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Anno Vili - Fasc. Ili ROMA-31 MARZO 1919 Volume XIII, 3
Mario Rossi: Religione e religioni ii^ Ita lia secondo. I T ultimi!censimento (c'ori "2' favole).
* * *' ? Mancanze di garanzie pel nuovo Codice di Diritto ! canonico. Intrpduzione e saggio sulle fonti.
Carla Cadorna : I ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541, I
Mario Falchi: Una visita ali Ingegnere Kha. Un’ora ' nella vita e nella storia dell’Antico Egitto.
Emmanuel: L‘etere e il suo possibile valore psichico.
Luisa Giulio Benso : Il voto alla donna.
RUBRICHE FISSE: X*'
Per la cultura dell’anima - Carlo Wagner : Nulla di nuovo sotto il sole? (Sermone) - A- Fasulo: La. forza che ha vinto - Spigolature.
Cronache - Guglielmo ¡Quadrotta : Politica vaticana e azione cattolica.
Note e Commenti • Qui Quondam : Ancora a proposito di'* Previsioni ».
Tra Libri e Riviste: Giovanni Luzzi: V, Tre libri per l’ora presente - Giovanni Pioli: Germanesimo, Catolicismo e Protestantesimo, in tre opuscoli - G. Adami :
5. Agostino e l’imperialismo.
Notiziario. - s
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RII VCHNm RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
P**-* * O O O FONDATA . NEL 1912 000
CRITICA BIBLICA ->• STORIA DEI. CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI-*- PSICOLOGIA -*- PEDAGOGIA — FILOSOFIA RELIGIOSA •*- MORALE QUESTIONI VIVE -*•'LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO^ LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO «■ .«>. SI PUBBLICA LA FINE DI OGNI MESE
REDAZIONE: Prof. Lodovico ÉASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WHITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2, Roma.
ABBONAMENTO ANNUO: Per l’Italia, L. 7; Per l’Estero, L. io; Un fascicolo, L. 1. (Per gli Stali Uniti c per il Canada è autorizzato ad esigere gli abbonamenti il Rev. A. Di Domenica, B. D. Pastor, 14:4 Castle Ave.» Phitadelphia, Pa. (U. S. A.)].
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“ VERSO LA FEDE „
nel quale sono trattati i seguenti soggetti :
Intorno al Divenire ed all’A ssoluto nel sistema Hegeliano,
Raffaele Mariano ;
Idee intorno all’immortalità dell’anima, F. De Sarlo ;
. La questione di autorità in materia di fede, E. Comba ;
Il peccato, G. Arbanasich;
Di un concetto moderno del dogma, G. Luzzi ;
E’ possibile il miracolo?, V. Tummolo;
Il Cristianesimo'e la dignità umana, A. Crespi.
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BlDCriNB
R.M51À DI STVDI RELIGIOSI
EDITA DALLA FACOLTA DELIA SCVOLA TEOLOGICA BATTISTA • DI ROMAAnno, ottavo - Faso. III.
Marzo 1919 (Vol. XIII. 3)
SOMMARIO :
db
MARIO ROSSI : Religione e religioni in Italia secondo l’ultimo censimento Pag. 170 Con due tavole a colori fuori testo, tra le pagine 176-177:
Tav. I. Distribuzione territoriale degli Evangelici e Protestanti. — Tav. II. Distribuzione territoriale degli individui che dichiararono di non appartenere a nessuna religióne.
* * * : Mancanze di garanzie pel nuovo Codice di Diritto canonico. Introduzione è saggio sulle fonti del nuovo Codice. .... » 181
Carla Cadorna: I ritrovi spirituali di Viterbo nel 1541 .... » 196
MARIO Falchi : Una visita all’ingegnere Kha. — Un’ora nella vita
e nella storia dell’Antico Egitto ........ ... » 201
Emmanuel: L’etere e il suo possibile valore psichico. .... » 209
Luisa Giulio Benso: Il voto alla donna ....... . . »211
PER LA CULTURA DELL’ANIMA:
Carlo Wagner: Nulla di nuovo sotto il sole? (Sermone) ...... » 215
Aristarco Fasulo: La forza che ha vinto........... » 220
Spigolature: Natale (Massimo Gorki) — La preghiera (Raffaello LamBRUSCHINlj....................... ; ...... » 223
CRONACHE:
Guglielmo Quadrotta : Politica vaticana ed azione cattolica-. « Fervei opus» — Il programma di pace — Stato è Chiesa a contatto —- Le conversazioni del Card. Gasparri — La sovranità pontificia — Speranze in Wilson — Il compito dello Stato — Due partiti cattolici — II pensiero di don Sturzo... — e quello di Benedetto XV — Il Papa domanda — Malumori è riserve — Le libertà cristiane — Il nuovo guelfismo — Quel che pensano i deputati cattolici — Deficiente coscienza nella massa — Le critiche dei democristiani — Il valore dell’autonomia — Chi sono — Il compito della democrazia — Per la sincerità...... » 225
NOTE E COMMENTI:
Qui quondam: Ancora a proposito di « Previsioni » ........ » 238
TRA LIBRI E RIVISTE:
Giovanni Luzzi : Tre libri per l’ora presente ...... .... » 241
Giovanni Pioli : Germanesimo, Cattolicismo e Protestantesimo in tre opuscoli » 245
G. Adami : S. Agostino e l’imperialismo ........... » 247
Notiziario ...... ....... » 249
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Religione e religioni in Italia
secondo l’ultimo censimento
a recente pubblicazione del volume VI e della Relazione del < Censimento della popolazione del Regno d’Italia al io ghigno ipnafi) mi permette di ampliare i confronti statistici già iniziati su questa rivista (2) intorno al variare dèi fenomeno religioso in Italia nel decennio 1901-1911. I dati dell’ultimo censimento (1911) meglio di quelli dei precedenti (sventuramente per incuria dei governanti e per un criterio di falsa economia non fu compiuto il decennale censimento nel 1891) manifestano un evidente e non trascurabile mutamento dei quadri tradizionali della vita morale-religiosa della
nazione, indice di più complesse e profonde trasformazioni sociali di tutta la vita italiana dopo il 1900. Ed è principalmente da questo punto di vista che io credo che meriti esaminare in dettaglio la fisonomía particolare dei vari gruppi di dati offertici dall’ultimo censimento nel campo religioso. Rimandando ad un altro studio l’esame dell’insieme delle cause probabili di tali variazioni, che hanno in altri campi fenomeni correlativi e paralleli, mi fermerò in questo secondo articolo a riferire, discutendoli, con maggiori dettagli, con indici diversi e sotto vari punti di vista i dati fondamentali già esposti nel mio primo studio (3).
(1) Un elogio va tributato alla Direzione Generale della Statistica e del Lavoro per la magnifica e difficile opera portata a termine. Prendo occasione da stille pagine della Rivista per ringraziare la cortese gentilezza del cav. G. Falci ani, Direttore Generale della Statistica e del Lavoro che fu largo di incoraggiamenti è d’aiuto per questo lavoro.
(a) « Rosee, religioni e stato in Italia secondo un libro tedesco e secondo V ultimo censimento > in Bilychnis, fase, dei febbraio 1916.
.(3) Per opportunità del lettore riproduco dal primo articolo, un quadretto riassuntivo dei principali dati in discussione:
Popolazione italiana classificata per religioni.
CENSIMENTI RELIGIONI
' Cattolica Evangelici 0 protestarli. Greco* Scismatica Israelitica Altro Nessuna non dichiarato
io febbraio Numero assoluto de-| gli abitanti. . . . 31.539.363 65-595 2.472 35-617 SS» ■36.092 795276
1903 ! Proporzioni per [ 1000....... 971.2 2,0 0,09 !»I 0,01 I.J 24.5
• 1 Numero ( maschi assoluto 1 . degli ) 16.021.053 68.36O 989 »7.958 699 559-»77 353-454
io giugno 1911 16.962.611 54.893 389 16.366 123 3«5 355 299.950
abitanti f totale 32.983.664 123.253 1.378 34.324 82.2 874$3« 953404
t Proporzioni per 1000....... 951.3 3.6 0.04 1,0 0,02 25,2 18,8
(Dall'Annuario Statistico Italiano, 1914, p. 29).
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RELIGIONE E RELIGIONI IN ITALIA SECONDO L’ULTIMO CENSIMENTO 171
Lasciando da parte, come prive di qualsiasi significato per la vita italiana, le due categorie dei greco scismatici (1) (1378, in gran parte stranieri) e dei 822 appartenenti ad altre religioni fuori delle classificate (cattolica, evangelica, israelitica, greco-scismatica) e riserbando per un terzo studio il gruppo enigmatico dei « non dichiarati » (2), mi limiterò all’esame dei due più importanti gruppi di differenziazione; evangelici e « nessuna religione», con riferimenti, là dove il confronto può illuminare l’argomento, aggruppo « cattòlico » (3). Un breve cenno sarà riserbato agli israeliti, che rappresentano un elemento costante.
Ho già accennato nel primo studio alle caratteristiche diminuzioni e ai non meno interessanti aumenti delle varie categorie, alla distribuzione topografica delle due sezioni « evangelici » e « nessuna religione » e alle zone di quasi immunità, di maggiore diffusione, di sviluppo parallelo in Italia delle due categorie delle religioni; alla proporzionale progressione secondo le professioni degli individui appartenenti a ciascuna delle prime quattro categorie, notando come gli evangelici occupino il primo posto nella prima grande categoria professionale veramente differenziale, dopo le due generali delle « condizioni non professionali » a cui naturalmente appartiene il primo posto in ogni nazione e dell’ « agricoltura » a cui spetta il secondo posto per la natura economica del nostro paese. •
♦ ♦ ♦
In quale rapporto sta il numero dei maschi rispettò a quello delle femmine nei quattro gruppi considerati?
Il. numero dei maschi è di molto superiore a quello delle femmine per il gruppo « evangelici » e per « nessuna religione » è leggermente superiore, e notevolmente inferiore per il gruppo « cattolici ».
Si hanno infatti le seguenti Cifre: a) assolute rispetto alla popolazione totale presente censita Pii giugno 1911 e b) relative rispetto alla distribuzione per sesso e religione insieme della popolazione in gruppi di 100.000 individui censiti, appartenenti al medesimo sesso.
Per gli evangelicia) in numeri assoluti: M. (maschi) 13.467 in più delle F. (femmine).
Vm numeri relativi: M. 90,6 in più del numero relativo per le F.
Per < nessuna religione » : a) in numeri assoluti : M. 243.822 in più delle F.
b) in numeri relativi: M. 1498,4 in più'delle F.
Per « ebrèi » : a) in numeri assoluti : M. 1593 in più delle F.
bj in numeri relativi : M. 12,8 in più delle F.
Per i « cattolici » : a) in numeri assoluti: M. 941,558 in meno del corrispondente numero di F. bj in numeri relativi: M. 1985,1 in meno dèi corrispondente numero di F.
E interessante spingere i confronti ai risultanti del censimento del decennio precedente (1901).
(1) Per la sua eccentricità, ricordo il caso di un contadino discretamente colto che in un solitario paese del Molise, si proclama < greco-scismatico », per distinguersi dai cattolici : bel tipo di strano libero pensatore, che ha trovato nell'aggettivo « scismatico » - frutto di chi sa quale strana lettura — la migliore espressione per dare un nome al suo spirito.di opposizione riformistica all’affaristico e superstizioso ambiente cattolico in cui. vive. Un titolo in fondo sine re, con nessun rapporto con le dottrine, con il rito, con l'organizzazione delle chiese greche ortodosse. Scommetto che questo bizzarro contadino avrà firmato la sua scheda con tanto di greco-scismatico !
(2) Mancata dichiarazione, che è bene dirlo subito, non mi pare debba essere effetto di indifferenza, di deliberata astensione, ma nella maggior parte dei casi, di inintelligenza della scheda, di trascuratezza da parte dei commessi del censimento. In gran parte deve trattarsi di bambini, di donne, di analfabeti. L'esame di questa categoria ne potrà mettere in luce le cause.
(3) Cattolici di rito latino o romano, greco (colonie greche ed albanesi), armeno, ruteno, slavo, ecc.
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Per gli « evangelici » il numero dei maschi era in leggero aumento su quello delle femmine: a) in numeri assoluti: M. 3155 in più delle F.
¿7 in numeri relativi: M. 21,5 in più delle F.
Per « nessuna religione »: a) in numeri assoluti: M. 18.342 in più delle F.
òj in numeri assoluti: M. 114,1 in più delle F.
Il numero assoluto dei M. che dichiarono di appartenere a « nessuna religione » era tre volte superiore a quello delle F. che fecero ia medesima dichiarazione.
Per gii « ebrei » invece il numero dei M. risultò leggermente inferiore a quello delle F. E precisamente : a) in numeri assoluti: F. 499 in più dei M.
ÒJ in numeri relativi: F. 19 in più dei M.
Per i « cattolici » il numero dei maschi risultò non di molto inferiore a quello delle femmine. Infatti si ebbe un totale di 195.417 F. in più dei maschi, mentre la differenza fra la popolazione totale maschile e femminile era nel Regno di 164.983 F. in più dei maschi;
Come abbiamo visto sopra, la superiorità numerica delle F. nel grande gruppo «cattolico» — il gruppo «omnibus» — che nel 1901 era proporzionale alla superiorità della popolazione femminile, è salita nel censimento ultimo a quasi il doppio della differenza fra la popolazione totale maschile e femminile in Italia. Le perdite del cattp-licismo sono quindi dovute principalmente all’elemento più importante e più significativo di una nazione, cioè, all’elemento maschile. E quando si pensa che il cattolicismo romano in Italia come Chiesa può contare al più 7-8 milioni di membri comunicanti, cioè di persone che abbiano rapporti .religiosi costanti e seguano coscientemente le credenze e le pratiche cattoliche, non si può negare che il fenomeno statistico si rilevi ricco di significato.
Nei gruppi « evangelici » e « nessuna religione » la superiorità numerica dei maschi si mostra più accentuata che nel censimento anteriore del 1901, indice del fortificarsi del loro moto ascensionale. L’ « evangelismo » è fra noi principalmente religione di adulti: la sua professione dipende da conversione individuale, da profonda convinzione, spesso affermata in mezzo a difficoltà, a contrasti vivacissimi di ambiente e di famiglia. Il numero degli evangelici sarebbe riuscito più elevato se, come mi consta da fonte sicura, maggiore fosse stata la libertà lasciata ai sottoscrittori delle schede : difatti, in molti comuni, specialmente nell’ Italia meridionale, segretari comunali, commessi del Censimento, approfittando dell’acquiescenza della maggioranza delle popolazioni, dello analfabetismo, e delle lotte politiche locali, riempirono a capriccio le schede, rispondendo naturalmente « cattolico » al quesito sulla religione.
Se per gli evangelici, la professione religiosa affermata sulle singole schede ha un valore individuale — ad eccezione del forte gruppo delle vecchie comunità Valdesi nel Piemonte e delle vecchie famiglie evangeliche in cui la professione evangelica si trasmette come eredità di parecchie generazioni — ciò che ne aumenta il significato e l’importanza in rapporto al futuro, per la Categoria «nessuna religione» il grande numero di donne e di bambini, che a prima vista può sorprendere un osservatore superficiale, è facilmente spiegabile col fatto notissimo che è spesso il capo di famiglia che impone il suo punto di vista e l’allontanamento dalle pratiche della chiesa cattolica, fino ad aversi facilmente un’ irreligione di famiglia. I contrasti interni ed esterni, sono meno forti, perchè si tratta più di una posizione negativa ed astensionista, che non esce in genere dall’ambito famigliare, mentre l’evangelismo è una forte affermazione di credenze positive e di pratiche che trovano il loro naturale complemento nella creazione di comunità locali.
E’ evidente il rapporto in una stessa regione fra l’estendersi del socialismo marxista, sia nelle città che nelle campagne, e l’alta percentuale della categoria «nessuna religione».
« * *
I confronti diventano più interessanti se dal campo della popolazione totale, noi passiamo ad esaminare il fenomeno della religiosità italiana, dai dati del censimento
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RELIGIONE E RELIGIONI IN ITALIA SECONDO ¿'ULTIMO CENSIMENTO 173
del . 1911, secondo la sua distribuzione geografica per regioni o compartimenti e per province. Già ho accennato nel l’articolo precedente al singolare comportamento delle due sezioni più differenziate, pili caratteristiche, degli «evangelici» e della «nessuna religione». Riassumo qui ora, anche ad illustrazione delle cartine annesse, la distribuzione della popolazione «evangelica» e «nessuna religione» nelle varie regioni e provìncia d* Italia.
-Sempre dal punto di vista geografico-demografico è interessante studiare lo sviluppo delle curve corrispondenti ai valori numerici ascensionali degli individui appartenenti ai quattro gruppi distribuiti nelle 16 regioni o compartimenti dell’ Italia. Perchè il confronto riesca istruttivo è. opportuno prendere ad esame quella parte della popolazione che per l’età (dai 15 ai 65 anni) è veramente significativa per la nostra ricerca, perchè si deve supporre che abbia espresso, almeno nella grande maggioranza, personalmente 4 le proprie convinzioni o l’accettata uniformità all’ambiente.
Per la sezione « cattolici », è inutile riportare sia l’ordine crescente dei valori numerici, perchè non ci rivelerebbe nulla di nuovo, sia il numero dei cattolici in ciascuna regione, costituendo essi la maggioranza numerica, che è proporzionale al numero to--tale degli abitanti delle rispettive regioni. Sólo ricordo, per i confronti ulteriori, che i valori più alti della curva sono dati — in ordine crescente — dal Piemonte, Sicilia, Lombardia (i tre superiori ai 2 milioni di individui).
. Esaminando la curva degli « evangelici », troviamo che il valore più basso è dato dalla Sardegna (che del resto ha l’frt&e assai basso in tutti e tre i gruppi, perchè ha il più basso numero in popolazione totale rispetto alle altre regioni d’Italia) ed il più alto dal Piemonte.
Abbiamo così in ordine crescente :
1) da mille a 5 mila individui:
Sardegna - Umbria - Calabria ed Emilia (Ducati): uguali valori Marche - Basilicata Ro-magne - Abbruzzi e Molise - Veneto - Lazio.
2) da 5 mila a io mila :
Liguria - Campania - Toscana - Puglie.
3) sopra i io mila : '(i massimi valori), Lombardia • Sicilia - Piemonte.
Quanto alla cateria « nessuna religione » ; in ordine crescente di valori,, abbiamo :
1) da mille a 5 mila individui.:
Basilicata (3434) (x) - Calabria - Abbruzzi (2) e Molise - Sardegna (4979) (1).
2) da 5 mila a 30 mila individui:
Campania (7500) - Umbria (13.873) (3) - Lazio (19.490) - Marche (21.230) (4) - Sicilia (24.223) - Veneto (27.088) (5) - Puglie (28.060) (6).
(1) Data la rarefazione della popolazione in Basilicata (474.021 individui in tutto) e nella Sardegna (852.407) il fenomeno ¿.abbastanza notevole: infatti in alcuni centri agrari della Basilicata (Matera p. es.)Jl socialismo agrario ha forti radici e in Sardegna abbiamo il più alto nùmero di minatori dopo la Sicilia (rispettivamente circa 15 mila e 32 mila individui).
(2) In questa regione, il maggior numero si ha negli Abbruzzi; e notevole il numero nella sua provincia più^ricca ed industriosa, aperta com’è ai traffici, la provincia di Chieti. Il Molise, che geograficamente c storicamente non ha nulla a che fare con l’Abbfuzzo, di difficile accesso e privo di facili comunicazioni interne, con una popolazione in massima parte agricola, con una proprietà terrena frazionatissima, ad eccezione del latifondo nel Larinese, non ha dato un forte contributo alla categoria « nessuna religione >.
(3) Specialmente nei suoi centri industriali (Terni, ecc.). . x
(4) Assai diffuse nei centri cittadini le idee repubblicane, in lotta alle volte, ed altre volte fuse con quelle socialiste : nelle campagne invece prevale il più rigoroso e gretto tradizionalismo.
(5) Specialmente nelle terre del Basso Po, in provincia di Rovigo, dove è assai forte l’organizzazione socialista.
(6) Specialmente in provincia di Foggia, per influenza del socialismo nei grossi centri agrari.
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BILYCHNIS
3) da 30 mila a 100 mila individui:
Liguria (49.680) (1) - Piemonte (56.154) - Emilia : Ducali (Parma, Piacenza, Modena 65.194) (2). Toscana (84.023) (3).
4) Sopra i 100 mila individui:
Lombardia (¡03.856) • Romagne (1x5.146) (4).
I valori estremi sono dati dalla Basilicata (minimo) e dalle Romagne (massimo).
L’esame fatto per regioni riesce troppo generico ; per studiare le cause probabili e la migliore distribuzione delle variazioni etico-sociali nel campo religioso nell’ ultimo decennio (1901-1911), bisogna scendere alle unità in cui si scinde la regione, cioè nella provincia, nel circondario, nel comune. I dati forniti dalle pubblicazioni ufficiali non ci permettono di esaminare la distribuzione nei singoli comuni (5).
Mi basterà qui riferire, distribuite in gruppi, le cifre assolute in ordine crescente delle due sezioni della scala delle religioni : « evangelici » e « nessuna religione » nelle provincie d’Italia.
Evangelici.
1) al di sotto di 1000 individui;
Benevento (115) - Reggio C. - Sondrio - Belluno - Treviso - Piacenza - Grosseto - Siena -Massa Carrara - Arezzo - Ravenna - Vicenza • Udine - Rovigo - Ascoli Piceno - Modena - Bergamo - Teramo - Campobasso - Catania - Lucca • Ancona - Cuneo - Cagliari - Trapani - Macerata - Girgenti - Verona - Ferrara - Cosenza -Sassari - Livorno - Avellino - Reggio Emilia -Forli (961).
2) dai 1000 ai 2000 t
Bologna (1027) - Porto Maurizio - Mantova -Parma Lecce - Pisa - Reggio Calabria - Salerno - Venezia - Messina • Palermo - Brescia - Pesare ed Urbino - Aquila • Pavia - Como • Perugia -Cbicti - Caserta - Cremona (1962).
3) dai 2000 ai 5000;
Alessandria (2514) - Potenza (2641) - Novara (2905) - Siracusa ,3105) - Napoli (3199) - Foggia (3292) - Caltanisetta (3934) - Firenze (4152) -Roma (4625).
4) sopra i 5000:
Catania (5155) - Genova (5522). Milano (6863) - Bari tyVfi) - Torino (19.558).
« Nessuna religione ».
1) al di sotto di 5000 individui;
Benevento (465) • Campobasso - Catanzaro -Sondrio {7^y) - Bergamo - Avellino, - Cuneo -Chicli - Caserta - Teramo - Reggio Calabria -Belluno - Aquila - Palermo - Vicenza - Cosenza • Salerno - Ascoli P. - Treviso - Cagliari - Girgenti - Lecce - Macerata - Sassari • Napoli -Udine - Lucca Messina • Venezia - Arezzo -Porto Maurizio - Trapani - Potenza (4895).
2) dai 5 ài 20 mila ;
Padova (5743) - Siracusa - Como - Pesaro -Verona - Siena - Cremona - Catania (10.581) -Piacenza - Brescia - 'Massa Carrara - Ancona -Grosseto - Torino - Modena - Bari - Perugia (18.667).
3) dai 20 mila ài 40 mila :.
Alessandria’ .2X.775) - Foggia (21J872) - Pisa (21.897) - Forli (23.611) - Firenze (24.501) - Livorno (24.997) (6) - Roma 26.078) - Parma (26.647) - Pavia (28.977) • Ravenna (34.647) - Mantova (35.821) - Novàra (38.852).
4) sopra i 40 mila :
Milano (41.283) - Ferrara (42.480) • Reggio Emilia (43.720) - Bologna(59.5 24) - Genova (61.304)
(i) Numero assai alto rispetto alla sua popolazione (1.197.231) e alla sua superficie : è un paese altamente industriale: il maggior numero ¿ dato dalla provincia di Genova.
(2) Per influenza del socialismo nelle campagne; il maggior numero dalla prov. di Reggio Emilia.
(3) Principalmente nei distretti minerari, compresa l’isola d’Elba e i centri industriali nella provincia di Livorno. , (4) Nella Lombardia il maggior numero si ritrova sia ai centri industriali del Milanese e del Bresciano, sia nelle campagne del Mantovano (organizzazione socialista). Del resto si noti che nel Piemonte, Liguria, Lombardia, e per il Veneto occidentale un discreto contributo è dato dalla borghesia piu colta, come per tutte le grandi città delle altre regioni.
($) Sol® forniscono dati per i comuni capoluoghi di provincia e con più di 30000 abitanti.
’ (6) Compresa l’isola d’Elba.
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RELIGIONE E RELIGIONI IN ITALIA SECONDO L’ULTIMO CENSIMENTO 175
♦ ♦ ♦
Sempre dal punto di vista geografico-amministrativo, riesce interessante confrontare le due scale riportate sopra con le altre due che qui seguono, in cui l’ordine progressivo è riferito non in cifre assolute, ma in cifre relative, esprimenti la proporzione sia degli evangelici che dei dichiarantesi di «nessuna religione» (1). Ciò varrà ad illustrare le due cartine annesse e a fornire nuovi elementi per ulteriori confronti. Si noti come, riportato all’ uniforme composizione io millesimale, l’ordine riesce alquanto diverso.
Evangelici.
l) valori mìnimi (da 4,3 a 12,4).
Cuneo - Bergamo - Piacenza - Vicenza - Belluno - Udine - Treviso - Arezzo ■ Siena - Benevento,
2) da i2,$ a 37, 2.
a) da 12,5 a 20,6:
Cosenza - Catanzaro - Palermo - Trapani • Gir-gcnti - Cagliari - Lecce - Campobasso - Teramo - Ascoli - Ancona - Grosseto - Lucca - Ravenna - Bologna - Modena - Rovigo - Verona - Sondrio.
i) da 20,7 a 28,9:
Sassari - Messina - Reggio C. - Avellino - Napoli - Caserta - Perugia - Macerata - Venezia -Ferrara - Reggio E. - Brescia - Como - Pavia.
4 dà 28,9 a 37,2:
Salerno - Aquila - Roma - Pisa - Forli - Parma - Mantova - Alesssandria.
3) da 37.3 a fo.Sa) dà 37,3 a 45,5 : Firenze - Novara • Milano.
b) da 45,6 a 53,8 : Chieti - Pesaro - Genova. •
da 53,9 a 62,1 : Potenza - Livorno con l’isola d’Elba - Cremona.
d) da 62,2 a 70,5 : Siracusa - Catania - Foggia - Pòrto Maurizio.
4) valori più alti: da 102,9 a i6iti.
a) da 102,9 a 114,8: Caltanisetta - Bari.
b) 161.1: Torino.
« Nessuna religione ».
I) valori minimi (sotto 100).
Cagliari - Girgenti - Caltanisetta • Palermo -Messina - Reggio C. - Catanzaro - Cosenza - Lecce - Salerno - Avellino - Napoli - Caserta - Bene-vento - Campobasso - Chieti - Aquila - Teramo -Cuneo - Bergamo - Sondrio - Vicenza ■ Venezia -Treviso - Belluno ■ Udine,
2) da 101 a 500.
a) da 101 a 200:
Sassari - Trapani - Siracusa - Catania - Potenza - Bari - Roma - Ascoli - Macerata - Arezzo -Lucca - Torino - Como - Verona - Padova.
b) da 201 a 300:
Perugia - Firenze - Alessandria - Cremona -Milano - Brescia • Rovigo.
c) da 301 a 400:
Siena - Pesaro - Porto Maurizio.
d) da 40X a 500:
Foggia - Ancona - Modena - Piacenza.
e) da 501 a 600':
Massa - Genova - Pavia - Novara.
3) da 601 a 1029,
a) da 601 a 700 : Pisa.
¿) da 783 a 1029: Grosseto - Forlì - Bologna - Parma - Mantova.
4) valóri più alti. *
<j) da 1380 a 1409: Ravenna - Ferrara -Reggio E.
b) 1840: Livorno con l’isola d’Elba.
(1) Cioè la proporzione per 10.000 abitanti in ogni singola provincia; cifre che ci rivelano meglio il comportamento del fenomeno nella sua distribuzione locale, rispettivamente alla popolazione totale di Ogni provincia.
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Su ioo abitanti in ogni singola regione, quanti si sono dichiarati cattolici, quanti evangelici, quanti di non appartenere a « nessuna religione » ? Le cifre relative corrispondenti si illuminano meglio, rispecchiandoci le variazioni del fenomeno su di una scala più piccola (quella citata avanti e .che serve di base alla colorazione delle due tavole è al 10.000 e per provincie) (i). Riporto qui anche le percentuali dei cattolici perchè, sebbene non abbiano un valore diretto, ci forniscono un buon indice di carattere negativo per farci scorgere, o, meglio, per metter meglio in rilievo la distribuzione regionale delle maggiori o minori modificazióni nella struttura sociale, di cui il fenomeno religioso è il migliore indice. Evidentemente, là dove sarà più alta la percentuale dei cattolici, sarà minima quella delle due altre categorie. Così è ugualmente interessante, dove la percentuale dei cattolici è più bassa, esaminare a quale delle due altre categorie o se a tutte e due insieme sia dovuta la perdita.
I. — Per la religione cattolica :
a} massime percentuali (in ordine decrescente):
Veneto (98,10) - Abbruzzi e Molise (97,01).
b) percentuali più basse (in ordine crescente):
Romagne (85,64) - Ducati dell’Emilia (90,18) (a) - Liguria (91,88) - Toscana (93,31).
IL — Per gli evangelici:
a) più alte percentuali (in ordine decrescente):
Piemonte (0,75) - Puglie (0.63) - Basilicata (0,56).
b) più basse percentuali (in ordine crescente):
Veneto (0,13) - Sardegna (0,17) - Calabria (0,19) - Ducati dell’Emilia (0,21) - Romagne (0,22).
III. — Per « nessuna religione » ;
a) più alte percentuali (in ordine descrescente) :
Romagne (11,16) - Ducati dell’Emilia (7,88) - Liguria (5,51) - Toscana (4,32).
. J) percentuali più basse (in ordine crescente) :
Campobasso (0,30) - Calabrie (0,37)Abbrazzi e Molise (0,41) - Sardegna 0,75). .
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Sarebbe stato interessante ricercare il numero degli analfabeti nei due gruppi di «nessuna religione» e «evangelici» nelle diverse provincie e vedere in quale rapporto si trovano questi due movimenti con un maggiore o minore grado di istruzione. Purtroppo i dati forniti dalla Commissione del Censimento non ci danno luce alcuna su questo interessante problema; ma si può affermare senza tema di smentita che lo sviluppo dell’evangelismo, fondato su una conoscenza personale della Bibbia e sostenuto dalle opere di coltura a cui anche in Italia va unita la propaganda‘delle idee evangeliche, porta con se la lotta contro l’analfabetismo (3), e che il spcialismo— ad eccezione forse dei centri agrari dell’Italia meridionale — a^cui va attribuito in massima parte il numero della categoria «nessuna religione», presuppone e favorisce un certo grado di istruzione. La necessità stessa della propaganda delle idee e delia lotta contro il conservatorismo e l’inerzia tradizionale porta il socialismo e l’evangelismo a dare un largo sviluppo alla stampa sotto tutte le forme (opuscolo, giornale, rivista, foglio volante di propaganda e di polemica, avvisi, cartelli, illustrazioni, ecc.) e impone loro la formazione di una nuova coscienza che può consolidarsi e comunicarsi’, efficacemente e largamente solo attraverso la lettura.
(1) I dati di cui mi servo sono forniti dall’esame del prospetto LXXII del voi. VII del Censimento della popolazione del. Regno d’Italia al io giugno 1911).
(2) Parma, Piacena, Modena.
(3) Ricordo qui soltanto il grande ..merito che già ebbe, nel sorgere nel 500, il protestantesimo in tutti i paesi d’ Europa, compresa la nostra Italia, sullo sviluppo della coltura popolare attraverso la stampa, che fin. allora limitata ai dotti e ai ricchi, divenne il patrimonio dei poveri e degli umili.
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DISTRIBUZIONE TERRITORIALE DEGLI EVANGELICI E PROTESTANTI
(Censimento al 10 giugno 1911)
Proporzioni degli evangelici e protestanti per 10.000 abitanti
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DISTRIBUZIONE TERRITORIALE
DBOLI INDIVIDUI CHE DICHIARARONO DI NON APPARTENERE A NESSUNA RELIGIONE (Censimento al 10 giugno 1911)
Proporzioni per 10.000 abitanti
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RELIGIONE E RELIGIONI IN ITALIA SECONDO L’ULTIMO CENSIMENTO 177
La conoscenza del largo contributo alla coltura ed alla .stampa popolare portato dagli evangèlici e dai socialisti ih Italia costituirebbe per molti una magnifica rivelazione di una benefica attività per il miglioramento morale ed intellettuale del nostro popolo.
Un altro problema .: qual’è la proporzione dei vecchi (al dì sopra di 65 anni) rispetto alle altre due divisioni (0-15 anni e 15-65 anni) nelle due categorie di evangelici e di « nessuna religione » ? La ricerca è importante, perchè è noto quanto i vecchi sieno refrattari all’influenza delle nuove idee. Ma essa, per esser feconda di risultati, va associata ad altre ricerche che non possono trovar posto in questo studio.
Mancano dati statistici per i matrimoni misti, dati che non potrebbero riuscire in Italia, per ovvie ragioni, così interessanti come nei paesi pluriconfessionali, come l’Austria-Ungheria e la Germania. Molte perdite numeriche avvenute in un decennio (1901-1911) nella categoria degli israeliti vanno attribuite a questa causa.
Il Italia, poi, il matrimonio vien fatto in genere religiosamente secondo la Confessione religiosa della moglie; gli uomini in genere si mostrano indifferenti riguardo a questo argomento. L’influenza del clero cattolico sul delicato argomento del matrimonio, che,.per un deplorevole equivoco, crede di sua esclusiva competenza, è immensa: ben li pochi sanno le gravi imposizioni e le rinuncie che il Santo Offizio impone al coniuge j acattolico che si unisce ad un cattolico e che solo un poco sviluppato senso dell’indi- ! vìdualità religiósa può far tollerare.
Il dualismo in Italia fra il matrimonio religioso cattolico e il matrimonio civile, dualismo aumentato da un duplice equivoco storico e giuridico, da parte della Chiesa cattolica romana, rende praticamente impossibile il rilevamento statistico per la mancata precedenza del matrimonio civile. E’ vero che da qualche anno, in seguito ai gravi disordini morali provocati dal disconoscimento del matrimonio civile da parte dell’autorità ecclesiastica, dal parroco si richiede per lo più agli sposi la prova delle avvenute « pubblicazioni » sull’albo municipale, ma come una garanzia di carattere pratico, extra-ecclesiastico e che non modifica in pratica il giudizio della superiorità, - se non addirittura della esclusività, del matrimonio religioso cattolico su quello civile (1).
(1) Quanto diverso l’atteggiamento delle Chiese evangeliche italiane! Esse si sono uniformate alla legislazione italiana, sebbene, come è noto, in America e in Inghilterra non esistendo il dualismo nostro, il matrimonio ùnico venga per lo più celebrato dal ministro di culto, il quale agisce contemporaneamente da pubblico ufficiale. Cosi nella Liturgia della Chiesa Valdese (Firenze, Claudiana, voi. II, pag. 25 ss.) si legge: Dopo il canto di un inno... il ministro dice: « Siamo qui radunati nel cospetto di Dio per chiedere le sue benedizioni sopra questi sposi i quali, avendo contrailo il matrimonio secondo la iegSe’ s' presentano ora davanti al Signore per dichiarare di voler vivere da coniugi cristiani e per implorare da-Lui la grazia santificatrice ». E dopo una lunga istruzione sul matrimonio cristiano, dice agli sposi che staranno in piedi : « N. N. dichiari tu dinanzi a Dio, di aver preso per tua legittima .moglie N. N. qui presente, e prometti tu di voler vivere con lei nel santo stato del matrimonio; di volerla amare, aiutare e proteggere nella prospera e nell’avversa fortuna ; di serbarle inviolabile la fede... insomma di voler far tutto quello che si conviene ad un marito cristiano secondo i precetti della Parola di Dio? » Una simile domanda è rivolta alla sposa. Dopo che i coniugi hanno risposto affermativamente, il ministro aggiunge : « In conseguenza delle vostre solenni promesse, io confermo in presenza di questa assemblea cristiana il matrimonio che avete contratto dinansi alla legge ».
Per le Chiese Battiste, che non hanno una liturgia officiale, cito dal Manuale dèi ministri battisti (Torino 1915, pag."47 ss.). « Il Ministro deve anzitutto assicurarsi che i due coniugi si sieno sposati civilmente... ». ... Fatta la preghiera, dirà-: « Carissimi amici, fratelli, siamo qui riuniti insieme al cospetto di Dio per domandare le sue celesti benedizioni sul matrimonio di questi diletti amici ». E allora inviterà gli sposi a star in piedi e dirà: < N. N., tu che davanti allo Stato Civile hai preso questa donna per tua legittima sposa, vuoi tu amarla, confortarla,-onorarla e guardarla in tempi di avversità come in tempi di prosperità? Vuoi tu attenerti a lei fedelmente per tutto il tempo che ambedue vivrete? » La medesima domanda è rivolta alla sposa. « A questo punto i due sposi si congiungeranno le mani destre e il ministro, prendendole nelle sue, dirà: Ciò che Iddio ha congiunto l’uomo non separi ». Non cito per man canài di spazio la Liturgia^ delle Chiese Metodiste, perchè è simile a queste in questo punto, e dipende, più strettamente che le altre due citate, dalla Liturgia anglicana che conserva gran parte della vecchia Liturgia cattolica in uso nelle chiese inglesi nel 500.
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Se confrontiamo i valori della curva dell’evangelismo e della categoria « nessuna religione » rispetto alle varie regioni, si trova che essi non sono affatto paralleli alla rispettiva scala di grandezza della popolazione delle regioni: per gli «evangelici» è evidente che il loro numero nelle singole regioni non dipende dalla maggiore o minore densità della popolazione. Sicché per ciascuna regione nella scala dei valori dell’evangelismo vanno cercate le ragioni speciali — storiche, geografiche, economiche, culturali, ecc. — della sua posizione, ad eccezione del Piemonte che ha una chiesa evangelica indigena, la Valdese.
Mi basta ricordare come le cifre più alte nella scala regionale dell’ evangelismo sieno dati in ordine decrescente dal Piemonte, Sicilia, Lombardia, Puglie, e le cifre più basse, sempre in ordine decrescente, dall’Emilia (Ducati), Calabria, Umbria e Sardegna, mentre le cifre più alte nella scala regionale della popolazione totale rispettiva sono date dalla Lombardia (4.790.473), Sicilia (3.672.258), Veneto (3.527.360), Piemonte (3.424.450) e le più basse dalla Sardegna (852.407), Umbria (686.596), Basilicata (474.021). E’ chiaro però che là dove la popolazione è minore e meno densa — come nella Basilicata — la cifra degli evangelici assume un valore reale più alto che in una regione, dove pur essendo più alto il numero degli evangelici, è pure assai alto il numero a cui ascende la popolazione totale.
Un’altra osservazione: osservando attentamente l’annessa tavola della distribuzione territoriale degli individui della categoria « nessuna religione », potremo -dividere l’Italia in due parti, tagliando ai di sopra del Lazio e ne risulteranno ali’ingrosso due mondi, i cui valori espressi in numeri proporzionali, subiscono un forte sbalzo passando dalla porzione Nord a quella Sud: il fenomen’o della «nessuna religione» è principalmente un fenomeno localizzato nell’Italia settentrionale. L’Italia meridionale con buona porzione dell’Italia centrale n’è quasi immune.. Caratteristica al nord è la grande oasi refrattaria del Veneto, per cui si riconnette all’Italia meridionale, oasi che ritroviamo anche nella tavola della distribuzione degli evangelici, i quali all’opposto della categoria « nessuna religione » sono distribuiti in massima parte nel Sud sì da apparire a ragione un fenomeno di sviluppo dell’Italia meridionale.
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E’ molto difficile determinare iik.quaie,rapporto sia l’ emigrazione (1) con lo sviluppo delle idee socialiste e col movimento evangelico. Sul movimento socialista (che in gran parte, come abbiamo visto, ha contribuito all’aumento del -gruppo «nessuna religione ») come sul movimento evangelico si assommano le influenze di una propaganda indigina e le influenze a cui soggiace l’emigrante.
Per il socialismo più o meno marxista, più o meno anarchico, l’influenza dell’elemento emigratorio viene sia dagli Stati Uniti che dall’emigrazione temporanea nell’Europa settentrionale. Ma, come per ^evangelismo, il numero degli emigrati che ritornano in Italia con le nuove idee è sempre piccolo in confronto della gran massa emigrante, troppo ignorante, troppo preoccupata nella dura lotta quotidiana per raggranellare del danaro per costituirsi un capitale con cui acquistarsi una terra nel suolo natio, troppo poco in contatto con il mondo così diverso in cui viene a vivere perchè ne pòssa essere profondamente influenzata. Per l’evangelismo l’influenza per l’emigrazione viene
(1) E questa, solo per l’America del Nord (Stati Uniti). L’influenza delle idee religiose e politiche sui nostri emigrati nell'America latina è- minima. L’ambiente è troppo vicino, per civiltà e struttura sociale, a quello di gran parte dell’Italia meridionale perché possa avere un’influenza decisiva sullo spirito e sulla vita del nostro emigrato. Del resto, la nostra principale corrente emigratoria transoceanica si dirige principalmente verso l’America del Nord (46,78 per 100 emigranti, nel 1913, su 16,89 emigranti nell’America meridionale).
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RELIGIONE E RELIGIONI IN ITALIA SECONDO L’ULTIMO CENSIMENTO 179
principalmente dagli Stati Uniti. Ma mentre spesso il contadino, il bracciante emigrato che torna al paese nativo con idee e sentimenti socialisti, può trovare nelle condizioni locali, nel malcontento generale contro un vecchio ed intollerabile sistema economico, nella facilità della propaganda socialista il modo di affermare le sue idee e di associarsi ad altri, il contadino invece che torna con una nuova e superiore coscienza religiosa in un ambiente, che come l’Italia meridionale, è imbevuto di una religiosità a tipo magico, superstizioso e festaiola, finisce per un singolare mimetismo ambientale, a praticare i riti della vecchia chiesa cattolica, sebbene il suo cuore e la sua intelligenza ne sieno assenti. Ciò che conferma come il cattolicismo romano in gran parte dell’ Italia abbia cessato di essere una Chiesa viva e vivificante per divenire un insieme di vincoli e di tabù sbciali. Nè va dimenticato il forte contrasto fra gli uomici che tornano dirozzati, con nuove idee e le loro donne restate nel paese nativo, contrasto che si muta spesso in una resistenza a volte sorda a volte vivace, e l’influenza del clero locale, che teme giustamente in ogni novità la perdita dei suoi abusivi privilegi e della sua influenza economica e politica su di una massa ignorante e superstiziosa. Ma dove s’incontrano pochi uomini energici e dalle profonde convinzioni, la trasformazione dell’ ambiente, attraverso le libere e democratiche forme dell’evangelismo americano, si opera rapidamente e con efficacia, irradiandosi presto dal puro campo religioso a quello della coltura, della vita economica e politica. Vorrei qui poter citare, con cifre esatte, il numero straordinario di emigrati che venuti a contatto delle opere di educazione e di istruzione a cui non vanno mài dissociate le opere ecclesiastiche nel mondo evangelico, sulle pagine della vecchia Bibbia del Diodati hanno imparato a leggere, a pensare, a divenire pienamente uomini. Molti di essi dalle classiche pagine del Libro'divino ebbero l’impulso a studiare di più, a dedicarsi all’istruzione e all’educazione dei lóro abbandonati connazionali. E attraverso difficoltà d’ogni genere, essi sono divenuti maestri, evangelisti e pastori nell’America del Nord. Io spero che presto, per assecondare un invito dall’alto, sieno raccolte in gran numero, per opera dei pastori e dei fratelli evangelici italiani, le lettere piene di forza, di fede, di entusiasmo, attinte dal duplice amore verso la patria e le realtà supreme della fede cristiana, scritte con l’assimilato e potente linguaggio biblico, da migliaia di poveri contadini evangelici soldati al fronte. Son certo che susciterebbe quella sorpresa mista a profonda ammirazione per la quale garrès, l’accademico nonché tradizionalista scrittore francese, in un recènte numero dell’ Echo de Paris, poteva scrivere un articolo pieno di entusiasmo per tutti quei numerosi soldati protestanti francesi che scrivevano dalle trincee lettere così altamente spirituali e •patriottiche, come non sapevano scriverle i loro camerati cattolici. « Avvisiamo, ascoltiamo e procuriamo di cogliere le belle sfumature profonde che distinguono l’alta vita spirituale al campo dei protestanti in guerra... Impariamo a conoscerli meglio per mézzo dell’amicizia e dell’ammirazione questi protestanti, per l’ispirazione di simili atti e tante grida sublimi ! ».
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Come abbiamo, visto, il numero- degli .evangelici io Italia nel decennio 1901.-1^11 è quasi raddoppiato, salendo da 65.595 a I23-253- Nell’ultimo Censimento, per accordi presi, i membri delle varié denominazioni rinunciarono in gran parte alla dichiarazione particolare della loro Chiesa per attenersi all’indicazione comune di « evangelici ». Molti .preferirono a questa indicazione l’altra meno significativa e più impropria di « protestanti». Ma. il numero degli evangelici, come risulta dai rapporti annuali delle varie Denominazioni evangeliche in Italia, è in continuo aumento, e parecchie provincie nel nuovo censimento saliranno certamente nella scala della distribuzione territoriale. Mancano statistiche esatte e pubbliche delle diverse. Denominazioni; quindi non è possibile tentare una distribuzione del numero complessivo degli evangelici secondo le Denominazioni a cui appartengono. Ho solo, sotto gli occhi, le cifre ufficiali della Chiesa Vai-
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dese.pubblicate nel 1915 e che rappresentano all’ingresso il numero probabile dei Valdesi nel 1911. Così: nelle 17 parrocchie valdesi, compresa quella di Torino, distribuite nel Piemonte si contavano 12.800 membri .comunicanti ; è nelle 82 chiese dell’evangelizzazione diffuse per il resto d’Italia 5825 membri, un totale, cioè, di 18.625 individui. Per il censimento del 1901 non ho che le cifre riprodotte nel The Statesman’s Year-Book per il 1913, che non m’è possibile in questi giorni riscontrare sulle fonti officiali, distribuite in una strana classificazione: 25.500 alle Chiese Valdesi, 10.000 ad altre chiese italiane (quali?): 30.000 a corpi (sic) protestanti italiani.
Più interessante è la statistica pubblicata negli Annali di statìstica(Serie III, voi. 7®, pag. 249) che riguarda i risultati del Censimento del. 1881.
ir.641 Valdesi (nelle Valli piemontesi. 210 Membri della «Southern Baptist Convention
3.225 » nel resto d’Italia. U. S. A. ».
1.250 Membri della Chiesa cristiana libera. 293 Membri della « Open Baptist Communion ».
1.780 > > » Italiana '» 16 Battisti..
1.428 Wesleyana. 128 » cristiani ed apostolici.
748 Metodisti Episcopali. 190 » evangelici italo-inglesi.
, 30 evangelici indipendenti.
In tutto 20.936 evangelici italiani a cui bisogna aggiungere il numero non trascurabile di 30.000 evangelici stranieri, di cui 22.000 avevano stabile dimora in Italia. In un trentennio le cose e le proporzioni si sono profondamente mutate: il numero degli evangelici stranieri è disceso da 30 mila ad appena 16.875 nel 1911, cioè, fino a costituire una piccola frazione di fronte ai 107 mila evangelici italiani; le varie denominazioni si sono italianizzate e fuse in corpi omogenei e solidi e han man mano superato il punto di vista strettamente denomi nazionale, fino ad una feconda collaborazione, che è il segno di una matura coscienza del compito dell’evangelismo in Italia.
Mario Rossi.
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MANCANZE DI GARANZIE NELLO “SCHEMA” E NEL NUOVO CODICE DI DIRITTO CANONICO
INTRODUZIONE E SAGGIO SU LE FONTI DEL. NUOVO CODICE.
lettori ricorderanno come subito dopo la visita di Wilson al Pontefice e al Cardinale Gasparri, questi inviò in dono al Presidente degli Stati Uniti due copie, splendidamente rilegate, del nuovo Codice di Diritto canonico. La singolare novità del regalo dovette un po’ sorprendere lo stesso Wilson ; ma niènte, meglio di esso, poteva rivelare tutta l’importanza che il Segretario di stato annette a questo Codice compiuto, si dice, in massima parte da lui, che vi avrebbe prodigato lunghi anni di fatiche e tesori di esperienza e di scienza, sì che il suo, più che un dono del vaticano,
fu considerato come un omaggio d’autóre.Io non saprei precisare sino a qual punto questo lavoro di codificazione sia opera sua, nè m’interessa di saperlo. Certo che, progettato e voluto da Pio X col celebre Motu Proprio del 19 marzo 1904, esso si dovette presentare come un’ impresa sommamente difficile, poiché la legislazione ecclesiastica era ridotta, come è noto, a un vero caos, e tante erano le opere in cui si trovava dispersa, che da se sole avrebbero potuto formare un’enorme biblioteca. Nessuna meraviglia perciò quando si seppe che aveva assorbito l’attività di parecchie Commissioni cardinalizie, di innumerevoli consultori, degli Ordinarli di tutto il mondo, delle Università cattoliche, Che, in una parola, vi avevano posto mano e cielo e terra. Nessuna meraviglia che per portarlo a compimento avesse richiesto quattordici anni di costante lavoro. Non aveva, del rèsto, già avvertito lo stesso Pio. X che si trattava di un compito arduo e faticosissimo, arduum gravissimumque opus?
Senonchè. sembra che le cose siano andate un po’ diversamente. Dovendo scrivere verso il marzo 1917 un breve studio su le « Mancanze di garanzie nel diritto canonico vigente > pensai di servirmi del nuovo Codice, del quale era annunciata in modo sicurissimo la prossima comparsa. Cercai, e fortunatamente potei averne un esemplare. Non era la copia definitiva, bensì lo « Schema » Che « sub secreto pontificio » veniva mandato agli Ordinarli perchè lo esaminassero e suggerissero le opportune modificazioni, di cui si sarebbe tenuto eventualmente conto nell’edizione definitiva. Ma benché non fosse la redazione destinata al pubblico, non era nemmeno un semplice abbozzo o un disegno primordiale di légge, perchè alcune parti, come il Decreto Maxima Cura, erano già in vigore, da anni, e perchè si presentava anche esternamente nella forma di un lavoro compiuto, pronto per la pubblicazione, di guisa Che non avrebbe potuto subire che pochi ritócchi.
Ma scorsi i primi canoni, ebbi subito l’ impressione di averli letti altrove ed espressi con le stesse parole. Avevo acquistato da poco il libro di Franz Heiner, De processu criminali ecclesiastico (traduz. latina di A. Wynen, Roma, Pustet) ; lo apro e vedo che delle pagine intere erano state tolte di peso dall’opera del prelato tedesco. Nemmeno
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la punteggiatura, in molti passi, era stata mutata. Lo stesso lavoro di imitazione, pensai, deve essere stato fatto per la parte che riguarda la procedura civile e che l’Heiner tratta in un volume a se : Der Kirchliche Zivilprozess (Colonia, Bachem, 1910). Riesco, dopo molte ricerche, a trovarne una copia e, fatto un confronto, osservo che la derivazione è assai più ampia, e sul testo originale tedesco appare anche più perspicua (1). Non esagero* affermando che tre quarti circa del Libro de Judiciis (2) sono stati riprodotti interamente e spessissimo letteralmente da questi due manuali del canonista tedesco.
Non griderò per questo d’aver scoperto l’America, ben sapendo non esservi nulla di strano che in lavori del genere si profitti di quelli già fatti, specie se son fatti bene però non sarebbe stato male confessarlo, se non altro, per rispetto dei diritti altrui e per dovere di correttezza letteraria. Diritti consimili ben se li è riservati (e a ragione, del resto) lo stesso Card. Gasparri, che già nello Schema annunciava di rivendicarsi « proprietatem adnotationum et, si qua dederit, commentariorum ». Curioso è poi anche che l’Heiner non è mai stato chiamato in nessuna Commissione, e mentre nella Prefazione al Codice si citano tanti collaboratori, il suo nome è passato assolutamente sotto silenzio.
La sua procedura civile porta la data del 1910; il testo originale di quella penale che, come dissi, non mi riuscì di trovare, deve essere apparsa poco dopo perchè l’autore nella prefazione al Kirchliche Zivilprozess, la promette per l’autunno di quello stesso anno» Egli assicura che le sue opere sono il risultato di studii, di ricerche, di esperienze personali (è uditore di Rota) e ci dice che si è accinto a scriverle per fornire 1 giovani di manuali essenzialmente pratici, che finora mancavano e di cui si sentiva il bisogno. E appunto per tale loro indole pratica, dichiara di omettere ogni citazione di fonti, che reputa superflua. Io non ho ragione di mettere in dubbio che questi due manuali non siano il frutto delle sue fatiche; ma quand’anche ciò non fosse, vorrebbe dire, tutt’al più, che ci sarebbe stata una fonte comune da cui avrebbero attinto (e non solo attinto!) tanto l’Heiner quanto i compilatori del Codice. Ma se poi questa fonte ci sia e quale sia, è una questione che a me non interessa gran che. Questo intanto è certo e importante: che i libri dell’Heiner sono anteriori di anni.
Scrissi dunque il mio studio su la mancanza di garanzie nel diritto canonico servendomi dello Schema. Ma pochi mesi dopo che l’avevo finito, ecco apparire negli ^cta Aposlolicae Sedis l’edizione autentica del Codice, ove noto subito che le modificazioni introdotte, sia di sostanza che di forma, sono maggiori di quel che mi aspettavo. Mi sembrò anzi, di primo acchito, che dell’Heiner non ci fosse più traccia. Parecchi canoni, infatti, erano stati soppressi/ altri riassunti, altri più o meno trasformati; ma guardando meglio, pur con tutte quelle variazioni, l’impronta dei due libri tedeschi era ed è ancora visibilissima.
Anche i cambiamenti di sostanza sono spesso più.apparenti che reali; ad ogni modo, poiché il lavoro l’avevo già fatto e lo Schema in commercio non c’è, ho pensato bene di lasciarlo tale e quale, mettendo in nota tutto ciò che di nuovo e di diverso nell’edizione autentica del Codice è stato inserito. E* un confronto che, come si vedrà nei prossimi fascicoli non è privo di interesse.
Ecco intanto il saggio su le fonti, saggio che mi è avvenuto di fare quasi per
(1) Della procedura penale dell’H. l'edizione tedesca non potei averla. Poiché gli autori del Codice ne hanno avuto certamente sott’occhio l’originale, è chiaro che un raffronto tra il loro lavoro e la traduzione del Wynen, come ho dovuto fare io, non può riuscire così evidente e diretto come quello diretto tra il Codice e l’edizione tedesca. Ho la riprova, del resto,, in alcune norme giuridiche che trovo m ambedue le procedure dell’#. Parecchi canoni dello Schema e del Codice messi a confronto con la versione del Wynen rivelano, sì, la loro diretta dipendenza da questa; ma posti a fianco dell’originale tedesco, si vede subito che ne sono la traduzione letterale.
(2) Naturalmente, non tengo conto di quelle parti che si riferiscono alle cause di beatificazione, di canonizzazione, alle cause matrimoniali è alla sacra ordinazióne che, non entrando ne! mio tema, non ho esaminate. -
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MANCANZE DI GARANZIE NELLO « SCHEMA » ECC.
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caso mentre attendevo al lavoro in parola, e che non mi è parso inopportuno premettere a guisa di introduzione.
Perchè il lettore possa aver la prova sott’ occhio di quanto ho asserito, riprodurrò qui, su tre colonne, il testo dello Schema, (di cui seguirò l’ordine), dell’ Heiner e del Codice. I canoni dello Schema serviranno a far vedere non solo la redazione primitiva, ma anche i varii e successivi mutamenti di forma e di contenuto. Le parti dell’ Heiner in corsivo sono quelle riprodotte nello Schema e spessissimo anche nel Codice.
SCHEMA
§ i. Cum valde optandum sit ut lites inter fidèles evitentur, iudex, controversia sibi proposita iudicii forma dirimenda, curabit litem per transactionem componete, si spes aliqua affiilgeat conçordiae.
§ a. Huic officio iudex satisfacere potent sive antequam partes in iudicium evocentur, sive cum primum iudicio se sisterint sive denique quocumque tempore et efficacius et opportunius id tentari pòsse existimaverit.
§ 3. Convenit autem dignitati iudican-tis ne ipse per se, de régula saltern, hoc negotium suscipiat tractandum, sed ut illud alicui sacerdoti, praesertim ex iu-dicibus synodalibus, committal... (Can. 6).
In compromisse in arbitres et in transazione serventur normae statutae a legibus civilibus loci in quo compromissum aut transactio execution! mandatur, nisi iuri divino vel ecclesiastico adversetur (Can. 7).
§ i. Attamen ob primatum Romani Pontificis integrum est cuilibet fideli in toto orbe catholico causam suam sive contentiosam sive criminalem in quovis iudicii gradu, et in quovis litis statu co-gnoscendam ad eum deferre.
§ 2. Recursus ad Sedem Apostolicam interpositus non suspendit exercitium iurisdictionis in iudice qui causam iam cognoscerecoepit: quique idcirco potent, imo, si casus, ferat, etiam debebit iudicium peragere et prosequi usque dum feratur definitive sententia, nisi ex certis documents sibi constiterit Sedem ApoHEINER
... iudex, sieiproponitur causa quae-dam civiliter tractanda..... modo adsit aliqua spes, controversiam extraiudicia-liter seu compositione amicabili posse dirirni, omnia moliri et tentare debet, ut partes... ad vitandos .processus rem suam transactione componant (pag. 33).
Conatum ad tales controversias per transactionem amicabilem componcndas potest vel debet iudex adhibere vel ante citationem partis accusatae, vel imme-diate post citationem, cum primum partes iudicio se sisterint, vel etiam postea in quocumque litis statu, in illo nempe, quem censet omnium maxime opportunum et idoneum (pag. 35).
Praeterea minus opportunum videtur, quod ipse iudex personaliter de conct-liatione tractet, sed consultius est, istud negotium commtttere alicui assessori... (pag- 34)... consulendum est ut observentur formalitates, ex legibus civilibus loco-rum in transactionibus... dummodoistae formalitates non pugnent cum iure di-vino aut ecclesiastico (pag. 35).
Wenn auch alle dem Apostolischen Stuhle nicht speziell reservierten Rechtssachen der Gerichtsbarkeit des Bischofs unterstellt sind, so kann doch, weil der Papst infolge seines Primates der oberste Richter über die gante Kirche ist, jeder Gläubige in allen strittigen Fällen in jedem Stadium des Prozesses und in jedem Augenblicke des Rechtsstreites sich an diesen wenden, damit seine Sache von ihm bezw. durch seine Gerichte entschieden werde.
Indes suspendiert ein solcher Rekurs nicht die Portsetzung der Ausübung der bischöflichen Gewalt,... Deshalb kann... das bischöfliche Gericht die Verhandlung bis zur Pallung des Urteils einschliessich forselzen, es sei denn, das der Papst die Wetterführung des Prozesses ausdrücklich untersagt und tatsächlich die Sache
CODEX
§ 1. Cuin valde optandum sit ut lites ihter fideles evitentur, iudex exhortatio-nes adhibeat, ut cum aliqua cöntentiosa controversia quae privatum eorum bonum respiciat, ei proponitur iudicii forma dirimenda, per transactionem, si qua con-cordiae spes affulgeat, lis componatur.
§ 2. Huic officio iudex satisfacere potent sive antequam partes in iudicium vocentur, sive cum primum iudicio ste-terint, sive denique quocumque tempore et efficacius et opportunius id tentari posse existimaverit.
§ 3. Convenit tamen dignitati iudican- . tis ne ipse per se, regulariter saltem,'&* hoc negotium suscipiat tractandum, sed utillud alicui sacerdoti, praesertim exiudi-cibus synodalibus, commi ttat(Can. 1925).
In transactione serventur normae statutae a legibus civilibus loci in quo transactio initur, nisi iuri divino vel ecclesiastico adversentur (1926);
§ 1. Ob primatum Romani Pontificis integrum est cuilibet fideli in toto orbe catholico causam suam sive contentiosam sive criminalem, in quovis iudicii gradu et in quovis litis statu, cognoscendam ad Sanctam Sedem deferre vel apud eandem introducere.
§ 2. Recursus 'tamen ad Sedem Apostolicam intérpositus non suspendit, exclus© casu appellations, exercitium iurisdictionis in iudice qui causam cognoscere coepit; quique idcirco poterit iudicium prosequi usque ad definitivam sêntentiam nisi constiterit Sedêm Apostolicam causam ad se advocasse (Can. 1569).
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stolicam actorum processualium prose-cutioncm interdixissc et causam ad se advocasse (Can. 15).
§ I. Ratione domicilii in paroccia aut in dioecesi quilibct conveniri potest coram Ordinario loci domicilii sui (Can. 18).
§ 1. Qui peregrinus est in Urbe, licet per breve tempus, potent in ipsa tam-quam in proprio domicilio citari; sed ius habet revocandi domum, idest pe-tendi ut ad proprium Ordinarium remit-tatur.
§ 2. Qui vero annum integrum Romae commoratus sit, et adhuc in Urbe ver-setur, ius habet declinandi forum Ordi-narii et instandi ut coram Urbis tribuna-libus citetur (Can. 19).
Vagus proprium ¿»rum habet in loco ubi actu commoratur; religiosus in loco monasteri! sui (Can. 2x).
k§ I. Ratione contractus pars convert potest coram Ordinario loci in quo contractus initus est vel adimpleri debet.
§ 2. In actu autem contractus per-mictitur contrahentibus, obligationis de-clarandae, urgendae vel implendae gratia, locum eligere, in quo etiam absentes, etsi inviti, citari et convenir! possint (Can. 24).
§ 2. Quod si iudex se incompetentem declaret, pars quae se gravatam reputat, potest intra decern dierum spatium re-cursum ad superius tribunal interponere, quod quidem, auditi s partibus et promotore iustitiae, expeditissimo iudicio rem definièt (Can. 31).
§ 1. Si inter duos pluresve indices controversia oriatur quin am eorum ad aliquod negotium competens sit, res de-finienda est a tribunali immediate superiore (Can. 32).
§ 2. Ordinari! autem est in locum iudicum qui ut suspecti declarati sunt, alios a suspicione immunes subrogare (Can. 34).
§ 1. In unaquaque dioecesi et pro omnibus causis a iure expresse non exvor seinen Richterstuhl gezogen hätte (P®g- «2).
Titulus Ordinarius, ex quo iudex in aliquam personam fit competens, est titulus'domicilii; ex quo proinde quili-bet apud Ordinarium loci conveniripofest (pag. ’ 6).
Fremde, welche sich in Rom auch nur kurze Zeit auf halten, könnens hier wie an ihrem eigentlichen Wohnsitze geladen werden; jedoch haben sie das Recht, sich auf ihren Wohnsitz zu berufen, d. h. es ist ihnen auf ihre Bitte hin gestattet, in ihre Heimat und ihre. Sache dort vom Ortsordinarius entscheiden zu lassen.
Wer ein ganzes Jahr hindurch in Rom gewohnt hat und sich weiter das elbst auf hält, kann seinen eigenen Ordinarius ablehnen und verlangen, dass er vor die Gerichte Roms, geladen wird (pag- MlVagi ibi forum suum sortiuntur ubi commorantur (pag. 7), Ordensleute am Ort ihres Klosters (pag. 14).
... auf Grund eines Vertrags kann eine Person belangt werden vor demjenigen Ortsordinarius, in dessen Diözese der Vertrag geschlossen ist oder erfüllt werden muss.
Es fleht aber den Kontrahenten frei, bei Abschluss des Vertrags den Ort für die Ausführung oder Erfüllung des Uebereinkommes zu bestimmen, wo dann auch die Abwesenden und die Widerstrebenden belangt und geladen werden können (pag. 15).
Erklärt sich aber der Richter bezw. das Gericht für unzuständig, so kann die Partei, die sich dadurch beschwert fühlt, innerhalb der gesetzlichen Frist -von zehn Tagen Rekurs an das höhere Gericht einlegen (pag. 17).
Entsteht ein Zweifel oder Streit, wer von zwei oder mehreren Richtern zuständig sei, so hat darüber das zunächst höhere Gericht zu erkennen (pag. 17).
In locum iudicis vel iudicum qui suspecti declarati sunt, Ordinario loci alios subrogare debet (pag. 9).
In quavis dioecesi et in Omnibus ca-sibus a iure non exceptis Episcopus...
§ x. Ratione domicilii vel quasi-domicilii quilibet conveniri potest coram Ordinario loci (Can. 156X).
§ i. Qui peregrinus est in Urbe, licet per breve tempus, potest in ipsa tam-quam in proprio domicilio citari ; sed ius habet revocandi domum, idest pe-tendi ut ad proprium Ordinarium remit-tatur.
§ 2. Qui in Urbe ab anno commoratur, ius habet declinandi forum Ordinarli et instandi ut coram Urbis tribu-nalibus citetur (Can. 1562).
Vagus proprium forum habet in loco ubi actu commoratur; religiosus in loco domus suae (Can. 1563)*.
§ 1. Ratione contractus pars conveniri potest coram Ordinario loci in quo contractus initus, est vel adimpleri debet.
§ 2. In actu antem contractus per-mittitur contrahentibus, obligationis de-clarandae, urgendae vel iiriplendae gratia, locum eligere, in quo etiam absentes citari et conveniri possint (1565).
§ 2. Quod si iudex se incompetentem dcclaret, pars quae se gravatam repiitat, potest intra decern dierum spatium ap-pellationem ad superius tribunal interponere (Can. 1610).
§ i. Si inter duos pluresve iudices controversia oriatur quisnam eorum ad aliquod negotium competens sit, res de-finienda est a tribunali immediate superiore (Can. 16x2).
§ 2. Ordinari! autem est in locum iudicum qui suspecti ■ declarati sunt, alios a suspicione immunes subrogare (Can. 16x5).
§ 1. In unaquaque dioecesi et pro omnibus causis a iure expresse non ex-
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ceptis iudex primae instantiae est loci Ordinarius, qui iudiciariam potestatem exercere potest ipse per se, si gravis causa id exigat, sin minus per alios... (Can. 38).
§ 2. Officialis unum constituit tribunal cum Praelato loci Ordinario: sed vi mandati generalis quod ex ipso munere obtinet, nequit indicare causas quas Praelatus sibi, aut ius Praelato reservet
§ 3. Officiali dari possunt adiutores, quibus nomen crit vice-officialium (Can. 39)
§ x. Tribunal collegiale collegialiter procedere debet, et secundum maiorita* tem votorum decreta edere et sententias ferie.
§ 2. Eidem praeesse sèmper debet officialis vel vice-officialis, nisi. Praelatus loci Ordinarius praesit ipse: quod qui-dem lacere semper ei licebit, csclusis tantumnodo causis quae bona temporalia ipsius Ordinari! vel eius mensae aut ca-thedralis ecclesiae respiciunt.
§ 3. Praesidis est processum dirigere, et decernere quae pro iustitiae admini-stratione in causa quae agitur necessaria aunt (Can. 44).
Auditores assumendi sunt ex iudicibus synodalibus vel prosynodalibus (Can. 47).
Eorum (i. e. Audi tonimi est testes citare et audire, aliaque acta processualia instruere vel in totum, citra tamen sen-tentiam definì ti vani, vel ex parte', iuxta tenorem mandati (Can. 48).
Auditor in quovis litis momento ab officio removeri potest ab eo qui eundem elegit, iusta tamen de causa... (Can. 49).
§ i. Tribunalis collegialis Praeses debet unum de iudicibus collegi! Ponentem seu Relatorem designare qui in consi lio iudicum de causa referai et sententiam in scriptis redigat... (Can. 50).
Ordinari! est promotorem iustitiae eli-gere, qui sit sacerdos integrae famae, in iure canonico peritus, et quoad eius fieri potest, laurea dottorali aliove equivalenti titulo in hac facúltate insignitus, ac prudenza et iustitiae zelo probatus... (Can. 53).
utpote Ordinarius loci est 'iudex Ordinarius primae instantiae. Is vero pote statem iudicialem exercet aut per sc, aut per alios... (pag. 12).
Dieses Gericht des Offizials... bildet ein und dasselbe Gericht mit dem Bischöfe. Indes kann der Offizial auf Grund seines Generalmandats, das er mit der Uebertragung seines Amtes von selbst erhält, nicht jene Rechtsfälle be-handeln, welche... (der Bischof) sich ausdrücklich reserviert hat (pag. 20).
Officialiadiungi potest aliquisadiutor, nomine Vice-officialis (pag. 13).
ludidum collegiale semper collegialiter Procedere debet; decisiones fert et sententias dicitper vota maiora (pag. 15).
Dabei führt der" Offizial bezw. Vizeoffizial als erster Richter den Vorsitz, falls nicht der Bischof selbst präsidiert, was ihm natürlich immer erlaubt ist* es sei derfn, es handele sich um seine eigenen zeitlichen Angelegenheiten (pagina 23).
Praesidis est totum /rorrííww moderad, neenon ea omnia praecipere quae... ad iustitiam in tuto collocandam neces-saria aut utilia esse videantur (pag. 15).
Instructores causa rum... desumamtur ex ecclesiasticis iudicibus synodalibus vel prosynodalibus (pag. 17).
Officium instructoris causae, seu iu-dicis instructoris, in eo consistit, ut testes citentuf et examinentur aliique, praeter sententiam definitivam, actus perficiantur, sive omnes, sive aliqui, prout tn mandato exprimitur[pzg. 17).
Letzteres kann in jedem Augenblick oder Stadium des Rechtsstreites seitens desjenigen, der es ausgestellt hat, widerrufen oder zurückgezogen werden; jedoch darf dies nicht ohne gerechten Grund und ohne Beschädigung der Parteien geschehen (pag. 25).
Ebenso muss der Vorsitzende eines Kollegialgerichtes aus dem Richterkolleg einen zum Ponenten oder Referenten bestimmen, der sein Referat schriftlich anfertigt (pag. 25).
Piomotor iustitiae constituitur ab Episcopo. Pörro necesse est, ut sit sacerdos honestas vitae et fama excellens, cautus et prudens, ut sit propicgnator iustitiae atque doctoratum vel iicentiatum in iure canónico obtinuerit (pag. 17).
ceptis, iudex primae instantiae est Loci Ordinarius, qui iudiciariam potestatem exercere potest ipse per se, vel per alios... (Can. 1572).
§ 2. Officialis unum constituit tribunal cum Episcopo loci ; sed nequit iudicare causas quas Episcopus sibi reser-vat (Can. 1573).
§ 3. Officiali dari possunt adiutores, quibus nomen est vice-Officialiumi Can. 1573),
§ 1. Tribunal collegiale collegialiter procedere debet, et ad maiorem suffira-giorum partent sententias ferre.
§ 2. Eidem praeest officialis vel vice-officialis (Can. 1577, § 2). Si vero agatur de iuribus aut bonis temporalibus Episcopi aut mensae vel curiae dioecesa-nae... (Can. 1572).
... cuius est processum dirigere, et decernere quae pro iustitiae administra-tione in causa quae agitur necessaria sunt (Can. 1577,5 2).
Auditores pro tribunali dioecesano, quantum fieri potest, deligantur ex iudicibus synodalibus (Can. 1581).
Eorum (auditores) est testes citati et audire, aliaque acta iudicialia instruere secundum tenorem mandati, non autem sententiam definitivam forre (Can. 1582).
Auditor in quovis litis momento ab officio remover! potest ab eo qui eundem elegit, iusta tamen de causa, et citra partium praeiudicium (Can. 1583).
Tribunalis collegialis praeses debet unum de iudicibus collegi! ponentem seu relatorem designare qui in coetu iudicum de causa referat... (Can. 1584).
Ordinari! est promotorem iustitiae et vincali defensorem elige re, qui sint sacerdotes integrae famae, in iure canonico doctores vel ceteroqui periti, ac prudente et iustitiae zelo probati (Can. 1589).
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§ i. Eadem persona officium promotore iustitiae, defensoris vinculi, promo-tons fidci gerere. potest (Can. $$).
§ 2. lidem constituí possunt aut ad actà iudicialia dumtaxat, aut ad acta certae tantummodo causae conficienda (Can. 57).
§ 3. Si clerici desint, possunt e laicis assumi; sed in causis criminalibus ele-ricorum, notarli munus sacerdotibus dumtaxat rèservetur.
§ 4. Sint autem integrae famae et omni suspicione maiores (Can. 57).
§ i. Cuilibet processui interesse oportet notarium, qui actuarii officio fungatur, adeo ut nulla habeantur acta, si actuarii manu non fueript exarata, vel saltem ab eo subscripta.
§ 2. Unde iudex antequam cognoscere incipiat in actuarium assumere debet unum e notariis legitime constitutis, nisi ipse Ordinarius aliquem pro ea causa iam deputa ver it (Can. 60).
§ 1. Officium notariorum est prò suo cuiusque munere:
1) . Rogare acta seu instrumenta circa contractus, dispositiones, obliga-tiones, citationes et intimationes iudi-ciales, decreta, sententias aliavo circa quae eius opera requiritur;
2) . In scriptis fidelitcr redigere quae geruntur circa rem de qua agitur ; eaque cum significai ione loci, diei mcnsis et anni subsignare;
3) . Acta vel instrumenta de mandato iudicis, aut alias legitime petenti ex regesto exhibere, et eorum esemplarla cum autographe conformia declarare (Can. 61).
Beide Aemter, das des Promoter iustitiae und das des defensor vinculi, kSnnen in ein und derselben Person vereinigt sein, sofern solches die Anzahl der Geschäfte und der Prozesse in der Diözese erlaubt (pag. 27).
Notarii deputari possunt aut ad ne-gotia administrationis episcopalis cuiu-slibet generis, aut tantum ad actus iu~ diciales... sive ad particularem dumtaxat scripturam conficiendam (pag. 19).
Ordinarie solum clerici apti et idonei constituantur notarii, in eorum autem defectu etiarn laici ad id munus deputari possunt. In causis vero criminalibus clericorum... consulendum est officio notarii semper fungatur aliquis elericus (pag. 19).
... notarii sint integrae famae atque maiores omni suspicione (pag. • 19).
Die Tätigkeit des Notars, der das Amt eines Aktuars oder Gericht^schreibers versieht, ist in jedem Prozess erfbrder-, lieh, so dass alle richterlichen Akte ungültig sind, die nicht von ihm eigenhändig protokolliert oder wenigstens unterschrieben sind.
•
Deshalb muss der Offizial oder Richter, bevor er mit den Prozessverhandlungen beginnt, aus den vom Bischof ernannten Notaren einen als Aktuar für den Prozess bestimmen, falls nicht der Bischof selbst schon hierfür gesorgt hat (pagg. 28-29).
Es ist Aufgabe des Notars, in seiner jedesmaligen Tätigkeit Schriftstücte oder Urkunden anzusertigen über Verträge, Verfügungen, Verpflichtungen, richterliche Ladungen, Zustellungen, -Beschlüsse, Urteile', kurz alle gerichtlichen Akte schriftlich zu fassen, für welche seine Mitwirkung vom Rechte gefordert wird.
Er hat hier getreu und gewissenhaft das niederzuschreiben, entweder in selbständiger Fassung oder nach dem Diktate des Richters, worüber in der vorliegen den Sache verhandelt wird, und die Niederschrift mit Angabe des Ortes, lages, Monats und Jahres zu unterzeichnen.
Ferner hat er Akte und Urkunden auf Befehl des Richters oder auf Gesuch eines darum rechtmässig Bittenden aus Registern auszuziehen und deren Abschriften als ’mit dem Original oder der
§ 1. Eädem persona officium promo-toris iustitiae et defensoris vinculi gerere potest, nisi multiplicitas negotiorum et causarum id prohibeat (Can. 1588).
§ 2. lidem constituí possunt aut ad quaelibct acta, aut ad acta iudicialia dumtaxat, aut ad acta tantummodo certae causae vel negotii conficienda (Can. 373).
§ 3. Si clerici desint, possunt e laicis assumi ; sed notarius in criminalibus clericorum causis debet esse sacerdos.
§ 4. Cancellarius aliique notarii de< bent esse integrae famae et Omni suspicione maiores (Can. 373).
§ 1. Cuilibet processui interesse oportet notarium, qui actuarii Officio (un* gatur; adeo ut nulla habeantur acta, si actuarii manu non fucrint exarata, vel saltem ab eo subscripta.
§ 2. Quare iudex, antequam causam cognoscere ‘ incipiat, in actuarium assumere debet unum c notariis legitime constitutis, nisi ipse Ordinarius aliquem pro ea causa iam designaverit (Can. 1585).
§ I. Officium notariorium est:
i) . Conscribere acta seu instrumenta circa dispositiones, obligationes, citatip-nés et intimationes iudiciales, decreta, sententias, aliave circa quae côrum opera requiritur ;
2) . In scriptis fideliter redigere quae geruntur eaque cum significai ione loci, diei, mensis et anni subsignare ; .
3) . Acta vel instrumenta legitime petenti ex regesto, servatis servandis, exhibere et eorum exemplaria cum auto-grapho conformia declarare.
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§ 2. Rogare acta nequit notarius pisi in territorio lllius Episcopi a quo est electus, aut prò causa ad quam legitime est constitutus (Can. 62).
§ 1. Ex notariis in qualibet Curia unus constituatur cancellarius qui sit sa-cerdos ; cuiùs munus sit acta in archivio custodire, ordine chronologico disponete et de eisdem indicis tabula,!« conficere.
§ 2. Cancellarlo dari potest adiutor cum nòmine vicecancellarii, seu tabularii (Can. 63).
§ 1. Ad acta iudicialia intimanda con-stituantur quoque cursore? sive prò omnibus causis sive prò causa peculiari; item apparitores ad sententias ac decreta iudicis, co committente, executioni man-danda.
§ 2. Eadem persona utroque officio defungi potest (Can. 64).
Laici ipsi sìnt, nisi prudentia in aliqua causa suadeat ut ecclesiastici ad id nu-meris assumantur; quod attinet vero eorum nominationem, suspensionem et revocationcm eaédem serventur regulae quae superius pro notariis statutae sunt (Can. 65).
Acta ab eis gesta, de quibus testimonium ipsi rcddunt, publicara fidem fa-ciunt (Can. 66).
§ I. Tribunal appellationis eodem modo quo tribunal primi gradus constituí debet.
§ 2. Officiali? et Vice-Officialis, indices synodales vel prosynodales, aliique omnés iustitiae adiutores, qui in dioecesi metropolitana tribunal primae instan-tiae constituant, fiunt iudices et ministri iustitiae in secunda iustantia pro causis dioeccsis suffraganeae (Can. 68).
Urschrift übereinstimmend zu beglaubigen.
Derartige Urkunden oder Schreiben kann der Notar aber nur innerhalb des Gebietes des Bischofs, non dem er ernannt und nur in Sachen, für Vielehe er angestellt ist, anfertigen (pag. 29).
At eiumodi docuinenta seu scripturas notarius conficere valet solummodo in territorio Episcopi, a quo constitutus est, atque de eis dumtaxat rebus, ad quas deputatus est (pag. 20).
Aus der Zahl der Notare ist einer in jeder Kurie also Kanzler (Kanzlist) aufzustellen, dessen Amt darin besteht, die Gerichtsakten im Archive zu hüten, chronologisch zu ordnen und über dieselben ein Register oder Verzeichnis zu führen.
Demselben kann ein Gehülfe unter dem Titel eines Vizekanzlers oder Archivars Oder « Registrators beigegeben Vierden (pag. 29).
Endlich sollen sich in jeder Kurie auch Ausläufer (cursores) oder Pedellen für Einhändigung oder Zustellung von Ladungen, Urteilen und anderen gerichtlichen Akten befinden, wie ebense auch Boten (apparitores') zur Vollstreckung von Urteilen und richterlichen Beschlüssen.
Indes kann eine und die selbe Person auch beide Aemter versehen (pagg. 29-30).
Et cursores et apparitores ex laicis sumumtur, nisi in particulari casu prudentia suadeat, ut haec öfficia alicui clerico conferantur. De constitutione, de iuramento de officio fideliter implendo, de secreto officii, de suspensione et re-motione istorum ministrorum iudicialium valent eaedem regulae ac pro notariis (pag. 20).
Relationes ab eis exaratae de man-datis peractis, publica gaudent fide (pag. 2ö).
Iudicium appellationis eodem modo costituendum est atque iudicium primae instantiae.
Officialis et Vice? Officio Hs, iudices synodales et prosynodales, omnesque aliae personae iudiciales, quibus constat iudicium primae iustantiae propriae dioecesis, simul iudices et officiales in secunda iustantia seu in causis appellationis alius dioecesis esse possunt (pa-gina 21).
§ 2. Conscribere acta nequit notarius nisi in territorio illius Episcopi, a quo est electus aut pro negotio ad quod est legitime constitutus (Can 374).
§ x. In qualibet Curia constituatur ab Episcopo cancellarius qui sit sauerdos, cuius praecipuum munus sit acta curiae in Archivio custodire, ordine chronologico disponere et de eisdem indicis tabulane conficere.
§ 2. Poscente necessitate, adiutor ei dari potest, cui nomen sit vice-cancel-larii Seu vice tabularii. (Can. 372, De Personis).
§ 1. Ad acta iudicialia intimanda, nisi alia sit probata tribunals consuetudo, constituantur cursores... : item apparitores ad sententias ac decreta iudicis, eo committente, executioni mandanda.
§ 2. Eadem persona utroque officio defungi potest (Can. 1591).
Laici ipsi sint, nisi prudentia in aliqua causa suadeat ut ecclesiastici ad id nu-meris assumantur ; quod vero ad eorum nominationem; suspensionem et revoca-tionem attinet, eaedem serventur regulae quae pronotarii... statutae sunt (Can. 1592).
Acta quae hi confecerint, publicara fidem faciunt (Can. 1503).
Tribunal appellationis eodem modo quo tribunal primae iustantiae constituí debet... (Can. 1595).
... et eaedem regulae, accomodatae ad rem, in- causae discussione servandae sunt (Can. 1595).
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In suprema instantia et pro toto orbe catholico iudex ost Romanus Pontifex, qui vel ipse per sc ius dicit, vel per tribuoalia ab ipso constituía, vel per Índices a se delega tos (Can. .(>9).
§ 1. ludex a Sancia Sede delegatus uti potest ministris in Curia dioecesis, in qua indicare debet, constitutis; sed potest edam alios quoscumque sibi bc-nevisos eligere et assumere, nisi in de-legationis rescripto aliter cauium sit.
§ 2. ludices vero ab Ordinariis loco-rum delegati uti debent ministris Curine dioecesanae, nisi Episcopus in aliquo peculiari casu ob gravem causam prò-prios et extraordinarios ministros consti-tuendos decreverit (Can. 80).
Quamvis Episcopi in quolibet suae dioecesis loco, dummodo non exempto, ìus babeant erigendi tribunal, nihilominus penes suam seden aulam statuant, quae sit. ordinarius iudiciorum locus : ibique crucifixi imago emineat, et adsit evan-geliorum liber (Can. 91).
ludex e territorio suo vi expulsus vel a iurisdictione ibi exercenda impeditus, potest extra territorium iurisdictionem suam exercere et sententiam ferre, cer-tiore tamen hac de re facto loci Ordinario (Can. 92).
§ 1. In unaquaque dioecesi Ordinarius publico decreto dies et horas definire curet, prò loci ac temporum adiun-ctis opportunas, quibus tribunal adiri regulariter possi t, et ab eo iustitiae ad-ministrationem exigi.
§ 2. lusta tamen de causa, et quoties periculum sit in mora, fas est fidelibus quovis tempore iudicem adire, denuncia-tionem facere et iudicis ministerium in sui iuris vel boni publici tutelam invocare (Can. 93).
§ 1. Dies festivi de praecepto, et ultimi tres dies hebdomadae sanctac feriali habeantur; et in iis cilaliones intimare, audientias babere, partes et lestes excu-tere, decreta et sententias ferre, denunciare et exequi vetitum est, nisi necessitas, christiana charitas, aut bonum publicum aliter postuient.
Richter in. höchster und letzter Instans ist auf Grund seines Primates für den ganzen katholischen Erdkreis der Papst, der entweder selbst oder durch seine zu diesem Zweck eingesetzen stän digen Gerichte oder durch von ihm speziell delegierte Richter Recht spricht (Pag- 30Iudex ab Apostolica Sede delegatus opera adminislratorum curiae illius Dioecesis, in qua muntre iudicis fungi debet, uti quidem potest, al integrum est ei eligere alios coadiutores, quos maluerit, nisi in delegationis rescripto aliter statutum sit,
ludices veto ab Ordinario loci dele gati opera officialium Curiae episcopalis uti debent, nisi in aliquo particular! casu Episcopus ius tis de causis... op-portunum censeat peculiar es et extra-ordinaries officiates ei adiungere (pag. 26).
Episcopus, quamvis in quolibet loco suae dioecesis non exempto tribunal con-stituere valeat, praecipue tamen in loco suae residentiae pcculiarcm habest do-mum indicialem... Insuper in ea collo-cetur imago. Crucifixi, omnibus visibilis, et super mensa reponatur liber evange-Horum (pag. 28).
Ordinarius vero ex suo territorio vi et iniuste expulsus, aut ab exercenda potestate sua indiciali impeditus, etiam extra suum territorium ius dicere valet, certiorate tamen prius Ordinario loci (pag. 28).
... in dioecesisüa quisque Ordinarius, ratione habita circumstantiärum loci et temporis, decreto publico statuat certos dies et cerias horas, quibtis fldelibus semper liberum sit, tribunal adire et in causis suis personaliter ad istud confu-gcre.
At nihilominus cuique integrum-esse debet, iusta de causa, vel quoties periculum est in mora, etiam quolibet alio tempore ipsum iudicem adire..... sive agatur de tuendis iuribus privatis, sive de bono publico (pag. 28).
Omnes porro dies dominici, neenon dies festi de praecepto et Ultimi Ires dies Afaioris Hebdomadae ex iure comuni habeantur dies feriati. Hisce antem die-bus sub poena nullitatis ordinarie prohi-bita sunt, exhibitions citationum, ses-siones iudiciales, partium aut testium examina, prolatio, publicalio et executio decretorum vel sententiarum.
Romanus Pontifex pro toto orbe catholico... iudex est supremus, qui vel ipse per se ius dicit, vel per tribunalia ab ipso constituía, vel per iudices a se delegatos (Can. 1597).
§ 1. Iudex a Sancta Sede delegatus uti potest ministris constitutis in Curia dioecesis in qua iudicare debet ; sed potest etiam alios quoscumque maluerit eligere et assumere, nisi in delegationis rescripto aliud cautum sit.
§ 2. ludices vero ab Ordinariis lo-corum delegati, uti debent ministris Curiae dioecesanae, nisi Episcopus in aliquo peculiari casu ob gravem causam proprios et extraordinarios ministros con-stituendos decreverit (Can. 1607).
Quamvis Episcopi in quolibet suae dioecesis loco, qui non sit exemptus, ius babeant erigendi tribunal, nihilominus penes sQam sedem aulam statuant, quae sit Ordinarius iudiciorum locus; ibique crucifixi imago emineat, et adsit evange-lioruin liber (Can. 1636)..
Iudex c territorio suo vi expulsus vel a iurisdictione ibi exercenda impeditus, potest extra territorium iurisdictionem suam exercere et sententiam ferre, cerifere tamen hac de re facto loci Ordinario (Can. 1637).
§■ 1. In unaquaque dioecesi Ordinarius publico decreto dies et horas definiti eurer, pro loci ac temporum adiun-clis opportunas, quibus tribunal adiri regulariter possit/ et ab eo iustitiae administrate» exigi.
§ 2. Iusta tamen de causa, et quoties periculum sit in mora, fas est fidelibus quovis tempore iudicis ministerium in sui iuris vel boni public! tutelam invocare (Can. 1638).
§ i. Dies festi de praecepto, et ultimi tres dies hebdomadae sanctae feriati habeantur; et in iis citationes intimare, audientias habere, partes et testes excu-tere, decreta et sententias ferre, denunciare et exequi vetitum est, nisi necessitas, Christiana charitas, aut bonum publicum aliter postuient.
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MANCANZE DI GARANZIE NELLO « SCHEMA » ECC.
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§ 2. Iudicis antem est in singulis ca-sibus statuere et denunciare, an et quae acta praedictis diebus expleri debeant (Can. 94).
§ i. Acta iudicialia turn quae mentum quaestionis rcspiciunt. seaactacausae, turn quae ad formam procedendi pertinent, $eu acta processus, scripto sunt redigenda.
§ 2. Et nisi iusta causa aliter suadeat, quoad eius fieri potest, lingua latina re-digantur; sed interrogationes et respon-* siones testium aliaque similia, lingua vernácula confici debent (Can. 97).
§ i. Singula folia numerentur; et ac-tuarii subscriptio cum sigillo tribunalis apponatur in unoquoque folio.
§ 2. Singulis actis compiette vel in-terruptis, dummodo non agatur de brevi suspensi on is mora, apponatur subscriptio actuarii et iudicis, vel tribunalis Prae-sidis.
§ 3. Quoties in actis iudicialibus partium aut testium subscriptio requiritur, si pars aut testis hoc facere nequeat, vel nolit, id in ipsis actis adnotetur, simul-que iudex et actuarius fidem faciant actum ipsum de verbo ad verbum parti aut testi perlectum fuisse, et partem aut testem vel non potuisse vel noluisse subscriberc (Can. 98).
§ 3. Si regulae superius statutae ser-vatae non sint, acta ipsa, a iudice superiore ad quem missa fuerint, repelli possunt, ut debita forma et characterc conficiantur; quo in casu tribunal infe-rius vel actuarius seu cancellarius, qui-bus culpa imputanda est, acta suis im pensis denuo conficere et mittere tenentur (Can. 99).
§ 1. ludicio expleto, acta iudicialia cum omnibus documentis et scriptis ad eam spectantibus in archivo curiae re-ponantur et diligenter atque ordinale servent«.
§ 2. Quae vero lege aut natura svi secreta sunt, in secreto ipsius curiae archivo ponantur et. custodiantur.
ludicis autem est in specialibus casibus determinare et pronuntiare. an et qui actus iudiciales, non obstantibus diebus feriatis, liciteponipossint (pagg 28-29).
Alle richterlichen Handlungen oder Tätigkeiten, mögen sie den Inhalt oder das Object der Rechtsfrage (meritum) betreffen (acta causae), oder mögen sie sich auf den Prozessgang (acta processus) beziehen, sind stets schriftlich aufzunehmen (pag. 39).
Omnia porro acta processualia, quantum fieri polest, in lingua latina exarari debent. At interrogationes testibus pro-positae responsionesque ab eis datae et alia id genus lingua vernácula in actis redigi debent (pag. 29).
Singulorum foliorum paginae... in números distribuí debent... unumquod-que folium a notario subscribí et sigillo tribunalis numiri debet.
Singulae scripturae de actibus iudicialibus... ab actuario et a iudice seu a praeside tribunalis subscribí debent.
Gum aliqua scriptura a partibus sub-scribenda est et aliqua pars scribere ne-scit , id in fine documenti notari debet. Iudex autem et actuarius fidem faciant omnia et singula... ad verbum esse Illi parli lecta... Si autem quaedam pars subscríbete renuat, id quoque in ipso documento referri debet (pag. 30).
Sind die oben angeführten Regeln nicht beobachtet, so können die Akten vom höheren Richter, an welchen sie im Fall einer Appellation eingesandt worden, zurückgeschickt werden, damit sie in vor geschriebener Form und Sprache von neuem angefertigt werden. Das Untergericht oder der Gerichtsschreiber oder der Kanzler sind im Fall eigener Verschuldung für die daraus entstandenen Kosten haftbar (pag. 41).
Sämtliche Gerichtsakten nebst den dazu zuhörigen Schnifstücken oder Dokumenten sollen teils aus historischen Gründen nach Beendigung des Prozesses im Gerichtsarchiv hinterlegt und daselbst sorgfältig geordnet und- im archiwezei-chnisse registriert aufbewahrt werden.
Die gesetzlich oder ihrer Natur nach geheimen Akten sind in einem eigenen Geheimarchive zu verschliessen.
’ § 2. Iudicis autem est in singulis ca-sibus statuere et denunciare, an et quae acta praedictis diebus expleri debeant (Can. 1639).
§ . 1. Acta iudicialia turn quae meritum quaestionis respiciunt, seu acta causae... turn quae ad forman procedendi pertinent, seu acta processus... scripto redacta esse debent.
§ 2. Nisi iusta causa aliud suadeat, quoad eius fieri potest, lingua latina redigan tur. sed interrogationes et respon-siones testium, aliaque similia, lingua vernácula confici debent (Can. 1642).
§ i. Singula folia processus numerentur; et actuarii subscriptio cum sigillo tribunalis apponatur in unoquoque folio.
§ 2. Singulis actis completis vel in-tCrruptis seu ad aliam sessionem remis-sis, apponatur subscriptio actuarii et iudicis vel tribunalis praesidis.
§ 3. Quoties in actis iudicialibus par-tium aut testium subscriptio requiritur, si pars aut tcstis hanc facere nequeat vel nolit, id in ipsis actis adnotctur, simul-que iudex et actuarius fidem faciant ac-tum ipsum de verbo ad verbum parti aut testi perlcctum fuisse, et partem aut testem vel non potuisse vel noluisse subscríbete (Can. 1643).
§ 3- Si acta debita forma et charactere confecta non fuerint, a iudice superiore repelli possunt; quo in {casu illi, quibus culpa imputanda est, acta suis impensis denuo conficere et mittere tenentur (Canone 1644).
§§ 1-2. ludicio expleto... documenta omnia, quae apud tribunal manent. in Archivo Curiae deponantur sive publico sive secreto, profit eorum natura exigit.
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§ 3. ludicis autem est statuere quàe acta secrete manere debent,' quaeque communicari possint ; et nefas est no-tariis. actuariis et cancellano sine iudicis mandato tradere exemplar actoram Judicial ium et documentorum quae sunt pro* cessui acquisite.
§4 . Anonymae epistolae omnes et etiam subscriptae, quae sint certo calum-niosae, comburantur (Can. 100).
§ 1. Documenta penes tribunal deposited iis exceptis quae- publica utilitas exigit ne restituantur, expleto iudicio, a deponentibus repeti possunt, relicto corum exemplari nee non receptionis syn-grapha cum iudicc documentorum resti-tutorum (Can. 101).
§ x. Quilidet, cuius intersit aliquod ius tueri, potest, nisi a sacris canohibus prohibeatur, iudicio consistere sivc ut actor sivc ut reus conventus (Can. X02).
§ I. Pro minoribus et iis qui rationis usu destituii sunt, agcre et respondere tenentur eorum parentes, aut tutores vel curatores (Can. 104).
Religiosi sine superiorum consensu stare in iudicio nequeunt, exceptis casi bus qui sequuntur:
i. Si de vindicandis adversus mo-nasterium iuribus sibi ex professione quae-sitis agalur;
2. Si iurium suorum tuitio urgent et ipsi extra claustra legitime morentur (Can. xo8).
§ I. Excommunicatis vitandis aut toleratis post sententiam declaratoriam yel condemnatoriam permittitur per se ip’sos agere tantummodo ad impugnandam iustitiam aut legitiniitatem ipsius excom-municationis; per procuratorem ad aliud quodvis animae suae praeiudicium aver-tendum; in reliquia ab agendo repel-luntur.
Es ist stets Sache des Richters, zu bestimmen, welche Akten geheim zu bleiben haben und welche unter Umständen Dritten mitgeteilt werden können; niemals dürfen Notare, Gerichtsschreiber oder Kanzler ohne seine ausdrückliche Erlaubnis durch den Prozess erworbene Gerichtsakten..... anfertigen (Pag- 4«)Anonyme Briefe... sowie auch die mit Unterschrift versehenen, welche Verleumdungen, enthalten... müssen vernichtet werden (pag. 42).
Die beim Gerichte niedergelegten Dokumente... können nach Beendigung des Prozesses von den Eigentümern zurückgefordert werden, jedoch, falls der Richter solches iur nützlich befindet, unter Zurücklassung einer Abschrift derselben. Man lasse sich von ihm auch eine Empfangsbescheinigung mit dem Verzeichnis der zurückerstatteten Dokumente geben und lege,dieselbe zu den betr. Gerichtsakten (pag. 41).
Als Klager kann jeder zum Schutze seiner Rechte vor Gericht auftreten... Wenn ihm dies Recht nich vom Gesetz ausdrücklich versagt oder entzogen ist (pag- 5i)«
Nicht als Kläger oder Beklagte können handeln: Kinder, Minderjährige, Schwachsinnige sowie alle des vemtinftge-brauches beraubten Personen. Diese müssen durch ihre Eltern bezw. Vormünder oder Kuratoren vor Gericht vertreten werden (pag. 51).
Ebenso sind Ordensleute ohne Erlaubnis ihrer Oberen nicht prozessfähig. Von dieser Regel gibt es jedoch in Zivil-Sachen folgende zwei Ausnahmen: •wenn sic... zur Wahrung ihrer aus der Profess gegenüber dem Kloster erworbenen Rechte klagen;
Wenn sie atu einem rechtmässigen Grund ausserhalb ihres Klosters leben und notwendig und eilig ihre Rechte schützen müssen (pag. ji).
Excommunicati vitandi können in eigener Person nur zur Bekämpfung der Gültigkeit det Exkommunikation sowie zur Abwendung irgend eines anderen Schadens für ihre Seele klagen; mit allen übrigen Klagen müssen fie vom Richter ohne weiteres abgewiesen werden.
§ 3. Nolani, actúan et cancellarius sine iudicis mandato tradere prohibentur exemplar actorum iudicialium et documentorum quae sunt processui acquisita.
§ 4. Anonymae epistolae quae nihil ad medium causae conférant, et etiam subscriptae, destruantur (Can. 1645).
§ I. Iudicio expleto, documenta partibus restitui debent, nisi in criminalibus, bono publico ita exigente, iudex aliquod retinendum censuerit (Can. 164$).
§ I. Quilibet potest in iudicio agere, nisi a sacris canonibus prohibeatur,‘reus autem legitime conventus respondere debet (Can. 1646).
§ 1. Pro minoribus ct iis qui rationis usu destituti sunt, agere 'et responderé tenentur eorum parentes aut tutores vel curatores (1648).
Religiosi - sine Superiorum consensu non habent personam standi- in iudicio, nisi in casibus qui sequùntùr:
i. Si de vindicandis adversus reli-gionem iuribus sibi ex professione quae-sitis agatur;
2. Si ipsi extra claustra legitime morentur et iurium suorum tuitio urgent (Can. 1652).
§ x. Excommunicatis vitandis aut toleratis post sententiam declaratoriam vel condemnatoriam permittitur ut per se ipsi agant tantummodo ad impugnandam iustitiàm aut legitimitatem ipsius excom-municationis ; per procuratorem, ad aliud quodvis animae suae praeiudicium aver-tendum; in reliquia ab agendo repel-luntur.
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§ 2. Alii ex communicati generatim stare in iudicio queunt (Can. irò).
Utrumque munus, procuratoris et ad-vocati, in eadem causa et prò eodem cliente eadem persona exercere potest (Can. 114).
§ 1P rocurator essé debet vir catho-licus, aetate maior, bonae famae, et ad causam ab ipso pertractandam idoneus.
§ 2. Advocatus debet practerea esse doctor aut prolyta in iure vel alias vere peritus, saltem ih iure canonico.
§ 3. Acatholicus non admittitur nisi per exceptionem et ex necessitate, ubi catholici habiles desint (Can. 115).
§ 1. Advocatus et procurator non prius a iudice admittentur, quam man-dàtum scriptum, mandant is subsc ript ione munitum et locum, diem, mensem et annum referens in actis exbibuerint.
§ 2. Quod si mandans scribére nesciat, hoc ipsum ex scriptura constet necesse est, et parochus vel notarius curiae vel duo testes, loco mandantis, mandatum subsignent (Can. 117).
Procurator, nisi habuerit Speciale mandatum, non potest rinunciare actioni vel instantiae vel actis iudicialibus, nec transigere, pacisci, compromittere in arbitros, praestare, deferre, aut referre iuramen-tum, vel alia agere pro quibus ius re-quint mandatum speciale (Can. 120).
§ 1. Turn procurator turn advocatus possunt a iudice repelli vel statini .ab initio, vel durante causae decursu, et sive ex officio sive ad instantiam partis, ¡usta tamen de causa.
§ 2. Contra iudicis decretum, quo advocatus aut procurator excluditur, non datur appellati© (Can. 121).
§ 2. Vetatur utrique crnere litem, aut de immodico emolumento, vel immodica rei litigiosae parte sibi vindicanda pacisci.
Dagegen sind die excommunicati tole-rati in allgemeinen prozessfähig^^. 52).
Im übrigen kann das Amt sowohl des Prokurators als auch das des Rechtsbeistandes in derselben Sache und für dieselbe Partei, ein und dieselbe Person, versehen (pag. 53).
... necesse est ut (procurator) sit ca-tholicus et aetate maior... gaudeat bona fama et sit idoneus ad perangendum negotium ei commissum (pag. 44).
Advocatus non solum qualitatibus supra enumerati* praeditus esse debet, sed insuper requiritur ut sii doctor aut licentiatus in iure canonico vel ut aliter iurisperitum se praestiterit (pag. 44).
Acatholicus per modum exceptionis tantum in casu necessitatis, quando scilicet idonei viri catholici deficiunt, in iudicio ecclesiastico ut advocatus ad-mitti potest (pag. 44).
Advocati et procuratore* indici, prius quam ab eo admitti possine, praesentare debcnt manda tum scripto... datum et a parte seu ab accusato, qui eos constituit, subsignatum, cum indicanone loci, dici, mensis et anni constitutionis (pag. 44).
Si constituens scribere nesciat, td in ipso mandato debet exprimi (pag. 44).
Trotz seines Prozessmandats kann der Prozessvertreter nicht ohne ein neues: spezielles Mandat auf Erhebung der Klage oder auf die Instanz oder notwendige richterliche Akte verzichten; ebenso auch nicht ohne ein solches eine Versöhnung, einen Vergleich oder Schiedsvertrag eingehen ; ferner nicht für die Partei Eide leisten, zuschieben oder zurückschieben oder sonstige Handlungen vornehmen, für die das Recht einen besonderen Auftrag verlangt.
Tum procurator tum advocatus a iudice, sive ex officio, sive ad iustantiam partis, ex iusta causa in quovis statu processus ab officio removeri possunt (Pag- 4$).
Ab eiusmodiifccnrto iudicis nulla in-terponi potest appellatto (pag. 45).
Utrique vero prohibetur, litem entere aut pactum inire de extraordinario emolumento solvendo in casu victoriae.
§ 2. Alii excommunicati generatim stare in iudicio queunt (Can. 1654).
Utrumque munus procuratoris et advocati, etiam in eadem causa et pro eodem cliente eadem persona exercere potest (Can. 1656, § 4).
Procurator et advocatus esse debent catholici, aetate maiores, bonae famae (Can. 1657, § 1).
Advocatus debet praeterea esse doctor vel alioqui verc peritus, saltem in iure canonico (Can. 1657, § 2).
... acatholicus non admittitur, nisi per exceptionem et ex necessitate (Can. 1657, § »)■
§ 1. Procurator ne prius a iudice ad mittatur quam speciale mandatum ad lites scriptum mandantis subscriptione munitum, et locum, diem, mensem et annum referens, apud tribunal deposuerit.
§ 2. Quod si mandans scribere nesciat, hoc ipsum ex scriptura constet necesse est (Can. 1695).
Nisi speciale mandatum habuerit, procurator non potest renunciare actioni, instantiae vel actis iudicialibus, nec transigere, pacisci, compromittere in arbitros, deferre aut referre iuramentum, et generatim -ea agere pro quibus ius requirit mandatum speciale (Can. 1662).
Turn procurator turn advocatus possunt a iudice, dato decreto, repelli sive ex officio sive ad instantiam partis, iusta tamen de causa (Can. 1663).
§ i. Vetatur uterque emere litem, aut sibi de immodico emolumento vel rei litigiosae parte vindicata pacisci.
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§ 3- Quae si fecerint, praeter nullita-tem pactionis, a iudice vel ab Ordinario pote runt poena pecuniaria multati, suspendí, tum etiam, si recidivi sint, ab officio et titulo destituì (Can. 124).
§ i. Qui ad rem sibi vindicandam, seu ad ius suum in Sudicio persequendum * titulo agit iuris auctoritate subnixo, ac tione dimicat quae petitoria dicitur.
§ 2. Si_ vero rei possessionem vel iuris quasi possessionem sibi tribui postu lat, unice innixus possessionis fedo, eius actio possessoria vocatur (Can. 126).
§ 1. Qui ad possessionem alicuius rei' adipiscendam, vel ad alicuius iuris exer-citium, vel ad utendum aliqua gratia, munitur titulo certo, legitimo nec excluso iure praescriptionis, pcterc potest, ut in rei possessionem vel iuris exercitium aut usum gratiae iuxta titulum suum mittatur, ~ adversus etiam simpliciter negative im-pedientes.
§ 2. Indicium super huiusmodi actionem expeditissime est pcrficiendum, vo-catis tarnen saltern per edictum illis quorum interesse potest (Can.* 127).
§ 1. Etiam qui vi, clam et precario possidet, actione retinendae possessionis uti potest adversus quemlibet deturba-torem: non autem contra personam a qua ipse rem vi vel clam surripuit vel precario accepit (Can. 131).
§ i - Qui super aliqua re ius se habere sibique damnum imminere, nisi res ipsa sequestri custodienda tradatur, osten-derit, ius habet obtinendi a iudice eiu-sdein rei sequestrationem.
§ 2. In similibus rerum adiunctis ob-tinere potest ut iuris exercitium alieni inhibeatur.
. I Sequestratio rei et inhibitio exer-citii iuris decemi potest instante PromoQuod si nihilominus fecerint, praeter pacti nullitatem, a iudice vel ab Or-dinario mulcta pecuniaria puniri, ab officio suspendi, atque, st recidivi, mu-nere suo privari possunt (pag. 46).
Wer gestützt auf irgend einen Rechtsgrund eine noch nicht von ihm besessene Sache als ihm gehörig in Anspruch nehmen bezw. ein Recht als ihm zustehend geltend machen will, erhbt bei Gericht die sog. Petitorien - oder Forderungsklage.
Wer aber die Zuteilung des Besitzrechts... oder besessen Rechtes für sich fordert,... macht seine Forderung durch die sog. Besitzklage (actio possessoria). (pag. 56).
Wer auf Grund eines bestimmten gesetzlichen und nicht verjährten Titels in den Besitz irgend einer noch nicht von ihm besessenen Sache oder der Ausübung eines Rechtes oder des Gebrauches irgend einer Gnade... gelangen will, kann Klage bei Gericht erheben, damit er in den ihm vermeintlich zustehenden Besitz der Sache bezw. der Ausübung des Rechtes oder des Gebrauches der Gnade... gesetz werde (pag. 57).
Derartige Klagen hat der Richter möglichst schnell zu erledigen, indem er sofort die interessierten Personen zu einer Verhandlung ladet (pag. 57).
Selbst derjenige, welcher eine Sache mit Gewalt oder heimliche oder leichweise in seinen Besitz gebracht hat, kann Klage auf Weiterbesitz erheben gegen jeden dritten Störer des Besitzes, nicht aber gegen diejenige Person, von der er die Sache durch Gewalt, heimliche oder leichweise erhalten hat (pa-gina 59)Wer vor Gericht glaubhaft machen kann, dass er auf irgend eine Sache ein Recht besitze und ihm ein Schaden drohe, wenn sie nicht bei einem Sequester... hinterlegt werde, kann die gerichtliche Sequestration oder Beschlagnahme derselben erwirken.
Unter ähnlichen Umständen kann er gegen irgend eine Person die Verhinderung der Ausübung irgend eines Rechtes seitens derselben verlangen.
Eine solche Sequestration oder Inhibierung darf vom Richter auch von
§ 2. Quae si feceriut, nulla est pac-tio, et a iudice vel ab Ordinario pote-runt poena pecuniaria mulctari ; advoca-tus praeterea turn ab officio suspendí, turn etiam, si recidivi sint, destituì et titulo privari (Can. 1665).
§ 1. Qui ad rem sibi vindicandam., seu ad ius suum in iudicio persequen-dun título agit iuris auctoritate subnixo, actione dimicat quae petitoria dicitur.
§ 2. Si vero rei possessionem vel iuris quasi • possessionem postulai, eius actio possessoria vocatur (Can. 1668).
Qui ad possessionem alicuius rei adì piscendam, vel ad alicuius iuris exercitium obtinendum munitur titulo legitimp, petere potest, ut in rei possessionem vel iuris exercitium immitatur (Can. 1693).
ludicia possessoria absoivenda sunt, citata dumtaxat adversa parte in iudiciis rctinendae vel recuperandae; citatis vero Omnibus iis quorum interest, in iudiciis adipiscendae (Can. 1700).
§ 1. Etiam qui vi, clam vel precario possidet, actione retinendae possessionis uti potest adversus quemlibet deturba-torem: non autem contra personam a qua ipse rem vi vel clam surripuit aut precario accepit (Can. 169b).
§ 1. Qui ostenderit super aliqua re ab alio detenta ius se habere sibique damnum imminere nisi res ipsa custo-dienda tradatur, ius habet obtinendi a iudice eiusdem rei sequestrationem.
§ 2. In similibus rerum adiunctis ob-tinere potest ut iuris exercitium alicui inhibeatur.
§ 3. Sequestrati rei et inhibitio «er-citii iuris a iudice decerci potest °f-
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MANCANZE DI GARANZIE NELLO « SCHEMA » ECC.
IQS
tore iustitiae aut Defensore vinculi vel etiam ex officio quoties bonun publicum aut salus animarum id postulare videatur (Can. 136).
§ 1. Ad crediti .quoque securitatem sequestrano rei admittitur, dummodo de créditons iure liquido constet (Can. 137).
Sequestratio reí et suspensio exercitii juris decerni nullatenus possunt, si damnum quod timetur, reparari possit et idónea cautio de eo reparando offeratur (Can. 138).
§ 1. Ad custodiam rei sequestration! subiectae idonea persona a iudice desi-gnabitur quae sequester dicitur.
§ 2. Sequester in re custodienda cu-randa et servanda non minorem diligen-tiam adhibere debet quam suis adhibet rebus eamque postea cui index decre-verit reddere tenetur cum onini causa.
§ 3. ludex sequestri congruam decernet mercedem, si earn petat (Can. 139).
§ I. Qui ex quolibet opere rei suae damnum obventurum timet, potest novum opus, dummodo nondum sit absolutum, iudici nuntiare ut opus interrumpatur, donee utriusque partis iura iudicis sen-tentia definiantur.
§ 2. Is cui intimata fuerit prohibitio, continuo ab opera cessabit, sed si idonee caveat se in pristinum omnia restitu-turum si absolute iudicio victus disces-serit, poterit a iudice continuationem impetrare.
§ 3. Nuntianti novum opus ad ius suum demonstrandum duo menses prae-finiuntur, qui ex ¡usta et necessaria causa a iudice, audita altera parte» prorogar! vel reduci poterunt (Can. 141).
Si vetus opus magna ex parte immu-tetur, idem ius esto quod de novo opere supra constitutum est (Can. 142).
Amts wegen sowie auf Antrag des Promoter iustitiae oder des defensor vinculi aus Gründen des öffentlichen Wohles oder des Seelenheiles verfügt werden <P»g- SS)Die Beschlagnahme einer Sache... kann speziell zur Sicherungeiner Schuldleistung verordnet werden, falls das Recht des Gläubigers... sicher steht <l»g- 58).
Die Beschlagnahme einer Sache oder das Verbot der Ausübung eines Rechtes darf aber unter keinen Umständen verfügt werden, wenn der befürchtete Schaden heilbar und eine entsprechende Sicherheitsleistung ('Kaution) angeboten wird (pag. 58).
Es ist Sache des Richters, eine geeignete Person (Sequester),' bei welcher die beschlagnahmte Sache zu hinterlegen ist, zu ernennen.
Diese hat die letr. Sache sorgfältig zu hüten und gewissenhaft zu verwalten und dieselbe nachher an denjenigen abzuliefern, welchem der Richter sie zugesfrochen hat.
Auf Verlangen steht dem Sequester für seine Mühewaltung ein entsprechender Lohn zu (pag. 58).
Wer nämlich einen zukünftigen Schaden für sich... durch Aufführung von Neubauten befürchtet, kann dem Richter das Neuwerk anteigen und die Untersagung des Weiterbaues beantragen, bis über die Rechte jeder Partei ein Endurteil gefällt ist.
Ist das Verbot der betr. Partei vom Richter zugestellt, so muss sie vorläufig vom Weiterbau ab Stehen, falls derselbe nicht zur Fortsetzung des Baues auf Grund einer entsprechenden Sicherheitsleistung seitens des Erbauers, im Falle eines ungünstigen gerichtlichen Endurteils alles wieder in den alten Zustand zurückzuversetzen, die Erlaubnis gibt.
Dein Anzeiger des Neuwerkes wird vom Richter zum Beweis seiner behaupteten geschädigten Rechten eine Frist von etwa drei Monaten gewährt, die von demselben jedoch aus einem gerechten und notwendigen Grunde nach Anhören der anderen Partei verlängert werden kann (pag. 60).
Dieselben Rechtsbestimmungen gelten sinnentsprechend auch für den Fall, wo zwar kein Neuwerk angeführt wird,
ficio, instante praesertim promotore ia-stitiae aut defensore vinculi, quoties bo-num publicum id postulare videatur (Can. 1672).
Ad crediti quoque securitatem rei admittitur, dummodo de créditons iure liquido constet (Can. 1673, § 1).
Sequestratio rei et suspensio exercitii iuris decerni nullatenus possunt, si damnum quod timetur. possit aliter reparari et idonea cautio de eo reparando offeratur (Can. 1674).
§ 1. Ad custodiendam rei sequestration! subiectae idonea persona, propo-nentibus, a iudice designetur, quae sequester dicitur...
§ 2. Sequester in re custodienda, cu-randa et servanda non minorem dili-gentiam adhibere debet quam suis adhibet rebus, eamque postea, cui index decreverit, reddere tenetur cum omni causa.
§ 3. ludex congruam decern at mercedem sequestri, si earn petat (Can. 1675).
§ 1. Qui ex aliquo novo opere damnum timet suae rei obventurum, potest illud iudici nuntiare ut opus interrumpatur, donee utriusque partis iura, iudicis sententia, definiantur.
§ 2. Is cui intimata fuerit prohibitio, continuo ab opere cessare debet, sed, dummodo idonee caveat se in pristinum omnia restituturum si absoluto iudicio victus discesserit, poterit a iudice continuationem eiusdem impetrare.
§ 3. Nuntianti novum opus ad ius suum demonstrandum duos menses prae-finiuntur; qui ex iusta et necessaria causa a iudice, audita altera parte, prorogar! ve! reduci poterunt (Can. 1676).
Si vetus opus magna ex parte immu-tetur, idem ius esto quod de novo opere Can. 1676 constitutum eat (Can. 1677).
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Si actus aut contractus sit ipso iure nullus, datur ei, cuius interest, actio ad obtinendam a iudice declarationem nullitatis (Can. 144).
§ i. Non potest nullitas actus declaran, nisi ea deficiant quae actum ipsum essentialiter constituunt, aut solemnia seu condiciones desiderentur a sacris ca-nonibus requisitae sub poena nullitatis (Can. 145).
Qui actum posuit nullitatis vitio im-fectum tenetur de damnis et expensis erga partem laesam (Can. 146).
Nullitas actus a iudice declarari non potest ex officio nisi aut publice-id intersit, aut agatur de pauperibus aut de minoribus aliisve qui minorum iure censentur (Can. 147).
Si quis ex metu gravi, iniuste incusso, vel ex dolo circumventus actum celebrave-rit vel inicrit contractual qui ipso iure non sit nullus, potent, metu vel dolo probato, obtinere actus vel contractus rescissionem actione quae vocatur resets-soria (Can. 149).
Haec actio institue potest:
I. Contra eum quf metum intulit aut dolum patravit, quamvis ipse non in su-um, sed in alterius commodum talia pcregerit ;
2. Contra- quemlibet malae fidei et etiam bonae fidei possessorem, qui res metu vel dolo extortas possidet, saiva huic actione regressoria usque ad ipsum metus vel doli auctorem (Can. 151).
aber das alte eine Wesentliche Veränderung erfährt (pag. 60).
Ist deshalb irgend eine Handlung oder ein Vertrag rechtlig ungültig, so muss der Interessent... einen antrag auf Ungültigkeitserklärung bei Gericht stellen (pag. 60-61).
Diese Nichtigkeitserklärung kann aber nur erfolgen, wenn dem Akte die ihn constituierenden oder wesentlichen Elemente fehlen... oder.... die vom Rechte für die Gültigkeit des Aktes vorgeschriebenen Förmlichkeiten (pagina 61).
Wer wissentlich einen ungültigen oder nichtigen Akt setzt, ist gegenüber der geschädigten Partei zum Schadenersatz sowie zur Tragung der Unkosten verpflichtet (pag. 62.
Der Antrag auf Nichtigkeitserklärung... kann... vom Richter auch vom Amts wegen geschehen, so oft das öffentliche Wohl in Frage kommt oder es sich handelt um Arme, Minderjährige, Kirchen und fromme Stiftungen, falls lettere die Rechte von Mindet jährigen geniessen (pag. 6i).
Ist nämlich eine Handlung zwar nicht in sich oder ohne weiteres ungültig, kam sie aber unter dem Drucke schwerer, • eingeflösster Furcht oder in folge wissentlicher Täuschung oder Betrugs seitens einer dritten Person zustande so hat die geschädigte Partei, wenn sie den Beweis für die Tatsache der erlittenen Fürcht bezw. Täuschung liefert, ein Recht, auf richterliche Annullierung oder Auflösung des an sich gültigen Aktes oder Vertrags (pag. 62).
«i
Der Antrag auf Auflösung ift zu richten :
a) Gegen denjenigen, der die Furcht eingeflässt oder verursacht oder den Betrug begangen, wenn er, dies auch nicht zu seinem eigenen, sondern zum Vorteil eines Dritten getan hat.
b) Gegen jeden Dritten, der sich im faktischen Besitze der durch Furcht oder Betrug erpressten Sache befindet, ganz gleich, ob er sie im guten oder bösen Glauben besitzt. Im ersteren Falle verbleibt dem Besitzer Regress oder Rückanspruch an den Urheber der Furcht bezw des Betrugs (pag. 62).
Si actus aut contractus sit ipso iure nullus, datur ei, cuius interest, actio ad obtinendam a iudice declarationemn ul-litatis (Can. 1679).
§ I. Nullitas actus tune tantum habetur, cum in eo deficiunt quae actum ipsum essentialiter constituunt, aut sol-lemnia seu condiciones desiderantur a sacris canonibus requisitae sub poena nullitatis' (Can. 1680).
Qui actum posuit nullitatis vitio infectum, tenetur de damnis et expensis erga partem laesam (Can. 1681).
Nullitas actus a iudice declarare non potest ex officio, nisi aut publice id. intersit, aut agatur de pauperibus vel de minoribus aliisve qui minorum iure censentur (Can. 1682).
§ i. Si qùis motus metu gravi iniuste incusso, vel dolo circumventus actum posuerit vel contrattura inicrit qui ipso iure noi» sit nullus! poterit, metu vel dolo probato, obtinere actus vel contractus rescissionem... (Can. 1684).
Institui haec actio potest :
i. Contra eum qui metum intulit aut dolum patravit, quamvis ipse non in suum, sed in alterius commodum talia peregit;
2. Contra quemlibet malae fidei et etiam bonae fidei possessorem, qui res metu vel dòlo extortas possidet, salvo iure regressus contra quemlibet usque ad ipsum metus vel doli auctorem (Canone 1685).
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MANCANZE DI GARANZIE NELLO « SCHEMA >> ECC. 195
« * *
E qui faccio punto. Potrei ancora seguitare il raffronto per pagine e pagine, ma non credo che ce ne sia bisogno.
Questo saggio non riguarda, come dissi, se non un libro, / giudizi ecclesiastici. Sarebbe curioso indagare le fonti immediate anche degli altri quattro libri. Se qualcuno intendesse di farlo, tenga presente che 1’ Heiner, nella stessa prefazione alla procedura civile, annunciava che avrebbe dato fuori prossimamente altri due libri : uno sul matrimonio, e un altro di diritto penale. Se sono usciti, non c’è dubbio che ai compilatori del Codice non sono sfuggiti.
Nel pubblicare il Kirchliche Zwìiprozess il canonista tedesco si augurava che riuscisse un dono bene accetto « al di là delle Alpi » : non si potrà dire che questo voto, per quanto di un semplice uditore di Rota, non si sia compiuto!
Conchiudendo: se da ulteriori indagini risultasse che tutto il Codice è stato messo insieme allo stesso modo che il Liber de ludiciis, francamente, le difficoltà incontrate non dovettero esser poi tanto gravi, e quattordici anni di lavoro con tanti e così eminenti collaboratori, via, sarebbero stati un po’ troppi!
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I RITROVI SPIRITUALI DI VITERBO NEL 1541
esare Cantò, scrivendo intorno alla Riforma in Italia nel primo volume degli «Eretici d’Italia » esprime questo voto: «Deh! perche in tanti studi di drammatizzar il passato nessuno toglie a ravvivar quelle dotte e sante confabulazioni che allora dovettero passare a Viterbo fra queste anime pie, nel mentre in Germania straziavansi e a vicènda si bestemmiavano i predicatori del dissenso ? >.
Nessuno creda che io voglia pigliare alla lettera le paróle delio
storico nostro ed inscenare un dramma su quei celebri colloqui, rimasti ancora in gran parte oscuri, ma coi pochi mezzi di cui ho potuto disporre mi accontenterò di rievocare i personaggi che vi prendevano parte e lummeggiare con le stesse loro lettere i sentimenti e le idee religiose che spiritualmente li univano.
Nel 1541 trovavasi a Viterbo in qualità di Legato del Patrimonio di S. Pietro il Card. ReginaldoPolo. Era questi nato in Inghilterra (Pool) dai duchi di Suffolk ed aveva dovuto lasciare la Patria per non aver voluto approvare il divorzio di Enrico Vili e non incorrere nelle vendette del re che già avevano Straziato tutta la sua famiglia. Appassionato di studi biblici, spirito sereno e conciliativo, anima pia e profondamente religiosa, fu tra gli intransigenti cattolici sospetto di simpatia per le nuove idee, e dai riformati considerato imbevuto dello spirito di protesta contro la corruzione della Chiesa di Roma, ma in verità fu degno di rappresentare nel seno della nostra chiesa quel primo movimento di risveglio per la riforma dei costumi ed un rinnovamento degli studi religiosi. Nel 1542 fu nominato coi Cardinali Morone e Paris, legati ai Concilio di Trento, ma la riunione del Concilio essendo stata rinviata, ritornò in Italia per ripartire nel 1545 coi Cardinali Dal Monte e Cervini. Egli partecipò ai lavori del Concilio e riparti da Trento nel giugno 1546, pare, per non dovere prender parte alle discussioni intorno alla teoria della giustificazione per la fede. Quindi, passato alcun tempo a TrevelJa, nella villa di Alvise Priuli ed a Padova a casa del Bembo, ritornò definitivamente a Roma. Nel suo epistolario di 5 volumi (1), sono le interessanti notizie delle sue missioni diplomatiche e Legazioni, e specialmente nelle lettere agli amici più fidi, quali i Card. Morone, Contarini, Cervini, Vittoria Colonna ed altri, i ricchi documenti della suà scienza e della sua pietà.
Compagno del Polo nei viaggi e nelle Legazioni vediamo il veneziano Alvise Priuli, spesso ricordato nel carteggio di Vittoria Colonna; ed amico. Monsignor Marcantonio Flamjnio, veronese, bùon medico, elegante latinista, traduttore dei Salmi in odi latine messe all’Indice da Paolo IV. Da Gerolamo Musió fu accusato di eresia perchè, commentando un verso del salmo 45 scrisse che: «dobbiamo cessare da tutte le opere nostre, e la vera giustizia per nostra fatica non si può acquistare ».
Nel 1535 scriveva di aver detto addio ad .ogni studio eccetto quello delle divine cose, e che proponevasi di dedicare il resto della sua vita a meditare là fede cristiana.
(1) Epist. Regin-Poli, Brixice, 1752.
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I RITROVI SPIRITUALI DI VITERBO NEL 1541»97
Nonostante la libertà con cui giudicava alcuni particolari della dottrina, la sua intenzione di rimaner fedele all’essenza dei dogmi mi pare evidente nelle parole che egli scriveva a Monsignor Carnesecchi in lode dei Sacramenti, della Messa, e dell’ Imitazione di Cristo che rappresenterà sempre la perfetta armonia tra la via libera della mistica e della ispirazione individuale e quella dei dogmi tracciata dalla Suprema Autorità. In ogni modo, possiamo affermare che molto dovè alle conversazioni ed all’esempio del Card. Polo, e morendo a Firenze nel 1550 dichiarò apertamente la sua fedeltà alia Chiesa di Roma.
Trovavasi pure a Viterbo in quell’anno Pietro Cffijg&cchi, il ricercato Monsignore^ amico di casa Medici, il favorito di Clemente Vii di cui fu protonotario, cui la necessità di affermar la sua fede dinanzi alla morte diede quella tenacia di caràttere che in lui non si sarebbe supposta. Aderente alle idee religiose del Valdes (1), più che simpatizzante coi riformatori del nord, specie della Svizzera riuscì, sotto ai vari pontificati succeduti a quello di Clemente VI, ad eludere i sospetti sulla sua fede e aiutato da Cosimo I a far naufragare vari tentativi di processi imbastiti dagli Inquisitori di Roma, quando, finalmente, vittima del rigore di Pio V, del tradimento del Granduca e dell’intransigenza del tempo fu processato, condannato ed impiccato nel isg?.
Altra figura eminente della cosidetta « Corte Viterbese », era Vittoria .Colonna, Marchesana di Pescara. Troppo già si’ è scritto di lei perchè sia necessario tracciarne la vita burrascosa in questa breve rassegna : dirò soltanto, per ciò che riguarda la questione religiosa, che fu accèsa dall’ ideale di riformare la Chiesa, attingendo ai puri principi della morale cristiana, e sebbene, per la questione della giustificazione per la fede, e per la sua amicizia con eretici o presunti eretici, come fra Bernardino Ochino da Siena, il Carnesecchi, il Morene, ecc. fu tenuta d’occhio dai feroci Inquisitori, espresse con tutta la sua vita il più fedele attaccamento all’Autorità di Roma.
Qual fosse la sua amicizia, venerazione figliale ed affetto materno verso il Cardinale Polo, lo dicono le sue lettere. Di quest’amicizia così scriveva ad Alvise Priuli: « là cosa è sì perfetta, l’affection mia sì giusta, debita et sancta, così utile all’anima mia, sì cara et grata a Dio che me andasse solo ritarando, come se, suol retirar la mente dalla troppo fisa occupatone et dolcezza dello spirito, acciò retorni a servir l’altro, prossimi per esercitar la charità, purché con monsignor esercito più la fede recevendo absolutamente da Dio quanto lui fa » (2). Da parte sua il Cardinale professava di amare Vittoria come Madre come egli le' scriveva da Padova nel 154Ó: « E questo scrivo a V. E. come alla mia madre per darli occasione di ringraziare prima il nostro comune Padre del Cielo, ecc. (3).
Fatta così una sommaria conoscenza dei personaggi che attratti dall’alto spirito del Card. Polo, convenivano in quel tempo a Viterbo, ci sarà facile immaginare l’atmosfera di cristiana fratellanza e di spirituale intesa in cui vivevano, e gli argomenti preferiti dei loro colloqui.
Come già dissi quelle^riunioni davano del filo da torcere agli inquisitori che repli-catamente interrogarono in propòsito il Carnesecchi al suo processo 25 anni dopo (4). Insistenza che ci ha valso degli interessanti particolari di un testimonio oculare qual era l’imputato, sebbene avvolti dal necessario riserbo che le circostanze richiedevano.
(1) Casigliano, venuto a Napoli nel 1530, fu ammesso alla Corte di Clemente VII come cameriere segreto. Nel 34 lasciò Roma per stabilirsi definitivamente a Napoli ove si dedicò esclusivamente alla questione religiosa. Dogmaticamente aderiva a varie dottrine di Lutero che però non approvava, rifiutando certe conseguenze logiche derivanti dalle sue dottrine. Scopo precipuo della sua azione era la riforma spirituale dell’uomo e conseguentemente della Chiesa e della Vita ecclesiastica.
(2) Carteggio di Vittoria Colonna raccolto e pubblicato da G. Ferrerò e G. Mailer. Torino, Lceschcr Pag- *75(3) Of. cit. pag. 311.
(4) Estratto del processo di Carnesecchi dato in luce na Giacomo Manzoni. Mise. di Storia Ital. t. X, Torino, 1870, riportato in parte nel « Carteggio, ecc. ».
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Ad una prima interrogazione sui rapporti tra Vittoria Colonna ed il Card. Polo, rispondeva : « Il Cardinale aveva spesso ragionamenti con quella Signora' et in Roma et in Viterbo et sempre, credo, delle cose di Dio, perchè l’uno e 'l’altro se deiettava più di questo che di niun altro subietto. I particolari di lor ragionamenti non poteva intendere nè io, nè altri; perchè parlavano insieme senza arbitri et senza- testimoni, che si bene il Flaminio, il Priuii ed io accompagnavamo Sua Signoria Illustrissima al monasterio, non intervenivamo però alli loro colloqui, ma se intervenivamo da noi o in chiesa o lì intorno ».
Più in là, asseriva con una certa nebulosità che si parlava allora delle tentazioni « che pativa l’huomo christiano parte dalla carne, parte dal diavolo et parte dal mondo » e confessava che leggevano qualche volta i libri degli eretici, ma quasi ad insaputa del Cardinale Polo che « detestava tal curiosità in tutti generalmente- ».
Ma se vogliamo avere «un riflesso dell'ambiente caldo e sereno di Viterbo dobbiamo cercare negli Epistolari del Card. Polo e di Vittoria Colonna le poche lettere che si riferiscono a quei mesi. Quelle del Polo sono indirizzate al Card. Gaspare Contarmi, unito spiritualmente all’eletta compagnia che visitava appena le occupazioni di Roma gli lasciavano il tempo per compiere una gita a Viterbo..
Così il* Polo scriveva il 9 Dicembre 1541 : « Il resto del giorno, io passo in questa utile e santa compagnia del sig. Carnesecchi e Mons. Marc Antonio Flaminio nostro’. Utile io la chiamo perchè la sera Mons. Flaminio dà parte a me e alla miglior parte della famiglia de ilio cibo qui non perii, in tal maniera che io non so quando io abbia sentito maggior consolazione nè maggior edificazione: tanto che a compimento di questo mio comodissimo stato non manca altro che la presenza di V. S. Rev.ma». (Ep. parte III, lett. 23).
In tutte le lettere sono accenni alla « Santa compagnia dei servi di Dio ?. ed il 29 gennaio 1542 « Allora renderò conto della grave reprensione che V. S. Rev.ma fa prceter consuetudinem de la sua dolce natura, se pur tocca a me più che a Mons. Marco Antonio e alli altri nostri qui, che si trovano più richi di quelle cose che lei desidera fossimo più larghi nel comunicare con altri, nel quale so che la mia povertà mi excuserà sempre, ecc. ».
Vittoria Colonna, quest’altri anima assetata di santi colloqui, si lamentava con Donna Giulia Gonzaga di non essere interamente soddisfatta e alludendo ai suoi compagni scrive: « ... che mi bisogna desiderarli troppo, non dico solo monsignor eh’è Occupatissimo e lo ho per ¡scusato, ma 11 nostro ottimo spirito M. Flaminio non lo ho visto se non due volte poi che venne, si che, se non fosse M. Luigi Priuii e il Sig. Carnesecchi, io starei assai male ».
E al Card. Morene scriveva : « Sto bene in questo silenzio, e quanto più per grazia di Dio il gusto, più compassione ho alla signoria vostra reverendissima, ma il Signore con tanta pace le parli dentro, che non senta li strepiti di fuora, come la mia debilità lì sentiva... ».
Ma oltre ai santi colloqui che si espandono nella intimità delle anime e Dio, vi dovevano pur essere tra questi compagni delle serene discussioni intorno ai punti più controversi della dottrina cattolica, discussioni certamente assai libere, poiché questi punti discussi non erano ancora stati sottomessi alle decisioni del Concilio di Trento; e gli animi allora più si accaloravano sulla questione della giustificazione e del Libero Arbitrio.
Sostenevano ¡ riformatori che l’uomo è giustificato unicamente per i meriti.di Gesù Cristo senza che le sue opere abbiano influènza sul suo destino futuro; sostenevano i cattolici Romani che la redenzione non ha valore per le singole anime se non è compiuta dalle opere loro e nel calore della disputa, come sempre avviene, ciascuna parte esagerava la propria caratteristica si che scavavano l’abisso, eccitando sempre più con le proprie esagerazioni la reazione 'dell’altra.
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I RITROVI SPIRITUALI DI VITERBO^NEL Ì541 £99
Scordavano gli uni che, secondo S. Paolò, il Cristiano deve compiere in se la Passione di Cristo e proprio mentre si appoggiavano all’apostolo per sostenere ì’onnipotenza della sola fede, non approfondivano il profondo significato della fede paolina, non scarna, non puramente intellettuale, ma feconda di amore e di opera. Trascuravano gli altri l’elemento essenziale della fiducia nei meriti infiniti del Redentore riducendo la religione in una quantità di pratiche, vuote dello spirito interiore, ed imponendo delle penitenze corporali che erano ingiuria alla misericordia di Dio.
Come vedeva la questione il nostro .piccolQ. gruppo? Teoricamente simpatizzavano con la teoria dei riformatori, cioè la giustificazione per la fede, ma praticamente cercavano con la loro vita di comporre il dissidio che in nome di Dio lacerava l’unità della Chièsa.
E l’esponente di questa conciliazione pratica era naturalmente il Card. Polo come attesta ancora il Carnesecchi nel processo : « Era tra noi convenienza quanto al sudetto articolo : dico tra noi cioè tra il Friuli et il Flaminio et me » : mentre del Card. Polo e della Marchesa di Pescara rende questa preziosa testimonianza : « Non mi ricordo che si sia parlato, nè trattato tra noi et quella Signora d’altro dogma che della giustificazione per la fede et nè anche questo saprei dire a punto con che circostantie ella se tenesse, ma basta che l’attribuiva molto alla gratia et alla fede in suoi ragionamenti. Et d’altra parte nella vita- et nelle ationi sue mostrava di tener gran conto dell’opera facendo grande elemosine et usando charità universalmente con tutti, nel che veniva a osservare et seguire il consiglio che diceva di averli dato il Cardinale, al quale ella 1 credeva come a un oracolo, cioè che ella dovesse attendere a credere come se per la | fede sola s’havesse a salvare, et d’altra parte attendere ad operare, come se la salute /] sua consistesse nelle opere ».
Ma nessuno meglio dello stesso Cardinale può darci quest’ impressione di equilibrio tra la fede e le opere, attraverso la sua stessa vita e le parole che scriveva ai Contarmi il. 1® Màggio 1544: « Quanto al loco di S..jBernardo notato da V. S. Rev.ma dove parla così esplicitamente della giustizia di Cristo, 1’averno trovato e letto insieme, con questi nostri amici, con grandissima soddisfazione di tutti. E considerando da poi la dottrina di questo santo uomo dove era fondata e la vita insieme non mi è parso meraviglia se parla più chiaramente degli altri, avendo tutta la sua dottrina preparata e fondata sopre le .scritture sante, nel quali, nel suo interior senso non predicano altro che questa giustizia ; ecTespresso avendo così bel'commento per intendere quel che leggeva, com’era la conformità della vita, la quale gli dava continua esperienza della verità imparata, e per questo doveva essere risolutissimo. E se gli altri avversari di questa verità si mettessero per questa via ad esaminare com’ella sta, cioè, per queste due regole dèlie scritture e dell’esperienza, cesserieno senza dubbio tutte le controversie».
Un’altra questione importantissima intorno a cui fervevano i dibattiti era quella del Libero Arbitrio. Se nessun documento diretto ci attesta in qual senso ne discussero gli amici di Viterbo dobbiamo però credere che’ non si scostassero dalle opinioni del Cardinale Contarini che proprio in quei giorni ritornava da Ratisbona animato, in quanto a certe dottrine particolari, dallo spirito conciliativo che già conosciamo e più che mai persuaso della necessità di una riforma cristiana in seno alla Chiesa, e non soltanto disciplinare. Egli, già da parecchi anni, a Vittoria Colonna che aveva invocato i lumi del Cardinale sul problema del Libero Arbitrio, rispondeva una lettera che sarebbe troppo lungo il riportare e forse pericoloso il riassumere (1).
Dirò soltanto che dopo aver spiegato, sulla scorta di Aristotile e dei Padri, il significato delle parole Libertà e Arbitrio passa a dimostrare con gli argomenti della fede cattolica dedotti dalle Scritture, quale fosse originariamente la vera libertà dell’uomo, creato retto e continua così : « La volontà nostra, quando fu veramente libera, posta
(1) Suppl. ài Carteggio di V. Colonna, pag. 47.
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in Dio, non aveva nessuna repugnantia, come dice il Profeta nel salmo 118. Pax multa diligentib'us leges tuam, et non est in illu scandalum. Fu adunque creata la volontà nostra in questa rettitudine, et in questa vera libertà. Ma perchè ñon fu creata immobile in quésta rettitudine, et libertà, hayendo quella impotentia, detta di sopra, di potersi applicare ad altro bene particolare, come ad ultimo fine, dechinando da Dio, ch’è il bene universale, tentata dal Diavolo, et mossa dalla promessa fattale, che dovevano essere come dii, dechinò dai bene universale cioè, da Dio, e si voltò a sè medesima, ponendo l’ultimo fine suo in sè, nell’esaltation sua, ne commodi, et non Dio».
Dichiarando quindi l’insufficienza dei rimedi proposti dai filosofi (insufficienti perchè volevano attingere il rimedio morale nell’uomo che era corrotto nel principio primo delle sue operazioni perciò incapace di liberarsi con la sola forza della sua volontà) termina esaltando l’efficientissimo rimedio della redenzione cristiana. « Il mezzo suo, di pervenire a questa espiatione, et a questa gratia, è Christo, et la fede formata di Charità, nel Sangue suo. Et così incominciamo a liberarci di questa egritudine, in questo mondo, con la Fede et Sacramenti della Fede. Et così incominciamo ad avere per ultimo fine, Dio, e ñon noi medesimi. Incominciamo non cedere alla Concupiscientia, et infermità del’Apetito: ma resisterli, et superarle. Pur ci rimangono le reliquie.di questo, fin che viviamo in questa carne peccatrice ».
Nel corso dell’anno 1542 il cardinal Polo coi suoi due compagni lasciava Viterbo per compiere la sua missione a Trento, e Vittoria. Colonna ben presto rimaneva sola nel suo Convento di S. Caterina. Ma gli amici si ritrovavano ancora in quella vita dello spirito che prepara gli animi allo studio della verità ed alle lotte speculative.
Intanto nei vari centri d’Italia altri focolari si accendevano, centri di dottrina e di opere, i quali potevano efficacemente dimostrare che la carità e l’umiltà sono le prime ispiratrici di una vera riforma.
A fignoya, Catceina Fieschi Adorno dava la prima scintilla all’oratorio, da cui nacquero tanti istituti di carità, seguito presto dall’oratorio del Divino Amore di Roma. Nel Veneto, i primi chierici regolari di S. Gaetano da Thiene, portando in mezzo al mondo la loro assoluta povertà, protestavano contro la corruzione del clero dovuta alla indisciplina ed alla crescente ricchezza, mentre Iti istituzioni educative di S. Gerolamo Emiliani, prendendo cura della gioventù e degli orfani abbandonati cercavano di guarire il male fin dalla radice; e tanti altri ordini ed istituzioni potevano insomma testimoniare che il male era una prova sempre all’agguato per rovinare l’albero della Chiesa, ma sempre, però, combattuto dalla ventata interiore dello Spirito.
Firenze, gennaio 1919.
Zkklk Cadorna.
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UNA VISITA ALL'INGEGNERE KhlA
UN’ORA NELLA VITA E NELLA
STORIA DELL'ANTICO EGITTO
In un pomeriggio dell'anno 1600 circa prima di Cristo — dunque più di 3500 anni or sono — su per una valletta tra dirupi e rocche arsicce, sulla sinistra dei Nilo e quasi di fronte all’attuale meschino villaggio di Luxor, molto prima di giungere ad Assuan, alla grandiosa diga ed alle cateratte, un numeroso stuolo di operai, sotto la direzione di capi facilmente riconoscibili fra l’altro pel corbaccio di cuoio d’ippopotamo di* cui erano armati, stava lavorando affannoso ad ultimare una opera di colmata, muovendo e trasportando terra, massi e pietrisco.
V’erano fra loro negri della Nubia alti, forti, dalle labbra tumide ; uomini col caratteristico profilo assiro e caldaico dalla pelle bianca ; puri esemplari del tipo israelita dal colorito pallido ; e splendidi campioni della razza indigena d’una calda tinta caffè e latte.
Guardando intorno si vedevano le tracce di un cantiere di lavoro, di sentieri, di strade che ormai cedevano e sparivano sotto un intonaco giallo-brugo uniforme di terra smossa; che. cancellava i ripiani, le trincee,He spaile e le controspalle; L’affacenda-mento, ordinato nell’apparènte disordine, era evidentemente rivolto a distruggere un lungo lavoro, che aveva reso prima accessibile quella località aspra e desolata, collo scopo di ridare al paesaggio circostante il primitivo carattere di selvatichezza e di inaccessibilità.
Ad occidente della vailetta si ergevano alti dirupi ; ad oriente, salendo sui monticeli! di detriti, lo spettacolo era meraviglioso. Poco sotto, a un mezzo chilometro circa, si vedevano le caratteristiche costruzióni cubiche, col tetto piatto, di una piccola città-; e v'erano tratti di coltivato ad ortaggio e giardini con palme e sicomori ed alberi tropicali.
Più oltre la collina digradava rapidamente e svaniva in uno dei più splendidi piani che il mondo abbia mai visto. Profili di edifici colossali dai con
torni geometrici recisi e netti nella limpidezza dell’aria ; figure di giganti seduti in una prateria d’un verde intenso;- fantasiose strade lunghe più chilometri, chiuse tra rigidi allineamenti di sfingi impassibili e misteriose ; e snelli obelischi puntuti ed alti piloni; e poi il nastro rutilante del Nilo, di dove il sole, già digradante al tramonto, faceva sprizzare fiamme in uno sfondo di cièlo purissimo. Più oltre, distesa sulle due rive dèi fiume misterioso, ma più sulla destra di esso, una immensa, maestosa città, di cui si vedevano gli allineamenti delle strade principali, i giardini folti di verde si da lasciare indovinare una vegetazione esuberante e trionfante, i confusi affollamenti di edifici dei quartièri popolari, e, oltre il fiume,- delle vere oasi di templi di una grandiosità ignota e superante i sogni della più fervida immaginazione ; e poi un accavallarsi lontano di montagne Sfuggenti verso nord e verso est, fino ad una vasta estensione deserta.
Lo scintillante specchio del Nilo, rotto qua c là da isolotti di un verde smeraldo, era solcato da barche e da feluche è dà navi maggiori; e sulle sarte pendevano ancor floscie, ma già in attesa della brezza vespertina, vele rosse e violacee, mentre le prore aguzze ed altamente rilevate in profilo di uccello, sotto l’impulso delle due file di vogatori, tagliavano la lucida e infiammata superficie in vario senso. E grandi uccelli acquatici si sarebbero invero dette quelle snelle galee, viste di lontano, anche perchè gli strani timoni in forma di due immensi remi, posti dietro la nave ai lati, ricordavano mojto bene i piedi palmati dell’anitra e del cigno.
Era ben quella di Tebe la più maestosa conca che il mondo avesse mai visto e forse che mai fosse per vedére ; e l’occhio dell’osservatore avrebbe trovato di lassù cento e cento motivi interessanti per attrame ed arrestarne l’attenzione.
Però considerazioni siffatte non turbavano lo.spiM
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rito della moltitudine di operai di cui dicemmo. Nessuno, neppure i sorveglianti, si arrestava a guardare uno spettacolo, del resto famigliare, intento come era ad ultimare il lavoro che lo assorbiva.
Sul fianco della montagna, quasi in una ripiegatura della valle, dove più fervido era l’affaccendarsi, sì sarebbe potuto scorgere ancora il vano di un corridoio che si sprofondava nelle viscere della roccia ; ma per poco, perchè i massi rotolati a forza di braccia dagli schiavi, sui quali talvolta s’abbat teva spietato il corbaccio dei sorveglianti, i panieri di terra e di pietrisco, recati come da una processione di formiche dai Nubiani, che salivano in fila continua a rovesciare il carico loro, a poco a poco aveva colmato il vano nero ed uguagliato il declivio del monte. Intanto strade' e sentieri erano già stati sconvolti, e la schiera dei manovali era calata a basso. Il sole scendeva dietro la breve cortina di montagne, per tuffarsi nell’immenso oceano sabbioso e sassoso del deserto.
Gli ultimi sprazzi di luce sanguigna, opalescente, violacea salivano dall’ampia valle dèi Nilo. I capi ed i sorveglianti del lavoro si erano avvicinati un’ultima volta all’apertura funebre, ormai dèi tutto celata. Un sacerdote del tempio della dea Hator, tempio che si ergeva poco lontano, aveva ancora una volta fatto le genuflessioni e gli scongiuri di rito; infine anche tutti questi erano discési, tenendosi ai massi del dirupo, ormai come separato dal contatto degli uomini.
L’alto personaggio, la cui tomba s’era ora chiusa, riposava in pace nelle viscere del monte che egli stésso aveva tante volte scavato o fatto scavare, nella lunga attività sua come ingegnere direttore dei lavori della necropoli di Tebe.
Quindi erano passati i giorni, erano passati i mesi, erano trascorsi gli anni. I discendenti del defunto, per qualche tempo, si erano rammentati di lui; qualcuno forse era salito a stento fin lassù, dove la pietà e la religione mantenevano un rispetto assoluto e superstizióso delle cose funebri; poi la famiglia s’èra estinta; i conoscenti erano anch’essi morti ; ed erano subentrati altri re ; altre divinità avevano ottenuto più favore di culto. Dei savi, dei magi, che sfogliavano i papiri rinchiusi nelle biblioteche dei templi meravigliosi della meravigliosa pianura, duecento o trecent’anni di poi, avevano trovato memoria di un antico illustre ingegnere, vissuto due dinastie indietro, e che aveva eseguito insigni lavori; ma dire dove ei fosse sepolto nessuno poteva. Horus solo forse, il potente Horus, che dardeggia dall’alto, forse egli lo sapeva.
Poi altri anni e secoli erano passati ; l'abbandono aveva cominciato a subentrare al fervore di vita giù nel piano. Le molte tombe della metropoli già difettavano di sorveglianza, durante la notte, e talora di giorno, manipoli di predatori, gente dèi popolo, e talvolta anche dèi funzionari, erano saliti lassù;
e guidati da certi indizi, avevano scoperto, aperto, violato, saccheggiando le- tombe più facilmente reperibili, che la pietà e il culto superstizioso avevano prima tenuto sacre e circondate di riverente rispetto.
La desolazione a poco a poco invadeva quello chè era stato il centro della più gloriosa civiltà egizia. Sulla meravigliósa valle s’era fatto il silenzio, ‘ mentre intorno, lontano, altri focolari di luce d’arte, di religione, di sapere politico e di organizzazione sociale si accendevano e si spegnevano. Mentre lo spirito umano, tormentato dall’assillo di conoscere, e travolto dal torrente della passione, andava per nuove vie, verso nuove plaghe della terra, qui la necropoli scendeva dalle rocche a valle ; la città dèi mòrti, come un immenso polpo, snodava i suoi lenti e fatali tentacoli sulla conca tebana già trionfante di vita; e tutta la vallata, già verdeggiànte di rigogliosa vegetazione e di coltura, già folta di quartieri, di templi, di edifici maestosi, tutta era diventata una sola, una sterminata necropoli. Tebe, che era stata la culla nella quale si era rigenerato l’antichissimo impero egizio di Menes e di Cheofe, rigermogliando nei nuovi è più poderosi polloni delle dinastie dei Tutmosidi e dei Ramessidi; Tebe, che era stata una delle più fastose e splendide città del mondo antico, la gloriosa ed esaltata metropoli della quale Omero doveva dire le laudi immortali, « Essa ha cento porte, da ciascuna delle quali escono zoo uomini robusti e pronti al combattimento coi cavalli e coi finimenti » ; Tebe, che era stato il centro ed il ‘campo di azione della forte e valorosa discendenza di faraoni sotto il cui scettro l’Egitto toccò l’apice del potere ; Tebe era diventata la città delle tombe ; ed essa stessa si era adagiata, come in un lenzuolo funebre, colossale mummia dell'impero nilotico, tra i due deserti e tra le rocce delle aride catene, dóve il padre Nilo, invano fecondo, •cercava di portare ancora i suoi doni, ma inutilmente, perchè una popolazione di morti aveva preso il pósto di una popolazione di vivènti !
Nel silenzio e nella spessa tenebra del sotterraneo, in cui erano .state póste le mummie del valente ingegnere e della graziosa sua compagna, era subentrata l’immobilità e l’impassibilità della pietra; si sarebbe detto di essere in una delle ascose caverne che il pensiero nostro immagina nelle viscere della terra, dove mai giungerà sguardo d’uomo; nemmeno il rumore del tarlo, lo scricchiolio tenuissimo delle mandibole del verme roditore, nulla rompeva l’altissimo silenzio, in quell’aria asciutta che sfida la corruzione organica. Gli occhi aperti, dipinti sul coperchio del sarcofago, atteggiati in una fissità tranquilla e sicura, guardavano nel buio opaco, guardavano .da secoli, guardavano da millenni, guardavano nella immensità del tempo e dello spaziò!
La disposizione casalinga di ogni oggetto; l’assetto di quella tomba in forma ed apparenza di abitazióne di viventi sembravano essere un’attesa.
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UNA VISITA ALL’INGEGNERE KHA
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Le due .mummie, come dormenti, parevano infatti aspettare pazientemente il gran risveglio alla consumazione dèi secoli.
E un giorno, erano scorse ormai decine e decine di secoli, degli echi sordi avevano risuonato in quél vano sotterraneo; nel profondo di quella tenebra era giunta di lontano la vibrazione dei colpi di pie cone. Chi dunque veniva a turbare la pace eterna? Chi stava a battere alla porta della abitazione del-l’Ingegnere Kha e della sua signora, la gentile Merit?
— Il geniale intuito di .scienziati accesi dalla passione di ridestare ed interrogare la vita del passato per trovare in essa la spiegazione dell’eterno enigma della esistenza umana, che tormenta ogni cuore d’uomo, il geniale intuito, dico, aveva guidato i ricercatori nella conca di Tebe, verso la valle delle Regine, nella piccola anfrattuosità di Der-él-Medinet.
Ed ora essi, i ricercatori, coll’ansia del dotto che ha posto la mano su un tesoro del sapere, colla commozione dell’uomo di alto sentire che sta per interrogare la vita del passato ed udire direttamente da chi visse e soffrì, essi erano là, mentre i massi e la terra rimossi già lasciavano scorgere il buio dell’andito che un giorno, 3500 anni prima, in un tramonto di sole, era stato celato con cura gelosa affinchè occhio umano; — finché il sole splendesse sulla valle del fiume sacro e divino — mai non venisse a contemplare quello che era stato il quotidiano vivere di tempi per noi favolosamente remoti ; poiché la scena che cercammo di rivivere, e che la scoperta della tomba e l’apertura della casa di Kha e di Merit hanno tratto dal profondo dei secoli, avveniva quando il Foro Romano era ancora una palude mefitica e sulla rocca del Palatino erano folte selve popolate dà fiere, quando Atene era villaggio di capanne forse, quando Mosè non era àncora nato, quando gli ultimi patriarchi erano appena scomparsi dalla scena storica,
— Chi legge la relazione degli scavi italiani a Der-él-Medinet negli anni 1905, 06, 07, compiuti dalla missione archeologica capitanata dal prof. Ernesto Schiàparelli, direttore del Museo di Antichità di Torino, non può, anche nella sóla, semplice e disadorna traccia del lavoro compiuto, non ¡scorgere e risentire la commozione che doveva agitare il cuore degli scopritori, il tumulto di rievocazioni che doveva assalire la mente dei giustamente fortunati esploratori.
Merita conto di rivivere le ore di quel primo rituffo in un passato millennario, così diverso dal nostro présente, per un lato ; così simile ad esso, per tanti altri.
— Der-él-Medinet è il-nome che gli Arabi della regione del medio Nilo danno ad uno dei vallon-, celli del cimitero o necropoli di Tebe. Si apre esso alquanto dietro il tempio o Memnonio di Ramesses III, a Medinet-Abu, e dietro al Ramesseo, o tempio di Ramessos II, il Sesostri Greco. Verso ovest il valioncello di Der-él-Medinet confina colla valle dove erano le tombe delle Regine, nota sotto il-nome di « valle delle Regine»-, e verso nord con quella dove erano raccolte le mummie dei Faraoni, o « valle dei Re >.
La valle è piccola, e verso la parte centrale ha un piccolo tempio dedicato alla dea Hator, protettrice della ragione. Questa dea, che in alcune regioni dell’Egitto aveva i sommi onori, è rappresentata in uno dei più bei rilievi murali dell’arte Egizia nel tempio di Dendera; e nella mitologia del paese è, volta a volta, considerata la madre o la moglie di Horus, il sole; ma in realtà corrispondeva alla dea Venere dei mondo greco.
La vailetta, verso ovest specialmente, si innalza per dirupi e rilievi collinosi, che si erano venuti tramutando in un vasto cimitero, come la collina ed il poggio di Staglieno. Già al fondo era sorta, per le necessità di lavoro, una cittadina, e v’erano casette e qualche edificio di maggiori dimensioni, e giardini ed orti e boschetti e templi. Ivi abitavano i funzionari del grande cimitero, gli scavatori, i seppellitori, gli scalpellini, gli scultori, gli ispettori ed i sacerdoti addetti ai servizi di estremo rito religioso.
La piccola città, di cui non si registra il nome, distava ih linea retta 3 km. dal Nilo, e circa 1 km. dalla statua di Memnone. Dai documenti e dalle iscrizioni raccolte si può dedurre che essa abbia durato per parecchi secoli, fra il xvx ed il xvn secolo a. C. ; cioè dalla morte del patriarca Giuseppe, il grande e glorioso figlio di Giacobbe, alla giudicatura di Eli, il debole governatore d’Israele; ed è quindi probabilissimo che degli Ebrei vi siano stati deportati relegati come schiavi addetti ai lavori della necropoli, perchè nella regione di Tebe gli artigiani e gli operai a quell’epoca dovevano contarsi a migliaia ed a decine di migliaia.
Quando la missione archeologica giunse nella località in discorso, la trovò cosparsa di monticeli! di detriti, di terra, di pietre ; sicché occorse l’opera di un centinaio di operai indigeni, che asportarono la terra in panieri di fibra vegetale intrecciata affatto analoghi a quelli usati negli antichissimi tempi e conservati nella tomba dell’ingegnere Kha, per esservi stati abbandonati nell’anticamera dagli antichi seppellitori.
Sulla destra del tempio fu esplorato il < monte dei rifiuti », analogo ai « Kiokkenmoeddings » delle stazioni preistoriche danesi, ed alle « terremare » delle nostre stazioni preistoriche dell’Alta Italia.
Qui, insieme a molti oggetti rotti o resi inservibili dall* uso, se ne rinvennero molti in buono stato, coi quali, scrive lo Schiaparelli, « si può ricostruire la vita famigliare di quell’amica gente vissuta ai tempi in cui gli Israeliti penosamente eie-
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varano i grandi edifici egizi sotto i colpi di cor-baccio dei loro dominatori >.
Dal lato sinistro del tempietto di Hator si scavarono le rovine di una cappella votiva pel culto degli antichi faraoni, che dal popolo egizio veni-. vano divinizzati. Ivi tornarono alla luce statue cd importanti cimeli ; tra cui, sepolti sotto vari metri di macerie e di detriti, furono trovati due vasi di argilla chiusi. Tolto l'intonaco e la tela che ne co priva la bocca, furono tratti fuori $2 papiri, di cui 9 in caratteri greci e 43 in Scrittura demotica, costituenti 1’ archivio di una famiglia egizia vissuta sotto il regno di Cleopatra III (ni sec. a. G.) (periodo Tolemaico) cioè ad un’epoca in cui, riguardando ai monumenti funebri sparsi sulle circostanti rocce, i proprietari dell’archivio potevano risalire col pensiero tanto indiètro quanto risaliamo noi quando tentiamo di rivivere l’epoca di Carlo Magno o anche di Costantino il Grande.
Sulla destra del tempio di Hator si trovò una statua di legno figurante la regina Nefertari. Furono pure tratte in luce varie piccole tombe, e fra esse quella di Mai, adorna di' vivacissimi e leggiadri dipinti conservatici al Musco di Torino.
Questi affreschi, in rosso, bianco e nero, rappresentano offerte è libazioni, ed una nave sul Nilo con figurine alte dai 20 ai 50 cm. Mai era uno scriba addetto alla necropoli tebana verso il secolo xiv a. C., cioè all’epoca, di Mosè.
In una piccola insenatura della vaile infine fu trovata la tomba dell’ ingegnere Kha (1). Rimosso con fatica il cumulo di macerie, apparve la porta che si apriva nella montagna. Dopo essa l’andito scendeva' ripido per una scala di pochi metri, in fondo alla quale uh muro sbarrava il passo. Abbattuto il muro si entrava in un vano che era l’anticàmera della tomba. Nell’anticamera si trovarono un lètto, due grossi panieri e dei vasi che non avevano potuto essere contenuti nella camera sepolcrale. Si entrava in questa per un’apertura bassa, praticata in fondo all'anticamera, e chiusa con una solida porta di legno. La porta, formata con grossi tavoloni d’un legno rosso di conifera simile all’abete, ben conservata, era chiusa dall’ interno con uh paletto di legno uscente dal muro, per un gioco ingegnoso fatto funzionare dall'esterno, probabilmente con una funicella poi asportata ; e ciò affinchè una volta chiusa la porta, mai più la si potesse aprire se non sfondandola. Forzata questa con difficoltà, eccoci nella tomba, dove lungo le pareti sono de posti i triplici sarcofagi contenenti le mummie del proprietario, l’ingegnere Rita, e di sua moglie Me rit, avvolte in lenzuoli di finissimo lino, mentre
(1) La tomba di Kha.fu fedelmente, scrupolosamente ricostruita nel Museo di antichità di Torino, dove l’illustre' e sagace egittologo Ernesto Schiaparelli raccolse cd ordinò la ricchissima suppellettile trovata dalla Missione Italiana nella Valle dello Regine a Tebe.
presso di essi e tutto intorno è una ricca e suggestiva suppellettile.
■ Ed ora seguitemi, cd entriamo a visitare l’eccelso funzionario, che forse a’ suoi dì si ricordava del patriarca Giuseppe per averne sentito vantare l’alta saggezza amministrativa in tempi di terribile distretta pel paese; perchè egli, l’ingegnere Kha, aveva percorso quella valle e quelle montagne xvx secoli a. C., cioè duecento anni prima della nascita di Mosè.
A visitare, ho detto ; non si tratta invero di un pellegrinaggio tetro ad una tomba, .ma di una visita ad un personaggio distinto.
Quel senso di reverenza muta e di indefinito ribrezzo che per noi si unisce sempre, poco o tanto, all’idea di mettere piede in un sepolcro, non ha qui luogo di essere. C’è, è vero, una profonda sensazione di solennità, derivante dal peso del tempo trascorso, delle migliaia d’anni volate via fra il momento in cui in questo ambiente del passato ferveva la vita, e quello in cui noi ci troviamo a varcare la soglia della casa di Kha ; ma questo sentimento che afferra lo spirito, e che, per poco che si sia facili rfl fantasticare, commuove profondamente, nulla ha da fare col sentimento che suscita la presenza di un defunto; perchè noi siamo bene, non nella tomba, ma nella casa ài Kha; ed a momenti ci parrebbe' che, sì lui che la Signora Merit, fossero per levarsi e rivolgerci la parola e chiederci: « che cosa è avvenuto di nuovo nel mondo da ieri sera quando ci addormentammo di un sonno sì profondo? ».
— Siamo davvero in una casa ; ed osservando intorno, sentiamo ridivenire attiva una vita dome stica che si poteva credere inaccessibile alla nòstra conoscenza sicura, e solo intravedibile attraversò i sogni della. immaginazione dei romanzieri più fantasiosi ; vita che ci si rivela per tante minuzie cosi simile alla nostra, starei per dire, così moderna.
La brava Sig.ra Merit. moglie dell’ingegnere, da buona padrona vuol farci gli onori di casa; e per un’ambizione facilmente spiegabile di savia massaia, ci accompagna anzi tutto a vedere la cucina e la dispensa. Siamo a Tebe in un paese dove i prodotti dell'agricoltura sono abbondanti, svariati e vistosi. Ecco delle reti piene di frutti della palma dum « duna thebaica » ; sono frutti che paiono noci, e contengono una polpa che era molto ricercata dagli Egizi. Nella madia sono dei vasi colmi di pani tondi, in forma di focaccia, che ricordano quelli trovati poi carbonizzati nelle « fiutine » di Pompei. Non mancano vasi di farina di frumento e di orzo, che- la schiava palestinése o caldaica avrebbe poi intriso d’olio o di burro per formarne paste col miele, per le quali trovate nel ripostiglio le forme d’argilla e di bronzo.
Guardate dunque che cura .sollecita; sono qui perfino tavole già imbandite di pani e di tali fo-
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cacce ; e accanto ad esse uova di gallina e di anatra ! Appesi a ganci sono fasci e trecce di agli e di ci polle; e pòi; su deschi o sgabelli, piatti di datteri, di uva secca, di melagrani e d’altri frutti ; e pòi pesci secchi preparati certo da una allora fiorente industria alimentata abbondantemente dalla ricca fauna ittiologica del Nilo.
E’ vero, forzatamente mancano le vivande fresche, perchè lunga doveva essere la notte in cui l’ingegnere e sua moglie che ci accolgono, avevano da riposare attendendo la nostra visita ; ma per contro non scarseggiano i viveri conservati in sale ; c'è della carnè di selvaggina, degli uccelli, probabile • mente delle quaglie colte alle reti come ce lo mostrano i suggestivi ed ingenui disegni .degli antichi artisti egizi. Caratteristici sono della polpa di tamarindo che non ha ancora del tutto perso l’antico profumo, e del grasso ancora pastoso. Ma la buona massaia ha pensato anche alla ripresa continuata, e non solo momentanea, della antica attività ; e non sono soltanto i viveri pel momento che essa ha prov-veduto, ma anche i semi, che vediamo qui divisi per specie e che dovrebbero andare a rifecondare il .suolo felice cui l'acqua del padre Nilo sembra dare un turgore esuberante di vita.
Dalla (fucina, dove qua e là sono deposti vasi di bronzo per l’acqua e pentole, e dalla dispensa se--guiamo i nostri cortesi ospiti ; l’ingegnere si è fatto incontro anche lui e vuole farci vedere quello che era lo studio ed il gabinetto da lavoro di un architetto di 35 secoli fa.
Anzi tutto ci mostra un interessante cubito, il metro di quell’epoca, misura tebana snodata, di circa 60 cm. Accanto ad esso è la ricca borsa di marocchino rosso che gli serviva da astuccio, e mediante là quale lo strumentò poteva appendersi alla cintura. Lo strumento era là vera insegna dell'arte, perchè un giorno, probabilmente in occasione di qualche fèsta o di qualche solènne inaugurazióne, un elegante e ricco cubito di legno ricoperto di lamina d’oro era donato al valente professionista, ed anche questo cubito, di un delicato lavoro di precisione, è tra la suppellettile di casa. Un po’ più in là un livello ad acqua, anch'esso coi suo astuccio per poterlo trasportare, ci avverte come i metodi di geometria pratica per fissare le quote e costruire le rampe di accesso fossero allora poco dissimili dai nostri, salva la tecnica degli strumenti.
-Una interessante cassetta di utensili contiene forbici ed aghi di bronzo, un’accetta da carpentiere pure in bronzo, scalpelli ed un notevolissimo trapano per forare pietre; notevolissimo,-dico, perchè del tutto analogo ai trapani attualmente usati dagli scultori in marmo. Ecco poi la tavolozza con la cannuccia ed i colori coi quali l’abile mano del padrone sviluppava sul papiro le relazioni ed i rapporti mediante strani ma geniali allineamenti di figurine e di geroglifici.
IL benevolo ospite non esita a mostrarci anche quello che gli serviva per la rapida toeletta prima di recarsi sui cantieri di lavoro ; ecco infatti lo stibio pel nero alle • sopraciglia, spilli e rasoi di bronzo dalla larga e tagliente lama antenati delle moderne delicate lame Giletce.
Entriamo nella guardarobba ; qui è la tonaca di parata dell’ingegnere, pannilini, sottovesti, lenzuola di tela di lino finissima, d’una morbidezza che stupisce, mazze da passeggio, cofani con tubi di nero per toeletta, anelli di turchese del Sinai con sigillo e marca personale per autenticare gli ordini ed i comunicati ai funzionari dipèndenti ; e. curiosissimo, un sacco da viaggio formato- di stuoia delicata-, orlato di marocchino rosso, con lembo fatto a tasca per la'.biancheria. Certo seguiva l’ingegnere nei suoi viaggi, e, se fosse il caso, potrebbe essere utilizzato oggidì.
Passiamo nella camera da letto. Un cofano adorno e dei panieri di fine intreccio tengono il posto del cassettone; essi servivano per riporre la biancheria e le vesti che ancora li Occupano. Il letto nuziale, lungo m. 1,80 e largo in proporzióne, è sopportato da 6 piedi lavorati- a foggia di zampa. Mancano i materassi che erano ignoti, ma il traliccio che lo ricopre è abbastanza elastico e morbido. Su di esso sono due appoggia-testa — non chiamiamoli cuscini ! — somigliantissimi a quelli ancora in uso in molti paesi dell’Africa, p. es.. nel Basutoland.
Ed ecco coperte meravigliose a lunghi e bellissimi fiocchi, vero lavoro a giorno: e tela intessuta a disegno lavorato come arazzòV sedie pieghevoli con sedile in cuoio rosso e colle gambe intarsiate d’ebano e d’avorio, sgabelli, un treppiede per sostenere vasi o profumi.
Qui di nuovo ci fa dà guida la Sig.ra Merit, desiderosa di mostrarci il piccolo « boudoir > di una signora che certo frequentava la società distinta di Tebe. Mentre esaminiamo con curiosità, la gentile Signora sembra sorridere con una leggera punta di malizia canzonatrice dalla vivace immagine che, sul rimosso coperchio del dorato sarcofago, ne riproduce le fattezze come quando essa si aggirava tra questi oggetti che le erano familiari e cari. Ecco il* paniere da lavoro della Sig.ra Merit, con aghi, tela, gomitoli e specie di rocchetti di filo, forbici, punteruoli pei lavori a giorno. Ecco poi una ricca parrucca con belle trecce di capelli castano scuri che la Signora usava nelle visite e nei ricevimenti; ed .ecco — qui è forse là causa del malizioso sorriso canzonatòrio! — la cassetta di Merit eòi suoi og-geti di toeletta. Essa era chiusa e suggellata con sigillo di creta, indizio questo di cosa indubbiamente molto gelosa ^importante. Ma la curiosità indiscreta degli scopritori ha rotto il suggello.' Quante cosucce delicate e interessanti ! Graziosi vasi ed ampolline di alabastro e di corno per pomate ed oli profumati con cui spalmare la pelle, spilloni da testa di
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avorio artisticamente lavorato, un pettine di légno, rasoio di bronzo, uno specchio di bronzò levigato, colori e tavolozza da stemperarli per dipingere le sopracciglia ed accentuare l’incarnato delle labbra, un ventaglio, un giuoco di dama colle relative pedine, ~ di una specie e 5 dell’altra, un giuoco di birilli, e... ve la dò in cento ad indovinare, il bastoncino per arricciare i capelli, che potrebbe benissimo servire anche ad una signora di oggidì, la quale, a chi osservasse che si tratta di vanità e nuli’altro, potrebbe rispondere, che è una vanità resa solenne e scusabile da una tradizione di ben 35 secoli; e non vi garantisco che Merit ai suoi tempi non potesse vantare per quella una tradizione più che secolare !
Nevvero, quanto è cambiato il mondo da 3500 anni in poi, e come cambiando è rimasto lo stesso !
Ma se per un verso il contenuto del cofanetto di toeletta di Merit si presterebbe alla osservazióne ed al commento spiritosamente leggeri, per altro verso, più che volumi di ragionamento, più che argomen fazioni scientifiche, vaie a farci giudicare l’uomo con largo spirito di compatimento, con bonaria filósofofia; poiché le debolezze, le piccole vanità, le ambizioni legittime e le esagerate, le buone aspirazioni c le meschine, che ora si trovano in lui e ne umiliano l’orgoglio, e ne limitano i superbi sogni, già erano tali e quali negli antichissimi predecessori suoi, rivelando così una intima natura dove la forza è unita alla debolezza, la maestà alla miseria, il divinerai terreno!
E questa constatazione filosofica risulterebbe anche più e meglio se potessimo adeguatamente arre starci a rovistare nei .papiri della biblioteca dove Kha vuole gentilmente condurci. Vedremmo là infatti il giornale della necropoli di Tebe colla registrazione dei fatti quotidiani ; il giornale dello stato civile della città. E poi ecco dei papiri satirici — già, anche quelli ! — dóve i funzionari militari sono figurati come conigli, ed i civili come gatti; ecco il resoconto di un processo, con interrogatori, intentato contro funzionari di córte accusati di cospirazione; e poi un elenco dei giorni nefasti in cui non si deve nè partire nè sposare; forinole e preghiere di esorcismo; sentenze di tribunale per liti tra parenti; l’interrogatorio di un ladro davanti ad un giudice; brani letterari e racconti che probabilmente Mosè, il gran legislatore ebreo, studiò nella sua gioventù ; schizzi di disegni e saggi calligrafici; carte topografiche delle miniere d’oro della catena arabica; un papiro di massime morali relative ai doveri dei figli verso i genitori ; un altro rifercntesi ad un reclamo degli operai della necropoli di Tebe per non avere ricevuto la razione di vettovaglie ad essi spettante. Detto reclamo viene esaminato dal Consiglio degli anziani, — una specie di Probi-yiri — presieduto dal sottoprefetto della città ; ed il Consiglio riconosce fondato il reclamo stesso, c decide che
sia data agli operai la razióne che era stata sottratta. Ecco ancora un notevolissimo papiro, scritto sul diritto e sul rovesio, relativo ad un tumulto operaio con sciopero. Sul diritto del papiro un funzionario incaricato di una inchiesta sulle circostanze nelle quali il tumulto era avvenuto, scrive gli appunti che gli debbono Servire per compilare la relazione, sul numero degli operai sediziosi, sugli agitatori venuti di fuori. Sul rovescio poi ¡1 funzionario medesimo aveva scritto la relazione. Risulta da essa che i lavoratori della necropoli saliti su barche, delle quali si erano impadroniti a forza, si erano diretti in tumulto verso il centro di Tebe, dove si erano riuniti ad altre turbe sediziose. Tutti gridavano* abbasso Horo (che doveva essere un funzionario governativo), e chiamavano a testimonio il cielo sovrano di tutti gli dei e tutti gli dei del cielo. Poi vi era stato saccheggio del tempio ed intervento della truppa, la quale aveva — starete tutti per dire • aveva fatto fuoco dopo i regolamentari squilli di tromba, tanto la scena sembra dei nostri giorni !
— Ancora un altro papiro, e questo di valore scientifico immenso, contenente l’elenco di tutti i sovrani che regnarono in Egitto da Menes fino alle dinastie tebane; colla indicazione degli anni, dei mesi e dei giorni di regno di ciascuno, e colla rispettiva cartuccia distintiva. Infine ancora il papiro di una lite intentata da tale fioro della necropoli tebana, contro certa Hertnia per il possesso di una casa sita in Tebe ; papiro seguito da un altro in cui Apollonio, figlio di Hermia, litiga ancora e viene ad una transazione; per cui sulla casa erano passate due generazioni di procuratori e di causidici — con quale risultato economico pei litiganti potete immaginarlo ! e ciò nè più, nè meno di quello che accade, mettiamo pure, non sulle rive del Nilo regale, ma su quelle del Bisagno plebeo; non 1600 anni ante Christum natum, ma pròprio 1900/0;/ Christum natum !
— Ma se qualificai la nostra, ed è, più una visita in casa, che non un accesso ad una tomba, non dimenticheremo però che questa casa è anche la tomba dei due personaggi che ci hanno introdotto nella loro intimità famigliare, e ci hanno fatto prendere parte alla loro vita civile*.
E allora il pensiero si eleva, e il cuore sente la commozione di questo contemplare la spoglia rigida e mummificata di chi fu un potente e ubbidito funzionario, e di chi fu una grande dama riverita ed invidiata, di 3500 anni fa. La mummia dell’ingegnere Kha giace tutta ravvolta in bende, imbalsamata come voleva il sapiente procedimento che noi abbiamo dimenticato.
Essa è posta in un cofano tutto dorato e dipinto, a foggia di corpo coricato, con sopra figurato il viso sereno e tranquillo del defunto, collo sguardo fisso in alto;
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Il cofano ricchissimo era posto in un altro, c questo in un altro ancora.
Lo stesso per Merit, che però giace nel cofano non ravvolto in bende e sembra che dorma, colla faccia dipinta e dorata. Da validi indizi si deduce che i due coniugi debbono essere morti a poca distanza l’uno dall’altra, e furono sepolti insieme.
Vicino al lètto nuziale era il papiro funerario.
Svolgiamo la striscia fragile, fatta dalla preziosa foglia dèi cyperus papyrus.
Una teoria lunghissima di segni e di figurine a colori, chiosata da illustrazioni, ci dice quella che era la rozza fede di uomini e di donne che soffersero e conobbero il dolore come noi, e come noi sentirono il rimorso per opere che avrebbero voluto cancellare dalla storia della loro vita.
Il libro dei morti, questo caratteristico attestato della fede di un popolo nella vita futura, comincia col figurare il trasporto della mummia e le ultime cerimonie rituali prima della deposizione nella tomba. Oltre questa, è rappresentato il defunto, sempre in abito bianco, che, prima di cominciare il viaggio, in ginocchio dinanzi a Ra (dio del sole) scioglie un inno di adorazione.
Più avanti il libro formola le idee fondamentali della teologia egiziana. Di Ra (dio del sole) afferma : Io sono Ra, il gran dio che crea se stesso. I suoi nomi costituiscono il ciclo divino, ed egli è onnipotente: Fra gli dei io sono l'oggi e conosco il domani.
Più avanti, al cap. 30, il libro parla del cuore del defunto, perchè non gli sia tolto nel mondo inferiore e non sorga a portare Cattiva testimonianza contro di lui quando verrà giudicato. Per questo il cap.. 30 spesso veniva scritto su grossi scarabei di turchese, o su grossi amuleti a forma di cuore, e veniva collocato sul petto della mummia.
In seguito il defunto nel viàggio oltre tomba giunge ad un punto dove il serpente ed il coccodrillo cercano di impedirgli il cammino e di divorarlo; ma egli li combatte e li trafigge.
Eccolo quindi ai campi luminosi di Ra, detti campi della pace, circondati ed intersecati da canali e creduti dotati di fertilità prodigiosa. Il defunto vi è rappresentato in atto di arare e di seminare, perchè tutti i defunti sono chiamati a turno a compiere i lavori necessari per la coltivazione dei campi. Poi è il giudizio. In mezzo alia sala detta della verità è il trono di Osiride, giudice supremo,' assistito da 42 assessori rappresentati in alto su due file. Nel mézzo è la bilancia che porta su un piatto la penna di struzzo, segno di giustizia e di verità, e sull’altro il cuore del defunto, simbolo della coscienza. La bilancia è sorvegliata dai dio Anubi, dalla testa di sciacallo, e dal dio Oro, dalla testa di sparviero. Il dio 7hot, dalla testa di ibis, sta scrivendo il risultato, ed il mostro Amamit, in forma di ippopotamo femmina, è prónto a divorare il defunto se trovato mancante. Sulla bilancia c’è accovacciato
Hapi, cinocefalo, simbolo della misura. Il defunto in atto umile e professandosi innocente, accompagnato dalla dea Mai (la verità) dice: * io non sono un peccatore contro gli dei, non ho rubato, non ho ucciso alcuno a tradimento, non ho ucciso animali sacri, non ho depredato offerte, non ho alterato le misure del grano, non ho deviato corsi d’acqua, non ho commesso impurità. Invece ho dato pane all’affamato, acqua all’assetato, abito all’ignudo, barca al naufrago. Ho fatto oblazioni agli dei ed offerte ai trapassati ». Insomma davanti ai 42 giudici assessori il defunto dichiara di non avere commesso alcuno dei 42 peccati capitali. Del resto l’importante è che il defunto conosca la parola magica e il rito per vincere i giudici, e sappia recitarne bene la formola.
Infine, superato il giudizio, il defunto continuando il viaggio arriva ai piloni della casa del dio Osiride, ad ognuno dei quali sta di guardia un genio e testa di animale armato di lungo coltello, ed entra nel riposo.
Questo scritto, che si trova nella tomba di Kha e di Merit, era posto in tutte le tombe, e ci dice quanto la grande e sèmpre rinnovantesi quistione di quel che sia la realtà umana tormentasse il cuore e la mente di questi antichi, i cui lineamenti sono cosi simili ai nostri, la cui vita quotidiana era così simile alla nostra, le cui preoccupazioni supreme erano le nostre preoccupazioni supreme !
Ed ora ponete mente agli oggetti famigliati di quell’amica gente, come venimmo esponendoli ; fra essi sono perfino oggetti di uso necessario ed intimo : ecco le piccole cose esprimenti le loro piccole vanità e le loro piccole ambizioni ; ecco gli strumenti della loro operosità di gente di casa e di cittadini ; ecco sparsi dovunque i simboli, scolpiti in turchese, o figurati in disegni e pitture, della loro fede in una vita futura; ecco deposti sulle tombe, sui cofani i rami di persea significanti il rinnovarsi della vita. Tutto questo panorama di vita è fatto per rivelarci quello che queste mummie, dai lineamenti talvolta così fini e caratteristici, pensarono prima di essere avanzi mortali conservati attraverso i secoli. E allora uscendo all’aperto sulle alture di Der ¿1 Medi net, fuori della casa dell’ingegnere Kha, togliendoci alla suggestione famigliare dell’ ambiente casalingo di buona massaia della Sig.ra Marit, ricontemplando la maestosa conca di Thebe, sfila davanti alia memoria quelle che furono le gesta di queste mummie, prima di diventare relitto organico sapientemente conservato.
E’ davanti a nói la città dei templi, Tebe la grande; guardate, prima di là dal Nilo; il tempio di Luxor e quello di Karnak, il tempio di Khons e 7 quello di Mouth e fra èssi i viali di sfingi ; e di qua dal Nilo, il tèmpio a terrazze di Der-el^Baheri, quello di Seti F, il Ramesseo, il tempio di Ame-nofi III, i colossi di Memnone, il Memnonio di
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Ramsete III, il tempio di Tutmosis II, le tombe dei Re e quelle delle Regine, in una parola tutta quella poderosa e quasi frenetica fioritura di edifici sacri che caratterizza il periodo di maggior potere dell’impero egizio, il periodo delle grandi dinastie, dalla XVII* alla XX*. Dal momento in cui Amosis libera il paese dalla dominazione straniera dei popoli pastori calati dall’Asia, comincia la serie dei trionfi che resero l’Egitto arbitro del mondo durante parecchi secoli.
Amenofis P consolida le conquiste a nord ed a sud sulle frontiere. Totmes I* conduce i suoi eserciti in Asia e porta pel primo la spada reale fino in Mesopotania ; e poi Totmes II, e poi Totmes III, che intraprende una serie di spedizioni il cui racconto copre le mura di Karnak. Egli fa cadere sotto il suo giogo i popoli dell’Asia centrale, e tra i suoi vassalli figurano Babilonia, Ni ni ve, Sennaar.
L’Egitto sostiene tutta la sua potènza fino al regno di Amenofis III, che i Greci chiamarono Meninone, e la cui statua colossale spezzata, nel mezzo della piana di Tebe, risuonava al levar del sole. E dopo di esso i grandi nomi di Seti P e di Ramsete II, il Sesostri di Erodoto, il più grande comquistatore dei' tempi antichi, sotto il quale probabilmente gli Israeliti soffersero l’oppressione unitamente a tutte le altre popolazioni che questo faraone aveva condotte schiave dall’Asia; e suo figliò Menefta, sotto il quale avviene l’esodo del popolo che doveva andare a gettare nella Palestina le basi del mondo spirituale e morale moderno, di cui noi siamo i figli e che ormai c’è diventato connaturale.
E se lasciamo libera la fantasia eccitata, in questo ambiente storico dove i secoli contano quasi come anni, ci avverrà di risalire col pensiero il nastro splendente del Nilo, su su verso le. sorgenti per tanto tempo favolose, tra pareti di rocce istoriate a geroglifici, verso Elefantina e l’isola di File, che è tutta un grande monumento. E volgendoci a valle, seguendo la increspata.scia delle feluche prese dal vento, ci avverrà di volgere il ricordo a Wrenfi, culla dell’antico regno delle prime dinastie, di quella famosa 4* dinastia che lasciò le piramidi di Keops, di Kejren e di Miserino ; ci avverrà ancora di ar restare la mente alla regione di Fayoum colla meraviglia del Labirinto della XII dinastia.
Quali lunghi e numerosi secoli di gloria militare, di sviluppo di potenza e di coltura!
Questo è quello che hanno operato queste mummie, prima di essere resti.mortali che nell’ambito della tomba ci ricevono come nella loro casa di Tebe !
Ma se lo sforzo di risalire noi fino all’ambiente loro di vita, rivela la meraviglia di un regime di esistenza e di costumi famigliar! che destano il no stro più grande interesse e stabiliscono con essi vincoli di pensiero c di sentimento, se’immaginiamo per un moménto che essi, l’ingegnere Kha e la sua compagna Merit, tornino a destarsi ed escano per le vie ed ascoltino i nostri discorsi, e-si ren dano conto delle preoccupazioni che ci affannano,
del tormento di questa età e di quest’ora tragica della umanità, di fronte alla immensità del cambiamento materiale di vita, come per certi lati troverebbero lieve la trasformazione morale! E come forse ci considererebbero più con compassione che con invidia!
In questa Europa lacerata e insanguinata ritroverebbero lo spirito di dominio della forza brutale dei Totmes e dei Ramsete-, lo ritroverebbero nella frenetica allucinazione di imperatori e di popoli proclamanti una superiorità egemonica sul mondo che si credeva sogno maledetto di un passato iniquo. In questa Europa insanguinata, sotto altra forma, troverebbero la crudeltà di cui era teatro quotidiano la vita ufficiale dei faraoni dispotici, e che noi credevamo estinta sotto la vernice della gentilezza dei costumi. In questa Europa che conobbe là luce di civiltà di tante gènti, che seppe l’Evangeio del Cristo, ritroverebbero pensate dunque alle popolazioni del Belgio e della Francia invasi ! — ritroverebbero la deportazione in schiavitù dei popoli, come avveniva ai tempi di Ramsete e di Menefta'.
— Ma dunque, sarà degli ideali più santi, di giustizia, di diritto, di pace e di fraternità come di queste superbe, poderose e belle intelligenze che già brillarono vivide, e poi si adagiarono come ricordi funebri, mummie arricchenti il museo della storia del pensiero umano e dell’umano consorzio ?
Ma dunque sarà questa la sconsolata lezione del passato e del presente? Attendete!
Sul cofano dorato che rinchiude la spoglia corporea dell’abile tecnico e funzionario di Tebe è deposto un fàscio di rami di persea, una modesta pianta tropicale della famiglia delle laurinee. Questa piànta, presso il popolo Egizio aveva un significato simbolico, ed affermava la fede incrollabile degli antichi popoli nilotici nel rinnovarsi della vita sprigionatasi dai secchi tessuti dèlia mummia, e tale fede spiega in un certo senso l’ingenuo disporre delle tombe in una cornice di vita casalinga.
Còsi, in mezzo alle delusioni subite, ai sogni di realtà, credute entità etèrne, e poi tramutate in fredda spoglia mummificata, l’umanità riaccende la suà fede. Ad ogni delusione amara e dolorosa, riprendendo se stessa dopo breve accasciamento, depone la fronda simbolo di fede e di speranza nel rinnovarsi dèli’ideale eterno, cui è riserbato alla fine, il trionfo.
Guardando al cammino percorso dall’uomo nella storia dai tempi di Merit e di Kha, pensando alla visione netta ormai 1 aggiunta di una unità profonda del genere umano, ricontemplando l’ideale di vita recato ai mondo dal Cristo, sul sarcofago che contiene la spoglia della civiltà europea di ieri, anche noi deponiamo il ramo di persea, simbolo della fede incrollabile, che nutriamo in cuore, in una ripresa di vita più salda, più vigorosa, più feconda, più fondata sull’amore e sulla fraternità degli umani! Mario Falchi.
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L’etere ed il suo possibile valore psichico
■uasi contemporaneamente ad una sua conferenza a Londra sull’argomento, Sir Oliver Lodge, il notissimo scienziato Rettore della Università di Birmingham, ha contribuito al i? num. di Gennaio di Scientìa un articolo su' « Etere e Materia », del quale riferiamo la conclusione.
« Un dualismo regna attraverso tutto il sistema della fisica: la materia e V etere. La materia impressiona i nostri sensi ; anche i corpuscoli elettrici di cui essa sembra composta lo fanno, pur in modo indiretto ; ma l’etere non modificato non esercita sui sensi azione alcuna ; esso è così inaccessibile, che la sua stessa esistenza ha potuto essere negata... Tuttavia l’esistenza dell’una di queste entità non è meno certa di quella dell’altra, e tutte le attività del Cosmo implicano essenzialmente e manifestamente la loro azione reciproca. Ogni energia cinetica appartiene a quella che si chiama materia, che essa sia sotto là forma atomica ó sotto la forma di corpuscoli, sua caratteristica è. il movimento o la locomozione. Ogni energia statica appartiene invece all’etere, all’etere non modificato e universale ; le sue caratteristiche sono lo sforzo e la tensione. L’energia passa continuamente dall’etere alla materia e viceversa, ed è in questo passaggio che si compie ogni lavoro.
Ora è probabile che ogni oggetto sensibile possieda insieme un aspetto materiale ed uno etereo. Il primo solo cade sotto i nostri sensi : è solo per inferenza che conosciamo il secondo. Ma la difficoltà che impedisce di raggiungerlo direttamente dipende essenzialmente ed esclusivamente dalla natura dei nostri organi di senso che ci rivelano la materia, ma non già l’etere. Eppure l’una è altrettanto reale e sostanziale che la seconda, e la loro qualità co
mune fondamentale è la coesistenza e la azione scambievole. Non già l’interazione universale e costante, poiché se non esistono regioni senza etere, molte ve ne sono senza materia; ma la potenzialità dell’interazione —- e sovente anche la sua manifesta realtà — la quale regna dapertutto e costituisce tutta la nostra esperienza puramente terrestre ».
Gli stessi concetti il medesimo scienziato ha espressi nella detta conferenza in Londra, il cui titolo : « L’etere e il suo possibile significato psichico » fa indovinare il perchè della dichiarazione dell’autore di «Raimondo», e, più recentemente, di « Cristoforo », che cioè d’ora innanzi, e per molti anni, lo studio dell’etere occuperà tutta la sua attività. « La vita » — egli disse inoltre ‘— « utilizza le proprietà della materia: ma è tutt’ora un enimma filosofico come mai lo spirito e la materia possano agire e reagire l’uno sull’altro ». Egli e di parere che non solo la vita e lo spirito agiscano sulla materia e viceversa, ciò .che .è testimoniato dai nostri sensi, ma anche sull’etere, e viceversa, benché su ciò i nostri sensi siano muti : « Dopo un secolo di studi, gli scienziati ne sanno qualcosa di quest’ etere onnipresènte, mezzo universale connettivo, che penetra tutte le più remote profondità dello spazio e filtra attraverso tutti- i corpi solidi, dovunque continuo, veicolò della luce... L’etere non ha le imperfezioni della materia, che dissipa, disperde e spreca l’energia : in esso ogni energìa rimane invariata : esso è perfettamente trasparente alla luce: nessuna vibrazione'dell’etere si risolve, per attrito, in -calore: l’elettricità e il magnetismo sono strettamente associati con l’etere e passano attraverso ad esso.
Tutti i corpi hanno una doppia costitu.
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zioné : 1’ aspetto che noi vediamo o sentiamo, e quello che non cade sotto i nostri sensi- L’etere è altrettanto rigido quanto la materia, ma a meno che noi ne facciamo oggetto di studio,*noi non abbiamo un senso Ser percepirlo; perciò, mentre tutto ciò che materiale ci sembra reale e importante, tutto ciò che è eterno ci sembra vago, indefinito, poetico, fantastico. Invece l’etere dello spazio è la cosa più estesa e più sostanziale dell’universo, ed una cosa perfetta, dotata, di qualità perfette.
Questo dualismo ha luogo in tutti i corpi : e vi è il corpo materiale e il corpo etereo : vi è l’etere dello spazio e l’etere modificato, l’etere della materia, l’etere imprigionato, come talvolta è chiamato, che fa parte del corpo, che ha la stessa Torma del corpo.
Applichiamo queste nozioni al nostro proprio corpo. Noi non sappiamo che cosa Sia un corpo animato. Noi sappiamo che lo spirito e la materia agiscono l’uno sull’altra ih qualche modo, e che noi abbiamo i nostri corpi. Ma io avanzo l'ipotesi che vi sia un terzo elemento da prendere in considerazione : cioè che lo spirito che ha agito sulla materia possa altresì agire sull’etere che è associato alla materia, su questo etere imprigionato e modificato : e che in proporzioni che questo ne viene animato acquisti altresì nuove proprietà. Avanzo la ipotesi che lo spirito che ha agito sulla materia abbia altresì influenzato ed animato l’etere che con essa è associato.
Questa ipotesi spiegherebbe alcune cose: e anzitutto il dualismo della- costituzione umana. Il corpo materiale e il corpo spirituale, ambedue animati, coattivi, ambedue sviluppatisi da ùmili principi ; ambedue rappresentativi della personalità e dell’individualità, possono ben essere di diversa durata.
Il corpo materiale si deteriora : ma del corpo etereo, che» cosa accade? Noi crediamo che il pensiero, la memoria, la personalità, lo spirito continua ad esistere. Può essere che esso abbisogni di un veicolo per manifestarsi, e che utilizzi il corpo etereo. E così veniamo a quello che i santi e i profeti hanno sospettato, e che San Paolo insegnò, che cioè vi è un corpo materiale e un corpo spirituale, e questo sopravvive a quello. Alcuni chiamano questo corpo « astrale » ma non so proprio che cosa c’entrino qui gli astri.
Sir Oliver Lodge, procedendo, fece distinzione fra l’anima e lo spirito, e disse che, a suo modo di vedere, 1’ anima è il veicolo usato dallo spirito al presente e nell’avvenire. Ma egli si dichiarò contrario all’idea di una preesistenza individuale, credendo che i corpi materiale ed etereo sorsero e crebbero simultaneamente.
Per lui, l’anima starebbe all’etere, come il corpo sta alla materia.
Emmanuel.
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IL VOTO ALLA DONNA
a alcuni mesi i partiti estremi italiani : socialista e clericale, lavorano per istruire le donne sull’ importanza del voto, che presto conquisteranno, come le loro compagne d’una parte del vecchio e dèi nuòvo mondo.
I socialisti da anni reclamano, per le aderenti al partito, e perciò per tutte le donne, il diritto dell’elettorato, comprendendo che questa vittoria femminile ne segnerà probabilmente una più grande nel futuro per il socialismo; i clericali invece che avevano sempre criticato l’aspirazione del pubblico femminile più libero, istruito ed anche un po’ emancipato al voto, spingono presentemente tale questione agli estremi, fanno conferenze su conferenze proclamando un giusto, cristiano diritto quello che ieri mettevano in ridicolo e si preparano delle fedeli elettrici per un tempo non troppo lontano. Prima che questo sospirato voto venga concesso alle donne, i due più battaglieri partiti d’Italia cercano di conquistarsele, mentre i monarchici ed i radicali guardano tutto quel movimento, vedono quel lavorio che ha un’im
portanza incalcolabile e pensano... a qualche bel discorso ampolloso ed inutile da far in un teatro per commuovere le ascoltatrici, e per lasciare il tempo che trovano.
Per me che non sono nè socialista, nè clericale, nè radicale, ma una libera cittadina della libera Italia, guardo il voto forse un po’ diversamente dai rossi, dai neri e dai bianchi e pongo quésta conquista non solo nel novero dei diritti, ma in quella altresì dei doveri da compiersi e che accrescono la responsabilità femminile, danno alla donna il motivo di scrutare profondamente la sua coscienza e, studiando con maggior serenità e severità il mondo che l’attornia, l’abituano a quel giudizio equo fatto più di ragionevolezza che d’intuizione, cercando nella morale la base del progresso, della rigenerazione dei popoli.
Il voto dato agli analfabeti e negato alle donne, le poneva nel novero dei delinquenti e dei deficienti che non possono votare. Ad esse non è possibile prender parte ai consigli di famiglia, non hanno il pieno possesso dei loro beni, sono in effetto, se non in apparenza, in una condizione di grande inferiorità dall’uomo. Il voto non segna quindi soltanto una conquista od un’ affermazione un po’ spavalda d’ eguaglianza fra l’uomo e la donna, ma un equilibrio sociale che, se ben compreso, darà ottimi frutti.
Per anni diverse donne hanno scritto articoli su articoli per- ottenere l’elettorato, e siccome la maggior parte di esse si atteggiava a libere pensatrici, reclamava il divorzio, che Spaventa le anime timorate, poneva avanti il problema della ricerca della paternità senza arzigogoli, così i nemici si accrescevano attorno a quél nucleo agitatore ed i pochi amici temevano straordinariamente il ridicolo.
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Le cose adesso sono molto cambiate, e se in Italia non si troverà una sóla donna pronta a lasciarsi morire di fame, per la conquista del voto, ve ne sono moltissime conscie del valore morale di tale mandato e desiderose di poter esercitare questa funzione civile, che ha pur tanti aspetti diversi mai prospettati dall’ uomo, il quale si lascia attrarre per natura più dall’astratto che dal particolare, più dai grandi problemi che dai semplici ed ùmili fatti.
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Si sono Compilati molti programmi dai comitati: « Pro voto.donne ». V’è chi vuole il voto per avére l’abolizione dell’autorizzazione maritale, il divorzio, la ricerca della paternità, la vigilanza nelle fabbriche dove lavorano donne e fanciulli. V’è chi catechizza per ottenere a parità di lavoro — parità di salario tra l’uomo e la donna; v’è chi reclama delle leggi sull’alcoolismo, e qualcuno — timidamente — parla della prostituzione, invocando l’abolizione delle case in cui il vizio è ammesso e si propaga, con grande pericolo della specie.
Se avessi da compilar un programma per un comitato « Pro voto donne », porrei la questione su una base tutta morale. lì voto sarà un importante dovere da compiersi, come tale implicherà la nostra fede, i nostri affetti, le nostre aspirazioni. Con esso si vuole elevare la donna, quindi bisogna educarla e darle una profonda religione. Si desidera che i suoi affetti siano divisi e sereni, dunque è necessario che la famiglia sia compresa nel suo pieno significato, che il matrimonio acquisti quel valore spirituale, morale e civile da cui ora, pur troppo, siamo ancor lontani. La prostituzione abbassa la donna e rende brutale l’uomo, si cerchino quindi i mezzi più adatti per frenarla, con case di ricovero per le traviate molto diverse da quelle vigenti, che sembrano più reclusori che luoghi di rigenerazione e s’istituiscano dei corsi d’igiene, s’abitui la gioventù a sani divertimenti, si ponga il fanciullo a contatto con la natura per toglierlo dalle afose sale^ cinematografiche dove il bene difficilmente s’insegna, e si ritorni al Vangelo che ha una parola d’amore per tutti, una luce per ogni anima, un mezzo di rinnovamento per le più tristi cadute.
Le scuole vogliono una riforma — e quanto e meglio quelle femminili ! Sta alla donna l’interessarsene vivamente, con sapienza e con amore.
L’emigrazione è un problema Che vorrà uno studio particolare. E siccome molte giovani e centinaia di .fanciulli torneranno nel futuro ad emigrare all’estero, così sarà necessaria per esse una vigilanza specialissima, amorevole, continua che soltanto delle donne colte e pietose potranno degnamente esercitare.
L’alcoolismo deve essere frenato; la maternità è degna di maggior rispetto e di più ampie cure ; la famiglia ha bisogno di nuova educazione e la donna elettrice potrà in tutti questi campi, ed in altri ancora, portare il suo giudizio equo ed affettuoso, la. sua esperienza, il. suo secolare istinto pietoso, che la fa commuovere ad ogni dolore e la rende pronta al sacrifizio
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Da queste premesse ne verrebbero questi articoli :
i. Dato che il problema il quale incombe sulla nuova generazione è essenzialmente morale, la donna per votare deve rendersi conscia dei suoi doveri.
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IL VOTO ALLA DONNA
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2. L’istruzione della donna troppo pesante in alcune parti, monca in altre sia tale da darle un concetto sicuro della sua missione nella società e da farla preparata ad educare, a formare una famiglia.
3. Siano abolite le case di tolleranza e Si vigili, con tutti i mezzi possibili, per soffocare il lenocinio sotto i suoi subdoli aspetti, la pornografia e la licenza nelle sue molteplici forme.
4. Si conceda il mezzo di esercitare un’oculata ispezione nelle case di correzione femminili e giovanili, nelle fabbriche, nei brefotrofi.
5. S’istituiscano dei ricreatori modelli, delle numerose colonie alpine e marine, vigilate da donne colte e liberali.
6. S’aumentino le ispettrici per l’emigrazione, si facciano leggi contro l’alcoolismo.
7. Si dia alla donna l’abolizione dell’autorizzazione maritale, le si permetta di prènder parte ai consigli di famiglia.
8. Si faccia la legge sulla ricerca della paternità.
Dovrei in ultimo propugnare il diritto femminile di percepire a parità di lavoro, uguale stipendio del maschio, ma mentre stimo giustissimo un tale desiderio, non posso far a meno di sperare che un giorno le donne potranno star tranquillamente in casa ad allevarsi ed educarsi i loro figli, che abbandonano, forse troppo, per andar nelle fabbriche. Ma siccome si potrà osservare che di zitelle ve ne saranno sempre, e queste devono pensare al loro mantenimento, così in loro omaggio e per amor di giustizia, porremo questa rivendicazione nel nono ed ultimo articolo.
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Con questo po’ po’ di programma, quasi rivoluzionario, sotto certi aspètti, molti uomini si spaventeranno e penseranno che ne nascerà un putiferio, mentre numerosi altri diranno che, se qualche migliaio d’elettrici daranno il voto con coscienza di causa, un’infinità sarà docile strumento in mano dei furbi'; che l’istruzione femminile in genere è poca e le donne, ancor oggi, si lasciano attrarre più dallo specchio, che dai diritti e dai doveri da risolvere con serena meditazione.
Agli uni dirò che dà per tutto dove le donne votano — e con programmi abbastanza ponderosi e poderosi — s’è sempre osservato un lodevole ordine; nè la politica ha fatto disertare la casa, nè ha tolto la grazia, la gentilezza nelle elettrici che le possedevano. Ed il voto alla donna è abbastanza esteso : vi sono elettrici in quasi un intero continenti (l’Australia con la Nuova Zelanda); in 19 degli Stati Uniti d’America, in 5 Stati del Canadá e uno del Messico; nella Finlandia, nella Norvegia, nella Danimarca, nell’Islanda, nell’isola di Man e nell’ Inghilterra, dove il voto costò tanti digiuni e tanti discorsi alle suffragiste. Non parlo della Russia dove le donne fanno... quello che possono, nè della Germania, in cui il femminismo trionfa... Questo risponderò a chi paventa l’invadenza nelle urne del sesso debole, agli altri farò invece osservare che tutti i grandi rivolgimenti morali, politici, spirituali precedettero i movimenti di rigenerazione dei singoli.- Le donne analfabete, in possesso del voto, quelle apatiche, indifferenti, ignoranti comprenderanno a poco a poco l’importanza di questo, loro dovere, s’istruiranno, si miglioreranno e l’arma che adesso sarà adoperata forse in modo maldestro, di qui a qualche anno risanerà molte piaghe,' che da secoli aspettano un buon chirurgo.
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L’alba è tanto prossima, che il rosseggiare del cielo, mi pare si vada mutando in una luce radiosa. A noi donne spetta un grande e grave compito rigeneratore. Non ci allettino i facili plausi dei comizi, le discussioni sui programmi, le lotte dei partiti, ma conscie dei nuovi doveri, prepariamoci al voto pensando che questa libertà nacque anche per noi dal sangue; che infiniti orfani aspettano un oculato soccorso ed una nuova educazione; che i seduttori insidiano le misere figlie di chi magari morì per la patria, che una falange di popolo, assurge a nuovi destini ed ha bisogno di luce, dopo aver conquistato il benessere materiale.
Siamo forti, oneste e religiose, di quella religiosità che non guarda nè a ebreo nè a greco, nè a padrone, nè a servo, nè a giovane nè a vecchio, ma accoglie tutti in Cristo, e lavoriamo per la giustizia. La nostra opera- non ridonderà a nostro solo vantaggio, che la società non può scindersi in due parti; quella maschile,e quella femminile, ma portando nel grande crogiuolo dèlia vita legislativa e politica la nostra azione, la nostra esperienza, con le nostre speciali aspirazioni non creeremo uh nuovo femminismo, od un’emancipazione ridicola ed antipatica, ma un’equilibrio sociale, di cui si sente il bisogno e per il quale miglioreranno i costumi, l’educazione e la famiglia.
Luisa Giulio Benso.
Nota. — La doti. Margherita Ancona, in una relaziono fatta al Congresso Nazionale Femminile di Roma, noi X917, sul suffragio femminile propose alle convenute delle conclusioni che mi sembra si dovrebbero accettare da tutte lo donne che desiderano il voto :
x. La questiono del voto femminile ba superato il pericolo dello discussioni accademiche ed è entrata nel campo della pratica, sia per l’esperienza degli stati suffragisti, sia por ¡’eccitazione teorica da parte dei Parlamenti della maggior parte dei paesi civili.
2. La prova data da molti milioni di elettrici o da qualche decina di donno elette nei Parlamenti e nello Animi* nitrazioni locali in paesi non più progrediti del nostro, permetto di escluderò a priori il pericolo che un perturbamento qualsiasi possa essere portato dalla concessione, anche la più larga, del voto alle donno Italiano.
3. Ovunque la partecipazione dello donne alla vita politica segna un progresso nella legislazione e nella vita civile.
4. Gli stessi argomenti che valsero l’estensione del voto agli uomini analfabeti, impongono il suffragio femminile.
5. Il voto può e deve esser chiesto allo donne indipendentemente dalla parificazione della sua condizione economica o giuridica, e che anzi sarebbe vantaggioso e giusto che alle modificazioni del codice e alla compilazione di tutte le leggi riguardanti la donna, essa potesse, còme elettrice, partecipare.
6. Anche prescindendo dalle argomentazioni politiche le quali non potrebbero essere diverse da quelle che suggerirono e imposero il Suffragio universale maschile, non si può ammettere il voto limitato a determinate categorie di-donne.
7- La donna Italiana ha dimostrato in questi ultimi anni di essere moralmente e socialmente preparila a esercitare i suoi doveri di cittadina, come c più degli uomini da poco chiamati alle urne.
8. Nel momento del riassetto dell’Italia e del mondo dòpo la guerra saranno necessarie tutte le forzo vìve del paese e sarebbe tradire la stessa causa nazionale e umana il respingere l’aiuto di metà della popolazione.
9. Per queste considerazioni il convegno chiedo al Governo e al Parlamento cho, indipendentemente da ogni modificazione del codice, proponga e discuta la concessione del volo amministrativo e politico allo donne.
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PER^G/DVRA
DELL'ÀNIMA
Nulla di nuovo sotto il sole? (,)
Non v'è nulla
di nuovo sotto il sole! [(Ecclesiaste I, 9).
ON v* è nulla di nuovo sotto il sole, è diventato un proverbio popolare per eccellenza. Una sì grande popolarità non va giammai sènza qualche merito speciale.
Ma in quel detto, tradotto in tutte le lingue, piantato su tutti i quadrivi, annidato in tutte le « sapienze », anche le più cattive, sono in giuoco interessi - troppo profondi perchè non lo prendiamo in mano per esaminarlo da vicino. Come si saggia una moneta battendola sul marmo, facciamolo suonare, quel motto, davanti a noi. Vediamo se non è spaccato, se esso è di buona lega, in tutti i sensi di questo termine.
di nuovo sotto il sole ». Affermiamo anzitutto che questa parola
ha vigore in se e eh’ essa rinvigorisce. Essa dichiara 1’ Ordine, il Cosmo, la Legge, l’andatura maestosa e serena dell’opere di Dio; proclama la stabilità; inquadra l’uomo e il suo destino in quel qualcosa di grande e d’immutabile ch’è la volontà eterna, e quindi, come sfondo alla vita fragile, attraverso ciò che passa, ci fa vedere quel che permane.
Questa parola rinvigorisce ancora perchè è parola di .saggia e calma esperienza. Ciò che stupisce l’uomo, nei mondo, è una certa novità strana ed imprevista, è la faccia degli eventi che ancora non abbiamo contemplati e che piombano su di noi come un assalto di sorpresa; è, lo si può dire, il bluff delle cose congiurate contro la. volontà umana, contro la nostra immaginazione, contro la nostra debole resistenza e che vogliono domarci per mezzo di dimostrazioni terroristiche.
A questa novità sconcertante, il nostro motto oppone una vecchia, una venerabile e saggia esperienza : sorride, come sorridono quei buoni vecchi che hanno il vólto
(I) Dal volume di prcdichc: Glaives à deux tranchants — Parigi, 1917-
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abbronzato dalle intemperie, simile a quello dei vecchi piloti ; sorride alla gioventù non assuefatta alle durezze della vita, tremante dinanzi alle sue minacce, esitante davanti alle sue promesse. Essa ci dice: Amico mio, figlio mio, figlia mia, siete giovane : tutto' ciò vi pare alquanto strano; ma io me n’intendo. Non tremate ! Attraverso questa figura dei buoni vecchi che insegnano ai giovani a vivere, a resistere, a non lasciarsi scoraggiare, turbare, smarrire — attraverso la buona figura — Dio medesimo — il quale si rivela nella paternità umana — ci dice: «Figlio mio, tieni fermo, non temere, sono qui. Tutto ciò è così giovane- e così nuovo e così improvvisato di fronte a ciò Ch’io posso offrirti. Ti darò io di che far fronte nella lotta ».
♦ ♦ ♦
Non vi dirò, tuttavia, nulla di nuovo, cari amici, affermando che non è questo aspetto magnifico e sereno della parola : « Non v’ è nulla di nuovo sotto il sole » che ha maggiormente istruiti gli uomini. Essa ha un altro significato pel quale richiede di essere -esaminata molto da vicino.
Tale significato ci è familiare. Ne possediamo la chiave tutti indistintamente nel nostro proprio stato d’ animo. Penetriamo nell’ anima nostra; interroghiamo i nostri ricordi ! Non è forse vero che, in certi giorni, la monotonia delle cose ci colpisce, ci annichila? Sì, come il vecchio Ecclesiaste che dice: « Il sole s’alza e tramonta, il vento prende le solite vie», noi constatiamo l’invariabile corso delle cose. Lo ritroviamo nella nostra vita: tutto s’assomiglia, è sempre lo stesso giro che ricomincia ; l’universo è il più antico dei circhi equestri... •
E, nei momenti grigi, di cui sto parlando, non solo tutto ci appare monotono, ma ancora tutto ci appare vecchio, decrepito, frusto. Ci si guarda intorno e si ha l’impressione d’essere entrati in una bottega di ferravecchi; oppure ancora ci pare d’essere saliti nella soffitta d’ un qualche nòstro avo e che, aprendo un armadio, vi abbiamo trovato delle armi antiche, dei vestiari fuori uso, dei ritratti dal volto Strano: e tutto ciò sembra guardarci con smorfie curiose.
Tutti conoscono questo stato d’animo. Beati voi s’esso non è che momentaneo, se lo considerate come un periodo di debolezza, contro il quale occorre reagire !
Ma vi sono persone nelle quali questa inclinazione a trovare tutto monotono, antico, già visto, già conosciuto, costituisce il fóndo stesso del carattere. Non solo non se ne » lamentano, come si farebbe d’una cosa spiacevole ; ma la considerano come una gloria ; ne fanno mostra dovunque; la esprimono in formóle scientifiche; ne.ricavano una filosofia. All’opposto di quel tale personaggio della mitologia che trasformava in oro tutto quanto toccava, quei tali mutano ogni cosa in roba di genere comune. Hanno il genio della banalità; toccano l’arcobaleno, l’arcobaleno diventa grigio. Si potrebbe dar loro la stella mattutina eh’ essi la trasformerebbero in una cromolitografia. Da ogni cosa traggono il terra a terra, il banale, ciò che non impressiona, non brilla, non interessa; il loro trionfo c di prendere un capolavoro e di stabilire che l’autore non ha inventato nulla. Un individuo dotato di questa mentalità ha tentato una volta, per mezzo d’una pietosa compilazione, di dimostrare che il « Padre Nostro » altro non era se non una collana di reminiscenze. A sentire quella gente, nessuno avrebbe mai scoperto la minima cosa; il solo fatto per loro certo è che nulla di nuovo è mai.successo; lo splendido corteo delle evoluzioni creatrici abbaglia gli occhi degli ignoranti; ma per l’occhio del conoscitore non rappresenta altro che una sfilata di plagi.
Allorquando questa incapacità a scoprire l’aspettò inedito delle cose s’infiltra in una società, essa non è più altro che un erbario dove stanno disseccandosi piante catalogate, una volta vive; essa non è più altro che una collezione di vecchi stampi. L’arte diventa roba ricalcata, la letteratura si fa semplice copista; la sinfonia naufraga in una musica d’organetto da strada.
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PER LA CULTURA DELL’ANIMA
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E* la routine della burocrazia; la poltrona del funzionario diventa un trono dal-1’ alto del quale vien regolamentata ogni cosa. La scienza appartiene ai mercanti di formole ; essi mettono il fermo alla speranza nei cervelli che lavorano e scoraggiano il cercatore. Nella sfera della religione, la preghiera spontanea che saie verso Pio come il canto dell’allodola, finisce col diventare il ben noto molino da preghiere dei Cinesi. Nel chiaroscurò delle sacristie, delle cappelle e dei santuari, dai quali il Pio vivente s’è allontanato da un pezzo, le salmodie si spengono al cospetto di mummie!
Ma v’è ancor di peggio. Nulla di nuovo sotto il sole ! Sotto l’impero d’una mentalità simile si finisce col persuadersi che il pericolo sta nella novità e che la salvezza del mondo consiste nell’impedire che si facciano cose che non s’eran mai fatte; si pratica una specie di malsana pastorizzazione a rovescio, che distrugge tutti i germi vitali, graziosi e che avrebbero dell’avvenire; si sterilizzano i lieviti buoni.
Così, nel campo morale, si generano, a lungo andare, una delusione contagiosa, uno scetticismo corroditore e finalmente una specie di furore d’abbattere, di strappare, di distruggere tutto ciò che spera, tutto ciò che germoglia, tutto ciò che aspira. In verità, un simile stato d* animo, degno d’essere vilipeso, ricorda quei vegliardi maledetti, caustici, ironici, i quali non provano più altro piacere se non quello di scoraggiare la gioventù: strangolatori di spemi, taglialatori d’ali, ridacchiami su ciò che fa palpitare i cuori. Una delle peggiori forme del genio del male nel mondo, eccola! Le più scandalose corruzioni della gioventù, i suoi smarrimenti, le sue brutture, sono meno pericolosi di quell’atmosfera mortifera, di quel soffio avvelenato che prepara la tomba.
Perciò, quando si spiega'come una bandiera questa formola: Non v’è nulla di nuovo sotto il sole, e eh’ essa diventa lo stendardo di tutti i blasés, di tutti gli stufi di tutto, di tutti gli uccisori di germi, bisogna gridare attraverso l’umanità: «AU’armi, amici; ecco il nemico! ».
* « *
Niente di nuovo sotto il sole? E’ tempo di affermare quanto ciò sia falsò! Giammai parola più sicura di se stessa fu maggiormente contestabile. Persino il vecchio male e nuovo, e persino la vecchia vergogna è nuova! Vecchia la disgrazia? Vecchia la morte? Sarebbe vero se tutto ciò non fosse nuovo assai più che non sia vecchio ! Le cose tristi, le cose brutte non posseggono desse una tristezza sempre nuova, come posseggono una bruttezza immortale? S’ha un bel morire, soffrire dai principio dei tempi, quelli ai quali ciò succede imparano appunto cose nuove. Dà un pezzo, e di padre in figlio, s’ha un bel vedere all’opera, nel loro repertorio l’ipocrisia, la brutalità, la vergogna, quelle belve hanno sempre degli unghioni nuovissimi per ferire e per dilaniare i nostri cuori.
Ma, per fortuna, non sono solamente le ombre della creazione e quelle della vita umana che presentano una novità tremenda e indiscutibile : anche le cose belle, anche le cose grandi sono sempre nuove nella loro potenza consolatrice. Questo creato che l’Eterno, con gesto magnifico, ha fatto sorgere dal nulla, ha un bell’essere antico, d’una antichità incommensurabile, d’una antichità che oltrepassa tutte le nostre immaginazioni; esso è pur sempre scintillante d’incantevole novità.
Chi non conosce il nome del grande Littré ! Certi uomini si confondono a tal punto coll’opera loro, che la figura incartapccorita di quello scienziato è diventata per molti il simbolo stesso di ciò ch’è antico. A furia di consultare il suo dizionario si è quasi giunti a considerarlo egli stesso come una specie di vecchio e venerabile volume. Ora il vecchio Littré, un giorno, ha scritto queste parole deliziose, buone, sublimi nella loro semplicità: « Ho un bel aver vissuto nei secoli passati e durante i lunghi anni della mia propria vita, ho un bel aver guardato molte cose e molti uomini..., mai, in primavera, posso rivedere senza stupore, senza tenerezza, senza emozione, sul grigio sfondo soleggiato dei vigneti, biancheggiare i mandorli e rosseggiare i peschi ».
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Eccola, la novità! La novità è in noi, è nel cuore che si rinnovella. Beati i cuori nuovi!
Il vecchio Ecclesiaste non era dunque nonno? Egli non aveva dunque mai guardato negli occhi d’un fanciullo? Più che nelle nubi bianche e rosee che muovonsi intorno agli alberi in primavera, più che nell’ albe e nei tramonti, è qui che meglio appare e si manifesta la novità permanente, persistente e che sempre rinasce! Il fanciullo è tutto nuovo, in un mondo per lui nuovo, e tutte le anime rimaste nuove, che si sono ritemprate in qualcosa di riconfortante, di ricostituente, tutte queste anime sono in grado di provare, davanti alle cose più vecchie, delle impressioni di novità.
La novità! Essa scaturisce dà quella fonte inesauribile di ricchezza rappresentata dagli oggetti.stessi, dalle creazioni divine, attraverso la materia e lo spirito; essa scaturisce da quel doppio infinito, di cui nessuno mai ha fatto il giro, e che assomiglia agli oceani illimitati, ai cieli senza frontiere. La novità! Essa è costituita dalla grandezza gigantesca dei mondi e dell’anima, di fronte all’esiguità della statura umana e dei nostri mezzi d’investigare, di sentire, di esprimere.
L’uomo ha un bell’avere, nei tempi ormai trascorsi, cantato, parlato, dipinto dei quadri, compiuto atti nobili o malvagi ; si può senza tema affermare : « Ciò che è stato scritto, fatto, prodotto dalla sua attività totale non è che una particella paragonata alla massa immensa della provvista che rimane per l’avvenire e delle energie ancora latenti che nessuno ha mai, nè potrà giammai esaurire. Se orrori, forse sconosciuti, ci sono riserbati, ci aspettano rivelazioni di splendore divino; E sarebbe bene ispirato ehi venisse ad affermare: « I più bei quadri sono ancora’ da dipingere, i più begl’inni sono ancora da cantare, le opere più belle sono ancora dà creare, le scoperte, più stupefacenti sono àncora da farsi >,.
Beati i cuori nuovi! Beati coloro che si senton piccini dinanzi alla grandezza della verità, dinanzi all’irradiamento della bellezza, dinanzi alla santità del dolore, dinanzi a ciò che v’è. d’etemamente nuovo nell’amore : Beati !
* ♦ ♦
Ma ciò che v’è di più nuovo tra le còse nuove è la Fede.
La Fede, già presso i più antichi credenti del Vecchio Testamento, appare come una fonte di Giovenza. Essi cantavano: «O Dio! là tua bellezza è nuova ogni mattina».- Conoscevano la tristezza, conoscevano altresì la monotonia; son tutte cose umane. Ma-, per essi, un fatto superava tutti gli altri : la Bontà .di Dio, grande, nuova, capace di manifestazioni non mai viste. Essa sorge sull’anima nostra, simile a questo sóle antico, ma sempre così nuovo. Allorquando sale all’orizzonte e che davvero ei sale nell’anima nostra, ci si direbbe all’alba del suo primo giorno.
Gli Antichi avevano questo sentimento, rinforzato da esperienze innumerevoli, che nell’amore di Dio e nella sua grazia per l’uomo, c’era una potenza rinnovatrice: la gioventù dell’uomo si rinnovava come quella dell’ aquila. Il cuore si purificava, lo spirito era fatto sicuro e pronto, le forze venivano aumentate e del continuo rialimentate, come si conserva e si rinnova il vigore degli alberi piantati in riva alle acque correnti.
Però, per misurare tutta la distanza che corre tra un concetto dell’ universo rimpicciolito, senile, scettico, sprezzante, disilluso, rinsecchito; per misurare tutta la differenza che passa tra il lato piccino di questa parola: «Non v’è nulla di nuovo sotto it sole», e la vita vera, basta guardare al modo in cui vive Gesù Cristo.
Da un pezzo i gigli dei campi fiorivano sulle colline di Palestina; da un pezzo gli uccelletti spiegavano le ali sotto gli occhi dei suoi compatrioti ; Àbramo, Isacco, Gia• cobbe, il vecchio Matusàlem, Noè li avevano conosciuti e li avevano visti; ma il Signore li saluta come se, colla sua mano creatrice, Dio ne avesse fatto appena allora omaggio all’umanità: il nostro Signore è un uomo nuovo che cammina attraverso cose nuove.
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Chi segue quel Capo, chi gli dà là mano, chi lo mette nel suo cuore, riceve il secreto che fa apparire nuove le cose. Allorquando camminerà attraverso la foresta, e sotto i suoi passi risuoneranno i sentieri, e intorno a lui ei vedrà verdeggiare quelle splendide fronde, prototipo di tutte le cattedrali, modello di tutte le vetrate, egli com-. prenderà che Dio non ha, in un certo giorno molto lontano, in un passato coperto da un velo di tenebre, creato, una volta per sempre; ma che Dio lavora ógni giorno; ad ogni istante,ch’egli produce delle meraviglie, dei quadri, della bellezza. Egli sperimenterà che s’ha un bel aver salutato le mille volte i tronchi ruvidi degli abeti dai rami barbuti e ammirata la bellezza metallica del tronco liscio dei faggi ; che s’ha un bel aver udito il lamento soffocato del vento tra le pinete e il suo canto sonoro nel fogliame delle querele: ciò è sempre nuovo. E’ una nuova bellezza, sempre un canto nuovo ; è nell’anima di chi guarda od ascolta, la riproduzione di quella scena magnifica descritta nel libro di Giobbe, in cui si vede il creato emergere come un bel neonato dai vapori del mattino, e le stelle magnificare il Signore.
No ! Non esiste decrepitudine, n'on esiste vecchiaia, nel cattivo significato del termine per coloro che conoscono, anche solo per essere stati sfiorati dal lembo del suo mantello, la spirito del Nostro Signore. ‘ ' r
Per Lui, di certo, il peccato Stesso ha ritrovato qualcosa della sua novità; il suo volto è diventato così tetro, così odioso, sotto la lucidezza di quello spirito e sotto la purezza di quello sguardo, che giammai, sulla terra, il mostro era stato veduto in una forma così ripugnate. Ma d’altra parte, come il dolore, toccato da Lui, è diventato nuovo, bello, emozionante ! Il perdono, la bontà, la fraternità, sulle rovine delle vecchie fatalità, hanno celebrato trionfi sconosciuti. L’eroismo e lo spirito di sacrificio sono saliti all’orizzonte degli uomini, aureolati di raggi dallo splendore divino e simili a stelle che non s’eran-mai viste.
Tutti coloro sui quali soffia quello spirito, hanno sentito, per l’effètto da esso prodotto, destarsi e generarsi un mondo nel loro seno.
O voi che piangete, amici, madri, padri, che — allorquando pensate ai vostri figli caduti sui campi di battaglia — sentite passare attraversò il cuore vostro la vecchia spada del dolore, io invoco la vostra testimonianza per far toccare con dito ciò che un amore sacro, una santa passione, una morte abbellita dal valore e dal sacrificio possono gettare di luce nuova.sopra antiche virtù. S’era letto, nei vecchi libri, che cos’è l’eroismo, che cos’è la bellezza dèi giovani che danno se stessi per la patria*. Ma, ora che ne siamo Stati i testimoni diretti e lacerati, non è egli vero che tutto lo splendore della vita, tutto ciò che ha la pretesa di brillare s’è eclissato dinnanzi alla bellezza interiore di quel gesto che consiste nell’essere giovane e nel mettere tutto il proprio cuore, tutta la propria anima in un minuto che diventa eterno ? A questo punto il passato più venerabile s’incontra colla più forte novità. Nel sacrifìcio pel patrimonio comune, i due s’incontrano e s’armonizzano: la vera vita è in questo accordo.,Un quadro, familiare ne è il simbolo: eccolo: il nonno, coi capo incoronato di capelli bianchi, tiene sulle sue ginocchia e guarda, intenerito, la testa ricciuta del suo nipotino. Essi possono dire l’uno all’altro:
Il tuo mattino sorride alla mia sera, E la mia sera indora il tuo mattino...
Ecco la verità : la fusione tra le' buone vecchie, cose e le buone cose nuove. Questa fusione, è quella che ci è rivelata dal servitore di Dio che (’Antico Testamento annunzia dicendo: «Quando verrà, ei convertirà il cuore dei padri ai loro figli e il cuore dei figliuoli ai loro padri >.
Non v’è più opposizione tra ciò ch’è nuovo e ciò ch’è-antico e venerabile. Non esiste più conflitto fra la tradizione e l’avvenire, tra il ricordo è la speranza. Ciò ch’è buono, ciò ch’è retto, 'ciò ch’è giusto rifiorisce nel passato e incoraggia l’avvenire.
Fratelli, poniamo i nostri cuori su quelle vette il cui sóffio rigenera. Allorquando,
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nella grande monotonia delle cose, sentirete il tentatore entrare nell’anima vostra e porvi in non.so bene quale stato d’animo in cui non si discerne più nulla di chiaro, in cui tutto prende il colore del crepuscolo e dell’incertezza; allorquando la voce sconcertante vi sussurrerà : «A che vale? E’ sempre la stessa cosa! Ne sarai convinto finalmente? Ciò che è piegato non sarà giammai raddrizzato; le vecchie eredità sono incurabili; l'umanità è una Corte dei Miracoli dove non si verificano miracoli » ; allorquando ore simili piomberanno su di vói, gridate a Dio, tendete le mani vèrso Gesù sulla croce. Una cosa mancava ali’Ecclesiaste; cioè d’essere nonno o d’essere crocifisso. La croce è d’un realismo scultorio : delusioni, stanchezza, tetra sterilità sonò consumate nella sua fornace.
Coloro che dànno se stessi per la salvezza del mondo hanno in loro la fonte immortale della speranza e toccano alle cose che non finiranno mai.
Raccoglietevi in voi stessi, rinunziate a voi stessi, ai sogni di vanità, ai ricordi amari,.ai timori da schiavi, alle grandezze vuote, alle invidie meschine; rinunciate al cattivo vecchio bazar che molti raccolgono- e custodiscono in casa loro e che si compone di cose inutili appese come sassi pesanti al loro collo. Rinunciate a tutto ciò. E rinunciate pure ai lamenti vani, ai rimpianti sterili, alle preoccupazioni angosciose in cui il cuore si turba, a quei lutti ai quali esso si abbandona sino al punto da non più conservar vivi i nostri morti e dai dare in preda al nulla la loro persona, la loro opera, lo scopo degli sforzi loro!
Seguite il Principe della novità, colui che ha detto: « Io faccio ogni cosa nuova ». Egli aprirà dinanzi agli occhi vostri una porta che non si chiuderà mai più e vi aiuterà, attraverso i dolori del tempo presente, ad elevare gli occhi vostri verso la gloria che dev’essere manifestata in noi. Sulle tombe dei nostri diletti rifiorirà un’èra nuova, sulle nostre rovine si stenderanno mani riparatrici.
Un brivido mattutino correrà pei nostri solchi, la cenere degli eroi farà maturare le giovani messi ; nella- morte medesima vedrete la vita; nel dolore vi sorriderà la redenzione e la parola s’adempierà: « Tutte le lacrime saranno da Lui asciugate. Ei farà un nuovo cielo e una nuova terra ».
Così sia. Carlo Wagner.
LA FORZA CHE HA VINTO
a a guerra — tutti circa il gione ci quante v immane portava niavano regna» camminare sulle acque; ma,
felicemente terminata fu contrassegnata al suo inizio lo ricordiamo — da un potente risveglio di scetticismo valore della religione, ed. in modo specifico delia reli-•istiana. La bancarotta, il fallimento del Cristianesimo: •olte non abbiamo udito e letto tale giudizio agl’inizi della guerra! Era uno stato d’animo fatto di debolezza che alla mente dei credenti — i quali sapevano e testimo-che, ad onta di ogni apparenza contrària, « il Signore — la scena .narrataci da Matteo, cap. XIV: Pietro vuol vistosi circondato dài marosi, perde la fede e minaccia
di affogare, mentre il Maestro, tendendogli la mano, lo rimprovera dolcemente : « O uomo di poca fede, perchè hai dubitato ? ». E’ una scena che illustra lo stato d’animo di tutti coloro che non sono sorretti dalla fede e che perciò si lasciano impressionare accessivamente dai fatti immediati che li circondano — come Pietro dalle acque — e non riescono a levare lo sguardo più in alto.
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E pertanto lo scetticismo parve saggezza, perchè- da un lato tutto portava a credere che l’iniquità dovesse trionfare contro ogni giustizia; dall’altro si vedeva che le grandi chiese storiche — e prima ire tutte la cattolica romana, sulla quale più si appuntavano-gli sguardi del mondo per la posizione e le pretese speciali delle sue alte autorità — assumevano un atteggiamento che rivelava mancanza di fede nella giustizia e potenza di Dio, e, viceversa, molta fede nella potenza umana. Tale, atteggiamento doveva necessariamente turbare gli spiriti non forti in Cristo. In Germania le chiese statali esaltavano fino al parossismo ogni azione, per quanto iniqua fosse, compiuta dai dirigenti l’impero tedesco ; in Roma la curia vaticana orientava verso il completo fallimento la propria faticosa attività. E ciò unicamente per mancanza di fede : in Vaticano — ormai non v’è chi non lo riconosca — si è creduto fino alla fine che la vittoria sarebbe stata conseguita dagl’ Imperi centrali. E la logica sembrava dar ragione a codesta previsione.
Ma gli uomini di fede — e le chiese cristiane indipendenti di ogni paese ne hanno sempre avuti, anche nelle ore più grige — seguono una logica interiore assai più formidabile di quella che poggia sulle apparenze : essa fu mirabilmente enunciata dall’Apo-stolo con- le parole : « contro a speranza in isperanza crédere » (Rom. IV, 18). E’ qui la superiorità dell'uomo di fede sull’uomo scettico: nei conflitti tra i principi del bene e i principi del male l’uomo di fede, pur se addolorato dallo svolgersi non favorevole degli avvenimenti, non si lascia però abbattere neppure dalle più schiaccianti apparenze e guarda sempre con-speranza all’orizzonte; l’uomo scettico invece, non avendo la logica dello spirito (che fu quella dei più autentici benefattori dell’umanità i quali nelle difficoltà «contro a speranza In isperanza credettero») si lascia persuadere dai calcoli e dalle previsioni della logica ordinaria. Il primo è un forte, il secondo è un debole, benché generalmente la maggioranza sia disposta a giudicare il contrario.
Orbene la curia romana, come le chiese tedesche — cattoliche o luterane che fossero — non sono state sorrette dalla logica spirituale: hanno mostrato di avere più fede nella potenza degli apprestamenti umani che sulla potenza e giustizia di Dio.
* * *
Intanto la moltitudine che guardava alla curia romana come al più alto esponente della Religione, attendeva invàno una parola di conforto per la causa giusta, e di condanna per la causa ingiusta. Questa parola non veniva, e non poteva venire di là, e maggiormente lo scetticismo alzava la testa e sentenziava: la religione è fallita, il cristianésimo è morto, Dio non c’è!
Ricordate gli undici Apòstoli poco dopo la risurrezione di Gesù? pensarono subito di completare il loro numero, di nominare un sostituto al posto di Giuda ; ed elessero Mattia (Fatti I, 26). Essi in .altri termini pensavano di suggerire a Dio la. nomina del dodicesimo. Ma sbagliarono: Dio aveva già provveduto da sè ad eleggersi il dodicesimo Apostolo, che sorse poco dopo sulla via di Damasco e compì prodigi.
Così è accaduto ai nostri giorni : la moltitudine attendeva che una voce si levasse in nome del buono e del giusto, e riteneva eh-essa dovesse risuonare dai palazzi vaticani. Ma non è stato così : la voce si è avuta, e voce possente ; è però venuta donde meno la si attendeva, dall’America, il paese conosciuto specialmente per la sua febbrile attività industriale e commerciale, e quindi quello che meno di ogni altro era reputato atto ad alzare la voce dell’ ideale. A poco a poco codesta voce è penetrata in tutte le nazioni, coi messaggi di Wilson, ed ha agito come una gigantesca catapulta che più di ogni altra cosa ha cooperato a sostenere la causa giusta ed a far crollare i sostegni ed i sostenitori dell’ingiusta.
Gli uomini di fede che — anche nei momenti più tristi, quando sembrava che ogni speranza dovesse essere messa da canto — hanno sempre, con la parola e con là penna, dimostrato di saper credere anche « contro a speranza » possono a buon diritto oggi
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essere fieri per la fiaccola della fiducia che tennero costantemente accesa, per merito esclusivo della fede cristiana dèlia quale si nutrono.
E’ la fede che ha vinto questa guerra. Se oggi i popoli vedono innanzi a loro una nuova èra di pace aprirsi, in cui non sarà più lecito ad una nazione più forte darsi ad una politica di prepotenza in danno di altre più deboli:, ciò si-deve-alla forza di resistenza della parte migliore dei popoli liberi, la quale non volle mai arrendersi a riconoscere il trionfo dell’ iniquità, per quanto agguerrita ed invincibile questa-potesse sembrare. Questo spirito di ribellione — tenace, irriducibile — verso ciò che pure sembrava predestinato alla vittoria certa, è indubbiamente un incontestabile trionfo della forza spirituale sulla forza brutale, e mette in rilievo l’azione compiuta dal lievito cristiano che ha silenziosamente lavorato le coscienze in maniera da rendere in esse più vivo lo sdegno per il diritto conculcato, che la tema per' la brutalità scientificamente organizzata.
La risoluzione della immane guerra da cui siamo appena usciti ha offerto ancora una invincibile prova in dimostrazione di quanto gl’idealisti, ed i credenti in prima linea, hanno ognora sostenuto, è cioè ; che non può esistere progresso costante e vitale là dove il nutrimento spirituale, e morale sia falso o errato. Perchè giungerà sempre il giorno in cui la potenza materiale, basata su principi errati, verrà in urto con le sane e insopprimibili'energie spirituali, dalle quali sarà certamente abbattuta e seppellita. E’ quanto è accaduto ai due Imperi centrali. Ed è quanto ebbe a profetizzare Gesù Cristo allorché rivolse al nucleo dei suoi primi discepoli le note parole: «Non temere, ©^piccola greggia, perciocché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno »
Agli scettici invece, i quali s’imaginano di essere spiriti maturi e positivi, laddove non sono che deboli e miopi, è diretta ancora la voce del Maestro : « O uomo di poca fede, perchè hai dubitato ? ».
Aristarco Fasulo.
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SPIGOLATURE
Gli articoli che Màssimo Gorki ha pubblicato nel suo giornale Novoìa Ghisn dal giugno 1917 al giugno 1918 sono stati raccolti in una rivista tedesca. Da essa V Avanti! del-l’ii febbraio no riproduce tre molto suggestivi. Ne diamo Iui uno pei nostri lettori, nel quale si rivela come l’anima elio scrittore ha inteso il soffio spirituale, religioso della Rande, travagliata ora che il mondo, e specialmente la ossia e l’Europa, stanno attraversando.
NATALE.
Si, noi attraversiamo una tempesta delle più oscure passioni. Il passato ha spalancato il suo abisso più profondo e ci mostra quanto spaventosamente deforme sia l’uomo; intorno a noi tumultua là tempesta di appetiti, di odio e vendetta: l’animale furioso per la lunga passione, tormentato da strazi secolari, ha spalancato le sue fauci è urla trionfante, avido di vendetta, malignò;
Tutto ciò che di volgare e di odioso esiste sulla tèrra, è nostra fattura e viene creato dà noi ; tutto, il bello e ragionevole al quale tendiamo vive in noi-.
Lo schiavo di ieri vede, oggi,’ nella polvere il suo padrone, impotente e avvilito: spettacolo di grandissima gioia per lo schiavo che non conosce ancora la gioia degna ed umana — la gioia della liberazione dà ogni odio per il prossimo.
Ma lo schiavo imparerà anche questa gioia. Non vale la pena di vivere se non si crede alla fratellanza di tutti gli uomini; la vita non ha senso se non si ha la convinzione della vittoria dell’amore.
Certo noi siamo fino alla gola entro il fango c il sangue ; fitte nubi di disgustosa volgarità ci avvolgono e accecano molti di noi ; alle volte si ha persino l’impressione che questa volgarità sia per soffocare ed uccidere tutti i bei sogni da noi fatti con fatica e nel dolore, e sia per ¡spegnere tutte le fiaccole da noi accese lungo le vie della rigenerazióne.
Ma l’uomo rimane sempre uomo, e alla fine non può vincer che l’umano : sta in ciò il grande signi
ficato della vita dell’intero universo; questa vita non ha altro significato.
Andiamo forse verso la rovina?
Vale meglio bruciare nel fuoco della rivoluzione che marcire lentamente nel letame della monarchia nel quale abbiamo marcito fino a febbraio.
Per nói russi è giunto,- senza dubbio, il momento di scuoterci sino al profondo delle nostre anime, di lavarci l’immondezza della nostra assistenza accumulatasi da secoli’, e di sottoporre a revisione tutte le nostre abitudini e i nostri criteri sul valore della vita e delle idee; Dobbiamo destare in noi tutte le forze e le capacità e procedere, operar audaci e congcgnosi, alla ricostituzione dèi nostro pianeta.
Certo la nostra situazione è tragica ; ma è nella tragedia che l’uomo si rivela più grande e più bello.
E’ difficile vivere. Troppa meschinità odiosa è venuta a galla della vita, e non v’è la santa ira che sappia uccidere tutte le volgarità.
Sinesio, vescovo di Tolemaide, disse: « Il filosofo ha bisogno dell’anima; ma l’abile timoniere si educa nelle tempeste».
Lasciateci credere che coloro i quali non periscono nel caos e nella tempesta, divengano più forti e educheranno in sè una forza invincibile di resistenza, contro i vecchi animaleschi principi della vita.
Oggi è il giorno della nascita di Cristo, di uno dei più grandi simboli che l’uomo abbia creati nel suo sforzo verso il diritto e la bellezza.
Cristo è l’idea immortale della pietà e dell’umanità; Prometèo è il nemico degli dei, il primo ribelle ài destino. L’umanità non ha creato nulla di più sublime di questè due personificazioni delle nostre tendenze.
Ed ora viene il giorno in cui i due simboli, — quello della bontà e della pietà e quello della superbia e della folle audacia — si fondono nell’animo dell’uomo in un solo grande sentimento e in cui tutti gli uomini riconosceranno il proprio valore, la bellezza delle loro aspirazioni e i vincoli di sangue che li legano!
In questi giorni cosi terribili per molti, nei giorni della ribellione, in questi giorni di sangue e di odio non si deve dimenticare che noi per la via dei grandi dolori, delle prove più gravi camminiamo verso la rinascita dell'uomo e stiamo compiendo la immane opera di liberare la vita dalle gravi rugginose catene dèi passato.
Lasciateci credere a noi stessi, lasciateci lavorare tenacemente. E tutto in nostro-potere e non vi è nel mondo altro legislatore che la nostra volontà ragionevole.
A tutti coloro i quali si trovano soli nella tempesta degli avvenimenti, il cui cuore è tormentato da cattivi dubbi, il . cui spirito è oppresso da grave lutto, il mio saluto.
Il mio saluto anche a coloro che innocenti lan-guono in prigione.
24 dicembre 1917. Massimo Gorki.
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LA PREGHIERA.
[Dal voi. di Angiolo Gambaro : Primi scritti religiosi di Raffaello Lamtrruschim. Firenze, 1918].
... Ecco l’immensa e caratteristica differenza tra la Religione Cristiana e quelle che non sono lei. In esse il culto verso la Diviniti c la preghiera sono l’omaggio e la domanda del bisognoso, dell’uomo che pensa a sè. In lei il culto e la preghiera sono una comunicazione interiore della creatura col Creatore, dell’essere imperfetto col perfetto; un eccitamento e un’espansione d'affetti celesti ; una ricerca disinteressata di Dio ; un colloquio del nostro cuore con Dio ; un’elevazione dell’anima umana che scuotendo ad ora ad ora i ceppi della prigione terrena si slancia nell’infinito...
X
... E questo Dio si ammirabile, io so da Gesù Cristo che mi è permesso di chiamarlo. Padre ; tanto egli ci ama, tanto veglia sopra di noi, tanto è pronto ad assisterci e a provvederci. Il mio cuore riposa in lui ; gli palesa i suoi dolori e le sue gioie, i suoi dubbj, e le sue speranze, i suoi desiderj, i suoi sospiri segreti ; ma commette a lui con tranquillità la sua sorte, accetta da lui i beni e lo benedice ; accetta i mali e lo benedice ancora : fiducia, gratitudine e rassegnazione. Questo Dio, perfezione suprema, è bellezza da cui viene ogni bellézza che m’incanta quaggiù, come il raggio viene dal sole; è grazia, è magnificenza, è amore; e l’anima mia ne sente la forza e la soavità, palpita d* un'indistinta commozione, chiama questo bene ignoto, assapora un diletto celestiale, che purifica in lei e fa più soavi i terreni diletti ; travede alcuno dei suoi misteri, alcuna delle sue armonie, e generata a novella vita, è trasformata in altra da quella che eila era; si sente amata ed ama; ama Dio, ama tutti, ama tutto: ogni cosa è bella a’ suoi occhi, perchè ella medesima è bella, perchè in ogni cosa è Dio, e in lei è Dio; amore ed unione con la Divinità.
Ma il Dio ch’io amo è il perfetto ch’io debbo imitare, è il Dio della giustizia, delia verità, della santità: come ardirei io di appressarmi a lui, di profferirne solamente il nome, ¿’io non mi studiassi d’essere giusto, verace, virtuoso, di abbellirmi come di gemme dei puri affetti e delle rette opere, di cui egli si piace? Ma opera, affetto e pensiero di bene può egli venire dall’uomo? No: ma lo spirito del Signore che ci ravvisa, ce ne dà il potere, ce ne inspira la volontà ; dinazi a lui dunque io risolverò
d'imitarlo, di migliorare il cuor mio, e a lui chiederò questo dóno interiore d’ogni virtù, che supera ogni altro dono.
Ecco i sentimenti che in un’anima compresa delle dottrine del Vangelo sveglia il pensiero di’Dio ; ecco la preghiera del Cristiano. Preghiera d’adorazione, preghiera di lode e riconoscenza, di fiducia e sottomissione filiale ; preghiera di conversione al bene, preghiera d’intimità, preghiera d’amore. Parola arcana del cuore, che Dio solo intende; parola .operatrice di maraviglie nella nòstr’anima...
... L’uomo sinceramente religioso che esce dalla preghièra è come uno stanco viaggiatore che riconfortato da buoni alimenti e rinvigorito dal riposo, si rimette in cammino con nuova lena, e dimentica i disagi ch’egli ha sostenuto...
■ X
... Chi si vanta d’aver Religione, e non paria mai con Dio, credetelo, mentisce a se medesimo. La sua religione è un’idea sterile, una parola vuota e fredda come le proteste di stima, di devozione, d’amore, che si profondono scambievolmente gli uomini, senza quasi pensarvi. Gli affetti veri e caldi non si contengono stretti nel cuore e non sono muti : è impossibile amare e non voler dire « ti amo > ; è impossibile compiacersi delle belle doti d’alcuno, e non voler contemplarle, e non voler essere seco e mescere con lui pensiero a pensiero, affetto ad af fetto, anima ad ànima. E dal suo canto il cominciare a manifestare a Dio anche un amore nàscente, è un accendere vie più quest'amore, un penetrare più addentro nella cognizione delle sue bellezze, un acquistare con lui intimità di amico, in quella guisa che la consuetudine d'uno con altro uomo di sconosciuti li rende intrinseci, di indifferenti ne fa due cari.
Bisogna dunque pigliare per tempo il'costume di aprire la sua anima a Dio, di riguardarlo come il migliore nostro confidente, nè lasciar correre un giorno che non si sia cercato nel segreto ritiro della nostra anima, e non si sia chiamato il nostro Padre Celeste: massimamente dopo che avremo destato in noi un religioso pensiero, leggendo alcuna pagina del Vangelo, nel quale sono sì calde le esortazioni, e sono sì belle le istruzioni della preghiera.
(Vedete Matt. VI, 5-16; Luca XI, 1-13; XVIII, 914; XXI, 36; S. Paolo, agli Efesi, VI. 18).
Raffaello Lambruschini.
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¡CRONACHE!
POLITICA VATICANA E AZIONE CATTOLICA
« FERVET OPUS •
Un grande fervore di opere caratterizza l’attività del Vaticano e dei cattolici italiani in questo < dopoguerra », gravido di attese, di speranze e anche di timóri. La segreteria di stato del Pontefice e le segreterie dei due partiti cattolici, l’Azione Cattolica ¡confessionale) ed il Partito Popolare Italiano (aconfessionale) lavorano senza sosta per diffondere programmi e desiderata in Italia e all’ Estero ; calcolando con sottile acume sul disorientamento degli spiriti e dei partiti, il cattolicismo politico sotto molteplici aspetti, in ogni ambiente, spande il suo verbo, getta semente : e l’indifferenza generale, contrastante coi desiderio inoperoso di azione rinnovatrice di pochi spiriti eletti che si chiudono nel loro angoscioso disinganno, favorisce la diffusione dell’insincerità politica e morale, al dilagare delia quale i cattolici non che opporsi, recano nuovo alimento. Alcune recenti manifestazioni hanno rivelato la base artificiósa sulla quale poggia la lóro azione, il dualismo intimo e profondo in cui si dibatte la vita cattolica, che nessuno sforzo pud sanare. Mentre, infatti, il nuovo Partito popolare doveva essere la espressione di una attività politica svincolata dalla dipendenza di un’autorità religiosa ancora ferma ad alcuni postulati antinazionali'; e l’Azione Cattolica (le antiche Unioni Popolari) doveva dedicarsi alla propaganda religiosa e morale della massa ; vediamo il primo riprendere e far sue le riserve della sede apostolica sulla < Questione Romana », c la seconda entrare nel vivo delle questioni politiche, svolgere un’ azione di carattere prettamente sociale. A un mese di distanza dalla fondazione del Partito Popolare, i cattolici ritornano sui loro passi e si incontrano nuovamente tutti uniti ai piedi del trono pontificio: Don Sturzo e il conte Dalia Torre par
tono dal Vaticano per vie diverse, con bandiere distinte, ma con il medesimo programma ; l’uno, sacerdote, cela il Pontefice dietro il trasparente schermo di un’ autonomia politica che esiste soltanto per i politicanti ignari e superficiali ; l’altro, laico, innalza il • Papa ad emblema del rinnovamento religioso italiano e chiede la scuola, le garanzie politiche e la supremazia della Chiesa sullo Stato. Marciare divisi, colpire uniti ! L’Italia è il bersaglio, se non il nemico.
E l’Italia è anche oggetto delle cure particolari del cardinale segretario.
IL PROGRAMMA DI PACE
Mentre a Parigi il Consigliò dei Dieci affronta i formidabili problemi della nuova Europa, a che mira la politica e la diplomazia vaticana? Con sicura precisione, probabilmente, non saprebbe rispondere neppure il Cardinale Gasparri, che dalla fine del 1914 va spiegando tutte le risorse del suo ricco ingegno e della sua esperienza per dare al pontificato presente un programma chiaro ed una direttiva concreta. Quante architetture, invece, sono crollate negli uffici del Vaticano in questi anni ! Quante illusioni sui popolo italiano, « il più mobile della terra », sono state abbattute bruscamente dalla realtà ! Fallito il tentativo per l’intervento alla Conferenza, venne elaborato il programma sull’arbitrato universale da affidarsi al Pontefice. Presso a svanire anche questo progetto, il Vaticano raccoglie tutte le sue capacità di azione su un altro progetto, che doveva originariamente esserne il corollario, con una esten sione più larga dell’ attuale. Via via che gli avvenimenti maturano, il Vaticano si vede costretto a modificare, ridurre, rabberciare il suo programma di pace. L’internazionalizzazione della Legge delle Guarentigie, caposaldo della politica benedettina,
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sta anch’esso per naufragare. Ma in che modo se la sede apostolica non ha fatto mai alcuna rinuncia, nè ha* mostrato di mutare alcuno dèi suoi atteggiamenti ?
E’ ben .qui l’insuperabile contraddizione in cui si dibatte la politica vaticana. Che vi siano da tempo trattative fra alcuni rappresentanti del governo italiano e alte personalità della diplomazia vaticana, • è ormai nòto. Che esse abbiano subito alternative, sospensioni, difficoltà di vario genere, dualismi, è anche risaputo. Ma è forse ignoto lo svolgimento delle trattative; le conseguenze di esse, i risultati parziali raggiunti. Chi scrive ha raccolto alcuni elementi a tale proposito in un articolo apparso sul Secolo del 6 febbraio, che non è innopportuno riferire, e che completa quanto abbiamo già avuto occasione di esporre qui altra volta.
STATO E CHIESA A^CONTATTO
I rapporti fra lo Stato e la Chiesa durante la guerra non sono stati davvero quali appariscono al pubblico, cioè una serie di schermaglie più o meno benevole, una ostentazione di indipendènza assoluta, I’ applicazione pura e semplice dèlia Legge delle Guarentigie dà una parte ; il rigetto' formale, con l’effettivo godimento dei privilegi in essa sanciti, dall’altra. Contatti fra i due poteri si sono avuti più volte ; non soltanto attraverso il ministero della Giustizia e dei Culti, ove essi sono frequenti per la regolarizzazione della materia ecclesiastica attravèrso i regi placet ed exequatur, che assumono talvolta un contenuto politico, come per il famoso « caso Caron». Risalgono al principio del 1915 i primi pourparlers fra rappresentanti del Vaticano e personaggi autorizzati dal governo italiano circa la possibilità di una guerra italo-austriaca e la conseguente situazione dei Vaticano e dei rappresentanti accreditati presso il Papa. Un autorevole ecclesiastico amico dell’Intesa, il Padre Giovanni Genoccbi, av-•vicinò, allora, uomini di governo con lo scopo di evitare rotture troppo violente, situazioni pericolose per la Sede pontificia ; ed ebbe assicurazioni che il governo avrebbe tenuto fede alle Guarentigie, ed il Papa non sarebbe stato coinvolto nelle misure politiche necessarie per lo stato di guerra. Fu questa la linea di condotta fin d’allora prescelta dal go verno, e alla quale si è attenuto scrupolosamente, anche con evidente scadimento della sovranità delio Stato.
Comunque, il Vaticano prese atto con soddisfa-f zione dei propositi governativi, e forse ad essi diede una portata più vasta dei limiti in cui il Governo ritenne di. poterli fissare. Però, assicuratosi una.politica benevola delle sfere governative italiane, il Vaticano non attenuò la sua politica internazionalistica gravitante verso gl’ Imperi Centrali che già
tante proteste aveva sollevato in Francia e nel Belgio. L’ entrata in guerra dell’ Italia offri l* occasione a nuove proteste, circa la sua situazione rispettò al governo italiano. Pur affermando che « il governo italiano aveva dato prova di buona volontà e che i rapporti con esso erano migliorati > — come Benedetto XV ebbe a dire, nel giugno 1915, al giornalista cattolico francese Luigi Latapie ; — soggiungeva che < le cose non procedevano ancora con sua piena soddisfazione ». E nella allocuzione concistoriale del dicembre 1915, alla quale ufficialmente rispose il Governo, il Papa pur affermando « il peggioramento della condizione, della Sede apostolica », riconosceva: « Cèrto non fece difetto in coloro che governano l’Italia la buona intenzione di eliminare gl’ inconvenienti » ; e l’organo del Vaticano ribadiva: « Riconosciamo che il Governo italiano dimostrò buona volontà di eliminare le difficoltà, derivanti dallo stato di guerra per ciò che concerne i rappresentanti degli Imperi Centrali presso la Santa Sede... ».
Asceso' alla direzione del Governo l’on. Orlando, parve al Vaticano che la temperanza di cui egli aveva dato prova, la sua alta competenza nei pro-pleini giuridici, l’aspirazione del suo carattere politico di risolvere con animo conciliativo ardue questioni, ed anche la ripercussione morale che la sventura di Caporetto aveva avuto sullo spirito pubblicò, favorissero ih singoiar modo un tentativo di avvicinamento più stabile e meno saltuario fra gli organi responsabili dello Stato e quelli della Chiesa.
LE CONVERSAZIONI
DEL CARDINALE GASPARRI
Il cardinale segretario di Stato volle avocare a sè la direzione di un -tale delicato còmpito, e cercò di attrarre nella sua orbita quei funzionarli governativi, che per il loro, ufficio dovevano necessariamente avere rapporti con le autorità vaticane. Il barone Monti, direttore generale del .Fondo Culto, venne cosi a contatto con. il cardinale Gasparri, e si iniziò una serie di collòqui, non ancora terminata. Più volte essi furono sospesi, nell’impossibilità di intèse ; ma venivano ripresi, quando gli avvenimenti schiarivano le idee della segreteria di Stato.
Sembra quasi inutilc.dire a questo punto — scrivevamo nell’articolo citato — che il Governo non ha mai ceduto su questioni fondamentali, quali quelle delle Guarentigie e dei Patto di Londra, per quanto i due punti fossero oggetto di elaborate, se non vivaci, discussioni. Il cardinale Gasparri, conversatore abile quanto attraente, mostrava di rendersi conto di molte cose; ma il Pontefice, tenuto al giórno dello svolgimento dei pourparlers, si mostrava inflessibile; tròppo doleva a lui abbandonare il suo programma. Ma dopo lunghe interruzioni, che non giovavano alla causa pontificia, Benedetto XV ausi
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torizzavà la ripresa dei colloqui, ai quali il Governo era sempre disposto.
Senonchè, un nuovo fatto intervenne nel corso delle trattative ; il Ministro Nini, venuto a contatto con la segreteria di Stato del Pontefice per la ricerca di un suo figliuolo caduto prigioniero, si incontrò con il cardinale Gasparri : e una nuova serie di colloqui, da principio generici, in seguito più concreti, si iniziò. Mentre il barone Monti, autorizzato dal capo del Governo, svolgeva la sua missione, l’intervento dell’on. Nitti non chiariva le cose, anche perchè egli agiva per proprio conto. Naturalmente, il Gasparri non avevi ragione di evitare il nuovo incontro, tanto più che si attribuiva all’ ex Ministro del Tesòro una parie notevolissima, se non anche principale, in avvenimenti politici non lontani. Nuove illusioni si formavano ih Vaticano. Le trat tative sono presentemente sospese.
LA SOVRANITÀ PONTIFICIA
Gli argomenti in discussione erano, naturalmente, molteplici e gravi. II Vaticano- aspira ad úna sovranità assoluta, identica a quella riconosciuta agli Stati dal diritto internazionale. Come è noto, la sovranità di cui gode il Pontefice per effetto della Legge delle Guarentigie deve considerarsi come una concessione dello Stato per il libero esercizio delle funzioni religiose, e particolarmente per poter tenere e’ mandare inviati diplomatici. Non esiste una sovranità pontificia territoriale, nè semplicemente amministrativa; la sovranità di cui gode il Pontefice è sui generis, ed è puramente nominale ; cosi la personalità internazionale della Santa Sede esiste in quanto è riconosciuta nel diritto positivo e per consuetudine degli Stati che hanno la rappresentanza presso il Vaticano.
Ora il Pontefice, con l’effettivo possesso dei palazzi vaticani, che la legge Guarentigie gli ha concesso in godimento, e con l’estensione dei caratteri della sua sovranità, verrebbe ad assumere una personalità internazionale più definita, conforme ai suoi desidèri. A ciò ' il Governo italiano non sarebbe contrario.
Dove le aspirazioni del Vaticano non incontrano il favore del Governo, e tanto meno quello della pubblica opinione, è quando esso richiede che una simile situazione debba essere sanzionata dalle Potenze; su questo punto il diniego dei Governo è categorico, ed il Paese non può essere che con lui. L’internazionalizzazione delle Guarentigie si affaccierebbe altrimenti sotto una nuova forma.
SPERANZE IN WILSON...
Senza che venga promulgato un trattato, il Vaticano desidererebbe che la sua sovranità assoluta — concessa dallo Stato italiano — sia riconosciuta
dalla Società delle Nazioni. In* questo senso il Papa ha sollecitato l’intervento di Wilson a mezzo di Mons. Cerretti, presentando al Presidente un ampio memoriale, ove la questione è esposta in tutti i suoi particolari. Anche a ciò il Governo italiano — per quel che è dato sapere — si opporrà. Per altro Wilson non ha espresso ancora il suo pensiero sull’argomento, e probabilmente i suoi collaboratori stanno raccogliendo gli elementi da offrire al suo esame definitivo.
E’ su questo punto che le trattative italo-vaticàne si sono arrestate. Tuttavia le due parti raccolgono l’attenzione sugli importanti problemi che il passaggio all’Italia delle provinole redente ha posto sul tappeto; questioni giuridico-ecclesiastiche irte di difficoltà, come quella dei divorzio, che vige in Austria per gli acattolici, ed in Ungheria — ove lo Stato è separato dalla Chiesa — per lutti i cittadini ; delle prerogative sovrane, delle successioni e investiture, dell’àmministrazione dei beni religiosi, ed altri simili.
IL COMPITO DELLO STATO
Queste notizie, raccolte e riprodotte da molti giornali italiani ed esteri destarono un senso di sorpresa mista* a .stupoic. In alcuni ambienti si è chiesto se sia proprio necessario in questo momento storico, all’indomani di una vittoria per la quale nessun contributo è venuto dai Vaticano, stabilire dei contatti che si reputano inutili e dannosi; se esista ùnahecessità nazionale così urgente da spingere lo Stato a cercare la soluzione di una, questione superata che la guerra ha dimostrato esaurita. Da ciò è nata qualche apprensione, aumentata dall’assunzione al Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti dell’onorevole Facta, i cui sentimenti di benevola tolleranza vèrso il Vaticano, sono noti.
' D’altra parte, il Vaticano che ha dato ordine ài giornali dipendenti e amici di tacere sull’argomento per non intralciare con polemiche e in temperanze-di pensiero lo svolgimento delle trattative, ha accolto la pubblicazione con meraviglia ritenendo che il Governo avesse dato disposizione ai suoi organi censori perchè fosse evitata qualsiasi divulgazione in materia. L’alta gerarchia ecclesiastica ha- sempre preferito di agire fuori del controllo della pubblica opinione non ostante l’accettazione dei principi! wil-soniani...
’Noi riteniamo che le apprensioni di taluni siano esagerate, come i timori degli altri. Illustrando la fase attuale dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa in Italia, e l’avvicinamento dei due poteri su un determinato terreno, crediamo di fare opera utile alla chiarificazione di problemi interessanti profondamente la vita del Paese.
Lo Stato deve affrontare alcune gravi e delicate questioni nei territori redenti, per le quali uno
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scambio di vedute con le sfere dirigenti vaticane appare inevitabile.
Per altro, se aderendo a quei desiderata del Vaticano che- non menomino o intacchino la sua sovranità assoluta (concessione dei Palazzi Vaticani, annualità stabilite dalla legge delle Guarentigie), otte-'nesse il riconoscimento e l’accettazione da parte della Sede apostolica della legge delle Guarentigie, lo Stato non soltanto non uscirebbe dalle trattative diminuito, ma anzi apparirebbe più saldo di fronte all'estero, dove pur sempre esiste, fino ad oggi, una « Questione Romana » alimentata dal Vaticano, che perderebbe cosi ogni ragion d’essere. Quel che lo Stato deve evitare è che la sede apostolica assuma una veste politica ed una figura internazionale equivalente a quella degli Stati; che, quindi, non possa avere alcuna garanzia collettiva, e non faccia parte della Società delle Nazioni, organismo essenzialmente politico. Su questo punto il governo italiano è e deve essere irremovibile: ed è su ciò il dissenso non lieve fra il governo e la Segreteria di Strilo. Non sarà inutile ricordare — a proposito dell’eventuale attività particolare di taluni ministri — che nessuna deliberazione sui rapporti fra Chiesa e Stato può essere presa se non dal Consiglio dei Ministri collegialmente; c che i progetti di legge in questa materia debbono essere presentati al Parlamento appunto come proposta dell’intiero gabinetto.
DUE PARTITI CATTOLICI
Gli abili sforzi di dirigenti il nuovo Partito Popolare Italiano, la multiforme attività loro, la lunga serie di interviste, articoli, comunicati, se hanno raggiunto la desiderata saturazione dell’opinione pubblica, non sono riusciti tuttavia a impedire o nascondere la manifestazione del profondo dissidio di coscienze e di metodi che vive tuttora nel campo cattolico italiano.
Mentre sembrava che il vasto lavoro preparatorio del nuovo partito cattolico conducesse senza urli alla Costituente nazionale — anche i cattolici non temono più forme e linguaggio rivoluzionario ! — dalla quale sarebbe sorto, forse, il più potente partito nazionale per il numero dei soci e le infinite ramificazioni che vanno dalla cassa rurale all’ufficio parrocchiale, in gara coi partito socialista nell’audacia del programma e nella conquista dei seggi elettivi ; alcuni fatti sono sopraggiunti a differenziare nettamente le correnti dell’ organizzazione cattolica. Il partito popolare riteneva di poter tenere soggette ai proprii cenni le Unioni Popolari e le altre associazioni giovanili e femminili che fanno capo al-l’Azione Cattolica e alle Giunte Diocesane; di poter fare appello ad esse per un’azione politica al momento opportuno, imponendo toro il programma e gli uomini, senza sostenere discussioni e senza far proprie le pregiudiziali confessionalistiche di queste
organizzazioni. Riteneva, inoltre; di poter comporre ogni dissidio di tendenza nel largo programma buono a tous /aire, entro il quale potevano muoversi a loro agio così il conservatore conte Santucci, come il democratico on. Berlini. Ma il congresso delle Unioni Popolari, svoltosi a Roma nei primi giorni di marzo, ed il discorso di. Benedetto XV tenuto ai congressisti, hanno segnato un indirizzo che pur non essendo in aperta sconcordanza con quello del Partito popolare, io differenzia da esso per il metodo e l’intonazione e crea un altro vero e proprio partito cattolico a tinte politico-sociale, che si pone agli ordini dell’autorità ecclesiastica, dalla quale trae inspirazione e forza. Benedetto XV ha riesumato per questo nuovo partito cattolico la Rerum Novarum, ed ha raccomandato ai suoi membri di rivolgere la loro opera alla scuola e all’azione sociale e operaia.
I dirigenti il Partito popolare; che hanno avvertito il pericolo delia formazione di questo partito di destra, alla vigilia della prova dei fuoco elettorale che sta loro tanto a cuore, sono corsi ai ripari, partecipando attivamente ai lavori del Congresso;- ma cosi agendo non si sono accorti che facevano gettito della loro autonomia politica e della ragion di essere del partito popolare. Anzi, tornando con tante frettolosa preoccupazione sotto le ali protettrici del Vaticano, essi rivelavano inconsideratamente le basi di argilla del loro partito, la falsa posizione in cui si dibattono fra I’ ossequio — anche in problemi economico politici — all’autorità ecclesiastica, e la presunta libertà nel campo dell’ azione « di ordine puramente materiale e politico > come dice il Papa.
In realtà, il Partito popolare non si distacca dalle organizzazioni ufficiali che per il desiderio di raggiungere alcuni scopi concreti, alla cui realizzazione può giovare una parvenza esteriore di libertà politica e la accettazione incondizionata dell’unità nazionale. Ma, anche su ciò, il nuovo partito ha fatto alcune riserve, per bocca di un suo rappresentarne al Consiglio comunale di Roma, Egilberto Martire, e su uno dei suoi organi, il Corriere d'Italia, il cui valore, alla luce della politica nazionale presente e futura, esamineremo altra volta.
Intanto, ci sembra utile raccogliere, attraverso la espressione dei suoi uomini più rappresentativi, il pensiero del nuovo partito cattolico popolare su i maggiori problemi morali, storici, sociali dell’ora presente; onde l’esame che della sua opera ci occorrerà di fare via via, trovi qui gli elementi necessari!.
IL PENSIERO
DI DON STURZO...
Il fondatore del partito, del quale è anche segreta rio politico, il sacerdote dottor Luigi Sturzo, in una intervista concessa a Cri spoi to Crispolti (i) redattore
(i) Crispolto Crispolti autore, in collaborazione con Guido Aurkli, di un importante volume su La politica di
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del Messaggero (23 gennaio 1919) ha dichiarato che esso « è la logica conseguenza dell'atteggiamento e della condotta dei cattolici italiani durante la guerra. Nella prima adunanza tenuta dopo la stipulazione dell’ armistizio, dalla Giunta direttiva dell’ azione popolare cattolica io .esposi la necessità che i cattolici dopo aver svolto durante la guerra un’ azione essenzialmente nazionale la quale aveva permesso a due loro rappresentanti di partecipare come ministro e sottosegretario al governo, non rinunziassero ad essere una forza organica nel paese di fronte ai problemi politici, economici e sociali del dopo guerra. Ed esposi altresi la necessità di riunire tutte le nostre fòrze in partito, sostenendo, al tempo stesso, come avevo fatto fin dal 1905 in un discorso sulle condizioni dei cattolici in Italia, che non mancò allora di suscitare polemiche e contrasti, che un partito cattolico come tale .non può esistere, e che gli organismi dell’azione cattolica non possono tramutarsi in organi di partito. L’idea parve audace. Vi fu chi si dichiarò sfavorevole alla costituzione del partito ».
Alla domanda se il Vaticano sia stato informato di tali riunioni, Don Sturzo ha risposto :
« Certamente, nè il proposito avrebbe potuto essergli celato. Ed esso non trovò opposizione, in quanto appunto il partito nel suo programma e nel suo nome si proponeva di evitare'Ogni confusione che potesse comunque vincolare la responsabilità dèlia Santa Sede. Questa confusione volle evitata anche Pio X, quando consentendo l’attenuazione del non ex pedit nel 1904, non permise che gli eletti dalle nostre organizzazioni fossero chiamati deputati cattolici e costituissero un gruppo di parte cattolica. La ragione era evidente. Non mettere la religione come caratteristica di parte. Il nostro partito vuol èssere e sarà d’in'egrazione nazionale; perciò esso non poteva prendere e non prende a bandiera la religione, la quale, naturalmente, rimane come contenuto di principale differenziazione del partito stesso dagli altri partiti, che direttamente prescindono dal problema religioso ».
Circa le affermazioni del programma sulla libertà e l’indipendenza dellaXhiesa cattolica e sulla libertà religiosa, Don Sturzo ha dichiarato:
< In Italia esistono questioni riguardanti la Chiesa cattolica, non esistono questioni riguardanti la religione protestante, o l’ebraica. S’intende che per libertà religiosa noi intendiamo libertà religiosa per lutti i culti. Quanto alla Chiesa cattolica essa è sel.eone XIII da L. Galimberti a M. Rampolla (Roma, 19x2). © di altro pregevoli pubblicazioni, non va confuso con Filippo Crispolti, il noto leader c scrittore cattolico, come è avvenuto ad alcuni, a proposito di un articolo da Cri-spolto Crispolti dedicato al Partito popolate sulla Rassegna Italiana (15 gennaio 19x9), nel quale egli concludeva affermando che « questo nuovo partito è destinato a rappresentare una massa di manovra a. Il Crispolti non milita nel campo cattolico, ed appartiene piuttosto alla corrente liberale-cattolica, erede della vecchia destra.
condo il nostro pensiero un istituto supernazionale il quale deve essere libero di esplicare la sua alla missione nel mondo. Ma non abbiamo da sostenere nessun speciale programma circa i modi di questa libertà, non dipendendo dal nostro apprezzamento. L’antico dissidio tra Chiesa e Stato in Italia si è venuto attenuando con gli anni sopra tutto per la volontà conciliativa dei pontefici. Ed ormai sia per la scomparsa delle dinastie imperiali d’Austria e dì Germania, sia per la fine del regime concordatorio in Francia, sia per l’abolizione del segreto diplomatico che sarà proclamata dalla Conferenza di Parigi, sono eliminate molte cause di tramestìi inter- • nazionali ai quali fu a scopi politici spesso ritenuta mescolatala Santa Sede. Il problema della indipendenza ■'della Chiesa è un problema spirituale, al quale i cattolici italiani si interessano come si interessano i cattolici di tutto il mondo ».
Circa l'atteggiamento che potranno assumere gli elementi conservatori. Don Sturzo ha detto:
« Io ritengo che se al partito popolare potranno aderire anche coloro che pur avendo finalità ed intenti comuni con i cattolici, si astennero finora di partecipare ad organizzazioni cattoliche per preconcetti antinazionali, cosi potrà non aderire ad esso, una parte di coloro che facevano o fanno parte delle organizzazioni cattoliche. Mi si è da alcuni a tal proposito rapprescniato un pericolo: che la costituzione del partito possa dar. luogo alla creazione di un altro organismo per opera di quei nostri coni-, pagni dì fede ai quali il nostro programma sembrerà troppo audace. Non vedo dove sìa il pericolo. In Belgio, dove il partilo cattolico ha riportato non poche vittorie e dove è anzi da lunghi anni al potere, sempre vi furono due correnti l’una facente capo ai democratici, l’altra ai conservatori ».
... E QUELLO
DI BENEDETTO XV
Questo il pensiero del leader cattolico; ma per quel che riguarda l’attitudine dèi Vaticano è dei conservatori, i suoi apprezzamenti non sembrano in tutto rispondènti alla realtà. Infatti, il giórno stesso che si pubblicava il programma del partito, il Pontefice rispondendo per mezzo del card. Gasparri ad un indirizzo del conte Dalla Torre, presidente dcll’Unione Popolare, indicava il campo di azione dei cattolici con parole che vorrebbero quasi superare la vastità di quel programma, inneggianti al « radioso civile progresso ». Scriveva il card. Gasparri (Osservatore Romano, 20 gennaio 1919):
« Il Romàno Pontefice, che nella Sua carità paterna comprende l’immensità dei bisogni sociali e individuali dei popoli e riconosce l’urgenza di vaste provvidenze perchè essi si incamminino sicuri verso l’auspicata rigenerazione della pace cristiana, ha provato vivissimo conforto nel vedere i membri del-
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l'Unione Popolare, da lei presieduta, mettersi con decisa prontezza nelle mani del Papa, docili e volenterosi ¡strumenti per l’opera grande della restaurazione sociale.
« Quest’ opera, che trae la sua ispirazione e la sua forza dai principi! fecondi della Religione, si riassume tutta in un santo apostolato di illuminata carità, perchè negli individui, nelle famiglie e nei popoli si stabilisca il regno di Colui, al Cui apparire sotto le sembianze di umile e povero bambino, gli angeli cantarono gloria a Dio e pace in terra.
« Regno di libertà vera e di pace perfetta, dove non governa se non la carità di Gesù Cristo, che, ignorando ogni barriera di sorta, circonda di affettuose premure l’infermo, il debole, il povero ; educa sapientemente il fanciullo e piamente conforta il vecchio; nobilita il lavoro e santifica la croce e tutti i membri dall’umana famiglia avvince soavemente nel mutuo soccorrevole amore, cui sostiene e rischiara il lume indefettibile della Religione..
< Vasto pertanto è il campo che si presenta all’azione dei cattolici da lei presieduti, che mantenendosi, come ella dice opportunamente, oltre e al di sopra di ogni problema di ordine puramente materiale c politico, abbraccia tutte le manifestazioni della vita umana e tutte le sospinge con impulso fecondo, savia coordinazione di mezzi e inalterata unità di indirizzo, sulle vie radiose del 'civile progrèsso ».
IL PAPA DOMANDA
E l’organo pontificio, illustrando il pensiero del Papa, Scriveva (24 gennaio):
« Questo arduo còmpito, questa altissima missione, all' indomani dell* immane tempesta che è passata sulla terra, il Santo Padre addita dunque ai suoi figli, per riparare i mali morali della guerra, non meno che le sue materiali devastazioni, per assicurare la pace giusta e durevole, mediante quell’unione sociale, che « per essere ragionevole deve essere fon -data sulla naturale benevolenza, per essere cristiana deve essere nobilitata dalla carità di Cristo ».I delegati delle potenze riuniti a Parigi stanno ora cercando di questa pace giusta e durevole, le possibili basi materiali; il Papa addita ai cattolici di ogni paese quali possono essere di questa pace le più solide guarentigie morali ed invoca per attuarle la loro figliale cooperazione.
« Considerato sotto questa luce il còmpito dell’azione cattolica, all’indomani della paurosa conflagrazione, ingigantisce a dismisura, assurge ad una importanza sociale di prim’ordine, apparisce come una forza dalla quale p'iò in gran parte dipendere l’avvenire più o meno felice del consorzio sociale.
« A tale invito risponderanno unanimi e volonterosi i cattolici tutti d’Italia. In loro nome ha già nobilmente risposto il Presidente Generale dell’ Unione Popolare, e alla voce di lui, ne siamo certi, faranno
eco quanti militano sotto la bandiera dell’ Unione Popolare è quanti non tarderanno a stringersi intorno alla Unione stessa. Questa pertanto, lungi dal rallentare o intiepidire l’opera sua, all’indomani di cosi augusto incoraggiamento, dovrà più che mai serrare le sue file, raddoppiare di operosità e di zelo per la migliore esplicazione e il migliore sviluppo da parte dei cattolici italiani, di un’azione rispondènte in tutto alle loro nobili tradizioni, ai desideri espressi dal Santo Padre, ai suprèmi interessi morali e materiali dell’Italia nostra».
MALUMORI E RISERVE
Un collaboratore del Tempo, che ha consuetudini con la segreteria di stato del Pontefice, il cui pensiero raccoglie ed espone sulle colonne di quél giornale, scriveva il 26 gennaio :
« Fra le molte interviste concesse dai rappresentanti più eminenti del nuovo partito cattolico popolare, da una parte, e i sobri e studiatamente freddi comunicati àt\\''Osservatore Romano dall’altro, chi conosce da vicino uomini e cose non è riuscito a sottrarsi all’impressione che non tutto nel programma e nei propositi del nuovo partito piaccia, senza restrizioni e senza preoccupazioni, alle autorità centrali della società ecclesiastica. In qualche circolo .vaticano ci è parso di cogliere un vago senso di apprensione per la spregiudicata larghezza con cui i fautori e gli organizzatori del nuovo partito hanno, un po’ alla rinfusa, insaccato nelle loro tavole di fondazione quanto di più ardito nel terreno sociale c legislativo si offriva in questo momento alla loro accettazione, con l’evidente intenzione di preparare un’ottima piattaforma alla lotta che occorrerà sostenere nel paese .con i partiti più avanzati. La ricerca della paternità, ad esempio, enunciata nella forma più generica, senza limitazioni e sènza esclusioni, appare ad esempio a molti nei più alti circoli ecclesiastici come una misura legislativa capace di trasformarsi col tempo in una pericolosa insidia per la compagine e la saldezza della famiglia. In Vaticano inoltre c’è chi teme la partecipazione troppo diretta del clero alle lotte politiche e si è preoccupati delle possibili velleità parlamentari di quei sacerdoti ehe occupano oggi nella propaganda sociale, le posizioni più in vista ».
1? Unità Cattolica, organo della estrema destra clericale, collocava il nuovo partito fuòri dell’azione cattolica, scrivendo-:
« Noi vediamo, senza preconcetto, questo partito, pur restando fermi al nostro posto avanzato di combattimento, di vigilanza. Il partito Sorge e si forma fuori del campo dell’azione militante cattolica, e non ne è nè il rappresentante, nè l’esponente. Ma non vi sarà antitesi, se la parte morale del suo programma trarrà forza e ispirazione dall* essenza sociale e cattolica del programma nostro, che mira a
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conservare nei popolo italiano pel bene sociale e per l’ordine quel tesoro di fede, che il Vangelo e la Chiesa donarono alla nostra patria. Nulla muta ed mutabile pel dovere dei cattolici nei riguardi della Santa Sede. Il pensiero dei Papa si manifesta nella risposta recentissima che ebbe il Conte Dalla Torre, presidente deli’Cfafowi Popolare. Noi agiamo nell’ambito delle organizzazioni volute dalla S. Sede e obbedienti strettamente ad essa. Il nuovo Partito agisce o agirà libero de’ suoi atti, nel campo della politica parlamentare ».
«LE LIBERTÀ CRISTIANE»
Gli scrittori cattolici hanno ricostruito il pensiero del partito in una serie dì articoli assai notevoli per il tentativo di dare ad esso quel contenuto morale di cui difettava il programma, quasi interamente dedicato alle riforme politiche. Don Giulio De Rossi, parroco di S Saba suli’Aventino, in un articolo intitolato : Il partito delle libertà cristiane, scriveva (Corriere d'Italia, 23 gennaio 1919):
« Le promesse, che esso reca in sè, non potranno a pieno comprendersi, altro che se si ponga mente allo spirito di chi l’ha lanciato nel paese e di chi è chiamato ad attuarlo. E questo spirito è spirito di libertà, sì, ma di quell’alta e luminosa libertà che è propria dei figliuoli di Dio. Si tratta, in altri termini, di libertà cristiane: forti, incoercibili, inestinguibili, ma tutte anche consapevoli di sè stesse, dei propri limiti e dell’ordine superiore dinanzi al quale liberamente si arrecano in atto di ossequio.
« Così le libertà della famiglia non potranno nè dovranno finire nel vagabondaggio del libero amore: ogni uomo deve sopportare il peso di tutte le responsabilità che promanano da ogni suo atto, e più da quello, pel quale ha comunicato essere e vita ad un altro individuo intelligente e libero: finisca unà buona volta il putridume dell’imboscamento dei padri indegni e si accetti l’istituto della ricerca della paternità Così le libertà del lavoro non potranno sboccare nè nello sfruttamento capitalista' nè nella tirannia demagogica perchè tutto un complesso di istituzioni costanti di rappresentanze organiche, di commissioni miste, di arbitrali liberi ed obbligatori, varranno a tutelarne organicamente lo sviluppo. Così infine, la libertà delle nazioni atte a sviluppare ciascuna nel suo ambito il proprio genio-e la propria missione dovranno trovare il correttivo ai facili imperialismi nella grande società delle nazioni, assisa su principi di giustizia cristiana.
« Altri potrà studiare con cura la portata tecnica dèi programma del nuovo partito popolare italiano, e potrà agevolmente dimostrare tutta la sua capacità ricostruttiva per il bene della nazione. Ma oggi, méntre l’Italia nostra vede profilarsi sull’orizzonte o lo spettro della tirannia libero-socialista nell’accentramento statale o lo spettro dell’anarchia bolcewika, a noi piace
di indicarlo semplicemente come il partito delle li' berta cristiane. Tutta la sua ragion d’essere, nello scacchiere politico del nostro paese, è qui ».
Probabilmente Don Sturzo e i deputati cattolici non sono del' medesimo, parere'.
Filippo Crispolti ritiene che il partito abbia « una fisonomía tutta propria, che io distingue e lo inette in luce particolare tra gli altri partiti nazionali. Innalzato il vessillo morale cristiano (egli scrive nel
• Corriere d’Italia, 23 gennaio) esso ripudia il materialismo di principio dei partiti socialisti e i materialismi di fatto dei partiti liberali. Proclamato il culto della libertà, esso la esige totale, non con le restrizioni che i pregiudizi di altri partiti, in ciò spesso concordi, mettono alla libertà religiosa delle coscienze .singole o dell’azione spirituale della Chiesa, alla libertà della scuola, a qùella dei Comuni e degli altri enti locali, a quella dell’ organizzazione di classe. Guardando all’ assetto che la vittoria delle giuste armi prepara alla società, esso concilia i diritti delia nazione sui naturali confini, sulla-sicurezza marittima, sugli sbocchi commerciali, con l’adempimento pieno e pacificatore del « programma politico morale, patrimonio delle genti cristiane, ricordato primada parola augusta ed oggi propugnato da -Wilson » ; cosicché si oppone tanto alla politica delle preventive rinunzie, quanto a quella degli imperialismi, ed afferma chiaramente che la Società delle Nazioni, comprendente quali indispensabili corollari 1’ arbitrato, l’abolizione dei trattati segreti e della coscrizione obbligatoria e il disanno universale, non solo è compatibile con le giuste rivendicazioni italiane, ma le porta in una sfera più alta e dà anche ad esse le vere garanzie ».
IL NUOVO OUELFISMO
Egilberto Martire, invece, colloca il nuovo partito in un quadro storico che, risalendo alle origini dell’unità nazionale, ritrova nel pensiero guelfo e negli uomini rappresentativi del Risorgimento, la sua tradizione e la sua via. Dopo aver esaminato l’azione politica e morale di Cavour e di Mazzini, invano predicante ai suoi la necessità di Dio, scrive-:
« Ma al deserto parlava il « profeta * che il liberalismo, preso nell’intrico delle immediate realtà inconciliabili, non sapeva che ignorare ; c il democratismo giacobino e... bolscevico abbandonava il maestro dell'« idealismo » vano, e Garibaldi stesso negava, al Mazzini, non pur l’amicizia politica ma la stessa amicizia personale : « Io e Mazzini siamo vecchi ; di conciliazione tra me e lui non se ne parli ; le infallibilità muoiono ma non si piegano ».
< E chi- restava, così, a parlar di Dio, di civiltà religiosa, di democrazia religiosa, di « politica religiosa » — nel significato più augusto de’ termini — se i mazziniani stessi (ce ne sono più?) non cercano oggi nel maestro loro la testimonianza invitta
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del divino principio indefettibile di ogni vivere civile — testimonianza che è l’unica cosa perenne nell’ opera di lui — ma vanno raccattando, fra le pagine di chi non intuì l’imminente tragedia degli imperialismi, le briciole polemiche che autorizzino, in nome dell’idealismo mazziniano, a lasciar massacrare, ai croati, la Dalmazia veneta ed italiana?
« Chi restava? E ad asserire questi < sommi veri » — non già, solamente, come dettame dell’autorità religiosa : che c’è la Chiesa — ma ad asserirli nella contingenza della vita e della lotta politica, nella libera e feconda ‘ competizione delle milizie, delle « parti » politiche; chi restava, chi restò; nel si-enzio iniquo — eppure storicamente spiegabile — che tante volte ci umiliò e ci straziò, sempre, ma durante la guerra particolarmente? Una frase un pò vivace di Crispí nel ’95? Un’ invettiva di Carducci a San Marino — roba di poeti? ■
« Wilson, signori miei; c’è voluto Wilson, perchè sentissimo, tutti, come un popolo di cento milioni di cittadini, nel possesso pieno di tutte le modernità, nell’ebrezza dell’impero — potesse riconoscere nella sua coscienza religiosa cristiana il presidio primo e l’impulso più efficace all’annunzio e all’attuazione della libertà. C’ è voluto Wilson : e noi eravamo grandi...
« Dunque, questo solo - • contemplare l’Italia nella sua realtà integrale, nell’orbita di tutta la sua anima come fa con serena schiettezza il partito popolare italiano — questo sólo fatto, con le ripercussioni spontanee che una simile posizione cura ad esercitare su tutti i gruppi politici del nostro paese, è un < fatto » nella storia d* Italia ». (Corriere d'Italia, 28 gennaio 1919).
QUÉL CHE PENSANO I DEPUTATI CATTOLICI
I deputati cattolici — oggi è concesso chiamarli così — illustrano il contenuto politico dal partito. L’on. Giulio Rodinò, diceva al Tempo\T$ gennaio):
< La nostra unità nazionale, per fatalità di eventi e fors’anche per errore di uomini, venne compiacendosi attraverso avvenimenti che turbarono molte coscienze, le quali non seppero trovar modo di conciliare il loro sentimento religioso con l’aperta, leale accettazione del nuovo stato di cose. S’ebbe così un assai lungo ed assai triste periodo nel quale i cattolici si appartarono dalla vita nazionale limitandosi ad una azione di non sempre benevola critica e non mostrando soverchia simpatia per la nuova Italia.
« Lentamente i tempi incominciarono a mutare. La lotta fiera ed ostinata tra lo Stato e la Chiesa, tra la fede e la patria, tra il sentimento religioso e quello patriottico, lotta che, come soleva dire monsignor Bonomelli, grande italiano, si imperniava stilla indipendenza e sull’unità della nazione, sull’indipendenza della fede e sul mezzo ritenuto necessario per
assicurarla, il suo millenario principato civile, s’andò man mano attenuando.
« I cattolici incominciarono a prender parte alle lotte amministrative, mentre alcuni più arditi, convinti che costituiva grave errore il mettersi • volontariamente fuori della vita politica del proprio paese, iniziarono un movimento per ottenere che i cattolici vi partecipassero. A questi precursori sembrò che non solamente i cattolici dovessero vivere della vita della nazione, accettando con sincera lealtà la compiuta unità della Patria, ma che dovessero nelle purissime origini del cristianesimo ritrovare la base e il fondamento della loro nazione. Da queste idee aspramente’ combattute ebbe vita il movimento democratico cristiano. Vennero poi le incicliche sociali di Leone XIII, mentre si svòlgevano aspre lotte tra coloro che volevano rimanere saldamente stretti ad un passato destinato a scomparire e coloro che volevano con serena coscienza riallacciare le conquiste tutte della civiltà e del progresso all’idea cristiana, sempre risplendente di luce immortale.
« La guerra che è state una vera e propria rivoluzione, ha con i suoi immensi dolori e con le sue glorie determinati in tutti nuovi doveri e nuovi compiti ; mentre l’avere i cattolici dato prova nella no-, stra guerra d’insuperato amore della Patria, ha dimostrato ancora una volta che era vecchia e odiosa leggenda quella che voleva quasi mettere in dubbio il loro lealismo.
« Si è formata così ima larga corrente di uomini che hanno inteso alto il dovere di cooperare ai fini supremi della Patria senza pregiudizi e senza preconcetti, proponendo nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà che costituiscono il fondamento vero del nuovo partito che sorge come la logica conseguenza di tutto un passato di fede, di lòtte, di speranze.
« Il nuovo partito, libero in tutte le sue manifestazioni, sarà assolutamente indipendente dalle autorità ecclesiastiche ; sarà regolato nello svolgimento dalla sua attività della maggioranza dei suoi componenti ».
L’ on. Cesare Nava, così si esprimeva (Tempo, 24 gennaio) :
« E’ indispensabile che nella vita sociale come in quella politica si riconoscano al popolo più grandi diritti ammettendolo alla partecipazione dei pubblici poteri e chiamandolo a collaborare nell’assestamento delle sorti del Paese. A suo beneficio il Partito Popolare invoca provvide e pratiche riforme, allargando anzitutto la sua potenzialità nelle elezioni e sostenendo l’autorità e la influenza dei suoi organismi nell’ordine statale ; la stessa influenza che deve avere nel movimento industriale ove i rappresentanti operai non abbiano solo voto consultivo, ma siamo messi in grado di compiere opera dirette e deliberativa. La vita sociale sarà tanto più tranquilla in quanto si aumenteranno le responsabilità sociali del po-
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polo. La libertà che il partito invoca è la libertà sociale per tutti ».
All* osservazione che nelle discussioni sul programma del partito sono state formulate delle riserve sulla portata del problema circa la ricerca della paternità egli ha risposto:
« E* una questone specifica. La si dibatte da tempo; io ho già dato il mio voto alla Camera e ho fatto parte della commissione per il progètto di legge. Ecco un altro indice della larghezza di idee del partito. La nostra richiesta deriva da un principio morale che fa parte del complesso di tutti i principi! morali del partito, e non rappresenta che uno dei tanti postulati che lo integrano ».
Interrogato sullla < vexata quaestio » per la Dalmazia il Nava ha detto':
< Il torto è un po’ da entrambe le parti. Non bisogna irrigidirsi nel Patto di Londra, ma non bisogna dall'altro canto offrire il destro alle correnti malevole che ci circondano. La < cagnara » di questi giórni è inopportuna. E io deploro vivamente le ri-nuncie preventive, dati gli appetiti che altri manifestano. Solo a ragion veduta si potrà discutere per una difesa eventuale di tanti nostri fratelli in forme diverse dal possesso effettivo ».
DEFICIENTE COSCIENZA NELLA MASSA
Interessanti dichiarazioni ha fatto l’on. Livio Torini alla Stampa (7ributta, 25 gennàio):
L’on. Tovini ha ammesso che le due correnti, una di destra e una di sinistra si trovano di fronte e che la necessità di giungere ad ogni costo alla costituzione ed alla indipendenza dei partito, fatto imponente per i cattolici, ha certamente costretto le due tendenze ad includere nel programma ciò che ognuno un po’ desiderava. Ma il Congresso, che certamente si riunirà, prima delle elezioni, potrà rendere più omogeneo ed univoco il senso del programma.
Circa i possibili legami col Vaticano l’onorevole Tovini ha escluso che il partito possa averne. Solo che il partito ha dovuto premunirsi di possibili sconfessioni. Però il partito non può non preoccuparsi di decisioni che la Suprema autorità ecclesiastica potrebbe prendere, come quella dell’ inibizione al clero di entrare nel partito, ciò che lo priverebbe di organi necessari ancora per formare una coscienza che ancora manca alle masse dèi cattolici su questioni vitali, come quelle internazionali ed economiche.
Sulla « questione romana » l’on. Tovini ha dichiarato : « Ritengo che anche per questa questione non vi sia cosciènza formata. Tale problema ci sfugge. Non ce ne preoccupiamo. Non caldeggiamo nessuna soluzione. Non c’è nè preparazione, nè studio, che io sappia che ci permetta di affrontare una tale questione ».
L’on. Tovini, circa la politica estera ha detto che il partito popolare non può ignorare i movimenti dei cattolici delle altre nazioni, e che, pur esaminando caso per caso ogni questióne e visto che il capitalismo si internazionalizza, e il socialismo ricostruisce l’internazionale, ogni Stato forse perderà una parte della sua sovranità nella Lega delle Nazioni, anche i cattolici italiani potranno prendere accordi coi loro amici dell’estero. Ed ha annunciato che il 19 febbraio ad iniziativa della cooperativa sindacale operaia di Parigi (cristiano sociale) si terrà a Parigi una riunione per una intesa fra cattolici di Francia, Belgio e Italia per la costituzione di un segretariato permanente per organizzare la cooperazione, la resistenza, la mutualità cristiana sociale.
L’on. Cameroni, uno fra i primi cattolici eletti deputati in Italia, dopo aver ricordato la sua entrata alla Camera, ha dichiarato (7empo, 26 gennaio):
« Sulle prime, nonostante che le nostre esplicite dichiarazioni in argomento avessero trovato larghissimo consenso e plauso nella grande maggioranza della Camera, parecchi, certo più per interesse di parte che per intimo convincimento, continuarono a mostrarsi increduli sul nostro ossequio senza riserve, all’unità nazionale italiana, nè per più anni la nostra condotta politica, perfettamente conforme ai propositi enunciati, bastò a disarmare i prevenuti che ad ogni pie’ sospinto, e specie nei dibattiti elettorali all’indomani dei comizi, si compiacevano dì rinfacciarci l’ingerenza della gerarchia ecclesiastica nei nostri ordinamenti interni e nelle nostre mosse di partito.
« Il fatto era purtroppo vero, e da noi deplora-tissimo nelle sue conseguenze non- meno umilianti per l’autorità ecclesiastica che dannose per Ja causa nazionale. Ma come sottrarsi d’un tratto ad un regime precostituito al di fuori della nostra volontà, senza scompaginare le file nostre e senza compromettere la nostra preparazione politica già troppo ritardata dai passati interdetti?
« La guerra ha risolto coi fatti questo problema angoscioso, come ne ha risolti e ne risolverà tanti altri. I cattolici italiani, incoraggiati e guidati dallo stesso clero alto e basso, non hanno esitato un istante a distinguere l’azione propria nettamente nazionale dall’indirizzo naturalmente internazionale, o meglio extranazionale, della Santa Sede, e mentre così facendo non hanno che applicato alla realtà il preciso dovere loro segnato dalla religione in quanto quésta riconosce e mira a perfèzionare ed elevare i nuclei naturali dell’umana famiglia nell’ambito della civiltà universale, si sono, per così dire, conquistato con la forza dell’evidenza il pièno, indiscutibile esercizio del diritto di cittadinanza e si sono insieme svincolati, come tutte le genti anche cattolicissime nello spirito come il Belgio, dalla soggezione alla Chiesa in materia civile, sociale e politica ».
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LE CRITICHE
DE! DEMO-CRISTIANI: UN DEPUTATO
Ne! campo cattolico, fuori dell’organizzazione, ufficiale, vi è anche un gruppo che raccoglie i democratici cristiani rimasti fedeli a quelle idee che avevano per esponente Romolo Murri, e che pur essendosi staccati da lui quando, di fronte alla scomunica inflittagli da Pio X, uscì dalla Chiesa, rimasero tuttavia indipendenti dall’autorità ecclesiastica, formando la Lega Democratica Cristiana Italiana'
Ad essa appartiene il deputato di Spiiimbergo, on. Marco Ciriani, che alla Càmera con il vigore e la sincerità della sua azione ha raccolto vive simpatie in ogni settore.
Egli ha espresso nettamente il suo pensiero sul partito popolare in una intervista concessa al Resto del Carlino (18 febbraio 1919).
« Il pensiero di un democratico-cristiano nei riguardi del Partito Popolare Italiano — egli ha detto — non consente, a mio avviso del tutto personale, alcuna dubbiezza di apprezzamento. Per quanto grandi e abili permangono gli sforzi del mascheramento, sia a mezzo della stampa clericale di tutte le graduazioni, sia dai discorsi di presentazione, pare a me che si voglia riprodurre nella sostanza e nelle finalità la situazione che si creò per le precedenti elezioni politiche.
« — Cosicché in sostanza saremmo di fronte ad una specie di nuovo patto Gentiioni?
« — Precisamente, perchè questo P. P. I. si differenzia dal famosissimo patto nella forma e anche, in parte, nella sostanza, la quale però è tutta di apparenza, se non vogliamo fare un atto di fede sul contenuto addirittura demagogico di taluni punti del programma.
« Vedrà, poiché non occorre esser profeti, che nella lotta elettorale si riprodurrà V azione vera e propria del patto Gentiioni perchè si finirà per accettare accordi con coloro che facciano anche solo adesione al programma, o dichiarino di non ostacolarlo, e così riavremo il non edificante spettacolo* dei vari gentilonizzati del 1913...
« Le organizzazioni clericali restano, il partito dovrebbe aver vita fuori di queste, non però contro di esse, perché costituiscono i nervi, la linfa della nascente organizzazione politica, alla quale tuttavia dovrebbero poter appartenere anche coloro che non fossero cattolici se è vero che spiriti lìberi e forti esistono anche senza professione di fede cattolica.
< — Sicché Ella pensa che gli antichi democraticicristiani non aderiranno al P. P. I. quantunque l’autonomia per il Partito stesso sia nettamente affermata ?
« — Per farne parte occorrerebbe prima di tutto sapere se potremmo parteciparvi con tutto il nostro patrimonio d’idee e principi, i quali non
si limitano soltanto'all’autonomia. Noi democratici cristiani attingiamo le ragioni e le forze della nostra democrazia nel cristianesimo, ma non fondiamo nè informiamo l’azione nostra politica ad alcuna con-fessionabilità e come, ad esempio, in tema di politica ecclesiastica, propugnarne la libertà della Chiesa Cattolica, così con pari forza e sincerità vogliamo la libertà per tutte le Chiese.
« —ì Ma anche il P. P. I. afferma là necessità della libertà della Chiesa! . « — Sicuro ! Ma domandi un po’ ai firmatari del programma, chieda loro se si sentono di volere anche essi come noi la libertà religiosa nel senso che sia escluso ogni concetto di privilegio alla chiesa romana, vedrà che, proprio su questo punto la loro risposta non sarà affermativa, in quanto che non avrebbero il previo consenso del Vaticano.
E proprio a proposito di libertà della Chiesa, possono i promotori del P. P. I/o chi per essi, favorire dì precisare se esiste per la loro attività politica una « Question Romana > ? Per noi democristiani la questione romana è cosa morta, ma per essi esiste : Che cosa pensano oggi della'legge delle guarentigie? Ne vogliono ancora la internazionalizzazione ?
« E nei riguardi del fondo culto come la pensano ? Lo vogliono mantenuto, o sono propensi a forme di associazioni cultuali?
« Circa la libertà della scuola sono d’accordo che la libertà debba escludere qualunque finalità che possa andare contro o ferire lo Stato?
< E se volessimo analizzare più a lungo, creda pure che scopriremmo che di nuovo no c’è che la forma ed il metodo; poiché se hanno ottenuto la autonomia nella loro attività politica, non è escluso che il Vaticano il quale l’ha elargita, possa revocarla, dal momento che altrimenti non si spiegherebbe là voluta permanenza delle varie organizzazioni. Se queste avessero un contenuto esclusivamente religioso sembra a me che sarebbero superflue.....
« — Sta bene, ma l’autonomia concessa al P. P. I. rimane sempre un fatto politico di grande significato, e di esso deve ben trovarsi una ragione, sia pure che si tratti di una autonomia' soltanto formale e apparente.
IL VALORE
DELL’AUTONOMIA
— « L’autonomia della quale si mena tanto vanto potrebbe piuttosto considerarsi quale frutto di úna preoccupazione del Vaticano, nei. momenti attuali, di separare ogni sua responsabilità diretta. Non si sa mai quel che possa ancora accadere, e il Vatisano deve sentire di trovarsi, dirò così, alla mercè di quello che Benedetto XV in una famosa, e non troppo... wilsoniana intervista ebbe a chiamare «il popolo più mutevole della terra ». Mi comprende ?
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« Potrò errare, ma io credo che se la vittoria non fosse stata della Intesa, se esistesse ancora oggi la cattolicissima Austria, se quindi il Vaticano, come organizzazione politica intemazionale non avesse bisogno dell’Intesa, i cattolici non avrebbero avuto il consenso alla autonomia ed alla trasformazione della loro organizzazione, in un vero e proprio partito. Si è mutato tattica, ma le finalità restano quelle che erano prospettate nel settalogo Gentiioni.
< — Ma però un programma c’è, ed è un program-. ma indubbiamente politico e che implica l’accettazione di molti postulati democratici.
« — Il programma vale in quanto possa dirsi serio non per il suo contenuto, ma per le persone che ne chiedono credito. Potrebbe darsi che non fosse un programma definitivo ; il Congresso che terranno dirà meglio di qualunque commento che in realtà i componenti del P. P. I. saranno quei medesimi cattolici che durante il tempo di nostra neutralità si accanirono ad essere neutralisti, e che dichiarata la guerra si affrettarono a far conoscere che essi non l’avevano voluta, ma che la subivano in omaggio alle istituzioni^
« Con quanta convinzione !... potrebbe dirlo qualcuno dei promotori principali, e deputato per giunta, che ha continuato a fare il neutralista, e non dell’ultima specie.
« Le aggiungerò, con tutta franchezza, che io non credo alla sincerità di quel programma ; pretendono, nientemeno, di essere wilsoniani, mentre avrebbero accettato il parecchio, cosi come in quei tempi non rifiutarono l’attività personale dell’on. Miglioli e l’appoggio assai efficace di Erzberger.
« E’ strano che siano proprio i cattolici quelli che vogliono oggi tutta la Dalmazia, e marciano in corteo sul Campidoglio con l’on. Federzoni.
< Non è vero — Occorre ripeterlo con ogni energia — non è vero affatto che prima di Wilson sia dal Vaticano partita la iniziativa della pace, se per pace si intende quella che solamente Wilson ha prospettata, e che fosse stata invece proposta e sostenuta con le stesse finalità da'Benedetto XV, si che alla Chiesa cattolica risalirebbe l’incomparabile valore di avere dettato al mondo le leggi di un patto in cui justitia et pax osculatae funi. Ci fu così la nota di triste memoria dell’agosto 1917. Era però la nota del Vaticano, non del Padre della Cristianità...
« Tutti oggi vogliono essere wilsoniani, come tutti fanno a gara nel l’apparire quanto più è possibile democratici... sono etichette che mascherano molti contrabbandi. Noi siamo wilsoniani convinti, e il nostro passato così come il nostro presente ci dà diritto di esserlo ; pochi 0 mólti che siamo, non ci preoccupiamo del numero, nè facciamo transazioni.
* Il Partito popolare italiano trova ragione e spiegazione nelle necessità stesse del Vaticano, ma l’esperienza della guerra ha dimostrato come possano essere pregiudicate e compromésse le idealità reli
giose quando contro queste sono rese evidenti le preoccupazioni del momento e gli interessi temporali della Chiesa ».
CHI SONO
Anche Giuseppe Donati, segretario della Lega Democratica Cristiana Italiana, ha Sottoposto il nuovo partito ad una stringente analisi. Il suo ampio articolo è apparso, oltre che sull’organo della Lega, ne\V Unità, il settimanale diretto da Gaetano Salve-mini (8 febbraio 1919).
« I promotori del nuovo partito - egli scrive' — sono tutti ex democratici cristiani della prima maniera, adattatisi — i più per opportunismo parecchi per interesse e alcuni pochi per una specie loro propria di prudenza — ai compromessi giolittiani degli anni di Pio X. Hanno tutti, chi più chi meno s’intende, fornicato nelle elezioni politiche del 1904, 1909 e 19*3 con ' conservatori e con gli agrari, senza nemmeno scandol ¡zzarsi quando questi chiedevano alle organizzazioni cattoliche i voti per le alleanze politiche e amministrative con gli ebrei e con i massoni ; durante le grandi agitazioni operaie tra il 1904. c il 1908 hanno sostenuto-le leghe gialle e i crumiri; sono stati coi protezionisti e coi nazionalisti prima e durante l’imprésa libica; hanno difeso a oltranza la Triplice ; hanno approvato a suo tempo la « giusta vendetta * dell’Austria contro la Serbia e le batoste toccate alla Francia nei primi mesi della guerra europea ; sono Stati vigili pretoriani della neutralità, del « parecchio » giolittiano, della guerra per il « sacro egoismo », della pace di compromésso ; hanno promosso la campagna austro-germanofila contro gli Slavi, oggi ancora in corso con tanto di appendice contro i « rinunciatari bissolatiani >.
Con questi precedenti, che credito si può dare alle promesse che i « neopopolari > vengono agitando? Si può credere che, dòpo aver perseverato, per tanto tempo e attraverso così capitali vicende, negli antichi errori e nelle antiche colpe, questi clericali vogliano e sappiano romperla seriamente e sinceramente con il proprio passato e purgarsi di tanta responsabilità?
La risposta può essere faóilitata da un’altra osservazione.
Nell’appello e nel programma i sottoscrittori hanno evitato di chiamarsi clericali o cattolici. Perchè?
Quando una ditta ha un nome sociale screditato, i soci cercano talvolta di riabilitare il proprio commercio mutando etichetta. A nostro avviso i neopopolari clericali hanno seguito un procedimento analogo. Se si fossero chiamati senz’altro clericali o cattolici si sarebbero trovad nell’imbarazzante necessità di esaminare e giudicare tutto il proprio passato e quello dei consoci di destra e di sinistra, impegolati di responsabilità remote e prossime tali dà non ispirare troppa fiducia a quegli < spiriti forti
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e liberi » che il nuovo partito varrebbe adunare nelle proprie file.
In realtà i clericali italiani, per quanto non vogliano romperla col proprio passato e con tanti loro uomini più che compromessi, non si nascondono che la loro influenza e il credito sono, in questi ultimi quattro anni specialmente, assai diminuiti, proprio là dove contavano i seguaci più fidi.
Tra i contadini, per via delle precedenti alleanze tra le organizzazioni clericali e la borghesia conservatrice, è diffuso e radicato il convincimento che la politica clericale è responsabile dei danni e dei dolori prodotti dalla guerra nello stesso modo che lo è la politica dei conservatori. Invano, noi crediamo, il clero rurale, pontificando in tono minore, ha cercato di opporre a questo convincimento riti e declamazioni pacifista (o disfattista), e si dato a procacciar esoneri ai contadini combattenti e rimpatrii di prigionieri più o meno mutilati. Il successo di questa politica, a confessione dello stesso Benedetto XV, è stato contrario alle speranze concepite dai suoi zelanti promotori. I quali se per assecondare il popolo nell’ostilità alla guerra han rischiata talvolta la galera, per scamparla, han fatto davanti ai giudici tali dichiarazioni da annullare tutti gli effetti pratici della precedente propaganda.
Lo stesso risentimento contro la politica clericale è nutrito 'in genere da tuttto il minuto popolo tradizionalista di provincia.
D’altra parte la gioventù della media e della piccola borghesia, che ha dato gli ufficiali di complemento combattenti e tra cui i clericali reclutavano i propri capi e sotto capi, è pervasa da un insof-focabile spirito di giustizia democratica non meno vivace del risentimento popolare e più di questo insofferente degli equivoci e dei compromessi.
Il dubbio che il programma democratico dei popolari clericali sia un trucco viene sempre più rafforzato dall’attitudine del Vaticano e degli organi ecclesiastici reazionari in questa. Si è detto che il Vaticano si limita a prendere atto semplicemente della libertà che i cattolici sociali si prendono nel fare la politica che preferiscono e nel costituirsi in partito senza attendere nè il consiglio nè il beneplacito della suprema autorità cattolica.
Ora, per quanto il temperamento di governo di Benedetto XV sia diverso sostanzialmente da quello di Pio X, e la paura del bolscevismo abbia fatto tremare perfino il Portone di bronzo, questo procedimento è inconcepibile per la mentalità cattolicovaticana.
Infatti il dire che il Vaticano ha preso atto semplicemente del fatto compiuto è per lo meno una inesattezza. E’ notorio invece che il Vaticano ha seguita, approvata punto per punto la concezióne, la gestazione e il parto del nuovo' Partito; inoltre ih Vaticano tien vive e vuole « docili strumenti > della propria azione anche politica le Unioni catto
liche preesistenti al Partito. Questa riserva è apparsa testualmente fra gli atti ufficiali delia S. Sedè il giorno stesso della pubblicazione del programma e dell’appello dei < popolari », e la stampa clericale non ha potuto, negare che tra Puna e l’altra pubblicazione corra un nesso intenzionale.
IL COMPITO
DELLA DEMOCRAZIA
Quale dovere ha la democrazia, degna di questo nome, di fronte al nuovo Partito clericale?
Lo studio accurato e intelligente delle sue mosse e dei suoi piani politici, la critica assidua e pene? frante, la smascheratura e la lotta, se occorra, sono cose doverose e utilissime. Ma non bastano.
I clericali fondano la loro popolarità sul fattore religioso, che esercita una influenza reale profonda anche sulla vita materiale. Quando il dolore eleva alla cosciènza umana i suoi terribili ostacoli, l’uomo tende naturalmente a rientrare in se stesso e a domandarsi perchè esiste, perchè soffre, perchè c’è il male, perchè c’è la morte... Il problema dell’essere che la.ragióne non risolve suscita così l’attitudine religiosa. Lo spirito umano trova riposo e forza nelle promesse cristiane, che toccano, certo più che la mente, il cuore e lo consolano. La Chiesa che conserva e garantisce queste promésse divine, che tende a compenetrare col loro mistico carisma tutti gli atti della rita dalla nascita alla morte, nel matrimonio e nella verginità, nel lavoro e nel riposo, rappresenta veramente per tante anime la zattera socratica che « il mare dell’essere varca >. Da ciò deriva la popolarità del cattolicismo.
Ora, la democrazia italiana — tanto lontana per questo da Giuseppe Mazzini — per dimostrarsi anticlericale è stata essenzialmente antireligiosa e, peggio ancora, blasfema e immorale. Ha fatto il giuoco dei clericali suscitando contro se-stessa in tante anime una istintiva invincibile ripugnanza.
A nostro avviso la democrazia italiana, per essere veramente anticlericale, dovrebbe essere profondamente religiosa. Per chi, come per lo scrivente, la religione vera e perfetta è il cristianesimo, la democrazia italiana dovrebbe essere cristiana. Tuttavia l’opzione per i valori religiosi cristiani può conciliarsi praticamente con la collaborazione con quelli che verso tali problemi si protestano agnostici ma ne sono sinceramente rispettosi.
In pràtica, la democrazia italiana dovrebbe in primo luogo comprendere la religiosità e rispettarne le manifestazioni legittime. Secondariamente, dovrebbe far proprio il programma della lotta e della difesa contro là pornografìa, il ma) costume, il turpiloquio, che sono purtroppo una triste caratteristica dei ceti cosidetti democratici. In terzo luogo dovrebbe sinceramente volere assicurata la integrità della famiglia, la libertà scolastica e la
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libertà di associazione per scopi religiosi. Quest’ul-tima dovrebbe essere perfezionata con una legge veramente liberale di separazione della Chiesa dallo Stato ».
L’organo della L. D. C. I., V Astone Cristiana non è stato meno esplicito ne) giudizio sui nuovo partito. In un articolo di commento al programma del P. P. !•» esso si chiede (2ó gennaio 1919) :
< Il nuovo parito è cattolico o non lo è ? Se lo è, perchè non lo dichiara apertamente? In tutti c due i documenti la parola cattolico non ricorre mai, nemmeno per accidente. Sé invece il nuovo partito non esclude, a priori almeno, i non cattolici, perchè non lo dichiara apertamente? Fórse il nuovo partito vuol essere cattolico di fatto, ma non di nome ? Perchè? Il silènzio e le reticenze evidenti sono sempre causa legittima di diffidenza e di sospetto.
PER LA SINCERITÀ
E di fronte a queste ancor più ostentate reticenze noi, democratici cristiani a viso aperto, soliti di parlare come si pensa e di chiamare le cose col loro vero ed unico nome, abbiamo ragione di diffidare e di sospettare della sincerità del nuovo partito.
Diciamo di più che l’ambigua sincerità politica di uomini come Sturzo, Grosoli e Cavazzoni, resta annullata dal notorio « migliolismo » degli altri sot-scrittori, come Berlini, Longinotti, Rodinò, ecc.
L’adesione dei giornali clericali al nuovo partito perfeziona l’equivoco e rafforza le diffidenze. *
I giornali clericali hanno detto apertamente che « il Partito popolare italiano chiama a raccolta i cattolici d’Italia *, ed è l’esponente organizzato delle idee politiche e sociali che i detti giornali hanno sempre sostenuto e stanno sostenendo.
Dunque il nuovo Partito popolare italiano è il travestimento d’occasione del vècchio partito-clericale, non solo perchè gli uomini che lo rappresen
tano non sono nient’aflatto nuovi, ma anche perchè il contenuto delia sua azione non differisce sostanzialmente (a parte, s’intende, le parole, buone per gli ingenui) dai metodi di lotta proprii del vecchio partito clericale.
Il nostro fermo convinciménto è che i clericali italiani lavorano inconsciamente per i partiti estremi, e la loro perdurante assenza di coraggio e di sincerità, manifestatasi ancora una volta dall’ibrida convivenza di tanti elementi opposti, non farà che affrettare e rendere irreparabile il tramonto di tutte quelle istituzioni e concezioni anacronistiche che essi vorrebbero invece salvare.
Pensiamo inoltre che i promotori del nuovo (?) partito abbiano fatto male i loro conti illudendosi, forse, che tra i reduci dalle trincee il loro programma venga accolto con piena fiducia. Suppongono che sia stato già dimenticato il loro nefasto contegno unanime durante la guerra? La guerra è stata grande saggiatrice di tutti i valori personali, e sarà, nel perdurare della sua indimenticabile esperienza, l’ese-cutrice inesorabile delle condanne già pronunciate. Tra gli undici firmatari del nuovo (?) programma son troppo pochi quelli che possono sfuggire a questa condanna, mentre la maggior parte è convinta di reato imperdonabile.
La giustizia, che tutto il paese giovine reclama impaziente per il giorno prossimo del rendiconto inevitabile, sarà inesorabile anche con questi signori ».
Un’accoglienza nettamente favorevole ha trovato il partito cattolico nella stampa liberale e nazionalista; e s’intende: lè elezioni sono vicine.
Qualche riserva e déboli opposizioni sono state mosse da alcuni giornali democratici, disorientati anch’essi. Ma l’atteggiaménto della stampa e dei partiti esamineremo un’altra volta.
Roma, mano iplpGuglielmo Quadrotta.
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ANCORA A PROPOSITO DI “PREVISIONI”
Ho qui davanti a me due Osservazioni fatte al mio articolo: Previsioni, e inserite nel Num. di Nov.-Dic. di Bilychnis. La prima è sottoscritta: Leone Luzzatto, la seconda : Arturo Vinay. La prima è tutta analitica, la seconda tutta Sintetica.
Io dico subito di consentire pienamente con la seconda, di dissentire pienamente dalla prima. E siccome è molto più facile dire perchè si conviene, massime quando il convenire è in un punto centrale, anzi genetico dei pensièri comuni, che non per quali ragioni si dissenta, massime quando il dissentire riguarda questi pensieri presi uno per uno, comincio dal Sig. Vinay.
In sostanza egli mi osserva che tutti i guai da me previsti e paventati per il periodo successivo alla gucrta si riassumono in gran guaio generatore di tutti gli altri, e cioè nella mancanza di educa siane, e, s’intende, di educazione morale, intima, profonda, che fa assegnare il valor vero alle cose, e, dietro questa luce intellettuale, stimola, agguerrisce,' sostiene la volontà contro tutte le male insidie e le morbide allettative individuali e sociali.
E nulla di più vero. Noi Italiani non manchiamo, ma certo difettiamo di tante cose, soprattutto però e in troppi casi, di una direttiva interiore, rigida, severa, coerente a sè stessa sempre e comunque si atteggino intorno a noi le circostanze, qualunque sia il numero e la gravità degli esempi altrui, da qualunque parte quella che si chiama la corrente volga e travolga le anime fiacche e nulle degli egoisti e degli opportunisti.
Tutte le triste cose dà me accennate e prevedute nel mio articolo discendono, come rivi, da questa trista sorgente.
Dovevo io accennarla ? Forse dovevo; certo potevo ; ma non mi pare che il non averla accennata mi togliesse il diritto di biasimarne i derivati, come cortesemente mi ammonisce il Sig. Vinay.
Ad ogni modo, c siccome l’importante è che si scopra il male, sperando che, una volta scoperto, sia più facilmente curabile, accetto di gran cuore
la critica mossami; e, se la mia voce può valer qualche cosa, ecco io la unisco a quella del Vinay e di quanti si impauriscono con lui di questa' nostra malaugurata superficialità, di questa nostra leggerezza, di quella che egli chiama con una parola sola : mancanza di educazione, e grido anch’ io ai miei connazionali : Amici cari, è inutile che mi vantiate i vostri eroismi guerreschi e le vostre vittorie ; gli eroismi guerreschi sono un episodio nella vita di un popolo, episodio brillante, ma effimero, che dura quanto dura la guerra ; e le. vittorie sono appena una vampata di luce. Gli eroi della guerra mirabili e vittoriosi possono benissimo, tornando alla vita comune e normale, mostrarsi fior di vigliacchi, anelanti di andare ad ingrossare quel nuvolo di illustri canaglie e di mascalzoni fortunati che per,quattro anni-specularono sui dolori della patria, giocarono e vinsero un terno al lotto sulla guerra, e s’ingrassarono sul sangue, ai sicuro, protetti, e all* occorrenza gratificati del titolo di benemeriti patrioti.
Dico — possono — distinguendo precisamente, tra gli eroi reduci dalla guerra e dalla vittoria, quelli educali, nei senso chiarite dianzi, e quelli noneducati.
Gi vuol del fegato... e della forte salute per resistere ai disagi della trincea ; del fegato e del sangue freddo... o caldo... per irrompere allo scoperto nelle fazioni della battaglia e agli assalti; ma ci vuole della virtù, già, così semplicemente, della virtù — dell’educazione, direbbe il Sig. Vinay — per durarla anni, anni ed anni nella trincea del proprio dovere di galantuomini, o diciamo di uomini senz’altro; e per... non irrompere all’assalto dèlie sporche fortune, quando sì presentino alia vista.
Fare alle schioppettate e alle cannonate col nemico può essere persino eroismo; ma fare un corpo a corpo 'con la cupidigia, e in genere con la bestia malvagia che si chiama passione, sempre viva e latrante ih noi stessi, un corpo a corpo che non ha mai tregua, di nuovo è semplice virtù ; ma la virtù esige assai più forza ed è più eroica di qualunque eroismo.
Dunque educhiamo-, impastiamoci un po’ d’uo mini... e di donne a cui la virtù sia eroismo di vita
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NOTE E COMMENTI
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Tremendo .compito !
Abbiamo visto che ad impastar dei soldati e a comporne un esercito che, sia pure tra fasi alterne, strappa infine al nemico una gloriosa vittoria, basta qualche mese. Per educare a virtù i cittadini, chi mi sa dire quanto tempo ci voglia?
Ma il problema più importante non è del tempo, è della cosa e degli agenti. Chi deve educare? E che cosa vuol dire educazione?
Chi dovrebbe educare molte volte non è educato lui - pensate ai molti genitori e ai molti maestri, e ai molti direttori di Istituti di educazione. — É uno spavento ! Tornano a mente i versi d’Orazio :
Aetai parentum peior avis tulit Nos nequiores, mox daturos Progeniem vitiosiorem.
Ebbene: abbiamo combattuto gl’imboscati della guerra, combattiamo gl’imboscati dell’ educazione.
È, per amor di Dio, concretiamo i concetti, e non ci svariamo dietro le nuvole e il fumo delle parolone.
Che voglia dire educazione lo sappiamo, o non si tratta per saperlo di scoprire quella tal ventina di Americhe di cui parla Pascarella. Atteniamoci ai vecchi concetti vigenti nelle nostre buone vecchie famiglie alla buona'.
Per quelli poi che ne avessero perduto le sane, benedette tradizioni, andiamo pure alla scoperta dell’America — alla lettera — e l’America, rappresentata adesso dal suo più cospicuo figlio, Woodrow Wilson, ci ridica, un po’ chiaro che significhi : cui tura, chiarezza di visioni, fermezza di disegni, fede nei grandi principi e coraggio nel professarli, integrità di vita famigliare e di vita pubblica, fiducia di sè, armonia della libertà con l’ordine, dell’individualismo con l’universalismo, onestà di pensiero e semplicità di parola, rispetto per tutto ciò che è buono, e buono perchè produce del bene, ma audacia nel buttar giù e nello spazzar via tutto quello che è cattivo, e cattivo perchè produce del male, principio, mezzo e coronamento di tutto, religiosità schietta, profonda, pratica e professata senza veli e senza viltà.
Tutte cose che anche in Italia ci sono, ma che bisognerebbe diventassero più comuni, ecco, più della maggioranza fra noi. Tutte, compresa l’ultima, che è, a colpo sicuro, quella a cui meno sono aperti gli animi di questa gente italica, che è. per un primato senza contestazioni, anche adesso dopo la guerra, la gente degli... intelligenti... senza fede e senza culto, e del popolo che bestemmia.
E vengo alle Osservazioni del Sig. Luzzatto.
Egli conviene meco soltanto nell’affare dei superprofits di guerra; capisce anche lui che rimarranno i superprofits, di pace, senza tuttavia che le
sue parole tradiscano il benché minimo spavento. Beato lui ! Si vede che può seguitare ad affrontare la situazione — come dicono — tranquillamente. Se il suo tesoriere si trovasse nelle condizioni di quello di Qui quondam,, che altro tono!
Ma lasciamo andare. Per me, che scrivo senza pensare, per esempio, a quello che mi concederà di superlp imbandigione, a mezzogiorno e mezzo, il superprofitto — di guerra o di pace, è perfettamente lo stesso — quello che mi spaventa è la radice immorale della faccenda. E speriamo che si tratti d’ un effetto dell’ inutile pessimismo regalatomi dal Sig. Luzzatto.Il quale dice, seguitando, che io fo peggio che esagerare parlando di fiaccona e di mal costume.
Ricordano i lettori di Bilychnis le mie parole? Press’a poco, queste : Se non ci sarà un profondo rivolgimento negli animi, facilmente si ricadrà nella nostra fiaccona .di prima-guerra; perchè pensando alla esplosione di eroismo che ci ha dato molte vittorie, e Vittorio Veneto, si dovrà conchiudere: dunque risdraiarsi nel. sopore di prima non importa nulla.
Il Sig. Luzzatto mi oppone: Non si dà mai il caso die l'attività e la volontà umana siano impo-postate su ragionamenti di tal fatta.
Ecco : forse il Sig. Luzzatto non ha una gran passione per la psicologia {non omnes ad omnia); se no, saprebbe che ogni volontà e ogni attività umana dipende sempre da un ragionamento. Non sarà di tal fatta, tanto meno sarà con una data forinola combinata da noi a tavolino; sarà anzi quasi* sempre un ragionamento tessuto nel suo segreto rapidamente dalla... ragione, ma esso precede sempre qualunque volontà e attività. Pochi lo avvertono, ma non avvertirlo non- vuol dire che non ci sia. Le premesse pratiche specialmente son quasi sempre tacite, ma purtroppo chiarissime ed efficacissime in tutti, massime quando la conseguenza riguardi quello che chiamai il nostro interessacelo.
Ma dove la divergenza fra il Sig. Luzzatto e Qui quondam si fa, diciamo cosi, più profonda, è sul punto del mài costume.
E capisco benissimo. Il Sig. Luzzatto può asserire, così, a sangue freddo, che nessuno mai è riuscito a determinare i limiti del mal costume ; còme può non divergere foto coelo, dicevano i nostri buoni vecchi, da me, che invece quei limiti li ho sempre veduti?
E’ vero che il Sig. Luzzatto deve aver disteso la sua sentenza nel calore della polemica, e ricordando chi sa quali mirabili teorie di quelle che, per grazir di Dio e di questo nostro limpido cielo diafano, non nascono quasi mai in Italia e da seme italiano.
Infatti egli, subito dopo il suo universale giudizio: Nessuno ecc., soggiunge: io son d'avviso che la media del mal costume sia pressoché uguale in
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ogni tempo. Ah, ma dunque egli sa che vuol dire mal costume, se no, còme ne parlerebbe, attribuendone una dose uguale a tutti i tempi? E seiosa, ne conosce i limiti, i limiti che glie lo fanno distinguere dal loro contrario, il buon costume. Senza conoscere i limiti dai quali due cose son separate, si è nella confusione, nel rischio continuo di scambiare il sì col no, il bianco col nero, un% cosa con l’altra. Datemi i limiti e cammino sicuro:; negatemeli, c faccio a moscacieca '0 a indovinalagrillo ; datemeli, e sono sopra un terreno solido; negatemeli, c vado a ciampiconi in una zona devastata da teorie tedesche.
E che gnai anche per Lei, ottimo signore! Se Lei non distinguesse i famosi limiti, da un momento all’altro che papere!
Volterebbe le spalle alla moglie di Tizio e darebbe la mano alla sua amante ; darebbe di Fi fi alla fidanzata di Caio, e di Signora alla mantenuta di Sempronio, farebbe un inchino alla nottambula del cantone; ed entrerebbe a casa per dare uno schiaffo a sua sorella (ha una sorella, signore? Fortunato Lei, io non l’ho più!). A proposito: domandi un po’ a sua sorella, a sua mamma, a sua moglie, dei limiti: vedrà che non è vero niente che nessuno inai sia riuscito a determinarli, e non scriverà più certe brutte cose.
Vede il Sig. Luzzatto che io, non solo non sono ingeneroso, ma stimo altamente la donna, quando è donna; ne invoco il giudizio su cose in cui gli uomini con tanto di baffi lo pèrdono! e non mi rimproveri più i miei biasimi alle immascolinate e alle q^rin/ftAdurante la guerra. Appunto le ho biasimate, perchè stimo quelle che nè si offrono a qualunque ufficio, nè si immascolinano, nè scodinzolano, nè sfrontateggiano, nè mettono-' in mostra quanto più possono di carne, come fosse proprio roba da vendere.
Curiosa, a questo punto, l’argomentazione del mio contradittoré : « dopo quanto seppe fare la dònna per sostituirsi al maschio (io avrei detto: all’uomo-. benedetti limiti!) dopo le molte sue benemerenze e sacrifici, rinfacciarle il suo immasco-linarsi e il sua offsirsi, è poco generoso ». Sarebbe come se io argomentassi cosi : dopo quanto il maschio seppe tollerare e soffrire combattendo e morendo, rimproverargli d’essersi imboscato e d’aver tradito, è poco generoso. L’impiccio è nell’uso del singolare invece de! plurale. Non la donna, àcrtencr dire, ma le donne : mi confesso di quest’uso sintattico. Non mi balenò il pericolo dell’ equivoco. Il quale del resto era tolto da questo periodo mio in Previsioni'. la donna vinse la ripugnanza al sangue e alle tor
ture, qualche volta, certo — e tristo chi non lo riconosce — per delicata, per vittoriosa carità — ma spesso per vanità, per moda, per iattanza, per lucro, secondo i casi e il ceto a cui appartiene. Fórse il Sig. Luzzatto non mi ha letto con abbastanza attenzione. Adesso che gli.ho trascritto .le mie parole, senta come le mie riserve vadano naturalmente estese a tutti gli altri appunti da me fatti alla donna del tempo di guerra, e vedrà che io non ho commesso nessun peccato d’ingenerosità.
Finalmente, io ho scandalizzato il Sig. Luzzatto per le mie espressioni sulla’ Dalmazia ; ma io non so che farci. Sono stato in Dalmazia lunghi mesi, prima della guerra; vi ho ammirato la tenacia italiana, 1’ operosità geniale e ingegnosa della Lega Nazionale-, nel bel teatro di Zara, dove fui invitato a parlare, ho fatto vibrare io stesso quei cuori ardenti e generosi dei più puri sentimenti patriottici, tra applausi scroscianti seguiti da un curioso Spalancar d’occhi d’uno zuccone di delegato che aveva l’incarico di verificare de auditu se io aggiungessi una sillaba al mio manoscritto, riveduto e corretto dalla I. R. Censura, verificava che io stavo fedelmente alla consegna, e quindi non ci capiva un’acca, c pareva si domandasse, in tedesco : « Che diavolo applaudiscono questi matti?»; ebbi dei geniali, indimenticabili colloqui col vecchio amico di N. Tommaseo, Sig. Miagostovich ; vidi, interrogai uomini e cose, fui come avvolto da un’onda quarantottesca delle più fiammeggianti; e tuttavia riportai allora in me la stessa idea che ho espresso ora. Badi tuttavia il Sig. Luzzatto, il quale probabilmente la Dalmazia la conosce solo dalle carte geografiche e dalle informazioni de\V/dea Nazionale, che io ho parlato della Dalmazia, e cioè della intera regione ; ma che, se dovessi specificare, indicherei i centri dalmati su cui l’Italia può e deve accampar diritti, e il mio pensiero circa la sorte dei nuclei italiani di tutta la regione medésima. Intorno a che, amo dichiarare, trovarmi io perfettamente d’accordo con quanto, da mesi e mesi, sostiene, appoggiata a dati positivi, a ragioni chiare, a distinzioni chiarissime, a proposte più che accettabili, l'Unità di Salvemini.
E cosi ho finito.
Non mi rèsta che aggiungere una parola da cui scaturirà la più aurea pace fra me e il mio, dèi resto cortesissimo, contradittoré: ho io secondato un sentiménto pessimistico scrivendo il mio articolo Previsioni? I fatti lo proveranno. Non credo che i fatti del passato periodo li abbia veduti a una falsa luce : quelli avvenire cancellino ogni previsione meno che lieti: è il mio ardentissimo vóto.
Qui quondam.
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TRE LIBRI PER L’ORA PRESENTE
Dei tre libri ch’io raccomando caldamente all’attenzione dei lettori di Bilychnis parecchio è già stato detto. Se mi propongo, di dirne una parola anch’io, si è perchè non voglio essere egoista. Sono libri che mi hanno fatto del bene, e desidero invogliare altri a leggerli perchè di quel bene possano anch’essi alla lor vòlta godere.
TOWIANSKI
Il primo è Vita e pensiero di Andrea Towiansbi (1799-1878) (1), scritto da Maria Bersano Begey e preceduto da una magistrale prefazione di Giovanni Amendola. In questo librò, Maria Bersano Begey, dice giustamente l’Amendola, * ha fissato, con mirabile maestria, le linee del pensiero e la fisonomía della vita di Andrea Towiaùski ’ ; e l’ha fatto con un sentimento di profonda comunione spirituale col grande uomo di Dio. Questo non è soltanto un bel libro, ma è un libro in cui ogni pagina palpita di una vita veramente ‘ nascosta con Cristo ih Dio ’. La biografia di un uomo che abbiamo amato d’amor puro e grande non si scrive soltanto con la mano e con la mente; si scrive sopratutto col .cuore; c quando le idee e gli ammaestramenti di cotest’uomo sian diventati nel santuario della nostra vita interiore tante * realtà ’, tante * esperienze ’, se awien che ne parliamo, lo facciamo còme ha fatto Maria Bersano Begey: in modo, che obbliga chi ode a fermarsi per ascoltare e meditare. Il segreto del gran bene che l'anima prova alla lettura di questo libro, sta nell’ultima parola che lo chiude e lo definisce scultoriamente : ‘ Offro questo libro come una testimonianza ’. Maria Bersano Begey può dire con San Giovanni : * Quel che abbiamo udito, quel
(i) Milano, 19x8. Libreria Editrice Milanese, Via San Damiano, 46. Presto, Lire 6.
che abbiam veduto con gli occhi nostri, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani han toccato dèlia Parola della vita noi l’annunziamo a vói, perchè voi pure siate in comunione con noi ’. Di questa sua * testimonianza ’ moltissimi le son già grati, e io son certo che molti più ancora le saranno grati in avvenire..
E che dire di Andrea Towiaiski? Fu un * profeta ’ nel senso vero e alto della parola : un uomo, cioè, ispirato e chiamato da Dio per additare alla sua e alle generazioni future la via che per mezzo della verità conduce alla vita. Come i profeti antichi, il Towiaàski, vivendo al vivo presente e meditando sugli avvenimenti del passato, assorse con intuito divino a maravigliose visióni dell’avvenire. Della missione che Dio gli aveva affidata sentiva profondamento tutta la grandezza e tutta la responsabilità : * operare una grande riedificazione cristiana della coscienza moderna e della vita sociale ’. Il mezzo per giungere a cotesta riedificazione egli capi non poter essere altro che il Vangelo : * Il^Wgdo i è .Punica mia luce, l’unica mia legge; nulla di più alto scenderà sulla terra. Il lume celeste di questo A libro fu, e sarà, sino alla fine del mondo, l’unico faro dell'uomo ; ed ogni altra luce non sarà che il- , listone passeggera ’. L’epoca nuova ch’egli salutava ' ih fede era per lui, come dice l’Amendola, * l’epoca di un cristianesimo superiore, cioè interamente attuato : un cristianesimo intimo, ma non ripugnante alla tradizione collettiva, concentrato ed energico nella edificazione dell’uomo, ma non duro ed astratto nella trascendenza del dogma e della filosofia ’. Un passo specialmente, ch’è una vera e propria visione profetica, mi fa pe.nsare alla stupenda statua del nostro Sarrocchi, che a Siena, nella penombra di una Cappella del maestoso Cimitero della Misericordia, rappresenta Ezechiele nell’atto di protender le mani ed esclamare : ' Ossa arida, audite verbum Domini ! ’ * Molto sangue sarà sparso, mólte nubi tempestose
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passeranno, dopo di che le tenebre fuggiranno; il sole del giorno di Dio apparirà tanto più luminoso, e la direzione sarà tracciata per l’epoca cristiana superiore. Con questa direzione si compirà nel mondo il cambiamento destinato dai giudizi di Dio : avremo un altro ordine di cose, un’altra moralità, un’altra coscienza. Un altro spirito, lo spirito dell’epoca superiore, discenderà sul mondo, lo avvolgerà col suo soffio c lo rallegrerà. Sono i tempi di Gesù Cristo, nei quali si rinnova, secondo il grado segnato, quello che già si compì al tempo di Gesù Cristo, perchè il cristianesimo vivente, real izza mesi, cominci nel mondo ’.
La potenza del Towiaùski sta principalmente nel fatto ch’egli comprese e sperimentò la virtù mistica del Cristianesimo : intendo, non la fantasia mistica ch'è uno stato morboso dell’anima e mena alla sterilità e al [’inerzia, ma la virtù che scaturisce dalla immanenza continua di Dio in noi, e produce l'operosità e la vita. Le grandi formule : ‘ Cristo in noi 4 noi in Cristo ’, 4 vivere per la fede ne’ luoghi celesti con Cristo ’ non eran più per il Towiaùski delle astratte formule teologiche : eran diventate delle ' esperienze ’ nella sua vita interiore. Egli 4 sentiva ’ che cosa fosse la comunione intima, personale con Dio per mezzo di Cristo : là comunione che anche San Giovanni, San Paolo, San Francesco d’Assisi, Santa Caterina da Siena aveano sentita; e da quella comunione sgorgava tutto il suo pensiero, tutta l’energia necessaria alla sua instancàbile attività. Se teniamo conto di tutto questo, non avrem pena ad afferrar bene le /idee centrali del suo insegnamento. Per lui, 4 Cristiano ’ non è se non chi 4 dimora ’ in cotesta misteriosa ma reale comunione con Cristo, tenuta viva dalla preghiera e dalla meditazione della Parola. Il Regno di Dio è là dove la Parola di Dio è vissuta e tiene le anime sulla via di Dio. La Chiesa è véra Chiesa di Cristo, non per la sua costituzione esteriore, ma solo in quanto è manifestazione di cotesto Regno. Per luí, i nomi non valgono; le organizzazioni ecclesiastiche non sono l’essenziale: l’essenziale è la vita in Cristo e per Cristo', è la vita vissuta in armonia con la Parola, che è l’espressione della volontà di Dio.
Concludo con due pensieri del sant’ uomo, che dall’altra sponda della eternità ci giungono,, in quest’ora solenne, come un mònito e un incoraggiamento. Ai teologi d’ogni ramo della Chiesa cristiana il Towiaùski ricorda che la teologia non è la scienza che ragiona freddamente sui sacri testi e sui dogmi antichi o nuovi, ma la scienza di Dio che accoglie, fonde le voci di tutti i cristiani che conquistano la verità pensando, operando ed amando: la scienza pronta ad ogni istante a sacrificare ogni sua parte caduca per rinnovarsi in ciò che costituisce il suo fondo immortale. E ai greco russi, ai protestanti ed ai cattolico-romani dice : 4 Penetrate a fondo la verità che la vostra Chiesa vi presenta; realizzatela,
infondendovi il soffio dello Spirito che in voi sentite. In questo travaglio, l’anima vostra vedrà aprirsi nuovi orizzonti, e troverà, operando, la luce; sarà cosi che voi progredirete, e con voi progredirà là vostra Chiesa ’.
Maria Bersano Bcgey aggiunge a questo punto le seguenti parole, che troveranno senza dubbio nel cuore della maggior parte de* lettori l’eco profonda che hanno trovato nel mio: 4 Già in questo progresso il Towiànski vedeva dileguarsi, al fuoco dell’amore e del sacrificio, gli ostacoli che han prodotto le divisioni- fra le Chiese cristiane, e quelli che impediscono alle altre chiese sparse pel mondo e ascendenti a Dio di comprendere la divina parola di Gesù. Tutte égli vedeva giungere per diverse vie ad un cristianesimo cattolico, perchè véramente universale, in cui la grandezza dell’ ideale del Cristo divino ed umano vincerà gli animi, li unirà nell’ardore per la realizzazione del sacrificio da Cristo compiuto in un’ elevazione che tutti condurrà a Dio ’. Affretti il Signore l’avvento di cotesto cristianesimo, ch’è il vero cristianesimo di Cristo!
GESÙ DI NAZARETH
Il secondo libro ha per titolo : Gesù di Nazareth^ Studio critico storico di Pietro Chiminelli (x ). È un libro d’oro, scritto da un giovane di vasta cultura, di mente lucida, di rara modestia. Il soggetto che egli ha impreso a trattare, è arduo, specialmente ai tempi nostri; ma è’ l’hà trattato da maestro, e a questo libro io esorto a ricorrere chiunque voglia accostarsi alla grande, santa figura del Salvatori col desiderio intenso di que’ Greci che a Gerusalemme dissero a Filippo: 4 Noi vorremmo veder Gesù ’. Leggendo quéste pagine, mi sori tornate alla mente alcune parole che Federico Godet scriveva a proposito della classica Vita di Gesù del Riggenbach : 4 Nonostante l’assenza d’ogni apparato* scientifico, nessuna difficoltà seria è qui ignorata o schivata. Sotto queste linee che il laico legge correntemente e senza neppure immaginare quello che ricoprono, il teologo disceme costantemente le .tracce del lavoro esegetico più minuzioso e la erudizione più vasta ’. Gli ammaestramenti che il volume contiene sono chiari, incisivi, e sgorgano dai testi in modo naturale, come l’acqua che sgorga dalla vìva sorgente ; il materiale storico e archeologico, che abonda nel libro, serve a maraviglia a chiarire passi oscuri, a dare alle scene ’evangeliche la loro fisonomía precisa; -e per tutta l’opera passa un soffio di modernità, che la rende di facile, gradita e cara lettura.
Il mondo al tempo della nascita di Gesù è descritto con esatta verità storica; Il Paese di Gesù è ritratto in modo preciso e così vivo da lasciare
(<) Roma, 1918. Edito dalla Direzione della Scuola Teologica Battista. Via Crescenzio, j. Prezzo, Lire 4.
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TRA. LIBRI E RIVISTE
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nella mente una impressióne incancellàbile. Questi due capitoli servono in modo miràbile a introdurre il soggetto. Il profilo della Madre di Gesù è fedele; l’autore ha tesoreggiato con sano criterio esegetico tutti gli elementi che a questo proposito gli fornivano i testi sacri, e non s’è lasciato ammaliare dalla leggenda. Gli anni silenziosi di Gesù è un capitolò ch’io non mi pèrito chiamare • magistrale ’ ; è condotto-con vero sentimento d’artista, con mirabile precisione storica, con intuito d’esc-gcta sicuro. Se l’autore avesse parlato più largamente delie relazioni di Gesù col rabbinismo coevo, con l’essenismo, con l’ellenismo e coi misteri dell’india o dell’ Egitto, questa parte della sua trattazione, alla fine del capitolo, sarebbe fuori di luogo; ma, limitata com’è a pochi tócchi, precisi e concludenti, 'Sta bene dove l’autore l’ha posta. La predicazione di Gesù- è pur capitolo interessante ; come interessante, istruttivo e assai ben condotto è quello che tratta delle Parabole, delle quali il Chiminelli, quasi sempre, ha còlto con precisione l’idea centrale. Non così felice mi pare il capitolo che si occupa dei principali insegnamenti di Gesù. Ad alcuni di questi insegnamenti mi sembra che l’autore avrebbe dovuto dare svolgimento più ampio. Per esempio : là dove parla del * Regno de’ cieli eh’ egli ben definisce * la nostra terra trasformata dalla giustizia ’, non basta dire, cosi di volo, che esso * non è l’imminente parusia o il Cielo atteso dagli avventisti o dai mistici, e neppure una ferrea ed accentratrice organizzazione ecclesiastica romanamente vagheggiata ’ ; bisognava, credo, chiarir meglio il concetto di questo Regno, che non è in modo esclusivo presente, nè in modo esclusivo escatologico, ma si va a poco a poco evolvendo, adesso e nell’avvenire; bisognava dare qualche sviluppo alle relazioni che passano fra la Chiesa ed il Regno, e far bene risaltare il fatto importante che, secondò Gesù,- la Chiesa, la quale ha cosi scarso luogo nel suo insegnamento, non dev’essere un fine a se stessa, ma un mezzo in vista del Regno. Il capitolo rela-livo ai lógia di Gesù non ricordati dal Nuovo Testamento non era necessario, ma è istruttivo èd utile ; forse, sarebbe stato meglio alla fine dell’ opera, a mo’ d’Appendicc. Eccellente è il capitolo sui Miracoli. Le spiegazioni che l’autóre dà di questi miracoli non son tutte tali da resistere alla critica; ma chi rifletta come questo soggetto sia irto di difficoltà, dovrà riconoscere che il Chiminelli 1’ ha trattato .con non .poca maestria. Lo studio di certi miracoli trae naturalmente a delle questioni scabrosissime di critica del testo; l’autore ha.evitato più che ha potuto questi gineprai ; e, data l’indole del suo lavoro, ha fatto bene. Il capitolo delle Rifórme operate da Gesù i uno de’ meglio riusciti : ben pensato, ben condotto, bene scritto. L'ultima settimana della vita di Gesù è capitolo trattato con mirabile fedeltà storica, e rivela una vasta conoscenza della
letteratura relativa al soggetto ; e l’ultimo capitolo, Oltre la tomba, è sobrio, ricco di fede e di pensiero, e lascia il lettore di fronte al Cristo che vive e comunica una vita immortale.
Al giovane autore, ricco di doni, credente sincero,- studioso appassionato, e che, vivendo come fa in comunione intima col-suo Salvatore, non correrà mai il rischio di lasciarsi fuorviare la mente dalle fantasie ipercritiche e inaridire il cuòre dal culto rabbinico della lettera morta dei testi, io auguro da Dio una ispirazione sempre più larga e più intensa, che lo metta in grado di dare all’ Italia molti altri di questi libri per trarre il nostro popolo a Gesù e innamorarlo di quel Vangelo che, come diceva Andrea Towiànski, è * il lume celeste ’, ‘ l’unico faro ’ che guidi l’uomo al porto della Vita.
LAMBRUSCHINI
Il terzo librò s’intitola : Primi scritti religiosi di Raffaele Lambruschini, ed è di Angiolo Gam-baro (I). Qualche studio parziale su Raffaele Lambruschini, di quando in quando s’è visto apparire ; ma non c’è stato mai alcuno che il Lambruschini abbia studiato a fondo. Siffatta trascuranza è imi-perdonabile. Che un educatore come il Lambruschini, un carattere adamantino come il suo, un pensatore cosi profondo, una coscienza cosi vividamente illuminata dall’alto, una mente cosi limpida, uno scrittore così puro e squisito, uno spirito còsi cattolico nel vero senso della parola, non abbian trovato mai chi se ne innamorasse, non ci capisce. Forse, fu perchè i suoi confratelli del clero, i quali avrebbero potuto parlarne con maggior competenza de’ làici, ebbero paura di compromettersi a raccogliere i suoni mandati da cèrti tasti, che il Lambruschini arditamente toccava; o forse fu perchè tra i laici non si trovò mai chi si decidesse a occuparsi di soggetti come questi, spiccatamente re ligiosi, per i quali il pubblico, fino ài di nostri, non mostrò mai di provare soverchio entusiasmo. L’opera del Gambaro provvede degnamente a questa grave lacuna della nostra letteratura. Tutti gl’ Italiani, e specialmente i toscani, gliene saranno grati. Dico ‘ specialmente i toscani ’, perchè il Lambruschini appartenne a quel cenacolo fiorentino di G. P. Vieusseux, il cui paesano ricordo è caro al loro cuore. Nessun fiorentino colto traversa mai la Piazza Santa Trinità senza gettare un’occhiata sulla lapide ch’è sul palazzo di faccia alla famosa colonna, in-ricordo di cotesto cenacolo, e senz’andare col pensiero agli apostoli, vanto e gloria d’Italia, che quivi solcano convenire.
Questo, ch’è il primo volume dell’opera del Gam-bàro, ci dice già quel che sarà l’opera intera : una
(1) Firenze. 19x8. Presso la Rivista Bibliografica Italiana Editrice. Viale Amedeo, 7. Prezzo, Lire 6.
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opera buona, bella, utile, opportuna. Buona, per lo spirito che la informa; bella, per la veste che l’adorna; utile e opportuna, per i soggetti che tratta, e che rispondono maravigliosamente ai bisogni della coscienza italiana in quest’ora grave e solenne. Il Gambaro era per eccellenza l’uomo adatto a intraprendere e a mandare a lodevole compimento un lavoro di tanta importanza. Questo volume infatti lo dimostra architetto che sa ben costruire un libro : mente ordinata, e quindi atta a classificare ordinatamente gli scritti altrui : la/oratore coscienzioso e innamorato del suo soggetto. Io che conosco il Gam baro e so il suo valore come uomo di Ietterò, quando l’ho veduto comparire spesso a'Firenze per’frugare Biblioteche pubbliche, Archivi privati, per scovar famiglie in cui fosse qualche traccia di relazioni avute col Lambnischi ni, per assediare chi possedesse qualche scritto inedito di lui; quando, perdutolo a un tratto di vista, ho saputo che s’era recato a S. Gerbone per familiarizzarsi con l’ambiente e respirare l’aria che quivi respirò il gran * solitario ’; quando l’ho sentito non parlar d’altro che del Lam-bruschini, e mi sono accorto che oramai e’ non riviva più che per il Lambruschini, mi son detto: • Il Gambaro farà un’opera degna del grande uomo dì Dìo ’.
E non mi sono ingannato. L’introduzione, che pone in rilievo la nota dominante della vita del Lambruschini, b già un lavoro mirabile di sintesi psicologica. Per afferrare con tanta precisione e con tanta sicurezza la nota dominante della vita di un pensatore, bisogna esser diventati una stessa cosa con lui. Il Gambaro, difatti, è entrato in piena comunione* spirituale col Lambruschini, mediante lo studio indefesso e la continua meditazione degli scritti di lui.
Uno de’ molti pregi del libro del Gambaro sta nelle note, che sono frequenti e del massimo inte resse. Non un nome è citato, non ad un avveni mento, a un libro, a un giornale è fatta allusione, che non abbian subito, in una nota, una quantità di preziose informazioni. Sono note che chiariscono il testo, che istruiscono largamente il lettore, che lo aiutano a sempre meglio orientarsi nell’ambiente in cui visse il Lambruschini: note che si leggon tutte d’ un fiato, ma che non tutti s’immaginano qual somma di lavoro rappresentino, di quante pazienti e faticose ricerche siano il fruttoQuanti leggeranno questo volume son certo che aspetteranno ansiosamente, come fo io, la continuazione del lavoro. * Ansiosamente ', dico ; e non esagero, se si pensi, per esempio, che il Gambaro ci darà a suo tempo anche quei cari Pensieri di un solitario, che molti anni fa apparvero editi per cura del Senatore Marco Tabarrini. Co test a edizione, che pur fece tanto bene e tanta ammirazione destò per il Lambruschini, era in parecchi punti scorretta; ma il Gambaro ci darà di questi Pensieri, che sono
come il testamento spirituale del grand’uomo, il testo scrupolosamente corretto sull’originale.
Io raccomando vivamente il volume del Gambaro al laicato cattolico romano, e lo esorto a leggere attentamente le Conferenze Religiose, perché giunga a farsi un’idea giusta della Religione, di Dio, della preghiera, del culto, dell’uomo. Lo raccomando al Clero, perchè rifletta sui Cenni di nuovo Sacerdozio c su parole come queste, che il Lambruschini scriveva allo zio Cardinale nel 1833^ pàióiio scritte in vista de’ bisogni d’oggi : * Risvegliare un senti- | mento di Religione vero e caldo; mostrare che il trionfo delle dottrine del Vangelo è il solo che possa . apportare per una vìa pacifica c legale i miglioramenti d’ogni maniera, pei quali vuol certamente la Provvidenza che si innalzi come per gradi il genere umano.; parlare a tutti un linguaggio di pace e di . bontà, per dissipare le sinistre prevenzioni, riconciliare gli animi alienati e sedare le passioni sov- ’ verri trici ; questa par mi la sublime e la benefica missione a cui dovrebbe oggi credersi chiamato il Clero ’. Lo raccomando finalmente agli Evangelici^ L’opera del Gambaro non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca pastorale. La conoscenza intima di un uomo come il Lambruschini allarga gli orizzonti e dimostra col fatto che nel Cattolicismo romano non sono mai mancate e non mancano le anime che ai Vangelo soltanto hanne chiesto e chiedono la loro ispirazione. ‘ Le dottrine sostanziali del Vangelo.’, ’ diceva quest’uomo di Dio, ‘ e sopratutto lo spirito • del Vangelo è la cosa che dobbiamo curare ed aver \ cara : e quelle dottrine e quello spirito sono immu- I tabili ’..‘La religione è nel cuòre ’; e ‘gli effetti che l’educazione veramente religiosa deve produrre sono: una persuasione profonda della verità delia religione di Gesù Cristo, una intelligenza netta delle dottrine evangeliche, una grande sommissione alla voce interiore della coscienza fatta più distinta e più forte, uh abito di mettersi in comunicazione sincera con Dio, un alzar davvero nel nostro cuore un tempio allo Spirito del Signore ’. 1 Eccovi tutta la mia teologia: far di tutto perchè gli uomini siano buoni e felici, e non impor loro altro giogo che quello che Gesù Cristo ci ha imposto ’. ‘Il libro ’ che Iddio medesimo ha dettato, il libro delie nostre speranze, delle nostre consolazioni, il Vangelo, sia sempre nelle vostre mani. Là ogni dubbiò ritrova lo . schiarimento, ogni agitazione ritrova la calma, ogni dolore ritrova un conforto : libro di tutte le età, di ' tutte le capacità : libro in cui, più crescerete in sapere e in virtù, più troverete da apprendere e da | divenire migliori ’.
Un uomo così profondamente spirituale non poteva non vedere e non lamentare le piaghe che affogavano la sua Chiesa; non è quindi da stupirsi ch’e’ scrivesse, in una lettera a Monsignor Morichini : ‘ Io credo necessarissime e desidero ardentemente grandi riforme nel CattoHcjsmo ; e prego
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mattina e sera Iddio che ne ispiri l'idea e ne dia la forza a coloro ch’Egli ha destinato al governo della sua Chiesa ’ ; e che, in un’altra lettera a Monsignor Ferdinando Minucci, Arcivescovo di Firenze, mandasse questo sospiro, ch’è il sospiro di tante anime le quali, anche nel Cattolicismo d’oggi,, bramano cose migliori : * Oh quanto meriterebbe della religione un Papa di mente elevata che pieno dello spinto del Vangelo, e conoscendo profondamente i suoi tempi, accordasse ai cristiani la libertà dei figli di Dio ! ’ A questo proposito sarà poi interessante vedere più tardi, nei Ztewwcrx un solitario, che
cosa l’esperienza individuale e l’osservazione delle cose umane avessero insegnato al Lambruschini.
Ma basti cosi. Io auguro al valente autore di un’opera santa come questa, che il pubblico italiano di tutte le Chiese cristiane gli faccia l’accoglienza che si merita : un’accoglienza che adeguatamente lo compensi della immane fatica a cui si è sobbarcato, e Ip incoraggi a proseguire animosamente sulla via di questi lavori, di cui l’Italia ha tanto bisogno e comincia, grazie a Dio, a capire l’alto, indiscutibile valore.
Giovanni Lezzi.
GERMANESIMO, CATTOLICISMO E PROTESTANTESIMO IN TRE OPUSCOLI
Georges Goyau : Les Catholiques Allemands et VEmpire Évangélique. — Perrin, Paris 1917.
Il noto autore dell’ « Allemagne Religieuse», dell’« Autour du Catholicisme Social », dell’« Er cole d’aujourd’hui * e di altre numerose pubblicazioni delle quali la prima coronata tePé Académie Française, era ben indicato per esaminare le pretese del Cattolicismo Tedesco contemporaneo a servire di modello al Cattolicismo Francese e a spacciarsi per erede genuino dei vincitori del Kulturkampf. Egli mette a nudo il processo di degenerazione del Centro di Windthorst divenuto il partito di Erz-berger, rifà la storia dei ravvicinamento del partito cattolico’con la Lega Evangelica Tedesca per opera di Lieber, Spahn, Erzberger, sotto gli auspici della comune idea pangcftriànisÌa che faceva, fra altro, I pronunziare a quest’ultimo le parole : « Ideila guerra, 1 la più grande assenza di scrupoli,... coincide con : la., più grande umanità. Quando si ha la possibilità di. annientare Londra con un procedimento appro-I priato, ciò è più umano che di permettere che uno > solo dèi nostri camerati tedeschi perda il suo sangue sui campi di battaglia... ». Nel capitolo IV mostra « l’equazione fra protestantesimo e germaniSmo: i suoi effetti in Belgio. — L’idea d’un Kulturkampf belga », cioè evangelici e cattolici tedeschi associati nell’opera di demolizione materiale e morale del Belgio e nel programma del suo asservimento.
Ciò che il Goyau scrive nel 1917, in pieno apogeo di germanesimo, su: « L’atteggiamento attuale dei cattolici tedeschi in riguardo all’imperatore e all’evangelicismo » ; « le concessioni dei cattolici al nazionalismo religioso tedesco » ; «le aberrazioni
morali dei cattolici tedeschi in materia di diritto delle genti ; l’oblio del Vangelo > è- bene non sia dimenticato neppur ora quando nel crogiuolo dell’umiliazione se non ancora della convenzione — stanno fondendosi gli clementi vecchi ed i nuovi che daranno origine alla Germania di domani.
Nel cap. VI, non troppo felicemente forse, si vorrebbe accusare di « chauvinisme » la religiosità dei cattòlici tedeschi già prima della guerra, a causa dell’ostilità di alcuni circoli alle correnti di pellegrinaggi di cattolici tedeschi a Lourdes... ». Un’associazione si era fondata per organizzare questi pii esodi, che avevano luogo due volte l’anno : l’ultimo prima della guerra, nel maggio 1914 condusse a Lourdes più di 3000 pellegrini, e già s’incamminavano il nono pellegrinaggio bavarese, il sesto della diocesi di Treviri, il terzo del Wurtembcrg, il primo dei Baden. Quand’ecco un’usanza propagarsi attraverso il Wurtcmberg: ecco incominciarsi a scegliere alcuni luoghi più pittoreschi per istallarvi riproduzioni della grotta dei Pirenei. E la cattolica Rivista Generale di Monaco esprime il timore che questa emigrazione di preghiere, questa accoglienza fatta a una divozione francese, potesse urtare i protestanti dell’impero. E d’altra parte i « Süddeutsche Monatshefte » (Dec. 1915) gridano: « E’ l’esistenza intera dei Germanesimo che corre rischio : si tratta ora di sapere se noi non pregheremo più volentieri la nostra madonna tedesca di Altoetting la quale certo non ci ascolterà meno volentieri della Madonna di Lourdes, se noi vorremo far ritorno al nostro Signore Dio tedesco, il quale così visibilmente ha esaudito e benedetto la preghiera del nostro Imperatore protestante, e dei Tedeschi di tutte le Confessioni ».
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Non sarebbe difficile anche per cattolici di nazioni alleate alla Francia, nonché per cattolici tedeschi, ritorcere l’accusa. Vi è forse alcuno che abbia studiato oltreché visitato, Lourdes, in qualche grande solennità — come fu dato allo scrivente nel 50.mo anniversario dell’« Apparizione della Madonna * a Lourdes — senza riportarne la profonda impressione non solo che la Madonna di Lourdes incarni in modo tipico e aggressivo lo spirito del cattolicismo francese, ma anche che per suo mezzo questo eserciti una specie di patronato e di ascendente assai più « chauviniste » che < cattolico » sui fedeli di altre nazioni? Ma non è questo vero in tutti santuari del Cattolicismo?
Non è invece difficile sottolineare alle parole del Goyau nelle ultime pagine del suo lavoro:
« Non è già sforzandosi di essere più Tedeschi della comune dei Tedeschi e facendosi emuli dei più stravaganti pangermanisti, che i cattolici della Germania potranno cooperare alla reintegrazione del loro popolo nella famiglia umana e che aspetteranno l’avvento per esso dell’ora del perdono. Il loro cattolicismo, purché essi ne acquistino piena coscienza e dichiarino umilmente di averne coscienza può ritornare a fornire un legame fra essi e l’umanità. Ma perchè essi possano ed osino servirsi di questo legame, bisognerà che i loro giudizi « sulla condotta della loro patria, non s’ispirino più d’ora innanzi alla morale imperiale... ».
Enrico Meynier: La Riforma Protestante, ossia il Cristianesimo Evangelico. — Firenze, « La Luce », 1918.
È un breve cenno storico, sereno e oggettivo, che si propone di « soffermarsi sui momenti decisivi del grande rivolgimento del sec, xvi, per attrarre su di essi l’attenzione di quei lettori che, generalmente, poco o imperfettamente ne sono informati..., e di dimostrare che la Riforma ebbe grandissima ripercussione sul pensiero' religioso e sull?, rita spirituale dei popoli ; di descrivere le particolari caratteristiche che presentano le Chiese Protestanti sotto l’aspetto religioso e cristiano... e rilevare l’unità morale e spirituale che esse offrono nonostante le inevitabili differenze cheje distingono... ».
Il primo capitolo tratta dei « Riformatori » (Cause della Riforma - Martin Lutero - Ulrico Zuinglio -Giovanni Calvino - 5 Riformatori nuovi - la Riforma in Italia) ; il secondo delle « Conseguenze della Riforma » (Rinnovamento morale - Nuovo, impulso dato all’istruzione e alla coltura - Il libero esame: suoi effetti - Il contenuto religioso e cristiano della Rifórma - Le formé ecclesiastiche - Le fórme di culto e d’arte • L’unità spirituale - I rapporti delle Chiese Protestanti con lo Stato - L’ influenza della Riforma sulla vita civile e politica delle nazioni).
Dell’opportunità ed attualità dell’opuscolo (a cui
aggiungerebbe pregio qualche opportuna illustrazione) sono indice, fra altre, queste parole:
« Se gli Stati Uniti Si sono trovati fin dai primi giorni dell’indipendenza..., pronti e maturi per un governo libero e democratico, ciò si deve al fatto che i lóro fondatori, gli eroi della loro indipendenza (puritani, quaccheri, presbiteriani) erano stati preparati alla pratica delle istituzióni libere dall’insegnamento delle lóro Chiese, informate ài principii di libertà, uguaglianza e tolleranza.
...Il Protestantesimo è la forma di religione che meglio si conviene ad una società retta da istituzióni libere... ».
E quelle finali della < Conclusione » :
« Le nazioni veramente protestanti che hanno applicato i principii della Riforma alla loro vita religiosa e politica, sono, come abbiamo dimostrato, la Grande Bretagna e gli Stati Uniti, ove il Protestantesimo è professato dalla quasi unanimità degli abitanti. In quelle due nazioni... il Protestantesimo ha dimostrato e-tuttora dimostra tutta-la sua influenza civilizzatrice ».
U. Janni ed Ern. Comba: Za Guerra e il Protestantesimo — Firenze, Giornale « La Luce », 1918.
Lo scopo che U. Janni ed Ern. Comba si sono proposti nello scrivere questo opuscolo, piccolo di mole ma denso di dottrina, di erudizione, di spirito moderno e cristiano, è cosi da essi indicato :
1®. Precisare quali rapporti corrano fra la cristianità protestante evangelica e i due gruppi belligeranti.
2®. Stabilire che la Germania la quale ha preparato e conduce la presente guerra non è la Germania di Lutero e della Riforma.
3®. Spiegare le simpatie del clericalismo per le Potenze Centrali.
4*. Rilevare la relazione che esiste fra il principio evangelico e il contenuto morale 'della guerra dell’Intesa.
Fra le 54 pagine dell’opuscolo, limpida corre la dimostrazione documentata, che « il contenuto morale della guerra dell’ Intesa ha strétta affinità coi principi libei atori proclamati dal protestantesimo evangelico ».
Parecchi anni prima che sull’Europa e sul Mondo si scatenasse la tempesta da cui non ancora siamo, usciti, il Dott. Rendei Harris mi faceva acutamente osservare, che l’alleanza fra Cattolicismo e Germa-nesimo era non già di Confessione religiosa, ma di spirito, e quindi ben pii: profonda. « Si tratta delle due forme storiche a cui l’imperialismo ha fatto capo: la loro affinità è troppo forte perchè non debba produrre un’alleanza; appunto come al contrario la distanza fra lo spirito di Roma e quello della democrazia francese e inglese prevarrà sempre su qualunque sforzo di ravvicinamento ».
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Questo concetto ritrovo ora scolpito in queste pagine. « Il sistema dominante nella chiesa papale è l’imperialismo. E siccome ‘ ogni simile al suo simil s’appiglia ’ è cosa naturalissima il vedere nella storia quésto sistema religioso alleato di tutte le tirannidi ; è naturalissima l’odierna simpatia delle correnti clericali... per le Potenze del centro... I due sistemi .che, in campi diversi;'rappresentano il medesimo principio dell’assolutismo, non possono essere che alleati!... La vittoria delle democrazie dell’Antico e Nuovo Mondo sarebbe la vittoria delia democrazia nell’indirizzo generale della civiltà con temporanea, e in pari tempo la disfatta dell’ assolutismo, dell’autocrazia, dell’imperialismo, cosi nell’ordine spirituale ed ecclesiastico come nell’ordine politico ».
Queste parole fanno sorgere, ora che l’ipotesi è divenuta tesi, spontaneamente una riflessione: Quanti si son resi conto del colpo vigoroso che la vittoria dell’ Intesa ha recato alle radici stésse dell’ unico imperialismo Che tutt’ora rimane; anacronisticamente, nel Mondo? Si è Roma stessa avveduta della portata spirituale della vittoria non solo dèlia democrazia, ma dei valori morali e spirituali proclamati, assente essa, su tutta la faccia della terra? Si è avvista Roma che la parola evangelica che il Capo del Cattolicismo non ha saputo nè potuto pronunziare 1’ hanno detta i duci dell’ Intesa, 1’ ha detta — con un’autorità maggiore, derivata dalla più evidente purézza dei motivi dell’intervento degli Stati Uniti — il Presidente della democrazia americana, al quale sembrano in questo momento passate per diritto le chiavi d’oro cadute dalle mani dell’ultimo degli imperatori?
« Gli stessi giornali cattolici hanno apertamente riconosciuto * — fanno osservare gli autori dell’opuscolo — < che la parte della Nota di Benedetto XV in cui egli propone alcuni capisaldi dell’assetto futuro del mondo, ispirati agli eterni principi! della morale e del diritto..., non è altro che l’eco del Messaggio di Wilson..., che là Storia ricorderà come la Proclamazione dei diritti dei Popoli, rispondente alla Dichiarazione dei diritti dell' Uomo fatta verso la fine del secolo xvui ».
Gli autori si domandano nel capitolo IV®, se la causa dell’Intesa « sia in rapporto ideale e morale con un principio religioso..., nel senso della ispirazione da premesse religiose, ed altresi della rispondenza tra il contenuto etico di certi principi! religiosi e l’essenza etica di certi fatti morali ».
Essi opportunamente ricordano, che i due leaders Wilson e L. George sono « due figli di pastori evangelici; due uomini di fede, convinti e attivi membri della Chiesa Evangelica.?. e le loro convinzioni religiose e l’educazione cristiana che essi ricevettero in un ambiente in cui la religione è vita vissuta e forza morale... non sono estranee alla fermezza del loro carattere e alla nobiltà delle loro aspirazioni >.
Ma essi, meglio ancora, cercano la risposta alla questione propostasi nel ravvicinamento per la Proclamazione dei dirittidell’Uomo fatta nel sec. xvin, e la dichiarazione dei diritti dei Popoli costituita dal manifesto di Wilson. Non possiamo che accennare ai punti fondamentali di questa solida, geniale dimostrazione :
La civiltà degli Stati Uniti è cristiana dal loro inizio ; la sorgente della dichiarazione legislativa dei Diritti dell’uòmo è protestante ; il principio per cui si batte l’Intesa è quello stesso del Protestantesimo.
Opportunamente altresì, nelle ultime pagine, vengono rievocate le figure dei primi propugnatori del principio dell’ « Arbitrato Internazionale » cioè : Giorgio Podiebrad, un seguace di Huss ; Ugo Grozio, grande figlio della Riforma, e sopratuttò, Alberigo Gentili, il vero fondatore del Diritto delle Genti il quale perseguitato dall’inquisizione per avere abbracciato il protestantesimo, dovette abbandonare l’Italia e rifugiarsi nell’Inghilterra ove fu eletto professore di Diritto delle Genti nell’ Università di Oxford.
< Il suo sistema scientifico ha radici in una coscienza religiosa plasmata dalla fede protestante... Cosi l’odierna iniziativa di Wilson, il cristiano presidente del più grande popolo protestante della modernità, si rannoda all’opera del grandissimo protestante italiano ». G. Pioti;
S. AGOSTINO E L’IMPERIALISMO
La rivista studentésca Le Semeur di Parigi, seguendo uno studio di Pietro Guilloux sulle idee di S. Agostino circa la guerra pubblicato nella rassegna Les Etudes dei Padri Gesuiti, riassume alcune considerazióni su ciò che oggi si chiamerebbe l’imperialismo conquistatore. Le idee del vescovo d’Ip-pona su questo argomento sono esposte particolarmente nella Città di Dio. Parlando dei vantaggi della vita sociale, egli scrive: < Si vuole che la vita del
savio sia sociale; anch’io e più ancora lo voglio. Perchè, dove questa Città di Dio prenderebbe origine, sviluppo, vita normale, se non ci fòsse la vita sociale dei santi ? » Ma quante miserie in questa vita sociale ad ogni suo grado ! Quale ostacolo, ad esempio, per l’unione degli uomini, ìa diversità delle lingue ! Si preferisce la compagnia del proprio cane a quella dell’ uomo di cui s’ignora la lingua. Per questo il popolo conquistatore s’affretta ad imporre
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la propria lingua al popolo vinto. E questa parola « conquista » desta nell’animo ¿’Agostino una serie di pensieri che occorre citare.
« La conquista! Quante guerre, quale ecatombe d’uomini, quale effusione di sangue umano ha costato ! E quando tali guerre sono finite, la miseria dei loro mali è lungi dall’essere esaurita. Anzitutto, non sonò mai mancate e non mancheranno mai nazioni « nemiche » contro le quali si è sempre fatto e si farà sempre la guerra. Poi, la stessa grandezza dell’impero genera guèrre peggiori ancora, cioè guerre sociali e civili ; e queste scuotono più dolorosamente che mai il genere umano, sia che si metta mano alle armi per soffocarle, sia che si tremi di vederle ripetersi.
S’io volessi esporre in modo, un po’ completo queste molteplici, calamità, quelle dure e crudeli necessità, cosa d’altronde impossibile, dove si fermerebbe questa lunga narrazióne? Si dirà forse: il savio fa guerre giuste. Come se quest’ uomo, per poco che si ricordi della sua natura, non dovesse sentirsi assai più addolorato di vedersi nella necessità di combattere guèrre giuste ! Perchè, se non fossero giuste, egli non avrebbe da farle, e quindi, per lui, non ve ne sarebbe alcuna. E’ l’iniquità dell’avversario che costringe il saggio a guerreggiare giustamente e tale iniquità appunto dev’essere deplorata, quand’ anche non costringesse ad alcuna guerra. Ogni uomo che considera con dolore quei mali così grandi, così spaventosi, così barbari deve riconoscere che là guerra è una calamità. Chi li sopporta, chi anche vi pensa senza angoscia è ancora più da compiangere perchè ha perso ogni sentimento- umano ».
E’ specialmente riguardo all’impero romano che S. Agostino ha sviluppato il suo pensiero sul militarismo e lo spirito di conquista. Dinanzi alle proporzioni colossali assunte dall’impero, egli prova un senso di stupore e quasi di ammirazione; ma, considerando il colosso più da vicino, l’ammirazione diminuise per far posto ad altri sentimenti più umani.
Egli si chiede se Roma ha nociuto in qualche modo ai popoli che si è sottoposti. Nessun danno sarebbe avvenuto se tale sottomissione, invece che d’immense guerre, fosse stato l’effetto d’una intesa cordiale. Inoltre ciò che si fece tardivamente avrebbe dovuto farsi subito : concedere ai nuovi sudditi i diritti dèi cittadini romani. In questo caso, il popolo soggiogato non avrebbe perso alcunché; solo sarebbe stato spodestato delle sue terre ed avrebbe vissuto sui fondi pubblici; lungi dallo sfruttarlo come un vinto, buoni amministratori della cosa pubblica, con generosità e concordia, avrebbero sovvenuto ai suoi bisogni.
Tutto ciò è vero, soggiunse S. Agostino ; ma allora dove sarebbe ¡la superiorità dei Romani ? Non deriva essa dalla vittoria, e in che modo essere vit
toriosi senza guerre e sènza vinti ? Per Cónto suo, ha poca stima pel trionfo ottenuto unicamente colle armi.
< Ciò che si guadagni per • la sicurezza, per la buona condótta della vita, per 1’ onore stesso, dal fatto che ci siano dei vincitóri e dei vinti, non lo vedo affatto, a parte quella molto vana esposizione di gloria umana che fa ardere di concupiscenza e provoca le guerre ardenti. Forsechè le terre dei vincitori non sono sopraccariche d’imposte? Forsechè la scienza è loro più accessibile che agli altri ? Forsechè, negli altri paesi, non ci sono numerósi senatori che non conoscono Roma neppure di vista? Tolta la jattanza, che còsa sono gli uomini se non uomini ? >
Approfondendo la sua idea, S. Agostino si pone il seguente quesito : « E’ lecito ai buoni rallegrarsi per l’espansione dell’impero? Perchè è l’iniquità degli altri che permette di fare guerre giuste e in tal modo d’ingrandire il regno. Resterebbe piccolo se il riposo e là giustizia dei popoli vicini non au • drizzassero a prendere le armi contro ad essi ». E, a questo punto, S. Agostino prende nettamente po sizione contro le grandi-potenze, in favore delle piccole nazionalità.
« Le cose andrebbero molto meglio se tutti i regni fossero piccoli e vivessero gli uni accanto agli altri in serena concordia. In tal modo vi sarebbero sulla terra molte nazioni, come in una città ci sono molte case e molte famiglie. Guerreggiare e sottoporre i popoli per espandere l’impero, costituisce una felicità per i malvagi ; ma per i buoni è una necessità che si subisce. Però, siccome sarebbe un maggior male di lasciare nazioni ingiuste dominare sopra altre nazioni più oneste, questa necessità può considerarsi una fortuna. Ma è senza dubbio assai meglio avere un vicino buono che sottomettere colle armi un vicino cattivo. Cattivo desiderio è quello di avere qualcuno da .odiare o da temere per avére il pretesto di vincerlo ».
S. Agostino concede generosamente che le guerre dell’impero romano sono state giuste per la maggior parte. Però, alle volte, esso ha provocato certe nazióni al solo scopo di estendere il suo dominio, ed ecco, in tutta là sua abbominazione, il delitto nazionale. Questa libido dominandi, questa passione di dominare è la fórma più insopportabile e più subdola dell’orgoglio, perchè si dissimula sotto l’impersonalità nazionale, perchè resta assorbito nell’aurèola patriottica. « Portare sui territori vicini la guerra coi mali che ne seguono ; soggiogare, schiacciare popoli inoffensivi pel solo piacere d’estendere il proprio imperio che cos’è se non un brigantaggio in grande? »
A tal proposito, per illustrare il suo pensiero, il vescovo racconta un aneddoto. Alessandro il Grande chiedeva un giorno ad un pirata fatto prigioniero come mai egli si compiacesse nel suo turpe mestiere. Questi, audacemente ma con verità rispose : « Faccio
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quel che vói fate; solo che lo faccio con una piccola nave, e mi si chiama ladro, mentre voi lo fate con una grande flotta e vi si.chiama imperatore ».
L’esempio più evidente di queste guerre ingiuste ed émpie intraprese dall’ambizione di Roma, è forse la sua lotta contro Alba. La madre lottava contro la figlia. Siccome la guerra tirava in lungo, si ri corse al combattimento dei tre Orazi contro i tre Curiazi. Ciò che disgusta più di tutto al cuore di Agostino è l’epilogo di quella pugna.
Una sorella degli Grazi era fidanzata a uno dei Curiazi. Quando vide nelle mani dei fratello le spo glie del suo fidanzato, pianse e fu uccisa in castigo delle sue lagrime. < Per me, esclama Agostino, il sentimento di quella sola donna mi sembra essere stato più umano che i sentimenti dell'intero popolo romano ». Poi, distogliendo lo sguardo inorridito dalla durezza del militarismo romano, egli fa riposare il suo cuore presso il pio eroe di Virgilio, dolcemente chinato sul giovane milite ch’egli pur ora, ha ferito; il quale contempla la sua tunica ricamata ! dalla mano materna ed ora intrisa di sangue, e solleva le sue chiome insozzate e gli tende piangendo la mano.
« Questa passione di dominio scuote e sconvolge il genere umano. Per essa Roma si esaltava a motivo della sua vittoria contro Alba e chiamava gloria la lode del suo delitto. Tolgansi dunque alle cose quegli schermi bugiardi, quelle verniciature ingannevoli» e vengano esse sinceramente esaminate. Non mi si dica: Questo, o quest’altro è grande; si è battuto contro un tale e un tal’altro e li ha vinti. Anche i gladiatori combattono e sono vincitori, e anche tale crudeltà viene lodata. Se, nell’anfiteatro, si vedessero combattere dei gladiatori di cui uno fosse il padre e l’altro il figlio, chi potrebbe reggere a simile-spettacolo? Chi non lo farebbe scomparire? Come dunque può dirsi glorioso un combattimento in cui la città madre lotta contro la città figlia? »
La grande rivale di. Roma, là sua accerrima nemica fu Cartagine. Per soggiogarla furono necessarie tre grandi guerre : la prima durò ventitré anni, la seconda diciotto, l’ultima cinque. Cartagine soccombette, ma ciò fu là disgrazia di Roma. Il timore di quella potenza rivale avrebbe costituito, pei pupilli della repubblica, una tutela salutare.
Questi sapevano costituire l’unione sacra contro i nemici di fuori, ma non avendo più alcuno da temere, incominciarono a combattere fra di loro. « Questa passione di dominare, che è il più acuto fra tutti i vizi del genere umano, rodeva l’intero popolo di Roma. Sino allora la Città aveva sog giogato soltanto alcuni uomini più potenti; essa stava per asservire tutti gli altri, già spossati dalla stanchezza ». Non le armi hanno fatto la grandezza di Roma, bensì le virtù dei Romani, e su questo tema, Agostino é felice di trovare nello storico Sallustio 1 espressione del proprio pensiero.
< Non crediate che sia colle armi che i nostri avi hanno fatta grande la Repubblica. Se così fosse essa, oggi, sarebbe assai più bella ; poiché oggi abbiamo un maggior numero di alleati e di cittadini, abbiamo più armi e più cavalli. Ciò che fece grandi i nostri avi furono altre qualità che a noi fanno completamente difetto : il lavoro nella famiglia, la giustizia del Governo ; nelle deliberazioni un animo libero da ogni frode, da ogni passione. Invece di ciò, noi abbiamo la lussuria e l’avarizia, la miseria pubblica e l’opulenza privata; fidando nelle nostre ricchezze ci abbandoniamo all’ozio; nessuna differenza tra i buoni e i malvagi ; l’ambizione riesce a farsi assegnare il prezzo della virtù ».
G. Adami.
NOTIZIARIO
Per.J! centenario dantesco. Il Ministero della Pubblica Istruzione, al fine di celebrare in modo degno il centenario dantesco, che cade nel 1921, invece dei festeggiamenti consueti in simili Occasioni, ha deciso di far opera degna, utile e duratura, col restaurare completamente tutti i. monumenti,_ chiese, monasteri, case, ecc., ricordati nella Divina Commedia, destinando a tale opera una somma di mezzo milione di lire.
Inoltre perchè ogni scuola, dalle Università sino alle scuole popolari, abbia un buon ritratto del sommo Poeta, il Ministero ha deciso di bandire un concorso fra tutti gli artisti italiani per due ritratti di Dante, di diversa dimensione. Per tale concorso sarà destinata una somma cospicua e si lascerà agli artisti ampia facoltà nella scelta del tipo e della tecnica.
Leonardo da Vinci sarà ricordato solenne-mente a Firenze il 2 maggio prossimo, ricorrendo il IV Centenario della sua morte.
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Del Palestina, sino a 30 anni fa, non si conosceva l’esistenza di alcun autografo musicale. Prima del 1888 il sac. dott. Frane. Saverio Haberl di Ratisbona, rovistando nell’archivio musicale di S. Giovanni in Laterano, potè accertare e identificare un autentico manoscritto di Pier Luigi : un volume cioè di composizioni sacre diverse, tutte scritte di propria mano del compositore. Ma nel 1902 si constatò la scomparsa del preziosissimo autografo. O meglio... fu perduto di vista e si credette scomparso. Oggi ., si è scoperto che il famoso codice è sèmpre stato al suo posto, al sicuro... e la scoperta è dovuta all’attuale maestro direttore della Cappella musicale lateranense, can. Raffaele Casimiri, il quale ne dà precisa notizia ed illustrazione nella recente òpera edita per munificenza di Benedetto XV : « Il codice 59 dell’archivio musicale lateranense, autografo di Giovanni Pier Luigi da Palestrina, con appendice di composizioni inedite e dieci tavole foto-tìpiche >.
Musica sacra. Domenica 23 febbf. u. s. in Roma all’ Augusteo ebbe luogo l’esecuzione del nuovo poema sinfonico corale: « Il martirio di Santa Agnese » del Maestro Refice, già autore di un altro poema: « Maria Maddalena ».
Di una antica basilica sotterranea scoperta in •Roma fin dalla primavera del 1917 si sono date notizie alquanto dettagliate solo recentemente. Essa trovasi presso Porta Maggiore tra il ponte in cemento armato sulla via Mal abarba e il cavalcavia sulla Prenestina. Il suo piano antico è a ben 13 metri sotto il livello dèlia vicina linea ferroviaria di Napoli. E’ «un ambiente rettangolare di 12 metri di lunghezza per 9 di larghezza, diviso in tre navate per mezzo di grossi pilastri e coperto con volte a botte a tutto sesto, in modo da presentare nel suo insieme il tipo perfetto d’una pianta basilicale, al quale non manca neppure il particolare dell’àbside, con la quale termina la navata centrale ». L’ambiente è tutto rivestito di stucchi nelle pareti, nei pilastri, nell’abside e nelle volte. Il parimente è di mosaico a piccole tessere bianche. Nell’absido si è riconosciuta la traccia di una cattedra o trono e nel pavimento è scavato un loculo nel quale si rinvennero gli scheletri di un cane c di un maiale, avanzi evidenti di sacrifizi. La basilica che trovasi a grande profondità anche rispètto all’antico piano stradale prendeva luce da un’apertura praticata al disopra dell’arco d’ingresso del vestibolo, il quale era illuminato dal. lucernario. Ma nonostante questo la luce non era sufficiente e sotto ogni arcata del grande ambiente dovevan essere delle lampade sorrette da sbarre di metallo. Quanto alle decorazioni in stucco osservasi nell’abside una figura di Nike tra due adoranti, nella volta delle tre navate veg-gonsi in tanti piccoli scompartimenti scene mitologiche diversissime, come il ratto di Elcna, il sup
plizio di Marsia, la punizione delle Danaidi, il vello d’oro, e Giasone, figurazioni di sacrifici campestri, di riti mistici, di lotte, di corse, ecc. Il monumento pare appartenga alla fine del primo secolo o tutt’al più al principio del secondo secolo. Sembra certo che in questo singolare edificio dovette Celebrarsi un culto misterioso avente stretti rapporti colla religione greca e dovettero compiersi cerimonie di purificazione, come comprovano gli scheletri di cane e di maiale rinvenuti sotto l’abside.
Per la riunione delle chiese cristiane. Si annunzia che il vescovo Welter, che è ritenuto come il capo degli aderenti della High Church della chiesa episcopale degli Stati Uniti, ha incaricato tre prelati della chiesa episcopale, .di recarsi a Roma, per sollecitare l’appoggio del Papa allo scopo di promuovere la riunione delle chiese cristiane del mondo. Il vescovo ha concepito il progetto di formare una lega delle chièse analoga a quella delle nazioni, la quale comprenderebbe gli aderenti di tutte le chiese cristiane.
Le manifestazioni in favore ¿'un’intesa religiosa provocano talora delle proteste da parte dei reazionari. Il vescovo di Bristol ha ricevuto un manifesto firmato da trentatre membri del proprio clero i quali protestano contro la larghezza eccessiva, a lor modo di vedere, dell’ invito da lui esteso a tutte le denominazioni religiose per un servizio di ringraziamento. Una contro-protesta, con centoundici firme di membri del clèro diocesano di Bristol prova che l’opinione generale era col vescovo; essa dichiara che il di lui invitò rivolto ài cattòlici romani al payi che ai membri delle diverse Chiese Libere, era opportuno e felicemente concepito.
A Venezia il 13 febbraio u. s. s’è radunato il comitato promotore della Lega di preghièra per la Unione delle Chiese Cristiane. La Lega Democratica Cristiana vi era rappresentata dall’aw. Begey di Torino e dal dott. Gius. Donati, redattore del settimanale « L’Azione Cristiana»-. Degli Evangelici sappiamo ch’cran presenti il prof. Giovanni Luzzi di Firenze e R§v. Ugo Janni di San Remo, Direttore della Rirista « Fede e Vita ».
Per onorare la memoria di Giuseppe Toniolo la Giunta Direttiva dell’unione Popolare Cattolica ha deciso di promuovere la istituzione di Cattedre superiori di Religione presso le principali e possibilmente presso tutte le Università del Regno.
In memoria di monsignor Bonomelli verrà prestò iniziata là costruzione d’una casa per gli emigranti a Bolzano nel Trentino. Nello stesso giorno la salma del Bonomelli verrà trasportata dal Cimitero alla Cattedrale di Cremona, dove è stata eretta una tomba monumentale.
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NOTIZIARIO
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Presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma sono state istituite due nuove cattedre : la cattedra di « teologia ascetica e mistica » affidata al P. Ottavio Marchetti, milanese ed una cattedra per un « corso superiore di religione > affidata al P. Agostino Gavagnani, che già ebbe a dirigere un corso analogo per giovani studenti universitari! nel Pensionato dei P. Gesuiti a Padova. Questo corso si inizia con un anno di propedeutica filosofica. Le lezioni sono settimanali, da novembre a giugno. Alla cattedra é unita un’accademia di coltura religiosa e a disposizione degli uditori è una biblioteca di studi religiosi.
Presso il Circolo Universitario Cattolico a Roma il 20 febbr. u. s. il P. Genocchi ha iniziato uno speciale corso di conferenze in cui tratta de < La morale cristiana in san Pàolo ». Le conferenze hanno tuogo ogni mercoledì alle 18.30 nella sede dei Circolo (Salita del Grillo 37) e sono libere a tutti.
L’Accademia dell' Arcadia ha nominato ¡1 Presidente Wilson socio corrispondente, creandolo Pastore Arcade. Il Presidente ha risposto con una cortese lettera di ringraziamento.
In favore della Biblioteca di Lovanio ha lanciato un appello la Lega Italo-Belga. Come tutti sanno la grande e ricca Biblioteca di Lovanio fu distrutta dal fuoco della barbaria tedésca. Si vuole ora farla rinascere, sebbene là parte più ricca di essa, quella costituita dalle opere rare ed antiche, sia irrimediabilmente perduta. A tale scopo la detta Lega fa appello a tutti gli studiosi d’Italia, alle persone colte, alle pubbliche biblioteche, alle case editrici, perché inviino opere che possano costituire un nucleo almeno della futura Biblioteca costituenda.
Il Presidente Wilson, il 4 febbraio u. s. ha voluto accordare udienza nel suo albergo in Parigi ai delegati della Società Biblica di Francia, che sono Stati da lui accolti con estrema affabilità. A nome della società gli è stata offerta una Bibbia in 16® nella Versione francese più recente, rilegata in vecchia pergamena e adorna di squisite miniature. I dèlégàti gli hanno espressi i voti ardenti dei protestanti francesi per il successo dell’opera di giustizia e di pace da lui intrapresa, assicurandolo che i protestanti francesi lo. circondano della loro vivissima simpatia e delle loro preghiere. Il presidente Wilson con parole semplici e profonde ha risposto di sentire fortemente la spaventosa responsabilità impostagli dal pensiero che si guarda a lui e si attende da lui qualcosa che non può venire se non da Dio. E prendendo tra le mani la Bibbia Offertagli, disse che se era, ih una misura qualsiasi, degno di qualche considerazione agli occhi dei cristiani presenti, egli ne riferiva tutto il merito ai princìpi da lui attinti in quel Libro dei Libri dal quale cercò sempre di trarre ispirazione.
Del resto — soggiunse — l’opera di Giustizia che la Conferenza della Pace cerca di compiere, dev’essere tale che i governi dei popoli s* ispirino ormài, nei loro atti, ai principi cristiani, cioè ai princìpi della vera Giustizia, poiché, al postutto, « la Giustizia è la religione », .in quanto la giustizia costituisce la parte essenziale della religione stessa.
La gioventù protestante francese, domenica 23 marzo terrà una festosa riunione a Parigi nel Palazzo del Trocadero. Vi saranno rappresentate le Scuole della domenica, le Associazioni Cristiane dei giovani e delle giovani, gli « Eclaireurs » (o Boy Scout), la Lega della Speranza e la Federazione degli Studenti. La festa che sarà una celebrazione potriottica protestante della Vittoria sarà presieduta dal Presidente Wilson.
Le Chiese Libere d’Inghilterra sono rappresentate nelle seguenti proporzioni dai deputati nel nuovo parlamento : 36 metodisti, 25 congrega-zionalisti, 15 battisti e 5 presbiteriani, cioè in tutto 81 membri di Chiese non conformiste.
In Svizzera le parrocchie riformate del cantone dei Grigioni avendo adottato I* elettorato femminile in materia ecclesiàstica, il Sinodo aveva proposto che tale innovazione rimanesse facoltativa per tutte le parrocchie; Su proposta del Gran Consiglio della Svizzera, desiderandosi -che il regime elettorale fosse uguale per tutte le parrocchie, il popolo è stato chiamato a pronunziarsi e si è pronunziato con forte maggioranza in favore dell’elet-, torato femminile per tutte le parrocchie.
La chiesa luterana d’Alsazia è molto importante. Non conta meno di 22Ó pastóri, di cui solamente una quarantina provenienti dalla Germania.
Una lettera autografa della Regina di Olanda è stata letta nella solenne radunanza che i Protestanti Francesi hanno tenuto domenica 16 febbraio in Parigi all’Oratoire du Louvre per celebrare il IV® centenario della nascita dell’ammiraglio di Coligny. La Regina d'Olanda ha scritto per la circostanza : < Come discendente dell’ammiraglio di Coligny, tengo ad unirmi a voi in questo giorno di commemorazione per rendere omaggio alla jnemoria del grande Ugonotto, che fu mio antenato e la cui fede è l’eredità dei Cristiani del mondo intero. Sebbene morto, ei parla ancora; ei tenne fermo come se vedesse Colui che è invisibile. La mia preghiera a Dio è che la fede che fu il segreto della sua vita, sia sempre più la- nostra forza ed il nostro sostegno ».
Gli Stati Uniti celebreranno nel .1,920 il 3* centenario dell’ arrivo degli emigranti puritani nella Nuòva Inghilterra. Lo stato di Massachusetts ha già costituito e dotato da un anno una Com-
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missione incaricata di preparare i festeggiamenti progettati. S’è formata anche una Commissione chiamata « The British -American Centenary Committce » che organizzerà in Inghilterra una commemorazione parallèla.
L’Associ azione Studenti per la Cultura Religiosa di Napoli ha pubblicato un fascicolo in memoria del suo presidente Eugenio Misitano, morto eroicamente a Monfalcone il 24 Maggio 1917. L’interessante fascicolo nel quale si parla dell’idealismo, del coraggio, dell’eroismo, del socialismo cristiano del valoroso giovane calabrese, e della sua varia ed intelligente attività quale Presidente delI’Associazione Studenti per la Cultura Religiosa (Sezione di Napoli), Console-Direttore della Corda Fratres, Segretario della Y. M. C. A. per gli emigranti e organizzatore della Sala del soldato, — non è in vendita ; ma è aperta une sottoscrizione per coprire le spese. Gli amici possono avere il volume indirizzandosi al Capit. Cesare Gay, 373, via Roma -Napoli.
È stato pubblicato il « Diciottesimo Rap-porto Annuo » della Casa Italiana delle Diaconesse in Torino. Questa benemerita Casa, sòrta per iniziativa aella Unione Intemazionale delle Amiche della Giovanotta (Ramo Italiano), « ha per ¡scopo di preparare per il compito loro e di riunire sotto una direzione comune delle donne cristiane evangeliche, a qualsiasi denominazione ed a qualsiasi nazionalità appartengano, ma specialmente italiane, che si consacrano liberamente, per amor di Dio e del prossimo, ad opere gratuite di misericordia e di beneficenza, in particolar modo alla cura degli ammalati ». L’opera è mantenuta da sottoscrizioni annue volontarie e dà dóni e lasciti straordinari, ed è diretta dal Pastore sig. Augusto Jahier, 18, Via Gaeta - Torino.
Roosevelt e ¡’«Esercito della Salvezza». Cosi l'ex Presidente degli Stati Uniti si espresse riguardo la nota Istituzione di filantropia cristiana: « La storia del xm secolo non può essere completa se non si tien conto del meraviglioso risveglio religioso associato al nome dei Francescani. Così la storia dpi xix secolo, e probabilmente quella del xx, non sarà completa se non si considererà l’opera dell’ « Esercito della Salvézza ». Per molli anni l’attitudine generale delle persone colte di fronte a quest’opera è stata di ostilità, di indifferenza o di derisione. Ma finalmente, l’Esercito ha vinto la battaglia e oggi vi sono pochi tra i pensatori scrii che non la riconoscano come una forza sociale di grande
valore, una potenza pel bene che opera con ottimo successo nelle regioni in cui il male impera così ampiamente >.
Wilson e ie missioni cristiane. Un mis-sionano'Tn congedo ha recentemente sottoposto al presidente Wilson la seguente questione : « Non pensate che, se le missioni hanno giustificato la loro esistenza, si debba oggi mantenerle in vita, non solo nonostante la guerra, ma a causa della stessa guerra? ». Secondo- il periodico scozzese Life and work il presidente rispose: « Sono del vostro parére in quel che concerne l’opera missionaria. Credo che andremmo incontro ad una reale disgrazia, una disgràzia le cui conseguenze sarebbero durevoli, se l’esecuzione nel mondo dèi programma missionàrio dovesse essere sospesa. Le richieste di denaro sono numerose, è certo, e capisco bene che divenga sempre più difficile ottenere danaro per le opere missionarie, ma mi sembra assolutamente necessario che.l’opera delle missioni sia continuata in tutta la sua ampiezza e spero che non si verificherà nè rallentamento nè indietreggiamento... ».
Dopò 298 anni di servitù sotto il governo cattòlicissimo dell'Austria, finalmente il 17-18 dicembre u. s. le parrocchie dei protestanti luterani conformati della Boemia, della Moravia e della Slesia hanno potuto tenere il loro primo siriodó. Éiano presenti 216 rappresentanti. È stato un avvenimento storico ed ecclesiastico della massima importanza e la riunione è avvenuta in mezzo ad una gioia indescrivibile ed in un profondo senso di gratitudine a Dio per la preziosa libertà finalmente conquistata.
Ecco una delle decisioni prese dal Sinodo:
« I membri dèlie parrocchie, cristiani evangelici, di confessione luterana e riformata, di nazione ceca, in Boemia, Moravia e Slesia, si uniscono in una Chiesa indipendente bqema. Questa Chièsa, formatq di due confessioni differenti, si unisce in una sola e prende il nome di «.Unione evangelica. .dei fra telli > Evangelische Brüdergemeinde.
Essa si basa sulla confessione boema del 1575' e sulla confessione dèi Fratelli di Boemia del 1662; e con ciò vuol mostrare di considerarsi come la continuazione storica e spirituale della Riforma e della Boemia ». •
« Nello stato ceco-slovacco regnerà piena libertà religiosa e rispetto per tutte le confessioni religiose » così ha affermato il prof. T. G. Masaryk. Sarà dunque finita per sempre quella infausta distinzione legale fra religione riconosciuta e religione tollerata per la quale nella vecchia Austria èrano possibili tanti abusi.
POLESE ROCCO, gerente responsabile.
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CHIESA E QUESTIONE SOCIALE — CHIESA E FILOSOFIA CHIESA E SCIENZA — CHIESA E CRITICA (due studi)
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Ecco alcuni giudizi fra i tanti che abbiamo ricevuti:
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