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Spett.,
biblioieca valdese
“^ORRB PBLLICE
Torino)
DELLE VALLI VALDESI
Settimanale
della Chiesa Valdese
Anno XCI — Num. 3 Una copia Lire 30 ABBONAMENTI Eco: L. 1.300 per l’interno L. 1.800 per l’eatero Eco e La Luce: L. 2.000 L. 2J00 per l’interno per Testerò Spediz. abb. postale - I Gmppo Cambio d’indirizzo Lira 50 1 TORRE PELLICE — 20 Ciennaio IBbl I Ammin. Claudiana Torre Pellice - C.CJ*. 2-17557 |
L’uomo sotto vetro?
Un esperimento scientifico, condotto in un laboratorio bolognese, e ora
reso noto al pubblico dal Paese sera di-Roma, Ifà suscitato vive reazioni in
Italia e all’estero: è stata raggiunta la fecondazicme dell’ovulo femminile
umano ct)*i il seme maschile umano, fuori dell’uomo, «in vitro». Veramente,"^ lato sensazionale dell’esperimento è stato in seguito un po’ sminuito dalla precisazione che tale risultato era già stato conseguito nel 194t
in un laboratorio della Columbia University; ciò che vi è di nuovo — e non
è poco — è l’esser riusciti a mantenere in vita per 29 giorni l’embrione
sviluppatosi, cioè fino al limite oltre cui, come ha affermato il grande bio
logo Jean Rostand, « non è possibile prolungare lo sviluppo e la vita del1 embrione nato ’in vitro’ con i- mezzi di cui la scienza dispone attualmente »; e novità è pure Tesser riusciti a fotografare tutto il processo
di sviluppo. Questi risultati, già raggiunti da alcuni mesi, non erano
stati finora resi di pubblica ragione;
la loro divulgazione è ora avvenuta
inserendola in una campagna « materialislica », die ha suscitato violente polemi<-lie. E’ indubbio, comunque, che al di là
del orohlema scientifico si tratta di un
problema umano, e quindi morale.
E’ forse utile, prima di esaminare le diverse reazioni, ascoltare la dichiarazione
che, di Ironte ad esse, il prof. Petrucci —
autore con alcuni assistenti dell’esperimenlo in questione — ha rilasciato all’AlNSA; egli ha detto fra l’altro: «Lo
scopo ilelle ricerche era di indagare se
una soluzione poteva essere data al problema chirurgico degli innesti eterologhi.
Tanto più la chirurgia futura potrà essere
giovevole quanto più largamente potrà disporre di lessuli sani, adatti a integrare o
a sostituire quelli malati o mal formali o
mal guariti. Poiché l’imitazione della naUira è tanto più perfetta quanto più né
afferriamo l’intimo meccanismo, siamo risaliti ab ovo a quell’incredibile innesto
che è Tubertoso incontro diametrale di
due diverse entità di diverso sesso. Servendoci di parti lecitamente perdute, ma
ancora vitali del corpo umano, ne abbiamo realizzato l’incontro funzionale documentandolo. In questa prima parte del nostro cammino ci siamo accorti che ciò che
avevamo visto e realizzato poteva avere
contemporaneamente utilizzazione nel campo medico-legale e canonico-religioso per
la documentazione della sterilità maschile,
della attualità e della potenzialità della
differenziazione dei sessi. 11 che è stato
ufficialmente comunicato al congresso nazionale di medicina legale del 15 ottobre
I960 a Bologna ».
Vediamo ora le reazioni.
Anzitutto, dal punto di vista scientifico.
Scienziati italiani e stranieri, cattolici e
agnoslit-i hanno espresso ampie riserve sulreffeltiva portata scientifica, per varie ragioni : 1) non si tratta di una novità assoluta : tuttavia per la prima volta l’embrione è stato conservalo così lungamente in
vita e sviluppo: 2) non appaiono possibilità di superare il limite raggiunto, allo
stato attuale; niente vieta tuttavia di pensare che tali possibilità possano risultare
un giorno; 3) non si può pensare che il
« vetro » possa sostituire il grembo materno: l’unione psicofisica fra il feto e la
madre, durante nove mesi — largamente
provala anche nel suo aspetto psichico —
non può certo essere sostituita dal gelido
trattamento sotto vetro; i « figli delle provette » presenterebliero delle tremende in<ognite, la possibilità di mostruose deformazioni.
Veniamo alle reazioni politiche. 11 Paese
sera, quotidiano romano di sinistra, aveva
presentalo ravvenimento con grande rilievo, su tutta la prima pagina; e l’indomani L’Unità, pur mantenendosi sobria
onde evitare l’accusa di propaganda atea
( passibile di pena, nel nostro paese in cui
c’è libertà di pensiero, di propaganda,
ecc.l, ha dichiarato: «Si è riusciti a penetrare le barriere che il sapere aveva finora eretto come propri limiti e a scomodare pregiudizi e superstizioni vecchi di
secoli ». L^Avanli! ha pubblicato — significativo commento — un brano di un romanzo nrofetico di A. Huxley, Il mondo
nuovo, .in cui si descrive la gelida e allucinante atmosfera di un’aula universitaria
ove si insegna a praticare la fecondazione
artificiale. 1 neofascisti hanno insistilo sul
patetico lacrimando sugli uomini del futuro che « nei momenti di gioia e di sconforto, non avranno al loro fianco una madre, polendo solo guardare una fialetta »,
mentre l’organo monarchico napoletano,
notando con viva penetrazione che scientificamente non c’è differenza fra l’uomo
e il coniglio, afferma che non valeva proprio la pena di sperimentare per l’uomo
(niello che era già benissimo riuscito con
i conigli. Il Popolo, pur non negando la
importanza e per certi aspetti l’utilità delle ricerche bolognesi, riecheggia la netta
presa di posizione delTO.sserua/ore romano, in cui si pone il problema giuridicomorale, oltre che religioso della liceità
deirinterrnzione di una vita iniziata; e
soprattutto si stigmatizza la montatura politiija materialistica elevata su tale esperimento scientifico.
Da quanto pre^^ede appare come i giudizi politici più géri sono di carattere morale: la perplessità angosciosa di fronte
alla possibilità, più o meno remota, ma
reale,, che si giunga a suscitare vite mostruose, sorte fuori dell’ambito naturale
che non solo la rivelazione biblica, ma
la scienza stessa preoccupata dell’uomo
intero affermano necessario. L’Osserrotore
romano, in un’ampia e recisa nota redazionale, si richiama alle ripetute dichiarazioni di Pio XII e Giovanni XXIII che
condannano esplicitamente la fecondazione artificiale, e anche gli esperimenti ’in
vitro’ come « immorali e assolutamente illeciti »; il quotidiano vaticano polemizza
con la campagna di stampa di « un noto
settore»: «Che cosa si intende affermare?
Il mistero dei misteri, cioè il mistero dell’origine della vita rimarrebbe — anche
dopo qualsiasi esperienza disumana — impenetralo e impenetrabile, fuori della Causa prima della vita stessa. Causa necessariamente increata ed eterna: Dio. Il dato
religioso non .si sopprime. Far funzionare
le cause seconde fuori delle condizioni di
natura è se mai atto da giudicarsi sul piano morale, prima che su quello meccanicoscientifico (...) INon c’è da esultare, da
rallegrarsi all’ipotesi che sia possibile all’uomo deviare sacrilegamente dal solco
di natura — che è il solco di Dio — le
forze destinale al fine, quasi divino, della
creazione d’altre vile umane ».
Qual’è la nostra reazione? (Esprimiamo
un parere personale, e sarebbe interessante
l’intervento di lettori). Essa si muove su
due linee. Da una parte condividiamo, nà-’
ruralmente, la convinzione di quanti affermano che Un eventuale « uomo di provetta » non sarebbe realmente un uomo —
l’tiomo come Dio l’ha voluto: il messaggio della Genesi annuncia che l’uomo non
è il prodotto di operazioni tecniche ma il
frutto che l’amore creatore dell’Eterno offre al mutuo dono d’amore dell’uomo e
della donna ; il misterioso dono della vita
si radica — per quanto distorto possa essere nell’attuale situazione di maledizione
e di travaglio — nel dono dell’amore ;
quand’anche le provette producessero dei
robot di carne perfetti, sarebbero pur sempre delle caricature d’uomo — tragiche,
forse. (Da questo punto di vista ci paiono
del lutto inconsistenti le accuse di empia
« interruzione di vita » rivolte da parte
cattolica).
D’altra parte non ci sentiamo di far nostro il pur premuroso paternalismo cattolico che di fronte alla libera ricerca scientifica proclama il « non li è lecito »; per
chè, allora, non è stato chiaramente affermato di fronte alla, prima fissione nucleare? si ritorna — amdjc se la Chiesa romana non ha più la potenza scomunicante
di allora — ai tempii della lotta di Galileo. .A noi pare eberU « non li è lecito »
della Parola di Dio non andasse rivolto
agli esperimenti nucleari, ma aU’applicazione violenta c bellica dell’energia nucleare; e COKI ora il «non ti è lecito»
della fede < non della filosofia tomistica
della Causa prima imireatg) non si può
rivolgere all esperimento bolognese, ma a
sue possibili, lui lire mostruose applicazioni: si freme inlatli al pensiero di quel che
un’eventuale capacita di « produrre » uomini in sene e su misura notrebbe diventare nelle mani di un nuovo nazismo! Al
di fuori di inibiziont religiose imposte (abbiamo letto con vergogna la nota di un
commenlalore: «(.li,«tessi organi politici
non osano dare araade rilievo alla notizia»), e da tendenziose propagande poliliihe (è caraneristico, che i socialisti non
abbiano fallo coro Con 1 esultanza materiali.stica de L Un ia). rovinose quanto i
tabù religiosi ner la liberta della ricerca
scientifica, allemliamo da esperti onesti
che ci venga dello in- che misura l’esperimento è o non e utile al complesso delle
ricen-he biologiche e mediche. L’aperta e
netta protesta, crisuanamente, ci pare dovrebbe cominciare solo nel caso — per ora
assai improbabile - s «he si prospetti ravviamento di una produzione di «uomini
di provetta ». La vigilanza, certo, s’impone, perchè quando fu nrodotta la prima
fissione nucleare iiuasi nessuno pensava
realmente alla possibilità della bomba atomica; ma noi mi Hiroshima e Nagasaki
l’hanno buttata.
Un’ultima cosa vorremmo rilevare, e ce
ne porge lo spunto C. Jemolo che su
La Stampa 117 g< iiiis) dedica un articolo
a «La debole leiic». in cui scrive fra
l’altro: «Deboli lc<b quelle che temono
che tutto 1 edificio r^gioso possa crollare
ove s’infici un miei lutazione contingente,
connessa au un cend^ stadio del sapere^-di
quella che sarebbe stata l’opera divina nella creazione, della parte assegnata all’uomo e ch’egli non potrebbe superare ». Di
fronte aH’uomo, e alla perenne sua tentazione di farsi Dio (gli scienziati in modo
scientifico, gli atei in modo ateo... i religiosi in modo religioso!) la'Parola eterna
di Dio, creatrice di vita, continua a risuonare, e a suscitare il canto della fede,
fiducioso e adorante:
Un centenariQ : 21 gennaio 1561
IL GIURAMENTO
del Podio di Bobbio
Nell’autunno 1560, com’è noto, si era
iniziata la repressione armata dei Val
desi delle Valli, segnatamente quelli
di Angrogna, che era allora il centro
sociale e religioso della dissidenzà.
Il Conte della Trinità, arrivato a
Torre Pellice il 1® novembre con qualche migliaio di soldati, aveva cominciato per ordine della corte una serie
di azioni tendenti a far cedere i Valdesi e ad arrenderli al cattolicesimo
con le armi. Era la prima persecuzione organizzata e condotta, oltreché
per il movente delle confische che
sempre seguivano le azioni contro gli
eretici, con l’intenzione di liberare il
Piemonte dalla minoranza valdese.
I Valdesi, che durante gli anni dell’occupazione francese (1536-59) avevano visto sminuire l’autorità dei loro diretti signori locali e ne avevano
approfittato per consolidare le loro
autonomie comunali, si erano fin dal
1555 costituiti in parrocchie regolari
ed avevano costruito i loro templi.
Cose che avevano ovviamente provocato la reazione degli ambienti ecclesiastici e di corte.
Le azioni di guerra del tardo autunno 1560 si erano risolte più che altro
in spedizioni punitive e scorrerie a
danno dei Valdesi della collina di
Torre e dela bassa Val Angrogna, con •
saccheggio dei villaggi: allora il saccheggio era un metodo ordinario di
guerra, e la penuria delle casse ducali spinse anche il conte della Trinità
a chiedere ai Valdesi un’imposizione
di guerra di 20.000 scudi (ridotta poi
a ottomila): sicché, oltre, a subire i
danni della guerra, quei poveri dia\oli dovevano anche pagarne le spese!
Nel corso delle trattative ete : si
svolsero in novembre, i Valdesi inviarono, su consiglio del Trinità, trentaquattro loro delegati a Vercelli, ove
era la Corte; colà essi furono abilmente raggirati e addirittura indotti
ad abiurare. « L’abiura non fu completamente sincera », scrive lo storico cattolico De limone ; e non é difficile credergli!
]0 Eterno, Signor nostro,
<pianto è magnifico il tuo nome in tutta la terra!
QuaiwTio considero i tuoi cieli, opera delle tue dila,
Ja fiuna e le stelle che tu hai disposte....
che cos’è Vuomo che tu nabhia memoria,
a il figliai dell’uomo che tu te ne prenda cura?
Eppure tu l’hai fatto poco minor di Dio,
e l’hai coronato di gloria e d’onore.
Tu l’hai fatto signoreggiare sulle opere delle tue mani.......
O Eterno, Signor nostro,
quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra! t dal Salmo 8)
Gino Conti-;
La Chiesa di Viiiasecca
Storia e vita di una delle parrocchie più sparse delle Valli
La parrocchia di Villasecca, che porta il nome del villaggio posto sulle pendici delTIndiritto della Val Germanasca e in cui è stato costruito l’antico- tempio nel 1556,
comprende, in realtà una zona assai più vasta sui due
fiainchi della valle.
Salendo da Pomaretto verso Perrero e Prali il confine
è segnato dal primo ponte che taglia il torrente: il ponte
Battrel, confina con Po-maretto, poi con Pramollo sul Lazará, con Angrogna sulla cresta del Gran Truc fino al
Roux, con Prali dal Roux alla porta di Cialancia e di qui
con Perrero lungo il torrente di Faetto e poi su di una
linea piuttosto tortuosa che sale da sopra le case dei Tross’.eri, sulla strada di Perrero, fino alla cresta che separa.
S. Martino da Bovile.
Naturalmente, siccome le zone più alte non sono abitate che saltuariamente d’estate, ir. pratica le borgate de
gli 8 quartieri seno costruite su di una superficie meno
estesa, sufficentemente vasta per farne però una delle Par
roochie più sparse delle Valli.
A Sud del torrente (inverso) abbiamo il quartiere di.
Albarea che comprende le borgate di Albarea e Olivieri
ed i casolari dell’Airetta, fra ICCO e 12C0 metri di altitudi- ;.ne. Attraversata la Clumbc Eicuro si giunge in quel di
Co-mbagarino, c’rca alla stessa altezza, il cui quartiere |
comprende anche le- case delTArvuro (chissà perchè indi- f
cato sulle carte con nome di Rivoira). A Combagarino vi
è l’antica cappella già esistente nel 1682 e ricostruita d(ypo
il rimpatrio (sul pulpito vi è la data del 1711). Essa è l’unico locale di culto della Chiesa Valdese su cui è segnato
un motto non biblico, ma tratto dalla sapienza popolare.
Esso suona così «Hama Dio e — non falire fa — pure Linsardo sulla cui scuoletta leggiamo una lapide che ne
bene e lasi — a dire. Amen — L’an 1740 ». ricorda il donatore « Le général anglais Beckwith », e più
Oltre Combagarino (situato su di un dosso) si apre il in basso il quartiere di Pian Paetto comprendente anche
vallone del Rio Claretto che comprende i gruppi di case la Maizetta ed il Serre Giors.
del Bameo, Marcou, Peyroneo, Trussan e casolari sparsi All’indiritto abbiamo invece il quartiere di Chiotti, ccm
che costituiscono il quartiere del Trussan. situato sui 900 prendente ora anche-da zona di Bastia che si scorge
metri. E’ questo il regno dei Péyronel ; infatti chi non destra in alto, sopra a quel salto di rocce che sembra sbarporta questo nome è di sicura importazione nella zona! rare la valle appena passato il ponte Battrel. E’ il quarOltre il rio una vasta zona boscosa in alto e di pascoli e tiere più vasto e più pojwlato, dato anche che si trova
campi più in basso porta fino alla cresta che immette nel sulla carrozzabile di Prali sui cui bordo sono costruiti i
vallone di Paetto dove troviamo in alto (KMXl-llOO mt.) le villaggi di Chiotti Inferiori, Chiotti Superiori dove si troborgate di Roccia, Linsardo, Crò formanti il quartiere del - (continua in 4- pagina)
Che succedeva infanto alle Valli?
In attesa che rientrassero i delegati
da Vercelli, per disposizione ducale
furono convocati il 22 gennaio le assemblee dei capifamiglia dei vari comuni, in presenza dei podestà (ufficiali giudiziari) «per sapere chi voleva accettare l’aggiustamento et abiurare l’heresia, e- chi reterebbe nell’ostinatione », racconta il priore Rorengo.
Che cosa poi sarebbe successo a chi
non accettasse « l’aggiustamento » e
restasse « nell’ostinazione », ce lo spiega lo storico valdese Lentolo, testimone dei fatti : « sarebbe messo nelle
mani della giustizia per essere condannato al fuogo o esser mandato in
galea per sempre ». Cose che^ pensiamo sarebbero successe, perché ben si
conosce dalla storia quanto fe®se apprezzata la forza purificatrice del
« fuogo » o quella persuasiva delle
« galee » nei riguardi degli eretici impenitenti.
Come si regolarono i Valdesi davanti a simile alternativa? Scartata
l’ipotesi dell’abiura, bisognava preve^
dere una reazione e provvedere di
conseguenza. _ .
Logico quindi cercare aiuto e solidarietà. La Val Chisone, appartenente
al Delfinato, ma quasi integralmente
valdese, poteva in quel momento particolare prestare aiuto, o anche averne bisogno, dati i tempi minacciosi
per i riformati francesi.
Fu quindi inviata un’ambasciata in
quella valle, e «renouvellée et derechef jurée la très ancienne union,
qui avait toujours continue de pére
en fils entre les Vallées Vaudoises du
Dauphiné et du Piémont»' (così il
--Gilles ).;> e p<»»i- deputati- .dell^ Val
Chisone, accompagnando quelli Vaidesi nella via del ritorno attraverso
il coUe Giuliano (era il 21 gennaio!)
« descendirent et logèrent ce soir là
au Puy de Bobi, où grand nombre de
peuple ayant su leur arrivée, les alla
trouver, leur racontant comme tous
les chefs de maisons avaient assignation au conseil ¡général le lendemain,
pour savoir ceux qui voudraient aller
i la messe ou non ».
Era un momento drammatico. « Il
popolo era ridotto a tale estremità _ o
di morire o di fugire o di rinegar Giesù Cristo. La fuga parea bene essere
il mezo più espediente, se le gran nevi non l’havessero del tutto impedita Il popolo adunque congregato veggendosi in simile necessità, consentì
assai volentieri alla cpnfederatione ».
Fu allora che « tous jurèrent la
main levée au ciel », quel patto d’unione che ha, tra l’altro anche una
notevole importanza storica, e che intanto metteva al di sopra dei confini
nazionali l’unione dei credenti nella
stessa fede. Le parole del giuramento
sono riportate dal Gilles _nej modo
seguente : « Ils ne consentiraient jamais à la religion du pape, ains persévéreraient tous jusqu’à la fin en leur
vraye et ancienne religion selon la
parole de Dieu, et pour la défence
d’icelle un chacun employerait ce
qui serait en son pouvoir, et serait
toujours prest à secourir par ce moyen-là les frères qui pour telle cause
en auraient besoin ».
Corne si vede, il testo datoci dallo
storico valdese non è nella forma diretta, e non sappiamo la formulazione esatta del giuramento. Interessante pertanto riferire anche il testo
come fu presentato da N. Weiss, segretario della Società storica del Protestantesimo Francese (cfr. Bull. Soc.
Hist Vaud., 1890, p. 81), ina non sappiamo su quali documenti:
« Au nom des Eglises Vaudoises des
Alpes, du Dauphiné et du Piémont,
qui ont toujours été unies et dont
nous sommes les représentants, npus
promettons ici, la main sur la Bible
et devant Dieu, que toutes nos vallées se soutiendront courageusement
les unes les autres pour le fait^de la
religion, sans piéjudice de l’obéissan
1 due à leurs légitimes supérieurs.
Nous promettons de maintenir la Bible entière et sans mélange, selon l’usage de la vraie Eglise_ apostolique,
persévérant en cette sainte religion,
fût-ce àu péril de notre vie, afin de
pouvoir la laisser à nos enfante, intacte et pure comme nous l’avons reçue de nos pères. Nous^ promettons
aide et secours à nos frères persécutés, ne regardant pas à nos intérêts
propres, mais à la cause commune,
sans nous attendre aux hommes, mais
à Dieu ».
Questa formulazione, come si riccirda, è stata da qualcuno proposta in
(continua in 4" pag.)
Augusto Armand Hugon
2
-'Vrii' ■'.•.--ì^v,' •
9^*
.iisaS
L’ECO DELLE STAILI VALDESI
20 gennaio 1961
_.3l
Dans les Egliseê^è^j^^:^^0ur^ Vunité
Etés-vouis du nombre de ceux qui, en
priant pour l’unité cbrétiénne, ne peuvent
se défendre d’un certain scepticisme? N’en
ayez pas honte. Parniri les gens les plus
réfléchis il en est dont c’est aussi le cas.
Pourquoi cela? Parce que plus nous entendons parler du mouvement oecuménique, plus on se préoccupe de réunir les
Eglises, plus on nous dit que les divisions
sont le fruit du péché, moins nous sommes certains de ce qu’est la véritable unité. Tandis qu’un nombre croissant d’E^ises lémoi^ént de leur enthousiasme otecuméhique pour l’unité chrétienne — ' tout
en restant séparées l’honnête homme
se rend ctempte qu’U existé beaucoup de
conceptions différentes de ce qu’est, ou
devrait être, l’unité chrétienne. En homme intégré il veut être fidèle à sa propre
Egl’se, à sa propre tradition. Eu homme
pieux, il veut prier pour l’unité chrétienne. n se sent écartelé entre ces deux attitudes. C’est pourquoi il est en proie au
doute, quand il lu-ie pour l’unité, et un
sentiment de culpabilité l’envahît.
Mais cela ne devrait pas être. On peut
être à la fois honnête et pieux en priant
pour l’unité chrétienne. On peut même
dire que s’il en est autrement, c’est qu’on
ne prie pas comme il convient pour l’unité. La prière pour l’unité chrétienne doit
répondre à la fois à l’intégrité dogmatique et à la piété oecuménique. Sans oes
deux éléments, la prière dégénère soit en
sectarisme rigide soit en relativisme sentimental.
Leonard Hodgson, ancien secrétaire de
-la Commission Foi et Constitution et plus
tard « Professeur royal » de théologie à
Oxford, disait dans un essai intitulé Cor
Tuptio optimi pessima, que lorsque la
»prière est considérée «comme un alibi à
la pensée » elle n’est que « caricature » et
« dégradation de la prière ». « Le chrétien réfléchi », disait-il, « ne cherchera
pas à se déroiber à son devoir de penser
en recourant à la prière ».^
Or nous pouvons dire que c’est particulièrement vrai de la prière oecuméni-,
que. Au fur et à mesiire que le mouvement oecuménique s’étend et que les Eglises apprennent à se mieux ..connaître —..
tandis que l’unité chrétienne ' jnhit d’une
certaine vogue, occupe une place « à la
une » — il est particulièrement important
^e la prière pour l’unité soit une prière
réflédiie. Ce qui signifie qu’elle doit être
en même temps pieuse et dogmatique. En
effet, comme toute prière authentique,
celle pour l’unité doit être réaliste. Elle
doit saisir la coupe amère et débordante
des douleurs du monde et ne pas repousser cette coupe pour celle, douce et enivrante, d’un pieux soliloque.
Quelle est donc la réalité oecuménique
qui offre le vrai contexte à notre prière
pour l’unité? C’est peut-être la Semaine
de prière pour l’Unité qui la résume avec
le plus de précision. Commencée en 1908,
par ^ deux prêtres anglicans (dont l’un,
ainsi qu’un petit groupe de religieux et
de religieuses de la Communauté de l’Expiation, se rattachèrent peu après à l’Eglise romaine), l’Octave de l’Unité a été fondée expressément dans l’intention que des
« groupes de chrétiens séparés » rentrassent en communion 'avec le Siège pontifical de Pierre à Rome. Plus tard, en 1935,
PAbbé Couturier de Lyon transforma
éette intention en appel à la prière « pour
l’unité visible du Royaume de Dieu, selon la volonté du Christ et par les moyens
voulus de Lui ». C’est le Père Michalon
qui, à présent, poursuit l’oeuvre de l’Abbé Couturier, à Lyon, avec 1’« Association
pour l’Unité chrétienne ». En 1940, le Comité de continuation de la Conférence
mondiale de Foi et Constitution (l’un des
organismes dont est issu le Conseil oecuménique des Eglises) recommanda l’observance d’une semaine de prière « pour l’unité de l’Eglise et le travail du mouvement Foi et Constitution », suggérant que
cette semaine coïncidât avec la Semaine
de Prière du 18 an 25 Janvier.
Que pense de tout oela le « chrétien réfléchi » qui veüt prier pour l’unité chrétienne? Il sait que des individus et des
groupes appartenant à ces trois traditions,
considèrent la semaine du 18 au 25 Janvier comme une semaine de prière pour
l’unité. Il se rend compte, en outre, que
ceux-ci représentent des conceptions différentes de Punitê chrétienne. Il sait qu’il
lui faut choisir, ou du moins préciser,
sa propre position. Bref il réfléchit et s’il
pense avec clarté il comprend que ce n’est
pas en cessant de réfléchir qu’il sortira
de l’impasse. Un chrétien qui prie a un
certain genre de foi, de croyance, de conviction. De fait, en tant que chrétien, il
se fonde sur un dogme différent peutêtre, même lorsqu’il prie, du dogme sur
lequel se fonde le chrétien qui habite de
l’autre côté de la rue ou qui fait partie
de l’Eglise voisine.
Devant ces contradictions, nous pouvons
en arriver non seulement à douter mais
encore à nous détourner et à renoncer
tout à fait à prier pour l’unité de l’Eglise. Toutefois ce n’est pas une solution.
Le sentiment de frustration qui nous envahit lorsque nous sommes en face de ce
paradoxe: les différents chrétiens priant
pour différentes espèces d’unité, cette
frustration est justement le genre de tension spirituelle qui est le sceau authentique de notre participation à l’oecuménisme. Nous prenons conscience du scandale de la désunion des chrétiens dans sa
Du Dr Keith Bridstou Secrétaire de la Commission de
Foi et Constitution du Conseil œcuméniq^ des Eglises
réalité brutale lorsque nous constatons
que nous ne pouvons même pas prier en-,
semble pour être réunis. '
C’est parce que le trouble intérieur que
nous éprouvons reflète la réalité de l’état
de choses oecuméniques que nous ne devons pas essayer de réduire la tension en
sacrifiant soit notre intégrité dogmatique
Soit notre piété oecuménique. L’une des
plus précieuses traditions du mouvement
oecuménique s’exprime dans la constitution de la Commission « Foi et Constitution ». « Les divergences les plus inconciliables doivent être déclarées aussi honnêtement que les accords ». En d’autres
termes, l’intégrité dogmatique est respectée, respectée absolument. Le mouvement
de Foi et Constitution n’aurait eu aucune'
signification si cela n’avait été un de ses
«principes directeurs»; de même le mouvement oecuménique dans son ensemble
n’âurait aucune portée pour l’unité de
l’Eglise si ce principe ne restait sacrosaint.
Cela nous condamne-t-il à la stagnation,
à l’immobilisme? Certes non, à moins
que l’on considère comme stérile la dialectique du dogme et de la piété. On l’a
dit, la prière authentique est une prière
' réfléchie. Qn pourrait dire aussi que le
dogme authelitique est un dogme vivant.
Or rien de ce qui est réfléchi et vivant
n’est désespéré. Evidemment il etfiste des
caricatures et des dégradations du dogme
comme de la prière. Il y a des formes rigides, froides, dures et inflexibles du dogme. La théologie peut être quelque chose
de si ennuyeux, de si prosaïque que n’importe quel roman policier peut, selon
G. K. Chesterton, lui être supérieur.
« J’aimerais mieux », disait-il, « passer
mon temps à découvrir pourquoi un homme est mort que de m’évertuer à comprendre pourquoi un certain philosophe
n’a jamais été vivant ».
Toutefois, le vrai dogme est vivant et
dynamique. Lorsque nous nous engageons
dans la théologie oecuménique, ce qui est
le cas par exemple dans la Commission
de Foi et Constitution du Conseil oecuménique des Eglises, nous, avons l’assu-.
rance qu’« on ne dema^era à personne
de transiger avec ses convictions ou de les
trahir », ce qui n’exclut pas la possibilité
de modifications dogmatiques. En fait, cela y conduit plutôt — soit par une nouvelle évaluation .^e formules anciennes soit
par le fait d’en cMeéseï de nouvelles.^
Le rapport, récemment publié par Foi et
Constitution, One Loréh One Baptism (SCM^
Press, London), montre comment cette ^
transformation dogmatique peut s’effectuer. ;
A la lumière de la question posée par la 1
Conférence de Fo' et Constitution (Lund}
1952), les éléments eecléslologiques tradi- ’
tionnnels « inconciliables é des diverses E- ^
glises ont été passés 'tW revue, c’est-à-dire j
qu’on s’est ^demande «« pouvons-nous i>é- <
nétrer, au delà de.s divisions de l’Eglise
sur terre, jusqu’à notre foi commune en
un seul Seigneur ». *
Cette réévalulation christologique des anciens désaccords doctrinaux a fourni, selon
les théolo giens qui y'ont pris part, « l’occasion, pour chacun,'’d’un examen dé ses
propres positions pal rapport aux points
de vue qui nous sont familiers... et elle
a amené la découverte' dé profondeurs qui
nous étaient restées''cachées...; de nouvelles lumières ont éélairé d’anciens concepts théolo piques, révélant ainsi leur importance... et de noùveUes interprétations
se sont dégagées ». C’est de cette expérience qu’est née la 'fconviction que « l’oecuménisme authentique n’a pas pour effet
de diluer la foi elirétienne, mais d’en étendre et d’en aipprofondii' la compréhension».
C’est dans le contexte de l’ensemble du
travail théologique du mouvement oecuménique que la prière pour l’unité doi
se placer. L’intégrité dogmatique ne doit
pas être dissociée de la piété oecuménique.
L’unité que nous retherchons et pour laquelle nous prions r^ose, en dernière analyse, sur quelque (hoise de plus que nos
différences ou nos ‘ressemblances. Si la
Semaine de prière p6ur l’unité chrétienne
conduit les Eglise.s à envisager les diver-,
gences les plus radicales, les éléments « inconciliables » les plM., profondément enracinés qui les séparent| dàifs le domaine de
la foi et dé la conSÉtéption, c’est bien là
l’une des démarches %s ‘plus‘'créàtrices qui
se puisse aecomplir. Eille nous libère de
l’impossible tâche ®é créer nous-mêmes
notre unité, et de l’idée hypocrite qu’en
dissimulant nos diff&énces nous pouvons
sembler plus unis qifc' nous ne le sommes
réellement. *•
Si donc la Semaine d’é prière révèle notre désunion aussi Kièn que notre unité,
est-ce vraiement un-, mal? Notre prière
oecuménique, si elle est réaliste, ne sau(à suivre en p. 4) .
Lettera cfiTsy-jlibeai iEnvaimid
altro interdetto
alle Valli?
Mio caro Vaimal,
Ti ringrazio per aver prestato attenzione
a quel grido di allarme di E. G. suH’interdetto che grava sulle Valli Valdesi. Temevo che cadesse in un silenzio di tomba
e tu invece ti sei fatto vivo, sia pur con
un cipiglio da professore terribile, e te
ne ringrazio sinceramente perchè questa
causa sta mollo a cuore anche a me.
L’accostamento che è stato fatto di certe
prove che colpiscono le no>stre Valli con il
segno del castigo di Dio, ha dato fastidio
a te e ad altri e vorrei ben darvi ragione
se... non fosse troppo vero il contrario.
Hai ricordato saggiamente che « tutta
la creazione geme ed è in travaglio »... Ma
perchè geme? Perchè ha peccato. Non è
questa una verità nota fin dalla Genesi?
Ti ricordi quand’eravamo fanciulli e
qualche volta ci prendevamo dei santi ceffoni dai nostri genitori? Cominciavamo
allora a capire il nesso che c’è tra marachella e scapaccione. E fin da allora ci
rendevamo conto ohe qualche volta lo
seapacoione era caduto a tòrto, ma non
per questo lo paventavamo meno e ci
studiavamo meno di evitare di meritarlo...
Oh, lo ricordo benissimo, più di una volta mi sono preso delle strigliate a torto,
proprio nel tempo in cui mandavo a memoria qìiel comandamento ohe dice che
Dio punisce l’iniquità dei padri sopra i figliuoli fino alla terza ed alla quarta generazione ; e pensavo : Ma quei poveretti
della quarta generazione, che colpa ce
n’hanno di quel che han fatto i padri?
E cominciavo a capire il grande problema di Giobbe: Perchè soffre l’innocente?
Perchè?
Soffro pel castigo che grava su tutta l’umanità e che colp'isce or qua or là secondi. rinscrutabile sapienza di Dio il che
scandalizza ohi ha una visione della vita
limitata al presente secolo, ma che cambia
aspetto se si tien conto che a questa vita
ne segue un’altra.
Tu hai pure sagg aniente pensato all’episodio di Gesù e della Torre di Siloe, quando Gesù disse: « Pensate che quei diciotto
sui quali cadde la Torre di Siloe e li uccise, fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma
se non vi ravvedete, tutti similmente peritele ». — Tu, m’ sembra, hai sorvolato
ua po’ .sulla conclusione di Gesù. In fondo
Egli ha fatto lo stesso raigionamento di
E. G., cioè, E. G. ha fatto quello di Gesù:
il 'Crollo di Soloc che forse ha colpito anche
étatistica un po’ ignorata
Un mondo a sè — nell’ambito defila
nostra Chiesa — è quello dei nostri
ragazai. Essi non godono in questo
momento di una grande attenzione,
volti tutti come si è verso problemi
dalla portata più ma^locia. Restano
cionondimeno « la Chiesa di domani »
un mondo quindi estremamente vivo
e in marcia.
Vorrei dire qualche cosa sul campo
particolare che mi è stato affidato,
quello della loro letteratura ecclesiastica. Ottantanove anni fa la Chiesa
Valde.se decise di fondare im giornale,
l’Amico dei Fanciulli, che raggiungesse tutti gli alunni delle Scuole domenicali e tutti i ragazzi dispersi nella
diaspora.. Per molti anni, contemporaneamente, veniva pubblicato, a cura della Chiesa Metodista, un giornale parallelo intitolato «Vita gioconda » che verso l’epoca dell’ultima
guerra venne a cessare. I Battisti ebbero ultimamente una piccola pubblicazione ciclostilata di breve durata e
ora hanno una ricca rivista Ambasciatori nel mondo che ha lo scopo
preciso di guidare i ragazzi nelle loro
riunioni. Anche là Chiesa dei Fratelli
pubblica un mensile intolato II ragazzo e la Bibbia, ohe si occupa specialmente di istruzione religiosa.
L’Amico dei FanciuUi in questo nuovo anno; il suo 89«, ha dovuto ridurre
della metà il suo fonnato, perchè il
suo deficit pesava sulì’Amministrazione. E’ stato im momento triste per
quelli che alla lettura in generale, e
dei piccoli in particolare, danno importanza pensando che una conclusione, lo sfondo di un racconto, il preciso insegnamento della Chiesa, la
notizia che forse solo essa può dare,
contribuiscono alla loro formazione
mentale
Limgi dal dire che il nostro mensile raggiunge in pieno il sue scopo, sia
un contributo valido alla formazione
impartita dalle Scuole domenicali,
siamo i primi a vederne le deficenze,
te lacune ,le impterfezioni. Accanto alle belle pubblicazioni ecclesiastiche
estere, ricche di illustrazioni, di una
veste tipografica più moderna, di réportuges, di collaborazione, ci sentiamo molto modesti e vorremmo chiedere scusa di non poter essere di più,
a tutti i nostri lettori.
Ma un tantino di utilità la vedi.amc lo stesso fra le nostre righe troppo fitte di parole e troppo scarne di
figure. Voglio fare un esempio: esiste
in Italia una bella pubb.iicazione di
Mondadori l’Fnciclopedia dei ragazzi, che da anni e anni, in sempre nuove e migliorate edizioni riempie di sa’ F'ere le varie generazioni itifantili. Ma
guardando le pagine sulla Riforma
credo siamo tutti d’accordo nel pensare che ai nostri ragazzi preferiamo
Dalla copertina della nuova serie: de
« L’Amico dei fanciulli » - Gennaio 19él
dare noi delle nozioni più obbiettive
sulla sua ra^on d’essere. Anzi non è
rostro compito correggere le unilateralità della informazione italiana,
scolastica e non scolastica? Del resto
da quale letteratura nostrana., i nostri ragazzi possono attingere notizie
esatte sul protestantesimo, sul movimento valdese, di cui sono molto all’oscuro, sulle Éflssioni, dove leggere
Sohweitzer, dóve,' in ima parola essere introdotti nel vivo della nostra vita cristiana? Le pubblicazioni italiane per ragazzi fanno ora veramente
passi da gigante, sono belle, ben fatte, attraenti, non c’è niente da dire,
salvo che sono ermeticamente chiuse al nostro mondo protestante, ignorato nella sua storia e nelia sua anima. Davvero ci vorrebbe molta letteratura evangelica per i nostri piccoli
e invece abbiamo dovuto ridurre le
pagine del nostro unico giornaletto,
perchè la tiratura è bassa e il deficit
è, di conseguenza, molto forte.
A questo proposito abbiamo voluto
fare una piccola statistica e ci è risultato che:
— alle Valli va un giornale ogni 6
ragazzi ;
— nel II Distretto va un giornale
ogni 2 ragazzi;
— nel III Distretto va un giornale
ogni 3 ragazzi;
— nel IV e V Distretto va im giornale ogni 4 ragazzi.
Si tratterebbe dunque, se non sbagliamo, di stimolare la diffusione locale. Ecco per es. il caso di due Chiese più c meno simili del II Distretto:
una, con 13 alunni alla Scuola Domenicsile, riesce ad avere 13 abbonamenti al giornale, l’altra, con 40 alunni
compresa la diaspora, riesce ad avere
1 solo abbonato. Alle Valli le Scuole
Domenicali che superano il centinaio
di alunni, ricevono 1,3,8 copie... Le
piccole parrocchie hanno invece relativamente più abbonati, forse perchè
sono più curate, mentre i pastori delle grandi comunità non arrivano a
seguire anche in queste piccole cose i
loro ragazzi. Nel sud ci sarebbe desiderio di avere maggior numero di copie, ma non la possibilità per le chiese locali di pagarle. Questo è una nota triste.
Ho parlato con alcuni responsabili
e posso raggruppare in tre « slogan »
le ragioni della mancata diffusione :
1) la povertà
2) rindifferenza
3) l’ignoranza.
La povertà: si sa, non c’è problema
in Italia nè grande nè piccolo, in cui
essa non si affacci e stagni pesante.
Raggiunge in modo impressionante le
nostre Valli « depresse » e il campo
della evangelizzazione. Dove si ritira
si presenta subito a sostituirla l’altro
problema, quello dell’ indifferenza. I
nostri ragazzi della classe più bórdese hanno abbastanza giornali e tornaletti a disposizione, belli, bene illustrati, con divertenti fumetti, per fare a meno del semplice giornale che
può preparare per loro la Chiesa. Lo
strano è che a volte li mettono sullo
stesso piano come se non fosse tutt’altra cosa im giornale imbastito su David Crokett o uno che voglia aprire
una porta sul mondo della fede! Credo che sarebbe grave non essere capaci di godere fanciullescamente un
fumetto e saper anche avere un momento per aprire il proprio cuore a
un interesse più alto.
Cosa dobbiamo fare? Alzare le spalle e accettare? Essere così entusiasti
della « sincerità » delle generazioni
giovani da conformarcisi? Ma la Chie
sa non può chiudersi davanti alla povertà nè conformarsi all’indifferenza.
L’ultimo slogan è l’altra piaga nostra : l’ignoranza. « Non capiscono ».
« Non sanno leggere ». Oh la scuola
italiana! Non mancano ogni giorno
accuse contro di e^a. Ma per quello
che ci riguarda : non siamo qui apposta? Non sanno leggere? Siamo qui
anche per insegnare a leggere, come
le Chiese della Riforma hanno fatto
sempre con buona volontà. Imparare
a leggere significa imparare a capire.
Nemmeno all’ignoranza possiamo conformarci.
Perciò li ho chiamati « slogan », perchè non sono inciampi reali. Siamo
ancora una volta di fronte al nostro
problema di sempre: aiutare — anche
i ragazzi — nella povertà, metterci di
buona voglia contro l’ignoranza e cercare di scuotere i grandi e i piccoli
dall’indifferenza. Berta Subilia
degli innocenti, chiama in causa il ravvedimento. Così, tal quale, i crolli delle
Valli Valdesi e delle nostre cose più care,
devono ch'amare in causa, presso di noi
spettatori ben inteso, il ravvedimento.
I nepzi aperti alia domenica?
Qui, il discorso si è spostato sopra un
motivo collettivo e particolare (forse il
più collettivo e grave di tuli’), che le Valli
avrebbero di battersi 11 petto e di ravvedersi, quello dei negozi aperti, per il servizio di no; tutti, proprio quando dovrebbe essere fcantificato il giorno del Signore.
E tu qui, hai tempestato quasi troppo
contro le persone « pie » e hai detto che
i negozi chiusi- alla domenica rappresenterebbero un progresso sociale ma forse non
cristiano... Sono contento che tu non sia
vicino a me in questo momento perchè
mi sento ribollire il sangue nelle vene e
...Scusami sai!
Ecco, non mi scalderei se in questi negozi aperti non ci fosse nulla di più e di
diverso di quei tanti peccati, gravi finché
vuoi, che ógni Valdese commette entro le
sue pareli domestiche, nel segreto del suo
cuore o nella cerchia del suo piccolo
inondo...
Peccato collettivo.
Ma qui c’è una responsabilità che investe la comunità dei credenti nel suo insieme e che urge d’esser messa all’ordine
del giorno da noi tutti. Essa implica una;
Responsabilità di testimonianza ; verso i
forestieri che passano e ci domandano;
« Come mai i vostri negozi sono aperti
alla domenica? Da noi tutto è ch'uso e le
nostre leggi non consentirebbero eccezioni ». E verso i concittadini Cattolici die
passano e si stringono nelle spalle esclamando: «Poveretti, protestano di voler
essere un faro di luce per l’Italia, ma cominciano col non esser capaci nemmeno di
chiuilere le loro botteghe nel giorno del
Signore » e c’è più ancora :
Responsabilità fraterna verso tanti fratelli nostri. Ci sono dei giovani che stanno
per essere ammessi alla Chiesa e che già
da qualche anno sono nella impossibilità
di frequentare i culti domenicali perchè
legati al loro negozio da parrucchiere o di
commestibili ecc. (Ci son quelli che lavorano nelle grandi fabbriche che noi non
possiamo chiudere ma ci sono quelli che
lavorano nei negozi Valdesi che potrebbero chiudersi). E noi li confermeremo cosi
con questa premessa di itffedeltà di cui saremo responsabili quanto e più di loro.
E ci sono anche tanti nostri negozianti
Valdesi, credenti e buoni che son tutt’altro che felici di essere: legati al loro banco tutti i giorni dell’anno, comprese le
domeniche e sarebbero felici di chiudere
un giorno su sette, ma son costretti invece
a star li affinché tu ed io e tanti altri
possiamo comperarci un etto di zucchero,
un po di formaggio, o un fazzolettino da
na^ per tergere le lacrime della nostra
« p ccòla » pietà... Non è giusto che essi
siano così sacrificati. Se non chiudiamo I
negozi alla domenica per amor di Dio, dovremmo almeno chiuderli per amore dei
nostri fratelli negozianti. Ma esiste veramente tra noi l’amore di Dio e l’amore
del nostro prossimo?
Ma prima ch’io scriva la mia firma, lasciami ancora denunziare l’altro interdetto
di cui ho fatto cenno (e presto a questa
parola un significato familiare e corrente,
non quello di tremila anni or sono) Ma
come debbo chiamarlo?
Voglio parlare di quel mal vezzo di affrontare tutti i nostri problemi anche quelli più gravi e fondamentali, in modo accademico, a suon di discussioni in cui uno
dice:« sì »e l’altro ribatte: «no», facendo da tutte le parti gran sfoggio di dottrina, di eloquenza e di cavilli e giungendo alla fine con il solito nulla di fatto, con la rassegnata conclusione: « Il
problema non è ancora maturo »... Persino nei sinodi nostri giunge questa piaga
del discutere sterilmente, solo per discutere, arrivando al termine di tante giornate soltanto con la decisione di stampare
1 opuscolo o con la nomina della commissione di studio o ;o:i un bell’ordine del
giorno altisonante....
E lutto resta co:iic prima. Forse anche
la nostra discussio.-ìe li oggi peccherà nello stesso modo... Ma io spero di no.
Settant’anni or sono.
Una mia prozia aveva un negozielto agli
Appiotlì di Torre Pellice e poiché era una
donna pia, lo teneva chiuso alla domenica. La cosa le recava mollo danno perchè attorno a lei tutti gli altri negozi erano aperti, essa ne piangeva spesso e ne
soffriva immensamente. Dopo tutta una
vita di tribolazioni mori in solitudine c
nella più squallida povertà, lasciando solo
a pochi intimi il ricordo della eroica testimonianza data per osservare e santificare il giorno del Signore.
Sono passati settanl’anni ma nulla è
cambiato. Nulla ha potuto scuotere il popolo Valdese dalla sua apatia verso la
santificazione del giorno del Signore.
Maledetta apatia!
Scendi neUa tua cantina!
« Se non vi ravvedete, tutti similmente
perirete »... ha detto il Signore e noi, che
certo ci dobbiamo ravvedere per tante cose, ne abbiamo qui una che ci lega tutti
insieme in una responsabilità collettiva e
che chiama con urgenza il noistro ravvedimento.
Nuove Torri di Siloe stanno per crollare.
Scendi pure, caro lettore, nelle cantine
della tua casa ed esamina le incrinature
delle sue fondamenta, io farò lo stesso
dal canto mio... Crolleranno nuove Torri
di Siloe e forse noi potremo restar colpiti
tra i primi perchè il castigo di Dio non
fa distinzioni quando cade... Le prime
(segue in 4“ pagina)
s
■L
3
20 gennaio 1961 N. 3
L’BCO DELLE VALU VAU»SI
M. 3
Nella Diaspora sempre più vasta
I disseminati
Recentemente ho letto con vivo in- ,
teresse un articolo intorno alla diaspora, pubblicato alcuni anni or sono dal proi. V. Vinay nella nota rivista «Gioventù Cristiana»; le idee
essenziali dello scritto illustrano molto bene il problema che è di attualità anche in riferimento alla situazione delle nostre Valli Valdesi.
La parola diaspora ( dispersione)
indicava anticamente il complesso di
colonie giudaiche che si erano formate gradatamente dopo l’esilio in Babilonia, soprattutto p^r ragioni economiche e che si distinguevano dalle
altre diaspore non giudaiche per il loro carattere religioso. Difatti, se poteva avvenire ima certa fusione dal lato linguistico e dei costumi, rimaneva
sempre il carattere distintivo non assimilabile della loro fede in Dio, della loro elezione divina. Secondo i prò
feti, la dispersione era innanzitutto
un effetto della punizione divina, come precisa infatti Ezechiele: «io ti
disperderò fra le nazioni, ti spargerò
per i paesi e farò sparire da te la tua
immondezza». Inoltre, il senso della
diaspora comportava l’idea della missione, intesa a far conoscere il nome
dell’Eterno ira i popoli a tal punto
da rendere vera la parola del profeta
Zaccaria quando scriveva: «in quei
giorni avverrà che dieci uomini di
tutte ìe lingue delle nazioni piglieranno un Giudeo per il lembo della
veste e diranno : noi andremo con voi,
perchè abbiamo udito che Dio è con
voi ». Sappiamo infatti che la diaspora giudaica, all’avvento del Cristianesimo era molto zelante e faceva molti
pioseliti nell’Impero romano, tanto
da preparare il terreno per la futura
piedicazione del messaggio di Cristo.
Difatti, accanto al carattere etnico
v’era quello religioso, cioè la fede in
Dio. Naturalmente con l’avvento di
Gesù i credenti della dispersióne giudaica erano invitati ad accogliere il
messaggio sconvolgente del Salvatore
creando una profonda frattura nel
mondo israelita: da una parte gli irriducibili Ebrei, legati ai vecchi riti,
mentre dairaltro lato v’erano i neofiti che avevano orientato la loro fede
verso il Dio di Gesù Cristo, verso il
Regno spirituale che sarà trionfante
negli ultimi tempi. Va da sè che gli
elementi umani, concernenti la razza
e la nazione passano in seconda linea
per dar posto, la precedenza ai valori
dello Spirito, al Regno di Dio, alla
patria celeste, dato che — come dice
l’apostclo : « non c’è nè giudeo nè greco, nè schiavo nè libero, nè maschio
nè femmina, perchè voi tutti siete
uno in Cristo ». Ne consegue che i
fratelli e le sorelle della diaspora non
soffrono l’isolamento per motivi umani ma essenzialmente per la lontananza d’una comunità dove si adora
ii Signore, dove si prega e si canta
assieme alla gloria di Dio.
La comunità valdese è stata per
lungo tempo comunità dì disseminati: nel Medioevo costituiva una vastissima rete che comprendeva tanta
parte d’Europa se^atamente in Italia : grappi, famiglie isolàte, fortificate dai meiciai ambulanti, con delle
centrali spirituali che prendevano il
nome di ospizi, formavano una milizia spirituale, perennemente in azione per guadagnare delle anime a Cristo. Dopo la lunga parentesi delle persecuzioni, quando il lievito racchiuso
nelle Valli fu ricco di elementi vitali,
la diaspora italiana si estese fino in
. Sicilia, mercè l’ardore missionario di
evangelici d’ogni denominazione.
Recentemente, visitando molte comunità evangeliche di alcune regioni
de’ Sud d’Italia sono stato colpito
dalla presenza di tante famiglie isolate, letteralmente disperse in vaste
zone e molto lontane dal luogo di
culto. Per loro, come per tutti i disseminati la testimonianza è difficile e
iKin scevra di pericoli: essi possono
essere assimilati dall’ambiente e quindi scomparire oppure se sono fedeli
e battaglieri subiscono Tintolleranza
e l’appressione a motivo dell’intransigenza degli altri. Talvolta la loro
fede è così travolgente da riscuotere
rispetto, stima e soprattutto interesse da parte di quanti cercano il Signore. La storia più grande e più viva
è forse quella dei disseminati i quali
in silenzio, in un clima di umiltà e
di preghiera tengono alta la luce del
Signore in tanta parte del mondo s.ipendo dì non essere mai soli nella
quotidiana pugna per il trionfo del
Regno.
Qui alle Valli Valdesi il fenomeno
della disseminazione s’è andato accentuando soprattutto per il declino
deU’eeonomia agricola e l’aocentuarsi dell’economia industriale: le parrocchie montane smobilitano, e i Val
Città del Capo. — I dodici vescovi della
Chiesa anglicana rimasti nella provincia
dell’Africa del Sud hanno spontaneamente
deciso di stornare 1.000 sterline all’anno
del loro stipendio a favore del loro collega di Johannesburg, A. Reeve®, espulso
dalla sua diocesi il 12 settembre scorso^ a
causa della sua opposizione alla politica
di apartheid; quest’offerta durerà quanto
I’espulsione di cui è vittima.
Il sinodo della Chiesa ha adottato una
risoluzione in cui esprime con forza la sua
« condanna della misura sommaria e violenta presa senza accusa nè processo contro il vescovo d'. Jo.hannesburg ».
S.OE.P.I.
desi si spostano con crescente frequenza numerica nella parrocchie vicine, spesso in zone lontane dal luogo di culto e in ambienti cosi diversi,
sotto tutti i punti di vista. La costisuzione qumdi d’una diaspora nel
cuore stesso delle parrocchie di fondo valle oppure direttamente nella
pianura può essere una promessa di
ultericri conquiste e di allargamento
dei confini della nostra chiesa in questo settore. Non sempre è così: ci si
rifugia spesso dietro un comodo rispetto delle altrui idee o convinzioni
religiose, in omaggio alla libertà, oppure, ci si trincera dietro il comodo slogan « tanto abbiamo lo stesso Ého »,
reso ancora più comune in questo
nuovo clima ecumenico; si ha paura
dell’ambiente, si ha paura di parlare
dei proprio Salvatore, ci si vergogna
di Colui che per noi non s’è vergognato di rivestire la fragile carne di un
fanciullo e di morire sulla croce per
noi. Così, poco per volta, la fede si
atténua, i figli contraggono, matrimoniò in chiesa cattolica senza più trovare reazione nei genitori e l’opera di
dissolvimento è compiuta.
Per queste^ urge un’opera pastorale
intensa e coadiuvata dalle milizie dei
giovani delle nostre unioni alla perenne ricerca d’uno scopo della loro
vita. Difatti la diaspora, scrive ancora il prof. Vinay nel suo articolo,
« può difendersi soltanto' assalendo
l’ambiente, come facevano le giovani
comunità apostoliche nelle principali città in rivolta contro di loro fedeli. Si perdono se non mettono la
lampada sul candeliere, affinchè illumini gli abitanti del paese..., essi dovrebbero essere una sentinella avanzata in una nuova terra da conquistare... ».
La molla che aveva creato il movi
mento della diaspora giudaica e cristiana è stata la fede, così pure è stata la fede a mobilitare i proletari vaidesi nel Medicevo e soltanto la fede
potrà sollecitarci tutti ad operare nella nostra diaspora, accantonando gli
elementi del mondo che perisce, ripetendo ancora con gioia con l’apostolo : « Questa è la vittoria che ha vinto
il mondo : la vostra fede ».
fto: Un ambulante
Oltre laf cortina
spagnola ^
Ri'pelu'ámenle, e ìndie ntimamente abb'amo parlato del fenatento che agita la
Spagna di Franco e il suo CattoUeegimo,
Il New-York Times, in una conì^ondenza
da Madrid, riferisce ora di un nuovo esempio del riserbo se non dell’oatilità che una
parte del Cattolicesimo spagnolo sta mostrando nei confronti del regime franchista sempre più screditato, e speriamo condannato a breve scadenza.
11 primate di Spagna, arcivescovo di Toledo, Mons. Enrique Pia y Daniel « ha avvertito il generalissimo Francisco Franco
che è in vista in Ispagna ’un conflitto’ tra
la Chiesa e lo Stato. Il primate ha dichiarato che il conflitto implica le seguenti questioni fondamentali: ìa mancanza di una
’autentica’ rappresentanza delle masse lavoratrici in seno al governo, e la continua
persecuzione del regime contro le associazioni cattoliche dei lavoratori appoggiate
dalla Chiesa ». In proposito ricordiamo in
modo particolare i processi, pure contro
numerose personalità cattoliche, dopo gli
incidenti nella Catalogna della scorsa primavera, il sequestro del manifesto della
Fratellanza operaia d* Azione Cattolica per
il lo maggio. j.
Per molti anni il primate di Spagna ha
appoggiato, con tutto il peso del suo prestigio e della sua autorità, il Caudillo.
Questa presa di posizione e questo monito
sono quindi tanto più degni di nota; lasciamo ai lettori di giudicare se è troppo
maligna la nota delk corrispondenza del
New-York Times, secondo cui esperti osservatori « ritengono che la Chiesa cattolica stia cercando di consolidare la sua posizione in ogni regime futuro, cercando
cautamente di dissociare la propria responsabilità, agli occhi dei lavoratori, dagli
aspetti più repressivi deUa d’ttatura ». In
ogni caso ci sarebbe stato più facile — e
gradito — non credere a questa poco onorevole interpretazione se a suo tempo il
primate di Spagna avesse preso posizione
a proposito della nota e bella lettera di
appello dei 339 sacerdoti baschi. Ma non lo
ha fatto.
LUèmiNA s. GIOVAHHI
Plusieurs demeures
Jean 14; 2
Sabato sera alle ore 21 nella Sala
Albarin il Dott. Mario Jahier proietterà un film a colori sui monti e
ghiacciai del Sud America.
Tutta la popolazione è cordialmente invitata, offerte a favore dei restauri all’Asilo dei Vecchi.
Dans le dernier numéro du bulletin de
Saint-Loup nous avons lu ce message qui
fui ravant-dernier que le Past. Ch. - L.
Gagnebin adressa, de son lit de maladie,
aux diaconesses, comme lettre pastorale
mensuelle. Il nous semble qu'il puisse s’adresser à chacun, ainsi le reproduisonsnous ici.
Vous connaissez bien sûr le célébré
verset qui se trouve dans l’Evangile
de Jean, chap. 14: 2 : « Il y a ^usieurs
demeures dans la maison de mon Père». Ce passage est généralement expliqué comme faisant mention de la
vie dans l’au-delà. Il s’agirait du ciel
et du séjour des élus. Cette explication est tout à fait valable, mais elle
n’est pas nécessairement la seule.
La maison du Père peut être aussi
la terre sur laquelle nous vivons. Dans
l’ancienne alliance, les serviteurs de
Dieu étaient attachés à la maison de
l’Eternel, au Temple. Dans ce Temple, il y avait plusieurs appartements,
des parvis différents, le lieu saint et
le lieu très saint. Il y avait plusieurs
demeures.
Vous êtes, chères Soeurs, servantes
du Seigneur. Vous êtes donc aitachées à la maison de Dieu. Vous êtes
appelées à servir Jésus-Christ et votre prochain dans cette maison, à^ entretenir cette maison, à l’orner, à la
rendre toujours plus belle et à la préparer pour le jour du retour de notre
Seigneur. Telle est la tâche qui est
celle de tous les serviteurs de Dieu.
Il y a plusieurs demeures dans la
maison du Père. Vous passez chaque
jour souvent d’une demeure dans une
autre. Nous pensons à la demeure du
travail, dans laquelle vous êtes la plupart du temps, vous occupant des malheureux et cherchant sans cesse à
remplir une tâche qui soit utile pour
le prochain et qui glorifie Dieu. Il y
a la demeure du repos, qui n’est pas
seulement votre chambre où vous
passez la nuit, mais peut-être un lieu
de séjour en vacances. Là encore vous
êtes dans la maison du Père, vous
avez à lui rendre grâce et à lui témoigner votre reconnaissance. Il y a la
demeure des tristesses et des difficultés. C’est une demeure austère, rnais
qui n’est pas à l’écart de la maison
du Père. Ici encore, vous oeuvrez avec
foi, avec confiance et courage, le regard fixé sur la croix de notre Sei
gneur. Il y a la demeure de la maladie, qui peut paraître parfois comme
une cellule, et d’antres fois comme un
haut-lieu où l’on éprouve dans tonte
sa faiblesse la présence fortiflante de
l’Esprit. Il y a la demeure de la délivrance, qui ressemble à un jardin
plein de vie et où l’on se promène m»
compagnie du vainqueur de Pâques.
Toutes ces demeures font donc partie de la maison du Père. Nul ne peut
les traverser avec indifférence et dans
l’impiété. Notre Seigneur, entrant
dans le Temple de Jérusalem, mettait
en pratique cette parole du prophète: «Le zèle de ta maison me dévore ». Dans quelque demeure que nous
soyons, le zèle de la maison de Dieu
doit nous animer. C’est une maison
de prière, et non pas une caverne de
voleurs, c’est une maison de consécration, et non pas une maison de dissipation; c’est pourquoi, durant toutes nos journées, vivant dans la maison de Dieu, passant d’une demeure
dans une autre, y restant plus_ ou
moins longtemps, la même activité
profonde doit durer et c’est celle de
la prière qui adore et qui remercie.
Chères Soeurs, vous êtes les servantes dans la maison de Dieu. Ne moquez pas de remplir votre ministère
avec fidélité dans la demeure où aujourd’hui Dieu veut que vous accomplissiez votre tâche. Ne vous étonnez
pas de la varìété et du nombre des
demeures dans lesquelles vous passez,
car partout votre prière et votre service sont nécessaires.
Juillet 196». C.-L. Gagnebm.
Missionari arrestati
nel Kivu
Sei-ondo una corrispondenza da Léopoldville di Stampa sera (16-17 genn.) alcuni
europei giunti ad Usumbura (capoluogo
del Ruanda Urundi) dopo esser fuggiti
da Bukavu, capoluogo della provincia
congolese del Kivu attualmente retta da
un governo secessionista e fedele a Lumumba, hanno riferito che le truppe lumumbiste hanno arrestato un gruppo di
30 persone fra missionari battisti americani e loro familiari mentre si accingevano a varcare la frontiera del Ruanda
Urundi.
OPERAI ALLO SPECCHIO
Oggi Ì’operaio « sta bene » — si dice —
la sua fatica è enormemente diminuita, in
confronto al passato: ha le sue leggi e i
suoi sindacati che lo proteggono; ha l’assislenza, le «ale di ricreazione, il pacco
dono a Natale. Non sono pochi i grandi
comple,ssi industriali che spendono fior di
milioni per opere che hanno veramente
« del grandioso », affinchè gli operai si possano sentire a loro agio, e soddisfatti.
Quanti siano, effettivamente, gli operai
che godono di tali condizioni, è un conto
che si potrebbe fare. Certamente una piccola minoranza, rispetto a lutti i lavoratori delle piccole imprese, delle officine,
dei complessi socialmente arretrati.
Eppure, anche gli operai privilegiati dei
grandi complessi hanno tutt’altro ohe l’animo in pace. E’ notevole il fatto che perfino in taluni casi, in cui i dirigenti si
sono posti « molto seriamente » il problema della « pacificazione sociale », alla fine
i risultali siano stati molto scarsi, quasi
sempre inadeguati agli sforzi economici
compiuti.
Soprattutto sul piano psicologico è difficile darsi una ragione delle cose, cosi come si presentano. L’operaio è in condizione di comperarsi la lambretta e forse
la « seicento »; o anche può iniziare l’acquisto rateizzalo di una casetta. Ma la sua
insoddisfazione, anche se non arriva alla
rivolta, è evidente. L’ha scritta in faccia.
Gli uffici aziendali competenti, e gli stessi
sindacalisti, di fronte a talune reazioni rimangono perplessi e disorientati. C’è chi,
ormai, arriva persino a pensare che oggi
il malcontento dei lavoratori è come un
abito mentale, dovuto soprattutto aH'abitudinc della protesta, più che alla conseguenza di cause concrete.
Chi è questo operaio? che cosa vuole
veramente? Da lui, è difficile saperlo. Interrogalo, non sa dare risposte che non
siano vaghe; oppure parla delle solite cose : che i soldi non bastano mai ; che « i
dirigenti sono tutti uguali »; e gli impiegali i « tirapiedi » dei dirigenti; che
altro è vedere le cose da un ufficio, e altro « produrre davvero »; e che la vita di
fabbrica bisogna provarla, per rendersi
conto di quanto è « dura ». Purtroppo sono
questi, 'spesso, gli slogane fin troppo comuni alla politica spicciola dei sindacati,
lanciati al proselitismo. Neppure il metodo delle inchieste ufficiali, o ufficiose, o
quello dei « contatti » personali e confidenziali, riescono a dare indicazioni meno
generiche.
In realtà chi vive fuori della fabbrica
non riesce a figurarsi quanto la fabbrica
condizioni un uomo, anche se ha sentito
parlare di catene di montaggio, di bollette
di lavoro, di controllo dei tempi, di ritmo
della produzione. Non solo il corpo ma
anche lo spirito e la volontà d’un uomo
vengono passo passo inesorabilmente plasmate da quella grande macchina che è la
organizzazione industriale. « Due fattori
entrano in questa schiavitù » — dice Simone Weil, la studiosa di filosofia che per
molti anni volle liberamente condividere
la sorte del semplice operaio — « la^ rapi«dità e gli ordini. La rapidità: per ’’farce« la” bisogna ripetere un movimento dopo
«r» '-li#*--' ^ '
una cadènza che è più rapida il parere del capo immediato, ^che non^ ha
« l’altro a ----- ,
« del pensiero e qùindi vieta non solo la
(I riflessione, ma persino la fantasticheria.
« Mettendosi dinnanzi alla macchina, bi« sogna uccidere la propria anima per 8
(I ore al giorno, i propri pensieri, i propri
« sentimenti, tutto. Irritati, tristi, o disgu« stati che si sia, bisogna inghiottire, re« spingere in fondo ..a se stessi tristezza o
« disgusto; rallenterebbero la cadenza. Per
« la gioia, è lo stesso. Gli ordini: dal mo« mento che si timbra all’ingresso e sino a
« quando si timbra per l’uscita, si può ri« cevere qualsiasi ordine in qualsiasi mo« mento. E bisogna sempre tacere e ob
sempre le doti' della obbiettività, ed e
spesso preoccupato della sua stessa sorte,
e soggetto a mutevoli umori. C’è da aggiungere ohe la paura della disoccupazione è una spada di Damocle che molti avvertono come sospesa sul capo, speciab
mente in tempi di magra delle commesse.
Essi si sentono ricordare spesso, esplicitamente 0 implicitamente, che potrebbero
venir rimpiazzati con altri, senzà turbamenti da parte dell’azienda.
Anche i rapporti tra i compagni di lavoro sono condizionati dai fattori ambientali, e rendono difficile qualsiasi convi
Qpesso, e anche nelle aptazioni attuali, il problema operaio e considerato essenzialmente sotto l’aspetto salariale: ed è indubbiamente un problema urgente e scottante, alnieno per molte categorie
operaie. Ma anche quando i salari sono più alti, come in certi rami
dell’industria, rimane un problema dell’uomo operaio, cui invece si
presta troppo poca attenzione; il problema umano di chi si sente
sommerso in una massa anonima, ridotto a pezzo di una macchina
tecnica di estrema complessità, a pedina di un gioco politico, nei cut
contrasti la sua libertà e dignità è alienata. Pubblichiamo oggi un
articolo comparso sul mensile cattolico genovese d avanguardia. Il
Gallo {novembre 1960). E cogliamo l’occcasione per raccomandare la
lettura di quest’agile e viva rivista {l’abbonamento annuo è dii. 1.000.
da versare suPc.c.p. 4-25499, Casella Postale 1242, Genova Centro).
« bedire ». (Lettere ad Albedine Thévenon, 1934-35; in « La condizione operaia »
- Edizioni Comunità, 1952).
Non sono certamente sufficienti generi
che disposizioni sindacali per garantire il
rispetto della persona nell’ingranaggio^ delle ferree leggi della produzione. E’ soprattutto diffi-ile la difesa contro le normalissime piccole cose, piccole in apparenza: gli umori del capo, l’invito sottile
a comportarsi secondo le regole della buona educazione, il rifiuto di prendere in
considerazione un punto di vista sul modo
di lavorare. Qualcuno dice che dovrebbe
essere la « dignità » stessa deU’operaio a
reagire da sè. 11 fatto è che proprio il
comportamento più corrente non educa
alla « dignità », e abitua l’operaio a non
pensare, a subire, a rinunciare ad essere
uomo. « E non credere che ne sia conse« güito in me qualche pioto di rivolta —
« scrive ancora Simone Weil all’amica —
« no; anzi al contrario queUo che mi aspetn lavo meno da me stessa — la docilità.
« Una docilità di rassegnala bestia da so« ma. Mi pareva di essere nata per aspetti tare, per ricevere, per eseguire ordini —
« di non aver mai fatto altro che questo —
« di non dover fare mai altro che questo ».
E’ umiliante vedere un operaio che va a
lamentarsi o a piagnucolare dal capo, perchè si ritiene vittima di una ingiustizia.
La Commissione Interna non sempre esiste; e se esiste, non sempre può intervenire, e semmai iùtCTviene solo quando ci
sono dati chiaramente probanti, che non
è sempre facile produrre. In tale clima di
difesa senza scudo, arbitro è quasi sempre
venza serena fra gli stessi lavoratori. La
benevolenza del capo, la piccola differenza
di paga, il posto di lavoro, la dieponibilità di un attrezzo sono cose alle quali
l’operaio presta spesso un’importanza davvero sproporzionata, e costituiscono motivo di veri rancori, e di astio. La vera
amicizia, e la fraternità, sono frutti rari
e bisogna volerli sul serio, perchè si realizzino. « La bontà soprattutto, in fabbrica, è qualcosa di reale, quando esiste;
perchè il minimo atto di benevolenza, da
un semplice sorriso fino ad un gesto di
cortesia esige un trionfo sulla stanchezza,
sulla ossessione del salario, su lutto quel
che abbatte ed incita a ripiegarsi su sè medesimi » I Simone Weil — « Lettera ad
una allieva » — o.c.).
Dai quadri sindacali, o dalla stampa sindacale, si levano talora accuse coperte o
scoperte contro gli operai che mancherebbero di coscienza di classe e di spirito di
lolla. Ma il coraggio in fabbrica è un lusso che non lutti si possono permettere. E’
molto vero che « il coraggio uno non se
lo può dare »: è vero per i curati manzoniani, ed è vero per gli operai dell’anno
1960. La paura delle possibili e anche piccole rappresaglie e l’appetito del guadagno sono i principali stimolanti che eccitano a guardarsi dai passi compromettenti.
La coscienza di classe interviene fino ad
un certo punto, anche se si riconosce dai
più che essa è l’unica molla valida a far
cambiare le cose. « A parer mio — dice
« ancora Simone Weil — essa non può es« sere eccitata da semplici parole pronun« ciate o scritte. E’ determinata dalle ef
« fettive condizioni di vita. Le umiliazioni.
« le sofferenze imposte, la subordinazione
« la suscitano; la pressione inesorabile e
« quotidiana della necessità non cessa mai
« di reprimerla e spesso fino al punto di
« volgerla, nei caratteri più deboli, in ser« vili'smo ». (« Lettera ad un ingegnere
direttore di fabbrica », o.c.).
D’altra parte anche la Direzione della
azienda ha qualche cosa da rimproverare
aH’operaio. Soprattutto l’incapacità di as■sumersi quelle responsabilità che l’operaio
dice di voler prendere, dimenticando che
ogni responsabilità maggiore, per essere
portata con un buon risultato, richiede
una preparazione di tempo, e di riflessione
e di maturazione. Ad una educazione degli operai in questo senso, non pare che
ci si sia pensato, fino ad oggi.
Cosi accade abbastanza sovente che un
caso di malcontento arrivi fino agli uffici
della Direzione; però quando la Direzione
concede un colloquio i rappresentanti degli operai non sanno dire precisamente i
motivi del malcontento: si sentono smarriti, le idee non sono più chiare, ammettono con facilità di essersi sbagliati, e son
disposti a riconoscere, sorridendo verde,
che in fondo tutto va bene. Quando c’è la
possibilità di prendere la parola, nessuno
osa. Questa è una situazione pietosa, ma
il timore di quello che potrebbe succedere
ferma le parole in bocca, soprattutto il
timore di un licenziamento. « Ci si trova,
« senza la possibilità di ricorrere a nulla,
« sotto l’impero di una forza completamen« le incommensurabile con quella che si
« possiede, forza sulla quale non si può
« nulla, dalla quale si rischia sempre di
« essere schiacciali — e quando, con il
« cuore gonfio di amarezza, ci si rassegna
w a sottomettersi e a piegarsi, ri si fa di« sprezzare per mancanza di coraggio da
« coloro medesimi che quella forza hanno
« nelle mani ». (Simone Weil - « Lettera
ad un ingegnere direttore di fabbrica »,
O.C.).
Forse, pensa Simone Weil, è questo senso di schiavitù nell’impotenza, all’origine
dell’inquietudine e della insoddisfazione
dell’operaio di oggi, anche se ha la « lambretta » e il « frigidaire ». Talune violente
reazioni — durante le azioni di sciopero
e di protesta — sono in fondo l’espressione di questa impotenza ad ottenere non
tanto una promozione alle leve di comando, quanto la promozione a non essere
più considerato un sotto-uomo. E, forse,
ha ragione Simone quando presente che
occorre una grande carica spirituale interiore perchè un operaio aiuti l’altro a risalire lo svantaggio, e ad uscire dal vicolo
cieco.
Non ho voluto fare un quadro nero per
il gusto delle tinte cariche. Vorrei solo
aiutarmi con gli altri a guardarci nello
specchio, per vedere come siamo fatti, anche dentro, soprattutto dentro. Se non ci
conosciamo non possiamo neppure trovare
la via dell’unità; e anche una rivoluzione
vittoriosa — anche del colore più acceso
ci troverebbe impreparati, solo adatti
ad un'altra schiavitù e ad un’altra impotenza.
m. s.
4
VH- 4
L’KCO DELLE TÀLLI VALDESI
20 gennaio 1961 — N. 3
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
TOBRE PELLICE
La noetra cronaca, rimandata d’una set/timana, ha ancora da registrare gli ultimi... strascichi natalizi. Domenica 8 gennaio, mentre ai Chahriols la rinata piccola
Scuola domenicale aveva la sua riuscita
festa, curata con amore dalla Sig.a D.
Poet, l’Unione delle madri teneva la sua
riunione mensile, con la partecipazione
della Sig.na Cicero, che presentava, con
belle diapositive, la sua terra, il Texas.
Belle riunioni familiari e interessanti, e
ringraziamo chi se n’è incaricato.
Diverse persone anziane hanno goduto
della visita fatta loro, nel periodo natalizio, da un gruppetto di bimbi della Scuola domenicale dei piccoli, guidati dalla
Sig.a Varese; ci rallegriamo molto di
quest’ottima « abitudine » annuale, e ci
auguriamo che i bimbi, una volta giovani
e adulti, non dimenticheranno la gioia di
portare un segno di fraternità nelle case
dei più sóli e isolati. Nello stesso ordine
di idee abbiamo visto con molto piacere
ohe un gruppo di giovani del Centro hanno ripreso la bella tradizione, un po’ caduta in disuso, di andare a visitare per
sone anziane ed isolate, la domenica pomeriggio.
Continuano le visite interunioniste ; martedì scorso ai Coppieri sono saliti i giovani dei Peyrots, accompagnati dal Past.
C. Tourn; sabato sera un buon grui»po
giovanile dei Coppieri è sceso a S. Giovanni, invitato e cordialmente accolto dall’Unione del Centro (in un’accalorata competizione è stata riconquistata la palma al
ping pong...). Vediamo con vivo piacere
questi scambievoli incontri ; ricordiamo
che sabato prossimo tutti i giovani sono
invitati a raccogliersi al centro, nella sala
unionista, per una serata in comune.
Domenica scorsa, ritardata di una settimana, abbiamo celebrato la domenica della Missione: al mattino tuttti i bambini
delle nostre Scuole domenicali sono convenuti nel Tempio del Centro, dove hanno avuto insieme il loro culto, e ascoltato
la Sig.na E. L. Coisson e il Past. Sommani che hanno parlato loro della missione evangelizzatrice della Chiesa, lontano e vicino. Nel pomeriggio, si è raccolto
nell’Aula Magna un gruppo non numerosissimo di membri di chiesa: la riunione
è stata diretta dalla Sig.na Coisson, validamente coadiuvata dalle ospiti dell’Orfanotrofio, che hanno presentato alcune belle scenette cantate; il Past. Sommani ha
esposto alcune riflessioni, sortegli dopo
un corso seguito nella scorsa estate all’Isti
tuto ecumenico di Bossey, in cui si sonoi
incontrati e hanno discusso pastori e mis-l
sionari bianchi e « di colore » : questo'
confronto con le giovani chiese è, per le
nostre vecchie chiese, prezioso e corroborante.
Domenica sera, seduta della « E. Arnaud »: dopo una conversazione del Prof.
A. Armand-Hugon, serata di libere discussioni, in cui si è particolarmente parlato
del progetto di una gita, in primavera, a
Marsiglia.
E’ stata battezzata Laura Marisa Martina
di Arnaldo e di Clementina Pasquet. Il
Signore benedica e conduca alla fede cosciente questo piccolo agnello aggiunto al
Suo gregge.
Altri lutti, in questo inverno particolarmente triste: Maria Cougn n. 'Albarea di
anni 50 (Fassiotti) e Davide Eynard di
anni 60 (Costa), deceduti la prima dopo
lunghe sofferenze sopportate con grande e
serena fede, il secondo dopo una penosa
agonia di alcuni giorni, all’ospedale. Ai
familiari così provati esprimiamo ancora
la nostra viva simpatia cristiana, nella comune fede in Colui che ha detto : « Io
sono la risurrezione e la vita », e che lo
è stato e lo è veramente.
BORA
— Le prossime riunioni avranno luogo:
alle Fucine giovedì 19 p. V. alle ore
20 ; ai Rumer martedì 24 gennaio ore
19,30; alla Mouiassa giovedì 26 gennaio
ore 19,30; ai Rumer martedì 31 gennaio ore 19,30.
— Abbiamo trasportato al Centro il piccolo armonium della scuola dei Rumer.
Questo permetterà alla Corale di continuare il suo lavoro, dato che il vecchio armonium aveva decisamente rifiutato di emettere una sia pur flebile nota, a meno che non si ricorresse allo
sforzo non indifferente di due « forzati » acquattati accanto ai mantici e addetti alla manovra a braccia di questi
ultimi.
— Magna Candiría e Magna Margherita
delle Moulouire ci hanno lasciati, chiamate dal Padre Celeste. Alle famiglie
nel lutto, tanto più duro in quanto giunto improvviso, esprimiamo la nostra profonda simpatia, cercando conforto con
loro nelle promesse di Cristo.
11 funerale ebbe luogo, nei due casi
alle ore 15 di mercoledì 18 corr., in
Chiesa.
— Si avvertono gli interessati ohe giovedì 26 gennaio avrà luogo una distribuzione di viveri americani.
S. GERMANO CHISQKE
Incontro parrocchiale. Per decisione dell'assemblea di Chiesa è stato organizzato
un incontro parrocchiale che doveva riunire tutti i membri di chiesa.
11 pomeriggio della domenica 15 Gennaio una cinquantina, di persone — poche
in verità — risposero al nostro invito.
L’argomento scelto era: i matrimoni misti. 11 pastore, nel presentarlo, ha dato
modo a tutti di esprìmere il proprio imnto di vista. Speriamo che lo scambio di
(dee non sia «tato inutile e che sia rimasto nella mente di lutti la conolusione alla
quale non si può non giungere quando si
parla di un simile argomento : l’es'genza
per i nostri giovani di una più grande fer
mezza nella fede, derivante da una cono
scenza più vera del pensiero riformato
La riunione sì è chiusa con un ricevi
mento preparato accuratamente dalle si
gnore delTU. F. e offerto dal Conc'storo
Abbiamo quindi potuto ammirare una se
rie di artistiche proiezioni lum’nose a co
lori dovute alla cortesia del pastore R
Jahier venuto appositamente.
I nostri lutti. Molte famiglie, in questi
giorni, hanno conosciuto l’ora della prova
II 16 Gennaio abbiamo accompagnato al
l'estrema d’mora terrena le spoglie mor
tali di Bounous Luigi, di anni 84 (Gondi
nii spentosi a Pinerolo in Ospedale.
Il 17 Genna'o abbiamo preso per ben
tre volte la via del cimitero. La mattina
ha avuto luogo il servìzio funebre di Long
Umberto, di anni 80 (Roccia) spentos’ dopo lunga infermità.
Nel pomeriggio avevano luogo i funerali
di Revel Fanny, di anni 97 (Villa). Valente insegnante per lunghi anni, il ricordo
della sua onera è vivo ancora nel cuore
di molti. Fu sostenuta nella sua lunga esistenza da una fede profohda ed una seren'tà di spirito edificautìi
Ed infine la noistra giornata si chiudeva
col servizio funebre di Avondet Luigi, di
anni 62 (S(boùrna). Questo lutto viene ad
aggiungersi, per la famiglia, al duplice e
crudele lutto di alcune settimane fa a causa della frana dei Toùrnim.
Alle famiglie provate rinnoviamo l’espressione della nostra simpatia cristiana.
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E JAOOB; Ras Shamra et l’Ancien
Testament, L. 1.2(X).
S. AMSLER : L’Ancien Testament
dans l’Eglise, L. 1.900.
la Chiesa dì Vìllasecca
(segue dalla 1“ pagina)
va il villaggio attualmente in uso
(mt. 740) e Trossieri. Più in alto abbiamo le due borgate Villasecca e più
su ancora i tre villaggi di Bovile:
Vrocchi, Grange e Peyrone, queste
ultime a 1400 mt. (come Villa di Prali).
In questa zona abitano 196 famiglie con una popolazione totale di 650
persone.
Da parecchi decenni l’agricoltura
non è più la fonte unica e neppure
maggiore di reddito per la nostra
gente: la miniera di talco nell’alta
Valle, le filature di Perosa ed in minor misura la RTV a Villar Perosa
hanno creato altrettante fonti di entrate per le nostre famiglie, anche se
le condizioni di lavoro non hanno ancora raggiunto queU’equilibrio che sarebbe necessario. L’agitazione in corso a Perosa e quella di alcuni anni
01 sono nelle miniere di Talco sono
una chiara indicazione. Non abbiamo
la competenza per addentrarci in questioni salariali, ma anche quando
queste ed il grosso problema della silicosi potranno essere avviati a soluzione rimarrà sempre per la nostra
gente il grosso problema delle distanze che obbliga molti operai, oltre al
IL BIDRAMEWTO
del Podio di Bobbio
iSegue dalla 1" pag.)
sostituzione del Giuro di Sibaud nella sala sinodale. A noi invero nella
formulazione dataci dal 'Weiss, il testo del giuramento sembra un po’ artefatto e rammodernato : si propone
qui un problema di critica che non è
luogo di presentare in questa sede e
che potrà essere riesaminato con
quello della sostituzione dell’epigrafe.
Per tornare ai nostri, sappiamo che
il giorno dopo, scesi a Bobbio, « corsero di ogni lato al tempio, armati di
frombole, balestre ed altre loro armi, et senz’altro indugio gettarono a
terra le statue, gli altari e tolsero via
le imagini; si fe’ poi la predica, la
qual finita, si andò al Villaro per fare
il medesimo. Ma avanti che pervenirci si incontrarono sulla strada con
alcuni soldati del Castello che era al
Villaro, li quali andavano per saccheggiare una villetta nominata Valghicciardo et per pigliare alcuni prigioni ».
Situazioni strane, particolari a quel
periodo storico, e come tali, forse per
noi inspiegabili o difficili da comprendere! Le azioni di guerra non erano
purtroppo finite, e dovevano ancora
con alterna fortuna trascinarsi per
alcuni mesi, come avremo occasione
di ricordare.
Augusto Armand-Hugon
lavoro ed al tempo impiegato dalle
corriere per raggiungere le fabbriche,
a farsi, a piedi, un’ora e mezza o due
ore di strada al giorno, con qualunque tempo ed in tutte le stagioni per
giimgere dalle case alla carrozzabile
s viceversa. Se aggiungiamo a questo
.1 lavoro di casa per le donne ed i lavori dei campi per gli uomini — lavo0 necessario per integrare le paghe
delle industrie — possiamo avere una
idea dello sforzo a cui devono assoggettarsi gli operai-contadini e c’è da
demandarsi se il denaro che ora circola con maggior larghezza di ima
/olta, non sia pagato un prezzo di
fatica eccessivo,
E, per concludere questa breve presentazione, un paio di notizie storiche. Anticamente era ancora assai
niù estesa, comprendendo tutto Faetto e Pomaretto con ima popolazione
di un migliaio di anime al momento
delle grandi persecuzioni del XVII
secolo. « Ville Sèche » era considerata
un poco il centro valdese d,ella Valle, fu perciò sede di alcuni sinodi e
durante l’epoca napoleonica sede di
una delle tre Concistoriali in cui venne divisa l’intera Chiesa Valdese
(Torre Pellice, Prarostino e Villasecca). Il suo tempio è uno dei più antichi delle Valli e conobbe la storia
di distruzione e di incendi come quelli dei Coppieri, Ciabas ed Angrogna.
Non vi furono in questa zona fatti
d’arme particolari nel corso delle persecuzioni, ma nel nostro territorio
venne arrestato il colportore biblico
Barthélemy Hector venuto da Ginevra col suo carico di Bibbie e di Psautier, incarcerato ed arso vivo in Piazza Castello a Torino il 20 giugno 1555.
Da Villaseoca provenne il Moderatore Jean Leger che resse la Chiesa
negli anni delle Pasque Piemontesi e
che, cacciato in esilio, scrisse quella
storia della Chiesa Valdese che con
le sue informazioni e le illustrazioni
spietatamente realistiche degli eccidi
della persecuzione contribuì validamente a sostenere la causa dei Val
desi presso le Nazioni protestanti dell’epoca.
Infine, in occasione della persecuzione del 1686 che condusse all’Esilio, il generale Catinat scelse come
suo quartier generale la casa dei
Chiotti attualmente adibita a Presbiterio. La sala a pian terreno, ora sede della cooperativa agricola ospitava i suoi cavalli ed i suoi muli e per
quella strana ironia con cui Dio conduce la storia degli uomini, nella stessa stanza in cui oggi si prepara la
predicazione della Parola e viene diretta la Chiesa di Villasecca il generale scriveva queste parole delle sue
«Relazioni»: Confido che non lascieremo questo paese che prima questa
razza di barbetti non sia del tutto distrutta... »!
Franco Davite
Intégrité dogmatique
et piété oecuménique
(Segue dalla 2« pag.)
tait faire abstraetion des éléments « inconeiliables ». Elle doit assumer tout le
poids de« ambiguités et des paradoxes qui
sont inhérents au mouvement oecuménique. C’est son supplice, c’est aussi son
honneur.
En s’unissant en un Conseil oecuménique des Eglises, les Eglises membres reconnaissent en même temps leur unité essentielle et leurs divisions historiques. Le
Conseil oecuménique des Eglises est, en
ce sens, une organisation révélant un problème ecclésiologique non résolu; le^ Egîises confessant ensemble leur impuissance actuelle à réduire leur diversité en unité harmonieuse. La Semaine de prière pour
l’unité chrétienne est donc la manifestation, si faible et limitée soit-elle, de ce
problème non encore résolu: 1’ intégrité
dogmatique et la piété oecuménique font
partie du même tout. La prière pour Tunité doit être assez forte pour renfermer
cette tension dialectique, tout en dépassant dans la confiance que « l’Esprit nous
aide dans notre faiblesse, car nous ne savons pas ce qu’il nous convient de demander dans nos prières. Mais l’Esprit
Lui - même intercède par des soupirs
inexprimables». (Rom. 8: 26).
En somme, la prière oecuménique ne se
laisse pas arrêter par nos hésitations dogmatiques. Grâce à l’Esprit, elle les englobe et les transfigure, grâce à Lui, nos
incertitudes deviennent des signes non de
doute, mais plutôt d’espérance.
Keith Bridston.
II giorno 18 gennaio 1961 chiudeva la sua
laboriosa esistenza all’età di 64 anni il
Dott. Ing.
Arturo Long
/Ve danno angosciati il mesto annunzio:
In moglie Carmen Silvia Pittavino;
il figlio Giorgio che tanto amava;
le sorelle Adelina ed Alice, il fratello
Ing. Cesare;
il cognato Aw. Artuildo Pittavino con
la moglie Comusso Luisa;
i cugini Gander, Beux, Rivoire.
« Sia fatta la Tua volontà »
(Matteo 6: 10)
L’accompagnamento funebre avverrà partendo dall'abitazione dell’Estinto in Pinerolo - Piazza L. Barbieri, 5 - alle ore 10
di venerdì 20 corr.
Pinerolo, 18 gennaio 1961.
Un altro ioterdetto alle Valli?
(Segue dalla 2“ pag.)
pietre che caddero sulla nascente Chiesa
cristiana colpirono Stefano e prima ancora di Stefano era caduto Gesù. L’aspetto
più triste del peccato di Adamo come di
ogni peccato è proprio questo: di provocare tante vittime innocenti...
Ma se, quando verrà la nostra volta, ci
resterà ancora un attimo per dire una parola, noi, consapevoli che da questo mondo di tenebrose ingiustizie Gesù ci ha
aperto una porta verso un mondo di luce
e di amore, noi grideremo ancora : « Alleluja » e a queUi che restano diremo con
l’ultima voce rimasta: «Ravvedetevi».
Alleluja e ravvediamoci, son le due parole essenziali della vita cristiana, cada
o non cada la Torre di Siloe.
E finalmente mi firmo, caro amico, esortandoti nel contempo a modificare il tuo
nome perchè non è vero che per il credente tutto vada sempre male. Anzi, il
credente, anche di fronte alle- rovine di
Siloe, se si parla attorno di ravvedimento,
e se si dice: « Alleluja », può firmarsi senz’altro e serenamente: Vaiben.
Direttore resp.: Gino Conte
Coppiiri ■ Torre Peli. ■ Tel. 9476
Sede e Amministrazione
Editrice Claudiana
Torre Pellice . c.c.p. 2/17557
Reg. al Tribimale di Pinerolo
________n. 175, 8-7-1960_______
Tipografia Subalpina - s. p. a.
Torre Pellice (Torino)
La famiglia Geymonat, sentitamente ringrazia (/uanti hanno preso parte al suo dolore ¡ter la dipartita del curo marito e
padre
Paolo Geymonat
In modo particolare ringraziano il Dott
Scarognina ed i Pastori sigg. Jahier e
Genre.
Lusema San Giovanni, 11 gennaio 1961
La vedova e i familiari del compianto
Davide Eynard
ringraziano quanti hanno preso parte al
loro lutto. In modo particolare ringraziano il sig. Pietro Cattre, l’autista che lo ha
trasportato all’ospedale; il doti. Gardiol;
la direttrice e le Suore dell’Ospedale Valdese, i Pastori sigg. Sommani e Conte.
Torre Pellice, 12 gennaio 1961
E’ mancata ai suoi cari
Rosina Eynard
ved. Albarin
/Ve danno il triste annunzio a funerali
avvenuti i figli Dina, Gustavo e Giulio con
le rispettive famiglie e parenti tutti,
Luserna San Giovann’, 12-1-1961.
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