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Anno 115 - K. 25
22 giugno 1979 - L. 250
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1® Gruppo bìs/70
ddk valli valdesi
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE VALDESI E METODISTE
■V..
_____________PER L’ELEZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO
Scegliere in Europa
La scelta che oggi ci è richiesto di fare è quella fondamentale, una
scelta di fedeltà a Dio piuttosto che ai nostri idoli di stampo moderno
Neirallegrezza della
fede riconoscente
(Giovanni 15: 26 — 16: 4)
L’Europa di cui tanto si parla
in questo periodo e di cui la data del 10 giugno u. s. è stata un
momento importante con le elezioni per il parlamento europeo,
ha trovato spazio in articoli sui
più diversi giornali e riviste. In
ciuesto quadro si situa anche il
numero del 18 maggio di ’Critica sociale’, con, in copertina, appaiate, le immagini di papa Giovanni Paolo II e di Martin Lutero. In quel numero del settimanale è dedicato ampio spazio a
un confronto fra cattolicesimo e
protestantesimo e negli articoli
si tende, tra l’altro, a sottolineare, come, nel quadro europeo, i
protestanti non saranno più una
piccola minoranza trascurabile
come sono in Italia. Cosa nascerà da questo incontro di culture
e di confessioni di fede tanto diverse? Per il cattolicesimo italiano, poco abituato a un confronto con un protestantesimo di
ben diverse proporzioni da quello italiano, si tratterà, lo speriamo, della scoperta e del confronto con una 'forma mentale’ nuova, e con un diverso ’stile di vita’’. Nell’articolo di Aurelio Penna mi pare sottolineata con chiarezza la matrice protestante di
questa diversità.
« 11 principio del cosiddetto
’sacerdozio universale’ costituisce senza dubbio l’affermazione
più rivoluzionaria e dirompente,
non solo nel mondo del Cinquecento ancora dominato dai miti
di una società teocratica, ma
perfino oggi, ad esempio qui da
noi, in Italia. Dire 'sacerdozio
universale’ significa mettere di
colpo ciascun uomo, il più potente come il più umile, sullo
stesso piano di un rapporto diretto con Dio, senza mediatori
di sorta. Ma significa anche affermare il principio democratico
che ogni uomo è uguale all’altro,
in tutto e in ogni circostanza,
per le cose dello spirito come
per le cose terrene, eliminare la
distinzione fra sovrano e suddito. Significa abbattere dalle fondamenta il ’Palazzo’, eliminare
totalmente la 'casta sacerdotale’
(con tutto ciò che essa comporta). Se tutti, nei confronti di
Dio, sono ’sacerdoti’, vuol dire
che nessuno è sacerdote di mestiere, vuol dire che tutti sono
laici (compresi i pastori, che
prestano unicamente un servizio
nella comunità). Ciò significa soprattutto che la vita sociale e civile si dispiega regolarmente per
i canali che le sono naturali, che
ogni integralismo è bandito, che
non esistono progetti di ’città
celesti’ (del resto non ve n’è
traccia nell’Evangelo), dove il
mondo della fede finisce per voler condizionare pesantemente il
mondo dei rapporti umani.
Corollario del sacerdozio universale è il ’libero esame’ della
Bibbia, il che vuol dire semplicemente il rifiuto di ogni dogmatismo e lo sviluppo delle facoltà
critiche e autocritiche. Tutto
questo — valorizzazione dell’uomo come persona, suo collocarsi direttamente di fronte a Dio,
libertà di analisi — significa un
potente incentivo all’autocoscienza, alla responsabilizzazione personale. Ciò si traduce, in termini sociali, in un vivo senso della libertà, della democrazia... ».
Tutto ciò mi sembra molto
vero, ma in me nasce contemporaneamente la domanda: « È veramente questa la fotografia del
protestantesimo che i cattolici
italiani vedranno nell’Europa? »
Sento una profonda inquietudine che nasce dal travaglio interno, dalla crisi, dalla ricerca della propria identità in seno a molte chiese riformate, e un’inquietudine ancora maggiore guardando le grosse chiese protestanti maggioritarie, specie quando
trattasi di chiese di stato, disposte troppo spesso a un ecumenismo troppo condiscendente.
Chiese che si legano, con una disponibilità che a noi talvolta pare sorprendente, allo stato con i
più diversi accordi, non immuni
da privilegi piuttosto evidenti.
Un campanello
d’allarme
Può darsi che, almeno in parte, questa nostra intransigenza
venga dalla nostra condizione di
piccola chiesa minoritaria e dalla nostra lunga storia di vessazioni e sofferenze. A me pare che
essa sia comunque salutare e
possa in qualche misura costituire un campanello di allarme
che squilla in campo ecumenico.
richiamando a riflettere al di là
di quelle che sono le apparenze.
Vale la pena di lasciarci tutti,
cattolici e protestanti delle più
diverse estrazioni e situazioni,
interpellare dall’antica parola di
Giosuè, una pagina della Scrittura in cui è messa in questione
la scelta di fondo della nostra
fede e quindi la coerenza della
nostra vifa: « Scegliete oggi a
chi volete servire » (Gios. 24/15).
Mi pare che, in questo capitolo di Giosuè, vi sia anzitutto l’invito a guardare attentamente nella nostra storia. Ogni chiesa può
facilmente scoprirvi i segni indelebili della presenza di Dio, del
suo intervento di amore. Ci è
stata data « una terra che non
abbiamo lavorato, delle città
che non abbiamo costruite... ».
La benevolenza e la pazienza di
Dio sono state infinite, né è mancata la sua ispirazione in molte
scelte di fondo che sono state
operate; e vi sono inoltre i segni evidenti della nostra infedeltà, su cui pesa il giudizio di Dio.
Marco Ayassot
/ , icfj-itinua a pag. 8)
Tèmpo di relazioni annue, di
bilanci e valutazioni critiche, di
confronti e buoni propositi. Ma
quando si traccia il percorso di
un anno di lavoro, capita che si
vada in crisi! Pare di non aver
fatto nulla e la critica e l’autocritica sono di prammatica; così continua facilmente il lamento sulla nostra inefficienza, sul
nostro distacco dalla realtà, sulla introversione delle nostre chiese che lottano per sopravvivere
stentatamente.
Forse è un'impressione molto
personale, ma devo confessare
che sono alquanto stufo di questo lamentoso ripiegamento su
noi stessi che ci caratterizza da
anni in nwdo assai monotono.
Questo non vuol dire tentare di
consolarci in qualche modo o
cercare dei facili alibi, per amore del quieto vivere o per superficiale valutazione della situazione. Vuol dire rilevare che non
si è riconoscenti per quel che si
è potuto fare, per non essere rimasti privi di quel che l’ev. di
Giovanni chiama il Consolatore.
Mancanza di riconoscenza dunque, nel doppio senso di riconoscimento di quel che ci è dato e
SUD AFRICA: NELL’AMBITO DELLO SCANDALO ’’MULDERGATE”
Piano di sabotaggio contro ii CEC
Lo chiamano il « Muldergate »:
è lo scandalo che ha scosso profondamente il Sud Africa e che,
oltre a travolgere personalità di
primo piano come gli ex ministri
dell’informazione Connie Mulder
(da cui il nome dello scandalo)
e Eskel Rhoodie, ha portato, in
analogia col Watergate americano, alle dimissioni del presidente stesso del paese, John Vorster.
Come abbiamo appreso dai giornali, lo scandalo riguarda in gran
parte l’uso illegale di metà dei
120 milioni di dollari in dotazione ai fondi segreti governativi.
Esponenti del partito moderato
al governo, che si fregiavano
di una politica di moderazione
nei rapporti tra bianchi e neri,
in segreto usavano il denaro pubblico per finanziare campagne all’interno e all’estero per dare
copertura all’apartheid, l’odioso
principio della discriminazione
razziale: acquisto — realizzato
o tentato — di giornali, cormzione di sindacalisti e uomini
politici inglesi e americani, finanziamento di gruppi di pressione e campagne diffamatorie...
È in quest’ultimo campo che è
stato colpito anche il Consiglio
Ecumenico delle Chiese. Lo rende noto l’agenzia di stampa del
CEC, SOEPI Mansuel di giugno
che in un articolo a firma Kathy Lowe riferisce su clamorose
rivelazioni del Guardian. Nel
quadro di un’inchiesta sul «Muldergate», il quotidiano inglese ha
documentato il finanziamento
clandestino da parte del Sud
Africa della campagna di sabotaggio contro il CEC che da anni si sospettava fosse molto poco spontanea. Il principale « agente» di questa campagna è
stata la Lega Cristiana del Sud
Africa che dal ’75 ha ricevuto
più di 200.000 sterline all’anno
dal capo del ministero dell’informazione Eskel Rhoodie (ora
fuggito all’estero) per promuo
vere una campagna di calunnie
contro il CEC.
I primi segni di questa campagna si erano avuti già nel
’74, quando erano apparse sui
maggiori giornali europei, americani e australiani inserzioni
pubblicitarie a piena pagina firmate da un anonimo « Club dei
Dieci » che criticavano vivamente i doni del Pondo di Lotta contro il Razzismo che il CEC dava
ai movimenti di liberazione dell’Africa Australe. Questi annunci pubblicitari erano finanziati
segretamente dal Dipartimento
sudafricano dell’ informazione
che tra il ’73 e il ’75 spese in
questo modo più di 450.000 dollari.
Esclusivamente
cristiana
La campagna contro il CEC fu
in seguito canalizzata attraverso
la Lega, fondata nel ’74 e diretta dal pastore metodista Fred
Shaw (sconfessato dalla sua
chiesa, che l’ottobre scorso nella Conferenza annuale ha approvato un invito ai propri membri
a dissociarsi dalla Lega) il quale
ha dichiarato al Guardian: « Siamo un’organizzazione esclusivamente cristiana e non un fronte
politico o qualcosa del genere ».
In realtà, ha sostenuto il giornale britannico, il governo sudafricano ha finanziato fin dal ’75
la rivista della Lega Encounter
e ha accresciuto il suo sostegno
nel ’77 giudicando che il CEC
diventava una crescente minaccia per il Sud Africa.
L’azione della Lega — che con
il denaro del governo sudafricano si proponeva di aprire uffici
a Londra e negli USA, mettere
in piedi un programma di accoglienza ai visitatori in Sud Africa, e varare un piano di seminari e pubblicazioni con lo sco
po di denunciare i legami del
CEC col marxismo — comprendeva anche l’organizzazione di
una tournée di oratori presso
chiese americane e canadesi col
fine dichiarato (in una pubblicazione della Lega) di « incoraggiare quelle chiese a cessare
ogni aiuto finanziario alla Chiesa metodista unita fintanto che
essa resterà membro del CEC ».
Nel luglio del ”78 la Lega ha raggiunto l’apice della sua azione
organizzando a Londra una conferenza internazionale allo scopo di « contrastare l’infiuenza
crescente del marxismo cristiano
delle grandi confessioni e in particolare di quelle che fanno parte del CEC ». Naturalmente l’azione della Lega si è intensificata
dopo che il Comitato centrale
del CEC a Kingston ha deciso
nel gennaio di quest’anno di continuare a dare il suo appoggio
alle vittime dell’oppressione
razziale. Encounter ha ripetutamente rivolto un appello a tutti
i cristiani membri di chiese che
sono ancora membri del CEC
e del Consiglio Sudafricano delle Chiese a « prendere d’urgenza
le misure appropriate perché i
consigli delle loro denominazioni cessino ogni rapporto con tali
organismi ».
Dopo le rivelazioni del Guardian il Segretario generale del
CEC pastore Philip Potter ha
espresso la speranza che questo
serva per lo meno a far capire
l’importanza e il significato del
Programma Speciale di Lotta
contro il Razzismo. E ha aggiunto: « È interessante notare, per
ciò che riguarda l’atteggiamento delle Chiese soprattutto in Occidente, che queste si scatenano
contro i doni che abbiamo distribuito l’anno scorso ai movimenti
di liberazione, ma restano mute
quando si pubblicano rivelazioni sul lancio di una campagna
di calunnie ». F. G.
di gratitudine per averlo ricevuto.
Questo è il tema su cui occorre soffermarsi, non per consolarci a buon mercato, ma per valutare con serietà la nostra situazione: la presenza del Consolatorc inviato per testimoniare di
Cristo e per rendere possibile
alla comunità cristiana la testimonianza di Cristo. Su questa
fede deve basarsi ogni nostra
considerazione critica, come ogni
nostro proposito o programma.
Per mezzo dello Spirito Cristo
impegna se stesso nella comunità dei credenti e così pure impegna la comunità nella testimonianza che essa è chiamata a
rendergli.
Il Consolatore, dunque; secondo la promessa di Cristo ai suoi
discepoli: « il Consolatore che io
vi manderò... ». Ecco allora, in
sede di bilanci e di valutazioni,
il modo di consolarci di tutto
quello che in fondo non va bene,
quella sottile consolazione interiore, schiva da compromessi col
mondo, esaltante l'interiorità della fede e della personale appartenenza al Signore, che è la sola
cosa che conti. Che cosa importa allora che le cose di questo
mondo vadano male, forse anche
quelle della chiesa, se vi è dentro di noi questa interiore sicurezza, questa consolazione?
Ma è noto che la parola che
usa Giovanni, parlando dello Spirito, il Paracleto, è di ben difficile traduzione. Il consolatore,
certo; vuol dire anche questo; e
chi di noi non ne avrebbe bisogno? Ma il termine ha ben altri
significati, si tratta dello Spirito
della verità, lo Spirito che testimonia della verità, e quindi è il
difensore della verità, l’ispiratore della testimonianza fedele, il
difensore contro il mondo e il
suo odio per il Cristo e per la
sua comunità.
Questo allora è il punto difficile; perché si tratta di render
testimonianza sotto l’impulso
dello Spirito nel mondo dell’odio; il che vuol dire, nel contersto in cui la promessa è collocata, rifiuto, separazione, persecuzione e morte.
Certo ci sembrerà subito di essere ben lontani da questa situazione della comunità primitiva e
di tanta parte della storia successiva. Oggi chi mai è perseguitato per la fede in Cristo, per lo
meno qui da noi! Anzi le folle
accorrono in piazza S. Pietro per
la grande regia spettacolare; si
fanno concordati e intese (due
cose ben diverse certo!) ma pur
sempre indizio di un rispetto che
è perfino inserito nella costituzione della repubblica. Dov’è oggi l’odio del mondo, quando è
proprio il mondo, quello che conosciamo e che ci riempie le
orecchie di propaganda, che si
propone come difensore del Cristo e dell’Evangelo?
Ma l'odio del mondo non è necessariamente violento e sanguinario: oggi potrebbe forse essere quella capacità di neutralizzare il messaggio rivoluzionario
dell’Evangelo in una pratica tradizionale, fatta di riti, di cerimonie, di trionfalismi e di conformismi, quella abilità ueZZ’impossessarsi della promessa dell'Evangelo in funzione del proprio
tornaconto o della propria eleva
Neri Giampiccoli
(Dalla predicazione alla Conferenza del II Distretto).
(Continua a pag. 2)
2
dci-'üí
22 giugno 1979
_____________ECUMENE: CONFERENZA DEL III DISTRETTO
Dibattito sulla vita della chiesa
\ a colloquio con I lettori
La verifica annuale alla quale
sono sottoposte tutte le Chiese,
per il HI Distretto ha avuto
luogo ad Ecumene nei giorni 26
e 27 maggio 1979. Il programma
si è articolato in due giorni, ma
l’importanza degli argomenti
avrebbe avuto bisogno di molto
più spazio malgrado si sia dedicato poco tempo al riposo quotidiano.
Una novità si è presentata con
l’interessante studio che il prof.
Paolo Ricca ha dedicato ai «compiti legati alla nostra vocazione»,
suddividendo molto chiaramente
l’argomento in quattro punti;
nel primo egli comunica aU’assemblea che « stiamo vivendo una specie di aurora Cristiana»
per cui ognuno si deve sentire
impegnato ad evangelizzare; nel
secondo egli conferma « l’insostituibilità del Protestantesimo »
facendo ancora riflettere l’assemblea sulla «nostra impreparazione a vivere questo momento » per concludere con l’ultimo pxmto che potrebbe essere
una spinta perché « bisogna passare da un momento di riflessione e di ricerca ad una fase di
ricostruzione »,
La serata è stata dedicata alla relazione sul Centro Sociale
dì Villa San Sebastiano fatta dal
Pastore Sergio Aquìlante aiutato
da un filmato. Il film ha contribuito a far meglio comprendere
l’effettiva realtà deU’ambiente nel
quale opera il centro stesso; ambiente che tramite il Centro ha
acquisito quelle conoscenze e
vissuto quelle attività che, grazie all’impegno di un gruppo
molto affiatato, ha potuto vedere realizzate.
La mattinata di domenica è
stata intensa di discussioni e
chiarimenti sul problema dei giovani che coinvolge tutta la penìsola nella quale coesistono e
si confrontano realtà comunitarie socialmente, strutturalmente
e culturalmente molto diverse.
Da una relazione si legge: «dove sono oggi i confermati di 5
o 10 armi fa? »; in un’altra invece si mette in evidenza che ci
sono giovani aderenti alla EGEI
che si vogliono impegnare in un
lavoro di formazione che tenga
vivo il rapporto tra studio e
lettura della Bibbia e impegno
politico; solo da pochi mesi si
riunisce un altro gruppo romano « integrato » (valdo-metodista) che pur non aderendo in
toto alla EGEI, « porta avanti le
stesse problematiche ».
OPERE SOCIALI
La seconda parte della mattinata, pur non avendo il solerte
presidente prof. Giorgio Peyrot
concesso il break, è stata dedicata alle Opere Sociali presenti nel III Distretto.
Esse sono tma testimonianza
evangelica e dalle relazioni di
coloro che lavorano in queste
opere si nota l’impegno e la responsabilità a proseguire nel
miglior modo possibile.
Il Gignoro è largamente conosciuto e gode della considerazione più profonda di quanti
si occupano del problema degli
anziani.
Il prof. Marco Ricca lo definisce « quanto di più avanzato
esiste in Toscana ».
Il Ferretti esordisce con una
novità; l’opera sorta a Londra
nel secolo scorso a favore dell’infanzia abbandonata, oggi
svolge un’attività articolata sull’assistenza e cura a soggetti
compresi tra i 6 e 11 anni bisognosi di essere seguiti negli studi e nella psiche. Questi proven
Programmi radio
per turisti tedeschi
Dal r giugno al 30 settembre 1979
i turisti tedeschi possono ascoltare
ogni domenica dalle ore 10.30 alle ore
11 un programma cristiano su FM
101 MHz, che viene messo in onda
dalla stazione locale Radio Fortuna di
Albenga. Questa trasmissione, curata
da un'opera interdenominazionale, si
può ricevere sulle coste del Golfo
di Genova e del Mar Tirreno fino ai
dintorni di Roma, nsll’isola d'Elba,
sulle coste della Corsica e nella parte settentrionale della Sardegna.
Chi desidera informare i turisti tedeschi di queste trasmissioni, può
richiedere delle cedole scrivendo a:
Evangeliums-Rundfunk, Pf. 1444
D - 6330 Wetzlar (Germania).
gono da famiglie in crisi e da
quartieri della città particolarmente depressi sotto il profilo
morale, economico e sociale.
Per il Gould la novità è vecchia di un anno comunque conferma l’importanza dell’esistenza di un Istituto protestante
aperto al quartiere nel quale si
trova.
Non sono stati tralasciati gli
aspetti finanziari e organizzativi
della vita delle Chiese operanti
nel III Distretto; basti pensare
all’attenta riflessione e alle decisioni prese sul tema delle contribuzioni.
La Conferenza Distrettuale ha
rieletto Davide Cielo presidente della CED e Eulvio Rocco vice presidente; Gianna Sciclone,
Domenico Aquilante e Marco
Ricca sono stati riconfermati a
far parte della Commissione.
I numerosi o.d.g., che vengono
pubblicati a parte, definiscono
e chiariscono alcuni degli impegni assunti dai delegati e in
alcuni casi testimoniano (come ad esempio quello sul disarmo già votato net"’78) l’interesse dedicato dalla Conferenza a
taluni dei grandi temi che caratterizzano il momento storico
nel quale viviamo.
Oaudia Claudi
Ordini del giorno
9 La Conferenza Distrettuale ritenendo che lo stato attuale dello
sviluppo dell'opera di testimonianza
e di evangelizzazione nelle zone di
Colieferro e Ferentino non può essere
mantenuto senza la presenza di . un
pastore residente in loco, fa proprio
Ì’0.d.G. approvato dalla A.C. deH’11°
circuito, (II/AC/XI.1979.V), ed invita la
Tavola a riconsiderare il problema, rivedendo la sistemazione del campo
di lavoro In modo adegnato, affinché la
continuità dell’opera fin qui svolta non
rischi di essere interrotta.
• La Conferenza Distrettuale ringrazia tutti coloro che htmno collaborato nello svolgimento delle attività
degli Istituti ed Opere nel III Distretto per assicurare la testimonianza
nelle particolari vocazioni di ciascuno
di essi.
La CED invita le Chiese del Distretto a seguire con attenzione le
attività del Centro di Servizio Sociale
di Villa San Sebastiano, a voler inviare una colletta entro la fine di quest’anno ecclesiastico come segno di
solidarietà fraterna.
9 La Conferenza Distrettuale preso
atto del disagio in cui alcune
chiese ed Opere sono venute a trovarsi avendo dovuto preparare le relazioni annue al principio di aprile, ed
avendo dovuto dedicare 2 domeniche
di maggio alla AC ed alla CD, fa notare che tutto ciò ha gravato sullo
svolgimento delle attività dell'anno
ecclesiastico che attualmente si chiude al 30 aprile. Chiede pertanto al
Sinodo di tenere in debito conto quanto sopra esposto ai fini dello studio in
vista della ristrutturazione di ogni
scadenza.
9 La Conferenza del 111 Distretto
considerata la crescente corsa
agli armamenti, ritiene necessario
proseguire nel cammino indicato dalla
CD 1978 (8/CD/m-’78) relativamente
all'antimilitarismo; ed invita pertanto
la CED ad organizzare con il contributo delle Chiese e con quanti già
lavorano in questo campo, un convegno che solleciti e stimoli gruppi e
singoli a lavorare per la pace, la giustizia, il disarmo.
• La Conferenza Distrettuale del III
Distretto, prendendo atto dei risultati
del Convegno su; « Chiesa, Stato e
Assistenza » tenuto a Firenze il 21 e
22 aprile 1979 e della esigenza ivi
espressa con voto unanime di nominare due commissioni: una per lo
studio di un progetto per il trattamento di determinate tossicomanie, l'altra
per la ricerca di forme alternative
nel campo dell'assistenza ai minori, dà
mandato alla CED di procedere alla
nomina delle suddette commissioni affinché riferiscano alla prossima assemblea.
TORINO
Nuovi membri
di Chiesa
Hanno domandato di essere
ammessi nella Chiesa Valdese di
Torino o per battesimo o confermazione: Flavio Prete, Andrea
Seccia, Mare» »Mathieu, Dente
Pastore, Silvia Rostan, Donatella
Gindri, Doretta Zanella, Patrizia
Long, Ester Rolando, Claudia
Geymonat, Dionisia Petrocelli,
Nora Papini, Giovanna Peyrot,
Susanna Ruffinengo, Alessandro
Bottazzi, Andrea Beckert, Andrea
Cigersa, Walter Chàllier, Carmela
D’Ursi.
Luca Gaydou, Marco Onnis e
Maria Grazia Greco Rostain,
provenienti dalla chiesa cattolico - romana, hanno chiesto di
aderire alla Chiesa Valdese.
Il Signore li assista nel cammino della loro fede!
I TESTIMONI
DI GEOVA
E IL TERRORISMO
Caro Franco Giampiccoli,
siamo un gruppo di valdesi di Cusano Milanino, della cintura Industriale
di Milano, e dobbiamo dirti che ci è
dispiaciuto un passo del tuo articolo
(per il resto ottimo) apparso su « La
Luce » del 6 aprile scorso, In commemorazione di Ugo La Malfa.
In esso tu denunci il terrorismo politico delle Brigate Rosse, e hai ragione. Ma subito vi accosti il terrorismo religioso dei Testimoni di Geova; e qui non ti sembra di esagerare?
Può apparire un particolare di scarso rilievo, ma proprio in quanto evangelici noi dobbiamo dimostrare a tutti, anche ai Testimoni di Geova, che
possono essere nostri lettori, che siamo capaci di essere rigidamente oggettivi anche verso chi la pensa diversamente da noi.
Qui a Cusano Milanino ci sono parecchi Testimoni di Geova e si può
dire tutto di loro, magari che sono decisamente seccanti con quel loro battere di casa in casa veramente martellante, magari che della Bibbia non
hanno capito niente; ma non che facciano del terrorismo religioso, né a
parole né a fatti né attraverso i loro
scritti, tutt'al più un po' troppo filoamericani.
Una di noi che scrive, ha vissuto
qualche anno accanto a una vicina
di casa Testimone di Geova, un'operaia turnista di fabbrica, ha sostenuto con lei lunghe e vivaci discussioni,
ha trovato forse molta ostinazione, indubbiamente del fanatismo e della
errata anche se assidua lettura della
Bibbia, ma terrorismo no, anzi, se mai
una cortesia e una ospitalità che non
è sempre appannaggio dei cristiani.
Questi Testimoni di Geova sono
quasi sempre di modestissime condizioni sociali e bisogna pensare che
svolgono la loro propaganda quasi
esclusivamente dopo M lavoro o nei
giorni di festa, affrontando con invidiabile coraggio molti usci che si
sbattono loro in faccia, spesso ingiurie e difficoltà, d'origine cattolica e
no, d'ogni genere, mossi unicamente
da un senso di fede che talvolta non
può non suscitare meraviglia e spingere a un segreto esame di coscienza proprio noi che ci diciamo, come
protestanti, gli araldi della fede,
È inoltre noto che dal fascismo i
Testimoni di Geova ebbero notevoli
noie, che predicano la non-violenza e,
rifiutando il servizio militare, hanno
anche affrontato e subito il carcere
e altre noie connesse.
Come accostarli nientemeno che ai
brigatisti rossi? Per amore di verità,
e scusaci la franchezza, il paragone
non ci è parso né felice né giusto.
Nell'allegrezza della fede riconoscente
(segue da pag. 1 )
zione spirituale, per arrivare infine a farne uno stramento di
potere, come è ben noto in questi tempi.
Però non dobbiamo guardare
per questo soltanto al grande rilancio cattolico, o alla DC e a
Cl. Guardiamo pure con occhio
critico, questa volta, a noi stessi, alle nostre abitudini, ai luoghi comuni del nostro modo di
leggere e di vivere VEvangelo e
al sempre ricorrente tentativo di
tradurlo nelle piccole sicurezze
personali, in quel sottile compiacimento interiore, schivo da compromissioni col mondo. Vien meno allora quella ricerca di giustizia e di fedeltà al nuovo mondo del Regno e quasi senza che
ce ne accorgiamo riusciamo davvero a neutralizzare lo Spirito
della verità.
Eppure ecco di nuovo davanti
a noi la promessa del Signore e
l’invito a non essere scandalizzati: ve l'ho detto,.. Perché la tentazione di essere scandalizzati è
forte: la tentazione cioè di restare bloccati e sfiduciati di fronte
a quella neutralizzazione del messaggio che porta a separazioni,
a ripulse, e di cui si cerca di dar
la colpa a questo o a quello; perché crederanno di offrir servigio
a Dio esaltandolo sugli altari per
non averlo tra i piedi negli affari, chiudendolo nell'intimo della
coscienza, per non essere costret
ti a vivere con lui in mezzo all’odio del mondo.
Non bisogna essere scandalizzati: cioè distolti dalla certezza
della presenza dello Spirito della verità, del difensore e del testimone di Cristo proprio nel
mezzo di queste comunità di cui
facciamo parte, così deboli e inadeguate, ma cui pure è stata fatta la promessa della presenza e
del dono dello Spirito della verità. In queste comunità occorre continuare a vivere e ad operare, coscienti della realtà, ma
anche riconoscenti per i doni che
ci sotto stati fatti.
Tutto bene dunque? Ci consoliamo volentieri? Se noi siamo
niente e umilmente lo riconosciamo lo Spirito della verità è tuttoi Torneremo dunque a far programmi e progetti, lasciando poi
in realtà le cose così come stanno? Ecco, tutto bene no, ma
neanche tutto male! E con quel
senso del limite è della responsabilità che la promessa di Cristo ci pone dinanzi, possiamo
forse tentare due conclusioni su
cui riflettere ancora.
La prima è questa: a questa
presenza dello Spirito della verità, il difensore contro l’odio
del mondo, bisogna crederci sul
serio. Sta bene anche essere autocritici, ma al disopra di questo
occorre ricordare e riscoprire
questa dimensione della fede nella presenza dello Spirito di verità. Altrimenti andiamo pure a
cercar altrove, perché ci sono or
ganizzazioni migliori della nostra per garantire l’evasione, il
benessere spirituale e il quieto
vivere soddisfatto. Crediamo
dunque sul serio alla promessa
di Gesù — questo è un appello
alla fede — e saremo meno lamentosi e più sereni, meno scandalizzati e più costruttivi.
La seconda considerazione:
questa implica l’ascolto e la disponibilità. Lo Spirito di Cristo
renderà evidente la sua verità e
la nuova giustizia, la vocazione e
l’impegno, la via da percorrere e
le decisioni da prendere, renderà
chiaro quel che i giovani chiamano l’uomo nuovo nel mondo
di oggi. Ma come? cosa vuol dire
ascolto e disponibilità? Vorrei
proporre un elemento almeno alla vostra riflessione, ed è che
questo ascolto e questa disponibilità, ascolto della testimonianza dello Spirito intorno al Cristo, e disponibilità per essergli
testimoni, li ritroveremo soltanto nell’allegrezza della fede. Perché questa è la sola conclusione
possibile nel nostro tempo di incertezze e di violenze, nella nostra debolezza di comunità forse stanche e sfiduciate: la promessa di colui che ha detto: non
siate scandalizzati, ve l’ho detto...
io vi manderò lo Spirito della verità
Veramente, non abbiamo bisogno d’altro per continuare il nostro cammino, nell’allegrezza
della fede riconoscente.
Neri Giampiccoli
proprio in nome di quelle minoranze
oppresse che tu difendi e a cui anche
noi apparteniamo.
Perdona la rettifica e gradisci i nostri saluti di confratelli in Cristo.
Vera Buggeri, Gigi Ranzani,
Nadia Jammarone
Parlando di « terrorismo religioso »
mi riferivo al fatto che i Testimoni
di Geova, come altri movimenti religiosi, usano tra Taltro il fascino della
paura della fine cosmica ed individuale per piazzare la propria risposta
garantista. A me non sembra che una
leva di questo genere sia accettabile,
anche se riconosco che il parallelo con
il terrorismo delle BR può risultare
inadeguato perché riconduce piani
molto diversi ad un solo elemento comune: la promozione del blocco totale
di ogni impegno politico (f.g.).
CHIESE SEMIVUOTE
UTILI SOLO
A CHI LE FREQUENTA
Caro Direttore,
Mi riferisco all'articolo di G. Platone
■■ Contro le divisioni » (La Luce dell’8
giugno). Se il Sig. Platone dice, tra
l'altro, che « la paura... di diventare
integristi... ci ha relegati in chiese
semivuote utili solo a chi le frequenta »: direi invece che è vero il
contrario, e cioè che le chiese sono
semivuote proprio perché non se la
sentono in molti di improntare la vita
al ■■ rispetto e all'amore per ogni creatura » di cui parla rarticolista.
Che poi le chiese siano utili solo
a chi le frequenta, mi sembra evidente: chi ci va le trova utili, e chi non
ci va no. Ma il punto è che ciascuno
di noi è mattone e tempio, e l'ecclesia
è l'unione coi fratelli: solo su quest'ottica è possibile la « pratica coerente »
auspicata dal Platone.
Fraternamente,
Stefano Sodano, Torino
DIVISIONE E
RICONCILIAZIONE
Non è certo senza difficoltà che
mi accingo a scrivere, ma lo spunto
mi viene dato da un articolo-predica
apparso sull'« Eco » dell'S u.s. n. 23 e
non entrerei affatto in merito all'argomento (« Contro le divisioni » di G.
Platone) se non fosse perché mi sovviene una mia poesia scritta nel '72
(dopo che molta storia era stata scritta
e prima che molti eventi succedessero; e politici e sociali. Religiosi no).
Ma non ho intenzione di argomentare, per lettera sarebbe solo meschina
polemica; ho soio una poesia, eccola
di seguito.
L'orgoglio ha riuniti gli uomini
in un sogno di vittoria;
e la fame
mentre lo lacera ad un fianco
fa più bestiale l'altro
grasso e ingordo.
Cosa vi è più che lottare?
Bisogna dividere più che unire;
spezzare
rompere quello che lega
me misero
che lotto
a te
istrione ipocrita che reprimi.
Non si può vivere in pace
quasi non si deve,
nelle condizioni dettate
a te
lo scanno più alto
ed a me la topaia infettai...
Non si vive così in pace...
La tua bocca non proferisce lamenti
ma i miei, soffocati
nessuno li ode.
E allora noi. deboli, strapperemo
questo vincolo
certi almeno di morire
gridando!
Non ho altro da aggiungere che i
miei rispettosi saluti.
Vincenzo Moiani, Torre Pellice
Risposta: mi pare che lei si sia fermato solo al titolo di quella predicazione. Nel testo non nego la realtà
della lotta di classe ma cerco di additare la croce di Cristo come segno di
riconciliazione in un mondo diviso
proponendo alla chiesa urietica del
dialogo nel quadro di una maggior
comprensione fra le parti. Questo
esclude l’impegno per costruire una
maggiore giustizia sociale? Non direi.
Anzi. Infine, la poetica affermazione
c bisogna dividere più che unire » non
le sembra fare il gioco del « divide et
impera » degli imperialismi di tutti i
tempi? (g.p.).
3
22 giugno 1979
UNA CORRISPONDENZA DI LAURA NISBET
COSA DICONO DI NOI I GIORNALI
Prime impressioni dai Lesotho
Codice
codice
%■
Cari Amici, Khotso! (Pace).
Questo è il saluto dei Basotho
che vi mando da questo pittoresco paese di cui sono ospite ormai da alcuni mesi, paese di alte montagne ed ampie vallate
quasi totalmente brulle ad eccezione di varie piante di aloe delle cui foglie i Basotho si servono per preparare una pasta spessa che serve loro da cemento
per le costruzioni. Morija, dove
mi trovo, è la prima stazione
missionaria, un sito pittoresco a
1700 metri d’altitudine, ai piedi
di una montagna rocciosa, un
vero libro di storia con le sue
grotte, antiche dimore dei cannibali e dei Boscimani, le impronte del dinosauro...
Fu il re della montagna, Moshesh, ad offrire questa zona ai
missionari del secolo scorso. Inquieto com’era per Favvenire de!
suo popolo minacciato di distruzione, fece appello ai missionari, anzi spedì addirittura un
branco di 200 buoi per ottenere
in cambio almeno un missionario. Furono tre francesi; Casalis, Arbousset e Gosselin a fondare la missione a Morija nel
1833. Qui, tutto parla ancora di
loro: il cimitero con le tombe
della moglie di Casalis, Sarah
Dyke, di due giovani figli di Arbousset, i numerosi alberi, pini,
eucalipti, salici, la grande varietà di alberi fruttiferi tutti da loro piantati, i numerosi cavalli divenuti comune mezzo di trasporto, la chiesa imponente rivestita
di legno ed il grande desiderio
dei Basotho di imparare il francese, la lingua di coloro che per
primi portarono le ricchezze dell’Evangelo.
In un certo senso Morija pare
essere rimasta indietro nel tempo con la sua importante agglomerazione di missionari bianchi.
Morija oggi
Qui si trovano gli uffici del pastore Sibolla, Moderatore della
Chiesa Evangelica, del cassiere
e dell’ispettore scolastico, un’importante tipografìa, un ospedale
con una decina di dottori, due
scuole elementari ed un asilo,
due scuole medie e liceali, un
ufficio di polizia, il Maphuto, tradizionale scuola di circoncisione,
oggi centro d’incontro giovanile,
la posta e vari negozi, un museo
in stato di disfacimento, gli archivi ed un garage.
La scuola medio-liceale dove
risiedo si chiama Thabeng, fu la
prima scuola secondaria del paese, fondata nel 1868 su di una
collina a ridosso di una catena
di montagne rocciose. Lo scopo
era di formare degli evangelisti
e dare un’istruzione ai figli dei
capi tribù; si è però presto aperta ad altri giovani che scendevano dalle montagne per ricevervi
un’istruzione: gli avvoltoi! (così
si facevano chiamare). Qggigiorno vi sono iscritti circa 450 ragazzi e ragazze, alcuni rifugiati
provenienti dalla RepubWica
Sudafricana e Soweto.
Una parte degli edifìci non ha
resistito agli anni ed alle intemperie ed è crollata. Fu così che
al mio arrivo, per entrare nella
sala dei professori, dovetti scavalcare una montagna di macerie e paglia, parte del tetto distrutto dalle intemperie. Vicino
a vetusti edifìci in fase di disfacimento, si ergono le nuove costruzioni appena ultimate: alcune classi, un laboratorio di scienze ed un blocco di dormitori per
ragazze, tutto realizzato grazie a
fondi dati dagli Stati Uniti per
l’aiuto ai rifugiati.
Sia il direttore che il vice-direttore (quest'ultimo è un pastore) sono Basotho. I professori
(troppo pochi!), rappresentano
otto diverse nazionalità; il Lesotho, la Repubblica Sudafricana, l’India, le isole Filippine, la
Rhodesia, l’Inghilterra, la Francia e l’Italia.
L’insegnamento
del francese
Il pastore francese Chevalley,
pure lui inviato CEvAA, insegnante di francese a Thabeng,
mi ha molto gentilmente accolta
ed ospitata per le prime setti
mane, è lui che vengo a sostituire. Ho dunque iniziato l’insegnamento del francese, in condizioni veramente precarie. Dopo alcune settimane sono però
riuscita ad ottenere una saletta,
ex biblioteca dei professori poi
abbandonata, in uno stato di disordine indescrivibile, con parte
del soffitto quasi a terra. Qggi,
dopo innumerevoli sollecitazioni,
lavoro duro e tanta pazienza, la
« salle de français » è pronta. Abbiamo perfìn trovato una vecchia
lavagna e vari banchi che, a mio
grande stupore « bastano » perfino per le classi più numerose
(si siedono tre per banco). Sono
pure riuscita a ciclostilare un
bel po’ di materiale didattico,
ché qui gli alunni non han neppure un libro di testo e si servono di uno stesso quaderno per
tutte le materie!
L’originalità del « dipartimento di francese » dì Thabeng, è
che è aperto non solo agli alunni della scuola, ma anche ad altri gruppi di adulti interessati ad
imparare la lingua. Abbiamo per
esempio un gruppo di impiegati
della tipografia che si preparano
a partire per uno stage a Madagascar, questi seguono un corso
intensivo (un'ora al giorno); poi
una classe di studenti della Facoltà di Teologia. Il fatto che
futuri pastori del Lesotho sapranno parlare francese, faciliterà in modo notevole i rapporti
di questa piccola chiesa con le
altre chiese sorelle com’essa
membri della CEvAA (lo Zambia
ed il Lesotho sono infatti le due
uniche chiese di lingua inglese
della Comunità).
Altre attività
Oltre l'insegnamento, faccio
parte di un Comitato incaricato
di ristrutturare la disciplina della scuola, mi occupo del gruppo
di bambini di lingua inglese per
l’insegnamento biblico la domenica. Anche qui il materiale è
estremamente raro ed arcaico.
L’impressione generale di povertà si estende perfino alle piantagioni di mais, sorgo, asparagi,
terra arata a mano dalle donne
e dai bambini perché la maggior
parte della popolazione maschile lavora nelle miniere della Repubblica Sudafricana. Anche negli uffici, presenza a maggioranza femminile, a scuola son spesso le ragazze ad ottenere i migliori risultati. I ragazzi devono
occuparsi del bestiame e non
tutti hanno il privilegio di andare alle elementari. La maggior
parte degli alunni di Thabeng
andranno come tutti gli altri a
finire nella Repubblica per cercare lavoro. Che grossa responsabilità la nostra di formare
questi ragazzi perché poi possano affrontare la vita fuori casa
in un ambiente non solo estraneo ma con gravi problemi che
qui, nel loro paese, non esistono.
Pochi giorni or sono sono andata a Bloemfontein per comprarmi una scrivania, circa 200
Km. di brulle vallate e montagne deserte, ogni tanto una fattoria, poi, improvvisamente siamo arrivati ad un "Bantustand”:
solo alcuni picchetti che delimitano la frontiera, niente dogana,
niente controlli, una serie di capanne, grande impressione di
povertà.
Lungo il percorso, interessante la segnaletica: Betlemme,
Marseille, Monte Cristo.
Nella capitale
Domenica scorsa ho accompagnato un pastore missionario
svizzero che andava a predicare
nella diaspora di Maseru. La capitale si espande molto rapidamente ed esiste una sola chiesa
evangelica nel centro della città.
Lì, alla periferia siamo stati accolti nella veranda della casa di
un Capo Tribù, qui c’è sempre
una numerosa assemblea che
si siede fuori per terra nel cortile soleggiato. Ero incaricata di
fare delle fotografie che servissero come documentazione per
una parrocchia degli Stati Uniti
pronta a finanziare la costruzione di una nuova chiesa' nei sobborghi della capitale. Alla fine
materno o
paterno?
del culto, il Capo tribù, per dimostrarmi la sua riconoscenza,
mi ha dato un enorme barattolo
di pesche sciroppate confeziona
te da lui stesso! Non finisco di
stupirmi alla vista di tutti gli alberi fruttiferi che mi circondano: peri, meli, peschi ed albicocchi, fichi e pere cotogne e Viti; un paese povero sì, ma così
maestoso, dove la dignità umana non è calpestata come succede altrove.
Conflitto tra
pastori e laici
Nella Chiesa, a lungo i pastori
erano rispettati e la loro posizione considerata privilegiata.
Oggigiorno esiste un conflitto tra
pastori e laici, conflitto sfociato
nella « presa del potere » di questi ultimi, a quanto pare. Ecco
alcune prime impressioni del
mio nuovo ambiente. Conclùdendo, vorrei rinnovare tutti i miei
più sentiti ringraziamenti alla
Tavola 'Valdese, ai pastori ed alle parrocchie, alla Società Missionaria di Torre Pellice, a tutti
gli amici e conoscenti che han
dimostrato dell’interesse per il
mio lavoro, a tutti quanti infine
che anche ora, malgrado le distanze, partecipano e mi sostengono nella mia attività.
L’occasione di lavoro che cercavo, qui non manca. Chiedo a
Dio di servirsi di me e mostrarmi ogni giorno in che modo testimoniare nella difficile realtà
di Morija. Khotso!
Laura Nisbet
Si nota da parte cattolica un
sostanziale rilancio dei problemi
ecumenici.
Il S.A.E. del Triveneto inizia
la pubblicazione di un Notiziario di cui è uscito in aprile il
primo numero (informazioni sulle attività di Castelfranco, Galliera, Mestre, Rovereto, Udine, Venezia e Verona) nel quale adeguato risalto è dato alla qualificata partecipazione protestante.
Sulla rivista di C. L. Monica
Umiker riferisce su positive esperienze vissute a Regensburg
in Germania.
Sula Stampa e su Stampa Sera il card. Pellegrino informa
sui contatti avuti con la Facoltà
Protestante di teologia di Ginevra (tra l’altro è stato invitato
a tenere il sermone in un culto
evangelico).
World Parish riferisce sugli incontri fra il Consiglio Mondiale
Metodista e organismi cattolici
romani.
L’Avvenire parla di un incontro avvenuto a Roma tra superiori di ordini religiosi cattolici e rappresentanti di Comunità
inglesi anglicane e protestanti,
organizzazione curata e presieduta da p. Pedro Arrupe, generale dei gesuiti.
E Infine im lettore e un redattore di Popoli e Missioni discutono sulla possibilità di assumere la Confessione Augustana
come « piattaforma per un credo
comune di tutti i cristiani ».
Difficile, per noi, tirarne delle
conclusioni a breve termine; facile tuttavia, anzi doveroso, rendersi conto del fatto che dobbiamo essere attenti, ed aperti.
CHIESE E STATO - IL DIBATTITO SULLE OPERE
Cedere il passo
Vorrei esprimere brevemente
il mio punto di vista nel dibattito in corso sul. finanziamento
pubblico delle nostre opere, con
particolare riferimento a quelle
di Palermo, Pachino e Riesi.
Sono sempre stata convinta,
in linea di principio, che la nostra chiesa non deve avere né
privilegi, né tutele dallo stato.
Però ora, leggendo su questo
giornale che occorre rifiutare le
sovvenzioni « anche a costo di ridimensionare queste opere », mi
sono detta che, in parole povere,
questo vuol dire ributtare sulla
Protestantesimo
in televisione
25.6: NOTIZIARIO EVANGELICO
Cosa fanno, cosa pensano gli evangelici in Itaiia e nel mondo.
9.7; I GIOVANI EVANGELICI E IL RIFLUSSO
In un periodo di crisi, incertezze,
come affrontano i giovani evangelici i problemi del riflusso e deli'impegno.
26,7: JOHN WESLEY E IL METODISMO OGGI
Le origini del metodismo e la sua attualità oggi.
6.8; SPECIALE: SINODO
Servizio speciale sul primo sinodo
dopo il completamento del processo
di integrazione tra le chiese valdese
e metodista.
20.8; IL CANTO NELL'ESERCITO DELLA
SALVEZZA
Accanto ai tradizionali ottoni, l'Esercito della Salvezza esprime moderni
complessi musicali come il londinese « Joyfolk ■>. La trasmissione
presenta parte di un loro concerto
a Roma.
3.9; I TESTIMONI DI GEOVA
In Italia la gente confonde facilmente i testimoni di Geova con le chiese protestanti. È necessario ribadire
le sostanziali differenze, ed è quello
che si tenta di fare in questa trasmissione,
17.9: NOTIZIARIO EVANGELICO
Cosa fanno, cosa pensano gli evangelici in Italia e nel mondo.
Come è noto le trttsmissioni vanno
in onda alle ore 22.45 sulla II rete
TV.
Strada frotte di ragazzini che
erano stati tolti dai quartieri
più miserabili ed avevano trovato amore, cibo ed istruzione nelle istituzioni valdesi suddette.
Credo che nessuno sia tanto ingenuo da credere che una nostra eventuale decisione provocherebbe da parte delle amministrazioni locali, la creazione
delle strutture necessarie per
accogliere i ragazzi da noi rifiutati.
Allora oso dire che (sottolineo) in questi contesti, il rispetto dei nostri sani principi riformati deve cedere il passo al principio e alla pratica dell’amore
per i minimi, perché la coerenza non sfama e non possiamo
accettare che si realizzi sulla
pelle dei ragazzi più sfortunati.
Non ho mai dimenticato ciò che
osservai anni fa, nel tristemente
famoso Cortile Cascino, dove,
tra luride baracche, erravano
bambini macilenti in cerca di
qualcosa per sfamarsi e coprirsi
e che furono i primi... clienti
di quello che è ora il Centro diaconale di Palermo.
Non riesco a capire perché ciò
che è ritenuto giustamente valido, per esempio, per l’Uliveto
(totale rimborso pubblico delle
rette degli ospiti) oppure per
alcune Case di riposo per anziani
(contributo pubblico per casi
particolari e per integrazione
dei servizi, naturalmente aperti
a tutti) non lo debba più essere
per le istituzioni valdesi in Sicilia.
Specifico ancora che questo
discorso: 1) non esonera le nostre comunità da un costante
sostegno di intercessione e finanziario; 2) non vale, a mio giudizio, per altri tipi di scuole
alle Valli dove l’alternativa c’è
ed è positiva.
Infine un’ultima osservazione:
se veramente il prossimo Sinodo dovrà prendere una decisione anche su questo problema,
mi pare che le comunità avrebbero dovuto essere interpellate,
per non lasciare i delegati esprimere unicamente il loro parere
personale su una questione così
grave che coinvolge il futuro
di molte creature.
Evelina Pons
al problema ecumenico che potrebbe venire di grande attualità e urgenza in tempi relativamente brevi. Non solo certi atteggiamenti cattolici, ma certe
reazioni, specie del mondo protestante anglosassone, non sono
senza significato.
^ 4« *
Su questa linea ecumenica,
ma con maggiore profondità, si
colloca anche mons. Sartori, presidente della Associazione Teologica Italiana, in un interessante articolo pubblicato dal Giorno del 13 maggio. Riferendosi
al concetto psicanalista di « codice materno », inteso come ricerca nella Chiesa di un ambiente
protettivo e assistenziale, e a
quello di « codice paterno » per
il quale la Fede deve realizzarsi
in promozione delle capacità attive, il Sartori accetta, con molte riserve, la identificazione della
Chiesa Cattolica come sede di
applicazione religiosa del « codice materno » e della Fede protestante come luogo di sviluppo
del « codice paterno » e conclude
che per la Chiesa cattolica « la
posta in gioco è veramente decisiva » nella scelta che dovrà
fare tra il « rafforzare il suo ruolo materno, protettivo, che tende a mantenere bambino il credente » o darsi piuttosto da fare per « sviluppare invece il suo
ruolo paterno, che spinge a farsi adulti e liberi nella fede e
nell’amore ». Ed è chiaro che qui
continua a giocare la sua parte
la mariologia, con quanto ne consegue.
^ :i! He
È forse la campagna elettorale da poco finita che ha favorito il rilancio di notizie sulle
persecuzioni alla religione nei
paesi del « socialismo reale ». Ma
i fatti restano; così si può leggere nell’Avvenire e in Gente di
pentecostali rifugiati nell’ambasciata USA di Mosca (uno di essi si è ucciso); o del rifiuto al
prigioniero Aleksander Ginzburg
di conservare tra i suoi libri la
Bibbia; o su Famiglia Cristiana
delle persecuzioni sopportate
nella Cambogia di Poi Pot da
protestanti, cattolici e buddisti;
o sulla stessa rivista, in diversa
chiave sociopolitica, un racconto
sul come i discendenti degli
Olandesi riformati e degli Ugonotti interpretano in Sud Africa il loro razzismo, cui non manca una stravolta componente
fondamentalistica biblica.
Quanta strada dobbiamo ancora fare noi (e non gli altri) per
capire e far capire il messaggio
evangelico dell’amore!!
Hs * *
E questo vale anche per lo
Zimbabwe (ex Rhodesia) dove è
adesso al governo xma équipe
negro-bianca presieduta dal vescovo metodista nero Murozewa (tutta la stampa ne ha parlato). Confessiamo di non avere
elementi bastevoli per giudicare del valore politico di una soluzione che non pare incontrare
il favore né della maggioranza
dei negri rhodesiani né di molti
governi che africani non sono.
Ma ci, viene il sospetto che se
la Rhodesia non avesse nel mercato del rame (e di altri metalli) la posizione preminente che
aveva e dovrebbe tornare ad avere, molti di quei governi si
preoccuperebbero meno, o comunque in modo diverso, di
quanto succede in quello sventurato paese. (Chi si ricorda ancora di Lumumba??).
Niso De Mìchelis
Dalla Tanzania
alla Germania
Il quarantunenne Zephania
Mgeyekwa, pastore e sovrintendente della chiesa di Tanzania,
è stato insediato a Corburgo nel
suo nuovo lavoro presso la chiesa evangelica tedesca. Si pensa
che il suo impegno in Baviera
durerà alcuni anni. Egli si trova
in Germania fin dal 1978 con la
moglie e quattro dei suoi otto
figli. Egli è stato inviato in Europa per decisione del sinodo
della sua chiesa che gli ha affidato una «missione in Germania ».
4
22 giugno 1979
Una bella ’’antologia ragionata” del dibattito sulla tolleranza religiosa
Alle orìgini deiia iibertò
La rinascita dello spirito illuministico ci stimola a sostenere una causa che, ne siamo profondamente convinti, non è da noi, ma da Dio
\
'-¿sé' ‘
Il libro 1 che Massimo Firpo ci
ha dato pochi mesi or sono è una
« antologia ragionata », in cui egli
illustra con notevole acume e
splendida documentazione il dibattito sulla tolleranza religiosa,
che si è svolto in Europa a partire dalla Riforma fino alla fine
del ’600. Questo dibattito nasce
con la Riforma stessa, quando si
vede ben presto che la Germania
non diventa tutta luterana, né
può ridiventare tutta cattolica;
e che in Francia l’ondata calvinista non riesce a conquistare tutto il regno, ma non può neppure
esserne eliminata: nei grandi
Paesi la battaglia per e contro la
Riforma si chiude dunque con il
riconoscimento di un pluralismo
di fatto (1555: Pace di Augusta;
1598: Editto di 'Nantes). Ma la
questione del pluralismo di confessioni è appena stata imposta-'
ta, che subito si apre il problema del pluralismo all’interno
delle confessioni: sarà, per secoli, la croce e la forza delle chiese
protestanti. Il caso emblematico
è quello di Serveto; questo medico antitrinitario bruciato nella
Ginevra di Calvino, sarà oggetto
per decenni di discussioni appassionate. Anche chi non accetta il
razionalismo di Serveto si domanda: è lecito alla chiesa riformata essere inquisitoria e repressiva?
Ma sono soprattutto i credenti vicini alle posizioni razionalistiche che danno battaglia. Castellione afferma: « forzare una
coscienza è peggio che uccidere
un uomo », e propone una religiosità ricca di vita morale e povera di certezze. Ma Teodoro di
Beza, uso ad assumersi tutte le
sue responsabilità in faccia al
mondo, gli risponde: «bisogna
saggiare la coscienza alla luce
della Parola di Dio ». In queste
due frasi sta tutta la sostanza
del dibattito, non ancora concluso, tra calvinisti e razionalisti
cristiani.
Nel ’600 il dibattito si sposta
in Olanda. Qui affluiscono gli
antitrinitari schiacciati dalla
Controriforma; qui si delinea un
movimento di protesta contro
l’ortodossia calvinista: i « Rimostranti ». I magistrati della grande repubblica borghese simpatizzano apertamente per questi
ultimi; il popolo sosterrà invece i pastori calvinisti (e, più tardi, fermerà l’avanzata dei dragoni di Francia). In Olanda comincia ad affiorare l’idea che è lo
stato a dover garantire la tolleranza: esso sarebbe infatti esente dalle tentazioni repressive proprie delle chiese! (Grozio).
Ma è nell’Inghilterra della rivoluzione che la tolleranza fa un
serio passo avanti. Milton, poeta
puritano, afferma: «con la Riforma abbiamo ottenuto una grande
misura di verità, ma sbaglia chi
crede che noi dobbiamo fermarci e piantare le tende qui »;
« la luce che riuscimmo a ottenere ci fu data, non perché noi
stessimo sempre fissi a mirarla,
ma perché ce ne servissimo per
scoprire cose nuove ». E di cose
nuove, nella rivoluzione inglese,
ce ne sono state molte: il drastico ridimensionamento della chiesa di stato, la libertà assicurata
a tutte le comunità dissidenti, la
tolleranza di fatto anche per i
gruppi emarginati: conquiste sostanzialmente irreversibili, e destinate ad ampia diffusione. Il libro termina illustrando tre grandi figure di intellettuali che hanno caratterizzato l’Europa nel
periodo inquieto dello strapotere di Luigi XIV e della Restaurazione inglese: Spinoza, Bayle,
Locke. Filosofo panteista il primo, protestante irrequieto e razionale il secondo, grande liberalprotestante il terzo: a questi tre
pensatori vanno manifestamente le simpatie dell’Autore che vede
in loro gli anticipatori e in parte
i creatori di quello spirito razionale del ’700, che avrebbe « risolto » i problemi della tolleranza, in una visione umanistica
della verità (anzi, delle verità);
garantita dalla autorità « imparziale » dello stato.
Dunque, mentre « la tolleranza è una conquista dell’Europa
riformata» (pag. 16), per l’Au
tore tale conquista si realizza solo quando la crisi delle chiese
consente « al pensiero illuministico di prospettare le sue radicali istanze riformatrici ».
Ci sia consentito esprimere
qualche riserva nei confronti della tesi che soggiace a questo libro.
Anzitutto: il libro sarebbe stato più completo se avesse illustrato anche il significato della
grande pagina scritta dai Quaccheri e in particolare da 'William
Penn, ' col « santo esperimento »
della Pennsylvania e delle colonie vicine. Qualche accenno c’è,
ma è nettamente insufficiente in
confronto all’importanza dei fatti. In secondo luogo, questo libro, pervaso di spirito illuministico, si dimostra involontariamente tributario d’un apprezzamento cattolico della Riforma e
del mondo protestante: la Riforma è vista come « grande frattura dell’unità religiosa europea »
(e gli Ortodossi, dove li mettiamo?), come « profonda lacerazione del tessuto unitario » della
cultura Europea (pag. 12), come
« drammatica cesura » (pag. 13).
L’A. aggiunge: « infranta l’unità
organica del cattolicesimo medioevalè, il protestantesimo si
sarebbe presto rivelato sostanzialmente disarmato di fronte a
un processo di disgregazione confessionale e settaria, innescato
dal suo stesso individualismo
religioso » (pag. 15). Ma è sicuro che si tratti di disgregazione
e non di creatività? Di individualismo e non di scoperta della li
bertà? Si ha l’impressione che
in Italia anche un laico tenda a
vedere la Riforma più come secessione che come innovazione,
più come scisma che come rivoluzione religiosa e civile. Anche
la scelta degli aggettivi dà da
pensare: le polemiche tra protestanti sono aspre (pag. 23), mentre le persecuzioni contro gli
ugonotti sono semplicemente severe (pag. 25); i presbiteriani sono arcigni (pag. 189), e arcigno è
il teologo calvinista Jurieu (pag.
241); i presbiteriani scozzesi sono, naturalmente, rigidi (pag.
191), e i grandi Riformatori « non
furono secondi a nessuno in fatto di autoritarismo ecclesiastico »
(pag. 297). A me pare invece che
siano proprio stati secondi, e
talvolta anche terzi. Forse sbaglio: resta però Timpressione
che il movimento protestante sia
visto come qualcosa di estraneo,
valido più per ciò che ha negato
che per ciò che ha affermato: al
massimo una sorta di sanguinoso precursore di quell’età dei
Lumi, in cui, placate le controversie religiose, la Ragione potrà
finalmente dispiegarsi con la sua
chiarezza risolutrice.
L’Autore non nasconde il suo
apprezzamento per la civiltà illuministica, a cui guarda visibilmente come al « momento alto »
della storia occidentale. Ci sia
permesso di dire con tutta franchezza che non condividiamo
questo ottimismo: il ’700 vede
un certo prevalere della tolleranza religiosa ma vede anche lo
spostarsi delTintolleranza in al
Il tempo della intolle ranza: eretici al rogo.
tri campi (politici, ad esempio);
inoltre, stati molto tolleranti come la Prussia di Federico II
hanno messo in moto macchine
di potere destinate a incidere
pesantemente sulla storia del
mondo.
Ma questo non è tanto importante. Piuttosto, può essere utile
per noi, evangelici pertinacemente calvinisti, prendere atto che
lo spirito illuministico è in piena
rinascita, alla fine d’un secolo
non certo meno intollerante di
quello delle guerre di religione.
Ma questo spirito rinasce in un
momento di stanchezza e di scetticismo: che cosa potrà costrui
re, se è vero che non si costruisce nulla senza passione? Comunque, è con questo spirito che dovrà misurarsi la nostra predicazione nei prossimi anni: ringraziamo dunque Massimo Firpo
non solo per averci dato un bel
libro, ma per aver così ben difeso la sua causa, da stimolarci
a prendere l’iniziativa per sostenere la nostra che, ne siamo profondamente convinti, non è da
noi, ma da Dio.
Giorgio Bouchard
Massimo Firpo: Il problema della
tolleranza religiosa neWetà moderna. Dalla riforma protestante a
Locke. Loescher, Torino ’78, p. 302.
PER UNA PRESENZA EFFICACE NELLE RADIO E TELEVISIONI PRIVATE - 2
I principi delia comunicazione interpersonaie
I problemi della comunicazione sono, da molti decenni ormai, al centro dell’attenzione
generale e condizionano sempre
più qualunque rapporto interpersonale; intorno ad essi è nata
una vera e propria scienza e
sono state messe a punto raffinatissime tecniche, alle quali ricorrono con successo i persuasori (sia della politica che della
pubblicità). Tra gli evangelici
non manca tuttavia ancor oggi
chi guarda a tutto ciò con sufficienza e sospetto, quasi si trattasse di arti diaboliche. Anche
da un punto di vista teologico,
invece, sembra legittimo poter
affermare che se per attuare i
suoi disegni veramente Dio ha
deciso di servirsi degli uomini,
questi hanno allora il dovere di
appropriarsi di tutti gli strumenti che possono facilitare le
comunicazioni con i propri simili. Per inciso, non si capisce
perché le facoltà teologiche e
gli istituti biblici — che giustamente pretendono, da chi aspira
a diventare pastore o predicatore, una certa cultura di base e
il possesso di adeguate nozioni
di grammatica e di sintassi che
consenta loro di esprimersi correttamente in italiano — non
prendano in considerazione l’opportunità di inserire le tecniche
di comunicazione fra le materie
di insegnamento.
Per tutti (non solo chi intende
occuparsi di radio e TV, ma anche chi vuol predicare, tenere
conferenze, scrivere, condurre
programmaticamente rapporti
con altri) è consigliabile anzitutto la lettura di alcuni libri,
che si occupano in generale del
le problematiche inerenti alla
comunicazione. Per esempio.
L’arte di comunicare, di C. Majello (Ed. Franco Angeli) e Gli
effetti della comunicazione di
massa, di J. Klapper (Ed. Etas
Kompass).
Un nemico mortale:
l’interferenza
La struttura della comunicazione è basata su una serie di
elementi coordinati fra loro:
1) Fonte di trasmissione (chi
emette il messaggio);
2) Mezzo o veicolo (lettera, telefono, circolare, stampa, audiovisivi);
3) Canale, cioè la strada attraverso cui corre ii messaggio
(servizio postale, filo elettrico, servizio affissioni, distributore di giornali, etere);
4) Messaggio, cioè l’oggetto della
comunicazione;
5) Strumento di ricezione, cioè
il mezzo col quale si raccoglie il messaggio (p. es. apparecchio radio ricevente, televisore ) ;
6) Destinatario.
Su ogni stadio della struttura
comunicativa incombe costante
la minaccia della interferenza,
in grado di menomare o addirittura annullare la comunicazione. Può essere di tipo tecnico (guasti all’apparecchiatura,
disturbi di fondo, scioperi, ecc.),
su cui noi abbiamo ben poche
possibilità di intervenire; può
essere di tipo soggettivo, personale, e su ciò noi possiamo fare
moltissimo.
erperenze
STRUMENTO
DI RICEZIONE
(destinatario)
La peggior interferenza è quella del linguaggio usato dall’emittente: se esso non è veramente
comprensibile al destinatario, la
comunicazione rischia — in tutto o in parte — di essere fraintesa o non capita affatto.
Un recente libro di G. Berruto,
L’italiano impopolare (Ed. Liguori) riporta i risultati di un
ampio sondaggio compiuto a
Bergamo (città a condizioni socio-economiche-culturali relativamente elevate), per accertare
quanto capisce il cittadino medio dell’italiano usato daila TV,
dai quotidiani, dalle istruzioni
dei prodotti farmaceutici o delle lavatrici, dalle riviste femminili, dai manifesti politici. I risultati sono allucinanti. Basti il
caso di una parola d’uso corrente come « reazionario », delia
quale il 42 per cento degli intervistati non conosce il significato, o che addirittura ritiene sinonimo di « rivoluzionario »!
Saper comunicare significa trasmettere, sapersi esprimere, cioè
farsi capire (non solo dal professore universitario, dal teologo, ma anche dal ragazzo, dalla
lavandaia, dall’analfabeta), suscitando interesse in chi riceve
il nostro messaggio.
Un’altra comunissima causa di
interferenza soggettiva è quella
che si ha a livello del destinatario: questi, anche se ciò che
diciamo è comprensibile e interessante, è disposto a concederci la sua attenzione per un
periodo assai limitato di tempo:
da 15 a 30 minuti al massimo.
Dopodiché spegnerà la radio,
cambierà canale o, se impossibilitato a muoversi (conferenza,
sermone), penserà agli affari
suoi o schiaccerà un pisolino!
Differenze
tra i vari mezzi
La stampa è l’unico mezzo che
consenta al lettore la riesposizione e permette di sviluppare
un argomento nella misura desiderata. Essa è più idonea per
ottenere la ritenzione di fatti
complessi; è destinata quindi a
un auditorio relativamente spe
cializzato, favorisce la partecipazione attiva e creativa del lettore, permettendogli una autonomia interpretativa. Il pubblico
della stampa è preselezionato, in
quanto acquista o quantomeno
legge la pubblicazione chi è già
potenzialmente interessato.
I mezzi radio-televisivi possono contare su un pubblico estremamente vario e indifferenziato;
questo comporta una grande disparità di livello culturale e pertanto la necessità di adeguarsi
sempre a quello più basso. Inoltre manca la continuità di contatto che si può trovare, ad esempio, tra i lettori di un quotidiano; al contrario il pubblico
radio-televisivo, soprattutto oggi
che le emittenti si sono moltiplicate a dismisura, tende a una
sensibile rotazione. Radio e TV
producono una ritenzione maggiore rispetto alla stampa di
materiale semplice, soprattutto
nelle persone meno dotate di
cultura o di intelligenza; d’altra
parte il loro pubblico (soprattutto quello della radio) è soggetto a continue distrazioni e
interferenze (telefonate, rumori, discorsi tra familiari, proseguimento di attività come lavori domestici o d’altro genere): è
quindi assolutamente impossibile contare su una attenzione
concentrata, se non per rari
momenti.
Tra i vari problemi connessi
con la comunicazione, che hanno
particolare rilevanza per il nostro discorso, vi è quello se è
preferibile la presentazione unilaterale oppure bilaterale di un
fatto 0 di un’idea (la prima
presenta un solo punto di vista,
il nostro; l’altra ne presenta
due o più). La presentazione bilaterale è di solito preferita dagli intellettuali, mentre genera
gran confusione nella media degli ascoltatori, presso i quali i
diversi punti di vista tendono a
neutralizzarsi a vicenda. La presentazione unilaterale appare
quindi più efficace, in quanto
diffonde idee semplici e lineari,
dotate di una propria tensione
interna, facilmente memorizzabili.
(continua)
Aurelio Penna
5
22 giugno 1979
UN DOCUMENTO DI LAVORO PER LA RIFLESSIONE DELLE CHIESE SULLA LORO IDENTITÀ’
Essere protestanti
oggi in Italia:
perchè e come
Ci sentiamo chiamati ad essere protestanti, oggi come
ieri, ma gli sbocchi concreti sembrano oggi meno evidenti
Durante lo scorso inverno Paolo Ricca ha riproposto all’attenzione della Chiesa il tema dell'identità del protestantesimo italiano con una lettera al
Moderatore. Ne sono seguiti tre convegni pastorali,
a Palermo, a Ecumene e a Milano, che hanno cominciato ad affrontare questo tema sulla base di
un documento di lavoro preparato dal prof. Ricca.
Non sono mancate critiche per il quadro improprio
in cui la discussione è stata collocata, ma ciò non
toglie nulla airimportanza del tema e alla validità
della riflessione che l’ha introdotta. Poiché tuttavia
il documento di lavoro è stato distribuito ad un numero limitato di persone, abbiamo ritenuto utile
metterlo a disposizione di una cerchia più ampia.
La redazione ne ha curato una versione ridotta che
pensiamo tenga conto di tutti i temi affrontati.
Disorientamento
Si ha l’impressione che esista oggi nelle nostre chiese un certo disorientamento riguardo al senso della loro presenza,
ai contenuti della loro testimonianza e
alle forme della loro missione. Anche se
in esse apparentemente tutto continua
più o meno come prima o come sempre,
c’è chi pensa che ci troviamo a una svolta — solo che non si vede bene dove essa ci possa o debba portare.
Non siamo protestanti per caso e il
fatto di esserlo non ci mette a disagio.
Non subiamo il fascino del cattolicesimo
romano né intendiamo arrenderci alla
sottile seduzione del secolarismo. Non
siamo dunque disorientati perché siamo
protestanti. Vorremmo però capire meglio in vista di che cosa lo siamo. Ci sentiamo chiamati a essere protestanti, oggi non meno di ieri, ma gli sbocchi concreti del protestantesimo in Italia sembrano oggi meno evidenti di un tempo.
A questo relativo disorientamento fanno riscontro due fatti che si condizionano a vicenda e che non possono essere
ignorati: il primo è la quasi totale scomparsa (almeno nelle chiese metodiste e
valdesi) della « evangelizzazione » di tipo
tradizionale e la sua sostituzione con forme di testimonianza certamente significative e valide ma che non sembrano
tradursi in nuove adesioni alle nostre
comunità; il secondo fatto (documentato
da Giorgio Girardet su « Gioventù Evangelica » n. 52-53) è un calo netto del 9
per cento del numero dei membri comunicanti delle chiese valdesi nel decennio
1967-1977 (1,4% alle Valli valdesi e 17
per cento fuori delle Valli). Questo fenomeno di contrazione numerica si riscontra anche, e più o meno nelle stesse proporzioni, nelle altre chiese protestanti
storiche.
Le ragioni di questo disorientamento o
annebbiamento di prospettive sono di
vario ordine. C’è una ragione ecumenica
(come dev’essere oggi un rapporto evangelicamente corretto con il cattolicesimo romano?). C’è una ragione politica
(l’odierna destabilizzazione dei sistemi
ideologici e dei modelli politici facilita o
complica l’impegno politico dei cristiani?). C’è una ragione teologica (come evitare che il carattere problematico della
fede si risolva in una formulazione più
interrogativa che affermativa del Credo
cristiano e in un’etica «a pezzi»?). C’è
una ragione ecclesiale (perché le nostre
chiese non sono poli di attrazione per
nessuno, o quasi?).
Cattolicesimo
Per le nostre chiese è senza dubbio
urgente ridefinire i loro rapporti con il
cattolicesimo romano. Non che le nostre
chiese esistano in funzione del cattolicesimo ma, tanto più nell’era dell’ecumenismo, non possono prescinderne. Il Concilio Vaticano II ha detto quel che pensa di noi: siamo — come le altre chiese
della Riforma — delle « comunità ecclesiali », non delle vere e proprie chiese.
Per noi, che cos’è la chiesa cattolica? Una
chiesa? Una « comunità ecclesiale »? Un
organismo religioso fornito di « vestigia
ecclesiae », di tracce superstiti di come
era la chiesa antica? Oppure riteniamo
che non sia nostro compito pronunciarci
al riguardo? Sempre in questa linea ci
dobbiamo chiedere: riteniamo giusto oppure non giusto continuare a non avere
rapporti ufficiali (attualmente inesistenti a livello di organi rappresentativi)
con la chiesa cattolica italiana?
Il cattolicesimo italiano è estremamente diversificato e le nostre chiese possono, secondo il contesto in cui vivono, fare
esperienze molto diverse, addirittura opposte. In Italia abbiamo il Vaticano con
tutto il suo peso negativo in campo politico, economico, culturale e morale; abbiamo un episcopato complessivamente
conservatore; abbiamo una istituzione ecclesiastica saldamente ancorata alle sue
posizioni di privilegio e di potere; d’altra
parte ci sono gruppi, movimenti, comunità che sono « di base » ma anche interne all’istituzione, che lavorano seria
mente per una riqualificazione in senso
evangelico (almeno come orientamento)
del cattolicesimo romano. Certamente
il cattolicesimo è sempre meno monolitico pur continuando a essere sostanzialmente unitario. Che fare in questa situazione parzialmente nuova?
È noto a tutti che il protestantesimo
italiano si è molto nutrito di polemica
(e altrettanto si deve dire del cattolicesimo nei nostri confronti, almeno fino al
Vaticano II). Ma il protestante è solo
un non-cattolico? Evidentemente no.
Eppure non è tanto chiaro, nella sensibilità corrente nelle nostre chiese, fino a
che punto il protestantesimo nasca dalla
negazione del cattolicesimo e fino a che
punto invece la negazione del cattolicesimo nasca daH’affermazione protestante.
Comunque un supplemento di riflessione
sul ruolo della polemica nella nostra
realtà non solo di ieri ma di oggi, non
appare fuori luogo. C’è chi sostiene che
la polemica è inutile e addirittura controproducente: ottiene l’effetto contrario.
Sempre? L’Evangelo è solo « si » oppure
«sì» e «no»? Come formulare oggi i nostri « sì » e i nostri « no » nei confronti
del cattolicesimo romano? Oppure i nostri « no » li dobbiamo, per così dire, occultare nei « sì », cioè cercare di trasmetterli in forma positiva anziché negativa? Che l’ecumenismo sia oggi una reale
occasione di evangelizzazione, è indubbio. Ma oltre al rischio che Tecumenismo favorisca una ulteriore ghettizzazione ecclesiastica dell’Evangelo, c’è l’altro
rischio che Tecumenismo si risolva in
un accettarsi reciproco anziché in un accettare insieme l’Evangelo. Secondo Sergio Ribet dobbiamo « imparare a coniu-'
gare ecumenismo e polemica ». È questa
la linea che vogliamo seguire?
È forse giunto il momento di fare un
primo bilancio dei nostri rapporti con
il « cattolicesimo di base » e movimenti
affini, cercando di precisare che cosa ci
divide e che cosa ci unisce a loro. Alla
luce delle esperienze fatte, si potrebbe
tentare di rispondere almeno a questi due
interrogativi: a) Sarebbe pensabile, dopo
attenta riflessione, proporre al « cattolicesimo di base » una specie di patto di
fraternità con le chiese evangeliche? Come motivare e formulare questo eventuale patto? b) È giusto privilegiare il
« cattolicesimo di base » rispetto al cattolicesimo istituzionale nei nostri rapporti ecumenici?
Le chiese evangeliche costituiscono, di
fatto, in Italia, pur nella loro esiguità
numerica, una chiesa cristiana alternativa
alla chiesa cattolica. Siamo tutti convinti che così dev’essere? Oppure c’è chi
pensa che potremmo anche diventare, in
un prossimo futuro, non per necessità ma
per scelta deliberata, la cornponente radical-evangelica di un cattolicesimo pluralista? Se invece riteniamo di dover
essere una chiesa alternativa, e non soltanto un movimento di opinione protestante o un centro di cultura biblica ed
evangelica, perché ci preoccupiamo così
poco della consistenza anche numerica
delle nostre comunità?
Fede e politica
L’aspra discussione avvenuta nelle nostre chiese, specialmente dal ’68 in poi,
sui rapporti tra fede e politica ha indubbiamente creato in molti evangelici una
consapevolezza nuova sia del ruolo politico (attivo o passivo) della chiesa sia
della responsabilità politica dei cristiani.
Una parte della leadership laica e pastorale della chiesa si è spostata (un po’
o molto) « a sinistra », ed ha scoperto
che una parte almeno della « base » a sinistra c’era già. D’altra parte la nascita
di un movimento come la TEV rivela
resistenza di un dissenso irrisolto, che
può essere spiegato e valutato in molti
modi ma che comunque va preso in considerazione. È chiaro che la chiesa non
è un partito e che un certo pluralismo
politico al suo interno è non solo inevitabile ma va salvaguardato. Ma questa
constatazione, per quanto importante,
non è risolutiva.
È facile fare una politica conformista
(basta « non fare politica »), è diffìcile
fare una politica cristiana non-conformi
sta o di opposizione. Il rischio per una
chiesa che prenda sul serio la sua responsabilità politica di essere poco più che
rma brutta copia di questo o quel partito,
esiste. D’altra parte la necessità di un
impegno politico perseverante e anche
compromettente da parte della comunità
cristiana appare a molti fuori discussione. Ammesso che c’è una vera e una falsa politicizzazione della chiesa (così Gollwitzer), cì si può ancora chiedere quale
sìa la vera. Ci si può anche chiedere se
nella linea della politicizzazione siamo
già andati troppo avanti o non siamo
invece rimasti troppo indietro. Anche qui
occorre fare il punto della situazione,
esaminando criticamente il nostro passato remoto e recente, in vista delle responsabilità dell’ora presente. Occorrerebbe, tra l’altro, poter valutare serenamente l’esperienza di centri come Agape, Cinisello, Riesi, la « linea EGEI » e,
in generale, la coscienza o incoscienza
politica delle nostre chiese.
Non pochi evangelici italiani hanno lavorato e lavorano, politicamente, in vista
di una « società socialista » prossima
ventura. Una parte della gioventù e anche della chiesa adulta si è riconosciuta
nel detto: « ci dichiariamo marxisti e ci
confessiamo cristiani ». D’altro lato, le
divisioni e i conflitti recenti, anche armati, tra paesi che si richiamano al socialismo costituisce per molti un brusco
e amaro risveglio e una delusione storica
che non può lasciare indifferenti. È reale
il rischio di un ritorno al moderatismo o
ad atteggiamenti rinunciatari oppure alla fuga nel privato o — perché no? —
nell’ecclesiastico o, genericamente, nel
religioso. D’altra parte è inevitabile ehie^ ■
dersi se questa crisi che può vanificare
tante speranze vada imputata a errori
degli uomini o non riveli invece i limiti
delle ideologie. Comunque sia: qual è il
ruolo dei cristiani in questo frangente
storico? Dobbiamo pensare che il loro
impegno politico, benché irrinunciabile,
non sia così facile da realizzare come si
pensava alcuni anni or sono?
Crisi della teologìa
Il protestantesimo ha sempre demolito le sicurezze razionali, morali o istituzionali fornite dalla chiesa, sostituendole con la certezza della sola fede. Il
« principio protestante » è per eccellenza
un principio critico e iconoclasta, demolitore di idoli. Questo va bene finché la
fede è salda e Gesù Cristo è una realtà
viva e significativa per noi. Ma se la fede diventa incerta, più che inquieta (cfr.
Giacomo 1: 6) e se Cristo diventa un
semplice « punto di riferimento » o addirittura im enigma non decifrato, allora è inevitabile che dalla « teologia della
crisi » si passi alla crisi della teologia o
addirittura a una crisi senza teologia.
Il disorientamento presente potrebbe essere dovuto al fatto che la fede non ha
più un centro sicuro e concordemente
riconosciuto?
È forse velleitario, oggi, o addirittura fuori luogo ostinarsi a porre il problema del « centro dell’Evangelo » o, come si diceva un tempo, della « essenza
del cristianesimo ». Può darsi che nella
nostra epoca e per un tipo di fede come
il nostro di « protestanti storici », Dio
si sottragga talmente alla nostra esperienza che questo « centro » (che è Lui)
sfugga a ogni tentativo — anche bene
intenzionato — di elaborazione. Per cui
dovremmo accettare di fare una teologia
più negativa che positiva. Ma sappiamo
anche che questo può essere un alibi
per la nostra incredulità o una sottile
giustificazione del nostro rifiuto di ascoltare con semplicità e umiltà la Parola
di Dio. Comunque sia dovremmo, con
molta onestà intellettuale ma anche con
vivo senso di responsabilità, interrogarci su questa questione cruciale.
Un discorso analogo va fatto per l’etica cristiana. Non bisogna confondere la
crisi della morale borghese (nella quale
peraltro siamo anche stati edùcati) con
la crisi dell’etica cristiana. Ma appunto:
come districare Luna dall’altra? È im
fatto d’altra parte che un tempo ì protestanti si caratterizzavano per mi certo rigore morale (comunque lo si voglia
valutare). Questo « rigore protestante »
era legato a un’epoca o a una fede? Sappiamo (e ripetiamo) che l’Evangelo non
è una legge e neppure una « nuova legge ».
Ma Barth diceva che la legge è la forma
dell’Evangelo e l’Evangelo è il contenuto
della legge, cioè, tutto sommato, istituiva un rapporto abbastanza stretto tra
Evangelo e legge. Questo rapporto non si
è forse alquanto allentato? Si è parlato,
in passato, di un’etica di contestazione.
Ma la si è sviluppata? In ambito ecume^
nico s’è parlato di un « nuovo stile dì
vita ». Ma qual è? Come si dovrebbe articolare, oggi, in concreto, l’unica legge
cristianamente proponibile, cioè la « legge
della libertà» (Giac. 1: 25)? I nostri sinodi hanno occasionalmente fornito delle
indicazioni su questo o quel tema particolare. Ma manca un discorso organico,
manca, in fondo, una linea. Occorre passare dalla fase di un’etica « a pezzi » alla fase di un’etica «in ricostruzione».
Strutture
poco missionarie
Varrà la pena di interrogarsi sulle probabili ragioni strutturali del carattere
scarsamente o per nulla missionario delle nostre chiese. Mancano infatti in esse
quelli che si potrebbero chiamare «imnisteri di movimento » o di tipo propriamente « apostolico » — ministeri cioè non
sedentari e volti alla fondazione di nuove
'"Chiese'. ■ Praticamente tutti i ministeri
(stipendiati e non) operanti nelle nostre
chiese, sono in funzione della chiesa che
già esiste, non in funzione di nuove chiese da creare. Pur essendo una chiesa a
regime sinodale, pratichiamo, nell’organizzazione e utilizzazione dei ministeri, una
concezione più « episcopale » che « apostolica »; « episcopale » nel senso che la
struttura ministeriale ha il suo perno
operativo in un ministero « centrale »
(quello pastorale), sedentario e vincolato a una chiesa costituita. Ora è vero
che l’evangelizzazione deve tendere primariamente a diffondere dovunque e comunque la buona novella del Regno e
solo secondariamente a creare delle comunità evangeliche. Ma questo aspetto,
benché secondario, non può essere trascurato. A meno che non lo si voglia risolvere rinviando alla chiesa cattolica
romana quanti si aprono all’annuncio
evangelico. Per quanto poi concerne la
responsabilità della missione (o evangelizzazione che dir si voglia), sappiamo
bene che essa compete a tutti e a ciascun
membro di chiesa: è il famoso « sacerdozio universale dei credenti ». Ma nella
realtà questo « sacerdozio » funziona più
come antidoto alla clericalizzazione (senipre in agguato) della chiesa e dei ministeri che come movente missionario.
La frantumazione del protestantesimo,
anche di quello italiano (a dispetto della
sua esiguità numerica), è una triste realtà, cui neppure la Federazione ha potuto o saputo porre rimedio. Almeno tra
battisti e valdo-metodisti (che insieme
costituiscono il protestantesimo riformato o di tradizione riformata) occorrerebbe giungere al più presto a quella
che si potrebbe chiamare una « comunione operativa », di cui esistono già le
premesse fondamentali. Certo, ci sono
tra noi delle differenze che nessuno intende ignorare o sottovalutare. Ma che
queste differenze continuino a essere
motivo di divisione tra noi, è un capriccio e un lusso che non ci possiamo permettere.
Più complesso, come tutti sanno, è il
rapporto tra il «protestantesimo riformato » (battisti, metodisti e valdesi) e il
protestantesimo « carismatico » e/o « fondamentalista » (pentecostali, assemblee
dei fratelli, ecc.). Le difficoltà sono note
ma non dovrebbero paralizzare nessimo.
Una domanda almeno dobbiamo porcela:
tra le nostre chiese e questo settore
dell’evangelismo italiano (tra l’altro assai differenziato al suo interno), momenti di incontro, solidarietà e fraternità
sono proprio impossibili o semplicemente non sono neppure tentati? È possibile
che nel nostro paese la fraternità evangelica debba continuare a « morire di
congregazionalismo » esasperato e di denominazionalismo?
6
22 giugno 1979
cronaca delle valli
ALLE VALLI OGGI
SI E’ TENUTA A VILLAR RELUCE LA TERZA PASTORALE ITALO-FRANCESE
Abitudini Una lettura del cattolicesimo odierno
che si
Troppo severi gli italiani verso l’istituzione cattolica, troppo molli i francesi nei loro rapporti
ecumenici: questa la sintesi delle relazioni e del vivace dibattito
perdono
Quasi un secolo fa mio nonno,
pastore al Serre d’Angrogna, era
stato chiamato d’urgenza a Prarostino per sostituire un collega ad un funerale. Era inverno
e la neve era alta: per non sprofondarvi, il nonno chiese in prestito un mulo e, montatovi su, si
avviò, passando dalle Porte d’Angrogna e dalla Colletta, per una
carrareccia fra i boschi, sui 900
metri di altitudine. Giunto faticosamente alle prime case della
Ruata Cornera, fu visto da magna Marietta, sua zia, che scoppiando a ridere esclamò: « Te
me srriie Balaam sur son âne!
(mi sembri Balaam sull’asina).
L’episodio mi è tornato alla
mente qualche tempo fa leggendo i ricordi paralleli di una vecchia dell’alta Val Chisone ( ricattolicizzata a forza dopo la revoca
dell’editto di Nantes dagli eserciti di Luigi XTV); questa rievocava il tempo in cui le donne intonavano i colori degli scialli ai
paramenti sacri dell’anno liturgico e partecipavano a tutte le
novene e le processioni.
Somiglianze e differenze mi
paiono significative: una fede
ugualmente sentita, fino a permeare di sé i particolari della
vita quotidiana e a far parte della cultura spicciola, si rivela nella vecchia valdese attraverso la
familiarità con i testi biblici, nella vecchia di Val Pragelato come
partecipazione diretta ai riti della sua chiesa. Ma, in un caso
come nell’altro, si tratta di realtà ormai quasi scomparse, a cui
si guarda con nostalgia ajffettuosa, come per il dialetto che non
si sa più parlare, ma che si vorrebbe veder insegnato a scuola.
E di fronte al perdersi dell’abitudine al culto quotidiano in famiglia o alla preghiera di ringraziamento prima di mettersi a
mangiare, certe volte mi domando se nella nostra paura delle
abitudini, del meccanico ripetere parole che sembrano aver perso il loro significato, non rischiamo di dimenticare la presenza
di Dio nella nostra vita.
E mi domando anche se oggi
alcuni progressi nel dialogo ecumenico, in contrasto con la polemica spesso rovente del secolo
scorso, non dipendano, almeno
in parte, da questa scarsa incidenza della nostra fede nella vita quotidiana: a livello teorico
si può trovare piu facilmente
un’intesa su questioni che per
gli interlocutori non sono vitali;
.a livello pratico mi pare che oggi conti soprattutto il fare certe
cose insieme (e questo è un gran
bene), ma che forse sarebbe anche utile domandarci più spesso,
e chiarirlo anche ai nostri compagni di strada, che cosa ci spinge a farle, chi dà il suo significato più vero al nostro agire, da
chi ci aspettiamo ispirazione ed
aiuto nella nostra debolezza.
Marcella Gay
Una lettura del cattolicesimo
contemporaneo, soprattutto il
nuovo impulso che sta acquistando dall’inizio del pontificato di papa Wojtyla, è stato il tema attorno al quale si sono ritrovati per
alcuni giorni i pastori riformati
francesi delle zone Centre, Alpes,
Rhône (grossomodo da Grenoble al lionese) ed i colleghi italiani delle valli. E’ stato il terzo
incontro avuto in questi ultimi 6
anni, ed il secondo in Italia.
Lettura del cattolicesimo odierno
a partire da due diversi punti di
osservazione, da paesi che hanno
una loro cultura ben marcata e
distinta, soprattutto paesi in cui
il ruolo della tradizione cattolica è profondamente diverso. Diversità all’interno stesso della
propria identità protestante di
conseguenza, che situa il proprio
rapporto con il cattolicesimo nazionale secondo linee di approccio e di lavoro non sempre facilmente comprensibili dall’una e
dall altra parte: troppo severi gli
italiani verso l'istituzione cattolica, troppo molli i francesi nei
loro rapporti ecumenici, questa
potrebbe essere in sintesi la fotografia emersa dalle relazioni
avute e dal dibattito sempre vivace, appassionato e non privo
di verve polemica che nell’insieme non hanno mai concesso noia
o distrazione.
« Tu sei Pietro »
Un ottimo studio introduttivo
di Bruno Rostagno su Matteo 16
(«tu sei Pietro...») ha aperto, dopo un culto iniziale, la riflessione in comune; una sintesi organica dei problemi esegetici ed
ecumenici che questo testo « unico » pone all’attenzione di ogni
generazione di credenti. E qui si
può subito evidenziare un fatto
che dà l’idea del diverso contesto ecumenico, forse della diversa ossatura dei due protestantesimi francese ed italiano: mentre da noi sono stati pubblicati
due interessanti volumetti sulla
questione del papato, nella loro
articolazione storica, esegetica,
dogmatica ed ecumenica, i protestanti francesi appaiono disarmati e quasi stupiti che da parte nostra si insista nel cercare
chiarezza su questo punto. O,
meglio, ribadiscono la necessità
che noi continuiamo questo « nostro » impegno ecumenico dal
quale loro però ritengono in
qualche misura di potersi risparmiare. Il cattolicesimo francese
non è quello italiano, Roma è
lontana, la cultura cattolica in
Francia non ha molto peso, il
secolo dei lumi con la rivoluzione francese ha introdotto nel
pensiero della Francia moderna
una mentalità, una formazione
culturale di stampo nettamente
laico che in Italia non si è mai
verificato (sta per arrivare ora
con qualche secolo di ritardo con
i gruppi radicali? Sarà Pannella
il nuovo Voltaire?). In altre parole il ruolo di « istituzione »
Incontro Scuole Domenicali
Incontro Scuole Domenicali
Circa 150 bambini delle Scuole domenicali di Ferrerò, Pomaretto, Briançon e Angrogna si
sono incontrati, per tutta la giornata di domenica 17 a Bou de
Col, a Frali. Il culto e i numerosi giochi, animati dai pastori
Coisson e Pivot di Briançon, si
sono svolti in una magnifica
conca soleggiata e riparata dal
vento. I bambini, divisi in gruppi, hanno scritto e rappresentato canzoni e racconti sulla figura di Davide: il personaggio biblico del programma di questo
anno. I ragazzi di Briançon erano accompagnati da un folto
gruppo di membri di chiesa a
cui il past. Rostagno ha illustrato le vicende della comxmità valdese di Frali. Al termine, la si
della chiesa cattolica in Francia
è trascurabile; in questo sta,
molto probabilmente il diverso
giudizio dei riformati francesi
rispetto alla nostra posizione che
intende invece sottolineare il
ruolo determinante che l’istituzione cattolica assume ad ogni
livello nell’Italia contemporanea.
Il papato
delle sicurezze
Un accordo sostanziale invece
nella valutazione della linea di
tendenza che il nuovo pontificato imprime al cattolicesimo europeo e mondiale, da Puebla alla
Redemptor hominis, a Varsavia
con tutte le implicazioni che questa tendenza di presentarsi come « sicurezza » e di dare sicurezza comporta innanzitutto a livello della politica italiana. Il papato delle sicurezze, se così ci si
può esprimere, non a caso punta
le sue carte sul discorso ecclesiologico ed antropologico, evidente non soltanto nella recente
enciclica, ma altrettanto, se non
con maggiore evidenza ancora,
nel discorso inaugurale del papa alla terza conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, dove « la volontà di dedicare le cure maggiori al settore
dell’ecclesiologia » significa un
pesante giudizio alle « riletture »
del Vangelo presenti in ogni parte del mondo, giudicate « risultato di speculazioni teoriche ben
più che di autentica meditazione ». Rilettura del Vangelo a cui
il papa contrappone la « religiosità o pietà popolare » sudamericana.
In quest'ottica non stupisce
nessuno la possibilità di una « represssione dolce » (souple), come è stata definita, evidentemente rivolta a quei settori del
cattolicesimo contemporaneo
(leggi cornimità di base ed altre
realtà cattoliche) che intendono
mantenere una loro libertà nell’interpretazione della Scrittura
e di conseguenza nel cercare nuove forme di ministeri. Ma è ancora lo stesso discorso inaugurale del papa sopra citato che precisa con estrema chiarezza che
« tale linea impone a tutti, nella
comunità ecclesiale, il dovere di
evitare magisteri paralleli, ecclesiasticamente inaccettabili e pastoralmente sterili »!
Non sembra comunque questo,
a dire dei nostri amici francesi,
riformati e cattolici, un grosso
pericolo per l’attuale momento
storico, francese, nel senso che
non esistono molte avanguardie
che possano sentirsi neH’occhio
del ciclone. E da noi è molto difficile prevedere cosa potrà accadere, soprattutto se le avanguardie sapranno resistere.
Una lettura troppo
dogmatica e politica
La presenza a questo incontro
pastorale di un sacerdote cattolico francese e di Mario Polastro
di S. Lazzaro (è un peccato che,
a parte don Mercol, gli altri invitati non abbiano partecipato al
convegno) è stata di grande utilità ed ha offerto numerosi spunti per chiarire le rispettive valutazioni del cattolicesimo. Secondo Mario Polastro la nostra lettura del cattolicesimo è stata sino ad oggi una lettura troppo
dogmatica e politica (non si tratta di un giudizio ma di una constatazione ha precisato), e quindi limitativa della complessità
del fenomeno cattolico italiano.
La comune volontà a procedere ed intensificare il dialogo ecumenico in Italia è emersa nettamente, ma è chiaro che questo
non può e non deve rimanere una
ricerca circoscritta ma coinvolgere le comunità cattoliche e
protestanti su temi concreti come ad esempio quello dei matrimoni misti emerso a più riprese
nella discussione. Ma sarebbe,
nota del tutto personale, cosa
importante se una volta il cattolicesimo diocesano riuscisse ad
organizzare un incontro per leggere criticamente il ruolo e le
tendenze del protestantesimo italiano contemporaneo.
Ermanno Genre
DIBATTITO SUL PARCO
Cacciatori nonvioienti
Ho letto sul numero del 1° di
giugno de L’Eco delle Valli la precisazione del sig. Marcello Botto che rappresenta il consiglio
direttivo della « Pro Natura » di
Torino. La cosa che più mi ha
interessato di questo suo scritto
è stato il paragrafo in cui afferma che i « cacciatori sono interessati a fare credere alle popolazioni locali le cose più assurde
per potere così continuare indisturbati nell’apera di depauperamento della fauna locale ». Sicuramente il sig. Botto non si è mai
peritato di venire in vai Germanasca. Se si peritasse di venire in
valle e parlasse non con i cacciatori ma con uno qualunque dei
valligiani di Perrero o di Prali o
di Salza o di Massello questi autentici montanari non avrebbero
a fare fatica a mostrargli nei numerosi riservini istituiti dai tanto da lui vituperati cacciatori,
numerosi branchi di camosci che
vi vivono indisturbati prolificando al riparo dai colpi di fucile
dei cacciatori i quali si sono anche autoregolati esercitando la
caccia per non più di un mese
all’anno (e non tutti i giorni) accontentandosi di abbattere il numero di animali previsto dalle
tabelle di tiro che i cacciatori
Villar Perosa: Centro formazione professionale
Nuovo inizio
quest’autunno
PRALI
gnora Niel, in seguito a sue personali ricerche storiche, ha donato per il Museo di Prali il ri.
sultato di una ricerca durata diversi anni: la fotocopia dell’atto
di nascita di Henri Arnaud. Canti e giochi hanno infine concluso questa giornata decisamente
ben organizzata e arricchente anche per i monitori e i genitori
presenti.
VILLASECCA
Ricordiamo a tutti che la riunione alla Rivoira Superiore, fino all’anno scorso fissata per
l’ultima domenica di luglio, è
stata definitivamente spostata
alla prima domenica di luglio.
Pertanto questa riunione avrà
luogo alle ore 15 del l” luglio.
Questa è la risposta alla domanda che ponevamo alcune
settimane fa (cfr. Eco-Luce del
1” giugno u. s.). Infatti la trattativa fra Regione e RIV-SKF è
andata a buon fine e la Scuola
di formazione nei rami meccanico, elettromeccanico ed elettronico continuerà a vivere, anzi,
inizierà una nuova vita.
Dal prossimo anno scolastico
essa iriaprirà i battenti, a titolo
di esperimento, con una prima
classe di 25 alunni, selezionati
coi criteri soliti, ed avrà durata
biennale. Al termine degli studi
sarà rilasciato un attestato di
qualifica che darà la possibilità
di essere assunti presso la stessa RIV-SKP, oppure presso la
Meccanica Villar Perosa (FIAT)
o, ancora, presso la Proinde,
azienda metalmeccanica di prossima installazione tra la strada
provinciale ed il Chisone nella
zona dei Tupin. Si sa già che
questa azienda, sempre del settore automobilistico, avrà un
fabbisogno iniziale di circa 80
dipendenti, metà dei quali circa
di sesso femminile.
La gestione della scuola sarà
affidata ad un Comitato in cui
saranno rappresentati gli Enti
pubblici ( Regione, Comunità
Montana, forse Comprensorio )
ed il Consorzio delle tre Aziende
che si sono impegnate ad assorbire almeno la maggior parte
della manodopera qualificata
dalla Scuola.
Evidentemente i tempi stringono, quindi tutti coloro che sono
interessati aH’iniziativa dovranno mettersi in contatto al più
presto con l’attuale Direzione
della Scuola, che è impegnata
nel disbrigo delle questioni amministrative relative alle iscrizioni.
La notizia dell’esistenza di un
Centro di formazione Professionale a Villar Perosa, con le prospettive di occupazione che gli
sono collegate, sarà certamente
accolta con piacere dalla popolazione delle Valli Chisone e Germa nasca.
c. t.
locali si sono « autoiraposti »
senza aspettare rimbeccata dei
signori della Pro Natura.
Se la razza dei camosci è stata
salvaguardata e protetta dopo
l’eccidio della caccia indiscriminata del tempo di guerra lo dobbiamo certamente alla autodisciplina dei cacciatori locali i quali
(faccio un altro esempio) saputo
che una coppia di marmotte aveva scelto cpme sua dimora i prati al di sopra della borgata Ribba (l’ultima prima del confine
francese) si sono subito premurati di chiudere alla caccia questa zona onde permettere a questi graziosi animali di vivere indisturbati.
Inoltre (e questo i signori della Pro Natura forse non lo sanno) sulle alture del monte Vergia vi sono alcune coppie di
stambecchi (sicuro proprio di
stambecchi!). Ebbene questi animali pregiati vi vivono indisturbati. Nessuno dei cacciatori della valle si è mai sognato di andarli a cacciare (in valle non esistono bracconieri) limitandosi a
sorvegliarli dal basso con i binocoli.
A Perrero in regione « Megge »
vi sono una decina di camosci.
L’altro giorno una femmina ha
fatto i piccoli (l’avvenimento è
stato notato dal cacciatore Lino
Chiadò il quale riferendomelo
aveva gli occhi che gli brillavano).
Fino a qualche anno fa (grazie
alla proibizione ai cacciatori di
ucciderli) la valle Germanasca
era invasa dai cinghiali. Questi
animali però erano dannosi alle
culture ed i nostri contadini hanno chiesto ai loro amici cacciatori di sfoltire l’ormai troppo
numerosa colonia di cinghiali.
La richiesta dei contadini (e questo sta a dimostrare la volontà
dei cacciatori a conservare il più
possibile la selvaggina che ha
scelto la valle come sua residenza) è stata vivamente avversata
dai cacciatori i quali hanno poi
ceduto solo dopo numerose e reiterate proteste dei contadini i
quali hanno dovuto inviare numerose petizioni all’amministrazione provinciale per fare valere
i loro sacrosanti diritti.
Inoltre (la notizia però non è
stata ancora confermata) pare
che i cacciatori (dato che gli organi preposti alla sorveglianza si
limitano a porre cartelli) abbiano intenzione di istituire un servizio di vigilanza per impedire ai
cittadini di sterminare le lumache. Questi saporiti animaletti
infatti (appunto perché saporiti)
rischiano di scomparire dalla
valle perché i cittadini li raccolgono a primavera impedendone
così la riproduzione.
Osvaldo Peyran
7
22 giugno 1979
CRONACA DELLE VALLI
__________IN MARGINE ALLA CONFERENZA DISTRETTUALE
Autointervista di un membro CiOV
ANGROGNA
La lettura della Relazione che
la Commissione d’Esame sull’operato della CIOV avrebbe presentato alla Conferenza del I Distretto, dopo avermi fatto scappare quella poca voglia di lavorare che ancora m’era rimasta,
mi ha convinto a non andare alla Conferenza per evitare interventi poco meditati a cui certamente mi sarei lasciato andare.
Forse, per i non addetti ai lavori, è difficile rilevare, in una
sommaria lettura, che cosa ci
sia di tanto indigesto nei bocconi della controrelazione, ma per
me la cosa è diversa.
Non intendo qui confutare
molte delle argomentazioni esposte. Forse alla Conferenza già è
stato fatto ; ma a titolo personale voglio toccare un paio di
punti :
1) Non ho mai pensato di
essere « contro » il personale dei
nostri Istituti. Avere, talvolta,
idee diverse, può capitare anche
a coloro che sono dalla stessa
parte.
2) La Commissione ritiene
veramente che la Ciov sia così
irresponsabile da voler « fare
economia nel posto sbagliato »
intestandosi a non voler assumere personale, qualora ne avesse la possibilità? E c’è qualcuno, oltre alla Commissione, che
la pensa così,?
I motivi per i quali, negli
Ospedali, il personale è insufficiente e quindi stanchissimo e
quindi logicamente scontento sono noti:
a) nel solo Piemonte mancano oltre 5.000 infermieri professionali negli Ospedali (figuriamoci negli altri Istituti per
anziani ecc.);
b) la pianta organica, negli
Ospedali, è bloccata per legge,
oltre ad essere già insufficiente;
c) le assenze per malattia,
gravidanze, congedi straordinari
a cui i dipendenti hanno diritto
per legge, riducono ancora ulteriormente il numero già ridottissimo di personale in servizio.
E questo la Commissione lo
sapeva benissimo, anche perché,
se ce ne fosse stato ancora bisogno, se l’è sentito ripetere dal
presidente pastore Davite. E allora perché non farne cenno? La
Commissione dice di aver voluluto mantenere le sue osservazioni anche dopo le spiegazioni
avute? E senza fornire chiarimenti?
Ma vedo ché me la sto prendendo nuovamente male e per
tentare di attenuare questo mio
stato d’animo cercherò di fare a
me stesso una specie di intervista, così come l’amico Platone
suole fare a terzi.
— Caro Guido, rilevo, in quanto dici, una certa insofferenza,
una punta di acredine. La volontà quasi di fare una controrelazione alla controrelazione, come
mai?
— Può darsi, ma dopo undici
anni di CIOV ho l’impressione
che le motivazioni che la CIOV
espone, anno dopo anno, per giustificare il proprio operato, trovano la stessa « incidenza » delle osservazioni delle Commissioni d’Esame.
— Ritieni che in questo tuo
atteggiamento abbiano un certo
peso gli undici anni di CIOV a
cui hai accennato?
— Può darsi, ma quel continuo battere e ribattere su « organismo dirigente » e «lavoratori », su « vertice » e « base » ecc.
ecc., quando in tutta la mia vita
RODORETTO
Il museo deiringegnosità
Meno conosciuto dei due principali musei della vai Germanasca (Frali e Balziglia), il piccolo
museo che si trova a Villa di Rodoretto può costituire tuttavia
un’attrattiva piena di significato
per chi ama ritrovare gli oggetti
che, fino a poco tempo fa, hanno
caratterizzato la vita nei nostri
villaggi.
Nella scuola chiusa ormai da
parecchi anni, ordinati e catalogati con pazienza dal maestro
Enzo Tron, hanno trovato posto
gli arnesi da lavoro e gli oggetti
di uso familiare della gente di
Rodoretto, testimonianza insieme dell’estrema povertà dell’ambiente da cui provengono (non
c’è un solo pezzo che si possa definire di valore), ma anche dell'ingegnosità e dell’abilità manuale di chi doveva fabbricare
con le proprie mani tutto ciò di
cui aveva bisogno.
Visitando il Museo, chi è nato
prima dell’era della plastica e de
SERVIZIO MEDICO
Comuni di ANGROGNA - TORRE
RELUCE - LUSERNA 5. GIOVANNI
- LUSERNETTA - RORA'
Dal 23 al 29 giugno
Dott. Michelin Salomon Ornella
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Torre Pellice
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VIGILI DEL FUOCO
Torre Pellice : Tel. 91.365 - 91.300
Luserna S. G. Tel. 90.884 -90.205
gli Oggetti costruiti in serie, ricorderà i giorni della sua infanzia, quando queste cose erano di
uso comune, ma anche i giovani
potranno rendersi conto del diverso valore che avevano per le
persone gli utensili lavorati nelle
lunghe sere d’inverno, conservati e riparati con estrema cura, a
volte eredità di famiglia come i
prati o le case.
Il ramo contorto che diventa
una rudimentale molletta per
biancheria, la seggiolina con un
piccolo recinto perché il bambino possa muoversi senza farsi
male, il rettangolo di ferro forgiato che serve da freno per la
slitta e tanti altri oggetti piccoli
e grandi meritano una visita e
un momento di riflessione su
questi aspetti di una civiltà contadina e montanara che negli ultimi anni è stata riscoperta e rivalutata.
L. V.
mi sono sempre sentito un semplice « lavoratore », non riesco a
sopportarlo.
Che vuoi, « anche i bancari
hanno un'anima » e forse anche
quelli che sono stati designati a
far parte della CIOV.
— Hai accennato alla « poca
voglia di lavorare che ti è rimasta », ai tuoi « undici anni di
Ciov » ecc. Ritieni che questa tua
reazione all’esposto dalla Commissione possa nascondere, anche inconsciamente, una specie
di giustificazione di fronte a te
stesso per mollare tutto, dando
la colpa anche a chi potrebbe
averne davvero pochina?
— Francamente non sono in
grado di vedere con sufficiente
chiarezza nel mio animo. Sono
stanco, irritato, malcontento perché indubbiamente ci sono tante cose che non vanno ed io stesso ne porto il peso al di là di
quanto la Commissione può enumerare. Non è che uno si aspetti applausi, ma quando si vede
aggiungere a tante cose che vanno storte per colpa nostra, anche quelle per cui non si è riusciti — senza colpa — ad ottenere risultati validi, allora vien
voglia di tirare le somme.
— Non ti sembra che la Commissione abbia svolto, per parte
sua, il proprio lavoro secondo la
propria coscienza, così come tu
ritieni di averlo fatto nel tuo
settore? Tacciando la Commissione di incomprensione per il
lavoro della Ciov non ti pare di
metterti nella stessa posizione
nei suoi confronti?
— La domanda è provocatoria e non rispondo più!
Conclusione: Come stupirsi se
oggi non si riesce più a dialogare pacatamente tra di noi, quando uno non riesce nemmeno più
a dialogare con se stesso?!
Guido Botturi
____________POMARETTO
Martedì 12 giugno si sono svolti i funerali di Serre Emilio di
Inverso Rinasca Borgata Fleccia.
Giovedì 14 giugno si sono
svolti i funerali di Breusa Renzo di Pomaretto, tragicamente
scomparso all’età di anni 27.
Alle famiglie colpite dal lutto
giunga tutta la simpatia cristiana della comunità.
____________PRAMOLIO
• Il culto di domenica 10 giugno è stato presieduto dal pastore Edoardo Micol; ci rallegriamo di averlo avuto ancora
una volta in mezzo a noi e lo
ringraziamo di cuore per il messaggio che ci ha portato.
• Sabato 2 giugno si sono uniti in matrimonio, nel municipio
di Pramollo, i giovani Angioletta Bleynat e Bruno Breusa, a
cui rivolgiamo i migliori auguri.
• Nel corso del culto di domenica 17 giugno è stato amministrato il battesimo a Etra, di Rina Soulier e Ivano Martinat.
Pastori col "Potere"?
Un lettore riprende l’argomento « Fede e patois ». Per esigenze di spazio possiamo riportare solo la parte centrale dell’intervento che parte da una citazione
dell’articolo di Giorgio Tourn: «Un patois per la fede?» in EcoLuce del 16.3.’79.
quella Italiana si serve del taglio delle lingue minoritarie e della colonizza
Clto testualmente: « I pastori ignorarono quel tentativo (traduzione da
parte di P. Bert dell'Evangelo di Luca
e Giovanni nella parlata della bassa
vai Pellice) per il loro distacco naturale dalle forme dialettali, ì fedeli non
se ne avvalsero per difficoltà di lettura». E più avanti: «Il patois non può insomma essere la lingua in cui si pensa e vive la fede perché la si pensa
e vive sin dall'Infanzia in un'altra lingua ».
Devo premettere: da anni seguo il
problema del triste declino delle parlate etniche nella nostra regione, declino che accomuna l'occitano al piemontese, aH’arpitano, al walser. Ebbene per esperienza ho constatato come ogni azione tesa a rivalutare, far
rivivere, conferire dignità a queste parlate, vere lingue degli umili, sia tenacemente avversata dagli uomini legati
al « Potere ». Del resto non è una novità che il « Potere », sia esso rappresentato da un imperialismo capitalista
0 pseudo popolare, o da una democrazia di marca mafioso-capitalista come
zlone interna per i suoi fini di dominio e di sfruttamento.
Al politico serve la massa elettorale
(tanto meglio se ottusa e indottrinata),
all'Industria la massa consumatrice
(che viaggia in auto, fa il bucato bianco, beve Coca-Cola e mastica gomma),
alla mafia la massa docile e obbediente, schiava della camarilla dei comparuzzi.
Purché massa. Guai a chi pretende
di ragionare e di difendere la propria
dignità di uomo, la propria individu.alità, la propria diversa cultura etnica,
guai a chi crede ancora nella propria
lingua ed in diversi rapporti sociali e
morali.
Se un tempo i pastori potevano
ostentare un loro naturale distacco
dalle forme dialettali, oggi ciò può
assumere un diverso significato, quello
di schierarsi dalla parte del « Potere » e non credo sia questa la linea
da seguire.
Sergio Herrtel
• Tutti presenti alla recente
seduta del Concistoro che, dopo
alcune questioni amministrative
(tra l’altro si è deciso di riprendere possesso della scuoletta del
Serre, attualmente locata, per
utilizzarla come sede della scuola domenicale), ha lungamente
discusso del problema della crisi del culto. Il campanello d’allarme è costituito dalle medie di
preferenza che si attestano su
10/12 persone a Pradeltorno, 7/8
al Serre e 20/25 al Capoluogo;
solo in occasioni speciali si registra un aumento di frequenza.
D’altro lato anche le piccole modifiche che si stanno apportando alla forma del culto, o gH
stessi culti tenuti dai giovani,
non sembrano risolvere, alla radice, il problema. S’intende così
affrontare, in autunno, magari
nel corso di un’agape, tutta la
questione per raccogliere nuovi
suggerimenti e proposte. La riflessione potrebbe partire dalla
struttura a gruppi (ideata nel
secolo scorso) della vita della
nostra comunità. È uno schema
superabile? I membri di chiesa
s’identificano di più nelle riunioni quartierali che nei culti domenicali? Interrogativi aperti.
TORRE PELLICE
È deceduta la sorella Emilia
Benech ved. Bertalot; ai familiari rinnoviamo la nostra simpatia cristiana.
Doni per l’Asilo
di Luserna S. Giovanni
Doni pervenuti nel mese di maggio
L. 241.545: Unione Femrninile della
Chiesa Italiana di Zurigo.
L. 200.000; Luigina - Rosetta.
L. 130.000: Circolo Biblico della
Chiesa Evang. Rif. di Poschiavo (Svizzera) .
L. 100.000; In mem. di Margherita
Beux Balmas, i figli e la sorella; Marcella Jalla Bertolet (Torino); Geymonat Marcella e Ada Bonnet, in mem. di
Susette Geymonat.
L. 60.000: In mem. del caro papà
Michelin Salomon Luigi, i figli Enrico,
Linette e Irene; Famiglie Peyrot-Macrì, in mem. di Margherita Beux Balmas (Torino).
L. 56.000; I vicini e gli amici, in
mem. di Lidia Cairus Malan.
L. 50.000: Elvira e Bruno Balmas, in
mem. di Beux Margherita Balmas (Torino); Rostain dr. Enrico, in mem.
delia zia Lina Peyrot (Bologna); Michelin Salomon G. Daniele, in mem. del
fratello Luigi; Omaggio floreale dei
condomini per la defunta sig.ra Bertero Maria (Torino).
L. 30.000; Odette Balmas Eynard, in
mem. di Margherita Beux^Balmas; Valente Graziella e Doris, in mem. della
mamma Elda Valente-Baridon.
L. 25.000: Juliette Balmas, in mem,
della cognata Margherita Beux-Balmas;
Lavizzari Guido (Milano).
L. 20.000: Rochon Maddalena, in
mem. del marito Bellion Giulio (Torre Pellice); Liliana e Dario Varese, in
mem. della zia e madrina Beux Margherita Balmas; Rostagno Vittorio (Milano); llda Meynier, in mem. di Elvina Grill (S. Germano Chisone) ; Ricca
Elide e famiglia, in mem. del marito e
padre Ricca Roberto; Elena Geymonat, in mem. della cugina Elda Eynard
(osp. Asilo).
L. 15.000; Sig.re Olivero, in mem.
di Margherita Beux Balmas (Torino).
L. 12.000: Michelin Salomon Lina,
in mem. del fratello Luigi.
L. 10.000; Fiora e Renò Pons, in
mem. di Margherita Beux Balmas; In
mem, di Rivoiro Mario, nel 6° anniv.
ia moglie e la figlia (Pinerolo); Elsa
Garibbo Bertalot (Imperia); Jon Scotta Mariuccia (Torino); limes, Renata e
Edoardo Carro, in mem. dei marito e
padre Carro Beniamino (Pinerolo);
Bouissa Poét Clementina, in mem. di
Susette Geymonat: Angiolina Archetti
Maestri, in mem. di Margherita Beux
Balmas (Acqui T.) ; Coniugi Capello
Besson, in mem. di Enrica Bellion;
Rostan Lisette (S. Germano Chisone);
In mem. del fratello Luigi, Maria Michelin Salomon ved. Malan; Michelin
Salomon Davide, in mem. del fratello Luigi; Michelin Salomon Enrico, in
mem. del fratello Luigi.
L. 7.000: Passarelli Rina.
L. 5.000: Michelin Salomon Vittorio, in mem. del fratello Luigi (Torre
Pellice): V. C. (Milano): Reynaud Lea
(osp. Asilo): In mem. dei genitori,
Albarin e Roman; dello zio Osvaldo,
Erica e Piero Roman; Visentini Maria
(osp. Asilo); Baer Luisa (Verona);
Longhi Ario (Felonica Po).
L. 3.000: Michelin Salomon Giulio,
in mem. del fratello Luigi; E.P.R., in
ricordo confermazione di Marco Roman (Torre Pellice).
Offerte per
”la Gianaveila”
1. 1.779.950: Waldenser Vereinigung
Schònenberg, tramite pastore Eiss.
L. 500.000: G. E. R., in memoria di
Giovanni M. Ribet.
L. 200.000: Unione femminile di San
Germano: Società di cucito di S. Giovanni.
L. 62.917: Pastore R. Bundschuh,
Paimbach.
L. 50.000: Concistoro di Angrogna;
Dina e Livio Gobello, In occasione confermazione della figlia: Giorgio Peyronel; Scuola Domenicale dei Peyrot, Luserna S. Giovanni.
L. 35.000; Prof. Giorgio Spini e Colleghi.
L. 30.000; Liliana Pennington de Jongh.
L. 20.000: Vera e Alberto Long; Enrico Tron; Elme Bouchard; Enrica e Aldo Malan.
L. 12.000: Rina Bertin.
L. 10.000: Aldo Gay; Margherita Jalla; Elvino Buffa; Linette Albarin; Regina Albarin: Nella e Nino Rostagno:
Bianca e Valdo Bisi; Yvonne Codino
Costantino; Elia Varese; A la Brua; Irma e Mario Bianconi; Ulrich e Jeanne
Corsi; Francesco Lucani; Irene Pastore
Bertot; Aja Soggin; Hìlde Flach Trocino;
Alice Molinari; Ida Frache; Elda e Alessandro Zighin; In mem. di Renato Bertin; Maria Luisa Benigno; Germana Costantin; Livia e Vittorio Ricci.
L. 5.000: Liti e Rosetta Malan; Paola e Ezio Cambellotti; Vera Viti Vinçon; Gaetano Biondo: Augusto e Emilia Beux: Valdesina Vinay.
L. 2.500: Marco e Franca Eynard.
Errata corrige; Nell’elenco pubblicato il 15.6.'79, seconda riga leggere
Ada e Attilio Lapisa anziché Parise.
LUSERNA
SAN GIOVANNI
Domenica 24 giugno, alle ore
15, nella Sala Albarin avrà luogo il tradizionale Bazar organizzato dalla Società di Cucito « Le
Printemps ».
Funzionerà un servizio di buffet. Tutti sono cordialmente invitati.
■ Hanno collaborato a questo
numero: Ivana Costabel,
Franco Davite, Dino Gardiol,
Luigi Marchetti, Aldo Rutigliano, Giorgio Tourn, Claudio Tron, Gianna Urisio
Pioppi.
AVVISI ECONOMICI
GIOVANE insegnante elementare conoscenza lingua francese, offres! assistenza bambini, commessa, aiuto
ufficio, cameriera o altro, mesi luglio e agosto. Telefonare al 91125
di Luserna S. Giovanni, ore pasti.
FOYER de l’II.C.J.F. française de
New York cherche chétienne francophone pour direction. Travail intéressant, demande connaissance élémentaire anglais, permet avoir rapports sociaux variés. Ecrire: IVI.lle
Lucy Blatty - 310 West End Avenue
- New York, N.Y. 10023.
a Padre... non la mia ma la
tua volontà sia fatta ».
(Luca 22: 42)
Fulmineo, inesorabile male ha stroncato la giovane vita di
Annalisa Sfredda in Pederzolli
di anni 25
Lo annunciano affranti il marito
Giancarlo, i figli Federico, Massimo e
Gabriele, i genitori Florestana ed Emi*
dio, i fratelli Nicola, Erica. Paolo e
Grazia, ì parenti tutti.
Rovereto, 12 giugno 1979.
I funerali evangelici hanno avuto
luogo in una chiesa che la comunità
cattolica di Rovereto ha messo a disposizione.
RINGRAZIAMENTO
La moglie e i familiari del compianto
Giovanni Balmas (Cianot)
nell’impossibilità di farlo singolarmente esprimono la più profonda gratitudine a tutti coloro che in qualsiasi modo sono stati vicini nella dolorosa
circostanza.
Un ringraziamento particolare ai
medici curanti, ai sanitari e personale
dell’ospedale valdese di Pomaretto, al
Pastore Conte, airAssociazionc AVIS
ed al Gruppo Anziani RIV-SKF.
S. Germano Chisone, 11 giugno 1979
8
8
22 giugno 1979
Da un documento del Consiglio Ecumenico sui profughi da! Vietnam
La gente delle barche
Fondo di solidarietà
Vietnam e Indocina non cessano di far notizia. Dopo lo
scontro con l’America sono venute Cambogia e Cina, mentre
sullo sfondo resta la questione
dei fuorusciti. Ogni tanto i giornali ne parlano. Anche il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha
pubblicato l’anno scorso un rapporto sui suoi interventi per
contribuire a risolvere il dilemma, e im’altra nota a marzo di
quest’anno.
Perché vanno
Dalla metà del ’75 circa 600
mila persone (dice il CEO sono
partite daH’Indocina per altre zone del Sud-est asiatico. Di esse
100.000 sono « la gente delle barche », quasi tiItteniscttB"tt$rVìetnarirse ne vanno per un complesso di ragioni: sono ex-collaborazionisti del vecchio regime
di Saigon, o insofferenti del nuovo sistema economico, o renitenti alla leva, o ansiosi di riunirsi
con i parenti. Il suolo è ancora
devastato, ci sono state inondazioni e due cattivi raccolti di seguito. La tensione col Nord è rimasta, acuita dalla lunga separazione politica, dal piano economico programmato per l’intero territorio, infine dalla presenza di circa 1 milione 600 mila
cinesi. Già presi uno per uno
questi motivi sarebbero una
molla per andarsene; combinati
insieme esasperano la situazione.
Varie voci sostengono che il
governo vietnamita chiude un
occhio sull’esodo e in qualche
caso lo favorisce. Barche sempre più capaci e carichi umani
sempre più folti rivelano una
certa complicità ufiOciale, almeno
a livello di funzionari inferiori.
Anche di questo si è parlato
nel mondo. La «tariffa» sarebbe
sui 2 milioni a testa, metà ai
corruttori di Hong Kong, metà
ai funzionari comprati. Ma al di
là dell’affare resta il rischio
della vita per la gente delle barche. Da parte sua il governo del
Vietnam a febbraio si è dichiarato disposto a legalizzare gli
espatri con qualche eccezione.
Dove vanno
Secondo il CEC 200.000 hanno raggiunto gli Stati Uniti, 80
mila la Francia, l’Australia, il Canada e altri Paesi, 200.000 la Thailandia, 100.000 son disseminati
nel Sud-est asiatico. Naturalmente il problema non poteva
passare sotto silenzio. Nel dicembre ’78 il Commissariato
delle Nazioni Unite per i rifugiati
riuniva a Ginevra 35 nazioni più
vari organismi internazionali. I
successi della consultazione furono modesti — 12 milioni di dollari stanziati, 5.000 profughi trapiantati — a dimostrare che la
soluzione era lontana e i governi
dovevano occuparsene in modo
ben più esteso.
r ^
Comitato di Redazione : Sergio
Aquilante, Dino Ciesch, Marco Davìle, Niso De Michelis, Giuliana
Gandolfo Pascal, Marcella Gay,
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Una copia L. 250, arretrata L. 300.
Cambio di indirizzo L. 200.
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intestato a ; Roberto Peyrot • Certo
Moncalieri, 70 - 10133 Torino.
La Luce; Autor. Tribunale di Pinerolo N. 176, 25 marzo 1960.
L'Eco delle Valli Valdesi Reg. Tribunale di Pinerolo N. 175, 8 luglio 1960.
Cooperativa Tipografica Subalpina
Torre Pellice (Torino)
Le nazioni
Le varie Chiese (dice il rapporto del CEC) possono essere
un aiuto decisivo ai rifugiati,
sollecitando i rispettivi governi
ad impegnarsi attivamente. Esse
hanno ottenuto risultati positivi
in Svizzera, mentre analoga azione viene intrapresa in altre nazioni europee, in Nord America,
Australia e Nuova Zelanda. Ma
l’Asia del sud-est è invasa di profughi più di quanto riesca a
smaltirne, specie Thailandia e
Malaysia. Il punto non sta solo
nel peso finanziario, ma nei pericoli di esplosione politica che
si vengono potenzialmente a
creare. Basta pensare che la
Thailandia deve preoccuparsi del
buon vicinato Col Vietnam mentre riceve i suoi fuorusciti. In
Malaysia c’è poi una questione
razziale. Qui la maggioranza numerica e politica appartiene alla popolazione Malay, e lo Stato
ha sempre cercato di darle sfogo a spese della minoranza cinese, che però ha in mano il potere economico. Grande allarme
in Malaysia dunque quando sono sbarcati 60.000 vietnamiti
quasi tutti cinesi. Ecco perché
si voleva respingerli.
Così Hong Kong. Uno dei posti più intasati del mondo, ora
si vede sommersa non solo dai
fuggitivi vietnamiti, ma anche
dagli immigrati (legali e non)
provenienti dalla Cina e che vanno ad aumentare la miseria. Le
Filippine danno asilo provvisorio ma si irrigidiscono dinanzi
al flusso degli ultimi mesi. Singapore non lascia attraccare le
navi che hanno issato a bordo
i profughi nelle acque internazionali, a meno che non sia garantita la loro dislocazione altrove
entro tre mesi.
Le chiese
Sono tutti ostacoli che vanno
diminuendo grazie al nuovo piano d’emigrazione per i profughi
dall’Indocina, tuttavia altre misure urgono. Bisogna pensare alle necessità elementari di questa
gente delle barche, che con altffnlìigrati sovràffolla i campi di
raccolta in tutta l’Asia del sudest. In questo programma la Sezione Profughi del Consiglio Ecumenico è entrata in pieno, tramite le chiese-membro asiatiche.
In attesa che abbia buon esito il lento processo di collaborazione oltremare, la Chiesa di
Cristo in Thailandia, il Servizio
Cristiano di Hong Kong e il Servizio Mondiale delle Chiese negli Stati Uniti (che agisce in Malaysia) forniscono cibi e medicine, abiti e abitazioni, e intensificano i piani di auto-assistenza.
Non è facile ospitare una mas
Scegliere
sa inaspettata: per ciò si fa appello a tutto il mondo, oltre ogni disquisizione politica.
Alle radici
Eppure la risposta, se risposta
c’è, per quanto angosciosamente necessaria non basta. Occorre
sveltire al massimo le procedure per assorbire i profughi nei
vari Paesi. Qualche nazione va
lodevolmente per le spicce, altre
impiegano due anni. Ma aiuti e
celerità ancora non toccano il
cuore del problema. Qualsiasi
rimedio non è che una reazione
all’esodo. Però bisogna andare
alle radici, puntando a stabilizzare la penisola indocinese. La
soluzione duratura consiste nel
recidere le cause dell’esodo, creando in Vietnam le condizioni
per cui la gente delle barche non
giudichi più necessario andarsene. Svezia e Germania Federale per esempio avevano detto
che una strada per arrestare
l’emorragia poteva essere quella
di ricostruire il Paese, come
s’era fatto in Europa e Giappone dopo le rovine della II guerra mondiale. Introdotta in Vietnam, la stessa opera di rilevazione materiale potrebbe oltretutto riconciliare nemici vecchi e
nuovi.
Ricostruire, d’accordo: ma
quanto tempo ci vuole? Intanto
gente delle barche solca perigliosàmente i mari e si accampa in squallide baracche. Individui, gruppi, organismi, chiese
devono premere sui loro governi perché ricevano profughi. È
il primo passo da fare su scala
privata. Ci sono governi che
finora non hanno accolto nessuno. Altri hanno dato denaro e
basta. Altri hanno fatto Tuna e
l’altra cosa. Ma tutti devono essere spronati ad accettare la
gente delle barche, fin quando
non SI pónga fine al dramma.
R. T.
Come già preannunciato in occasione di quanto scritto sul
numero del 4 maggio scorso, abbiamo nel frattempo raggiunto
la cifra di L. 2.130.000 (di cui 1
milione per i profughi libanesi
e L. 1.130.000 per le vittime delle
alluvioni del Vietnam): provvediamo pertanto ad inviare detta
somma alla Tavola per un pronto reinoltro al Consiglio ecumenico delle Chiese, mentre consideriamo definitivamente chiusa
la sottoscrizione per le suddette
due iniziative.
Ricordiamo che attualmente
sono aperte due altre sottoscrizioni e vale a dire:
DA favore dell’appello della Chiesa unita dello Zambia
(Africa) per un aiuto ai profughi dalla Rhodesia. Sì tratta di
migliaia di persone, che pur rifugiatesi nello Zambia, subiscono continue incursioni da parte
dell’esercito rhodesiano, con conseguenti nuove vittime e drammatiche situazioni.
2) A sostegno dell’appello
del comitato centrale del CEC
contro la fame di milioni di
bambini nel mondo. Siamo ben
consci che non è con delle collette che si potrà risolvere questo drammatico problema, che
richiede l’impegno planetario
delle nazioni per una nuova politica di giustizia internazionale.
Questo però non ci esime dalla
nostra responsabilità personale
di credenti, e di Chiese, di fronte a certe tragiche realtà che
non possiamo ignorare con l’alibi che non possiamo risolverle.
Mentre qui sotto diamo la situazione aggiornata, ricordiamo
che le offerte vanno inviate al
conto corr. postale n. 2/39878
intestato a Roberto Peyrot, corso Moncalieri 70, Torino.
Anna e Mila (due vers.) L. 10.000;
G. L. Giudici 5.000; E. Pons, in mem.
cugino F. Avondetto 50.000; N.N., con
simpatia (due vers.) 30.000; P. Corbe
5.000; F. Tourn 50.000; M. Giordan
5.000; G. Laetsch 5.000; RMFC 5.000;
C. Craveri 70.000; N. e S. Cocorda 80
mila; C. e A. Vetta 30.000; M. e E. Bein
25.000; M. Buzzi 5.000; Amici 50.000;
D Fontana 25.000; G. Pepe 10.000; A.
Fabrizi, in mem. zia 12.000; N. N.
100.000. Totale L. 572.000; precedente
2.616.679; inviate per Vietnam e Libano L. 2.130.000; in cassa L. 1.058.679
_____CRESCE IL NUMERO DEI DETENUTI
Appello per il Cile
In un appello a firma Unidad
Popular-MIR, le forze della resistenza cilena ripropongono all’opinione pubblica internazionale la realtà intollerabile della
repressione poliziesca. In seguito
ad una manifestazione pacifica
indetta per il 1° maggio a Santiago, 365 persone, tra cui 60
donne, sono detenute. Il governo
conferma 277 fermati accusati
di trasgressione delle leggi di
sicurezza interna dello Stato. Di
questi, 26 tra cui 8 studenti e
un sacerdote di nome Gabriel
Orn, saranno giudicati dai Tribunali militari sotto l’accusa di
aggressione alle forze armate. I
familiari dei detenuti hanno formato una Commissione per pro
testare contro la detenzione dei
loro congiunti e per il fatto che
non si conoscono i luoghi di detenzione. L’appello, che chiede
alla « giustizia cilena » la sicurezza dell’integrità fisica dei detenuti, oltre alla loro immediata
scarcerazione, si rivolge agli Organismi internazionali (Organizzazione Int. del Lavoro, Commissione Diritti Umani dell’ONU
e degli Stati Americani, Croce
Rossa Internazionale, Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati) per chiedere un immediato intervento a favore degli
attuali detenuti e di quei mille
scomparsi che si trovano ancora nelle mani della dittatura cilena.
r
LA SETTIMANA INTERNAZIONALE
a cura di Tullio Viola
Il clamore del papato
in Europa
(segue da pag. 1)
Che ogni chiesa guardi alla sua
storia con occhio attento e pronto a ricercarvi il progetto di Dio
a nostro favore è una lezione di
umiltà, è uno specchiarci nell’unico specchio che non altera le
immagini, per vedere con chiarezza i nostri limiti e le nostre
odierne infedeltà.
La scelta che ci è richiesta di
fare è quella fondamentale, quella da cui dipendono tutte le altre: una scelta di fedeltà a Dio,
piuttosto che ai nostri idoli di
stampo moderno. Ogni chiesa ha
oggi bisogno di fare questo « esame di coscienza », senza dimenticare che tutti noi, chiese europee, esponenti di paesi civili e
progrediti dell’occidente europeo, siamo giustamente guardati, talvolta con stupore, talvolta
con giusto rimprovero, da tutte
le giovani chiese del terzo mondo, che i nostri paesi hanno depredato ed oppresso, non sempre senza la « benedizione », o il
beneplacito, o almeno il silenzio
complice delle chiese. Questa
scelta non può più essere dilazionata: si tratta di scegliere
’oggi’, di dire e di dimostrare
con una nuova coerenza da che
parte vogliamo stare. Ayassot
♦ Dato il carattere di questa
nostra rubrica, non vogliamo
qui discutere il problema sotto
l’aspetto religioso, che pure è di
enorme importanza. Perciò ci limitiamo qui a riportare, nelle
sue parti essenziali, l’articolo
che, con questo stesso titolo, ha
pubblicato Sandro Viola su « La
Repubblica » del 13.6.’79.
« Per il regime comunista polacco, per gli osservatori che in
questi giorni avevano aguzzato
lo sguardo dal Cremlino verso la
Vistola, il viaggio di Giovanni
Paolo II in Polonia s’è chiuso,
all’apparenza, abbastanza bene.
Con uno spettacolare abbraccio
del papa al capo dello Stato Jablonski, primo abbraccio d’un
pontefice di Roma ad uno statista comunista ed ateo; con le lodi al coraggio politico dei responsabili (Gierek, il Politburo
del partito) che avevano accettato di far svolgere la visita; e con
un preannuncio della ripresa delle relazioni diplomatiche tra Polonia e S. Sede.
In effetti, nelle ultime 48 ore
del soggiorno papale in Polonia,
s'è verificata una svolta. Per i
primi sei giorni, Wojtyla aveva
tenuto discorsi tutti centrati sulla storia e sulla “missione" polacche, con l’intenzione evidente
di contrapporre quella storia e
quella “missione" all'attuale vicenda politica del paese, e cioè
al “socialismo reale". In più, il
papa aveva alluso, con toni di
sfida, alla dimensione slava, non
solo polacca, del suo viaggio: come a dire che il capo del cattolicesimo era in Polonia per parlare ai fedeli di tutte le regioni
del sistema comunista in Europa.
L’insistenza su questi temi regionali e storico-nazionali, di cui
è chiaro l’attrito con i valori del
sistema politico costruito dall’URSS nell’Europa orientale,
aveva seriamente allarmato il
partito polacco e i suoi partners
sovietici. Poi, però, fra sabato e
domenica, tra il discorso di Nowa Muta e il commiato all’aeroporto di Cracovia, il tono di Giovanni Paolo II è cambiato: a Nowa Hata c’è stato il primo accenno alle convergenze tra la
dottrina sociale della Chiesa e i
principi del socialismo, e nei discorsi d’addio c’è stato l’impegno diplomatico a cooperare con
il governo di Varsavia e ad allargare il dialogo con il resto del
mondo comunista.
Ma se questo finale è servito
a placare le inquietudini più immediate dei dirigenti polacchi e
sovietici, resta che il viaggio del
“papa di Cracovia" nella sua terra ha segnato l’inizio d’un impetuoso coinvolgimento del Vaticano nelle questioni dell’Est europeo. (...) Quando il papa, all’aeroporto di Cracovia, afferma
di voler continuare a “servire
con tutte le sue forze" la Chiesa
polacca; quando ribadisce il suo
“diritto-dovere" di restare profondamente legato alla sua nazione (“Legame che rivestirà una
capitale importanza nel mio ministero di sommo pontefice"), gli
osservatori moscoviti non possono più illudersi (come avevano fatto a maggio, quando era
venuta la notizia della nomina di
Casaroli a prosegretario di Stato) che la “Ostpolitik" vaticana
resterà quella che era. Essi comprendono che l’avvento d’un papa slavo (e, per giunta, con una
certa propensione all’irruenza)
muta profondamente i termini
del problema dei rapporti tra
Mosca e la S. Sede, e avvicina
l’ora d’una “guerra di movimento”, da parte del Vaticano, su
tutte le questioni inerenti la libertà religiosa nel mondo comunista. (...)
Questa mobilità [del papa]
(specie se comparata alle discrete missioni di monsignor Casaroli nel pontificato di Paolo VI)
promette di creare nuovi soprassalti in un Cremlino, già spremu
to dall’Qccidente, sul problema
dell’emigrazione ebraica e sui diritti civili. Non che da Wojtyla
possa venire una contestazione
dell’impianto ideologico o della
prassi politica del sistema sovietico: il viaggio in Polonia ha dimostrato che il papa accetta le
realtà politiche esistenti, “socialismo reale” compreso; ma certo verranno (da un pontefice di
incredibile attivismo come questo) appelli e discorsi assai scomodi per Mosca, perché ormai è
chiaro che Wojtyla parlerà sempre alto e forte di tutti gli argomenti che gli stanno a cuore.
Vivremo dunque, per molti e
molti anni, un ^papato clamoroso, un seguito d’iniziative inattese e di parole inaudite, in cui il
dialogo diretto di Wojtyla con
le folle tenderà sovente a sovrapporsi ad ogni linea e progetto
politici del Vaticano.
La. popolarità del nuovo pontefice sta aumentando velocemente e a dismisura; nello stesso tempo, sembra rafforzarsi
l'impulso di Giovanni Paolo II
ad affascinare, colpire nell’immaginazione, trascinare i fedeli
e gli ammiratori. Così, non resta che confidare nella sua saggezza: perché cresca sempre più
il suo prestigio di capo della
Chiesa e non la sua fortuna di
“show man” (= attore di spettacoli di varietà) ».
La comparsa di un nuovo papa, che sembra (o ambisce) avviarsi verso i fasti più « gloriosi » (ahimè!, a distanza di tanti
secoli e ancora una volta!) di un
Leone Magno o di un Gregorio
VII, non è cosa che valga a rallegrarci. Ma tutto si spiega nella logica dell’Istituzione Romana, che solo una riforma dall’interno del problema cristiano, o
meglio evangelico, è e sarà mai
in grado d’incidere in modo profondo e durevole, come già fu
fatto una volta quattro secoli e
mezzo fa.