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Anno X — N. 15.
II SERIE
lo AGtwi^lStìl
LA BUONA NOUELLrt
GIORNALE DELLA EVAiiGELIZZAZIONE ITALIANA
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SoKuen<)o la rerità nella carit'a. — KkB9. VI. 15.
DI AB80CUZI0NE i LK ASSOCIAZIONI SI RIC’ÌwNO
Per lo Stato [franco a destinazione]____£. 3 00 ^ In Tosino all’Vffizio del Oioraole, vìa U Principe
Per la Svìf.xera e Francia, id........... „ 4 2ó Tommaso dietro il Tempio Yaldes(&
Per r Inghilterra, id................... „ 5 50 ; Nelle Provincib per mezzo di fjJfa-bolU pò
Per la Germania M................... „ 5 50 > »iaW, che dovranno essere invia^franco al DI
Non «i ricevono associazioni per meno di uiì anno. ! rettore della Bcona Novella.
AlVestero, a’seguenti indirizzi: Parigi, dalla libreria C. Meyrueis, me Rivoli,
Ginevra , dal signor E. Beroud libraio ; Inghilterra , dal signor G. F.. Muller ;
General Merchant, 26, Leatlenhall Street. E. C.
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SOMMARIO
Storia,: Savonarola, VII — PoJeinìca : Lettera d’un corrispondente della Sunna Ììorrììa al Redattore di “ BHioiont e Patria ” — Notizie Relidiosie : Firenze.
STORIA
SAVONAROLA
La Storia di Uirolamo Savonarola e de' suoi tempi, narrata da Pasquale Villari oon
l’aiuto di nuovi documenti. Voi. l.mo pagine 489. Firenze. F. Le Monnier 1859.
VII
(Uontinuaz. e fine, vedi i num 5, 7, 8. 10, 13 e l-l)
V" '
L’11 febbraio 1495, il Frate risaliva sul pergamo col consenso
della Signoria. Vi .si oppose l’arcivescovo di Firenze, M. Liènardo
dei Medici ; ma gli fu fatto sapere che, se fra due ore non si dimet-^
teva dal suo ufficio, sarebbe dichiarato ribelle. La novità del ca-so e
l’audacia del predicatore richiamarono un’uditorio oltre il solito
numeroso. Argomenti) principale del discorso doveva naturalmente
essere la libertà di coscienza, e il Savonarola si esprimeva così :
“ Sappiate che Iddio governa il mondo per le cause seconde; ed il
buon principe, il buono ecclesiastico non è altro che uno strumento
nella mano del Signore a governare il popolo. Quaudo però l’agente
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superiore si ritrae da lui, esso allora nou ò più strumento, è ferro
rotto. Ma come, dirai tu, m’accorgerò io se manca o no l’agente
principale? Guarda se le sue leggi e i suoi comandi sono contrarii
a ciò che è il principio e la radice di tutta la sapienza, cioè il ben
vivere e la carità; e quando' sono contrarii, tu puoi veramente essere
sicuro che esso è /erro rotto, e nou sei tenuto ad ubbidire. ” — Ai
papi non fu mai gradita questa dottrina, ma è pienamente conforme
al detto di Gesii-Cristo: “ Tu conoscerai l’albero ai frutti. ” — “ La
perfezione nostra non istà nella fede o nella legge, ma uella carità ;
e solo chi ha questa, conosce ciò che è necessario alla salute. ” Qui,
con troppa fretta, il sig. Villari vuol notare come queste parole sono
contrarie alla dottrina fondamentale della Eiforma : giustifìcazìone
per la sola fede. Se contraddizione vi fosse, si troverebbe già negli
scritti di S. Paolo stesso, poichò il Savonarola s’è evidentemente
ispirato al xiii° cap. della 1“ ai Corinti. Ma il sig. Villari si lascia
talvolta dominare da idee preconcette, e vuole ad ogni costo che ci
sia un’abisso tra il Savonarola e i Eiformatori. — “ Chi comanda
contro alla carità, che è plenitudine della nostra legge, anatliema sit.
Se pure lo dicesse un angelo, se lo dicessero tutti i santi e la Vergine Maria (il che certo non è possibile), anathema sit. Se alcuna
legge 0 canone o concilio lo dicesse, anathema sit. E se alcun papa
ha mai detto contro a questo'Che ora io dico, sia escomunicato. lion
dico già che vi sia stato ; ma so vi fu, esso non era istruménto del
Signore, esso era ferro rotto. ” — Xissuiio è che non veda chiaro
attraverso quelle reticenze. — “ Alcuni hanno paui’a che, sebbene
questa scomunica non vale quanto a Dio, la valga quanto alla Chiesa.
A me basta non essere legato da Cristo. 0 Signor mio, se io mi
faccio assolvere da questa scomunica, mandami aH’inferno; io me
ne farei scrupolo di peccato mortale. ” — Cosa fece mai Lutero che
non fosse conforme a quel principio; A me basta non essere legato
da Cristo ? Cosa fecero gli altri Eiformatori ? Se questo non è un’emanciparsi da ogni soggezione umana, per rivendicare i sacrosanti
diritti della coscienza, non saprei qual’altro nome dargli. Il Savonarola avrebbe creduto avvilirsi, cedendo alle minacce d’un papa sedicente vicario di Cristo; ed aveva le mille volte ragione. Deh! quanti
ferri rotti si son seduti sul seggio vescovile di Eoma! — Il 18 febbraio, discorreva intorno al papa ed alla sua autorità, dicendo: “ Io
presuppongo che non è uomo alcuno che non possa errare. Tu sei
pazzo a dire che il papa non possa errare: quanti papi sono stati
cattivi, che hauno errato!.... Se ei fossi vero che un papa non può
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mai errare, noi dovremo dunque fare quel che fanno essi e saremuio
salvi? Tu dirai : in quanto tiomo, im papa {luò errare, ma non in
quanta pa{>a. Ed io ti rispondo che il papa può errare, anche in que.•<ti processi e sentenzio sue. Và leggi quante costituzioni lia fatte un
papa e un’altro le ha guaste; e quante opinioni di papi, son contrarie fatte da altri jiapi. ” Nulla serve che il sig. Villari ci dica essere
ben lungi il Frate, daUaccennare ai dommi. A noi basta sapere che
il {Savonarola uon ammetteva quella ridicola distinzione tra l’uomo
e il papa, il primo fallibile, il secondo no.
Nel suo quaresimale il Fratesi mostrò moderatissimo.“O Romà,”
diceva, “ die cosa ti chiedo io? Una bolla per ben vivere; e questo
è tutto quello che vorrei da te; ma qui invece si attende a cercar
Bolle che gettino per terra il ben vivere. ” Il pa[>a cresciuto nel suo
furore, minacciava l’interdetto sulla città di Firenze; ma i piii prudenti cardinali gli fecero considerare, come le cose del Savonarola
avevano talmente commosso l’animo dcH’uuiversale, che per tutto si
temeva uno scisma nella Chiesa, e che il cardinale di San Pietro in
Vincula poteva facilmente farsene capo. Mosso da queste ragioni, il
papa si limitò a mandare un Breve assai minaccioso alla Signoria,
in data del 20 febbraio. In esso parlava dei perniciosi errori che
spargeva il fglio d’iniquità, Girolamo Savonarola; si lagnava che
il Frate, con grave danno della veligione e delle anime, conlinimsHe
a predicare, dispregiando Vaxdorità della Santa Sede, e dicendo la
scomunica non esser valida ; domandava che la Signoria glielo mandasse, sotto buona custodia, o almeno lo tenesse chiuso e guardato
in modo che non potesse seminare nuovi scandali; in caso di disubbidienza, per conservare il decoro e l’autorità della Santa Sede, minacciava l’interdetto. ” Davvero, il decoro e l’autorità della S. Sede
avevano già sofferto molto. Un’altro Breve ordinava ai canonici del
Duomo che assolutamente vietassero al Savonarola il predicare nella
loro chiesa. La Signoria rispose che avevano a cuore f)iù la loro repubblica che gli altrui comodi, e dichiarò che non ubbidirebbe al
comando di S. S. Intanto, il Savonarola continuava di predicare in
S. Marco e toccava del Concilio sotto la metafora del dar volta alla
chiavetta. Si vedeva ormai chiaranaente che egli aspettava solo una
favorevole occasione, onde arrischiarsi al tentativo di far radunare il
Concilio, per poi attaccare il Borgia a visiera alzata e riformare la
Chiesa. Onde sempre cresceva l’ira papale come ognuno ¡)uò facilmente immaginarlo; il 9 marzo infatti giungeva ai Signori un’ultimo Breve, assai piii terribile del solito, ia cui il Borgia manife-
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stava il suo sdegno per l'audacia ohe li faceva iusorgere a contendere
con lui, quasi si trattasse d’una lite, chiamava il Savonarola un vermiciattolo pieno di petulante superbia, e domandava nuovamente
che venisse riparato l’onore e la dignità della Santa Sede, gravemente offesa da quel loro mostruoso idolo. — Una Pratica raccolta
dalla Signoria deliberò allora che s’inibisse affatto la predica al Savonarola, malgrado la volontà avversa di molti. Il papa ne lodò a
cielo la Signoria, fece grandi promesse, e raccomandò caldissimamente di non concedere ad alcun’altro frate di S. Marco il permesso
di predicare. Prendendo commiato dal popolo, il Savonarola discorse
delle cause prime e seconde ; disse che in mancanza di queste, bisogna ricorrere alle prime, e poi fece l’applicazione del principio. “ Così
nella Chiesa, il fedele si deve rivolgere dapprima al suo parroco o
confessore ; mancando questi, al vescovo, al papa ; e finalmente,
quando tutta la potestà ecclesiastica è corrotta, bisogna rivolgersi a
Cristo che è la causa prima, e dirai : Tu sei il mio confessore, vescovo e papa; provvedi alla Chiesa che rovina; incomincia la tua
vendetta. ” — Quanta difficoltà per liberarsi dalle pastoie della scolastica! Pure finalmente ci arriva. Senonchè s’illudeva stranamente
il buon Frate, credendo di non debilitare la potestà ecclesiastica.
Quel grido della sua coscienza; “ Io non voglio stare sotto la potestà
infernale, ”—era troppo audace od era gravido di future tempeste;
ma tradiva pure una fiera lotta ed un’irresistibile impulso, eh’ egli
stesso chiamava “ un fuoco estenuante, rinchiuso nelle ossa mie e
nel cuor mio, che non posso contenere,... perchè io mi sento tutto
ardere. ” — Ma s’egli cessava, il 18 marzo 1498, la sua predicazione,
continuata in Firenze per otto anni, non però era egli uomo da lasciarsi prendere alla sprovvista. Preso il suo partito, il 13 marzo ne
dava lealmente avviso al papa stesso. “ Beatissimo Padre, ” diceva,
“ io credetti sempre che fosse ufficio di buon cristiano difendere la
fede e raddirizzare i costumi ; ma in tale opera non ebbi altro che
angustie e tribolazioni ; non un solo che volesse aiutarmi. Sperai
nella V. S.; ma essa invece s’è voluta unire ai miei nemici, ed ha
dato a feroci lupi la potestà d’incrudelire contro di me. Nè furono,
in alcun modo, udite le ragioni che addussi ; non già a scusare il
peccato, ma a provare la verità della dottrina, la mia innocenza e
sottomissione alla Chiesa.. Onde non posso piiì sperare nella V. S. ;
ma debbo solo rivolgermi a Colui, che eleggeva le cose deboli di
questo mondo per confondere i forti leoni degli uomini perversi. Egli
mi aiuterà a provare e sostenere, in faccia al mondo, la santità di
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quest'opera, per la quale tanto patisco ; e darà la giusta pena a coloro che mi perseguitano e vorrebbero impedirla. In quanto a me, io
non cer*i gloria terrena, ma aspetto con desiderio la morte. La V. S.
non voglia ora piii indugiare, ma provveda, alla mto solide. ”
A tentare lo sforzo supremo cui s’era accinto, scriveva, nei primi
di maggio, le sue famose Lettere ai Principi, cioè ai re di Francia,
Spagna, Inghilterra, Ungheria cd alUimperatore di Germauia. Cercava .scuoterli dal loro letargo, onde ponessero mano al rimedio, per
sanare la Chiesa, e ce.ssassero dall’adorare la cagione stessa del male
che la contaminava. “ Il Signore s’ò grandemente adirato, e [»iù
tempo ha lasciato la Chiesa senza pastore. Io vi testifico ora in vcrho
Domini (cioè: por rivelazione), che questo Alessandro nou è papa,
nè può essere ritenuto tale^ imperocché, lasciando da parte il suo
scelleratissimo fioccato della simonia, con cui ha comperato la sedia
papale, od ogni dì, a chi più ne dà, vende i benefizii ecclesiastici, e
lasciando gli altri suoi manifesti vizii, — io affermo ch’egli non è
cristiano e non crede esservi alcun Dio, il che trapassa il colmo d’ogni infedeltà. ” Quindi invitava tutti i principi cristiaui a radunare
al più presto il Concilio in luogo otto e Ubero. Il terreno era senza
dubbio preparato, poiché da ogni dove venivano incoraggiamenti.
Ma l’ora non era scoccata. Le lettere ai principi eran quasi tutte
abbozzate, salvo quella a re Carlo ch’era già inviata. Sfortunatamente cadde nelle mani ai sicarii del Moro, i quali avevano svaligiato il corriere. Il duca si affrettò di mandarle al papa, che la lesse
con una ira facilmente concepibile.
Intanto, a Firenze seguiva il ben noto enperimento del fuoco, i^osto
dal sig. Villari nella sua vera luce. Un francescano di S. Croce, per
nome Francesco di Puglia, sfidò il Savonarola ad entrare nel fuoco,
onde provare la verità della sua dottrina. Il Savonarola non rispose.
Ma il suo discepolo ed alter ego frà Domenico da Pescia si tenne
personalmente sfidato ed accettò, ad onta delle severe ammonizioni
di frà Girolamo, che fece il possibile per trattenerlo. Il francescano,
vedendo che frà Domenico diceva davvero, già pensava a tirarsi indietro, ripetendo che la sua disputa era con Savonarola e non con
lui. Allora i Compagnacci andarono alla Signoria onde piegarla alle
loro trame, perchè, dicevano essi: “ se il Savonarola entra nel fuoco,
brucerà certamente; se non entra, e screditato e faremo nascere un
tumulto. ” La Signoria si dichiarò pronta, non che a secondare l’impre.sa, a dirigerla, e pubblicò l'invito allo sperimento. Frà Domenico
andò subito a firmare; al francescano furono fatte solenni assicura-
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iiioni dai Compagnacci e dalla Signorìa che non sarebbe entrato nel
fuoco ; nondimeno non si potè ottenere da kii che si cimentasse con
altri che col Savonarola. Quindi offeriva in vece sua, il suc>-confratello Giuliano Rondinelli ; questi si lasciò persuadere non senza
fatica, e il 30 marzo sottoscrisse : “ che sarebbe entrato nel fuoco
con frà Domenico, sebbene credesse di ardere ; ma lo faceva per
salute delle anime. ” — Piiì volte l’incauto Savonarola aveva dichiarato al popolo che, un giorno, le sue parole sarebbero state confermate da segni soprannaturali; il momento pareva giunto, l’esperimento inevitabile, e gli stessi Piagnoni lo volevano più degli altri,
a ragione della loro fede nel loro maestro. Questi nel fondo del cuore,
pensava come i suoi, che l’esito non poteva esser dubbio; ma pure
s’adoperava in ogni modo, acciò l’esperimento non avesse luogo, bene
penetrando le tenebrosi mene dei suoi avversari. All’ardore di frà
Domenico si aggiunse il credito prestato alle matte visioni di frà
Salvestro che asserì aver veduto gli angeli di frà Domenico e fi'à
(xirolamo, il quale lo accertarono che quelli sarebbe tornato illeso.
Tanto crebbe l’entusiasino nel convento che tutti i frati si offrirono
d’entrare nel fuoco, e Savonarola mandò le loro sottoscrizioni alla
Signoria. Dal 6 aprile, l’esperimento fu rimandato al 7, per ordine
della Signoria, la quale cominciava a temere, vedendo l’ordine dei
frati di S. Marco, ed aspettava forse da Roma un breve di proibizione. Intanto per potere in ogni caso mettere in salvo i frati minori,
decretava; “ In caso che frà Domenico arda, frà Girolamo s’intenda,
nelle spazio di tre ore, esiliato dal territorio fiorentino.....” E dei
fiuti minori, neppure una parola. Al 7 aprile tutto s’apparecchiava
e le due parti decisero di venire in piazza (di Palazzo Vecchio) accompagnate da gente armata, onde provvedere, occorrendo, alla propria salvezza. I frati di S. Marco s’avviarono in solenne processione;
veniva il primo frà Domenico, vestito con un piviale di velluto rosso
fiammante con una lunga crocj2 in mano, la testa alta e la frónte
serena. Seguiva il Savonarola, vestito di bianco, col Sacramento in
mano, e tutti i frati dietro a lui, in numero di circa 200, con voce
sonora cantavano il salmo ; Exurgat Deus et dissipentur inimici
ejus. “ Arrivati sulla piazza, circa le ore 18, ne trovarono gli sbocchi
asserragliati e guardati da gente armata. Passarono, quindi, a due a
due ; e non appena entrarono fra la moltitudine, questa accompagnò
il loro cauto con tal voce, che quasi ne tremò la terra. La folla era
itmumerevole; pareva che tutta Ja città si fosse raccoltii nella piazza
e negli cdifizi intorno ; orano gremite le finestre, lo terrazze, i tetti;
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i più agili stavano attaccati alle inferriate, abbracciati alle colonne,
alle statue, alcuni pendevano arrampicati alle mura, e in tal posizione aspettavano dal mattino. ” (Villari ii, 127). Il palco era largo
cinque braccia, alto 2 e mezzo, cojierto di terra e mattoni ; si estendeva 40 braccia, dalla ringhiera di Falazzo verso il tetto doi Pisani,
oggi la Posta. Sopra eran disposte cataste di legna, con polvere da
sparo, olio e materie resinose ; nel mezzo im passaggio libero, largo
xm braccio. Il popolo aspettava con ansietà che il fuoco s’accendesse.
Ma il campione di S. Croce non appariva e se ne stava in Palazzo
a segreto colloquio colla Signoria, la quale fu tanto imprudente da
mandare ad interrogare i domenicani perchè non davano principio.
A questo, frà Domenico fremeva, ed il Savonarola faceva dire :
che ormai s’atì'rettassero nna volta e non tenessero piii il popolo a
disagio ! Allora i minori, vedendosi a mal partito, cavarono fuori
mille pretesti. Fecero dire che il piviale rosso di frà Domenico era
incantato dal Savonarola, e frà Domenico, dopo molte istanze , si
tolse il piviale. Ora era l'abito che poteva essere incantato ; e frà
Domenico ne vestì un’altro. Ora era la sua persona che poteva esserlo, e frà Domenico si scostò dal Savonarola. Non per questo si
mossero i frati Minori i quali ottennero dai signori un’altro colloquio
segreto. In quel punto la impazienza del popolo, e massime di
chi era digiuno, fece nascere un tumulto, il quale però venne sedato. Sopravvenne on subito acquazzone, con tuoni e lampi, che
])area dovesse por termine alla cosa; nondimeno il popolo rimase
immobile. Ed ancora il frate minore non compariva, e faceva cldedere
che frà Domenico lasciasse il crocifìsso, e frà Domenico lo lasciò ,
dicendo che voleva entrare nel fuoco fcol Sacramento. Quindi nuòva
e pili accanita disputa. I Minori non volevano che si lasciasse bruciare l’ostia consacrata, e frà Domenico perdette la pazienza e stette
fermo, allegando col Savonarola, che in ogni caso non sarebbero
bruciati che gli accidenti. Crebbe la disputa e la Signoria ne profittò
per uscir d’impaccio, ordinando che l’esperimento non dovesse pivi
aver luogo. — Lo sclegno del popolo deluso era indescrivibile e si
versò tutto sopra il Savonarola e il convento di S. Marco, non conoscendo i più le male arti dei frati Minori che ora con grande impudenza andavano cantando vittoria, mentre il loro campione s’era nascosto in Palazzo, e uon gli era bastato l’animo neppure di guardare
il palco apparecchiato. Ed infatti a gran fatica poterono i Domenicani tornar salvi al convento, scortati dalla loro gente armata , in
mezzo alle grida furibonde della plebe aizzata dai Compagnacci. I
frati Minori vennero lodati a cielo dal papa che scrisse loro due brevi
di congratulazioni, incitandoli a perseverare “ in opera tanto buona
e tanto pia, sino alla totale distruzione del male. ”
11 giorno seguente, 8 aprile, il popolo, fatto quasi tutto avverso
al Savonarola, prendeva d’assalto il convento di S. Marco, e insieme
a frà Domenico ed al visionario frà Salvesti'o, il priore venne condotto in prigione, dovendo sopportare per la via insulti che si i)ossono
più fncilmenle immaginare elle descrivere. Gli otto di guardia che
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ax'rebbero dovuto essere i giudici nel processo, furono rieletti prima
del tempo legale e scelti fra i nemici del Frate. Alla Signoria fu
concesso arbitrio di fare e disfare, ed essa compose una commissione
straordinaria di 17 esaminatori, coirincarico espresso di formare il
processo dei tre frati, valendosi della tortura e d’ogni mezzo che credessero necessario al loro intento. E sin dal principio fu così manifesta la violazione della giustizia e delle leggi, che uno degli esaminatori, dopo avere accettato l’ufficio, lo ricusò sdegnosamente, dicendo:
“ che nou si voleva trovare a quest’omicidio. ” L’idea d’un genuino
processo, scritto dal Savonarola stesso, è mera ipotesi, benché le
leggi lo richiedessero ; poiché le prime carte ch’egli scrisse furono
subito distrutte e non gli fu piiì concesso di scrivere di proprio pugno.
L’indomani, 10 aprile, nella sala superiore del Bargello, fu interrogato, minacciato, insultato e sottomesso alla crudelissima tortura
della fune. Egli, di fibra delicata e sensibile, egli stranamente cagionevole e nervoso, cominciò ben presto a vaneggiare, le sue risposte
non ebbero piìi alcun senso, e finalmente, quasi disperando di se
stesso, gridavarcon voce da commuovere le pietre, non però i suoi
giudici : Tolle, lolle Domine, animam meam ! Sciolto dalla fune ,
fu rimandato in prigione, ed egli inginocchiatosi, pregava pe’ suoi
carnefici : “ i quali non sanno o Signore quel che si fanno. " La
compilazione dei varii processi durò piii d’un mese e i tormenti furono lunghi, continui e crudeli. In un solo giorno, affermava un
te.stimonio oculare, furono dati al Frate 14 tratti di fune. Ai primi
tratti cadeva in delirio e non intendeva più le stesse parole ch’ei
diceva. Non potendo resistere ai tormenti, bisognava pur cedere su
qualche punto più vulnerabile degli altri. Il processo versava sopra
tre capi: la religione, la politica e la profezia. Cedere sui due primi
era impossibile ; non restava quindi che la profezia e le visioni. In
<juesta materia s’avvolgeva in mille sofismi, e dava risposte dubbie,
contraddittorie, oscure ; era stato il lato debole nella sua vita e nel
suo carattere, effetto necessario delle superstizioni e del fanatismo
del suo animo, e fu pure la parte meno lodevole del processo. “ Non
})oteva parlar chiaro perché non vedeva chiaro egli stesso ; non poteva
dimostrarsi forte, perchè era debole, era vittima infelice delle sue
allucinazioni. ” Nondimeno, la Signoria era scontentissima delle sue
risposte, e non sapeva a qual partito appigliarsi. Allora ser Ceccone,
notaio fiorentino, fin allora fintosi piagnone, si offrì di compilare un
falso processo, con lievi alterazioni, ma tali da dar luogo alla condanna; e gli furono promessi 400 ducati. Il Nardi seppe da uno degli
esaminatori stessi che, del processo di frà Girolamo, “ a buon fine si
era levata qualche cosa e a quello aggiunto qualche cosa. ” Lacune ed
aggiunte sono infatti evidenti nel processo e spesso cfintrastano col
senso e colla grammaticadel periodo cui vanno unite. Interrogato sulla
religione, Savonarola fu incrollabile e sostenne le sue famose conclusioni con coraggio e con eroismo. Intorno alla politica pvvenne il
medesimo. E dopo undici giorni di tortura l’esamina non rispondeva
per niente al fine proposto dalia Signoiia e sperato dal papa. “ Con
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parole e conforti umani ” gli esaminatori riuscirono in capo a due
giorni a persuadere il Savonarola a firmare il processo. Egli, dolente
che lo sj)irito di profezia lo avesse abbandonato , se ne tornava poi
alla prigione popolata di creature soprannaturali e di esseri invisibili, e l’animo suo travagliato e stanco tornava subito alle mistiche
contemplazioni. Il processo fu dato alle stampe, ma a dispetto delle
ripetute alterazioni. Savonarola ue risultava sempre innocentissimo.
La Signoria tentò un secondo processo, e procedette con grandissima
fretta; ma vedendo che gli accresceva sempre maggior carico, rinunziò
a quel disegno, e invece dei 400 ducati promessi a ser Ceccone, non
volle dargliene che soli 30. — Frà Domenico da Pescia, sotto alla
tortin-a, era divenuto maggiore di se stesso. Frà Salvestro fece pessima
prova; benché piii tardi ritrovasse la calma; tradì il maestroe si sforzò
denigrarlo; e così fecero pure quasi tutti i frati di S. Marco, ad eccezione di frà Benedetto, i quali sci issero il 21 aprile al Borgia una lettera che è macchia incancellabile sulla loro fama. — Il papa instava
presso alla Signoria perchè gli dessero il Savonarola vivo nelle mani ;
ma la Signoria non lo poteva concedere, senza grave offesa alla dignità
della Repubblica. Quindi mandava due commissari apostolici, che
non vennero fino al 19 maggio, e con raffinata crudeltà imponeva al
vescovo dei Paganotti, amico e discepolo del Savonarola, che dovesse colle proprie mani degradarlo, per quindi consegnarlo al braccio
secolare. I commissari a]>ostolici venivano con ordine di far morire
il Yvaie, fosse pure un S. Giovanni Battista. Ai 20, frà Girolamo
subiva una terza e.samina e veniva ferocemente torturato. Chiesto
del Concilio che intendeva radunare, rispose che non aveva complici
e solo negl’ultimi tempi n’aveva parlato a qualcuno dei frati. Resi)inse l’accusa ch’egli aves.se abusato del confessionale per farsi rivelare i segreti di Stato. Dichiarò di aver negato il suo lume profetico solo per paura dei tormenti e smentì quanto aveva detto in
proposito. Negò ch’egli avesse voluto mai dividere la Chiesa di
Cristo. — Le varie esamino risnitaraiio tutte in favore del Savonarola
e dei suoi due compagni ; ma i commissari apostolici, Gioacchino
Turriano generale dei Domenicani e Francesco Remolino vescovo
d’Ilerda, e specialmente quest’ultimo, eran venuti “ portando già la
sentenza in petto: ” onde ai 22 d’aprile fu decisa la morte dei frati.
L’indomani, in mezzo a tristo e solenne silenzio, e trepidazione profonda di tutti gli astanti, le vittime dell’odio papale giunsero in
piazza. Con somma sua confusione, il vescovo di Vasona o dei Paganotti dovette degradare il suo maestro ; non aveva il coraggio di
alzare gli occhi; la voce gli tremava quando prese pel braccio il
Savonarola , “ e l’animo gli mancò per modo, che dimenticando la
consueta forinola, in luogo di separarlo solamente dalla chiesa militante. disse : Separo le al) Ecclesia militante atqnie triunphante. A
che il Savonarola, senza punto scompor.si, lo corresse dicendo : Militante, non triunphante : hoc ciiim tvnm non e.'it. E queste j'arole
fiu’ono pronunciate cun un accento che vibrò nell’aninia degl’astanti:
chiunque potette uflirlc ne serbò eterna ricordanza. ” Degradati e
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spogliati die furono, i tre frati in sola tonacella vennero ceduti al
braccio secolare e dai commissari apostolici udirono la sentenza che
li dichiaravano scismatici ed eretici. E singolare, osserva il nostro
autore, che dopo un processo politico si dovesse condannare il Savonarola, principalmente per la sentenza del papa ; ma pure è così.
Onde è forza conchiudere che le idee riformatrici del Frate fossero
un vero pericolo [ìer la Chiesa di Roma ; ima volta messi su quella
ì'ia male si poteva calcolare o prevedere dove s’andasse a parare. —
Qui lascieremo parlare il sig. Villari.
“ Frà Salvestro fu il primo cui venne ordinato di salire la scala
del su])plizio. Quando egli ebbe il laccio intorno al collo, nel momento
ste.5s0 in cui ricevette la fatale spinta, esclamò : In manus tuas,
Domine, commendo animam meam. Poco dopo, il boia, legato il
cadavere colla catena, andò subito dall’altro lato della croce (un palo
traversato iu cima da un altro), per far subire lo stesso supplizio a
irà Domenico. Il quale salì rapido, con un volto pieuo di sfieratiza
e quasi di gioia, come se andasse direttamente al cielo. — Quando
il Savonarola ebbe visto morire i due compagni, toccava a lui prendere quel posto che rimaneva ancora vuoto in mezzo ad essi. Egli
era così rapito ai piensieri d’un’altra vita, che quasi parea avesse già
abbandonata la terra. Ma ])ure, come fu in alto sulla croce, non si
potè trattenere dai volgere lo sguardo alla sottoposta moltitudine, e
gli parve che ad ognuno tardasse di vedere la morte sua. Oh! quanto
era diversa, da quei giorni nei quali pendeva estatica dalle sue labbra, in S. Maria del Fitu-e ! Ai piedi della croce, vide alcuni popolani colle torcie accese in mano, impazienti d’appiccare il fuoco. Allora,
subito, presentò il capo al boia. Il Silenzio fu in quel momento universale e terribile; un fremito d’orrore sembrò invadere quella moltitudine e quasi i monumenti stessi che circondavano la piazza. Pure,
non mancò chi fece udire la sua voce, gridando: “ Profeta! È venuto
il momento di fare il miracolo! ” Tutti gl’incidenti di quei giorno
sembravano destinati a rimanere incancellabili nella memoria, e ad
accrescere quel senso di misterioso terroi’e, che la moi'te del suo profeta doveva eternamente lasciare nel popolo di Firenze. — Il manigoldo, credendo di compiacere alla sfrenata plebaglia, cominciò a
buffoneggiare sul cadavere che ancora si dibatteva ; e nel ciò fare ,
))0C0 mancò non precipitasse dall’alto. Quest’osceno spettacolo mosse
sdegno ed orrore nell’animo di tutti ; tanto che i magistiati mandarono severamente a rimproverarne l’autore. Allora quegli volle darsi
una grandissima fretta, sperando così che le fiamme cominciassero
a bruciare il misero Frate, prima che fosse morto del tutto. Ma gli
cadde di mano la catena, e mentre la cercava per rimetterla, il Savonarola aveva già dato l’ultimo fiato. Erano le ore 10 antimeridiane
del giorno 23 di maggio 14!)8; moriva in età d’anni 45. ”
La Signoria, temendo che le ceneri potessero operare miracoli, le
fece raccogliere e dal Ponte Vecchio gettate in Arno. Le persecuzioni cominciate contro i Piagnoni, in ispecie contro i frati di San
l^iarcd, non sembrava che dovoHsero aver min fine. Persino contro la
11
Piagnona, o campana maggiore del convento, si fecero deliberazioni,
in numero di cinque; per aver sonato a martello il giorno dell’assalto,
essa venne esiliata da Firenze e portata sopra un carro, mentre il
boia la frustava.
Ora si domanderà: Savonarola era egli protestante ? — Noi posso
ammettere. Nel domma ei fu invariabilmente cattolico ; ne fanno
fede la decisione fav'orevole della Congregazione dell’indice (15.58),
la dichiarazione di Benedetto XIV che lo giudicò degno della beatificazione, e iniine l’essere le sue opere adottate come libri d’insegnamento nelle scuole cattoliche. Egli non mirò giammai a dividere
l’unità della Chiesa, anzi protestò cempre della sua sottomissione ad
essa, e disse più volte che il Signore non voleva mutar chiavi. La
stessa indeterminatezza delle sue idee, che avemmo occasione di
notare, può e deve attribuirsi in parte alla indeterminatezza del
domma cattolico, nou ancora fissato o petrificato dal Concilio Tridentino. Così mi spiego il colorito ])articolare con cui vestiva le celebri Meditazioni sul Salmo xxx c sul Miserere, da lui composte
nel carcere. Qual maraviglia, se in quell’ora suprema egli si affidava
tutto nel Signore e nei meriti di Lui ? Non per questo era egli arrivato alla coscienza del gran principio della Kiforma: la giustificazione per fede, indipendentemente dalle opere. Poiché nell’ultimo
suo scritto, intitolato Regola del hen vivere cristiano, lasciato per
ricordo al carceriere, egli dice : Il ben vivere dipende tutto dalla
grazia; onde bisogna forzarsi d’acquistarla ; ”— concetto che contraddice alla nozione fondamentate della grazia stessa. Fatte queste
debite riserve, bisogna riconoscere nel Savonarola uno spirito di
novità; un presentimento indefinito di un nuovo mondo, di una terra
sconosciuta, ma indovinata, — carattere che ho cercato di mettere
in luce, valendomi delle fotiche del sig. Villari. Il quale, nella sua
conclusione,, ha stabilito im bollissimo confronto tra il Savonarola
('d il Colombo, considerandoli come iniziatori della Rinascenza.
” Chiedere ad essi cosa vogliono, dove vanno, è stolto. Sanno solamente che camminano, sentono che nel loro cor.so si trascinano dietro
il mondo: null’altro.......Ambedue toccarono colla mano un mondo
imovo, senza poterne ancora conoscere l’immensità: l’uno ne fu
compen.sato colle catene, l’altro col rogo. ” — Intanto giova osservare
l’affinità .‘icgreta che congiunge l’of)era del Savonarola con quella dei
nostri riformatori ; è piir necessario ammetterla quando vediamo
Lutero e dietro lui molti protestanti dichiarare il frate Ferrarese
precursore della Piiforma. Per me, l’affinità di cui parlo consiste
nell’avere il Savonarola fetto appello alla coscienza contro le preten
I per questo
fecondato il suo principio. “ La sua opera, ” dice il sig. Villari, “ si
connette al Concilio ili Costanza, a Dante Alighieri ed Arnaldo da
Brescia, iniziando i]uella rifurma cattolica che fu l’eternet desiderio
(lei grandi Italiani. ” ]\Ia ipiesta è parte soltanto dcH’opera sua, la
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nieao fecotida, come d’altronde il nostro autore l’ha implicitamente
riconosciuto. Una riforma cattolica è più che mai improbabile, e se
in parte si attuasse non sarebbe che una mezza misura, un vano compromesso. La tentò il Concilio di Costanza, e fu chiamato conciliabolo ; la desiderò Dante Alighieri, e quando già posava nella
tomba, era ancor bersaglio dell'ira clericale ; la tentò Arnaldo e
periva sul rogo.
POIiEMICA
Lettera d'un corrispondente della Buona Novella al Redattore,
di (( Religiose e Patria ».
Palermo, 7 agosto 18til.
Reverendo Signore ,
Pubblicando neU’ultimo vostro foglio un reso-conto della prima conferenza ch'io ebbi con voi, avete provocato da parte mia una risposta, poiché
anche colla miglior volontà di essere verace, non poteva mancare che presentaste i fatti nel senso vostro.
Io non ho voluto pubblicare il primo una riga, intorno a tale argomento,
evitando in generale ciò che avrebbe un carattere provocatore, in nn tempo
sovratutto in cui le menti han bisogno supremo di essere condotte con
calma e perseveranza nel cammino della vii tù e della vera libertà. Vi dirò,
iu primo luogo, ch’io trovo un po’ strano, per non dir di più, il vostro modo
d'agire in questa circostanza.
Mi faceste proporre di avere seco voi una conversazione privata ; ed io
accettai con piacere, anzi lo desideravo; avendomi il giovane Z., nel quale
v’imbatteste qualche volta dal libraio N. N. riferito, da parte vostra, alcune parole che mi sembravano accennare a viste più larghe e più tolle
ranti di quelle, che al solito, abbiano corso in seno al clero cattolico. Il
detto giovane mi è testimone ch’io gli dissi, con tale intenzione bramare io
di fare la conoscenza d’un membro distinto del clero palermitano, del quale
avevo d’altronde sentito a parlare, come d'un amico della pubblica istruzione. Quando adunque, dopo avervi aspettato una o due volte invano, io
vi vidi entrare, in casa mia, iu compagnia di due vostri colleghi, io mi
rallegrai di essere, in tal guisa, posto in rapporto con sacerdoti palermitani,
probabilmente superiori ai pi-egiudizii del volgo, poiché non temevano di
aver che fare con un cristiano appai’tenente ad una denominazione diversa
della loro ; sì, io mi rallegrai pensando che farei la conoscenza di uomini,
coi quali, benché ognuno conservasse forse in punti secondarii la propria
opinione, potrei riscontrarmi sul terreno comune della carità cristiana e
cooperare iu quistioni di pubblica istruzione. Voi sapete, benché abbiate
trovato buono di ometterlo nel vostro reso-conto, che una delle prime
parole ch’io v’indirizzai fu questa : « Signori, se voi credete in G. Cristo
e l’amate come il vostro Salvatore, io riconosco in voi dei fratelli ». Credete forse, o signori, che, perchè altri considerano ogni ministro evangelico
come un lupo che debbono cacciar fuori dell’ovile, io sia ridotto a considerare ogni prete come un nemico, o tutta la ciurma di quelli che gridano
contro i preti come alleati '? Tutt'al contrario ; voi vi rammentate di certo
che io vi parlai dello spirito largo ed nmano del padre Piccard, benefattore
delle scuole di Friborgo, il quale, senza deporrc l'abito da monaco, nè di-
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partirsi dalla (.'hiesa di lloma, fu legato di stretta amicizia coH aniico del
padre mio, l’egregio pedagogo e pastore Navillo di Ginevra.
Quando dunque io mi vidi avanti a uomini i quali desideravano di fare
la mia conoscenza, non li trattai come esploratori d'un partito, venuti a
bella posta per tastarmi, ma come uomini co' quali avrei avuti rapporti
benevoli o cristiani.
Potevo io dunque credere che, scorso qualche mese, voi fare.ste un processo verbale dei nostri privati collo((uii':‘ Vero è che bentosto i miei amici
di qua mi misero in guardia, dicendomi, siate certo che quest'6 una visita
ufiSciale, e voi dovete più che sia po.ssibile evitare tali uomini ». lo stentai
accogliere un simile sospetto; ma quando seppi che correvano nella cittjk,
intorno alla nostra conferenza, le voci le più strambe : « ch'io, cioè m'ero
« dichiarato convinto, die ero disperato a tal segno da strapparmi i ca
« pelli, ecc..... » voi vi ricorderete che prima di entrare ip discorso la
seconda volta, io vi dissi : « Signori, .se ho da fare con uomini sinceri i
« quali intendano di cercare insieme con me la verità nella parola di Dio,
« mi stimerò sempre onorato dalle loro visite ; ma se venite qui per spar« gere poi sul conto mio voci assurde, non ho il menomo gusto di ripreu
« dere la discussione ». A ciò mi rispondeste essere voi atl'atto estranei a
tali false dicerie. Checcheuesia, la prima volta, essendo io del tutto spoglio
di qualunque pregiudizio, m’approfittai deH'occasiono per dirvi ciò che
vorrei ancor oggi ripetere con ogni serietà e .senza spirito di parte, meno
ancora con « livore » a ogni membro sincero del numeroso clero di Sicilia:
« io credo che il clero possa fare adesso, in questo bel paese, molto più di
« quello che non abbia fatto in passato per la istruzione popolare ». Ho io
infatti bisogno di lunghe inchieste per .sapere 'che iu numero.si villaggi nou
v’ò scuola primaria accessibile a tutti? Ilo io da essere tacciato da calunniatore^ per aver asserito ciò chc tutti sanno, ciocche in tutte le parrocchie
v’è una grandissima maggioranza d’individui che non sanno nemmeno leggere? Chiamasi questo sprezzar un popolo libero o un uomo libero, l'additargli coD franchezza le lacune osservate nella sua vita sociale, perchè si ha
piena fiducia che nella sua energia e nella libertà acquistata, egli saprà trovar
raezti più atti a ricolmarle ? Io credo che sia questo un segno di rispetto
anziché di sprezzo, chè così fanno l’uno verso l’altro gli uomini che si
stimano. Venimmo a ragionare della parola di Dio, ed io afi'ermai che generalmente voi la leggete nello traduzioni c non nel testo originale; a che
il Padre Romano avendo risposto: « anche noi sappiamo il greco e l’ebraico»
(cioè una parte del clero), io ripresi; « allora ho oggi miglior fortuna che
non un giorno » (questo in Piemonte, nella città d'Aosta), dove un giovano
prete nel quale m'imbattei « mi negò in faccia che il Nuovo Testamento
fosse stato scritto in greco ». Posso io ignorare, o potete voi negare che la
gran maggioranza dei membri del clero romano sia in Francia, sia in Italia
non leggono mai la Parola di Dio nella lingua originalo, perchè ossi non
sanno nè il greco nè l'ebraico ?
Non so se fate eccezioni a questa regola, ma certo è che, se avete acquistata la conoscenza di queste lingue, non no avete fatto uso nel vostro
scritto contro di me, od eccone la prova: L’Evangelio c’insegna non già
ad invocare, ma a venerare la vergine Maria, come madi-e del nostro Salvatore, ed a chiamarla beata; ma in nes.suna parte egli dice ch'essa si
« creò madre » come voi pretendete insegnarmelo con un tal quale sprezzo
per la mia madornale ignoranza. Ora come giunsero i dottori cattolici a
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così strano concetto ? Essenzialmente per una fortuita coinoideuza dt-lla
versione latina.
A capo della Genesi sta scritto, che nel principio Dio disse: « siala luce
e la luce fu ; » chiunque che conosce l’ebraico sa che questo « sia » (iehi),
è un sublime imperativo, di colui che chiama, come dico S. Paolo, le cose
ehe non sono, come se fossero-(E,om. iv, 17) (Salmo xxxiii, 9, vedi anche
il iehi nel vers. 14 del 1“ della Genesi). La Volgata, ossia traduzione
latina che voi leggete, traduce non « esto lux, » o « sit lux, » ma « fiat
lux ». Ora nella storia della visita dell’angelo Gabriele alla vergine Maria,
quando questi le ebbe partecipato ¡1 grande messaggio ; « Lo Spirito Santo
verrà sopra te, e la virtù deH'Altissiino ti adombrerà » (S. Luca i., 35), la
Vergine rispose all’angolo con un’ammirabile ubbidienza e una piena fede
alla parola di Dio, per la quale anche Elisabetta la dichiarò beata (r, 45):
« Ecco la serva del Signore, siami fatto secondo le tue parole ». Il testo
greco ha l’ottativo dell’aoristo secondo yévoiró fwi, che esprime un desiderio modesto, un umile acconsentimento, e non corrisponde del tutto al
vostro strano concetto : « essa si creò madre ». ila ecco ciò che v’ò accaduto
trovando nella Volgata che l’espressione « mi sia fatto » è resa « fiat, »
subito vi è venuto in mente il « fi.\t lux; » ed avete cercato in queste
parole non so quale mistero, dichiarando che contenevano qualchecdsa di
creatore, come lo fece nel Belgio il famoso abate Combalot, in una sua
predica ; mentre un lettore spregiudicato non saprebbe trovarvi se non la
sublime espressione per parte di Maria, della sua umiltà, della sua fede e
deH’intiera sua consecrazione a Dio.
Passando osserverò che in conseguenza della stessa abitudine di non
leggere mai il testo originale, un vostro collega, il padre Greina, avendo
nel suo scritto destinato a confutare il mio sull'argomento della confessione,
contrariamente a tutte le regole della grammatica greca; tradotto il versetto
20 del cap. v, della 2“' ai Cor. non già, come lo richiede il testo ; « noi vi
esortiamo nel nome di Cristo, siate riconciliati con Dio » ((.araXXavìjrt toì
ma « riconciliatevi con Dio, » trionfa poi nel suo massiccio errore di
traduzione, e prosegue dicendo : « questo sia detto per incidenza, e per
dare a voi ed a’ cattolici una lezione sulla mala fede, con cui i vostri contorcono il senso delle Scritture » (p. 40).
Potrei ora riprendere ad una ad una le vostre asserzioni colle quali cercate di persuadere, (sembrate credere voi e gli altri) essere io un uomo di
un’ignoranza da far compassione. Che le ninfe e naiade ecc... sieno state
conosciutissime nella mitologia di quest’isola, tanto celebrata dai poeti antichi, lo testifica il dotto Scina’ nella sua Storia ìctteraria di Sicilia :
« Sparsi per gli campi... cantavano i Sicoli... e gli Elioni; e non vedeano,
« secondo la religione de’ tempi, e le loro vecchie tradizioni, ne' monti, nei
« fiumi, nelle selve delle nostre campagne, che genii e maraviglie ; » aggiunge citando Teocrito ; « Le querele, che nascono lungo le sponde del
« fiume Imera, furon tocche dalle lagrime di Dafni......... per la ninfa
« Henea s. Per poi provarvi che l’asserto mio non era tanto degno del
dottore Tamponnet, vi citerò l’illustre vostro poeta siciliano Teocrito che
nelle sue poesie bucoliche (viii, 93) parla delle naiadi dicendo : vv^<j>rì nc
ola vaie. Ma lasciamo la mitologia; volesse Iddio che vedessimo anche
sparir dal culto tutto ciò ehe si avvicina al paganesimo ! Siamo di buon
conto; non nego che voi, o signore, sappiate fare la differenza tra diversi
gradi d’adorazione, ma iu primo luogo questo ò il frutto della coltura ,
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mentre per il volgo esiste il pencolo del più grossoluno materialismo, il
quale, colle sue processioni, colle sue immagini d'oro, d'argento o di marmo,
introduce nel culto stesso quella cupidigia degli occhi della quale S. Giovanni diceva ch’essa non viene da Dio ma dal mondo (1 di S. Giov. ii, Ì0).
Ma nemmeno per l’uomo colto, che sa fare la sottile distinzione tra culto di
latria, di dulia e d’iperdulia, o tra adorazione diretta e indiretta, credo che
sia senza pericolo di mettersi in contraddizione colla leggo divina. Dio
aveva provveduto a quelle distinzioni, dando al popolo suo, oltre il primo,
un secondo comandamento contro l'idolatria ; ma la Chiesa romana ha
trovato più comodo di toglierlo e di falsificare il decalogo. Questo fatto non
m’aveva mai tanto colpito, quanto l’altro giorno, leggendo il decalogo in
uu catechismo romano. Jlettiamolo in confronto colla Bibbia.
Avevo preso a caso il catechismo dei Padri dell'Oratorio .stampato qui
nell’anno 1840.
D, Ditemi questi dieci comandamenti.
li. 1. Io sono il Signore Dio tuo, tu non avrai altro Dio avanti di me.
•2. Nou nominare il nome del Signore Dio tuo invano.
3. Ricordati di santificare le feste.
4. Onora il padre e la madre.
.5. Non animazzai-e.
fi. Non fornicare.
7. Non rubare.
8. Non dire falso testimonio.
[I. Non desiderare la donna altrui.
10. Non desiderare la roba altrui.
Chiunque leggerà questo sunto, rimarrà sorpreso nel vedere diviso in
due il comandamento che si riferi.sce alla concupiscenza; e se allora, venendogli l'idea d'interrogare in -proposito la parola di Dio, che si compra
oggi dappertutto, egli avrà trovato che quei due comandamenti non sono
due, e non debbono assolutamente essere divisi, come si può facilmente dedurre dal testo (E.sodo xx, 17) : « Non concupire la casa del tuo prossimo,
non concupir la moglie del tuo prossimo, nè il suo servo, nè la sua serva,
nè il suo bue, nè il suo asino, nè cosa alcuna che sia del tuo prossimo... »
Donde, si domanderà egli, questa impossibile divisione, che, omettendo la
prima proposizione intorno alla ca.sa, salta alla seconda, e poi unisce la
prima e la terza ?
Ed egli non tarderà, dopo un poco di riflessione, di trovar questo, perchè
importava sommamente alla Chiesa romana lasciando che i comandamenti
fossero dicci, di far sparire il secondo così concepito : « Non farti scultura
alcuna, nè immagine alcuna di cosa che .sia in cielo di sopra, nè in terra
di sotto, nè nelle acque di sotto alla terra ».
« Non adorar quelle cose e non render loro culto, y> come traduce il vescovo Martini. Dirà bensì in appresso il catechismo, che importa non rendere a Dio un culto superstizioso; il secondo comandamento rimane tolto,
e la gioventù l’ignorerà per tutta la sua vita. Che poi il pericolo di adorare
le reliquie o le immagini non sia un fantasma della mia immaginazione, ma
un reale pericolo, che conduce il ceto pensante all’incredulità ed il popolo
al materialismo, se ne giudichi non solo dalle cerimonie e dalle feste cattoliche, ma per esempio da ciò che fa il capo visibile della Chiesa romana, il
papa, ogni venerdì santo nella cappella Sistina, davanti al preteso legno
della croce, quando si ripete il : « venite adoremus ».
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Ohe la tradizione storica dui grimi secoli s’accordi in questo punto colla
parola di Dio, lo dimostra l’indegnazione ch’esternò S. Epifanio quando
trovo un’immagine all’entrata della chiesa d’Anablata, strappandola immediatamente e mandando poi un altro velo alla detta chiesa, come si trova
narrato nel secondo tomo delle epistole di S. Girolamo.
Ma non è mio intendimento di entrare sul terreno della tradizione, a che
mi avete esortato, e ciò non già per avere il diritto di rimandarvi l'esortazione d’accostarvi più unicamente alla parola di Dio, ma perchè la tradi
zione nel senso generale deve essere trattata come una ben conosciuta ingannatrice, come mi propongo di dimostrarlo nella prossima mia lettera.
Non parlerò nemmeno oggi dell’anatema di Ai-io, nè del Concilio di Calcedonia, ma osserverò che mi pare cosa poco degna di voi il cercare a
rendere ridicolo l’affetto o la stima che taluno dei miei concittadini ha
potuto dimostrarmi, o di dare ad intendere ch’io mi stimi di essere qualche
gran co.sa. Fin qui lei ed io ci eravamo mantenuti sopra un terreno più
degno di ambedue; restiamoci • grande è la verità, ridicola la supestizione,
e odiosa la bugia. In quanto alle nostre persone esse sono fuor di quistione;
e poco dovrebb^e importarci di essere giudicati in un modo o nell altro dagli
uomini, i quali così nella lode come nel biasimo sono, generalmente parlando, giudici male informati. G. A.
NOTIZIE RELIGIOSE
Firenze — Le Inujie hanno le gainhc corte 1 — Il seguente fatto leggesi
in un giornale fiorentino : « A S. Piero a Sieve, mori la moglie del cav.
Elio Adami, ed essendo, per nascita protestante, il preposto nou potè r«a«giare alle spalle di questa morta. — Indispettito forse di questo, si messe
a predicare nel suddetto Borgo e ai contadini più prossimi dicendo varie
strampalaterie e fra le tante disse — che essa era morta come i dannali, —
non sentite, alla Chiesa non suona neppure la campana, essa va al diavolo,
e non può avere terra che la sotterri, ecc. — che lungo troppo sarebbe il
dirle tutte. Ne seguì una grande dicerìa nel Borgo e tutti si maravigliarono,
ma non mancò qualche bravo popolano di persuadere qualcuno che il preposto le diceva grosse, e glielo fecero toccar con mano. La morta fu trasportata a Firenze, e una società di circa 50 popolani di varie età e condizioni volle seguire il feretro. x\rrivati a Firenze al camposanto fuori la
Porta a Pinti, videro un apparato funebre che nc rimasero sorpresi; assisterono (col permesso del sig. Adami) all’orazione funebre nel suddetto
camposanto, e rimasero edificati al vedere con quanta religione fosse fatta
quella pia funzione.
« Tornati a casa poterono dire ai compatriotti, quanto meritavano di
esser credute le maliziose insinuazioni del preposto. Dopo che furono tornati il preposto non sapendo cosa fare per mettere scandali, ha detto che
se non faranno una confessione generale non si possono salvare. Fortuna
che non son più i tempi che Berta filava ! »
Woigt Giovanni gerente
TORINO — Tipografla CLAnT>IAN.\, diretta da U. Tforobetla.