1
Anno 114 - N. 16
22 aprile 1977 - L. 150
Spedizione in abbonamento postale
I Gruppo /70
BIBLIOTECA VALDE3E
10066 TORRE PEIL ICE
delle valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
UNA RACCOLTA DI SAGGI PUBBLICATA DALLA CLAUDIANA
EFESINI 2: 14
Incontro con ]V[Íe¿¿e Cristo nostra pace
L’opera di Giovanni Miegge resta un punto di riferimento anche per
le nuove generazioni di credenti
Quante volte mi è accaduto di
pensare, di fronte a situazioni, a
prese di posizione, a dibattiti della nostra chiesa; « cosa ne direbbe Giovanni Miegge? ». È capitato a me, e probabilmente a molti
fratelli della mia generazione e
della generazione precedente, perché Miegge resta, con la sua personalità di credente e di studioso,
un punto di riferimento tuttora
presente per noi uomini fra i 40
ed i 65 anni; ma per gli altri, i
più giovani? È assai diverso,
Miegge è ormai un fatto culturale o un mito. Se per alcuni fra
noi il ricordo di incontri, parole,
dialoghi rende possibile immaginare la sua presenza, per molti ormai non resta altra possibilità di
incontro all’infuori dei libri.
E sarà cosi in misura sempre
crescente nei prossimi anni man
mano che la nuova generazione
crescerà, « che non ha conosciuto
(potremmo dire parafrasando le
parole bibliche) il tempo del deserto». Non è dunque inopportuno mettere i nostri giovani, i nostri amici, e tutti coloro che in
qualche forma si sono interessati
alla nostra presenza, in condizione di « leggere » Miegge. 11 volume ora pubblicato dalla Claudiana, e di cui rendiamo conto, è il
primo passo in questa direzione.
Quello che ci viene presentato
qui non è tutto Miegge, ma solo
un aspetto della sua ricca produzione, l’aspetto più propriamente
teologico. La divisione, necessaria
per motivi editoriali, fra l’attività
pastorale e quella professionale
è naturalmente fittizia; 1 esistenza di due livelli di riflessione; uno
accademico ed uno popola^, di
due modi di pensare e di riflettere, adatto il primo al popolino e
riservato il secondo a pochi privilegiati, uomini colti, è normale
nel « mondo » ma non nella chiesa, e possiamo dirlo a testa alta e
con fierezza non nella chiesa evangelica in Italia. In questo senso
Miegge è teologo autenticamente
evangelico e valdese; egli pensa, legge e scrive non per far carriera, per acquistare sapere, e neppure per progredire sulla via della conoscenza ma per comunicare
un messaggio; legge per capire e
scrive perché altri capiscano.
Naturalmente, e va detto a scanso di equivoci, gli articoli della
raccolta sono saggi di studio, documentati, argomentati non riflessioni parenetiche, richiedono cioè,
in particolare gli ultimi, attenzione
ed impegno, lineari e semplici nell’argomentazione, brillanti nella
forma ma non certo di quelli che
si leggono in treno o guardando
la TV.
Le tre parti in cui viene divisa
la raccolta coincidono grosso modo con le tappe dell’attività di Giovanni Miegge. Degli anni 1926-31,
posti sotto il titolo « la Nuova teologia in Italia. 1 prodromi » sono
riprodotti 4 saggi dell’epoca giovanile (quello sulla cristologia, apparso presso DQXA, è senza dubbio il più interessante).
11 periodo 1935-50 si intitola
« la Nuova teologia in Italia » ed
è caratterizzato come il periodo
delle Giornate teologiche del Ciabàs. Comprende numerosi articoli apparsi su Gioventù Cristiana e
Protestantesimo, le ben note « tesi
della nuova ortodossia » del ’35,
la prolusione del 1937 su « Natura e dignità della teologia », l’articolo sulle « due riforme » ed il
« Bilancio teologico di una generazione ».
Tre saggi si segnalano qui come sorprendentemente attuali; sul
rapporto stato-chiesa, sulla libertà religiosa, sull’art. 7 della Costituzione. Negli anni del secondo
dopo-guerra fu intorno a questi
temi che l’evangelismo italiano fece quadrato nella sua ricerca di
identità, poteva diventare battaglia isolazionista, retrograda e
gretto confessionalismo, non lo fu
e questi scritti lo dimostrano, e lo
dimostrano oggi nel nuovo giro
di valzer che riprende sul Concordato con gli stèssi personaggi di
allora, i Gonella, i Jemolo ed il
P.C.I. Rileggere per credere.
La terza parte (1953-1950) ha
un titolo evocativo più che storico; Agape. Comprende 11 saggi,
i più ampi ed elaborati del volume, frutti dell’attività svolta a
Roma, come docente presso la Facoltà di teologia ma soprattutto in
incontri e dibattiti nel contesto dei
campi di Agape.
Qui tutto è da leggere; il saggio in morte di Stalin (chi lo ricorda?), quello su « Il comunismo
e le chiese », che sollevano una
problematica tutt’altro che risolta
nel clima di attuale distensione;
dalla « crociata al dialogo » il passo è stato difficile (ricordare i primi comunisti dell’Est ad Agape!)
ma non meno difficile è il cammino del dialogo.
Il nodo tuttora non sciolto della
concezione sacramentale e clericale del cattolicesimo è impostato
Giorgio Tourn
(continua a pag. 8)
Giovanni Miegge, un maestro
per due generazioni (p. 5).
L’apostolo, prendendo posizione riguardo alla divisione esistente nella comunità di Efeso tra
cristiani di origine ebraica e di
origine pagana, e dicendo a questi ultimi che proprio loro che
erano un tempo lontani, sono ora
stati avvicinati per mezzo del
sangue di Cristo, presenta la riconciliazione data da Gesù proprio con queste parole: « Gesù
Cristo è la nostra pace ».
Questa parola ha un primo significato immediato nella comunità di Efeso divisa. Passato il
tempo della divisione, della lontananza, ora tutto è diverso. Alla
lontananza si è sostituita la vicinanza, alla distanza la prossimità, la divisione religiosa è diventata unione nella fede. L’ostilità che separa i due gruppi di
credenti lascia posto alla pace.
Non ad un compromesso religioso, ma alla pace che è Cristo.
Il contesto ci spinge a proseguire; nel resto del capitolo, vv.
11-22, si parla di uomo nuovo, di
riconciliazione con Dio. Anche il
termine pace, è pieno di senso
per la Bibbia. Nell'Antico Testamento questa parola, la famosa
shalom, indica il benessere, la
gioia, la giustizia, la condizione
che alla fine Dio farà esistere sulla terra, quando il lupo starà con
l’agnello e gli uomini si inviteranno l’un l’altro sotto l’ulivo o
sotto la vite.
« Gesù Cristo è la nostra pace ». Questo vale innanzitutto
per i nostri rapporti con Dio. Il
rapporto dell’uomo con Dio, sia
egli religioso o ateo, non è « pacifico ». Se non fosse per la grazia di Dio, per la morte di Gesù
che ha riconciliato l'uomo con
Dio, noi saremmo solo dei nemici. L’uomo, senza la croce,
senza la decisione di Dio di essere un Dio per l’uomo, non può
vivere in pace. Se vogliamo uscire dalla immagine dei nemici,
che è usata da Paolo nel cap. 5
dell'epistola ai Romani, possiamo dire che Gesù Cristo è la nostra pace perché egli è « Dio vicino ». Dio non è lontano, Dio
non è straniero, Dio non è altro
perché è in Gesù: questa è la
pace dell’uomo.
« Gesù Cristo è la nostra pace ». Questo vale anche per i rapporti tra gli uomini. Questo perché Gesù è la verità detta sul
l’uomo. Egli è la nuova umanità.
Gesù e la sua croce sono la decisione di Dio di far sì che la
verità, la realtà ultima e definitiva dell’uomo, non siano il ryeccato, la morte, ma la salvezza, la
pace, la vita.
Questa pace che Gesù è per
noi non è ancora la nostra esperienza. La realizzazione totale,
qui su questa terra, della pace di
Cristo deve ancora venire, ma il
fondamento, dice il nostro testo,
è già posto. Senza Gesù Cristo, la
pace, con Dio e col prossimo, sarebbe un’utopia, un sogno. Il fatto che sia vissuto Gesù, principe
della pace, come Isaia chiama il
Messia, fonda, attesta ed anticipa la pace che il Regno di Dio
porterà in maniera evidente. In
quanto Gesù esiste e muore per
gli altri, per i suoi nemici, esiste
la possibilità di amare il prossimo, la speranza di una riconciliazione reale anche qui.
Se Gesù è la nostra pace, allora la pace non è al di là, al di sopra o alla fine della storia, ma è
già nella storia, è già storia. La
pace in cui noi speriamo non è
il frutto degli sforzi secolari dell’umanità, non è un mitico ritorno all’età dell’oro, ma è indissolubilmente legata ad una persona, alla persona di Gesù.
Noru è una pace come quella
che potrebbe dare l’impero di
un principe vittorioso, è la pace
conquistata sulla croce da un
servo sofferente.
Sul fondamento della pace che
è Gesù Cristo, si innesta la vita
dei credenti. I credenti non rimangono spettatori della croce
di Gesù. Nella realtà che lo nega, in questo mondo che non è
di pace, i credenti lottano, lavorano per la pace, per la riconciliazione. Proprio lì dove tutto
sembra compiersi senza di noi,
dove ci accorgiamo di non potere nulla di fronte all’unico che
può tutto, dove Gesù riconcilia
con Dio gli uomini che gli erano
nemici, proprio lì nasce la prassi dei credenti. La decisione di
Dio di essere per l’uomo, il movimento con cui Gesù riconcilia
il mondo ci coinvolgono, esigono
quotidiane scelte concrete, che
servano da segni dell’evangelo
che annunciamo.
Daniele Garrone
riunito a GINEVRA L’ESECUTIVO DEL CONSIGLIO ECUMENICO
L'Africa al centro dell'attenzione
« Un altro assassinio nella lunga serie di eventi brutali che
hanno caratterizzato il regno
del terrore che per 6 anni ha
condotto migliaia di persone ad
essere sommariamente eliminate ». Con questa recisa affermazione — riferisce la rivista One
World del Consiglio ecumenico
delle Chiese — il Comitato Esecutivo del CEC ha preso posizione lo scorso febbraio in merito
aH’uccisione dell’arcivescovo Luwum e di due ministri del governo dell’Uganda. L’Esecutivo,
che ha avuto una delle sedute
più cariche degli ultimi anni,
non si è limitato ad una denuncia verbale, ma ha chiesto una
immediata inchiesta internazionale da parte della Commissione deirONU sui diritti dell’uomo
in merito alle « sistematiche e
patenti violazioni dei diritti umani in quel paese » chiedendo che
vengano compiuti i passi necessari « per impedire l’uccisione di
persone che siano ora in immi
nente pericolo di vita».
Il fatto che — come si apprende ora dal Service protestant
français de presse et d’information — il governo dell’Uganda
abbia dichiarato che l’arcivescovo Luwum e i due ministri siano periti in un incidente automobilistico mentre la sera prima
della loro morte la radio aveva
annunciato il loro arresto per
« complotto », dà l’idea di quanto poco convincenti siano le
spiegazioni date da certi governi. L’Esecutivo del CEC ha in
effetti riscontrato la mancanza
di attendibilità delle spiegazioni
date dalle autorità del Sud Africa in merito alla morte di ben
18 prigionieri politici. Le autorità sud africane attribuiscono
questi decessi a suicidi, incidenti
o cause naturali. Anche qui l’Esecutivo ha chiesto alla Com'
missione dell’ONU sui diritti
dell’uomo un’urgente inchiesta.
A proposito della situazione
dello Zimbabwe (nome africano
che prende il posto di quello coloniale di Rhodesia), l’Esecutivo
ha invitato il Governo britannico a rinnovare immediatamente
gli sforzi per riprendere i negoziati della Conferenza di Ginevra sulla base di chiare proteste
scritte per il trasferimento del
potere al popolo dello Zimbabwe entro le scadenze stabilite
da Ginevra.
Anche la Namibia, come è noto, è in una situazione di fortissima tensione, avendo le chiese negre rifiutato di riconoscere
la Conferenza di Turnhalle dove
da mesi si discute sullo statuto
del Sud-Ovest africano, identificando in questa organizzazione
una istituzione sudafricana che
non rappresenta in nulla la causa della Namibia. L’Esecutivo
ha ricevuto con dolorosa preoccupazione un rapporto su questa
situazione, raccomandandone la
diffusione tra le Chiese membro.
Ha inoltre raccomandato all’intercessione delle chiese i respon
sabili e i membri delle Chiese
della Namibia per la grande pressione a cui sono assoggettati.
Infine un intervento sempre
concernente il Sud Africa; venuto a conoscenza che una banca di cui il CEC si serve, la olandese Algemene Bank, ha concesso prestiti al Sud Africa, l’Esecutivo ha ricordato che dal 1972
il CEC non deposita i suoi fondi
in banche che abbiano legami
col Sud Africa e ha avvertito la
banca olandese che se non interromperà la sua politica di prestiti entro il 1» maggio ’77, i fondi del CEC saranno immediatamente ritirati.
Infine, l’Esecutivo ha esaminato la richiesta di far parte del
CEC presentata da 4 Chiese (tra
cui se non andiamo errati anche
l’Unione delle Chiese Evangeliche Battiate in Italia) dando parere favorevole e inoltrando le
richieste al Comitato Centrale.
F. G
2
24 aprile 1977
DALLE CHIESE
CHIESA E SOCIETÀ’ CONVEGNO FGEI/LAZIO
€ED' a Orsara, Foggia, Cerignola Per una nuova comunità
Nei giorni 2, 3 e 4 marzo u.s.
le nostre comunità sono state
visitate dal Presidente della Commissione Esecutiva Distrettuale pastore Giulio Vicentini.
Ovunque il past. Vicentini si
è incontrato coi Consigli di Chiesa ed ha presieduto delle Assemblee comunitarie dove, dopo la
predicazione della Parola si è
affrontata la necessità dell’impegno dei credenti nel portare
il proprio contributo alla discussione dei temi sinodali e nelle
possibilità di testimonianza in
generale.
Particolarmente interessante
l’assemblea di ORSARA, dove
im’animata e abbondante partecipazione ha dibattuto temi vari quali: la necessità dei giovani, apparentemente lontani
dalla fede, di essere maggiormente curati per un confronto
con la Parola e per un concreto
impegno; il bisogno ad Orsara
di una presenza pastorale « stabile », anche per continuare un
discorso aperto con molti fratelli, che per vari motivi si sono
disimpegnati negli ultimi tempi;
il senso, i problemi ed il futuro
del Centro Sociale Betania; il
problema della ristrutturazione
e del restauro dei locali di proprietà della Tavola.
Anche a FOGGIA, che conta
ufficialmente solo sedici membri
di chiesa, si è avuta un’assemblea interessante con una quarantina di persone (molte altre
in realtà mancavano), dove si è
discusso i modi e le forme d’inserimento nella realtà cittadina,
che impegnino evangelicamente
la testimonianza della chiesa.
Un senso generale di soddisfazione ha accompagnato questo
giro di visite sia perché in tal
modo la Commissione Esecutiva
si è rivelata un utile strumento
di servizio per le comunità, sia
perché il pastore Giulio Vicentini ha suscitato un vivo senso di
riconoscenza per la sua volontà
di ascolto dei vari problemi e
per il suo fraterno contatto umano, anche nelle visite a fratelli isolati, come nella campagna foggiana.
• Dal 25 al 27 marzo la PGEI
di Cerignola è stata a Napoli per
una gita culturale, che ha compreso visite a Pompei e altri
luoghi di interesse turistico. È
stato visitato anche l’Ospedale
Evangelico di Ponticelli e nella
stessa Ponticelli si è svolta ima
piacevole serata con pizza e canti assieme al gruppo PGEI che
lavora nel centro sociale Casa
Mia.
• La chiesa di Orsara nel quadro di un impegno culturale della città, che ha istituito una biblioteca civica gestita in senso
oopolare (un’assemblea della Biblioteca è stata anche ripresa
dalla televisione), ha fatto dono
alla medesima di tutte le pubblicazioni « Claudiana » degli ulti
mi due anni e l’ha abbonata a
giornali e riviste evangeliche.
• A Cerignola, in occasione
della Pentecoste, si avrà la visita di alcuni fratelli della comunità di Solingen con il past.
Rolf Busse. Questo è un motivo
di gioia per la Chiesa di Cerignola, che può svolgere il suo
sevizio sociale soprattutto grazie al concreto aiuto di questa
comunità, a lei legata ormai da
molti anni.
Durante il week-end del 26-27
marzo i membri della FGEI
Centro si sono ritrovati a Rocca
di Papa nel Centro Evangelico
Battista per discutere della comunità dei credenti, dei suoi fondamenti biblici e dei suoi rappor
ti con la società, con particolare
riferimento alla nostra situazione concreta.
Perché una settantina di giovani si sono incontrati per due
giorni a discutere su questo tema?
PROTESTANTESIMO IN TV
Argomento di attualità non solo per noi protestanti ma
per la massa di cattolici del
dissenso, quello di domenica a
« Protestantesimo » (sul 2“, alle
23,00). Aldo Comba apre l’incontro
presentando il past. Giorgio Girardet direttore del settimanale COMNuovi Tempi e impegnato nel movimento dei cristiani per il socialismo. Al dibattito partecipano : lo
scrittore Lamberto Fumo de La
Stampa, Sandro Magister della Re
forse nuove forme di recupero con
nuovi strumenti di captazione.
La Menapace osserva che da
parte di Roma c’è il tentativo di
ricomporre l’unità dei cattolici (vedi GL) mentre cbe fra gli evangelici c’è dispersione; Girardet sottolinea che è viva nel protestantesimo italiano l’esperienza del pluralismo con Comunità a volte dall’aspetto diverso ma nella realtà con
una dimensione di fede e di cultura
hen solida sul fondamento della Pa
tà sta nel vedere come nella società attuale sia possibile portare avanti i due elementi : la libertà e la
giustizia; si condanna il marxismo
essere materialista ma mai nessun
predicatore ha denunciato il materialismo bieco, cieco e ipocrita del
capitalismo che ha soffocato i bisogni più elementari deU’uomo e
sfruttato a profitto di pochi le ricchezze di tante nazioni e popolazioni rese misere. I cristiani per il
socialismo cercano di comprendere
Il dissenso cattolico e noi
dazione de L’Espresso, Lidia Menapace del Manifesto ed il past. valdese Giovanni Scuderi,
Lamberto Fumo osserva quanto
diverso sia oggi l’atteggiamento dei
cattolici nei confronti degli evangelici : si dialoga e nuovi spazi si sono aperti nel mondo cattolico, dai cattolici di base a quelli del dissenso, a GL e ai Cristiani
per il socialismo, ed allora chiede
a Girardet : quale il senso della
presenza di un pastore evangelico
e di cattolici che hanno stabilito
relazioni di intensa collaborazione
sia in COM-Nuovi Tempi che in
altre sedi?
Effettivamente, dice Girardet, un
serio rallegrante mutamento nei
rapporti fra cattolici ed evangelici
c’è, osserviamo con il pontificato
di papa Giovanni e il Concilio Vaticano II. Sandro Magister rileva
che alla Conferenza della CEI sul
tema : « Evangelizzazione e pro
mozione » mancarono le attese aperture, ma Girardet è dell’opinione
che quel convegno non avesse scopi di emarginazione, si tentarono
rola. Il past. Scuderi ritiene l’esperimento di COM-Nuovi Tempi non
realmente ecumenico in quanto
l’ecumenismo sta nell’incontro fra
credenti di diversa espressione di
fede religiosa, mentre si ha l’impressione che COM-NT riflètta una tendenza marcatamente politica con
marxisti e credenti impegnati nell’azione socio-politica; al che Girardet chiarisce che l’ecumenismo nasce attraverso l’Evangelo, certo, ed
anche dal fatto che i problemi della
libertà e della giustizia ci rendono
credenti impegnati nel campo politico, ricalcando l’esperienza di Bonhoeffer per cui la Chiesa ha una vocazione politica in quanto ha il
compito di giudicare il mondo per
mezzo della Pàrola. Ma non solo per
condannare ma soprattutto per essere sale, modello e stimolo di vita.
Già, ma Fumo ricorda che fino
al Concilio la Chiesa era al lato
della Storia, dopo il Concilio la
Chiesa sarebbe entrata nella storia
di tutti gli uomini e chiede in che
misura la prassi marxista sia valida. Girardet osserva come la real
ed esprimere le istanze dei movimenti delle sinistre attraverso un
serio impegno di credenti consapevoli della loro responsabilità. Il nocciolo del problema è qui : la Chiesa,
le Chiese hanno perduto il contatto con le grandi masse proletarie.
Le Chiese sapranno riconquistarle
al prezzo di perdere i loro privilegi frutto di eredità costantiniana
dura a morire?
Fra cristiani e marxisti da anni si è aperto un dialogo; su
questa tematica il pastore luterano
Helmut Gollwitzer ha scritto una
notevole opera : « La critica marxista alla religione e la fede cristiana ». Dobbiamo documentarci,
saper dialogare aperti verso ogni
creatura. Certo non le filosofie umane risolveranno i problemi che ci
stanno a petto; al limite è il Regno
di Dio del quale ogni credente deve farsi annunciatore, costruendo
giorno dopo giorno segni di servizio, di autentica solidarietà non parólala ma nel concreto.
Domenico Abate
A PROPOSITO DE « I VALDESI » DI G. TOURN
Un problema che attende una risposta
Con questo titolo la Claudiana ci presenta
una nuova storia dei Valdesi, scritta da Giorgio Tourn. Ci rallegriamo per questo lavoro
che viene a riproporre alle nuove generazioni lo studio della loro tradizione. E’ un libro che non deve mancare in casa di nessun
Valdese.
L’autore ha cercato di dare un tono « moderno » a situazioni del lontano passato. Così il massacro dei Valdesi di Merindol nel
1545 diventa una « Marzabotto del ’500 »; la
« lunga marcia » di Mao Tse Tung ricorda il
rimpatrio dalla Svizzera e il « giorno più
lungo» dello sbarco in Normandia è anche
quello dell’assedio della Balziglia.
Con particolare impazienza ci siamo affrettati verso le pagine del Risveglio del secolo
scorso. Il significato di questo termine è spiegato in un glossario in appendice: « Termine
generico per indicare tutti quei movimenti
di rinnovamento che si manifestarono nelle
diverse confessioni protestanti in America
già alla fine del 1700 e trovarono pieno sviluppo nei primi decenni del XIX secolo anche in Europa. Dogmaticamente gli uomini
del Risveglio furono molto legati alle espressioni della dogmatica ortodossa, a carattere
biblico, la loro pietà di tipo entusiastico,
emotivo, sentimentale, era centrata sull’esperienza della salvezza ».
Ma parlare di risveglio spirituale presuppone uno stato di decadenza, e seguendo
l’unanime testimonianza degli storici, ci eravamo abituati a considerare la vita spirituale della Chiesa Valdese agli inizi dell’SOO sotto un aspetto assai deplorevole. Esponente
di questo stato, definito di « dormiveglia », o
di « letargo », o addirittura di « marasma »,
era il Pastore Davide Mondon, che Tourn
presenta come « parte della vecchia intellighenzia Valdese costituita da uomini seri e
onesti ».
Nessun dubbio che il Mondon fosse serio
e onesto anche quando, dopo aver celebrato
la funzione nuziale, invitava la sposa a fare
il primo giro di ballo con lui. Ma si rimane
perplessi quando lo si vede esaltare i filosofi pagani e affermare che Gesù era figlio di
Dio come lo siamo tutti noi.
Quanto al Risveglio, esso non è ignorato:
« Il buon senso e la ragione della cultura illuministica potevano condurli (i Valdesi)
fino alla rivoluzione, ma non oltre. Questo
accadrà con il Risveglio degli anni ’30 del XIX
secolo » (pag. 162), e più oltre, il Risveglio
ha portato nella Chiesa alla « creazione di
opere a carattere assistenziale, destinate a
svolgere una azione di immenso servizio in
una popolazione non di rado diseredata »
(pag. 197).
Una mezza pagina è anche dedicata a Felix Neff, definito « sentimentale come tutti i
romantici, appassionato ed emotivo ».
Il prof. Valdo Vinay, nella suo storia della
nostra Facoltà di teologia, ci offre una più
marcata accentuazione del fenomeno del Risveglio. Leggendo il capitolo, di ben trenta
pagine, « Sotto Tinfluenza del Risveglio —
1866-1904 », ci rendiamo conto che il movimento di Neff non fu che una anticipazione
di quello che negli anni seguenti investirà
tutta la nostra Chiesa. Il Risveglio — scrive
Vinay — « dopo la visita del ginevrino Félix Neff (1825) stava rinnovando in quegli
anni la vita spirituale delle Valli. Il Risveglio... si era diffuso anche da noi, come rinnovamento di vita spirituale e restaurazione
dottrinale di fronte alle negazioni e ai dubbi
del razionalismo illuministico » (pag. 95).
Infatti il Risveglio ha costituito una delle
tappe fondamentali della nostra storia. Tutti
i migliori esponenti della Chiesa Valdese del
secolo scorso erano figli del Risveglio, da Giovanni Pietro Revel, primo presidente del Comitato di evangelizzazione al prof. Paolo Geymonat; dallo storico Emilio Comba al prof.
Alberto Revel, per non citarne che alcuni.
Ma ad essi vanno aggiunte decine di figli di
contadini, educati nel clima del Risveglio,
partiti dai più remoti casolari di queste montagne, e che sono diventati quegli evangelizzatori a cui dobbiamo i quadri nei quali ancor oggi vive la Chiesa Valdese.
Tutto questo non è ignorato nel libro di
Tourn, ma ci sembra che sia in qualche misura sottovalutato. Naturalmente ogni generazione legge la storia con la sua ottica particolare e oggi molti teologi si sentono disturbati quando sentono parlare di Risveglio.
Non a caso gli uni scrivono che è anacronistico, irreale pensare alla possibilità di un
Risveglio oggi e altri affermano che il Risveglio può essere un ostacolo e non un aiuto
alla nostra situazione. La teologia del Risveglio richiamava energicamente alla coscienza del peccato, alla necessità del ravvedimento e della conversione, all’esperienza
dello Spirito Santo. Era una teologia fondata sulla responsabilità individuale. Ma oggi
viviamo nell’epoca dell’impegno socio-politico. E come bene ha scritto Giovanni Conso
su La Stampa (12 Marzo), «la politica è essenzialmente lotta, lotta d’idee, perseguimento di traguardi, senza guardare tanto per il
sottile alla personalità degli individui che vi
si trovano coinvolti ».
Soprattutto oggi è fortemente sospettato
quanto possa dare spazio al sentimento e all’entusiasmo. Non per nulla viviamo nell’epoca dei calcolatori.
Tutto questo non quadra molto bene con
la teologia del Risveglio. Che poi il nuovo indirizzo teologico sia in armonia con lo spirito e la lettera dell’Evangelo, e quali risultati abbia prodotto per l’opera di evangelizzazione e la vita spirituale delle chiese, è un
altro discorso.
E il lettore attento, dopo avere percorso
con grande interesse le pagine di questo libro, si avvede che è stato sollevato un problema che attende una risposta.
Roberto Nisbet
La prima risposta, la più ovvia, è perché siamo dei credenti
e come tali viviamo aH’interno
di comunità evangeliche. Ed è
proprio perché viviamo e lavoriamo aU’interno di queste comunità che siamo investiti e
spesso frustrati dal tipo di vita
comunitaria che pratichiamo. La
comunità viene molte volte vista
come « necessaria », almeno per
alcuni periodi (nascita, svezzamento, pubertà e dopo i quaranta), perché dà e crea dei servizi,
(istituzionali come il battesimo,
il matrimonio, il bel funerale, la
confermazione; ma anche sociali: la comunità è un luogo di riferimento, spesso apolitico, e questo piace ai nostri genitori; ma
ha anche altri mille momenti aggreganti come la scuola domenicale, i gruppi giovanili ecc.), servizi di certo non indispensabili,
ma necessari alla gente, per appartenere ad un gruppo ben determinato, con sue regole e modi
di vita.
Qra un simile tipo di comunità
non risponde più alle necessità
espresse dai giovani, né è la testimonianza concreta e vivente
di quell’Evangelo, di cui tante
volte ci riempiamo la bocca. La
nostra prima volontà, c^me credenti, è quella di creare una comunità di fratelli in cui la vita
sia vissuta alla luce dell’Evangelo, e in questo senso mi sembra
si muova la FGEI già dal 1971.
Naturalmente noi non possiamo fare riferimento ad una comunità utopistica, facciamo riferimento alle nostre comunità, ed
è dalle realtà di ciascuna di esse
che noi partiamo per analizzare
il tipo di vita che conduciamo,
confrontandolo con la prassi comunitaria di Gesù e dei suoi discepoli.
Vorrei innanzitutto sottolineare alcuni punti molto importanti,
usciti dal nostro incontro, perché rispondono ai problemi ed
alle esigenze espresse ultimamente da un gran numero di giovani:
— prendiamo in considerazione la comunità; essa solitamente
nasce dall’unione di persone che
hanno interessi o necessità in comune. Esse si uniscono per trovare una migliore soluzione dei
problemi, perché avvertono tra
di loro una profonda comunione.
Per alcuni di noi comunione è
l’adesione intima ed individuale
a Cristo, una unità interiore che
si sente con Cristo ed in un secondo momento con gli altri fratelli; per Paolo invece è la partecipazione collettiva ad un avvenimento: la venuta del Signore
Gesù Cristo. Partecipazione per
noi credenti è fare parte di un
corpo che è quello reale del Signore; è avere la propria parte
in un tutto che vive. Quindi la
comunità è proprio il posto in
cui questa partecipazione si deve
esprimere. Quindi partecipazione
come rifiuto della delega al pastore o al concistoro, partecipazione come lettura attenta e personale della Bibbia, partecipazione nel senso di vivere e portare
all’interno delle nostre comunità
le contraddizioni che ogni giorno
incontriamo sul nostro lavoro,
quando ci esprimiamo.
— Un secondo punto: quando
noi parliamo di rifiuto della delega al pastore o a chi per esso,
siamo in pieno accordo col Nuovo Testamento: infatti non troviamo nessuna figura che svolga
la funzione pastorale, come la
conosciamo noi oggi. Quest’ultima viene più tardi con la- Riforma, esattamente con Calvino;
prima non esisteva.
— Un terzo punto è la riscoperta del corpo come strumento di
relazioni. Paolo quando insiste
sul corpo, nella sua polemica
contro gli gnostici, sottolinea che
il credente vive la sua unione
con Cristo nella concretezza di
un .servizio e perciò il corpo gli
è necessario. Il Cristo di cui si
parla, aH’infuori di un concreto
rapporto con un qualsiasi prossimo, è un Cristo astratto. La fede
va vissuta nell’ambito delle relazioni umane, una vasta gamma
di rapporti che non si esplicano
soltanto nel pregare, cantare lodi al Signore, ma soprattutto lel
vivere e testimoniare della mia
fede in Cristo anche quando partecipo alle sofferenze di chi mi
sta davanti e gli allungo la mano per aiutarlo.
Mauro Pons
3
24 aprile 1977
UNA CAMPAGNA EVANGELISTICA NELLA « ROMA FRANCESE » IL « GESÙ’ DI NAZARETH » DI ZEFFIRELLI
]V[lSS10116 Si Un Giuda innocente
Una équipe multirazziale al lavoro in un moderno contesto urbano
Ho avuto il privilegio di partecipare assieme ad altri cinque
credenti di varie razze e denominazioni al « Projet de Carême
’77 » dal tema : « Una affermazione di speranza: Gesù Cristo libera ed unisce ». Questo incontro con le chiese e con la realtà di Nîmes, nel sud della Francia, era stato previsto ed organizzato dal /Dipartimento francese di Azione Apostolica (DEPAP), in accordo con la Chiesa
riformata locale e con altre
chiese evangeliche ed in rapporto con la chiesa cattolica. Ci si
è valsi dell’esperienza fatta da
un gruppo di « visitatori fraterni » organizzata in Svezia dal
Consiglio Ecumenico. In sostanza si trattava di incontrare le
cinque chiese riformate della
città ed altre chiese evangeliche
in tutte le loro componenti (pastori, consigli di chiesa, gruppi
femminili e giovanili, gruppi ecumenici, carismatici, ecc.). Senza
contare i contatti con organizzazioni non necessariamente ecclesiastiche, ma aventi finalità che
interessano anche la Chiesa :
Amnesty International, Cimade,
Croce Blu (antialcoolismo),
Gruppi che lavorano a favore
degli emigrati algerini ecc.
L’équipe
Evidente difficoltà a tradurre scenicamente la
predicazione del Cristo - li dramma del traditore e la ricerca delle cause del tradimento
Equipe multirazziale di Nîmes. Da sinistra a destra: Christian Delord,
Gilbert Rakotondrabe, Giovanni Conte, Yvette Akle, Pierre Couprie,
François Haadad, Miguel Brun. Nello sfondo locali del Centro Protestante di informazione, assai ben organizzato.
Due parole sull’équipe di visitatori. Era composta da una
giovane -e vivace signora africana, moglie del vice segretario
della CEvAA, Yvette Akle (Bénin). Aveva lasciato per l’occasione i suoi cinque figli a Parigi,
affidandoli al marito e alla nonna! Poi un pastore uruguayano
della chiesa metodista : Miguel
Brun. È con lui che ho lavorato
(eravamo divisi in gruppi di
due). Miguel è attualmente pastore a Metz, in Lorena, in attesa della naturalizzazione francese, dato che ha dovuto lasciare il suo paese con la famiglia
dopo diciotto mesi di carcere
nella prigione... « Libertad » e
quaranta giorni di tortura. Conosce bene la nostra Chiesa del
Rio de la Piata e molti dei nostri pastori. È stato presidente
della Federazione delle Chiese
Protestanti in America Latina, il
che gli ha dato una vasta conoscenza delle chiese e dei problemi di quel continente. Poi un missionario francese in Madagascar,
Christian Delord. E ancora un
simpaticissimo malgascio, cassiere della Chiesa evangelica di
laggiù : Gilbert Rakotondrabe.
Infine François Haadad, futuro
prete ortodosso libanese, attualmente a Ginevra dove termina i
suoi studi ed il sottoscritto.
La nostra presenza a Nîmes è
stata segnalata dalla radio regionale con una piccola intervista e dal giornale locale, oltre
che dal mensile regionale della
Chiesa riformata : « Le Cep ».
Inutile dire che già rincontro
di sei credenti cost diversi per
origine, formazione ed esperienze è stato estremamente stimolante. Per evitare l’imbarazzo
della scelta, al momento di formare le « pattuglie » di due, avevano tirato a sorte i nostri nomi
ed io mi sono trovato a lavorare
con l’amico uruguayano. Abbiamo cosi cominciato il nostro giro attraverso la realtà spirituale
e sociale di Nîmes, bella città
di ca. centotrentamila abitanti,
che porta bene il suo soprannome di « Roma francese ». Infatti
ad ogni pié sospinto si notano
segni della presenza romana, a
partire dall’arena situata al centro della città.
Alcune impressioni
Ecco alcune impressioni dei
vari contatti avuti. Ho avuto il
piacere di incontrare dopo vari
anni i colleghi Atger, col quale
avevo lavorato nello Zambia, e
Couprie, che ha trascorso lunghi anni in Lesotho. Molto interessante anche il colloquio col
pastore Aimé Bonifas, presidente del Comitato Pro-Hispania e
segretario esecutivo della Conferenza delle Chiese Protestanti
dei Paesi Latini. Di lui ho letto : « Quand fleurit l’amandier :
les protestants d’Espagne », un
volumetto che presenta la realtà del protestantesimo spagnolo
in modo estremamente efficace e
documentato, non senza lasciar
trasparire l’affetto che l’Autore
nutre per quel paese e per quel
popolo h Varrà la pena di tornare su quest’opera che le nostre librerie dovrebbero procurarsi, se già non l’hanno fatto.
Abbiamo notato anche una
certa tensione tra le tre comunità del centro della città e le
due della periferia, che devono
occuparsi del problema degli immigrati algerini e che si trovano in una situazione di semi
diaspora. Il che crea alcune difficoltà anche in seno al corpo
pastorale, indebolendo l’azione
evangelistica.
Una delle chiese locali è posta
in una nuovissima zona urbana
ed ha il vantaggio di aver avviato il lavoro prima ancora che
esistessero alcuni degli attuali
alveari umani, ma sembra non
aver potuto sfruttare appieno
questo dato positivo, anche per
mancanza di un’adeguata forza
pastorale in loco. Alcuni pastori ci sono parsi molto « direttivi » ( ancora più di me, direbbero i maligni!), ma nell’insieme
è stato possibile un buon contatto con i credenti e gli organismi
sociali della città del coccodrillo.
Una grande riunione plenaria
nella sala di un istituto scolastico di suore ha cercato di mettere le basi per la prosecuzione
della riflessione in seno ai vari
gruppi toccati dall’équipè. Durante la nostra permanenza ha
avuto luogo una marcia della
pace a favore dell’Irlanda, organizzata dai movimenti femminili e idealro.ente in rapporto
con il movimento irlandese. Non
abbiamo potuto parteciparvi. Alcuni hanno tuttavia lamentato
la strumentalizzazione politica
del fatto da parte di date organizzazioni...
Nel complesso la realtà protestante di Nîmes è apparsa molto
viva, con i suoi gruppi carismatici ed una vasta ricerca sociale.
La vita di preghiera è -notevole in molte comunità o gruppi e
le Cevenne e la torre di Costanza sono li a due passi, come monito silenzioso per quanti fossero tentati di dimenticare a quale
prezzo l’Evangelo è giunto fino a
noi. Speriamo che un’esperienza simile possa aver luogo anche in Italia!
Giovanni Conte
1 Aimé Bonifas : « Quand fleurit
l’amandier: les protestants d’Espagne »
- Le.s Bergers et les Mages, 1976.
Se il protagonista della IV puntata ha continuato ad essere, ovviamente, Gesù, mi sembra che
il maggiore sforzo e interesse interpretativo del regista si sia
concentrato sulla figura di Giuda.
Zeffirelli si trova ingabbiato
dalla precisa scelta che ha fatto:
la cassetta deve andar d’accordo
con la pietà popolare e il dogma
cattolico. Gesù continua perciò
ad essere ovvio nella sua completa auto-coscienza messianica
e nella suà veste ieratica di dicitore di sentenze eterne. La difficoltà infatti — o forse l'impossibilità — di rappresentare la
predicazione del Cristo (più ancora che gli atti!), emerge nell'insegnamento dato nel tempio: collezione di versetti messi l'uno
dietro l’altro, presi qua e là, spesso anche smozzicati, nello sforzo,
forse, di dire il più possibile.
Il tono si eleva, come in precedenza, negli incontri di Gesù.
(Barabba, il cieco nato, soprattutto il centurione). Ma come già
era emerso negli incontri con i
discepoli, la drammaticità di
questi incontri sembra reggersi
non tanto sul personaggio Gesù,
quanto sulla recitazione degli interlocutori, spesso di grande efficacia, e sulla interpretazione
psicologica che il regista compie
nei loro confronti.
Se quindi lo sforzo interpretativo del regista si concentra sugli
interlocutori di Gesù, ciò avviene in modo particolare per Giuda, un enigma che gli evangeli
non risolvono e che Zeffirelli accenna a sciogliere, non senza
contraddizioni, in una interpretazione tutta laica e poco evangelica della cólpa.
Giuda è presentato, subito dopo l’ingresso in Gerusalemme,
con una speranza messianica che
alterna elementi di pacificazione
interna della Giudea sotto la benedizione romana a elementi di
rivolta popolare in connessione
col movimento zelota. Man mano che Gesù dimostra di non
rientrare in questi schemi aumenta la delusione di Giuda. In
un colloquio con uno degli scribi più autorevoli del Sinedrio,
questi prospetta a Giuda un incontro tra Gesù e il Sinedrio
come unica via per chiarire se
Gesù è vero o falso profeta.
« Troppo tardi », mormora Giuda
sconfortato. Ma quando nella
camera alta Gesù ha già annunciato che uno dei dodici lo tradirà e Giuda intinge inconsapevole il boccone nel piatto con lui,
avviene la svolta interpretativa:
Gesù gli rivolge la nota frase:
« quel che devi farlo, fallo in
fretta», e Giuda con occhi raggianti e di nuovo pieni di speranza si precipita fuori. Evidentemente — secondo Zeffirelli —
Giuda ha interpretato la frase di
Gesù come un insperato consenso a far incontrare il Maestro e
il Sinedrio. In altre parole. Giuda tradisce, sì, ma praticamente
10 fa pieno di buone intenzioni e
senza rendersene conto. Come
dunque potrebbe essere colpevole? Giuda, e con lui l’Uomo, è
laicamente assolto.
Non così gli evangeli che non
isolando mai Giuda come unico
responsabile, lo collegano strettamente alla responsabilità che
in gradi diversi è comune a tutti
i personaggi della passione. Per
11 Nuovo Testamento Gesù è
morto « per i peccati »: non solo
in vista della loro remissione,
ma a causa di essi, a causa della
colpa di Giuda, degli altri protagonisti della passione, nostra. Se
vi è una speranza, questa è rappresentata dal sacrificio di Cristo, non dall’aver magari sbagliato ma in buona fede.
D’altra parte, gli evangeli sottolineano che Giuda non è escluso da questo sacrificio: quando
Gesù dice « questo è il mio corpo » Giuda riceve il pane e il vino con gli altri discepoli. Zeffirelli invece ottusamente lo esclude dalla comunione col Cristo.
Non si tratta di dettagli trascurabili: l’interpretazione di Giuda
mostra chiaramente che per Zeffirelli il messaggio degli evangeli è in funzione della sua costruzione cinematografica. Ma ci si
poteva forse aspettare il contrario?
Franco Giampiccoli
VENERDÌ’ 22 APRILE ORE 20.40 RETE DUE
Una passione laica
Avrà certo un successo molto inferiore di quello del Gesù di Zeffirelli
la corrosiva critica della società cristiana messa in scena da Dario Fo
Nel corso di questo mese di
aprile anche i milioni di italiani
che non sono tesserati della Comune avranno la possibilità di
vedere al lavoro in televisione
— ovviamente sul secondo programma — Dario Fo e Franca
Rame in una serie di trasmissioni che comprende commedie,
uno spettacolo di canzoni, e quell'autentico « pezzo raro » recitato interamente dallo stesso Fo
che è Mistero Buffo.
Innanzi tutto, e per evidenziare il nucleo ideologico di questa
fatica di Fo, e non solo di Fo
perché si tratta di testi autentici
del tempo, perché Mistero Buffo?
Mistero Buffo perché risulta
dall’intreccio di due componenti,
una « sacra » ma possiamo dire
evangelica; e l’altra « laica », popolare, e dunque a giusta ragione
evangelica anch'essa.
Definiamo entrambi i termini.
E’ un Mistero ossia una sacra
rappresentazione nella forma e
nello schema; trae spunto da
episodi biblici, esattamente come i Misteri non buffi ma aulici,
rappresentati nelle chiese a scopo liturgico ed edificante e che
tanta parte ebbero nella vita religiosa, culturale e sociale del
Medio Evo.
Ma i misteri aulici erano solo
rituali, e non è sufficiente l’intensa partecipazione emotiva del
popolo a farli definire popolari.
Buffo, e quindi laico, popolare,
evangelico, è invece questo Mistero che Dario Fo mette in scena dopo avere ricostruito i testi
con un paziente lavoro filologico.
Si tratta infatti di scritti che egli
ha « ripescato » nelle biblioteche
dove dormivano da secoli, condannati ad un lungo sonno dal
potere, specialmente clericale, a
causa del loro carattere realmente sovversivo. Gli autori erano i
giullari, termine che erroneamente evoca l’immagine di garruli
ed innocui burloni, tali li ha
resi alla nostra coscienza l’efficace opera di insabbiamento e
sepoltura operata dalla cultura
ufficiale e mandarinesca, che
pure anch’essa è nata proprio da
quelle masse popolari verso cui
ostentava tanto disprezzo.
Giova ricordare che le cattedrali non sono opera di nessun
superuomo di nietzchiana memoria, ma sono un’opera collettiva, anonima, frutto del lavoro
di masse di ignoti, oscuri lavoratori della pietra.
Lo stesso discorso vale per la
nostra letteratura. Il giullare era
il portavoce del popolo, delle sue
speranze, rabbie ed istanze, uma
ne ed evangeliche, ironiche, ribelli ed anticlericali.
I giullari, questi strani veicoli
di cultura, erano il tramite tra
il popolo e i clerici, gli intellettuali tradizionali.
E’ dunque un’ immagine del
popolo cristiano medievale, questa che ci offre — magistralmente — Dario Fo, che ci sorprende
e ci avvince, lontana com’è dall'immagine oleografica di una
plebe cristiana assopita dai fumi dell’incenso e priva di coscienza critica nei confronti del
clero.
Coscienza critica che, però, a
quei tempi — come anche ora —
veniva pagata a salatissimo prezzo: i giullari erano perseguitati,
processati e spesso uccisi o mutilati. Nessuna crudeltà era troppo, per chi osava dire in piazza,
attraverso la forma dissacrante
deH’ironia, che il commercio delle reliquie era una lucrosa attività più attinente alle floride finanze clericali che all’Evangelo.
Non ci si inganni sull’efficacia
del comico, del grottesco ai fini
della critica. La risata su un tema dramihatico non è mai innocua. Lo sghignazzo feroce e lucido di chi ha capito fa a pezzi
il potere.
Rappresentare una variopinta
folla che si accalca in un cimitero per vedere il miracolo della
resurrezione di Lazzaro, e in questa folla c’è chi compra, vende,
scommette e lucra sul miracolo,
non poteva che avere un effetto
dirompente, che noi possiamo
appena immaginare. Non doveva
infatti essere un caso-limite, né
tanto insolito che si ingannasse,
i contadini, come l’astuto frate
Cipolla del Decamerone, che
spaccia una penna di pappagallo
per piuma deU’angelo Gabriele,
sfuggita dalle auguste ali mentre,
svolazzando, annunciava a Maria la nascita di Cristo. D’altronde questo sistema non è cambiato, anche se ora arrivano per
posta bollettini di conti correnti
e non più piume d’angelo.
La lingua è una specie di esperanto dei giullari, un indefinibile
dialetto padano del ’400, elastico
e adattabile, e quindi comprensibile a tutti, come la faccia di Fo,
vera maschera di gomma.
Il succo di questo lungo monologo che ci indirizzano Dario Fo,
giullare del proletariato e questi lontani ma sempre vivi giullari del popolo cui presta voce e
gesti, è questo: C’erano, e ci sono, due Gesù Cristo fiol de Deo;
uno è quello vero, concreto, incarnato, ucciso dal potere e perciò sentito fratello dagli oppressi. L’altro, l’immagine vuota e
falsa delle immaginette ottocentesche, quello che ha sempre invitato alla rassegnazione, che ne
è solo l’ombra, la caricatura.
Per questo anche il padano
quattrocentesco può risuonarci
familiare.
Carla Mazzoni
4
24 aprile 1977
Il «pastore rosso» di Sofenwil
Evitando di dare una giustificazione « cristiana » ad una politica, il giovane Barth ha inteso radicalizzare il socialismo per mezzo del cristianesimo e viceversa
Le nostre chiese sono quest’anno impegnate
nella discussione sul tema Fede e politica.
Mentre la Tavola ha provveduto un materiale
di studio distribuendo ai membri dei Consigli
di chiesa alcuni interventi attuali tratti dalla
rivista Protestantesimo, riteniamo utile fornire ai
lettori dell’Eco-Luce un contributo che dia uno
sfondo storico a questo probiema.
Iniziamo perciò in questo numero — e continueremo nei prossimi due — la pubblicazione di
uno studio del teologo svizzero Henry Mottu
tratto dal Bulletin du Centre Protestant d’Etudes
di Ginevra.
1. La delusione del 4 - 8 -1914
Quando si riflette sulla genesi
della teologia di Barth nel periodo in cui è pastore a Safenwil (1911-1921), bisogna cominciare col ricordare che è stato
un avvenimento politico a svegliare il giovane pastore dal sonno del suo liberalesimo. Nato
nel 1886 da una famiglia della
borghesia basileese, il giovane
Barth fa i suoi studi a Berna,
poi a Berlino, dove riceve l’influenza di Harnack, e a Marburgo, dove si entusiasma per la
sintesi fra Kant e Schleiermacher proposta allora da Wilhelm
Herrmann (che influenzerà anche Bultmann), per Martin Rade, col quale collaborerà nel
1909 alla redazione di Christliche
Welt. Ancora nel 1911 al termine
dei due anni di sostituzione presso la comunità di lingua tedesca a Ginevra presenta in francese davanti alla Compagnia dei
pastori una conferenza in stile
kantiano sul tema; « Il riapparire della metafisica nella teologia»; fondandosi su Herrmaim e
Melantone, Barth dichiara che
questo ritorno della metafisica è
« un’impresa infruttuosa quanto
dannosa per la teologia »; la
realtà che la metafisica pretende raggiungere non ha nulla a
che vedere con quella di Dio e
con « quella elevazione dell’anima che è l’essenza della religione ».
Ma la « belle époque » è finita. L’assurdo olocausto si scatena sull’Europa a guisa di sinistro preludio al rovesciamento
dei valori profetizzato da Nietzsche. Precisiamo che non è lo
scoppio della guerra in sé che
spaventa Barth, ma il problema
della sua giustificazione teologica e ideologica. È il 1914 in quanto tradimenW del cristianesimo
e del- socìàlismo che diventa per
Barth un segno rivelatore.
Doppia delusione
Tradimento della teologia:
« Personalmente non posso
dimenticare quell’oscura giornata dell'inizio di agosto del
1914, in cui 93 intellettuali tedeschi affermarorw pubblicamente il loro accordo con la
politica di guerra dell'imperatore Guglielmo II e dei suoi
consiglieri; con molto stupore ho dovuto constatare che
fra di loro figuravano anche i
nomi di quasi tutti i professori di teologia che fino ad
allora avevo rispettato ed
ascoltato con fiducia. Dal momento che si erano così gravemente sbagliati nelle loro
decisioni, una conclusione si
imponeva: non potevo più seguirli né nella loro etica e nella loro dogmatica, né nella
loro esegesi della Bibbia e
nella loro interpretazione delta storia; in breve da quel momento, la teologia del XIX secolo, almeno per me, non poteva più avere alcun avvenire ».
È Harnack che redige il discorso di Guglielmo II all’inizio
della guerra, dall’alto del balcone del suo castello berlinese:
« Non conosco più partiti, conosco soltanto più i Tedeschi ».
Barth scrive a Thurneysen, il 4
settembre 1914: « Marburgo e la
cultura tedesca perdono per me
qualche cosa, e per sempre, in
questa bancarotta... ».
Ma tradimento anche del socialismo:
« (...) Più netto — scriverà
Thurneysen nel 1927 — cadeva il giudizio su tutto ciò che
fino ad allora era sembrato
stabile ed elevato, più radicalmente crollavano a pezzi
per noi non soltanto l'ideologia borghese-cristiana, ma anche l'ideologia del socialismo
religioso. Non soltanto i grandi “ismi" a destra, ma anche
gli “ismi" a sinistra (per cui
anche il socialismo nel quale
avevamo creduto) ci apparvero fin dall'inizio come posti sotto il giudizio. Anche il
socialismo si era compromesso dappertutto, a destra come
a sinistra delle trincee, con il
nazionalismo, senza alcun ritegno né alcun senso critico ».
Barth parlerà ancora a lungo
della responsabilità nello scoppio della Prima Guerra Mondiale, « dei portatori della speranza socialista » e indicherà il 4
agosto come il « triste giorno in
cui la social-democrazia tedesca
ha tradito il socialismo ».
Il ridicolo uccide
Farò subito due osservazioni.
Notiamo innanzi tutto l’importanza, all’inizio dell’itinerario del
giovane Barth, della doppia delusione che prova nei confronti
dei maestri della Germania teologica di allora e dei leaders socialisti; perché questa doppia
delusione è parallela: dalle due
parti la fede dei giovani amici
è stata tradita; d’un colpo perdono fiducia nei loro maestri.
L’affermaziope di Thurneysen è
preziosa: anche quel socialismo
— non meno del cristianesimo —
« nel quale avevamo creduto »
ha tradito ed ha ceduto a quello che i due compagni non cesseranno di chiamare l’idolo del
secolo; il nazionalismo. Di fronte a questa idra, i socialisti si
disgregano altrettanto quanto i
cristiani; c’è dunque qualcosa di
marcio, di viziato alla base di
tutta questa fraseologia teologica e politica; più ancora vi è
collusione, come allora dice
Barth, fra le « tre potenze culturali » dell’epoca: cristianesimo, socialismo e scienza. In breve, il 1914 è il segnale della fine
di una « scienza », di un sapere
su Dio o sull’ideale socialista che
si otterrebbe alle spese della giusta azione in questo mondo.
In secondo luogo, direi che a
partire da questo fallimento del
1914 inizia la profonda sfiducia
di Barth nei confronti di tutti
i principi qualunque essi siano.
Una fede, politica o religiosa,
che si appoggia su un ideale, ma
che, nel momento in cui si tratta di prendere una « decisione
concreta », si tratta dell’Eidos e
non più semplicemente dell’etica sul piano teorico, si rivela incapace di agire nella giusta direzione, questa fede si squalifica
da se stessa. Il ridicolo uccide.
I grandi principi, quando non
sono applicati fino in fondo, producono disgusto e cinismo.
Da allora Barth non abbandonerà più un’attitudine critica,
atea, nei confronti degli dei-principi, attenta alle promesse non
mantenute, « radicale » nel senso
pieno del termine: tutto deve
essere ricominciato da zero, il
cristianesimo come il socialismo.
Bisogna ricominciare partendo
dalle radici della delusione e del
tradimento ideologico.
2. «Per un socialismo radicale»
Nella loro critica della teologia dominante della loro epoca,
fondata su un idealismo diffuso,
e del socialismo istituzionalizzato che, appena le cose diventano serie, vota i crediti militari
così come i borghesi, Barth e
Thurneysen saranno aiutati da
Kutter, Ragaz e soprattutto
Blumhardt. Di Kutter i nostri
amici erediteranno l’idea che
nulla di serio può essere fatto
sulla terra, proprio in vista di
una trasformazione politica, senza un’esperienza profonda, terrificante, dell’Alterità radicale di
Dio: ciò che allora Barth chiama il prendere sul serio Dio ed
il suo giudizio su tutti i discorsi politici illusori, deve ridiventare la sorgente del nostro impegno nel trasformare il mondo
in verità. L’impegno politico a
fianco dei socialisti, deve, per rimanere realistico ed efficace, essere legato ad una rivoluzione
religiosa di fede. Ragaz, Barth e
Thurneysen vedono la necessità
della prassi come Tunica pietra
di- paragone per la testimonianza.
Ma l’influenza più profonda
sarà quella di Blumhardt (i due
compagni visitano Bad Boll nell’aprile 1915) nel quale vedono il
modello di un uomo libero davanti a un Dio pienamente pre
GRUPPI BIBLICI UNIVERSITARI
Mondo in fuga
Questo volume edito dai Gruppi Biblici Universali di Roma
si legge con interesse; lo stile
è semplice e chiaro per tutti, il
contenuto è particolarmente attuale, aperto verso la ricerca di
una fede cristiana nel mondo di
oggi e fra gli uomini del nostro
tempo.
« Un mondo in fuga»: è il nostro mondo, la nostra società che
fugge lontano dalla vita movimentata e falsa, una vita che
non lascia tempo alla riflessione personale ed alla ricerca del
Cristo. « La corsa affannosa al
successo, il discorso politico ambiguo, il vizio (o il condizionamento) della televisione, il chiodo Asso del sesso, l’indoratura
di quella sgradevole pillola che è
la morte » sono alcune delle vie
che la nostra generazione percorre nel tentativo di distrarsi e
di non pensare. Anche la religione può essere una via aperta alla fuga dalla realtà. Si fugge con l’idea di poter dare un
senso alla vita. Ma « chi sono
veramente quelli che fuggono? »
si domanda l’autore.
Questo libro è alla portata di
tutti e vuol essere la risposta
alla domanda posta dall’autore.
Non diciamo che egli vi riesca
sempre o in modo soddisfacente; ma il libro si fa leggere e ci
fa pensare; vuole condurre il
lettore a Cristo «dal quale non
si può fuggire ». e. r.
Michael Green: Mondo in fuga
Ed. G.B.U., Roma, L. 2.800.
sente in Gesù e che attinge da
questa libertà originaria la forza d’un impegno sempre concreto, mai di principio, al fianco
dei socialisti; ma come Dio è conosciuto in Gesù, presente oggi
come vincitore e portatore di
una speranza che non delude,
così quanto possiamo conoscere
della speranza socialista è misurato col metro del Regno di
Dio che viene. Così la Bibbia rivela non un ideale o un’idea, non
la nostalgia di un rinnovamento
soltanto interiore, sentimentale,
dell’individuo, ma un mondo, un
mondo nuovo che è stato pienamente vissuto da Gesù per tutti gli uomini. Credo' che sia
Blumhardt che ha permesso a
Barth di ripensare il Regno di
Dio nei termini di una presenza
di Cristo e, di conseguenza, di
realismo e di libertà politica.
« Il mondo nuovo nella Bibbia »,
titolo della prima conferenza di
Barth tradotta in francese, manifesta questa nuova scoperta di
Blumhardt, che gioca per Barth
un ruolo critico contro l’attivismo sentimentale di Ragaz, perché questo mondo nuovo si è
fatto mondo reale in Gesù, e
contro la mancanza di criterio
interno del « Regno » come lo
vede Kutter (che diventa filo-tedesco), perché questo Regno si
fa conoscere per mezzo del testo
biblico, e non per estrapolazione religiosa di un « movimento »
sociale. A partire dal 1917, d’altronde, Barth e Thurneysen si
separeranno dal movimento dei
socialisti religiosi nel quale si
erano dapprima impegnati e che
li aveva aiutati a rompere con
il liberalismo individualista.
Portare il socialismo
al di là di se stesso
Quale volto concreto dare ora a questo « socialismo radicale »? Innanzi tutto, in un primo
senso, il socialismo di Barth non
è una vaga speranza generosa
in sé che potrebbe essere vissuta e sperimentata a partire da
un impegno politico considerato in modo autonomo. Questo
« socialismo radicale » non ha
nulla a che vedere con il marxismo. Le sue radici, infatti, si situano « al di là di lui stesso » e
radicalizzarlo significa proprio
tentare di mostrargli l’origine ed
il senso del suo sforzo storico.
Con i socialisti, dice Barth in una conferenza dej 1915, bisogna
lottare per l’uomo, contro la po
tenza del denaro e contro la proprietà privata dei mezzi di produzione, per l’umanità nel suo
insieme, contro il nazionalismo,
contro ciò che esiste ora, e per
l’avvenire; ma giustamente si
criticheranno i socialisti con tanta maggior libertà in quanto la
loro esigenza è un segno « che il
Regno di Dio non è senza efficacia, che Dio è all’opera ». Bisogna dunque radicalizzare il socialismo e rendere più socialisti
i socialisti stessi. Per salvare la
speranza socialista, già esangue,
già compromessa con la guerra
nazionalista, Barth le cerca un
criterio di verità, al di fuori del
cerchio delle sue realizzazioni
storiche e dei suoi fallimenti, come « punta di diamante » giudicando la storia dall’interno della
storia. Bisogna condurre i socialisti fino là, se no il loro movimento sarà come frustrato dalla
speranza che porta in sé. Barth
diventa teologo, perché prende
sul serio quello che i socialisti
vogliono.
Uno stimolo reciproco
Ora, e siamo al secondo senso
di questa radicalizzazione, Barth
cercando di condurre i socialdemocratici « al di là di loro
stessi » per cercare di mostrare
loro la posta teologico-radicale
messa in gioco dalla loro protesta sociale,, nega già esplicitamente « che si rinforzi la loro
presa di posizione per mezzo
di una infrastruttura religiosa e
per mezzo di ogni sorta di fondamenti cristiani che giustifichino
la loro decisione politica ».
La conferenza di Tambach
(1919) sulla quale ritorneremo,
si trova dunque già in germe
qui, a partire dal 1914. Il nodo
di tutta la questione è di evitare
la trappola di una giustificazione
« cristiana » data ad una politica e d’altra parte di radicalizzare il socialismo per mezzo del
cristianesimo e viceversa; in lina parola, si tratta di metterli
tutti e due in un rapporto dialettico, il termine mediatore essendo la riforma urgente di cui
tanto il cristianesimo quanto il
socialismo hanno sì crudelmente
bisogno. In altri termini, un socialista che non vede l’urgenza
di una « riforma », cioè di una
rivoluzione (di Dio) nella rivoluzione (degli uomini) non è un
socialista radicale; o è un fanatico o un ingenuo; inversamente
il cristiano che non vede che il
suo cristianesimo ha bisogno di
essere concretizzato e applicato
alle questioni sociali non è un
cristiano radicale; è un cristiano
disonesto o cieco. In una conferenza fatta davanti al partito
socialdemocratico di Zofingue nel
febbraio del 1915 su « La guerra,
il socialismo ed il cristianesimo»,
Barth dimostrai che la guerra
impone una « riforma » del cristianesimo e del socialismo e che
i due hanno bisogno l’uno dell’altro: « Un vero cristiano deve diventare socialista (se vuole
essere coerente con la riforma
del cristianesimo). Un vero socialista deve essere cristiano, se
la riforma del socialismo gli sta
a cuore ».
Radicalismo
nel concreto
Un terzo ed ultimo punto a
proposito del contenuto di questo socialismo radicale.
Per Barth, la radicalità del socialismo equivale più al suo aspetto preciso e concreto, nel
quadro del possibile, della realtà storica, che al suo aspetto
programmatico o di principio. Un
esempio. Si è spesso parlato del
pacifismo di Barth a questo momento; certo, alle volte, si nota una certa influenza di R. Rolland; ma Barth diffiderà sempre
del pacifismo ingenuo della socialdemocrazia di allora, che egli chiama « le nuvole profetiche »; nel 1913, scrive un « Contro-discorso a proposito degli aeroplani militari» nel quale dichiara che bisogna fare l’impossibile perché la guerra non scoppi, ma che non si può essere
contro la guerra solo a metà; «la
guerra è la guerra» ed una volta che è scoppiata, bisogna battersi, anche con degli aerei da
combattimento se è necessario.
Troviamo già qui i germi della
famosa lettera a Hromadka del
1938.
Henry Mottu
(traduzione di Renato Coisson)
1 - continua.
' La mia documentazione è tratta da
F.W. Mabouardt : Theolop,ie und Sozialismus. Das Beispiel Karl Barths.
Kaiser-Grünewald, Munich, 1972, e
Eberhard Busch : Karl Barths Lebenslauf nach seinen Briefen und autobiographischen Texten. Kaiser, Munich, 1975. Ho utilizzato il primo per
l’ideologia il secondo per i fatti.
5
24 aprile 1977
Giovanni Miegge,
un maestro
per due generazioni
Al di là della recensione che Giorgio Tourn ha scritto per il volume
di scritti di Miegge, che la Claudiana ha pubblicato
per il quindicesimo anniversario della sua scomparsa,
il discorso si allarga ad altre testimonianze
a significare che il contributo di pensiero e di vita
che Giovanni Miegge ha dato alla Chiesa investe due generazioni,
quella dei suo amici e coetanei e quella dei suoi allievi.
Per questo G. Platone ha intervistato come rappresentanti
di queste due generazioni Mario A. Rollier, professore di chimica
all Università di Pavia e Bruno Rostagno, pastore a Prali.
Quanto sia vivo e attuale il pensiero di Miegge
anche per la generazione che non lo ha conosciuto
risulta dall esempio che pubblichiamo in questa pagina,
tratto dallo studio inedito su « L’idea cristiana di Dio ».
Giovanni Miegge ad Agape mentre tiene lo studio su « L’idea cristiana di Dio »,
l’inedito pubblicato nel volume della Claudiana.
INTERVISTA A MARIO A. ROLLIER
La metà migliore della mia vita
— Che cosa ha rappresentato
per Lei l’amicizia con Giovanni
Miegge?
— Parlare della mia amicizia
con Giovanni Miegge è come
parlare della metà migliore della
mia vita poiché essa è stata un
illuminante punto di riferimento dal mio ventiduesimo al mio
cinquantaduesimo anno di età.
L’occasione dell’incontro, aU’inizio degli anni trenta, fu la partecipazione a quel gruppo di
giovani valdesi che si riunivano
attorno al programma di un minuscolo giornale, « Gioventù Valdese » voce di un’insoddisfazione verso il protestantesimo liberale, di conio « Associazione
Cristiana dei Giovani» (ACDG),
di cui si sentiva l’inadeguatezza
per rispondere ai tempi duri del
fascismo e al tempo stesso di
una protesta contro l’acquiescenza ufficiale della Chiesa Valdese all’Italia della gerarchia in
camicia nera e dei patti lateranensi.
Questa amicizia era già così
salda che nel 1933 mia moglie e
io, sposati civilmente da poche
ore, avevamo potuto chiedere a
Giovanni Miegge di benedire il
nostro matrimonio, il che egli
fece nel tempio valdese di S. Giovanni in Conca a Milano accompagnando l’atto liturgico con indimenticabili affettuose considerazioni sulla serietà e al tempo
stesso la problematica degli impegni umani come egli solo sapeva fare. Nell’autunno di quell’anno, l’anno dell’ascesa di Hitler al potere, la direzione del
periodico « Gioventù Cristiana »
passò nelle mani di giovani barthiani che avevano in Giovanni Miegge, il traduttore e presentatore in Italia della « Teologia della Crisi» di Barth il loro umanissimo capo indiscusso.
Ciò non fece che rinsaldare la
mia amicizia con Nino e la collaborazione alla rivista era accompagnata da un fiducioso sottoporre allo scrutinio di Miegge quanto scrivevo ricevendo alle volte da lui postille che smussavano le angolosità del mio
pensiero, influenzato dal rigore
del ragionamento scientifico, al
quale si addiceva il memento
più sfumato del giovane teologo. Questi priniL dieci anni nei
quali abbiamo goduto dell’amicizia di Nino sono stati anche la
premessa della reciproca fiducia totale che ci ha permesso di
affrontare le alterne vicende del
decennio di razzismo, di totalitarismo e di guerra che va dal
1938 al 1948: un decennio inimmaginabile senza l’amicizia di
Nino Miegge.
lì’ ciau
1 dia
Î na
Giovanni Miegge; Dalla « riscoperta di Dio » all’impegno
nella società, 1977, pp. 272,
L. 6.500. c.c.p. 2/21461.
— Qual’è stato — a suo avviso — il contributo di Giovanni
Miegge per la Chiesa Valdese e
la teologia evangelica in Italia?
— Penso che al contributo di
Giovanni Miegge si addica come
a quello di pochi altri teologi
protestanti contemporanei la
massima: in necessariis unitas,
in duhiis libertas, in omnibus
charitas: le cose necessarie sono
state per Miegge la sua indefettibile fedeltà al credo della chiesa riformata di cui è stato pastore. La sua ortodossia protestante è stata tale che non lascia dubbi nel suo amico quale
sarebbe stata la sua posizione
nei confronti di certe proposte
formulate a mezza voce da pastori protestanti marxisti nelle
quali sembra che si faccia della
dottrina della lotta di classe l’elemento discriminante di ciò che
vada accolto e di ciò che vada
rifiutato del messaggio biblico.
La libertà nelle cose dubbie
ha permesso a Nino Miegge di
essere un barthiano senza grinta
e senza eccessi, un barthiano
che nel 1959 sente come la esigenza della continuità tra fede
e cultura, caratteristica del protestantesimo, produca un avvicinamento alle posizioni teologiche di Paul Tillich.
Infine la charitas, l’amore che
ha caratterizzato l’opera di Miegge si è sempre rivelato in lui come irenismo come desiderio e
ricerca di pace negli inevitabili
confiitti.
Parlando del dogmatismo comunista viene a galla, tipica, l’interiezione di Miegge « Perché
rendere più difficile rincontro,
il dialogo umano? ».
— In cosa vede lei l’attualità
della riflessione teologica di
Miegge? In cosa può cioè consistere, oggi, la lezione del Miegge?
— Non essendo teologo non
dovrei rispondere a questa domanda perché non sono qualificato per entrare nel merito dell’opera teologica di Giovanni
Miegge, ma poiché in lui la riflessione teologica ha permeato
tutto il pensiero e le scelte ideologiche credo che si possa parlare di una lezione che ci proviene da lui e che, oggi, gli sopravvive.
Si stanno per compiere i sedici anni da quando Miegge ci ha
lasciati e di questi tre lustri solo il primo è trascorso sotto il
segno di una situazione economica e di sviluppo soddisfacente. L’ultimo decennio ha visto
una specie di « débàcle » del
paese e delle sue strutture: prima una contestazione vanificata
dai suoi stessi eccessi massimalisti e demagogici, poi, a due anni di distanza l’una dall’altra,
tre successive mazzate : l’autunno caldo con i suoi eccessi sindacali nel 1969, l’instabilità monetaria nel 1971, la crisi dell’energia
con la quadruplicazione dei suoi
costi nel 1973-74. Che lezione potrebbe dare Miegge al protestantesimo italiano in questa situazione del paese? Non certo quella di apparire, nel suo insieme.
una specie di sottoprodotto del
cosidetto « dissenso cattolico »,
come appare alla cultura laica
nazionale. Su quest’ultimo, goffo tentativo di marxistizzare alcune frange del cattolicesimo,
condivido il sereno giudizio di
A. C. Jemolo.
A mio sommesso parere vi sono due grandi problemi, che corrispondono ai due ultimi messaggi di Giovanni Miegge, che
conservano una piena, totale attualità: il primo è quello dei
rapporti fra protestantesimo e
cultura laica che ha formato
l’oggetto dell’incontro a Agape
nell’agosto del 1959, il secondo è
è il tema di ciò che le chiese
rimproverano al comunismo,
trattato da Miegge, nella stessa
sede e data, l’anno successivo.
Da quest’ultimo messaggio traggo la citazione conclusiva;
« In complesso si deve dire,
che l’impressione che sempre di
nuovo si rinnova, per tanti atteggiamenti e prese di posizione
di militanti comunisti grandi e
piccoli, di congressi, di partiti,
in noi che forse siamo a ciò particolarmente sensibili, è proprio
quella di essere in presenza
(scusate l’espressione) di una
sorta di cattolicesimo secolarizzato, con il suo dogma, la sua
gerarchia, la sua disciplina, le
sue scomuniche e, fino ad un
tempo recente, la sua inquisizione ed i suoi roghi. E noi protestanti non sapremmo essere
cattolici nemmeno per 24 ore:
questa è forse per noi la più
grande difficoltà».
Quando i tempi saranno maturi anche Giovanni Miegge dovrà
essere riascoltato dalle giovani
generazioni di protestanti in
Italia.
INTERVISTA A BRUNO ROSTAGNO
Avviati alla
critica biblica
— Qual’è stato a tuo avviso il
contributo di Miegge per la
Chiesa e ia teologia evangelica
in Italia?
— Noi abbiamo conosciuto il
Miegge esegeta. Penso che il migliore contributo Miegge l’abbia
dato come pensatore sistematico, sensibilissimo nel cogliere
le possibilità e le difficoltà della
situazione italiana e nel rispondervi, con un originale ripensamento della teologia dialettica.
Tuttavia io vorrei parlare del
suo contributo come esegeta, che
non è staccato dal primo, in
quanto Miegge portava nella
sua analisi dei testi un profondo interesse teologico. Qui il suo
contributo è stato forse meno
originale che in altri campi, anche se aveva una maestria tutta particolare nel condurci con
sicurezza sui sentieri per noi ancora nuovi e inquietanti della
critica biblica. Se poi questo
strumento ci è divenuto familiare e abbiamo imparato a servircene per là: predicazione e
l’insegnamento, lo dobbiamo anche a lui.
Miegge, comunque, una sua linea esegetica l’aveva, per cui
non si è limitato a compendiare il pensiero altrui. A mio avviso, questa linea consiste nel
riconoscere alla storicità del testo la priorità suH’interpretazione. Il testo è innanzitutto documento dell’azione di Dio in
un preciso contesto storico. Al
centro dell’attenzione c’è il testo, non la « lettura » che noi ne
possiamo fare.
— In che misura è stata recepita la sua riflessione teologica?
— È stata soprattutto recepita la precisione della sua nozione di fede e di rivelazione, che
ci ha premuniti contro i ricorrenti cedimenti in senso umanistico nel procedere della riflessione teologica. Penso alle classiche distinzioni di « Protestantesimo e spiritualismo », un libro non a caso ripubblicato alcuni anni fa dalla Claudiana.
Non è stato viceversa recepito l’aspetto etico del suo pensiero. Nonostante le apparenze,
la prassi continua ad essere il
nostro tallone d’Achille.
— In che cosa vedi l’attualità
dell’opera teologica di Miegge?
— Mi sembra di avere già indicato dove vedo l’attualità del
contributo di Miegge. Posso aggiungere che bi un momento in
cui si confrontano varie ipotesi
sul futuro della Chiesa, tornare
a riflettere sul pensiero di tm
uomo che ha percepito in maniera estremamente acuta la crisi della cristianità occidentale,
è senz’altro produttivo. Soprattutto per evitare di rispolverare
proposte del passato, di cui
Miegge ha vistò'lucidamente e
denunciato tutti i limiti storici
e teologici.
cristiani, non stoici
Noi sappiamo che nell’Antico Testamento l'idea di
Dio creatore sorge da una visione dualistica : Dio crea
il mondo lottando contro il caos e limitandolo, ma il caos
rimane „sempre minaccioso in presenza della creazione divina. La teologia successiva, troppo razionale per ammettere il caos, lo ha semplicemente eliminato o ridotto a
un neutrale nulla da cui Dio cava tutto quello che vuole.
Ma, nella concezione cristiana, tra Dio e il mondo se non
il caos c’è però la caduta, per cui non si può dire che il
mondo qual è sia il mondo quale Dio lo voleva, quale
Dio lo ha fatto. La caduta di Adamo è semplicemente
una descrizione fantastica, parabolica, di qualche cosa di
molto più grave e antico. Non dimentichiamo che ne!
giardino di Eden c’è già il serpente ; donde venga nessuno
lo sa, nessuno lo dice, ma insomma c’è già il male, c’è
già una potenza di ribellione. E quindi tra Dio e il creato
si interpone questo schermo tragico per cui non si può
dire semplicemente : « Ammiriamo le opere e glorifichiamo il Creatore». Lo abbiamo fatto negli ultimi secoli,
lo abbiamo fatto con una esasperazione del monoteismo
(resa ancora più eccessiva dalla eliminazione di tutto il
complesso di concetti della caduta e della redenzione),
che era certo comprensibile come rivendicazione della gloria di Dio ma che è più vicina al panteismo stoico che al
teismo biblico. Il teismo tradizionale conosce degli ostacoli, degli avversari di Dio, conosce un mondo di forze
elementari, di angeli ribelli, conosce il diavolo. Ma il nostro teismo, soprattutto dopo l’Illuminismo, ha espurgato
ia teologia cristiana da tutta quella folla di esseri irrazionali. Ha confinato Dio in uno splendido isolamento;
«e solitario sopra i fati, Dio». Con il risultato che Dio
ha finito col confondersi con i fati e che noi ci sentiamo
in dovere di accettare come stretta volontà di Dio tutto
quello che accade, di negare come un affronto alla sua
sovranità ogni elemento irrazionale della nostra vita e
della nostra esperienza, di riconoscere un aspetto positivo
in tutte lè" esperienze negative, anche se è una vera disperazione trovarne l’elemento positivo. Ma questo è un atteggiamento forse più stoico che cristiano. Certo tra i due
atteggiamenti vi è una affinità ma vi sono anche delle differenze. Quando Gesù, nel Getsemani, prega « sia fatta
la tua volontà e non la mia » non è affatto sicuro che la
croce sia la volontà di Dio: egli cerca, nell’agonia dello
spirito e della carne, di scoprire quale sia, nello sviluppo
di avvenimenti contraddittori, quella volontà, per conformarsi ad essa. Quando invece Epitteto ha la febbre.
Vuole senz’altro avere la febbre perché è la volontà di Dio.
E certo può venire anche per noi il momento in cui dobbiamo riconoscere nella febbre una volontà di Dio. e la
accettiamo piamente, ma non mai come una cosa ovvia
e non mai senza avere prima esperito tutte le soluzioni
contrarie, col pensiero che dopo tutto Cristo guariva i
malati e non li esortava alla rassegnazione. Dunque dobbiamo evitare quella sorta di fatalismo stoico-cristiano,
che sembra ai più tra noi la quintessenza della fede e
della pietà cristiana e che è forse una delle cause più comuni di ribellione e di ateismo.
Il mondo è un enigma : dire che è la creazione di
Dio è osare una affermazione audace, per nulla evidente,
che introduce un criterio di interpretazione fecondo, ma
soltanto a patto di non banalizzarlo.
(Da « L’idea cristiana di Dio », p. 268 del volume).
6
24 aprile 1977
cronaca delle valli
ALLE VALLI OGGI
XXV Aprile 1977
25 aprile, anniversario della liberazione.
Per chi conosce la storia recente d’Italia il riferimento alla
insurrezione popolare delle città
del Nord e alla resa delle truppe occupanti tedesche è chiaro.
E certo non è insignificante il
fatto che una nazione veda cessare una occupazione militare e
una guerra che ben pesanti si
erano trascinate per mesi ed anni, con un numero di vittime assai alto e con tutte quelle altre
conseguenze che molti ricordano
e che altri possono immaginare
senza eccessiva difficoltà.
Ma, nella sensibilità dei più
aperti e dei più preparati di allora, vi è un altro aspetto della liberazione che crediamo meriti
di essere ripreso in considerazione: la possibilità di costruire un
mondo nuovo.
Basterebbe pensare a tante lettere di condannati a morte, a
tante pagine del « Pioniere », il
giornale partigiano e progressista delle formazioni Giustizia e
Libertà della Val Pellice, ora ristampato in bella edizione dalla
Claudiana.
^ E qui vien fatto di chiedersi se
l'entusiasmo della riconquistata
libertà da una pesante dominazione e la fine della guerra combattuta non abbiano creato l’illusione che il nuovo mondo, la
nuova società, i nuovi rapporti
tra le persone, sarebbero venuti
quasi spontaneamente, quali frutti che dovevano naturalmente
formarsi sui fiori che. erano spuntati abbondantemente durante
gli anni della resistenza.
A più di trent’anni di distanza,
in una società come quella che si
è andata sviluppando, nasce il
sospetto che quelle forze che invece preferivano un mantenimento dei vecchi rapporti, certo migliorati e corretti, ma pur sempre basati sull’idea che il potere
è una possibilità di sfruttamento
e non di servizio al prossimo e
alla collettività abbiano vinto la
loro battaglia.
La liberazione cioè è stata solo
parziale. E una mezza libertà è
anche una mezza schiavitù.
In questo senso vanno ricordate le parole di Giorgio Spini per
l’inaugurazione delle scuole elementari di Gragnana, il paese
natale di Jacopo Lombardini.
Egli descrive la inquietudine, la
tristezza, la impazienza che impedisce a molti di essere soddisfatti di quel che si è fatto e ne
descrive così le cause: br.
Perché quello che ci spinse ieri
a divorare ansiosamente il foglietto clandestino passatoci da
un condiscepolo o ci portò ad accettare una parte piccola o grande nella guerra di liberazione, non
era, no, Dio^ sia ringraziato, un
calcolo di parentele elettorali o
di voti di preferenza. Non era forse nemmeno, sino ad un certo
punto almeno, un freddo calcolo
di probabilità politiche — per
molti le probabilità più vicine
erano la prigione o la morte. Era
l’esplosione tanto a lungo covata
del senso morale; era un atto solenne di ripudio di tutto quello
che di equivoco, di codardo, di
imbelle, c’era stato nella nostra
condotta. Era il sogno d’una Italia non più fatta di gerarchi ladri, di retori cialtroni e di piccoli e grossi corrotti e corruttori; d’una Italia rinnovata nel costume e nello spirito, austeramente onesta, veramente degna
di ascidersi senza vergogna fra le
altre nazioni civili. Un’Italia in
cui il più umile dei lavoratori
manuali avrebbe potuto reclamare giustizia a testa alta, senza
strisciare riverenze o mendicare
favori; in cui nessuno avrebbe
potuto parlare più di dittature in
nome di qualsiasi ideologia o
dogma o partito, ed in cui nessuna libertà avrebbe più potuto essere rimessa in discussione: una
Italia diventata madre anziché
matrigna per tutti i propri figli, in
cui miseria ed opulenza non dovessero più contrastare vicendevolmente ed i disoccupati non dovessero seder sul muretto cogli
occhi spenti della disperazione.
Sognavamo una Italia senza
sfruttati e senza sfruttatori, senza analfabeti e senza mendican
ti: un’Italia che non cianciasse
più di otto milioni di baionette,
ma si assidesse sorella in mezzo
ad un mondo in cui Oriente ed
Occidente — sì, lo so, eravamo
dei sognatori, eravamo restii ancora a pensare che il destino della razza umana si misurasse soltanto col numero di morti che
può fare in un solo momento
una bomba atomica... — in cui
Oriente ed Occidente, dico, affratellati da una lotta comune, si
incontrassero finalmente, l’uno
riconoscendo la necessità di stabilire la propria libertà sul fondamento di un grande disegno di
giustizia sociale, e l’altro riconoscendo impossibile l’attuazione
delle proprie mete di giustizia
sociale al di fuori della libertà o
contro la libertà.
TORRE PELLICE
La giunta
ai cittadini
Con attenzione crescente dobbiamo leggere e rileggere le pagine della Storia italiana dal 25
aprile 1945 al 25 aprile 1977.
Esse infatti sono anche costellate — soprattutto dal 1969, momento di grandi lotte dei lavoratori per le riforme e la democrazia — da bombe, attentati, sequestri, corruzioni, fughe di capitali, cassa integrazione, licenziamenti e disoccupazione. Ma ancor oggi, nella spirale degli attentati a sedi di partiti e del sequestro di personalità politiche,
aspettiamo risposte dalle istituzioni alle violenze e alle stragi
che hanno inaugurato i tentativi
di eversióne dell’ordinamento democratico e aspettiamo quelle
riforme della sanità, della casa,
della scuola, della polizia, della
giustizia, che da troppo tempo
réclarriìamo e che per la loro
mancata attuazione paghiamo
con il prezzo della tensione.
Nel ribadire che la lotta contro il fascismo, variamente mascherato, non può essere finita
una volta per tutte nel non lontano 1945, che sono necessarie ed
impellenti riforme sociali se vogliamo una autentica e partecipe
democrazia, crediamo che soltanto un atteggiamento da antifascisti militanti — attraverso la
partecipazione quotidiana, l’impegno concreto rivolto al miglioramento della società e la denuncia degli atteggiamenti irresponsabili — sia la forza vera della
democrazia e della libertà.
La Giunta Municipale
PROGRAMMA
DELLA MANIFESTAZIONE
ore 10,15: raduno in Piazza del
Municipio; ore 10,30: orriàggio
floreale alle Lapidi ed ai Monumenti ai Caduti; ore 10,45: saluto del Sindaco di Torre Pellice e
discorso ufficiale dell’ing. Mussa
Ivaldi Vercelli Carlo di fronte ai
Monumenti della Resistenza.
Manifestazione
ad Angrogna
Per un 25 aprile diverso, che non sia celebrazione conformista e retorica, ma momento di ripensamento sulla necessità,
oggi come allora, di una
LOTTA CONTRO IL FASCISMO, qualunque volto
esso assuma (malgoverno,
strategia della tensione,
violenza eversiva, attacco
all’occupazione, ecc.) PAmministrazione Comunale, in
collaborazione con il Gruppo Teatro Angrogna, organizza per il 25 aprile,
alle ore 20, nella scuola
quartierale di CACET (g.
c.), una nàanifestàzione popolare nel corso della quale verranno riproposti canti e testimonianze della
RESISTENZA di ieri e di
oggi.
Tutta la popolazione è
invitata.
La Giunta
Comunità Montana Valli Chisone-Germanasca
Un consiglio dedicato
al confronto
La serie monotona delle sedute del Consiglio della Comunità,
dedicate quasi per intero alla
normale amministrazione, si è
bruscamente interrotta venerdì
scorso, e tutte le questioni sono
state trasportate sul piano del
contronto tra gruppi di partito.
Le ostilità sono state aperte dai
consiglieri comunisti; il loro portavoce, prendendo spunto dal
primo argomento all’ordine del
giorno sulla nomina di un assessore in sostituzione di uno dimissionario, ha dichiarato che non
si poteva andare avanti ancora
senza programmi politici e con
una giunta eletta soltanto su basi territoriali.
Immediatamente dopo si è fatta sentire la DC, i cui membri si
sono costituiti come gruppo consiliare: nuova carrellata sui difetti di conduzione della Comunità
Montana e proposta di non discutere l’ordine del giorno, ma i
programmi.
Dopo qualche discussione su
queste novità, è stata approvata
la proposta di sospendere la se
Presenza alla radio
e radio libere
Organizzato dalla Commissione esecutiva distrettuale del 1“
distretto ha avuto luogo a S. Secondo, domenica 17, un incontro
per dibattere il problema delle
radio libere e le possibilità di
accesso allo strumento radiofonico che si offrono alla nostra
chiesa alle valli.
La presenza di alcuni membri
del servizio radio e televisione
della Federazione ha contribuito
ad un positivo scambio di informazioni.
L’opinione largamente condivisa è che si debba comunque
richiedere l’accesso alla radio
secondo la proposta regionale,
valutando le possibilità di inserimento che si prospetteranno.
Per quanto concerne le radio libere presenti a Pinerolo occorre"
rà anche qui valutare in quale
modo occupare degli spazi disponibili. Sembra in ogni caso
da evitare l’ipotesi di gestire autonomamente una radio libera.
Il problema sarà riproposto
alla prossima conferenza distrettuale.
Intanto si è appreso che L’Eco
del Chisone ha interrotto la collaborazione con Radio VaUi «per
disaccordi sulla conduzione tecnica e programmatica della emittente che non garantiva più
la nostra (dell’Eco del Chisone)
autonomia e la responsabilità
piena della gestione interna ».
Nel dare questa comunicazione
L’Eco del Chisone afferma l’intenzione di voler mettere in funzione un’emittente radiofonica
autonoma.
Pare che il futuro direttore di
Radio Valli sarà l’ex direttore
della Lanterna ed attuale collaboratore de « Il Pellice ». Se così è si tratta di un altro anello
della catena che la Democrazia
Cristiana sta costruendo nel pinerolese per riacquistare gli s^àzi andati perduti alle elezioni politiche del 20 giugno.
duta per mezz’ora, dando modo
così ai gruppi comunista e democristiano di prepararsi agli scontri successivi. Terminata la sospensione, il capogruppo comunista ha chiesto di non discutere
i punti all’ordine del giorno concernenti la nomina dell’assessore, la modifica del regolamento
e della pianta organica del personale, e la variazione allo statuto. Questa proposta è stata approvata, perciò, scartati tutti gli
argomenti scabrosi, si è passât'
a discutere l’acquisto di un’automobile per i dipendenti. Il gruppo democristiano si è dichiarato
contrario ad un simile spreco del
pubblico denaro, ma la maggior
parte dell’assemblea ha invece
votato a favore e l’acquisto è stato approvato. Allo stesso modo è
stato rinnovato l’incarico al veterinario che svolge il servizio
per conto della Comunità Montana.
Ha avuto così termine il confronto politico, da molti giudicato indispensabile, nei riguardi di
un ente che non ha ancora trovato una sua collocazione precisa.
E’ stato comunque possibile, in
questo primo assaggio, farsi una
idea di questa DC locale che
sbandiera i valori ideali della gestione efficiente e corretta, cercando di battere i comunisti sul
loro stesso terreno. E’ evidente
il tentativo di ricupero delle posizioni perse nelle elezioni del
’75: J’ingresso nel consiglio comunale di Massello, la battaglia
per Fra Catinai, l’attacco alla Comunità Montana, sono le tappe
della progressiva riconquista del
potere.
Cade, invece, l’illusione, molto
diffusa ancorr. nei buoni ambienti valdesi, che si possa amministrare gli Enti Ircali « senza fare
Dolitica ». La nolitica qualcuno, la
fa, e non certo nel nostro interesse!
L. V.
PINEROLO
Corso per predicatori radiofonici
Mentre stiamo per andare in
macchina si sta avviando alla
conclusione il VI Corso per predicatori alla radio in svolgimento a Pinerolo, presso i locali della nostra chiesa. Un serrato
ritmo di lavoro ha caratterizzato la prima giornata. In apertura, di fronte a una ventina di
partecipanti (quasi tutti pastori). Aldo Comba e Roberto Sbaffi hanno introdotto il tema « Come si scrive per la radio ». È seguito un vivace dibattito intramezzato dall’ascolto di nastri dimostrativi di culti-radio. La
troupe del culto radio (Maiocchi, Papini, Urizio) ha stimolato continuamente il dibattito riferendo la preoccupazione teo
logica al mezzo tecnico. Si è poi
passati ad una esercitazione pratica: in due ore si trattava di
scrivere un pezzo radiofonicamente valido. I partecipanti hanno cercato di trasmettere il messaggio evangelico in un’ipotetica
trasmissione radio. Le discussioni e l’ascolto di nastri dimostrativi si son protratti sino a
tarda sera con un interesse che
non accennava a diminuire. Nel
prossimo numero del giornale,
daremo una. più ampia informazione su questo « laboratorio radiofonico ». Un’iniziativa di singolare interesse che tutti i predicatori dovrebbero sperimentare.
Il pastore Martin Niemoeller, fotografato davanti
alla casa Valdese di Torre Pellice, dove egli partecipò
a un sinodo nell’immediato dopo-guerra. Questa immagine ci ricorda, come dice Spini nella citazione
qui a fianco, che resistenza non significò, e non significa, soltanto lotta contro le truppe occupanti, ma
innanzitutto lotta contro tutto ciò che rende l’uomo
inumano, contro chi ha la pretesa di avere Dio dalla
sua parte (Gott mit uns!) invece di stare lui dalla
parte di Dio.
Se riproponiamo questa vecchia immagine è perché ci pare giusto ricordare insieme, senza distinzioni di frontiera e di lingua, tutti coloro che hanno sofferto per il loro impegno di credenti, per la creazione di una società in cui fosse possibile amare il proprio prossimo. Per questo Martin Niemoeller conobbe i rigori del campo di concentramento ed è significativo leggere le prediche che in quel campo egli
tenne, nelle quali è assolutamente assente ogni forma di odio o sentimento di vendetta, per lasciar invece trasparire la profonda speranza del Regno e della grazia di Dio.
7
24 aprile 1977
CRONACA DELLE VALLI
t
C O A Z Z E
Molto gradita è stata la visita
alla nostra comunità dei catecumeni di Pinerolo che la domenica 20 marzo hanno presieduto
il culto comunitario con un convincente messaggio di fede e di
speranza cristiana.
I numerosi presenti hanno eespresso la loro gioia nel vedere
questi giovani partecipare con
tanta volontà alla vita della chiesa e si sono interessati allo studio che quest’anno essi vanno
portando a termine con i catecumeni di Coazze sulla storia
della nostra comunità e del nostro paese.
Dopo il pranzo consumato
nell’accogliente sala delle riunioni, i catecumeni ed i membri di
chiesa, intervenuti numerosi
malgrado la pioggia e la neve,
si sono nuovamente ritrovati per
ascoltare una relazione del prof.
Merlo di Pinerolo sugli « eretici » della Val Sangone nel 1200 e
1300. Uno studio interessantissimo che è stato molto apprezzato dai presenti che hanno ringraziato l’esimio storico per aver
accettato di dare questa sua collaborazione anche in una picco^
la comunità come la nostra.
L’incontro si è concluso con
la tradizionale tazza di té offerta agli ospiti e con il canto del
« Giuro di Sibaud ».
• I culti della Settimana Santa,
presieduti la domenica delle Palme dallo studente in teologia
Ruben Artus ed il venerdì Santo e la domenica di Pasqua dall’anz. Dino Gardiol, hanno avuto una larga partecipazione di
fedeli.
Con gioia abbiamo salutato al
culto di venerdì alcuni fratelli
della Val Susa che si sono uniti
a noi neH’ascolto della Parola e
nel canto degli inni.
• Rinnoviamo l’espressione
della nostra viva e fraterna simpatia cristiana alla famiglia dell’anz. Rosa Brusìn per l’immatura scomparsa del fratello Andrea, deceduto il mese scorso a
S. Paulo (Brasile) dove era emigrato nel lontano 1948.
POMARETTO
Domenica 17 aprile è stata battezzata Enrica Morello di Guido
e Wilma Isaia. Il Signore aiuti
i genitori a mantenere fede alle
promesse fatte.
SAN GERMANO
Al culto di Pasqua, assai ben
frequentato, i nuovi membri di
chiesa hanno partecipato per la
prima volta alla Santa Cena.
VILLAR PEROSA
Una bella assemblea ha seguito il culto della domenica delle
Palme nel corso del quale otto
catecumeni hanno confermato
l’alleanza del loro battesimo con
la pubblica confessione della loro fede. Nel pomeriggio i neo
confermati insieme ai loro genitori e ad altri membri di chiesa sono stati accolti nel salone
del convitto dall’Unione Femminile in un’atmosfera di gioiosa
fraternità. Per quell’occasione
il sig. Boer di Luserna S. Giovanni, al quale va il nostro vivo
ringraziamento, ha proiettato un
bellissimo film sulle Cevenne e
sul Protestantesimo francese in
quella regione, seguito da un
documentario sull’Asilo di S.
Giovanni. L’Unione Femminile
ha offerto ai confermati il Nuovo
Testamento in italiano corrente,
mentre la Chiesa nel suo insieme ha dato loro la nuova storia valdese scritta dal past. Giorgio Tourn.
• Una partecipazione particolarmente alta ha caratterizzato
il culto di Pasqua, durante il
quale i confermati si sono avvicinati per la prima volta alla S.
Cena, seguiti da numerosi altri
membri di chiesa. Molti gli amici venuti da fuori, tra i quali abbiamo potuto salutare il past. TKiefner e Signora in soggiorno
alle Valli. Al termine del culto
è stata fatta la colletta per
il fondo del CEC a favore dei
terremotati rumeni.
La Corale ha recato il suo
apporto sia al culto della domenica delle Palme che a quella
di Pasqua con inni di circostanza.
Ultimamente abbiamo accolto
nelle nostre due case due gruppi di fratelli e sorelle tedeschi : il
primo di Ober-Ramstadt Rohrbach, guidato dal sig. Georg Heleine e Signora ed il secondo
proveniente da Mannheim, sotto
la direzione del past. Jan Koch;
entrambi hanno percorso le Valli e si sono interessati alla vita
della nostra Chiesa; il gruppo di
Mannheim ha pure partecipato
al culto di domenica 17 corr. m.
Un sentito ringraziamento alla
prof .ssa D. Montrucchio che con
la sua preziosa collaborazione,
ci aiuta in questi incontri.
• Per domenica 1« maggio è
stata organizzata la gita della
scuola domenicale. La destinazione è Viering in Valle d’Aosta.
I bambini e i genitori che vogliono partecipare devono rivolgersi alle monitrici o al pastore
entro sabato 23 aprile versando
una caparra di L. 1.500.
• Domenica 17 aprile Renata
Germanet ha presieduto il culto della domenica della Facoltà. La colletta andrà a favore
del nostro Istituto teologico. Ringraziamo questa giovane per il
suo messaggio e formuliamo i
migliori auguri per i suoi studi
teologici.
• Quello stesso giorno vari
membri di chiesa hanno partecipato all’incontro monitori a S.
Germano, a quello sulle radio
private a San Secondo, a quello
FDEI a Pinerolo e all’Assemblea
della TEV a Torre Pellice.
RORA’
• Il pastore Conte ha partecipato con altri colleghi delle Valli all’utile « Laboratorio radiofonico » organizzato a Pinerolo con
la collaborazione del servizio
radio-televisione della Federazione delle Chiese Evangeliche in
Italia.
• Con il culto presieduto dallo
studente in teologia Daniele Garrone e l’informazione che egli
ha dato alla comunità sul lavoro della Facoltà di teologia è
stato possibile ridimensionare la
distanza che spesso separa la
Facoltà dalle nostre comunità.
L’impegno finanziario a sostegno della Facoltà deciso dall’assemblea di chiesa vuole pure essere un segno concreto in questo senso.
• Ricordiamo che durante il
culto di domenica 24 aprile avrà
luogo l’assemblea di chiesa per
la nomina di tre deputati alla
Conferenza Distrettuale di San
Germano e di due deputati al
Sinodo.
• Giovedì 14 abbiamo accompagnato al cimitero il fratello Rinaldo Durand, di 54 anni, improvvisamente deceduto in seguito ad uii collasso. Ai familiari rinnoviamo la nostia solidarietà cristiana.
I-III CIRCUITO
Incontro
monitori
Con la partecipazione di una
quarantina di monitori del I e
III Circuito, si è svolto sabato
16 a Torre Pellice il convegno
monitori. Nella prima parte dell’incontro si è valutato criticamente l’uso del nuovo materiale
nelle diverse scuole domenicali,
il contributo della rivista « La
scuola domenicale ». La buona
accoglienza e l’interesse dimostrato in tutti i gruppi del materiale usato quest’anno, confermando così le prime impressioni, non è staccata dalla richiesta
di limitare sia l’indice di difficoltà sia l’abbondanza dei programmi. È emerso per esempio
che in nessun gruppo vi è stato
il tempo materiale per affrontare le sequenze su Abramo.
Nella seconda parte Franco Girardet e Franco Carri, del servizio della Federazione, hanno presentato molto velocemente (troppo poco era il tempo a disposizione) il programma per il 19771978, suddiviso ancora in due
parti: la prima con una sequenza su « Gesù è vivente » e che
si ricollega alla parte svolta quest’anno, la seconda sulle vicende
del profeta Elia.
È presto per esprimere delle
valutazioni sul programma prooosto. Altri incontri di monitori
lo dovranno fare prima della ripresa. autunnale, disponendo del
materiale (in corso di stampa).
VILLASECCA
CHIOTTI
• Il culto di domenica 17 corr.
m. è stato presieduto dallo studtheol. Pons Mauro, il quale, dopo la predicazione della Parola
di Dio, ha dato all’assemblea
interessanti informazioni sul lavoro della Facoltà, rispondendo
ad alcune domande. La chiesa lo
ringrazia per il messaggio rivoltoci. La colletta è stata devoluta
alla Facoltà di teologia, come
solidarietà verso l’opera ch’essa
svolge.
• Cordiale benvenuto a Paolo,
primogenito di Laura e di Ezio
Ferrerò (Caserme); la grazia del
Signore riposi su questa famiglia.
c Domenica 1« maggio p.v., alle ore 15, si svolgerà nel salone
sottostante il tempio l’annuale
vendita di beneficenza organizzata dall’Unione Femminile. Rivolgiamo un fraterno invito a
tutti i membri di chiesa ed agli
amici a voler collaborare con
doni (qualsiasi dono in denaro
o in natura è sempre ben accetto!) a questa attività, il cui provento va a beneficio della chiesa e delle sue oifere. Ci auguriamo perciò che molti vorranno
essere con noi non solo per acquistare i lavori che saranno
esposti, ma anche per trascorrere un po’ di tempo con altri fratelli.
• Con la partecipazione del
gruppo giovanile pinerolese si è
svolto, al Capoluogo e al Serre,
il culto della domenica della Facoltà. Una visita dei giovani
ai luoghi storici ha concluso,
nel tardo pomeriggio, la giornata.
LUSERNA
SAN GIOVANNI
Domenica 17 aprile i giovani
neo confermati hanno presieduto il culto. La meditazione è stata sul testo di Rom. 6: 15-18.
L’ammissione, e quindi l’appartenenza a una comunità evangelica, deve essere l’espressione
di una scelta di fede più profonda che impegna in un servizio
che coinvolge tutta resistenza
del credente. La riflessione comunitaria che è seguita, con
buona partecipazione, ma con
scarsi interventi, ha riconfermato le validità deH’impostazione
che rimane un problema aperto
per tutti.
• Sabato, nel tempio è stata
pronunciata la benedizione del
Signore sul matrimonio di Brunetti Pierangelo di Torino e Barolin Rita di Villar Pellice. Agli
sposi che si stabiliranno a Torino, rinnoviamo l’augurio di una
vita guidata dalla presenza del
Signore.
• Sabato, 23 aprile alle 20.30
nella Sala Albarin, Assemblea
di Chiesa su « Fede e politica ».
PRAMOLLO
Il fratello Alberto Giacomino
ha deliberatamente posto termine alla sua esistenza terrena.
Questa morte ha profondamente
colpito la sensibilità della fede
e della speranza cristiana di tutta la comunità. Pur nella drammatica situazione che si è verificata abbiamo potuto sperimentare ancora una volta come la
Parola del Signore anche per
questa circostanza contenga un
messaggio' vero ed autentico di
liberazione, di perdono e resurrezione in Cristo.
Per il culto di Pasqua il tempio era affollato, come lo vediamo raramente. Molti erano gli
amici ed i parenti venuti per
circondare col loro affetto i giovani che hanno confermato il
loro battesimo partecipando in
questo giorno per la prima volta alla Santa Cena del Signore.
Ad essi rinnoviamo il nostro
sincero augurio affinché il loro
sì; possa essere veramente tale
per tutta la vita. Al termine del
culto è stata fatta la colletta a
favore dei terremotati della Ro
mania.
• La comunità ha gustato ancora un momento di gioia nel
culto di domenica 17 corrente
quando è stato battezzato il piccolo Fabrizio Tron, figlio di Valdo e Martina Gelato. Nella riconoscenza e nella gratitudine cristiana confermiamo il nostro
impegno di vita esemplare nelle parole e nei gesti come testimonianza della nostra fede, anche nei confronti dei piccoli fanciulli.
Doni per il Collegio
Rinasca:
Rissolo Umberto L. 10.000.
Genova;
Corsani Mary 10.000.
Milano:
• Domenica 1» maggio vi sarà
la gita della Scuola domenicale
a Coazze. Tutti i bambini sono
invitati a partecipare a questa
gita che rientra nel quadro delle attività della scuola domenicale.
Leotta Alfio 50.000.
ANGROGNA
Hanno spaccato il vetro e ima
volta aperta la finestra si son
buttati dentro. Ma non hanno
trovato niente da j)ortar via.
Hanno comunque rovistato tra
i banchi e scassinato il vecchio
(e unico) armadio. Dentro c’erano solo libri scolastici e di
lettura amena. Dopo aver messo
tutto a soqquadro hanno abbandonato la scuoletta di Cacet. Più
in su, ai Rivoira, in una miandaestiva gli stessi ladri hanno rubato paioli di rame e altri oggetti. Poi hanno caricato tutto
su di una slitta (rubata anche
quella) e all’imbrunire son scesi frettolosamente giù, al Chiot
d’I’Aiga.
Doni di chiese valdesi in Italia:
San Secondo di Pinerolo 720.000;
Luserna S. Giovanni 300.000; San Germano Chisone 200.000; Sanremo 200
mila; Trieste 150.000; Como 300.000;
Chivasso Torrazza 30.000; Campobasso 40.000; Colleferro 50.000; Roma,
via IV novembre 500.000; Messina
20.000; Catania 10.000; Palermo 150
mila.
BOBBIO PELLICE
Il Concistoro ha avuto un incontro con il Concistoro di Villar
Pellice, nel corso del quale si è
dibattuto in maniera interessante il problema dell’impegno e
della responsabilità della chiesa
nel campo della vita politica. Si
sono poi affrontate questioni di
pratica collaborazione tra le due
chiese.
• Il culto della domenica 17
aprile è stato presieduto dal pastore Giorgio Tourn, che la comunità ringrazia vivamente per
il suo messaggio.
Lo stesso giorno, il pomeriggio, ha avuto luogo il bazar organizzato con impegno daH'Unione
Femminile e dall’Unione Giovanile. I risultati sono stati buoni,
anche se la partecipazione non è
stata molto nutrita.
Il bazar rappresentava in passato non solo l’occasione di raccogliere fondi per la chiesa, ma
un’occasione di incontro. Pare
che quest’anno la cosa non abbia
funzionato sotto questo ultimo
aspetto. Occorrerà riflettere e
cercare nuove forme. Una comunità di gente che non si incontra,
che non si parla, che non ama
stare insieme è una comtmità la
cui salute presenta certamente
dei problemi ed è opportuno ricorrere a cure urgenti!
• Apprendiamo con piacere
che il nostro fratello, Ettore Coucourde, figlio del nostro medico
condotto, si è brillantemente laureato in medicina presso l’Università di Torino. A Ettore, che sta
attualmente prestando servizio
militare a Udine, formuliamo le
nostre felicitazioni e raugurio
che nella sua professione egli
possa provare la soddisfazione di
un servizio reso agli uomini nel
momento difficile della loro salute menomata o bisognosa di
essere preservata.
• Domenica 17, giornata della
Facoltà di teologia, il culto è
stato presieduto dal giovane studente Gianni Genre che ringraziamo di cuore per il suo apprezzato messaggio e al quale
tutta la comunità augura un sereno e proficuo proseguimento
degli studi. All’uscita è state fatta la colletta per la Facoltà di
teologia.
Doni pro Uliveto
Doni ricevuti da Dicembre 1976:
Balsamo (To) L. 1.500; Lidia MagUana (To) 5.000; fam. Gandolfo (To)
50.000; fam. Picconi (To) 50.000;
Odette Balmas 15.000; Giorgina Giacone e N.N. 15.000; Scuola Domenicale di S. Secondo 200.000; Bein MireRa (Torre P.) 10.000; Martini Efisia
20.000; Fabiole Beniamino 60.000.
In memoria: di un amico, Carlo
Succo 20.000; di Giavarra Raimondo:
i vicini di casa 55.000; Ada e Ezio
Dainelli 10.000; Bruno Florian 90.000.
Palmery JaUà Ada 24.000; Peyronel
Giorgio 150.000.
Roma:
Una valdese 8.000; Zeni Ugo 5.000;
Villa Giovanni 10.000; Rocchi Biagio
10.000; Bianconi Mario 10.000; DonateUa N.N. 10.000; N.N. 500; famiglia Aliprandi 30.000.
Catania:
L’Istituto Uliveto, che ha dovuto
affrontare una spesa non indifferente
per l’acquisto di una nuova lavabiancheria, ringrazia vivamente gli amici
che col loro contributo rendono possibile la copertura di una parte di questa spesa.
La Commissione direttiva dell’Ospedale Evangelico Valdese di Torino ricorda con stima e gratitudine
Laura Ravazzini
che per molti anni ha svolto un apprezzato servizio nell’ambito dell’opera,
con viva partecipazione; ed esprime la
sua fraterna simpatia ai familiari, nella comunione della fede e della speranza in Cristo.
• Domenica 24 : assemblea di
chiesa. Inizio ore 10. All’o.d.g. :
nomina dei delegati, esame del
bilancio, relazione morale.
Domenica 1” maggio, assemblea di chiesa, inizio ore 10, sul
tema; fede e politica.
8
8
24 aprile 197Î
ARGENTINA: SEQUESTRO DEL TEOLOGO LOPEZ
A PROPOSITO DI « CHARTA 77 »
Al generale piace il silenzio Chiesa e politico
in Cecoslovacchia
È bastato soltanto un anno al
generale argentino Videla per
riuscire a mettere completamente in ginocchio il suo Paese. Il
sindacato è stato militarizzato,
l’opposizione ridotta al silenzio,
l’inflazione ha toccato il 360% e
le città sono attraversate dagli
« squadroni della morte », con
auto senza targa, per colpire
ogni forma di resistenza. Ma un
duro colpo l’ha subito anche il
regime militare argentino quando, il 24 febbraio, il presidente
americano Carter ha ridotto a
metà gli aiuti all’Argentina ; da
30 milioni di dollari si è passati
a 15. Videla si è offeso e non ha
voluto neanche quelli. Per risparmiare sulla spesa pubblica
sono stati licenziati 300 mila impiegati statali che non verranno
certamente assorbiti dalla piccola o grande industria (22 fabbriche d’automobili) che conosce ormai una disoccupazione
nel settore del 15%. In questo
quadro, i 24 milioni d’argentini
sono sempre più chiusi nella
morsa della repressione (particolarmente feroce con i profughi
politici dei Paesi limitrofi) e
della disoccupazione.
L’opposizione è passata tutta
alla clandestinità. I «Montoneros» (nome degli indios che nel
XIX sec. lottarono contro la colonizzazione europea), guidati
dal trentenne Mario Firmenich,
hanno ricostituito clandestinamente il sindacato e si muovono
verso la costituzione del Fronte
per la liberazione nazionale, a
cui potranno aderire le forze
democratiche argentine. Il grande disegno politico del generale
Videla è tutto proteso al passato. L’Argentina dovrebbe ritornare quella che era: terra di latifondi e pastorizia. Già oggi gli
insediamenti industriali nazionali non hanno lunghe prospettive. La tendenza prevalente è la
importazione del prodotto industriale finito. Se durante il peronismo si era puntato tutto sull’industria nazionale oggi si son
riaperte le porte alle grandi multinazionali.
Lo sciopero e la propaganda
politica d’opposizione prevedono pene che variano dai 5 ai 10
anni. In realtà si punisce col metodo cileno: tortura e silenzio.
Si conta che vi siano oggi in Argentina 25.000 prigionieri politici, di cui la metà non dà più notizie di sé. Tra questi scomparsi
vi sono numerose personalità
religiose (il 10% del clero vive
in clandestinità).
La scomparsa
(Ji Mauricio Lopez
« Non ho mai voluto essere e
non sono mai stato altro che un
cristiano, così come il nostro
credo ci chiede di essere e ho
sempre agito al servizio dell’umanità ». Con queste parole.
scritte quattro mesi fa dal carcere, il teologo argentino Mauricio Amilcar Lopez indirizzava
una lettera ai suoi familiari. A
queste righe è seguito il silenzio. Un silenzio che, specie per
i familiari e gli amici, si è fatto
carico d’angoscia. Nel darne la
notizia, il pastore valdese Guido
Rivoir, sul « Corriere del Ticino » dell’8.3.’77, ricorda gli anni
in cui Lopez fu a Ginevra presso il Consiglio Ecumenico delle
Chiese (C.E.C.). Rientrato in patria, Lopez fu chiamato alla carica di rettore presso l’ateneo
di San Luis e, solo di recente,
aveva accettato la cattedra presso l’Istituto teologico di Buenos
Aires.
Otto uoinini, armati e mascherati, l’hanno strappato di casa
— la mattina del 1« gennaio di
quest’anno — e da allora, salvo
poche righe giunte immediatamente dopo il sequestro, non si
è più saputo nulla.
Rivolgiamo
un appello
Per tentare di spezzare questa
cortina di silenzio rivolgiamo
questo appello ai lettori: chiunque di noi può scrivere direttamente all’ambasciata argentina
per chiedere spiegazioni sull’arresto di Lopez (Sua Eccellenza
l’Ambasciatore della Repubblica
Argentina, Piazza San Luigi dei
Francesi, 37 - Roma, oppure indirizzarsi alla stesso Eccellen
tissimo Generale Jorge Rafael
Videla, Presidente de la República Argentina, Casa Rosada,
Buenos Aires. Si suggerisce a
quanti vorranno rivolgere questo appello d’osservare, nella forma, un linguaggio appropriato
alla delicata circostanza. Ma
nulla vieta di chiedere alcune
precise cose : intanto in quale
prigione si trova il professor Lopez; si può chiedere la liberazione dei prigionieri che hanno
espresso critiche nei Confronti
del regime e si può infine osservare che in base alle informazioni che abbiamo (rintracciabili
ormai sulle pagine di gran parte
della stampa italiana) esiste, in
quel Paese, una continua e sistematica violazione dei diritti dell’uomo e della coscienza democratica.
Molti potranno ritenere inutile questo appello. Certo che se
tutti la pensassero così, non esisterebbe (come invece esiste)
tutto il peso d’un’opinione pubblica internazionale capace di
isolare le pratiche di violenza e
di tortura e, allo stesso tempo,
solidalizzare con le vittime.
È facilmente intuibile che l’appello, per internazionale che
sia, non potrà risolvere il problema ma alla sua soluzione fornisce una premessa indispensabile.
Appelli in questo senso son
stati inviati anche dall’organizzazione Amnesty International
alla Commissione dell’ONU per
i perseguitati politici con sede
a Ginevra. G. Platone
La frattura interna fra cattolici favorevoli e contrari all’attuale governo comunista si sta
accentuando in Cecoslovacchia.
Già abbiamo reso noto sul numero del 25 febbraio scorso come i vescovi della Boemia abbiano dichiarato « con piena responsabilità » di non essere tra i firmatari della « Charta ’77 », il noto documento che chiede il pieno
rispetto dei diritti dell’uomo. Avevamo anche dato notizia che i
vescovi slovacchi, al contrario
dei loro colleghi boemi, avevano
assunto un atteggiamento diverso. Infatti, pur non avendo essi
preso pubblicamente posizione a
favore del manifesto, si erano
rifiutati di rilasciare dichiarazioni analoghe a quelle dei vescovi
della Boemia.
Ora, la visita « ad limina » (per
il rapporto quinquennale obbligatorio da parte di ogni vescovo)
di cinque prelati cecoslovacchi
resa al pontefice Paolo VI ha riservato un’altra sorpresa. Mons.
Tornaseli, già nominato vescovo
di comune accordo fra Vaticano
e governo di Praga, pur precisando di non essere tra i firmatari
della « Charta » ha fatto intendere di non essere sfavorevole al
dissenso, mentre altri tre si sono apertamente schierati con il
governo e contro la contestazione. In una dichiarazione comune
hanno scritto: « Ci meravigliano
le affermazioni dei firmatari della "Charta" che non vogliono
prendere atto dei punti positivi
del nostro ordine socialista. Noi
non consentiamo con loro, anzi,
insieme ai nostri fedeli, ci persuadiamo sempre più del buono
che la nostra società crea per la
felicità degli uomini ».
11 quinto vescovo, Krana, nominato nel 1973 su precisa ed irrinunciabile richiesta del governo comunista, è stato del tutto
zitto, senza prendere alcuna posizione.
Frattanto, i preti aderenti al
gruppo « Pacem in terris », un
movirnento apertamente filogoyernativo, l’equivalente di «Pax»
in Polonia, hanno invece avuto
per i sostenitori di « Charta ’77 »
parole di sovrano disprezzo, non
molto degne della veste che indossano. Fra l’altro, essi hanno
detto che « la Charta è un documento abominevole, scritto da
uonaini dall’esistenza fallita ». Ed
il giornale cattolico di Praga, a
commento, ha soggiunto: « Essi
(i firmatari) mentono sulla nostra patria socialista ».
Di fronte a tali contrasti Paolo
VI si è mantenuto prudentemente sulle generali: « La Santa Sede — ha detto — non ha mai
omesso né omette di preoccuparsi che al governo delle diocesi in
Cecoslovacchia si provveda con
pastori responsabili della salvezza delle anime, profondamente dediti alla Chiesa e generosamente amanti della patria ».
Roberto Peyrot
LA SETTIMANA INTERNAZIONALE
a cura di Tullio Viola
Un premier può anche dimettersi
if li primo ministro israeliano
ha presentato le sue dimissioni,
giorni fa, alla televisione, dichiarando di « essere in colpa e quindi coinvolto in un procedimento
giudiziario », in una situazione
di reato che molti italiani d’oggi
definirebbero lieve, anche e soprattutto se riferita a se stessi:
l’aver avuto meno di 10 milioni
di lire su un conto corrente all’estero, ciò ch’è vietato dalle leggi
israeliane.
« La Repubblica » (in data 10-11
aprile '77) così commenta:
« Se è vero che la cosiddetta
"seconda generazione" dei dirigenti d’Israele è risultata più
grigia, più modesta, di quella
dei padri fondatori (i Ben Gurion, i Levi Ehskol, la stessa Golda Meir), bisogna dire che Itzak
Rabin ne era un tipico esponente. Il primo ministro di Gerusalemme che giovedì notte, come
si sa, ha dato l’addio alla propria
carriera politica perché accusato
di frode alle leggi valutarie d’Israele, era tutto meno che un
Incontro con Mlegge
{segue da pag. 1)
in due articoli, quello sulle « vestigia ecclesiae », l’antica espressione riformata che Miegge puntualizza nel contesto del dialogo
ecumenico, e quello sulla « prospettiva ecclesiologica del cattolicesimo contemporaneo ».
Chi può dire di aver risolto in
modo adeguato il problema del
rapporto scienza-fede, o quello
evangelo-cultura laica? Non andiamo forse, da anni, cercando
la nostra identità e rimuginando per trovare una formulazione
della fede che sia « evangelica »
e « moderna »?
Qui non c’è una soluzione, certo, ma quanto materiale che merita di essere (mi si perdoni l’espressione commerciale) immesso sul mercato della nostra riflessione evangelica?
A dare pienamente la dimensione di Miegge teologo sono probabilmente i due saggi inediti:
quello sulla preghiera del Signore, rilettura del Padre Nostro nel
contesto della predicazione escatologica di Gesù, è apparso in
francese sulle « Etudes théologiques et religieuses » di Montpellier, il secondo, sull’« idea cristiana di Dio » è invece ricavato da
una registrazione effettuata nell’estate del ’60 ad Agape in un
campo MCS. Miegge aveva allora 60 anni, nella pienezza della
sua maturità di studioso e di
scrittore; quello che ci lasciò in
quell’estate è più che un testamento spirituale, lo si comprende riascoltando a distanza le sue
parole, è un orientamento teologico, l’indicazione di un modo di
fare teologia: libero, moderno,
arrischiato, a volte addirittura
spregiudicato, ma radicato in
Cristo. Una lezione da meditare
ancora oggi.
Claudio Tron, che ha curato ed
ordinato tutto questo materiale
con molta sensibilità, ha introdotto ogni saggio con alcune parole di inquadramento ed ha presentato l’intera opera con una
bella prefazione che, evitando ogni svolazzo pseudo saggistico
ed ogni retorica, introduce a
quella « lettura » di Giovanni
Miegge di cui si diceva all’inizio.
personaggio brillante.
Militare di carriera (fu lui, con
Dayan, il vero protagonista della
fulminea e spettacolare vittoria
nella guerra del ’67), poi ambasciatore a Washington e quindi
(dal ’74) primo ministro, Rabin
è stato un uomo politico di non
molto spicco, poco comunicativo,
le cui doti più importanti erano
i soliti rapporti stabiliti con gli
americani nei suoi cinque anni
di permanenza a Washington, e
una certa capacità di equilibrio,
di moderazione, che mancava ai
suoi rivali, i "duri” Dayan e
Peres.
Da quest’uomo senza molte
qualità è ora venuto tuttavia un
gesto di grande effetto e significato. (...)
Come primo ministro, avrebbe
certamente potuto tentare il tentabile, premere sulla magistratura, lanciare appelli alla solidarietà di partito, agitare lo spauracchio della crisi che, effettivamente, si apre in Israele con le
sue dimissioni. Non lo ha fatto,
e il suo gesto sollecita oggi, nell’opinione pubblica internazionale, un sentimento di rispetto per
lui e di ammirazione per un paese dove anche i primi ministri
devono rispettare la legge.
In Italia, questo senso di ammirazione non può non essere
più forte che nel resto d’Europa.
Perché nel nostro paese tutto è
sempre andato al contrario di come s’è svolta la vicenda Rabin in
Israele. Le accuse più gravi, i sospetti più pesanti (e a volte anche concreti) non hanno fatto
tremare una sola poltrona, e soprattutto non hanno mai fatto
venire in mente ad un nostro uomo politico il bene che avrebbe
fatto al paese vedere che chi ha
sbagliato è disposto a pagare ».
Per amore d’obiettività e di
giustizia, noi tuttavia vogliamo
commentare questo commento,
osservando che non sappiamo fino a che punto il Rabin non sia,
per avventura, un’eccezione nel
suo paese. Infatti la stessa « Repubblica » (nel preced. n.) dà notizia degli scandali finanziari che,
da due anni, hanno investito l’opinione pubblica israeliana. « Tre
grandi scandali hanno preceduto
le dimissioni di Rabin, chiamando direttamente in causa il partito laburista:
1) Maggio 1975. Mikhail Tsour,
direttore generale della società
Israel- Corporation Limited, di
cui è presidente Edmond De
Rothschild, viene condannato a
quindici anni di prigione per abuso di fiducia è per truffa. Tsour
era inoltre direttore della compagnia di navigazione Zim, mem
bro del consiglio di amministrazione di alcune società nazionali,
e contava numerose amicizie negli ambienti laburisti.
2) Ottobre 1976. Dn nuovo scandalo chiama direttamente in causa il partito. Asher Yadlin, designato dal governo come direttore della Cassa malattie della Histadrouth, la potente centrale
sindacale controllata dai laburisti, viene arrestato per versamenti illeciti a favore del partito laburista, dei cui organi direttivi
fa parte. Il 22 febbraio scorso
Yadlin è stato condannato a 5
anni e sei mesi di prigione per
concussione, dopo aver confessato.
3) 3 gennaio 1977. Clamoroso
seguito allo scandalo Yadlin: il
ministro per TEdilizia, Abraham
Ofer, si uccide sparandosi alla testa. Ofer, che era amico di Yadlin, aveva fatto come lui carriera nel settore economico della
Histadrouth. Dopo l’arresto di
Yadlin, era stato ripetutamente
accusato dalla stampa di complicità nelle operazioni illecite
condotte dal direttore della Cassa malattie del sindacato ».
Fondo di solidarietà
Pubblichiamo qui sotto un elenco aggiornato, relativo alle offerte pervenute al nostro « Fondo ».
Come forse i lettori ricorderanno, attualmente le destinazioni sono varie. Abbiamo in cassa un residuo di L. 260.000 pervenuteci dopo un primo invio di
medicinali effettuato in aiuto
alle popolazioni del Ubano. Segnaliamo questa cosa ai lettori
per precisare che attenderemo
ancora un po’ per vedere se vi
saranno altre offerte a questo
scopo onde fare un’altra spedizione che valga la pena: in caso
contrario (e contiamo sull’assenso dei donatori) dirotteremo
questa cifra ad altre iniziative.
Fra di esse, ricordiamo quella
prò terremotati del Friuli, per
cui continuano a giungerci offerte ; quella relativa agli aiuti ai
terremotati della Romania (ci
stanno arrivando le prime sottoscrizioni); ed infine, il programma di lotta al razzismo del Consiglio ecumenico delle Chiese (in
cassa L. 4(K).(X)0 ca.).
Le offerte vanno inviate al
conto corr. postale n. 2/39878
intestato a Roberto Peyrot, corso Moncalieri, 70 ,10133 Torino,
indicando possibilmente la destinazione.
P. Corbo (due vers.) L. 6.000; Chiesa Rodorello 40.000; V. Giaiero 40
mila;M. Mariani 5.000; N.N. con simpatia 15.000; S.C. 50.000; G. Comba
50.000; I. Rivoir 10.000; Chie.sa Bobbio P. 58.000; B. e M. Finino 5.000;
N.N. 10.000; G. Giorgiolé 5.000; Interessi anno 1976 c.c.p. 12.963.
Tot. L. 306.963; prec. 678.961; in
ca.ssa L. 985.924.
Comitato di Redazione: Bruno
Bellion, Ermanno Genre, Giuseppe Platone - Paolo Ricca, Fulvio
Rocco, Sergio Rostagno, Roberto
Sbafo.
Direttore ! FRANCO GIAMPICCOLI
Dir. responsabile : GINO CONTE
Redazione: Vis Pio V 15, 10125
Torino, tei. 011/655.278.
Amministrazione: Casa Valdese,
10066 Torre Pellice (To) - c.c.p.
2/33094 intestato a « L'Eco delle
Valli - La Luce » - Torre Pellice.
Abbonamenti: Italia annuo 5.000
semestrale 2.500 - estero annuo
7.500 - sostenitore annuo 10.000
Una copia L. 150, arretrata L. 200
Cambio di indirizzo L. 100.
Inserzioni : prezzi per mm. di altezza, larghezza 1 col.: commerciali L. 100 - mortuari 150 - doni
50 - economici 100 per parola.
Fondo di solidarietii : c.c.p. n.
2/39878 intestato a Roberto
Peyrot, corso Moncalieri 70,
10133 Torino.
Reg. Tribunale di Pinerolo N. 175
8 luglio 1960
Cooperativa Tipografica Subalpina
Torre Pellice