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BILYCHNI5
RIVISTA DI STvDI REUGIO5I EDITA DALLA FACOLTÀ DELLA SCVO LA TEOLOGICA BATTISTA DI ROMA
W NOVEMBRE-DICEMBRE 1912
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto Redattore Capo & Via Crescenzio 2, 'Rpma. ¿fi
D. G. Whittinghin, Th. Redattore per ¡'Estero. ¿fi Via ‘Delfini 16, Roma.
J* Si pubblica alia fine di ogni mese pari
in fascicoli di almeno 64 pagine. «>*
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Illustrazioni nel presente fascicolo :
Andrea Towianski : ritratto (p. 555).
La luce del mondo : quadro del pittore Hobnan Hunt ftav. fra pag. 560 e P- 561).
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SOMMARIO :
Angelo Crespi : Il problema, della educazione religiosa . . pag. 525
C. Rostan : Lo stalo dèlie' anime dopo la morie secondo il libro
XI del! Odissea . . . . . . . »536
Giov. E. Meille : La riforma nell' /slam................» 544
G. Natali : (ili apologisti greci del II secolo .... » 549
Joh. Lover : Andrea Towianski . - . . . . . » 554
Per la cultura dell’anima:
Alfredo Taclialatela : Alla porta del cuore...........pag. 560
E. Y. Mullin.s: A proposito di Crèdi . . . . . . . - . » 566
Cronache1
Ernesto Rutili: Vitalità e vita nel Cattolicesimo.......» 569
NOTE E COMMENTI :
G. FUSCHINI : Il Vaticano e ì sindacali, cristiani della Germania ...» 584
Leone Luzzatto: Alisltiià Pirkè Abbolh ....... . » 589
TRA LIBRI E RIVISTE: .......... «591
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’ cesserà di vivere colia fine deli'anno! cosi è stato susurrato nella penombra dei corridoi gesuitici di Roma.
Ma Bilychnis è invece taira piena del desiderio di vivere.
Vuole vivere e vivrà.
Continuando, adunque, ci si consenta di dire due parole.... di fin d'anno ai lettori.
I nostri migliori auguri a tutti indistintamente.
Un ringraziamento sincero a chi ha dato prova di interessamento pratico pagando l'abbonamento pel Í9Í2 e specialmente a quei volonterosi che si sono affrettati a ripetere questa prova in vista dell'imminente J9Í3.
Un invito cortese a quanti ci hanno promesso l'abbonamento e ai molti che non hanno mai respinto Bilychnis perchè vogliano farci il favore di regolare il piccolo conto.
UN AVVERTIMENTO A TUTTI: rZ Z.° fascicolo del Í9Í3 sarà inviaio soltanto ai nuoVi abbonati che avranno pagato pel 1913 ed ai vecchi che avranno pagato pel 1912X nostri amici che ci hanno fedelmente seguiti fin qui sanno quel che è stata la Rivista in questo I.° anno. Noi non ci fermiamo nè per lodarci, nè per fare ammende, ma guardiamo avanti. Il maggiore interessamento di molti collaboratori sul quale possiamo contare oggi e il rinnovato entusiasmo che sentiamo in noi pel lavoro della Rivista ci assicurano che il IL0 anno segnerà ptt'^Bilychnis un reale progresso.
Ai vecchi apprezzati collaboratori che ci rimangono fedeli [Melile, Ro-sazza, Luzzi, Rutili, Natali, Shaw, Salatici!©, Falchi, Meynier, Orano, Crespi, Biondoliilo, Lenzi, Fornari, A. Tagliatela, J. Lover ecc.] se ne aggiugonc dei nuovi tra cui siamo lieti di poter annoverare Alessandro Chiappelli, Dante Vaglieri, F. Hermanin, Georges Fulliquet, G. A volto, D. Teloni, S. Aurigem-ma, A. Cervesato, L. Cappelletti, e alcuni altri di cui non possiamo fare i nomi.
Saremmo in grado di fare delle belle promesse ; ma poiché piò delle promesse valgono i fatti, ci affideremo piuttosto a questi per raccomandare la Rivista alla simpatia ed ali* interessamento dei nostri lettori.
L'indice della I. annata della Rivista verrà spedito col L° fascicolo dei 1913.
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Il problema della educazione religiosa.
sentiamo ad ogni momento, da ogni parte, lamentare la crisi degli ideali nel nostro paese, 1’ apatia o la scarsezza delle energie morali sia nella vita privata che nella pubblica, la debolezza dello spirito d’iniziativa e di responsabilità, l’alta cifra della criminalità, ed il suo aumento nei minorenni, l’inefficacia educativa del nostro sistema scolastico. Ma sulla diàgnosi e sui rimedi di
questo stato'di cose gli spiriti sono ben lungi dall’essere anche solo super-ficialmente';concordi. Da una parte abbiamo quelli che ne rintraccian le cause nella poca diffusione della cultura, nell' analfabetismo, nella miseria economica, nel regime politico-sociale ; senza negare 1’ efficacia di queste cause noi vedremo che esse sono inadeguate allo scopo per cui sono invocate. Costoro dimenticano di porsi il problema delle cause profonde, da cui quelle scaturiscono, e di chiedersi se la soppressione od attenuazione di queste sia necessariamente feconda di miglioramento etico. Costoro hanno l’attenzione rivolta agli strumenti ed ai meccanismi della vita, e non alle energie motrici: la loro mente con-, sidcra la meccanica e non la dinamica del progresso.
D’altra parte vi sono quelli che incolpano la crescente irreligiosità, e come dighe contro di questa invocano 1’ adesione all’ insegnamento religioso tradizionale. L’anàlisi di costoro può, in parte, colpir giusto; ma essi trascurano di dirci perchè la irreligiosità ha rotto le dighe poste da quell’ insegnaménto.
Questo studio si propone di valutare le ragioni degli uni e degli altri, e sopratutto di delineare sommariamente il complesso di condizioni a cui 1’ educazione religiosa deve soddisfare per dare quella soluzione del problema del progresso morale, individuale e collettivo, che solo la religione può offrire, co-
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me risulterà dall* analisi induttiva della funzione della religiosità nella società e nell’individuo. E’ uno studio sociologico e pedagogico, e solo incidentalmente, nella misura inevitabile, filosofico e leggermente metafisico. Non si propone cioè di dimostrare i diritti di questa o quella concezione religiosa a proclamarsi vera ; ma’ assunta la utilità, la verità, l’inesauribile evoluzione storica progressiva della religione, come fatti di esperienza, si propone di esaminarne i rapporti con gli altri aspetti dell’esperienza individuale e collettiva eh’essa deve avere nel processo generale dell’educazione.
Che cosa significa educazione in generale? Questa è la domanda a cui, sia pur brevemente, dobbiamo dare un abbozzo dì risposta prima di affrontare il nostro problema specifico.
E' inutile ricordare che non v'è necessità alcuna di processo educativo per tutti gli animali inferiori di cui i piccoli vengono messi alla luce già atti a tutte le funzioni compiute dell’organismo degli adulti della medesima specie: in essi non v’è infanzia. Ma procedendo dagli animali inferiori ai superiori, mentre si complicano e si differenziano le strutture e le funzioni, sopralutlò degli organi nervosi e sensoriali, le funzioni fisio-psichiche, diviene sempre piu normale il caso che i piccoli siano messi alla luce in condizioni tali da richiedere un certo periodo di addestramento, di crescita sotto le cure dei parenti, prima di riuscire atti a vivere indipendentemente da essi : questo periodo è l’infanzia.
Per 1’ uomo, che è 1’ animale in cui il sistema nervoso raggiunge il massimo sviluppo e la massima complicazione, tale periodo s’ estende ben oltre l’infanzia; e ciò in conseguenza del fatto che, dal momento in cui I' uomo divenne conscio di sè stesso nel primo atto di riflessione psichica, riuscì sempre più inutile la selezione naturale delle variazioni morfologiche, e sempre più importante la selezione naturale delle variazioni psichiche : sì che nell’ uomo il progresso mentale è fuori d’ogni proporzione con le variazioni fisiche concomitanti. Perciò P educazione dell’ uomo non consiste più semplicemente e prevalentemente nel-Fadattamento dell’organismo al suo ambiente fisico; ma anche, e in crescente misura, nell* adattamento della psiche individuale a quell’ambiente costituito dal-P accumulazione di tutte le conquiste spirituali della razza, e che si chiama civiltà.
Naturalmente è anche vero, d’altra parte, che la civiltà deve enormemente al fatto dell’infanzia. E’ la necessità pei piccoli di essere aiutati dai parenti. o almeno dalla madre, per un periodo sempre più lungo, ed è la superiorità naturale dei gruppi più numerosi sugli altri, che presuppone maggior fecondità e quindi più lunga convivenza d’ un maggior numero di nati con i loro parenti, che spiegano il sorgere di orde di consanguinei, di famiglie, di tribù e di forti istinti sociali.
Più la civiltà progredisce e più il periodo dedicato all’ educazione si allunga: per »livenir atto a vivere, l’organismo deve divenire più plastico, più capace di assimilare la tradizione della specie: l’educazione è l’arte di promuo-
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vere questa plasticità, e di utilizzarla perchè l’individuo assimili le conquiste già fatte dalla specie e ne tragga una sintesi sua propria, faccia di sè stesso u-na sintesi sua propria, faccia di sè una più alta rivelazione dello spirito.
Noi non abbiamo la minima difficoltà .ad ammettere che l’ispirazione religiosa e l’eroismo etico più sublimi profondano le loro radici nella vita organica più primordiale ed istintiva ; noi non abbiamo la minima difficoltà ad ammettere che 1’ attitudine fiduciosa e lo stesso impeto irresistibile di sacrifizio per le proprie convinzioni o per salvare la vita altrui non è che un prodotto di. complicazione delle azioni riflesse più semplici con cui la protamaeba primitiva adatta sè stessa al proprio ambiente o viceversa ; a poco a poco da queste ci si eleva a forme superiori, più complesse e più flessibili di adattamento, che pongono 1’ organismo in contatto con realtà sempre più vaste e remote. E’ così che dalle realtà meramente sensibili al tatto si passa alla conoscenza di quelle sensibili al gusto, all’olfatto, all’udito, alla vista; è così che per mezzo della riproduzione e connessione dei movimenti e delle immagini si passa dall’ adattamento alle realtà sentite e presenti, a quelle di realtà immaginate, lontane e future; è così che a poco a poco per mezzo ed attraverso alle realtà sensibili si disvelano le ideali, e ciò per via di una crescente domanda di vita da parte dell’organismo, che nello sforzo per appagar questa domanda scopre progressivamente gli oggetti che 1’ appagano. Ma per noi è il punto d’ arrivo che dà la spiegazione del punto di partenza e non viceversa ; la vita lunge dall’essere un mero processo biologico dal cui seno, non si sa come, emerge quello psichico e cosciente, è per eccellenza un processo la cui natura fin dall’ inizio include tutte le virtualità che a poco a poco, a mano mano che se ne verificano le condizioni favorevoli, si traducono in attualità. Per noi l’impulso religioso dà il segreto di tutti gli altri aspetti dell’impulso vitale in genere e dir venendo sempre più conscio di sè- nella storia dà di sè una definizione sempre più piena c completa che è a un tempo una definizione sempre più piena e completa di ciò che è la vita nella sua essenza e di ciò che è la Realtà donde la vita emerge ed attingendo alla quale essa si espande ed eleva. Noi non accettiamo pertanto nè la teoria bio-psicologica dell’ epifenomenismo, nè quella spiritistica dell’ Io subliminale ; noi partiamo dal fatto che si dà nell’ uomo una attitudine di spirito religioso, che questa si sviluppa con tutte le altre facoltà umane, che ad un certo punto essa diventa oggetto di riflessione a sè stessa, e non contìnua a promuovere la vita che se si accetta la teoria da essa istintivamente suggerita che nella fede e nella adorazione avviene l’incontro dell’essere nostro con l’essenza più intima dell’ Essere obbiettivo : la lede reca Dio dentro di sè (Boutroux).
Abbiamo detto che l’infanzia consiste in un adattamento in prevalenza fisico ; sul quale 1’ educazione inserisce il processo dell’ adattamento spirituale che introduce il bambino nel retaggio della cultura umana : retaggio di cultura letteraria, scientifica, estetica, filosofica, morale, politica, religiosa; sì che 1’ educazione consiste nella presa di possesso di questa da parte della nuova personalità in formazione.
Ora nella tradizione della razza, nella storia, questi aspetti della vita, letterario, scientifico, estetico, morale, religioso, ecc., non sono isolati gli uni da-
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gli altri, ma si compenetran© ed organicamente si intrecciano e si implicano. Essi non potranno pertanto essere isolati nemmeno nel processo educativo ; l’uno richiamerà irresistibilmente tutti gli altri ; eliminarne uno equivale a rendere in tutto od in parte incomprensibili tutti gli altri. Come sarà adunque possibile eliminare la cultura religiosa dal processo di assimilazione della cultura della specie in generale senza una enorme mutilazione di questa? Anche supposto che l’intuizione religiosa sia un’illusione, come superarla permanentemente se non sperimentandola e passandoci attraverso per così dire? L’errore non si e-vita mediante la fuga od il silenzio, o la soppressione forzata di un problema, ma ficcandogli ben lo viso al fondo. Ogni altra attitudine, venga da conserva-tori o da radicali, è attitudine di paura o di violenza, è attitudine giacobina che disconosce la natura essenziale della vita dello spirito.
Presso i popoli uniti da religioni etniche o da un’ unica religione tradizionale, non esiste antitesi tra la cultura religiosa ed altri rami di essa. Durante il Medio Evo tutta la cultura era anzi organizzata in modo da servire di strumento alla promozione dell’ interesse religioso, che predominava su di ogni altro. L’astronomia e l’aritmetica servivano a regolar la successione delle feste ed i calendari, 1’ arte ad abbellire gli edifici e le funzioni religiose, la storia a provare la rivelazione e a narrarne I’ avvento ed i trionfi. Senonchè l’interesse religioso, spesso e presto degenerato in interesse ecclesiastico, dopo avere promossa la sintesi del sapere antico e del punto di vista cristiano, invece di promuovere il progresso perenne di questa sintesi lasciando piena autonomia ai singoli rami del sapere e limitandosi a stimolarli e a tener conto dei loro risultati, pretese di determinare per sempre la forma stessa della sintesi, sopprimendo in diritto ogni autonomia delle scienze minori. Il risultato di questa rottura d’ equilibrio fu la separazione crescente della politica dalla religione, della Chiesa dallo Stato, della scienza e della filosofia dalla teologia ; e questa separazione non tardi» a diventare antitesi. Le lotte tra la Chiesa e l’impero prima e tra la Chiesa e lo Stato poi, combinate con quelle per l’emancipazione delle nazioni nordiche da Roma mediante la Riforma e col movimento verso regimi sempre più liberali insieme con l’opposizione sistematica fatta dalla Chiesa Cattolica,alleata di tutti i dispotismi, da quello di Spagna e di Francia a quello dell’ Austria e del Borbone, e finalmente con quelle tra la teologia tradizionale e la scienza e la filosofia moderne, portarono alla affermazione dell’indqxndenza assoluta della vita laica e nazionale da ogni autorità o ispirazione religiosa, allo sbccconcel-lamento della Chiesa e delle sette, alla negazione pratica d'ogni importanza al problema dell’educazione religiosa, che venne ridotta ai minimi termini e impartita in guise antiquate e non di raro ridicole. E’ così che è sorto il laicismo, ossia non tanto lo spirito che proclama la sovranità delio Stato sui suoi destini e quind' anco sulla sua politica culturale, spirito questo innegabilmente legittimo c sano ; quanto lo spirito che vorrebbe che lo Stato si disinteressasse della vita c della cultura religiosa e che perfino crede che lo Stato possa e debba sostituirle con.una intuizione areligiosa del destino umano.
La politica reazionaria della Chiesa spiega il laicismo, in questo senso ristretto, come un moto di reazione; certo; ma è tempo d’accorgersi che appunto per questo il laicismo è mera negazione e non affermazione d’ alcun conte-
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mito positivo. Un breve cenno alle principali fasi del suo sviluppo storico basterà a convincere ogni colto ed imparziale lettore della fondatezza della nostra asserzione.
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La prima cosa da ricordare si è che il laicismo è, essenzialmente, d’origine francese: esso si sviluppa in un popolo, che per ragioni etniche e storiche, è predisposto ad essere poco religioso, a concentrare la sua attenzione esclusivamente sugli aspetti chiari e a trascurare gli aspetti oscuri della esperienza, ad essere logico in astratto in barba alla concretezza psicologica e storica della vita, e a precedere di gran lunga, in pratica il Descartes, nel ritenere che la chiarezza delle idee sia di per sé sufficiente criterio della loro verità. Fu Pascal a proclamar la religione come speciale nemica dello spirito francese e fu il Saint-Beuve, che disse che Dio non poteva essere francese.
La Rinascenza, col rievocare una civiltà e due letterature che furono grandi prima del Cristianesimo, fu il primo grande fascio di correnti di pensiero che determinarono molti a dubitare che, pertanto, il Cristianesimo fosse un e-lemento indispensabile di grandezza nazionale. La Riforma fu il secondo grande fattore di scetticismo, ed in due modi diversi: anzitutto accrebbe la diffidenza verso novità religiose perchè si presentava alleata ad influenze straniere e sopratutto alleata alle ultime resistenze della nobiltà feudale contro 1’ accentramento deila autorità nel Re, il (piale, con questo processo, che unificava il diritto e i mercati interni, rappresentava, di fronte alla saliente borghesia ansiosa di ordine, di pace, d’unità amministrativa, l’idea dell’unità nazionale; in secondo luogo la Riforma col porre l'una contro l’altra l’autorità del papa e quella della bibbia e col dar luogo a varie sette di riformati suscitava naturalmente il dubbio sulla veracità sia dell’ autorità tradizionale che della nuova. Il terzo e grande fattore di scetticismo religioso è la rivoluzione scientifica iniziatasi nel secolo XVII e che ha la sua ripercussione filosofica nel cartesianismo, specie nel cartesianismo come metodo: criterio di verità di un’ idea, la sua chiarézza.
La Francia toccava allora l’apogeo della sua gloria nella massima potenza de’ suoi Re e la disoccupata nobiltà non trovava di meglio da fare che discutere ne’ suoi salotti delle leggi di Galileo, di Keplero e di Newton, e fantasticare delle sorti del paese in base a superficiali analogie ed induzioni tra queste leggi e le leggi storiche e assurgeva così all’ idea di leggi naturali della società simili alle cosmiche, -e di una legge naturale di progresso sociale irresistibile come quella di gravità ; e cullata da questi sogni gavazzava nel presente e s'infischiava delle generazioni avvenire. La borghesia che s’arricchiva non aveva, coni’ è naturale, altra ambizione che d’imitare la aristocrazia ; con questa differenza, che essa, che pagava le spese, dell’ ancien regime, anelava a riformarlo. Ed il criterio della verità cartesiano, che, come 1’ Hobbes aveva già fatto osservare, avrebbe portato ognuno a ritener chiare e quindi vere solo lé idee a cui era avvezzo e Che costavan poca fatica, non tardò a suggerire i metodi e il contenuto di questa riforma. La principale alleata dell’antico regime era la
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Chiesa, che, temendo che ogni avvento di regime più popolare e liberale le a-vrebbe reso più difficile di esercitar l’azione sua sui governanti nella misura in cui questi sarebbero stati controllati dal popolo, s’opponeva con ogni possa all’introduzione della cultura inglese ed olandese, che era suscitatrice di libertà di pensiero e di azione politica. Era pertanto contro di essa che doveva concentrarsi ogni sforzo.
E lo sforzo venne compiuto dagli scrittori dell’ Enciclopedia : alunni di Gesuiti, essi appresero lo spirito di dominazione e il concetto meccanico dell’ imperio delle menti : essi concepirono l’idea di opporre alla organizzazione della cultura tradizionale data dalla Chiesa una nuova organizzazione basata su quella che loro pareva la scienza e che era un miscuglio di psicologia empirica e sensistica da un lato e di grossolano meccanismo dall* altro. Il Dio Cartesiano fu presto, e non a torto, quale idea oscura, messo da parte come un inutile Deus ex machina, e di cartesiano non restò più che lo spirito fisico-matematico.
Con 1' aiuto di analogie con le leggi newtoniane dell’ attrazione e con quelle galileiane della caduta dei gravi, nonché con l’aiuto delle prime vaghe generalizzazioni economiche fondate sull’ edonismo del Locke e dello Smith e sistematizzate, anche prima di quest’ultimo, dai Fisiocratici, essi si diedero a costruire una statica e una dinamica sociale, una scienza del progresso, che, se soltanto avessero potuto, per mezzo di ministri in esse educati, presiedere al governo della nazione, ed avessero potuto, per mezzo della scuola per tutti essere inculcate nel cervello di tutti, avrebbero dovuto approdare al regno della ragione, della libertà e della felicità universale. Se chiarezza è criterio di verità, la verità non può a meno d’ esser chiara e ci deve essere una scienza vera a tutti accessibile e a tutti malleabile, che dovrebb* essere funzione dello Stato rendere scienza per tutti e di tutti. L’ errore dovrebbe diventare impossibile. La scienza è fondata sul diretto imprimersi del vero nello spirito umano ; questo non fa che riflettere, rispecchiare fedelmente le cose e gli eventi, e le cose e gli eventi non sono che corpi sensibili in moto secondo leggi necessarie.
E’ questo il concetto della scienza che presiede all’origine del laicismo : esso riposa sulla fede che la scienza ci dà lidio il vero, che questo è accessibile a tutti e non richiede che d’ essere registrato nei loro cervelli perchè tutti divengano padroni dei loro destini, liberi da superstizioni e da terrori d’oltretomba e capaci di attuare la massima felicità di tutti sulla terra : la religione non è, sempre e dovunque, che superstizione e causa di asservimento morale, politico e sociale : epperò primo dovere dello Stato è di fondare la scuola popolare,, obbligatoria e gratuita, che la sradichi per sempre in nome del vero.
Il concetto dell’ attività spontanea dello spirito è da costoro completamente ignorato e per tal modo la verità non è punto una conquista o una creazione personale, ma un dato di fatto, che da esterno diviene interno e che noi digeriamo; esso è assente perfino da coloro, che come Augusto Compie, più tardi, ravvisano l'insufficienza di una educazione scientifica così intesa a rendere inutile la religione e vengpno così a propugnare una educazione religiosa che non è più che l’educazione al culto di emozioni e di miti, che devono servire come da gendarmi della morale privata pubblica. Lo scienziato prende il posto del vescovo nella dichiarazione degli articoli di fede e il maestro elementare prende il posto del prete.
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A questi fattori del laicismo tolti da determinate correnti intellettuali, ne vanno aggiunti altri meno diretti. Uno degli effetti bonifici dell’ Illuminismo è stato quello di creare per l’appunto, per lo Stato, l’obbligo di istituire la scuoia popolare obbligatoria e gratuita e di assumersi anche il controllo della cultura superiore. Ma questa sua benefica creazióne reco necessariamente le trac-eie dello spirito che ad essa presiedette. Il carattere che domina la concezione si dell’ universo che della vita individuale, sociale e storica da Descartes fino alla Rivoluzione Francese, è, come si sa, 1’ atomismo, 1’ assenza di nessi organici sia fra gli enti che tra le senzazioni o gli individui : questo fa sì che l’insegnamento e la cultura non sono concepiti come tutti organici, ove l'aritmetica, la grammatica, la letteratura, la storia, la geografia, ecc. sono altrettanti modi di cooperare allò sviluppo di una personalità, che reagiscono intimamente gli uni sugli altri e vicendevolmente si compenetrano e si coloriscono ; bensì appaiono come altrettante materie o discipline, giustapposte, le une accanto alle altre, simili ad altrettanti cassetti, di cui quando uno è aperto gli altri sono chiusi.
E’ in omaggio a questo concetto atomistico della psiche e dell’educazione, complicato col concetto che fa della religione non una vita ma un sistema di proposizioni teologiche, più o meno intelligibili, da digerire per mettersi in guardia contro le sorprese dell’ al di là, e di riti a cui presenziare e partecipare la domenica, ma inutili gli altri giorni, che anche nei paesi ove lo spirito laico, in senso ristretto, non è prevalso, si è arrivati a un ordinamento della scuola popolare in cui la religione è insegnata (sic 1) come una fra tante matèrie, in un’ora o due della settimana.
E’ òvvia 1’ assurdità d'un tale sistema : la religione non è un sistema di proposizioni teologiche o di riti ; tutt’al più essa crea i riti e quando riflètte su se stessa dà luogo alla teologia o alla filosofìa della religione, così come la musica può dar luogo all’ acustica : essa è all’ opposto una orientazione di tutto il nostro essere teoretico e pratico : è l’affermazione dello spirito come supremo Oggetto della nostra lealtà e devozione ; come tale essa non è cosa della domenica più che del venerdì o del lunedì, nè della sera più che del mattino ; è 0 dovrebb' essere attività di tutti i giorni e di tutte le ore : è vita nello Spiritò e dello Spirito in noi sia che indaghiamo il vero in un laboratorio o cerchiamo di rievocare un'epoca storica o condurre a termine una riforma sociale o meditiamo rna creazione artistica o filosofica. Essa si nutre per tanto di tutte le altre attività del nostro spirito e a sua volta le irrora e consacra, essa progredisce di tutti i loro progressi, s’infiacchisce di tutte le loro letargie : è la loro sintesi armonica e progressiva: confesse prese complessivamente e come ciascuna di esse in particolare è in perenne processo di crisi e di reintegrazione : muore sempre per meglio rivivere.
Ciò posto si vede che non vi può essere, da un lato, una educazione religiosa dello spirito, a parte ed indipendente dalla educazione di questo in ogni sua altra divozióne possibile; e d’altra parte si vede pure che ogni educazione la quale miri allo sviluppo integrale della personale, mediante la cultura di tutte le nostre potenze e delle loro armonie, non può non avere un ideale di -ciò che è personalità integralmente sviluppata e non può pertanto astenersi dal fare una
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affermazione assoluta, ossia religiosa. Ogni indirizzo pedagogico e culturale implica una affermazione assoluta, che la sua adozione pratica in un curriculum scolastico tende, alla fine di questo, a rendere esplicita nella mente deli’ alunno. Escludere affermazioni assolute d’ ogni sorta è impossibile sia nella scuola che nella vita : vivere è affermare : non affermare una verità è affermarne un’altra » rifiutarsi a far della metafisica consapévolmente è condannarsi a far cattiva metafisica inconsapevolmente ; non praticare il culto supremo dello Spirito è praticare il culto di ciò che non è Spirito : avere dello Spirito un concetto è negare la verità d’ un altro concetto dello Spirito. La logica della Vita non conosce ibride neutralità.
Il problema si risolve pertanto in quello dello spirito, dell’ atmosfera, che deve pervadere tutto 1’ insegnamento e dare 1’ orientazione alla vita delle future generazioni. Rinunciare a risolverlo vuol dire rassegnarsi alia anarchia nella cultura e nella vita. D’ altra parte è chiaro, che, come risultato delle vicende storiche da noi enumerate, una educazione nazionale e religiosa unica ha cessato di essere praticamente possibile e desiderabile ; la Chiesa ha cessato di essere l’unica o la principale provveditrice di scuole e direttrice delle correnti di cultura : accanto ad essa esistono le scuole pubbliche, le scuole private, le associazioni di cultura, le biblioteche, i musei, le famiglie. E le scuole pubbliche non possono impartire alcun insegnamento confessionale e s’ astengono, da noi, persino di impartire nozioni sulla storia, sulla letteratura, sull’ arte religiosa : esse non hanno alcuno spirito direttivo supremo, e lo stesso insegnamento etico v’ è impartito non come supremo su tutti gli altri, ma come sussidiario ; si i-struisce più che non si educhi. E’ questo uno stato di cose permanente ed irrimediabile ? E se no, per qual via è sperabile che se ne possa uscire ?
Tutto dipende dal concetto che ci si fa della religione e della sua funzione nella vita : perciò dedicheremo i primi due capitoli allo studio della psicologia individuale e collettiva della vita religiosa ; in un terzo capitolo discuteremo le più forti tra le obiezioni alla educazione religiosa ; in un quarto capitolo studieremo la natura di questa e formuleremo alcuni principi! che devono ad essa presiedere ; in un quinto capitolo studieremo gli organi della edu cazione religiosa : la Scuola, la Chiesa, la Famiglia, gli insegnanti e le loro reciproche relazioni ; in un sesto capitolo toccheremo della metafisica dell’ educazione ; e in un settimo capitolo di conclusione e di riassunto accenneremo alle peculiari condizioni del problema dell’ educazione morale e religiosa in I-talia. E dal principio alla fine di questo studio il nostro metodo consisterà nel mostrare, fondandoci sulla psicologia religiosa e morale, e non toccando veramente di questioni specificamente filosofiche che nelle misure del minimo inevitabile e indispensabile, che l’educazione religiosa è parte essenziale, integrale e coronatrice del processo educativo : essa ha per fine di dare all’ uomo la più completa intuizione del suo alto destino, alfine di renderlo atto ad attuarla come vita sua propria.
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Noi non ci dissimuliamo, che la nostra tesi e le nostre proposte pratiche sembreranno a molti in pieno contrasto con le tendenze prevalenti nell’ opinione specialmente dei paesi latini ; ma a ciò rispondiamo in parte con tutto il libro col mostrare che, se mai, 1’ opinione pubblica, che è sempre una miscela di buon senso e di pregiudizio, è in arretrato in confronto alle correnti del pensiero psicologico, pedagogico, sociologico, e filosofico più recente. Resta che si risponda brevemente alle obbiezioni pratiche fondate sulla necessità di combattere il clericalismo e di diffondere la cultura elementare in tutti gli strati della popolazione, necessità che sembra, secondo molti, reclamare il monopolio statale dell’ educazione, c che a molti par giustificare la tendenza prevalsa verso questa soluzione nella più parte degli Stati civili.
Anzitutto ci si permetta di dire che, poiché il clericalismo, nel senso di movimento politico per la restaurazione del potere temporale, di fatto, è un movimento che ha cessato d’ avere un avvenire, per il clericalismo non si può più per davvero intendere che la tendenza a prostituire la religione per farne uno strumento di conservazione e di difesa di dati interessi sociali. Ora per combattere questa tendenza non solo non è necessario che lo Stato, si disinteressi della cultura religiosa e lasci che religione divenga sinonimo di superstizione ; ma ancora lo Stato stesso non può che trarre immenso vantaggio dalla cessazione del monopolio della cultura religiosa fin qui posseduta dal clero, dalla diffusione nel pubblico di più illuminate idee sia favorevoli che ostili alla religione, e dall’eventuale disegnarsi di correnti di vita religiosa, che s’ alleino allo spirito moderno, se ne nutrano, lo consacrino e lo promuovano ; nulla può tanto uccidere il clericalismo quanto un rinnovamento vero e profondo di religiosità, che redima questa dal servaggio a interessi parziali e ne faccia l’interprete di necessità permanenti e universali.
Nulla pertanto si oppone a che lo Stato, pur astenendosi da ogni confessionalismo, imparta nozioni di cultura religiosa ; diciamo di più : nessun segno maggiore potrebbe darsi della inabilità dello stato a compiere le sue funzioni culturali, della sua reluttanza o della sua confessione di impotenza a trovare insegnanti capaci di impartire la cultura religiosa con quell’ intelletto d’amore con cui si deve studiare ogni manifestazione dello spirito umano, e che solo può condurre a superarla, se si trova di meglio o a migliorarla se essa ci si' rivela una forma permanente di esperienza. [
In secondo luogo ci si lasci esprimere la convinzione che noi non riteniamo permanente l’attuale tendenza verso l’espansione ‘delle funzioni statali e, nella fattispecie, non riteniamo desiderabile il monopolio statale dell’istruzione e della cultura e riteniamo all’opposto desiderabile, che accanto alle scuole di Stato (elementari, secondarie e superiori) ne esistano e ne sorgano di private. Diremo di più e con piena franchezza, che il nostro ideale sarebbe che lo Stato si limitasse, sia per le scuole elementari, che per le secondarie e le superiori, a stabilire un programma minimo delle loro funzioni, lasciando poi a ciascun istituto, sia privato che pubblico delle varie località, di proporsi un proprio programma massimo.
Questo avrebbe un duplice effetto. Anzi tutto assicurerebbe varietà e progressività di programmi mercè una sempre più viva concorrenza e ciò nello
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stesso mentre che il programma minimo fissato dallo Stato garantirebbe che nessun istituto, per quanto privato, potesse sottrarsi all’influenza della vita e del pensiero contemporaneo e con ciò renderebbe impossibile ógni pernicioso effetto di scuole clericali, perchè,, anzi, anche in queste, vi sarebbe un minimum di cultura religiosa obbligatoria, che opererebbe come un reattivo contro la loro tendenza e chiudere le porte all’ eterodossia.
In secondo luogo, se questo ideale si attuasse, si avrebbe la soluzione più naturale del problema dell’ educazione religiosa, poiché, accanto al minimo di cultura religiosa aconfessionale, che in ogni scuola dovrebbe impartirsi vi sarebbe piena libertà, specie per le scuole private, di coltivare quella atmosfera religiosa specifica, che i fondatori ritengono migliore e più feconda; in questa guisa l’educazione religiosa cesserebbe interamente d’essere una educazione a parte e diverrebbe un elemento organico dell’ educazione in generale : ne sarebbe 10 spirito animatore; e si stimolerebbe pertanto il costituirsi di grandi varietà di carattere etico e di idealismo religioso teoretico e pratico. E non vediamo ragione alcuna perchè lo Stato, purché si osservino, nella lettera e nello spirito, i suoi programmi minimi, non abbia a incoraggiare questo processo con sussidii a istituti di questo genere, accordati senza riguardi ai loro programmi massimi e senza riguardo alle loro atmosfere religiose specifiche.
Anche a parte da questo ideale, è chiaro che questa è per Io Stato la soia politica culturale, che nel mentre non sopprime le scuole private, ed anzi le incoraggia ad entrare in gara con le sue, nel medesimo tempo le obbliga ad aprire le loro porte a tutti i soffii dello spirito con l’adozione di programmi minimi dallo Stato stesso elaborati.
Ed a noi sembra che l’attuale statalismo in materia di cultura è dovuto solo e principalmente a ragioni economiche e al basso livello della cultura esistente. Con l’arricchirsi d’un paese e col costituirsi di una coscienza nazionale più complessa ed affinata e con raffinarsi delle esigenze culturali, è inevitabile, che accanto a un comune minimo quantum di cultura, che lo Stato può impartire, sorga il bisogno di provvedere a diversificazioni qualitative della cultura su questo sfondo comune; e a questo bisogno dovranno provvedere coloro che lo sentono. Sopratutto a mano a mano che si apprezzerà la natura organica dello spirito umano e quindi ogni vero processo educativo e verrà concepito nella sua concreta importanza il problema dell’atmosfera e dello spirito che deve animare tale processo, si vedrà che il miglior modo per lo Stato di combattere il clericalismo nel senso in cui questo è moto avverso allo spirito di libertà e di critica, e il monopolio di cui esso gode, non è quello di sostituire un monopolio a un altro, ma bensì quello di creare e promuovere tale varietà crescente di vive correnti culturali, religiose e non religiose, da rendere impossibile ad alcuna di esse di aspirare a una posizione di privilegio per rispetto alle altre.
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La nostra tesi potrà parere troppo teorica a tanti spiriti che si credono pratici e non sono che miopi ed empirici; ma essa riposa sull’incoercibile na-
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IL PROBLEMA DELLA EDUCAZIONE RELIGIOSA $$$
tura dello spirito umano e sulla sua sete di varietà, nonché sulla storia che mostra che alla lunga, le utopie dei teorici prevalgono sulle miopie dei pratici in misura superiore a quella sognata da coloro stessi che le concepirono. In materia culturale come in ogni altra l’azione collettiva e la individuale, l’azione della legge quella degli sforzi spontaneamente associati non si escludono, ma si integrano ed alla lunga ciascuno non consegue il suo massimo successo che mediante la cooperazione — spesso inconsaputa — e il controllo dell’ altra.
I dati di psicologia esposti nei primi due capitali hanno a loro fonte sia l’ampia bibliografia riportata alla fine dei capitoli medesimi, sia un complesso di ricerche e di inchieste condotte assieme con varii insegnanti e specialmente, sebbene non esclusivamente, con insegnanti inglesi aventi lunga esperienza di psicologia infantile in ispeciale relazione con 1’ educazione religiosa. Finalmente crediamo che tutto il libro basti di per sè ad attestare uno sforzo sereno e sostenuto per abbracciare il problema delicatissimo ne’ suoi molteplici aspetti.
Esso avrebbe potuto facilmente essere accresciuto di mole facendo sfoggio di facile quanto inutile erudizione ed analisi critica volta contro le tesi pratiche e teoriche della ortodossia religiosa autocraticamente imperante nella Chiesa Cattolica.
Abbiamo preferito lasciare i morti seppellire i loro morti ed affrontare le difficoltà di un modesto tentativo di sintesi e di ricostruzione. Le sintesi ricostruttive sono, dopo tutto, le sole vere complete e durature demolizioni ; mentre la mera critica demolitrice fa il vuoto nelle anime e spesso oscura le menti ed inacerbisce i cuori, i conati ricostruttori, col riconoscere a tutte le correnti di pensiero il loro grado di verità, allargano di per ciò stesso le potenze di simpatia di coloro che li intraprendono e avvicinano, nella misura in cui sono coronati da successo, spiriti che si credevano lontani e nemici, col far appello in tutti a ciò che in essi vibra di nobile e di universale.
Per quanto sia inevitabilmente vero che ogni intrapresa sia dello spirito teoretico che del pratico si sviluppa in reazione contro qualcuno o qualcosa, abbiamo la coscienza di esserci tenuti in guardia almeno contro il mero e consaputo impulso di reazione, convinti che, se vi devono essere controversie e battaglie, esse possono essere rese meno aspre da una nobile emulazione tra i combattenti d’oghi parte a non colpire l’avversario che mediante la autorizzazione strappatagli col renderlo confesso di debolezza o di contraddizione, ossia mediante la ritorsione contro di lui della sua stessa ragion profonda. Ricevere da lui tutto ciò che può darci e dargli ciò che non ha : tale deve essere il programma di ogni atleta d’idee. A questo programma che trasfigura le più acerbe contese sui più delicati problemi in cavalleresca tenzone, od anzi, in fraterna cooperazione e mutua disamina, abbiamo cercato rigorosamente d’ attenerci convinti che, poiché ogni azione non può non essere un precedente od un esempio buono o cattivo, il tentativo nostro, anche se non ritenuto vittorioso nel suo fine, debba almeno meritare d’essere annoverato tra i buoni esempi pel modo e lo spirito in cui fu condotto.
ANGELO CRESPI
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Lo stato delle anime dopo la morte
secondo il libro XI dell'Odissea.
i sa che notizie sufficientemente ampie sulla condizione dèlie a-nime dopo la morte secondo i concetti omerici si possono ricavare dalla vezvopavreia o véxvia del libro XI dell’ Odissea, ossia dalla evocazione dei trapassati che Ulisse, per conoscere dal profeta Tiresia la via del ritorno, fa sul lido di Pcrsefone, presso l’isola di Eea, di cui il nome appunto, secondo l’Etymologicum magnum, (Ed. Jaisford, pag. 27)
era dovuto ai gemiti delle anime vicine. (*) La folla delle anime, confusa moltitudine descritta in pochi versi pieni di timore e di pietà, non può riprender consistenza e riaver la conoscenza che bevendo il sangue delle vittime sacrificate, il che l’eroe concede al vate Tiresia ed alla madre, colla quale ha luogo una delle scene più commoventi dell’epopea greca (V. 152-224), mentre nella seconda parte della narrazione, interrotta da una enumerazione di donne illustri, alla maniera Esiodea (v. 225-232), è descritto l’incontro di Ulisse con gli antichi compagni che caddero combattendo davanti ad Ilio, Agamennone, Achille, Aiace, in scene ricche di sentimento pietoso e profondo, di cui il pathos è tratto dalla natura umana. Nell’ ultima parte sono descritti alcuni personaggi mitologici puniti nell’ Ades, Minosse che giudica, Orione che caccia tutto armato pei campi di asfodelo le belve, Tizio steso e legato al suolo, Tantalo nella palude, Sisifo che spinge un macigno su pel monte, dei quali solo i tre ultimi hanno una punizione determinata ; i versi che a loro si riferiscono furono attribuiti ad Omero stesso generalmente dagli antichi, come Platone (1 2), e tra i recenti dallo Starle (3) e dall’ Havet, (4) ad un poeta più recente tra gli antichi da Aristarco (5) e tra i moderni dalla maggior parte dei critici, tra cui il Comparetti, (*) il Kirchhoff, (’) il Niese, (8) il Rohde, (9) ad un interpolatore orfico li assegnarono il Wilamowitz, (10) il Preller, (“) il Dieterich. (*2) Abbiamo qui una concezione del regno dei morti rudimentale, ma non scevra di grandezza poe(1) Reinach : Cultes, mythes et religions 1906, II, 158-205 — Lucchesini, Vili, Antologia, 1822, p. 153 — Bérard : Les Phéniciens et l’Odyssée, 1903, II-311, oltre Kirckhoff, Koechly, Wilamowitz, Batistic, ecc.
(2) Gorgia, 515 d.
(3) Nsobe und die Niobiden, Leipzig. 1863, p. 482.
(4) Revue de philologie 12, (1888), p. 166
(5) Scho), ad Pind. 01. I, 97(6) Philologus, 32 (1873) P- 243(7) Hom. Od. Berlin, p. 232.
(8) Die Entwickelung der Hom. Poesie, p. 166.
(9) Psyche, Freiburg, p. 46.
(10) Homerische Untersuchungen, 18S4 p. 142.
(11) Gr. Mythologie, Berlin, p. 820,
(12) Nekyia, Leipzig, p. 76.
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LO STATO DELLE ANIME DOPO LA MORTE NELL'ODISSEA 537
tica (‘) poiché la prima sorgente di emozione si deve cercare nel sentimento misterioso di tristezza che ispirano naturalmente la vista ed il pensiero della morte. Certo in quel regno degli estinti manca qualsiasi ordine, non v’è nè unità nè regola, ma nell’assieme vi è un effetto di una strana potenza che viene dalla indecisa semplicità di una concezione quasi barbarica. In quella dimora delie anime tutto è vago. Chi sono quei Cimmeri condannati a vivere nella regione dei trapassati? dove sorge la riva del fiume Oceano e la pianura di Asfodelo e la regione in cui è l’ombra di Elpenore che, priva dei funebri onori, non può unirsi alle altre anime? E questa regione indecisa è abitata da larve, di cui la natura e lo stato sono concepiti in un modo speciale, e che, per quanto non scevro di contraddizioni, segna un progresso sul resto dell’ epopea, delle cui vaghe credenze è esatta espressione il grido che sfugge dalla bocca di Achille, dopo vani sforzi per abbracciare il fantasma di Patroclo apparsogli nella notte : « Grandi Dei, anche nella dimora di Ades sussiste dell’uomo un’anima ed un fantasma, ma la realtà della vita lo ha completamente abbandonato. (8)
L’epopea greca riconobbe sempre che v’è nell’uomo, oltre al corpo, anche un’ anima da questo ben distinta (’), che però non è mai lo spirito (1 2 3 4) e non ha alcuna parte nei fatti di ordine intellettuale, ma è soltanto il soffio di vita, 1’ aria che noi respiriamo, considerata come un agente vitale, di cui la sede era nel petto, così come il sangue che costituiva un altro principio, intimamente legato ad essa : sopravvive alla distruzione del corpo e, se a questo è stato concesso l’onore della sepoltura, scende all’Ades, (5) riproducendo la forma del corpo in cui abitò, (®) sicché le anime dei morti sono le immagini dei defunti, giòco?.« xapóvccov, e sono di materia sottile, il che ne spiega gli epiteti. (')
Ma quantunque la psiche sopravviva al corpo, pure la sua esistenza è così strettamente unita a quest’ ultimo, che, separandosi, essa soffre una diminuzione quasi equivalente ad un annullamento : (8) dal corpo tuttavia viene quello che ancora rimane, quella forma vuota ed impalpabile dove si ritrovano le linee caratteristiche della personalità vissuta sulla terra, il tipo creato dalla natura per ogni individuo e che non deve più perire. Niente di più lugubre della condizione di quella vuota forma: è un’ombra ed il termine è perfettamente appropriato. La vita vera è solo nel corpo : così quando un eroe cade, qualunque sia il suo valore, l’anima sen fugge con un gemito, piangendo la perdita del suo vigore e della sua giovinezza. Ed invero, siccome gli antichi non potevano pensare che l’anima potesse avere qualche principio attivo, (9) così dopo morte essa poteva avere solo una vita monca, senza ricordo dell’esistenza terrena, a guisa di ombra (come in Eneid. VI. 392 « tenues sine corpore vitas ad(1) Girard : Le sentiment religieux en Grèce ecc. • Paris, 1869, p. 306.
(2) II. 23-102-104; v. Girard, o. c.p. 303.
(3) Goeke : Hoineri de morte mor-tuorumque condicione sententiae, Halis Saonum, 1863, p. 4.
(4) De Sanctis : L’ anima e l’oltretomba secondo Omero, in : Per la scienza dell’ antichità, Torino. 1909, p. 91.
(5) Nitzsch : ad Odyss. IV-25S.
(6) Collignon - Mythologie figurée de la Grèce - Paris, 18S3, p. 290.
(7) Od. X, 493: H- XXIII. 72: Od. XI. 207 ; Il XXIII, 100: cfr: Goeke, op. cit. p. 5.
(8) Goeke, op. cit. p. 5-6 — e Girard, op. cit. p. 304-307.
(9) Goeke, op. cit. p. 3.
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$3« moneat volitare cavae sub imagine formae », vita triste e scolorita, sicché ben s'intende come all’uomo omerico nulla riesca più odioso delle porte del regno dei morti. (*) Nè queste anime vagano per gli spazi, ma scompaiono nel mondo invisibile, a cui, non potendosi concepirlo astrattamente, davasi una sede determinata, all’estremo occidente dove muore il sole, quasi ad immagine della morte. (2)
Nei poemi omerici, secondo alcuni, vien fatta menzione di un solo A-des, localizzato agli antipodi o sulla riva settentrionale del Ponto Euxino o in Ispagna o altrove, secóndo altri di due, uno sotto terra, 1’ altro ali’ occidente, cui si perveniva dopo aver varcato l’oceano (s). None improbabile che in O--mero le due idee coesistano; (‘) possiamo però dire che, secondo l’Odissea, i morti abitano una regione tenebrosa sulla spiaggia dell’ Oceano, mentre, secondo l’Iliade, Aidoneus governa un regno sotterraneo comunicante colla dimora dei vivènti (*). Di necessità poi la fantasia degli nomini doveva cercare di raffigurare con immagini tetre e spaventose il tenebroso regno, luogo pieno di orrore e di tenebre, di tristezza e di lutto, un paese coperto bensì di praterie e di boschetti, ma dove le piante sono sterili e rattrappite. Così invero descrive l’A-des Circe ad Ulisse. In questo regno di Persefone sono le anime, le quali, essendo solo apparenze e fantasmi, senza realtà e senza dolori, senza gioie e senza sofferenze, senza intelletto e senza riflessione, (c) povere ombre quali 1’ arte greca così spesso raffigurò in atteggiamenti di dolore e di lutto per rappresentarne la oscura esistenza (*), non vi godevano che di una vita molto misera.
Acquistando poi favore 1’ aspirazione a dare sentimenti e passioni alle a-nime, e dar loro quasi vita, vediamo già nella parte comparativamente antica della Nekyia omerica che il poeta dice che, bevendo il sangue delle vittime, le anime dei morti ricuperano per un istante la coscienza, che invece possiede sempre il solo Tiresia, che 1’ ha ricevuta in dono da Persefone ($). Quantunque quest’ opinione non si veda che nella Nekyia tuttavia essa può ancora accordarsi colle idee dominanti nell’ epopea : difatti, bevendo il sangue, le ombre, in una certa tal guisa, riprendono corpo e possono momentaneamente possedere una attività spirituale : le anime, del resto, non bevevano solo sangue, ma con singolare contraddizione, per quanto si stimasse che 1' anima separata dal corpo fosse un soffio rivestito di vana apparenza, pure si pensava che potessero prendere ancora cibo, non alimenti molto nutritivi, quali convengono a dei corpi di carne, ma una bevanda leggera, cioè vino ed acqua, nei quali si scioglieva farina(3*).
Il tentativo di dar corpo e sentimenti alle anime faceva sì che spesso i concetti più recenti fossero in aperto contrasto con quelli più antichi, che pure sussistevano. Tralasciamo gli esempi che in qualche modo si possono difendere ; così Elpenore parla senza aver corpo e senza aver bevuto il sangue, ma si poteva pensare che, finché il corpo non fosse bruciato, la psiche conservasse alMfr‘ 11 A44®: . „ . , n (6) Preller: Gr. Mytholog, Berlino,
(2) Maury: I.a ehgion en Grece, 1,820. 1894, p. 820 .
(3) Eggers: De orco homerico, Alto- (7) Fairbanks: Athenian White Le-nae, 1836. p,.6. kythoi, New York. 1907, p. 192.
4 J?e„?ancl,s’ °P- Clt‘ P- (8) Preller, op. eit. p. 820.
(5) Collignon, op. cit. p. 297. (9) Od. z, 5x6 ; 26.
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LO STATO DELLE ANIME DOPO LA MORTE NELL* ODISSEA 539
cune delle sue facoltà; (*) ma anime esangui portano armi e per quanto siano « tenues sine corpore vitae » tuttavia possono piangere e mostrar ferite e Ti-resia porta uno scettro ed i morti mandano una voce acuta, come se avessero polmoni : le loro figure si possono destinguere — odono le parole degli uomini -intanto sfuggono al contatto delle mani ed Anticlea non può essere abbracciata dal figlio, mentre ha paura di una spada, come tutte le altre anime, ed Agamennone (Od. X, 393), come il fantasma di Patroclo nell’ Iliade (tp, 99 100), stende la mano all’amico e pure dovrebbe conoscere la propria natura fluidica. Mentre Agamennone è di materia così sottile da potersi appena reggere, Achille a gran passi si aggira per la pianura (X, 229) ed Orione caccia le belve con una gran mazza di rame. (2) In questi due casi, come in quello di Eracles, (3) abbiamo il concetto che gli estinti continuino, come per una ripetizione istintiva, nell’altra vita le occupazioni di questa : concezione quest’ ultima suggerita alla mente degli uomini primitivi dai sogni, nei quali appare il morto — come Patroclo ad Achille nell’ Iliade, sotto la medesima forma, nello stesso atteggiamento ed anche colle stesse occupazioni della vita : così l’anima di Agamennone con i commilitoni morti combattendo davanti ad Ilio, d’ Achille in compagnia dell’ amico Aiace, non dimentico dell’ offesa mortale, sono raffigurate tutte in un atteggiamento caratteristico della loro vita, quali si scolpirono nella mente dei presenti. Minosse invece è rappresentato in un atteggiamento quale risulta dal complesso della sua esistenza, nell’ esercizio della sua funzione solita ed abituale, che egli continua anche dopo morte (4). Nè l’idea che l’anima continui dopo morte le sue occupazioni nell’ Ades, per quanto non vi si alluda altrove nell'epopea è veramente in opposizione con i concetti omerici, poiché queste anime, anche se la loro realtà corporea non è ben definita, non sono senza corporea sembianza. Quando poi la persona è morta in circostanze tragiche, di morte violenta, accade che la si immagini non come era in vita, ma come era quando cessò di vivere. Così già tra le anime che si affollano attorno al sangue delle vittime vi sono « guerrieri feriti da giavellotti di bronzo, rivestiti d’armature insanguinate ($)».
Grande è dunque l’incertezza sulla natura e la condizione delle anime : ma, progredendo le idee morali e quell' esigenza di giustizia che cerca il suo appagamento nell’ al di là, vediamo come nella parte più recente della Nekyia del-1’ Odissea si sia arrivati ad attribuire pene alle anime, sebbene per eccezione, e quindi ad ammetterne la corporeità.
Sebbene l’idea della immortalità sia aliena dall’ epopea, tuttavia non manca qualche germe della esigenza di una pena eterna, mentre la fede in un premio per i buoni si manifestò assai più tardi (*), ed in Omero non ve ne è
(:) Naegelsbach : Homerische Theologie, Nürnberg, 1840, p. 298.
(2) Brausewetter : De Necyia Homeri, Reg. Pruss. 1863, p. 11.
(3) Mentre in nessun luogo dell’ epopea vien fatto cenno dell’ apoteosi degli eroi, qui Eracles si presenta colla VWÌ dimorante tra gli Dei, mentre 1’ si&dZov vaga nei tetri spazi deli' Ades, come è il caso dei Dioscuri che, benché confinati nell’Ades, hanno lo stesso onore degli dei: vien così distinto il fantasma dall’ anima — Cfr, Ameis - Hentze - ad Odys. Leipzig, 1872. T. Ili, p. 602 e Réélus : La survie des ombres, Paris. 1908, p. 203.
(4) Nitzsch , ad Odyss. HI, 234.
(5) S. Reinach : Sisyphe aux enfers et quelques autres damnés - in Revue archéologique, I, 1903, p. 162.
(6) Nitzsch : ad Odyss. III, 319.
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traccia, quantunque vi sia. in una parte recentissima dell'odissea un accenno ai campi Elisi in bocca a Proteo (*), tra le profezie che rivolge a Menelao, che però non deve la sua immortalità ad altri che a Zeus, perchè (ne adduce il poeta la ragione) è sposo di Elena e quindi genero de) Dio da cui tal dono deve unicamente ripetersi (s). Se invece non mancano in Omero esempi di puniti nell’ Ades, poche sono ancora le colpe per cui nell’ epopea si senta 1’ esigenza di una punizione soprannaturale e sola che abbia normalmente una pena nella vita futura è lo spergiuro ((i) 2 3j.
Ma mentre nell' Iliade puniscono le Erinni che Aidoneo e Persefone mandano sulla terra a colpire i malvagi (4 5) ed a vendicare -lo spergiuro e nell’ Ades puniscono 1’ assassinio, gli oltraggi e le violenze contro i genitori (5), senza che vi siano pene determinate nè imperi una legge generale di giustizia, nell’ Odissea 1' elemento morale scompare di fronte al fatto religioso (6). Non sono separati nell’ oltre tomba i malvagi dai buoni (’), nè si parla di merito o di demerito, nè di una giustizia punitiva, nè si fa menzione di un giudice dei morti. Minosse, è vero, giudica, ma si tratta delI’ombra di un principe che continua ad esercitare le sue funzioni terrestri (3). E’ di tempi posteriori l’idea che quelli che han vissuto onestamente debbano avere nell'oltre tomba come premio, e per legge di giustizia, un destino migliore di quello serbato a coloro che han commesso colpe, sicché gli uni vadano nel Tartaro, gli altri ai campi Elisi (9). Invero tutti i mortali non privilegiati vanno a popolare il regno di Aidoneo come ombre vane ed in fondo ciò è conforme alle leggi naturali. Gli uomini muoiono dopo aver vissuto ; la vita è il tempo delle gioie e delle sofferenze, frutto dell’ attività. Perdendo la facoltà di agire si perde anche quella di godere e di soffrire, ma però quest’ ultima è riservata ad alcuni grandi colpevoli (‘°) che sono puniti per eccezione, come ogni eròe dell’Eliso è tale per grazia (“). Non si tratta più qui di ombre, pallide immagini dei corpi viventi, cui della personalità resta solo un vago e fievole ricordo, appena capaci di rianimarsi un istante col ritorno passeggero della sostanza nutritiva del corpo e che quindi, mancando la materia sensibile, non possono sentir nulla, ma di anime che hanno grande vigoria e potenza, nervi e muscoli per faticare e soffrire (,2), e che persero il beneficio della loro insensibilità perchè si son messi fuori della legge comune con i loro attentati contro i diritti inviolabili degli dei.
Nè possiamo dire che nel nuovo concetto di pene inflitte alle anime dopo morte si possa vedete l’influenza di dottrine orfiche, come vuole il Wilamo(i) Dieterich, Nekyia, Leipzig, 1893, p. 20-21.
(2) Cerrato : Del fato nelle poesie o-meriche, Torino, 1S79, P- 56. Valgimigli: la trilogia di Prometeo, p. 56.
(3) IL v. 254: efr: Naegelsbach, op. cil. p. 298.
(4) II. IX, 554-568: efr: Weicker: Griechische Götterlehre, Göttingen. 1862, p. S16.
(5) IL XI, 204.
(6) Girard, op. cit. p. 324.
(7) Naegelsbach, op. cit. p. 347.
(8) Batistic : Nekyia, Zara, p. 21. .
(9) Goeke, op. cit. p, 19.
(10) Naegelsbach, op. cit, p. 34S.
(ii) Dieterich, op. cit. p. 63.
(12) Pascal : Le ombre e le anime dei morti in Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e lettere. Serie II, voi 42, fase. VI, p. 245.
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LO STATO DELLE ANIME DOPO LA MORTE NELL’ODISSEA 541
witz (*), sia perchè la raffigurazione di alcuni eroi e specialmente di Eracles e le sue relazioni con Atena ed Ermes gli sembrano risentire dèli’ arte del VI sec.» sia per il fatto che delle pene sono inflitte e, come nel caso di Tizio, quale corresponsione della colpa, poiché un avvoltoio gli rode il fegato, sede della passione peccaminosa (1 2), mentre invece il Gruppe (3 * *) stima che in questa pena non vi sia nulla che si riferisca al concetto più importante dell’insegnamento orfico, che le anime, cioè, dopo morte siano punite o ricompensate secondo giustizia. •
Invero, nei numerosissimi poemi scritti sofito l’influènza orfica e destinati più ancora che a schiarire il mistero dell’oltretomba a . dar precetti per vivere santamente, (*) venivano esposti nuovi concetti sulla vita futura e sul destino umano, insistendo specialmente sulle pene che colpiscono dopo morte i malvagi, idee queste derivanti dalla elaborazione dotta di una setta, come lo conferma lo Pseudo-Platone (Epist. Vili, 35, 5 A) dichiarando che tutte le credenze Sulle pene delle anime si riannodano non a voci popolari ma a sacri e dotti insegnamenti (*'). Ed appunto le escatologie orfiche si distinguono dalle altre dottrine religiose e filosofiche della Grecia per le loro terribili pitture della vita dell’ oltretomba, fatte coll’intenzione di ammaestrare e ricondurre sulla retta via gli nomini : quella potenza di perfettibilità che prima si credeva riservata agli eroi soli, si estese anche agli umani, che per via di purificazione e di espiazione, disperdevano il male insito nella loro natura (®), e, facendosi iniziare, trovavano nei misteri 1’ espiazione delle colpe, la purificazione dell’anima, la pace e la buona speranza (*).
Rispetto alla sorte che attendeva le anime nell’oltre tomba, mentre nel primitivo insegnamento eran le Erinni che punivano le colpe contro i sacri doveri della famiglia e contro il giuramento (8), posteriormente si pensò ad un regolare giudizio delle anime. Quando l’uomo muore, Ermes porta nel mondo sotterraneo 1’ anima immortale; ivi essa subisce un giudizio, nel quale si pronuncia la terribile sentènza giudicatrice delia sua vita : i malvagi soffrono pene terribili nel profondo Tartaro, nell’oblio e nella oscurità senza fine, mentre i giusti, poiché tutti devono affrontare questo giudizio, ottengono premio: quelli poi, che non si sono macchiati di nessuna colpa, ma non sono seguaci ideile dottrine orfiche, si trovano in uno stadio intermedio, ma sembra, che, almeno secondo un concetto specialissimo che non ha riscontro nell’ antichità, potessero purificarsi mediante l’opera dei parenti ancora in vita ed ascritti alla setta orfica. (’) Per quel che riguarda le ricompense e le pene è noto che Platone, ricordati i premi che, secondo Omero ed Esiodo, gli Dei concedono ai giusti, di(1) Homerische Untersuchungen, Berlin, 1SS4, p. 2OÏ.
(2) Decharmes: Mythologie de la Grèce antique, Paris, 1S79, P- 401 : cfr : Preller, op. cit. p. S23, n. 3.
(3) Gr. Mythologie in Handbuch der
klassiche Alterthum-Wissenschaft di I. Müller. V, 2 p. 651.
(4) Dieterich : Nekyia, 1893. p. 161,
(5) cfr. Giuliano, Or. VII, p. 281, 3, Hertl.
(6) Valgimigli, op. cit. p. 57.
(7) Bertini: La filosofia greca prima di Socrate, Torino, 1869, p. 48.
(8) Stobeo : Flor. 79, 28.
(9) Rohde, op. cit. II, 420. — cfr. Lo-
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chiara che molto maggiori sono quelli promessi da Orfeo e Museo (designando così gli autori che ne avevano usurpato il nome) e che pure ci paiono piuttosto materiali, (*) feste e conviti e vita lieta e serena ; questi premi di una vita giusta l’uomo, secondo l’insegnamento dei filosofi e dei poeti orfici, poteva procacciarseli osservando la pietà verso gli Dei e la giustizia verso gli uomini, mentre invece, secondo i sacerdoti, il massimo della pietà consisteva nell' essere ascritto alla setta orfica, sicché solo, chi ad essa apparteneva poteva esser redento da ogni colpa. Rispetto alle colpe punite è cosa conosciuta che, già secondo le più antiche credenze dei Greci, i delitti puniti colle maggiori pene dagli Dei sono il parricidio, lo spergiuro e la violazione dell' ospitalità. Era anche opinione sparsa che queste tre categorie di colpevoli fossero punite nel fango dello Stige : (2) così opinarono gli orfici, che però della gran colpa, del parricidio, si ricordarono specialmente, dichiarando che chi si macchiava del sangue dei genitori, quand’ anche in vita riuscisse a sfuggire al giusto castigo era punito dopo morte con supplizio corrispondente al delitto; (3) così chi aveva ucciso il padre era a sua volta eternamente ucciso dal figlio: i non iniziati poi, nello stato transitorio, erano nel continuo timore di supplizi eterni.
In opposizione invece a questo concetto di pene o ricompense, stabilite con legge inderogabile per tutti e che è proprio dell’ insegnamento orfico, nella Ne-kyia omerica i peccatori puniti con pene determinate, lungi dall’essere esempi tipici del castigo che tocca nell’ altra vita alla colpa, sono condannati in via di eccezione: non in omaggio alla legge morale, ma per l’arbitrio capriccioso dei numi (’). Così nella pena di Tizio colpito per aver tentato di lecare oltraggio a Latona non deve vedersi la punizione di una trasgressione alle leggi della morale, ma semplicemente la vendetta di un dio offeso. Non ricordando poi le colpe degli altri due peccatori, Sisifo e Tantalo, il poeta mostra chiaramente che non si pone affatto dal punto di vista del moralista, e, tanto meno, che si cura di commisurare la pena al peccato. Notiamo poi che le varie versioni della colila di Tantalo si possono ridurre all’ idea fondamentale di avere offesi gli Dei, mettendosi a paro con loro : colpa di Sisifo fu l’avere avvertito Asopo che il Dio gli rapiva la figlia (almeno in Ferec. ap. Schol. z. 153) ed aver cercato <li sfuggire alia morte, mandatagli in pena da Zeus: nel qual caso, in verità, non si può trovar nel castigo la sanzione di una legge di morale.
In sostanza, secondo la Nekyia dell’ Odissea, dopo la morte non si ha ima pèrdita totale della personalità umana; per quanto nell’al di là non vi sìa una vera vita e le ombre abbiano solo un’esistenza di larva, pure esse possono, bevendo il sangue, riprendere un’apparenza di vita: sviluppandosi naturalmente le concezioni escatologiche si ammise per le anime una certa materialità, sia pure per eccezione e per l’irrogazione di una pena. Riguarda alla forma ed apparenza esteriore delle ombre, o esse vengono concepite simili alla persona viva,
beck : Aglaophamus sive de Theologiae mysticae Graecorinn causis - Reg. Pruss. 1S29- Grote: Hist, de la Grèce III 86 -Lang: Mythes, cultes et religion, Paris4 1S95. P- 270(ï) Plat. Rep. p. 363 c.
(2) Aristof. Rane, 147-247.
(3) Plat. Leggi, IX, S70, E cfr. Plat. Fedr. p. 695.
(4) Rohde, op. cit. p. 630.
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LO STATO DELLE ANIME DOPO LA MORTE NELL’ODISSEA 543
o, specie in casi di morte violenta, quali si presentarono nel momento tragico della morte, o come continuando nell’ al di là le ordinarie occupazioni, o in un atteggiamento caratteristico, quale rimase inpresso nella mente degli uomini : in un caso speciale, Eracles, la psiche è all'Olimpo mentre il fantasma si trova nell’ Ades. Non vi è cenno di ricompense, nè di punizioni, salvo che in tre casi di pene a peccatori, ma in via di eccezione.
V’ è solo quindi una tendenza generale, se pure appena accentuata, a dare consistenza e realtà alle anime dei morti ed un accenno ad una punizione del male nell’oltretomba mediante sofferenzi personali. Il problema dell’al di là non lasciava indifferenti le immaginazioni ed i cuori. L’anima greca non ci è completamente rivelata da uno dei cori della Medea di Euripide : « Figli di Eret-teo, discendenti degli dei beati, nutriti della più alta saggezza, d’un passo leggero avanzate nella luce del più puro etere ». Non van dimenticate le parole che Platone mette in bocca a Cefalo : « Sappi, o Socrate, che 1’ uomo, quando comprende che la morte s’avvicina, comincia a preoccuparsi di quel che prima gli era indifferente. Mentre prima rideva delle favole che si raccontano sull’ Ades e le sue pene, ora è tormentato dal pensiero che tutto ciò potrebbe anche essere la verità ».
C. ROSTAN.
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LA RIFORMA NELL’ ISLAM Bàbismo e Behaismo.
ITTI le grandi religioni sono stale fecónde in tentativi di riforma. Questi tentativi, nell’Islam, rappresentano un mondo così vasto di pensatori, d'uomini pii, marabuti, di capi di confraternite» di semplici laici che non possiamo pensare in questo breve studio di passarlo ih rassegna.
V’ è però un duplice importantissimo movimento reli
gioso contemporaneo che deve attirare la nostra attenzione: intendo parlare del Bàbismo e del Behaismo strettamente legati tra loro sebbene alquanto diversi
l’uno dall'altro (*).
Il Bàbismo è uscito da quella forma dell’IsIàm particolare alla Persia che si chiama lo Schisma e della quale abbiamo parlato nella seconda parte di questo nostro lavoro.
Una delle dottrine fondamentali dello Sciismo è quella dei dodici Imam, cioè dei primi dodici capi dell’ Islamismo sci’ ita immediati successori e discendenti di Maometto.
Il dodicesimo Imàm è stato il Mahdi o Messia finale (quel Mahdi che, secondo gli altri mussulmani, deve apparire in un non lontano avvenire). Ben è vero che questo Imam Mahdi è morto verso 1’ anno 940, ma egli è considerato dagli Sci' iti come tutt’ ora vivente in una città misteriosa dove aspetta la fine dei tempi per ricomparire e fondare nel mondò l’èia della giustizia.
Ciò non basta: gli Sci’iti pensano che, tra i discepoli dell’Imam Mahdi, ci deve essere sempre un discepolo eccezionale, dimorante in comunione spirituale diretta coll’ Imam soprannaturale.
Orbene il fondatore del Bàbismo, Mirzà Ali Mohammed si credette e si fece passare per questo eccezionale discepolo. Perciò assunse il titolo di Bàb cioè « Porta » equivalente a quello di Rivelatore. La « Porta »è il mezzo di comunicazione tra l’Imam e i suoi fedeli.
Il Bàb incominciò il suo ministero nel 1844 all’età di'24 anni, Io terminò
(1) Vedi la nota a pag. 456 di Bilychnis (Sett.-Ott.).
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LA RIFORMA NELL’ ISLAM
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nel 1'850 all’età di 30 anni. Questi sei anni, li passò quasi interamente in prigione : prigione non rigorosa poiché poteva ricevere gli amici, corrispondere coi discepoli e attendere alla composizione delle sue opere.
Il Bàb era uomo di alta moralità, di temperamento dolce portato al misticismo. Lo si considerava come un santo, e gli si attribuivano dei miracoli; eppure égli fu condannato a morte e martirizzato.
Che v’ era dunque di così rivoluzionario nelle sue dottrine ?
V’era il suo speciale misticismo che costituiva un appello costante alla libertà individuale e sociale. Ogni riforma religiosa nell’ Islam tende a liberare l’individuo non solamente dalle tradizioni religiose ma altresì dalla servitù politica; per questo il Bàb (riformatore popolare che sollevava l’entusiasmo delle folle) fu giudicato dall’ autorità ecclesiastica prima e quindi dall’ autorità civile come un pericoloso sovversivo di cui s’imponeva la soppressióne.
Il misticismo del Bàb ha una speciale caratteristica. Il Bàb afferma 1’ unità di Dio, immutabile, eterno, ma, in pari tempo egli accetta esplicitamente il panteismo. La creatura è distinta da Dio in quanto essa non possiede affatto la pienezza degli attributi divini; ma questa creatura non è separata da Dio perchè « non v’è nulla fuori di Dio », e Dio stesso esclama: « In verità; o mia creatura, tu sei me ! » Tutto ciò che esiste e che è inferiore a Dio è dunque scaturito da Lui per via di emanazione.
Iddio, in se stesso, è infinitamente al disopra dell’intendimento umano. Egli dunque si è manifestato, progressivamente, per mezzo dei profeti. Tutti questi profeti hanno parlato agli uomini secondo i tempi e le circostanze, cioè secondo la capacità d’intendimento dei loro uditori. E siccome questa umana capacità d’intendimento cresce col volger dei secoli, ne risulta che 1’ ultimo dei profeti è superiore a tutti coloro che l’hanno preceduto. Per questo Gesù è stato superiore a Mòsè, Maometto superiore a Gesù, e il Bàb superiore a Maometto.
V’ è però nel Bàbìsmo qualcosa di mólto strambo, 1' importanza da lui attribuita ai numeri, i quali vengono combinati in mille modi, sempre però sulla base dell’ Unita o « Punto » e del numero 19.
Il valóre del « Puntò » deriva da una tradizione attribuita a Ali, il primo Imam. Alì aveva dichiarato che tutto ciò che v’era nel Corano era contenuto implicitamente nella prima Surate, che questa alla sua volta era implicitamente contenuta nelle parole Bismi'llàh (nel Nome di Dio) colle quali la Surate incomincia ; che questa formola era alla sua volta implicitamente contenuta nella prima lettera b\ e che — siccome questa lettera in arabo è formata da un arco di cerchio con sotto un punto ( '-' ) — essa stessa era implicitamente contenuta nel punto segnato sotto T arco di cerchio: « Io sono quel Punto ». Tale
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sarebbe 1’ orìgine dell’ importanza eccezionale del Punto o Unità ; in esso è riassunta tutta la verità religiosa.
In quanto al numero 19 esso è quello delle lettere della forinola completa ll&h (nel Nome di Dio misericordioso e clemente). Il medesimo numero è dato addizionando i valori numerici -delle lettere che formano la parola araba iv&hid « uno » (in arabo ogni lettera corrisponde a una cifra o a un valore numerico). Il numero 19 essendo sacro e divino, e poiché, come lo dimostra la parola vj&hid la manifestazione Stessa dell’Unità, ossia l’uniti divina, è un tutto composto di 19 energie o forze, il numero 19 deve ritrovarsi dovunque e determinare ogni cosa sopra la terra. L’anno deve avere 19 mesi, il mese 19 giorni, il giorno 19 ore, l’ora 19 minuti. La giustizia applica delle multe sulla base di 19 unità monetarie: 19 diventa la base di qualsiasi calcolo commerciale o altro. Il Bàb stesso divise il suo libro della rivelazione, il Bayàn, in 19 parti di cui ciascuna contiene 19 paragrafi.
Ma nell* insegnamento del Bàb ci sono cose assai migliori di queste cabalistiche combinazioni numeriche. I suoi insegnamenti relativi all’ Al di là sono sobri e d’ uno spiritualismo elevato ; l’ultimo termine dell’ evoluzione dell’ anima sarà per i buoni l’unificazione con Dio e per i cattivi l’annientamento finale. Invece, strano a dirsi, — per quanto egli stesso fosse perseguitato dall’ortodossia religiosa — egli è intollerante in materia di fede ; « Voi — insegna egli — voi prenderete all’ infedele (al non bàbi) quanto egli possiede ; se abbraccia la fede (bàb!) restituitegli i suoi beni ».
Migliore è la parte morale del sistema. Il Bàb biasima amaramente la preghiera rituale, l’impurità legale , e il valore religioso attribuito all’abluzione. E-gli è favorevole al matrimonio purché monogamico ; se tollera che un bàbi abbia due mogli ciò è a titolo affatto eccezionale ; le concubine sono assolutamente proibite. Il Bàb condanna 1’ uso del velo. Riduce a così pochi i casi di divorzio che si può quasi dire ch’egli lo abolisce. Le donne sono da lui ammesse alla tavola di famiglia. Egli insomma vuol restituire alla donna il suo posto normale nella società, e con ragione queste varie prescrizione liberali sono state considerate come effetto sull’ animo del Riformatore dell’ influenza cristiana.
Ma 1’ essenziale nel sistema del Bàb è, come già abbiamo detto il suo misticismo tendente alla libertà spirituale dell’ individuo e manifestantesi sotto forma di odio alle autorità religiose sci’ ite. Sono queste autorità religiose che hanno spinto le autorità civili a perseguitare e ad uccidere il Bàb (9 luglio 1850).
La morte straziante del Bàb (fucilato, poi finito a sciabolate) lungi dal porre un termine all’ eresia, le diede nuovo vigore ; anzi questa morte provocò un movimento politico bàbi, il quale produsse un attentato contro lo sciah di Persia (15 agosto 1852).
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LA RIFORMA NELL’ ISLAM 547
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In seguito a questo attentato fu compiuta contro i Babi una crudele persecuzione e 28 d’infra essi, scelti fra i più eminenti per cultura e per censo furono orribilmente torturati e quindi uccisi a Téhéran il 15 settembre 1852. Ciò provocò un nuovo intenso sviluppo della dottrina bàbìsta, il quale dura tutt’ ora.
I
Prima della sua morte il Bàb aveva designato come Suo successore il giovane Sub-i-Ezel. Ma questi visse una vita ritirata, sicché la direzione effettiva del Bàbismo passò nelle mani del suo fratellastro Bahà-Ullàh
All’epoca del massacro del 1852 i due fratelli si rifugiarono in territorio turco a Bagdad, e questa città rimase il centro del Behaismo (nuovo nome assunto dal Bàbismo) fino al 1864.
Poi avvennero delle liti tra i seguaci dei due fratelli sicché il governo turco confinò Sub-i-Ezel nell’ isola di Cipro e Bahà-Ullàh a S. Giovanni d’Acro in Palestina. Bahà Ullàh ebbe alla sua volta la sua « manifestazione » o « rivelazióne », in seguito alla quale il Bàb non fu più altro per lui che un precursore. Questa manifestazione non fu però accettata da tutti sicché i Behaisti si divisero da quel tempo in una piccola frazione di Ezeli e nella grande massa dei Behai.
Bahà-Ullah morì nel 1892 lasciando quattro figli; di questi i due maggiori raccolsero la successione del loro illustre padre, ma i loro rispettivi seguaci formarono ben presto due gruppi distinti e rivali ; il maggiore di questi gruppi segue Abdul-Bahà, il minore segue il di lui fratello Mohammed Alì (*).
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Il Behaismo è una riforma del Babìsmo. Esso segna un progresso notevole nei campo della religione e della morale. La sua potenza è dimostrata dai numerosi suoi martiri. Ce ne furono nel 1869, nel 1880, nel 1888 e 89, nel 1891 e finalmente nel 1903. Però dal 1892 l’autorità religiosa e politica è stata piuttosto benigna verso il Behaismo che ha potuto liberamente propagarsi.
(x) La successione e 1’ importanza dei riformatori mussulmani può essere cosi rappresentata :
Il B&b (Bàbismo)
Il ‘
----------------------------------------,
Sub - i - Ezel Balia Ullah (Behaismo)
Aldul Bahà Mohammend AH
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Il Behaismo non è mistico come il Bablsmo e non s’interessa granché di questioni metafisiche. Esso è invece una tendenza religiosa essenzialmente pratica e s’occupa sopì atutto di questioni morali.
Notevole è pure, nel Behaismo, il carattere universale. Esso non si rivolge ai soli scì’iti persiani oppure ai soli mussulmani, ma a tulli gli uomini. Balia Uilàh, mentre scriveva allo shah di Persia, scriveva alla regina Vittoria, allo Czar, a Napoleone III e persino al Papa! Nelle sue lettere, egli chiedeva ai potènti della terra di rinunziare all’ ingiustizia, di abolire la guerra, di stabilire l’arbitrato internazionale e di lavorare alla fratellanza di tutti i popoli, poiché gli uomini sono fratelli e devono vivere come fratelli, essendo tutti quanti avvolti dall’ amore di Dio. Bahà-Ullah era personalmente fedele a questi suoi principi. Apostolo della pace, partigiano di tutte le riforme che potessero contribuire a stabilirla, stimava inutile costruire dei templi e di organizzare un clero; Dio deve abitare nei cuori, a Lui non occorrono nè edifici sontuosi per esservi adorato nè sacerdozio per mantenere il contatto tra Lui e gli uomini.
La religione di Bahà Ullah, è dunque una religione Spirituale intima, preoccupata della giustizia sociale e della fratellanza umana ed avente quindi un carattere universale.
Negli scritti del suo successore spirituale, Abdul-Bahà, si ritrovano le medesime idee- ancora più larghe e più liberali (emancipazione della donna, monogamia, negazione del soprannaturale). Questo carattere mondiale e questo liberalismo (neljsenso teologico del termine) ci spiegano i successi stupefacenti della propaganda behaista in Europa (*) e specialmente negli Stati Uniti d’America.
Nel Congresso internazionale del Cristianesimo liberale e progressista « tenuto a Berlino nel 1910, il prof. Adolfo Harnack tenne una magnifica conferenza sopra i due Evangeli nel Nuovo Testamento (2).
In questa conferenza il dotto storico del Cristianesimo illustra mirabilmente la distinzione che esiste tra l’Evangelo di Gesù e dei suoi primi discepoli — 1’ Evangelo primitivo, semplice, spirituale e sociale, estraneo ad ogni preoccupazione dommatica : l’Evangelo dell’ amore divino e della fratellanza umana — e 1’ Evangelo posteriore, nel quale trovansi le basi della Cristologia e della Soteriologia.
A me pare che si possa riconoscere nel Behaismo di Abdul-Bahà uh riflesso dell’ Evangelo primitivo di Gesù.
GIOV. E. MEILLE.
(r) Vedi Chevalier : Comment je suis devenu béhal - Parigi 1910.
(2) Vedi un mio esteso sunto di questa conferenza nella Rivista cristiana (Settembre) e nella Cultura contemporanca (Dicembre 19x1)
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Gli apologista greci del II Secolo
opo aver pubblicato, circa dieci anni fa, una serie di pregevolissime ricerche sul Discorso ai Greci di Taziano, il professore Amato Puech, dell’ università di Parigi, pubblica ora un poderoso studio d’insieme su Les apologi-stes grecs dii II siede de nolre ère. (*) L’argomento non è nuovo veramente all’ indagine critica : tutt’ altro. Pochi altri argomenti, può dirsi, nella storia del cristianesimo antico hanno con maggiore assiduità stimolato
1’ analisi degli studiosi. Ma questa disciplina, scientificamente trattata, è nel medesimo tempo troppo giovane e troppo ricca, perchè minacci di invecchiare a breve scadenza o lasci insoddisfatta 1' avidità del nuovo che induce ogni ricercatore al suo lavoro. Tanto più che il Puech non ha mirato, nell’analisi dell’apologetica cristiana greca nel secondo secolo, a illustrare l’elemento che di solito, e principalmente, ha richiamato 1’ attenzione degli studiosi : la polemica cioè contro il paganesimo. Egli ha ragione di dire più volte che collocarsi da questo punto di vista significa esporsi a non capire l'importanza della letteratura apologetica. Il Puech ha voluto più tosto chiedere a Giustino, a Taziano, ad Atenagora, a Teofilo, la loro testimonianza sulla condizione della dottrina cristiana al loro tempo, circoscrivendo e valutando il contributo che ciascuno di essi ha arrecato alla evoluzione di questa dottrina e fissando la misura in cui la filosofia platonica o stoica hanno favorito e aiutato simile contributo.
Il piano prescelto dall’ autore per l’attuazione del compito propostosi, è semplice, ma non privo di originalità. Egli esamina in un capitolo preliminare i caratteri generali dell’ apologetica cristiana greca nel II secolo, studia quindi le origini dell’ apologetica in San Paolo, e nel IV Vangelo. Entrando poi strettamente in argomento, studia la Predicazione ci Pietro, sui frammenti superstiti di quest’ opera che tutti oggi concordemente e a ragione accostano alla letteratura apologetica, e l’Apologia di Aristide. Tre ampi capitoli sono rispettivamente consacrati a Giustino, a Taziano, ad Atenagora. Il capitolo settimo parla di Teofilo antiocheno e dei tre libri ad Autolico. Un fascio di apologie apocrife o anonime è passato in rassegna in un capitolo complessivo : il Discorso ai Greci e la Esortazione circolanti sotto il nome di Giustino, la Lettera a Diogneto, il trattato pure pseudo-giustiniano Intorno alla Monarchia * il frammento del trattato Intorno alla Risurrezione, 1’ apologia siriaca attribuita a Melitene, la Beffa di Ermia. Il volume si chiude con sei erudite appendici : le scambievoli relazioni tra le due apologie di Giustino; verità e finzione nel Dialogo con Trifone ; origine è valore della frase Àóyog oa:s$uatixó; in Giustino ; signi(x) Paris, Hachette, 1912.
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ficaio della frase di Taziano : « per questo ho rigettato la vostra sapienza, sebbene fossi uno dei suoi più illustri rappresentanti »; il concetto di aveùpa negli apologisti nel II secolo; autenticità dei frammenti del trattato intorno alla risurrezione, attribuito a Giustino.
I motivi fondamentali intorno ai quali s’intesse tutta la letteratura apologetica sono pochi e notissimi : rivendicazione della tolleranza ; polemica contro gli antichi culti ; esposizione e dimostrazione della nuova dottrina. Ma intorno a questi motivi, e specialmente intorno al principale di èssi, quello che offriva maggior campo alla esplicazione delle qualità individuali, l’esposizione cioè e la dimostrazione della fede cristiana, si svolge la più ampia varietà di atteggiamenti e di dichiarazioni. Io non esiterei anzi a dichiarare che il risultato più prezioso di questo saggio del Puech sta appunto nell’aver posto nella più chiara luce le forme individuali di professione cristiana, racchiuse nelle opere dei singoli apologisti. Giustino, che per il candore, l’ardore, la profondità della sua fede, è fra tutti il più apostolico ; Taziano, che è il più eccentrico, ma anche il più vigoroso; Atenagora, che è il più colto, il più sobrio, in una parola il più greco, tradiscono ciascuno una fisionomia personale. Le divergenze si riscontrano, e molto pronunciate, perfino ponendo a raffronto due apologisti legati fra loro da speciali vincoli di affinità spirituale, maestro 1’ uno, scolaro l’altro, Giustino cioè e Taziano. Chi conosce quanto sia importante nella storia del cristianesimo antico tener presente la varietà delle esperienze; e quanto facilmente gli studiosi siano indotti a trascurare questo canone, per amore di unità e di semplicità, sarà molto grato al Puech per la maniera in cui ha trattato il suo argomento.
Ma ho detto anche che il piano adottato dall’ autore è commendevole sotto ogni punto di vista. Ottima idea per esempio 1’ aver riportato le origini della apologetica a san Paolo e al IV Vangelo, e più precisamente, per quanto riguarda il convertito di Damasco, alla sua attività di propaganda testimoniata dagli Atti, e per quanto riguarda il IV Vangelo, al suo mirabile prologo. Le due allocuzioni che pronunciano Paolo e Barnaba aListri nella Licaonia (XIV, 15-18) e Paolo nell’Areopago (XVII 22 - 32) tracciano già in anticipo, con perfetta.corrispondenza, le linee ideali su cui si svolgerà tutta la letteratura a-pologetica : condanna del politeismo ; annuncio di un’ era nuova ; affermazione che nel periodo antecedente i Gentili sono potuti giungere, mediante le capacità naturali della ragione, se non alla verità religiosa assoluta, per lo meno alla conoscenza di un Dio creatore, manifestato dall’ordine cosmico. Le idee poi del prologo giovanneo si ritrovano in quasi tutti gli apologisti, e in maniera singolare in Giustino, che se non è il più antico, è però il più eminente fra loro. Anzi il Puech avanza l’asserzione che Giustino abbia edificato tutta la sua dottrina cristologica Sui dati forniti dal prologo stesso;
Opportune e commendevoli pure le precauzioni che 1’ autore adotta nell’in-dagare le possibili derivazioni del pensiero degli apologisti. Si tratta infatti di un pensiero rudimentale, ed è sommamente arduo esaminarlo e valutarlo senza nulla trascurare di quanto contiene e nulla farvi entrare che in realtà non contenga ; scomporlo nei suoi oggettivi elementi.
Il Puech propende in maniera spiccatissima ad attenuare la portata filoso-
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GLI APOLOGISTI GRECI DEL II SECOLO
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fica di questo pensiero, esaltandone in contrasto il contenuto religioso: e per mio conto credo che sia nel vero. Quando ci si domanda qual’ è stato il punto di partenza del pensiero degli apologisti, l’errore, anche se non espresso, sempre però latente, in cui cadono coloro che non li hanno Ietti d’un tratto, e hanno solamente cercato nelle loro opere i testi relativi a questa o quella determinata controversia, consiste nel supporre che tale punto di partenza debba rintracciarsi nella dottrina stessa del Logos, considerato come un mediatore necessario tra Dio e il mondo. In realtà essi obbediscono invece ad un movente d’indole puramente religiosa. Essi hanno creduto nella missióne di Gesù Cristo, sulla fede delle profezie e sulla testimonianza della storia evangelica. Il Dialogo di Giustino per esempio mira a dimostrare innanzi tutto 1’ autenticità di simile missione, pure astraendo dalla preesistenza: anzi Giustino riconosce così nettamente quale base delia propria fede l’attribuzione a Gesù della qualità di Cristo o Messia, che parla (XLIII, 4) con discreta indulgenza di quei giudeo-cristiani « i quali professano ch’egli è il Cristo, pur dichiarando che fu uomo tra gli uomini ». Se Taziano, nel suo Discorso, non nomina nè pure Gesù, egli è però l’autore del Dialcssaron, il che dimostra a chiare note come il Vangelo era il suo libro prediletto. Il cristianesimo, per gli apologisti come per tutti i cristiani, è innanzi tutto Gesù, il Cristo. La teoria del Logos risponde senza dubbio alle loro tendenze intellettuali, che sono quelle del loro tempo, ma non basterebbe loro di per sè stesso : e 1’ hanno sviluppata con tanta compiacenza non già perchè costituiva il complemento necessario della trascendenza, bensì perchè rappresentava dinanzi al loro spirito la migliore garanzia della divinità di G sù, di cui spiega in oltre la preesistenza. Gesù non è già divinizzato perchè tanto esiga la dottrina filosofica del Logos, poiché non è affatto necessario incarnare il Logos, e anzi tale incarnazione appare a Celso stravagantissima: al contrario Gesù diviene Logos nel pensiero cristiano perchè è antecedentemente creduto Dio. Sicché il sabellianismo puro, il patripassianismo, costituiscono l’errore più ripugnante allo stato di spirito naturale delle prime generazioni cristiane. Il quarto evangelista aveva per primo, per quanto ne sappiamo, introdotto il Logos nella teologia cristiana. Il suo racconto non è una narrazione storica della vita di Gesù, bensì una interpretazione di questa vita conformemente al principio posto. Ma il germe da cui tutto il resto è uscito sta nella fede in Gesù, Dio e Verbo. Tale è pure 1’ atteggiamento intellettuale degli apologisti. In uno solo di essi, in Taziano, si trova un inciso che potrebbe tradire un’ apparenza di sabellianismo : ma non è affatto sicuro che debba essere interpretato in tal senso, perchè « il ministro del Dio che ha sofferto » può significare il ministro del Verbo, che è Dio. Gli apologisti del II secolo hanno attinto da Giovanni, dove 1’ han trovata ben formulata, la dottrina del Verbo, guidati dalle medesime ragioni che avevano indotto Giovanni a proclamarla. Tutto ciò non significa avanzare il dubbio che la dottrina, comunque pervenuta a Giovanni, non sia d’ origine filosofica o, se si vuole, non racchiuda un elemento filosofico ; che proclamandola, Giovanni non abbia preparato una trasformazione profonda del primitivo pensiero cristiano; che, aderendovi e propagandola, gli apologisti non abbiano adagio adagio enucleato le conseguenze racchiuse in germe nella iniziativa giovannea; che senza cessare per questo di scorgere in Gesù il Messia
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o il Salvatore, non ci si sia sempre più accostumati a vedere in Lui innanzi tutto e sopra tutto, il Verbo demiurgo e rivelatore ; che gli apologisti stessi, una volta adottata una concezione che apriva una via di scambio tra il cristianesimo e lo stoicismo, non abbiano ampiamente utilizzato le idee delle dite scuole; che, assumendole, non abbiano talora trascurato le precauzioni desiderabili, per quanto avessero sempre cominciato col fissare genericamente le distinzioni utili ; che talora non abbiano anche usato un linguaggio più filosofico che cristiano, cosi a causa di una inconsapevole abitudine, come seguendo un'abile intenzione di propaganda. Tutti questi però sono particolari di secondaria importanza. Il fatto più notevole invece, veramente essenziale, è questo: la dottrina degli apologisti è, nel suo principio, religiosa, non già filosofica : essi credono innanzi tutto in Gesù, figlio di Dio, e solo più tardi, sulla via della riflessione, ne spiegano la divinità, mediante la preesistenza del Verbo.
Questi i concetti, giustissimi, che il Puech illustra a proposito di ciascun a-pologista. I capitoli del suo volume sono tutti improntati alla più seria coscienza scientifica, specialmente quello consacrato a Taziano, studiando il quale l’autore rivela una singolare preparazione.
Piene di luce inoltre le ricerche ch’egli istituisce a p. 88 e seguenti intorno al Credo e al Canone di Giustino, come intorno alle sue cognizioni filosofi-che. Il postulato generale che abbiamo ampiamente riassunto domina le concezioni formulate in proposito. Esso trova anche un’ applicazione notevole nello studio della dottrina di Giustino intorno all’ anima e al destino umano. Seppure noi non possediamo più lo oxoZixòv jtepì che Eusebio ricorda tra gli scritti di Giustino, la dottrina di questi intorno alla natura dell’ anima ci è abbastanza nota attraverso la lunga discussione che occupa i primi capitoli del Dialogo, la quale ci permette di constatare, in un punto decisivo, come, passando dal platonismo al cristianesimo, Giustino aveva di proposito sacrificato le sue antecedenti opinioni, quando gii erano sembrate incompatibili con la fede a cui si era convertito.
Onde il Puech ritiene di poter concludere come, pur riconoscendo che nella evoluzione del cristianesimo, gli apologisti hanno facilitato la transizione tra la filosofia e la religione nuova, la loro esperienza è innanzi tutto religiosa, ed essi ci invitano innanzi tutto ad aderire ad una rivelazione. Ciò apre un abisso fra loro e quei pensatori, come Epitteto e Marco Aurelio, che ascoltano solamente in se stessi la voce individuale della ragione comune.
In complesso l’opera dèi Puech si rivela di somma utilità a ehi cerchi una analisi completa della primitiva apologia cristiana.
Il volume è bene stampato e si contano sulle dita i rarissimi errori di stampa (per esempio, v. p. 228 11. 1).
Su un punto credo che 1’asserzione dell’autore non sia ben fondata. A p. 86 egli dice : « con le parole sperare in Cristo Giustino riassume le verità dogmatiche propriamente cristiane, che risultano dall’insegnamento di Gesù: quanto Gesù ci ha rivelato intorno alla propria divinità, alla propria relazione col Padre, la sua funzione futura di Messia e sovrano giudice : infine le pratiche cristiane del battesimo e della eucarestia ». Io non credo che col vocabolo sperare l’apologista voglia additare un atto così complesso di fede e di pras-
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ÓLl APOLOGISTI GRECI NEL II SECOLO 553
si cristiana. Egli, che fu millenarista convinto, usa la parola speranza nel significato tecnico di aspettativa fiduciosa in un mirabile guiderdone divino alla professione cristiana: aspettativa autorizzata dalla parola infallibile di Gesù, fante mi sembra che risulti da passi fondamentali come Dialogo LXIX, 4 e CXXXV. 3, nei quali lo sperare è inteso nel suo significalo tecnico, e non già in un significato generico, che implichi adesione a dogmi e pratiche rituali.
G. NATALI.
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ANDREA TOWIANSKI
(Í799-Í878)
... riceve me colui che riceve qualcuno da me mandalo ....
Giov. 13,20
I.
1. 1 Gennaio 1799 nacque ad Antoszwincie nella Lituania e fu dalla primissima età di carattere sensibile e pie. Dodicenne ebbe la prima coscienza dell’ intima religiosità delia sua anima e la vita dello spirito cominciò per lui con una elevazione straordinaria del suo spirito a Dio. Studiò a Vilna e fu quivi prima cancelliere del Tribunale poi consigliere della Corte Suprema di Lituania. In questi uffici non perdonò a fatica, non risparmiò sacrifizi per il trionfo delia verità e della giustizia. Nei processi penali visitando i carcerati per delitti ebbe a curarne spesso l’anima piagata con parole ed affetti che conquistavano il cuore di quei disgraziati. Mortogli il padre e divenuto padrone di cospicuo patrimonio i contadini, allora servi della gleba, guidò e consigliò paternamente e fu servito, cristianamente, per amore. Chiamato ad un’azione più larga ed intensa fece con essi un banchetto frugale d’addio in occasione del quale furono confessate antiche colpe, cessarono lotte già da tempo durate e si operarono riconciliazioni commoventissime. Abbandonata la patria, che non doveva più rivedere, il 23 luglio 1840 toccata Posen, il cui are. Mgr. Dunnin senti in Towianski lo spirito di Dio e benedisse effusamente la di lui persona e la cominciata opera, giunse a Parigi, visitò l’Inghilterra e l’Irlanda preparando l’anima sua col contatto di grandi anime al lavoro di purificazione religiosa della civiltà occidentale cui si sentiva chiamato dall’ aito. Tornato a Parigi prima nel seno della copiosa emigrazione polacca gittò ii seme deila sua calda parola. — Il 27 settembre 1841 la cattedrale di Notre dame vide dietro invito del Mickiewicz una magnifica scena di fervore religioso mentre una massa compatta di polacchi riceveva 1’ Eucarestia tra la messa solenne e dopo di essa Towianski parlò ai compatrioti lì nella chiesa stessa parole quali migliori non potrebbe aspettare il cuore più intensamente cristiano. L'opera (egli la chiamava così) sua cominciava allora ad apparire e-steriormentc uscendo dalla sua grande anima e quest’ opera non si restrinse, come non si restrinse quella di Gesù, ai sol: connazionali dai quali peraltro ebbe a cominciare, ma fu diretta a tutte le anime religiose, alle anime cioè capaci di ascoltare la parola di Dio uscente da labbra umane e di trarne maturandola nel segreto del cuore frutti di eterna vita. Dichiarato dal governo russo che tiranneggiava la sua patria esiliato, furono confiscati i suoi molti beni. Successivamente 1’ odio partiti e l’interesse di conservatorismi ipocriti lo perse-
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gustò a Parigi dove fu arrestato, imprigionato, condannato prima a morte poi alla deportazione quindi quasi miracolosamente lasciato libero, poscia a Roma e financo in Isvizzera dove mori, a Zurigo, il 13 maggio 1878 in età di anni 79 dopo d’aver perduto servendo l’opera cui s’era consacrato tutto ciò che nel mondo era suo e che avrebbe potuto trasmettere con la più sicura coscienza ai suoi figli.
Non si può dire quante anime al contatto di quest’anima, nel più intimo e vero senso, sacerdotal.« abbiano conosciuta o conosciuto meglio o più intensamente amata in Dio la verità ed il bene, quanto male egli abbia impedito nel mondo, quanto fervore di sincerità, di operosa giustizia, di carità efficace v’abbia acceso. Se a Tancredi Canonico, affezionato discepolo di lui, devono gli italiani d’oggi una meno oscura conoscenza dell’opere di Towianski, essi aspettano ancora che la vita di lui s’abbia quella minuta e completa illustrazione eh’essa merita per la maggior gloria di Dio c per il bene più vivo della u-manità perché tutte quante le anime religiose che formano quaggiù la chiesa spirituale di Gesù scrivano coll’ affetto puro, per infallibile decréto della coscienza cristiana, il nome del buon servo di Dio nel canone secolare dei Santi.
II.
Ciascun uomo è, secondo la geniale espressione di Ebr. j,c, casa propria del Cristo. Ciascun uomo che abbia fede in un ideale da raggiungere ed incrollabile sicurezza di contemplarne l’attuazione in questa o nell’altra vita.
Che se un uomo non soltanto, come il giusto di Rom 1, ”, Ebr. io, M, alimenta dell' ideale la sua vita ma tutta intera I’ adopera a lavorare assiduamente per esso con T attività d’ un apostolo allora il Cristo eterno non ha soltanto in esso sua dimora ma di esso come messaggero si serve per accostarsi a molte anime: codest’ uomo allora è di Cristo un messo ad altri come del Padre fu il Cristo messo alla umanità.
Andrea Towianski parve ad alcuni un uomo a cui uno speciale compito dall’alto fosse assegnato sopra la terra. Lo fu egli veramente? Poche brevi linee consacrate in questa Rivista alla memoria di lui non sembreranno davvero male spese se il carattere del divino mandato in lui ebbe davvero a rifulgere.
Vediamo quale riflesso del pensiero evangelico abbia esibita agli uomini la dottrina di lui (*).
Di essa una caratteristica tra le altre culminanti è questa : l'importanza data a) sentimento nel campo della religiosità.
E quando il Towianski lo definisce egli stesso « ogni sentimento è una
(1) Per esporre qualche salientissimo tratto della spirituale figura del Towianski mi giovo di quello che ne scrisse Tancredi Canonico uno tra i più diretti eredi dello spirito di lui. particolarmente poi mi furono utii le « Note Intime » in cui il compianto senatore raccolse — senza poterli poi riordinare — pensieri ed affetti del Maestro e che furono, scomparso il Canonico, da un esimio discepolo di lui pienamente raccolti in apposito volume.
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parte di cielo » non è difficile identificarlo con quel sottile senso delle vibrazioni più profonde della corda umana toccata dal dito del divino artefice che è I’ essenza della religione quand’essa sia intesa, come la nativa significazione della voce (v. religeref la dice, cioè il delicato, scrupoloso raccogliere i tenui e così lontani indizi, che noi abbiamo da lui, di Dio.
O che altro suonano le parole di Gesù « il regno di Dio è dentro di voi »?
E quando col regno si identifichi colui che ne fu il precone ecco che è ben comprensibile il pensiero di Andrea « perseguitare ciò che viene dal sentimento è crocifiggere Gesù ».
Ciò posto noi « non dobbiamo scendere nel campo del ragionamento, della discussione ».
E’ il terreno preferito degli scribi e dei farisei.
Mentre « la terra geme sotto il peso delle idee » e di mille raggi l’occhio nostro s’ abbaglia, chè non riescono a scaldare il cuore se non si « concentrano in un foco cristiano » ; « bisogna sentire che s’è malati » per avvicinarsi a Gesù. Grande parola. Secondo il vangelo d’ Oxyrrhynchos parla proprio così il Maestro : « Venni in mezzo al mondo e trovai tulli gli uomini inebriali : nessuno tra essi era sitibondo e la mia anima fu vinta dalla tristezza nel vedere che essi erano pcvcri ed ignoravano la loro povertà ».
L’uomo che ha bisogno di Dio è cristiano veramente quando « sente » Iddio in ogni atto, in ogni occasione nella vita. Allora serve a Dio l’uomo quando ha rinunciato a servire « ancorché sotto apparenze cristiane » alla terra.
Questo punto delle apparenze cristiane è rilevato importantemente dal Towianski. « Si può avere la testa ricca di luce celeste ed essere poveri di sentimento.... essere nella morte ». Quando la luce non serve ad accendere il celeste fuoco. Allora la voce dell’ uomo che vorrebbe parlare delle cose ’ divine non ha il tono della voce di Gesù e quindi nell’ umano cuore non trova eco.
E’ in sostanza ciò che il Maestro ha detto intorno al valore del battesimo d’acqua paragonato al battesimo dello spirito e del fuoco. Quando Towianski conosce il « dilettante di cristianesimo » egli allude a quei cristiani — quanti essi sieno non sappiamo poiché Dio solo può conoscere i suoi — i quali hanno avuto appunto il battesimo nell’acqua e mai quello dello Spirito santo.
Essi costituiscono « la chiesa delle forme », il « terrestre regno a cui s’applicano le parole di Gesù sui sepolcri imbiancati ».
Contro la parola espressa del Maestro intendono costoro’ di servire utilmente ai due padroni dell’antitesi evangelica. « L’apparenza ed il nome di figli della chiesa » potranno essere per loro; ma « la chiesa è là ove è lo spirito di Gesti ».
Il credersi sicuri della' figliolanza d’Àbramo, il non sospettare nemmeno che vi sia una chiesa vera ed una chiesa falsa del medesimo esatto nome, è essere molto addietro sulla via della salute;
S. Paolo [Roma «?,**) è commentato qui ben perspicuamente « non è giudeo chi ne ha V apparenza nè il segno della vitalità religiosa è quello che esternamente ci distingue ricevuto sul corpo ; ma al contrario chi lo è interiormente è giudeo vero ed il segno verace é quello che lungi dal concretarsi in un rito esteriore segna invece il cuore e lo spirilo ».
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Anzi è veramente uomo. crisiirr.o colui che <■ ha il senso profondo di quel che c’è di misterioso, di sacramentale in certi atti delia vita »: Gesù prostrato innanzi ai dodici in atto di lavare i loro piedi non è meno augusto santifi* catore d’un umile simbolo di quel che lo sia assiso tra essi medesimi nel momento di dividere loro il pane spezzato dalle sue mani. E non ci ha assicurati egli stesso che nel suo simile affamato l’uomo in realtà sfama lui, Gesù?
Ecco il segno esterno, visibile ed ecco la realtà intima, latente qui come nella agape. Mentre in questa il Maestro di sua mano, ciba il discepolo è l’uòmo qui che pasce il Cristo.
Ancora un terzo elemento nella dottrina di Andrea Towianscki importa isolare per ritraine le note fondamentali della armonia evangelica. La spirituale indipendenza dell’uomo difronte all’uomo egli ha affermata vigorosamente.
Tutta intera la reverenza e l’obbedienza Gesù ha voluta riserbare a coloro che v’hanno diritto da parte del complesso d’uomini cui sovrastano. Eguale la dottrina di S. Paolo.
Il Towianski ai superiori ecclesiastici (a non parlare qui — corn’è ovvio — che di questi) diede lutto l'ossequio del suo animo mite e pio, tutta la sincera umiltà delle espressioni interiormente sentite, tutta la serenità del suo contegno che non ebbe mai asprezze non che rivolte.
Ma « cercare l’appoggio nel sacerdote quando Gesù ci colma delle sue grazie è offendere Gesù Cristo ». Su di lui « dobbiamo appoggiarci solamente, desiderare unicamente la comunione con lui senza appoggiarci sul confessore ». La confessione fatta al sacerdote (il cristiano non ¡spregia anche questo mezzo che preso in uno spirito vero facilita la nostra salute) come l’assoluzione di questo non sono che le forme, le apparenze, il simbolo. La realtà sacramentale è ben più alta. E’ 1’ uomo ai piedi di Gesù così come nel racconto evangelico è rappresentata la sorella di Lazzaro nella casa di Befania e la donna peccante — «paprwZq — (forse contro le minuzie delle legge) durante il convito offerto da Simone guarito dalla lebbra.
Aveva Andrea un alto concetto della singolare posizione del Romano Pontefice nella chiesa e delia missione che — a lasciar da parte parole evangeliche torturate da compiacenti esegesi — Iddio gii ha assegnata. A due papi successivamente si rivolse supplicando umilinentee d’esser da loro ricevuto. Ma il riliuto del papa di riceverlo non lo esonera dal dovre di adempiere la volontà di Dio.
« Non cesserò dagli sforzi (diss’egli in una circostanza importante) per poter obbedire ai pastori della Chiesa, ma non obbedirò se non in quanto non disobbedirò con questo a Dio ». Parole che arieggiano quelle di Pietro e compagni \\\ Fatti. Poiché lo Spirito soffia dove vuole e s’effonde anche all’infuori dell'attività apostolica più genuina (Fatti zo,44-4'), esse sono giustificazione piena e solenne d'una missione incontrollabile da un potere comunque costituito. La libertà cui Andrea non rinunzia è garantita da Gesù a tutti i figlioli dello Spirito. A Pietro ed ai dodici come a qualunque dei loro successori il Maestro ha fieramente contestato il diritto di limitarla in nome suo zwÀvsre aùtóv (Me. 930).
In nome di Gesù 1’ uomo può cacciare i demoni dal corpo sociale come
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dare la pace allo spirito d’ un altro uomo anche senza avere un posto nella falange ufficiale.
La missione divina potrà conferire mai minore autorità che l’imposizione delle mani apostoliche?
Il bene che l’uomo compie non è in distruzione ma in edificazione della chiesa spirituale e chi non è contro di essa è con lei.
E col Cristo suo capo.
Ora a chi Gesù ha ispirato di lavorare molto per accostare delle anime al bene — Andrea Towianski spese tutta la vita a questo scopo — potrebbe mai negarsi la simpatia con cui si riceve un apostolo, quella medesima con cui 1’ uomo di buona volontà sulla terra riceverebbe Gesù ?
JOH. LOVER.
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ALLA PORTA DEL CUORE.
Ecco, io sio alla porla e picchio. Se alcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò a lui e cenerò con lui ed egli meco.
Apoc. Ili, 20
hi non ha visto una qualche riproduzione del celebre quadro di Holman Hunt « The Light of thè world », il quadro che, dipinto nel 1854, sollevo tante discussioni e poi divenne tanto popolare? La campagna solitaria, di notte: una porta chiusa — chiusa certo da molto tempo perchè ivi è cresciuta su l’ortica — e dinanzi ad essa un uomo
in piedi, dall’ espressione ansiosa e triste, che, mentre con una mano distesa lungo il corpo regge una grande lanterna, coll’ altra picchia dolcemente alla porta. Cosa strana, benché solò, senza seguito e nell’ atto umile di picchiare a una porla, quell’ uomo veste le insegne delle più alte dignità : sulle spalle il manto sacerdotale e sul capo la corona di re ... È Gesù, colto dal pittore attraverso le parole di Ap. Ili, 20: « Ecco io Sto alla porta e picchio. Se alcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò a lui e cenerò con lui ed egli meco ».
Ebbene, mettendo assieme il quadro e il testo e attingendo da questo la verità, da quello un’artistica e sapiente illustrazione di essa, cerchiamo: Chi picchia, come picchia, quando picchia, dove picchia, perchè picchia.
I. Chi picchia? — Il testo risponde « Io » ! Un semplice « Io », ma da quale bocca ! Dalla bocca che disse : « Io sono la luce del mondo », « Io so-
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LA LUCE DEL MONDO.
(pittura C« W. HOLM AN HUNT.)
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ALLA PORTA DEL CUORE
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no il pane disceso dal cielo », « Io sono la via, la verità e la vita »; dalla bocca che ordinò ad un morto: « Io tei dico, levati », e che qui, in questa stessa Apocalisse, dice : « Io sono il primo e 1’ ultimo... io sono vivente nei secoli dei secoli... ed ho le chiavi della morte e dell’inferno ». (*) Ben a ragione il pittore gli ha vestite le spalle della clamide sacerdotale e cinto il capo della corona reale. Egli è anche più che sacerdote e re, è « il primogenito d’ogni creatura » (8).
Ma noi che siamo soddisfatti e lieti di aprire la porta del cuore a tante minuscole personalità, e che andiamo in visibilio non appena venga a battervi uno che valga un po’ più degli altri, noi esitiamo ad aprire a Lui !... E’ 1’ antico dramma che si ripete : « E’ venuto in casa sua e i suoi non 1’ hanno ricevuto » (1 2 3)...
IL Come picchia ? — «Io picchio... se alcuno apre... » Ciò vuol dire che non usa violenza, che picchia con discrezione.
Arturo Graf ha descritto un Gesù che usa violenza dinanzi alla porta degli inferni :
Principi dell' abisso.
Aprite!....
Così egli grida ; e, poiché quelli non aprono, con forza maggiore :
Spirili tracotanti, di rinnovar la lite che quaggiù vi piombò nullo di voi si vanti... Aprile !
Ma, invece di aprire, quelli domandano chi sia. — « Il nome mio è Gesù » risponde il Maestro. Ma essi dichiarano di non conoscerlo. E Gesù di nuovo : « Io sono la bellezza! » La bellezza? Pòrtiti — essi rispondono:
Parliti, non s'apprezza tra noi colai virtù..,.
« Io sono la Bontà » replica Gesù ; ed essi :
Levali di costà.
Anima in cui
bontà s' accaglia
mai non varcò la soglia di questi regni bui.
(1) Ap. I, 17, 18.
(2) Col. I, 15.
(3) Giov. I, n.
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« Io sono la Verità » grida di nuovo Gesù ; ed essi :
Lèvati di costa :
non altra verità qui vige e dura che ! eterna sciagura...
« Io sono la Vita » protesta Gesù ; ed essi :
.... Più forte
della vita è la morie'.
quaggiù la vita è morta e seppellita.
Allora l’anima di Gesù divampa di sdegno, dello stesso sdegno onde s’accese un giorno tra i mercanti del Tempio, e tuona : « Io sono la forza ! »
Non anche in voi la stolta
rabbia s' ammorza ?
Livida ciurma, ascolta'.
Io son la forza!
c ciò detto scerpe dal margine del ruscello, che scorre ivi presso, un giunco e percuote la porta. La porta si squarcia. Egli entra (*).
Bella fantasia di poeta, nevvero ? e si potrebbe anche dire : bella intuizione di profeta, perchè veramente sorgeranno giorni ne’ quali gli uomini conosceranno il Cristo giudice ammantato di forza. Ma oggi Egli non adopera la forza. Egli che rotolò la porta che chiudeva il suo sepolcro e che, risorto, passava come voleva attraverso le porte serrate, Egli sta di fuori la porta dei cuori e chiede di entrare e attende che si apra...
E qui fissate di nuovo il quadro di Holman Hunt, e ¡»recisamente la mano che picchia. Osservate che non è chiusa a forma di pugno, nella maniera imperativa onde picchiano i rappresentanti della legge; ma che. aperta e con la palma rivolta in fuori, batte dolcemente le nocche nella maniera di un amico riguardoso, gentile...
III. Quando picchia? — La lanterna che il pittore ha messo nella mano dello straniero vorrebbe dire che picchia di notte, allorché, nei silenzio delle cose, gli uomini « ragionano sui loro letti » (*)... Ma la parola che il testo mette in bocca a Gesù è più ampia: « Io sto alla porta »... « Io sto! », un presente che indica un’ azione continuata ; che significa che Egli picchia, sì, con discrezione, ma anche con insistenza ; che picchia in ogni tempo : mentre sei allegro e mentre sei triste ; mentre lavori e mentre vai a diporto ; mentre leggi
(i) Arturo Graf, Poemetti Drammatici, « Attonite Portas ».
(2) Sai. IV., 4.
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i pensieri altrui e mentre fissi sulla carta i tuoi propri ; mentre ascolti una bel-1’anima che ti parla e mentre chiudi l’orecchio al canto di una sirena; mentre ti commuovi a un atto di eroismo e mentre ti rivolti contro un’azione infame... Egli può valersi di ogni occasione: può picchiare quando sei fanciullo e quando sei adulto; quando gusti i favori della fortuna e quando ne sperimenti le avversità; quando vai come Nicodemo in cerca di Lui e quando, come Sanio, lo perseguiti; quando vegli e quando giaci... Si, Egli può picchiare anche « in sogno, in visione notturna, quando il più profondo sonno cade in sugli uomini » (*): non fu così che picchiò al cuore della moglie di Pilato? Se scorrete le pagine autobiografiche intime dei celebri pensatori voi trovate che la grande idea che dette loro l’immortalità picchiò alla porta delle loro anime nelle più diverse e inaspettate circostanze. Per citarne uno solo, Carlo Darwin narrava che là soluzione dei problema della tendenza a differire nei discendenti da uno stesso tipo gli folgorò nella mente mentre sedeva in carrozza, in campagna, in un posto che poteva indicare con precisione. Ebbene, così, nelle più diverse circostanze batte alla porta del cuore la grande Persona. Lady Huntingdon si faceva dare 1’ ultimo tocco alla sfarzosa toletta che aveva fatto per il ballo a corte, quando le suonarono stranam mte nell' anima alcune parole del Catechismo imparate da fanciulla e giaciute lungo tempo obbliate... Era Cristo che picchiava. Lady Huntingdon non uscì di casa quella sera e divenne la grande cristiana, una delle più grandi che Cristo abbia elette d'infra i nobili del mondo.
IV. Dove picchia? — Triplice risposta:
1. Alla porla della Chiesa. Nel contesto le parole sono dirette precisamente ad un chiesa, la chiesa di Laodicca che non era più nè fredda nè fervente c che si vantava di esser ricca, di non aver bisogno di nulla... ella che aveva bisogno di tutto, ella, chiesa cristiana senza Cristo ! Ebbene, così ancor oggi Cristo sta alla porla di chiese che si dicon del Suo nome ma non posseggono più il Suo spirito. C'è cosa più triste di questa: Cristo che chiede di entrare là dove Egli dovrebbe esser tutto?... Esaminiamo questa chiesa di cui facciam parte : dove sta Egli ? sta dentro, o alla porta ? E se alia porta, chi si leverà per andare ad aprirgli e per dirgli : Abbiamo udita la tua voce, entra e rimani ?
2. Alla porla della casa. Quanta gente viene ogni giorno a picchiare alla porta delia nostra casa; amici e parenti... venditori... creditori... altre persone indifferenti o ostili... Spesso spesso poi vengono a picchiare i misteriosi personaggi che girano perpetuamente di casa in casa, che nessuno ha guardati in faccia ma che tutti conoscono dalle opere loro : la Sventura vestita di gramaglie,
(1) Giobb. XXXIII, 15.
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coperto il viso d’ un velo nero, la Miseria e la Fortuna, tutte e due • lluminati gli occhi da una luce sinistra ; la Morte le cui nocche senza pelle battono seccamente sul legno della porta, nè sono placate dallo scoppio di pianto che risponde di dentro... Ebbene, io vengo a dirvi che tra tanta gente che ha picchiato alla vostra porta c’è stato un Altro... un Altro a cui non avete posto mente e che pure fu il più insistente, il più paziente, il più buono dei vostri visitatori. Colui che veniva a portare pace, prosperità e gioia alla vostra casa... Andate, andate e apritegli : Entra — ditegli — entra, Gesù, e occupa tutta la mia easa : entra nella camera da letto affinchè impariamo a riposarci dopo aver affogati e spenti nell’amore tutti i crucci del cuore (*); nella sala da pranzo affinchè mangiamo e beviamo alla gloria tua e con rendimento di grazie (2); nello studio affinchè in mezzo alle nostre indagini intellettuali ci ricordiamo di provare tutto e ritenere il bene (:!); nei salotto affinchè il nostro parlare sia condito di sale, e, attraverso le nostre conversazioni, ci sovveniamo che dovremo renderti conto eziandio d’ogni parola oziosa (4)...
3. Alla porla del cuore. In fondo, battere alla porta della chiesa o della casa vuol dire battere alla porta dei cuori, perchè ai cuori è diretto 1’ appello e sono i cuori che decidono o no d’aprire... Or qui tornate al gran quadro di Holman Hunt. La porta a cui batte lo straniero è coperta di muffa e di ortica, segno che da lungo tempo non ha girato sui cardini... Forse, vedete, questa casa è provvista d’ un’altra porta principale che dà sulla via frequentata e chiassosa e che s’apre a ogni sorta di gente : questa che apparisce è una porta privata che s’apre solo in circostanze speciali: Ebbene, dirci che anchei cuori sono provvisti così di due porte: la principale che s’apre-nelle circostanze ordinarie deb la vita palese che si vive in faccia a tutti, e la porta privata che s’apre quietamente, segretamente, nei momenti di solitudine, di raccoglimento, di meditazione, di preghiera: solo che molti hanno radiati tali momenti dal calendario del loro cuore ..ed han finito col dimenticare allatto 1’ esistenza della porta segreta... E v’ è cresciuta su la muffa e l’ortica, e Cristo picchia invano...
V. Perchè picchia? — naturalmente, per entrare. Ma a che scopo vuole entrare? per visitare? per investigare? per inquisire? per scoprire? per giudicare? Spesso gli è questo scopo che muove gli uomini a battere al nostro u-scio ; ma non pensate così di Cristo. Egli stesso dice perchè vuole entrare : « Se alcuno apre, io entrerò a lui e cenerò con lui ed egli meco >>. Entra per cefi) Ef. IV. 26.
(2) I Cor. X. 31.
(3) I Tess. V. 21.
(4) Mat. XII, 36.
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ALLA PORTA DEL CUORE
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nare: il che vuol dire che entra per stare con noi fino alla sera della nostra giornata.
1. Stare con noi in compagnia intima', perchè quando una persona si è assisa alla nostra tavola e ha diviso con noi il nostro pane, ella ci é divenuta intima: i nostri rapporti con lei non stanno più sul piede della fredda etichetta ma attingono dai cuori e si fanno caldi d’affetto;
2. Stare con noi in compagnia allegra'. perchè l’ora di tavola — special-mente quando sulla tavola ardono i doppieri — è un’ ora allegra : le ansie e i lavori e le molestie del giorno sono passate e oltre al cibo che ridona vigore al corpo, si gusta il dolce riposo, 1’ allegra comunione dei cuori che ritempra lo spiritò ;
3. Stare con noi in compagnia lunga', perchè la cena segna l’ultima ora del giorno... Gesù a cena con noi vuol dire Gesù con noi fino alla sera della nostra vita: quando i figliuoli ci avranno abbandonati; quando il compagno e la compagna nostra sarà andato; quando la casa, una volta echeggiante di festevoli grida, sarà taciturna ; quando vivremo di memorie e forse troveremo in fondo ad esse un doloroso senso di amaro : allora Gesù sarà ancora con noi, il Gesù fedele e immutabile che « avendo amati i suoi li amò infino alla fine » (’).
Oh, aprite la porta ! E date ancora un’ occhiata al quadro di Hunt. La porta è liscia, non v’é serratura nè maniglia... Capite? ciò vuol dire che non la si può aprire di fuori, che la maniglia sta di dentro, che tutto dipende da colui che sta di dentro; che solo se voi aprite Gesù entrerà...
ALFREDO TAGLIALATELA.
(1) Giov. XIII, 1.
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A PROPOSITO DI t CREDI 1
I grandi credi mini vedono e
credo è come un cristallo di rocca con molti angoli e con molte fac-cette. Come il cristallo si forma per forza di una legge naturale, nello Stesso modo un credo si forma per forza di una legge spirituale. Michelangelo scolpì nel marmo la figura eroica di Mosè come l’espressione della sua visione artistica, sono i risultati scolpiti della visione spirituale. Ciò che gli uo-sentono devono esprimere. Alle esposizióni dottrinali vien da
ta una forma esatta per la stessa ragione per la quale l’indiano fabbrica ed a-cuta la sua freccia. Sì le une che l’altra ideate perchè siano armi od arnesi atti ad ottenere dei risultati.
Questo credo (*) non è scritto come un credo formale. Se tale fosse, sarebbe molto più conciso: basterebbero al massimo poche frasi per ogni articolo. Ma esistono già parecchi credi battisti eccellenti, e quel che qui ci proponiamo non è di stabilirne un altro, ma piuttosto di offrire al lettore ordinario una dichiarazione nuova ed un’ interpretazione di quelli che già esistono e che sono comunemente adoperati fra noi. Si cercherà di evitare termini tecnici teologici fin dove sarà possibile, per avere l’esposizione più semplice e più chiara. Vi sono naturalmente molti soggetti, sfiorati nelle pagine che seguono, ne’ quali i sentieri della discussione menano in varie direzioni. Lo scopo limitato della nostra impresa ci vièta tuttavia una discussione troppo ampia di qualsiasi soggetto. Un esame generale delle credenze comunemente ritenute dai Battisti con le necessarie linee d’incrociamento, per segnare con chiarezza e precisione le sottodivisioni d’insegnamento, è tutto ciò che possiamo sperare di compiere entro i limiti che ci siamo prescritti.
Un avvertimento è necessario fin dal principio. I credi hanno un gran valore quando vengono adoperati rettamente, ma sono, come tutte le cose buone, pericolosi quando vengono adoperati altrimenti. I credi sono l’espressione naturale e normale della vita religiosa. Il diritto di farli non è nè più nè meno, che il diritto divinamente dato di pensare. Chi volesse impedire agli uomini di fare dei credi che esprimano la loro vita religiosa alla luce dell’insegnamento biblico, impedirebbe con ciò il libero esercizio della libertà umana di pensare. Ma osservate questo punto: i credi sono espressione di vita religiosa, di esperienza vitale o vivente. I grandi credi che hanno esercitato un’azione potente
(i) Dal primo capitolo di « Credenze Bolliste » del « Dr. E. Y. Mullins, preside della Scuola Teologica Battista di Lousville. Questo scritto vedrà presto la luce insieme con alcune pagine di « Cenni sulla storia dei Battisti » dettate dai nostro collega di Redazione Dr. whittinghill e con un dotto studio del Dr. G. B. Taylor sulla questione dal Battesimo. Il volume fN. 3 della Biblioteca di Sludii Religiosi) che è in corsodi stampe e che sarà intitolato « I Battisti » si spedirà in omaggio ai lettori di Bilychnis.
Red.
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A PROPOSITO DI « CREDI »
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sulla vita dell’umanità, sono sorti tutti in periodi di grande energia religiosa e di profonda esperienza religiosa. Sono come la lava che esce scottante dal vulcano. Una potenza interna li fa scaturire. La lava si raffredda dopo: così il credo tende a stereotiparsi ed a formalizzarsi.
Vi è un’altra verità che deve sempre esser tenuta in mente. Le parole: il difillo di fare dei credi sono semplicemente un altro modo di dire che non abbiamo nessun diritto di imporli agli uomini contro la loro volontà. Il principio volontario è nel cuore stesso del Cristianesimo. Il diritto del giudizio privato in materia di religione è un diritto che sta al centro delia verità cristiana. Il diritto di A di fare un credo che esprima la vita sua religiosa implica il diritto di B di fare pure il credo suo. Sarebbe una tirannia il vietare ad A di fare il suo credo e sarebbe un’eguale tirannia il costringere o il cercare di costringere B ad accettare il credo di A. Se A e B dovessero per cooperazione volontaria giungere a vedere allo stesso modo e dovessero così adottare lo stesso credo, non vi sarebbe in ciò nessuna tirannia. E se A e B e un qualunque numero di altre persone dovessero così presentare le loro credenze, in modo che tutto il mondo le comprendesse, questo sarebbe semplicemente l’esercizio della loro libertà in Cristo. E questo è precisamente il modo in cui sono sorti i credi e le confessioni di fede di battista. Nessun credo battista può erigersi come finale ed autorevole, mettendo da parte la Scrittura. Sono tutti soggetti alla revisione se, in qualsivoglia tempo e luogo, altri Battisti credano bene di fare una dichiarazione nuova delle loro credenze dottrinali. Naturalmente i Battisti hanno il diritto all’esercizio pacifico della loro libertà di ritenere c di mantenere le loro vedute circa la verità cristiana. In questo il gruppo o la denominazione corrisponde all’ individuò in materia di libertà. Per conseguenza essi stessi devono giudicare quando un individuo, o un gruppo dentro il corpo più grande, si sia scostato dalla veduta comune quanto basti per giustificare la separazione. La permanenza forzata di un individuo col gruppo più grande «topo che sia sorta una diversità di credenza radicale e senza speranza, è una tirannia uguale all’ imposizione delle credenze del gruppo sull’ individuo. La libertà religiosa, in altre parole, è altrettanto il diritto del gruppo quanto è dell’ individuo, Il principio volontario si applica ugualmente e similmente ad ambedue. Ed appunto in grazia di questo principio sono sorte la più parte delle denominazioni dopo la Riforma. Il denomi nazionalismo è il risultato del diritto al giudizio privato in religione. Un Battista dovrebbe essere 1’ ultimo a mettere in dubbio il diritto del Presbiteriano, del Metodista o di qualsiasi alno al pieno e al libero esercizio del suo diritto di giudizio individuale in religione.
Se il denomi nazionalismo cesserà mai di esistere e se tutti i cristiani si uniranno, ciò non sarà per mezzo di progetti artificiali di unione, ma per un accrescimento graduale di unità nel modo di vedere, cioè per opera del principio volontario. Un altro pericolo dei credi è che essi ci facciano scambiare il guscio per il nocciolo, la forma per la vita. Dei credi che siano stati fusi mentre la vita religiosa era assai ardente possono perdurare dopo che il fuoco si sia spento: il credo senza la vita diventa allora una catena che avvince, non delle ali sulle quali l’anima potrà elevarsi. Il solo e unico rimedio allora, è di
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tornare a Cristo e di riaccendere la fiamma della religione. I eredi non sono utili che fino a quando sono l’espressione nonnàie della vita e sono adoperati come mezzo per propagare la vita. Il ritenere un credo non più che come vero intellettualmente, senza la potenza e la vita interna, non è per nulla un atto religioso. Il Nuovo Testamento non conosce affatto un tale mantenimento di credi, e noi faremo bene e rigettare tutti i credi e ad andare direttamente al Nuovo Testamento piuttosto che cadere in un intellettualismo arido per mezzo di un credo morto. E’ così grande il pericolo che questo intellettualismo arido sorga oppure che i credi siano adoperati, da carnali difensori della fede, come fruste per costringere gli uomini ad una uniformità di credenza che, mólti Battisti e-sercitano la loro libertà col non avere niente a che fare con dei credi, o piuttosto col ripudiarli tutti, e col ricercare soltanto nelle Scritture le loro credenze dottrinali. In questo, ripeto, essi stanno strettamente nei loro diritti come uomini liberi in Cristo. Nondimeno io penso che i eredi adempiono una funzione utile nell* educarci ad unità di fede e di pratica, fino a quando non siano portati come maschere da morto per la religione defunta, o adoperati come sferze per castigare gli altri; fintanto che non arrestino la vita e la crescenza, in breve, i credi aiutano più che non impediscano. Un credo è come una scala. Per mezzo di essa potete salire ad una visióne elevata, ad un’ atmosfera spirituale più pura, oppure potete scendere alla bassa piattaforma di un’ ortodossia sterile.
In questo spirito vengono scritte le seguenti pagine. L’ autore non pensa menomamente che la sua esposizione sia la migliore che si possa fare, o che sia in alcun senso finale. Altri miglioreranno queste dichiarazioni, e nói perverremo ad un sempre più chiaro intendimento del significato della Bibbia e della religione di Cristo.
E. Y. MULLINS
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Vitalità, e Vita nel Cattolicismo.
Cogliere le più interessanti manifestazioni sia moderniste sia medie vaiaste nel campo Cai lotico in modo da presentarne come uno specchio fedele per chi vuole studiarne il fatto religioso, gli siali di animo individuali o i fenomeni concitivi’essere insomma come una cronaca esatta ed insieme urta critica serena del movimento Cattolico contemporaneo, questo Si propóngono le note Che col titolo « Vitalità e vita nel Cat-tolicismo » pubblicheremo periodicamente su « Bilychnis ».
L compito di valutare giustamente le molte manifestazioni della varie tendenze che si contrastano nella vecchia Chiesa di Roma, e di coordinare i vari documenti che man mano si produrranno e lumeggiarli convenientemente, non è certo facile. Non v’ è giorno in cui non avvenga qualche fatto degno di rilievo, in cui le insanabili divisioni e le gravi screpolature in questo millenario edificio appaiono sempre più manifeste. L’accusa ripetuta fino alla sazietà, dei teo
logi cattolici alle chiese cristiane libere, di mancare di unità nella loro compagine e di determinare spesso nuove forme e nuove tendenze religiose, sarebbe ora di facile ritorsione. La stretta clausura e il tenere a forza avvinte le anime da un legame esterno, quello dell' autorità ; la costrizione e la compressione di ogni attività spirituale dei singoi: e anche della collettività, sotto il macigno della volontà, non sempre ragionevole, di un solo : la fossilizzazione in vecchie forme ed in concetti tramontati, l'inerzia spirituale e intellettuale di tutti, imposte come doti necessarie per chiamarsi cristiani cattolici, per un falso concetto di tradizione e perchè uno solo deve pensare ed ordinare e tutti gli altri devono essere strumenti passivi in mano sua, questo era il carisma divino dell’ unità, uno dei caratteri fondamentali della vera Chiesa, secondo i teologi cattolici. Ed
a questo concetto si era continuamente ispirata 1’ autorità della Chiesa di Roma. Ora questa unità che cambiava il libero consenso dei credenti in una reclusione forzosa se può esser mai esistita, oggi non v’è più davvero poiché si potrebbe ri[38]
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¡»etere con piena verità che nel Cattolicismo tot capita tot versus, ognuno pensa ed opera come meglio gli aggrada. Solo, per salvare le apparenze, l'incenso non manca per arderlo dinanzi all’ autorità e professarsi ossequenti in tutto ad essa anche usque ad effusione^ sanguinis, come scriveva in questi giorni un giornale papale. Le parole non costano nulla e forse chi le dice è in buona fede, poiché tutti si arrogano il monopolio di interpreti delle parole del papa.
Non siamo noi soli a far questa constatazione. Noi siamo estranei, o quasi, alle vicende della Chiesa di Roma, ed esse ci interessano solo in quanto studiosi dei problemi dello spirito ed osservatori attenti di ogni movimento religioso. Il rilievo è fatto pure da chi ha un interesse più vivo e più immediato: dal Papa stesso, dai vescovi, dai cattolici tutti, che si dilaniano fra di loro in polemiche curiosissime.
Significantissimo a questo proposito è il linguaggio dei vescovi dell’ Umbria nella pastorale indirizzata in questi giorni ai loro fedeli. Essi si dolgono amaramente che il papa sia stato posto nel dimenticatoio da ogni classe di cattolici. E scrivono :
« Una gran parte dei cattolici d’Italia, ed in modo tutto speciale dell’ Umbria nòstra, da qualche tempo a questa parte hanno dimenticato troppo ciò che non dovevano in nessun modo e a nessun costo dimenticare.
« Il Papa I’ hanno dimenticato, più o meno, un po’ tutti.
« L’ hanno dimenticato un po’ i sacerdoti e per conseguenza i fedeli : 1’ hanno dimenticato i sacri oratori e gli scrittori cattolici ; 1’ hanno dimenticato le nostre associazioni; 1'hanno dimenticato i giornalisti, cattolici ».
I buoni vescovi dell’ Umbria sembra però abbiano visto il male ma non si siano affatto reso conto delle cause che lo hanno prodotto, se per rimediarvi hanno istituito « la festa del Papa » da celebrarsi ogni anno il 18 gennaio, ed indetto un pellegrinaggio a Roma nel 1913. Con una festa di più o con uri viaggetto di piacere non si guariscono malattie cosi gravi. Diversivi e parate sono nulla per gli ammalati di consunzione.
Quello che i vescovi umbri hanno scritto, crediamo lo possano ripetere i vescovi di tutto il mondo. Non sappiamo però se tutti si troveranno d’accordo nel prescrivere la cura della festa del Papa, o se ce ne sarà uno, almeno, che conosciuta la vera origine del male nell’ imperialismo accentratole dell’ autorità pontificia, abbia il coraggio di dire con sincerità al vero malato, che non è il popolo cattolico ma chi io governa, che occorre una cura opposta radicalissima, e che i cerotti non sono che cerotti.
Passiamo ora, per cominciare, in rapida rassegna le vicende della Chiesa Romana in questi ultimi mesi.
Il modernismo non ha esplicato una azione rumorosa. Diceva tempo fa l’on. Murri, che i modernisti sono oggi dei disoccupati loro malgrado. Poiché, aggiungeva egli con gustosa ironia, c' è Pio X che lavora per la causa del modernismo più che non lo potrebbero tutte le forze moderniste coalizzate. La fo*
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bia dei papa e dei papali costituisce infatti la migliore propaganda delle nuove idee. I colpi d’ ascia menati alla cieca hanno prodotto nella parte più colta e più giovane del clero ciò che non vi avrebbe causato una intensa attività dei modernisti. Ciò difatti ha rilevato ai più la gravità della situazione ad ha generalo in essi il desiderio di rendersene un più esatto conto. Naturalmente è accaduto che questo esame ha prodotto disastrosi risultati per le vecchie posizioni. Le condanne dell’ Indice e le ordinanze della Congregazione Concistoriale hanno triplicato i compratori di opere che forse non avrebbero altrimenti superato una cerchia relativamente ristretta, e questi libri compulsati febbrilmente, non per curiosità morbosa ma per studiarvi le eretiche dottrine e, forse per combai terle con cognizione di causa, hanno convertito .... all' eresia, con la loro serenità e con la loro forza di argomentazione un numero enorme di preti lettori. Le persecuzioni ingiustificate contro uomini di singolare cultura e di particolare correttezza di vita, hanno colpito tristemente il clero che si è guardato bene dattorno per vedere un po’ da quali persone i colpi provenivano, ed ha visto che erano sempre degli invidiosi ignoranti o degli intriganti senza scrupoli, o gente dalla vita morale molto dubbia, e si è subito domandato se non era da preferirsi la causa dei perseguitati a quella dei nuovissimi maestri in Israele.
Già prima, il famoso giuramento imposto da Pio X più che serrare le file le aveva sbandate per il disgusto male celato con cui gran parte dei sacerdoti e dei cattolici, considerandolo come atto di tirannia, vi si erano dovuti piegare. Avveniva così, come sempre accade, che I’ arbitrio genera la rivolta.
Del resto che non si siano avute manifestazioni rumorose nella propaganda modernista, ciò non vuol dire che i modernisti sieno rimasti inoperosi. Le loro idee essi le propagano ardentemente e tenacemente attraverso i loro periodici, nelle riviste in cui collaborano, nelle loro conversazioni private, con la ¡oro corrispondenza. E ciò non è poco davvero a giudicare dai loro quadri che aumenta no di giorno in giorno e dalla crisi di anime nel sacerdozio che è ai rivela ad un punto tale che essa salta agli occhi anche dei meno avveduti. Siamo ben certi di non andare errati affermando che una buona metà del clero, che comprende i migliori e più intelligenti fra i Sacerdoti, sente il contrasto aperto fra la propria coscienza e le posizioni della Chiesa, e sappiamo che a centinaia taglierebbero il nodo gordiano uscendo dalla chiesa ufficiale se una via qualsiasi per non morir di fame si offrisse loro.
La crisi del clero è anche più vasta di quel che non appaia. Defezioni giornalmente avvengono di sacerdoti il cui passo resta per lo più ignorato perchè non vogliono che il passato sia di ostacolo a crearsi una vita nuova. I seminari si spopolano rapidamente e il reclutamento, dei preti diventa ormai un problema ossessionante per il cattolicismo. Sappiamo di seminari in cui il numero degli alunni, in questi ultimi cinque anni si è ridotto appena ad un quinto di quel che era per l’addietro. In ciò ha influito certo '.’incameramento dei beni ecclesiastici come è avvenuto in Francia, o il timore di un fatto consimile in altri paesi come l’Italia, ciò che ha rattenuto le famiglie dall' iniziare i loro figli alla carriera ecclesiastica in cui, da gran tempo, non si vedeva altro che un buon mezzo di menare una vita comoda, in un dolce epicureismo, condiviso dai pa-
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remi ingrassando ed arricchendo le famiglie sui benefici ecclesiastici. Ma sarebbe ridicolo 1’ affermare che su questo rapido cambiamento non abbia avuto l'influsso maggiore la nuova coscienza religiosa che viene pervadendo le masse, a cui non è estranea la propaganda modernista e.... quella antimodernista che, di solito, raggiunge il fine opposto a quello che si propone.
Come programma pratico, parte dei modernisti, specialmente italiani, si-sono prefissi di ottenere 1’ abolizione per il clero del celibato ecclesiastico obbligatorio, questa menzogna convenzionale imposta da una tirannide grottesca, che fa sì che il novanta per cento del clero viva nel putridume dei costumi i più corrotti. La campagna coraggiosa di « Battaglie d' Oggi » diretta dall’Avolio, ha prodotto un largo solco nel clero d’Italia, senza eccettuarne molti prelati. Ultimamente, alla fine di ottobre, ebbe luogo a Napoli un convegno, riuscito singolarmente importante per il largo numero di laici e di sacerdoti che vi parteciparono o vi aderirono. In questo Congresso il prof. Avolio dimostrò come di fronte all’ audacia sempre crescente del clericalismo, che sfrutta il sentimento religioso del popolo, non ai fini del sentimento religioso ma della politica, fosse urgente intensificare il movimento per la riforma della Chiesa su tutta la linea, considerando come uno dei punti di partenza 1’ agitazione contro la legge celi-bataria del clero. Ed all’ Avolio fecero eco vari altri oratori fra cui alcuni sacerdoti, intervenuti in veste talare. Uno di questi, un parroco autorevole, espresse il volo che qualche sacerdote che gode benefici ecclesiastici si sposi senza deporre 1’ abito da prete e persistendo nel ministero, poiché lo Stato non avrebbe motivi legali per ritirare /’ exequalur. Infine venne . annunziata la prossima pubblicazione di un foglio popolare di propaganda modernista e fu data lettura di un programma di una Unione Cattolica Modernista, deliberando di tenere in Roma, nel prossimo anno un nuovo congresso.
Da certa fonte ci viene assicurato che due suppliche sono state recentemente inviate a Pio X, 1* una per 1’ abolizione dell’ abito talare, firmata da un gruppo di preti disposti a deporlo immediatamente per entrare nel pubblico insegnamento 1’ altra anche essa firmata, per 1' abolizione del celibato ecclesiastico. Da ciò si scorge che 1’ azione modernista piuttosto che spegnersi si viene accentuando.
Delle infiltrazioni gravissime di tendenze moderniste nel clero regolare è prova la ispezione dei conventi affidata ad ufficiali delle congregazioni romane. Questi hanno avuto l’incarico di purgare tutti i conventi italiani dai frali sospetti di tendenze liberali. Frutto di questa ricognizione è stato 1' allontanamento di moltissimi religiosi, specialmente della Romagna, delle Marche e del Meridionale che sono stati relegati all’ improvviso in regioni lontane e sottoposti a sorveglianza specialissima.
Pubblicazioni di indole o di tendenze moderniste non sono mancate, oltre ai vari periodici che, o vi si dedicano espressamente, o discutono volentieri nelle loro colonne di problemi religiosi. Ricorderò solo qualcuno degli scritti apparsi in questi ultimi tempi. In Germania, i libri del notissimo prof. Schnilzer del-1’Università di Monaco :' « Hat Jesus das Papsttuni gcsliflet ? » e « Das Pa-psttum e ine Sliftun Jc.su ? » ; il volume di Karl Heltau ; « Bonino/ » ; il vo-urnetto dello Schieler : « Mcin Auslritt aus dcr kalholischen Kirche » ; quelli
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del Batt, un parroco cattolico.- « Ultramontane Hinlèrsorgd » e « Geschichte des Ullramontanismus » ; gii opuscoli del Sickenberger e del Wieland ; i volumi del Mirbt (« Quellen zur Geschichte des Papsttums und des römischen Katholizismus »), del von Hoensbroech (« Das Jesuitengeselz »), dello Pfeidcrcr (« Religion und Religionen »), dell’ Horneffer (« Der Priester »), dell’ Eucken, il famoso filosofo di Jena (« Können wir noch Cristen sein ? »); il romanzo dello Smigelski : « Einer von der vielen » ; le pubblicazioni della Krausgesellschaft, ed altri numerosissimi scrittori (i).
In Francia, il volume del Goblet d’ Al viel la : « I' évolution du dogme catholique »; quello del Saintyves: « La simulation du merveilleux »; del Rouby : « Ixl vérité sur Lourdes » ; del Goût: « L affaire Tyrrell ». Inoltre non bisogna dimenticare il volumetto, dovuto a cinque preti cattolici, « Ce qu' on a fait de Teglise », il libro del Dabry : « Mon expérience religieuse », quello dell’ abate Dolonne e specialmente quello dell' abate Claraz : « Le mariage des prêtres », che ha avuto larghissima ripercussione anche fra il clero italiano (2).
Per 1’ Italia nominiamo soltanto 1’ ultimo volumetto del Murri « TAnticlericalismo », ed il romanzo « Quando non morremo » del Paimarini.
E il movimento modernista ha avuto in questi ultimi tempi i suoi storici : lo Schnitzer in Germania con la sua opera « Der Katholische Modernismus », 1’ Houtin in Francia col volume recentissimo « Histoire du Modernisme Catholique ». Questi due lavori sono dovuti a modernisti militanti, mentre un terzo, « Der Modernismus », dovuto allo svizzero mons. Gisler considera il modernismo dal punto di vista conservatore. (3)
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Rivolgiamoci ora dall’ altra parte.
Pio X sognò una notte, qualche anno fa, di aver ucciso con una enciclica e con un Sillabo il feroce mostro del Modernismo ed a perpétua memòria di quel sogno eroico fece coniare una medaglia in cui si fece raffigurare sotto le spoglie guerriere, non so più se di Ercole o di S. Giorgio, nell’ atto di trucidare il drago dalle teste molteplici.
Se il modernismo fosse stato un partito, od una setta, o quanto meno un sistema, la lancia di Pio X avrebbe forse potuto raggiungerlo. Per godere di
Di alcuni dei libri citati, pubblicheremo quanto prima delle recensioni, come pure di moke altre pubblicazioni che ci sembrano molto interessanti dal punto di vista della vita religiosa d’ oggi.
(2) A proposito del libro del Claraz, un sacerdote mi scriveva: « sto leggendo Le mariage des prêtres. Se sapessi che impressione mi fanno queste pagine così sature di verità strazianti!... Il celibato è per i preti il giogo più inumano, più barbaro che mente malata d'asceta abbia potuto immaginare per ingannare tanta gioventù inesperta e sacrificare tante vite... Io ero di anima generosa, intraprendente, battagliera : ora vivo inerte, a-pata, scettico, 1’ ombra di me stesso ».
(3) Nel prossimo numero ci occuperemo largamente di queste Storie del modernismo^
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questa pia illusione, il Papa stesso provò a far ridurre da un compiacente gesuita, che si meritò con questo la porpora, nella cerchia di un sistema bene stabilito, le dottrine moderniste. Ed entrato in questa ridotta estrema, menò a destra e a manca le armi con singolarissimo ardore e furor bellico incredibile. Quando p?rò, stanco per l’immane fatica, credeva potersi riposar sugli allori, si accorse con terrore di aver combattuto con fantasmi. Il modernismo, quello vero — eh : non è sistema o corpo di dottrina, ma è uno stato d' animo individuai? ed è più o meno in quanti vogliono rendersi conto delle proprie opinioni, specialmente di quelle che riflettono i problemi dello spirito —, era più vivo di prima. Infatti, pretendere di sopprimerlo è lo stesso che tentare di sopprimere lo spirito umano. E Pio X non è uomo da tanto.
Il fatto si è però che Pio X si è incaponito e vuol raggiungere ad ogni costo e con qualsiasi mezzo il suo scopo. Che i mezzi non sieno sempre i migliori e che difettino di onestà qualche volta, ciò fa nulla. Macchia velli è un buon maestro anche nelle faccende di Chiesa. Ricorderò a questo proposito la losca faccenda rivelata ultimamente dalla Revue Moderniste Inicmaiionale di Ginevra. Si tratta in breve di questo : Per ordine espresso del papa il quale fornì i mezzi finanziari occorrenti, fu inviato tempo addietro a Ginevra un prete romano, che aveva relazioni di amicizia col direttore delle Revue Moderniste, con l’incarico esplicito di servirsi di questo vincolo dell’ amicizia per sorprendere segreti e documenti in merito alla organizzazione di quel periodico ed alle relazioni col suo direttore di alcuni sacerdoti romani. Lo spione pontificio, accolto lietamente a Ginevra e trattato come fratello, riuscì a rubare una lettera ed a fotografare altri documenti, sulle sui basi fu cominciato contro qualche prete un processo dinanzi al sant’ Ufficio, processo che è stato poi abbandonato per timore di gravi rivelazioni che avrebbero prodotto uno scandalo enorme. N sua volta poi I’ emissario papale fu accusato da un collega presso il tribunale diocesano di Roma di gravissimi addebiti, come quelli di aver sottratto e falsificato documenti e di aver truffato una grossa somma ad una dònna;
Pio X non si arretra dunque di fronte a qualsiasi enormità. Ho citato questo caso come tipico, poiché tutti sanno, del resto, le forme di persecuzione e di spionaggio poste in opera dalla polizia pontificia in ogni angolo della terra per sorprendere e sopprimere i modernisti.
Disperando ormai di debellare il modernismo con le condanne in blocco, dopo il lamentevole fallimento del Sillabo e del Giuramento antimodernista, si è iniziata la guerriglia cóntro i singoli. A questo scopo serve mirabilmente di aiuto al Vaticano quella parte del clero che si adatta al nobile ufficio del poliziotto. E die poliziotto ! Per figurarsene le imprese bisogna richiamare alla mente i più gravi scandali per cui vanno famose le polizie di tutti i paesi.
Ordinariamente infatti questi fox - terrier scovatoti di modernisti, sono la feccia del sacerdozio. Ma le loro tare morali sono persino laudate e premiate poiché zelano la santa causa delia fede. Se non vi sono dei modernisti, fi creano. Se intraveggono che un altro sacerdote merita più di loro per le sue virtù e il suo sapere, e può esser così preferito ad essi in qualche concorso o in qualche nomina, lo si demolisce di colpo accusandolo di modernismo.
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Lo stesso vale per certi ordini religiosi che nella Chiesa si sono eretti a dominatori monopolizzandovi tutto ; quando veggono che qualche membro del sacerdozio di altre fraterie si acquista fama eccellente per la sua dottrini» o i meriti eccezionali, lo si addita all'autorità come infetto di eresia. Così si spiegano facilmente certe condanne come quelle del Duchesne, del Semeria, del La-grange e di altri minori.
Commentando la triste persecuzione contro il Semeria, un giornale romano scriveva {Messaggero, 26 settembre):
« Astraendo dalla sorte del povero e buon frate, forse ingenuo, quanto buono, per noi che guardiamo le cose dal di fuori, questo caso é piacevolmente sintomatico: è un segno per noi confortevolissimo, della decadenza dei valori morali del mondo clericale.
Tutti gli organismi che tramontano, fanno così : si lacerano interiormente, non per far trionfare la parte più intelligente e vivace, ma per eliminarla ; mentre 1’ altra, morta zavorra del passato, si rinserra ostinatamente in sè, tanto in sè, sola in sè, che non s’ accorge più della sua solitudine, e quasi se ne compiace, come un malato che sul punto di morire dichiara di sentirsi guarito ».
Insomma l’attività di Pio X a cui risaliscc la colpa di queste prodezze si risolve in una parola : persecuzione. Persecuzione contro la cultura, per l'oscurantismo; contro l’attività onesta, per l'inerzia o per 1’affarismo truffaldino di molti; contro la vita deilo spirito anelante a nuove ascensioni, per l'imbecillità e la morte morale ; contro la storia, per le ridicole tradizioni leggendarie.
Intanto gli affari della Chiesa vanno a rotta di collo. Abbiamo accennato finora a cose d’indole religiosa ed abbiamo intravisto quanto poco l’autorità possa contare sui cattolici. Se considerassimo poi gli affari d*indole sociale o politica in cui si è confusa la religione, il disastro apparirebbe ánche più grave. Le velleità imperialiste di Pio X lo hanno portato a dar di cozzo contro tutti gli stati grandi e piccini dell’orbe cattolico, e con i cattolici di tutti i paesi che esplicano la loro attività sui campi in cui il dominio religioso non dovrebbe entrare neppur di traverso. E così grave è la rottura che lo stesso papa, scrivendo recentemente al vescovo di Como, diceva desolatamente: « De genti-bus non est vir mulini, » lamentandosi precisamente dell’ abbandono e dell' isolamento — così diceva un giornale papale — nel quale preti e fedeli, lo lasciano troppo spesso per ciò che concerne la difesa delle dottrine, degli interessi, dei diritti della Santa Chiesa romana.
Il Giornale d'Italia di Roma, le ai relazioni abbastanza strette col Vaticano non sono ignote ad alcuno, dedicava, nel numero del 20 agosto, un lungo articolo alla politica estera del papa in cui viene illustrata — certo oltre l’intenzione dello scrittore — la débàcle del pontificato romano. Infatti vi si rileva all’evidenza, come, se si eccettuano i mollo problematici successi ottenuti dalla politica pontificia nell’ America del Nord, nel Belgio o presso il tramontato governo dei... Giovani Turchi, in ogni altro angolo della terra Pio X non ha prodotto che rovine per la Chiesa.
Noi ci limiteremo qui a rilevare di volo gli ultimi eventi. In Francia il Vaticano ha avuto due nuove sconfitte, cercando invano di accreditare dapprima la voce che il governo della repubblica volesse tornare ad bonam frugem per la questione dei missionari nel Marocco, c facendo poi lare — salvo a smentirle subito per le proteste dei Camelols da ioì e dei bonapartisti — di-
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chiarazioni di repubblicanesimo e di restaurazione del ralliemicnl voluto da Leone XIII, al vescovo d’Annecy. La situazione religiosa è oscurissima e non per la... persecuzione governativa, ma perchè cercar dei cattòlici nella cattolica Francia, sarebbe impresa da Diogene. In Francia vi sono dei politicanti non dei cattolici, a meno che non si vogliano ritener per tali coloro che sperano molto sull* appoggio pontificio per la causa dei gigli d’ oro o delle aquile imperiali contro i fasci repubblicani, o quei sans-culollcs alla rovescia, affetti da mania religiosa, che apparvero qua e là all’epoca della legge di separazione e che ora riacquistata la sanità intellettuale si infischiano, per quanto possono, dello stato c delia chiesa, o, infine gli speculatori su' Lourdes. Per gli antichi domini del re £> islianissimo è un po’ poco davvero. Per compenso però il clero... diviene modernista ogni giorno più, malgrado gli sforzi di quell'ex gesuita Barbici', il calunniatore di Leone XIII, che gode tutte le simpatie di Pio X, mentre non gode quelle p. es. del vescovo di Nizza che ha emesso contro di lui una feroce ordinanza per calunnia e falso contro gli istituti della sua diocesi.
In Germania vi sono fra i sacerdoti, a cominciare dall’ alto clero, forti correnti modernistiche. In politica il Centro non tollera ingerenze romane ed evita sempre di chiamarsi partito cattolico. E quando il Vaticano ha voluto intimare il quos ego si è trovato innanzi e preti e cattolici e governi d’ ogni colore che gli hanno imposto di rimangiarsi in fretta e furia, presentando umili scuse, i propri decreti, i provvedimenti disciplinari pel clero, le corbellerie storiche solennemente sballate. Ricordiamo il decreto Ne temere sul matrimonio e quello sulla prima Comunione, il giuramento antimodernista, l’enciclica pel centenario di San Carlo Barromeo contro Lutero e la Riforma. Anche oggi il papa mastica amaro perchè i cattolici di Germania si ridono delle preferenze di Roma per i sindacati operai confessionali, preferiscono la tendenza di Colonia a quella di Berlino e seguono meglio Bachem che quel selvaggio di Oppersdorff, cioè i giornali modernizzanti invece che i papali.
Di modo che dopo tanto tuonare e tante minacce l’attesa enciclica sulle opere sociali in Germania non ha saputo far altro che dare una botta al cerchio ed ima alla botte e lasciare che le cose vadano per il loro verso.
Nel regno di S. M. Cattolica le cose non vanno meglio. Le politica va assolutamente per la mala china, il clero... Ma che volete che se ne faccia il cattoli-cismo del clero spagnuolo?
In Portogallo le ultime vicende sono ben signicative. Il Vaticano schierandosi per la reazione contro la repubblica si è alienato .».patto 1’ animo delle popolazioni ; parte del clero, che d'altronde non vai meglio di quello spagnuolo, ha meritato la prigione come sovvertitrice dell’ ordine pubblico e cospiratri.ee provata contro il nuovo regime. Altri preti son fuggiti alla frontiera e in numero di 250 riuniti in battaglione, armati di tutto ¡»unto (amano anzi di farsi fotografin e negli atteggiamenti i più bellicosi) hanno seguito le sfortunate guerriglie del Paiva Conceiro ; coloro infine che sono rimasti hanno accettato pacificamene te le pensioni governative tirandosi addosso l’ira del papa espressa da questo commento dell’ Osservatore Romano:
« La situazione dei sacerdoti che hanno accettato le pensioni dello stato, sembra • ! il punto di vista ecclesiastico essere diventata ormai insostenibile e scandalosa, non già per ciò che riguarda la loro adesione alle istituzioni repubblicane, ma perchè, so-
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prattutto in seguito alle dichiarazioni fatte in parlamento nello scorso maggio dagli uomini del governo, ed al decreto (s/>ortaria) pubblicato ne) Bollettino ufficiale (Diario do Governo) del 23 dello scorso mese di luglio, quell’ accettazione importa una umiliante soggezione dei ministri del culto di fronte alle autorità laiche persecutrici della chiesa ed un riconoscimento implicito della iniqua legge di separazione, solennemente condannata dalla Santa Sede ».
A questo biasimo, anzi a questa Sconfessione aperta, i preti pensionati hanno risposto con un lungo manifesto in cui giustificano la propria condotta ed hanno parole gravissime contro l’autorità della Chiesa • che preferisce la partigianeria politicante al bene della cristianità. Vi si dice fra 1’ altro :
« Non sarebbe meglio che il clero accettasse la Repubblica e non si dividesse in lotte politiche?
In questo momento così grave per la Chiesa Cattolica decliniamo, davanti a Dio tutta la responsabilità dei provvedimenti che l’atteggiamento ostile dei vescovi e della Santa Sede possono provocare. Essi si accorgeranno in futuro che potevano impedire gravi mali per là .Chiesa e che non lo vollero. I vescovi che davvero desiderano rialzare le sorti del paese potranno sempre contare sulla nostra cooperazione leale e sincera. Se essi poi desiderano continuare nelle ostilità, se quelli che dovrebbero ispirare i loro atti a prudenza ed amore e attendere soprattutto agli interessi della Chiesa, non si cureranno delle condizioni del clero per seguire una stampa parligiana e settaria, saranno inevitabili le conseguenze perniciose che prevediamo.
Siamo cattolici e portoghesi : e se come cattolici domandiamo di mantenere integra la nostra fede, come portoghesi amiamo la nostra patria e desideriamo concorrere al ristabilimento della pace del nostro paese e alla sua redenzione sociale.
La commissione centrale raccomanda ai pensionati di conservare un’attitudine ferma e serena. Non dobbiamo essere noi a sollevare il grido di rivolta che conduca ad uno scisma. Che le tremende responsabilità tocchino a chi chiude gli occhi alla, verità e non cura il bene e le convenienze della Chiesa. Siamo ottocento e questo numero e la ragione che ci assiste sono la nostra forza. Fermezza e prudenza ».
Da notare che dopo le parole grosse dell’ Osservatore Romano e qualche strascico polemico, non si è avuto l’ardire di condannare i preti pensionati. E questa remissività dopo le minacce gravissime, ha esautorato completamente il Vaticano anche presso gli altri preti che non avevano finora accettato la pensione in cambio dei beni ecclesiastici e che avevano esitato a dichiararsi per il governo repubblicano. In una parola, negli stati che furono già di sua maestà fedelissima, Roma non può contar più nemmeno sulla fedeltà del clero.
L’Austria, malgrado le parate del congresso eucaristico, e malgrado che la Chiesa romana creda trovarvi la sua Beozia, è sempre più pervasa dall’anticlericalismo. Lo spirito di Giuseppe II non tarderà a riprendervi il sopravvento. Nè sarà il clero ad ostacolarlo efficacemente, un clero affarista e trafficante, tanto schiavo eterno ed umile e piaggiatore dei ricchi e dei potenti, quanto dispregiatore ed oppressore dei poveri. Ciò spiega anche, almeno in parte, 1’ efficacia della propaganda evangelica in Austria e specialmente in Ungheria in questi ultimi anni. Quando poi il vecchio imperatore non sarà più, la sua mancanza sarà, più che da altri, risentita dal cattolicismo.
Il governo italiano, dal canto suo sembra si desti 01 mai dal lungo sopore, sotto la pressione dell’opinione pubblica, che comincia a manifestale di essere stanca degli eterni compromessi col potere ecclesiastico che sembrava ex lege. Qualche atto recente potrebbe essere un indice di’ questo, come la negazione
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dell’^w«/«r a mons. Pensa vescovo eletto di Atri e Penne per politicantismo di pessima lega, ciò che succederà pure al famigerato mons. Carón (*).
Ed era tempo che il governo vedesse chiaro a quali mani veniva affidata !’ educazione religiosa degli italiani e non coonestasse più col suo beneplacito le mire vaticane di servirsi dei vescovi come muletti elettorali per rendere il più pessimo dei servigi allo stato che li pagava per avere dei nemici.
Un nuovo programma di politica ecclesiastica viene elaborandosi. La necessità di posizioni più nette nelle relazioni tra Chiesa e Stato in Italia viene ormai considerata come uno dei problemi i più urgenti per la vita della nazione, da tutti quei partiti che non fornicano ad ogni occasione col Vaticano. Specialmente i partiti della democrazia si rendono ormai conto di questo. Un congresso, promosso appunto per fissare le linee della nuova politica ecclesiastica, avrà luogo fra poco in Roma. Ciò per quel che riguarda le relazioni ufficiali fra Chiesa e Stato. Per quel che riguai da invece l’influsso morale del Vaticano sulla gente italica, quando avremo detto che l’unico mezzo — l’estremo — a cui si e ricorso dal clero per non lasciarsi sfuggire le pochissime persone che.....
ci credono ancora; é l’asservimento economico, operato per mezzo delle varie banche e casse clericali, avremo detto tutto. Le convinzioni religiose dipendono dalle cambiali, e la politica papale fa assegnamento su di esse per i candidati di santa madre Chiesa al parlamento nazionale. Purtroppo però neppure gli e-stremi rimedi sembrano poter deprecare i mali estremi e le azioni del Vaticano calano, calano, calano.
Ma la restaurazione cattolica verrà? Veramente le probabilità non sono troppe, perché non si concepisce una restaurazione cattolica senza realizza* prima, nella Chiesa di Roma, una restaurazione cristiana. Ad ogni modo, per sollecitare la vittoria papale è stata istituita in questi ultimi mesi una « Lega Sacerdotale — Pro Pontefice et Ecclesia — », fondata dal card. Dubiilard, arcivescovo di Chambèry, il quale la chiama « provvidenziale » per il tempo presente. Credete forse che la « Lega Sacerdotale » si proponga una rigida riforma dei costumi del clero, una più vasta e più seria cultura, una attenzione maggiore ai problemi dello Spirito, uno sforzo superbo perchè i preti cattolici si rendano alfine degni della missione sacerdotale, perchè lo spirito di Dio trionfi quaggiù ? No, no : queste sono utopie modernistiche.
La Lega che ha per scopo di promuovere nel clero e: per mezzo di questo, tra i fedeli un generoso attaccamento alla Santa Sede apostolica disponendo gli spiriti a voler intraprendere tulio e patir lutto, se occorre, per la sua causa e per quella della Santa Chiesa, si propone di raggiungerlo col dare al papa l’obolo, darlo ai giornali papali, e... non leggere mai le opere sospette di modernismo! Ma non voglio defraudare i lettori di un documento così interessante quale è lo statuto di questa lega che salverà la chiesa cattòlica, anche perchè esso, da solo, potrebbe dare l’idea esatta di quel che sia la vita nel cattolicismo. Ecco dunque lo statuto:
(i) Mentre correggiamo le bozze apprendiamo che il consiglio dei ministri ha rifiutato di accordare il placet alla nomina del Caron ad arcivescovo di Genova. Ce ne occuperemo distesamente nel prossimo articolo.
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VITALITÀ E VITA NEL CATTOI.ICISMO
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« i. Ogni prete che vuoi essere membro della Lega « Pro Pontifico et Ecclesia » si ipmegna con voto a dare ogni anno 20 franchi per il denaro di S. Pietro. Coloro che possono offrire di più si riterranno felici, ma senza obbligo di voto, di fare ogni anno un’ e-lemosina più considerevole, proporzionata alle loro risorse.
2. Il prete membro della Lega dovrà recitare ogni giorno la preghiera liturgica seguente :
Tu es Petrus et super hanc pelram aedificabo Ecclesiam meam.
V. Conslituit eum Dominum domus suae.
R. Et principem omnis possessionis suae.
OREMUS. — Deus, omnium fidelium pastor et reclor... eie.
3. Promette di celebrare ogni anno almeno una Messa per il Papa. Se ha cura d’anime, riunirà a questa Messa i fedeli e farà una questua per il denaro di S. Pietro.
4. Nel sacro tribunale esorterà i suoi fedeli che possono a fare la comunione quotidiana o almeno frequente e a offrirla almeno una volta la settimana per il Sommo Pontefice.
5. Egli stesso farà o farà fare almeno una volta l’anno una predicazione sul Sommo Pontefice o sui documenti pontifici contemporanei, per esempio sulla comunione quotidiana, sull’azione pubblica confessionale dei cattolici nelle opere « sub vcxillo crucis», sul giornale papale che sarà diffuso largamente, ecc.
6. Si impegna espressamente a non leggere, se non per ragioni gravi, come sarebbe la necessità di una confutazione, nessun giornale e nessuna rivista più o meno inquinata di modernizzantismo o di modernismo, e a impedire con tutti i mezzi possibili simili letture fra gli altri.
7. Procurerà ogni anno nella misura del possibile almeno alcuni nuovi abbonamenti ai giornali interamente cattolici e papali.
8. Si applicherà a dare la più grande diffusione possibile agli atti della Santa Sede che condannano gli errori moderni specialmente al Sillabo di Pio X, alle Encicliche contro il liberalismo, contro il modernismo, contro la falsa democrazia cristiana.
9. Combatterà in modo speciale e con insistenza e in tutte le occasioni possibili per il ristabilimento dell’ unione degli Stati con la Chiesa, dell’ insegnaménto religioso nelle, scuole, e per il riconoscimento ufficiale e la prosperità delle Congregazioni religiose.
io. Per opporsi alia congiura del silenzio sulla questione romana, farà rilevare prò data opportunitale, la condizióne intollerabile del Sommo Pontefice che si trova sub ostili dominai ione constilutus.
11. Si impegna pure a parlare del Papa e dei suoi atti ufficiali o delle sue direzioni ogni volta che se ne presenterà l’occasione, nelle riunioni; congressi, federazioni e patronati.
12. Finalmente per uniformarsi alle dichiarazioni pressanti e reiterate della Santa Sede sulla somma opportunità di una cognizione profonda della filosofia e della teologia scolastica secondo la dottrina di San Tomaso, si occuperà di questo studio per quanto glielo permetteranno i suoi doveri e difenderà su questo punto, come su qualunque altro senza eccezione, di fronte ai suoi confratelli e ai suoi subordinati, le direzioni della Santa Sede;
Visto ed approvato
Chambery 20 luglio 1912.
F. VIRG. Card. DUBILLARD Arcivescovo di Chambèry ».
Chi non vorrà sacrificarsi ? Con soli venti franchi annui si compra la vittoria delia Chiesa. Eppure, scommetto, i piti vi si rifiuteranno. Disgraziati !
Ridete lettori ? Na, ve ne prego. E’ troppo triste questo tramonto d’una Chiesa fra scemenze e pazzie.
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Ci rimane di dare un’occhiata al partito clericale italiano e alla questione del modernizzantismo. E' veramente ridicolo l’accapigliarsi continuo dei clericali nostri fra di loro. Anche qui riporterò un documento senza perdermi in molte parole, per indicare le due frazioni principali che si contendono il campo, e che hanno per esponenti i vari giornali cattolici gli uni, papali gli altri. Più che altro, in fondo, è questione di moneta. I giornali papali, tre o quattro in tutta Italia con una tiratura che raggiunge si e no le mille* copie ciascuno, sono inveleniti contro i giornali cattolici non papali che hanno di fronte agli altri una certa fortuna. Nel suo numero del 20 agosto la papalina Unità Cattolica di Firenze, la cui belise, ormai famosa, le ha meritato il posto di leader degli organi papali, tracciava così la distinzione che passa fra lei per esempio ed i giornali modernizzanti :
I . I cattolici papali vogliono che i diritti del Papato e del Romano Pontefice siano sempre sostenuti come i Papi li sostengono nelle loro Encicliche e nei loro atti pubblici : questione romana internazionale, dissidio politico religioso sempre aperto fino a quando il governo italiano si metterà d’accordo col Papa il quale vuole e deve essere libero ed indipendente politicamente ed economicamente pei fini spirituali della sua missione nel mondo;
I modernizzanti invece temono questo terreno, o non parlano mai della questione romana e la ritengono per sorpassala, oppure parlano della libertà del Papa come ne discorrono non pochi liberali in astratto e mai in concreto : il mezzo dato dalla Divina Provvidenza per 15 secoli e da essi dimenticato totalmente e lo « stalli quo » è posto come condilio sine qua non all’ indipendenza pontificia.
IL , 1 cattolici papali sostengono che il non expedit non è abolito.- esiste ancora come legge generale, e son permesse ai Vescovi, caso per caso con dispensa da Roma solo le eccezioni;
I modernizzanti invece non illustrano mai questa legge, proclamano candidati cattolici come loro pare e piace in adunanze anche pubbbliche e di fatto vengono a far si che la legge sia l’eccezione e l’eccezione la legge;
I modernizzanti invece — se ora non si dicono più partito cattolico — ih concreto mirano a formare il gruppo cosidetto cattolico parlamentare alla Camera parlando più volte a nome di amici, di colleghi in quanto, cattolici ; e proclamano candidati come rappresentanti di organizzazioni ufficiali cattoliche ;
IV. I cattolici papali vogliono che la bandiera cattolica coraggiosamente sia spiegata nell’ azione sociale economica ;
I modernizzanti invece sostengono facilmente F aconfessionalità o neutralità della loro azione pubblica.
V. I cattolici papali domandano che tutta la loro azione religiosa, economica, politica dipenda dai Vescovi e dal Papa perchè la religione cattolica deve pervadere tutta la loro vita sociale pubblica;
I modernizzanti invece sottilizzano, confondono le cose, amano l’autonomia nelle mosse elettorali e nelle manifestazioni pubbliche, come cattolici diconsi sottomessi al Papa come cittadini diconsi liberi.
E avanti di tal passo : fino ad affermarsi pubblicamente le due tendenze con i loro organi e con le loro riviste e con i loro conferenzieri e circoli e società.
Anzi i veicoli del modernizzantismo (giornali) giungono persino a confondersi, con le cronache dei delitti, dei suicidi, dei fatti politici, delie manifestazioni pubbliche, cogli sport e divertimenti, ecc. coi giornali zibaldoni del liberalismo. Sono adunque ben delineati i loro scopi. Scopo del modernizzantismo : interesse, la medaglietta, P ambine od altra passione non buona; mezzi: giornali, società, conferenze, circoli, convegni. Risultato sarà il distacco dai Papa, l’apostasia sociale ».
Eccovi documentato io stato d’animo dei clericali italiani. A giudicar da
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questa prosa non è su di essi che può fare assegnamento il Papa per le sue rivendicazioni spirituali e tanto meno per quelle tempora li. Solo i papali sono buoni ma sono tanto pochi che dovrà riderne lo stesso Pio X. Il quale ha provato varie volte e sempre invano a richiamar sulla retta via i giornali clericali italiani, ma non ha avuto mai il coraggio di condannarli' formalmente. Si pensa forse che sconfessando o prendendo un qualsiasi provvedimento contro i giornali modernizzanti, l’ultima parvenza di un partito cattolico italiano sparirebbe con essi. Sui sei o settemila lettori dei giornali papali Pio X non conta per nulla. Sono tutti vecchi e prendono tabacco, o leggono quei giornali per allietare la siesta.
Ciò non impedisce che la giostra si svolga animatissima e che un certo p. Chiaudano, gesuita, riprenda il Crispolti, difensore dei modernizzanti, che qualche vescovo respinga 1’ Unità e che qualche altro invece respinga il Corriere a” Italia e che ognuno drizzi per conto suo una lista dei giornali buoni e di quelli cattivi, senza che nessuno si trovi in fondo d’accordo. (1)
Ogni giornale però, cattolico o papale che sia, bussa a danari, dichiarando tutti di sostenere la causa del papato e della chiesa. E la commedia prosegue.
Come si è potuto rilevare dall’articolo dell’ Unità Cattolica il caposaldo dell’azione papale è la rivendicazione del potere temporale, della Santa Sede. In questi ultimi tempi la letteratura su questo argomento... archeologico si è arricchita non solo delle solite proteste papali di cui i governi ridono cordialmente, ma pure di tre 0 quattro opuscoletti di cui Pio X ha voluto la stampa, come quello di un tal Monetti gesuita, e di un mons. Jaquet, arivescovo di Salamina, ma di innumerevoli trovate e strafalcioni della stampa papale la quale non fa che accumularne ogni giorno più come se adunasse gemme splendenti. Eccone qualche saggio. L’ Osservatore Romano del 15 agosto u. s. stampava a questo proposito :
« L’unità di Stato per l’Italia è un pregiudizio', anzi una imposizione settaria, un mezzo creduto adatto a ferire al cuore la missione del Papato e prescelto perciò col consenso e coi concorso dei nemici internazionali della vicaria potestà del romano pontefice ».
L ’ Italia Reale di Torino dichiarava Ioni court che la questione romana è ... « una cambiale in bianco » di cui il creditore — per quel giornale, il papa — potrà domandare quando voglia lo sconto.
E la Civiltà Cattolica, l’organo magno dei gesuiti in uno dei suoi ultimi quaderni diceva che l’Austria avrà sempre il buon motivo per dichiarar guerra all’ Italia, e questo motivo è... di riporre il papa sul suo trono.
Ma il colmo dell’ impudenza ed il record delle stupidità è detenuto senza fallo, su questo argomento, dal ricordato P. Monetti, che, nella Settimana Sociale di Bergamo, tenutasi nel luglio di quest’anno, svolgeva le seguenti tesi, riportate testualmente dalla Riscossa di Breganze (n. del 3 agosto 1912):
(1) Questo articolo era già impaginato quando negli « Ada Apostolicae Sedie » l’organo ufficiale del Vaticano, è comparsa la sconfessione esplicita e nominale dei giornali cattolico-liberali. Anche di questo alto di Pio X e.degli strascichi, dei commenti, delle polemiche a cui ha dato luogo, parleremo nel prossimo articolo.
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« Finché non si restituisca ¡I mal tollo, non si ristori il diritto, non si ripari l’ingratitudine non si cancelli 1’ offesa, non si lavi 1’ onta della violenza e del tradimento, purtroppo contratto con la spogliazione del Papa, non si parli di dignità nazionale della nostra povera Italia ».
« Il Signore non muterà certo di linea di condotta sacrificando definitivamente la sua Chiesa e il suo Vicario in terra per timore di una nòia unitaria, ibrida e violenta, recata ad effetto a forza di congiure nefande e indegne usurpazioni ».
« Chi si dice clericale ma non fino a propugnare il temporalismo papalino, separa la propria causa dalla causa del Papa in quanto è Papa ».
« La nomea di patrioti alla moderna, è obbrobriosa per un cattolico, se si tratta di un patriottismo sacrilego, quale 1’ unitario italianismo ».
« Posta la assoluta indipendenza della Chiesa cattolica nel suo capo supremo, il Papa, ne segue immediatamente che egli debba avere nelle condizioni presenti del mondo una sovranità temporale', e questa sovranità deve specialmente stendersi sopra Roma. Potrà forse tale sovranità essere formalmente supplita in altra maniera? No ».
Se non si fosse avuto a che fare con un gesuita, e con un giornale clericale ma, ad esempio, con un repubblicano, con un sovversivo, con un anarchico; esso, sarebbe stato senz’altro affidato alle paterne-cure dei carabinieri, e, come reo di delitto contro la sicurezza dello Stato, internato, per qualche tempo, nelle patrie galere. Ma, ripeto, si trattava di un gesuita, a cui è affidata l'educazione del giovane clero (che belle speranze per l’Italia di domani!) e si è mostrato dalle sfere ufficiali, e dai vari procuratori del re, che inforcano quattro paia di occhiali per scoprire fra le linee della stampa antimonarchica T appiglio per procedere, di non accorgersi di nulla, o quanto meno di avere a che fare con un povero mentecatto....
Pio X dal canto suo il XX Settembre, giorno di lutto e di cordoglio, ha fatto chiudere a mezzo le porte del Vaticano ricordando il doloroso transito da questa vita del potere temporale.
Fra queste allegre vicende si avvicinano le elezioni politiche a suffragio allargato. Non mancherà come per il passato, la solita pochade recitata dal papa e dai suoi, negli appoggi accordati a candidati scettici, massoni, mangiapreti, ma conservatori. Ciò si ripeterà perchè già abbiamo avuto dichiarazioni in tal senso del presidente dell’ unione elettorale fra i cattolici d’Italia, il quale però ha anche affermato che tali appoggi non saranno dati senza garanzie sicure. Poiché i Clericali dicono che vogliono rispettata la loro dignità,
« O che noi dobbiamo sempre essere il servum pecus? — esclama /’Unità Cattolica del 30 agosto — o che noi dobbiamo sempre servire da sgabello ai più feroci anticlericali tipo Cerini. Lazza Ito, Bore Ili, Cassalo, Bava. Martini? Patti chiari ed amicizia lunga.
E prosegue:
Ora queste sono posizioni false e che non vanno. Noi ringraziamo invece il Conte Gentiioni che ci ha dato posizioni, nelle ; egli vuole che i candidali, i futuri deputali, siano conservatori liberali, siano conservatori cattolici o come si chiamano cattolici-costituzionali, rispettino le forze cattoliche organizzale che sono un movimento a se colle proprie tattiche, colle proprie finalità, col proprio programma, coi propri capì, rispettino i patti se vogliono i voti, rispettino la nostra dginità.
7 cattolici marciano per la loro strada colle loro tre grandi Unioni e solo per eccezione e caso per caso, ben ponderale le circostanze, per salvare la società dall’anticlericalismo, dietro dispensa da Roma, perchè siamo di fronte ad alto caso di morale, a ragioni pontificie di altissimo ordine, accedono alle urne politiche. Non partito adunque nè affermazioni cattoliche di partito ».
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A giudicar da queste parole i deputati cattolici ed il loro democratismo sarebbero bell' e spacciati. Questo ha causato 1‘ ultima delle frequentissime crisi nella presidenza delle organizzazioni cattoliche italiane. Infatti il Necchi presidente generale di tali organizzazioni si è dimesso improvvisamente dalla sua carica, perchè si vedeva impossibilitato ad esplicare una qualsiasi azione efficace per fare assurgere il partito clericale ad aver parte notevole nella vita politica italiana. Egli non voleva far più il manichino nè tradire i suoi amici,' quei cattolici frondeurs di Milano di cui fan parte i Cornaggia, i Meda e compagnia. E’ stato chiamato da Pio X a succedere al Necchi il conte Della Torre, un Cameade fra i cattolici d’ Italia, ma che si presta di buona grazia ad essere il giocattolo nelle mani del Papa.
Però se il Necchi temeva per i suoi amici, aveva torto. Vi sarà un Dio anche per essi e il « caso per caso » li salverà. Ma nelle direttive pontificie non è ciò che ci importa di rilevare. Quel che invece cogliamo in questi maneggi ed in certe dichiarazioni ultronee è il fatto che i cattolici, specialmente quei d’ Italia saranno sempre marionette di legno, senza coscienza propria nè morale nè civile. Questo in linea di... diritto. Poiché, in fatto, faranno sempre il comodo loro. Un’ altra osservazione vogliamo fare, ed è che in questi fatti troviamo una conferma troppo chiara di quanto abbiamo ripetutamente detto, che cioè oggi più che mai il cattolicismo non è più una religione ma una conventicola politica e delle meno pulite. Ciò che, del resto, tutti già sanno.
ERNESTO RUTILI.
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Il Vaticano e i sindacati cristiani della Germania*
Per farsi un giusto criterio dell’ importanza dell’ ultimo documento papale, dell’ inciclica di Pio X sui sindacati cristiani della Germania, nella quale si affronta la oramai famosa questione della confessionalità ed aconfessionalità delle organizzazioni operaie, promosse dai cattolici tedeschi, è necessario ricordare, sia pur brevemente, i precedènti storici della questióne.
I cattolici di Germania, fin da quando era capo del centro parlamentare il celebre Winsdor, hanno sempre preteso che le loro organizzazioni fossero indipendenti da ogni influenza e ingerenza dell’ autorità ecclesiastica, mantenendosi fedeli alla nota frase dello stesso Winsdor la religióne da Roma, la politica magari da Costantinopoli. In questa frase fu sintetizzata l’attività sociale e politica dei cattolici tedeschi e 1’ autorità ecclesiastica di Roma rispettò sempre questa volontà.
Ma l’esèmpio dei tedeschi veniva seguito dai francesi e dagli italiani, a-vendo i metodi e la tattica delle organizzazioni operaie tedesche trovato larghe simpatie nelle file di quei cattolici. Specialmente i giovani cattolici dèlie due nazioni latine sentivano che là libertà e la responsabilità in materia politica cd economica costituiva una necessità per esercitare una qualche influenza nella vita moderna e per rialzare le sorti della religione e del cat-tolicismó in particolare nelle masse popolari.
Marc Sangnier, in Francia, col suo Sillon intese appunto tradurre in atto quanto in Germania aveva ottenuto già risultati insperati, lanciando la gioventù cattolica all'impresa ardua di contrastare il campo, fertile di messi ubertosissime, dell’ organizzazione operaia, al socialismo, in nome della dottrina e delle rivendicazioni cristiane.
In Italia, la democrazia cristiana del prof. Tomolo prima, poi la Lega Democratica Nazionale, fondata dal
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11.
TRA LIBRI E RIVISTE
Murri, intesero seguire l'esempio dei sindacati cristiani tedeschi e la propaganda e le polemiche, specialmente della Lega Democratica, furono tutte ispirate al concetto dell’ autonomia e della libertà dei cattolici in fatto di economia e di politica di fronte alla autorità religiosa.
L’organizzazione operaia, per questi giovani cattolici, non doveva avere impronte confessionali, ma mantenersi sul terreno neutro delle competizioni puramente economiche. E reclamando la neutralità di fronte alla religione domandavano, nel medesimo tempo, che le organizzazioni economiche si liberassero dalle pastoie e dal dominio a cui le avevano assoggettate le fazioni poli-tiche.
In Italia questa propaganda otteneva ottimi risultati, quantunque l’autorità ecclesiastica non 1’ approvasse, in mezzo alle masse operaie che intuivano la opportunità profonda di non mescolare la loro coscienza religiosa negli affari e nelle competizioni di classe. Il Silton in Francia allargava le sue influenze e raccoglieva intorno a sé una gioventù entusiasta e battagliera, che contrastava, in ogni momento, la propaganda rivoluzionaria del socialismo e del sindacalismo : i giovani sillonisti aiutati dal clero èrano bene visi a molti vescovi che li incoraggiavano e simpatizzavano per essi.
Il Vaticano si mostrò però diffidente di questa attività dei giovani cattolici, e, assunto ai pontificato Pio X, le simpatie che Leone XIII ebbe
5»5 per la gioventù della democrazia cristiana, si converti in avversione implacabile. Pio X cominciò collo sconfessare la democrazia cristiana italiana, coll’ imporre all’ Unione economica sociale di Bergamo che le sue organizzazioni economiche avessero assolutamente un carattere confessionale, dichiarando pericolose e nocive le organizzazioni neutre. Una tale condanna arrestò la d. c. i e fece fallire tutti i promettenti tentativi fatti. La Lega Democratica Nazionale avulsa dalla massa cattolica continuò a vivere, ma 1’ opera sua si esplicò in un campo diverso e agì nel seno della democrazia laica portandovi il contributo delle sue idealità e iniettando in essa il bisogno e il senso dello spiritualismo.
Più a lungo resistè il Silton francese, mercè la protezione di alcuni insigni prelati, che non valse però ad allontanare i fulmini del Vaticano, perchè Pio X il 25 agosto 1910 si affrettava, in una lettera all’ episcopato francese a condannare formalmente il Silton, che accusava di non seguire gli insegnamenti di Leone XIII e suoi, di interpretare il Vangelo alla sua maniera e di avere sfigurato e diminuito la figura del Cristo. Pio X domandava ai sillonisti di ritirarsi dalle loro associazioni, rimettendole nelle mani dei vescovi. I sillonisti, infatti, come organizzazione autonoma e indipendente dal-l’autorità ecclesiastica, scomparirono, per quanto abbiano saputo, con una abilità, da alcuni considerata modernistica, adattarsi solo esteriormente ai
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niLYciixis
comandi di papa Sarto, pér continuare a compiere sostanzialmente il lavoro che prima compivano con entusiasmo e con fede.
La condanna del Siilo» ebbe un contraccolpo specialmente in Germania, perchè là vi erano e vi sono delle associazioni di cattolici che si pretendono indipendenti dalla autorità ecclesiastica, e vi sono, sopratutto importanti i sindacati cristiani (Christliche Gewer-scaften). In Germania i conservatori fondarono questi sindacati per opporsi ai gruppi socialisti, irreligiosi e non cristiani; in essi entrano operai cattolici e protestanti e si dirigono nella loro azione sulla base comune e tradizionale dei princìpi cristiani, ma non hanno alcuna dipendenza dalle autorità ecclesiastiche. I teologi romani trovarono queste associazioni troppo indipendenti e libere e le ritennero capaci di compromettere il cattolicismo. Le direzioni di Pio X giustificarono queste apprensioni. I cattolici intransigenti cominciarono ad inveire contro i sindacati interconfessionali e formarono a poco a poco quella corrente o temenza che i tedeschi chiamano di Berlino, mentre la tendenza favorevole ai sindacati cristiani si chiamò tendenza di Colonia. La prima fa capo al card. Kopp e la seconda faceva capo al defunto card. Fischer. Questa ultima tendenza è molto forte, bene organizzata e potente, essendo suoi ispiratori i capi del Volskverein, che ha la sua sede a M. Gladbach, e avendo per organo principale la diffusa gazzetta popolare di Colonia, la Kolnische
Volskszoilung 't mentre la tendenza di Berlino è diretta dai capi dell’ Unione delle Associazioni operaie cattoliche.
La lotta fra queste due tendenze è stata sempre vivace ed ha avuto spesso ripercussioni notevoli nella formazione del centro parlamentare cattolico. Pio X, come già Leone XIII, si era limitato, fino ad ora a fare da gran paciere fra queste due tendenze, procurando di armonizzarle nel supremo interesse del cattolicismo romano, ma senza però impedire lo svolgimento dell’attività e della politica di ciascuna. L’autorità del card. Fischer, che più volte venne a Roma con lo scopo precipuo di patrocinare la causa dei sindacati cristiani a lui sommamente cara e simpatica, impedì che la curia romana si buttasse dalla parte degli intransigenti che sostenevano la tendenza di Berlino. Morto il card. Fischer, nel-l’estate scorsa, la lotta fra le due tendenze si era fatta più viva che mai, per cui il Vaticano è intervenuto stavolta in una forma oltremodo solenne e Pio X dice, nella recente enciclica, quale è il suo pensiero.
Riassumo brevemente il documento pontificio, che è abbastanza sintetico per sè stesso, essendo privo di quel-1’ eccessivo dottrinarismo scolastico, che si riscontra in altri consimili documenti.
I principii dottrinari che l’enciclica richiama alla mente dei cattolici
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TRA LIBRI E RIVISTE
tedeschi sono desunti in massima parte dalle encicliche Rerum novarían e Graves de comuni re di Leone XIII e si riassumono nel dovere che, secondo la Chiesa Romana, hanno i cattolici di coordinare tutte le azioni umane, anche riguardanti la vita terrena, al fine soprannaturale; da cui l’obbligo che loro incombe di fomentare fra le classi sociali l’amore fraterno, e la necessità di considerare la questione sociale in genere ed in ¡specie i problemi concernenti il lavoro, il salario, lo sciopero come questioni principalmente morali.
Quanto alle Associazioni operaie Pio X ripete che sono da ritenersi ottime quelle che hanno a fondamento precipuo la religione cattolica. Nei paesi cattolici il papa non approva che esistano associazioni operaie interconfessionali per i gravi pericoli che possono presentare per la fede. Il pontefice quindi tributa ampie lodi alle varie associazioni cattoliche tedesche ; ma subito dopo, senza preamboli, non esclude che per migliorare la situazione degli operai, come pure per qualche altra iniziativa pratica — notate questa più imprecisa concessione — sia lecito ai cattolici di lavorare insieme agli acattolici.
Avuto poi riguardo alle domande dei vescovi germanici. Pio X dichiara che iollerari posse el permilli ai cattolici di far parte anche dei sindacati cristiani od unioni miste esistenti in Germania, finché nuove ragioni non sorgano a render inopportuna od im5£7 possibile tale tolleranza e purché siano sservate le opportune cautele. Queste cautele, suggerite dal papa, si concretano nell’ invito fatto ai cattolici inscritti nei sindacati cristiani di inscriversi anche nelle Associazioni operaie cattoliche nelle Arbeilervèrein ; e nel raccomandare li vescovi di sorvegliare e vigilar P andamento dei sindacati cristiani, perché la loro azione sindacale non si diparta dalie massime della fede e della morale cattolica.
Dall’intero testo dell’enciclica, che ho fedelmente riassunto, si trae l’impressione che essa non sia altro che la omologazione — mi si perdoni il termine ed il paragone giuridico — di un concordato intervenuto fra le dti3 parti avversarie, fra i sindacati cristiani e le associazioni cattoliche, fra la tendenza di Colonia e quella di Berlino.
I vescovi di Germania, come ripete in più passi l’enciclica, hanno raccomandato tanto la associazioni cattoliche, quanto i sindacati cristiani : o meglio una parte di essi si è dimostrata favorevole alle prime, e una parte ai secondi. Il Vaticano, ammaestrato dai precedenti relativi alla enciclica su s. Carlo Borromeo e alle disposizioni per la comunione ai fanciulli, e consapevole che 1’ episcopato tedesco è ligio a Roma e ai suoi comandi, purché questi non urtino contro le speciali tradizioni c condizioni del loro paese, ha interrogato i vescovi e ha voluto che preventivamente fra di lóro fosse Sta-
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588 bilita la linea di condotta che il papa doveva tenere. E le due parti hanno stabilito che base dell’accordo doveva essere il mantenimento delle stata quo dell’organizzazione operaia cattolica in Germania.
L’ enciclica infatti che altro fa se non permettere che i sindacati cristiani sussistano e vivano ancora? Si fa è vero una esposizione di principii teorici favorevoli alla lesi del confessionalismo, sostenuto dalla tendenza di Berlino ; nè il Vati :ano, dati i precedenti in materia, poteva trascurare tale affermazione. Ma in concreto se in questa esposizione la tendenza di Berlino riporta una vittoria, che del resto era da tempo ottenuta e concessa non raggiunge per altro alcun risultato pratico, poiché le sue associazioni cattoliche si troveranno sempre di fronte i temuti sindacati cristiani. Dall* altra parte i sindacati cristiani e la tendenza di Colonia sapevano da parecchio tempo quale era il pensiero del Vaticano in fatto di confessionalismo, e non poteva riuscire, come di fatto non è riuscito, loro nuovo e. inaspettato quanto Pio X ha sciitto nella recente enciclica. La tendenza di Colonia sapeva che Roma voleva il confessionalismo anche nelle organizzazioni operaie, ma essa aveva sempre sostenuto che in Germania il confessionalismo imposto ai sindacati avrebbe voi ito dire tagliare fuori dal movimento operaio 1' influenza dei cattolici e lasciare che padroni del campo sindacale fossero rimasti i socialisti e i miscredenti. Nè aveva sol
tanto sostenuto questa tesi ma l’aveva attuata.senza tentennamenti, con slancio e, diciamolo pure perchè è la verità, con pieno successo. Alla tendenza 'di Colonia non poteva, adunque importare che il Vaticano/ fedele alla sua'con-cezione, avesse ripetuto anche per la Germania le sue preferenze dottrinarie per il confessionalismo; ripetere ciò che era già’ conosciuto non poteva nuocere, purché tale ripetizione non avesse modificato.. lo stato di fatto. Ecco la condizione che evidentemente poneva la tendenza di Colonia in difesa dei suoi sindacati.
Il Vaticano si è accontentato e non ha pronunziato la condanna dei sindacati cristiani, che logicamente doveva su essi cadere dopo tante motivazione dottrinali riassunte o richiamate nel documento papale. Praticamente la tendenza di';Colonia ha vinto, perchè essa avrà ancora i suoi sindacati, cristiani interconfessionali, così come li aveva prima e dotati anzi di maggiore libertà ed importanza, perchè la loro attività ed esistenza non solo è tollerata, ma è apertamente permessa dalla santa sede.
Nè le cautele che 1’ enciclica impone potranno creare qualche imbarazzo ai sindacati, in quanto che la iscrizione dei loro membri nelle associazioni cattoliche di Berlino se può parere una imposizione fuori di luogo, sarà in atto difficilmente applicata o, se sarà praticata, non creerà inconvenienti pei sindacati, perchè colla forza del loro numero potranno senza dubbio influire
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NOTE E COMMENTI
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sull’ indirizzò delle associazioni confessionali cattoliche e orientarne a poco a poco l’attività a seconda delle loro vedute e del loro programma pratico ; cosicché, a non lungo andare, potrebbe anche accadere che la tendenza di Ber -lino, aprendo le porte alla tendenza di Colonia, sia costretta a sparire, almeno come strumento di opposizione all’opera dei sindacati cristiani.
C’è, è vero, nell’enciclica di Piò X una minaccia per i sindacati cristiani, là dove si dice che il permesso di esistere dei sindacati è concesso finché nuove ragioni non sorgano a rendere inopportuna od impossibile tale tolleranza. Secondo me è questo l’unico punto del quale i sindacati cristiani pcs-sano dolersi, giacche in tale riserva.. • laici anguis in erba : con essa il Vaticano implicitamente promette agli intransigenti della’ tendenza di Berlino e di altrove una non lontana completa vittoria. Da questo inciso, dal quale si intuisce tutta la tattica di Roma verso i sindacati tedeschi, avranno esca nuove polemiche fra le due correnti, polemiche che il Vaticano, poco sincera-mente, vuol far credere di riappacificare, polemiche che già cominciano a riaprirsi per op ira specialmente degli intransigenti, che hanno la smania di vedere coronata dal pieno successo la loro campagna contro l’interconfessio-nalismo.
L’enciclica di Pio X, in conclusione, rappresenta una vittoria solamente astratta e teorica per la tendenza di Berlino, mentre la tendenza di Colonia
ha ottenuto una vittoria pratica momentaneamente importante e certa, ma però non garantita e sicura per l’avvenire. Se in Vaticano prevarrà per qualche tempo ancora la corrente intransigente e se Pio X continuerà a rimanere soggetto alla politica e alla volontà dei gesuiti, la condanna dei sindacati cristiani tedeschi sarà il codicillo logico e conseguenziale del recente documento, nel quale giova notarlo, Pio X non ha mostrato di possedere, anche di fronte alle forti organizzazioni tedesche, quel facile coraggio anatematizzatore che, con tanta ostentazione, spiegò verso le giovani e deboli organizzazioni autonome ed aconfessionali dei cattolici francesi ed italiani.
G. FUSCHINI
Mishnà Pirké Abbotti,
A proposito dell’ articolo « A Dio o ad uomini? » —- Bilychnis 1912, V. p. 453.
Ho letto con vivo interesse l’articolo di Joh. Lover A Dio o ad uomini? e, senza entrare, per ora almeno, in merito alle difficili questioni in esso articolo trattate, lasciandone la cura, ov’ il credano, ad altri di me più competenti, su un punto sento il bisogno di far qualche nota ed è il seguènte. Leggo a piedi di pag. 454 le seguenti frasi: « Era insieme a quello
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del maggiore proselitismo uno dei tradizionali precetti dei più alti maestri del fariseismo (v. Mischila Pirkè Abboth c. i) questo di dare al pio israelita il migliore concetto della più scrupolosa, meticolosa obbedienza. E contro di entrambi Gesù ha combattuto ecc. » Ora chiedo al sig. Lo ver su quale passo precisamente di Pirkè Abboth e. i egli si fonda per dir questo e per dedurne poi le conseguenze eh’ egli ne trae ? Apro il Pirkè Abboth, parte prima e nulla che dia conforto a. questa tesi, io vi trovo. Nulla, dico, ove almeno, non si voglia dare alle parole di tale santissimo trattato, a forza, l’interpretazione più malevola. Si fonda egli forse il sig. Lover su queste parole : Simon suo figlio [di Gamliel] diceva : tutti i miei giorni fui allevato fra Savi e non ho trovato alla persona miglior cosa che il tacere, nè. lo studio delle cose è il fondamento, bensì 1' esecuzione di esse, e chi molto parla facilmente pecca » ? Ebbene : questo sarebbe suggerire la più meticolosa e irragionevole obbedienza? Il sapiente consiglio del tacere e meditare, come appreso alla scuola‘dei savi, vuoi dire: Obbedienza supina a qualunque costo? E questo in un trattato ove la cultura dello spirito e lo studio sono consigliati e riconsigliati ad ogni pie’ sospinto?
E non è anche detto nella Parte
2. di questo Trattato la seguente sentenza tutta ispirata ad un « rationabile obsequium ? Rabi Eliezer diceva: ....
riscaldati al fuoco dei Savi, ma avverti che la loro brace non ti scotti. E più avanti non vi è detto che « L’ uomo ignorante o volgare non è veramente pio » ?
E non vi è predicato il rispetto all’altrui opinione lungi da ogni sentimento di sopraffazione, come nella Parte IV ove è detto : « non obbligare i colleghi ad accettare la tua opinione » e poi « umiliati ad apprendere da tutti » ?
La pratica è in questo libro consigliata più della teoria, i fatti più delle parole, ma questo significa meticoloso litteralismo, di fronte all’insegnamento spirituale di Gesù ? E la Mischnà, contro le parole del Maestro di Galilea, vorrebbe la pedanteria, invece della carità, essa che insegnò: « sia la tua casa aperta spaziosamente, cosicché siano i poveri tuoi famigliali »? (Pirkè p. r). In verità, se alti e nobili sono i prece ti di Gesù non vedo che, allato ad essi, siano state pronunciate parole più nobili, più elette, più sapienti, di quelle contenute in questo trattato.
Semprechè, s’intende, non si voglia leggerlo con un partito preso e malevolo.
LEONE LUZZATTO.
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ai-. »
Iv* Inghilterra e la Chiesa Cattolica sotto Elisabetta e gii Stuardi.
Arnold Oskar Meyer — England und die kalholische K irete unler Elisabeth und den Stuart. Erster Band. Roma Loe-scher, 1911.
Gli interessati scrittori di una facile storia e di una apologia ancora più facile, avevano accreditato la favoletta che lo scisma d’Inghilterra fosse dovuto esclusiva-mente alla tirannica imposizione di regnanti, c che le sue origini prime dovevano ricercarsi nella condotta scapestrata di Enrico Vili che stanco della legittima moglie Caterina d’ Aragona, voleva sposarsi la bella e fiorente Anna Bolena.
Una rivoluzione così profonda e così radicale come una rivoluzione religiosa quale quella d* Inghilterra, non s* improvvisa ne’ s’impone per i placiti di un uomo : non si passa così leggermente e così capricciosamente un confine così demarcato, nè si rompe con tradizioni e con sentimenti di suprema importanza, se ciò forma ancora la vita spirituale di un popolo. Un’ epoca storica non si crea se non da profonde ragio
ni di evoluzione sociale, e se é vero che occorre I’ occasione, il fatto determinante, non è men vero che primo dei fattori storici resti la preparazione dell’ ambiente.
Il Meyer ha voluto col suo magnifico libro condotto su documenti originali studiare questo problema al lume della critica storica la più severa. Egli si è chiesto : perchè nonostante i più energici sforzi da parte dei pontefici di Roma, e l’avvento al trono degli Stuardi, alla morte di Elisabetta, non è stata possibile una restaurazione cattolica in Inghilterra ? Qualsiasi persona di buon senso risponderebbe a priori a questa domanda, col supporre che l’Inghilterra non fosse affatto, come si pretendeva, un terreno adatto al caltolicismo, cioè che la riforma non era stata imposta ma era scaturita dalle intime convinzioni religiose di quel popolo, cosicché il mutamento non ora solo apparente per timore di persecuzioni, ma profondo e naturale.
Il Meyer ha voluto ricercar nei documenti originari la conferma a questa supposizione logica, ed ha trovato negli archivi di Roma e di Londra che non solo questa rispondeva pienamente alla realtà, ma che molte altre delle leggende accumulate da odii religiosi e politici di avversari del-l’Inghilteira, erano anch’ esse assolutamente infondate, o almeno grandemente esagerate.
Prendiamo un esempio tipico : l’accusa fatta ad Elisabetta di avere usato persecuzioni e condanne per far trionfare la riforma contro la volontà dei sudditi. Sta il fatto, invece che, specialmente agli inizi
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la regina ebbe a meritarsi dagli stessi cattolici la testimonianza di usare longanimità e prudenza verso i suoi avversari per religione e per politica.
Un documento dell’ Archivio Vaticatfo (anno 1559 citato dal Meyer pag. 403) contiene queste espressioni : «.. .. essa regina « non obstante la sua perversa religione. « non ha sin qui voluto usare severità al-« cuna contra la persona di quei signori « secolari et ecclesiastici, li quali non han-« no voluto fargli il giuramento dell’ obe-« diéntia; nè manco negare la religione « cattolica, ma quelli solamente ha privati « delle dignità et delli beni che possede-« vano et permette che possino stare nel « regno, et ad alcuni che possino stare « fuori et godere le loro entrate... », e si consigliava, per questo il Papa (Pio V a « non lasciarsi tirare dalli principi alle arme contra di essa regina ».
E più tardi quando la reazione dei pochi cattolici si tramutò in vere e proprie congiure contro lo stato e contro la regina personalmente, questa non dovette infierir molto per sbarazzarsi dai suoi nemici colpendo solo quelli fra il clero che erano i più facinorosi. Non aveva, del resto, tutti i torti. Diremo anzi che aveva moltissime ragioni, poiché non si rifuggiva per consiglio e col concorso dei gesuiti e dei romani pontefici dal progetto di assassinarla. Due documenti di un singolarissimo interesse, non solo per il caso particolare, ma perchè illuminano stranamente le fosche manovre costanti nella chiesa di Roma, sono riportati dal Meyer (pag. 426-428). Il primo è una lettera di mons. Sega, nunzio apostolico in Spagna al card. Galli, detto il Cardinal di Como in data 14 Novembre 1580. Eccone la parte più interessante: « Tra le « altre cose che mi ha detto questo dotto-« re Unfrido Elei (l-Iumphrey Ely) una me « ne ha detto con molto secreto in nome « di alcuni nobili de la isola et de li me-<t desimi Padri Gesuiti, et è che li sedetti « nobili si risolveriano di tentare di am-« mozzare la regina di mano propria, ogni « volla che si assicurassero, almeno con la « parola la qual dice che crederiano. « quando egli scrivesse o gii rispondesse a « la presenza, come si offerisce di fare, che « Sua Santità gli assicurasse che per que-« sto non caderiano in peccato, per il pa-« ricolo che' gli instarla de la morte Jor « propria in tentar cosa tanto grave et pe-« ricolosa. Io gii ho risposto che per le « parole della sentenza (la famosa bolla
« del /sio contro Elisabetta) di Pio V di « santa memoria, pare che questi si potria-« no assicurare, poiché particolarmente dà « licenza a tutti li vassalli di poter pigliar « le armi contra la regina impune ; con « tutto questo io non lasserò di motivar « questa propositione per intendere più in « individuo quello che Sua Santità com-« manda, havendogli soggiunto che quando « il papà non venisse in voler dichiarare co--« sa alcuna innanzi al fatto, almeno li as-« sicurarei che S- Santità a quelli che so-« pravivessero dopo questo fatto, daría « tutte quelle absolutioni et dichiarationi « che fossero necessarie o ad' abundante « cautela per le persone di detti sopravi-' « venti, soggiungendoli che « nocnil quan-« doque differre paratie ». Per chi non conoscesse il latino dirò che queste parole di Lucano, che il nunzio indirizzava ai congiurati, significano che ponessero subito in azione il loro disegno di assassinio perchè il differire avrebbe potuto compromettere l’esito della congiura. Curioso poi soprattutto è che il nunzio chiudeva la sua- lettera dicendo : « in questo caso aelus domas Domini comedii me ». Strano zelo che non solo io aveva mangiato, ma... divorato addirittura !
Il secondo documento a cui abbiamo accennato è la^ rispostale! papa ¿Gregorio Vili a questa lettera, trasmessa il 12 dicembre dell’anno stesso, dal card. Galli al nunzio apostolico. In.questa risposta si legge : « Non è a dubitare... che ciascuno « che levasse dal mondo quella rea femina « d* Inghilterra, col fine debito del servitù» « di Dio, non solo non peccaria, ma anco « meritoria.... Però se quelli cavalieri in-« glesi si risolvono da dover© di far così « bell’ impresa, V. S. gli può assicurare «¿che essi non incorreranno in nessun pec-« cato...»
Che meraviglia dùnque che Elisabetta si disfacesse di queste nobili canaglie e di questi gesuiti infami ? ..Certo non ¿ saremo noi ad approvare o coonestare tutte le a-zioni della «vergine regina» ma a quei tempi si agiva molto peggio che in Inghilterra contro i cattolici, a Roma. in Spagna ovunque nel nome profanato .di Dio, contro gente di diversa credenza; E non diversa-mente aveva agito contro i riformati, perseguitandoli e trucidandoli, ia femmina tristemente famosa che resse il trono d’Iii-ghiltetra prima di Elisabetta, la regina Maria.
Ritornando a quel che dicevamo in-
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nanzi, che là Riforma doveva aver pervaso le intime fibre del popolo inglese, il Meyer ha rilevato come a quei tempi i cattolici non fossero che una piccolissima minoranza in Inghilterra, poco più di centoventimila su quattro o cinque milioni. E che il resto della popolazione fosse pienamente favorevole alla sua regina ed oprasse concorde, è provato dal fatto che dal regno di Elisabetta data la storia gloriosa dell’ascensione dell’ Inghilterra, come potenza politica, e commerciale. Invano contro simile ascesa si propone il blocco ed il boicottaggio contro le navi britanniche, sempre per consiglio delle genti di Chiesa. Invano Sisto V. con la promessa in caso di successo di pagargli un milione di ducati d’oro, spingeva, nel 1588, Filippo II di Spagna, il bocciato pretendente alla mano di Elisabetta, a lanciare contro 1’ Inghilterra l’Invincible Armada, tanto invincibile che al primo scontro con gli inglesi, lottanti per la salvezza della patria, fu sterminata. Fu lasciata poi correr voce, che il gran disastro, che segnò il principio della decadenza di Spagna, fosse dovuto a terribile tempesta, un’altra bugia.
La vittoria contro il nemico esterno, valse a vincere anche i nemici interni, i quali si accorsero alfine di essere stati giuo-cati da Roma, vittime della subdola politica dei gesuiti spagnuoli. Fu così che l’Inghilterra fu nuovamente tutta unita-, e fu debellata per sempre, in quel regno. 1’ orgogliosa potenza dei papi le cui scomuniche contro la « pretensa Angliae regina » si spuntarono contro la coscienza di tutto un popolo. Non eran più i tempi di Innocenzo III, opprimente Riccardo Cuor di Leone.
Ci piace terminar questo accenno, riferendo le parole con cui si esprimeva, a proposito del libro di cui ci occupiamo. Salvatore Minocchi :
« Quello che più risalta dal libro del Meyer é il carattere irriducibilmente politico del cattolicismo ; è la impossibilità, da parte dei sommi pontefici, di fare della religione senza in pari tempo, riuscire a fare della politica. E’ agevole il dire, che la religione cattolica, alienata dalla politica e ristretta nel suo campo spirituale, assorge a vita nuova : giornate come quelle di Sédan e del XX Settembre sono colpi fatali per ¡1 cattolicismo. Esso ò l’indivisibile espressione del romanesimo storico, e tramonta con esso dal cielo delle genti aline. La sola romanità che non muore
è nello spirito e nella libertà di coscienza ; quella ond’è bell’esempio il nostro libro sull’ Inghilterra, composto da un tedesco e pubblicato dall’ Istituto Storico Prussiano in Roma, centro della storia ».
ERNESTO RUTILI.
FIIPJOFIAE RELIGIONE
Neotomismo riel sec. XIX.
GIUSEPPE SAITTA Le origini del neotomismo nel secolo XIX con prefazione di G. Gentile — Biblioteca di cultura moderna — N. 58. Bari. G. Laterza e figli 1912. L. 3,50..
Il volume dimostra le origini non filosofiche e quindi il carattere non filosofico del neo-tomismo d’oggi, e riassume a sommi capi la lotta che il tomismo ebbe a sostenere dalla controriforma a noi. Questa lotta d’idee nel libro del Saitta assurge a grande interesse facendoci assistere a un vivo dibattilo che associa in un impari duello Bossuet e Cartesio, Malebranche e Gian-senio ; gesuiti ed enciclopedisti ; romanzieri francesi alla Chateaubriand, -idealisti tedeschi ed ultramontani di fronte a Kant, il filosofo della Riforma. E* finalmente — più importante per noi — il quadro del tomismo definitivamente liquidato per il sopravvento delle idee moderne : quadro che s’inizia con l’infiltramento del razionalismo nella cultura ecclesiastica, tra noi specialmente per 1’ opera di Rosmini e di Gioberti, susseguita dalla reazione cattolica progressivamente svolta dai tre ultimi papi.
L’ esposizione del Saitta, per quanto non tecnicamente completa nel suo assieme, rende vividamente, come dice il prefazio-nista G. Gentile « l’incessante affannoso armeggìo durato dai depositari della dottrina costituitasi in seno alla Chiesa fin dal secolo XIII, attraverso tre secoli, per non esser vinti dall’impeto incalzante delle nuove idee ».
Il lettore studioso, arrivato alla fine della lucida, per quanto poco organica, o-pera del Saitta. riporta una profonda im-
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pressione della vacuità di quella scolastica che oggi, per opera della scuola francescana e domenicana specialmente, tenta rifare capolino fuor dei chiusi cancelli di quei chiostri dove in altra epoca trionfò. Si comprende che è stata nettamente tagliata fuori e messa in ¡stato di perfetto isolamento dalla filosofia eterodossa postcartesiana rivendicatrice dei diritti della ragione e sanamente naturalista nella sua concreta indagine filosofica.
Però dove l’eccessivo zelo demolitore dello scolasticismo trascina P autore ad affermazioni non meno dogmatiche di quelle del neo-tomismo, noi per analogia, non possiamo più trovarci.'consenzienti con lui.
Non è affatto serio per uno storico della filosofia avventare toul court giudizi di una gratuità tanto inverosimile, come il Saitta fa, nel .sentenziare contro il trascendentalismo e contro Dio-spirito « che era un semplice presupposto ».
Parlare cosi risolutamente proprio nel contempo in cui un filosofo come Claude Bernard afferma che ogni individuo possiede una finalità interna. « l’idea direttrice » e nel mentre che Emilio Boutroux, a sua volta maestro di Bergson, viene ammesso all’ Accademia di Francia, già un tempo sacra a Comte e a 'faine ; Boutroux. il « filosofo della libertà », P assertore della « contingenza del reale »!!!!
Per carità non scordiamo che ogni miopia è una grettezza; non costruiamo nuovi campanili e. nuove chiesuole sulle stesse fondamenta friabili che fecero crollare le superstrutture precedenti. Approfondiamo bene il concetto che la « realtà » della cui conquista c’ inorgogliamo, non è altro se non « attualità spirituale ed usciamo, in uno sforzo integratore d’ogni esigenza dello spirito, dai particolarismo dalle - scuole mediante una filosofia ritmica che sia coinè « segnacolo in vessillo » del Dio invisibile atluantesi nel mondo visibile.
Boutroux parlando di B. Pascal, svela il segreto ricostruttore di questa vigorosa intelligenza dicendo che per conoscerla ed imitarla bisogna « cercare la grazia inspiratrice che sola può aggiungere ai nostri sforzi la direzione e l’efficacia ».
Se non erro, non diceva altra cosa Goethe quando ai ricercatori domandava della « simpatia ».
P. CHIMINELLI.
Evcken e Bergson
E. HERMANN : Eucken and Bergson — Their signiftcance for c/iristian thoughl — London, James Clarke, and Co., 13-14 Fleet Street — in 8., pag. 224, 2 s. 6 d. net. — L. 3,10.
Ecco un libro utilissimo a chi non potendo acquistare le opere dei due filosofi che forse più‘di tutti attraggono nell’ora che volge P attenzione del pubblico colto — Rodolfo Eucken, l’insignito del premio Nòbel, che secondo il prof. A. Chiappelli per molti ancora caput inter nubila condii ; ed il profondo pensatore francese Enrico Bergson —desiderasse farsi un’ idea, esatta del rapporto che passa fra la loro filosofia ed.il Cristianesimo.
Per assicurare i nostri letlori della serietà con cui lo Hermann si occupa nel suo libro dei filosofi Eucken e Bergson trascriverò due brani di risposta che questi ultimi inviarono all’egregio Autore.
Il primo scrive :
« Sento il dovere di esprimere i miei più sentiti ringraziamenti. Il modo nel quale Ella ha esposto le mie vedute è eccellente. Nel far ciò Ella ha tenuto conto delle sue convinzioni e quindi ha espresso il suo dissenso dalla mia posizione dogmatica, cosa che mi fa apprezzare maggiormente il suo libro e lo renderà più pregevole ai suoi lettori. Nella sua opera vi è tanta obbiettività e profondità quanta ne può desiderare uno studioso tedesco autentico ».
L’altro si esprime così :
« Ho appena finito di leggere il suo libro e sono ansioso di scriverle che P ho letto con mollo piacere. Sarebbe impossibile studiare le mie opere con maggior simpatia, o svincolare le tendenze essenziali di esse con più sicura penetrazione. Mentre alcuni critici han cercato di attacarmi su questo o. quel punto, attenendosi un |K>’ troppo alla lettera, Ella è andato direttamente allo spirito.
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Accetto molto volentieri, nell’ insieme, ciò eh’ Ella dice circa la relazione delio spiritualismo della mia dottrina filosofica e la religione ».
Il libro è diviso nei cinque seguenti copiteli : La situazione presente : una diagnosi ; Rodolfo Eucken e la filosofia della vita ; 1’ Eucken ed il Cristianesimo storico ; Enrico Bergson e la sua filosofia di evoluzione creativa ; la teologia cristiana e il pensiero filosofico odierno.
Lucidissima e chiara è l’esposizione elle l’A. fa della filosofia dell’Eucken nella quale scorge un po’ d’irrazionalismo più apparente che reale dovuto alla persistenza con cui 1’illustre professore dell'università di Jena evita termini che potrebbero prestarsi ad un’ interpretazione intellettualistica.
Secondo il filosofo tedesco, la vita procederebbe dall’ individualismo alla personalità: dal nostro angusto circolo d’inet-ressi siamo chiamati a divenire delie personalità e dei cooperatori di Dio.
La sua filosofia ha per base il¡ noto schema hegeliano dei tre stadi : lo stadio di natura, in cui la vita è vissuta sotto l’autorità dei sensi, espediente e convenzione; lo stadio negativo in cui l’individuo la fa finita con la vita naturale e viene a contatto con la vita dello spirito assoluto ; lo stadio ricostruttivo nel quale l’individuo, avendo raggiunta la libertà spirituale, prende il problema del mondo su di sè e ritorna al vecchio mondo per assistere — alla luce del nuovo — alia sua ricostruzione spirituale.
L’A. fa rilevare, con acume critico, come in questa filosofia non si tratti d’un Dio che ritorni a sè e se stesso redima in quella vuota solitudine ove l’eco del grido umano non-giunge, bensì di una negazione attiva d’un mondo reale ; di una lotta in cui lo spirito sfida e vendica la propria libertà e
la sua non derivata realtà, mettendo alla prova suprema la sua validità.
Codesto « movimento negativo », accompagnato dalla conversione che procede dal senso allo spirito, implica una difesa brillantissima della libertà etico-religiosa, ed include anche una giustificazione ragionata della dottrina cristiana della .Grazia ; tale movimento non è una rcin/erprelazionc de) mondo sub specie aelernilalìs, né un riandare dall’ illusione di un mondo alla realtà d’ un Dio panteistico : è uno sforzo in cui 1’ uomo non compie la parte del mero stadi um, bensì quella del gladiatore.
Circa 1’ attitudine dell’ Eucken di fronte al Cristianesimo storico, l’A. nota come egli benché veda in esso la religione delle religioni, che incorpora la religione assoluta, rigetta la divinità di Cristo, i miracoli e la dottrina dell’ espiazione.
Di più :
Nel suo libro: « Verità religiosa » l’Eucken omette ogni allusione alla preghiera, cosa che l’A. ascrive a Attivismo che è l’anima del suo sistema filosofico.
L’ A. constata che la preghiera è un istinto universale, definisce la preghiera egoistica e superstiziosa: « modo isterico d’ anima timida »; dimostra come nell’uomo di preghiera si manifesti una forza morale che non ci può essere trasmessa a mezzo della cultura ed insiste perchè la filosofia prenda in maggior considerazione « il fatto della preghiera ».
Con molta competenza discute l’affermazione dell’ Eucken secondo il quale il nuovo mondo che la religione porterà viene per invasione e non per pervasione ed afferma — contrariamente all’asserzione del filosofo tedesco — che ammenoché questo mondo-superiore non diventi in noi un’autorità morale saremo sempre schiavi di quel soggettivismo dal quale la filosofia intende liberarci: che dettojnondo-superiore si arruoli alla nostra visione progressiva non
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basta: esso deve compiere in noi un supremo atto morale.
Sembra che I' Eucken, come tanti altri prima di lui, ammetta resistenza d’una cristologia anteriore al Messia e che poi gli sia stata trasmessa en bloc.
L’A. rigetta quest’ipotesi argomentando: un Cristo frutto della speculazione lettereria non può trasformarsi in un Cristo vivente: chi legge spassionatamente gli scritti di S. Paolo deve convenire che il Cristo eh’ Egli presenta non è il risultato d’una compilazione ingegnosa, ma l’espressione d’una esperienza vissuta: l’esperienza d’un Cristo Salvatore ha parlato a tante anime a traverso i secoli e parla ancora con una voce che nessun cambiamento di posizione dommatica può fare tacere: se i secoli abbandoneranno la dottrina nel senso paolino, l’esperienza redentrice nc\ senso paolino continuerà a manifestarsi....
I) torto di Eucken — come dimostra egregiamente l’A. — è di non tener conto dell’esperienza che è il fatto basilare del Cristianesimo.
Del resto nell’ Attivismo di Eucken è implicato ciò eh’ egli rigetta nel campo dommatico: un atto supremo di redenzione da parte di Dio; il suo assunto fisolofico d’ un passato vivente anch’ esso implica la potenza eterna di ogni atto veramente morale.
In quanto alla filosofia del Bergson, la definisce in questo modo: « una chiamata diretta a chi dorme onde svegliarlo, una religione — se il termine può essere adoperato così liberamente — che grida al-1’ uomo che sta per soccombere: « tu devi rinascere ».
L’ A. si ferma a lungo sulla filosofia Bergsoniana dell’ evoluzione creativa e ne deduce eh’ essa armonizza con l’idea d’un Dio creatore.
La conclusione finale dell’ A. è « se crediamo -• come sperimentalmente ammettiamo — che un nostro atto realmente
personale possa acquistare un significato critico o supremo, per tutta la nostra vita, allora non possiamo respingere la convinzione che uri Dio personale possa, con un suo atto, che sarebbe come la somma morale da lui sborsata, cambiare la vita di tutta la razza.
Si parli pure di diffusa influenza ed ispirazione divina; si parli dell’indipendenza spirituale, dell’intimità dell’intuizione a mezzo della quale 1’ anima tocca questa « corrente » d’influenza: nessuno negherà che non sia proprio così. Però noi diciamo che è cosi soltanto perchè quella « corrente » s’è ingrossata in quell’uno, grande e critico atto creativo che chiamiamo la Croce. Quell’atto di Dio e l’incarnazione, di cui esso non è che il focus, rende possibile all’ anima quel tocco..... Ammettere una evoluzione creativa equivale a credere nei miracoli.
Ho cercato di presentare brevemente ai nostri lettori le conclusioni cui arriva lo Hermann; conclusioni che forse |>otranno sembrare illegittime a chi non l'ha seguito nelle chiare e valenti argomentazioni del suo libro; mentre che in realtà sono legittimissime.
F. G. LO BUE.
Libero arbitrio -Determinismo Rincarnazione.
Dott. INNOCENZO CALDERONE. — Libero Arbitrio. Determinismo. Rincarnazione. — Con prefazione di Luigi Nola Pilli. — Palermo - G. Pedone Lauriel Editore, 1912 - L. 5.
Questo libro costituisce ancora un' altra prova in dimostrazione del nuovo e deciso orientamento spiritualista preso dalla cultura italiana odierna.
Noi dobbiamo essere lieti e fare buona accoglienza a tutti coloro che con slancio e sincerità si presentano in lizza a spezzare una lancia a. favore di una più alta concezione di vita : si tratta della nobile lotta della fede contro lo scetticismo, della filosofia spiritualista contro quella filosofia grettamente' positivista che tanto male ha fatto all’ Italia nostra. Ed in questo caso il prò
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gramma di tutti gii spiritualisti dovrebbe trovarsi nelle parole che il Cristo disse a Giovanni : « chi non è contro di noi è per noi ». Tendiamo la mano ai lottatori dello Spirito in qualsiasi campo essi si trovino a combattere.
Quanto diciamo potrebbe sembrare superfluo, ma non lo è. Perchè, massimamente negli ambienti ecclesiastici, si è sempre nutrita una certa ostile diffidenza verso gli studiosi dei fenomeni dal Richet tanto felicemente definiti metapsichici.
Eppure nessuno di. noi dovrebbe .dimenticare che se oggi assistiamo al consolante risveglio delle energie spirituali — che tanto vigoroso impeto hanno ricacciato indietro le dottrine matèrialiste in modo da farcele sembrare lontane lontane come appartenenti ad un' età passata — dobbiamo di ciò graditudine principalmente a quegli studiosi che non si sono lasciati atterrire dalla taccia di superstiziosi, sognatori, rammolliti od altro, ed hanno continuato i loro esperimenti misteriosi che dovevano poi un giorno uscire alla luce del sole — spogli di ogni abito superstizioso ad essi attribuito in passato dalla fantasia popolare — e dovevano conquistare le menti di tanti illustri scenziati e pensatori. Sir Oliver Lodge e William James, che in campi diversi hanno dato i più recenti e possenti colpi al materialismo, sono stati entrambi studiosi attenti dei fenomeni metapsichici di cui parliamo e li hanno consacrati veri con la loro indiscussa autorità. Ad essi fa degna compagnia il nostro O-sare Lombroso che, come tutti sanno, mori ammettendo pienamente la realtà di quei fenomeni.
E’ vero che la scienza ufficiale ha sempre trattato con superbo disdegno i nuovi studi ed ha tentato anche di fare qualche vittima — l’illustre colonello conte de Ro-chat infatti fu perseguitato e costretto ad abbandonare il suo posto di amministratore nella Scuola Politecnica di Francia perchè non volle rinunziare ai suoi esperimenti sull’ ipnotismo — ma oggi la scienza ufficiale é ridotta alla difensiva e fa una figura piuttosto meschina. Tanto più che le diserzioni dal suo campo sono continue ed impressionanti : Paolo Orano coi suoi caldi, sinceri, poderosi articoli apparsi su questa rivista è la più recente prova in dimostrazione di quanto diciamo. Ed altri, non meno di lui autorevoli, lo precedettero nel nostro paese ed in tutto il mondo.
Del resto non dimentichiamo che dal
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tempo* di Cristoforo Colombo fino all’apparizione dei grammofono — il cui inventore fu da un accademico immortale francese accusato di essere un ventriloquo impostore ! — la scienza ufficiale ha sempre dimostrato un sacro orrore del nuovo, un misoneismo miope.
Il libro del Calderone fa parte dunque del nuovo movimento filosofico prodotto dallo studio dei fenomeni ai quali sopra abbiamo accennato. Il Calderone è già conosciuto in questo campo,, avendo pubblicato qualche anno addietro un’altra opera: « Il Problema dell’anima », forse un po’ sciatta nella forma, ma certamente importante ed utile per la sostanza e lo scopo : in essa 1’ A. si propone di dimostrare l’esistenza dell’ anima immortale nell’uomo, e porta all’uopo tutti gli argomenti più persuasivi messi in luce dai nuovi studi. Inoltre il Calderone dirige la rivista palermitana « La Filosofia della Scienza » che già si è affermata e diverrà certamente benemerita della coltura siciliana in modo speciale.
La nuova opera del nostro A. : Libero Arbitrio - Determinismo - Rincarnazione è in fondo la continuazione del suo antecedente volume. Anche in questa sua recente pubblicazione infatti il Calderone si sofferma a lungo a combattere la scienza e la filosofia ortodossa — se è lecito dire — ed anzi |>ossiaino affermare che in gran parte il volume di cui ci occupiamo rivela la preoccupazione di colpire le dot ri ne filosofiche matèrialiste e positiviste.
La tesi impostata nel titolo del volume non occupa che un posto secondario ed ’è dimostratala e risolta con molta brevità. Crediamo che 1’ A. avrebbe meglio raggiunto il suo intento pubblicando un’ opera meno voluminosa e meno ricca di escursioni sia pure in campi affini alla sua tesi. Si ha 1*, impressione che I’ A abbia gettato in questo volume tutto il suo sapere, che del resto si rivela assai ampio sebbene alquanto arrufiato. Chi voglia conoscere il movimento degli studi metapsichici da qualche decennio in qua troverà in quest’ opera una fonte abbondantissima di citazioni ; lutti i cultori dei nuovi studi vi sono citati, anche i mediocri.
Per ciò ‘che riguarda la eternamente insoluta e vexala quaestio che va sotto il nome di « libero arbitrio » il nostro A. — dopo aver dato un rapido cenno cronolo-
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gico di tutte le scuole filosofiche che, attraverso i secoli, hanno tentato di risolverla — affronta per conto suo l’arduo compito di risolverla mediante una dottrina nuova per il mondo occidentale, ma molto vecchia per il mondo orientale. La dottrina del Karma buddistico che si potrebbe definire alla meglio: la concatenazione costante di cause ed effetti, il complesso di meriti e demeriti che agiscono e reagiscono sullo spirito umano, determinandone le modalità di vita nelle successive' rincarnazioni. (Non pretendiamo di aver data una definizione esatta del Karma, tanto più che neppure i buddisti sanno precisamente che cosa esso sia). Ad ogni modo coll’ausilio di codesta antica dottrina il Calderone crede di poter conciliare le due teorie per lo innanzi assolutamente inconciliabili : 'la teoria del libero arbitrio e quella del determinismo. Lo spirito umano immortale passerebbe attraverso un numero indefinito di vite corporee ad esso necessarie per scontare il suo Karma e per fare le esperienze che gli occorrono (teoria deterministica) ; ma s’incarnerebbe anche per « costituire nuove cause » le quali sarebbero di sua scelta (teoria del libero arbitrio) e che arricchirebbero il Karma di nuovi meriti e demeriti: i quali poi alla loro volta influirebbero ancora sulla successiva incarnazione (ed eccoci di nuovo al deteiinini-smp).
Secondo il Calderone in altri termini i fatti determinati di oggi potrebbero essere conseguenza di fatti liberi di ieri. In questo modo egli viene a conciliare le due tendenze eternamente divergenti di fronte al vecchio problema conosciuto sotto il nome di libero arbitrio. Ed a corroborare il suo assunto 1’ A. fa sue le considerazioni del doti. Gustavo Geley il quale — avendo dimostrato che certe manifestazioni superiori di quell’attività delio spirito umano che si è convenuto chiamare sub-co-scente, non possono essere un prodotto dei centri nervosi poiché non sono conseguenza di conoscenze acquisite per mezzo delle vie sensorie e della coscienza attuale — dice che esse provengono da vie sensorie e da coscienza anteriore alla coscienza alinole. Cioè esse sarebbero il risultato sintetico di esperienze successive fatte in una serie di vite corporali antecedenti all’ attuale. In queste vite naturali si sarebbe sviluppato il Karma mediante il quale, come abbiamo veduto, il Calderone tenta di risolvere il vecchio problema del libero arbitrio,
Non si può negare che alla luce dei nuovi studi psichici la soluzione del Calderone sembri logica. Ad ogni modo, anche a non condividere le idee del nostro A., non possiamo non nutrire una forte simpatia per lui. Il Calderone è un uomo di fede e[di tali uomini oggi 1’ Italia ha gian bisogno. Inoltre egli è un valente volgarizzatore ed anche questa qualità occorre oggi in Italia perchè gli assetati di cultura trovino una guida che faciliti loro il cammino da percorrere. Questo volume del Calderone, come pure l’altro già da lui pubblicato, possono dirsi due enciclopedie spi-ritualiste che non si compulseranno senza frutto.
ARISTARCO FASULO.
Una o due campane ?
RITA BOLERO. — « Le due campane » Battaglia a colpi di penna — L. 2 Milano 1910, presso l’autrice.
Veramente aveva grande ragione il Giusti quando affermava che « scrivere un libro vale meno di niente, se il libro fatto non rifa la gente ». E mai mi convinco meglio della verità di questa affermazione come allorquando m’imbatto a leggere libri vuoti di pensiero, scritti per amore di sostenere, a fine di partito, un’aprioristica tesi catastrofica. E oggi ci troviamo spesso in questo caso, data la endemica grafomania che ci ha colpiti e che là versare a getto continuo sul nostro mercato 1 brano le opere più ingombranti.
Rita Bolero pubblicò un libricciolo dal titolo « Le due campane » col sottotitolo: « Battaglia a colpi-di penna ».
In realtà questo delle due campane è soltanto un titolo per la copertina, poi che l’autrice ne fa squillare soltanto una, la sua, e la fa squillare lúgubremente a mortorio per ogni legge umana, storica, morale, politica, religiosa, ideale e consuetudinaria e l’autrice, nell’incedere catastrofico del suo pensiero, tutto frantu-
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ina sotto a’ suoi piedi di amazzone, tanto che, arrivato alla fine del libro, il lettore si meraviglia come la scrittrice non abbia finito col negare fede anche a sè stessa, simile in ciò a quel dannato dantesco che anche contro a « sè medesimo si volgea co’ denti ».
In simile arruffio d’idee, pare che la tesi predominante sia quella del neomalthusianismo, il cui patriarca Carlo Rubìn, il giugno scorso in Parigi pose fine alla sua vita con un preparato di morfina.
A proposito della tesi maltusiana, ecco una delle prove adolte dall'autrice: « Non. è un mistero per nessuno la grande e ricambiata affezione che il Nazareno nutrì per la bellissima Maria di Magdala. la 3|uale appunto aveva amato molto ina mai igliato ». (pag. 42).
E come altro saggio della seria preparazione di questa scrittrice di carattere religioso-morale, basti la seguente affermazione: « ciò che il Vangelo per bocca e sull’esempio di Gesù ci vieta soltanto e ci vieterà sempre, è di amare alla moda delle bestie » (pag. 40) parole che sopprimono tutta l’onda dell'idealismo del
Cristo ma che però non meravigliano sotto la penna di chi non si perita definire la Bibbia « una vecchia cocotte ». (pag. 49).
Questo, come saggio del pensiero, della serenità, della preparazione critica e spirituale di questa incendiaria profetessa del verbo proletario.
Del resto non mette proprio conto di prenderla, come ¡ are desideri, troppo sul serio.
Col critico Lessi ng, lume del protestantesimo da lei accusato d’intolleranza, le dirò che « la peggiore delle superstizioni è quella di credere più tollerabile d’ogni altra la propria idea e di voler sottomettere ad essa l'umanità ».
E quando maledice al Vangelo perchè « banditore di una morale interessata ». le ricorderò, sempre col nostro Lessing, che il vangelo di Gesù « malgrado il suo carattere giudaico, à queste parole che lo stesso rigorismo di Kant amerebbe avere scritte: « Quando avete fatto tutto il vostro dovere, voi siete de'servitoi i inutili».
Altro che^morale interessata nel Vangelo! !.
P. CH1MINELLI
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