. A. Martini, come fattori della sua formazione spirituale. E poi l’amicizia con il Lami, il grande erudito con la sua rivista. « Le Novelle Letterarie » e con il Ricasoli; i primi tentativi di rinnovamento della coltura ecclesiastica in circoli di coltura, in pubblicazioni di riviste, ecc. Pòi (Cap. II) il R. espone la vasta opera di propaganda dèlia rinnovata coltura ecclesiàstica per o’pe-
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ràdei giansenismo francese compiuta durante il suo periodo episcopale con l’aiuto del suo amico Gabriele di Bellegarde, che gli invia a migliaia volumi che egli faceva distribuire per l’istruzione specialmente del «secondo ordine del Clero (Pàrroci), il più vicino al popolo». Interessante l'esame dei libri di testo, consigliatigli dal Bellegarde, per il suo seminario.
Una seconda parte del libro (Cap. III-V) tratta delle speranze, dei tentativi, dell’attitudine dei giansenisti italiani nel campo delle riforme religiose .della Rivoluzione francese in Francia e poi in Italia nel triennio repubblicano (i79ó-’i799). Con diligenza e con gran corredo di documenti inediti il R. espone le speranze dei giansenisti italiani nella costituzione civile del clero, favorita dai giansenisti francesi, e nel sinodo nazionale dei’ vescovi costituzionali francesi e la loro delusione per la mutata politica ecclesiastica del primo console e la diversa attitudine, pero in generale favorevole, dei giansenisti ìtaiani verso la rivoluzione in Italia- Due problemi storici il R. si propone di risolvere. Spiegare le ragioni del trapasso dei giansenisti moderati, fin’allora amici e consiglieri dei principi assolutisti, alla simpatia verso la democrazia repubblicana; l'eredità liberale nel campo della politica ecclesiastica pervenuta attraverso gli oscuri depositari della tradizione giansenistica amici del Mazzini, ecc., ai nostri grandi del Risorgimento italiano. Ma questo secondo problema non è affatto risolto; è piuttosto per il R. un atto di fede che il risultato di una ricerca, la direzione della sua simpatia spirituale verso i giansenisti italiani. Il R. si domanda anche se il giansenismo italiano ebbe una parte nella caduta del potere temporale nel ’98. La politica ecclesiastica — in realtà non si passò oltre ad aspirazioni, speranze, consigli— dei giansenisti italiani è un riflesso di quella dei giansenisti francesi ed é difficile il dire se nel mutato regime essi vedessero sotto una nuova luce i rapporti fra Stato e Chiesa. La democrazia repubblicana doveva riprendere nelle sue mani con maggiori possibilità di riuscita la politica assolutista dei principi in materia ecclesiastica attuando nello spirito radicale delle riforme rivoluzionarie il programma di trasformazione costituzionale della Chiesa. I giansenisti furono degli impenitenti statolatri. Il principio di tolleranza che prevalse nella politica fran
cese fu il colpo mortale dato al giansenismo, intollerante in forza dei suoi principi agostiniani. Nella rivoluzione videro, superata che avesse la crisi d’irreligiosità che come un castigo di Dio s’abbatteva sulla Francia per aver rifiutata l’unica salvezza ch’erale offerta nel giansenismo, il mezzo più efficace per combattere il dispotismo di Roma e preparare la grande riforma costituzionale della Chiesa che avrebbe prodotto di rimbalzo la riforma religiosa e morale del popolo. La caduta del potere temporale doveva essere un passo decisivo su questa via.
In conclusone: questa del R. è un’opera ricca di dettagli interessanti, buon contributo alla storia delle idee del l'ultimo ventennio del nostro '700.
Il R. esamina con simpatia, pur riconoscendo gli errori di tattica (ma la compromissione dei giansenisti nella simpatia verso la politica ecclesiastica della Rivoluzione, sopratutto per l’appoggio alla Costituzione civile del clero che apparì una vera violenza a tutti quelli che non potevano entusiasmarsi delle ricostruzioni storiche dei giansenisti, fu soltanto un errore di tattica o non piuttosto l'attitudine inevitàbile dei giansenisti francesi il giorno in cui fu loro permesso di esercitare una azione politica, che doveva trovare nei giansenisti italiani il pieno consenso perilsorgere di condizioni analoghe?), i tentativi giansenisti di politica liberale (?) dal punto di vista del liberalismo del-l'8oo. Ma questi rapporti sono delle pure analogie; lo spirito dei due movimenti è profondamente diverso e riflesso di due mentalità irriducibili c manca la possibilità dì dimostrare la continuazione della tradizione politica giansenista.
La tesi già cara al Rota (Il Giansenismo in Lombardia e i prodromi del Risorgimento) e alla quale il libro del R. vorrebbe essere un migliore contributo, non mi pare abbastanza solida. In questo sono d’accordo con un’altro studioso del giansenismo italiano, lo Jemolo.
Egli cerca con rigore di metodo di definire la natura, i limiti, l’efficacia del giansenismo italiano, le ragioni del suo insuccesso. « Il giansenismo italiano si trasportò spesso sul terreno politico, partecipò largamente al movimento rinnovatore dell’epoca di Maria Teresa e di Giuseppe II, subì l'influenza di altre correnti d'idee Con temporanee, spesso anche antitetiche: ma rimase constantemente fedele alle sue
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origini, serbò ognora in sè lo spirito ani malore dell’Augustinus, fu sempre un mo vimcnto teologico, nel terreno teologico trovò la sua vera, la sua più salda base » (pag. 468). « Breve fu la durata della lotta giansenista in Italia; se è dato senza sforzo trovarne dei prodromi nella prima metà del ’700, si deve però ridurre a non più di Un quarto di secolo il periodo durante il quale esistette presso di noi una corrente giansenista come qualcosa di organico e di vivo ed a circa un decennio l’epoca della sua azione più intensa e combattiva ».
Una reductio ad minimun dunqu dell’influenza sulla vita italiana del giansenismo: importazione straniera, mentalità e prò blemi non assimilabili dal non profondo spirito italiano, letteratura in gran parte fatta di traduzioni dal francese; collabo-razione politica in associazione con altri fattori più validi e per ragioni di difesa; sua compieta estinzione al finire del se colo; mancanza di grandi pensatori e di uomini d'azione capaci di affascinare l'immaginazione popolare; la corrente giansenista va separata da tutte le correnti affini e minori con cui facilmente viene confusa (sarebbe per lo Temolo un errore prospettico qu Ilo del R.). Queste le tesi principali dello Temolo, in cui c’è molto di vero, ma accentuato un po’ troppo.
Lo Temolo nell’articolo esamina in particolare il gruppo di dottrine teologiche che non trovano un fondamento o soltanto un fondamento indiretto e remoto nella opera di Giansenio, gruppo un po’ dimenticato in cui si rifletterebbero i tentativi di purificazione della fede e di elevazione della religione che indubbiamente costituiscono un titolo di gloria per il giansenismo (dottrine che stanno a fondamento della resistenza del giansenismo alla opposizione di Roma e. che hanno un valore metodologico c dottrine derivate dalla applicazione alla riforma religiosa) come quelle sulla messa privata, sulla comunione extra rnssatn, la lotta contro la morale gesuitica: le indulgenze; le dottrine sulla sorte dei bambini morti senza battesimo, sul purgatorio, sul culto dei santi e della Madonna, sui miracoli dei santi e la santificazione delle feste, sulle devozioni al Sacro Cuore e della Via Crucis, sulla rappresentazione artistica di Dio Padre, ed in genere sull’arte sacra nelle Chiese.
Non è qui il luogo per discutere il criterio di divisione delle dottrine giansenistiche fatto dallo Temolo. V’è però un nesso
più strétto fra VAugustinus e il secondo gruppo delle dottrine giansenistiche: un confronto con altri movimenti agostiniani avrebbe fatto scorgere allo I. questo stretto e fatale rapporto fra il rinnovamento della dottrina agostiniana della, grazia e il programma e la lotta riformatoria, intesa come òpera strettamente cattolica. Sarebbero caduti cosi anche i timidi accenni ad un problema che in fondo non è storico, se i giansenisti fossero o no realmente cattolici.
Sulle cause di successo e di insuccesso del giansenismo italiano neppure potrei andar pienamente d’accordo con lo I., che attribuisce il parziale successo solo al suo lato politico, anticlericale, alla sua avversione al papato che rispondevano allo speciale carattere italiano, alla sua tradizione antichiesastica fatta di beffa, di scherno, di critica ai frati c ai preti e l’insuccesso alla * costante avversione dello spirito italiano per tutte le questioni teologiche—avversione, che più di ogni altro fattore, chiuse alla Riforma l’adito in Italia» (pag. 432). È un problema complesso ed ancora oscuro quello dell’insuccesso della Riforma in Italia. Ma certo che nell’aflermazione dello I. c’è una visione inesatta della natura della Riforma e della sua letteratura, come si rileva più chiaramente nella sua recensione del Ro-dolico («irta di discussioni teologiche... la Riforma protestante non aveva potuto fare presa sul popolo italiano, irriducibilmente avverso in ogni ora della sua storia a! retaggio dei teologi di Bisanzio » ib. 232). Io non so se precisamente un retaggio bizantino dobbiamo considerare la teologia agostiniana della grazia che appassionò e turbò per circa un cinquantennio il cristianesimo occidentale e che fu espressione dello spirito latino e che modellò gran parte del pensiero e della vita religiosa medioevale; ma mi pare che in questi problemi, i cui termini erano intesi da tutti, erano coinvolte delle concezioni fondamentali della vita cristiana e dei problemi morali della più alta importanza che avevano un’immediata e profonda risonanza nella vita individuale e sociale della Chiesa latina. La Riforma è essenzialmente imperniata sull’agostinianismo, come il movimento giansenista. Per com-Srendere oggi un pensiero così diverso al nostro e per tanti aspetti così ripugnante alla nostra mentalità moderna, si richiede una iniziazione. Quindi compren-
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do i facili giudizi dello Temolo e di altri. Ma sótto il velame de li versi strani si nasconde una dottrina antropologica delle più interessanti, che poteva commuovere chi era impregnato nella vita e nella mentalità di quegli stessi problemi. Questa appunto è la ragione del successo della Riforma, che ebbe una letteratura delle più vive ed efficaci, in cui lo spirito mistico si espresse con vera efficacia in un minimo di concetti e di formule teologiche, superiore in questo alla letteratura giansenista obbligata dallo spirito della contro-riforma ad una prudenza e ad una sottigliezza veramente teologica.
In Italia furono principalmente i fattori politici a rinforzare la contro-riforma che soffocò in sul nascere una promettente rifioritura della Riforma, che aveva le sue ardite caratteristiche proprie del genio italiano. Troppo tardi, troppo -timidamente, senza il contagio di un movimento che traesse la sua forza dalle condizioni generali della vita sociale, penetrò col giansenismo di Francia, diede nel ’700 un movimento di rinnovamento il quale all’Italia anestizzata spiritualmente dalla contro-riforma, quella crisi di dubbio religioso e quell'aspirazione al rinnovamento nel contenuto sentimentale se non in quello dogmatico della fede, che la Riforma non era riuscita a far penetrare tra noi » (io. 232). Le ragioni dell'insuccesso come movimento di rinnovamento religioso vanno ascritte oltre che alle condizioni generali poco favorevoli i” Italia e all’origine straniera del giansenismo che non trovava addentellati nella vita e nel pensiero italiano, nel fatto che un pensiero religioso non poteva affermarsi in Italia, dove la controriforma aveva soffocato di pratiche re ligiose la religiosità, dopo averla vuotata di idee e d’interesse, olà tendenza pelagiana era stata portata sino alle ultime conseguenze, facendo svanire dall'anima il contenuto tragico della salvezza e affievolando la coscienza. È appunto in questa tendenza pelagiana che va cercata la ragione del successo delle nuove teorie del sensismo e dell'enciclopedismo, che ritrovava in esse una più efficace espressione laica. Gli animi si muovevano dunque in un’atmosfera assolutamente estranea a quella dell’ago-stinianismo del giansenismo. Un’altra ragione sta nel tramonto delle concezioni assolutista: tramonta la monarchia del principe e quella di Dio. Cominciava >1 regno dell’uomo; la libertà contro la volontà
assoluta di Dio. Lutero, Calvino, come Pascal e Bossuet, si muovono nella medesima atmosfera spirituale: affermare i diritti di Dio, il governo di Dio su quello dell'uomo. La società che preparava la Dichiarazione dei diritti dell'uomo s’ispirava alla tolleranza, all’eclettismo, alla concezione della vita sociale e alla morale del Rousseau, e non poteva certo comprendere e far sua la concezione assolutista e intollerante, del giansenismo, fondata sul duplice fondamento di una concezione pessimistica dell’umanità e dell’assoluto e dispotico governo di Dio.
Poteva essere compresa solo dagli iniziati all'agostinianismo e alla storia antica della Chièsa, che soffrivano dei mali della Chiesa e della fiacchezza della pietà, comune: cioè da pochi. Se l’appoggio dei principi riformatori nel rinnovamento della cultura ecclesiastica nei seminari potè far credere che sì potesse diffondere il pensiero giansenista, ben presto i fatti dimostrarono che si trattava di una fallace speranza.
Al giansenismo italiano, fuori dei tentativi nel campo della politica ecclesiastica, mancò per forza di còse più che per colpa degli uomini il terreno adatto per divenire un movimento efficace di rinnovamento spirituale e sociale delle masse. A parte queste piccole riserve, l’articolo dello I. resta una delle più chiare esposizioni generali delle caratteristiche del giansenismo italiano.
Sul maggior teologo italiano, il Tamburini, ha cominciato a pubblicare uno studio D. Ricci, ispirato al più puro spirito di ortodossia ecclesiastica. Lo precede un accenno alle condizioni religiose e politiche del tempo e sul giansenismo, confuso con il giurisdizionalismo e il gallicanismo. Singolare la genesi del Giansenismo! « Mentre nella metà del secolo xvn (sic) minava in Francia il calvinismo, ivi sorgeva il giansenismo. Questa setta (!) professava in fondo i principi Calviniani (sic) ma con formule più subdole tanto che i meno accorti avrebbero potuto credere gli ipocriti, avversari ardenti di Ginevra... Coprendosi d’una maschera ipocrita e in dispetto d’urta rivolta segreta... ecc. ». Le dottrine e gli esempi di Francia sedussero gli spiriti principalmente in Germania. « ove s’avvicinarono nel commercio socievole protestanti e cattolici e quindi quelli comunicarono a questi le loro passioni antipapali e quelle. dottrine che ai loro
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RECENSIONI
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principi davano l’onnipotenza sulle cose sacre ». Con una così profonda analisi è ridotta ad una triste, sbiadita copia del calvinismo quello che fu indubbiamente uno dei più seri movimenti cattolici nel cattolicismo moderno e che doveva fatalmente cadere con tutto 1‘ancien régime. Non si comprende inoltre come il giansenismo potesse nascere sul suolo francese Suando il suo preteso padre il calvinismo
u obbligato a morirvi.
Migliore per dettagli forniti lo studio sul Tamburini, una delle glorie del seminario di Pavia. Il Tamburini, attraverso una crisi di pensiero che lo fa passare insoddisfatto dall’aristotelismo al sensismo inglese, trova la luce nella teologia agostiniana. Nel « Soliloquio » dice di se stesso: «Oh come bella religione m’apparve — negli aurei libri del pastor d’Ippona — che per ¡scorta io scelsi ai passi miei . —La vidi in quelli immacolata e pura—nelle sue parti coerenti e adatta — ai bisogni dell’uomo, a’ miei bisogni — ai disegni di Dio. Ma nel vederla — in tanti libri sì malconcia e lorda — coi capricci dcll’uom confusa e mista, — ira n’ebbi e dolor. Dover mi spinse — alla difesa del celeste dono... •
E scrisse la prima opera (1771) De summa catholicae de gratia Christi praestanlia,-sfida lanciata al Molina e che ebbe un largo successo e gli meritò la perdita della' cattedra di teologia al seminario di Brescia.
E uscito un altro libro che si riallaccia alla serie degli studi recenti sul giansenismo italiano di A. Parisi: I riflessi del giansenismo stilla letteratura italiana (Catania, I. Ed. Siciliana, 1919).
M. Rossi.
FILOSOFIA ANTICA E CRISTIANESIMO
Gh. Corsière. Le Christianisme et la fin de la Philosophie antique. Paris, Fischbacher, 1921, pp. 292.
Dopo la classica opera del Vacherot sul neoplatonismo, ormai troppo invec-. chiata, e quella recente del Whittaker ' (The neo-Plalonists, ediz- 2a, Cambridge, 1918), questo studio del Corbière viene a colmare non poche lacune, ancora aperte nei solchi intricati della filosofia neoplatonica. Alla quale, naturalmente, s’intreccia la cristiana, che talvolta s’oppone, tal altra s’identifica con quella.
L’opera dello scrittore francese è condotta con rigoroso metodo storico, con
larga informazione bibliografica (1) e con esposizione chiara e ordinata in sì fitto groviglio di sistemi e di nomi. L’introduzione è dedicata al movimento d'idee che precorre il neoplatonismo propriamente detto, che, così, è ricondotto alle sue prime sorgenti. L’A. divide là storia del neoplatonismo in quattro periodi: il primo da Ammonio Sacca a Porfirio, il secondo da Porfirio a Giuliano l'Apostata, il terzo da Giuliano a Nemesio, l'ultimo da Proclo alla chiusura della scuola d'Atene.
La trama dell’esposizione storico-filosofica corre parallela a quella degli avvenimenti politici, che in questo periodo sono più che mai interdipendenti con le idee speculative, ma non viene, del pari, segnata l’influenza e il riflesso della letteratura e dell’arte sulla filosofia.
Ma ¡1 difetto più grave del libro è la sproporzione nell’importanza attribuita ai singoli filosofi, alcuni dei quali spiccano talmente sullo sfondo di molte figure di mezza statura che è ingiusto dedicar loro soltanto qualche pagina di più, livellando quasi tutti alla stessa stregua. È questo il caso di Proclo, il grande epigono della filosofia antica, al quale non è riconosciuta tutta l’importanza che merita per la sua. filosofia, che è senza dubbio il sistema più vasto e organico del neoplatonismo. Proclo, del quale l’A. non sembra neanche possedere l’esatta informazione di tutte le opere: infatti egli non parla affatto dei trattati scientifici e dei Commentari, all’infuori del Parmenide.
Ciò non ostante il libro del Corbière rappresenta un passo notevole su la via della ricostruzione viva e completa di quel periodo oscuro, e pur così ricco di fermenti ideali, in cui la filosofia neoplatonica si urta e s’innesta, come dicemmo sopra, con la cristiana.
R. N azza ri.
ISLAM
Reynold Alleyne Nicholson, Studici in Islamic Poetry. Cambridge, « University Press », 1921, 8°, xn, 300 pp. 26 sh. La parte di gran lunga maggiore del libro del Nicholson (pp. 43-289) è dedicata ad Abù’l-Ala al-Maarrt, il grande poeta arabo dell’xi secolo, al quale tanto la tradizione indigena quanto il giudizio
(X) Però l’A. no i ha tenuto conto del classico studio di Gaetano Negri su Giuliano 1* Apostata.
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della critica europea assegnano un posto unico nella storia letteraria degli Arabi. Abtì’l-Alà è un poeta religioso, e i problemi supremi dello spirito tengono il posto centrale della sua produzione: ma non è il poeta dell'Islam ortodosso, bensì rappresenta la ribellione al dogmatismo e al ritualismo, ribellione che lo conduce a superare le differenze delle chiese particolari per assurgere a una concezione dei-stica di fronte alla quale Giudaismo, Cristianesimo e Islam, considerati come istituzioni puramente umane, assumono l’identico valore.
Abù’l-Alà, mentre non ha fede in alcuna religione rivelata, nutre una grande fiducia nel potere della ragione, che dev’essere la sola guida dell’anima per giungere alla moralità, suo « fine supremo ». In questo atteggiamento egli ricorda il < perìodo dei lumi » europeo del sec. xvm, beninteso con tutte quelle differenze che intercedono tra il momento e l'ambiente storico di questo e quelli dell'oriente musulmano del sec. xi. Nè, del resto, il deismo di Abu’l-Alà si sviluppa a sistema, ma rimane coinè un'affermazione vaga, oltre la quale il poeta rimane scettico intorno a ogni costruzione dogmatica. Ciò che conta, secondo lui, non è la teoria, ma la pratica; sono le azioni e non le credenze quelle che giustificano l’uomo, e la suprema tra le azioni è la carità, che AbO’l-Alà vuole estesa perfino agli animali. Il Nicholson non si è contentato di esporre, con acume e dottrina, le idee filosofiche di al-Maarrt, rilevando giustamente come in lui il poeta prevalga sul pensatore e come la sua visione filosofica e religiosa non sia contenuta nell’ambito di un sistema organico, ma si esprima frammentariamente attraverso l’effusione del sentimento artistico: egli ha voluto dare al lettore l’impressione di questo sentimento, accompagnando la sua trattazione colla traduzione di ben 332 brani poetici (tratti dalla collezione detta Luzùmiyytty, dei quali dà in appendice il testo. Che queste traduzioni, quasi tutte in versi di rara perfezione formale, costituiscano dei piccoli capilavori non potrà sorprendere chi conosca i saggi precedenti del N. in questo campo e apprezzi in lui, insieme colla conoscenza profonda della religiosità musulmana, e specialmente della mistica, la solida preparazione filologica e il notevole talento artistico. Sicché quest’ultimo lavoro del
Nicholson figura degnamente accanto agli altri suoi maggiori sia di letteratura sia di mistica persiana e arai a.
La prima parte del volume (pp. 1-42), contenente l’analisi di un'antica antologia Soetica persiana,’ con abbondanti saggi i versioni, è interessante piuttosto per la storia letteraria che per quella religiosa.
G. Levi Della Vida.
PROTESTANTESIMO FRANCESE
Abbé I. Dedieu, Le Rôle politique des protestants français, Paris, Bloud, et Gay, 1921Questo libro—come l'A. dice nella Prefazione — era scritto fin dal 1914. Però, scoppiata la grande guerra e decisasi, in Francia, l’unione sacra, non venne pubblicato. Ora, con mille proteste di pura intenzione e docvmen fazione storica e di incondizionata ammirazione pei- l’eroismo ed il patriottismo dimostrato, durante i cinque anni di guerra mondiale, dai protestanti francesi, l'A. confessa d'essersi lasciato finalmente decidere alla presente pubblicazione. Si comprendono benissimo tutte queste riserve dell’abate Dedieu, appena ci si accinge alla lettura del suo volume...
È un libro psicologicamente e storicamente sbagliato. Quelli che l’A. vorrebbe rinfacciare a’ protestanti francesi del passato come tradimenti, politicantismi e sovversivismi politici, perchè con maggiore semplificazione, non li addebita invece al carattere francese nato fatto per la politica e per le innovazioni sociali? E poi, si può davvero chiamare « rôle politique » quell’attaccamento appassionato alla propria patria da parte de’ mi-Sliori de' suoi figli, iniquamente espulsi all’intolleranza inaudita del tiranno di Versailles sobillato dal gesuitismo e dalla gelosia de’ cortigiani di parte avversaria? Se questi magnifici ribelli, insofferenti del rifugio estero, dopo avere pienamente realizzato in loro stessi il senso sublime della libertà dei figli di Dio, sognarono qualche giorno di affermare, anche come cittadini e come francesi, questa loro libertà umana, rientrando, per virtù propria, nella loro patria mai dimenticata, affine di servirla con una sublime dedizione che avrebbe rasentato l'eroismo, a chi regge il cuore di chiamarli complot-tatori, spióni, sovversivi politici e peggio?
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RECENSIONI
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Non basta allo storico di rintracciare alcuni documenti e poche lettere private ed affatto individuali e da questi materiali scarsi e personalissimi cavarvi una... storia. I-a storia occorre riviverla e se è storia di sublimi eroismi, di rivendicazioni magnanime e di esplosioni di libertà in mezzo all’oppressione più tirannica, chi non la sa rivivere respirandone l’ansito eroico e commisurandola con un cuore ugualmente dilatato, non può assoluta-mente pretendere ad interprete condegno, ma solo a travisatore meschino. Questo è proprio il caso. La storia della Francia protestante, dalla revoca dell’editto di Nantes (1685) all’editto di tolleranza (1787) che preludiava alla rivoluzione dell’89, è tutto un ignorato, intenso dramma, i cui protagonisti erano, nello stesso tempo, i più eroici sacrificati e i sublimi portavoce, dentro e fuori la Francia, dei diritti umani. E Pierre Jureu, al quale l'abbé Dedieu dedica ben tre denigratori capitoli dei dodici del suo libro (IX-XI), malgrado alcune impetuosità del suo carattere aspreggiato dall’infierenti persecuzioni, sarà sempre, per gli amici delle libertà religiose e civili, «uno de’ primi uomini del suo secolo » come lo definiva lo stesso Bayle è l'avversario di Arnauld; di Nicole, di Maimburg e di quel Bossuet che lo chiamava « le tenanl du parli ». E la tragedia del suo gran cuore che, prima della revoca dell’editto di Nantes, gli faceva ricordare il dovuto rispetto «a un re, a un grande re, al suo re » e, dopo quella revoca, nel 1685, lo faceva... rivolgere solo «a Dio, ai re dei re», sarà sempre considerata come una delle più legittime ribellioni spirituali d’un temperamento religioso che si vede leso, insieme a’ suoi fratelli, ne’ più intangibili diritti della propria coscienza.
Piero Chiminelli.
SCHLEIERMACHER
F. Schleiermacher, La foi chrétienne d’après les principes de la Réforme. Adaptation par D. Tissot. Paris, E. De Boc-card, 1920, pag. xxxi — 379.
Aspettando che un coraggioso editore italiano pubblichi la versione della Christliche Glaube dello Schleiermacher, il frutto della pietà morava rinnovata dal criticismo kantiano e dal romanticismo.
il nutrimento più solido per la formazione di una mentalità religiosa, vedo con piacere una nuova ristampa di una versione postuma adattata e corredata di richiami al Kurze Darstellung des theologischen Stu-diums e ai Reden uber Religion e alla Leben lesu dall’antico decano dell’Oratoire di Ginevra, il Tissot. Anche il titolo è mutato: La fede cristiana secondo i principii della Riforma. È uscito il primo volume SIntroduzione, definizione e metodo della ogmatica: I. Lo sviluppo della coscienza religiosa. — IL Sviluppo della coscienza religiosa determinata dalla redenzione). L’opera dello Schl. risale al 1821-22 c venne ritoccata più volte dall’autore stesso. È per la dogmatica moderna un po’ quello che è Kant per la filosofia. Eccitatore di energie, di problemi, anche se non è possibile accogliere le sue costruzioni e le sue direzioni spirituali, il fermento di pensiero che è nella sua opera è ancora attivo. E un classico della teologia. Riporto qui qualcuna delle sue tesi fondamentali che caratterizzano la sua direzione di pensiero.
La teologia nasce dalla Chiesa, si riferisce ad essa e lavora per essa. È essenzialmente storica ed ecclesiastica. La Chiesa è una società nata dalla pietà e formata per conservarla e svilupparla. La pietà non consiste nè nella scienza nè nell’azione, ma in uno stato del sentimento o della coscienza immediata.
La coscienza di Dio non è che il sentimento immediato della dipendenza assoluta.
Se Gesù Cristo Redentore riassume il cristianesimo, si appartiene alla Chiesa per la fede in Gesù C. Redentore. La fede è la certezza che sotto l’influenza del Cristo il nostro stato — il bisogno di redenzione — scompare e lascia il posto ad uno stato nuovo nel quale la coscienza della redenzione regna assoluta. Il dogma è nato dalla riflessione che si esercita sui dati immediati della coscienza religiosa. Se l’elemento logico vi ha una parte, questa è unicamente nell’espressione. Ogni dogma ha un valore ecclesiastico ed uno scientifico. La dogmatica è la sciènza che presenta l’insieme delle dottrine di una chiesa cristiana ad un momento dato della sua esistenza. La dogmatica per conservare il carattere di una scienza, deve dare ala sua terminologia una forma dialettica e ai suoi diversi elementi un ordine sistematico (Dall’introduzione). Tutti
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1 momenti della vita religiosa includono il sentimento della dipendenza assoluta o, in altre parole, ogni coscienza di sé contiene la coscienza di Dio.
La coscienza religiosa o il sentimento di dipendenza assoluta non è un fenomeno accidentale, ma un elemento essenziale della nostra natura: fa parte della costituzione stessa dell’uomo.
La nostra affermazione intorno alla coscienza di Dio rimpiazza le prove dei teologi per dimostrare l’esistenza di Dio. Esse non devono figurare nella dogmatica. La dogmatica suppone la fede, ma non la stabilisce (Dalla iB parte).
Mario Rossi.
LITUANIA
A. Palmieri, Rinascila letteraria e clero in Lituania. Firenze, Lib. Editrice Fiorentina, 1920.
È il primo d’una collezione di quaderni dell'ora editi a Firenze per servire di facile mezzo di orientamento nella turbinosa ora che volge.
Questo quaderno è doppiamente significativo, sia perchè è il primo tentativo fatto in Italia di divulgazione della stor ia letteraria lituana, sia anche per l’abbondante bibliografia che riporta. A. Palmieri è davvero un’autorità in questo campo di studi slavi. Secondo il suo parere la storia letteraria lituana è essenzialmente religiosa. Essa ebbe nel sec. xvi, per impulso del protestantesimo tedesco, il suo primo periodo di sviluppo c di classicismo. lonas Brct-kunas, calvinista, fu nel sec. xvi il primo traduttore della Bibbia, e in quel secolo ci fu colà una vera fioritura di scuole, di stamperie e di pubblicazioni evangeliche. Anche qui, come altrove, ala propaganda protestante risvegliò l’attività cattolica » (p. 12). A Vilna, centro della cultura protestante nella Lituania, contrapposero all'invadenza letteraria della Riforma ¡’Accademia di Vilna. Da Vilna uscì, per opera dei Gesuiti, la traduzione della Postilla Cattolica del gesuita Werick, traduzione dovuta a N. Danksza, per essa considerato come il fondatore dell’idioma letterario lituano. Tuttavia il trionfo gesuitico fu, anche qui, effimero e ben presto « l’entusiasmo della rivincita cattolica svanì » (p. 18). Il cat-tolicismo polacco soffocò quel germe di nazionalismo lituano che l’impeto della Riforma avea ridestato e per non spègnersi
del tutto « il lituano emigrò tra i protestanti nel territorio prussiano. In Prussia ebbe i suoi natali il più grande poeta lituano del secolo xvni. Cristiano Dunalaitis, il cantore delle stagioni dell’anno... Il suo poema Metas (Le stagioni) ebbe l’onore di parecchie versioni tedesche, e secondo il dotto critico lituano W. Vidunas, è da considerarsi come un testo classico per lo studio del lituano. I suoi ammiratori esagerarono talmente nelle loro lodi da considerarlo come il solo poeta lituano >(pp. 18-19). Era una splendida rivincita della cultura protestante! Più vicino a noi l’idea nazionale lituana trovò'un terreno favorevole di cultura, oltre che nella Lituania tedesca, , negli Stati Uniti d'America. Queste, per sutnma capita, le vicende d’una letteratura e d’una nazionalità descritte nel quaderno di A. Palmieri. Non si usciva da’limiti dello stesso lavoro, intitolando così: «Nascita letteraria c Riforma in Lituania •.
Piero Chiminelli.
APOLOGETICA CRISTIANA
Alan COatbs Bouquet, Is Christianily thè Final Religioni London, Macmillan and Co., 1921. Pag- 35®- Sh. 10,6.
Questo è un libro di apologetica costruttiva. L’A. ci fa subito notare che questo indirizzo di studii è ancora molto trascurato in Inghilterra, dove sono apparsi solamente due capitoli su questo soggetto in volumi dovuti alla penna di due celebri presbiteriani scozzesi. Ci fa sapere anche che negli Stati Uniti stessi un solo volume di importanza è stato pubblicato su questo soggetto dalla attività geniale di uno dei più noti scrittori battisti, il prof. Poster.
Questo vale a dimostrare che il bisogno apologetico non dovette essere fino ad ora gravemente sentito nei paesi anglo-sassoni, forse a causa della immensa influenza sociale e religiosa esercitata ancora dalle Chiese, perchè sarebbe assurdo il pensare che questi paesi, i più ricchi del mondo nella letteratura religiosa, non potessero possedere il genio dell’apologetica. Questo volume stesso, che incomincia a corrispondere ad un bisogno gravemente sentito, è una prova evidente che non si tratta della mancanza del genio apologetico, ma solamente della mancanza dello stimolo che nasce dalle esigenze della necessità. In Germania invece, dove le condizioni sono state diverse, le produzioni di questo genere sono State numerose e ricche, e l’A. ne ha fatto profitto.
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RECENSIONI 63
Poste queste premesse, e il rigore scientifico con cui l’A. conduce la sua opera, è naturale che questo libro sia stato ricevuto e salutato con gioia nel Regno Unito. Perchè anche ih Inghilterra è incominciata ad apparire una sorda antipatia contro le Chiese, e quindi contro il Cristianesimo, per parte dei capi del popolo e dei leaders della vita industriale; ed il prestigio assoluto che, quasi fino ad ora, era stato concesso al Cristianesimo, è stato scosso da una intera .generazione, che si presenta con tendenze spiccatamente neo-pagane. A questo nuovo ambiente corrisponde appuntò questa pregevole opera del Bouquet, che segna l’apertura di una crociata apologetica nel Regno Unito.
Venendo ora al contenuto del libro l’A. pone come base del suo studio la tesi dell’Assolutismo dei Cristianesimo, cioè come religione di valore assoluto.
Intanto il carattere generale della religione, cóme rappòrto personale con Dio, richiede necessariamente una divinità personale. Questa è forse la parte più nuova del libro. Ciò posto è facile giungere alla conclusione che è impossibile che questo sentimento religioso sia unicamente antropocentrico, cioè senza risposta da parte di Dio, altrimenti la religione sarebbe come un dialogo di Shakespeare a cui fosse lasciata una sola parte degli interlocutori. Questa risposta da parte di Dio, che noi chiamiamo rivelazione, deve perciò diventare un assioma nello studio scientifico della religione. Cosi la rivelazione divina, la risposta divina, le parole divine, le azioni divine, sono un sicuro dominio della storia, come anche un ineluttabile postulato della coscienza religiosa.
Inoltre l’intervento divino deve apparire come un corollario di perfetta armonia cól creato che ci circonda, o almeno non gli deve essere contrario. E a questo punto l’A. analizza uno per uno i grandi rami delle religioni esistenti per sviluppare gli argomenti che pongono in posizione assoluta i valori del Cristianesimo nella loro portata, nei loro appelli e nei loro risultati. Una questione che è stata recentemente studiata nella nostra Rivista, sui rapporti dell’Ebraismo col Cristianesimo è qui pure considerata a pag. 75 nel senso che • il Cristianesimo è il naturale c legittimo sviluppo dell’Ebraismo. L’Israele che rigetta il Cristianesimo non è più la vera Chiesa, ma è fuori della sua missione, precisa-mente come furono fuori della loro missione gli Ebrei, che si ostinarono a restare in Babilonia quando invece era giunto il tempo di partire ».
Così giunge alla conclusione che il Cristianesimo è la più diffusiva fra tutte le religioni esistenti; a più ricca di successo nei suoi appelli; quella Che più di tutte ha saputo rispondere ai bisogni fon
damentali della natura umana, come pure è quella che ha prodotto i migliori risultati per ottenere, meglio di tutte le altre religioni, che questo nostro pianeta fosse un mondo migliore.
Le quattro obbiezioni fondamentali contro il Cristianesimo sono affrontate e risolte chiaramente del capitolo IV. Il capitolo V è stato forse il più apprezzato in Inghilterra (come mi risulta dalle recensioni) perchè porta a conoscenza del pubblico inglese la forza costruttiva dell’apologetica di Troelstch.
Segue una breve analisi delle deficienze razionali del movimento unitario; come pure della posizione assunta da Harnack col principio della Paternità di Dio; così pure del determinismo futuro del Cristianesimo, che è poi stato abbandonato da! suo stesso fondatore (il Loisy); come pure del pragmatismo modernista di Leroy.
La nota (pag. 278-290) sulla Teosofia è la più ricca ed efficace confutazione che sia stata scritta di questa stranezza delle anime moderne, stranezza che Papini ha definito sinteticamente chiamandola un miscuglio di superstizioni muffose e di cabalistica cariata, con rattoppature malfatte di buddismo d’esportazione e di cristianesimo tradito (La storia di Cristo, pag. IX), L’A. è almeno esplicito quanto il Papini nel suo studio; e la sua requisitoria documentata contro la Teosofia segnerà ceY-tamente il nuovo orientamento di molte anime verso le Chiese.
Ignazio Rivera.
TEORIA DELLA RELATIVITÀ
Robb Alfred A. — The absoluta relations of lime and space. Cambridge, University Press, 1921, 8°, pp. VIIl-80.
È uno dei tanti lavori cui ha dato origine la rivoluzionaria teoria della relatività, cui Einstein ha legato il suo nome. L’A. rigetta uno dei punti fondamentali di questa teoria: cioè che gli eventi possano essere simultanei ad una persona e non simultanei ad un’altra, la qualcosa condurrebbe a negare la realtà del modo esterno ed a ridurre il mondo fisico a un sogno, o, mèglio, ad un incubo. Se due fisici — egli osserva—sono d’accordo nel discutere un esperimento fisico, il loro accordo implica che essi ammettono in qualche modo un mondo comune in cui l’esperimento ha luogo. Potrebbesi obbiettare che basta una semplice corrispondenza tra i mondi fisici dei due scienziati, ma, in tal caso, dove o come tal corrispondenza sussiste? Non certo solo nello spirito dello scienziato A. o in quello dello scienziato B., ma in un comune substratum, ed eccoci allora ricondotti a un punto di vista obbiet-
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tivo. In questo libro, di cui l’indcle strettamente matematica non ci consente di dare un resoconto più dettagliato, FA. sviluppa queste idèe sforzandosi di dimostrare l’obbiettività e l’assolutezza delle relazioni di tempo e spazio: e una teoria, la sua, che, pur riducendo tempo e spazio a relazioni di prima e dopo, è diversa, e in certo senso opposta alla teoria della relatività di Einstein.
A. T.
PSICOLOGIA
Nazzari Rinaldo, Psicologia della volontà, Para-via, 8°, pp. 72 (L. 2).
È una diligente analisi, per espressa volontà dell*Autore contenuta su! terreno della pura psicologia, rigorosamente interdicendosi escursioni di carattere metafisico, o anche semplicemente filosofico, del fatto della volontà. Dopo un rapido, ma
sostanzioso esame delle principali teoriche antiche e moderne sulla natura e sul grado dell’attività volitiva, l'Autore .espone la sua personale concezione, la quale nega l’esistenza di una particolare attività o facoltà dello spirito chiamata volontà, ed in essa non vede che sentimenti e rappresentazioni o idee connèsse con elementi motorii. L’impulso, l’atto volitivo semplice, non è che il sentimento di un movimento organico, implicante perciò sensazioni o rappresentazioni; l’atto volontario riflesso appare più complesso, costituito com’è da almeno tre clementi fondamentali: motivo, risoluzione, azione; ma anche questi, a guardar bene, si riducono secondo l’autore, a sentimenti e idee. Ne! negare alla volontà dignità di facoltà autonoma, il Nazzari, in fondo, segue il Brentano, benché ne diverga poi, notevolmente, nella dimostrazióne del suo assunto.
A.T.
— Nel prossimo fascicolo pubblicheremo le tavole premiate al Concorso artistico', nelle pagine colorate di questo fascicolo i lettori troveranno la relazione della commissione giudicatrice).
— Entro settembre spediremo agli abbonati in regola con l’Amministrazione i Quaderni 304. A. Severino : li sentimento religioso di F. Amiel. R. Nazzari: La dialettica di Proclo e il sopravvento della Filosofia cristiana.
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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
I. - Novità Librarie.
Aster E.» Geschichte d. neueren Erkcntnistheorie. Berlin.
Bacot J., Trois mystères thibétains: Tchrime-Hundan, Djraazonmo, Nansal. Paris.
Baudouin C.. Tolstoi éducateur. Paris.
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