1
ROMA-30 SETTEMBRE-31 OTTOBRE 1918
RIVISTA MENSILE
ILLVSTRATA DI
STVDI RELIGIOSI
Anno VII : : Fasc. 1X-X
SETT.-OTTOBRE 1918
Roma - Via Crescenzio. 2
DAL SOMMARIO : Giovanni E. Meille : Psicologia di combattenti cristiani - R. NAZZARI: Le concezioni idealìstiche del male - GIOVANNI PIÒLI : L’ “ Etica della simpatia „ nella “ Teoria dei sentimenti morali „ di Adamo Smith - DANTE LATTES : Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico : Ahad-haam e la sua opera - CARLO WAGNER: “Lascia i morti,, - Qui QUONDAM: Previsioni? - G. P. : Religiosità imperialistica tedesca - M. : Rassegna di filosofia religiosa (XXIII) -GIOVANNI Pioli : Rapporti tra lo spirito della Riforma e quello della Germania contemporanea - RAFFAELE CORSO : Etnografia religiosa (VII); ecc.
2
RII YCHNI^ RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
pilu I IrllW « « « « FONDATA NEL 1912 > «• > >
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI - PSICOLOGIA ~ PEDAGOGIA FILOSOFIA RELIGIOSA ^ MORALE QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO Sì PUBBLICA LA FINE DIOGNI MESE. REDAZIONE: Prof. Lodovico PaSCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WhiTTJNGHILL, Th. D.» Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 7; Per l’Estero, L. IO; Un fascicolo, L. I.
[Per gli Stali Uniti e per il Canadá è autorizzato ad esigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica, B. D. Pastor, 1414 Cosile Ave, Philadclphla. Pa. (U. S. A.)].
00000000B0000B00000000000B0000000000000B000000
NOVITÀ
È uscito il 9° volume della Biblioteca di Studi Religiosi edita dal Dr. D. G. WHITTINGHILL
GESÙ DI NAZARETH
STUDIO STORICO CRITICO
di PIETRO CHIMI NELLI
autore del voi. Il n Padrenostro n e il mondo moderno.
Il volume comprende i seguenti capitoli:
I. Il mondo al tempo della nascita di Gesù.
II. Il paese di Gesù.
III. La Madre di Gesù.
IV. Gli anni silenziosi di Gesù.
V. La predicazione di Gesù.
VI. Le Parabole di Gesù.
VII. I principali insegnamenti di Gesù.
Vili. Gli “ agrapha99 o le parole di Gesù non registrate.
IX. I miracoli di Gesù.
X. Le riforme operate da Gesù.
XI. L’ultima settimana della vita di Gesù.
XII. Oltre la tomba.
Il voi. di oltre 500 pagine si vende al prezzo di L. 4.
Rivòlgersi alla Libreria Ed. Bilychnis, Via Crescenzio, 2 - ROMA.
3
BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA DI STUDI RELIGIOSI • • •
VOLUME XI.
ANNO 1918 - I. SEMESTRE
(Gennaio-Giwgno. Fascicoli I-VI)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
5
INDICE PER RUBRICHE
INDICI DEGLI ARTICOLI.
Cappelletti Licurgo: Il Conclave del 1774 e la satira a Roma, p. 159.
Chiappoli! Alessandro: Contro l'identificazione della filosofia e della storia e pei diritti della critica, p. 122.
Corso Raffaele: Deus pluvius (saggio di mitologia popolare), p. 321.
De Stefano Antonino: Psicologia russa (A proposito'di un libro recente), p. 167. Dostoievsky F.: La tentazione (Tradu-zione di Èva Amendola), p. 170.
Gabellini M. A.: Morale e religione nella vita e nell’arte di Olindo Guerrini, p. 35, 83.
Giulio Benso Luisa: Lamennais e Mazzini. IV. Epistolario, p. 28. — V. I due profeti, p. 66.
Lanzillo Agostino: Il soldato e l’eroe. -Saggio di una psicologia della guerra. (Continuazione e fine), p. 18.
Lattes Dante: Note di vita e di pensiero ebraico, p. 97, 363.
Masumi Hi no: L’evoluzione del pensiero giapponese, p. 291.
Murri Romolo: Gl'Italiani e la libertà religiosa nel secolo xvm, p. 314.
Pioli Giovanni: Felice Moscheles, l'artista umanitario e il pittore di Mazzini, p. 141. Id.: Morale e religione nelle opere di Shakespeare, p. 250.
Quid quondam: Carducci e il Cristianesimo in un libro di G. Papini, p. 132.
Re Bartlett Lucy: Il Cristianesimo e le chiese, p. 263.
Rossi Mario: I sofismi sulla guerra e la difesa della nostra latinità. - Guerra di religione o guerra economica?, p. 3.
Id.: « La Cacciata della Morte » a mezza quaresima, in un sinodo boemo del ’300, P-. *53Rutili Ernesto: Vitalità e vita nel Cattoli-cismo (xiv), p. 367.
Tanfani Livio: Il fine dell’educazione nella scuola dei Gesuiti, p. 71, 148.
Tacci Paolo: La guerra e la pace nel pensiero di luterò, p. 331.
NOTE E COMMENTI.
Quid quondam: Roberto Ardigò, p. 94.
INTERMEZZO.
Cento Vincenzo: Colloquio con Renato Serra (1915-1917), p. 344.
Meille Giovanni ed Ada: Profilo di Giosuè Gianavello, p. 179.
Id.: Giosuè Gianavello, Scene Valdesi in quattro atti, p. 183, 272.
Rossi Mario: Esperienze religiose contemporanee, p. 352.
ì PER LA CULTURA DELL’ANIMA.
Emmanuel: Poemi francescani, p. 212.
! Wagner Carlo: L’anima mia ha sete di Dio, p. 89.
Id.: Serpenti e colombe, p. 215.
TRA LIBRI E RIVISTE.
A) I libri.
Babelon E.: La grande question d’occident: Le Rhin dans l’bistpire, p. 118.
Berliner Abraham: Geschichte der Juden in Rom, p. 100.
Id.: Aus dem inneren Leben der deutschen Juden, im. Mittelalter, p, 101.
Buonaiuti Ernesto: Sant’Agostino, p. 224.
Cart L.: Au Sinai et dans l’Arabie Pé-trée, p. 52.
Corpus Scriptorum Latinorum Paravia-num, p. 305.
Demole E.: Le culte préhistorique du soleil et le cimier des armes de Genève, P- 247- - •
Fliehe A.: Etudes sur la polémique religieuse à l’époque de Grégoire VII, p. 299.
Gemelli Agostino: lì nostro soldato, p. 307.
Gentile Giovanni: Le origini della filosofia contemporanea in Italia, p. 226.
Gressmann (prof.): Albert Eichhorn und die religionsgeschichtliche Schule, p. 55.
6
IV
BILYCHNIS
Hodge R.: Historical Geography of Bible I Lands, p. 53.
Levi A.: La filosofia di Giuseppe Mazzini, p. 298.
Lombardi Satriani Raffaele: Il blasone popolare. p. 304.
Losini Francesco: Ivan Turghienieff, pagina 167.
Morelli Vincenzo: La Corte di Francia e la «malizia di Roma», p. 119.
Niceforo Alfredo: I Germani. Storia di un’idea e di una razza, p. 303.
Papini Giovanni: L’Uomo Carducci, p. 133.
Poemi francescani, p. 212.
Ramsay W.: The bearing of recent discovery on the trustworthiness of the New Testament, p. 54.
Salomon Schlechter: Studies in Judaism, p. xox.
Schneiur Z., Un ribelle poeta ebreo, p. 100.
Silva Pietro: Il « sessantasei », p. 306.
Smith G. A.: Atlas of the Historical Geography of the Holy Land, p. 53.
Spire André: Moil... Moi!..., p. 308.
Torrey Cutler: The composition and date of Acts, p. 53.
Trafeli Luigi: Ubi Christianus?, p. 308.
B) Le riviste.
Babut E. C.: L’adorazione degli imperatori e l’origine della persecuzione di Diocleziano, p. 243.
Bartoli A.: L’introduzione del culto d’Escu-lapio in Roma, p. 47.
BernarQggi A.: La personalità scientifica di F. Suarez, p. 297.
Bertholet A.: La credenza precristiana nella resurrezione corporea, p. 55.
Boissier A.: Il culto di Diana in Svizzera, p. 46.
Buonaiuti Ernesto: Il manicheismo, p. 50.
Calderini Aristide: Il mito d’Europa, p. 241.
Cesano L. Tipologia monetale su Efesto-Vulcano, p. 241.
Chassinat A.: Il culto del Dio Api, p. 44.
Codara A.: La persecuzione in casa Flavia e la congiura contro Domiziano, p. 51.
Cocchia E.: Il carme degli Arvali, p. 45.
Id.: Il carme dei Salii, p. 52.
Constans L. A.: La religione durante l’impero; p. 245.
Cumont Franz: Iside Aawivw, p. 48.
Id/. La lingua degli Etei o Ittiti, p. 48.
Id.: Il culto dell’Eufrate, p. 242.
Id.: Specchi magici, p. 268.
Deonna: Simboli solari, p. 247.
Domande ad un Oracolo, p. 47.
Eerdmans (prof.): Farisei e Sadducei, pagina 54.
Flach Jacques: L’inversione morale della Germania, p. 116.
Galieti A.: Il culto di Giunone in Lanuvio, p. 49.
Gentile Giovanni: Esame di coscienza nazionale, p. 222.
Ghedini G.: Il sentimento religioso pagano.
P- 246. .
Hoper W. D.: Le opinioni religiose di Cicerone, p. 240.
Jeanneret M.: La lingua delle tavolette di esecrazione, p. 52.
Kiesow Fed: Il demone socratico, p. 46.
Lattes E., Il problema degli Etruschi, p. 49.
Libelli (I) della persecuzione deciana, p. 51.
Maliandi Giosuè: La fase attuale degli studi di storia deligiosa, p. 302.
Maspero G.: Il culto degli alberi, p. 44-Matthei L. E.: Dei fati, degli dei e della libertà umana, p. 248.
Melamed S. M.: Una teoria sulla filosofia della letteratura ebraica, p. 99.
Murri Romolo: Umanesimo e materialismo scolastico, p. 223.
Nogara B.: Il problema degli Etruschi, p. 49.
Pascal C.: Paganesimo e cristianesimo. P- SiPatroni G~ Eros e la Sirena, p. 241.
Plooij (prof.): Gli Atti degli Apostoli, p. 54.
Porta G.: La dedica e la data dell'Apologia di Atenagora, p. 45.
Prezzolini Giuseppe: Umanesimo e materialismo scolastico, p. 223.
Radin M.: La conoscenza romana della Letteratura ebraica, p. 243.
Reinach S.: L’indolenza degli dei, p. 48.
Id.: Il culto del sole, p. 247.
Robinson T. li.: Baal- in Grecia, p. 240.
Salvatorelli Luigi: Il pensiero .dei martiri cristiani intorno allo stato, p. 243.
Scheil V.: Escatologia susiana, p. 242.
Sciava R.: La morte della Sibilla, p. 52.
Scott John A.: Ulisse come divinità solare, p. 248.
Seeberg R.: La filosofia religiosa di Lu-tero, p. 298.
Segal M.: Farisei a Sadducei, p. 55.
Tarozzi G.: L’etica nella cultura della classe magistrale, p. 113.
Troilo E.: I rapporti fra pedagogia e filosofia, p. 1x3,
7
INDICE
T
Ventura Luigi: La guerra come catarsi spirituale, p. 112. Warde Fowler W.: Le duplicazioni di altari e di offerte in Virgilio, p. 241.
Wassitch M.: » Dii pedes laneos habent », p. 241.
Wright F. A.: Nettare e ambrosia, p. 240.
ILLUSTRAZIONI.
Mazzini nel 1862 (Ritratto eseguito da F. Moscheles). — Ritratto di F. Mosche-les. Tavola tra le pag. 144 e 145.
Profilo di Giosuè Gianavello, p. 178.
Rorà: Vecchie case nel centro del borgo, p, 192.
Il Capitano Gianavello, p. 205.
Il fucile di Gianavello, p. 208.
Spada di Peyronnel, luogotenente di Gianavello, p. 211. (Disegni e xilografie di Paolo A. Paschelto).
Vecchia ceramica rappresentante la figura di Shakespeare circondata dai suoi ricordi in Stratfort-on-Avon. Tomba di Shakespeare nella chiesa parrocchiale di Stratfort-on-Avon. — Tavola tra le pagine 256 e 257.
Veduta di Pianprà, p. 271.
Il Col Cassuler, p. 281.
La casa ove nacque Gianavello a Bobbio Pellice, p. 290. (Disegni e xilografie di I Paolo A. Paschelto)INDICE GENERALE
Adami G., p. 311.,
Adorazione: L’A. degli imperatori e l’origine della persecuzione di Diocleziano, P- 243..
Agostino (S.), p. 224.
Alberi (Il culto degli), p. 44.
Amendola Èva, p. 170.
Api: Al culto del dio A., p. 44. .
Apologia: La dedica e la data dell’A. di Atenagora, p. 45.
Ardigò Roberto, p. 94. *
Arvali (Il carme degli), p. 45.
Atenagora: La dedica e la data dell’Apologia di A., p. 45.
Atti degli Apostoli: La composizione e la data degli A., p. 53.
Babelon E., p. 118.
Babut E. C.( p. 243.
Bartoli A... p. 47.
Berli nèr Abraham, p. 100.
Bertholet A., p. 55.
Bibbia: Geografia biblica, p. 52: La composizione e la data degli Atti degli Apostoli, p. 53.
Boissier A., p. 46.
Buonaiuti Ernesto, p. 50, 224.«
Cacciata (la) della Morte: La « C. d. M. » a mezza quaresima in un sinodo boemo del ’300, p. 153.
Calderini Aristide, p. 242.
Cappelletti Licurgo, p. 159.
Carducci Giosuè: C. e il Cristianesimo in m* libro di G. Papini, p. 132.
Cart L., p. 52.
Cattolicismo: Vitalità e vita nel C. (xiv), P- accento Vincenzo, p. 344.
Cesano L., p. 241.
Chassinat A., p. 44.
Chiappelli Alessandro, p. 122.
Chiesa: Il Cristianésimo e le Chiese, p. 263: Chiesa e Stato nella mente di Gregorio VII, p. 301.
Cicerone: Le opinioni religiose di C., p. 240.
Codara A., pag. 51.
Cocchia E-, p. 45, 52.
Conclave: Il C. del 1774 e la satira a Roma, P L59Congiura: La persecuzióne in casa Flavi* e la C. contro Domiziano, p. 51.
Cdnstans L. A., p. 245.
Corso Raffaele, p. 303, 32 iu
8
BILYCHNIS
Costa Giovanni, p. 44, 118, 240, 305.
Cristianesimo: Paganesimo c C., p. 51; Carducci e il C: in òn libro di G. Fapini, p. 132; Il C. c le chiese, p. 263.
Critica: Contro l’identificazione della filosofia e della storia e per i diritti della C., p. 122.
Culto: Il C. degli dei alberi, p. 44; Il C. del dio Api, p. 44; Il C. di Diana in Svizzera, p. 46: L’introduzione del C. d’Esculapio in Roma, p. 47: Il C. di Giunone in Lanuvio, p. 49; Baal in Grecia, p. 240: Efesto-Vulcano, p. 241; Il C. dell’Eufrate, p. 242; L’adorazione degli imperatori e l’origine della persecuzione di Diocleziano, p. 243; Il C. preistorico del sole, p. 247.
Cultura: Per la C. dell’ànima, p. 89. Cumont Franz, p. 48, 242, 248.
Dei: L’indolenza degli D., p. 48: L’alimento degli D.. p. 241: — V. anche Paganesimo, Culto, Mitologia.
Demone: Il D. socratico, p. 46.
Demole E., p. 247.
Deonna G., p. 247.
De Stefano Antonino,- p. 167.
Diana: Il culto di D. in Svizzera, p. 46.
Dio: L’anima mia ha sete di D., p. 89: Scuola, Nazione e D., p. 221.
Diocleziano: L’adorazione degli imperatori e l’origine della persecuzione di D., p. 243.
Domiziano: La persecuzione in casa Flavia e la congiura contro Domiziano, p. 51.
, Dostoievsky F., p. 170.
Educazione: Il fine della E. nella scuola dei Gesuiti, p. 71, 148. — V. Pedagogia.
Eerdmans (prof.), p. 54.
Efesto: Tipologia monetale su Efesto Vulcano, p. 241.
Eroe: Il soldato e l’E., p. 18.
Eros: E.' e la Sirena, p. 241.’ Escatologia: E. susiana, p. 242. Esculapio: L’introduzione del culto d’E. in Roma, p. 47.
Etcì: La lingua degli E. o Ittiti, p. 48. Etnografia: E. religiosa, p. 303; « Deus pluvius » (saggio di mitologia popolare), p. 321.
Etruschi: Il problema degli E., p. 49.
Eufrate: Il culto dell’E., p. 242.
Europa: Il mito d’E., p. 242.
Farisei: F. e Sadducei, p. 54.
Fasulo Aristarco, p. 119.
Filosofia: Rassegna di F. religiosa, p. ni, 221; Guerra e F., p. ni; L'etica nella preparazione dei maestri, p. 113; Peda-Se F., p. 114; L’inversione dcll’idea-tedesco, p. 115; Idealismo c rea
lismo, p. 117; Contro l’identificazione della F. e della storia e per i diritti della critica, p. 122; Le origini della filosofia contemporanea in Italia, p. 226; La filosofia di Giuseppe Mazzini, p. 298.
Flach Jacques p. 116.
Fliche A., p. 299.
Gabellini M. A., p. 35, 83.
Galieti A., p. 49.
Gemelli Agostino, p. 307.
Gentile Giovanni, p. 222, 226.
Geografia: G. biblica, p. 52.
Gerusalemme: La liberazione di ' G. e il Sionismo, p. 57.
Gesuiti: Il fine dell'educazione nella scuola dei Gesuiti, p. 71, 148.
Ghedini G., p. 246. •
Gianavello Giosuè, p. 178, 272.
Giappone: L’evoluzione del.pensiero giapponese, p. 291.
Giulio Benso Luisa, p. 28, 66.
Giunone: Il culto di G. in Lanuvio, p. 49-Gregorio VII: Chiesa e Stato nella mente di G. VII, p. 301.
Gressmann (prof.), p. 55.
Guerra: I sofismi sulla G. e la difesa della nostra latinità: G. di religione o G. economica?, p. 3; Il soldato e l’eroe. Saggio di una psicologia della G., p. 1.8: G. e filosofia, p. m; La G. come catarsi spirituale, p. 112; La G.: Notizie, voci, documenti, p. 3x0; La G. e la pace • nel pensiero di Lutero, p. 331.
Guerrini Olindo: Morale e religione nella vita e nell’arte di O. G., p. 35, 83.
Idealismo: L’inversione dell'I. tedesco, p. 115; I. e realismo, p. 117.
Iside: I. Aareivw, p. 48.
Ittiti: La lingua degli Etei o I., p. 48.
Hodge R., p. 53.
Hoper W. D„ p. 240.
Hrozny (prof.), p. 49.
Ìeanneret M., p. 52.
Latzenelson Jehudah LeibBiniamin, p. 101.
Kiesow Fed., p. 46.
Lamennais: L. e Mazzini, p. 28, 66.
Lanzillo Agostino, p. 18.
Latinità: I sofismi sulla guerra e la difesa della nostra L„ p. 3.
Lattes Dante, p. 97, 308, 363.
Lattes E., p. 49.
Letteratura: Una strana teoria sulla filosofia della L. ebraica, p. 99; La conoscenza romana della L ebraica, p. 243..
Levi A., p. 298.
Libelli (I) della persecuzione deciana, p. 51.
Lombardi Satnani Raffaele, p. 304.
Losini Francesco, p. 167. .
9
INDICE
VII
Lutero Martino; La filosofia religiosa di L-, p. 298; La guerra e la pace nel pensiero di L., p. 33x.
Maliardi Giosuè, p. 302.
Manicheismo (II), p. 50.
Martiri: Il pensiero dei M. cristiani intorno allo Stato, p. 243.
Maspero G., p. 44.
Masti mi Hino, p. 291.
Materialismo: Umanesimo e M. scolastico, p. 223.
Matthei L. E., pag. 248.
Mazzini: Lamennais e M. p. 28, 66; Felice • Moscheles, l’artista umanitario e il pittore di M., p. 141; Rousseau e M., p. 298.
Melile Giovanni ed Ada, p. 179, 272.
Melamed S. M-, p. 99.
Messianismo: M. slavo, p. 225.
Mickiewicz Adam, p. 225.
Mito: II M. d’Europa, p. 242.
Mitologia: Deus pluvius (saggio di M. popolare), p. 321.
Morale: M. e religione nella vita e nell’arte di Olindo Guerrini, p. 35, 83; M. e religione nelle opere di Shakespeare, P- 250.
Morelli Vincenzo, p. 119.
Morte: Là « cacciata della M. » a mezza quaresima in un sinodo boemo del ’300, P- x53*
Moscheles Felice: F. M.» l’artista umanitario e il pittore di Mazzini, p. 141.
Murri Romolo, p. 223, 3x4.
Niceforo Alfredo, p. 303.
Nogara B., p. 49.
Oracolo: Domande ad un O., p. 47/
Paganesimo: P. e cristianesimo, p. 51; Il sentimento religioso pagano, p. 246. — V. Culto, Milo,_Mitologia,_Oracolo.
Palestina: La liberazióne di Gerusalemme e il Sionismo, p. 57.
Papihi Giovanni, p. 133.
Pascal Carlo, p. 51.
Patroni G., p. 241.
Pedagogia: Il fine dell’educazione nella scuola dei Gesuiti, p. 71, 148; L’etica nella preparazione dei maestri, p. 1x3; P. e filosofia, p. 114; Scuola, Nazione, Dio, p. 221; Esame di coscienza nazionale, p. 222; Umanesimo e materialismo scolastico, p. 223.
Persecuzione: I libelli della P. deciana, p, 51; La P. in casa Flavia e la congiura contro Domiziano, p. 51; L’adorazione degli imperatori e l’origine della P. di Diocleziano, p. 243.
Pioli Giovanni, p. 57, 102; 141, 227, 250.
Plooij (prof.), p. 54.
Porta G., p. 45.
Prezzolini Giuseppe, p. 223.
Psicologia: Il soldato e l’eroe. Saggio di una P. della guerra, p. 18; P. russa, p. 167.
Puglisi Mario, p. 297.
Quinet Edgardo, p. 1x7.
Radin M., p. 243.
Ramsay W., p. 54.
Realismo: Idealismo e R., p. 117# Re-Bartlett Lucy, p. 263.
Reinach S., p. 48, 247.
Religione: Guerra di R. o guerra economica?, p. 3; Morale e R. nella vita e nell’arte di Olindo Guerrini, _ p. 35, 83; La liberazione di Gerusalemme e il Sionismo, p. 57; Religioni del mondo classico (IV), p. 44; Sincretismo religioso, p. 55; Rassegna di filosofia religiosa p. xxx, 221; La R. durante l’impero, p. 245; Il sentimento religioso pagano, p. 246; Morale e R. nelle opere di Shakespeare; p. 250; Storia e psicologia religiosa, p. 297; La polemica religiosa nel sec. xr, p. 299; La fase attuale degli studi religiosi, p. 302; Etnografia religiosa, p. 303; Gli Italiani e la libertà religiosa nel séc. xvin, p. 314; Esperienze religiose contemporanee, pagina 352.
Riforma: Per il IV centenario della R., S. 102, 227; Origine e vicende storiche ella R., p. 103; Spirito, caratteri, effetti della R., p. 227; La filosofia religiosa di Lutero, p. 298; La guerra e la pace nel pensiero di Lutero, p. 331.
Risurrezione: La credenza precristiana nella R. corporea, p. 55.
Robinson T. H., p. 240.
Rossi Mario, p. 3, 153, 352.
Rousseau G. G.: Mazzini e R., p. 298. Russia: Psicologia russa, p. 167. Rutili Ernesto, p. 367.
Sadducei: Farisei e S., p. 54.
Salii: Il carme dei S., p. 52. Salvatorelli Luigi, p. 243.
Satira: Il Conclave del 1774 e la S. a Roma, . P- .?59Scheil V., p. 242.
Schlechter Salomone, p. xox.
Schneiur Z., p. 100.
Sciava R., p. 52.
Scott John A., p. 248.
Scuola: Il'fine dell’educazione nella S. dei Gesuiti, p. 71, 148; S., Nazione, Dio, 6. -221; Umanesimo e materialismo sco-istico, p. 223. —- V. anche: Pedagogia.
Segai M., p. 55.
10
▼in
BILYCHNIS
Serra Renato: Colloquio con R. S., p. 344. Shakespeare: Morale e Religione nelle opere di S., p. 250.
Sibilla: La morte della S., p. 52.
Silva Pietro, p. 306.
Simbolo: Simboli solari, p. 247.
Sincretismo: S. religioso,-p. 55.
Sionismo: La liberazione di Gerusalemme e il S., p. 57; Note di vita e di pensiero ebraico, p. 97, 363. — V. Letteratura.
Sirena: Eros e la S.» p. 241.
Smith G. A., p. 53.
Socrate: Il demone socratico, p. 46.
Soldato: Il S. e l’eroe, p. 18.
Sole: Simboli solari, p. 247; Il sole sullo stemma di Ginevra, p. 247: Ulisse come divinità solare, p. 248.
Specchi magici, p. 248.
Spire André, p. 308.
Stato: Il pensiero dei martiri cristiani intorno allo S., p. 243; Chiesa e S. nella mente di Gregorio VII, p. 301.
Storia: Contro l’identificazione della filosofia e della S., e per i diritti della critica, p. 122; S. e psicologia religiosa, p. 297.
Storia del Cristianesimo:. La dedica e la data dell* Apologia di Àtenagora, p. 48; I « libelli > della persecuzione deciana, p. 51; La persecuzione in casa Flavia • la congiura contro Domiziano, p. 51;
Per il IV centenario della Riforma, p. 102, 127; S. Agostino, p. 224; L’adorazione degli imperatori e l’origine della persecuzione di Diocleziano, p. 243; Il pensiero dei martiri cristiani intorno allo Stato, p. 243; La filosofia religiosa di Lutero, p. 298: Chiesa e Stato nella mente di Gregorio VII, p. 301; La guerra e la pace nel pensiero di Luterò, p. 331. Suarez Francesco: La personalità scientifica di S., p. 297.
Tanfani Livio, p. 71, 148.
Tarozzi G., p. 113.
Tavolette di esecrazione: La lingua delle
T. d'e., p. 52.
Torrey Cutler, p. 53.
Trafeli Luigi, p. 308.
Troilo E., p. 113.
Tucci Paolo, p. 331.
Ulisse: U. come divinità solare, p. 248.
Umanesimo: U. e materialismo scolastico, p. 223.
Vassitch M., p. 241.
Ventura Luigi, p. 112.
Virgilio: Le duplicazioni di altari e di offerte in V>, p. 241.
Vulcano: Tipologia monetale su Efesto Vulcano, p. 241.
Wagner Cario, p. 89, 215.
Warde Fowler w., p. 241.
Wright F. A., p. 240.
11
araiNB
RMSlÀ DI SlVDi RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA 5CVOLA TEOLOGICA BATTISTA
- DI ROMA1
• Anno settimo Fascio. IX~X Sett.-Ottobre 1918 (Vol. XII. 2)
SOMMARIO:
Giovanni E. Meili.e: Psicologia di combattenti cristiani. Note e documenti . . . ’............................................Pag. 114
R. Nazzari : Le concezioni idealistiche del male................» 133
Giovanni Pioli : L’ “ Etica deìta Simpatia „ nella “ Teoria dei sentiménti morali „ di Adamo Smith. (Esame criticò)............>147
Dante Lattes: II filosofo del rinascimento' spirituale ebraico: Ahad-haam e la sua opera . . . .............................>167
PER LA CULTURA DELL’ANIMA :
Carlo Wagner: “Lascia i morti,,. . -......................•<-..?» 17$
NOTE E COMMENTI :
Qui QUONDAMu Previsioni? Risposta aperta-ad una lettera chiusa . » 185
G. P. : Religiosità imperialistica tedesca (Documenti)..........> 190
. TRA LIBRI E RIVISTE :
m. : Rassegna di filosofia religiosa (XXIII): Germanesimo e autocritica -Sociologia e religione - Il letterato italiano - Chiesa e stato nel pensiero di Dante - Positivismo spirituale - Misticismo ed estetismo -Libertà e determinismo nella storia e nella guerra............. > 194
Giovanni Pioli : Pel IV centenario della nascita della Riforma -(IV): Rapporti fra lo spirito della Riforma e quello della Germania contemporanea - Lutero commemorato in Germania........................ o 202
Raffaele Corso: Etnografia religiosa -(VII): Miti e leggende abruzzesi - Costumi c riti pugliesi - Fonti pagane d’usanze c riti cristiani ....*. * 210
Varia : L' " Ottavio,, (G. Costa) - Storia popolare dei Battisti (A. De Stefano) - Dalla guerra alla pace....................................... > 213
NB. — Al presente fascicolo sono annessi il frontespizio e gl’indici del volume XI0 della Rivista (1° semestre 1918).
12
PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
NOTE E DOCUMENTI«
Non pas Dieu avec nous, maie noue avec Dieu. Noue n'abaissons pas Dieu jusqu'à noue, maie noue tâchons Je noue élever juequ'à Lui.
ÜN PRRDICATORE CATTOLICO'.
Oh Dio mio, oh Dio mio! Occorre davvero che i noetri teneri figli ci siano strappati per essere — raggianti di candore e di entusiasmo — buttati in preda all’orrido Minotauro, al Molok stupido ed infame della guerra l
Noi abbiamo il diritto di maledire Satana!
Ma torniamo sereni, sedendoci ai piedi dei nostri figlioli, figli del nostro sangue e figli della nostra anima, i quali con tanta chiaroveggenza, tanta fermezza, tanta fede, hanno arditamente ripetuta la parola deirunico Maestro che si possa davvero servire. sino all'ultimo senza disonore: « Ninno mi toglie la vita; io la dono ».
W. MONOD Predicatore evangelico.
INTRODUZIONE
Spiegazione necessaria - Volontario «confiteor» - L’eterna obbiezione - La risposta trionfale - Parole grandi di un francese - Parole grandi di un italiano.
Ecco .la spiegazione:
combattenti cristiani di cui intendo riprodurre i pensieri e. quasi direi; fotografare l'anima', sono tutti francesi, tutti evangelici e tutti, o quasi tutti, membri della Federazione studenti cristiani di Francia.
•Mi è stato giocoforza (e dico alto «purtroppo») cercare i materiali fuori d'Italia. Non che nel nostro esercito e nella nostra marina non siano numerosi i combattenti cristiani delle varie scuole. Ma essi non scrivono molto, essi non sembran dare alle
loro esperienze religiose il libero sfogo dei loro compagni francesi; o almeno, il che è più probabile, non è stato pubblicato gì anchè di ciò che scrivono su questo tema ei pochi frammenti di cui si potrebbe disporre non sono sufficenti come argomento
(♦) Blbliografia: A la caserne et sur* le front — Fragments et Lettres d’un Etudiant-soldat — Alfred-Eugène Casalis: En souvenir d’un jeune soldat de la France et de Jésus-Christ — Les cahiers de Jean KHngebiel — Un soldat sans peur cl sans reproche: A la mémoire de André Cornet Auquicr — Robert Fillon, Eclaireur unioniste mort pour la France: Ses Lettres — Memento de Pierre de Maupeou — Roger Allier— T. Viénot. Paroles françaises — R. Allier, La Victoire de la Vie. Conferenza — R. Allier,
13
PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
1*5
di studio (i). Poiché non si tratta qui di comporre un mosaico con tante pietruzze dirò così impersonali; si tratta di rievocare alcune individualità, alcune grandi figure di credenti moderni.
Mi sono poi limitato a combattenti evangelici per dare al mio studio dei confini ben limitati. Certo le esperienze religiose-militari del cattolico-romano e del cristiano-evangelico sono molto affini. Sul campo di battaglia sono caduti quasi tutti (Dio volesse fossero tulli) i vieti preconcetti che non permettevano ai credenti delle varie- confessioni di sentirsi « fratelli in Cristo » pur dichiarandosi figli di quel Padre celeste ch’essi concordemente invocavano nel comune Pxler nosicr. Spero documentare più avanti la larghezza di spirito dei giovani di cui intendo parlare e nella mentalità dei quali non v’è ombra di settarismo. Essi veramente sono di quelli i quali proseguono il travaglio di secoli verso la costituzione dell’alta e luminosa chiesa unica di Ciisto, la quale non conosce l’anatema...
Però la metodologia, la.disciplina spirituale, la mentalità religiosa sono, per educazione c per profonde diversità dottrinali, assai diverse nel cattolico e nel protestante. E, se sono raggiunte le medesime vette, le vie per le quali le anime ascendono sembran percorrere versanti diversi dello stesso monte. Per essere dunque preciso, per non stringer male volendo'afferrare troppo alla volta, le limitazioni di questo lavoro mi sono imposte. Certo chi scrive sarà il primo ad essere contento se lo studio suo ne provocherà un altro o vari altri paralleli (2).
Quanto sopra ho esposto non basta ancora per tracciare all’argomento dei limiti sufficentemente precisi. Anche nel campo evangelico varie sono le metodologie le discipline, le dottrine e quindi varie le mentalità religiose. C’è ad esempio la mentalità ecclesiastica (per non dire clericale): per essa l’istituzione chiesa è l’elemento essenziale e lo sviluppo, la prosperità dell’istituzione-chiesa è la preoccupazione dominante di una religiosità in cui spesse volte le convinzioni personali sono poche, e talvolta è dubbia persino la moralità privata. C’è là mentalità dottrinale per cui la «sola cosa necessaria» è l’ortodossia della credenza, la quale purtroppo può anche esistere scompagnata dall’ortodossia della vita. C’è la incn.Avec nos file sous la miiraille. Conferenza — W. Monod, Le Prix du Sane. Sermone, (pubblicato in italiano in Bilychnis, Nov.-Dic. 1916) — M. Barrès, Les Jamilles spi-rituelles de la France, Cap. IV, Collezione della rivista < Fot et Vie» —- Collezione del • Semeur» bollettino mensile delle «Associations Chrétiennes d’Etudiants de Franco».
Tutti questi opuscoli fogli e riviste possono ottenersi rivolgendosi alla « Librairie Fischbacher », 33 Rue.de Seme, Paris; o alla « Librairie de Foi et Vìe • 48 Rue de Lille, Paris; oppure alla rivista Bilychnis, 2 Via Crescenzio, Roma.
(1) Per i giovani cattolici italiani può essere consultato il Piemont&'§lorico, pubblicato in Torino sotto gli auspici di quella « Società storica del Risorgimento italiano». Notevoli tra gli altri i medaglioni di Dccio Raggi e di Mario Tancredi Rossi. Vcdansi pure vari numeri de La nostra rivista femminile e de VAzione.
Per i giovani evangelici, vedansi alcuni numeri del 1915 e del 1916 della piccola rivista Fede e Vita, organo della « Federazione italiana degli Studenti per la cultura religiosa ». Sarebbe stato opportuno, secondo noi, di continuare tale pubblicazione di pensieri e di lettere di combattenti anche negli anni successivi, consacrandovi qualche pagina in ogni numero.’
(2) Nè la Redazione di Bilychnis, sarà per dolersene (Red.).
14
BILYCHNIS
talità dirò così « alla salutista* che. concentra tutta la sua attenzione sopra un particolare momento dell’esperienza religiosa, e dà una soverchia importanza all’emotività del credente, sacrificando la sua razionalità. C’è la mentalità moderna che cerca un sano equilibrio tra la fedeltà alle’tradizioni dottrinali del passato, le esigenze della ragione, della scienza e della coscienza proprie del presente, e le speranze sociali dell’avvenire. Questa mentalità ha creato un tipo moderno di cristiano, credente e operante, le cui caratteristiche meritano d’essere studiate da vicino e con ogni simpatia. E siccome le affinità spirituali conducono i cuori c le menti a riavvicinarsi, apparirà naturale che i credenti evangelici di quel tipo moderno, che presenterò ai lettori, siano tutti giovani studenti o ex -studenti e ch’essi si raccolgano quasi tutti in una « Federazione» creata per loro e da loro resa vivente, veramente carne della loro carne e anima della loro anima (i).
Questa la spiegazione. ‘ A
Ed ora. il « confìteor ».
Era dapprima l’intenzione dell’autore (diciamo meglio compilatore di queste, disadorne note) di scrivere un articolo così detto (oh la volgarità di certe parole!) < a grande effetto ». Perciò il sottotitolò primitivo di questo lavoro suonava nientedimeno così: « Contributo allo studio dell'esperienza religiosa moderna ». Scusate se vi pare ancora... troppo poco. E chi aveva scritto quel sottotitolo intendeva (veramente « sperava », perchè, per scrupolo di sincerità non bisogna andare all’altro eccesso della falsa modestia) sperava, dunque, aggiungere un paragrafo, se non un capitolo, alla grande opera, a tutti nota — per quanto oggigiorno assai svalutata — del celebre psicologo americano William James.
Il presente studio doveva quindi comporsi di' molte considerazioni, di molti ragionamenti, illustrati qua e là da qualche breve «opportuna» citazione. L’autore (o compilatore) voleva cioè fare un po' di luce sull’esperienza religiose di alcuni combattenti cristiani. ‘ ****»•
Ma poi!...
Poi, per sua fortuna —.vera «grazia di Dio » — chi scrive si è accorto che voleva illuminare col povero suo lucignolo una gran fiamma viva — risplendente e spasimante — alimentata dalla spiritualità più alta e resa turbinosa per il soffio dall’Alto. Egli si è accorto che. invece di parlare, valeva meglio, assai meglio, di lasciar parlare; che non si trattava di commentare e di filosofare, ma che era permesso soltanto di raccogliere e di ordinare. Egli ha compreso che il suo ufficio doveva limitarsi a leggere con occhi puri, a preparare con mani monde la cornice più semplice e più austera al quadro sublime che gli era dato di contemplare.
Davanti a quei soldati — ingenui come-fanciulli, eroici come i più grandi eroi della storia — davanti a quei combattenti cristiani che hanno dato serenamente e consciamente la vita pei supremi ideali — egli ha provato la medesima impresili Di questa «Federazione» parleremo distesamente più avanti, quando studieremo l’ambiente spirituale in cui s’è sviluppata la coscienza religiosa dei nostri giovani eroi.
15
PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI II7
sione che dovette provare Mosè presso il cespuglio ardente. L’antico Ebieo si tolse gl'impuri calzali, non volendo con essi calpestare un lembo di terra sacra. Il moderno libero-credente ha rinunziato alla sua stolta pretesa di costruire una scienza con dei lembi d’anima, non volendo commettere una sacrilega profanazione.
♦ * #
Questa l’esperienza fatta leggendo e meditando le lettere, > diari di guerra, i semplici appunti di trincea scritti da tanti giovani eroi. E gli occhi non hanno pianto: perchè, dinnanzi allo spettacolo dell’umana virtù che ascende le vette più alte dello spirito, cioè del divino, non s’inumidiscono le pupille, ma s’irradiano di gioia soprannaturale, contemplando sprazzi di luce che vengono dall’infinito...
Senonchè, mentre appunto, coll’anima satura di religiosa commozione, stava tracciando queste righe, è capitato a chi scrive di leggere una pagina della recente opera di Mario Mariani: I colloqui (colla morte: quella pagina lo ha per un momento sconvolto, perchè presenta colla forza dell’esperienza vissuta l’eterna obbiezione fatta daUo seetticismo alla vita interiore: La religione non è altro che illusione, sentimentalismo patologico, autosuggestione; l’uomo che pensa davvero non crede e non si commuove; non esiste lo spirito, non esiste l’Al di là; non esiste Dio. La sola cosa che esiste è... la scettica ragione.
Ecco l’amara, dolorosa pagina:
* Si-vuol vivere, si pensa di poter vivere oltre la morte.
«Tutta la menzogna convenzionale della religione seguita in trincea. Quelli che credono pregano Iddio con più fervore, ma lo pregano di lasciarli vivere.
« La religione è una suprema paura; la paura del nulla. L'idea del nulla ci spaventa. Per questo l’uomo ha creato Iddio.
•»Per questo ha creato l’idea dell'immortalità dell’anima.'
- Ma la metafisica può consolarci quando la morte è lontana.
«Quando è vicina, se anche siamo credenti e la nostra fede ci promette paradisi meravigliosi oltre la morte, noi ci aggrappiamo disperatamente alla vita.
« Si parla molto di rapide conversioni di trincea. Per quello che ho potuto osservare, si esagera.
• In trincea s’ha una grande pietà dei morti. E con l’abitudine si perde anche quella: ci si siede a divorare il. rancio, talvolta, sulla schiena d’un cadavere mal sepolto.
« Chi ninnava nell’imo del suo cuore un fondo di misticismo se ne risovviene: ecco tutto.
• Ma gli atei e i materialisti continuano ad esser tali. Io ho avuto paura di morire e a infinite cose ho pensato, ma non mai ad un problema ti ascendentale. Il di là non mi passava nemmeno per il capo. Perchè la sola paura ch’io non sento è quella del nulla. Io amo questa mia vita parecchio; tanto che mi seccherebbe molto di perderla. Ma non ne so immaginare altre senza un senso di noia. Mi pare che, se dovessi continuare, con la mia anima a vivere, a vivere, a vivere, questa mia immortalità mi sembrerebbe una condanna e per ribellarmi seguiterei a uccidermi, a uccidermi, a ucci-dermi.
« In trincea si ama questa vita: terrena. E si teme la morte ».
♦ ♦ ♦
Dolorosa pagina Bevvero? E come si sente che chi l'ha scritta deve sentirsi, nei momenti di sincerità assoluta, e nonostante la grande sicurezza in se stesso, profondamente infelice.
16
Il8
BILYCHN1S
E pagina umanamente vera in quanto, come detto sopra, rappresenta una esperienza vissuta: pagina umanamente vera e per chi l’ha scritta e per coloro che ritrovano, analizzata in essa, la loro propria esperienza.
Ma che co’è una verità umana, di fronte alla Verità assoluta ed eterna?
E non ha «un diritto almeno uguale al rispetto, alla considerazione di tutti gli uomini dal cuore nobile.e dalla mente serena, un’altra verità umana, anch’essa ràppresentata da un’esperienza vissuta, la quale, senza scagliare contro le altre esperienze dei fratelli-uomini la pietra del ridicolo, o dell’assurdo, si presenta con tale potenza di sincerità da imporre l'ammirazione?
Certo, a chi grida, ancoraggi, contro tutto quanto oltrepassa la vita dei-cinque sensi, le vecchie contumelie materialistiche dei tempi andati sulla « menzogna convenzionale della religione seguita in trincea », sulla « religione suprema paura », sull’« uomo che ha creato Iddio », sulla « metafisica che consola quando la morte è lontana» ed altre peregrine trovate del medesimo genere — a chi scrive oggi in quel modo, si potrebbe dire che la sua filosofia è un tantino invecchiata e ch’egli farebbe un’ottima cosa d’informarsi un pochino dei risultati più recenti della psicologia rigidamente scientifica.
Però, specie in Italia, si concedono a quel tale ben volentieri le attenuanti. Dopo tutto, a rileggere la pagina di Mario Mariani, anche chi prima l’aveva giudicato un blasfema, riconosce che nel suo’dire non ha tutti i torti.
S’egli è quello che è, s’egli scrive ciò che scrive, s’egli parla deH’esperienza religiosa come qualcuno che non la conosce affatto, non dico praticamente, per averla provata,- nia neppure teoricamente per aver Iettò su di essa qualche libro veramente serio — di tutto questo di chi la colpa?
Egli parla della religione ch’egli conosce, di quella religione che ha vista praticata in trincea e fuori di trincea; di quella fede che si manifesta solo quando si ha paura, di quella metafisica che non consola più quando la morte è vicina, di quel concetto (maomettano) del.« paradiso meraviglioso » e di quell'altro concetto (buddistico?) della vita eternamente oziosa che fanno davvero venire la nostalgia di... finirla una buona volta; insomma di quel « misticismo che si ninna in fondo al cuore», ch’era dimenticato da un pezzo, ma in armonia col quale si poita la medaglietta al collo o al polso, e di cui «ci si risovviene in trincea».
E si fa presto a dire che quella fede, quella metafisica, quel paradiso, quel misticismo, se rampollano direttamente, direi quasi inevitabilmente, dal roma-nesimo, e anche dal protestantesimo tradizionali? non hanno nulla, ma proprio nulla a\ che fare coll’Evangelo, col cristianesimo di Gesù, colla religione cattolica (universale) insegnata e praticata dal Cristo.
Affermare non basta, occorre dimostrare.
Ma non più dimostrare con parole; gli argomenti verbali della più sottile dialettica e della più eloquente apologetica si spuntano contro il duro macigno della realtà della vita; ci vogliono dei fatti, ci vogliono delle esistenze realmente vissute.
E Jalti noi raccoglieremo nelle pagine che seguiranno; intorno ad esistenze vissute noi concentreremo la nostra rispettosa attenzione.
borse se accanto ad ogni ateo, ad ogni materialista che, come dice il Mariani,
17
PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI IIG
«continua ad esser tale anche attraverso la guèrra • — se, dico,.in ogni breve settore di trincea, ci fosse un soldato appartenente alla famiglia di quelli di cui vogliamo occuparci — se ciò potesse essere — se il profumo di quelle anime purissime potesse venir respirato dalle anime senza fede e senza speranza — forse gli atei e i materialisti non continuerebbero ad essere tali. — Pur continuando ad amare — come deve essere amata — questa vita terrena (ch’è un dono di Dio) essi non proverebbero più alcuna paura della morte. E ciò non perchè si metterebbero a pensare col loro cervello ai problemi trascendentali, ma perchè avrebbero gli occhi della fede illuminati dalla luce eterna.
« Penso — scriveva il soldatino cristiano Alfredo Casalis il 21 marzo 1915 -penso a tutte quelle giovani anime, a quelle vite nuove che la guerra ha nuovamente forgiate e che, in vista del sacrificio, sono diventate belle e grandi ».
Sì, vite nuove, anime nuove!...
* ♦ ♦
Maurizio Barrès, nel suo ultimo libro: Le famiglie spirituali della Francia, terminando il mirabile capitolo intitolato: « Perchè nasca una Francia più bella », esclama: . •
«Quale genio religioso in questa giovane generazione. Essi non sono tutti allo stesso livello, non appartengono tutti allo stesso credo, ma di essi tutti la storia dirà ciò che scriveva Leo Lafil: "... l’elemento spirituale domina ogni cosa in questa guerra ”.
«D’onde vengono questi soldatinisans peur et sans reprocher La figlia del Giudice diceva nella Scrittura: « Vi chiediamo quindici giorni per piangere i nostri giovani ». Essi non versano una lacrima. Aspetto luminoso, sguardo pieno di calma, pensièri sublimi che salgono, senza turbarla, alla superficie del lóro essere: Son dessi davvero i nostri giovani fratelli? Essi nàcquero due volte: dalla terra di Francia, da .una vecchia nobile razza, e poi dal pericolo nazionale. Le madri francesi — le più tenere, le più timide del mondo -r-.hanno detto ai loro ragazzi nel 1914: .« T’incoraggerei colla voce s’io vedessi slanciarti contro al neiftico » {parole della signora Cornei-Auquier a suo figlio). Questi fanciulli hanno ereditato l’antico tesoro molte virtù vi sonnecchiavano; hanno ridestato ogni cosa.
« Guardandoli agire e pensare si assiste a delle risurrezioni: Strati d’animo che in noi eran rimasti incolti ricominciano a produrre, e quei giovani posseggono rie chezze interiori che avevamo perdute. Senza rinunziare a nulla di quanto costituiva il nostro tesoro (perchè hanno quanto noi le attitudini positive e il senso della realtà) non lasciano nulla all’oscuro nelle parti misteriose del loro essere ed hanno ritrovato le potenze dei secoli dell’entusiasmo. In questo sono nature più complete che non fossero i loro maggiori è s’avvicinano di più al tipo dell’uomo integrale.
« Nell’accettazione del sacrificio, nel sentimento d'un’alta presenza accanto a loro eccoli davanti a noi e, se occorresse un’imagine per simboleggiarli, non ne vedo altra più esatta di quella che scaturisce da una frase che Bernard Lavergne, il tredicesimo figlio del pittore vetraio Claudio Lavergne, scrive alla sua famiglia: «... Questa sera, partenza per la trincea. Questa notte, veglierò su di voi, coll’arma al piede: voi sapete chi veglia su di me ».
18
120
BILYCHNIS
«Quale prospettiva! Aver così pensato! 0 giovani, valete meglio <1 noi!
« Essi vivranno; ma, se fossero morti, la Francia sta per ricostruirsi colle loro anime come pietre vive. Tutto questo sole di giovani che scende verso il mare è un’alba che sta pfcr sorgere » (i).
« * •
Queste parole di sincerità e di fede del grande critico francese trovano ,la-loro migliore conferma nei seguenti pensieri di un giovane nostro italiano. Sono pensieri vibranti, spasimanti, del milanese Filippo Gerbino, anima ardente di cattolico liberale, di democratico, di patriota, caduto il 16 aprile 1916, a 26 anni, e la cui memoria rimarrà nel mio cuore come quella d’una delle persone più care ch’io abbia incontrate nella vita.
■- *
X ( 19 maggio 1915.
... • E ben questo il tempo, il momento che deve servite qualc'terinine di paragone. Per la Grande Madre, per portare degnamente la cittadinanza della Vita e la patiia cittadinanza io avevo raccolto tutte le mie forze, tutta la mia volontà. Ad una ad una ogni incertezza, ogni legame che mi tratteneva, vaniva innanzi all’incalzante impeto delle nuove energie. Ora io sento pienamente il rinnovarsi di tutto me stesso, ora, alla prova, sento che non una fibra cede, che nessuna debolezza minaccia. E appunto mentre tutto un complesso d’interessi vitali è in giuoco, sento di gettare sulla bilancia del destino una vita sana e pura, non una forma vuota; sento che nè gli avvenimenti, nè l’ansia, nè il dolore che a stilla a stilla cade sul cuore come l’acqua viva che ha da temprare l’acciaio al più alto grado, possono menomamente intaccare l’anima che è pronta; sono anzi come nuovi fasci di sarmenti nel grande fuoco, la luminosa e vertiginosa bellezza della fiamma che sbigottisce'gl’indegni, perchè la loro carne è solo di materia impura che alla fiamma si sfascia, si disgrega. Ma che essa si prenda di me tutto ciò che è men saldo: mi sentirò mille volte cresciuto.
Questa è l’ora della prova e mi trova pronto. Non conta ciò che fummo, ciò che siamo; conta ciò che ci apprestiamo a divenire. Qui si raccoglie tutta la religione dello spirito: non più l’offerta di sangue o di dovizie sono come dono quantitativo, ma come dono essenziale, ideale; non la pazzia del fanatico, ma la cosciente dedizione dell’anima umana per il grande trionfo,..
La Vita sta di là, nel domani, oltre'la prova; ciò ch’io sto compiendo assurge ad una grandezza somma. Non è il dovere soltanto e non è soltanto l’amor patrio che mi tiene sotto la sua potenza. È qualcosa di supremamente bello e terribile, è il valico per cui si giunge ad un mondo senza confine... ».
(1) Opera citata, pag. 255-257.
19
PROFILI <*>
(*) Lo sviluppo molto vario di questi profili—dallo schizzo in poche righe alla biografia completa, per quanto riassunta — è conseguenza dirctt^ della grande varietà nel materiale di studio di cui abbiamo potuto disporre, il quale va dal semplice articolo necrologico al vero e proprio volume.
Abbiamo pur troppo dovuto essere molto brevi, anche per conservare alla parte biografica il posto limitato che ad essa competeva nell’economia ge* aerale del nostro lavoro. Per maggiori particolari vedasi più sopra la nota bibliografica.
20
BZLYCHN1S
RUGGERO ALLIER
Nacque nel 1890 a Parigi dove fece tutti i suoi studi. A 16 anni soggiornò per,due mesi in Iscozia in un ambiente dove entrò in'contatto con una religiosità virile che gli apri i più vasti orizzonti- Due cose lo colpirono specialmente nella religiosità scozzese: la preoccupazione della verità>’una specie di-culto della lealtà intellettuale c morale; poi la pre.occupazione costante della moralità pratica. Il giovane riportò da quel soggiorno un mòdo determinato di’ comprendere la vita religiosa e di ricavarne le necessarie conseguenze.
Tornato a Parigi, rimase a lungo esitante circa la professione che avrebbe scelta. Dopo vari mesi di meditazioni, de-' cise finalmente ’di studiare legge: ma non per diventare avvocato. Lo scopo suo era quello di presentarsi un giorno al concorso pel Consiglio di Stato; vedremo più avanti per quali motivi, s><. Allier, figlio d’un professore universitario e"valente giornalista, inizia i suoi studi superiori nel novembre 1907 e contemporaneamente egli entra a far parte della Federazione studenti cristiani. Della sua attività nella Federazione parleremo più a lungo in altra parte del nostro lavoro. Qui diremo soltanto come egli fosse di quelli i quali credono che gli studenti cristiani debbano mirare non solo ad allargare le loro conoscenze intellettuali, ma altresì a consacrarsi allo studio e alla soluzione delle questioni sociali. Pur essendo avido di nforme nel campo economico, Allier sentiva -però, nello stesso tempo, che le riforme migliori non ottengono buon: risultati se si limitano all’aspetto esterno della società umana; che occorre altresì rinnovare la vita profonda di ogni uomo. Per questo, egli non ammetteva una devozione religiosa fatta soltanto di opinioni o di riti. Pur attribuendo all’elemento intellettuale un grande valore, egli concepiva la religione sopratutto come una vita, e questa vita ei si rifiutava di ridurla a delle commozioni. Egli vedeva il valore della religione molto meno nelle effusioni sentimentali ch’essa può provocare che nella condotta ch’essa inspira. Come conseguenza diretta c specialissima di
questi principi, egli riteneva il rispetto di sò stesso e della donna, cioè la purezza >er>onale, come la condizione di ogni progresso spirituale e come il secreto della orza nella vera azione sociale.
Nel luglio 1910 Allier passa i suoi esami di laurea in legge e ottiene inoltre il diploma della Scuola delle Scienze 'politiche. In questi tre anni di studi, altri due viaggi fatti al di là della Manica avevano arricchito là sua giovane esperienza. Specialmente utile e benefico per lo sviluppo della sua personalità cristiana fu un soggiorno che, nel 1909, egli potè fare nella colonia universitaria (selllement) londinese di Mansfield House; durante il quale soggiorno egli, ebbe l’occasione di visitare altri due settlemenls dì Londra: Berniondsey e Toynbee Hall.
•L'altro suo viaggio, nell’estate del 1910, lo portò nuovamente in Iscozia, dov'egli partecipò al « campo » di Moffat: specie di scuola all’aperto, per lo studio del movimento missionario in terra pagana c di tutte le questioni tecniche e religiose che a tale movimento si ricon net tòno. Ma in tutto quei viaggio egli è più che mai interessato dalle questioni sociali. A Glasgow e nelle altre grandi città scozzesi egli visita tutte le istituzioni di rilevamento, di educazione, di solidarietà in cui può penetrare; studia da vicino la vita delle grandi società cooperative scozzesi: non perde un’occasione di osservare da vicino la vita industriale, percorrendole «fabbriche > dei più svariati prodotti.
Tornato in patria, Ruggero raggiunge la famiglia che villeggia sul versante italiano delle Alpi, a Courmayeur. Quivi inizia una serie di gite in alta montagna da cui nasce in lui una passione veramente straordinaria per l’alpinismo, tanto che decide di fare il suo servizio militare nel corpo degli alpini.
I-a vita delle armi s’inizia per lui nell'autunno 1911 a Albertville ; e presto egli fa parte del plotone dal quale saranno tratti gli allievi ufficiali; lo strapazzo lo fa cadere ammalato; ma si rimette presto ,ed è più entusiasta e più amante che mai della montagna.
Con tutto. questo, Ruggero s’interessa assiduamente alla vita della sua famiglia.
21
PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI 12?
del suo fratello, delle sue sorelle e specialmente alla vita della diletta Federazione. Segue con simpatia l'opera religiosa che si compie in Albertville e nei dintorni e, nella misura del possibile, si associa alla medesima. E intanto continua la sua istruzione e specialmente il suo allenamento fisico come allievo ufficiale. sforzo raggiunge il colmo durante le manovre estive in alta montagna, interrotte però dall'esame teorico passato a Lione. Ruggero si fa onci e dovunque e conquista la stima dei suoi superiori che lo promuovono caporale e ix>i sergente. Alla fine dell’estate lascia Albertville per seguire i corsi di allievo ufficiale a Grenoble. .
Arriva in quella città nell'ottobre 1912. Gli allievi ufficiali sono una settantina. Ruggero trova presto alcuni amici che “ hanno, come lui, più che l’amore la passione dell’alpinismo e, in quattro, (anno tutte le ascensioni più difficili e più emozionanti della regione. Ciò non gl’impe-disce però d’interessarsi vivamente di un «Appello alla cristianità» che suo padie stava preparando, per incarico della Federazione delle Chiese protestanti di Francia. Siccome tale « appello » doveva essere mandato alle varie Chiese del inondo, Ruggero riflette a ciò che dovrebbero- fare le chiese per affrettare il giorno in cui tutte le patrie — realizzando il fatto che ciascuna di esse è una persona morale, dotata -d’una particolare, vocazione e funzione — prenderanno la risoluzione di rispettarsi a vicenda e di cercare altrove che nella guerra la soluzione dei problemi internazionali.
Nel mese di marzo 1913 è promosso " ufficiale di complemento e destinato alpi 1 battaglione alpino, di stanza ad Annecy, dov’egli giunge ai primi di aprile. Dietro sua richiesta, è assegnato ad una sezione di mitragliatrici. Dopo le manovre estive, nel .novembre, si congeda e rientra a Parigi.
Subito egli torna a partecipare all’at- . tività della Federazione studenti cristiani. .
Prende parte altresì alle sedute della «Società di economia politica », ai lavori della «Lega pel libero scambio »; aderisce al-l'Associazione internazionale per la. protezione legale dei lavoratori, e s’occupa in modo specialissimo del problema delle case popolari, considerato non solo sotto l’aspetto dell’economia c dell'igiene, ma anche e sopxatutto sotto l’aspetto morale.
Con tutto ciò, egli non può resistere all’invito fattogli dal suo battaglione di partecipare alle marce d’inverno e di rimanere per alcune settimane in un « posto delle nevi » o scuola per schiatori. Passa in tal modo, nella meravigliosa solitudine dell’alta montagna, un magnifico mese di febbraio.
Tornato a Parigi in marzo, ricomincia a sgobbare per il concorso al Consiglio di Stato. Ciò non gl’impedisce di aderire con entusiasmo ad un nuovo nucleo allora costituitosi: «I volontari del sor* vizio sociale ■ Gli è affidato uno dei casi più difficili di assistenza materiale e morale ed egli vi si consacra con miràbile devozione.
Il 15 luglio 1914, Ruggero Allier partiva colla famiglia per le vacanze estive che dovevano trascorrersi ad Argentières. Pochi giorni dopo, il primo agosto, era lanciato il decreto di mobilitazione generalo ; la sera stessa, primo a partire da quel-l’alpestro villaggio, Allier lasciava Argentières per raggiungere il suo corpo ad Annecy. Quivi egli s’occupò intensamente nel preparare la sua sezióne di mitragliatrici (uomini, quadrupedi,. materiale) poi Birtì col suo battaglione per la fronte, egli ultimi di agosto partecipò non solo con coraggio, ma con vero eroismo, agli accaniti combattimenti di Saint Die.
Ferito da pallottole di mitragliatrice alle gambe, il 29 agosto e ricoverato in un’ambulanza tedesca di quel villaggio, è successo riguardo ad Allier un dramma misterioso, che s'indovina dalle ultime pagine della commossa biografia scritta da suo padre, ma di cui tutti i veli non sono ancora squarciati. I fatti sono questi: mentre tutti i testimoni concordavano affermando di averlo visto partire il giorno successivo pel Colle di Saales in un’ambulanza germanica, insieme ad altri feriti, tra cui due ufficiali tedeschi ancora armati, il suo corpo è stato ritrovato il 19 maggio 1916 in una grande tomba militare di S. Dié ritornato in possesso dei francesi. L’autopsia ha messo in luce che il povero corpo aveva il cranio orribilmente fracassato... Gli uccisori avevano preso le più minute precauzioni perchè il cadavere non potesse essere riconosciuto; ma essi non avevano previsto ogni cosa e le prove del loro delitto si rizzeranno un giorno, formidabili, contro di essi.
Ruggero Allier riposa adesso, insieme agli alpini caduti nei combattimenti del-
22
124
BILYCHNIS
l’agosto. 1914, in un cimitero luminoso e calmo, che sovrasta la città eroicamente difesa. Quel piccolo esercito di soldati di Fi ancia, dopo aver sbarrato la via all’invasore, sembra ora montar la guardia dinnanzi all'immenso orizzonte dei Vosgi e in faccia ai colli che conducono alla terra promessa.
PAOLO LAFFAY •
Nato nel 1889, era uno dei sei figli di un pastore evangelico. La sua storia è quella d’un’anima assillata da una vocazione missionaria, c che si sforza di rispondervi con una lealtà perfetta. Appunto la lealtà spiega tutte le crisi di quell'anima. Nel 1904, a Valentigney egli subisce l’influenza di una campagna religiosa così detta di risveglio. « L’impressione mia fu tale, 1 acconta egli stesso, che a qualcuno che mi chiedeva « Consei-veiai qualcosa di quelle adunanze? », io risposi: «Mi ci sono convertito». Pochi giorni dopo ricevetti un giornale dove ciò che avevo confidenzialmente raccontato, si trovava stampato e sottolineato a lapis bleù. Bruciai il giornale, ma da quel giorno la mia « conversione » m’apparve sotto l’aspetto di un tremendo abuso di fiducia. Per non pensare a questa cosa, evitai di pensare all’altra ed in tal modo s’affievolì a poco a poco il ricordo di ciò che avrebbe potuto segnare per me l’inizio di una vita nuova ».
Terminato il liceo, però, il giovane Paolo si sentì chiamato a orientarsi nella direzione del ’ministerio pastorale, entrò nel 1907 alla facoltà di teologia di Mon-taubon, vi subì l’influenza salutare del prof. Bois, lesse molte opere missionarie e si persuase che il proprio dovere era di seguire quella via. ~
Tuttavia la decisione non era presa ancora. Soggiornando in Germania (1909-1910) parve al Laffay ch’egli dovesse rinunziare ai suoi studi di teologia. Tornò in famiglia e si occupò come impiegato, a Cessai allora completamente di pensare alle questioni religiose: non miravo che a ■na cosa: riuscire, pur rimanendo onesto. La condotta dei miei compagni mi rivoltò spesse volte; lo dissi loro senza riguardi, issi mi rispettarono ».
Queste esperienze d’un ordine nuovo determinarono in Laffay un ritorno a ciò •he sempre l’aveva sollecitato. Una conversazione con un amico ridestò in lui dei bisogni religiosi ancora imprecisi, ma pure profondi. Egli scriveva allora al Diret
tore della Casa delle missioni di Parigi: « Vedo in tutta la mia vita una convergenza verso le missioni, e l’azione che ho potuto avere in un ambiente opeiaio, benché piccola, mi convince che potrò esercitare una certa influenza quando avrò da compiere il mio ministero ». Nell’ottobre 1910 egli entrava come studente in detta Scuola. Fu quello un periodo di studi intensi, ma specialmente di esperienze profonde. « Ero deciso, dic’egli, a conquistare la vita religiosa e la mia principale preoccupazione era di giun-Ì:ere ad una fede personale, di prendere, di ronte al Cristo, un atteggiamento che potesse darmi la pace. In quell’epoca venne a trovarmi un mio amico quasi incredulo. Gli parfài come meglio potei; gli dissi che la fede dev’esseie conquistata e ch’era suo dovere di cercare la luce che gli mancava. Quando fu partito incominciai a pregare per lui. Fu una rivelazione. Sino allora avevo pregato per me soltanto, per trovare la pace, e m’era parso che le mie preghiere non andassero più in là delle mie labbra; pregando per lui, sentii ch’esse salivano direttamente verso Dio. Avevo trovato la pace ».
Il grande sforzo causato dagli studi c dalle lotte spirituali lo avevano molto stancato. Dovette passare fra le montagne l’inverno 1911-12. Fu ospite di Paolo Passy, il ben noto apostolo del socialismo cristiano, ed a contatto colla pietà vivente e'vissuta di lui, la sua vocazione missionaria si fece definitiva. « Disteso per lunghe ore nella mia poltrona, «ansavo a ciò che avrei potuto fare in uova Caledonia, se Dio mi ci mandava, e giunsi finalmente a comprendere di nuovo che non potrei far nulla se non mi davo interamente. In quei momenti di solitudine certe parole, altre volte sentite, mi tornavano in mente, ricordandomi che tutto, nella nostra vita, dev’essere subordinato alla volontà di Dio ».
Fu allora che la Società missionaria di Parigi accettò i servizi di Laffay e lo destinò alla Nuova Caledonia, il cui clima sembrava convenire al suo temperamento fisico. Egli si recò a Montauban per terminarvi i suoi studi; nell’ottobre 1912, a Parigi, fu «consacrato» dall’amato suo professore E. Bois e 1’8 dicembre arrivava al suo campo di lavoro Huailù.
Studiò con fervore la lingua indigena e presto, dirigendo la scuola, fece sentire la sua benefica influenza sui giovani.
23
PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
125
Da poco più di due anni egli era al-l’Opera Quando la guerra lo richiamò in patria. Vi giunse con un numeioso contingente nel giugno 1915. Assegnato ad un reggimento coloniale, fece prima sei mesi come soldato, poi fu scelto come allievo ufficiale ed uscì dalla scuola col grado di aspirante. Il suo sogno era d’esser destinato al contingente della Nuova Ca-ledonia, ma rimase con esso poco tempo. Verso la fine del 1916 era destinato come sottotenente all’esercito d’Oriente e partiva per Salonicco. Nella notte dal 28 al' 29 marzo 1917, colpito da una palla in fronte, cadeva nell'adempimento del supremo dovere. Il cappellano evangelico scriveva alla famiglia:,« Laffay riposa, accanto ad alcuni altri, sopra una collina che domina la città. L’ho poco conosciuto, ma ero 'stato subito colpito dalla purezza dello sguardo che illuminava un volto bello di candore e di dirittura. Egli era stato autorizzato a fungere da pastore presso » correligionari del sub reggimento: non so s’egli ebbe la gioia di valersi di tale autorizzazione ».
ANDREA CORNET AUQUIER
Nacque a Nauroy, presso Saint Qucntin, nel 1887. Figlio d’un pastore evangelico, fu successivamente allievo del collegio di Chalon e del Liceo di Lione, studente all’università di Dijon, professore in quella di Glasgow. Licenziato in filosofia, possedeva una vasta cultura. Richiamató alle armi sin dall’inizio della guerra come sottotenente égli compiè così arditamente il suo dovere e dimostrò tali attitudini militari che, dopo un mese, gli fu affidato il comando di una compagnia, alla testa della quale rimase sino all’ultimo, dopo essere stato promosso successivamente tenente, poi capitano.
Dopo aver combattuto per due anni e mezzo con straordinario coraggio e mirabile spirito di abnegazione, non ebbe la bella morte, in pieno assalto vittorioso, ch’egli s’era augurata: ma fu colpito da una traditrice scheggia di granata una notte, nelle retrovie, mentre osservava dove cadevano i grossi proiettili, allo scopo d’impartire le disposizioni per met> tere al sicuro la sua compagnia, ch'era in quel momento a riposo. Era il primo marzo 1916. « Se muoio, disse ai compagni, sarà per la Francia, e questo dev’essere il vostro conforto ». L’indomani egli dolcernente si spegneva a Saint Dié, in terra francese già occupata dal nemico, e fatta nuovamente libera.
Soffrendo poco, fu solo all’ultimo istante Ch’ei si rese conto della morte imminente. DisSe allora sotto voce: « Mamma, mam-,ma », sorrise al padre c alla sorella accorsi al suo capezzale, poi mormorò ancora: « Bisogna accettare, bisogna sottomettersi ® e rese la bell’anima a quel Dio, nell'amore del quale si era sempre confidato.
Temperamento sentimentale, cosciènza scrupolosa, cuore candido e puro, egli s’era sempre appassionato per le nobili cause con tutto l’ardore dell'animo, con un entusiasmo giovane che la rude scuola della guerra guerreggiata aveva maturato e reso virile. Vita breve, ma bene utilizzata, quella di Andrea Cornet-Auquier, il quale è stato un servitore veramente fedele della Patria c dell’Evangelo. Con* ragione uno dei suoi professori scriveva ai parenti dopo la sua morte: « In trentatrè anni di vita universitaria, non ho incontrato una anima più pura, più sincera e più bella ».
Ed è veramente mirabile l’atto di fede coi quale i genitori del prode soldato, presentando ai giovani « per servir loro d’esemplo ■ la raccolta delle lettere del loro caro, affermano: « Il dolore dei parenti di Andrea Cornei Auquier è immenso. Però essi non lo piangono come coloro che sono senza speranza, perchè credono che da Pio sarà loro restituito un giorno. Per essi, egli non è morto, ma' vivente. Credono che Dio gli ha detto: « Amico mio, sali più in alto! » e Ch’Egli ha.stimato opportuno d’impiegare le belle doti e le qualità del cuore del suo servo in un’opera più utile c più bella, in un mondo -superiore. Chiamandolo a Sè, gli ha concesso non solo le palme della vittoria» ma una promozione più gloriosa di tutte quelle ch’egli aveva meritate e che ancora poteva aspettarci quaggiù ».
GIOVANNI MASSIP
Nacque a Vie Bigorro nel 1893. La partecipazione per la prima volta al-r Eucaristia fu per lui un atto di tutta l’anima sua. Più tardi, in piena • guerra, egli amava ricordare quell'atto / che aveva segnato la sua primavera spi- ' rituale. Fece a Toulouse gli studi di legge ed aveva l’intenzione di avviarsi alla magistratura. Fu uno dei ijiembri più
24
126
BILYCHNIS
assidui della Federazione studenti cristiani e, per mezzo delle sue sedute e dei suoi congressi, egli comprese sempre meglio i doveri e le responsabilità che incombono ad un moderno discepolo del Cristo. Nell’agosto 1914, mobilitato sin dalla prima ora, pur in mezzo alle volgarità della vita di caserma, continua a coltivare la vita dello spirito. Nel gennaio 1915 è nominato aspirante; il 26 marzo è al fronte. Più egli penetra nel problema religioso, più s’intensifica un intimo dolore che in lui sempre* è esistito: dolore prodotto dalle divisioni delle chiese cristiane. Nella sua famiglia erano rappresentate ambedue le tradizioni: la cattolica e la protestante; Egli si sforza di ricercare ciò che ciascuna di esse ha di buono; nella trincea e quando è a riposo, studia tutti i problemi che hanno provocato aspre dispute tra le varie confessioni cristiane. Costretto a lavorare e a meditare in difficili condizioni materiali, egli si sforza di ripensare con piena libertà, c specialmente con intenso fervore dell’animo, tutti i misteri sui quali i dottori della Chiesa si sono curvati attraverso i secoli...
Nel settembre 1915 partecipa all’offensiva di Champagne* e compie vari .atti di valore. Promosso sottotenente, passa in trincea l’inverno 1915-1916. Tutte le sue esperienze si trasformano per lui in esperienze spirituali. Dalla Champagne passa a Sqissons, poi nell’Argonne dove trascorre l'inverno 1916-1917; Di là sì reca a Verdun e sempre, pur facendo il suo dovere con un entusiasmo ardente, egli continua ad analizzare i propri sentimenti intimi... ,
TI 25 giugno, all’alba, una torpedine lo seppelliva insieme a cinque compagni nel rifugio sotterraneo ov’egli riposava.
GIOVANNI MONOD
Nato nel 1887 a Pessac, era figlio, nipote e pronipote di pastori. A tredici anni ebbe l’immenso dolore di perderq sua madre. Le sue convinzioni religiose si. formarono naturalmente nell’atmosfera spirituale ch’ei respirava. Terminati gli studi secondari nel 1905, s’isciisse alla facoltà di legge dell'università di Bordeaux. Ciò che l’attirava era la magistratura: sentire il pro e il contro, ricercare la verità, formulare il diritto. Ma, dopo due anni, disse addio alla giurispru
denza: una crisi profonda s’era verificata nella sua vita. Nelle parole .pronunciate da Carlo Babnt in occasione della sepoltura del nonno Giovanni Monod, il nipotino aveva sentito, nell’intimo della sua coscienza, come una chiamata a lui direttamente rivolta di seguire le 01 me del suo avo. La grande miseria dell’umanità gli apparve, miseria materiale, miseria spirituale. Egli esaminò nella solitudine il problema della sua vocazione e nella solitudine lo risolse. Dòpo lunghe meditazioni e intensa preghiera, senti la convinzione farsi in luì: allora, semplicemente, annunziò a suo padre che anche lui sarebbe pastore.
Nel novembre 1907 s’iscriveva come studente nella Facoltà teologica di Parigi. Senza rumore, senza parlare molto, per una specie d’irradiamento, esercitò subito intorno a sè una profonda, benefica influenza. Presto diventò uno dei membri più attivi della Federazione studenti cristiani. Interruppe gli studi dal 1909 al 1911 per compiere il suo servizio militare. Nell’autunno di quell’anno, riprese gli studi e la partecipazione sua attivissima all’opera della Federazione. Consacrato pastote e nominato a Eynessc, da poco si era sposato quando scoppiò sull’Europa la grande catastrofe.
Fu anzitutto adibito a servizi sedentari: sotto le apparenze ingannevoli . d’una buona salute ei possedeva un organismo infermò. T.'essere in tal modo condannalo a rimanere nelle retrovie, lungi dal pericolo, mentre cadeva la migliore ^oventù di Francia, costituiva per lui una sofferenza insopportabile. Ciò malgrado, egli compiè con devozione mirabile l’opera delicata di assistenza che gli fu affidata nella casa di convalescenza pei soldati ciechi. Con una pazienza instancabile, con una dolcezza ch’ei cercava di render sempre più profonda, con una discrezione, che subito gli conquistava la fiducia di tutti, con uno sforzo costante per far sentirò ai più deboli dove si può trovare la forza vera, ei si consacrò corpo e anima alle più derelitte vittime della guerra.
Però non si era rassegnato ancora a* non partecipare più direttamente alla lotta. Voleva condividere i dolori e i pericoli di tutti i giovani di Francia. E specialmente pensava al ministero suo dopo la guerra: a Avrò maggiore autorità morale tra i miei parrocchiani — diceva egli — se avrò partecipato, tanto più
25
PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
127
se volontariamente, alle fatiche e ai pericoli della lotta ». Questo, che diventò per lui un vero e proprio tormento di coscienza, lo spinse, in pieno accordo con la moglie, a mettere in opera, tutti i mezzi per essere mandato al fronte.
Finalmente vi riesce. Il 24 luglio parte da Parigi come infermiere; il 26 è a Va-delaincourt; l'ambulanza è presto costruita; ma, nel mese di agosto, è di frequente bombardata dagli areoplani nemici. La sera del 21 agosto, un attacco più’ intenso del solito provoca l’incendio dei baraccamenti c Monod fa miracoli per salvare i feriti gravi che da poco son giunti dalla linea del fuoco. Egli poi rassicura i suoi perché è certo che l’attacco non sarà rinnovato: alla luce dell’incendio, il nemico dev’essersi accorto che ha bombardato up ospedale. Invece, il 2 settembre, i velivoli tornano più feroci che mai.
Quel giorno Giovanni Monod aveva in tasca un foglio di licenza già firmato. Doveva partire la sera; ma, essendo giunto improvvisamente l’ordine di trasportare altrove l’infermcria, fu pregato dai superiori di rimanere per dare il suo aiuto' nel trasloco. Rinunziò al permesso con dolore, ma con serenità. Nella notte del 4 al 5 avvenne l’attacco aereo. Le prime bombe fecero varie vittime. Monod, che in quell’ora non era di turno di servizio, uscì per assistere i feriti. Aiutato da un altro •infermiere, stava trasportando un soldato quando una bomoa cadde a pochi metri da lui. Ebbe i due piedi portati via, rimase colpito alla testa c al petto. Morì quasi subito. Fu sepolto l'indomani con altre sedici vittime della barbara incursione: tra le altre vi erano un prete cattolico e un rabbino israelita, anch{e_si vittime del dovere.
A. A.
Benché chi scrive conosca il nome del giovane combattente cristiano i cui pensieri sono raccolti nell’opuscolo « Frag-rnenis et lettres d’un Eludiant-soldat » a lui non è permesso rivelarlo; egli deve rispettare la volontà degli editori i quali scrivono: « Le lettere contenute in questo volumetto voglion restare anonime... ».
Non è dunque possibile tracciare una biografia del giovane che, nel corso di questo lavoro, verrà designato colle semplici sue iniziali A. A. È giocoforza, invece, limitarsi a trascrivere la breve pagin a con la quale s'àpre l’opuscolo, completandola con alcuni dati biografici sparsi qua e là nel volumetto.
L’autore di Fragmente et i.ettres, nato a Lione nel’1895, era un giovane^tudente, diventato uno degl’innumerevoli modesti attori del grande dramma dell'attuale guerra.
Assetato — come tutta la sua valorosa Sencrazione — di attività e di vita intensa, «a nello stesso tempo profondamente invaghito d'idealismo, egli s’era spiritual-mente sviluppato nell’atmosfera dell’As-sociazione degli Studenti cristiani ed aveva deciso di consacrare i suoi sforzi, il suo pensiero, la sua vita, a infondere luce nelle anime.
Sopraggiunta la guerra, con le sue tragiche obbligazioni, e'chiamato alle armi nel dicembre 1914 (aveva 19 anni), egli seguì l’istruzione militare con coscienza, con risoluzione. Ma, nello stesso tempo, ei continuava a vivere intensamente nelle ricerche del suo pensiero, nella comunione con le bellezze della natura, nella profondità dei suoi affetti e dei suoi slanci religiosi.
Poi, quando suonò l’ora del sacrificio, egli si trovò pronto.
Senza amarezza — oscuramente, ma gloriosamente, egli morì, colpito in pieno petto, nell’alba del 17 giugno 1915. mentre a Aix en Noulette usciva fuori dalla sua trincea all'attacco. Morì senza colpo ferire. Egli aveva desiderato immolarsi — e non immolare nessuno — e Dio volle esaudirlo...
Sulla strada che sale, l’ultima tappa, la più dolorosa, era compiuta...
Le lettere e i frammenti che saranno più innanzi riprodotti mostreranno con quali sentimenti la prova suprema era stata** affrontata, con quali disposizioni d’animo il sacrificio venne compiuto. Ed appariranno allora appieno giustificate le parole con le quali gli editori chiudono la lóro breve introduzione al volumetto:
< Rileggendo le ultime lettere di quel fanciullo, quelli che l’amavano hanno sentito ch’esse racchiudevano un po’ della luce che egli tanto desiderava spandere nel mondo. Il loro dovere non era quindi di fare in modo che altri approfittasse del tesoro ch’essi possedevano, per quanto personale, per quanto intimo fosse quel tesoro? Essi hanno creduto comprenderlo, ed hanno curata questa pubblicazione nella speranza ch’essaservirebbe la Causa Santa alla quale colui che piangono aveva votato la sua vita ».
26
128
BILYCHN1S
ALFREDO EUGENIO CASAUS
Nacque il 24 febbraio 1896 a Morija, nel paese dei Bassutos (Africa del Sud) dove i suoi genitori erano missionari. Sin dàlia sua più tenera infanzia, egli affermò la sua risoluzione di .seguire le tracce del suo nonno e di suo padre.
Quella vocazione precoce, mai venuta meno nel corso dei suoi studi, io condusse alla facoltà di- teologia evangelica di Mon-tauban. Stava iniziando il second'anno di studi, allorquando gli eventi diressero i suoi pensieri verso altri orizzonti e gl’inv posero altri doveri.
Nel gennaio 1915. anticipando la chiamata della sua classe 1896, egli si arruola volontario per Ta durata della guerra. Per alcuni mesi si prepara alla lotta, poi viene mandato al fronte, coll’ir reggimento di fanteria.
Il 9 maggio, in Artois, s’iniziò l'offensiva generale francese che fruttò la con-Ìinsta gloriosa di Neuville St Vaast, del abirinto, di Carency e altre località, i cui nomi rimarranno scolpiti nel cuore di molti padri e di molte madri.
Alle io precise, alcune compagnie del... battaglione uscivano dalle trmceee di Roclincourt. Pochi minuti dopo, nel turbine d’un assalto alla baionetta, Casalis, a 19 anni, cadeva per non rialzarsi più.
Egli s’era preparato, sotto lo sguardo di Dio, ad affrontare senza timore l’ora suprema. I brani delle sue lettere che riporteremo più avanti, mostreranno come, servendo la patria sotto la divisa bieu-horizon degli eserciti della Repubblica, quel giovane soldato volle anche servire Gesù Cristo. Troppo presto si chiuse la sua luminosa carriera terrestre. Ma lo slancio che lo portava all’assalto non fu infranto dalla pallottola che stese il suo corpo nella polvere. Continuò la sua corsa — il soldatino cristiano — e d’un balzo raggiunse il paradiso di Dio dove sta continuandosi la sua Marche à ÌEloile.
Nel suo libro recente Les fatnillcs spiri-lue iles de la Franse Maurizio Barrès consacra alla memoria del nostro giovane una pagina eloquente (1):
• Alfredo Casalis è l’ortodossia operante e gentile, è il dogma tradótto in carità c in sentimento, è un buono e delifi) Opera indicata pag. «31-232. '
zioso fanciullo che dice a Dio: «Appartengo a te ed anche a tutti i miei fratelli ». Coi suoi'diciott’anni, e « covato • in quell’atmosfera calda di religione, egli fonde la sua Ìietà i n t u tta la sua breve esistenza di guerra. ' n quel piccolo santo calvinista, il sogno prende una forma del tutto singolare, ma in cui fermenta l’ardore, comune a tutti quei giovani soldati, di creare una Francia piìi bella ».
GIOVANNI FONTA1NE VIVE
Nacque ad Annecy nel 1895. Dotato d’una sensibilità vivissima, ei si commuoveva davanti ad ogni aspetto della bellezza, tanto che anche l’ideale morale e. religioso si presentava a lui' rivestito d’una forma estetica.
Attraversata una crisi in cui la sua fede sembrò scomparire, egli subì fortemente l’influenza del pensiero cristiano d’uno dei suoi professori, Edmondo Bernus. A Lione, entrò in contatto colla Federazione t Studenti Cristiani ed in quell’ambiente terminò di formarsi, giungendo ad una mirabile maturazione, la sua bella perso- ' nalità religiosa.
Dal febbraio al luglio 1914, per un oscuro presentimento, il pensiero della morte s’impone alle sue riflessioni; ma egli non se ne spaventa, e trionfa su di esso per mezzo d’una invincibile speranza. Ei sente éd ama affermare che la piena realizzazione deH’cssere non si Compie Su aggi ù. È pronto a ricevere la chiamata ella patria in pericolo. Con tutti i suoi compagni della classe 1895 si offre volontario. Sono rimandati a più tardi. Allora forma a Lione, con alcuni amici, un nucleo d’infermieri addetti a un ospedale militare. Finalmente viene il suo-turno. Nel dicembre 1914, è arruolato, designato come allievo ufficiale e mandato al campo di Draguignan. Nominato aspirante, il 18 maggio’ 1915 è inviato nelle retrovie; la sua preoccupazione costante è l’educazione morale dei suoi soldati. Quando li sente scoraggiati, parla del diritto, delle speranze della patria, s’informa delle loro preoccupazioni, dei loro bisogni. Quando si trova davanti a caratteri diffìcili, fa appello all’onore e riesce a persuaderli. Il 24 giugno sale alle trincee, felice dì partecipare alla lotta in difesa del suo paese; ma è ugualmente felice quando può riunire i suoi correligionari per pregare insieme nei giorni in cui la truppa è a ri-
27
PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
129
poso, oppure quando può visitarli individualmente nelle tiincee sotto il fuoco.
Venuto l’inverno, Fontaine Vive crea una cooperativa nella sua compagnia p«v offrire bevande calde, letture, luogo di ritrovo piacevole ai soldati nelle lunghe serate durante i periodi di riposo. E intanto continua il suo apostolato fra i più giovani, confortandoli e rinfrancandoli.
Nel febbraio 1916 è chiamato a Verdun. Nel marzo partecipa alla mischia furibonda di Malancourt e di Avocourt; poi è man-da.to in un settore dei Vosgi, poi in Ai-sazia. Alla fine del gennaio 1917, col sistema nervoso esausto per una così lunga Siermanenza al fronte, ottiene una lunga icenza di convalescenza; trascorre vari mesi a Lione, tornando ai suoi preferiti studi religiosi e sociali; ma intanto procede a continui esami di coscienza e, per Sere ad una consacrazione più alta, ica Iddio d'intensificare in lui lo spirito di elevazione e di sacrificio.
Verso la fine di luglio 1917 egli torna in linea. Il 2 agosto i Tedeschi attaccano a Cerny. La compagnia di Fontaine Vive perde il suo capitano ed il giovane sotto tenente prende il comando. Nel pomeriggio egli occupa con 33 uomini un tunnel dove scrive il suo ultimo rapporto: « Mando due pattuglie alla seconda e alla terza sezione. Il collegamento si farà ad ogni costo; se occorre ini metterò alla loro testa; manterremo la posizione sino all’ultimo. Ho provveduto pei rifornimenti ».
E firma. Il colonnello gli aveva fatto sapere che sarebbe citato all’ordine del« l’esercito. Un quarto d’ora dopo una granata scoppiava all’imboccatura del tunnel e li seppelliva tutti quanti per sempre. I corpi furono estratti due giorni dopo e onoratamente sepolti nel cimitero di Oeuilly.
GIORGIO TEYSSAIRE
Nacque a St. lulien nel 1891; studiò legge» entrò nelramministrazione delle dogane. Nel 1912 iniziò il suo servizio militare a Tolone. Quivi prese un vivo interesse ad una modesta « Casa del soldato » sorta per iniziativa di alcuni cristiani di quella città e ne diventò presto il membro più attivo, amato e stimato da tutti. La sua viva intelligenza, la sua istruzione supcriore, il suo giudizio assennato spiegano la notevole influenza
personale da lui esercitata in quell’ ambiente.
Educato in una famiglia cristiana, Giorgio Teyssairc era uno di quei credenti pei quali la fede, non è soltanto nè essenzialmente, un'adesione a dei dogmi, ma è anzitutto la constatazione dello spirito di Dio in sè e la volontà di obbedirgli. Perciò egli aveva, riguardo alle espressioni diverse di quell’unica fede, la libertà di spirito propria delle anime veramente religiose. Tali manifestazioni varie della medesima fede egli discuteva rispettosamente, prima con sè stesso, poi cogli amici.
Decretata la mobilitazione, chiese di essere fra i primi a partire. Lasciò Tolone nel marzo 1915, con un gruppo di artiglieria pesante, e fu poi addetto ad un osservatorio di telegrafia senza fili. Il 16 giugno 1917, a Cuissy, una granata da 240 cadeva sulla caverna dove Teys-saire era di servizio. Una stupida massa di ghisa seppelliva tra i rottami quell’intelligenza limpida, queiranima delicata, e quel cuore affettuoso, ripieno di passione pel bene!... •
ADOLFO CUCHE
Nacque nel 1877 a Brignolles. in una famiglia dalie tradizioni religiose viventi. Giovanissimo, si sentì chiamato al ministero pastorale e studiò a Ginevra col prof. Gaston Frommel. Era da poco sposato c pastore a Giloc Grozon quando lo raggiunse l’ordine di mobilitazione. Arruolato nel corpo degl’infermieri, parte il 30 novembre 1914 pel campo trincerato di Parigi: poi va nella Somme, poi a Verdun. Dopo una grave malattia di tifo, nominato cappellano evangelico, realizza in tal modo uno dei suoi sogni più cari. Egli porta in quel ministero quello zelo e quella devozione che soli possono commuovere i combattenti. Nell’imminenza degli attacchi si trasportava in prima linea per incoraggiare e sostenere coloro che potevano essere chiamati al supremo sacrificio. Celebrava l’eucaristia nelle trincee, sotto il bombardamento e si sforzava di raggiungere qualunque militare gli venisse ' indicato, anche nei posti più pericolosi.
Quando si sferra l’offensiva d’aprile 1917 egli è in Champagne. Il 23 maggio, uscendo da una trincea dov’era andato a compiere il suo ministero, è colpito da varie scheggio di granata. Il piccolo Nuòvo Testamento che porta in tasca rimane forato da .parte a parte. Il percorso sino al
28
130
BILYCHNTS
l’ambulanza íu estremamente doloroso. Arrivando egli disse: « Fate di me quel •he volete; so che non uscirò di qui vivente >. E poco dopo, al chirurgo che stava per operarlo: < Credo nella risurrezione e nella vita eterna ». L'indomani spirava, dopo aver parlato sino all’ultimo istante di quel Dio nel quale aveva riposto tutta la sua fiducia. Pochi giorni prima aveva scritto alla moglie: « Se non torno, trova la forza di sorridere; occorre educare i nostri tre figlioli con dei sorrisi ».
GUSTAVO ESCANDE
Nacque nel 1894 al Senegai, dove suo padre era missionario evangelico. Rimasto presto orfano di padre, fu educato a Ginevra, patria della madre. Un profondo senso del dovere, unito a una grande sensibilità, sembra essere stato il tratto più notevole del suo carattere. Egli era pei suoi amici un compagno leale e profondamente serio, sotto le apparenze del suo temperamento allegro. Amava la vita perchè la guardava in faccia, mettendo in alto il suo ideale d’uomo e di cristiano. E la vita accoglieva sorridendo quella bella giovinezza, così risolutamente pura, così piena di promesse.
Stava preparandosi anch’egli per la missione quando la tempesta scoppiò.
Escande non era cocardier. Lo splendore delle uniformi, la gloria delle battaglie, l’eroismo militare non eccitavano granché il suo entusiasmo: egli si rendeva conto di quel che fosse veramente la guerra...
Ubbidì tuttavia senza esitazione all’ordine contenuto nel precetto militare del 23 settembre 1914 e l’indomani si presentava al deposito del suo reggimento, 40 fanteria coloniale, a Tolone. Fece dure esperienze di caserma, ma si confortò intensificando la sua abitudine di leggere e meditare il Vangelo. Dopo tre mesi diistruzione, mandato al fronte, fece parte dapprima di reparti d’assalto, poi di una sezione di mitragliatrici, poi fu addetto alle cucine.
E la fine fu semplice, oscura, nell’umile adempimento delrumile dovere.
Il 26 marzo, nel pomeriggio, s’avviava alla trincea portando il rancio. Uno shrapnel gli scoppiò vicino. Gridò: « Sono colpito! » e cadde. Ma si rialzò tosto, ridendo, e fece ancora qualche passo. Poi ricadde nuovamente. I compagni accorsi lo sen
tirono mormorare:' • Oh mamma! oh mamma! » E chiuse gli occhi.
Una pallottola l’aveva colpito al cuore... . L’anima sua era volata via in quel supremo slancio di tenerezza.
GIOVANNI KL1NGEBIEL
Nato a Bordeaux nel 1892, vi fece tutti i suoi studi e fu soprannominato dai professori e dai compagni « l’onest’uomo ». Amava molto leggere, e leggere prendendo appunti: i libri di James, di Péguy, di Claudel, di Suarès, di Andrea Gide: di tutti quelli che hanno riconosciuto nella religione un problema vitale, erano al posto d’onore nella sua biblioteca. Venuto in contatto colla Federazione Studenti Cristiani, egli appare sempre maggiormente preoccupato di fissare un programma di vita; e, senza scrivere un vero e proprio giornale, sente il bisogno di notare saltuariamente i pensieri che guidano la sua attività pratica. « L'uomo che riflette — egli scrive — dev’essere, sotto pena di decadere, uomo d’azione e uomo di pensiero. Ora ciò che più spesso manca alla nostra vita intellettuale sono le qualità dell'azione; ciò che manca alla nostra vita attiva, è d’essere diretta da un pensiero fermo, sicuro di se stesso ».
Terminati gli studi classici, si decide . per la medicina, ' ch’egli considera come una vera e propria vocazione e sempre Siù s’interessa all’attività della Federazione tudenti, anche allorquando egli è7 nominato effettivo nel personale sanitario degli ospedali di Boideaux.
Nel 1913 è .incorporato nel 6° reggimento fanteria. Nei primi mesi del 1914 fa una grave malattia e, durante la convalescenza, egli sempre più si assimila il meglio delle sue molte letture e coltiva con amore la musica, cercandovi l’anima di ogni compositore.
Nell’agosto 1914 cerca, invano, di partire pel fronte:-la sua salute non è ancora sufficientemente ristabilita. Egli perciò offre i suoi servigi al convalescenziario militare di Biarritz, in quella terra basca la cui dolcezza e semplicità fanno godere il suo spirito. Quando partirà per la guerra, avrà un’anima forte sulla quale potrà fondare il suo coraggio.
Nel marzo 1916 viene assegnato, come medico, a un gruppo di artiglieria pesante. Riceve il battesimo del fuoco alla quota 304 presso Verdun, al momento dei
29
PSICOLOGIA DI COMBATTENTI CRISTIANI
*31
più formidabili bombardamenti e durante tre mesi, tra i boschi distrutti, sotto la pioggia e le granate, prodiga le più attente cure ai « suoi artiglieri ».
Nel luglio è trasferito à un reggimento di fanteria che, in prima linea, combatte la lotta di mine nelle Argonne, poi, col medesimo reggimento, sale nuovamente a Verdun. E vi compie il suo dovere con una mirabile serenità: « Lavoro giorno e notte: ma trovo sempre il modo di accomodarmi, scrivere una lettera, aprire il mio Pascal o il mio Flaubert; che, malgrado tutto, mi porto dietro sulla schiena, ciò basta alla mia felicità o quanto menomi permette di sopportare il resto con pazienza ».
In dicembre è citato all’ordine della brigata, nel marzo 1917 ottiene una licenza per passare un esame;- ina, saputo dell’ imminente offensiva; rinunzia all’esame per trovarsi al suo posto al momento dell’attacco. Il 13 aprile scrive nell’ultima sua lettera: * Bisogna prendere le cose come vengono; fare del suo meglio, pensando che si partecipa a grandi cose e che si è ben poca cosa davanti all’avvenire che si prepara ». Il 16 aprile,’ seguendo la prima ondata di assalto, ch’ei raggiungeva correndo appena finita una medicazione, egli cadeva sull’altura di ’Jouvincourt, . colpito da una pallottola alla testa. È stato citato all’ordine della sua armata.
Un’anima ardente e sensibile, eccezionalmente equilibrata, tenace e perspicace, modesta e ambiziosa di tutte le perfezioni. un’anima d’artista e d’apostolo, un’anima consacrata, appare dai Quaderni di Giovanni Klingebiel.
Tra i giovani eroi cristiani caduti, più d’uno ha trovato una morte in armonia colla sua natura intima. Uno ha realizzato di colpo il suo « sogno cavalleresco », falciato nelle prime settimane dell’invasione. Un altro ha stoicamente segnato col suo sangue le ore tristi dell’Artois e dell’Yser, senza intravedere, nemmeno da lontano, l’alba delle riparazioni. Klingebiel, che non amava improvvisare, si è preparato durante tre anni al sacrificio. La guerra l’ha sorpreso in pieno sviluppo: ma, lungi dal paralizzarlo, gli ha permesso un supremo slancio. Mirabile davvero è quella maturità spirituale, realizzata a prezzo di sforzi tenaci, ma senz’alcunn aridità. Quel medico univa alla padronanza di sè, una giovinezza del cuore, una freschezza d’impressioni, una gioia serena ben diverse dall’entusiasmo sterile degli impulsivi. Egli nulla voleva ignorare .delle preoccupazioni del suo tempo e del suo popolo. Musicista, filosofo, aveva posto in Dio il centro della sua vita, perchè egli ben sapeva che quello è il solo mezzo di essere pienamente un uomo!
Abbiamo così terminato di tratteggiare, con grandi linee e rapide pennellate, i singolari profili dei giovani combattenti cristiani di cui vogliamo analizzare la psiche più intima: l’esperienza religiosa in contatto conia guerra. Le loro anime sono così pure, esse spaziano talmente in alto — al disopra delle miserie e delle risi rezze del mondo — che non ci stanchiamogli'ammirarle.
Quei giovani sono morti!
Ma morire in tal modo è davvero morire? Quella serenità, quell’irradiamentò di luce non sono dessi l’affermazione trionfante d’una vittoria suprema: la vittoria della vita sulla morte?
La morte è molto; essa è spaventevole per la carne e per il cuore; essa è nulla per lo spirilo. Chi vive in Cristo, partecipa della sua vita, dunque non muore. Un giorno viene in cui si dice: « È morto ». Apparenza! Quelli che hanno Afferrato la vera vita, che consiste in agire dando se stessi, in lottare amando, in « fare il bene », quelli non possono morire. La vita innestata in -essi si sviluppa invece di giornc in giorno, attraverso tutte le vicissitudini dell’esistenza terrena; ella si arricchisce, diventa sempre più bella e più feconda: è un progredire maraviglioso che si prosegue nell’eternità. Se potessimo sollevare un angolo del velo che ci nasconde FAI di là i nostri occhi abbagliati contemplerebbero, commossi, gli alti compiti che il Padre
30
132 BILYCHNIS
affida a quelli che sulla terra hanno « combattuto il buon combattimento » sino alla vittoria.
Abbiamo nel cuore una grande speranza e una nobile ambizione.
La nostra speranza è che le vite simili a quelle di Casalis, Escande, Klingebiel, Laffay, Allier, Massip, Cucite, Teyssaire, Monod, Cornet-Auquier, Fontaine-Vive, e di tanti e tanti altri, sono utili e ^feconde. La tomba si chiude sui giovani che, come loro, come quelli che li hanno preceduti o che li seguiranno sono i martiri dell'umanità liberatrice e idealista; ma il sangue dei martiri giammai è stato sterile. Sono vite falciate, ma non sprecate; sono caduti, ma la loro causa sta ritta in piedi. Per essi, per le madri che hanno saputo temprarli pel sacrificio supremo, abbiamo questa speranza: che il mondo nel quale dobbiamo vivere sarà migliore, che tutto quel sangue versato avrà portato via molto sozzure, avrà spazzato innumerevoli iniquità.
E la nostra ambizione è di lavorare, anche noi, alla grande Causa per la quale sono vissuti, per la quale sono trapassati. Si tratta di creare un mondo- nuovo in cui l’amore fraterno sarà la legge suprema. Lasciamo che colui che è la Vita s’impadronisca di tutte le energie che sono in noi, Ch'Egli le purifichi, le coordini, le moltiplichi, le orienti verso la mèta. Cristo è la vita. Ed egli ha detto: Chi crede in me non morrà giammai! *
Avv. Giovanni Meille.
31
LE CONCEZIONI IDEALISTICHE DEL MALE
S immane conflitto che da quattro anni insanguina e sconvolge l’Europa, divampando fin tra barbari e selvaggi, non sembra aver più nè confini nè tregua. In quest’ urto formidabile, che non ha pari nella storia delle guerre, il politico, lo storico, l’economista scorgono, ciascuno dal proprio angolo visuale, l’effetto grandioso e inevitabile di cause diverse, ma costanti, prima latenti e contenute in uno equilibrio instabile di forze, indi sfrenate al cozzo risolutivo, finché da esso
non risulti una nuova composizione d’equilibrio; come il geologo ravvisa nei piccoli e graduali spostamenti degli strati della crosta terrestre la causa determinante dei cataclismi che, di età in età, ne trasfigurano la superficie e travolgono, in pochi
istanti, uomini ed animali.
Ma la guerra, l’antagonismo di popoli civili è principalmente urto di volontà umane, e la somma di lutti e di miserie (e mai non fu eguale su la Terrai), che ne è il triste corteo, non è imputabile comunque all’urto di cieche forze cosmiche, o esclusivamente alla volontà di Dio, bensì alla risoluzione dell’arbitrio umano. Onde 1’esistenza del male, sopratutto del male morale, in cui sembra aver radice il male sociale, richiama oggi, come non mai, l’indagine e la riflessione filosofica su le origini e la natura di esso.
Come la contradizione logica è indizio dell’errore teoretico e del falso, così il contrasto, nella sfeia della pratica, si rivela ne’sentimenti e nei giudizi che accusano l’esistenza dèi male. Che esso esista non pai* dubbio; almeno come sforzo vano e inadeguato dei soggetti verso il termine dell'attività pratica. E vero termine dell’agire consapevole non può essere che il bene (sia esso conseguibile o no), perchè la volontà non può volere il male per il male: l’assurdo di un imperativo del male è troppo palese per meritare soltanto l’onore della discussione (x). In
(i) L’articolo fa parte di un volume di prossima pubblicazione, nel quale (P* II. c. Ili, §§ 2) la curiosità del lettore potrà trovare, oltre il fondamento gnoseologico del-l’agatologismo qui preposto a principio, anche la piena giustificazione del severo giudizio pronunziato intorno alla possibilità di un imperativo del male. Quanto alla volontà del bene, e alla sua profonda significazione, non potremmo far meglio che rimandare a due note del Gentile all’edizione del Principio della morale rosminiana (pp. 217 e 222), dove, sotto la modesta denominazione di Osservazioni, è tracciata con lucida, mirabile sintesi dialettica, Vunica via di risoluzione del problema.
32
134 BZLYCHN’IS
questa posizione fondamentale di principio convergono tutte le forme d’idealismo monistico, aH'infuori della pessimistica, la quale, però, è un travestimento pseudo idealistico di motivi metafisici gnoseologica mente incompatibili. Ogni concezione pessimistica, quale che sia il suo fondamento conoscitivo, si condanna già da sé, per l'intrinseca impossibilità che è nel compito di dimostrare come si produca Villusionc del bene, o la finzione del piacere. Un compito cui quella teoria non può sottrarsi senza perdere ogni consistenza filosofica e ridursi a un vago sentimentalismo; dovendo una dottrina, per èsser vera, rispondere a tutte le particolari apparenze (Galileo). Infatti, un bene, svalutato come illusorio dal soggetto, reclama necessariamente il riconoscimento di un bene valido, ideale o reale (poco importa se tale distinzione sia giustificata gnoscologicamente), come unità di misura, alla cui stregua si giudica dell’inconsistenza di quel falso bene; come la finzione del piacere accusa già, nel vano conato verso un termine irraggiungibile, l’affermazione e, quindi, resistenza di quest’ultimo.
Ma, se il bene rappresenta il valore supremo, l’ideale pratico, come conciliarlo con l’esistenza del male? Come conciliare questo con l’esistenza di Dio? Affermare che il male dev’esser subordinato al bene non è risolvere il problema, sì, piuttosto, porlo ne’ suoi veri termini. Perchè un rapporto di subordinazione può essere inteso in due modi: o come connessione essenziale dell’un termine all’altro, come mezzo a fine; oppure come un riconoscimento del valore estrinseco, del significato accidentale dell'un termine rispetto all’altro.
Comunque sia, il male deve essere spiegato nella sua natura, cioè razionalizzalo; che se in esso si scoprisse qualche aspetto assolutamente incompatibile con l'affermazione del sommo bene, qualche residuo irrazionale nella sua cieca contingenza, la tesi idealistica urterebbe in uno scoglio fatale alla sua consistenza. Non a !orto’ (^un<ll*e’ problema del male fu considerato come la pierre d'achoppcmenl dei sistemi, come uno dei più formidabili enigmi che il pensiero riflesso abbia mai proposto alla speculazione filosofica. Un rapido sguardo sintetico ai principali tentativi di risoluzione- idealistica, nella storia della filosofia, varrà perciò, non tanto a darci là chiave dell’ enigma, quanto a indicarci la via maestra da percorrere, schivando i tortuosi sentieri fallaci, nel labirinto delle opinioni contrastanti.
Intanto, dalla tesi idealistica, preposta a base dell'ulteriore indagine, emerge chiaramente l’impossibilità della soluzione del problema, cercata attraverso levarie forme di dualismo gnoseologico; le quali, sotto il comodo pretesto di mantenere distinti i fini e le condizioni dell’attività teoretica in confronto'della pratica, o, peggio, proclamando irriducibile e insuperabile il contrastò di due principi coeterni, il Bene e il Male (il che ci ricondurrebbe alla filosofia di Manate), finiscono col reduplicare invanamente, anziché risolvere, le difficoltà. Ogni posizione dualistica tende inconsapevole a frangere l’unità dell’essere in nuove artificiose astrazioni; ombre vane che ne riflettono variamente la mostruosa amputazione subita in origine. Non dissimile da quella scimmia che, vedendo brutta la propria immagine nello specchiò, spezzò il vetro, moltiplicando così, insieme coi frammenti, le immagini !
33
LE CONCEZIONI IDEALISTICHE DEL MALE 135
n.
La dottrina gnoseologica che identifica il bene e il vero, da una parte, il male e l’errore, come negazione o limitazione di quelli, dall’altra, si trova già vigorosamente affermata nella speculazione greca (i), e sopratùtto nel grande idealismo platonico. Nel quale campeggia la preminenza assoluta del Bene, che in Platone quasi si confonde col divino, in quanto Dio, essendo buono, volle che tutte le cose fossero simili a Lui; onde la duplice conseguenza: che il mondo è potenzialmente buono (non assolutamente), affermata nel Timeo; che resistenza del male è necessaria solo limitatamente alla vita terrena, accennata nel Ttétete. In istretta dipendenza con questi principi metafisici è la soluzione etico-psicologica del problema, e ili armonia con la dottrina socratica della volontà che si determina necessariamente al bene. Platone insiste nel concetto che il male è involontario e deriva, « o da mala disposizione del corpo, o da rozza educazione »; onde il malvagio ha bisogno piuttosto di cura che di punizione (2).
Con Aristotile, il problema del male perde alquanto della sua preminenza, e viene risolto col riporto alla materia anziché alla spazialità; alla materia nel suo irrigidirsi nei gradi inferiori della forma. Onde tutto partecipa del male, all'infuori deH’Uno, dove non può aver luogo contrasto di sorta (Metaph., XII, 10).
Gli Stoici accentuano la necessità del contrasto tra il male e il bene, affinchè quest’ultimo possa pienamente affermarsi.
In Plutarco di Cheronea e in Plotino si riaffaccia e si svolge il principio cfye il male è limitazione o privazione di bene, e quindi di esistenza (irevia wavveXAi, ’sXXee^), e non una potenza indipendente, autonoma: concezione che esercitò-poi un fascino palese sullo spirito di grandi filosofi, come Agostino, Leibniz ed Hegel.
Con l’avvento della Filosofia cristiana, il problema del male diventa uno dei centri di gravitazione di tutto il sistema teologico, in istretta correlazione con quello del libero arbitrio; e l’uno e l’altro sono oggetto di interminabili dispute, suscitate dal bisogno prepotente di conciliare la causazione naturale con gli attributi della divinità.
Sant’Agostino affronta sistematicamente il duplice problema, di cui indica la soluzione nella grazia, per un rispetto, e, per l’altro, nel considerare il male come
(1) Anche in Euclide di Megara è affermata la coincidenza del Bene con la realtà: applicazione felice del concetto socratico, che poneva la virtù nella scienza; ma sono fuggevoli cenni.
Perfino nella concezione empedoclea la lotta dei due principi opposti, l’Arno re e la Discordia, da cui prendono origine tutte le cose esistenti, non è concepita come antagonismo assoluto, destinato necessariamente a perpetuarsi, quale è nel Manicheismo, bensì a cessare nell’armonia finale'del Tutto, col trionfo dell’Amore. Se nella vita è il male, si è perchè l’anima deve espiare quaggiù la colpa di aver voluta un’esistenza separata dallo Sfero, che è la realtà assoluta.
Laonde si può dire che in Empedocle il male non è un principio vero e proprio, ma è pur sempre-subordinato all’Armonia dello Stero, quindi all’Amore, al Bene.
(2)' Vedi il Timeo, c. XLI, nella lucida traduzione e nel dotto commento del Frac-caroli (Bocca, 1906). Per Plotino, cfr. Enn., I, Vili, 2-3: «Il male è la forma del non esistente».
34
I36 BILYCHNIS
. -----:----------------------.-------------------5 ♦ - —
privazione o inefficienza (causa dejicicns): non avendo esso un principio distinto da quello del bene, che è Dio (concetto, quest’ultimo, già sostenuto da Basilio Magno).
Il male non esiste come natura, perchè la natura è opera di Dio, il quale ha voluto soltanto le cose buone. Il male metafìsico ha origine da corruzione : o del modo di esistenza, o della forma (speci es} o della disposizione naturale (ordo): pure la stessa natura corrotta, in quanto natura, è bene; non sommo bene, come l'incorruttibile, ma, tuttavia, partecipe del bene (aliquid bonum). Nè, invero, la corruzione potrebbe nuocerle in alcun modo, se non detraendo in parte, o eliminando affatto, ciò che è bene in essa natura. Infatti, egli osserva, istituendo una felice similitudine, anche le immagini più oscure se son visibili, hanno in sè qualche barlume di luminosità, mancando la quale, l’oscurità è privazione assoluta di luce, come il silenzio di suono (1).
Il male morale, poi, o peccato, è un effetto della volontà malvagia (umana o diabolica), la quale, però, non solo è impotente a turbare l’ordine e l’armonia mirabili dell’universo, ma anzi viene asservita a questi fini e, quindi, al bene; come il nero, posto sapientemente accanto agli altri colori, conferisce bellezza all'espressione del quadro; e come i veleni che, usandoli convenientemente, diventano farmachi. Ogni creatura, sia essa in grazia di Dio o in peccato, dà risalto all’ornamento dell’universo; il cui ordine non sarebbe turbato anche se peccassero tutte le creature angeliche.
Infine, spiega nel Saggio sulla natura del bene, anche il male psicologico, o dolore, non è v$|p male, poiché ciò che oppone resistenza al dolóre ricusa, in certo modo, di cessare di essere, cangiando stato, quel che era prima; appunto perchè in ciò doveva essere qualche misura di bene. Anzi, il dolore può essere utile come mezzo efficace al meglio; chè altrimenti sarebbe mutile, e non nocivo (2). Se male esiste, conclude il Santo, è soltanto nel far cattivo uso dei beni: « malum est male uti bono». Perchè, se è vero che il male deriva dal bene, con cui è inscindibilmente connesso, ciò s’intende dei beni particolari o terreni (bona inferiora), non del sommo Bene, che è immutabilmente puro (Contra Julián., 1, 7).
(1) Iddio ordinò con la luce anche le tenebre, ma non le approvò. De civilate Dei. XI, 20. Ibidem: <Cum omnino natura nulla sit malum, qomenque hoc non sit nisi privationis boni». E nel De natura boni contra Manichaeos (vol. Vili, Patrol. Migne) p. 551: * Omnis natura, in quantum natura est, bonum est». Infatti, egli osserva acutamente altrove, se il veleno dello scorpione fosse male per sè, ammazzerebbe prima lo scorpione stesso; il quale, invece, morrebbe, se gli fosse tolto affatto il veleno. De moribus Maniehaeorum, c. VITI. E più oltre: < Etiam ipsa (natura) corrupts, in quantum natura, bona est...; non, enim, posset ei noccre corruptio nisi adimendo et minuendo quod bonum est ». E, infine, al c^p. XV dello stesso scritto: • habent tamen et obscura aliquid lucis, quo si penitus careant, ita sunt tenebrae lucis absentia sicut silentium vocis absentia ». Così il Bruno dirà, nello Spaccio detta Bestia Trionfante, che « nessuna cosa è assolutamente mala ».
(2) De Gioitale Dei, XI, 23; De libero arbitrio, L. Ill, XI, 12. E nel De nal. boni, c. XX: « Hoc enim ipsum quod resistit ut doleat, quodam modo recusat non esse quod orat, quia bonum aliquod erat. Gir. anche al c. XXXVI.
35
LE CONCEZIONI IDEALISTICHE DEL MALE
’37
Anche Scoto Erigena (o Jerogena) accoglie nel suo teo-panteismo la concezione" platonico-agostiniana del male come privazione d’esistenza; poiché tutte le cose partecipano, più o meno, del Bene in quanto sono (1).
Però il Cristianesimo, nella ulteriore e definitiva elaborazione dogmatica dei suo contenuto, non solo non nega il male, ma ne perpetua resistenza accanto al principio opposto, pure subordinandolo'» questo; in quanto il male è, per la divina Sapienza, mezzo imperscrutabile al bene e al compimento della giustizia suprema. (2).
Nella filosofia scolastica la spiegazione del male e quella dell'errore teoretico sono riportate a principi diversi gnoseologicamente; resistenza del male fu piuttosto accettata con rassegnazione alla volontà di Dio, anziché indagata razionalmente.
L’unificazione dell’elemento teoretico e del pratico doveva compiersi nuovamente col Leibniz; il quale, riprendendo in parte il concetto di Agostino, lo svolge e lo atteggia conformemente ai presupposti del suo sistema.
Il filosofo tedesco spiegò il male fisico (dolore) come attività soggettiva impedita o compressa; il male morale come effetto dell’incapacità per la creatura umana, imperfetta (de privatione seu nihilo parlent capii), di conoscere tutto, onde l’errore e lo stesso male fisico quale conseguenza. Più difficile doveva essere il .giustificare resistenza del male metafisico. Si Deus est, tende malum? Cur non velai?
Il Leibniz accoglie il concetto della filosofia cristiana, che Dio ha voluto il male solo come mezzo al bene; anzi, egli considera il male un effetto concomitante, quasi secondario, nei disegni della divina Sapienza, e incluso nella scelta del migliore dei mondi possibili. Il male non ha origine dalla volontà divina, ma dalle forme astratte o idee, logicamente preesistenti a questa, (perchè Dio non è l’autore del proprio Intelletto), le quali, perciò, si debbono ritenere eterne e necessarie, benché siano delle semplici possibilità rispetto alle essenze, create dalla volontà divina.
Ma, come possono delle forme astratte determinare, in contrapposizione con le essenze reali, il male? Solo se si considera questo negativamente come limitazione, dove l’elemento positivo entra solo indirettamente per concomitanza; quasi pallida ombra di se stesso (un presque néant). L'opposizione tra le idee e le essenze si riduce, in ultima analisi, secondo l’ipotesi leibniziana, al contrasto fra l’intelletto divino, che spazia nel possibile, nella regione delle verità eterne, e la volontà, che mira solo, al Bene (3) ; la volontà che è principio produttivo di realtà.
(1) «Omnia quae sunt, in tantum sunt in qu/ntum bona- sunt; in quantum minus bona.sunt, in tantum non sunt». De divis. vai., Ili, p. 628 (Coll. Migne).
(2) Si dirà che il male della teologia cristiana, cioè il peccato e l’inferno (come pena), se è conforme all’esigenza di una sanzione ultima, non è compatibile con l’attributo dell’infinita misericordia di Dio. Ora, è pur vero che, sotto quest'aspetto, parrebbe più razionale 1’ ’axoxarcwîjowç di Origene (Iltpì ’Apx«*, escatologia); ma il Cristianesimo non è soltanto una filosofia, è sopratutto una religione, e, come tale, soggetto ad adattamenti estrinseci.
Pel vero significato delia restaurazione finale in Origene, leggi l'opera del Prat. Origine, p. 108 (La Pensée chrétienne, Paris, 1907).
(3) Teodicea. P* I, §§ 25. Cfr. anche nelle Œuvres philos., t. II, p. 298 ( Alcan, 1900): • Il (il male) est enveloppé dans le meilleur pian qui se trouve dans la région des possibles.
36
I
138
BILYCHNIS
J1 Leibniz non sembrò preoccuparsi della difficoltà di conciliare l'onnipotenza divina con l’affermazione di idee o forme anteriori e indipendenti dalla Sua volontà, eterne e necessarie; non avvertì l’incongruenza* di una separazione dell’esistente dal possibile in Dio, che è Possesl; in cui, come dirà poi efficacemente Io Spinoza, il potere fa tutt’uno con l’agire e con l’essere. Divina potentia est sua actuosa essentia. Infine, la spiegazione leibniziana circa l’esistenza del male nel migliore dei mondi possibili, che, cioè « nulla impedisce di credere che un certo male particolare non sia connesso con ciò che è il meglio in generale » (o. c., 181): e che esso (il male) non si debba ammettere come assolutamente necessario (nisi Ululo nc-cessitalis hypolheticae), è una spiegazione che dimostra come la soluzione del problema non fosse ancora matura nella mente del filosofo tedesco. Il quale finisce con eludere l’enigma appellandosi a un vago agnosticismo teologico, agli arcani della divina Provvidenza, inaccessibili ai mortali, cui basta sapere che « ottimo è ciò che piacque a Dio, e che i mali da lui permessi sono rivòlti al maggior bene »> (in bonum multo maius verli).
III.
Da una limitazione originaria, da negazioni, da antitesi fra intelletto e volontà si comprende meno difficilmente l’origine dell’errore teoretico, considerato come semplice apparenza, non ens. Perciò la teoria cartesiana dell’errore si presenta logicamente giustificata, anzi necessaria, in una gnoseologia dogmatica.
Cartesio, con la dottrina del dualismo fra intelletto e volontà, riporta l’errore all’indebita inframmettenza di quest’ultima nei giudizi,- quindi all'attività pratica; considerando l’errore sotto il duplice aspetto del riferimento alla Divinità e all’uomo; negazione, nel primo caso, privazione, nel secondo. Se noi limitassimo le nostre affermazioni alle idee chiare e distinte forniteci dall’intelletto, che è di natura finita, non saremmo mai soggetti ad errore; questo nasce solamente quando la volontà, che è di natura infinita, si estende oltre i confini dell’intelletto.
Infatti, spiega Cartesio, noi non conosciamo nessuna cosa, capace di essere oggetto della volontà altrui, alla quale cosa non si possa estendere anche la nostra; che esorbita, così, dai limiti precisi del chiaro percetto intellettivo; onde l'errore. Questo, naturalmente, non è volontario nel senso che sia voluto dal soggetto (che, anzi, nè è vittima suo malgrado (i), e neppure in quanto il volere è parte integrante
et que la Sagesse suprème ne pouvait manquer de choisir «. Il Leibniz distingue in Dio due principi: intelletto e volontà; l'intelletto fornisce il principio del male senza esserne offuscato; esso rappresenta le nature’ come sono nelle verità eterne, contiene in sé la ragione per cui il male è permesso; ma la volontà non è diretta se non al bene, (id., p. 183). Il che non toglie che egli altrove riconosca espressamente un concorso diretto di Dio al male. Essai de Thiod., I, §§ 381 e 380. Per i passi citati, vedi anche Systema-Theohgicum, pp. 533, 547; e Œuvres, t. I, Paris 1867. Infine, è qui da ricordare il mira bile dialogo del nostro grande Umanista, il Valla (De libero arbitrio), cui- il filosofo tedesco attinse largamente.
(1) Principia PAZ/os., XXXI, e 4*. Può riuscire interessante riportare il passo seguente: .1 Et quamvis revera nullus sit qui expresse velit falli, vix tamen ullus est
37
LE CONCEZIONI IDEALÌSTICHE DEL MALE ¿39
dei giudizi (affirmare, negare, dubitare sunt diversi modi volendi), i quali, allóra, sarebbero tutti erronei; ma va inteso come conseguenza della temerità del volere, die presume di potersi sovrapporre all’intelletto, anziché limitarsi a prestare la pròpria adesione all’evidenza di esso intelletto.
Questo dualismo gnoseologico d'intelletto e volontà è accolto anche nella filosofia del Malebranche, dove, però (condotto alla sua forma estrema, per logica consequenzialità) si rivela più palese il tarlo della contradizione, insita nella dottrina della scuola cartesiana. Il Malebranche afferma esplicitamente la subordinazione della volontà divina alla Ragione universale (che è Dio stesso); onde l’origine del male e la vittoria del bene sono rese possibili dalla contrapposizione di Dio come grazia a Dio come natura. Dio, però, non è l’autore del male, perchè l'azione umana che non obbedisca all'impulso divino (il bene) è nulla in realtà.
L'errore e il male derivano dall’amore della volontà per le apparenze, anziché per la verità. L’uomo, come spirito limitato, è, per natura, soggetto all’errore: non potendo abbracciare gl’infiniti rapporti delle cose, neanche minime, è tratto a giudicare che non esiste ciò che egli non percepisce. Del pari, il possesso del bene corporeo, accompagnato come è sempre dal piacere — mentre il bene spirituale è spesso congiunto al dolore — ingenera nell’animo la falsa' persuasione che il bene corporeo sia il vero bene; laddove i piaceri dei sensi hanno col bene lo stesso rappòrto delle sensazioni rispetto alla verità. La libertà è la vera càusa del male e dell’errore (i).
Ma il filosofo francese non approfondisce il problema, pur identificandone i termini, nè sotto l’aspetto teoretico, nè sotto quello etico; non si domanda come e in qual senso possa darsi che al bene spirituale vada spesso compagno, il dolore: egli finisce col tenersi pago alla risposta biblica del peccato originale.
Col predominio del Kantismo, il problema è impostato sulla falsa base dualistica ben nota, e con ciò reso insolubile’ perchè contradittorio. Kant separa nettamente i due aspetti del problema: quello della razionalità del male, e quello dell’origine dell’errore teoretico; limitandosi, però, a qualche osservazione fugace, anziché tentarne una vera e propria indagine.
Per Emanuele Kant il problema del male è un problema essenzialmente morale, in quanto l’origine razionale della predisposizione al male rimane impenetraqui non saepe velit iis assentir!, in quibus error, ipso inscio, continetur. Quii', et ipsa veritatis assequendae cupiditas persaepe efficit, ut ii qui non recte sciunt qua ratione sit assequenda, de iis quae non percipiunt iudicium ferant, atque idcirco ut errent ». Id., XLIL Nel Discorso sui Metodo, egli aveva già affermato implicitamente il medesimo principio: « il suffit de bien juger pour bien faire ». La volontà, dirà poi il Pascal, est un des principaux organes de la créance (Pensées. I. art. VI, 13); in quanto essa distrae lo spirito dal considerare quegli aspetti dalla realtà che le sono sgraditi, per fermarlo su ciò che predilige.
(1) Recto. de la Vérité, L. Il, P*. 3', c. IV; V, 4. La spiegazione del Malebranche, intorno alla genesi dell’errore, ritorna, sotto mutato aspetto, anche nella filosofia kantiana: «L'errore dériva dall’influsso inavvertito della sensibilità sull’intelletto, e dalla conseguente mescolanza dei principi soggettivi del giudizio con quelli oggettivi ». Crii. R. pura. p. 278, trad. Gentile, Laterza. 1910.
38
BILYCHNIS
UO bile per noi. Ma, mentre egli esclude che il male possa essere semplice limitazione di natura, appunto perchè lo considera positivo (1), si taglia in pari tempo la via ad ogni soluzione positiva o razionale. Perchè, se il male non è nella volontà, la quale è essenzialmente buona nel suo fondamento originario, e se, d’altra parte, « il principio del male non può trovarsi in un oggetto determinante il libero arbitrio per inclinazione, o in un istinto », perchè « non c’è predisposizione fisica al male morale»; riesce enigmatica l’affermazione che «l’uomo sarebbe buono moralmente se altri moventi non agissero in lui ».'
Infatti, una volta riconosciuto che « tutto ciò che non viene dalla legge morale è peccato », nè essendo il principio del male nell’uomo imputabile alla sensibilità (ciò ne farebbe un puro animale) e neppure ad una ragione assolutamente perversa (se ne farebbe un demonio); rimane affatto inesplicabile la presunzione kantiana che esso principio debba ricercarsi « nella massima che il libero arbitrio elegge a sè stesso », quindi in un fondo moralmente cattivo (la corruzione non può essere opera della natura, ma dell’arbitrio). E non serve appellarsi, per comporre le difficoltà, allo stato d’innocenza primitiva, anteriore all’uso del libero arbitrio (il vecchio ripiego alla Rousseau!) perchè l’arbitrio non può determinarsi se non facendo suo un modo di pensare corrotto fino al fondo della sua massima (2). Arrogi che, così, la spiegazione viene demandata alla ragion teoretica, dove, secondo la filosofia critica, non possono più trovare lo stesso uso i concetti e i postulati della ragion pratica.
IV.
Il problema del male, se non riceve un’adeguata soluzione integrale etico-metafisica, acquista però, con lo Schelling, una significazione più razionale e profonda; come quello che si connette strettamente con la libertà, intesa non nel senso tradizionale di arbitrio (scolastici) o di possibilità di scelta (Kant), bensì quale facoltà del bene e del male. E poiché il problema della libertà s’identifica, per lui, con quello della conoscenza, così esso diventa il centro di gravitazione di ogni indagine teoretica e pratica.
Nelle Ricerche filosofiche su la essenza della libertà, egli osserva che la dipendenza non sopprime l’autonomia 0 la libertà; la condizione non dice che cosa sia 0 non sia il condizionato, anzi « ogni esistenza richiede una condizione per divenire effettiva, cioè personale: anche Dio, salvo che egli ha in sè, non fuori di sè questa condizione »
(1) Nelle Anfibolie dei concetti di riflessione {Crii. R. fiura), avverte che i mali possono essere concepiti come negazioni, solo perchè queste sono considerate come l’unica cosa che contraddica alla realtà {ed. cit., p. 263), non volendosi ammettere vera opposizione tra reali. Cfr. anche La Religion dans les limiteli de la raison, p. 49, Paris, AL can, 1913. ' ■
(2) Kant si domanda: come può l’uomo con le proprie forze operare la rivoluzione • del modo di pensare, necessario per ritornar buono? E risponde non rispondendo: « Bisogna dichiarare necessaria, e- quindi possibile, la rivoluzione e la riforma progressiva del modo di sentire (che è l’ostacolo a questa rivoluzione). La Religion, p. 55. Per i passi riferiti o accennati compendiariamente sopra, vedi, della stessa operetta, pp. 20, 38 e 47: oltre la prima parte della Fondazione della metafisica dei costumi.
39
LE CONCEZIONI IDEALISTICHE DEL MALE' *4r
(p. 105). Così è posta dallo Schelling una duplice esigenza: la necessità della dialettica in Dio, e la trasformazione della teodicea in teogonia.
Ora, poiché « le cose hanno base in ciò che è base di Dio » (p. 7'7), come può il male aver origine nella essenza divina? Solo se si considera il fondamento dell’esistenza, che Dio ha in sè, cioè la natura in Dio, come un essere distinto da Lui (benché non separabile nè anteriore). Coesistono, dunque, due principi in Dio: (1) il principio originariamente oscuro, che dorme in fondo alla natura divina (il residuo inafferrabile, l'irrazionale da cui nasce l’ordine), e il principio luminoso (Dio come volontà razionale). E poiché l'unità dei due principi è separabile néll’uomo, nasce la possibilità del male, che è nel volere particolare che si distacca dalla base centrale, l'universale; sconvolgendo, così, il rapporto dei principi.
Lo Schelling, riprendendo un concetto kantiano, determina più precisamente questa possibilità, in ciò, che l'uomo tende a fare della propria individualità una volontà universale trattando lo spirituale come un mezzo, anziché quale fine. Abbiamo detto possibilità, e non esistenza del male, perchè nell’idealismo schel-linghiano « il male non può giungere mai a realizzazione, ma- serve di base affinchè il bene, sviluppandosi da esso per forza propria, sia qualcosa d’indipendente e distinto da Dio, qualcosa in cui Dio possegga e riconosca se stesso ». Perciò « il bene deve venir elevato a.\V attualità, per vivere con Dio, e il male ricacciato eternamente nel non essere ».
Da questo breve cenno riassuntivo dei presupposti metafisici, onde procede nello Schelling la soluzione del problema, è dato rilevare come il male sia considerato positivo e negativo insieme: positivo, in quanto è uno nell’éssenza col bene, ha un fondamento positivo (il sostrato originario); negativo, perchè non è un essere, ma un non essere, non una realtà in sè. bensì ne\V opposizione, cioè ha una esistenza solo temporale (come antitesi). Il bene, l’amore, Dio sono l’assoluto positivo.
È superfluo aggiungere che la negatività dello Schelling non va intesa nel senso della causa deficiens di Agostino; chè, anzi, essa ha vera e propria efficienza dialettica, e rende necessaria la conseguenza del male radicale nell’uomo; concetto che qui ha una significazione ben diversa che nella metafisica kantiana. Infatti, secondo lo Schelling, il male radicale è «acquisito con un atto personale fin dalla nascita », poiché « l’uomo, nel modo stesso che opera nella vita terrena, ha operato .. fin dall’eternità e dal principio della creazione ».
Ma le gravi difficoltà cui andava a urtare la concezione schellinghiana, difficoltà di vario ordine: etico (conciliazione del male radicale con la responsabilità degli atti volontari), metafisico (distinzione, in Dio, deH’esistenza da un sostrato o condizione di esistenza), gnoseologico (un processo teogonico come dialettica), derivanti sopratutto da un’insufficiente analisi del principio dell’individuazione;
(1) «ónde il contrasto di due tendenze: la volontà di Dio, che si volge all’universale, e la volontà del sostrato, che mira al particolare. Il processo della creazione consiste appunto nel sollevare il sostrato originario, il principio tenebroso alla luce, risvegliandolo dal fondo della natura divina». Ricerche filos., pag. 59, Carabba, .1910. Per altri passi citati, cfr. pp. 64. 72. 92.
40
142
BILYCHNIS
dovevano condurre a una più profónda rielaborazione del problema del male nell’idealismo posteriore.
II male e l’errore, identificati nei loro aspetti apparentemente diversi, sono ' ricondotti ad un unico principio (la dialettica) dalla spiegazione e dal significato
che ricevono nel grande idealismo hegeliano. Nel quale; come sono risolte tutte le false antinomie della Ragion pura, cade, del pari, quella mostruosa separazióne eteronoma delle due sfere dell’attività teoretica, e pratica. Come l’universale, concludeva Hegel nella Filosofia della religione, in quanto determinato dallo spirito e per lo spirito, è la verità; così l’universale stesso, in quanto costituisce una determinazione di fine, è il bene. Per converso, il male è il finito che, nelle sue determinazioni ulteriori, si afferma come finito, in opposizione al vero infinito, che è l’universale; giudizio nel quale — è lo-Hegel che parla — non si avverte che, attribuendo un valore all’uno e all’altro termine, si distrugge l’infinito, sostituendolo con un infinito-finito.
Perciò il male esprime l’inadeguatezza dell'essere, rispetto al dover essere {Ungetncssenheil des Seyn zìi dem Sollen), secondo la [nota definizione, enunciata nella Filosofia dello Spirito (§§473, nota). Poiché, dove non si dà opposizione del concetto {Sollen) coll’esistenza, ivi non è dolore o male; i cui principi sono costituiti, specie nella vita dello spirito, dalla soggettività, dall’io individuo.
Mentre il male metafisico si spiega, secondo lo Hegel, come necessità inerente al ritmo dialettico, per cui bene e male sono indivisibili, al pari dei termini essere e non essere (1); più difficile è comprendere l’origine del male morale. Esso ha « la sua radice nella certezza astratta di sè, che è per sè, cioè che non prènde che sè • come oggetto del proprio sapere, e motivo del proprio operare; e che si decide per
un interesse subiettivo, egoistico. In ultima, però, «l’origine del male sta nel mistero, cioè nella natura speculativa della libertà, nella-necessità per questa di uscire, dalla naturalità del volere; il quale, implicando la contradizione di sè, costituisce la particolarità della volontà, cioè il male morale» (id, §§512). Non si può negare che la soluzione del problema del male, affacciata dal r grande filosofo, pur avendo ricondotto il problema alla sua vera base, non riesce a soddisfare pienamente ogni esigenza razionale dello spirito; come egli stesso par quasi riconoscere quando respinge nel mistero l’origine del male. Ciò che aveva già concluso due secoli prima Jacob Bòhme. Al quale, Giorgio Hegel ha dedicato un magistrale capitolo nella sua Storia della filosofia, e dal quale ripete una palese derivazione concettuale nell’indagine sul problema del male, pur avendo chiarificato e approfondito la rozza Oscurità del mistico tedesco.
Il Bòhme, però, pone il bene e il male come termini correlativi, entrambi per sè; il male è l’»o, che è la vera negatività, in quanto attua uno dei due contrari, il sì .e il no (coincidenti nell’Uno), costituenti due principi, 0 due centri di riferiti) La soluzione del problema, afferma nella Filosofia del diritto (§§ 139). è contenuta nell’idea, la cui natura è di differenziarsi e di porsi negativamente. Fermandosi al momento positivo, il bene puro, si ha un’astrazione intellettiva, che rende difficile la soluzione. Per il passo citato della Filos. della Iteli e.. Vedi voi. II, pp. 342-45 (trad. Vera) Paris. 1878.
41
LE CONCEZIONI IDEALISTICHE DEL MALE 143
mento; all’infuori dei quali, tutto sarebbe nulla, nè vi sarebbe intelligibilità delle cose. Il male (die bittere Qualität) è in Dio stesso, come sdegno e passione (zorniger eifriger Gott), non già come bizza o collera stizzosa nell’uomo (die Galle) ; onde l’eterna vicenda e l’eterno conflitto del bene e del male nel mondo.
Ma, poiché il male si trova in Dio, non come volontà del male (il che sarebbe mostruoso), bensì quale fondamento di natura; l’antitesi, per non apparire inesplicabile (mysterium magnum), reclamava una più intima elaborazione dialettica, la quale, vedemmo, trovò nella mente dello Schelling la suà piena espressione.
V;
Uno dei tentativi più cospicui di risolvere il problema in tutta la sua formidabile complicazione, è, senza dubbio, quello del nostro Rosmini, la cui Teodicea rimane ancora l’opera più comprensiva, che, entro l’ambito della filosofìa cristiana, abbia svolto e maturato una soluzione razionale. Il pensiero Rösminiano muove direttamente da Agostino, intrecciandosi in vario, modo con la concezione Leibniziana dei compossibili; e stabilisce i seguenti principi a base della teodicea: i. La possibilità dei mali nelle creature finite è metafisicamente necessaria, appunto perchè finite (Dio stesso, se vuol le créature, non può far che non sia il male). 2. Il male non è soloslimitazione o privazione, ma dipende dal principio attivo, che è negìi spiriti: la libertà di scelta. Onde la permissione del male da patte di Dio non è la causa del male. 3. Poiché di ogni male è cagione la creatura di finita sostanza, e la natura è buona in .'sè, l’esistenza del male non può dipendere se non dalla operazione degli enti contingenti, in quanto essa, anziché rivolgersi al bene, si torce dalla via diritta e piega ad un termine diverso da quello che le è stabilito, e che è vero-termine. Nella mancanza del termine naturale sta il male.
Su questa trama, il grande filosofo ordisce sistematicamente la sua dottrina, in applicazione alle istanze particolari, e riesce alla definitiva conclusione della esistenza di una duplice forma di Provvidenza: quella degli universali e quella dei particolari; ciascuna delle-quali segue una sua propria legge. La prima forma segue la legge della suprema bontà e sapienza, che, riguardo al modo dell’opc-rare, diventa la legge del minimo mezzo (spiega la possibilità metafisica del male); la seconda segue là legge della suprema giustizia, alla cui bilancia nulla può sfuggire dei meriti e demeriti delle particolari azioni umane.
La legge del minimo mezzo traspare, secondo il R., dal disegno della divina Sapienza, che ha suscitato quello, tra gl’infiniti mondi possibili, in cui la massima quantità di beni fosse consentita dal minor numero di mali ; i quali, coinè ve-’ demmo, sono inevitabili, data la limitazione delle creature. Il male morale è un disordine prodotto soltanto dalla capacità d’arbitrio umana; gli altri disordini, ehe si trovano nel mondo, non sono che apparenti, perchè dipendono dal punto di vista angusto della considerazione dei particolari. Nei quali si scopre ordine e simmetria non appena siano abbracciati nel loro complesso, cioè nell’universale. Perciò non è mai a.dimandare «perchè Dio voglia questo o quel male, ma perchè voglia quel mondo in cui è compreso questo o quél male »,
42
L.. JW 11 ■ ll.1 ' IMBBgtJ
I44 BH.YCHN1S
Ecco, schematicamente tracciate, le grandi linee della teodicea Rosminiana; ora si domanda: come si conciliano le due Provvidenze, la somma sapienza c la suprema giustizia, che è pure assoluta bontà ? Il Rosmini non poteva indagare tale questione, dati i presupposti etico-religiosi della sua filosofia: la fede nell'immortalità dell'anima personale, e nel compimento della giustizia divina in un’altra vita. Ma la difficoltà come è di ogni soluzione non pienamente razionale, riappare sotto altra forma. **
Infatti, posto che il male morale non ha valore oggettivo (e ciò il R. esclude recisamente), comò quello che dipende soltanto dalla volontà umana; come può questa divenire autrice de' propri beni (1), se il bene non è immanente alla volontà stes a, ma è presente immediatamente all’intelletto? Un bene immediato è pur sempre, qualcosa di estrinseco al soggetto, e perciò rende impossibile la moralità, che è un processo intrinseco all’azione stessa, quindi alla volontà. E una volontà veramente razionale non può concepirsi coinè capacità d'arbitrio, in cui il male sia contingente, ma come identica al bene; in cui il male è insito necessariamente al farsi del bene, cioè alla sua essenza.
Un cenno particolare merita la concezione giobertiana, come ardito tentativo di conciliare la gnoseologia dell’immanenza col suo creazionismo metafisico; tentativo che doveva necessariamente fallire, perchè obbediva a preoccupazioni etiche incompatibili coi presupposti del sistema. In esso l'errore e il.falso coincidono in una, in quanto al principio esplicativo, chè essi in realtà son nulla (Nuova Prot., II. 268).
L’origine del male viene negativamente da Dio, ed è in Dio una semplice limitazione deiratto divino creativo, che abbandona in parte la causa seconda (volontà umana) a sè stessa (ibi, p. 288). Nell'uomo « la possibilità del male risulta dalla contingenza dell'arbitrio, e quindi dal principio di creazione » (Del Buono, 70). Perciò il male morale (onde il fisico procede) appartiene al principio del secondo ciclo creativo, che è lo stato cosmico di conflitto (l’attuale); ciclo che s’inizia appunto con l’arbitrio. L’inizio dell’errore e della colpa non è ancora errore nè colpa; anzi, la tentazione e la passione sono buone, perchè fonti del merito e della santità, chè 0 esse adempiono moralmente allo stesso ufficio cui l’obiezione nei campo della scienza ». (N. Prot., IL 291). Conscguentemente l’antinomia (che è la pugna dei contrari) col vero e col bene si annulla nella conciliazione dialettica.
Ma il Gioberti, procedendo dall’idea di creazione come contingenza d'arbitrio, era destinato a inciampare-nella stessa pierre d'achoppetnenl cui si era abbattuto l’ottimismo leibniziano. Del quale egli pensava sciogliere ogni difficoltà dandogli, una vernice di relativismo: « Il vero ottimismo è relativo, perchè, nell’infinita serie dei possibili, Dio poteva abbracciare un altro disegno. Ma in ogni disegno il male morale sarebbe necessario al maggior bene dell’universo » (ibi, 406). E, condotto da questi presupposti, il Gioberti finisce co\V ipostatizzare il male metafisico (benché ne dichiari misteriosa l’origine), riducendo a un’ombra inane il male morale: il male morale è nulla (ibi, 434).
Nella filosofia contemporanea, il problema del male, passato il periodo di decadenza speculativa neo-kantiano e positivistico-evoluzionistico, ha suscitato nuovamente il più vivo interesse, per opera del risorto idealismo; di contro al quale le dottrine avverse non hanno saputo far altro che ripetere le tesi tradizionali. Tali sono, per citarne due, quelle del Secrétan e del Renouvier. Il primo dei quali, dopo
(I) Teodicea, §§ 355 (Milano, Pogliani). Per i passi prima citati, cfr. successivamente i §§ 186-7, 228, 548, 277, 651 e 965.
43
LE CONCEZIONI IDEALISTICHE DEL MALE ' 145
aver premesso che l’esistenza del male morale si spiega con. la necessità per l’uomo di agire prima di comprendere il perchè delazione (necessità imprescindibile, perchè il sapere viene dall'esperienza, e questa dall'azione), riporta l’origine del male a una risoluzione della volontà libera. In qual modo però, si possa conciliare una risoluzione della volontà al male (in cui la libertà è concepita come arbitrio) col principio fondamentale della sua etica, secondo il quale il bene è la volontà stessa, la volontà che prende se stessa per oggetto (e qui la libertà è presa come determinazione razionale), il Secrétan non dichiara, nè riesce facile indovinare.
Il Renouvier riconosce che « eliminando la personalità dell’ origine del mondo (Dio), si esclude con ciò stesso ogni possibilità d’una soluzione morale del problema del male, ma egli, ben lungi dal ricavare le conseguenze gnoseologiche di questo giudizio, si rassegna a recitare Yignorabimus; in omaggio al suo kantismo rabberciato, secondo il quale la soluzione dei massimi problemi non è possibile razionalmente, perchè i primi principi sono sempre postulati. Sarebbe da domandarsi — chi ben rifletta — quale altra soluzione sia possibile se non razionale; ma non è difficile riconoscere nel kantismo, sótto qualunque forma, uno scetticismo abilmente dissimulato.
Anche il neo-idealismo non si è scostato molto dalla traccia segnata dalla filosofia dello Hegel nella risoluzione del problema, come si può rilevare nelle opere dei maggiori rappresentanti dell’idealismo assoluto in Germania, in Inghilterra, nell’America del Nord e, ultimamente, fra noi, dóve, per opera sopratutto del Croce e defGentile, la nobile tradizione speculativa italiana ha finalmente ritrovato sè stessa.
Gli assertori del rinnovato idealismo concordano tutti nelle linee generali dell'ardua questione, ma dissentono spesso neH’interpretarne gli aspetti particolari ; i quali hanno qui un’importanza non minore, perchè l’efficienza gnoseologica di una dottrina si misura appunto dalla sua rispondenza a tutte le istanze conoscitive. Gli è che lo stesso idealismo non ha ancora conquistato la sua definitiva determinazione, nella risposta al tormentoso enigma del male in un mondo essenzialmente buono; l'idealismo che, pure, ha felicemente dimostrato l’unica posizione possibile del problema, e quindi la via alla sua risoluzione.
A tal fine non sembrino superflue due osservazioni, che si propongono, non di diradare tutte le ¡ombre ¡che aduggiano ancora l'albero del bene e del male, ma soltanto di trarre qualche filo conduttore dal groviglio delle opinioni divergenti.
1. Se l’Assoluto è Dio, non è dubbio che il male non può trovar posto in Lui, come male; l’aver postulato la necessità del male nell’essenza divina è una soluzione incomprensibile — seppure è una soluzione e non, invece, un ripiego semplicistico — anche se non fosse una tardiva riesumazione del principio teosofico, sopra menzionato, del Bòhme. Tale è la posizione’assunta, prima dal nostro Vera (i), e, recentemente, dal Royce, il geniale scrittore americano.
(1) Secondo il pensatore napoletano, bene e male sono due momenti subordinati della sua (Dio) unità assoluta. Vedi specialmente nelle note critiche alla traduzione della Filosofia della Religione dello Hegel. Quanto ai passi citati del Secrétan e del Renouvier, cfr. rispettivamente. Le principe de la Morale, pp. 236, 2^5: e Les dilemmes de la Metaph., p. 230, Alcan, 1901.
44
146
BILYCHNIS
2. Posto Iddio come Sommo bene, come legislatore morale, sarebbe mostruoso attributo apporvi, sia pure come natura, la permanenza del male; perchè questo, una volta incluso nel bene, in via subordinata, si trasfigura qualitativamente, immedesimandosi nel suo contrario, che è il solo vero positivo. L’incompatibilità del male con l’idea del divino si rende più palese nella conseguenza, quasi grottesca, dell’ammettere il dolore (ì) nell’Ente supremo; non potendosi concepire il male se non come obiettivazione di dolore, esistente in una coscienza reale, o immaginaria.
Peggio, poi, il concepire il male in Dio, come limitazione, cioè impotentia; distruggendo, così, il primo attributo dell’Essenza divina, come ha fatto lo Stuart Mi 11 nell’ipotesi prospettata nel suo Theism. La trasfigurazione del male in Dio, come strumento di bene, che è riassorbito nel suo Principio (come, in un processo dialettico, Taffermazione accoglie e supera il limite posto dalla negazione), è l’unica risposta possibile di una teologia razionale (2). Ens eo ipso bonum.
. È strano che s’insista tanto sulla necessità gnoseologica di porre il male in Dio, quando, nell’ordine medesimo delle cognizioni comuni, ragione e scienza spiegano altre coppie di contrari (falsi contrari), riducendo uno di essi a negazione 0 limitazione dell’altro. La Fisica intende l’oscurità come assenza o diminuzione graduale di vibrazioni luminose, il silenzio come cessazione -di suono, il freddo come insufficienza di calorico. Nessuno pensa, però, a ricavare la luce mediante composizione di elementi oscuri, o il suono dal silenzio. D’altronde, riconosciuta l’identità dei due problemi (gnoseologicamente), quello del male e quello dell’errore, deve emergere la mostruosità del male in Dio, non meno di quanto è manifesto l’assurdo di ammettere l’errore nel Sommo Vero. Come soltanto da certe altezze speculative può rendersi intelligibile il principio dell’idealismo: ciò che è reale è razionale; così dal vertice della spiritualità si scopre la verità profonda dell’altro principio, che integra il significato del primo: ciò che è, è bene.
R. Nazzari
(Docente di Filosofia teoretica nell' Università di Roma.)
(1) Il Bradley crede ammissibile che nell’assoluto predomini il piacere sul dolore (a balance oj pleasure over pain), ma, così, egli si avvolge nel circolo vizioso dello psicologismo. Vedi Appearance a. realily, p. 242, Macmillan, 1908, Negando, però, il dolore in Dio, noi non intendiamo affatto di irridere alla sublime concezione cristiana dell’ùomo-Dio che soffre. Soffre come uomo, non come Dio. Vedi anche Montaigne, Essays, L. II, cap. I, p. 109: «ses opérations (le divine) sont toutes naives et sans effort ». •
(2) In questo senso, soltanto, il Croce ha potuto affermare che la natura anela il bene e aborre il male (Filos. della Prat., p. 174); pur riconoscendo altrove che «a nessuno può venire in mente di negare la realtà del male e l’antitesi col bene. Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel», p. 55. Cfr. anche altri passi dello stesso scritto (pp. 57, 90).
45
L’“ETICA DELLA SIMPATIA”
nella “TEORIA DEI SENTIMENTI MORALI” di Adamo Smith
x (ESAME CRÌTICO)
»To feel much for others and little for ourselves; to restrain our selfish and to indulge our benevolent affections constitutes the perfection of human nature». (P. I, Sez. 1, cap. V).
(Essere molto sensibili agl’interessi altrui e poco ai nostri; frenare i nostri sentimenti egoistici e abbandonarci ai nostri sentimenti benevoli, costituisce la perfezione della natura umana).
«The man of the most perfect virtue, the man whom we naturally love and revere most, is he who joins to the most perfect command of his own original and selfish feelings, the most exquisite sensibility both to the original and svmpathetic feelings Of others». (P. IV, c. Ill, della Teoria).
(L’uomo dalla virtù più perfetta, l’uomo che naturalmente noi amiamo e riveriamo di più, è quegli che unisce al più perfetto dominio dei suoi sentimenti originali ed egoistici la più squisita sensibilità per i sentimenti originali e simpatici degli altri).
«The diffeient religions of the world tell us each in its own fashion what is the plan and meaning of the universe... and the best method of employing our brief existence within it. « We ought to be good » say all moralists; and the question remains, what is meant by ought and by goodness, and what are the motives which induce us to be good». (Sctence of Ethics, di Leslie Stephen, vol. II, c. I).
(Le diverse religioni del mondo ci dicono, ciascuna a suo modo, qual’è il piano e il significato dell’universo... e il miglior metodo dì impiegare la nostra breve esistenza in. questo mondo. « Noi dobbiamo esser buoni », dicono tutti i moralisti; ma la questione rimane, che cosa significa dobbiamo e che cosa bontà, c quali sono i motivi che c’inducono ad essere buoni).
INTRODUZIONE
Il problema del principio costitutivo della « raison d’etre », della moralità è sempre, ed ora più che mai, di piena attualità, in filosofia, in religione, in politica. I filosofi si affaticano tutt'ora a discoprire quale sia il fondamento metafisico — o almeno quello psicologico — del fatto della valutazione morale della condotta umana e del senso di « dovere »; i teologi fiduciosamente additano in Dio, o nell’unità costituzionale e finale della natura umana e universale, la base e la radice da cui S’irradia la vita morale, anche se questa sia sentita e vissuta in modo autonomo, quale esigenza vitale e forma del nostro spirito; gli uomini politici, spettatori del divampare da più di quattro anni di un incendio sprigionatosi di sotto la crosta appena solidificata di una civiltà che si vantava « cristiana », si domandano trepidanti su quali nuove basi sarà possibile di ricostruire sulle rovine e coi frammenti di essa una coscienza morale che valga per le nazioni non meno che per gl’individui, pei forti non meno che pei deboli, per le manifestazioni collettive della vita sociale
46
I48
BILYCHN'IS
e politica, nazionale e internazionale, non meno che per la condotta quotidiana, privata, famigliare.
Fu come un lampo di luce che illumini una scena di orrori e di tempesta caliginosa quello che attraversò il cielo sanguigno d’Europa il 24 maggio di questo anno, quando un uomo politico italiano, l'on. Orlando, il presidente del Consiglio dei Ministri, nejla solenne religiosa cerimonia .della consegna della bandiera alla legione czeco-slovacca adunata lì innanzi all’altare della Patria sul monumento a V. Emanuele, nell’atto di rendere omaggio ad un alto principio di diritto e di morale nazionale ed internazionale, additò nell’Inghilterra la patria àeWetica della benevolenza e della simpatia.
È appunto a mettere in lucè la vera portata e il significato di questo sistema di Adamo Smith (l’autore della famosa Ricchezza delle Nazioni) da lui espresso nel volume Teoria dei sentimenti morali e passato alla storia sotto il nome di Etica della Simpatia, che dedico questo studio, omaggio alla Nazione sorella.'Una larga parte di esso sarà occupata dall’analisi dell’opera, acciò gli scrittori e i compilatori di manuali scolastici, che non conoscendo direttamente l’opera dello Smith sono ridotti a ripetere stereotipati e ingiusti giudizi di studiosi superficiali o frettolosi, abbiano almeno il modo di avvedersi che essa è molto più complessa e profonda di quello che i facili critici sian soliti di considerarla, e siano invogliati ad un esame diretto dell’originale, e forse a donarci una prima traduzione italiana. Alla discussione delle difficoltà mosse alla Teoria daremo pure larga parte, a costo di fare assumere allo studio il carattere di lavoro accademico, lieti solo se avremo con esso portato un tenue contributo all'opera di ricostruzione morale del domani.
IL PROBLEMA NELL’ANTICHITÀ E NEL MEDIO EVO - AUTONOMIA DELLA MORALE
Tutta la filosofia greco-romana segue nella sua ricerca quale linea direttiva l’identificazione della felicità e della virtù: il fine che il saggio si propone è il raggiungimento di quel Bene Supremo in cui anche sulla terra questi due oggetti si riconciliano. E notiamo subito che il concetto di dovere in stretto senso è moderno. Platone e Aristotile parlano del Bene e della Virtù, e gli Stoici mirarono specialmente a determinare la natura del bene. Comunque, sia per Platone e Aristotile che per Epicuro e gli Stoici, e perfino per gli Scettici e i mistici Alessandrini, il bene supremo è il premio della sapienza (Janet e Seailles, voi. II, cap. I e II).
Il Cristianesimo, erede nel Decalogo mosaico e nel Discorso del Monte di un contenuto normativo di sublime moralità, e nel « fa agli altri ciò che desideri sia fatto a te » di un criterio, per quanto soggettivo, di essa, aveva di più colto sulle labbra del Maestro alla vigilia della sua dipartita, il « comando nuovo » di amarsi l’un l’altro (Giov. XIII, 34), nel quale Paolo (Romani, XIII, 8-10) aveva trovato la« pienezza della legge». Ma «l’amore», sia nel suo aspetto di adesione all’ideale soggettivo (amor di Dio), sia nel suo aspetto di benevolenza e simpatia per le condizioni e i sentimenti di altri esseri, non può essere, come vedremo, nè fu, come la Storia del Cristianesimo ci ha mostrato abbondantemente, una formola atta a determinare
47
L'« ETICA DELLA SIMPATIA* • I49
in concreto la condotta d'innumerevoli individui in innumerevoli casi, nè un criterio che possa servire di base a una classificazione morale.
Il Trahit sua quetnque voluptas del poeta latino rimase: e se l'intensificazione delle esigenze spirituali del soggetto e del senso di amore del prossimo produsse nel Cristianesimo .lo spostamento della risultante morale, questa rimase sempre una funzione di sintesi individuale, di'azioni e reazioni e valutazioni complesse fra i due poli insopprimibili dell'egoismo e dell'altruismo, dei soggettivo e dell’oggettivo.
Se il Cristianesimo, evoluzione delia natura umana verso l’intimità, la spiritualità, l’unità e rarmonia, potè e dovette trascurare d'inculcare il fattore egoistico e soggettivo e di enunziare una teoria completa psicologica della condotta, per insistere sul « comando nuovo » dell’amore, dell-immedesimazione e della perdita di se stessi negli altri, ciò non significa che 1’« ama et fac quod vis », valevole come precetto, valga' come formola e chiave interpretativa della vita morale anche di chi vuol vivere una vita cristiana: molto meno coinè discriminante etico della condotta morale in generale. E il problema filosofico rimase.
Passando sopra al Medio Evo cristiano e alle sue frequenti deviazioni, anche nel seno della Chiesa, dai criteri evangelici di moralità, troviamo nel sec. xvi e xvn tentativi di porre alla condotta morale una base filosofica indipendente. La scolastica aveva fatto della filosofia la ancella della teologia: e l’ancella non aveva tardato a divenire Vantante, legata dalla doppia catena di Aristotile e della Chiesa. La rinascenza intellettuale che seguì specie all’impulso delle Università, s’incontrò con ¡'Umanesimo, con questo risveglio della coltura greco-romana, e poi con la « Riforma » e la sua ribellione all’autorità religiosa. Non ancora venti anni eran trascorsi dalla ribellione di Lutero, che già Ramus difendeva l’audace tesi che « tutto l’insegnamento di Aristotile era falso », e quasi contemporaneamente la schiera di innovatori italiani, Cardano, Telesio Patrizi, Campanella, Bruno, inauguravano quel metodo empirico e scientifico, che con Galileo, Bacon e Descartes doveva fondare la scienza moderna (x). L’etica non mancò di seguire l’impulso del pensiero nuovo. Il movimento verso l'autonomia della morale fu inaugurato con la discussione sulla legge naturale da Alberico Gentile (1557-611) e poi da Ugo Grozio (1583-645).
Per essi (De Jure belli. De jure belli et pacis), la legge che emana dalla natura essenziale dell'uomo — dalla sua sociabilità e dalla sua tendenza ad agire secondo
(1) Francesco Bacone nel suo Advancement oi Learning (L. li, C. XX, XXII) aveva dato un breve saggio dì filosofia morale ricco di critiche e di suggestioni che egli non potè nè sviluppare nè sistematizzare, assorbito come fu dal grande compito della riforma del metodo scientifico. Notevole però è il 'passo in cui rimprovera ai moralisti anteriori di non • essersi indugiati un po’ più nella ricerca deile radici del bene e del male e delle fibre di queste radici », e di non .avere un po’ più consultato la natura ». Giacché l’osservazione della natura ci mostra che < in ogni cosa vi è una doppia specie di bene; l’una consiste nell’integrità e individualità della cosa stessa (•as everything is Mal or substantive in itselt »), l’altra nell’essere parte o membro di un corpo più vasto, dei quali beni il secondo è notevolmente il più grande e più degno ». E poiché è specialmente nell’uomo che questo « doppio genere di bene » è scolpito, se questa distinzione fosse • bene fissata e fortemente impiantata, gioverebbe
9
iTiííiiníírTtiiiri'M min '
48
• ■„ 11 p w
igo % BILYCHNIS
principi generali — è altrettanto costante quanto le regole matematiche, e inviolabile anche dalla volontà divina. Quindi essa può esser conosciuta a priori dalla considerazione astratta della natura umana, benché sia anche conoscibile a posteriori, dall'accettazione universale di essa nelle società umane.
Rimaneva però a domandarsi:
I. Ma qual è il motivo ultimo per cui l’uomo deve ubbidire a queste leggi?
II. E in qual senso e fino a che punto la natura dell'uomo lo porta a uniformarsi alle leggi sociali?
FILOSOFIA MORALE INGLESE - SUO INDIRIZZO POSITIVO E PSICOLOGICO
È con la risposta che Hobbes (1588-1679) tentò di dare a queste due questioni fondamentali che s'inizia nella storia della filosofia il periodo della filosofia morale autonoma inglese. Giacché si può parlare di una « filosofia morale inglese » nei secoli xvii e xviii, come di un periodo a sé nella storia dell’etica; come di una successione di sistemi oscillanti fra il razionalismo e l’intuizionismo; fra l’utilitarismo egoistico o umanitario, e l’altruismo; e la cui caratteristica generale è data dalla ricerca psicologica dei motivi delle azioni umane, che tutti questi cercatori si propongonoAnzitutto si può parlare di una « splendid isolation » del pensiero etico inglese in questo periodo. Infatti da Hobbes (De Cive 1642, Leviathan 1651) alla pubblicazione della grande opera di Bentham (Principles of morate and legislalion, 1789) l’etica inglese si è sviluppata su linee originali, senza sentire quasi alcuna influenza dalla metafisica e dalla psicologia francese, tedesca e olandese contemporanea.
La fisica e la psicologia di Descartes furono, è vero, molto studiate in Inghilterra, ma nessuna traccia troviamo negli scrittori inglesi della sua etica, seppure si può parlare di una scienza etica di Descartes, il quale si limitò a mettere in guardia contro le false assunzioni di beni percepiti solo confusamente e sotto l’influsso delle passioni, e ad esaltare i piaceri dello spirito come sufficienti da soli alla felicità, rimettendo all'evidenza della coscienza individuale la scelta dei veri beni.
Similmente, se la metafisica di Spinoza e di Leibnitz provocò una controversia con l’inglese Clarke, la loro etica non riuscì ad ottenere l’attenzione dei filosofi inglesi, o piuttosto a sviare il corso delle loro ricerche, ilei Panteismo spinoziano il problema morale era soppresso anziché posto — insieme alla stessa distinzione a giudicare e risolvere la maggior parte delle controversie di cui la filosofia morale tratta maggiormente ■. ‘ ,
Se è doveroso e interessante l’osservare che »la ricerca delle radici del bene e del male e delle loro fibre > c « l’investigazione (psicologica) della natura (dell'uomo) • ha appunto formato come il programma delle ricerche della morale inglese nei due secoli seguenti bisogna però riconoscere che a Fr. Bacone, il quale ripetutamente dichiara che t la luce della natura compressa nello spirito dell’uomo da un istinto interiore, conforme alla legge della coscienza, é sufficiente solo a frenare il vizio, non già a guidare al dovere», e ripudiò l'idea di un sistema morale indipendente dalla religione । rivelata », non si può attribuire il merito di aver fondato una morale autonoma.
49
L* «ETICA DELLA SIMPATIA '
>51
fra bene e male — daH’amorc di Dio, vincolo della vita sociale e principio di tutta la vita morale. Per Leibnitz, la vita morale consiste in una continua ascensione verso una più alta perfezione, (« Io chiamo perfezione tutto ciò che. eleva l’anima») e nella Conquista progressiva della felicità: ed è la natura stessa che con l’istinto verso la felicità e l’avversione al dolore ci sospinge verso la perfezione, additataci dalla ragione nell’armonia universale e nell’identificazione con Dio. In ambedue i sistemi l'ottimismo fondamentale e finale fa velo alla visione concreta del problema posto dall’etica inglese: Quali sono i moventi delle azioni umane? Perchè gli uomini seguono 'queste o quelle norme morali?
L'etica che per Spinoza e Leibnitz è un capitolo della • metafisica, per i filosofi inglesi di questo periodo è anzitutto una ricerca positiva e psicologica: la loro è una psicologia dell’etica. I moralisti di questo periodo sotto l’impressione della metodologia baconiana cominciano la loro ricerca dallo studio della condotta dell’uomo ordinario. Essi concentrano la loro attenzione sui fenomeni della coscienza morale normale, in una maniera fredda e imparziale: esaminano con severità e sincerità scrupolosa il contenuto dei suoi giudizi e quel che essi implicano. E l’esame è sempre originale, alimentato da osservazioni ed esperienze talvolta banali e tediose, sempre scevre di tecnicismo e formalismo: ogni formola è fatta passare sotto la trafila di esempi famigliari, e ogni concetto è reso accessibile a chiunque. L’etica inglese riconduce i problemi morali dal cielo alla terra, li trae dalle speculazioni degli specialisti e li trasporta nel centro della vita domestica, degli affari, della politica. Abbiamo detto che il metodo è baconiano, cioè prevalentemente induttivo: la raccolta dei fatti e la discussione di essi è al primo posto: poi la sintesi deduttiva ricerca una teoria per spiegarli. Nessuna preoccupazione in generale di sospingere i fatti ad entrare nella cornice di un sistema filosofico già apprestato o quale appendice di una teoria della conoscenza come nei contemporanei sopra citati. Il problema precipuo che si propone ìa filosofia morale inglese in questo periodo è di spiegare l’origine delle nostre idee di bene e di male, di giusto ed ingiusto e di dar loro una solida base prescindendo da quella dommatica. Il suo problema è: « Come perveniamo noi a considerare certe azioni o stati d’animo come degne di approvazione ed altre come meritevoli di condanna, e quale fondamento abbianjo per giustificare i nostri giudizi in questa materia e per ritenerli come rappresentativi dei giudizi morali del genere .umano? »
»
UTILITARISMO EGOISMO - INTUIZIONISMO
Le ricerche fanno capo a due correnti principali e antagonistiche; per la prima il criterio ultimo della moralità era l'interesse dell’individuo, o della comunità a cui apparteneva: la seconda si sforzò di porre a base della moralità un. criterio più. stabile che la rendesse meno dipendente dai cambiamenti delle circostanze, e desse alle sue norme l’autorità di proposizioni che restano vere e immutabili nel tempo e nello spazio.
50
152
BILYCHNIS
Hobbes, Locke, Mandeville, Hume formano la prima corrente denominata dell’Utilitarismo, dell’Egoismo ed anche dello Scetticismo: Clarke, Price, Lord Shaftesbury, Butler, Hutcheson, la seconda, denominata degli Intuizionalisti, perchè essi credevano che le verità morali fossero percepite direttamente, o dall’intelletto come gli assiomi di Euclide, (Intellettualisti, come Clarke e Price) o da un senso morale innato (Shaftesbury ed Hutcheson) sviluppato poi da Butler nella coscienza, che ci suggerisce il bene e ci fa distinguere il bene dal male, Sicché nella loro teoria le azioni umane sono apprese come buone o cattive direttamente; senza bisogno di riferirsi ad alcun altro criterio nè fare appello alle loro conseguenze.
È noto come Hobbes riduca tutti i motivi e le emozioni che determinano la condotta umana, anche quelli in apparenza più altruistici, a quello della propria preservazione e benessere individuale L'uomo è quindi naturalmente anti-sociale: e le ordinarie regole sociali (es. rispetto dei contratti) non sono obbligatorie che nell’ipotesi di un « potere civile » capace di far osservare da tutti le regole di convivenza che tendono a benefizio comune. Questo «potere civile.» che faccia cessare Io stato di «bellum omnium contra omnes» è un postulato dell’interesse individuale: e sorto che sia per un accordo sociale, o perchè imposto dai vincitori ai vinti, la sua autorità diviene illimitata e indiscutibile, benché il sovrano sia tenuto per legge di natura a cercare il bene della collettività. La moralità quindi per Hobbes s’identifica col diritto positivo ed è come esso variabile nel tempo e nello spazio.
Locke, pur convenendo con Hobbes nel principio egoistico della morale, conveniva con gli avversari di lui nel riconoscere alle norme morali un carattere di pb-gligatorietà indipendente dalla società politica, e nel ritenere che esse siano costruibili scientificamente su principi conosciuti per intuizione. (Essay on thè Human Under standing, 1690; Trealise on Civil Government, 1705).
Furono Cudworth (Eternai and I inmutable Morality, public. postuma nel 1728), Clarke (1675-1729), Price ed altri fautori del sistema « Razionale » o « Intellettuale » che attribuirono la nostra percezione delle differenze morali all’intuizione del nostro intelletto. Per essi le verità morali sono cóme quelle della matematica, eterne, immutabili, indipendenti da condizioni particolari di tempo e di spazio e dal criterio del piacere o del dolore che la loro attuazione può produrre. Per Clarke in specie, «dai differenti rapporti necessari ed eterni che le diverse cose hanno fra loro, risulta la convenienza 0 la sconvenienza dei rapporti reciproci di cose e persone... secondo la natura delle cose e la qualità delle persone » e questa convenienza o sconvenienza (fitness and unfitness) sono altrettanto evidènti intuitivamente alla ragione che contempla questi rapporti, quanto l’uguaglianza o la disuguaglianza delle qualità matematiche. Ma egli non esce da una costruzione razionale astratta, incapace di stabilire l'etica su una base filosofica indipendente, e di spiegare' il conflitto tra l'intuizione morale e l’egoismo.
Ma era possibile concepire che da una parte le tendenze e i sentimenti sociali anziché contrastare (Hobbes, ecc.) con la natura dell’uomo, siano ad essa connaturali, ed un'armonia esista normalmente fra esse e l’interesse personale; e che d'altra parte, anteriormente e sopra la ragione ragionante, esista nell’uomo un particolare senso morale che percepisce il bene ed il male, e che trova più dolcezza
51
L*« ETICA DELLA SIMPATIA» 153
nelle gioie delicate del sacrifizio che nella soddisfazione brutale dell'egoismo; sicché l’uomo abbandonandosi alla sua guida possa trovare la felicità nella pratica appunto della gentilezza e del disinteresse. Fu Lord Shaftesbury che postulò questo senso morale come sorgente e criterio di moralità, e fu Hutcheson professore di morale-all’università di Glascow, che lo sviluppò nel suo Inquiry concerning thè origine of our ideas of Virluc: System of rnoral Philosophy.
La comparsa dell’opera di Shaftesbury (Characleristics of Men, Manners, Opinione, Times nel 17x1), segna il pieno ritorno al metodo empirico nell’esame del problema morale. Suo grande principio fu quello deH’i^iriliòrio morale o MV armonia. L’egoista e l’altruista sono ambedue incompleti: la perfezione umana consiste nell'armonica combinazione delle due tendenze.
Il senso morale o facoltà naturale che determina il valore delle azioni — ana< logo al senso estetico — è inizialmente emozionale anziché riflesso: benché l’educazione e l’uso lo razionalizzino. La principale deduzione che Shaftesbury trasse dal suo principio, è che la differenza tra bene e male fa parte della natura stessa dell’uomo: e che il criterio ultimo della moralità di un’azione è la sua tendenza a pro-muovere l’armonia e il benessere universale.
Lo sviluppo che Hutcheson diede alla teoria del senso morale di cui fece una facoltà primitiva non analizzabile, affine al senso estetico (zaXÒ; xat ayaSÒ;), e la sua identificazione della virtù con la benevolenza; e d’altra parte la correzione di Butler che al senso morale privo di autorità sostituì la coscienza dotata di autorità e supremazia, non risolvevano, però, ma solo illustravano e ponevano più acutamente il problema fondamentale del perchè dell’approvazione inorale che si chiami essa Coscienza- o senso morale. Dire che la coscienza o il senso morale non sono analizzabili; equivaleva a dire che i sentimenti morali sono il « datum ultimum » non suscettibile di spiegazione nè di unificazione, cioè di trattazione scientifica. Inoltre il senso morale, se può essere una teoria del motivo delle nostre azioni, non può mantenere la promessa che fa di fornire il criterio concreto di distinzione del bene e del male: in questo sènso non riesce a contrapporsi efficacemente alla teoria utilitarista.
TENTATIVO DI CONCILIAZIONE - HUME
Un tentativo originale di conciliazione della teoria del «senso morale» con quella dell’utilitarismo — della forma col contenuto — fu quello di Hume (Trea-lise on Human Nature, 1739; Inquiry into thè Principles ' of Mòrdi, 1751). Anche per lui la percezióne del bene e il perseguimento di esso è dovuto a un istinto: ma questo istinto è non quello àeìl’amor proprio che ci rivela il solo nostro bene, bensì Vumanità, cioè la sensibilità alla felicità del genere umano (feeling fot thè happiness of mankind). Per Hume, il bene e l’utile si equivalgono: son buoni gli atti utili e cattivi i dannosi: intendendo per utile non quello personale dell’agente, bensì quello generale. La benevolenza è superiore all'egoismo, non per sua natura, ma a causa dèlia sua maggióre utilità, avendo per oggetto il bene universale.
« La più grande felicità del più gran numerò » era stata di già la formola proclamata da Hutcheson: ma mentre questi, accettando l'utilità come criterio della
^■*1
52
154
BILYCHNK
« bontà materiale » aveva aderite» alla veduta di Shaftesbury che l’oggetto dell’ approvazione morale non erano i risultati delle azioni, bensì le disposizioni, per Hume la scienza morale deve basarsi sull'esperienza: « Essendo questa una questione di fatto, non di scienza astratta, noi non possiamo attenderci un successo che seguendo il metodo sperimentale, e deducendo màssime generali dal paragone di casi particolari ». E l’esperienza gli mostra, che l’elemento comune a tutte le azioni ritenute stimabili è l'utile, e che «è un naturale principio di benevolenza» che ci spinge a tener conto dell’interesse altrui, e questo principio è alla base di tutti i nostri sentimenti morali.
Ma alla domanda, quale sia precisamente il motivo per seguire una condotta virtuosa — utile all’umanità anche se penosa per il soggetto — la risposta di Hume non è nè chiara nè coerente. Egli riconosce anzi che non vi è « obbligo » alla virtù eccetto che nell'interesse o nella felicità dell’agente. E anche ammettendo che la coscienza morale sia un’emozione piacevole e che l'essenza del « gusto morale » sia la simpatia col piacere altrui (« la stessa vista della felicità, della gioia, della prosperità altrui ci dà gioia; quella del dolore, della sofferenza, della tristezza altrui ci comunica dispiacere »), perchè allora non riconoscere alla base stessa del « gusto morale» una simpatia costituzionale coi sentimenti altrui? Perchè mai questo « gusto morale » non è eccitato da altre forme di altrui piacere che quelle virtuose?
Come si vede da questo breve scorcio sulla morale inglese dei sec xvii e xvm la questione allora posta per la prima volta dei «fondamenti della moralità» era ben lungi dall’essere stata risolta sia dagli intellettualisti che dai sentimentalisti, dagli egoisti utilitaristi che dagli umanitaristi della benevolenza.
BIOGRAFIA DI A. SMITH - SUA OPERA
Era l’amico intimo di Hume e il successore di Hutcheson nella cattedra di filosofia morale a Glascow che doveva additare l’ultima radice dei giudizi etici e il movente delle nostre azioni nella facoltà innata di partecipare i sentimenti altrui, à'identificarci con i motivi e i bisogni degli altri, di vedere noi stessi come gli altri vedono noi, cioè nella simpatia.
..In un periodo d’individualismo, in cui ogni moralista prendeva come punto di partenza il concetto di una società risultante di individui forniti ognuno di un completo sistema morale, A. Smith proclamò l’idea che la coscienza individuale emerge solo e si sgroviglia dalla coscienza sociale, nella quale solo può ritrovare se stesso, l'to sociale. E a questo fu egli condotto dall’osservazione e dall’analisi della condotta umana dell’uomo concreto ne’ suoi rapporti sociali. Volto agli « uti-taristi », egli proclamò che l’uomo morale comincia là dove comincia l’uomo sociale, l'uomo che rivive in sè la v#a, i sentimenti, le passioni "degli altri: volto agli «intellettualisti», egli mostrò loro che la materia della loro forma razionale della morale era un dato psicologico sociale; e agli « intuizionisti » che il senso morale e la coscienza sono ulteriormente analizzabili e riducibili ad un senso fondamentale; quello dell’unità costituzionale dell’io e degli altri.
53
L’« ETICA DELLA SIMPATIA» 155
Il nome di Adam Smith, del padre dell’economia politica, è sì intimamente e universalmente legato alla grande opera «Wealth of Nations» (La ricchezza delle Nazioni, 1776), che è facile perder di vista, che diciassette anni prima che egli pubblicasse quest’opera, cioè nel 1759 quando egli aveva solo 36 anni, la sua riputazione europea veniva già assicurata dall’opera The theory of moral sentimento, riproduzione dei corsi tenuti all’università di Glascow nei primi sette anni d’insegnamento. E se la 2& opera ha per un secolo e mezzo quasi ecclissato la 1*, non bisogna dimenticare il successo raggiunto da questa, attestato dalla gara di traduzioni francesi, e più l’influenza da essa esercitata sui sistemi filosofici successivi.
La pubblicazione di questi due volumi fornisce quasi da sola l’elemento « avvenimenti » nella tranquilla e monotona vita di A. Smith, il cui « credo » edonistico fu‘che «Nulla manca alla felicità di un uomo che gode di buona salute, non ha debiti, ed ha una coscienza pura » e che dell’ambizione di onori e di ricchezze fece la critica più acuta.
Nato a Kirkaldy, industriosa cittadina della Scozia, nel 1723, figlio unico di agiati genitori, idolatrato dalla madre rimasta presto vedova, e della quale fu per più che sessantanni il più devoto dei figli, egli si distinse da fanciullo per la straordinaria memoria e l’amore alla lettura, ma anche per un precoce abito di distrazione e di parlar da sè, che conservò poi per tutta la vita. Inviato a 14 anni all’università di Glascow dove seguì i corsi di Hutcheson, e à 17 anni a Oxford al Balliol College, quivi rimase per più di sei anni, risentendo forse più che l’influenza conservatrice e indifferente dell’ambiente, l’impressione del Treatise of Human Nature, di Hume, testé pubblicato. A 28 anni eletto professore di logica alla Università di Glascow, e l’anno seguente 1752 di Filosofia morale, egli divise il suo corso in quattro parti: la prima sulla Teologia naturale, la seconda sull’ Etica, la terza sulla Giustizia e la Giurisprudenza, e la quarta sulla Natura delle istituzioni politiche.
Furono la 2a parte e la 4*. che pubblicate in due volumi divennero note al mondo sotto il titolo di The Theory of moral sentimento e The Wealth of Nations. Il tempo gli mancò di donarci un altro lavoro magistrale sulla giurisprudenza naturale, corrispondente al suo terzo corsov Ma che egli avesse concepito nella sua mente il disegno dell’opera già dal 1759, anno della pubblicazione del The theory of M. sentimento, e che non ne avesse abbandonato l’idea nel 1790 anno della sua morte, appare chiaro dalle parole che premise in quest’anno stesso alla-sesta edizione dell’ultima opera. Anzi, nel 1896, cioè almeno 133 anni dopo che aveva tenuto quei corsi, furono scoperti gli appunti scolastici di un discepolo di Smith contenenti uno schema della sua Teoria e storia della legge e del governo oltreché della Ricchezza delle Nazioni.
E qui è da rilevare, che il piano di lavoro di A. Smith — come già quello di Bacon — era enorme. Egli si era proposto di rispondere alla questione: «Come l’uomo, individuo o razza, è pervenuto ad essere ciò che è?» e di mostrare che l’individuo e la razza umana provvista di poche facoltà giunge alla complessità della
54
BILYCHNIS
15<>
presente vita sociale. Di qui l’enorme cumulo di svariata coltura che egli adunò nella sua mente, e 1 saggi, scritti e in parte per sua volontà distrutti (Storia delle arti belle e liberali, Storia dell-Astronomia, Saggio sulla prima formazione del linguaggio), rientranti nel vasto piano di cui la Theory of inorai sentimento e la Weallh of Nations non furono che i frammenti principali.
Sembra che ai primi anni del suo insegnamento a Glascow risalga quell’amicizia tipicamente inglese.con David Hume, che illustra così bene la vita di entrambi; interessati a questioni di filosofia morale ed economia politica, ambedue professanti le stesse idee sui rapporti fra religione naturale e « rivelata », il grande argomento dell’epoca e come la pietra ultima di paragone sociale; ambedue dotati di semplicità e gentilezza' di carattere; avendo molto di comune nelle idee e nel temperamento, e abbastanza di diverso su punti secondari.
In una lettera scritta da Hume al suo amico nell'occasione della pubblicazione della Teoria dei sentimenti (1759), leggiamo: « Eccomi a darvi la triste notizia che il vostro libro è stato assai disgraziato, perchè il pubblico sembra disposto ad applaudirlo fino all'eccesso. Gli sciocchi lo attendevano di già con impazienza, e la marmaglia dei letterati cominciano già a levare alta la voce in sua lode. Il vescovo di Peterborough disse che nella serata lo aveva inteso sublimare come il più gran libro mai scritto; e il duca di Argyll mostra ad esso un favore, contro il suo solito, risoluto...
« Carlo Townsend è così entusiasta della vostra impresa, che disse ad Oswald che se fosse in lui egli affiderebbe il giovine duca di Buccleuch (di antica nòbiltà scozzese) all’autore, proponendo condizioni tali da indurlo ad accettare l'incarico ».
Tale invito venne infatti quattro anni dopo, e in termini sì lusinghieri, che Smith s’indusse a dare le sue dimissioni dalla cattedra di Filosofia morale e a seguire per 4 anni il giovine Duca nei suoi viaggi per l’Europa.
Dei quattri anni spesi da Smith viaggiando col duca di Buccleuch, la sola notizia interessante è che a Parigi egli fece la conoscenza di Necker, D’Alembert, Helvetius, Quesnay, Turgot e l’Abbate Morellet, poi traduttore delle Sue opere.
Con gli ultimi tre, Smith ebbe molte conversazioni e discussioni di economia politica, specie sui punti particolari di cui poi doveva trattare nella sua grande opera sulla Ricchezza delle Nazioni. A questa egli attese dal suo ritorno in Inghilterra nell'ottobre 1766 fino al 1776, in dieci anni trascorsi in solitudine a Kirkaldy in un «otium tusculanum » resogli agevole da una pensione annua di 300 sterline assegnatagli dall’Amministrazione del nobile duca. Finalmente nel 1776 appariva la Ricchezza delle Nazioni.
Pochi mesi dopo la morte di Hume lasciava Smith privo del sostegno del suo più grande amico, e divenuto, a causa del suo libro rivoluzionario, segno d'immenso odio e insieme di entusiastica ammirazione.
Pochi giorni prima della sua morte, egli diede ordine’ che tutti i suoi manoscritti, a eccezione di alcuni saggi, fossero bruciati: fra essi si trovavano le sue con ferenze sulla Teologia naturale e sulla Giurisprudenza, tenute all'università di
55
L*«ETICA DELLA SIMPATIA»
x57
Glascow. Il placido e mite rivoluzionario dell’etica e dell’economia morì all’età di 67 anni, nella sua dimora di Panmure Molise in Edinburgh.
Presso il piccolo cimitero nella collina di Calton a Edinburgh, che racchiude le ceneri dell’immortale autore del Trattalo della natura umana, un altro cimitero stretto e turbato dal fervore e dal trambusto della vita industriale della capitale scozzese dà riposo al suo più caro amico, all’autore della Teoria dei sentimenti morali e della Ricchezza delle Nazioni", a colui cui venti anni dopo, alla vigilia di Jena, uno studente tedesco, Alexander von Marwitz, non esitava di proclamare: « Dopo Napoleone, egli è ora il più potente sovrano di Europa ».
POSIZIONE DI A. SMITH NELLA STORIA DEL PENSIERO
Ecco il giudizio che dà un economista contemporaneo, Fr. W. Hirst, sull'efficacia generale dell’opera di Smith e sul posto .ch’egli occupa nella storia del pensiero umano:
« Nell’emancipazione del pensiero e nella diffusione della coltura che caratterizza il secolo che divide la rivoluzione inglese da quella francese, A. Smith prende posto in ordine di tempo, dopo Locke, Montesquieu, Newton c Voltaire, insieme a Hume, Rousseau, Diderot. Turgot e Burke. Egli si accordò con essi tutti nel: l’abborrimento per l’intolleranza religiosa: con ciascuno di essi separatamente ebbe speciali affinità. Come il primo e l’ultimo; egli ebbe un rispetto veramente inglese per la legge e l’ordine. Newtoniano nella ricerca paziente e tranquilla degli ascosi segreti della Natura, egli ebbe l’amore di Voltaire per la giustizia, e rassomigliò a Rousseau, il solo democratico della scuola francese, in un nuovo sentimento por il governo popolare e in quello che si può chiamare l’istinto sociale ovvero repubblicano. Egli gareggiò con Diderot nella sua curiosità universale e nel possesso enciclopedico di tutte le scienze; ma lo sorpassò nella originalità e nella potenza creativa. Egli seppe combinare in un grado straordinario la facoltà di osservazione, meditazione e astrazione...
0 II criticismo di Voltaire ebbe senza dubbio grandi conseguenze... Lo .scetticismo di Hume andò anche più a fondo: scalzò dalle radici intieri sistemi di una filosofia degradata, e sollevò Kant dai suoi sonni dominatici: ma sì Hume che Voltaire poco ebbero da seminare sul terreno da essi arato e rastrellato!!! Con tutta la loro mania di annullare e di mettere in ridicolo la religione, ess^ ritennero la Chiesa quale utile strumento dello Stato. In tutti i loro appelli all’opinione pubblica mai pensarono' di poggiare il Governo sulle larghe basi del diritto del popolo. La loro concezione della società fu convenzionale: essi furono piuttosto dei satirici che dei riformatori. È un luogo comune quello di paragonare A. Smith con Locke... Ma l’impresa maggiore di Locke è stata quella di trovare una sanzione filosofica per una rivoluzione già compiuta da altri, e di radicare nelle menti deh l’aristocrazia liberale un rispetto illimitato per una costituzione limitata. Smith ha da solo tentato e attuato una rivoluzione del pensiero che ha modificato la politica degli Stati e aumentato in modo prodigioso il benessere di tutto il mondo
56
15»
BILTCHNK
civile... Smith è sortito dalla reclusione di professore di morale e dalla « drudgery »... di commissario delle dogane, per assidersi nel consiglio dei sovrani. La sua parola ha squillato attraverso le accademie sulle piattaforme politiche. Essa è stata proclamata dagli agitatori, ponderata dagli statisti e stampata su migliaia di statuti ».
VALORE LETTERARIO DELLA TEORIA
La Teoria dei sentimenti morali (il titolo completo quale appare nell’undecima edizione, è: La Teoria dei sentimenti morali, o Saggio di un’ analisi dei principi dai quali gli uomini giudicano naturalmente riguardo la condotta e il carattere, prima del loro prossimo e poi di se stessi), all’esame della quale dobbiamo qui limitarci, deve anzitutto esser considerata come un'opera d’arte.
« Se i suoi scritti etici, scrive Lord Haldane,Jossero stati concepiti come una serie di « essays » A. Smith assai probabilmente troverebbe posto fra i più grandi • essaysts» della letteratura inglese. Lo stile ne è semplice, diretto... lo scrittore unisce all’acutezza e aH’umorismo latente di Montaigne quella potenza di analisi sottile che caratterizza i migliori dei recenti romanzieri ».
Brown, benché il più acuto dei suoi critici, rende omaggio alla Teoria come un modello di bellezza filosofica. E Sir James Mackintosh: « Dopo, forse, gli Officia di Cicerone, non vi è lavoro di etica che perda maggiormente ad essere riassunto che la Teoria dei S. M. E ciò non tanto a cagione della bellezza del suo stile — come nell’opera di Cicerone — quanto a cagione della varietà delle illustrazioni tratte dalla vita e dai costumi, che abbelliscono il libro anche più che illuminare la teoria. Eppure — egli soggiunge — bisogna confessare che, nei riguardi filosofici, pochi libri han più bisogno di essere sunteggiati, perchè anche il lettore più accurato perde facilmente di vista i principi, sepolti sotto il cumulo delle illustrazioni ».
La qualità che soprattutto non manca di cattivare il lettore $ la potenza di analisi. Questo « perpetuo assente ed astratto » era in realtà il più fine e acuto osservatore del cuore umano.
E l’arte dello stile è in perfetta armonia con la potènza, chiarezza e lucidità dell’analisi: essa possiede in alto grado quella magia avvincente — comune in parte agli scrittori del sec. xvm — che forma la disperazione di chi tenta imitarla, e che posta dall’autore a guardia del suo pensiero, impedisce ad ogni profano il tentativo di estrarlo' dal suo naturale involucro: tutti coloro che hanno tentato di liberare l’idea di Smith dalla sua impervia corazza e presentarla nella sua nudità, hanno dovuto confessarsi impotenti. Riassumere Smith — specie certe sue pagine — è impossibile, a meno di recidere membra intiere dal suo organismo; felici se nella difficile operazione voi riuscite a non toccare organi vitali.
La teoria della simpatia (i) come chiave di volta dell’interpretazione della condotta morale non ha la pretesa di essere un sistema originale: è anzi decisamente
(i) « Sympathy » ritiene nella trattazione di Smith principalmente il significato etimologico, derivato da reso meglio dal latino « coafficior », « una cum
57
L’«ETICA DELLA SIMPATIA» . 159
un sistema eclettico, in quanto distinto dal sincretismo. Tutto quello che di vero vi è nell’« egoismo » di Hobbes o di Mandeville, nella « benevolenza » di Hut-cheson, nell’« utilitarismo » di Hume, è utilizzato e .come collegato in un complesso organico che tenta di evitare le unilateralità di ognuno mediante uno scandaglio più profondo, un’osservazione più acuta, e una visione più vasta della natura umana veduta all’opera. Che Smith stesso così consideri la sua teoria, appare chiaro da ciò che dice nell’ultima parte della sua opera: « Se noi esaminiamo le più celebri e notevoli delle teorie progettate per spiegare la natura e l’origine dei nostri.sentimenti morali, troveremo che esse coincidono quasi tutte con l'una o con l’altra parte di quella di cui io ho tentato di fare una esposizione ».
Gli scrittori di etica, la cui influenza si fece maggiormente sentire su A. Smith furono certamente Hutcheson e Hume, il suo maestro e il suo amico. Solo noteremo qui, che mentre per Hume il criterio di morale è intimamente dipendente dalla percezione delle conseguenze utili (all’individuo e alla società) della condotta morale, per Smith il criterio immediato di moralità è l’espressione della simpatia di
. uno « spettatore imparziale » con gli impulsi che occasionano l’azione.
E quanto a Hutcheson, égli ravvisa la simpatia solo quale fondamento del-V altruismo, «come il mezzo di procurarci piaceri più raffinati nella simpatia con la felicità degli altri » e le oppone di « non poter mai spiegare tutte le diverse affezioni, benché essa sia senza dubbio un principio naturale e un bell’elemento della nostra costituzione » (System of Moral Philosophy; L. I, c. XII).
PRECURSORI
Butler, il proclamatore della coscienza come facoltà morale specifica, aveva già prima di Smith scorto « il principio naturale dell’attrattiva fra uomo e uomo » e che « noi siamo fatti per la società e per promuovere la felicità di essa, non meno che per aver cura della nostra vita e salute e bene personale ».
Anzi, in un capitolo egli si trova in margine alla teoria di Smith, pur senza giungere a fare della « simpatia » la pietra fondamentale.
«Vi è tale un principio naturale di attrattiva fra uomo e uomo... gli uomini sono talmente un sol corpo, che in un 'modo speciale essi sentono l'uno per l’altro la vergogna, il pericolo, il risentimento, l’onore, la prosperità, la miseria... e perciò... non aver riguardo per altri nella nostra condotta... conduce alla assurdità speculativa di considerarci soli e indipendenti; senza nulla che nella nostra natura abbia alcun rapporto al nostro prossimo ».
È stato spesso citato un passo di Polibio — utilizzato anche già da Hume per mostrare come già gli antichi moralisti avessero assegnato un’origine egoistica alle
alio afficior » « simul cum alio afficior eius afiectibus tanquam meis ». Simpatia è quindi: « consenso nei medesimi sentimenti ed affetti », « comunanza di dolori e di gioie », «condoglianza » e « compiacenza » insieme; capacità d’investirsi dei sentimenti altrui, di trasferirsi nella situazione degli altri, ed anche, per riflesso,- di sentire noi stessi come gli altri ci sentono.
58
160
BILYCHNIS
nostre idee sulla moralità, — come ispiratore dell’idea fondamentale di Smith..., ma non vi è alcun indizio per credere che la coincidenza sia altro che casuale, e che lo stesso passo possa aver suggerito ai due amici interpretazioni tanto diverse. Comunque, il famoso passo merita di essere in parte citato, almeno come prova di una spontanea coincidenza di .osservazione alla distanza di 19 secoli.
Polibio, dopo aver parlato di atti d’ingratitudine che vengono compiuti verso i genitori, così soggiunge: « Così ancora, quando qualcuno che è stato soccorso da un altro nel momento del pericolo, invece di mostrare la stessa gentilezza al suo benefattore si sforza in qualunque tempo di causargli del male 0 .fargli del danno è certo che tutti debbono restar colpiti da questa ingratitudine, a causa della simpatia col risentimento del loro prossimo; ed anche dalla preoccupazione che lo stesso possa avvenire ad essi. Di qui sorge nella mente di ognuno una certa idea della natura e della forza del dòvere, in cui consiste insieme il principio ed il termine della giustizia. Egualmente, colui che per difendere gli altri si getta per il primo in ogni rischio, non manca mai di ottenere le più alte acclamazioni di applauso e di venerazione dalla moltitudine; mentre al contrario, colui che mostra una differente condotta è fatto oggetto di critiche e rimproveri. E così avviene che il popolo comincia a discernere la natura delle cose onorevoli e di quelle volgari, e quale sia la differenza fra esse; e a percepire che le prime debbono essere ammirate e imitate a causa del vantaggio che le attende, e le altre debbono-essere detestate ed evitate ».
Come si vedrà, la somiglianza di questo passo con la teoria di Smith è veramente impressionante, non meno che l'originalità del pensiero in esso contenuto;, e sì spiega come esso non sia sfuggito ai critici della « Teoria ». Al contrario non trovo che alcuno abbia ravvicinato il pensiero di Smith a quello espresso nel Discours sur l’origine de Vlnégalité da Jean Jacques Rousseau, nell’anno stesso in cui Smith saliva la cattedra' di Etica nella Università di Glascow, cioè nel 1752, sette anni prima della pubblicazione della « Teoria ».
Benché gli accenni di Rousseau non formino materia sistematica, ed inoltre essi abbiano più affinità con la teoria della « compassione » di Shopenhauer, che con quella della « simpatia » di Smith, non è-difficile riconoscere un’intima analogia con questa. Rousseau infatti vi parla della « Ripugnanza innata a veder soffrire i nostri simili... cioè della « pietà »,... come la sola virtù naturale... dalla quale discendono tutte le virtù sociali ». Ed egli riconosce che « la commiserazione » sarà tanto più energica, quanto più « Vanimale spettatore s'identificherà più intimamente con Vanimale sofferente ». E continua:
« È ben certo che la pietà è un sentimento naturale, che moderando in ogni individuo l’amore personale, conco/re alla mutua conservazione di tutta la specie. È essa che nello stato di natura tiene luogo delle leggi, dei costumi e delle virtù ». In una parola, è in questo sentimento naturale, ben più che nelle sottili argomentazioni. che bisogna cercare la causa della ripugnanza a far male, anche indipendentemente dalle massime dell’educazione » (pag. 91-94, Ediz. Bipont).
Non sarebbe forse il caso di riconoscere alla sua volta l'influenza della Teoria (T759) fiuH’EmUio (1762) nel passo di quest’ultimo (p. 115-120, Ediz. Bipont):
59
L*« ETICA DELLA SIMPATIA» *6r
«Come ci lasciamo noi commuovere a compassione, se non trasportandoci, fuori di noi stessi e identificandoci con l’animale che soffre: abbandonando, per così dire, il nostro essere per assumere il suo> Noi non soffriamo che in quanto giudichiamo che esso soffra : non è in noi, ma in lui che noi soffriamo? » Certo è che, non ostante la parentesi di acuto conflitto fra Rousseau — entrato già nel periodo della semi-follia, — e Hume che gli aveva dato ospitalità in Inghilterra e stava per ottenergli una pensione, (animosità divisa da Smith come ce ne fa fede la lettera a Hume in cui tratta Rousseau da nulla meno che da «gran birbante, ipocrita e pedante »), la stima di Smith per Rousseau sopravvisse all’incidente per quanto disgustoso, ed anche alla morte di lui. Nell'autunno 1784 il geologo Saint-Fond, in una sua visita a Smith nella Panmure House, lo sentì parlare di Rousseau con una specie di religioso rispetto. Notevole è il suo confronto fra Rousseau e Voltaire, con cui fece ammenda del disgustoso incidente. « Voltaire, egli disse, cercò di correggere i vizi e le follie del genere umano con lo scherno c talvolta con severo trattamento: ma Rousseau prende il suo lettore nella rete della ragione per mezzo dell’esca del sentimento e la forza della convinzione. Il suo Contralto Sociale potrà bene un giorno far vendetta di tutte le persecuzioni da lui sofferte ».
METODO E SCOPO DELLA TEORIA
Abbiamo già detto che il metodo di Smith è fondamentalmente baconiano, cioè induttivo. Egli non parte nè da principi nè da ipotesi metafisiche: « hypotheses non fingo », ma da fatti di esperienza morale. « Le sue opere (scrive Hòfiding, History of Modem Philosophy, voi. I) mostrano con quale ardore egli studiasse le vicende storiche reali, affine di illuminare le questioni dei principi, e Buckle è molto unilaterale quando dice che il suo metodo fu puramente deduttivo... Le sole esperienze morali, da cui si possono dedurre le generali norme razionali di condotta, debbono ottenersi, a suo modo di vedere, a mezzo d’involontaria e istintiva simpatia per le vicende e la condotta degli altri. La ragione può cooperare solo nella generalizzazione, e non nell’ involontaria percezione del bene e del male ».
11 suo scopo è quello che Schopenhauer si proporrà un secolo dopo, cioè non di elaborare una teoria riguardo a quello che gli uomini debbono fare, ma di « indicare tulle le diverse direttive della condotta morale, di spiegarle e di assegnarne una -sorgente comune ». Ed egli non manca di richiamare su questo l’attenzione in parecchi punti della Teoria. «Bisogna ben riflettere che la presente ricerca non riguarda una questione* di diritto, ma una questione di fatto. Noi non esaminiamo quali siano i principi dietro cui un essere perfetto agirebbe,... ma dietro quali principi una creatura così manchevole e imperfetta qual’è l'ifomo agisce in realtà e di fatto »: in contrasto con Kant che costruisce le basi della sua morale a priori, e scrive (Grundlegung zur Metaphisik der Sitten) :« In un sistema di filosofia pratica noi non ci occupiamo di addurre le ragioni di ciò che avviene, ma di formulare le leggi riguardo a ciò che dovrebbe avvenire, anche se ciò non ha mai luogo».
60
IÓ2
BILYCHNIS
Saggio tipico, non solo_del suo metodo empirico sperimentale, ma anche dei termini prammatistici in cui egli traduce le questioni teoretiche, è il suo modo di proporre i problemi.
«In che cosa consiste la virtù?» egli si domanda neH'ttfttma parte dell’opera (pag. 470).
Ma la domanda abbisogna di essere precisata e chiarita, ed ecco come egli la ripropone:
« Cioè, quale è il tono del temperamento e il tenore di condotta che costituisce un carattere eccellente e degno di lode, quel carattere che è l’oggetto naturale di stima, di onore e di approvazione? » Ed egualmente, la domanda connessa : Qual’è la facoltà dell’animo che-raccomanda alla nostra approvazione questo tale carattere, qualunque esso sia? » ha bisogno di traduzione in questi altri termini : « Come avviene, e con quali mezzi, che l’animo (thè mind) preferisca un genere di condotta ad un altro, e denomini l’uuo giusto e l'altro ingiusto, e consideri l’uno come oggetto di approvazione, di onore, di premio, e l’altro di biasimo, di censura, di punizione ? »
Ma non è la ragione la sorgente dei nostri giudizi di approvazione o disapprovazione e di tutti i giudizi concernenti il bene e il male? E non è essa un criterio oggettivo e assoluto? A questa difficoltà Hume aveva già risposto che «la ragione non può essere un motivo all’azione », se non in quanto « essa dirige gli impulsi ricevuti dall’appetito o inclinazione »: che la ragione è « perfettamente inerte » e « non può essere sorgente di un principio sì attivo come la coscienza o il senso morale ». La ragione può indicare i mezzi conducenti ad un fine, o mostrarci l’esistenza di un fine, ma non può di per se stessa raccomandare un fine, (Treatise on Human nature, pag. 413-457). Questo ragionamento si adatta certo alla ragione discorsiva, non alla intuitiva: e inoltre,—come osserva Selby-Bigge — nel giudizio inorale di un atto noi lo riguardiamo più come parte di un tutto e un sistema di condizioni, che come mezzo ad un fine.
Ecco ciò che Smith stesso risponde, nella critica che fa nella Teoria, al sistema di Hobbes: « Le norme generali della moralità sono derivate, come tutte le norme generali, dall’esperienza e dall’induzione. In una gran varietà di casi particolari noi osserviamo che cosa è che piace o dispiace alle nostre facoltà morali, che cosa esse approvano e che cosa disapprovano,, e inducendo dà questa esperienza noi assorgiamo alle regole generali ».
« Ma l'induzione è bene un processo- della ragione: è dunque dalla ragione che son derivate tutte le massime è idee morali, e con essa noi- regoliamo la maggior parte dei nostri giudizi morali, che sarebbero troppo, incerti e precari se dipendessero intieramente dai sentimenti e dagli affetti (sentiments and feelings) così suscet-. libili di cambiare completamente col mutare dello stato di salute e delle condizioni soggettive... Ma benché senza dubbio la ragione sia la sorgente delle regole generali di moralità e di tutti i giudizi morali che formiamo col loro mezzo, è del tutto assurdo e inintelligibile supporre che la rima'percezione del bene e del male derivi dalla ragione, anche nei casi particolari, sull’esperienza dei quali sono fondate le regole generali. Queste prime-percezioni, come tutte le altre osservazioni (expe-
61
l'«etica delia simpatia»
163
riments) su cui si fonda qualunque regola generale, non possono essere oggetto della ragione, bensì di un senso e di un sentimento immediato. Noi formiamo le regole generali di moralità dalla constatazione che un tenore di condotta piace costantemente... e che un altro dispiace pure costantemente. Ora, nulla può essere piacevole o dispiacevole in se stesso che non sia inteso come tale dal senso e dal sentimento immediato, anziché dalla ragione... ».
Insomma, la ragione logicizza i motivi e le preferenze e li rende « commerciabili », ma non li suscita, nè li spiega.
PRESUPPOSTI METAFISICO-RELIGIOSI DELLA TEORIA
Se la Teoria di Smith non è immune da presupposti metafisico-religiosi, essi però sono marginali, formano soltanto «lo sfondo» della teoria che illuminano, confermano, corroborano: anziché dei postulati, sono degli echi inviati dall’intuizione religiosa e dalle esperienze dell’umanità, e la sua morale resta « autonoma ».
Un ottimismo finalistico morale è il suo domma fondamentale, che domina non solo la Teoria, ma, quel che è più, tutto il suo sistema economico: è come l'ipotesi direttiva e l’atmosfera che nutre e in cui vive tutto il suo pensiero: senza arrivare alla fede metafisica di Malebranche che «tutto vada per il meglio, nel migliore dei mondi possibili », egli crede che « tutto ciò che è, va bene ». Se egli fosse stato associato all’inizio dei mondi dal Jahve della Genesi a contemplare il creato, avrebbe trovato anche egli che « tutto ciò che Jahve aveva fatto era sommamente buono »: solo, egli non avrebbe intesa la tentazione di riposarsi in un lungo settimo giorno nella contemplazione della grande opera.
« All’uomo è toccato un ufficio assai più umile che l’amministrazione del gran sistema universale, ma un ufficio assai più adatto alla debolezza delle sue forze e alla limitazione della sua intelligenza; la cura della felicità propria, della sua famiglia, dei suoi amici, della sua nazione. La contemplazione delle cose più sublimi non può esser mai una scusa per trascurare il compito più umile... Le più eccelse speculazioni della filosofia contemplativa non arrivano a compensare la trascuratezza del più umile dovere dell’azione ».
Questo Ottimismo finalistico non è esclusivo di Smith: egli lo-ha in comune con tutti i filosofi inglesi che mutuano da Shaftsbury la concezione quasi panteistica dell’uomo e dell’universo, e che al trascendentalismo scolastico morale della Chiesa opposero una finalità immanente insita nella natura umana, che si rivela neH’armonia naturale percepita nelle cause finali.
Solo—per prendere in prestito da Smith stesso la vecchia metafora dell’orologio -mentre per Butler è l’indice della coscienza che sempre addita il dovere senza bisogno di ulteriore giustificazione, e per Hutcheson è l’indice del senso morale che per una specie di armonia prestabilita addita sempre la condizione che produrrà maggiore felicità, Smith, con Hàrtley, non si arresta a questo: egli smonta l'orologio, e mette a nudo il meccanismo per cui la felicità umana viene armonizzata con quella generale : e il suo indice è la simpatia.
62
164
BILYCHNIS
Ma anche Smith, come i suoi predecessori, non può fare a meno dell’orologiaio: dello spirito che tutto informa e sorregge, e si manifesta nell’universo e specie nell’anima dell’uomo. Giacché il suo finalismo ottimistico prende in Smith la forma di una fede in un « Essere grande, benefico c sapientissimo che dirige tutti i movimenti della natura, ed è determinato dalla sua stessa inalterabile perfezione a mantenere in essa, in ogni tempo, la più grande quantità possibile di felicità » (parte VI, sezione II e III).
Talché, per Smith non sarebbe possibile, per un uomo dotato di universale benevolenza, una soda felicità se non fosse convinto che tutti gli abitanti dell’universo sono sotto la cura immediata di un tale Essere. « Lo stesso sospetto di un mondo senza padre sarebbe la più melanconica delle considerazioni... Ogni splendore di prosperità non potrebbe illuminare la tristezza causata da tale ipotesi. E tutte le miserie della più affliggente avversità non potrebbero inaridire la gioia che necessariamente sorge dalla convinzione piena e abituale della verità del sistema contrario ». Ed egli vede un segno della benevolenza del creatore nell'adattamento sapiente delle passioni umane a produrre la massima somma di felicità. Se la « Natura » ci ha resi proni a venerare la fortuna e il rango sociale, ciò è perchè essa ha « saggiamente giudicato nella sua benevola sapienza, che la distinzione di classi, la pace e l’ordine sociale, poserebbe più saldamente sopra le differenze chiare e palpabili di nascita e di fortuna che sulla differenza invisibile e spesso incerta della sapienza e della virtù ».
Egualmente il nostro risentimento contro i malfattori fa parte di una involontaria coincidenza — involontaria da parte nostra — colla disposizione generale della Provvidenza a promuovere la più grande quantità possibile di felicità. Egli va più oltre, e dà un chiaro cenno della sua teoria sulle cause finali ed efficienti. Dopo addotto l’esempio comune dell’orologio, in cui il fine della segnalazione del tempo non dispensa dalla ricerca della causa efficiente, e del meccanismo delle piante, dell’organismo animale, ecc., egli soggiunge: « Ma mentre nello spiegarci le operazioni dei corpi non lasciamo mai di distinguere fra causa efficiente e causa finale, quando vogliamo darci conto di quelle dell’anima, siamo assai facili a confondere l’una con l’altra, e ad imaginare che sia dovuto a sapienza umana quello che in realtà non è che la sapienza divina» (parte II, sez. 2, c. III).
Ma la virtù non è sempre sufficiente a se stessa: l’innocenza non protegge dalla condanna anche capitale degli uomini : la migliore buona volontà, la religione stessa» può sospingere ad azioni materialmente delittuose: perciò egli va più oltre, e trova che « la nostra felicità in questa vita dipende in molte occasioni dall'umile speranza e aspettazione di una vita futura — speranza e aspettazione radicata profondamente nella natura umana — così venerabile, piena di conforto, lusinghiera per la grandezza della natura umana, e che sola può mantener l’uomo lieto in mezzo a tante calamità a cui può essere esposto dai disordini di questa vita...: un mondo avvenire in cui ad ogni uomo sarà resa esatta giustizia... in cui il merito nascosto sarà... posto al livello delle più alte riputazioni ».
È però notevole che in nessun luogo egli parla di obbligazione morale di credere in Dio o nella vita futura; questi non sono nemmeno per lui quel che sa-
63
L’“ETICA DELLA SIMPATIA» IÓ5
ranno poi per Kant, postulali della ragione pratica; ma sono piuttosto delle sanzioni addizionali.
Quanto alla teoria che i principi religiosi siano il solo motivo encomiabile di azione — la teoria comune ai cristiani in quel tempo — egli la respinge energicamente. « Quando le regole generali di condotta che determinano il merito o il demerito delle azioni vengono ad esser riguardate come leggi di un Essere Onnipotente... esse acquistano necessariamente una nuova santità... In questo modo la religione rafforza il senso naturale del dovere... Il riguardo alla convenienza delazione, alla propria riputazione, all’approvazione della nostra coscienza e di quella degli altri, sono motivi che influiscono sull'uomo religioso come sugli altri. Ma il primo agisce sotto un’altra sanzione e in presenza del Gran Superiore ».
IMMANENTISMO ETICO
Ma questo Dio * fuori di noi » non è sì lontano da ognuno di noi. Anche Smith poteva dire con Paolo: «In lui viviamo, ci muoviamo e siamo ». Infatti « in qualunque principio si supponga che le nostre facoltà morali siano fondate, di questo non si può dubitare, che esse ci furono date per dirigere la nostra condotta in questa vita. Esse portane con sè i contrassegni più evidenti di questa autorità, che mostra che esse furono poste entro di noi per essere gli arbitri supremi di tutte le nostre azioni, e sopraintendere a tutti i nostri sensi, appetiti, passioni... ». Ma, lo ripetiamo, è dalla costituzione morale della nostra natura e dal carattere doveroso «delle norme morali» che Smith, prima di Kant, risale all’idea di un legislatore; egli è affatto contrario all’idea che sia possibile il processo inverso di dedurre dall’idea di un Dio intuito dal senso religioso, i particolari doveri dell’uomo. Le parole: «Che ubbidire al volere della Divinità sia la prima norma di dovere, tutti ne convengono: ma quanto ai particolari comandi che questa volontà c’impone, essi discordano grandemente gli uni' dagli altri » (Theory, p. Ili, c. VI), sono non le parole, di scettica ironia di un Voltaire, ma la sentenza di Smith, del più pio, del più delicato, del più religioso dei filosofi del sec. xvm.
In questo modo si compie il passaggio dal trascendente all’immanente, dal Dio creatore e ordinatore estrinseco provato da argomenti eterogenei alla moralità, al Dio interno, all’«uomo..., al semi-dio che ha sede nel nostro petto..., al grande giudice ed arbitro della condotta» (parte VI, sez. 3).
« È la ragione, la coscienza, l’ospite del nostro petto (thè inhabilant of thè breast) l’uomo interiore, il gran giudice ed arbitro della nostra condotta..., che ogni qualvolta noi siamo sul punto di agire in modo da turbare la felicità altrui, c’intima con una voce capace di stupefare le nostre più presuntuose passioni, che noi siamo soltanto una unità nella moltitudine, punto migliori di qualunque individuo di essa; e che quando noi ci preferiamo così vergognosamente e ciecamente agli altri, diveniamo un giusto oggetto di risentimento, di abborrimento, di esecrazione... È esso che ci addita la convenienza della generosità e la bruttezza dell'ingiustizia; la rettitudine (propriely) che vi è nel posporre i nostri più grandi interessi a quelli
1»
64
l66 BTLYCHNK
anche maggiori degli altri, e la bruttezza del recare anche la più piccola offesa ad altri allo scopo di averne noi anche il più grande vantaggio.
Non si tratta già solo dell'amore del prossimo: è un amore più forte, un sentimento più potente; l'amore di tutto ciò che è onorevole e nobile; della grandezza, della dignità, della superiorità del nostro carattere*.
Ho voluto sottolineare quest’ultimo passo, per porre bene in evidenza fin dal principio dell’analisi della Teoria quel che spesso è dimenticato dai critici, che cioè il sentimento morale della simpatia, che forma certamente la pietra fondamentale di essa, è poggiata essa stessa su una piattaforma e su un presupposto, non solo di disposizioni, di gusti, di preferenze, ma di carattere individuale e di dignità.
Ecco .un altro passo caratteristico: «Ogni uomo... è anzitutto affidato alla cura propria, e certo ogni uomo è più atto e capace di ciò, che qualunque altra persona; e sente le sue proprie gioie e i suoi propri dolori più vivamente che quelle degli altri. Le prime sono sensazioni originali, le altre solo riflesse, o immagini simpatiche di quelle; le prime la sostanza, le seconde per così dire, l’ombra ». Non solo, ma per Smith gli stessi sentimenti altruistici, a proporzione che appartengono a sfere più concentriche al ^oggetto, vengono a identificarsi quasi con l’interesse personale, sì da distinguersene appena.
• Dopo sè stesso, i membri della sua famiglia, i figli, fratelli, sorelle, sono l’oggetto naturale delle sue più calde affezioni... Egli è più abituato alla simpatia per essi. Egli conosce meglio quali siano probabilmente i loro sentimenti in ogni occasione, e quindi la sua simpatia per essi è più precisa e determinata. In breve, essa si approssima a quella che egli prova per sè stesso ».
E benché egli senta che « i così detti affetti (di famiglia) non sono in realtà altro che abituale simpatia », non è di questo genere di simpatia ch’egli special-mente si occupa quando ricerca il principio e la base delle preferenze morali', come appunto non si occupa di proposito dei doveri a cui « Natura stessa ci sospinge nelle condizioni sane, (heallhful) di evitare in ogni occasione la miseria e di difenderci da essa, spesso anche col pericolo della vita... ». Egli sembra professare con Kant, che «ciò che ognuno inevitabilmente desidera, non appartiene all’idea di dovere »: c che poiché l’atto morale concreto è la risultante di due fattori, polarizzati nell’io e interesse personale, e negli altri e interesse altrui, non è in alcuno dei due estremi che esso si trova, bensì nel loro punto d'incontro. E questo punto d’incontro misterioso, indefinibile e indeterminabile, come l’individuo di cui esso è espressione, è funzione della simpatia (sympathy, o, fellow feèling).
Ed eccoci così alla chiave del sistema di Smitli.
(Continua) GIOVANNI PIOLI.
65
Il filosofo del rinascimento spirituale ebraico
AHAD-HAAM E LA SUA OPERA
(Continuactono e fine. Vedi Bilychnis di Luglio-Agosto 1918. p. 40).
V.
Il nostro autore vuole dunque un centro. Non tutti gli Ebrei raccolti nella loro terra, ma un punto a cui volgano i loro sguardi e da cui attingano anima e vigore i figli dispersi. Egli non vuole l’isolamento del Giudaismo. Il nostro popolo ha per lui non solo una tendenza, ma uria spiccata attitudine all’imitazione', e l’imitazione che non sia annullatrice passiva dell'individualità del soggetto, ma rispetti le specifiche caratteristiche storiche e nazionali è la base e la fonte del progresso. Tutto ciò che Israele imita, lo imita bene', in poco tempo esso riesce a far propria « la forza spirituale estranea» di cui si trova a contatto, a manifestare attraverso questa forza il suo spirito sostanziale e specifico, accrescendo potenza e vigore alla sua individualità.
Molto tempo prima che in Palestina sorgessero gli ellenisti, distruttori dello Ebraismo dinanzi alla civiltà di Omero e di Platone, già in Egitto gli Ebrei si erano avvicinati ai Greci, ai loro usi, ai loro spirito, alla loro scienza: e ciò non aveva prodotto un movimento verso l’assoluta fusione, ma aveva spinto gli Ebrei ad adoperare la stessa sapienza greca come uno strumento per la rivelazione dello spirito essenziale del Giudaismo, come una dimostrazione della sua bellezza; li aveva spinti a rivaleggiare nel campo della filosofia con quelli ch’essi avevano prima imitato. Lo stesso accade al tempo della civiltà araba, allorché l’Ebraismo si fa depositario e maestro della scienza greca che rinnova gli spiriti d’Israele e penetra entro la sua individualità specifica.
La salvezza d’Israele non sta neirallontanarsi da) mondo o nell’annullarsi di fronte al mondo, ma nel perfezionare la sua individualità nazionale mercè un’imitazione emulatrice, un’assimilazione attiva e cosciente. Il popolo nostro non ha da temere te\Y assimilazione, ma della dispersione', del disgregarsi d’Israele in tante tribù distinte, secondo i paesi e le civiltà in seno alle quali esso vive. A togliere questo pericolo, a ricongiungere le varie parti d’Israele, a combattere le loro tendenze locali, a render sempre vigile e desto il suo spirito storico, perchè possa assimilarsi le superiori forme della vita europea, senza pericolo d’annullare il suo essere di fronte a loro, è necessario un punto centrale che abbia in se stesso il potere d’attrarre tutti i cuòri;
66
i68
BILYCHNIS
Egli è in conclusione un ottimista e un’idealista. Non crede a quella piccola strana cosa che è ì'antisemitismo giudaico, nato dall’ignoranza e dalla paura degl’individui ebrei, per cui la loro coscienza va abiurando ai suoi doveri e ai suoi diritti spirituali; egli non tien conto dell’attrazione invincibile che la civiltà europea, la vita presente, gl’interessi materiali, l’ambizione individuale, gli splendori delle lotte e delle aspirazioni contemporanee esercitano sull'anima positivista e ardente dell’ebreo disperso; egli non ricorda più la miseria della vita israelitica occidentale e la nausea che desta anche negli spiriti che si vorrebbero sentir ebrei; ma è convinto —- ingenuamente? — che gli Ebrei sentano di essere ebrei e vogliano — malgrado ogni cosa — rimanere ebrei.
« Questo concetto ottimista dell’assimilazione occidentale — dice il dott. Nathan Birnbaum — è la nota individuale di Ahad-Haam. Egli non crede all’esistenza d’un’assimilazione che sia la negazione assoluta della nazionalità. Per lui l’assimilazione è per sè innocua ».
Tutto sta però nel condurla verso un campo di emulazione; nel procurare che invece di produrre l'annullamento dell'io storico di fronte alla diversa o superiore vita esteriore, produca nello spirito degli Ebrei una gara per l’affermazione e lo sviluppo del loro patrimonio, rinnovato ed arricchito dalle conquiste fatte su) patrimonio civile degli altri.
Le condizioni dell'Ebraismo europeo sono oggi tali da permettere la concorrenza e l’emulazione spirituale fra gl’israeliti e gli altri popoli? Perchè non si tratta di concorrenza commerciale o generica, nella quale talvolta è constatabile la superiorità dell’Ebreo, ma si parla di una gara per il trionfo dell’ideale profetico, della spiritualità biblica. Noi sappiamo assimilare meravigliosamente e adattarci alle idee degli altri, ma non siam riusciti ancora — in occidente almeno — a far avanzare e a difendere la nostra cultura.
Ahad-Haam dice che questa è una condizione destinata a cambiare in un tempo più o meno lungo. Israele è tale che torna volentieri alle sue fonti e non si lascia annullare dalla storia.
VI.
Il pensiero universale d’Israele, diffuso dalla gran voce profetica, non è avverso a questo piccolo, esclusivo, borghese, modesto concetto d’un centro di vita ebraica? Se i profeti sognarono l'unità e la fratellanza degli uomini, perchè questo nuovo animatore degli antichi sogni si contenta di costruire una piccola città giudaica, sulle rive del Giordano? E perchè, nonostante l’onore ch’egli fa all’assimilazione e la stima in cui tiene il pensiero europeo e gli universali valori dell’umanità, egli ama tanto il suo piccolo popolo e la sua vita specifica?.
Due forze dinamiche, due classi rappresentative operarono un giorno, secondo lui, nella storia d’Israele: il sacerdozio e il profetismo-, il pensiero chiesastico, la casta teocratica, il ministero della religione pratica - e là predicazione libera, non avvinta a tradizióni di classe, ma intenta solo al bene del popolo e degli uomini e consacra-
67
IL FILOSOFO DEL RINASCIMENTO SPIRITUALE EBRAICO
I69
tasi liberamente alla difesa dell’ideale. L’uno la forma, l'altrq il pensiero; l’uno il passato, la tradizione immutabile, l’altro il futuro, la tradizione destinata a infiniti svolgimenti. Il profeta vive sotto il dominio assoluto d’un pensiero morale e vede il mondo attraverso lo specchio di quell’ideale che vuole concretare completa-mente in ogni fenomeno della vita. Il profeta non ha coscienza delle condizioni vive; non guarda a ciò che può essere, ma a ciò che deve essere; è esclusivo, intransigente nell’idea, in lotta col mondo, pieno di collera e di dolore. I contemporanei lo chiamano « pazzo », senza capire ch’essi e la loro vita, in tutti i loro aspetti, non sono che 1’« eterno terreno » che ha assorbito l’influsso e i succhi di questi giganti intransigenti, di questi creatori di nuovi valori.
Il sacerdote non entra in scena che quando la profezia ha aperto e preparato le strade alla sua azione; egli viene per adattare alla necessità ed alla realtà la predicazione del genio rivoluzionario, per quanto sia possibile. Il pensiero sacerdotale non è un’energia elementare, ma una combinazione accidentale di varie forze che non hanno fra loro alcun rapporto sostanziale. L’idea viva, assoluta, tirannica, che tende a distruggere tutto e a dominar su tutto, che corrode e rinnova gli aspetti della vita esteriore ed è immutabile, l’originale pensiero profetico è ormai morto coi suoi eroi e coi suoi creatori; non è rimasto di lui che una forza operante, un superficiale suggello che il momento storico può imprimere sulla forma di vita che domina in un dato tempo. Questa è la forma difesa e protetta dai sacerdoti.
Anche il paganesimo ebbe i suoi profeti e raffermarono, prima del Ginzberg, i Farisei del Talmud; ma più che negli altri popoli, la predicazione profetica ebbe sede nell’antico Israele, non come fenomeno accidentale e passeggierò, ma come fatto costante, come carattere specifico e nazionale degli Ebrei.
Qual è il pensiero fondamentale del Profetismo giudaico? L'impero deli assoluta Giustizia in lutto il crealo. La giustizia per esso è bellezza, bontà, sapienza, verità. Fuori della giustizia c’è il nulla. Ma questi difensori della giustizia assoluta al di sopra della necessità, della vita, della realtà; questi spiriti universali che al-zavan gli sguardi oltre ogni confine di tempo e di spazio per chiamare all’ideale irraggiungibile tutto il genere umano, non cessarono mai ¿’esser figli del loro popolo israelitico. Essi sentivano quanto è ardua la via che conduce al trionfo dell’ideale; che a percorrere questa via non bastano le opere degl’individui singoli, ma è necessario lo sforzo d’un intero nucleo sociale che, attraverso i secoli, sia senza tregua il rappresentante, l’assertore, il paladino dell'energia di giustizia, di fronte a tutte le altre forze che esistono nel mondo e contro il mondo. Il loro ideale nazionale si incarnava nell’ardente desiderio di costituire un popolo profetico. Se oggi essi risorgessero dai loro sepolcri, sentirebbero ancor di più, dopo la prova millenaria, la necessità d’un « subbietto unico costante » quale incarnazione della loro idea universale; sentirebbero ancora il bisogno di consacrarsi alla difesa del loro pensiero nazionale. Se Israele ebbe una missione nella mente dei profeti, e sé questa missione doveva consistere non già nella manifestazione d’una nuova verità scientifica, ma nel condurre la vita pratica verso l’assoluta giustizia, pur senza possibilità.di raggimi-
68
T70 BILYCHNIS
gerla mai completamente, è naturale pensare che quest'opera esige inesorabilmente, come condizione indispensabile, non la dispersione della Sinagoga fra i popoli, ma il raccogliersi, l’accentrarsi almeno parziale d’Israele in un luogo in cui gli sia concesso di condurre la sua vita per una strada rispondente alla sua natura, indefinitamente, com’è infinito il cammino che adduce al triónfo della perfetta giustizia fra gli uomini.
Qua noi usciamo dall’angusta ed esclusiva questione del corpo giudaico per penetrare nell’anima del problema umano. Forse c'è un po' d'orgoglio nazionale in questo pensatore filosofo che fa d’Israele il cor cordium, Vanima animans del mondo morale: ma tutto ciò è biblico ed ebraico, da Mosè ai teorici della missione religiosa d'Israele: ed i popoli non vivono se non hanno un’assorbente coscienza della loro gran dezza e dei loro alti destini; e i popoli non si. sollevano dalle loro crisi mortali e dalle loro tragedie se non sanno di essere necessari al nascere di qualche grande aurora. Certo, intanto, questo sublime ufficio che il Ginzberg affida alle mani d’Israele può essere generatore d’una gran volontà e d'una feconda opera collettiva, e gli uomini dovrebbero aiutare il rinascere di quest’idealismo giudaico e gli Ebrei dovrebbero raccogliere tutte le loro energie migliori per la sua riaffermazione.
VII.
Abbiamo detto che, secondo Ahad-Haam, l’ideale profetico fu intento a creare una società modello che attuasse nel mondo la perfetta giustizia. Ci avviciniamo - dice l’autore — al concetto informatore della filosofia possente di Federico Nietzsche.
Nietzsche sognò il superuomo, l’Ebraismo sognò la supinazione, il popolo superiore, ma in un altro senso da quello del ferreo e pazzo tedesco. Essere il popolo più alto degli altri nella scala morale', fu questa la coscienza limpida ch'ebbe di sè e della sua vita il popolo eletto ad incarnare in ogni secolo il più alto tipo morale, ad effettuare i più ardui obblighi etici. Il’ « libro » dunque al posto della « spada », i profeti ebrei invece della « bionda bestia » esaltata da Nietzsche; Israele invece di Zaratustra; la protesta tenace della forza spirituale contro la forza del pugno e della spada; il Santuario alzato al Dio della Giustizia invece dell’ara consacrata alla divinità pagana del coraggio materiale.
Non c'è bisogno dunque in Israele di « una trasformazione di tutti i valori storici », ma d’una « corrente di vita nuova » che penetri nei cuori, che vivifichi e fecondi le parole del Libro cristallizzate dall'infelice e oscura vita del Ghetto. Ma il Libro deve rimanere in alto. « Certi libri, quali le sacre scritture — osserva Nietzsche — profondi è pieni d'infiniti valori, han bisogno d’un’autorità esteriore che li difenda vigorosamente, affinchè possan durare tutte le migliaia d’anni che sono necessarie all’umanità per potervi attingere tutto ciò che portan con sè ».
Quest’autorità esteriore, senza di cui le mani profane contaminerebbero irreparabilmente il libro sacro, non possono essere che gli Ebrei medesimi che ne portano nelle carni e nel sangue l’adorazione e la coscienza millenaria.
I nietzscheani giudei, adoratori della • nuova parola» venuta di Germania,
69
IL FILOSOFO DEL RINASCIMENTO SPIRITUALE EBRAICO
I7I
affermarono che tutta la vita ebraica è un profondo errore che dev'esser corretto. Il popolo israelitico, secondo questi moderni ellenisti, non può vivere nè fra le nazioni nè nella sua patria se rimane ancora fedele all’astratto ideale spirituale creato dai Profeti. Ahad-Haam ha dimostrato quanta tonte e quant’altezza di vita sia riposta nella Bibbia e come si debba difenderla per il bene degli uomini. Ha dimostrato che in Nietzsche bisogna distinguere l’uomo dal tedesco e che la Bibbia rimane anche per lui il libro eterno, generatore e depositario di .civiltà e d’ideali intangibili.
Ahad-Haam non ha esaurito però nella sua critica il concetto sostanzialmente filosemita del filosofo tedesco. Nietzsche è uno dei pochi spiriti che nei secoli abbiano adorato ardentemente il mistero tragico ed unico della vita, dell’idea, della resistenza giudaica. In mezzo alle molte astruserie, ai paradossi stupefacenti, alle durezze folli, al materialismo ribelle del filosofo tedesco, ci sono molte idee che il Giudaismo potrebbe accettare e cioè un’ammirazione sinceia per la resistenza e per il passato del nostro popolo e un’inaspettata esaltazione del suo avvenne. E quest’esaltazione è qualche volta la contraddizione più folte delle idee-di Nietzsche.
«Tutto ciò che sulla terra è stato intrapreso contro i nobili, i potenti, il potere non è niente se si paragona a quello che hanno fatto gli Ebrei: gli Ebrei, questo popolo saceidotale che ha finito per trovar soddisfazione contro i suoi nemici ed i suoi dominatori, solo mediante una radicale trasformazione di tutti i valori, cioè mediante un atto di vendetta essenzialmente spirituale. Son gli Ebrei che con una logica formidabile hanno osato rovesciare l’aristocratica equazione dei valori (buono, nobile, potente, bello, felice, amato da Dio). Essi hanno difeso questo concetto ribelle coll’accanimento d’un odio infinito — l’odio dell’impotenza — ed hanno affermato: i miseri soli sono i buoni; i poveri e gl’impotenti, i piccoli soli sono i buoni, coloro che soffrono, i bisognosi, i malati, i deformi, sono i soli pii, i soli benedetti da Dio; soltanto essi avranno la beatitudine. E voi invece che siete nobili e potenti, voi siete eternamente i cattivi, i crudeli, gli avidi, gl’insaziabili, gli empi e rimarrete per tutta l’eternità i reprobi, i maledetti, i dannati! Comincia cogli Ebrei la riabilitazione degli, schiavi 'nella morale; quella riabilitazione che si trascina dietro una lunga storia di venti secoli e che noi non perdiamo di vista oggi solo perchè è riuscita vittoriosa ».
Ciò egli scriveva nella Genealogia della morale. Nell’altra sua opera Al di là del bene e del male determinava non meno limpidamente i doni della civiltà ebraica al mondo moderno;. « Ciò che l’Europa deve agli Ebrei? Molte cose, buone e cattive, e prima di tutto una cosa che è nello stesso tempo la migliore e la peggiore: il grandioso in morale, la spaventevole maestà delle rivendicazioni infinite, il senso dei « valori » infiniti, tutto il romanticismo e tutto il sublime degli enigmi morali, e per conseguenza ciò che esiste di più attraente, di più affascinante e di più squisito nei giuochi di sfumature e delle tentazioni di vivere, di cui l'ultima luce, la luce morente, illumina forse oggi il cielo crepuscolare della nostra civiltà europea. Per questo noialtri — gli artisti fra gli speculatori ed i filosofi — abbiamo per gli Ebrei un' po’ di riconoscenza ».
70
172 BILYCHNIS
È appunto la grazia fascinatrice di queste rivendicazioni morali, l’indefinita luce dei nostri valori che Ahad-Haam e gli spiriti vivi d’Israele ditendono e carezzano, perchè sian conservate al mondo.
Nietzsche — l’adoratore delle tenaci resistenze e delle sublimi forze, il sognatore del superuomo — non ama gli Ebrei per la loro passiva dedizione all’arianesimq, nè per l’insistenza fastidiosa — com’egli dice — ch’essi mettono nel voler essere assorbiti dall’Europa; egli assiste con rammarico all’attenuarsi degl’istinti giudaici, per un bisogno di pace e di tolleranza. Si sente nelle sue parole il desiderio dell’incontaminato e immacolato Giudaismo; il desiderio di saper viva indefinitamente la « razza più energica, più tenace e più pura dell’Europa attuale », la « razza fecondatrice, dispotica, sovrana per la grazia di Dio »; il popolo che ha attinto l’energia secolare da quelle virtù che oggi si fan passare per vizi, da quella fede robusta che non ha alcuna ragione di arrossire dinanzi alle « idee moderne », da una virtù di trasformazione e di progresso lenta e sicura.
« Il pensatore preoccupato dell’avvenire dell’Europa deve, in tutte le sue speculazioni su quest’avvenire, contare sugli Ebrei e sui Russi come sui fattori più certi del giuoco e del conflitto delle forze. Ciò che nell’Europa d’oggi si chiama nazione è cosa artificiale, più che naturale; cosa che diviene, cosa giovane, modificabile; nessuno ha, in alcuna misura, quei carattere di eternità che è proprio degli Ebrei».
In un breve ma ricco saggio sopra Federico Nietzsche e gli Ebrei, il dott. Klug* mann dimostrava che il Giudaismo è una delle colonne del sistema antropologico del filosofo tedesco e che l’Ebreo è destinato, secondo Nietzsche, a fornire il superuomo juluro, in senso intellettuale.
Fu l’Ebreo, furono i liberi pensatori, i sapienti, i dottori ebrei — dice nel suo Umano troppo umano — che nelle più tenebrose epoche del Medio Evo tennero nelle loro mani la bandiera della civiltà e dell’indipendenza dello spirito: così difesero l'Europa contro l’Asia.
E nell'Aurora vede Israele avanzare sulla scena dell’avvenire grazie alle facoltà acquisite nelle lotte passate.
« Ogni Ebreo ha nella storia dei suoi padri e dei suoi avi una miniera di esempi, di riflessione, d’ostinazione nei più spaventosi eventi; e di tal finissima accortezza per cui sa trar profitto dalle sventure e dal caso. Il loro coraggio supera le virtù dei maggiori santi. Essi sanno meglio d’ogni altro che non possono pensare alla conquista dell'Europa nè devono ricorrere alla violenza. Ma sanno benissimo che l'Europa, un giorno o l’altro, cadrà come un frutto maturo nelle loro mani appena essi le tendano dolcemente. Intanto è necessario ch’essi si distinguano in ogni campo della distinzione .europea e si pongano in prima fila fino al giorno in cui saran giunti a decider da sè ciò che si debba distinguere. Allora essi verran chiamati gl'inventori « i condottieri dell'Europa ».
Tutto ciò ha un tono apocalittico e pare che ripeta le parole di grazia dei profeti ebrei, quando propiziavan l’avvenire per il popolo messianico e per il trionfo del suo ideale morale. Ma bisogna non distruggere o dissolvere gli Ebrei per lottare all'avvènto della giustizia.
71
IL FILOSOFO DEL RINASCIMENE«) SPIRITUALE EBRAICO
173
Vili,
Bisogna che gli Ebrei continuino ad esistere per generare il superuomo od il Messia come si chiama ebraicamente quest’essere ideale destinato ad incarnare ed effettuare sulla terra i buoni desideri degli uomini.
Ma Ebrei non-vuol dire per Ahad-Haam gente chiusa in se stessa, nel meschino • ed esclusivo orizzonte del Ghetto.
« Voi mi concederete — scrive il dott. Nathan Birnbaum — che un uomo il quale stima altamente la cultura giudeo-alessandrina, che si duole perchè gli Ebrei dell’antica Palestina non assimilarono alla loio cultura le idee di Platone, che contro ogni buona massima di guerra si pronunzia a favore degl’influssi spirituali stranieri che innalza l’assimilazione all'onore di materiale primo per l’edifìcio della cultura nazionale — mi concederete che un tale uomo non può essere in nessun modo sospettato di sciovinismo illiberale nè di poco amore per gli universali valori umani ».
Infatti egli si compiace di ritrovare sotto le varie forme nazionali uno spirito universale umano, sostanzialmente affine. Anche i Greci ebbero, egli dice, il senso intimo di un mondo morale, come l’ebbero, sebbene in misura diversa, gli Ebrei; anch’essi si dolsero dell’eterno dissidio che regna fra l’ideale morale e la vita terrena e vollero tentarne la soluzione: su questa via li arrestò il politeismo, il quale non permise loro di alzarsi fino al punto a cui doveva giungere, aiutato dal sublime monoteismo profetico, il senso morale israelitico. Giobbe e Prometeo, il dialogo filosofico della Bibbia e il dramma di Eschilo, sono mossi da uno stesso spirito: lo spirito dell'uomo morale che si ribella all’ingiustizia della vita. Il greco però non raggiunge l’ebreo per quanto faccia e possa? la divinità del suo Zeus è limitata e non può costituire una base morale com’è quella che l’ebreo ritrova nel suo Dio unico. '
C’è in quest’ebreo in Russia una visione serena, una comprensione tollerante ed amorosa dell’opera di tutti i popoli sotto il cielo, come ci fu in fondo alla predicazione dei Profeti ed alla filosofia etica dei Dottori ebrei.
IX.
Finora dunque la creazione d’un centro spirituale ebraico è resa necessaria dalla tradizione e dall’ufficio civile ed umano d’Israele per la preparazione della più alta e migliore umanità.
Ma questo centro è reso pure necessario dalla incerta e schiava vita che conduce l’Ebraismo occidentale. Per il nostro scrittore la condizione dell’Ebraismo occidentale, ricoverato sotto le ali delle costituzioni borghesi, è espressa da questa formula: una schiavitù interiore che si nasconde sotto una libertà interiore', schiavitù morale ed intellettuale, la quale ha fatto rinnegare agli Ebrei la coscienza di popolo, la solidarietà nazionale ed ha distrutto l’unità della religione pratica. Fra gli Ebrei non è rimasto che il legame della religione teorica costituita da due o tre idee astratte:
72
BTLYCHNIS
’74
legame che è andato sempre più attenuandosi. Il progresso scientifico, la negazione atea van minando le basi della fede. Che cosa faranno dunque quegl’israeliti a cui non rimane, di tutto il patrimonio giudaico, che una breve teoria combattuta? Ab bandoneranno addirittura il Giudaismo? Alcuni l’hanno già fatto; e perchè non lo fanno tutti? Perchè la maggior patte sente di non poterlo Jare. Per sentimento nazionale? No: Khan venduto or son cent’anni per alcuni diritti civili. E allora? Allora han trovato una teoria nuova: la missione d'Israele Jra i popoli', una teoria che poggia sopra elementi di stile antico. Il popolo ebreo sarebbe morto, ma la chiesa ebraica vive e deve vivere, perchè il suo compilo non è ancora finito, perchè ancora il Monoteismo assoluto, con tutte le sue conseguenze, non ha trionfato sul mondo. Ed allora gli Ebrei sono i messi divini destinati a consacrarsi alla diffusione di questa ( idea per la quale vivono? No — rispondono i teorici della missione; — gli Ebrei
non devono precipitar gli eventi. Essi sono soltanto i * depositari della buona novella », la quale si concreta senza tregua, grazie al progresso dell’idea religiosa, spinta al suo trionfo dalla parola della Bibbia.
Una missione passiva dunque che non richiede nessuna attività. Ma se la tenace vita degli Ebrei non reca nessun contributo al compiersi della loro missione, s’essi non sono che una lapide, un monumento sepolcrale sulla via del progresso che si effettua senza il loro concorso, perchè dunque essi vivono e soffrono? I teorici della missione rispondono: « Noi restiamo ebrei, perchè non troviamo nel mondo nessuna religione che sia degna d’esser cambiata colla nostra. La religione naturale ci basterebbe. Ma appena ci prendiamo la fatica di determinarne gli elementi, colla scorta delle opere che le furono consacrate, coll’ opera per es. del Saint Simon, intitolata appunto La religione naturale, noi'scopriamo una cosa singolare: che gli elementi di questa religione nuova: la Creazione de mondo, la Rivelazione, il premio e la pena, sono press’a poco gli elementi fondamentali stessi della religione ebraica, quali furon determinati 5 secoli fa da Josef Albo, nella sua opera « ’Ikkarìm ». Sicché il Giudaismo si identifica appunto con la religione naturale. Ed allora?
È veramente incomprensibile lo spettacolo di uomini i quali potrebbero illuminare l’ardua via del loro popolo infelice ed esauriscono invece la loro esistenza in questo dogma: che un’intera nazione viva una vita millenaria, fatta di dolori e di persecuzioni, all’unico fine d’insegnare agli altri alcune idee filosofiche, già esp'oste n una moltitudine di opere d’ogni lingua e d’ogni stile, accessibili ad ognuno. Oggi poi che la teoria delle cause finali è negata dalla scienza anche dov’essa appare evidènte, è incomprensibile questa tenacia nell’ammettere una missione così miracolosa e tutta speciale del popolo giudaico.
Se non fosse la schiavitù intellettuale, gli Ebrei potrebbero trovare un’altra missione o meglio uno scopo spirituale rispondente alle facoltà spirituali del popolo giudaico. Essi direbbero: il popolo d’Israele va errando da due millenni fra le nazioni; in questi secoli di dispersione non ha crealo nessuna idea grande, non ha aperto nessuna nuova via nella vita: è stato soltanto l’intermediario del commercio materiale e spirituale prodotto dagli altri. Nel Medio Evo l’ufficio dell’Ebraismo rispetto alla
73
IL FILOSOFO DEL RINASCIMENTO SPIRITUALE EBRAICO I75
civiltà universale iu quello di prendere la scienza dall’oriente e trasmetterla al-YOccidenle. « La sua missione non è creatrice » ha sentenziato Salomone Munk del-i’Ebraismo. Or dunque, se Isiaele è destinato ad essere il canale della civiltà, la più elementare logica dovrebbe spingerlo a riassumere quest’ufficio, se esso cerca qualche fine spirituale alla sua vita; dovrebbe persuaderlo ad accogliere la scienza occidentale pei trasmetterla aH’Oriente.
Se gli Ebrei occidentali non fossero diventati gli schiavi dei loro diritti civili, non avrebbero mai pensato a consacrare platonicamente il loro popolo ad una missione qualsiasi, prima ch’esso avesse adempiuto alla sua missione naturale, quella ch’è sacra e necessaria per ogni essere:, prima ch’esso avesse creato le condizioni biologiche rispondenti alle sue specifiche facoltà morali e tali da permettere alle sue energie e alle sue attitudini il massimo progrèsso. Soltanto allora il suo processo storico l’avrebbe potuto costituire in qualche parte dello scibile umano maestro degli altri popoli.
« Oggi s’io voglio distogliere lo sguardo per un istante dalla stoltezza, la bassezza, là miseria che mi circonda in queste terre russe, se voglio passare il confine per confortare l’anima stanca nella contemplazione della felicità dei fratelli d'occidente, professori, accademici, generali e ministri, anche là, nonostante la gloria e la grandezza, io trovo una duplice schiavitù: morale ed intellettuale. E mi domando: devo io invidiare la loro libeità? E rispondo: No! Io, se non posseggo diritti civili e politici, ho ancora la mia anima pura, che è mia e che non ho venduto: io posso gridare che amo i miei fratelli in qualunque luogo essi siano, senza esser costretto a cercare scuse od attenuanti a questo mio-amore; io posso ricordarmi di Gerusalemme anche fuori del Tempio; non ho bisogno d’alzare il mio popolo sopra tutti gli altri per dargli il permesso di vivere; io so perchè resto ebreo, allo stesso modo che so perchè son figlio di mio padre-, posso giudicare liberamente le opinioni e le credenze degli avi senza timore di rompere il legame che mi unisce al mio popolo; insomma sono padrone di me stesso, dei miei pensieri e dei miei sentimenti e nessuna ragione può costringermi a nasconderli o a soffocarli, ingannando gli altri o me stesso. E questa mia libertà spirituale —- mi burli chi vuole — io non la cambio per tutti i diritti del mondo».
Considerato sotto la specie d'eternità del suo irraggiungibile ideale, il moderno moto nazionale giudaico ha per Ahad-Haam un semplice contenuto dimostrativo ed uno scopo morale: emancipare gli Ebrei dalla loro schiavitù interiore, rinvigorendo con un’opera comune la loro unità di popolo per prepararli ad una vita libei a ed onorevole, nel lontano avvenire. Tutto il resto è ancora nel mondo dell’idea e della fantasia. Il popolo ebraico potrà vivere sicuro nel suo Stato, solo quando l’assoluta giustizia dominerà sulla scena politica del mondo. La salvezza d’Israele sarà compiuta dai « profeti », non dai « diplomatici ». Il ritorno completo d'Israele alla terra dei padri è un avvenimento soprannaturale che può esser promesso solo dalla fede e compiuto da una Redenzione « miracolosa ». Gli uomini non possono costituii e che un embrione, una molecola, un germe di quello che verrà dopo, alla fine dei giorni, quando l’Umanità avrà raggiunto il suo massimo progresso. E ciò è perfettamente d’accordo coll'antico pensiero profetico e messianico.
74
176
BILYCHNIS
X.
Abbiani detto che l’autore ha rinnovato le forme ed il contenuto delle lettele ebraiche. Eppure egli non è ancora un credente nell’efficacia della letteratura nè ammiratore della sua moderna espressione.
Un intero capitolo egli dedica al problema della cultura. Esiste una originale coltura ebraica? Finché c’è la Bibbia nessuno può mettere in dubbio la potenza creatrice originale del popolo giudàico. Israele fu un popolo geniale; ed il suo spirito conservò le sue virtù anche nei secoli dell’esilio.
Fra la Bibbia e i posteriori prodotti della civiltà giudaica non c’è che una differenza di contenuto: l'anima è la stessa. Tutti portano in sè questa nota culminante dello spirito giudaico. La dedizione assoluta, completa, eccessiva, estrema ad un'idea', l'odio delle mezze misure e dei compromessi. Questa qualità fondamentale ha generato prima, nei tempi della nostra libertà, il Profetismo con tutto il suo estremo, insuperabile spirito morale; e ai tempi della schiavitù il Talmudismo col suo estremo indirizzo pratico.
L’energia creatrice d’Israele non è morta; il frutto ha cambiato sapore. Soltanto nel periodo dell'emancipazione e deH’assimilazione — l’ultimo — la coltura ebraica si è quasi arrestata. Gli Ebrei han fecondato il campo degli altri. Ma la critica letteraria ed artistica ha dimostrato che lo spirito giudaico palpita e vibra anche nell’opere di coloro che vollero scrivere o ritrarre secondo la falsariga e per la glorificazione d’altre culture.
Se tutte le forze d’Israele disperso si raccogliessero entro il campo della loro civiltà, come una volta, esse darebbero una delle più ricche e delle più originali fioriture intellettuali del mondo. Ma oggi gli Ebrei sono così degenerati in qualche parte che non hanno più coscienza della dispersione delle loro forze nazionali. L'umanità è sensibilmente danneggiata da questa dispersione delle energie intellettuali d'Israele, poiché non può essere egualmente feconda ed armonica l’opera compiuta dall'uomo nell’ambiente che gli diede la vita, l’ingegno ed il sentimento, di quella effettuata in un mondo straniero.
Ma io sento dire: La vita giudaica è troppo miseia, e non offre alcuna materia a creazioni geniali; i grandi intelletti devono emigrare verso la vita estranea per rivestire le loro idee di qualche forma superiore. Non è vero! Prendete un esempio. Quando Antokolski, il grande scultore, volle creare il tipo del tiranno, autore di stragi quotidiane eppure.non privo di un certo senso morale, quale esemplare migliore gli era offerto di quello di Erode? E se scelse invece Ivano il Terribile, lo fece forse perchè la figura di quest’oscuro Re era più umana, più ricca di contenuto artistico di quella del Re ebreo, legato alla cultura universale da migliaia di fili? E si son trovati anche alcuni scrittori ebrei che hanno attribuito alla razza slava le virtù di Antokolski... « L’idealismo del pensiero informatore e il realismo della forma ». Ora queste virtù l’Antokolski le ereditò dal suo genio ebraico o dall’arte dei Russi?
Lo spirito ebraico agonizza. Noi — dice Ahad-Haam — abbiamo bisogno d’un
75
IL FILOSOFO DEL RINASCIMENTO SPIRITUALE EBRAICO r77
asilo pei il nostro spirito, non meno che d’una sede tranquilla per gli erranti fratelli. Ed intanto? Intanto non c’è che un rimedio: un Istituto che raccolga in Palestina i nòstri dotti e i nostri-artisti e dia loro il modo di lavorare secondo lo spirito d’Israele, senza pene e nella maggior libeità; ed insieme la protezione della cultura ebraica in tutte le terre e una costante cura perchè nessuna scintilla della forza spirituale d'Israele si disperda. E proponeva un’organizzazione speciale, indipendente, che raccogliesse tutti coloro che riconoscevano il valore d’una cultura ebraica e ne volevano il libero e indefinito progresso.
11 sogno di Ahad-Haam è stato raccolto da molti: accanto al «Sionismo politico» creato da Teodoro Herzl — l’ebreo occidentale — si è diffuso ne! mondo degl’intellettuali ebrei il «Sionismo spirituale» di Ahad-Haam — l’ebreo orientale. Ed è la cultura ebrèa, antica e nuova, di tutte le epoche e di tutte le terre, colle sue creazioni universali, che oggi, nel rifiorire degl’ideali di libertà, deve far volgere verso Israele le simpatie degli uomini di pensiero che attinsero alla Bibbia le loro aspirazioni ed hanno ancora qualche stima nel genio del popolo ebraico.
Dante Lattes. <
76
PER^G/LT/RA DELL'ANIMA
LASCIA I MORTI...1*’
Mentre era in cammino, un uomo disse a Gesù: « Ti seguirò dovunque tu andrai » e Gesù gli disse: « Le volpi hanno delle tane, gli uccelli del cielo dei nidi; ma il Figliuol dell’uomo non ha un luogo dove posare il capo! > Disse ad un altro: « Seguitami ». Questi disse: « Signore, permettimi, prima, d’andare a seppellire mio padre ». E Gesù gli rispose: • Lascia i morti seppellire i loro morii e tu vai ad annunziare il regno di Dio ».
(Evangelo di S. Luca, 9/57).
’è, nella tentazione di Gesù nel deserto, una scena in cui il personaggio misterioso presentatoci si pone a interpretare le Scritture. Egli sfrutta i testi sacri, sperando assumere una certa autorità sullo spirito di colui al quale si rivolge. Egli rivela in questo modo dei procedimenti noti assai prima della scoperta della stampa, e quindi prima dell’organizzazione giornalistica, ma che sono adoperati tutt’oggi per formare, preparare, tritare l’opinione pubblica e lavorarla come si lavora la pasta.
Adoperato dal diavolo stesso, quel modo d’interpretare le parole può dunque a
giusto titolo chiamarsi 0 commentario del diavolo». Dev’essere il contrario della
verità e del senso reale.
Ho pensato a questo genere di spiegazione quando ho incominciato a meditare su questo testo: Lascia i morti seppellire i loro tuorli. Parole a due tagli, che possono far del male e che possono far del bene. Molti si sono impadroniti di esse puramente e semplicemente come d’un mollo arrivista’, commentario del diavolo!
Sì, vi sono persone per le quali essere viventi, aver influenza, potenza, o disporre di danaro è la grande faccenda. Non appena non si è più viventi, o ciò che
(•) Dal volume Claives à deux tranchants (Spade a due tagli). Discorsi, Parigi 1917.
77
PER LA CULTURA DELL’ANIMA 17
per molti è l’equivalente, non appena si è per terra e non si ha più nè potenza, nè influenza, nè fortuna, non. si conta più. Anche vivi, si è morti. Ciò che distingue il vivente, è ch’egli possa qualcosa per noi : — Se per me non puoi più nulla, tu sei morto. — Così ragionano gli arrivisti. È una razza vitalissima. Ve ne sono sempre, di arrivisti, sotto tutte le forme, in tutti gli ambienti. Ma i più odiosi son quelli che assumono un’aria pia e citano la parola del Signore: « Lascia i morti seppellire i loro morti! » Con quale cinismo quella gente dimentica i morti! A quel cinismo non v’è di paragonabile che quello col quale corteggiano i viventi. La loro arrendevolezza davanti ai potenti, davanti a colóro che, pel momento, son lì, dispongono delle grazie, dei posti, dei mezzi, è uguale alla loro indifferenza per chiunque è per terra.
Osservateli, nella marcia verso la conquista dei beni materiali, o magari solo verso la fama, verso certi beni che stanno sul limite dei beni spirituali, ma nel campo tuttavia in cui si fanno concorrenza le vanità. Beni al sole, oro accumulato, proprietà immobiliari, oppure gloria, prestigio, onori: perseguendo tali beni, quei fanatici del successo calpestano chiunque. Tutti coloro che cadono intorno ad essi, tutti coloro che son distesi lungo la via, i vinti, i feriti, i mutilati, sono dei non valori. Morti, candidati alla morte, non contano più: « Lascia i morti seppellire i loro morti! » Tra questa genia, però, alcuni si sono accorti che non basta esser morto per non più esistere. La gloria dei grandi morti li offusca. Il rispetto di cui sono circondati sembra loro un bene mal collocato di cui son frustrati i viventi. Ho sentito un giorno dichiarare da un musicante d'infimo ordine, scandalizzato di rivedere sempre sui manifesti il nome dei musicisti 'di genio, morti da tempo: lo odio i morii. Egli li avrebbe volentieri soppressi. Allegramente, egli avrebbe contribuito per la sua parte a seppellirli in tal modo che non se ne parlasse più. Ah! gli arrivisti! ,
Di questa gente se ne trova dappertutto. Però il temperamento di certi popoli è meglio atto a produrli e a svilupparli, come certe culture sono più atte a far pullulare dei microbi speciali. Anche noi ne abbiamo. .Non occorre varcar le frontiere per trovare quell’articolo. Ve ne sono in tempo di pace come in tempo di guerra. La vergogna è tanto maggiore quando esercitano il loro mestiere nel momento del sacrificio universale, allorché tutti fanno a gara nella pratica del dovere.
Ma rendiamo loro giustizia. Constatiamo che son lì e che- bisogna contar con loro, non fosse che per combatterli. Io dirò tuttavia, ad onore del nostro popolo, ch’esso non è una «cultura» favorevole.per lo sviluppo di quello schifoso vibrione dell’arrivismo, di quel microbo malefico e spregevole fra tutti. V’è nel cuore generoso della nostra nazione non so quale tenerezza per i caduti, non so quale culto per coloro che sono a terra, non so quale nobile e buona pietà per coloro che non sono riusciti. Di modo che, se si può dire che vi sono degli arrivisti fra noi, ed anche se talvolta essi sembrano aumentare, l’anima della nazione non è con essi; l’anima superiore di questo popolo dice loro: lo'non vi conosco!
Il fatto rimane che gli arrivisti, e tutti quelli, chiunque siano, i quali affermano che bisogna dimenticare i morti, non hanno il diritto d’invocare la parola del Nostro Signor Gesù Cristo. Evidentemente essi avrebbero maggior ragione di ap-
78
l80 BILYCHNIS
, T , «vw ■ . ■ i ■ ■ i •••■•■■^•—*•MHa»«
*
propriarsi questo aforismo.d'un savio chiamato Siiach: «Sono morti; ebbene, che cosa? Sono tranquilli. Allora stai tranquillo anche tu; non preoccupartene più oltre». Questo è realismo; questa è « sapienza » da quattro soldi.
Ma insomma, che cosa ha dunque voluto dire il Nostro Signor Gesù Cristo? Dobbiamo noi considerarlo come dominato da quella speciale superstizione, o piuttosto da quella credenza molto comune nell’Antico Testamento, secondo la quale gli uomini santi, interamente consacrati al Dio vivente, non devono avere contatto coi morti, poiché si macchierebbero toccandoli? Essi devono dunque evitare di avvicinarsi a qualunque essere morto, uomo o animale, e la loro santità è talmente profanata dal contatto di animali morti o dal semplice incontro d’un funerale che, immediatamente, cessa la loro consacrazione, e sono costretti a sottoporsi ad un numero grandissimo di purificazioni prima di fare nuovamente conto sulla loro consacrazione a Dio. Forse che il Cristo, per atavismo, ha subito qualche reminiscenza dell’idea secondo la quale i morti sono impuri, moralmente e religiosamente impuri, e non semplicemente pericolosi dal punto di vista dell’igiene? No, no, io non lo credo. Consideiando il contesto, si vede chiaramente ch’egli ha voluto parlare di tutta altra cosa.
* ♦ *
Vi è'qui. anzitutto, un confionto tra le faccende urgenti e quelle che non lo sono; tra quelle che ognuno può compiere e quelle per le quali decoriono attitudini ed energie speciali. Óra, pel momento,'il Nostro Signor Gesù Cristo, vedendo la desolazione univei sale, l’umanità precipitarsi come un gregge senza pastore, le coscienze sconvolte, dice: « L'urgente è di lottare contro il vecchio putridume, la vecchia ingiustizia, la vecchia menzogna, è di lottare ¡contro il male sotto tutte le sue forme e d'organizzare la vita vera che è il regno di Dio, cioè il governo della volontà santa e giusta ».
Posseduto da questo pensiero, Gesù è felice nel momento in cui vede rilucere negli occhi d’uno sconosciuto che l'ascolta un consenso certo. Attraverso il volto di quell’uomo, egli può leggere nell'anima sua. Quello ha compreso; ha udito il segnale di tromba; egli parte' per la battaglia. Orbene, quest’uomo gli domanda: « Signore, lasciami prima tornare a casa mia, per seppellire mio padre ». Allora, con voce malinconica, con grande tristézza, ma però, possiamo supporlo, con un buon sorrisó — un sorriso eroico — Gesù pronunzia queste parole: Lascia- i »torli seppellire i loro morii.
Ciò significa: Di certo, vi sono faccende più urgenti di quella che consiste nello stendere tranquillamente nella tomba un venerabile patriarca che ha chiuso gli occhi. Altri fratelli,, che sono a casa, potranno compiere quel dovere. Lascia loro quel compito, e tu fa ciò ch’essi non possono fare, cioè prendi parte all'opera di salvezza.
Con quelle parole: « Lascia i morti seppellire i loro morti ». Gesù, d'altra parte, getta un raggio di luce sii tutta una regione dove di solito si guarda poco. Per antica tradizione, per superstizione malsana, ciascuno s'imagina d’esser vivente
79
PER LA CULTURA DELL'ANIMA
i8r
perchè ha un giorno di nascita, un padre e una madre, un raggio di soie negli occhi e una goccia di sangue nelle vene, perchè mangia, beve, si diverte o si riproduce. Egli si crede vivente! Non v’è errore più grande di questo. I viventi sono quelli che lottano-, quelli che posseggono un ideale, una forte e nobile passione che li porta in alto. Quelli che vivono son quelli in cui brucia come un fuoco sacro; una potenza che si desta con loro e che si spegne soltanto quando chiudono gli occhi; che li accoglie nuovamente al loro svegliarsi e dà loro il potere, se occorre, di trasportale i monti.
Ah!, i morti che si muovono! i morti che passeggiano, i morti che. parlano; che parlano forse in pubblico, che si assembrano, deliberano sui destini di un paese e che, ciò malgrado, son morti e mài hanno saputo quel ch'è la vera vita. La morte, il funesto contagio della morte cioè della vita vana, della vita super fidale, della vita che si vive «accanto»: ecco il nemico che Gesù combatte. È una disgrazia che si deve aver sentita per provare d’incominciare a liberai sene.
Ab! essere morti e distesi nella bara come un bambino nella culla; stare colle
mani incrociate, gli occhi chiusi, il cuore fermo: è la fine della grande battaglia
della vita. L’uomo ha deposto il suo corpo come si deposita un vestito usato!
S'egli fu un uomo dabbene, si può dire: Beato lui; pene e tiavagh, angoscie e lotte son terminate; si riposa! Ma esser morto mentre si è in vita: essere, m vita, sepolto
sotto la sozzura del male che 4si compie, sotto la polvere della propria pigrizia, della propria avarizia; esser sepolto, in piena vita, sotto i propi i pensieri meschini.
e, in certi momenti, averne coscienza, dispiezzare se stesso, assistere alla propria decomposizione, sentire che non si vai nulla: meglio esser morti davvéro! Eppure, il fenòmeno esiste, temo anzi che la maggio, parte della gente non sia morta fino ad un
certo punto. Ha dettò uno scrittore che nella maggior parte degli uomini esiste un poeta morto giovane al quale sopravvive l'uomo. Che cosa può essere quell’uòmo? Quale statura può avere? Quale fisonomia? Quale può essere la qualità del sangue e la qualità dei sentimenti di quell’essere in cui è morto tutto l’ideale, tutta la gioventù, tutto l'amore e che forse non è più altro che un’otre da vino, un sacco da scudi, un vaso da malizie? Basta! Lascia i morti seppellire i loro morti!
* ♦ ♦
Il Cristo vuol parlare d'altro ancora. I morti significano anche il passato, la tradizione, non intendo dire tutte le tradizioni; ve ne sono di buone, vivificanti, indispensabili.. Ma le tradizioni inerti, spente, omicide, sono pesi morti. Ora, questi pesi morti gravano pesantemente sulla coscienza dei viventi. Vi sono tradizioni secolari e tiranniche che somigliano a quei grandi alberi, talmente ombrosi, che le giovani generazioni di piante non hanno nè abbastanza aria nè abbastanza luce pei crescere. Quando una tradizione stantia e autoritaria, una tradizione che non permette nè di pensare nè di ascoltare il proprio cuore e la propria ragione: quando una tradizione simile comincia a sentenziare, a governare, ad opprimere; quando
80
182
BILYCIINIS
si mette a vegliale come una balia cattiva e furba, che non vuole essere disturbata, veglia sui bambini, confiscandoli quasi, facendo loro assorbire magari dei narcotici per tenerli a lungo addormentati; quando una simile tradizione s’insedia in qualche posto, è l’organizzazione della morte. E lì, bisogna gridare «Allerta! » V’è pericolo mortale. Occorre suonare le campane a stormo. Non è esagerato esclamare:
Lascia i morti... Sepàrati dai morti, non legare la tua. vita a quei cadaveri ».
Quanti sono i paesi, la cui fresca vita, piena di salute, d’iniziativa, di belle promesse è stata letteralmente annichilita da una vecchia tradizione potente, la quale organizza mirabilmente ogni cosa perchè non succeda nulla di nuovo. Essa fa il silenzio in merito alla verità, imbavaglia coloro che vogliono parlare, sopprime la libertà in tutti i campi: nel campo religioso, economico, sociale, politico. Si può in questo modo avere una specie di governo della morte.
Se si traspone questo metodo dalla sfera civile e amministrativa in quella spirituale, si giunge alla religione cristallizzata in domini, in formule, in pratiche, alla religione della lettera che uccìde e lentamente spegne lo spirito.
E se si traspone un tale, metodo nella sfera scientifica o filosofila si sostituiscono le ricerche ardite, le spante vigorose in direzioni nuove, col mandarinato sterile che arresta il progresso e dà al pensiero, come campo di evoluzione, un’area chiusa in cui i cavalli scolastici segnano il passo sul posto. In tal modo si trasforma l’eredità feconda degli avi in una tradizione senza vita e che, intorno a sè, sopprime la vita. La tradizione di morte è simile ad una grande regina tetra, davanti' alla quale s’inchinano i vivi in anticipo,vinti. Le generazioni che portano in fronte una speranza compaiono alla presenza del mostro e sono immediatamente isterilite. Quelli che nascono, passano e appassiscono salutando quelle cose pietrificate. Il neonato bacia la mummia e ne muore.
Il Cristo-ha voluto metterci nel cuore un avvertimento salutare contro quello stato di cose che sarebbe la fine di tutto. Ma egli non ha insegnato l’oblio ingrato dei morti, nè quell’empietà scandalosa e inumana che manca di rispetto alle tombe. Separarsi dai morti amati perchè grandi doveri ci chiamano, ciò non significa abbandonarli. Si abbandona forse l’amico che cade sul campo di battaglia, perchè la battaglia continua, perchè l’azione non ammette alcun arresto? Lo si tradisce forse perchè la necessità impellente c’impedisce persino di stringergli la mano? Si manca forse di rispetto alle sue spoglie perchè non si può neppure scavar loro una tomba? Non si è forse raccolta la bandiera ch’egli stesso reggeva per portarla più lungi? Esiste un’unità fra vivi e morti che non si manifesta con un arresto, ma invece con uno slancio in avanti.
Il vero significato di quella raccomandazione virile e audace del Nostro Signor Gesù Cristo è che bisogna rimanere in una tale disposizione di spirito che la vita non sia assorbita nella morte, ma che la morte sia assorbita nella vita. Se vi sono dei viventi che sono morti e delle tradizioni che uccidono, se vi sono infiltrazioni, invasioni di germi mortiferi dai quali occorre difendersi, vi sono anche dei morti ohe dànno la vita. Propagazione della vita, contagio felice, vittorioso della vita sul
81
PER LA CULTURA DELL'ANIMA 183
nulla: v’è di certo quella conseguenza del fatto che vi sono dei morti i quali vivono. Giamma; lo si è meglio compreso come nel cristianesimo primitivo. Chi dunque ispira tutti quéi poveri discepoli, quando il Signore non è più con essi perchè è stato crocifisso? Un morto. In nome di un morto essi si riuniscono, in nome d’un pio ricordo si amano; in nome della fedeltà verso qualcuno ch’è entrato nell'invisibile essi intraprendono la conquista del mondo. E quando, nella lotta, essi stessi cadono, osservate come, nel cristianesimo primitivo, si dimenticano poco i morti. I martiri sono i più vivi tra i cristiani: divorati dalle belve del circo, distrutti dalle fiamme, dati in pasto ai pesci del mare, polverizzati da tutte le potenze di distruzione, essi risuscitano come il Signore risuscitò nell’anima dei suoi discepoli, essi risuscitano nel ricordo della Chiesa.
Ah, quale luce nuova e sovrumana scaturisce dalla parola: « Lascia i morti seppellire i loro morti! » Con quale 'commentario trionfale l’accompagnano quei vivi in cui opeia-l'anima dei trasfigurati dalla morte! Giammai coloro che se ne sono andati facendo il dono supremo e magnifico di se stessi, sono stati raccolti da cuori più riconoscenti e più coraggiosi che non siano stati raccolti quei primi martiri della Chiesa cristiana. La gloria di Gesù crocifisso è la gloria di un morto. La gloria dei martiri è anche una gloria di defunti i quali, anzi spesso, non hanno avuto sepoltura.
Ma, nel cristianesimo primitivo, non v’è per questo ciò che si potrebbe chiamare l’idolatria della morte. La morte è stata vinta sulla croce. Non si conosce la preoccupazione malsana riguardo a quelli che sono partiti, nè il. lutto che uccide, sterminando lentamente i vivi. Si sfugge a quel lutto mortale che ognuno corre il rischio di praticare quando si abbandona troppo alla propria disperazione, alla propria mestizia e quando, insomma, si lascia cadere in preda al « dolore passivo ». Bisogna ricordarsi dei morti mediante un culto vivificante. Attraverso le lacrime si devono veder le stelle.
•L’anima del cristianesimo primitivo, fatta di comunione intima dei viventi c dei morti, si desta ovunque si compiono avvenimenti simili, cioè dovunque giovani e belle forze varcano, per mezzo del sacrificio volontario, la linea misteriosa tra il mondo visibile e il mondo invisibile. Non si può oggi bussare ad una porta, non si può stringere una mano, senz,a incontrare un pio ricordo. Ma bisogna guardarsi, fratelli miei, dal piangere i nostri figli, dal piangere i nostri capi di famiglia con delle lacrime in cui non c’è la speranza. Lasciamo i vivi che sono morti seppellire i loro morti nella tetra notte. Non imitiamoli. Facciamo ai nostri morti eroi questo •onoro —. poiché, per la morte, essi si sono incorporati in un modo più stretto e più efficace nella vita nazionale —- facciamo loro questo, onore di piangerli in speranza e in fede. Così, col modo stesso di onorarli, nói annunzieremo, proteggeremo, fortificheremo il Regno di Dio.
Non diremo adunque: «Lascia i morti», ma «Conserva i morti». Non conservarli come i vecchi Egizi conservavano le loro mummie, a tal punto che, finalmente, v'erano più abitanti nelle necropoli che nella città dei viventi e che i morti diven-
82
SI- __w M —
j84 B1LYCHNIS
lavano ingombranti; ma conserva il loro spirito, il loro ricordo, la loro opera. Siamo diventati, un po’ tutti, dei guardiani del fuoco sacro che ardeva nel cuore dei nostri valorosi caduti. Ora è con tali luci ch’è tessuta la trama raggiante della vita superiore. I calcoli meschini, la grettezza -di cuore, l’insieme di quanto v’ha di meno ideale fra i desideri umani fa sì che, giorno dopo giorno; lavoriamo al nostro sudario e trasformiamo in cerimonia funebre la. nostra esistenza.
Il pio ricordo dei morti, alimentato in cuori staccati dal terra a terra, coll’anima avvinta a coloro che hanno dato se stessi; la comprensione intima e profonda degli atti eroici, ci forniscono i fili d’oro d’una veste imperitura e fanno di noi dei tessitori d’immortalità.
Lavoro doloroso, che fa cadere più di una lacrima sul rude telaio; ma bel lavoro, nobile e grande, degno di coloro che noi piangiamo e che sono degli eroi. Ormai, per chiunque li ama vei amente, non v’è se non una sola preoccupazione: rimanere con loro, rimanere vicino a loro, mantenere ciò che hanno voluto, non offuscare la loro gloria, non rimpicciolire o macchiare il patrimonio con anime basse o con abitudini indegne di loro. Sì, lascia i morti seppellire i loro morti! Lascia, dietro di te, tutta la routine, tutta la polvere e la ruggine impura delle passioni inferiori, lascia quanto appartiene davvero alla morte, e alla morte brutta e sudicia; purifica da ciò l’anima tua come si disinfetta una dimora. E per giungere a tanto, se non basta l’acqua naturale, adopera gli antisettici più enèrgici: immunizzati in tal modo che i germi deleteri non possano aver presa suttuo organismo spirituale.
Ma onora, venera, ama, fa rivivere nel tuo cuore, nella tua casa e nella tua città i morti diletti che son viventi, che sono il nostro tesoro, ciré sono i gioielli della nostra vita.
O sepolcri degli avi pei quali piamente combattono i nipoti! Terra sacra dove dormono i vecchi.
O sepolcri dei figli nostri, dove sono scesi dopo avere versato il proprio sangue, in uno slancio di fedeltà alla vecchia patria! Sepolcri dei prodi antichi e sepolcri dei giovani cavalieri morti per l'avvenire! Voi davvero rappresentate il capitale morale del mondo.
Gli è per questo, amici, che — in questi tempi in cui le porte della morte mai si chiudono — io ho voluto parlarvi di questo argomento doloroso e grande: terribile per i pericoli ch’esso evoca per noi, quando si può perdere la propria vita ed essere, vivendo, un morto, e un morto disonorato; argomento glande, nobile, magnifico per l’invito suo a raccogliere quanto si ha: il minuto della vita .presente c il passato dei cari morti, per consacrarli insieme, in un gesto unico e unanime, al lavoro pel regno di Dio.
Carlo Wagner.
83
PREVISIONI?
*
Risposta aperta ad una lettera chiusa
Caro amico.
Tu mi hai domandato quali siano i guai più grossi che minacciano VItalia a guerra finita, e io voglio risponderti, per quanto la tua domanda mi metta in un grave imbarazzo.
Ma prima lascia che ti ringrazi della consolazione che mi dài con la tua sorridente speranza che la guerra abbia da finire.
Dopo di che, eccomi a spiegarti il mio imbarazzo... Se tu mi avessi domandato dei guai, sarebbe andato bene: ma i più grossi! Lì ti voglio! E io non so da che parte cominciare e a quale finire.
Vado a caso. .
Ecco un guaio grosso, lasciamo stare il più e il meno, ma grosso, incontestabilmente grosso: la cresciuta gola di vicendevole strozzinaggio.
Perchè vedi, in quest’affare dello strozzare, o, attenuando la parola, stroz-zinare, il prossimo, come in molti altri affari di questo delizioso mondo, guai a scivolarci. E adesso, mentre dura la guerra, chi, potendo, non ha... strozzinato dal canto suo quanto e come gli è capitato a tiro?
Giornali non ne leggo, per rispetto a me medesimo, ma qualche volta, così,
di traverso, di sott’in su, da qualche vicino al bar, dove dopo mangiato vado a prendere un goccio di veleno con dentro altro veleno per intensificarne l’effetto; da qualche, diciamo così, compagno di vagone, le poche volte che ci capito, dò una sbirciata ai'titoli. Bene: uno di quelli che più ritornano è: dei superprofitli (per-un pezzo ho letto: superfitti, e credevo si trattasse di mettere a dovere i padroni di casa) di guerra. Ora, eccoci a una parola nuova: super-profitto. Suppongo che non si sia voluto arricchire il patrio vocabolario di una parola... per la parola (pare cijTovrebbe essere poca voglia di pensare ad aggiungere un elemento di più alla lettera s della Crusca!). Dunque parola nuova a cosa’nuova. Vuol dire, se Dio nìi aiuti, che una volta ci si approfittava uno dell’altro; adesso poi, capitata la bazza, ci superprofittiamo fraternamente a vicenda. A vicenda!... cioè fino a quando si giunga a quei poveri diavoli di propri fratelli, che non avendo più possibilità di supefprofittarsi di nessuno, pagano per tutti.
Non c’è più limite a nulla.
Giorni sono capito da un mercante di stoffe Espongo il mio caso. Mi pre-
84
186
BILYCHNIS
senta merce. Io ne vedo sul bancone che mi va a genio e domando: questa? Mi risponde: caro signore, è un aitar serio; quella lì mi fa degli sbalzi! Di settimana in settimana cresce di tre lire, di cinque lire; questa invece che le propongo io cresce regolarmente (ti garantisco: testuale). C’è un crescere regolare, variato soltanto da un crescere irregolare... di tutto, ' dai generi di lusso, e sarebbe meno male, a quelli di prima necessità II regolare e l'irregolare dipendono dalla più o meno sfacciataggine dei grossisti e dei rivenditori.
Dice: ma il primo acquisto è già terribile.
Non è vero: la roba cresce di prezzo mentre rimane in magazzino, automaticamente, per tacita convenzione super-profittuale, ad ascensione perpetua, vertiginosa.
Senti questa.
Dovevo acquistare del cacao per una piccola comunità di ragazzi. Capito da un fabbricante di cioccolata. Me ne chiede dodici lire al chilo. Io osservo: ma l’ho acquistato a dieci lire, due settimane fa... Dopo un certo tira e molla, quel bravo galantuomo mi domanda : Ma quanto ne vuole? — Un sei o sette chilogrammi. — Allora non ne facciamo nulla. Se è per piccola quantità, sì, più d'un chilogramma no: capirà, mi cresce in magazzino.
Che borbotti ? Che racconto degli aneddoti? No, caro, accenno per via di piccoli fatti accaduti a me una piaga enorme, purulenta d’Italia in guerra. E perchè non paia che i miei accenni siano soltanto dall’alto in basso, ne aggiungo qualcuno dal basso in alto. La mano d’opera. Un operaio di qualunque genere oggi è una... bestia rara, e si capisce: ma le sue pretese? Parlavo mezz’ora fa con un capo tecnico macchinista del-l'Arsenale di Venezia. Mi diceva: — L’altro ieri mi capita un operaio che sapevo disoccupato e avevo fatto mezzo invitare
a venire da me in.arsenale: Quante ore ? mi domanda — perchè io, paron, non attacco che alle otto la mattina, voglio riposo dal mezzogiorno alle due, c alle cinque stacco; e mi dà dodici lire al gioì no, se no, s’accomodi — strozzinaggio d’imprenditore.
Strozzinaggio della carità: senti. Lo stesso capotecnico seguitava il suo caso: — Che fare? Cedere: avevo bisogno urgentissimo di finire un lavoro, e non volevo risentire le parole di pochi giorni prima. — Quali ? — ho domandato. — Ecco. A qualche mia rimostranza, un altro bravo operaio aveva concluso : — Se le piace così, bene, se no, buon dì: tanto c’è il Comitato che mi dà quel che mi ' basta, e me ne avanza.
Strozzinaggio del Governo : inutile sminuzzi : pensa, o ripensa ai metallurgici e agli speculatori dei cascami.
E concludiamo: Un popolo clie, mentre tutto consiglierebbe, tutto esigerebbe si facesse a gara tutti per alleviare le condizioni comuni, le inasprisce; un popolo che mentre si lotta disperata-mente per la sua salvezza dalla più ontosa schiavitù minacciante dai confini violati, non capisce che il proprio inte-ressaccio; che mentre corre il sangue e si moltiplica e si accatasta spaventosamente il dolore, s’ingrossa sul sangue e si accanisce sul dolore, e si avvezza ai superprofitti più sordidi e luridi, come il giocatore, in una sera di baro buono, alle birbonate del tappeto verde, ti pare sia un popolo che dia saggio d’unione, di fratellanza, di onestà, un popolo che sia facile .far rientrare nei limitati guadagni, nelle modeste esigenze del giusto e dell'onesto, in tempo di pace?
Ed ecco altre due minacce: la fiac-cona imprevidente e il mal costume — le appaio-perchè son due male piante che cresceranno con pari gagliardia.
La fiaccona imprevidente.
85
KOTE E COMMENTI
iS?
.È innegabile che per un verso o per l’altro, gl’Italiani, sorti in armi, dopo un lungo periodo non di utile e feconda pa«e, ma di falso quanto dolce far nulla, succiandosi, senza darsene per intesa, pei anni e anni sgoverni e malversazioni d’ogni specie, interrompendo la propria acquiescenza sonnacchiosa con un riversare pexiodico dei rifiuti della propria digestione immorale in forma di eloquenza giornalistica o parlamentare, gl’italiani, dico, dopo tutto ciò, si son pure mostrati capaci di epici fatti — e vedi che dò all’onta di Caporetto il valore di un episodio non connesso col passato della nostra vita, cosa che tu probabilmente non mi concederesti, se fossimo insieme a discutere a voce. Che dovranno tirarne di conseguenza? Che potranno benissimo risdraiarsi come prima nella grassa mota della loro pigrizia; tanto, per impantanati che siano e affogati nel proprio lardo, al primo squillo della tromba intrepida, ti over anno in sè tutta la virtù eroica, antica .medievale e moderna.
Così del mài costume.
Non più in là di ieri mi è occorso di raccogliere dalle labbra senilmente argute d’una veneranda e aristocratica signora questa osservazione, già arrivatami all’orecchio non so più quante altre volte: — È vero, i nostri giovinotii — soldati e ufficiali — specialmente ufficiali, non erano e... forse (oh pudibondo bisillabo!) e forse non sono un modello di castigatezza e di severa vita, eppure osservi che spettacolo di energia, di resistenza e di valore hanno offerto all’Italia e al mondo! —Evidentemente la veneranda e aristocratica signora non aveva sentito dalla bocca di un prete — quello sì davvero eroico — amico mio, stato lungamente in trincea e al fuoco, il racconto e la valutazione realistica e freddamente inesorabile di ciò che andò
preparandoci e maturandoci Caporetto, e scambiava e confondeva parecchi elementi insieme, e atti e fatti parziali con un andamento di cose generale e universale; ma io non voglio pensarci, voglio conceder tutto, e riconoscere nella osservazione il non plus ultra della esattezza e della verità; a che potrà indurre domani?- Semplicissimo: se indonnaio-lati fino al midollo, si può ancora rimanere campioni di disciplina, di audacia, di gloria, avanti dunque per la stessa via, che l’avvenire è nostro lo stesso.
E se il fatto nostro si corrobori con quello austriaco e specialmente tedesco, se i cavalieri della santa gesta italica riguardino, per confortarsi nel loro privato modo di vivere, alle tavole rotonde viennesi e soprattutto berlinesi, dalle quali si staccarono, per la rovina d'Europa certo, ma baldi di forza’- possente, quasi prole di popoli vergini e selvaggi, i nerboruti fattori della nuova impresa d’Arminio, mi sai dire dove s’arriverà?
Ancora una minaccia?
La donna.
Oggi Scodinzola e sfrontateggia un po’ da per tutto. Non c’è ufficio e servizio in cui abbia ritegno di presentarsi, ripugnanza ad offrirsi. Corre alle nuove occupazioni oziose come ad una nuova conquista; l’ultima cosa a cui pensa è di esser donna e prepararsi a esser moglie e madre. E nelle nuove esibizioni di sè medesima, acuisce il proprio istinto di vanità. Questo sì è uno spettacolo: vederla uscire dalle sue vecchie e. fetide tane tutta rincicciolita. immascolinata, con quanto più può di carne in mostra, o facendo servire fin le divise più brutte e in contrasto con le sue abitudini d’una volta a mezzi e vezzi di seduzione; incapace di quanto s’ha, o s’aveva, diritto d’aspettarsi da una donna; insofferente della casa, dell’ombra, delle umili, eppure necessarie, occupazioni familiari; a
86
X88 MLYCHMS
tutto facendo il suo tirocinio, fuor che a ciò a cui natura la destinava; vinta la ripugnanza al sangue e alle torture, qualche volta certo — e tristo chi non lo riconoscesse — per delicata, per vittoriosa carità, ma spesso per vanità, per moda, per iattanza, per lucro, secondo i casi e secondo il ceto a cui appartiene. Ci sarà cosa più urgente, a guerra finita, di questa: rifarci un nido di pace non simulata, non stipulata da quella vanilas vanitatum che sono i trattati, i concordati, e simili bazzecole, ma da un po' d'amore tranquillo, sereno, gène-« roso c intimo? E dovrà essere altri che .
la donna la vestale di quésto sacro fuoco ira le discrete pareti domestiche? Ma' dimmi, in fede tua, ciedi sarà facile farla rientrare la donna nel suo piccolo regno, sacerdotessa di piccoli riti, piccoli e tuttavia i soli che davvero vadano al cuore, lenendolo, abbonendolo, santificandolo?
E giacché devo finire, ti dirò l'ultima minaccia: il militarismo, coi suo diver-' sivo e peggiorativo, il nazionalismo.
L’Intesa non rifinisce di proclamare che la nostra guerra è contro il militarismo germanico, c tutti dobbiamo esserne persuasi; ma non ti pare che, al-l’uscire dàU’orrendo conflitto odierno, ci troveremo tutti più o meno impeciati della stessa maledizione germanica? Intanto non si pensa, non si parla, non si scrive, non si stampa altro che di guerra, non si produce che ferro da guerra. Proiettili, proiettili, e poi proiettili! hanno gridato e stampato fin bocche e mani sacerdotali. Ogni carriera è riassunta e come assorbita da una carriera sola, la militare. Nelle piazze, nelle chiese, nelle scuole, fin nelle scuole elementari, uno solo l’argomento che abolisce o rende insipidi tutti gli altri, la guerra. Chi s’arrangia s’arrangia nella guerra; chi riporta encomi e premi viene dal campo;
le industrie, le fortune, la gloria, come le concorrenze, le sopraffazioni, le camorre, si sono spostate da altri terreni al terreno di guerra. La vita intera, anche d’Italia, s’è concentrata in questo cuor dei cuori, la guerra.
Ora pensa: t anto rapido e rapinoso deviamento di tutta là nostra vita promette davvero, per un prossimo domani, di riarginarsi entro gli antichi alvei? E tutta l’enorme produzione di materiale di guerra di ridivenire materiale di pace? Per quale miracolo? Si parla bene da tutti gli uomini migliori di disarmo come, prima condizione di pace: ma al fatto ti aspetto! Da questa spaventosa seminagione di odi, ragionevoli o no, inevitabili o voluti; da questa incalcolabile mora di responsabilità materiali e morali, di conti aperti con la proprietà privata e pubblica, di offese ai monumenti più insigni dell’arte e delle tradizioni .dei popoli; da questa brama ferina di schiacciamenti e di soffocazioni, da .questo accrescersi giorno per giorno, ora per ora, di futuri bisogni, diritti, o sete rabbiosa di risarcimenti e di compensi, e poi, soccomba chi soccomba, di rivendicazioni e di riscosse, vedi tu spuntare un raggio solo, non di un’era, ma di un’ora di pace, senza torvi sospetti, nella tema, o nell’apparecchio di un nuovo scatenarsi di altre sociali tempeste? E questo stato di cose esigerà altro che un perpetuarsi e irrigidirsi di quel mostro di ferro che si chiama il militarismo?
Il quale ha già il suo nido'minaccioso e feroce specialmente nel cuore dei così detti nazionalisti. Anche l’Italia si nutre in seno questa peste, contro la quale non c’è arma.che non dovrebbe adoperarsi.
Diciamolo, proclamiamolo alto, su tutti i toni: i nazionalisti, ecco i nemici. Nessun benignò riguardo per loro; non
87
NOTE E COMMENTI
189
attenuazioni di colpabilità, non pietà, non misericordia, non perdono, non quartiere a questi Prussiani d'Italia, come sono stati bollati da chi li conosce e può misurare la follia criminale che li invade. Oggi nessuno di questa trista genia osa ritenere quello che qualcuno di loro, a nome di tutti, osò dire in altri giorni: Odiamo i Tedeschi non per quello che fanno o tentano, ma perchè per ora impediscono a noi di fare ‘rtitret-tanto ; nessuno oserebbe ripeterlo in questo momento, ma tutti lo pensano. Questione di tempo e di circostanze dunque, non altro. Il nazionalismo si stematico è il vero, grande, permanente pericolo sociale, pronto com’è a servirsi di tutto quanto è rimasto di residuo bestiale nel mondo, per perpetuare e mettere a nuovo tutti i bestiali sistemi d’invasione e di conquista, di strozzamento e di tirannia, onde è segnalato il passato sociale. Oggi i nazionalisti si camuffano come e quanto possono, attenuano i loro principi con blande parole; ma, se sono quello che sono, non si ha che un dovere, il primo, il più urgente dei doveri: smascherarli, metterli alla gogna, e poi spazzarli via, tutelandoci da quella che ho chiamato la loro mania criminale
Ma, amico mio, reputi facile questo compito? Massime fra noi, credilo a me, è difficilissimo. Lascia che l'Italia, come speriamo, ottenga i suoi intenti in campo, e vedrai." I Prussiani d'Italia, contando e pontando sull’entusiasmo nostro, come i Prussiani di Prussia hanno contato e pontato sulla disciplina c sulla educazione c sull’allenamento militare dei loro consanguinei tedeschi, tutto tenteranno per spingere l’Italia alle criminose pazzie del loro cervello. La invocata vittoria d’Italia dovrebb’essere altro che una fortuna e una gloria? Ma, per immancabile
opera del nazionalismo e dei nazionalisti, costituirà essa stessa un pericolo e una minaccia. Se persino oggi, in quest’oggi in cui le sorti sono àncora tutt’altro che decise fra i popoli che si combattono; se persino oggi, che per un tristo e triste insieme di cause, abbiamo ancora, oltre le vecchie terre rimaste da secoli in mano straniera, anche parte di quelle che tanto sangue e tanti sacrifici costarono ai nostri fratelli della metà del secolo passato, calpeste dal calcagno tedesco, si va dai nazionalisti insinuando l’idea e il proposito di espansioni e di conquiste di regioni, dove, come nella Dalmazia, l’elemento etnico, le tradizióni, la vita; le proprietà, gl’interessi e quindi i diritti sono tanto italiani, quanto sono austriaci, e meno ancora: se fino oggi, con tanta realtà di lotta da intensificare e da condurre a lieta conclusione, il nazionalismo e i nazionalisti vanno empiendo le teste e i cuori dei nostri giovani, così facili alle fiammate avventuriere, di futuri primati d’armi e di forza italiana in Europa e nel mondo; non ti pare che se domani potranno contare sull' ebbrezza di una nostra vittoria, avranno tanto in mano da far impazzire mezza Italia e da asservire a co-testa pazzia l’altra mezza? I nazionalisti, ripeto, contano sui giovani, e i giovani, volere o no, sono la forza viva del mondo.
Ti ho risposto, come tu certo ti aspettavi da me, con tutta sincerità. Potrò sbagliarmi, travedere, esagerare. Eccomi qui, pronto a sentirmi segnalare da. te errori, ombre, esagerazioni (1).
(x) Al nostro collaboratore si potranno segnalare ombre ed esagerazioni; ma non certo gli si dovrà rimproverare la sincerità con cui ama l’Italia e là sua vera grandezza. Per questo diamo libertà alla sua voce, pronti a raccogliere altre voci che da altro anime sincere si levino a contradirla'. Gli argomenti toccati sono vitali e meritano di essere discussi apertamente, senza riserve e timidezze. (Red.)
88
*
190
BILYCHNIS
Per adesso, io mi credo nel vero, e vado invocando, non so nemmeno io bene, quali provvidenziali ostacoli ai guai che minacciano l'Italia dopo la guerra. Spero — contro ogni speranza — nelle inesauribili riserve del nostro buon senso, nelle ragioni essenziali e profonde della vita, che superino, come già le superarono tante volte in passato, le burrasche più sconvolgenti della vita superficiale ed episodica; spero nella azione di quel piccolo ma possente numero di uomini superiori che contrastano
sempre il passo e la prevalenza ai dissennati e ai furibondi. E spero soprattutto in quella Provvidenza, che, senza costringere nulla e nessuno, servendosi anzi delle leggi esistenti delle cose e degli uomini, sa trarre dal caos l’ordine e dai mali a volte parrebbe supremi e irreparabili, per vie e con mezzi ina-: spettati e insospettati, preziosi, inest i-mabi^bcni — in spe conira spem;— ma per ora il terrore delle minacce supera ih me ogni fiducia. Possa io davvero ingannarmi! Qui quondam.
RELIGIOSITÀ IMPERIALISTICA TEDESCA
(DOCUMENTI)
Ad illustrazione documentaria della identità di spirito dei diversi imperialismi storici, dei quali in un precedente scritto (1) ponemmo in raffronto le forme romano-pagana, romano-cristiana, o Cat-tolicismo, e tedesco-prussiana,, e a con ferma dell’affermazione centrale dell’ articolo pubblicato nel fascicolo precedente sul cattolicismo tedesco, (2) duplicato cattolico e intensificazione del germanesimo prussiano, riferiremo qui alcuni estratti di espressioni tipiche e varie della religiosità imperialistica, tedesca, o deformazione « cattolica » del suo ideale religioso, ricavale da discorsi pùbblici, scritti, sermoni, articoli di giornali, di personalità rappresentative tedesche.
La nostra dimostrazione sarà completa, se sostituendo nelle diverse espressioni di autolatria tedesca le parole Papa, Chiesa Cattolica, missione del Cattolicismo, eccetera, a quelle di Kaiser, Germania, missione della Germania, ecc., si costaterà di avere ottenuto espressioni, formulazioni, motti appartenenti al linguaggio corrente e ufficiale del Cattolicismo.
Premettiamo alle citazioni, questa di Ludwig Woltmann (Politische Antropo(x) V. Bilychnis di ottobre 19x7, pag. 190: Germanesimo spirituale e materiale.
(2) V. Bilychnis di luglio-agosto 19x8, p. xx.
logie, 1903) nella quale il'comune «Germanesimo » del Papato e dell’impero tedesco è esplicitamente affermato:
« Il Papato e l’impero sono ambedue organizzazioni di tipo teutonico, volte alla dominazione, dirette al soggiogamento del mondo. È missione della razza teutonica di circondare la terra col suo dominio, di sfruttare i tesori della natura e della forza del lavoro umano, c di sottoporre le razze passive, come elementi del suo sviluppo culturale ».
li Kaiser Germanico, come quello di Roma «Cristiana » o come un «Divus Au-gustus » della Roma pagana, parlava un linguaggio sobrio c sincero quando già nel 25 agosto 1910 diceva in un discorso ufficiale:
« Riguardandomi come lo strumento, .del Signore, senza tener conto delle opinioni delle intenzioni del giorno, io vado polla mia strada »; e quando all’armata del-l’Oriente volgeva il proclama e il saluto: « Ricordatevi che voi siete il popolo prediletto. Lo spirito del Signore è disceso su di me, perchè io sono l’imperatore dei Germani. Io sono lo strumento dell’Altissimo. Sono io la Sua spada, il Suo rappresentante. Disastri e morte a quelli che osano resistere al mio volere! Disastro e morte a quelli che non credono alla mia missione ».
89
NOTE E COMMENTI
191
A chi fosse tentato di rievocare qui le parole dell’arabo profeta di Allah, si può ricordare che il: « Sia màlcdettol », ■ Anatema sit », maledetto nel tempo, e sopratutto nell’eternità delle pene infernali, è il suggello e il complimento con cui l’imperatore cristiano di Roma abitualmente termina, di prammatica, le proprie definizioni e rafforza i propri precetti.
Il Kaiser stesso, nel famoso proclama sul punto eli partire per Tangeri nell’n marzo 1905, diceva: « I Tedeschi sono i più prossimi a Dio, e possono rivendicarsi l’onore di aver perseverato nella sua parola. Il Cristianesimo tedesco rappresenta il giusto rapporto fra Cristo e 1 suoi discepoli, e la nostra natura è, nel suo insieme, l’incarnazione più perfetta del Cristianesimo.
Il nostro Dio non avrebbe mostrato tanta sollecitudine per la Patria Tedesca se Egli non avesse per lei preparato un grande destino. Noi siamo il sole della terra: Iddio ci ha creato per civilizzare il Mondo ».
Parole che ricordano quelle che Tertulliano usa in una superba frase del suo « Apologeticum »: « Il Cristiano è l’anima del Mondo...: quello che è per il corpo l’anima, sono i Cristiani per il Mondo... » che ritroviamo in bocca al Pastore W. Lehmann in un discorso commemorativo della vittoria di Scdan, tenuto il 2 settembre 1914, in cui vede in quell’avvenimento un ■ incoraggiamento a credere che l’anima della Germania è l’anima del Mondo, e che Dio e la Germania si appartengono l’un l’altro ».
«Non già », avverte il magistrato Chrze-szinsky sul Düsseldorfer General Anzeiger, « che Dio combatta al lato della Germania: è la Germania che combatte, al fianco di Dio; e la Germania vincerà, perchè la Divinità sa bene che la Germania è decisa di eseguire ad ogni cosio il compito che Egli le ha assegnato ». Anzi più, è nell’interesse di Dio che la Germania prevalga nel Mondo, perchè, — ci assicura W. Helm nel suo « Warum wir Siegen müssen » — « Se noi fossimo sconfitti, nessuno in tutto il Mondo potrebbe nutrire più alcun residuo di fede nella verità e nella giustizia, nel Bene, anzi, in qualsiasi Potere superiore che guidi con sapienza e giustizia i destini dell’umanità ».
Questo senso intimo dell’identità degli interessi di Dio e della Germania trova un’espressione ragionata in un articolo del barone Hans Von Wolzogen,sul Berlin Post:
« Quella che così spesso è rappresentata come n Coscienza intima tedesca • non è in realtà, più o meno,'altro che il saggio volere della nostra anima, che ha assorbito in sè la volontà di Dio, ed eseguisce quella volontà come suo più alto dovere.
Quando noi parliamo francamente e audacemente di un «Dio Tedesco», quel che noi intendiamo dire con ciò è il potere detrazione divina nell'intimo dell'anima tedesca, poiché solo nell'anima tedesca è concentrato il regno dei Cieli. È questo il Cristianesimo tedesco ».
Uno scrittore del Ber liner Tageblall, parla anzi di necessità metafisica delia vittoria tedesca. «Se è vero che le vicende che dominano la storia dei popoli dipendono da una volontà superiore che è fornita di discernimento, noi possiamo e dobbiamo con metafisica certezza credere che la Provvidenza Kci ha riserbato per una grandiosa missione ».
E il Pastore Leh.mann riassume cosi in una forinola questa fede di « cattali -cismo prussiano »:
« La. Germania è il centro del piano, di Dio nel Mondo» («Il Dio Tedesco»): fede ’che è cantata e volgarizzata nell’« Inno della spada Tedesca » coi versi:
« La Germania di tanto sovrasta tutte • lealtre nazioni, che tutto il resto del Mondo, senza distinzione, si dovrebbe riputare privilegiato di ricevere il permesso di contendersi coi cani le briciole che cadono dalla sua mensa. Quando la divina? Germania è felice, il resto del mondo! nuota nel gaudio; ma quando-la Germania , soffre, Dio stesso in persona è straziato da angoscia e da ira e da vendetta. Egli cangia allora tutte le acque in fiumi di sangue ».
• • •
' Tale la dignità sacra e divina della Germania, c tale è la sua missione « religiosa. » nel Mondo. Ma"!! Gèrmanesimo non è sólo «teista»: esso professa l’adesione a quel concetto e a quell’aspetto della Divinità, che il Cristianesimo ha fatto prevalere, o, comunque, che al Cristianesimo si riallaccia.
Ed anche nell’ Anarchia cristiana, la Germania non può entrare che dominatrice e pontificale. Il suo Papa, il Kaiser, lo proclamò sulle mosse per Tangeri: « A causa dell’intima parentela spirituale, della antica ed intima affinità tra l’essenza del Cristianesimo e quella del Germanesimo,
90
192
BILYCHNTS
il Cristianesimo deve ritrovare nello spirito tedesco il suo fiore più leggiadro. E noi quindi abbiamo ragione di dire: « Il nostro Cristianesimo Tedesco — è il più perfetto, il più puro ». •
Ed un Pastore, F.'Erdmann, nel passare in rassegna il «Cristianesimo delle Nazioni belligeranti » vedrà con gli occhi della sua fede Cattolic-Geimanica «il popolo Tedesco portare innanzi verso la 'vittoria il Vangelo della Croce di Cristo, quale grande Cristoforo (latore di Cristo) nel Mondo delle Nazioni ».
Ogni guerriero della Germania è dunque un guerriero di Cristo, ed ogni..spedizione di essa è una crociata santa non meno che le Crociate Papali medioevali e le guerre sante del Maomettismo. « Chi oserebbe negare » — getta la sfida il Pastore H. Fxancke — «che la Germania è la rappresentante della più- alta moralità, della piu pura umanità, del Cristianesimo più castigato./? Colui che combatte per la sua conservazione, la sua vittoria, combatte per la felicità suprema dell'umanità stessa, e per l’umano progresso. La sua disfatta, il suo declinare, significherebbe, un ritorno alla peggiore barbarie».
A lui si appaia un parroco cattolico in un discorso al Reichstag.'« È véro che i nostri soldati, in Francia e nel Belgio hanno messo a morte tutti i briganti — uomini, donne e fanciulli — e distrutto le loro case. Ma chiunque vede in questo una contradizione con la dottrina cristiana mostra di non avere la minima idea di ciò che sia il verqspirito di Cristo ».
Il prof. G. Roethe non è un cinico quindi, ma un logico, quando scrive: « Noi vediamo dappertutto in qual modo i nostri soldati rispettino la sacra impotenza della donna e dei fanciulli ».
E noi vediamo anche, in qual modo essi abbiano rispettato la « sacra impotenza » dei simboli e delle imagini sacre dei templi; Ecco.ad es. il giudizio di un soldato del i2° fanteria tedesca di riserva (dal suo diario): « Vi sono nella nostra armata dei ruffiani, non più uomini ma porci, per cui nulla è sacro. Uno di essi entrò in un sacrario chiuso a chiave in cui era'custodito il «Santissimo Sacramento». Un Protestante, per rispetto, non aveva voluto dormirvi: ma egli insozzò il luogo coi suoi escrementi. Non capisco come certe cose possano accadere...! ». '
. E per chiudere là interminabile galleria di religione e Cristianesimo tedesco, ci
terò un brano del Pastore Lòber di Freni-deswald sul Kretizz'eilung (« Giornale del la Croce ») in cui la «Croce» è licenziata nel più disinvolto dei modi.
. « In tempo di guerra, ogni individuo dovrebbe essere pervaso dalla convinzione che per amor della Patria il nemico deve essere annichilito senza alcuna pietà nè riguardo. Oggi noi dobbiamo licenziare il- Nuovo Testamento e ritornare all’An-tico, il quale considera il pieno annichila-mento del nemico come- una cosa eccellente; un annichilamento, in cui le debolezze sentimentali del rispetto alla vecchiaia o alla fanciullezza non hanno più luogo ».
Non farà maraviglia se riconoscendosi, questo primato di religiosità e di Cristianesimo, i Tedeschi sentano la missione Cattòlica di moralizzare il mondo. Infallibilità di dottrina e infallibilità nella morale sono due prerogative che non troviamo mai disgiunte.
« Fra tutte le nazioni della terra » — scrive la Rhenisch Westfalische Zeitung del giugno 1915 — i Tedeschi sono relativamente i migliori. E per questa ragione Dio ha scelto la Germania e l’Austria a suo strumento, quali esecutori della sua polizia, per correggere gli altri popoli situati in un piano inferióre ».
« Tuttociò che è profondo » — rincalza il Pastore W. Lehmann nel suo « Dio Tedesco » — «il coràggio, il patriottismo, la fedeltà, la purezza morale, la coscienza, il senso del dovere, .l’attività su base morale; la ricchezza interna, l’intelligenza, l’industriosità, e così di seguito, —- nessuna nazione possiede tutte queste cose in grado sì sublime di perfezione come noi ».
« Ma qual’è l’incanto speciale riposto nella parola: «Tedesco»? «si domanda il Lokalanzeiger del luglio 1915. E non trova difficoltà nè pudore a rispondere : • È appunto la presente guerra che ci ha insegnato che esser_..Tedesco. e sincerò. Tedesco e tenero. Tedesco e dotato di spirito di abnegazione. Tedesco ed eroico. Tedésco e amante della famiglia — e potremmo continuare nella enumerazione indefinitamente — è una sola e medesima cosa. Tutte queste caratteristiche non sono che molte e divèrse melodie che formano, tutte insieme, una sola grande armonia ».
91
NOTE E COMMENTI
193
Ma il merito speciale di questa elevatezza morale che fa «Iella Germania il pedagogo nato della virtù all’universo, spetta alla < Armata. Tedesca (inclusa naturalmente la Flotta), che è oggi la più grande istituzione di educazione morale del Mondo » — come scriveva U. G. Chamberlain nel 1914, e come l’Armata (e la flotta) si sono incaricati di mostrare in 4 anni di lezioni morali...: dando anche la dimostrazione dell’altra sua affermazione, che • l’assenza di ogni specie di animosità vefso gli altri popoli è una caratteristica che scolpisce i Tedéschi — e i Tedeschi soltanto ».
È una vera fortuna per noi l’avere tali avversari, i quali « in fondo, combattono soltanto... per difendere la concezione cavalleresca dell’Europa, sempre minacciata dalla forza bruta e dalla vile bassezza. Noi rappresentiamo ancora una volta la diga della Coltura » (O^.H.%,.Sch-midt); «la vera e sola dimora, da secoli di una libertà degna dell’umanità, ed elevante verso l’umanità » (Chamberlain).
Chi non sarà persuaso, col prof. Von Bayden, che «... la Germania sta da sola.
ed è suo destino di governare il mondo per il bene del genere umano? ».
Chi non fosse del tutto persuaso che questi saggi scelti da una lunga serie rappresentino la quintessenza della religione; del Cristianesimo e della morale, ascolti la « preghiera della battaglia » del Pastore D. Vorwerk: « O Tu che dimori in alto nel Tuo Cielo, sopra i Cherubini, i Serafini e gli Zeppelin (Sic!), Tu che siedi sul Tuo trono di Dio del fulmine, tra nuvole lampeggianti e fra lampi di spade e di cannoni, manda fragorosi fulmini e saette, grandine e tempeste addosso ai nostri nemici, e scaraventalo e seppeli-scilo negli abissi tenebrosi... Amen ».
Ritorniamo Cristiani!
« Djo è amore ». « Gli uomini vi riconosceranno per mici discepoli dall’amore reciproco che vi porterete »: « Che cosa giova all’uomo conquistare tutto il mondo a detrimento dell’anima propria? ». « In Cristo Gesù non vi è schiavo nè libero; non vi è Greco nè Scita nè Barbaro; ma tutto ed in tutti,' Cristo ». G. P.
92
RASSEGNA DI FILOSOFIA RELIGIOSA
XXIII.
GERMANISSIMO E AUTOCRITICA
LTJIn Francia si discute il ristabilimento delle relazioni con il Vaticano, in qualche maniera che non sia ritorno sugli ultimi Enovvedimenti legislativi di separazione: a formula è: a Roma, ma senza Canossa.
É se-si trattasse di una realistica considerazione degli ipteressi della Francia, che non vuol essere assente da alcuno dei luoghi dove ci sia qualche cosa da fare per la tutela di quelli, non ci sarebbe nulla dadi-re: ma, notano alcuni francesi, quel che dà pensiero non è tanto il fatto in sé quanto l’animo con il quale lo accoglierebbero c sfrutterebbero certi circoli clericali francesi.' Poiché essi sono sempre medesimi.
La guerra non li ha mutati, come non ha mutato i cattolici di altri paesi, come non ha mutato tante altre cose. La polemica di guerra contro la Germania, ispirala ad uno spirito di battaglia e ad un senso di opportunità che la guerra spiega, ha offerto tuttavia pretesto ad apologie e recriminazioni in cui lo spirito di parte-prende la mano, inavvertitamente, all’intento patriottico, con danno della stessa causa che si vuol sostenere.
Ad esempio, ci è capitato di leggere, in un recentissimo volume edito dal comitato cattolico di propaganda francese (La vie calholique dans la France contemporaine. Paris, Bloud et Gay), una difesa polemica della Francia * cattolica » che può Sirere in più di ùn punto inopportuna.
dacché la Germania è luterana, per distinguersi da essa, la Francia dovrebbe
insistere nel suo cattolicismo, difenderlo e favorirlo come una tradizione nettamente francese. Con questa preoccupazione, poi. si trova che tutto quel movimento di idee' e di critica il quale negli ultimi de-•cennii ha così’ profondamente agitato la coscienza dei cattolici del paese vicino fosse tutto di origine e di ispirazione, non francese ma germanica.
E il giudizio non è solo ingiusto verso uomini come il -Blondel, il Le Roy, il Loisy, che onorerebbero il pensiero c l’attività scientifica di qualunque nazione; ma é pericoloso, poiché, col pretesto di combattere la Germania, le si fa la parte’ troppo bella. ■
Anche in Italia si è spesso notata una tendenza simile; col pretesto di combattere il germanesimo, si sono combattute manifestazioni di pensiero e correnti politiche che non sono germaniche, ma appartengono, in universale, alla storia del pensiero e della cultura umana. Legittimo è l’intento; perchè, per gli italiani più specialmente, essere sé stessi, cioè italiani, significa cessare di essere tedeschizzanti o, comunque, imitatori; poveri, cioè, di vita e di ispirazione nostra, e quindi servili. E giusta è anche la causa, la lotta contro il tedeschismo; ma con una distinzione fondamentale da fare.
Il germanesimo è quello che è, ma non vive — purtroppo!.— fuori dell’umanità; esso rientra, come momento storico non sopprimibile, nella storia della cultura e della tecnica umana. Quello che i tedeschi hanno contribuito di meglio alla vita dello spirito negli ultimi 150 anni è frutto di una attività che non appartiene in
93
TRA LIBRI E RIVISTE
*95
proprio ad essi, ma risulta da una vastissima elaborazione storica, nella quale sono gli ultimi venuti. Appropriandosi e rifacendo per sè tutte le acquisizioni della cultura, hanno contribuito per molta parte ad accrescerle e perfezionarle, come era logico ed inevitabile. Ma questo essi hanno fatto da tedeschi, alla maniera tedesca; qualunque frutto dell’ingegno e della tecnica, anche buono in sè, ha ricevuto in essi, dall’indole della razza, dalla rozzezza dell’animo, dall’orgoglio della recente cupidigia, una speciale impronta, una tendenza, un indirizzo nei quali sta il marcio, e che bisogna combattere.
I più acuti degli stessi tedeschi, i più latini di cultura, da Goethe a Heine e a Nietzsche, videro questa impronta tedesca nell’opera dei tedeschi e la segnalarono e derisero, pur senza riuscire a liberarsene. Non si può respingere nè la Sforma di Lutero nè le Critiche di Kant l’idealismo di Hegel nè il socialismo di Marx nè tante altre cose solo perchè tedesche di stato civile; ma bisogna ste-dcschizzarle; dimostrare, ed è facile dimostrare, che appunto per esser nate e cresciute in Germania, • tutte queste'cose hanno in sè un congenito unilateralismo, una istintiva pedanteria, un cattivo genio antilatino, vizi di origine dai quali bisogna stare in guardia c che è necessario respingere. '
La salutare reazione antitedesca sarà efficace e durevole in quanto sarà giusta; ed essa è così fondamentale giusta che l’esagerare non può essere che a .danno nostro e a vantaggio del-nemico.
Il quale, dal suo difetto originario di essere così grossolanamente e diremmo animalescamente se stesso da imprimere su tutto quello che toccava e faceva suo il segno del suo illimitato ed intollerabile egoismo autodivinizzantesi, trasse pure un grande vantaggio, che le vicende della guerra continentale dimostrano: il vantaggio di non legarsi ad alcuna istituzione o di altri popoli o del passato, di veder tutto con occhio, torbido sì e venato di sangue, ma nuovo, di subordinare catto-licismo e luteranesimo, filosofia e filologia, scienza e tecnica, scuola e cose, agli interessi della nazione e della razza tedesca.
L’esagerazione, qui, il delitto anzi, fu nell’intento predatorio con il quale tutto questo era fatto; ma il merito e la forza furono nel non lasciarsi distrarre o asservire da alcuna cosa o estranea o morta, e
capace di ingombrare le vie della storia' per inerzia spirituale. La patria, come scopo e misura ideale, ha questo pregio che essa è cosa Vivente e vivente della stessa nostra vita, ed esige ogni giorno un adattamento di tutto quello che entra nella sua sfera di azione — c tutto dovrebbe entrarvi —* ad esigenze intime e imperiose di vita e di sviluppo. Noi latini, noi italiani più specialmente, abbiamo un poco perduto questa fresca virtù di sintesi e di assimilazione;, e troppe cose morte portiamo con noi dal passato; che bene possono esser designate col comune nome di clericalismo, nero o grigio o verde, o rosso che esso sia.
Ora’ se ci si dice che il criticarle, cioè il superarle e rifonderle, con sforzo di pensiero e di volontà, nella nostra vita di oggi è ipercriticismo tedesco, siamo spacciati; poiché ci si impedisce quell’intimo vitale lavorìo di assimilazione e di combustione spirituale per il quale una nazione è sè stessa e si sviluppa autonomamente; e il vantaggio di questa diminuzione non può che essere del nemico. •
SOCIOLOGIA E RELIGIONE
Moriva testé in Francia Emilio Durkheim, uno dei più insigni teorici della sociologia. La sua attività scientifica fu lunga.ed intensa; 25 anni addietro egli pubblicava lo studio su La. division au Iravail social, che fu come il programma suo e della sua scuola: e poco tempo addietro, alla vigilia della guerra: Les fovmcs élétnenlaires de la vie religieuse. In mezzo sono dodici volumi della Année sociolo-gique, fondata e diretta da lui, ed alia quale contribuì con molteplici studi monografici e numerosissime rassegne.
È nota la sua concezione della- sociologia. Questa era per lui la scienza della società umana; nella società, nella sua costituzione, nelle sue forme, nel suo sviluppo, egli vedeva il fatto umano per eccellenza, retto da leggi certe, e quindi capace di studio e di scienza. Venuto dopo il successo della filosofia francese della contingenza, egli non potè chiudersi in un rigido positivismo materialistico; Non negava la contingenza, ma la relegava nella biografia, di individui o di popoli storici, nella cronaca occasionale e marginale, di cui non è possibile ora, e non sarà forse possibile per molto tempo, fare oggetto di scienza vera.
94
196
BILYCHNIS
Il suo metodo è esposto con la massima perspicuità nella breve prefazione al primo volume deìl’Année sociologique (Alcan, Paris, 1898). Egli scriveva: « Pòstulato di ogni sociologia è resistenza di leggi, che la riflessione, metodicamente impiegata, permette di scoprire. Quindi non la ricerca di fatti che, isolati, non hanno nessun valore, non indicando di per sè alcuna legge, ma il metodo comparativo. « La stona non può essere una scienza che nella misura in cui essa spiega, e non si può spiegare che comparando... La storia, quando entra nel campo delle comparazioni, non si distingue più dalla sociologia... Così, lungi dall’essere in antagonismo, queste due discipline tendono naturalmente l'una verso l’altra, e tutto fa prevedere che esse sono chiamate a confondersi in una disciplina comune, in cui gli elementi dell’una e dell’altra si troveranno combinati od unificati... Suscitare degli storici che sappiano vedere i fatti storici da sociologhi o, che è lo stesso, de’ sociologhi che posseggano tutta la tecnica della storia, ecco lo scopo che bisogna perseguire. A questa condizione, le formule esplicative, della scienza potranno estendersi progressivamente a tutta la complessità dei fatti sociali in luogo di riprodurne solo i contorni più generali; e allo stesso tempo l’erudizione storica acquisterà un significato, poiché essa sarà chiamata a risolvere i più gravi problemi che l’umanità si pone •. La legge eliminerà la contingenza.
Nel metodo c’é la dottrina. Questa sociologia, che è storia, è anche filosofia, la sola vera filosofia. Filosofia naturale — perchè ricerca di leggi, e quindi fondata sul determinismo — quantunque il Durkheim, per l’importanza fondamentale che egli dà al fatto sociale, ed alla società come norma ed esigenza originaria delle unità individuali, ponga implicitamente un hyalus fra il mondo della natura e quello della storia; hyalus che egli non cercò di giustificare. La sua società è un mito.
Questa dottrina il Durkheim applicò anche, e largamente, alla religione ed alla storia delle religioni. La religione non ha per lui che una importanza retrospettiva; mito sociale, destinato cioè ad esprimere, a sviluppare, ad inculcare negli animi 1$ realtà sociale, essa è resa inutile dal rivelarsi stesso della società, con le leggi della sua intima costituzione sociologica.
Ma specialmente in questo campo il sociologismo del Durkheim e della sua scuola spiega — non ostante la molteplicità dei fatti raccolti e vagliati e l’ingegnosità di molti ravvicinamenti ed analogie — la sua povertà originaria e il vizio fondamentale. Perchè lo studio retrospettivo delle religioni è in realtà una conversione del pensiero verso il passato, verso il fatto e il finito e l’esaurito; spiega la ricchezza presente dello spirito ricercandone i precedenti, e onesti raggruppa ed interpreta risalendo alle origini; ed esse fa argomento di scienza, diminuendole a fatti psico-fisiologici.
Una siftatta dottrina non può mai essere in tutto consequente; la società, nelle migliori pagine del Durkheim, è il dio presente, l’assoluto della storia. 11 Durkheim fu particolarmente preso di mira dal giovane nazionalismo francese (V. Lasserre: La dottrine de 1‘Università) come rappresentante dell’imbastardimento germanico della tradizione francese, spiritualista; e ciò, insieme con l’incessante progresso della filosofia della libertà ed il trionfo del bergsonismo. contribuì a diminuire rapidamente l’interesse per la sua dottrina'che, oggi, non vai più neanche la pena di criticare.
IL LETTERATO ITALIANO
Due interessanti pubblicazioni di.G. Gentile dobbiamo segnalare ai lettori. L’una è la prolusione al corso accademico dell’anno testé finito nella università di Roma, stampata in fascicolo da Interza, col titolo: Il carattere storico della filosofia italiana.
Universale nell’atto, la filosofia è limitata nel fatto; è filosofia di dati filosofi, in una data nazione, in un dato memento storico. Ora c’è un carattere generale della storia della cultura italiana, da Dante a noi, il quale caratterizza anche la filosofia italiana di questo periodo. Dante è l’uomo; tutto in lui, religione, politica, arte, passione, è perfettamente fuso. Con Petrarca, invece, comincia il letterato. L’umanesimo è un moto spirituale chè rifugge dal cercare la perfetta fusione dell’ uomo, perchè quest’ uomo urterebbe tragicamente contro la Chiesa c contro lo Stato. Dall’Accademia a Bruno, a Vico, noi abbiamo una filosofia di letterati, che « riserbano • alla Chiesa la vita pratica e popolare, e svolgono la loro vita interiore, di pensiero
95
TRA LIBRI E RIVISTE
‘97
•d etica, in contrasto -còn la società cui appartengono, rinunziando a dominarla, cioè a farsi in essa e con essa, secondo la logica delle loro idee. In Vico, caso tipico, c’è una provvidenza umana immanente e insieme e sopra una provvidenza divina trascendente.
« La benemerenza maggiore del letterato italiano verso la civiltà moderna consiste nell’essere stato egli primo che con opera,, non più d’una persona o di una setta — come ce ne erano state nei tempi di mezzo — ma universale a pressoché tutti gli studiosi, la ruppe col doni-matismo tradizionale c promosse la libera attività dello spirito nell’arte, nella scienza e nella filosofia : le quali parve, e si convenne, che dovessero vivere ed esplicarsi intieramente astraendo dalla vita reale e senza incontrarsi perciò nè con le leggi dello Stato nè, con quelle della potestà ecclesiastica. E cosi avvenne che l’uomo si dividesse in due parti: una da abbandonarsi alla Chiesa e al Principe... ma l’altra chiusa in sè e sequestrata dalla vita, libera di spaziare, senza lacci di premesse prestabilite, nella sicura espansione della creazione artistica e della ricerca razionale ».
Di qui anche, come è chiaro, la intcriore menzogna di questo sdoppiamento della vita, la religione, che dovrebbe essere la più intima interiorità, fatta cosa esteriore, l’ipocrisia dominante e la retorica.
Il secolo xix, per il lievito possente dell’idea nazionale, può esser considerato come una lunga 'lotta fra l’uomo che si rinnova e il letterato—che permane, tenace; esso incomincia con Parini, i,n cui l’uomo rinasce, e continua, in varie fasi ed aspetti, attraverso i nostri maggiori nomi nr dell’ottocento, sino ad oggi.
CHIESA E STATO NEL PENSIERO DI DANTE
L'altro lavoro di G. Gentile è la conferenza che egli tenne alla Casa di Dante, in Roma, su « La profezia di Dante », stampata poi nella Nuova Antologia del i° maggio 19 iS.
Quale fu in Dante la concezione della Chiesa c dell’impero e dei loro reciproci rapporti? I.o Stato di Dante non è quello di Aristotele, necessità dedotta dalla natura umana sociale, in cui l’uomo si compie e si attua per intiero, eticamente, perchè Dante viene dopo il cristianesimo ed è cristiano; ma, per lui, neanche è
vera la veduta pessimistica di Agostino che alla città terrena, corrotta e insanabile, oppone là città celeste, la Chiesa. Redimibile è la società terrena, peichè anche in essa scende Dio a liberare l’uomo, mandandogli un Virgilio capace di trarlo per loco eterno; e Dante, pur non confondendola con la città celeste, ne rivendica il valore alla luce di quegli insegnamenti filosofici che additavano nell’uomo una natura politica, essenzialmente etica, poiché nello stato è pure il compimento delle immanenti aspirazioni dello spirito.
Dalla città medievale Dante si elevò alla visione del regno e da questa „alla visione dell’unità dell’impero, espression della unità, concordia qua edam, che è nella vita dell’uomo sano. Ma l’impero è romano, di origine e di tradizione, c quindi italiano, tradizione di •diritto, di giustizia e di libertà, soggetto alla Chiesa, nelle cose che riguardano la salute eterna, ma autonomo, per volontà divina, in ciò che riguarda la vita temporale. E impero e chiesa servono solo a condurre l’uomo al grado di sviluppo in cui egli sarà pienamente padrone di sè, fatta dell’esteriorità interiorità.
Questa idea viva di Dante e la concezione che egli ne trasse di un rinnovamento della Chiesa per mezzo dell’ impero, frutto del quale fosse innanzi tutto la libertà italiana, lo fa profeta. Rinnovatore religioso prima di lui fu Francesco, anima mistica, cui però «sfugge tutto il concreto delle condizioni in cui la religione si sviluppa ». Riformatore, dopo lui, fu Savonarola;' egli « vede la Chiesa da riformare nel costume, privato e pubblico; e quindi si volge allo Stato, che concepisce teocraticamente; ma non vede neanche lui il rapporto, dov'è la realtà concreta, tra il suo Stato c la vecchia Chiesa, che pure si alleano contro di lui, e gli accendono il rogo ».
« Dante invece ». — continuiamo a citare Gentile, richiamando tutta l'attenzione del lettore su questo brano, nel quale è meravigliosamente espresso in sintesi il pensiero politico del modernismo, e l’anima stessa di questo ci riapparisce innanzi come la più matura voce del pensiero italiano contemporaneo, e assurge ai fastigii di una solenne celebrazione, nella Casa di Dante, cui si associò certo lo snobismo ignaro di molti ascoltanti che da quelle idee avrebbero torto il viso con disdegno, se enunziate da altri — . alla Chiesa insieme e allo Stato; e (per
96
198
BILYCHNIS
restringerci alla nostra storia) precorre Cavour, precorre Ricasoli; si pone il problema nei termini, appunto, in cui la storia dimostreià che esso va posto, e in cui noi ce lo troviamo tuttavia innanzi: problema politico <la una parte, problema religioso dall’altra, problema* umano, essenzialmente. profondamente umano nella sua indivisibile sostanza. La Chiesa non si può separare così dallo Stato, che questo la ignori o essa ignori lo Stato; lo Stato non può respingere da sè ia Chiesa a segno da negarne ogni valore: nè la Chiesa può spiritualizzarsi al punto da non avere in sé niente di temporale, e non rientrare quindi nella sfera dell'attività politica; nè lo State può esercitare effettivamente quest’attività senza realizzare una sostanza spirituale e quindi venire a contatto con gli organi della vita religiosa. La Chiesa storicamente riformabile è quindi una sola: quella che si riforma riformando lo Stato: perchè essa si forma veramente in quanto si forma lo Stato.
« Che cosa è lo Stato? Si chiami Impero con Dante, o si chiami altrimenti, lo Stato è quello a cui Dante mira con la sua universale monarchia: unum velie, Union nolle; è quello che nell’individuo si dice carattere, che è l’unità, c la realtà effettuale della persona.. La vita comune è allargamento della vita spirituale della persona, la «piale viene a trovarsi nella necessità di instaurare un più alto c più spirituale carattere, una più concreta unita od accordo interiore, che avrà sempre lo stesso valore assoluto della personalità individuale, giacché ne sarà l'ampliamento e la vera realizzazione. Ora un carattere, una volontà, nel suo svolgimento, non può aversi senza una fede religiosa: che, essenzialmente, è riconoscimento d'una realtà assoluta, sostanza c principio d’ogni legge, che sia tale davvero e non mero arbitrio: onde chi dice volontà dice legge. La volontà così intesa è sì anche volontà etica; ma appunto perchè non c’è moralità che non importi un atteggiamento religioso dello spirito. Ix> Stato pertanto è forza, perchè volontà; ma è anche giustizia, volontà universale. È libertà, ma in quanto è legge; legge che esso pone, ma che ad esso E or primo è sacra, come volontà divina.
:d ecco perchè viene a incontrarsi nella Chiesa, e- non può disinteressarsene; e poiché nel divino che la Chiesa amministra è la fonte viva della sua propria attività ed esistenza, allo Stato s’appartiene un fine di cultura, essenzialmente religioso: s’ap
partiene l’uflicio di restituire la Chiesa .alla sua funzione schiettamente religiosa, cominciando a recare in* atto la piena c perfetta autorità: quell’wnwm velie, quella inconsutile veste (come dice Dante con immagine biblica) che fu empiamente lacerata con la temporalizzazionc. della Chiesa, principio funesto «Iella sua e altrui corruzione.
« Lo Stato come volontà — questa divina realtà spirituale che l’uomo attua nella vita civile — non può incontrare ostacoli, che ne limitino la libertà, recidendolo quindi alla radice. Esso si separa dalla Chiesa e celebra così la propria indi-péndenza in quanto cessa di considerarla centro di energia spirituale distinto da sé, e a sè contrapposto. Giacché quello che alla superficie è separazione nel fondo è assorbimento e unita intima: ih quanto lo Stato, mediante la propria infinità, togliendo alla Chiesa ogni elemento mondano. la purifica, e così realizza a un tempo la Chiesa, come vera Chiesa, e se medesimo. E la Chiesa, spogliandosi d’ogni scoria esterna, e quindi riconoscendo lo Stato come infinita potenza, non sólo torna per sé alla sua purità spirituale, ma irradia della propria luce divina il potere dello Stato.
«Questo è oggi il nostro ideale: potrei dire il nostro -Stato, avvertendo che lo Stato, al mondo stesso d’ogni realtà etica, non è per l’appunto quello che c’è. ma quello che si costruisce, quello che noi politicamente lavoriamo sempre 'a costruire, senza poter dire rfiai di avere bella c compiuta; l’opera nostra: l’idea, per cui lottiamo, per cui diamo anche la vita, torcendo lo sguardo dai difetti dégf’istituti e degli uomini in cui essa’s’incarna.— se. non fosse per colmarli col senso vivo o operoso del nostro ideale. Questa fu la-profezia di Dante: uno Stato intimamente religioso perchè libero dalla Chiesa, indi-Sindente, potenza illimitata: e però una liiesà povera, cioè spirituale, .ed alimen-tatrice di quella vita' etica, che nello Stato trova la sua attualità e la sua tutela».
POSITIVISMO SPIRITUALE
Nella Nuova Antologia, 16 luglio 1918 (La libera fede della scienza moderna), Alessandro Chi appelli torna su di un suo argomento preferito: i contatti fra lo spiritualismo c quei rami della scienza che indagano le più immediate e ancora meno conosciute manifestazioni dello spirito o
97
TRA LIBRI E RIVISTE
I99
meglio della psiche nei suoi organi corporei: la psicologia dell’inconscio, le scienze psichiche, ecc. ' Premette alcune considerazioni sulla nozione stessa di materia, quale risulta dai più. recenti studii sul radio e dalle induzioni degli scienziati più penetranti: esse non permettono più, come è noto, di parlare di materia come di cosa, e fondamento e sostanza ultima delle cose, come facevano, con tanta sicurezza, i materialisti di ieri, e cita recentissime testimonianze' di studiosi francesi. Più la nozione della materia dilegua nell’indefinito e più è facile mettere in rilievo il sottile giuoco dello spirito, che, per intendere i fenomeni, si fa a sè materia.
Ricorda pòi brevemente i recenti progressi della psicologia dell’inconscio ed il vastissimo campo che si apre ancora dinanzi a questa; e si chiede, con Bergson, che cosa sarebbe avvenuto se, tre secoli addietro, in luogo di essere richiamata così potentemente alla fìsica e matematica, l’indagine si fosse volta allo studio dei fatti psichici: quale diverso corso tutta la cultura umana avrebbe avuto, sotto il dominio della concezione di spontaneità creatrice, invece, che sotto quello di necessità e determinismo fisico.
Egli parla-poi del recente noto libro del I-odge, del quale demmo notizia, su esperimenti spiritici nei quali fu, come si dice, evocato lo spirito di un giovane figlio di lui, morto in guerra. Non accetta le induzioni del L., ma si arresta dinanzi a talune incontrovertibili risultanze di questi esperimenti: ad es. «quelle che malamente furono chiamate materializzazioni spiritiche (confondendo' il fatto con una ipotesi) e che meglio si potrebbero dire « trasfigurazioni medianiche », ora mirabilmente, studiate e certificate da un chiaro naturalista e medico, il dott. Gustavo Geley. Si tratta di una proiezione di sostanza o di un plasma vivente emanato, dal medio durante il suo stato ipnotico, che assume forme organiche per una specie di interiore potenza plasmatrice o, come dicono. ideoplaslica. Rimanendo pure col Geley nel campo fisiologico, è lecito domandarsi come avvenga che l’organismo materiale e solido emetta questa sostanza eterea e vivente, e che significhi quel dinamismo vitale e quella idea direttiva che il Geley pure riconosce necessaria nelle formazioni organiche e normali e sopranormali. Sembra che cotesto principio dinamico supcriore abbia la virtù di costruire l’organismo-e d’organare il plasma vivente: o ne de
suma gli elementi dal corpo stesso del medio... o da quello dei circostanti spettatori o dagli oggetti e dall’atmosfera che lo circonda o in qualunque àltra guisa.
Questa che chiamiamo « ideoplastica », formazione della materia vivente per opera della idea creatrice e direttiva dimostra che l’idea, lungi dall’essere un prodotto della materia, è quello che la modella, la plasma, e forse anche la crea, come forza d’ordine superiore ».
L'idea della quale qui si parla non è quella degli - idealisti » che deducono l’oggetto (materia) dal soggetto (spirito); se non si esce ancora dal campo del dualismo, « è tuttavia chiaro », conclude il Chiapponi, • come il Geley riconosce, e noi siamo ben lieti di riconoscere con lui, che tutto ciò è la inversione totale della fisiologia materialistica (c'esl là le renver-sement total de la physiohgie matérialiste); fisiologia alla quale tanti, anche psicologi, aderiscono ancora, specialmente nel campo medico, per abito inveterato di ingenuo Sositivismo; c che oggi, nel campo stesso elle scienze sperimentali e della « filosofia della scienza • è battuto in breccia da una dottrina provvisoria che si pò-, irebbe definire: positivismo spiritualista.
MISTICISMO ED ESTETISMO
I cattolici italiani hanno mantenuto un atteggiamento di diffidenza verso Gabriele d Annunzio quando questi, neH’invecchiare della sua arte, incominciò a misticheg-giare, ricorrendo largamente a motivi e forme del rito cattolico per esprimere il cruccio interiore di un sensualismo stanco e pure insaziato: processo che fu poi intei rotto dalla guerra: c cioè da un nuovo indirizzo del poeta abruzzese, poco atto ad intendere l’ideale contenuto di fede e di sacrificio che è nella guerra stessa, Suando è combattuta con intimo senso di overe, per la tutela di quella somma di beni ideali che è la patria e l’umanità, .ma che la guerra esalta magnificamente come semplice espressione di volontà e di forza e di potenza, e pur prelude a quel contenuto spirituale che caratterizza, come momento storico attuale, questa grande lotta dei popoli: la guerra non degli junkers e dei cacciatori tirolesi, ma quella di Wilson e di Loyd George.
Nel misticismo dannunziano l’insincerità delle sopravvenute forme cattoliche, l’adattamento di esse ad un naturalismo ingenuo e pur raffinato, come una nuova
98
2«O
BILYCHNIS
maniera di raffinatezza che. declinando la potenza giovanile di conquista c di possesso, cercava in una specie di approfondimento della sensualità nuove suggestioni ed espressioni, era troppo evidente; e i cattolici rimasero freddi ed ostili dinanzi al poeta del $. Sebastiano e delle Meditazioni.
Forse non. altrettanta cautela hanno mostrato taluni cattolici francesi dinanz: a certe conversioni recenti di loro scrittori e in particolare dinanzi al cattolicismo di Paul Claude!, uno dei più celebrati; de! quale, nel numero ultimo delia . Critica, B. Croce fa giustizia sommaria, in una breve postilla; del Claudel da cui d'An-nunzio attinse a piene mani. Citati alcuni versi del C. che egli prende da un ammiratore inglese {Quartcrly lìeview, genn. 1917) il quale vi trovava una «deliziosa bonomia ■ il C. commenta: « Altro che bonomia! Questo è voltei nanismo bello e buono, di un animo che sente come puerili e ridicole le idee e le figurazioni cattoliche c le pratiche del culto; e il ghiribizzo, che è saltato in testa al Claudel, di spacciarsi per cattolico, facendogli versare su questa comicità una istrionica unzione e compunzione, la rende anche più comica, e più volterrianamente ii riverente... Nell’inno a Dio (che è pubblicato con molte altre composizioni simili nel volume: Corona benignitatis anni Domini, 1915) sono questi due versi, nei quali l’intenzione comica è exidente, con le bi accia aperte à dimcnsion e che rimano conAscenston:
Mais je vais avoir le snidi mime, j'ouvre les bras à • [volre dimenston. le regarde au plus haul du del un potiti d’or commc (au jour de volre Ascenston
• Quale più efficace modo di rappresentare un tartufo che fargli aprire le braccia « dimenston di Dio?
• E se mi si abbandonasse questa lirica rlaudeliana cattolica come una poesia giocosa, la gusterei taluna volta. Chant de l’épiphanie. I poverelli è ben naturale che stiano intorno al presepe.
* Graziosi i tre re Magi del Presepe Ma con i sapienti e i Re è ben altro affare. Bisogna, per trovarne tre, smuovere tutta la terra. E ancora non sono proprio i più illustri e i più alti Ma una specie di Magi pittoreschi, dei piccoli sovrani [coloniali E per metterli in moto c'è voluto, uon una semplice [citazione
Ma una stella dei cielo «tesso, la quale dirige la spedizione...
tre reucci pittoreschi, paragonati a • tre piccoli re coloniali ». Sainte Odile:
E tuttavia essa era la mia grande figlia prediletta« [io non poteva fame a meno. La mia grande Odile dal viso si dolce, con dei piccoli
[punti di lentiggine La mia figlia di Alsazia in oro. carica la testa di seta [come una conocchia
« Cara, quella ragazzona dal viso dolce, lentigginosa, e con tanti capelli d’oro sul capo da parere carica come una conocchia! .
« Che se una simile parodia il Claudel compisse anche pei personaggi del suo teatro, la mia riconciliazione con lui sarebbe piena, perchè, proprio, non avrei altro da desiderare. Ma la trasformazione parodistica gli viene spontanea nelle cose di religione, che non sono per lui serie, e non gli accadrebbe in quelle altre, che sono invece, nel suo animo, un affare molto serio ».
Sin qui il Croce; il quale aveva notato, cominciando: • Direi che lo stesso spasmodico fremito che pel Barrès è il’ nazionalismo. è, pel Claudel, la religione; nè voglio- di ciò altro testimone che lui stesso, cioè le parole semioscene, con le quali egli descrive il suo piacere neH’unirsi al cattolicismo. Assouvissement camme de la nourriture, satisfaction cornine de la' jonclion de t’homme avec la ¡emme ».
Crediamo che il giudizio del C. sia eccessivamente severo; comunque, esso deve far pensare. Questi atteggiamenti di un poeta che molti cattolici incautamente celebrano, hanno una causa vasta e profonda nello stesso degenerare del cattolicismo; e ci fanno tornare in mente un altro fenomeno che è, in sostanza, dello stesso genere: i quasi sei milioni —- di chi? — depositati in una banca cattolica di prestiti rurali e dati da questa al dannunziano Luca Cortese per moralizzare il teatro italiano.
LIBERTA*, E DETERMINISMO NELLA STORIA E NELLA GUERRA
Nella Nuova Antologia, numero i° luglio 1918, R. Murri si occupa, di questo problema, così interessante, di filosofia della guerra. Parlando’dì essa, égli osserva, 3uasi tutti applicano talora la categoria i necessità, talora quella di libertà; c'spesso con grande confusione fra l’una
99
TRA LIBRI E RIVISTE
201
e l’altra, senza chiara coscienza di quello che ciascuna significa.
Nessuno pensa a negare agli eventi storici un certo carattere di necessità. Nella stessa nostra esperienza personale noi vediamo come la scelta libera avviene sempre in un campo limitato di autocoscienza: le ragioni intime, le ripercussioni, gli effetti di quello che deliberiamo di fare non ci appariscono che in parte. E la scelta avviene quasi sempre intorno ad applicazioni concrete di direttive già da lungo tempo predefinite; essa è come la rotta, la notazione nel corso dei fenomeni, di una volontà intima e profonda, le cui origini e ragioni vere sono nascoste in un'ómbra che pochi cercano di diradare e che nessuno può intieramente illuminare. E come non sappiamo di dove la nostra azione libera viene, così non sappiamo esattamente dove essa va; c’è sempre un margine di ignoto, di rischio, di definibile solo ulteriormente, che è ancora il campo della necessità. La nostra libertà, quindi, agisce, in certo modo, nel determinismo; non è che il dispiegarsi, in forme di scelta consapevole, di una volontà che ha la sua sede nel più intimo della nostra vita spirituale e che ci associa a tutto un mondo storico di formazioni, di azioni e reazioni spirituali, del quale solo è Vazione nella concreta pienezza del suo significato.
Questa sproporzione fra la volontà personale attuale e la storia, e trascendenza della seconda, ci apparisce tanto più evidente se del fatto storico consideriamo non solo l’aspetto che esso ci offre nella attualità, ma la concatenazione con tutto quello che segue, nell’unità nella quale gli avvenimenti si vanno componendo nello spazio e nel tempo. E spesso per giudicare del valore oggettivo di un atto o di una dottrina ci è necessario lare appello alla storia, cioè ad un corso di eventi sufficientemente ampio e lungo per mostrarci dispiegato il valore che era in quell’atto o in quel pensiero; e sempre •1 sacrificio per una idea è un appello all'avvenire ed insieme un riconoscimento dell’indissolubile nesso che eleva l’atto del singolo a un farsi di tutta la storia. Leroe, come dice il poeta,
getta, ultima sfida, l’anima ai fati, all'avvenire, a Dio.
Ma da ciò apparisce anche la natura di tale necessità. Essa non è contro la no
stra volontà libera, non la nega, ma appare anzi accettata e postulata da questa, se la si collochi nel suo vero mondo. Io agisco volendo tutta la mia azione; e quindi anche quella parte di essa che ora mi sfugge, che non è in mio potere. Faccio Quello di che o la legge stessa del mio spi rito, che è legge dello spirito, o una esigenza storica che io veggo, e che ha il mio consenso, mi impongono di fare. Ogni mio atto libero è un appello alla storia e la fede, la certezza morale, che la storia debba rispondere. La storia, con le sue leggi e le sue occulte energie, nel suo corso, non è prima e fuoii della volontà umana. Questa non apparisce solo a rispecchiare c ad accettare e a subire; prima di essa e fuori di essa non c’è stona, ed essa è a se stessa la sua libertà e la sua ftecessità.
Necessità, adunque, ma che è come la universalità del volere, l’insieme delle condizioni storiche e dei fini immanenti della volontà umana, di cui l’atto libero di ora è un momento: compendio, a un tempo, di tutta la storia precedente che vi confluisce, inizio di tutta la storia ventura, che ne sgorga.
Da ciò apparisce anche in qual senso i fini della guerra trascendono i combattenti; e come dalla più tragica affermazione di determinismo storico emeiga il più alto e puro atto di affermazione di fini ideali, di dominio della storia da parte della volontà umana, che il mondo abbia mai visto. I fini più alti sono i più necessarii. quelli nei quali si raccoglie, un più largo e sicuro consenso. È il loro contagio spirituale che ha tratto nella guerra anche l’America di Wilson. Proponendoceli, noi non pretendiamo che essi si avvereranno in tutto e presto: ma li affidiamo* al corso della storia, perchè questa li prenda con sè, li incorpori in sè, subisca la loro pressione, si faccia sempre più essi. Le resistenze, le reazioni; le contradizioni che quei fini provocano e provocheranno sono anche esse volute da noi, in quanto solo forzandole a rivelarsi, affrontandole, vincendole, quella nostra volontà potrà realizzarsi. Questo determinismo, al quale diamo la spinta, fa dunque parte dell’oggetto stesso della nostra volontà. La libertà è liberazione: sovranità e ribellione a un tempo; molteplicità infinita e discorde che si affatica, tumultuando, dall’interno, verso una infinita unità. . ut.
100
202
BILYCHNIS
PER IL IV CENTENARIO DELLA NASCITA DELLA “ RIFORMA ” (31 OTTOBRE 1517 - 31 OTTOBRE 1917)
iv.
RAPPORTI FRA LO SPIRITO DELLA RIFORMA E QUELLO DELLA GERMANIA CONTEMPORANEA-LUTERO COMMEMORATO IN GERMANIA
Spettatori da quattro hanni dell’interminabile duello oratorio con cui i rappresentanti politici dei due gruppi di nazioni co-battenti si palleggiano le responsabilità della presente guerra, non abbiamo forse diritto di troppo maravigliarci se gl’intellettuali e idealisti dei due campi, spinti dall’esigenza ideologica di scorgere negli avvenimenti umani la forma concreta e la solidificazione di categorie di sentimenti e d’idee, tentano di scoprire quali siano le responsabilità filosofiche, sociali, religiose, delle diverse concezioni e mentalità politiche ora cozzanti sui campi cruenti; e se di tale tendenza si siano impadroniti noni ni di poca fede o di mala fede, .per tentare di rappresentare la complessa realtà di una guerra mondiale come il prodotto ultimo di un'antitesi maturatasi in quattro secoli d’incubazione, e di racchiudere la interpretazione della vasta tragedia nel binomio: Protestantesimo-Cattoìicismot Già su queste pàgine (vedi Fascicolo 31 gennaio 1918) il solido c brillante collaboratore Mario Rossi ha fatto ragione del miraggio e del mito della guerra religiosa tra latinismo-cattolico e germànesimo-protestante
- Io vedo cattolici e protestanti da una parte — ricordo poche frasi della sua stringente conferenza « I sofismi sulla guerra » — cioè dalla parte della civiltà e della libertà, ma più protestanti che cattolici, e dall’altra protestanti e cattolici; i cattolici della Germania e dell’Austria, i primi cattolici del mondo la speranza della.Chiesa Cattolica, la forza della Chiesa cattolica, e più cattolici che evangelici!
• Giunca tori di teorie, fatevi avanti e teorizzate!
« ...Ma di grazia, di quale protestantesimo parlate? Parlare di protestantesimo come se esso fosse un rigido corpo uniforme, reggimentato come il cattolicismo papale, e restato uguale sotto tutti i cieli nello spazio di quattro secoli, è opera o di malafede o di ignoranza!... Identificare la licca varietà della Riforma, che ha trovato il suo terreno favorevole in paesi cosi differenti dalla Germania, come la Francia, la Svizzera, l’Italia, la Moravia, la Boemia, l’Ungheria, la Transilvania, l’Inghilterra, la Scozia e che ha subito tante profonde trasformazioni, con la Riforma Luterana!... •
La polemica ha dilagato in conferenze e articoli di riviste: da parte di cattolici spesso sotto forma di insinuazioni o di ar-S;omentazioni a priori-, da parte di sedicenti iberi pensatori e positivisti che del « protestantesimo » conoscono spesso solo ciò che ai cattolici è piaciuto di far loro conoscere, sotto forma di disquisizioni pseudostoriche, di affermazioni altrettanto ricche di acume quanto povere di spirito mitico e di spassionatezza;.da parte di oratori e scrittori di riviste appartenenti al movimento della riforma, con critiche e analisi che hanno, per lo meno, avuto il merito di gettare maggior luce sulla fisionomia della Riforma luterana, dei movimenti da essa derivati, sulle sue degenerazioni e caricature, prima fra tutte il Germanismo e il militarismo prussiano.
È tra queste voci che dovremo limitarci a spigolare, cominciando dà quelle che rasentano e forniscono elementi indiretti alla questione, mosse più che da scopo apologetico, da sentimento di doverosa giustizia anche verso la nazione che ha dato al mondo Martin Lutero.
Ecco ciò che La Luce, settimanale fiorentino, scriveva commemorando il IV Centenario:
« L'atteggiamento fiero e santo del monaco sassone — che ebbe così vasta ripercussione e diede un impulso potente ai moti
101
TRA LIBRI E RIVISTE
203
1 ¡formatori che si delinea vailo contemporaneamente nei diversi paesi europei — fu al tempo stesso un compimento e un inizio. Già da secoli, ovunque, la Riforma si prepa• rava: i Catari, eli Albigesi, Pietro di Bruys. Pietro Valdo, Claudio di Torino, Girolamo Savonarola, Giovanni Vicleffo, e i Lollardi, Giovanni Hus e i fratelli di Boemia e tanti altri nel Medio Evo avevano coltivato, ave-vevano seminato, avevano fecondato col sangue del martirio. Alcuni anni prima di Lutero, nel 1512, un francese, Lefèvre d’E-taples, aveva proclamato i principi evan-Ìe ici dell’autorità della Sacra Scrittura e
e la giustificazione per fede. E nessuno . ignora che il riformatore svizzero Zuinglio tracciò il suo solco' indipendentemente da quello di Lutero e ch’era giunto alle sue conclusioni prima di avere udito la voce che veniva dall’altra parte del Reno.
• Era dunque un’ aura pura, balsamica, era un vento di rinnovamento e d’affrancamento che soffiava ovunque.
« Ecco perchè il giubileo della Riforma è celebrato ovunque, in questa settimana, dai 130 milioni di protestanti che per dovere morale sono schierati in battaglia contro i 47 milioni di protestanti e i 64 milioni di cattolici che annoverano §l’Imperi centrali: lo si celebra in Francia dai discendenti degli eroici Ugonotti che oggi versano il sangue per la Patria con una nobiltà che strappa accenti commossi d’ammirazione all’ académico Maurice Barrès; lo si celebra in Gran Bretagna e negli Stati Uniti: si onorano di celebrarlo in Italia i V^desi, .che rappresentano il popolo evangelico più antico che la storia ricordi: lo celebra altresì solennemente Ginevra, la città di Calvino, il cui cuore, a dispetto della neutralità politica, batte all’unisono col. cuore dell’Intesa.
-Questo che vuol dire? Vuol dire:
« i° che si comprende bene che Martin Lutero, come tutti i grandi geni che eccellono al di sopra della media altezza, fu sì tedesco per le sue caratteristiche più individuali e quindi d’ordine inferiore, ma in ciò che la sua personalità ha di più forte e di più nobile, in ciò che l’opera sua ha di più puro e di più vero e permanente, non sta racchiuso entro le frontiere d'una nazione, non è il prodotto nè il possesso d’un popolo; appartiene al dominio dell’umanità, è patrimonio di tutti i popoli.
« 2® Che si commemora piuttosto che l'uomo, l’affermazione, l’atteggiamento per cui egli fu grande. Il 31 ottobre 1517 di-.
venta la data simbolica di tutte le'più sacre rivendicazioni, di tutte le più care libertà: la rivendicazione dei diritti dello spirito creato da Dio per altri fini che di cadere schiavo degli uomini, la libertà di coscienza che non tollera imposizioni c vuole scegliere da sè l’altare da cui elevare al cielo l’incenso della sua adorazione.
« 3° Che la Germania, la quale ha preparato e conduce la presente guerra, non è la Germania di Lutero e della Riforma. Meno di ogni altro popolo essa ha il diritto di. rivendicare l’eredità del 15(7.
e Nella Germania ufficiale imperialista c materialista, vedo il materialismo pagano che ritorna, talvolta sótto una cinica forma mistica, nel pangermanismo dei Clausewitz, dei Treistchke, dei J. von Hartmann e del loro docile discepolo generale von Ber-nhardi. Al posto di Martin Lutero e della divina sapienza d’un evangelo di giustizia e d’amore, da lui restituito al popolo, io trovo un Federico Nietzsche, il quale nella sua mostruosa follia divenuta incredibilmente epidemica in certe classi dirigenti declama:
« Voi avete udito che fu detto: — Beati ' i pacifici! — Ma io vi dico: Beati i guerrieri perchè entieianno nel Valhalla, e sai anno chiamati non i figliuoli di Geova. ma i figliuòli di Wotan, che è più glande di 1 Geoya ».
Che idea strana — scrive sulla Revue Chrélienne del dicembre 1917 M. Kirsch - -è quella di voler far pagare a Lutero il conto di Guglielmo //-E forse Lutero meno Lutero, o la sua opera è meno considerevole e benedetta perchè quattro secoli dopo di lui, sul suolo da lui lavorato, seminato, fecondato dalla sua fede e dal suo coraggio, si sono levate generazioni servili guidate da principi ebbri d’un orgoglio che non lasciava sussistere in essi un atomo d’umanità? Se Lutero dovesse sparire dal primo piano a causa dei luterani, o pseudo-iu- 1 terani, indegni di lui, perchè non far subire la stèssa sorte allo stesso Cristo? Giacché, per quanto il Cristo non sia spesso menzionato nei discorsi del Kaiser, esso non è assente dalla religione ufficiale della Germania, ecc. ».
« Lutero — scrive sul foglio parrocchiale di Montbeliard G. Jaulmes — è senza dubbio il tedesco che ha resistito con la mag-Sior energia ai capi politici del suo paese.
•gli ha loro ammannite la verità « nuda e cruda • in più occasioni} A Worms egli sfidò tutti i detentori della autorità nell’im-
102
204
BH.YCHNK
pero, a cominciare da Carlo V in persona sino ai principi della Chiesa e al Legato del Papa. Se egli avesse vissuto nel 1914, è più che verosimile che Guglielmo II si sarebbe veduto resistere da un uomo assai più ardito di Liebknecht: da un nuovo profeta Nathan o da un nuovo precursore che avrebbe stimmatizzato la condotta odiosa d’un personaggio coronato ».
Ma è egli esatto che, almeno ecclesiasticamente, la Prussia moderna riconosca Lutero come il fondatore della forma ufficiale di religione a cui essa aderisce? Professa insomma la Prussia, almeno a parole, la concezione religiosa implicita nella riforma luterana? A questa questione risponde sul Le Témoignage di dicembre A. Bour-lier:
« Dacché siamo in guerra, una certa stampa che sotto un’apparenza di patriottismo ceica invano di dissimulare il partito preso confessionale, sfiuttando il fatto che Lutero è tedesco, cerca di coinvolgerlo nella guerra attuale, e di coinvolgervi oltre la sua persona, il protestantesimo intero. Si parla correntemente in questa stampa della Germania e della Prussia luterana; si parla dell’imperatore luterano Guglielmo. Non ha egli, del resto,' chiamato Lutero suo amico? Si ricordano i misfatti di una discendènza intellettuale che parte dal Riformatore per metter capo a Nietzsche passando per Kant. Ci si dice che lo spirito luterano ha creato la Germania moderna, che il suo • virus » l’avvelena ancora oggi c che la guerra attuale è la crociata nefasta e perniciosa del luteranesimo contro il cattolicesimo.
« Quante parole, altrettanti errori.
• Anzitutto è falso che il luteranesimo sia una cosa sola colla Prussia. Ben lontano dal far causa comune e identificarsi eon essa, il luteranesimo al contrario non ha avuto in Germania avversari più pericolosi che gli Hohenzollern, nè che abbiano portato alle sue tendenze vitali colpi più sensibili e formidabili. Bisogna dirlo e ripeterlo con insistenza: la Prussia non è un paese luterano e il suo imperatore non è luterano. Il fatto e la verità storica è, che i re di Prussia per ragioni politiche e colla violenza hanno abolito il luteranesimo nei loro Stati. La Chiesa nazionale prussiana quale esiste ai nostri giorni (essa porta il titolo ufficiale di Chiesa unita) è una creazione artificiale e utilitaria dovuta alla pressione dell’autorità reale che ha voluto prendere in mano il governo morale del
paese e che perciò non ha esitato a violentare le coscienze. Essa è stata fondata da Federico-Guglielmo III nella prima metà del secolo xix, non col ravvicinamento, spontaneo delle due confessioni, luterana e riformata, ma con una fusione che è stata imposta dall’alto e sanzionata con modi draconiani contro i luterani ricalcitranti. Suesta politica di unificazione religiosa che
Prussia ha brutalmente perseguito e realizzato per sè dopo la fondazione dell’impero, l’ha ripresa e continuata con abili sistemi in tutto il resto della Germania. È facile capire i vantaggi che essa spera di trarne per la sua politica di concentrazione e di accaparramento.
• Lo spirito del luteranesimo non potrebbe più in nessun modo venire assimilato a quello del germancsimo, essendo con esso agli antipodi. Lo spirito del ger-manesimo moderno è lo Stato autoritario e centralizzatore, è la gerarchia, la burocrazia. il tradizionalismo che si ostina a conservare in favore di una casta tutti i privilegi e tutti gli onori, ma è anche e soprattutto il militarismo che subordina ai suoi fini tutta la vita pubblica, che assoggetta l’individuo ad una disciplina automatica e ne fa, nel vasto ingranaggio dello Stato.una ruota minuscola e insignificante. Questo spirito militare, organizzato per la dominazione e la conquista, non data,del resto, come abitualmente si crede, dalla Prussia dei nostri giorni; esso ri-monta a prima ancora che la Riforma; esso è proprio e inerente alla razza. Questo spirito, la Prussia non l’ha creato: essa l’ha trovato alla sua culla, utilizzato, fortificato, ed è grazie ad esso che ha potuto cimentare col ferro e col sangue il suo- formidabile e micidiale organismo.
«Lo spirito di Lutero è reazione, protesta ideale contro l'istinto decadente e grossolano della sua razza. È lo spirito del vero individualismo, rispettoso, senza dubbio, della tradizione e della storia, ma che fa posto, il suo posto normale, all’individuo; gli assegna una funzione morale pel servizio comune, e in conseguenza, è l’ispiratore e la garanzia di una libertà, di una giustizia, di un diritto superiore. Lutero era certamente tedesco, e amava il suo paese; ma egli ha quasi sempre preso una posizione opposta a tutto ciò che i suoi compatriotti pensano e dicono oggi. Molto prima di Pascal, egli insorge contro il diritto di cui la forza sola si appropria giustificandolo e fa sua la bella massima di un
103
TRA LIBRI E RIVISTE
205
antico che vai meglio subire l’ingiustizia che commetterla. Il germanesimo d’oggi vanta le bellezze e i benefici della guerra; il Riformatore vede in essa la piaga più terribile. Il germanesimo d’oggi esalta la violenza brutale e ammira solo il successo; egli, Lutero, non considera e non apprezza che la bontà della causa che si difende. Il germanesimo d’oggi glorifica la Germania e la-divinizza: Lutero al contrario la tratta duramente, denunzia i suoi vizi, e le fa intravedere il castigo.
« Il luteranesimo infine non ha alcuna parte importante nella politica della Germania di adesso, e perciò sarebbe ingiusto di farne l'ispiratore immediato o lontano della guerra attuale. Esso rappresenta ancora, in alcuni tratti, lo spirito individualista, particolarista, locale della Germania antica, quello al quale si imputano tutte le disillusioni e le disgrazie della sua storia. Nella sua forma originaria, esso conserva nel resto, una profonda intimità, un senso genuino di rettitùdine, un disinteresse intellettuale che fanno sorridere il tedesco d’oggi, e che non quadra più con lo.spirito mondiale di cui egli si vanta, che stona coi suoi feroci appetiti e col realismo della sua vita politica e sociale.
« Mas^jinilianp Huidcn. uno dei pubblicisti più' rumorosi e pretenziosi della Germania moderna, ci djce senza ambagi ciò ch’ali pensa.del lutejaùesimo, é ciò ch'egli ne pensa non è molto favorevole ad esso. Egli lo opprime sotto il peso delle sue critiche e del suo sprezzo. Secondo lui, è alle tendenze predominanti del luteranesimo che si devono attribuire le lacune della politica tedesca. Il luteranesimo, ed è questo il suo gran torto, non ha saputo transigere con l’individualismo cristiano. Anche la pietà‘luterana va divenendo una cosa sempre più antiquata. Nella sua Politica tedesca, il manuale classico del pangerma-nesimo ponderato e scaltro, il principe di Bülow va d’accordo col più enfatico dei giornalisti. Egli dichiara senza esitare che ciò che imbarazza nei contorni della politica tedesca, è ciò che in essa ancora sussiste d’individualismo, e di questo individualismo, non lo dimentichiamo, il luteranesimo è uno dei principali responsabili...; egli giunge a citare piuttosto per approvarlo, il 5indizio espresso daain.ambasciatprete¿ esco .all’estero: « Non vi sono che due organizzazioni perfette sulla terra: l'armala prussiana e la Chiesa cattolica ».
« Antitesi impressionante e che trova la
sua spiegazione nella natura profonda delle due Chiese: nel paese in cui la Rifórma si è dapprima affermata, non è il luteranesimo che detiene la potenza politica, ma il cat-tolicismo, ed un giorno si resterà forse stupiti nell’apprendere la parte considerevole che il Centro avrà avuto in certe questioni d’ordine internazionale che hanno preceduto la guerra e che non hanno mancato di avere su di essa una grande influenza».
Dopo questa « presa del toro per le corna » per quanto riguarda raffermato luteranesimo delta Prussia moderna, ecco un altro polemista brillante e dotto, John Viénòt, a contestare l’accusa parallela de! preteso prussianismo di Lutero. Nel suo opuscolo « Luther et l’Allemagne » (Paris-Fischbacher) riproduzione della conferenza tenuta alla Sorbonne:
«Ah! io so bene che Guglielmo lì ha detto: « Il mio amico Lutero ». Ma che davvero vorreste cedere all’imperatore tedesco tutto Ì nello che egli pretende di annettersi:
.utero, Gesù Cristo... Dio stesso?*
« Lutero! Ah! Se egli potesse risuscitare, lo sentiremmo gridare dinnanzi al Belgio torturato, dinnanzi alla Serbia crocifissa, davanti alla Francia coperta di rovine: «Che razza di Cristiani son questi che in nome del Vangelo agiscono da briganti c da ladri? Come osano essi chamarsi evangelici? » Egli che grillò ai suoi contemporanei con la sua voce potente: « Ciò che dovete considerare non è già la vostra forza e il torto dei vostri avversari, bensì se ciò che voi fate è secondo giustizia e coscienza » Lutero amico dei re e dei principi! Ascoltatelo: « Voi dovete sapere che. dal principio del mondo, è raro trovare un principe prudente: più raro ancora un principe probo ed onesto. In genere si tratta di esseri superlativamente vani e di grandi'furfanti, dai quali c’è sempre da aspettarsi il peggio, quasi mai il bene, specie quando si tratta d’interessi delle anime. Essi servono a Dio solo da littori e da carnefici quando egli vuol punire i cattivi... ».
Ascoltatelo ancora: si direbbe che si rivolga a Guglielmo II: « Questa povera e miserabile creatura, .l’imperatore nostro, che non può disporre neppure di un istante di vita, eccolo gloriarsi impudentemente di essere il vero e sovrano difensore della fede cristiana... O Dio quanto è insensato il mondo! E perchè non vi sono anche dei principi per proteggere Gesù Cristo, ed altri per proteggere lo Spirito Santo? Allora sì
104
20Ó.
BILYCHNIS
che la santa divinità della fede sarebbe finalmente abbastanza difesa! »...
< Lungi dall’essere l'ispiratore della Germania moderna, Lutero è un padre i cui principi sono stati in gran parte rinnegati dai suoi figli. 11 gran principio di Lutero — i nostri avversari che ci rimproverano continuamente di essere degli individualisti c dei repubblicani, lo sanno bene — è appunto l’individualismo. Egli ha rigettato tutte le autorità che non s’imponevano alla -sua libera coscienza: papi, concilii, padri, e non s’è inchinato che innanzi alla Bibbia e a Gesù Cristo. E così facendo, che lo volesse o no, egli affrancò anche gli altri; e tutti gli alin riformatori hanno fatto lo stesso. Rivendicando la libertà per se stessi, essi hanno logicamente — talvolta anzi a malincuore — lavorato per la liberazione degli altri: ed è questo principio d’affrancamento futuro che essi hano deposto nel mondo, che ha liberato successivamente la Svizzera, la Scozia, l’Inghilterra, l’America e il mondo. La Riforma è l’individualismo. E invece il principio tedesco è oggi esattamente l’opposto: l’organizzazione, cioè « il sistema in cui il bene e l’interesse degli individui è subordinato a quello del gruppo »: è il principio che regna fra i primitivi selvaggi, i paesi divisi in caste, i Gesuiti: non è davvero il principio protestante... E noi, volti verso i Tedeschi organizzati, possiamo dir loro fieramente, ancor prima di aver giudicato i loro delitti: ■ Voi avete oggi uno spirito che non è il nostro: voi non siete nostri fratelli. Nostri fratelli sono, in tutti i paesi, fra tutti i partiti, in tutte le Chiese, coloro che pongono al primo posto il principio sovrano della libertà individuale, coloro che non possono neppur concepire che vi sia una umanità possibile, se il suo avvenire e il suo progresso non riposano anzitutto sul tripode tre volte santo: coscienza, giustizia, libertà'.'*
P>il Viénot ha rievocato alla fine del suo discorso le parole del Faguet:
« Se si riflette che Kant è uri prodotto naturale del Luteranesimo, che le sue idee su l’indipendenza dei popoli derivano direttamente dalle idee luterane sull’autonomia degli individui, si può dire che non è solo contro Kant, ma contro tutta la sua tradizione intellettuale ed etica che la Germania è in rivolta, in questo momento. Essa rinnega Leibnitz, Goethe e Kant. Essa è in rivolta contro la propria anima ».
Sì: se si voglia ammettere che Lutero è l’anima della Germania, si conceda ancora
col Faguet che contro quest’anima, la Germania è in piena rivolta.
Ecco . come il medesimo oratore e pastore ritorna sull’ argomento in un discorso a l’Oratoire du Louvre a Parigi, in cui rifà la storia della degenerazione e infedeltà tedesca: «...Fu il principio di fede e libertà che la Germania del secolo xvi ricevette dalla Riforma e ch.c la salvò durante parecchi periodi della sua storia: ed ecco il principio che essa ha lasciato perdere e adulterare, a tal punto che non è più possibile riconoscerlo nella massa dei Tedeschi di oggidì. È questo principio che ha fatto di Ginevra un seminario di moralità; è questo principio che ha formato la Scozia, che ha foggiato la libera America, e che, ridiscopcrto nel secolo xvm da quei sovrani conduttori di uomini che furono Whitefield e Wesley, ha formato • l’Inghilterra d’oggidì. Ma bisogna riconoscere che ben presto in Germania questo principio fu soffocato dalle circostanze che gl’impedirono di produrre tutti i suoi frutti di libertà e di moralità... Per poter operare la riforma e conservarla in un tempo ed in un paese in cui la volontà popolare contava per nulla, Lutero fu costretto ad appoggiarsi ai principi, e questi abusarono delia loro autorità e fecero fallire l’applicazione del principio riformatore. Certo, Lutero, malgrado il suo genio, non fu a tal riguardo immune da debolezze. Ma almeno egli seppe resistere nobilmente a tutti gli attentati contro la sua coscienza di scrittore e di riformatore da parte dell’autorità civile. Ma non fu lo stesso dopo la sua morte. Tholuck ha scritto la pietosa storia della Chiesa Luterana nel secolo xvn in Allc-magna, quando la Chiesa della Riforma domata dal sovrano riuscì ad una dommatica inaridente senza influenza sulla vita na- ■ zionale. L’alsaziano Spener la ravvivò pe: un istante..., ma la Chiesa non riuscì a infrenare .l’immoralità fondamentale delle grandi e piccole corti tedesche del sec. xvm: la piega era presa: la Chiesa della libertà non era divenuta che una discendenza più o meno onorata del potere civile, dello Stato... imbrigliata da esso e senza influenza su di esso e su la nazione. E questa situazione dura a tutt’oggi.
« Lo Stato protettore della Chiesa ha la mano sì pesante, che esso opprime la Chiesa, la sua Chiesa; talché si giunge a questa mostruosità paradossale, che in Germania la Chiesa Cattolica è al presente più libera che la Chiesa dell’ impero e della maggio!____________________________________________________________________________
105
TRA LIBRI E RIVISTE
ranza. Ecco un giorno un pastore, che commosso dalle.sofferenze popolari osò mettersi alla testa d’un movimento di cristianesimo sociale... Il movimento prese vita e si sviluppò, fino al giorno in cui l’imperatore l’arrestò di netto con la sua famosa lettera in cui, alludendo al pastore Stoecker scriveva: « Dei Pastori politicanti! Ma è un assurdo! I signori Pastori debbono occuparsi delle anime dei loro fedeli, coltivare la carità, e lasciare la politica da parte, perchè essa non li riguarda affatto ». Non li riguarda affatto'. Perciò §i guardino bene dall’osservare e deplorare le miserie.sociali, dal denunziare le alleanze mostruose coi Turchi sanguinari, gli affari scandalosi, l’immoralità delle corti e delle capitali, le guerre ingiuste, le annessioni sènza diritto.. Voi mi domandate come possano i figli della Riforma essere i carnefici del Belgio, i torturatori delle nostre provincia, i bruti che proteggono la loro linea di fuoco con una cortina di vecchi, di donne, di fanciulli? Rispondo che non sono i veri figli della Riforma, perchè in Germania la Riforma è stata incatenata, addomesticata; resa incapace di far rendere alla massa del popolo quei frutti di moralità e di vita religiosa che non possono germogliare e crescere che nel terreno della libertà!
« Noi protestanti francesi possiamo rivolgerci con piena giustizia ed equità ai protestanti d’oltre Reno, e dir loro: Voi avevate ricevuto dei doni'magnifici: un Dio, un Cristo, là Riforma, la Libertà, la Scienza, e voi tutto avete lasciato guastare, distruggere, profanare... Oggi non sono solo gli Alleati o i neutrali, ma tutto il vostro passato che si drizza contro di voi, la vo-stra storia, e quella che, per non so quale ironia, voi chiamate vostra tradizione. Membri della Chiesa Ufficiale, voi avete in pieno secolo xix lasciato annettere senza alcun diritto lo Sleswig-Holstein e prendere l’Alsazia e la I-orena; e voi oggi non [»ròtestate contro la maniera feroce con cui e vostre truppe conducono la guerra... Lutei*) è contro di voi. Figli della Riforma, voi non lo siete più: voi non siete che degli adoratori della forza, dei pellegrini senza anima,inginocchiati dinanzi al vitellod’oro». Ma vi è ancora di più...! si può dire con tutta verità che la massa guerriera in Germania non è più protestante. Per comprendere questa guena e ciò che l’ha resa possibile, e la maniera con cui essa è condotta, bisogna sapere in qual modo la Germania protestante è stata devastata nel sec. xix
dal materialismo, dal libero pensiero, dal monismo, dai sistemi diversi che fan capo all’Haeckel e al Nietzsche... Dal 1880 in poi, Berlino può esser chiamata una « capitale d’irreligione ». I.a gran maggioranza degli operai di Berlino è atea. Nel 1S82 solo il 2 % dei protestanti frequentavano a Berlino uffici di culto: il 26 % dei bambini non sono battezzati: il 59 % dei matrimoni sono civili e l’So % delle, sepolture sono civili. Su 100 membri della Chiesa, solo 13 sono «comunicanti»... Che ne è dunque delle masse? Esse sono alle conferenze-so- ' cialiste, giacché il socialismo tedesco è più anticristiano che altrove. Dove sono gl’intellettuali? Con la filosofia materialista di Haeckel, di Stirner, di Nietzsche, che alla beatitudine di Gesù: « Beati i pacifici » ha contrapposto il suo comando nuovo: « Divenite duri! ».
Ma qui intervengono i Cattolici — osserva il Robertson sul Walchman-Exanti-ner di settembre — a pretendere che della «crisi acuta attuale di criticismo ateo in Germania il responsabile immediato è sempre Lutero col suo isolamento teologico, che pose l’individuo sopra ogni autorità sicché esso non si arrestò fino a che non ebbe su,-perato e Bibbia e Cristo e Die stesso nella sua negazione. Una volta, sparita la Chiesa infallibile, tutto il resto lo seguì nella demolizione». Ma il Robertson denunzia il sofisma specioso di questo ragionamento, per cui mentre si vorrebbe accagionare Lutero della presente follia prussiana avida d’imporre al mondo quello stesso despotismo che la tiranneggia, non si sa viceversa trovare altro argomento che quello dell’tWi-vidualismo sfrenato provocato dal suo grido di libertà religiosa. Non bisogna dimenticare che « La guerra attuale è in sostanza . una lotta fra autocrazia e democrazia: c la patria di Lutero è ora stretta nel pugne da un’autocrazia che è in pieno contrasto con lo spirito d’indipendenza proclamato da Lutero ». E l’A. soggiunge:
«Vi è anzi un sospetto diffuso, che sia proprio il Papa a desiderare secretamente il trionfo degli Imperi Centrali, con la conseguenza di un aumento di potere della Germania. L’Austria è di già a lui asservita: e se tale speranza si realizzasse, la conseguenza sarebbe la demolizione della maggior parte dell’opera di Lutero in Germania ». E termina con uno sguardo fiducioso all’avvenire di una religione spirituale promossa dall’Inghilterra e dagli Stati- Uniti, e avente còme campi di espansione la Francia e la Russia.
J<1
106
208
BILYCHNIS
LUTERO COMMEMORATO IN GERMANIA
La migliore dimostrazione dell’antitesi fra lo spirito della Riforma e quello della Germania contemporanea è quella che ci si offre nell’auto rivelazione che questa ha fatto di sè nel solennizzare a suo modo il ̰ centenario della Riforma. Facciamo una ugace rassegna di tale in volontaria parodia, Seguendo lo studio del Doumergue nel Foi et Vie del 16 novembre 1917.
e Ciò che Lutero è oggi per noi » è una raccolta di 62 articoli i cui titoli: « Lutero e l’anima tedesca »; « Lutero il più tedesco dei Tedeschi »; «Il più grande tedesco »; ■ Lutero il tedesco », esprimono di per sè l’idea dominante. Tra gli scrittori troviamo pochi teologi, e in loro vece una folla di uomini politici, di funzionari di Stato, di personaggi ufficiali: fra essi Box-cancelliere Michaelis, il generale von Mackensen, il governatore della Polonia von Beseler, il ministro della guerra von Stein... Quale disgraziata lista di panegiristi per un Lutero! E non fa meraviglia se essi, con la miglior buona grazia e buona volontà del mondo, gli facciano subire tutte le torture che l’inquisizione non potè regalargli in vita.
« È ad es. un complimento e un omaggio quello con cui von Campe paragona Lutero a Bismarck nell’essere tiranneggiato dal senso del dovere; e con cui von Peter-sdorff lo «associa a Bismarck e a 'Hinden-burg — ma come il più grande dei tre — come espressione del « furore teutonico., non rivelatosi in alcuno con più grande maestà ».
I titoli: « Lutero il più tedesco dei Tedeschi », e simili sono con franca schiettezza spiegati nel senso che se la Riforma riuscì, ciò fu perchè Lutero era un tedesco tipico, e il tedesco è il primo degli uomini; < Solo un tedesco poteva riportare la vittoria... Solo l’atto d’un tedesco poteva generalizzare la vittoria degli sforzi riformatori ». Insomma Lutero avrebbe trionfato nel nome della Germania: e Deutschland uber alles ». E le applicazioni, e i raffronti e le auto-esaltazioni hanno la stura.in onore e gloria di Lutero.
« Noi Tedeschi cerchiamo dapertutto ciò ohe è intimo... noi cerchiamo il sentimento del cuore: l’intimità è la base della nostra religiosità... Il dovere ci rende d'acciaio... Non già come gl’inglesi calcolatori, i Francesi superficiali, gl’italiani snervati... Vi
sono, è vero, in Lutero dei contrasti stravaganti, in apparenza inconciliabili: ma tutto questo è tedesco, e tutto si ritrova in noi: ragione per cui gli altri popoli non ci comprendono, e per cui siamo sovente poco amati ».
Anche pel professor Erman il grido di Lutero «non posso fare altrimenti» è il grido dell’imperativo categorico di Kant, del militarismo prussiano e della colture tedesca in generale. Agire, non già coma io voglio, per un calcolo egoistico ed egocentrico, come quegli astuti d’italiani col loro «sacro egoismo », con la vanità francese del « moi », o col calcolo freddo e senza cuore degli Inglesi.
Tra gli uomini politici, dopo le linee del Eenerale Mackensen che vede la gloria di «utero ammirata per sèmpre tra i soldati dal cantico immortale: «Il nostro Dio è un baluardo », sono notevoli per sapore di profetica ironia le parole di Michaelis alla vigilia della sua pietosa fine, dopo una effimera e ingloriosa comparsa sulla scena del Cancellierato: «Per gli uomini che si pongono — come Lutero — decisamente a fianco di Gesù, che vogliono seguirlo complètamente e per quelli sopratutto che nella vita pubblica hanno una carica piena di responsabilità, la « posizione in faccia al mondo », secondo la Bibbia, è il più difficile dei problemi ». E segue una condanna inconsapevole di se stesso, dei suoi predecessori e successori: « Colui è più grande il cui spirito agisce più a lungo sui posteri: lo spirito di Federico il Grande sta per impallidire. mentre Io spirito di Lutero agisce ancora senza illanguidirsi dopo 400 anni, perchè esso è di origine divina ».
Il fascicolo d’ottobre del Sud deulsche MonatsGhefte intitolato: « Protestantesimo » contiene 23 studi anche più notevoli, specie quello del professore di storia a Berlino, Dietrich Schàfer, su « Il Protestantesimo e lo Stato », e quello su « Lutero e lo Stato • di Albert Hauck professore di storia ecclesiastica a Leipzig. Il primo vuole trovare la spiegazione della « impotenza politica del Luteranesimo » della sua incapacità d’influire sulla vita pubblica del suo paese in quel certo timore del mondo, in quella ricerca di ciò che è intimo, che caratterizza la dottrina e lo spirito luterano. Se ciò si ammette, questo equivale alla sconfessione della pretesa di elevare Lutero a tipo
107
TRA LIBRI E RIVISTE
209
“rappresentativo del tedesco, di farne il più tedesco dei Tedeschi, e di far passar il Germanesimo contemporaneo per una nazione dello spirito di Lutero.
Il prof. Hauck completa e sottolinea, il pensiero del Dietrich, insistendo nell’af-fermare che «Lutero non aveva qualità politiche, nè interessi politici, nè veduteo scopi politici », e che Lutero è stato un gran propugnatore della separazione della Chiesa dalló Stato: affermazione che si presta e favorisce l’equivoco caro ai cultori dello Stato germanico, che la Chiesa deve assentarsi nelle questioni sociali, pubbliche, politiche, e circoscrivere la sua azione nei limiti dei rapporti fra l’individuo e il suo Dio.
• • •
Tra i volumi numerosissimi, il Doumer-gue prende in esame il Missione tedesca di Lulero del Fuchs; il Martin Lutero e noi del Brieger, professore di teologia; il Martin Lulero e la fondazione della Riforma del famoso prof. Harnack. a
Il Fuchs sembra, di tutta l’opera di Lutero, avere meditato con una profondità tutta speciale il famoso passo: « Fa quel che vuoi! Continua a peccare! Ma come potrai peccare, se tu credi ed ami?»
Egli vi legge sensi reconditi, e analisi acutissime, che si riducono tutte a coonestare la condotta della Germania nell'invasione del Belgio e... nel resto, in forza della sua ¡ede e del suo amore.
a « Possono esservi dei momenti in cui il mondo intero ti griderà: tu commetti un peccato. Ma la tua coscienza sa che tu devi commettere questo peccato per evitare un più gran peccato contro la fede e contro l’amore... Solo la tua coscienza può guidarti. Abbi cura che la tua coscienza sia •guidata dàlia fede e dall'amore. Allora tutto andrà bene »... anche se la fede non è che la fede nella missione egemonica dell’impero germanico, e V amore non è che una. superlativa ossessione di amor proprio nazionale, a dispetto di tutto il resto dèi mondo.
E il pastore Fuchs, che ha l’audacia di felicitare Lutero per avere autorizzato la bigamia del Langravio, si rallegra ancor piu con lui per non aver fondato alcuna Chiesa, perchè così: «Egli divenne il padre spirituale della scuola popolare universale.. ciò che più tardi si chiamo: Chiesa di Stato. La Chiesa di Stato deve il suo carattere didattico, educativo, precisamente a ciò
che essa non è una Chiesa, ma una istituzione governativa per l’individuo interiore e per la volontà morale ».
Il volume del Brieger abbonda di critiche e. di elogi per Lutero: questi ultimi sono volti tutti alla sua incapacità o trascuratezza di organizzare una Chiesa, che ne fece l’iniziatore di un soggettivismo assoluto, per cui nulla esiste fuori della coscienza individuale, padrona della Bibbia e di tutto, senza leggi, senza ostacoli, senza Chiese. Resta soló l’io... e lo Stato despota.
L’atteggiamento dell’Harnack verso il Cristianesimo, che egli riduce ai rapporti fra Dio e l'io, è ben noto dopo la famosa controversia col Loisy il quale espresse nell’immortale L* Evangile e V Eglise la. concezione sociale del cristianesimo: e qui lo ritroviamo riaffermato dinanzi alla figura di Lutero.
Di fronte al massacro dei contadini incoraggiato da Lutero, e alle proteste da. esso provocate, Harnack non ha che una parola: « Esse (le proteste) non lo scossero: egli sapeva di avere scritto contro gl’illuminati e i paesani come la sua coscienza gli aveva ordinato ».
E dopo l’individualismo religioso, Harnack deduce dall’atteggiamento di Lutero un altro tratto del pangermanesimo attuale. Lutero « non avendo gli uomini adatti » aveva dovuto rinunziare a malincuore al suo ideale e aveva accordato allo Stato ciò che doveva esser riservato alla Chiesa ». Harnack si congratula di ciò, e considera come una concezione medioevale quella di far tutto rientrare nel dominio della religione. a La Riforma ha apportato a ciascuno la sua libertà, e la libertà per tutti i beni e per tutte le attività della vita, che d’ora innanzi debbono svilupparsi secondo le loro proprie leggi ».
« Questo è equivoco — commenta il Dou-mergue — poiché, in fondo, non vi sono più morali nè più religioni, nè una religione ha una morale e una legge speciale per ogni articolo della vita. Tutto è uno, sopratutto nella religione/ sopratutto nel Cristianesimo. E non credo che Lutero abbia mai approvato urta morale diversa per lo Stato e per la Chiesa».
Il Doumergue conchiude la sua rassegna dei letti di Procuste su cui il-pangermhne-simo neo-luterano ha. voluto torturare il riformatore con queste due osservazioni: «Contro Luterò il riformatore, il neo-lu-
108
BtLYCHNIS
leranesixno pangermanista lancia i suoi elogi più compromettenti relativi alfa guerra dei contadini e alla bigamia dei Langravio. e accetta a suo conto le accuse più gravi lanciate dai polemisti cattolici contro la teologia luterana sullo sfrenato individualismo protestante, sull’abolizione della legge morale, ecc. E finalmente, il
neo-luteranesimo pangermanista s’orienta sempre più verso l’accordo del protestantesimo e del cattolicismo, pangermanisti entrambi, verso la legittimità delle due « tendenze ■ che rappresentano per esso due aspetti della verità, verso la condanna della Riforma religiosa di Lutero ».
G. Pioli.
ETNOGRAFIA
VII.
MITI E LEGGENDE ABRUZZESI
Giovanni Pansa, La « Porta di Ferro » e le Leggende 'Abruzzesi del tesoro nasco-’ sto (Teramo, Tip. De Carolis, 1917). —
Topolessicografia funeraria dell’Abruzzo (Teramo tip. De Carolis, 1917) — Il Rito Giudaico della profanazione del-¡'Ostia e il ciclo della Passione in Abruzzo (Napoli, L. Pierro, 1916).
Da qualche tempo Giovanni Pansa attende a uno studio sui Miti e sulle Leggende abruzzesi. Il lavoro, in via di preparazione, è importante, non tanto come insieme di raccolte, nelle quali la regione del Gran Sasso tiene urt posto notevole nella stona del folklore italiano, quanto per l’interpretazione dei documenti e dei testi popolari, fatta al lume della critica comparata. In possesso dei nuovi metodi d’indagine e di analisi che condussero a scoperte maravigliose nel campo delle tradizioni e delle mitologie plebee, fornito di poderosa coltura storica, archeologica, etnografica, il demopsicologo di Sulmona investe l’argomento, lo discute, lo illumina coll’aiuto dei confronti, ne prospetta una spiegazione.
I saggi che abbiamo sott’occhio, pur essendo capitoli dell’opera in preparazione, denotano fa gravità del lavoro a) quale il Pansa si 4 accinto. Sotto il titolo di Porte di ferro, nei racconti abruzzesi si designano i luoghi dove credonsi nascosti i tesori, e talvolta i macigni, i sassi, i blocchi che serrano le buche, le grotte, gli antri, per cui si accede ai tesori maravigliosi. Spesso 3uei blocchi o lastroni prendono il nome i « pietre del denaro » o anche quello di « pietre del diavolo » per la credenza che lo spirito infernale sotto quelle porte fabbrichi o riponga le monete, con cui accalappiare o comprare le anime.
RELIGIOSA
Le leggende, spogliate del fantastico c ridotte àgli elementi radicali, sono ricordi di quella grande rivoluzione apportata nel mondo dalla scoperta dei metalli; rivoluzione che «ha potuto in processo di secoli contribuire alla formazione di miti e personificazioni allegoriche di divinità infernali o plutoniche, che presso tutte le religioni popolano il mondo sotterraneo, altrimenti conosciute come guardiani dei tesori della terra, telchini, folletti, gnomi, fate, ecc. ».
Nella toponomastica abruzzese sono frequenti non sólo i richiami alle leggende plutoniche, ma anche quelli riguardanti i riti funerari. Le denominazioni vernacole di « murrécene », « murrecàune », « mar-gione », ■ murgette », « pietra murrina » 6 morrecina » sono segni eloquenti dell'uso della « grave mora », che i passanti, come nelle età passate, anche tuttavia, sogliono accumulare sui cadaveri insepolti. Da tali mucchi di pietre, i tumuli prnhitivi, ricordati nell’Abruzzo dai nomi di alcunè località, cornea dire: < Maceria della Morte », • Ciocca dei morti », « Colle del morto »; come dai banchetti funerari la gran quantità di ossa e di reliquie umane che si rinvengono nei tumuli, e dà cui traggono origine le designazioni di «Grotta della carneria ». « pietra carnaria ». Dall’uso dei colombari, ove venivano raccolti i teschi, le indicazioni di « Grotta dei piccioni ». «Grotta cineraria dei piccioni», «monte cinerario »; come dall’idea del pianto o del dolore le altre denominazioni toponomastiche di « olosmei » (campo dolori* mei), « rocca delli picei », e così via.
Quel gruppo di leggende, che si conoscono col titolo di «ciclo del sangue» o « della passione », e alle quali sono connessi tanti episodi miracolosi, in origine non ha lo scopo di parodiare la passione
109
TRA LIBRI E RIVISTE
211
di Gesù, come si è creduto, ina ha un carattere storico, riportandosi al rito di Haman, che è essenzialmente espiatorio e che ha molti punti di contatto con le circostanze della passione cristiana. Il concetto della parodia viene, tardi, e. le tracce sono nell’Editto teodosiano del 408. con-cui si interdice l’uso della croce in simili cerimonie. Da quell’epoca sorse c si propagò l'accusa contro i Giudei di profanare intenzionalmente e a fine di sacrilegio l’immagine del Redentore: e si radicò tanto questo pensiero, da far germogliare un ciclo di episodi miracolosi e di leggende, che, diffuse in tutto il mondo medioevale, lasciano nell’Abruzzo testimonianze non indifferenti, tra cui il racconto di Longino; detto fondatore di lanciano e che ha fatto regalare agli abitanti dell’antica Ansanum il titolo dispregiativo di « friggi Cristo ». Contribuirono alla formazione e all’incremento di tale epopea religiosa le tradizioni orientali, venute col monacheSimo, e la presenza di numerose colonie ebraiche sulle coste adriatiche.
In queste pagine, che come saggi del volume che va preparando, pubblica in periodici e riviste, il Pansa dimostra vasta erudizione e agilità di acume, e perciò non si sa se ammirare in esse più la dot trina dello storico che l’intuizione dello etnografo. Ad ogni modo, con simili studi l’Abruzzo fa un passo in avanti nel cammino finora percorso dai demopsicologi regionali, dal compianto Antonio De Nino al benemerito Gennaro Finamore.
COSTUMI E RITI PUGLIESI
Saverio La Sorsa, Costumi e Riti Pugliesi. Roma, 1917 (Estr. Riv. Ital. di Sociologia).
Noto come storiografo, il prof. La Sorsa si fa ora apprezzare come demopsicplogo per le accurate raccoltine fatte nel campo delle tradizioni popolari pugliesi, e specialmente di quelle della nativa Molfetta. Le pagine ch’egli intitola Costumi e Riti Pugliesi, non sono, insieme con altre pubblicate in precedenza, che una parte di un grande lavoro preparato per la stampa, e che è una vasta raccolta di usi e costumi, superstizioni e pregiudizi, canti e proverbi, favole e leggende del volgo mol-fettese. Esso hanno il pregio di essere chiare, semplici, attraenti, sia che descrivano le usanze e le credenze riferentisi al ciclo della nascita o a quello della morte:
sia che ritraggano lo svolgersi delle feste e delle costumanze religiose nel corso dell’anno, da quelle carnevalesche a quelle natalizie.
Anche in Molfetta, come in parecchi altri paesi, al nascere d’un bambino il cordone ombelicale si conserva; e dopo disseccato, si profuma, si orna con nastri e si ripone in una scatoletta in mezzo a cornetti, a gobetti ed altri amuleti. La madre umbra crede che lasciandolo sopra uh albero ove si posi l’u$ignolo, il bambino crescerà con la disposizione al canto; e la madre calabrese, come la toscana, crede che gettandolo al gatto, la creatura diverrà un ladro. La ragione di tale pregiudizio,-da me spiegato nella Vita sessuale e in una nota sui Nei materni (L’Anomalo. 1917), è da cercarsi nel pensiero tradizionale per cui il fascino operato sul funicolo affetta anche il bambino, di cui esso è parte. Il « pranzo del consuolo », che è molto diffuso in Italia, e specialmente nella parte meridionale, e che richiama alla mente i costumi ebraici relativi al « pasto del lutto» (Hos., 9, 4), e alla «coppa della consolazione » (Geremia, 16, 7), presenta in Molfetta un carattere speciale. Esso non di rado si muta «in allegro banchetto»; e quando il morto è un bambino, dalla casa deve bandirsi ogni pianto e dolore, la notte si deve passare nell’allegria: non suoni e canti, ma racconti, conversari e sarsana. In tale occasione sono di rito gli strascinati, che in fretta fanno alcune donne del vicinato, si prepara un po’ di salsa di pomidoro, si compra del formaggio punto. e si mangia allegramento, come se nella stanza vicina, e magari non lungi dalla tavola, non ci sia il morticino! » .
Accanto al ciclo degli usi riguardanti la vita umana,, il La Sorsa ne descrive un altro, concernente il calendario .delle feste. Noto tra i riti popolari e tradizionali i falò sacri di S Corrado, di S. Giuseppe. dell’Annunziata, accesi i primi nella sera del io febbraio, i secondi nella notte del 19 marzo, e gli altri in quella del 25 marzo, e che, secondo lo scrittore che richiama in vita le vecchie teorie mitologiche. simboleggiano «un concetto antico cosmogonico, cioè che la terra, dopo il rigido inverno, si riscalda ai nuovi tepori primaverili », mentre hanno un’origine magica, più che simbolica; la maschera della morte, che, durante la baldoria carnevalesca, sorprende gli amici a tavola portando via le vivande e le bottiglie di
110
212
BILYCHNIS
vino; il fantoccio quaresimale detto • qua-rantana », pel fatto che con la sua arancia, simboleggiante il globo terracqueo^ e con le sette penne infisse in essa indica le sette settimane di magro, o i quaranta giorni di quaresima; i rami d'ulivo e le foglie di palma benedetti portati nel giorno delle Palme nei campi per augurio di prospero raccolto, e che, in prosieguo, se saranno trovati distrutti, 'presagiranno grandine e altre disgrazie; la festa di S. Nicola, che la leggenda fa venire dal mare, circonfuso di sole e di un'aureola d’oro, sopra una nave • carica d’ogni bene di Dio; la cerimonia del Natale col canto della «Santa Allegrezza » e la costruzione dei Presepi.
11 rito dcH’altalena, che comitive di ' giovani sogliono fare in onore e nel giorno dell’Ascensione, fa pensare alle danze e alle oscillazioni sacre, di ori-gine prepagana, e rimaste poi, nei culti locali e nelle feste agrarie. E la festa dell’Ascensione ha un significato agricolo: nella sua ricorrenza, anche in Molfetta, le ragazze, pare che traggano, o almeno, traessero in passato, gli oroscopi nuziali dal fiorire degli alberi e delle pianticelle coltivate nei vasi e nelle aiuole. Il La Sorsa non accenna a questo, ma lo dice una cantilena da lui riportata: « Il giorno dell’Ascensione è segnalato. Piantai un garofano nel vaso. Fiore di melarancia, melarancia ricciuta, lo voglio bell’e fatto, capelli ricci ». La melarancia, come la mela, è nel simbolismo erotico il messaggio più frequente tra innamorati. Nelle leggende medioevali fanciulle e fate attirano giovani e cavalieri lanciando loro pomi ed arancie. La leggenda di Paride e delle tre dee della bellezza, il racconto di Galatea (« malo me Galatea petit », Virg.) e quello della fidanzata di Corinto attestano che la pratica è d’origine antichissima. Ed ò tuttora viva, in qualche regione. Un contrasto calabrese la ricorda in uso nel Monteleonese (Corso, Per VEtnografia calabrese, Arch. Stor. Cai., 1913). Non meno frequenti sono i ricordi e i ricorsi nelle tradizioni e nei riti popolari dei ramoscelli fioriti, dell’albero in ger
moglio. L’albero che germoglia e il ramo che fiorisce prognosticano all’amante la felice sorte del suo amore, dei suo affetto» del suo connubio. Credo nel mio saggio Il Ceppo Nuziale (Riv. d’Antropologia, 1916) d’aver dimostrato e spiegato questo magico rito d’amore, che forma il contenuto di tanti canti e racconti, di tante leggende e cerimonie popolari.
Mi auguro che il prof. La Sorsa voglia al più presto dare alla luce il vasto materiale raccolto nella sua terra natale, e offrire così agli studiosi di tradizioni popolari ricca e .interessante materia di rilievi, di confronti, d'interpretazione e di studio. Il campo in cui egli raccoglie, come quello pugliese di Molfetta, è prezioso, e non può essere mietuto che da un uomo sapiente, dotato di acuta osservazione, e che conosce la vita e la storia gloriosa della sua gente.
FONTI PAGANE D'USANZE E RITI CRISTIANI '
Umberto Leoni, Fonti pagane d’usanze e riti cristiani (Roma, Casa editrice 1’« Agave », 1917).
È un breve scritto di divulgazione dei principali risultati dell’indagine e della critica storica; la quale ha, ormai, messo in evidenza, anzi in molta evidenza, che il passaggio dalla fede pagana a quella cristiana si compì in modo lento e con una lenta assimilazione di riti, di cerimonie, di idoli della vecchia religione. Innumerevoli sono i documenti di questo processo, in cui se ha parte notevole l’iniziativa della Chiesa cattolica, una molto più importante ne ha il popolo, che accettando la nuova religione, non rinunzia alle secolari abitudini e consuetudini spirituali e cerimoniali. E tuttavia, sono così numerose e manifeste tali persistenze della vecchia religione olimpica, che a raccoglierle e ad esaminarle si potrebbe fare più che un libretto di « fonti pagane », un volume di riti pagani sopravviventi attualmente nelle feste e. nelle , cerimonie del culto cattolico Raffaele Corso.
111
TRA LIBRI E RIVISTE
2X3
L’ “ OTTAVIO „
M. Minucio Felice, ¡.'Ottavio, introduzione e versione di Umberto Moricca, Firenze, G. G. Sansoni, 1918.
Sebbene non contenga nulla di nuovo, lo studio introduttivo a questa versione del celebre Ottavio di Mi micio, lungo quanto il testo della traduzione, è molto buono, chiaro, ricco di elementi critici e tale da poter fornire al lettore digiuno di questioni minuciane, un ottimo ragguaglio, al lettore già informato un'ottima guida. Come tale quindi il volumetto del Moricca è consigliabilissimo.
Non so invece -se tutti si sentirebbero di consigliare la lettura della versione a chi volesse aver un’idea sufficiente dell’operetta minuciana. È vero che tradurre Minucio non è facile e‘ che quindi il Moricca à creduto bene di dare una versione, non perfettamente fedele al testo per poterne rendere lo spirito. Se non che, a mio modo di vedere e senza fargli un rimprovero, ma semplicemente per fargli riflettere come agli occhi altrui possa apparire travisata l’indole dello scritto minuciano, la cosa non gli è riuscita. Tanto per con vincermene ò « saggiato » qua e là la sua traduzione e non ne sono rimasto soddisfatto. Pare a lui, p. es., che (p. 79) il « fece fede della castità di quella matrona » renda il latino « et probavit matronae castitatem », e che più giù il « ne fa fede la ripetizione dei giuochi, in onore di Giove, offeso a causa di quel sogno, inviato a un uomo della plebe » corrisponda al latino: «ludqrum offensi lovis de somnio plebei hominis iterati©? » La qual ultima tradii-/ zione non sarebbe solamente una versione errata, ma, quel che è più, un errore logico! E se il Moricca seguiterà a rileggere tutto il capitolo VII troverà di simili sviste quante ne vorrà. Uno sguardo così .ai cap. 21-25 mi à non meno disilluso sulla bontà della traduzione: se non insisto qui a dimostrare il mio asserto è sempli
cemente perchè credo che basti richiamare l’attenzione d’uno studioso come il Moricca sul giuoco che gli à giuocato la scelta o la volontà di rendere... lo spirito... senza rendere la letteradi Minucio, per fargli capire che il meglio dà farsi è nell’edizione prossima, rifare il lavoro.
Per ora il consiglio che è da darsi coscienziosamente ai lettori è di servirsi dell’introduzione, ma di non lasciarsi tradire dalla versione!
Giovanni Costa.
STORIA POPOLARE DEI BATTISTI
W. Kemme Landels, Storia popolare dei Ballisti. Con prefazione del prof. Annibaie Fiori. Torino, tip. « Il Risveglio », 1918, 1 voi. in 16®, pagg. 286. L. 3.
- —*£95
E stato intendimento dell'autore narrare, attraverso i successivi periodi e per ogni regione del mondo, le origini, lo svi-eluppo e le sofferenze di quelle Chiese che ■ofessano principi battisti. Certamente.
vicende storiche di una comunità religiosa, nella . quale integralmente e genuinamente rivive lo spirito evangelico, meritavano di essere meglio conosciute in Italia. La chiarezza di forma e la com-Eetenza deirantore rendono più attraente . lettura del volume, che contiene notizie particolarmente interessanti per noi circa lo sviluppo attuale del battismo in Italia. Gran parte del volume è consacrata al racconto delle lunghe persecuzioni che i battisti ebbero a soffrire, in ogni luogo tanto da parte dei cattolici quanto da parte dei protestanti.
Lo spirito di intolleranza e di settarismo che animava le comunità protestantiche, troppo presto dimentiche del Vangelo cui pretendevano direttamente ispirarsi, risulta in modo evidente dalla loro attitudine di fronte ai battisti. I più feroci decreti contro i battisti emanarono dalle chiese protestanti. Cito in particolare lo editto di Zurigo (1526), approvato dallo stesso Zuinglio, che condanna i 0 tuffatori ■ ad èssere « annegati senza misericordia »; e quello di Bruxelles (1535), secondo il quale la morte per il fuoco doveva essere la pena per tutti i battisti i quali rifiutassero di abiurare, e se avessero ritrattato dovevano ugualmente morire.
112
214
B1LYCHNIS
ma gli uomini di spada c le donne interrate. Le stesse pene erano comminate, come a compiici, a coloro i quali non denunziassero i battisti. La terza parte dei beni confiscati doveva essere aggiudicata, come premio, ai delatori. È la dieta di Spira che nel 1529 decreta che - ogni anabattista ed ogni persona ribattezzata, uomo o donna che fosse, doveva essere messa a morte o per la spada, o per il fuoco, o altrimenti ». ,
Sono protestanti, come Latimer, che qualificano le dottrine dei battisti come perniciose e diaboliche; è lo stesso Zuinglio che parla del seme pestifero della loro dottrina, della loro umiltà ipocrita, del loro parlare più amaro che fiele.
Mi sembra, pertanto, ben discutibile l'affermazione dell’autore, secondo la quale • le maggiori crudeltà » sarebbero state praticate nei paesi cattolici, benché come egli stesso anemia i la Germania, protestante non rimanesse molto indietro ».
Deve, però, dirsi a difesa dei protestanti d'oggi, che essi hanno generalmente fatto ammenda onorevole delle loro vecchie dottrine intolleranti e sanguinarie, mentre l’intolleranza religiosa fa ancora ufficialmente parte del bagaglio dottrinale dei cattolici. In questo sta la lori) superiorità: errare humanum est, perseverare diabolicum.
Il volume del Remine-Landels presenta, a mio avviso, due manchevolezze. Anzitutto sarebbe stato opportuno esporre, sia pure succintamente il contenuto morale e religioso del battismo, i suoi principi e le sue consuetudini. Invece, non solo l’autore se la cava con poche frasi, ma dà l’impressione che la dottrina del battismo si esaurisca tutta nelle prassi evangeliche di somministrare il battesimo esclusiva-mente àgli adulti e nella conscguente riprovazione del pedobattismo. Certo, da tale pratica i battisti hanno ricevuto il loro nome, ma questo non esprime sempre e adeguatamente l’eleménto sostanziale di un movimento. Spesse volte il nome di una setta o di un partito è determinato dal caso, o dalle ingiurie degli avversari, o da una persona. Ora pare a me che ciò che, sin dalle origini, ebbe a distinguere il movimento battista dalle altre comunità protestantiche è l’imitazione evangelica da esso professata, la sua ispirazione apostolica, io spirito di cristianesimo primitivo che lo anima. Tale attitudine evangelica spiega la sua generosità spirituale.
la sua avversione alle forme culturali, il suo rispetto- per la libertà religiosa, la sua morale laica, il senso di democrazia, la sua mentalità progressiva e fondamentalmente rivoluzionaria. Da questo punto di vista, il battismo continua la tradizione delle eresie popolari del medio evo, materiate d’ispirazione evangelica e di laicismo.
L’autore divide la storia dei battisti in 8 periodi: il periodo primitivo (dall’anno 36 all’anno 254), il periodo della degenerazione (254-604), il periodo oscuro (604-»073)» periodo di risveglio (1073-1517), il periodo delle riforme (1517-1567), il periodo di lotta (1567-1688), il periodo di calma (1688-1800), il. periodo moderno (1801-1915).
Sullo schermo di questa arbitraria ripartizione cronologica si profilano padri apostolici, come Clemente, Ignazio, Policarpo, Giustino, Ireneo; padri dei secoli posteriori, come Tertulliano e Origene; sètte, come quelle dei novaziani, dei donatisti, dei manichei; eretici medievali, come Pietro di Bruys, Arnaldo, Valdo, considerati,' spesso per qualche loro vaga espressione concernente il battesimo, come battisti.
Ora quando si dice storia dei battisti s’intende di quelle comunità le quali fiorirono, nel primo esplodere della primavera protestantica, nel secolo xvi, e che si distinguevano dalle altre affini special-mente per la fedeltà alla primitiva prassi battesimale. È, senza dubbio, opportuno ricercare i precedenti e i precursori d’un movimento attraverso i secoli, ma solo quando la loro attività e dottrina presentano lo stesso contenuto specifico è lecito considerarli come parte integrante della sua storia. Cos} non può certamente dirsi dei padri della Chiesa o degli eretici medievali .che sostanzialmente fanno parte di altre correnti di pensiero e di altre chiese e sette.
L'errata importazione . della ’ materia permette all’autore d’arricchire il suo volume di molte notizie, riferimenti e ravvicinamenti storici utili, ma l’opera avrebbe guadagnato molto in precisione e rigore Storico.e, quindi, in efficacia qualora fòsse stata contenuta entro i suoi giusti limiti.
A titolo d’informazione, stimo utile riprodurre lo specchio statistico delle chiese battiste attuali, compilato su dati recenti e che l’autore ha posto in calce al suo volume.
113
TRA LIBRI E RIVISTE • «15
Statistica delle chiese battiate In tutto il mondo (Anno 1913)
Europa. — Austria, membri 737; Belgio, 126: Bulgaria, 447: Danimarca, 4,202; Finlandia, 3.156; Francia, 1.602; Germania, 44.338; Gran Bretagna, .416.183; Italia, 1-756; Norvegia, 3.588; Olanda 1.736; Portogallo, 61; Romania, 354;
• Russia, compresa la Polonia, 60.295: Spagna, 271: Svezia, 53.828; Svizzera, 1.260; Ungheria, 24.428 - Totale 618.368.
Asia. — India, comprese Birmania ed Assam, 161.872; Ceylan, 1.104; Cina, compreso Siam, 24.293; Giappone, 4.145; Isole Filippine, 4.337 - Totale 195.758.
Africa. — Sud, 6.903: Centrale, 9.368; Occidentale, 839; Isole di Capo Verde, 18 -Totale 17.121.
America. — Canadà, 132.649; Centrale America, 1.242; Messico, 3,653; Sud America, 12.307; Stati Uniti, 6.003.211; Indie Occidentali, 55.463 - Totale 6.208.525.
Australasia. — Australia Occidentale, 1.068; Nuova Galles del Sud, 5.158: Nuova Zelanda, 5.494: Sud Australia, 5.980; Queensland, 3.388; Tasmania. 1.133; Victoria, 7.470 - Totale 29.691.
Il totale per tutto il mondo era perciò di membri 7.069.465. Oggi il totale sarà di circa 7.500.000. Se contassimo sulla nostra statistica i figliuoli dei fratelli, cóme è l’.uso in altre denominazioni, il numero sarebbe di circa quindici milioni, o più.
A. De Stefano.
DALLA GUERRA ALLA PACE c
Prof. Pietro Sai.vadoretti, Dalla guerra alla pace, Spezia, 1918.
Non è uno dei tanti studi, 0 una relazione di una delle tante commissioni, sulla « Ricostruzione » economica, sociale, politica, mondiale, dopo la guerra. È una dissertazione, una conferenza, una erudita < causerie », se si vuole, divisa nei paragrafi: Eternità dèlia lotta dell'universo
coll’uomo; La lotta è un processo di esistenza e d’integrazione; L’eroe della guerra; Espiazione e pace; Cammino storico della pace; L’eroe della pace.
Il concetto fondamentale del lavoro sembra sia quello espresso dall’A. a pagine 15, 16:
« ...Il materiale conquistato e accumulato a frusto a frusto per l’edificio della pace; il disegno architettato da ciascuno e da tutti; l’immane travaglio senza tregua nei tempi per attuàrio, sono opera così portentosa che non potè mai essere prospettata nella sua infinita grandiosità e bellezza, nè dalla profonda analisi dello storico, nè dalla sintesi geniale dell’artista, nè dalla libera fantasia del poeta. La pace non è, come volgarmente appare, la cessazione della guerra, ma è la forza che la la cessare, e tale forza è la risultante di ammirevoli volontà, di molteplici energie palesi o segrete, esterne o interne, innate o contingenti; di vitto:ie individuali e collettive coordinate all’economia del mondo. La pace è una lealtà in continuo cammino faticoso e lento; procede atona e segreta in mezzo all’impero della violenza e di tratto in tratto, raccogliendo le sue sparse conquiste, pianta la pietra migliare, gloriosa, che indica la definitiva vittoria e là sintesi del diuturno sforzo; poi riprende il passo e la lotta con fede più profonda e lena raddoppiata.
« Il fonte della pace è nella natura stessa dell’uomo, in cui si dibattono due stimoli insuperabili: il diritto di vivere e il modo di vivere. L’uòmo sente la potenza dell’istinto teologico che sta al di sopra dei sentimento, della ragione, di Dio stesso...; ma dai fremiti dell’interno organismo palpita un ideale eterno che addita e promette la pienezza della vita senza sforzo straordinario; l'integrazione di essa senza violenza, il godimento senza lutto; promette la fraternità di tutti gli uomini, la libertà e l’uguaglianza, nella fatale cooperazione di tutte le energie, e nella pace serena della società universa questo ideale non è artificioso o innaturale, ma è intimo, nutrito dagli elementi fondamentali della vita... ».
114
2l6
Rl.YCHNJS
VA. dà una scorsa sommaria al processo storico di evoluzione per cui « dalla fossa «lei bruto — con un supremo saluto ~ l’uomo è risorto », evoluzione parallela al progresso della democrazia. « La .prima pace discende a chi lavora e produce.. Sulla fluttuante marea dei lavoratori che si perde’ senza interruzione nell’orizzonte infinito... appare, qua e là una più eccelsa figura....-: è l'eroe geniale che accumula, nell’angusto cerchio fisiologico, un complesso di energie... capaci di riassumere un periodo storico od un mondo; di creare e
spargere il seme da cui il progresso attingerà nuove incremento... ».
L’A. si domanda se sia possibile la incarnazione di un genio che parli per il lavoratore e per le moltitudini, e se esso non trascenda le forze di creatura mortale: sento susurrarmi all’orecchio la risposta-preghiera di Robert Browning: « Non ci mandare pili giganti, o Signore... ma solleva invece il livello del genere umano ». Di questo gigante anonimo dobbiamo esser tulli l’incarnazione.
Emmanuel.
GIUSEPPE V. GERMANI, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell’Unione Editrice, Via Federico Cesi. 45
115
¡n deposito presso ia Librería Editrice "Bilychnis"
Via Crescenzio 2, Roma
NOVITÀ
maria bersano begey
Vita e pensiero di Andrea Towianikl (1799-1878)
Milano, 1918. Pag. 468. - L. 6.
"... In questo libro M. B. B. ha fissato, con mirabile maestria, le linee del pensiero e la fisonomía della vita di Andrea Towianski : l'idea e l’opera sono fermale perjsempre in queste pagine, ricche d'intelletto e d’informazione, nate e cresciute nell’ambiente che serba ancor vivida la vibrazione dell'uomo. E un libro che resterà fondamentale intorno all'argomento...11 "... La storia dell avvenire riconoscerà al Maestro polacco un posto eminente in quella profónda elaborazione religiosa che riempie la prima metà del secolo decimonono...' "... A queste pagine ricorreranno molli spirili bisognosi di certezza e di forza, molte anime anelanti alla luce della conoscenza e al riposo del bene..." Giovanni AmendolaGLI SLAVI
di A. M1CKIEWICZ
... poiché in "questo conflitto gli slavi stanno dàlia parte della civiltà latina, è necessari» che i latini conoscano i loro alleati... Nessuno in questa materia ha maggióre autorità del grande poeta slavo...
Sommario.* Il Messianismo La traditone - L'idea del dovere - Della proprietà -L'ideale della repubblica di Polonia - L’antipatia della chiesa per lo Spirito Nuovo -L'importanza della tradizione slava - Che cosa è la parola - Misteri della parola, ecc.
Pag. 180. Prezzo l. 3.
POEMI FRANCESCANI di A. M. D. G. L. 4.25 ... L'Autore ha una sola pretesa: di offrirci un Francesco dei ' Fioretti '.
LA'SCUOLA NAZIONALE
In questo volumetto V. CENTO raccoglie scritti che nel periodico La nostra scuola agitarono e discussero largamente il problema della rinnovazione nazionale della scuola italiana. - Vi si trovano gli scritti di Anile, Cento, Ferretti, Modugno, Murri, Prezzolini, Terraglia, Sanna, Varisco, Vidari, Vitali e Volpe.
Pag. 206. PREZZO L. 3.
z OCCASIONE FAVOREVOLE = per i soli nostri Abbonati non morosi:
L’Amministrazione di Bilychnis, per accordi presi cogli Editori dell’opera, può offrire per L. 10.50 (franco di porto) il bellissimo volume
GIORGIO TYRRELL
Autobiografia (¡861-1884) e Biografia (1884-1909) (Per cura di M. D. PETRE)
Quest’opera, edita signorilmente, non può, non deve mancare nella biblioteca di quanti coltivano con amore gli studi religiósi.
Il grosso volume (680 pagine) costa normalmente L. 15.
- Rivolgersi = all’ Amministrazione
= di Bilychnis =
Opéré di ALFREDO LOISY :
LA RELIGION
1. Religion et morale. - II. L'Évolution religieuse et morale. - III. Les caractères et les facteurs de l'évolution religieuse. - IV. La discipline humaine. — V. Les Symboles de la foi.
Fb/. di pag. 316.
Prczzo in Italia: L. 5
MORS ET VITA
Prezzo l. 2.25
♦ ♦ ♦
ÉPITRE = AUX GALATES
PREZZO L. 3.60
* * ♦
° LÀ BIBBIA a I LA CRITICA SUn ottimo libro, scritto con ottrina, competenza e con spirito profondamente religioso e cristiano).
Prezzo L. 2
CUMONT FRANZ: Le religioni orientali nel paganesimo romano (volume di pag. 309) . L. 4 — Profezie d’ Isaia, figlio di Amoz. Tradotte e chiarite da Antonio di So-RAGNA . . . L. 5 —
Frank Thomas : Les heureux.'2 Etudes pratiques des Béatitudes . L. 4.30
116
WILSON
La Nuova Libertà
Invito di liberazione alle generose forze di un popolo (legato)
PREZZO L. 4
NOVITÀ
Raccomandiamo ai noatri lettori:
L'Editore della Biblioteca di Studi Retgìosi ha pubblicato in questi giorni un bel volume ch'è destinato ad avere senza dubbio un ottimo successo:
LA CHIESA
E I NUOVI TEMPI
È una raccolta di dieci scritti originali dovuti alla penna di Giovanni Pioli - Romolo Murri - Giovanni E. Meille - Ugo Janni - Mario Falchi -Mario Rossi - ■ Qui Quondam ' - Antonino De Stefano - Alfredo Taglialatela.
1 soggetti trattati, preceduti da una vivace introduzione dell' Editore Dott. D. G. Whittinghill, sono tutti vivissimi:
Chiesa e Chiese - Chiesa e Stato - Chiesa e;Questione sociale - Chiesa e Filosofia - Chiesa e Scienza - Chiesa e Critica (2 studi)- Chiesa e Sacerdozio - Chiesa ed Eresia - Chiesa e Morale.
È un libro-programma.
È un libro di battaglia.
Il bel volume, con significative copertina artietica di £*010 PaSCHETTO. ti compone di pesine XXXI-507 0 corta L. 8.00.
Rivolgersi alla Caia Editrice 1 Bilychnis 1
Via Crescenzio, 2 - Roma
In deposito presso la Libreria Editr. ' Bilychnisn
Pietro Chiminelli : Il 1 Padre nostro ’ e il mondo moderno. Volume di pag. 200 con 8 disegni originali di P. Paschetto . . . L. 3 —
Romolo Murri: Guerra e Religione:
Vol. I. II Sangue e {'Altare. Pag. 178 . . 2 —
Vol. II. L'Imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa. Pag. 118............2 —
•••: La Bibbia e la critica (opera premiata).
Volume di pag. 150.... ...... 2 —
Prezzo del fascicolo Lire 2
AI NUOyi ABBONATI si spedisce in DONO, franco di porto, il bel volume (4® della Biblioteca di Studi Religiosi'):
“ VERSO LA FEDE”
guenti soggetti: Intorno al Divenire ed all'Assoluto nel sistema Hegeliano (Raffaele Mariano) - Idee intorno al-l'immortalità dell'anima (F. De Sarlo) - La questione di autorità in materia di fede (E. Comba) - Il peccato (G. Arbanasich) - Di un concetto moderno del dogma (G. Luzzi) - È possibile il miracolo? (V. Tummolo) -Il Cristianesimo e la dignità umana (A. Crespi).