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ECO
DELLE VALU VALDESI
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V'*" C. erbai la ei.'/u
GENOVA
Settimanale
della Chiesa Valdese
La riforma necessaria
In una lettera del 1543, aH’imperatore Carlo V Calvino, parlando della riforma della Chiesa, dichiarava che essa
e opera di Dio e non dell’uomo: « sicché, quanto alta possibilità di fare
qualcosa a tale scopo, non bisogna attendere che si manifesti la buona volontà della gente o che mutino le situazioni, ma bisogna farsi strada attraverso la disperazione ».
Non bisogna attendere... Non bisogna
cioè cullarsi neH'illusione che la riforma sia una specie di fenomeno naturale, che ogni tanto si produce nella storia della Chiesa, come per germinazione spontanea e indolore. Al contrario,
bisogna farsi strada attraverso la disperazione: la via della riforma non è
né pacifica né riposante, comporta rotture e lacerazioni, lotte e contrasti, sofferenze e sacrifici. Siamo soliti immaginare i tempi di riforma come tempi
felici, luminosi; in realtà sono tempi di
passione e di prove. Non si deve pensare di poter giungere a una riforma
della Chiesa senza tribolazioni.
Perché questo discorso sulla riforma della Chiesa? Perché la Chiesa ha
un avvenire cristianamente significativo solo se si riforma. Se resta com’è
potrà anche continuare a esistere, ma
solo più per se stessa: non per Dio e
★ Leggere nell'interno
la pagina della F.F.V.
dedicata a
IL PROBLEMA CARCERARIO
in ITALIA
nemmeno per gli uomini. L'avvenire
della Chiesa coincide con la sua riforma. Al Congresso teologico cattolico di
Bruxelles, invece, si è parlato molto di
avvenire ma poco di riforma, soprattutto nelle tesi conclusive. Nell’insieme
è un discorso all’acqua di rose, al
quale si addice il commento del profeta Geremia: « Curano alla leggera la
piaga del mio popolo » (Ger. 6: 14).
Non è con simili discorsi che si riforrna la Chiesa. Se si vuole che la cristianità del nostro tempo faccia qualche
serio progresso evangelico, occorre affrontare le questioni con molto maggior coraggio e libertà, in una parola
bisogna essere radicali, come lo è
l’Evangelo. Con le mezze misure, nulla
è guadagnato.
Sarebbe d’altra parte stolto pensare
che in un congresso di teologi o con
articoli di giornali si possa avviare la
riforma della Chiesa, cioè il suo vero
avvenire. La riforma non può essere
programmata proprio perché è opera
di Dio e non dell’uomo. Quel che si può
fare è indicare gli aspetti della vita
della Chiesa per i quali si avverte più
viva l'esigenza della riforma. Si tratta
di alcuni grossi problemi irrisolti che
ogni comunità cristiana ha davanti a
sé: l’avvenire della Chiesa coincide con
la loro soluzione. Quando questi nodi
saranno sciolti si potrà dire della Chiesa che il suo futuro è già cominciato.
1) La comunità. Tutti sanno che le
nostre chiese non sono purtroppo vere
comunità. Se non lo sono è perché in
esse c'è poca comunione. C’è poca comunione perché si vive poco insieme,
si parla poco insieme, si prega poco insieme, si fa poco insieme: tutto poco.
La nostra fraternità è certo reale perché è donata da Cristo ma è poco vìssuta. Siamo fratelli ma viviamo poco
come fratelli. Per questo le nostre chie■sc han bisogno di essere riformate: per
diventare vere comunità, vere assemblee di fratelli. Bisogna trarre tutte le
implicazioni di questa parola: fratello.
Bisogna quindi incamminarsi nella direzione opposta a quella indicata a
Bruxelles dall’ ecumenista cattolico
Y. CoNGAR per il quale « il modello ideale » di Chiesa « dovrebbe unire principio gerarchico e partecipazione del popolo ». No, il principio gerarchico non
va armonizzato col motivo comunitario
ma semplicemente cancellato e bandito per sempre. La Riforma protestante
lo ha già fatto e su questo punto come
sugli altri non c’è da tornare indietro
ma solo da andare avanti realizzando
una fraternità vera e piena. Non basta
abolire la gerarchia per creare la comunione: è l’esperienza che facciamo
nelle nostre chiese. Questo non significa che bisogna ripristinare la gerarchia, tutt’altro; bisogna invece valorizzare fino in fondo la fraternità. A questo dovrà condurre la riforma.
2) Il cullo. La necessità di una riforma del culto è palese e avvertita da
molti, a cominciare dai pastori stessi.
La cosiddetta « nuova liturgia » per il
culto pubblico adottata nelle nostre
chiese da qualche anno non è neppure
lontanamente una risposta adeguata al
problema della riforma del culto: è
stata la classica toppa nuova sul vestito vecchio, anzi anche la toppa era vecchia. C’è chi dice: Non si può riformare
il culto se prima non si riforma la comunità, e in un senso è vero. Occorre
comunque cominciare da qualche parte. La riforma del culto dovrà tener
conto della libertà dello Spirito, della
pluralità dei ministeri che tutti dovrebbero esprimersi nel culto la cui natura
corale va molto sottolineata, del rapporto tra culto e vita, del posto del battesimo e della S. Cena. E inoltre urgente fornire alle nostre chiese un innario
con cantici composti nel nostro tempo,
per poter cantare la fede di oggi con
parole e melodie di oggi, non di ieri.
Purtroppo il « nuovo innario », malgrado i suoi pregi, non risponde affatto a
questa esigenza.
3) La predicazione. Per predicazione
non si intende qui il sermone domenicale ma tutto quel che la Chiesa dice
dell’Evangelo. L'impressione è che oggi
essa dice poco. Come predicare Cristo
in modo appropriato? Non è pensabile
che una Chiesa fedele esista senza qualche forma di annuncio pubblico dell'Evangelo. L’Evangelo è un messaggio,
una parola, e come tale non può che
esser proclamata o pronunciata. La fede vien dall’udire e si ode solo se qualcuno parla. Ma oggi i discorsi sono
screditati. Dopo aver ascoltato la gente
si chiede: E poi? Questo della predicazione, compresa naturalmente quella
dal pulpito, è forse il punto più dolente
di tutta la situazione. Da un lato una
Chiesa che non predica non è la Chiesa di Gesù Cristo; d’altro lato le forme
tradizionali della predicazione non sembrano raggiungere e « toccare » l’uomo
del nostro tempo. Come uscire da questo dilemma senza diventare una Chicsa senza Parola?
4) La questione sociale. E stato
Paul Tillich a rilevare per primo, fra
i teologi del nostro secolo, « la cristallizzazione antiproletaria del Protestantesimo » avvenuta nell’Qttocento e poi
sempre più consolidatasi fino ai nostri
giorni. Il mancato incontro tra protestantesimo e proletariato ha avuto conseguenze nefaste per entrambi: il protestantesimo, incapace di accedere, teoricamente e praticamente, alla situazione proletaria, si è legato alla borghesia
e non è più stato in grado di combattere efficacemente e contribuire a superare il capitalismo; il proletariato si è
allontanato o è stato, anche involontariamente, allontanato dalle chiese. Il risultato è che, sociologicamente parlando, la Chiesa è oggi in mano al ceto
medio e solo in questi anni si sta faticosainente rendendo conto della anomalità della sua composizione. Una riforma della Chiesa non potrà non riprendere l’intera questione dei rapporti tra protestantesimo e proletariato,
impostandola in modo nuovo.
5) La funzione politica. A Bruxelles,
nel discorso già citato di Y. Congar, si
parla della « funzione risanatrice » della Chiesa, da esercitare in « luoghi »
creati dalla Chiesa stessa « in cui Vuoine si ricomponga, ritrovi il senso delle
cose e di se stesso, critichi lucidamente
le sue alienazioni, si esprima liberamente, comunichi con gli altri, provi la forza dell’amore ». Cosa sono queste nostalgie conventuali? E proprio questa
la funzione della Chiesa nella metropoli? Q non è piuttosto un’altra, quasi
antitetica, e cioè essere una comunità
di rottura? Ma come? Come superare
il regime costantiniano della Chiesa?
Come evitare che le nostre chiese siano
una fucina di conformisti in molti sensi, compreso quello politico? Come tradurre in termini politici la contestazione evangelica dei sistemi di questo
mondo? Tutti interrogativi aperti cui
la riforma della Chiesa dovrà saper
rispondere. Allora comincerà l’avvenire
della Chiesa.
Paolo Ricca
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiii
I luteiani bavaresi
antepongono l’evangelizzazione
alia costruzione di chiese
Monaco di Baviera (Relazioni Religiose). A seguito (li un'inchiesta condotta dalla Chiesa Luterana bavarese, presso 2,7 milioni di
protestanti, è risultato che i fedeli sono contrari all’impiego dei fondi della Chiesa nella
costruzione di nuovi edifici di culto; sono invece più propensi a impiegare i fondi nelTevangelizzazione, nella cura delle anime e
neH'insegnamento. Inoltre, molti protestanti
sono favorevoli alla costruzione di case comunitarie che ritengono più più rispondenti alle
necessità reali della Chiesa luterana.
Le Chiese di fronte al problenia delle case di pena
e all'esigenza di nna profonda revisione del sistema detentivo
Alcuni mesi or sono ha soggiornato nelle Valli Valdesi
ospite dell’amico past. Gustavo Bertin, il dr. Albert Krebs,
un protestante tedesco che occupa un posto di rilievo nell’evoluzione del sistema penitenziario nella Germania In
quell’occasione abbiamo avuto il piacere e la fortuna di
incontrarlo, e ci ha promesso di inviarci un suo scritto;
promessa mantenuta, si che possiamo riportare qui sotto
il suo articolo, del quale abbiamo sinora rinviato la pubblicazione perché sapevamo che la Federazione Femminile
Valdese aveva in animo di dedicare una sua pagina nel
nostro settimanale, al problema carcerario in Italia,’e ci
pareva opportuno pubblicare contemporaneamente l’uno e
l’altra.
Albert Krebs è un uorno della Chiesa confessante in Germania. L’avvento del nazismo aveva infatti troncato __ o,
piuttosto, interrotto — il suo impegno serio e fecondo nella
riforma del sistema penitenziario tedesco. Come ha scritto
nel 1967 Gustav Heinemann — un altro uomo della Chiesa confessante, oggi capo dello Stato federale, allora ministro della giustizia — nella prefazione a una raccolta di
dedicati ad Albert Krebs, « negli anni venti, durante
i quali egli aveva iniziato la sua attività nelle case di pena,
si era fatta strada l idea che al centro dell’esecuzione penale doveva essere il reinserimento del condannato nella
società. Il Krebs si fissò il compito di trasferire questo
postulato nella prassi. Il carcerato era per lui un compagno d umanità, bisognoso di aiuto». Così cominciò, in Tiiringia, un servizio fecondo, quale direttore di istituti di
pena; ne fu allontanato quando il nazismo interruppe uno
sviluppo ricco di speranze nel campo della giustizia penale
tedesca: Krebs si rifaceva a tutta una tradizione, spesso di
netta mipronta cristiana, illustrata dai nomi di Pestalozzi
Fhedner, Wagnitz, Mathilda Wrede, Zeller. Lunga parentesi
di riflessione di approfondimento, di dure difficoltà. Quindi nel 1945, la ripresa dell’attività, quale direttore di tutti
gli istituti penali dell Assia: lottando contro ostacoli e resistenze, egli e riuscito con i suoi collaboratori a creare tutta una sene di case modello per detenuti adulti e giovani
tendendo sempre allo scopo della ri-socializzazione di questi. La sua profonda formazione pedagogica e sociale lo
rendeva attento all esigenza che anzitutto il personale di
quelle case sia di prima qualità e che esso sia non soltanto formato ma continuarnente informato, seguito, aggiornato. a tale scopo pubblica da vent’anni una rivista speciahzzata; una vasta bibliografìa attesta la sua attività
pubblicistica, tesa ad animare la riflessione su questo vasto
complesso di problemi umani e sociali, e nello stesso senso
e stato orientato il suo insegnamento all’Università di
Marburgo, sulla cattedra di criminologia e questioni carcerane. Egli ha jmre fatto parte della Commissione alla quaConsiglio della Chiesa Evangelica in Germania (EKD) ha affidato lo studio del problema penitenziario
in concomitanza con un dibattito parlamentare sulla riforma del codice penale tedesco. Due anni dopo tale Commissione riferiva, e il dr. Krebs ci fa parte, nel suo scritto
di quel lavoro. Con gratitudine, ripensiamo all’incontro con
questo fratello maggiore, così simpatico nella sua schiva
semplicità, allo sguardo limpido di questo cristiano che ha
trascorso la vita alle prese con i problemi umani più dolorosi e torbidi, e che a questo « prossimo » ha dedicato le
sue energie di mente e di cuore, in una testimonianza che
ha lasciato il segno.
G. C.
La Chiesa evangelica in Gernnania (EKD) e i carcerali nella Rep. Fed. Tedesca
Nelle varie nazioni plasmate, nella
loro cultura, dal cristianesimo, le Chiese hanno dovuto costantemente rinnovare la loro riflessione sui loro compiti
nell ambito della società. « La Chiesa
cristiana ha, da sempre, considerato
con cura particolare il destino dei carcerati » — con quest’affermazione, che
SI fonda sulle parole» « Sono stato carcerato e mi avete visitato» (Matteo 25: 36), inizia il documento inviato
dal Consiglio della Chiesa evangelica in
Germania (EKD) al ministro federale
della giustizia nella Repubblica federale di Germania, il 27 ottobre 1966.
Lasciamo aperta la questione se, nel
corso della sua storia, la Chiesa ha
sempie adempiuto a questo compito in
modo tempestivo e sufficiente. In questo caso, si trattava soltanto di presentare una riflessione di fondo sul modo
di articolare, in questo contesto particolare, i rapporti attuali fra Chiesa e
società. Che cosa voleva, nel 1966,
l’EKD con quel documento? che ha voluto dire tramite quel mezzo?
In primo luogo ha voluto riaffermare l’antica verità, in base alla quale la
Chiesa conosce e riconosce il suo dovere di cura d’anime: restare vicina a tutti i suoi membri, anche a quelli penalmente giudicati, e sostenerli. Non è
cosa che debba essere dimostrata: fa
parte dell’essenza stessa del messaggio
cristiano.
Si intendeva, in quel modo, aiutare
tutti coloro che sono stati danneggiati
dagli atti passibili di condanna, quindi la società e infine anche l’autore di
quegli atti, a « portare insieme » il danno. Si voleva poi non limitarsi a restare passivamente da una parte, in atte
lllllilllllllillllllllilllllllllllllllMIIIIIIIIII lllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllimillllllimilllllllllMIIIIIMIIMIIIIIIIIIIMIIIIIIlll
Lega per il riconoscimento dell’obiezione di
coscienza
Guerra alla guerra
Sostenuto dall’adesione di tutti i
partiti politici (ad eccezione del M.S.I.
e del partite) monarchico), dalle Adi,
dai sindacati, da movimenti pacifisti
quali il M.I.R., Sviluppo e Liberazione, Mani Tese, Amnesty International,
Pax Christi, Movimento non violento.
Movimento Antimilitarista Internazionale, si è svolto a Torino il 18 aprile
scorso il lo convegno regionale piemontese della Lega per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza.
A turbare la serenità del convegno
sono intervenuti giovani neofascisti
capeggiati da esponenti del M.S.I. che
con ingiurie e provocazioni hanno presto reso l’atmosfera piuttosto tesa. Il
presidente dell’assemblea nel tentativo
di induurli alla ragione e di stabilire
un dialogo, li invita ad un breve intervento di chiarificazione. Naturalmente
l’invito è subito accolto e invece di un
intervento se ne hanno due, da parte
dei missini Cerrina e Maina. Per il
primo « l’unica obiezione di coscienza
accettabile è quella del giovane che
senza armi in pugno e stringendo il
rosario in mano, balza contro il nemico », mentre per il secondo, « ex
bersagliere perennemente militante »,
niente è più grave che l’approvazione
della legge per l’obiezione di coscienza
in quanto nel giro di breve tempo resteremmo senza militari. Con Lintervento dell’avvocato Bruno Segre la situazione precipita e gli agenti intervengono allontanando i provocatori.
Prosegue quindi con ordine l’intervento dei vari esponenti dei gruppi
aderenti alla lega e si giunge all’approvazione della mozione conclusiva
in cui si dichiara che la legge attualrnente in discussione alla Commissione Difesa del Senato diverrebbe ac(tettabile qualora contemplasse almeno
i cinque punti seguenti:
1) Effettiva regolamentazione di
tutti i casi di obiezione di coscienza
senza accertamento sulla natura della
medesima (non è infatti possibile ac
certare la veridicità o meno dell’obiezione a meno che si disponga della
« macchina della verità »).
2) La creazione di uno o più servizi civili all’interno o all’esterno, non
armati, alternativi al servizio militare (tuttora il servizio civile è limitato
a pochi fortunati).
3) L’automaticità della sospensione
della chiamata alle armi dell’obiettore dal momento della presentazione
della domanda (invece della prevista
presentazione della domanda entro una data stabilita, come se il giorno
seguente la suddetta data non sia più
possibile divenire obiettori).
4) L’istituzione di una commissione
di soli civili con l’unico scopo di ascoltare e destinare l’obiettore ad un servizio alternativo di pubblica utilità tenuto conto delle sue attitudini ed aspirazioni.
5) Il valore alternativo e non punitivo del servizio civile (cioè il periodo di servizio parificato).
6) Detrazione delle spese relative
ai giovani che partecipano al servizio
civile dal bilancio del Ministero della
Difesa.
Bilancio positivo quindi in questo 1"
convegno regionale della lega, ma che
per gli organizzatori è solo uno stimolo per proseguire una lotta molto più
estesa e più difficile: l’antimilitarismo.
In questa lotta non si può contare
sulla classe politica, di qualunque colore essa sia, poiché tutti i partiti politici pongono le loro basi .su una istituzione capace di reprimere ed imporre. Quindi l’obiezione, sia ben chiaro,
non è il fine ultimo ma un gradino
intermedio per un più ampio discorso antimilitaristico. A chi serve l’esercito, chi c il vero nemico, quale è la
mia patria? Queste sono le domande
da porsi se il nostro obiettivo è il
giungere ad una umanità riconciliata
con sè stessa e col Cristo che così
frequentemente invochiamo.
Ezio Metaluni
sa, bensì stare accanto, pronti ad aiutarlo nella concretezza della vita quotidiana, a quel membro di chiesa che
con il suo gesto colpevole si è in qualche modo separato dalla comunità
commettendo il « peccato ».
E a questo punto risulta evidente
quanto sia difficile, nel quadro della
situazione che la Chiesa occupa attualmente nel mondo, rispondere a tutti
gli interrogativi e risolvere tutte le
questioni collegate con il problema che
ci occupa e preoccupa.
Considerando retrospettivamente gli
sforzi che la Chiesa in Germania ha fatto per aiutare i carcerati, ad es. all’epoca dell’illuminismo, ci si può rifare ai
nomi di Theodor Fliedner, di Johann
Hinrich Wichern, di Friedrich von Bodelschwingh: essi hanno cercato dì riformare e riplasmare l’insieme dell’organizzazione a.ssistenziale in favore dei
carcerati e dei loro familiari, in base
ai principi che essi avevano riconosciuto cristiani e quindi per loro vincolanti. Il risultato di questi sforzi fu soltanto in parte positivo. La tensione fra
i « compiti d’ordine » perseguiti dallo
Stato e le esigenze d’aiuto avvertite dalla Chiesa non poté essere ricondotta a
una sintesi feconda. Sarà, potrà mai
essere altrimenti?
Oggi, nel mondo secolarizzato, la
Chiesa si sforza di continuare ad adempiere, per mezzo di coloro ai quali affida questo incarico o di coloro che
operano secondo il suo spirito, al proprio compito nei confronti del singolo
carcerato che desidera tale servizio. In
una conferenza su « Questioni di fondo
della cura d’anime ai carcerati » Karl
Barth ha detto: « Il carcerato non è
soltanto un criminale, ma è anche un
uomo. Il colloquio di cura d’anime può
avviarsi più facilmente, con lui, a livello d’umanità » (in « Zeitschrift fiir
Strafvollzug » 1969, p. 10). Soltanto con
riserva cito qui queste parole togliendole dal contesto nel quale sono state
pronunciate.
Nel documento menzionato all’inizio,
l’EKD invitava il legislatore della Repubblica federale di Germania a inserire per la prima volta nel codice penale un paragrafo relativo ai « Compiti
dell’esecuzione delle pene detentive ».
L’opinione pubblica, i giudici, i giudicati e in primo duogo il personale incaricato di quella esecuzione dovrebbero essere istruiti, mediante una definizione sobria nella forma e chiara nel
contenuto, riguardo al significato della
pena detentiva, oggi. In tal modo sarebbe colmata una lacuna nel codice
penale in vigore dal 1871, il quale è
giunto alla sua ultima edizione attraverso più di settanta emendamenti. La
proposta dell’EKD era stata tempestivamente consegnata alle commissioni
incaricate di studiare e formulare le
varie riforme che si stavano apportando in quel periodo al nostro diritto
penale.
Purtroppo il documento dell’EKD,
del 27 ottobre 1966, non è stato oggetto di esame da parte degli organi legislativi, è rimasto « materiale ». Ma —
e la cosa è importante — è diventato
Albert Krebs
(continua a pag. 6)
2
pag. ¿
N. 18 — 30 aprile 1971
Una presa di posizione della Federazione Protestante di Francia
L’aborto, quando e perchè
Nelle ultime settimane la discussione sull'aborto si è riaccesa con estrema vivacità in Francia, come attesta lo
spazio dedicatole nella stampa quotidiana e periodica. Sebbene non nella
misura in cui ciò avviene sinora in Italia, anche in Francia il tema è quasi
tabù e ai limiti dell’illegalità; ma la discussione in atto mostra quanto il problema sia urgentemente avvertito (i lettori ricorderanno che, alcune settimane or sono, abbiamo presentato e commentato un messaggio del pontefice
Paolo VI ai cattolici di Francia, nel
quale ribadiva che l’aborto ha sempre
un carattere omicida). Il Consiglio della Federazione Protestante di Francia
ha ritenuto di dover prendere posizione
su questo problema e ha diffuso la dichiarazione della quale riportiamo qui
sotto il testo. red.
Il problema dell'abortu è posto pubblicamente nel nostro paese. Le risposte ad esso sono spesso diametralmente opposte. Per gli uni, che assimilano
ogni aborto aH’infanticidio, la risposta
è totalmente negativa. Il rispetto incondizionato per la vita vieta qualunque
intervento abortivo. Per altri, invece,
i quali assimilano l'aborto alla contracezione, l’aborto libero e gratuito è un
diritto reso possibile dal progresso della scienza e legittimo di fronte alla
coscienza.
E una questione grave e non cercheremo di eludere il problema centrale
che è quello delle interruzioni volontarie della gravidanza: vi sono situazioni
nelle quali bisogna avere il coraggio e
l’amore sulRcienti per assumersi la responsabilità di non lasciar giungere a
termine una vita embrionale esistente?
Fra questi due campi estremi stanno
coloro che ritengono l’aborto legalizzabile quando la promessa costituita
d:i ogni vita non sembra poter essere
onestamente mantenuta senza rischi né
danno gravi.
Posta a confronto con questo problema, la Federazione Protestante di Francia precisa questi punti:
ABORTO E
CONTRACEZIONE
1. L’aborto è sempre una grave responsabilità, è il rifiuto di un processo
vitale avviato, dunque un atto diverso
dalla contracezione la quale è, invece,
un progetto preventivo. Assimilare
l’uno all’altra vorrebbe dire attenuare
la portata fisiologica, psicologica e morale dell’aborto.
Riaffermiamo dunque che la contracezione resta la vera via per controllare le nascite non desiderabili. Deploriamo che essa non sia maggiormente
diffusa, portata ad agevole conoscenza
di tutti.
Dissociamo quindi nettamente i due
problemi dell’aborto e della contracezione che l’opinione pubblica parrebbe
tendere ad accostare, non foss’altro
per il succedersi dei dibattiti parlamentari della legge Neuwirth prima,
del progetto di legge Peyret poi.
RESPONSABILI,
IN PRIMO LUOGO
2. Tuttavia nella prospettiva biblica
la vita è dono di Dio, benedizione per
l’uomo e non fatalità della specie. Crediamo perciò che in certi casi si ha
più coraggio e più amore nell’assumere
la responsabilità di un aborto piuttosto
che nel lasciar venire al mondo vite
che sarebbero una minaccia per la salute fisica e psichica della madre, o sarebbero minacciate nella loro stessa
possibilità di vita futura.
Anche coloro che si oppongono a tali
interventi assumono responsabilità temibili.
LEGGI E MORALE
DA MUTARE
3. Questo problema dell’aborto manifesta che entriamo in modo sempre
più accentuato in una società nella
quale la morale della responsabilità
deve sostituire ciò che con un’espressione equivoca si chiamava la morale
del rispetto della natura, incluse le sue
anormalità.
Per questa morale della responsabilità, non disponiamo più di criteri oggettivi. Entrano in gioco valutazioni
umane nelle quali sono implicati i genitori, i medici e l’insieme della società.
Ciò che importa è che nessuno sia ricacciato in una solitudine sulla quale
incombe il senso della colpevolezp.
Insistiamo quindi affinché si sviluppi
la presa di coscienza collettiva dei problemi in un campo nel quale, purtroppo, la legge è stata troppo spesso simbolo di ipocrisia, di pigrizia per gli uni,
di distretta per gli altri.
miiiiiiiiimiiiimiiiiiiiiMmmiiiiiiii|iiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Due pubblicazioni
sul problema dell'aborto
Ricordiitmo rlie al problema delTaborto Maria Girarjiet ha dedicalo un breve saggio,
pubblicato dalla Claudiana nella collana « Attualilà protestante» (p. 32. L. 100); La coscienza cristiana davanti alVahorto. Sempre
a cura di Maria Girardet, nella collana « 1
dossier del nostro tempo ». Incbieste-IIlOC,
Mondadori ha pubblicato lo .scorso anno una
vasta inchiesta; L'aborto nel mondo. Un dramma della coscienza contemporanea nelle testimonianze di biologi, personalità religiose, giuristi e sociologi (p. 256. L. 1.200).
L’obiettivo di una legislazione sociale migliore di quella quasi esclusivamente repressiva della quale disponiamo attualmente, dovrebbe infatti essere duplice: permettere alle interessate
di uscire dalla clandestinità e di non
prendere da sole decisioni responsabili;
accompagnare poi, sia a livello dell’ambiente umano sia a livello dei servizi
sociali specializzati, coloro che dovranno vivere le conseguenze delle decisioni
prese.
D’altro lato viviamo in un’epoca nella quale la rapidità delle scoperte scientifiche e la natura della reazioni sociali sono in rapida evoluzione. Senza pensare che la morale, quando enuncia
delle esigenze, va a rimorchio della sociologia quando questa constata dei
fatti, abbiamo coscienza del carattere
provvisorio di qualsiasi dichiarazione
in questi settori e invitiamo a un atteggiamento che non consista né in un
irrigidimento contro le nuove scoperte
ne in una soppressione della riflessione
morale.
I LIMITI DELLA DECISIONE
Se la legislazione non può dispensare
i responsabili (genitori e medici) dalla
decisione che essi devono prendere con
tutte le incertezze e il rischio che i progressi sanitari non possono del tutto
sopprimere, essa deve almeno specificare chiaramente i limiti aH’interno
dei quali questa decisione può essere
presa.
Lasciar sussistere una latitudine
troppo grande vorrebbe dire aprire la
strada ad abusi e ricordiamo che in
certi contesti politici questi abusi possono generalizzarsi in modo catastrofico.
Inoltre una legislazione non può fare
astrazione dall’incertezza dei costumi
che caratterizza un’epoca di profonde
mutazioni, qual è la nostra.
Una legislazione in questo campo
incontrerà sempre questa difficoltà: essa è tenuta a enunciare in categorie oggettive ciò che in verità si vive in modo diverso a seconda delle situazioni
soggettive. Sicché il quadro della legge
rischia di essere ora troppo largo, ora
troppo stretto.
Infatti come non si può imporre
un’accettazione insopportabile, così non
si può neppure dichiarare insopportabile ciò che invece potrà essere assunto
in profondità. Come non si possono
costringere i medici a intervenire con
tro la propria coscienza, così non è
neppure possibile fare della loro coscienza un giudizio universalmente
giusto.
Quali che siano le difficoltà, crediamo tuttavia che una enumerazione di
questi casi, in un quadro legislativo,
favorirebbe quell’assunzione di responsabilità che au.spichiamo.
CASI PRECISI
Se dunque occorre che la legge fornisca un quadro, menzioniamo a titolo
esemplificativo i casi seguenti:
— prosecuzione di una gravidenza che
comporti una grave minaccia per lo
stato patologico, fisico e mentale
della madre;
— serio pericolo che il nascituro sia affetto da malformazioni e da alterazioni serie;
— stupro e incesto;
— minorenne al di sotto dei 16 anni.
AIUTO E CONSIGLI
La legge dovrebbe inoltre prevedere
l’istituzione di organismi specializzati
capaci, qualora l’aborto sia stato praticato, di seguire le donne con le quali
è stata assunta questa grave responsabilità “ che rischiano di esserne traumatizzate, come pure nei casi nei quali
l’aborto non sia stato praticato:
— «in curando il neonato, soprattutto
facilitandone il processo di adozione,
— sia aiutando e consigliando i genitori che non fossero in grado di assumersi da soli l’educazione del
figlio.
La nostra società ha pure il dovere
di offrire a un bambino affetto da malformazioni le migliori possibilità di sopravvivere e di adattarsi alla propria
condizione.
Gli aborti clandestini continueranno
a moltiplicarsi, finché non si offriranno
alla madre o ai genitori le possibilità
di sfuggire a una prova troppo pesante.
Qgni politica deve sforzarsi di trasformare le fatalità naturali in possibilità
positive. Non può limitarsi a reprimere.
In tal modo la nostra politica sociale
diverrebbe al tempo stesso preventiva
e accompagnatrice, in un campo nel
quale troppo spesso si riduce all’astensionismo e all’indifferenza.
Federazione protestante
di Francia
“L’Evangelo e il berretto frigio”
Storici a convegno, nella sala valdese di Torino, per la presentazione dell’opera recente di Giorgio Spini: un vivace colloquio
con l’Autore, nel quale è però rimasto poco spazio per il pubblico
Giovedì 22 aprile, a Torino, nei locali
della Chiesa valdese, ha avuto luogo la
presentazione dell’ultima opera dello
storico prof. Giorgio Spini, L’Evangelo
e il berretto frigio. Alla manifestazione,
organizzata dalla libreria Claudiana,
dal Centro evangelico di cultura, dalla
Biblioteca Peterson e dalla Chiesa valdese di Torino, hanno partecipato, oltre
naturalmente all’autore, i professori
Franco Bolgiani e Narciso Nada, entrambi docenti all’Università di Torino.
Il dibattito è stato iniziato dal prof.
Bolgiani che, pur non volendo imperniare il suo discorso sulla mera presentazione del libro, ha accennato al
momento storico di cui l’autore tratta,
fornendo una preziosa chiarificazione a
quelle persone che ancora non erano
a conoscenza del contenuto dell’opera.
Egli ha illustrato brevemente le caratteristiche dell’evangelismo risorgimentale, la costituzione della Chiesa cristiana libera, i suoi legami con i movimenti di rinnovamento sociale dell’epoca, caratterizzati da aspirazioni democratiche, le speranze continuamente deluse degli Evangelici che si erano illusi che il XX settembre avrebbe portato
qualche cambiamento della scena politica italiana, che avevano confidato
nell’opera innovatrice della sinistra o
del governo Crispi, la conclusione tragicomica della vicenda con Saverio
Fera e la sua Chiesa evangelica italiana, lo sfacelo del movimento. La sua
prima osservazione ha definito il tentativo compiuto dal prof. Spini di vedere
e valutare la storia non attraverso le
gesta dei protagonisti di cui solitamente ci è tramandata la memoria, cioè
non nel vertice, ma nella base, cogliendo i fermenti, le aspirazioni, le illusioni e conseguenti ed inevitabili delusioni della gente comune, del « vulgo
che in realtà non dovrebbe fare la storia ». Il prof. Bolgiani, elogiata la vivacità e la scorrevolezza caratteristiche
delle opere di Spini, ha poi rilevato la
commozione e la « mano fine » dello
Spini nel descrivere certe scene e figure tipicamente evangeliche ed ha sottolineato alcuni aspetti particolarmente
importanti (e caratteristici) del movimento evangelico: la figura del maestro elementare, che a suo avviso dovrebbe essere oggetto di un accurato
studio per chiarirne la formazione, gli
assai frequenti passaggi di gruppi evan
iiiiiiiiiiuiimmmiiimiiimiiniiiiimiiiiiiimiimmmiiiiimiiimiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinmiiimiiMmmiimmiiiimimiiimiiimimiiiiiiiiimiimiimiiiiimi miiiiiiiiiiiiiiiiiii
I profesfanfi danesi e il Mercafo Comune
Abbiamo letto su « Le Christianisme
au XX‘ siede » questa corrispondenza
danese che ci è parso utile offrire, come documento, alla riflessione dei lettori. Potrebbe anche sfatare in parte
le visioni apocalittiche che certi corrispondenti hanno dato, nei loro réportages, di un’agonia del cristianesimo (e
del protestantesimo in particolare) nella nazione nordica. È intanto a Nyborg,
sulla costa danese, che si riunisce per
la sesta volta, dal 26 aprile al 3 maggio,
la Conferenza delle Chiese europee, detta appunto Nyborg VI (vi partecipa,
come delegato valdese, il past. Carlo
Gay): anche questo un segno che l’apertura europea del protestantesimo danese non è da dimostrare. red.
Dopo un periodo abbastanza calmo
la Danimarca è ridiventata la scena di
vivaci discussioni a proposito del Mercato comune. Fin dal 1961 il Regno ha
posto la propria candidatura a Bruxelles, ma dopo il "no” apposto da De
Gaulle alla Gran Bretagna, nel 1967,
l’interesse danese per un’integrazione
europea è diminuito sensibilmente. La
ragione è chiara: l’esportazione agricola verso l’Inghilterra era troppo intensa per permettere un ingresso nella
C.E.E. senza i Britannici.
Quest’atteggiamento è durato fino all’avvio di nuovi negoziati fra Bruxelles
e Londra. In quel momento la Danimarca ha rinnovato la propria candidatura e si attende il risultato delle
conversazioni. Se esso sarà positivo, il
paese avvierà subito i suoi negoziati
definitivi e sai'à seriamente aperta la
via verso l’Europa.
E evidente che questa pro.spettiva è
piena di problemi ardui e controversi.
Se il governo e la maggioranza del parlamento, il Folketing, sono favorevoli
all’ingresso del paese nella C.E.E., vanno pure aumentando le messe in guardia. Queste reazioni vengono dagli ambienti intellettuali e non si limitano alla sinistra politica, la quale fin dal principio ha sostenuto una comunità nordica anziché l’esperienza europea. Questa
visione nordica si è però sensibilmente
attenuata dopo l’insuccesso registrato
l’anno scorso dal trattato Nordek, che
progettava un’unione commerciale fra
i paesi scandinavi. Tuttavia, malgrado
questo insuccesso, va crescendo la sfiducia nei confronti del Mercato comune ed è interessante osservare come anche certi cristiani si pongono degli interrogativi.
Ci si domanda, è ovvio, quale sarà
l’influenza cattolica in un’Europa più o
meno unificata, ma in genere i problemi sono piuttosto di ordine politico e
culturale. Si evoca ad esempio il fatto
che la Scandinavia costituisce un’unità
a sé, che nel suo modo di pensare e
nella sua concezione della libertà diffe
risce dal resto del continente. Queste
diversità si riflettono ad esempio in
modo marcato nella vita della Chiesa e
nel sistema scolastico, che si sono
sempre edificati dalla base, escludendo
cioè qualunque sistema gerarchico e
spesso autoritario, che coltivi lo spirito
d’élite a scapito dell’« uomo comune »
e dei suoi punti di vista. Invece matura in seno al popolo, in totale libertà
una cultura genuinamente popolare che
poi perviene all’élite. E il popolo, la
massa democratica, nel senso originario della parola, che è l’erede e il portatore anonimo della vera cultura nazionale. In tal modo l’educazione scolastica non è orientata verso l’individuo brillante, ma piuttosto verso quello che meno spicca.
Lo stesso avviene nella Chiesa. Essa
non esercita alcun controllo spirituale.
Non giudica la fede, si limita a predicarla. La sua porta è aperta a tutti,
affinché colui la cui fede pare quasi impercettibile, sia anch’egli rispettato per
quel che è.
Ma accanto a queste posizioni, vi sono pure gli argomenti più specificamente politici. Si afferma che il trattato di Roma non protegge realmente
le piccole nazioni. Esso riflette una filosofia delle grandi nazioni la quale, nella
sua struttura, sacrifica le piccole unità. Sebbene il trattato tenda in primo
luogo a un’unione economica, è evidente che ha come scopo finale un'unione
politica. Ma chi dominerà, in questa
unione? Indubbiamente, le grandi nazioni. Si ha un bel dire che l’organizzazione del Mercato comune è democratica: le decisioni fondamentali saranno prese a Bruxelles, dove l’influenza delle grandi nazioni sarà schiacciante. Perciò non si vuole sacrificare
una parte della propria sovranità nazionale a una tecnocrazia europea.
Naturalmente gli avversari dell’ingresso danese nella C.E.E. hanno altri
forti motivi per dire "no”. Una volta
entrata nella C.E.E. una nazione non
potrà mai più uscirne, quand’anche la
cosa fosse giuridicamente lecita, perché l’economia sarebbe già troppo indissolubilmente legata all’economia europea. L’Europa costituirà un blocco
estremamente potente che impedirà
ancor più al Terzo mondo di sviluppare le sue relazioni commerciali. Il profitto economico per la Danimarca, soprattutto nel settore agricolo, non sarà
così grande come oggi si crede; ecc.
Checché si pensi di tali argomenti,
essi pongono problemi di peso. Hanno
radici che vanno oltre la problematica
attuale e risalgono forse a epoche lontane. Ad esempio, è privo d’importanza
il fatto che l’impero di Carlo Magno
non abbia mai varcato la frontiera danese e che il diritto romano non sia
mai riuscito a estendere la sua influenza a nord di questa frontiera? L’impero carolingio non corrisponde forse,
all’incirca, all’attuale Mercato comune?
E un puro caso che il diritto nordico
sia fondato sull’individuo piuttosto che
sullo Stato e sul sovrano?
Non si può eludere questo tipo d’interrogativi; perciò ci si domanda oggi
se questa cultura nordica sarà sommersa da una cultura germano-romana. E
la Chiesa, che tradizionalmente diffida
della grandezza e della gloria esteriori,
resisterà alle tentazioni gerarchiche e
autoritarie? Qvvero tenterà di avere un
volto visibile, benché sia per sua natura invisibile? Per comprendere questa
inquietudine bisogna anche notare che
la Chiesa di Danimarca (come le altre
Chiese nordiche) non ha portavoce, non
ha una voce che parli a nome dei fedeli. Se i vescovi si esprimono, lo fanno soltanto in veste privata. Non si
fanno dichiarazioni ufficiali su qualsiasi tema. Insomma, ogni fedele è portavoce della Chiesa se lo Spirito Santo
vuol servirsene.
Qualcuno dirà, con ragione, che si
tratta di una concezione abbastanza
vaga. Ma d’altro lato la parola di Dio
non dev’essere legata e impedita da
qualunque istanza ufficiale. Gli effetti
di tale concezione non sono forse molto brillanti agli occhi del mondo, ma
che importa? Questo è in ogni caso un
aspetto del pensiero protestante, ma
anche del carattere popolare. La cosa
risalta se si guarda alla Germania protestante. La sua Chiesa ha un bell’essere sorta dalla Riforma, ma la sua organizzazione resta burocratica e gerarchizzata. È questa tendenza "verticale”,
che viene rifiutata a nord della frontiera tedesca, là dove la struttura è "orizzontale” e dove sono i movimenti della
base che tracciano l’ordine del giorno
della Chiesa, non è un qualunque organismo a imporre la propria volontà, più
o meno arbitraria.
Ma con tutto ciò il problema scottante è di sapere se un ingresso nella
C.E.E. implicherà automaticamente Io
scacco di queste tradizioni nordiche o
se, invece, queste tradizioni potranno
dare all’Europa qualcosa che prima le
mancava. È qui che le opinioni divergono. Ma se l’Europa occidentale si
unisce, perché non accettare fin d’ora
la sfida e prepararsi a dare e a ricevere
al tempo stesso? Indubbiamente anche
per il governo il legarsi al Mercato comune resta un matrimonio di convenienza, dettato dai vantaggi economici
previsti. Non si è ancora veramente
scoperta l’Europa e fra le cause di questo provincialismo un po’ timoroso ritorna sempre la cosiddetta minaccia
{continua a pag. 6)
Fl. Fleinert Jensen
gelici da una denominazione all’altra, i
ricorrenti fermenti escatologici, analoghi a quelli del Giansenismo.
Nel cedere la parola al prof. Spini, il
prof. Bolgiani gli ha posto alcune domande inerenti ai motivi del libro: innanzitutto quale peso ha avuto la contestazione post 1967, penetrata anche
nell’ambito delle chiese cristiane, nel
determinare la scelta dell’argomento e
nell’influenzare il taglio del libro, quale
motivo ha determinato la sua severità
di giudizio nei confronti del comportamento della Chiesa valdese e quali insegnamenti sul piano della fenomenologia delle denominazioni ci derivino da
questa ricerca.
Il prof. Spini, pur ammettendo che il
vedere rinascere nelle nostre chiese
forme di cristianesimo radicale abbia
potuto indirizzarlo allo studio delle
stesse posizioni religiose così come si
presentavano nel Risorgimento, ha legato la nascita del suo volume anche
ad un precedente degli anni ’30 e precisamente la biografia di Pietro Guicciardini dell’amico Stefano Jacini. Per
lo Spini i movimenti religiosi evangelici non vanno considerati come qualcosa di autonomo, ma inseriti in un
ampio contesto storico-sociale. Nell’effettuare questa trasposizione egli ha
formulato un’interessantissima ipotesi
di lavoro: nella storia dei movimenti
evangelici dal 1870 ad oggi, scartata a
priori una relazione meccanicistica tra
i vari fenomeni, si riscontra un certo
parallelismo tra l’andamento della vita
politico-sociale e l’andamento della vita religiosa, per cui in un periodo di ricerca di nuovi valori sociali ha sempre
luogo un’evoluzione evangelica e viceversa, quando la vita politica ristagna
lo stesso si verifica per i fermenti evangelici. Rispondendo alla domanda di
Bolgiani, ha affermato che, riconosciuto il notevole realismo politico dei Vaidesi, non si può non biasimare la loro
staticità ed il loro carattere restio ad
avvertire i segni dei tempi.
Da questa constatazione ha fatto nascere la domanda se sia meglio la realistica diffidenza montanara dei Vaidesi oppure il comportamento giacobino e garibaldino, sempre così avverso alla « piuttosto grigia, deprimente
realtà italiana ».
Pure il prof. Nada ha riconosciuto i
numerosi pregi del libro, tra cui la notevole opera di erudizione, che ne è
premessa essenziale, avvalorata proprio dal fatto che l’argomento non è
mai stato studiato in prcccUt-t»*.-.., ii
lido tentativo di studiare il fenomeno
evangelico inquadrandolo nella realtà
politico-sociale che ne ha costituito lo
sfondo senza perdere il filo conduttore
in una così vasta analisi ed infine l’evidenziazione dei legami tra la chiesa cristiana libera, la Massoneria e la sinistra
politica. Il prof. Nada, che pure ha rilevato l’attenzione che lo Spini ama
dedicare alle figure dei contestatori,
vedendo in questo comportamento un
che di autobiografico, nel senso che lo
Spini stesso è eretico, non solo nei confronti della Chiesa cattolica ma anche
della realtà politica e culturale italiana, ha osservato infine quanto sarebbe
interessante studiare l’attività delle
scuole evangeliche e la misura degli
aiuti economici stranieri all’opera evangelica in Italia.
Lo Spini non ha negato questo suo
intento autobiografico, ma ha integrato
l’affermazione del prof. Nada, mostrando come il volume risponda anche alla
necessità di chiarificazione di un evangelico del nostro tempo che vuole indagare intorno alle sue origini storiche
e che si scopre erede della tradizione
risorgimentale, cioè giacobino, e del
revivalismo, accorgendosi come questa
paternità gli sia connaturata a tal punto da non potersene liberare quando
questa gli si ripresenti nel corso della
storia.
La discussione seguita al dibattito vero e proprio ha proposto, attraverso le
opinioni contrastanti dei proff. Bolgiani, Nada, Firpo, Galante Garrone e
Vaccarino, una interessante valutazione dell’ipotesi di lavoro formulata da
G. Spini.
D.aniele Garrone
iiliiiilMiMii;iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiillliiiiliili
I CRISTIANI DI AMBURGO
PER LA TANZANIA
Amburgo (Relazioni Religiose). - I cattolici e i cristiani evangelici di Amburgo hanno
offerto la .somma di 45.000 marchi (quasi 7
milioni di lire) destinati agli aiuti in medicinali alla ’fanzania. Il denaro dovrebbe servire
a ridurre l'alta mortalità dei neonati nel distretto di Tiikuya. dove muore il 40% dei
neonati.
imiiiiiiiiiiiiiiiiifliiimiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiM
IL GOVERNO ALGERINO
CONTRO I MATRIMONI MISTI
Algeri (Relazioni Religiose). - Durante il
quarto incontro di studi sul pensiero islamico,
un portavoce del governo algerino si è proiiuueiato in questi giorni contro il matrimonio fra
cristiani e maomettani, affermando che .se nel
passato si sono verificati matrimoni misti, ciò
era dovuto a circostanze eccezionali, come
l emigrazione forzata c l'esilio. Ora che queste
eircostanze non sussistono più. è necessario
fare il possibile perché questi matrimoni non
avvengano, dato che violano i precetti delrislam. ha affermato il portavoce del governo
di Algeri.
3
30 aprile 1971 — N. 18
pag. 3
Pagina periodica della Federazione Femminile Valdese
a cura di Mariuccia Barbiani, Marie-France Coisson, Rita Gay e Rosanna Moroni
LO STERMINIO DELIA PERSONALITÀ
Inchiesta sulle carceri
Emilio Sanna: Inchiesta sulle carceri,
De Donato editore, Bari, 1970; pas.
233, Lire 1.500.
Ultimata la lettura di questo libro,
si rimane veramente stupefatti al pensiero che possa esistere in Italia qualche caso di reinserimento degli exdetenuti nella società, o come si suol
dire qualche caso di « riabilitazione »;
e vien fatto di pensare che si tratti di
casi eccezionalissimi, favoriti in partenza da condizioni ambientali particolari o da una struttura della personalità particolarmente forte. Infatti a
chi legga queste pagine non può non
imporsi in tutta evidenza un assioma
fondamentale: scopo del carcere, in
tutte le sue forme, è quello di scardinare la personalità del detenuto, di
stritolarla e polverizzarla, e quest'opera è condotta con tanto maggior accanimento e successo, quanto più il detenuto parte da posizioni sfavorite, sul
piano socio-economico e sul piano personale. Un detenuto definisce questa
opera con la parola « sterminio ». E un
direttore di carcere candidamente dice: « Noi ci troviamo di fronte a persone che bisogna sfasciare compietamente... » come premessa per una supposta ristrutturazione (affidata, beninteso, solo alle sue mani).
Emilio Sanna, assieme al regista Arrigo Montanari, aveva realizzato nel
1969 un’inchiesta televisiva in tre puntate sul sistema carcerario italiano, intitolata « Dentro il carcere ». In questo
libro, avvalendosi delle numerose occasioni avute di visitare istituti, carceri giudiziarie, case di pena, manicomi criminali, e di intervistare detenuti, direttori, cappellani, maestri, medici e agenti di custodia, analizza ogni
aspetto della arretratissima situazione
carceraria italiana, inserita nel contesto di una società che fa del meccanismo repressivo uno dei suoi cardini
fondamentali. Qui infatti, forse ancora più nettamente che nei libri che denunciano la situazione mani-omiale,
appare in tutta evidenza il motivo conduttore di un sistema sociale che, dopo aver suscitato al suo interno la delinquenza, pretende di punire con lo
« sterminio della personalità » il colpevole che è prima di tutto una vittima del sistema stesso. Inoltre il linguaggio anche stilisticamente arcaico
in CUI sono espresse le norme che regolano il sistema carcerario italiano
conferisce un risalto ancor maggiore
al raccapricciante medievalismo di cui
sono permeate.
Il libro è suddiviso in alcune sezioni che vale la pena di scorrere rapidamente. Nella prima l’Autore mette in
luce, dati statistici alla mano, il ritratto del carcerato italiano medio, che
così riassume: « Basso grado di istruzione, disoccupato o lavoratore dipendente, in prevalenza meridionale. In
una parola, chi va in galera è il povero ». Il nostro sistema giudiziario
sembra organizzato allo scopo di togliere dalla circolazione gli indesiderati (« sono i reietti, i vagabondi, gli
alienati, i disadattati, gli anarchici: coloro che non accettano le regole o i valori della società ») che, caduti nella
rete repressiva, non hanno i mezzi materiali e morali per sgusciarne fuori.
« Il codice fascista che ci governa è
uno strumento di repressione contro i
deboli »: è noto, ad esempio, che esso
sembra attribuire più importanza alla
proprietà che alla vita, come è documentato dalle pene severissime riguardanti furtarelli in confronto all’indulgenza riservata a chi uccide un individuo, anche un ragazzo, sorpreso a
rubare. Del resto la struttura stessa
dei nostri codici corrisponde ad una
società di tipo patriarcale, contadina,
bigotta, che annette un valore sacrale
alle patrie istituzioni: « è l’immagine
di uno stato autoritario che non tollera i tentativi di modificare i rapporti
sociali o di introdurre idee nuove »:
questo spiega come esso reprima duramente i reati di opinione, il vilipendio soprattutto alle forze armate e alla polizia, l’oltraggio a pubblico ufficiale, non riconosca l’obiezione di coscienza e un’effettiva libertà religiosa
Una fondamentale aberrazione del
sistema è rappresentata dal carcere
preventivo cui spesso gli imputati sono
costretti anche fino a sei-sette anni prima di conoscere la sentenza definitiva. Secondo l’Autore, più che il cattivo funzionamento della giustizia si rivela qui un preciso disegno politico,
di carattere classista e repressivo: si
tratta di dare una lezione a chi « devia », a chi dà fastidio, soprattutto se
ha espresso opinioni diverse da quelle
tollerate dal sistema (vedi gli arresti
di anarchici, di elementi « sediziosi ■>
ecc.), e, approfittando della detenzione, procedere alla nullificazione dell’individuo, ridurlo ad un rottame. In/hUf ciò che provoca guasti inestinguibili sulla personalità è lo stato di
profonda incertezza e di isolamento
che, per tappe successive, viene calato sull'individo. Nel rituale umiliantissimo che va dall’espletazione del
mandato di cattura all’ingresso in carcere, queste tappe sono l’interrogatorio, con le tecniche della coercizione
morale o della tortura fisica, il trasfe
rimento dalla caserma al carcere, con
manette e catene, la perquisizione
(compresa l’ispezione anale), la spoliazione dei beni e succesiva vestizione, e infine l’isolamento dell’imputato
(per evitare il cosiddetto «inquinamento delle prove ») che è, per la sua
durata incerta e per la sua mancanza
di contatti interpersonali, la fonte di
maggior disgregazione interiore per il
detenuto. Il quale, se poi non resiste e
si uccide, viene dichiarato “tarato congenito", predestinato alla pazzia. Il
carcere preventivo è definito inoltre
unanimemente dagli stessi direttori,
« scuola di delinquenza »; ma esso condiziona tutto il sistema penitenziario
italiano.
* * *
A questo punto l’Autore esamina più
da vicino, attraverso le visite e le inchieste condotte nelle grandi carceri
ta « buona condotta » che significa degradazione totale, riconoscimento della propria nullità e collaborazione col
direttore attraverso le delazioni e il
servilismo più ripugnante.
Oltre al letto di contenzione, per gli
« incorreggibili » {cioè, nella maggior
parte, individui normali che la violenza del carcere rende violenti) è aperto
il manicomio giudiziario, altro strumento di degradazione dell’uomo, « la
buca più profonda dell’inferno ». Anse se per molti detenuti la pazzia diventa il rifugio estremo contro la violenza del carcere, il rnanicomio giudiziario « è la cartina di tornasole della
ferocia repressiva del nostro ordinamento ». In esso, come in una bolgia
dantesca, si trovano ammassati insieme infermi e seminfermi di mente, sani in osservazione, guariti che non riescono a « uscire dal loro girone ». La
tesi cara ai direttori di carcere è ovvia: chi manifesta squilibrio in carcere era già tarato. Anche se il direttore
del manicomio di Aversa fa questa dichiarazione rivelatrice: « Lei metta un
individuo normale in un ambiente come quello della maggior parte delle
carceri italiane... e poi ci sarà da me
L’ESPERIENZA DI UN DETENUTO
La spirale della violenza
G. Salierno, La spirale della violenza.
De Donato editore, Bari.
Questa indagine sul sistema carcerario italiano è vista attraverso gli occhi e l’esperienza di un detenuto: Giulio Salierno, graziato dal Presidente
della Repubblica per meriti di studio.
Lo scrittore è riuscito a capire il più
difettoso meccanismo dello Stato italiano in quanto non si è limitato a subirlo, ma ha cercato di capirlo vivendolo all’interno giorno per giorno e
guardandolo con occhio ed esperienza
critica da autodidatta.
Dagli annuali della sociologia criminale sappiamo come il detenuto dimesso dopo una lunga pena, sia in pratica
finito come individuo, le sue qualità
intellettuali, le sue capacità di reazione
e di inserimento nella vita sono cancellate.
Il problema carcerario in Italia
giudiziarie italiane (San Vittore, Regina Coeli, Poggioreale, l’Ucciardone),
le modalità di vita — se tale si può
chiamare — dei detenuti e i mezzi con
cui li si inchioda a .questo tipo di esistenza. Per i ribelli vi è ancora la « cintura di sicurezza » ( = letto di contenzione), una barbarie che miete tuttora
le sue vittime. Per coloro che cercano
di sopravvivere (tenuto presente che
« il carcere giudiziario è come un cimitero: visitarlo è come passare tra due
file di loculi privi dei segni esteriori
della pietà ») ecco subito la possibilità
di nuove discriminazioni, tra chi ha
quattrini e chi non ne affatto. Chi ha
un po’ di soldi in carcere può commerciare con il brigadiere, i marescialli, i
custodi, per avere qualcosa. Questo è
vero anche per la vita sessuale dei detenuti, che si presenta naturalmente
disumanizzata, incentrata su un continuo fantasticare erotico monomaniaco, sulla masturbazione, sull’omosessualità.
A differenza del carcere giudiziario,
la casa penale è una forma di società
di « sepolti vivi », ogni minimo movimento dei quali serve solo a consumare il tempo. È, oltre tutto, un'istituzione le cui radici culturali (quelle del
cattolicesimo medievale) si sono ormai
estinte; quindi anacronistica e improduttiva, come lo è l’esplicazione di una
pura vendetta sociale (Turati). L’Autore descrive le lugubri caratteristiche
dei penitenziari di Favignana, Volterra,
Augusta... Dappertutto il capo sovrano è il direttore, che ha poteri discrezionali illimitati. Le interviste con i
detenuti sono una toccante testimonianza della disumanizzazione che essi
devono accettare per poter sopravvivere, della frustrazione dei propri bi
sogni più elementari, o almeno del
condizionamento di essi alla cosiddet
ravigliarsi se il suo sistema nervoso
non salta ».
Dunque i condannati per cui il carcere abbia rappresentato almeno il
fattore scatenante della pazzia sono
vittime del sistema. Eppure, per una
vera mostruosità giuridica, quando il
condannato impazzisce la pena viene
sospesa e se egli guarisce dovrà riprendere a scontarla dal giorno della sospensione!
* ii *
In una terza e quarta parte, l’Autore
esamina i cosiddetti strumenti della
rieducazione: il lavoro, la religione, la
istruzione. Per quel che riguarda il lavoro, c’è da osservare che il carcere
(che ha avuto fin dalle origini una precisa funzione economica) risponde bene ai canoni dell’economia capitalistica, attraverso il sistema dell’appalto.
Da un lato i privati lucrano sugli appalti delle forniture, essendo ad essi
affidata la gestione dei servizi nelle
carceri, dall’altro le varie amministrazioni dello stato si rivelano incapaci di
far fronte alle necessità obiettive, cosicché le lavorazioni vengono condotte
senza alcun criterio organizzativo, senza personale specializzato, senza riferimento alle capacità professionali dei
detenuti e servono quasi solo a coprire le esigenze dell’amministrazione carceraria. Alla radice di questa disfunzione ritroviamo ancora l’aberrante
convinzione che il detenuto debba sentire il carattere afflittivo della pena,
quindi lavorare nel modo meno libero
e produttivo, più forzato e anacronistico, con pagamento a cottimo anche
quando, com’è successo qualche anno
fa, centinaia di detenuti erano costret
Rita Gay
(contìnua a pag. 4)
IIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIillllllllllllllllllllllllll,lini, „1,11,III,,,,,,,, 11,11,1111,Il
L’attuale sistema carcerario italiano,
come vedremo in seguito, non ha fine
rieducativo, ma espiatorio e repressivo. Chi commette un delitto comune,
una infrazione alle leggi deve pagare
fisicamente e psichicamente. Il detenuto è considerato un « fuorilegge » e
quindi è radiato socialmente. Antonio
Gramsci così si esprime: «Quando vedo
agire e sento parlare uomini che sono
da 5, 8, 10 anni in carcere e osservo le
deformazioni psichiche che essi hanno
subito, davvero, rabbrividisco e sono
dubbioso nella previsione su me stesso.
Penso che anche gli altri hanno pensato di non lasciarsi soverchiare, ed invece senza accorgersene, tanto il processo è lento e molecolare, si trovano oggi
cambiati e non lo sanno, non possono
giudicarlo perché sono completamente
mutati ».
Salierno invece di indietreggiare e di
abbandonarsi a quello che Gramsci considera l’annullamento di ogni facoltà
intellettuale ed affettiva, esce dai suoi
16 anni di galera con un messaggio di
rivendicazione sociale ed un appello
per coloro che sono ancora « dentro ».
Il libro — La spirale della violenza —
ha destato pubblicità e la stampa occupandosi del caso e del testo pubblicato,
non solo ha risvegliato l’opinione pubblica al problema, ma al problema della giustizia penale, della detenzione e
delle esecuzioni.
Infatti questo libro « vuol essere
un’inchiesta sintetica sulla realtà della
situazione penitenziaria italiana e sui
legami che la uniscono alle strutture
economiche politiche e sociali del nostro paese ».
L’autore ritiene un diritto non tacere
di fronte alla continua inaudita sofferenza di decine di migliaia di persone,
stare zitti, nella situazione penitenzia
ria del nostro paese, è una viltà morale!
Abbiamo le peggiori carceri di tutti i
paesi civili ed è doveroso per chi può
farlo, tentare di giovare a tanti uomini che soffrono fino a diventare pazzi o
semipazzi nella nostre galere.
L’intero testo è ispirato dalla convinzione che, nella nostra epoca, le attività intellettuali: filosofia, arte, diritto, letteratura, hanno una giustificazione soltanto se impegnate a risolvere i
problemi che travagliano la vita degli
uomini: nessun uomo si può considerare libero se anche tutti gli altri non
lo sono.
* * *
Chi sono i detenuti: sono persone ristrette negli stabilimenti carcerari e
sono suddivisi in gruppi o categorie.
a) Gli imbroglioni, i falsari o truffatori, sono ipocriti privi di impulsi di
generosità, non offrono mai nulla a
coloro con cui convivono e in loro non
c’è carità né misericordia.
b) I feritori, prevalentemente meridionali, sono omicidi a scopo d’onore
e per questioni di principio. In realtà
sono persone oneste, tolta l’assurda mitologia dell’onore in cui credono, non
concepirebbero mai un furto od una
truffa, sono diffidenti, soffrono d’orgoglio, retaggio di secoli di solitudine
e sopraffazione.
c) I casuali capitati per aver ucciso, od investito un passante, per aver
rubato per bravata, insultato un agente, litigato con la moglie, si trovano denunciati, condannati e in galera quasi
senza sapere il perché. Chi potrà uscire
entro breve tempo si salverà, altri diventeranno delinquenti abituali perché
ci penserà il carcere a farli tali.
d) I delinquenti sessuali: fanno vita ritirata perché temono il disprezzo
dei compagni e ciò aumenta la componente negativa della malattia.
e) I reclusi mafiosi sono stracci
vecchi perché nonostante il grande parlare che si è fatto sulla mafia, chi è in
carcere sono le mezze cartucce, i pezzi
grossi sono fuori e ciò non stupisce
perché si sa quali grandi interessi politici vi siano dietro le spalle di questi
ultimi. Costoro in carcere vivono e lasciano vivere, sono generosi, il loro difetto è l’ignoranza che li rende strumenti in mano di chi è abile; in un
dato genere di lavoro, sono risociabili se levati dall’ambiente paesano.
/) I veri delinquenti sono quei criminali che riempiono i giornali con rapine scippi furti e che sin da ragazzi
sono abituati al crimine; la loro scuola
« elementare » è il riformatorio, la media il carcere giudiziario, l’università
la casa penale, la libera docenza la misura di sicurezza. Per loro il furto, la
rapina, il delitto, è un lavoro. Molti di
loro, liberati al mattino, compiono già
ai pomeriggio reati. Il carcere con
tutto quello che comporta, impossibilità di difendersi dalle accuse per mancanza di soldi, disgregazione del nucleo familiare, fame, sporcizia, puni
Rosanna Moroni
(continua a pag. 4)
llllllllllllllllllimillilllllllllllllllMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIMIIIIMIIIIIIl
e
A colloquio con Selma Longo, che da 25 anni si occupa di carcerati
Esser loro fraternainente vicini durante la detenzinne spesso dura,
al mumento delicata dell'uscita, per ii difficile reinserimento sociale
La maggioranza delle unioni femminili conosce il suo lavoro, e non è forse il caso di spiegare quello che fa, ma
ci può precisare come ha iniziato?
Non avevo la minima idea di occuparmi di carcerati. Una volta, nel 1946,
ho ricevuto una lettera da un giovane
che avevo conosciuto ed ho iniziato
con lui una corrispondenza. Poi dall’uno all’altro si sono passati la voce,
e così mi sono ritrovata con tante lettere alle quali rispondere.
Così attualmente è un servizio che la
occupa molto. Ha alcuni collaboratori?
In generale il numero dei carcerati
ai quali rispondere regolarmente si è
sempre aggirato sulla quarantina. Via
via escono dal carcere; alcuni rimangono in corrispondenza, a volte scrivono se hanno bisogno di aiuto, ma anche lo fanno solo per riconoscenza. {Si
sa che la signorina Longo raccoglie doni, manda loro pacchi, libri, se lo desiderano, opuscoli evangelici...) Altre signore si sono incaricate di scrivere regolarmente ad alcuni di loro e di seguirli.
Come reagiscono in generale alla loro condizione? E come reagiscono alla
testimonianza evangelica che Lei porta loro?
Le carceri sono diverse le une dalle
altre. In alcune stanno abbastanza bene; in altre meno: ad esempio, hanno
freddo. E soprattutto in certe carceri
possono lavorare; ma non è dappertutto, sfortunatamente. Fanno dei lavoretti di artigianato, che cercano di
'I
smerciare; altrimenti non hanno soldi
per le loro piccole necessità. Certe volte, avvicinandosi il momento di uscire, possono andare fuori, per dei lavori, e poi rientrare. Ma è una situazione
ancora poco diffusa.
In generale hanno piacere che si
scriva loro. (Ce ne sono che chiamano
la signorina Zia, e le danno del tu). Dal
punto di vista religioso, non tutti sono
interessati. A volte è difficile capire
quello che pensano. Talvolta, quando
escono, trovandosi in difficoltà, vengono da me per chiedere denaro, anche
parecchi con i quali non ho mai corrisposto; certe volte si fanno insistenti;
ma non ho mai avuto minacce. E invece ho avuto tanti segni positivi. Possiamo prendere un esempio recente,
tra tanti altri: uno di loro scrive: « Le
sue parole sono state per me di aiuto
per una più forte fede nel Signore, e
anche nella fraterna opera di bene del
le persone che condividono il dolore
altrui. Anch’io devo pregare il Signore
per l’opera fraterna e umana che Lei
ha avuto verso di me; se oggi sono vivo
è tutto opera sua, non solo mi ha dato
una speranza nella vita, con il suo fraterno aiuto morale e spirituale; mi ha
ridato la vita e la fede. Il mio pensiero
sarà sempre rivolto a Lei e al Signore,
che venga ricompensata per tutto il bene che ha fatto ai suoi simili ».
E dopo, quando escono? Rischiano
di ricadere? Riescono a trovare un
nuovo inserimento nella società?
Alcuni ricadono. Ma bisogna capirne
il perché. Fuori incontrano grandissime difficoltà. Q non trovano lavoro;
perché c’è tanta diffidenza e pregiudizi
da parte di chi li deve impegnare. Oppure, anche da parte delle loro stesse
famiglie, che non li vogliono più. Allora, senza sostegni, se ritrovano antichi compagni, rischiano di essere trascinati. Vogliono cambiare, rifarsi una
vita onesta, ma se la società non ne
dà loro ta possibilità, come possono
fare?
Certe volte, sono anche malfermi di
salute. Se hanno degli appoggi, è più
facile per loro. Ci vorrebbero delle
organizzazioni statali, che funzionassero bene, e li reinserissero nella società.
Recentemente, uno di loro che è rimasto 23 anni in carcere, ha avuto
una licenza premio di un mese; si è
comportato bene e spera di uscire in
libertà provvisoria; avrebbe già un
posto di lavoro assicurato; la persona
che si è fatta garante dice che il tempo che dovrebbe ancora passare nella casa di custodia, più di due anni,
sarebbe un inutile logorio psicologico, e potrebbe darsi che fra 2 anni
non si trovassero più le condizioni
concrete che trova oggi per inserirsi
nella società. Egli scrive: « Se ciò mi
fosse dato, sarà, spero, all’incirca prima di Pasqua, porre fine al calvario
di oltre ventitré anni. Affronterò la
vita libera, con volontà d’onestà lavorativa, bene sapendo che i primi tempi saranno di sacrifici, per reinserirmi dopo tanti anni..., ma saranno sacrifici, che affronterò con consapevole forza d’animo... Speriamo che la veniente Pasqua sia veramente di risurrezione per me... ».
All’estero, come in Germania, è più
facile trovare lavoro. Alcuni datori di
lavoro non chiedono documenti. Ed è
giusto, se vedono che lavorano bene.
È inutile rinvangare il passato, perché allora uno non può mai più rialzarsi. Sarebbe bello se, ad esempio,
dopo 10 anni di vita onesta, la loro
colpa potesse essere cancellata dai
loro documenti. Sernbra che pagando
si possa. Ma chi di loro può pagarselo?
Uno che è uscito, lavora ora in
Germania e ringrazia Tunica persona
che gli ha dimostrato fiducia, offrendosi di procurare del lavoro a qualche ex-carcerato che, come lui, ha voglia di lavorare. In dicembre scriveva; « Prego sempre il Signore che mi
assista e mi dia la costanza di mantenermi sempre onesto, anche perché
voglio dimostrare a Lei, cara sorella,
che tanto ha fatto per me, che la fiducia non Tha riposta male ».
Si vede che il lavoro paziente ed
umile della Signorina Longo ha un
grande valore. Alla domanda: « che
potrebbero fare le unioni femminili », non sa dirci se sia possibile
visitare i carcerati, dato che ci vogliono permessi speciali. Ma chissà se
qualche unione non potrebbe fare un
lavoro simile a questo nei confronti
delle carcerate? Ciascuna unione, dopo eventuali ricerche o inchieste, può
vedere nella propria zona che cosa
può fare per i carcerati.
M.-F. C.
4
pag. 4
N. 18 — 30 aprile 1971
Risultati di una inchiesta problema carcerario in italia
Così 21 Unioni hanno risposto al questionario Attività molteplici, spesso intense, in cui prevalgono lo studio e la diaconia - Incertezze e ricerca, soprattutto per la difficile apertura al mondo
Alla ripresa delle attività, il C. N.
aveva mandato a tutte le unioni femminili un questionario, in modo da stabilire rapporti più stretti fra le unioni
e il comitato stesso, e per facilitare
l’impostazione del lavoro comune. Ci
sono state 21 risposte.
Peccato che molte unioni siano rimaste silenziose, perché il loro contributo
sarebbe certamente stato di arricchimento per tutte.
Alla prima domanda: « Quali argomenti di studio vorreste che fossero
trattati », c'è stata una grande varietà
di richieste, che possiamo raggruppare
in due categorie: la prima, di argomenti biblici e ecclesiastici. Molte
unioni richiedono un ripensamento
della lettura biblica, della preghiera,
e della testimonianza. Una vorrebbe
che fosse trattato il problema della
sofferenza alla luce dell’evangelo. Alcune desiderano chiarimenti su: battesimo, confermazione, matrimonio, e
sulla vita della chiesa in generale;
qualcun’altra insiste sulla ricerca in
campo diaconale. Si desiderano notizie
del mondo femminile protestante. Infine Verona chiede: « Vorremmo sapere come si comportano le altre unioni
femminili che, come la nostra, hanno
abolito il bazar, al fine di raccogliere
fondi necessari per le opere assistenziali ». (Chi può rispondere?)
La seconda categoria è costituita dai
problemi di attualità e sociali, senza
però una vera precisazione, al di fuori
di quello che concerne l’educazione:
molte unioni difatti, vogliono informazioni sulla pedagogia, i rapporti con
gli adolescenti, l’educazione religiosa.
Ad esempio, 'Trieste scrive: « Perché
non prendere in considerazione il problema dell’educazione religiosa: a quale età incominciare? è bene o no, influenzare il bimbo parlandogli di Dio?
QuaTè, in generale, l’atteggiamento degli adolescenti su questo problema?
Risultati di un’eventuale inchiesta ».
Due unioni propongono d’interessarci
a problemi letterari, anche con presentazione di libri.
L’altra domanda complementare diceva: « quali argomenti di studio avete approfondito di più? ». Anche lì c’è
stata una vasta gamma di risposte:
fra gli argomenti religiosi, sono stati
studiati: Geremia, Matteo, le donne
nella Bibbia. Poi il problema della tradizione (17 febbraio), la prima comunità con P. Valdo, gli elementi della
Riforma; la confermazione, l’istruzione
religiosa. Il tema della comunità, e
quello della famiglia, sono stati studiati da un’unione insieme a tutta la
comunità.
Gli argomenti di attualità sono stati: denaro e benessere, matrimonio, divorzio, guerra, non violenza.
Altre unioni si sono interessate più
da vicino a problemi diaconali: assistenza sociale, vita negli istituti. Centro Diaconale.
Alla domanda: « Quali rapporti avete con la comunità? » risulta che molte unioni hanno fra le loro file qualcuno che è membro del concistoro o impegnato in altre attività. L’unione di
Milano partecipa alle assemblee di
chiesa come gruppo. Da Palermo scrivono di essere in una situazione speciale, senza unione femminile, per ravvivare il senso di comunità, senza le
divisioni « tradizionali tra giovani e
anziani, donne e uomini ».
« Quali attività concrete di diaconia
svolgete dentro la comunità? »
Quasi tutte le unioni fanno « dell’assistenza », ma dicono: quasi unicamente sul piano individuale (visite negli
ospedali, agli infermi a casa, a isolati...). L’unione di San Germano ha un
aspetto più organico; scrive: « abbiamo formato vari gruppi di lavoro, nell’unione: un gruppo direttivo, un gruppo responsabile per la scuola materna,
un gruppo per i lavori, un gruppo per
la diaconia, assistenza anziani, persone sole, ammalati, casa di riposo..., un
gruppo assistenza e visita ai neonati e
giovani mamme, un gruppo a cui è affidata la preparazione e rimessa a posto delle cose della Santa Cena ».
Altre unioni organizzano incontri comunitari, agapi.
Un’esperienza interessante è quella
dell’unione di Roma: ha la possibilità
di seguire alla facoltà di teologia un
corso per visitatrici. Chissà se non potrebbe far parte delle sue esperienze
agli altri, ad esempio in una prossima
pagina femminile dclTEco-Luce, o anche preparare delle dispense ciclostilate?
«Quali attività di diaconia, testimonianza..., svolgete fuori della comunità? ».
In questo campo ci sono poche risposte, c pochissime attività. Le unioni che hanno degli istituti evangelici
vicini, vi collaborano certe volte. Ma
possiamo veramente considerare gli
istituti « fuori » della comunità? Rimane che le unioni mandano doni — a
volte offerte volontarie regolari — a
missioni, carcerati, centri di solidarietà, lebbrosi, emigrazione, vari istituti...
Alcune cercano di fare incontri con
altre comunità c gruppi femminili.
Una tenta incontri con dei cattolici,
ma trova la cosa diffìcile. Varie unioni dicono di essere in una situazione
di ricerca in questo campo. Ricordiamo che siamo chiamate ad andare
« nel mondo », ed in quanto gruppo è
certamente più facile.
« Quali progetti avete per l’avvenire? ».
Alcune unioni dicono che desiderano
sussistere, o progredire. Altre sono in
ricerca di nuove vie. Diverse vorrebbero poter aumentare gli incontri con altre unioni, e la collaborazione con altri, in primo luogo con tutta la comunità. San Germano precisa che vorrebbe fare dei gruppi del Vangelo secondo i « Pensieri » di Carlo Lupo, e sperano di poter fare dei libri illustrati
per bimbi subnormali, secondo un suggerimento che viene da Parigi. Infine
molte unioni hanno in progetto di operare nel campo della diaconia, senza
precisazione, o di collaborare in quanto gruppo negli istituti.
San Germano scrive ancora: « Con
la parte più giovane (sorelle dai 25-3035 anni) vi è più facilità nel proporre
forme di lavoro a gruppi. E però più
facile portare le sorelle sul piano del
lavoro pratico che inserirle nel piano
rneditativo... Sembra vinta la difficoltà
di una preghiera ad alta voce insieme... Pensiamo che occorra intensificare il dialogo... e immettere le sorelle
nelle responsabilità ».
* * *
Da tutto ciò possiamo dire che, in
primo luogo, le unioni danno sempre
più importanza alla parte studi: da un
Iato sono preoccupate seriamente di
autenticità biblica, e dall’altra desiderano approfondire i problemi attuali
più vivi del nostro mondo contemporaneo.
In secondo luogo, si sente che molte
unioni sono in ricerca, non soddisfatte pienamente di quello che fanno.
Vorrebbero impegnarsi al di fuori del
loro ambiente. Chiedono al C. N. suggerimenti per nuove vie; si chiedono
anche qual’è la ragione di esistere delle unioni femminili. Crediamo che tocca ad ogni unione di trovare quale può
essere la sua vocazione particolare, e
crediamo anche che nello scambio di
idee e di esperienze tra le varie unioni,
la si può trovare più facilmente. Difatti quasi tutte vogliono aver notizie
delle altre unioni.
Perciò, lanciamo a tutte un appello,
perché s’impegnino a mandare almeno
una volta all’anno, ad esempio alla fine
dell’anno ecclesiastico, loro notizie, oppure una relazione di quanto hanno
fatto durante l’anno o di quello che ritengono più interessante e più utile
da fare conoscere alle altre.
Infine molte unioni vorrebbero impegnarsi nel campo della diaconia. Basta lanciarsi in gruppo! I campi di
azioni al di fuori non mancano, soprattutto in Italia: emigrazione, bidonvilles, carcerati ecc... Spesso basta ricercare intorno a sé, a volte indovinare,
e andare nel mondo, unico posto dove
siamo chiamati, verso chi ha bisogno
più urgentemente di un aiuto materiale, di una parola di conforto, o dell’annuncio dell’amore e del Regno di Dio.
Marie-France Coì'sson
Inchiesta sulle carceri
(segue da pag. 3)
ti al lavoro ai ferri per confezionare
calze di lana! Non è nemmeno la produzione che conta, ma è la coazione, la
mancanza di motivazione e di gratificazione, il carattere puramente punitivo: col che si giustifica anche l’arcaicità degli strumenti e l’irrisorietà della
mercede. Resta il fatto che l’appalto
della manodopera carceraria, che è un
abuso anche sul piano legale, frutta
solo allo stato un miliardo e 400 milioni all’anno.
Un’altra infamia del regolamento
carcerario è l’articolo che obbliga i detenuti, non appartenenti ad altra confessione religiosa, a seguire le pratiche
del culto cattolico. Anche se nella generalità dei casi questa coercizione
non viene più esercitata, la frequenza
o meno alle pratiche religiose è adoperata come criterio discriminatorio
per concedere privilegi e giudicare la
condotta, e diventa così fonte di pressione morale e di violenza sul detenuto, con la complice solidarietà del cappellano e del direttore. « Chi va a messa è buono, dimostra di essere rieducato e quindi è degno di premio; chi
non ci va è un incorreggibile da punire alla prima occasione ». Nel regolamento carcerario alle mansioni del
cappellano sono dedicati ben 23 arti
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiMimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Notizie dalle Ueioni
DA TORRE PELLICE...
...la Società di cucito continua con
assiduità il suo lavoro di rammendo
e stiro all’Ospedale Valdese di Torre
Penice: ogni settimana a turno un
gruppo si alterna in questo aiuto che
è molto apprezzato...
...l’Unione femminile si è fatta promotrice con la locale U.C.D.G. di una
conferenza sul tema « Chiesa cattolica e Consiglio ecumenico » alla quale
hanno partecipato un pastore e un
laico valdese e un sacerdote e un
laico cattolico; l’iniziativa ha avuto
successo...
...esiste a Torre, da pochi anni, un
gruppetto femminile di una diecina
di giovani, la Lcghina, che si è specializzato in lavoretti artistici di pittura
e decorazione. Tra altro, ogni anno
per Natale dipingono cartoline per i
carcerati, e le trasmettono alla sig.na
Selma Longo. Hanno anche eseguito
un flanellografo sulla puericultura per
le missioni nel Gabon, e ne hanno un
altro in preparazione per la missionaria Anita Gay.
IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIIIIIIIII
Domenica 25 aprile si sono tenuti in varie località convegni regionali
organizzati dalla F.F.V., ove possibile insieme alle unioni femminili battiste e metodiste. Riferiremo quanto
prima su questi incontri.
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiimiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiimiiiiimiiiiiiiiiimii
Mini - intervista aiie tre linrsiste
Quest’anno le tre borsiste — Eldina
Long di Pradeltorno, Marina BaroUn e
Silvia Geymet di Villar Pellice — finiscono i loro studi d’insegnante di scuola materna. Hanno accettato di rispondere ad alcune domande, per dare loro notizie alle unioni femminili, e
l’hanno fatto con molta sincerità.
Avete incontrato difficoltà in questi
tre anni, per gli studi, la scuola che
avete frequentata, la sistemazione a
Torino ecc.?
« Con l’aiuto dell’Assistente sociale,
non abbiamo avuto difficoltà per la sistemazione al Foyer U.C.D.G. di Torino. Da sola nessuna di noi tre se la sarebbe cavata. A scuola ci siamo ambientate subito. Per gli studi, collaborando fra di noi che alloggiamo in
una camera in comune, ci siamo aiutale scambievolmente ».
Conoscete l’impegno che vi è stato
richiesto dalla F.F.V., di lavorare per
un certo periodo in un asilo evangelico, con le conseguenze che ne derivano. Trovate che .sia giusto?
Due non erano al corrente, perché
aiutate dalla F.F.V. in un secondo tempo, e trovano che non è giusto.
Eldina precisa; «Conoscevo l’impegno, ho dovuto accettarlo per forza
maggiore. Diversamente non avrei potuto continuare gli studi. Non trovo
giusto imporre questa condizione. Se
uno ha il desiderio d’impegnarsi lo fa
senza esserci costretto ».
(Difatti tutte e tre desiderano lavorare in un asilo evangelico delle Valli
a Villar Pellice, Torre, o S. Giovanni).
Vedete un legame tra il lavoro e la
fede? Non temete le difficoltà che ne
possono derivare?
Silvia: « il legame esiste, ma per me
è difficile da applicare ».
Marina: « vedo dei legami e spero
di non avere difficoltà ».
Eldina: « il legame esiste, e io lo
sento fortemente. Temo solo le difficoltà se dovessi insegnare in asili cattolici ».
* * *
Dopo una visita di Mariuccia Barbiani, che ha accettato l’incarico di seguire le borsiste, scrivono: « Siamo
molto soddisfatte di avere avuto con
noi oggi un membro del C.N., la signora Barbiani. Abbiamo parlato seriamente dei nostri problemi e compilato con lei il questionario. È stato positivo da parte nostra sapere che qualcuno si interessa di noi. Abbiamo risposto sinceramente alle domande, anche se queste ci hanno posto dei ripensamenti. Siamo molto grate al C.N. per
avere ancora quest’anno usufruito delle borse di studio. I nostri voti sono
stati buoni, tutte abbiamo la media
del 7... ».
Borse di studio
Per Tanno prossimo, il C. N.
accetta candidature per altre
eventuali borse di studio. Siccome le insegnanti di scuole materne sono sempre più numerose in
Italia, ci orientiamo piuttosto
verso un aiuto da dare a una ragazza che vorrebbe fare studi di
assistente sociale o di assistente
di chiesa. Se conoscete delle ragazze interessate, fatecelo sapere.
Raccomandiamo alle unioni
femminili di contribuire con le
loro offerte per questo scopo.
Ricordiamo il C.C.P. della cassiera: 3/54530 intestato a: Moroni Rosanna - Via Castelfidardo 6
- 20121 Milano.
coli, che dimostrano come nelle sue
mani si concentri un vero eccesso di
poteri, purché egli si presti e concorra
a istituzionalizzare l’ipocrisia.
Quanto alla terza via di rieducazione del detenuto, l’istruzione, appare
subito evidente la sua assoluta inefficienza: anzitutto mancano corsi di
qualificazione tecnica, sono scarsi quelli di istruzione media; vi è insufficienza di personale e di mezzi; ma soprattutto, la scelta dei canali di istruzione
per quel che riguarda l’impostazione e
i contenuti, è affidata al direttore o al
cappellano, e appare volta a soffocare
ogni autentica curiosità intellettuale.
Gli spettacoli televisivi ammessi sono
del tipo TV dei ragazzi e varietà, le
riviste sono « Oggi » e « Gente »
(« tempo» e giudicata troppo ardita).
Alle detenute di Perugia è stato vietato di trattare argomenti come la maternità e la contracezione, giudicati
mutili data la lunghezza della pena da
scontale... È chiaro che al detenuto deve essere ammannita una pseudo-cultura, una forma di cultura devitalizzata,
ciddofTiesticciia fino tiH ^insulsaggine,
priva di interesse e di mordente, atta'
a fargli accettare la sua posizione di
oggetto.
L’Autore passa ancora in rassegna
alcuni aspetti significativi, come il miraggio della grazia, altra forma di ricatto e di inganno; la vita degli ergastolani, nelle sue due varianti: rassegnazione spersonalizzata nella maggioranza dei casi, e protesta di innocenza
in una minoranza; la misura di siculezza, altra conferma del carattere repressivo del nostro sistema penale e
carcerario; e riporta altre numerose e
significative interviste.
* * *
In una sezione conclusiva, infine,
traccia le « prospettive di riforma »,
che tuttavia appaiono, oltre che lontane, così scialbe da non far sperare in
alcun cambiamento veramente sostanziale, corne invece se ne sono avuti in
altri paesi (vedi ad esempio l’esperienza estremamente positiva del « probation » che in Italia è stato giudicato,
secondo le parole stesse di un consigliere facente parte del Ministero di
grazia e giustizia, « con indifferenza ed
estraneità »). Oramai tutte le nazioni
civili hanno accettato di considerare i!
reato, non più staccandolo dalla personalità di chi Tha commesso, come
una manifestazione di disattamento;
il delinquente non è tale per nascita
ina per motivi psicosociali che sfociano in una incapacità di adattarsi agli
schemi e valori della società di cui fa
parte. Di qui la necessità di indagare
sulla personalità del colpevole per individuare le carenze e i disturbi che
hanno influito sulla sua maturazione
sociale e adottare le terapie opportune a superarli e risolverli. Allora il
concetto di pena deve lasciar posto a
quello di terapia, e la sua durata deve
esser commisurata alla durata della
malattia, cioè del processo di riadattamento dell’individuo.
Come si vede, sono posizioni che non
hanno nulla di « eversivo », com’è dimostrato anche dall’assetto politico
delle nazioni che le hanno accolte; riflettono solo un generico umanitarismo, un rispetto e una fiducia nella
personalità umana. Ma in Italia si preferisce adottare Tatteggiamento immaturo di « indifferenza ed estraneità », c
usare la definizione grottesca di « missione » per designare il lavoro dell’aguzzino; mentre le guardie carcerarie cantano nel loro incredibile inno:
« Dell’umana redenzione
siamo artefici silenti;
alle vittime dolenti
noi doniamo il nostro cuor! »
R. G.
La spirale della violenza
/segue da pag. 3)
zioni, crisi isteriche, atti ripetuti di autolesione, risse, li avvelena a tal punto
che il reato diventa non solo Tunica
forma di sussistenza, ma anche l’unico
mezzo di vendicarsi della società che,
con il suo apparato repressivo, li tortura fino al crollo fisico e psichico.
Di tutti questi detenuti ben pochi sono irricuperabili ma costoro, dal carcere, anziché la rieducazione ricavano
una accentuazione delle loro caratteristiche di delinquenti e questa è la grave tragedia sociale del nostro paese.
* * *
Parliamo ora degli agenti di custodia;
chi frequenta i penitenziari, magistrati,
avvocati, dirigenti, non può fare a meno di accorgersi dello stato di tensione
esistente fra i reclusi e il personale di
custodia.
Guardie e carcerati sono perennemente l’uno contro l’altro e sono entrambi convinti di essere nel giusto e
non crediamo che l’urto fra i detenuti
e gli agenti che li sorvegliano possa
cessare del tutto, riducendo i motivi di
frizione.
Gli uomini addetti alla custodia sono
costretti a divenire secondini o aguzzini e patiscono le conseguenze dell’odio .sociale; la punizione anziché purificare contamina!
Per il detenuto, l’agente di custodia
non è solo colui che lo chiude in cella
e si oppone alla sua libertà, ma soprattutto è lo sbirro!
Un noto settimanale, in un servizio
sulle carceri, sottolineò che da dati elaborati nell’Istituto Nazionale Osservazioni di Roma Rebibbia il Q. 1. medio
degli agenti era inferiore a quello dei
detenuti perché il reclutamento avvie
ne tra gli strati culturalmente più depressi della_ popolazione nazionale; infatti il servizio del carceriere non piace perché è pesante, insidioso, povero
di soddisfazioni e mal retribuito, è la
gente assunta dallo Stato non ha alcuna vocazione per il difficile mestiere
che dovrà esercitare.
^ Se fra le due categorie, il Q. I. dell’agente di custodia è inferiore alla media nazionale, possiamo capire quali
possono essere i rapporti, quale comprensione dei bisogni reciproci! Naturalmente le possibilità di cominciare
sono nulle e l’ostilità li divide, ogni
conversazione potrà facilmente degenerare in diverbio, ogni richiesta in
conflitto, ogni contatto in scontro.
Il direttore è il personaggio più importante degli istituti carcerari: dalle
sue doti di capacità, carattere, cultura
ed umanità, dipende il corretto funzionamento della prigione, egli però è
solo ed il suo bagaglio tecnico non è
alla pari con i compiti che gli spettano! Provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’edificio,
controllare l’operato degli agenti, vigilare e rieducare i condannati affidati
alle sue carceri. Gli stessi direttori si
lamentano di questo stato di cose e
hanno dichiarato alla stampa che tutto
ciò impedisce loro di dedicarsi a quello che dovrebbe essere il loro vero lavoro: disciplinare l’attività di tutti i
detenuti, conoscerli singolarmente onde poter adottare, per ciascuno, le misure più adatte per la loro risocializzazione.
Al cappellano è affidata la censura
della corrispondenza e dei libri e riviste che entrano nello stabilimento; alcuni svolgono un’opera meritoria a vantaggio dei detenuti, altri si limitano a
fare quanto è di pertinenza.
Gli assistenti sociali e gli educatori
sono figure presenti solo in alcuni istituti e, se ci sono, la loro attività è sperimentale!
* * *
Gli edifici sono in uno stato di decrepitezza: ex conventi, castelli, vecchi edifici; i nuovi sono costruiti con
le stesse caratteristiche dei vecchi; si
hanno così carceri cubicolari con celle
di 3x4 dove vivono tre persone, carceri a cameroni, cameroncini, con impianti igienici detti buglioli, pavimenti
di mattonelle o di terracotta o di cemento, finestre a bocca di lupo e cortili (dove i detenuti trascorrono 2 o 3
ore di aria) piccoli e contornati di mura: celle a cielo scoperto! Gli edifici in
Italia sono più di mille: sono delle gabbie dove i reclusi sono sottoposti ad
un regime di vita disumano e sono
sfruttati nel lavoro perché questo fa
comodo agli interessi finanziari della
borghesia.
L’artìcolo 27 della Cobiliurfon^ otubilisce che « le pene debbono tendere
alla rieducazione del condannato » ma i
governi borghesi del dopoguerra, rinsaldati in sella, hanno fatto orecchie da
mercante ai precetti costituzionali e,
dal 1956 in poi, i vari governi non sono
riusciti a varare un piano organico di
base per realizzare una riforma penitenziaria.
Le malattie che più frequentemente
colpiscono i detenuti sono: insonnie,
esaurimento nervoso, crisi di nervi,
neurosi cardiache, mal di testa, bronchiti, malattie polmonari (tbc, pleuriti),
asma, ulcere, coliti, enteriti, disturbi
visivi, mentali, e sono quasi tutte di
origine psicosomatica.
Il vitto è fornito da un privato che
ha vinto l’appalto bandito dallo Stato,
che gli passa 400 lire per ogni detenuto.
I cucinieri sono detenuti che non sanno niente di arte culinaria, cuociono
la roba come possono e la spediscono
per la distribuzione al più presto, e
così alla cella giunge una gavetta di
pasta o minestrone appena commestibile e nient’altro.
Il salario giornaliero corrisposto per
il lavoro dei detenuti si aggira dalle
350 alle 650 lire, di cui all’ergastolano
vanno dai 6 ai 9 decimi, meno L. 35 per
l’assicurazione, per 26 giorni al mese.
In una comunità la pulizia dovrebbe
essere rigorosamente curata, ma il detenuto non ha né acqua né sapone, l’acqua è portata tre volte al giorno in secchi unti, e solo lavarsi i denti è un’impresa; si fa la doccia ogni 15 giorni:
chi è condannato alla galera è condannato anche al sudiciume!
• * * *
11 carcere italiano così come è è un
nonsenso, uno stabilimento di pena; è
abitato da uomini come tutti gli altri,
che per vivere hanno bisogno di soddisfare gli stessi bisogni primari di
chiunque. Negando al detenuto la sua
natura umana, lo si costringe a vegetare per sopravvivere; come potrebbe
costui, nelle condizioni in cui vive,
sentire rimorso per ciò che ha fatto, se
la sua prima preoccupazione è quella
di salvare la pellel
Lesinandogli il cibo, l’acqua, l’aria, lo
si porta alla disperazione ed anche alla
ribellione.
Per concludere, i detenuti che hanno
espiato ininterrottamente oltre 12-20
anni di carcere, qualunque reato abbiano commesso, sono quasi sempre
uomini finiti e potrebbero essere rimessi in libertà senza alcun pericolo: sono
infatti « morti ». Venti anni di galera
nei nostri penitenziari significano distruggere un uomo senza ucciderlo: lo
scopo è raggiunto, e di norma la li;
bertà arriva troppo tardi: i detenuti
muoiono nelle carceri o ne escono per
finire all’ospizio.
R. M.
5
30 aprile 1971 — N. 18
pag. 5
Vita, problemi, prospettive delle chiese valdesi
La Corale di Luserna San Giovanni Feste di CantO
ospite della comunità
metodista di Bologna
— 1 Culti della Settimana Santa sono stati
frequentati in modo veramente rallegrante e
tutta la comunità si è raccolta neH’adorazione
■del mistero delTamore redentore di Dio.
La Domenica delle Palme, durante il Culto, abbiamo avuto la gioia di accogliere quali
nuovi membri di Chiesa i seguenti giovani
che hanno confermato il voto del loro battesimo ed hanno promesso di servire il Signore
sulla via della fede e del servizio : Bastia Bruno, Besson Giovanni. Besson Luigi, Durand
Roberto. Gaydou Tullio, Goss Ivo. Jallà Enzo,
Paschetto Flavio. Pons Renato. Ricca Walter.
Sogni Eugenio, Bellion Nella. Besson Ada.
Bonjour Daniela, Cavaliere Mara, Depetris
Silvia, Gaydou Ivana. Gaydou Wanda, Granero Marinella, Galla Fiammetta, Legger
Adriana, Melli Gabriella. Mourglia Bruna,
Pellegrin Graziella, Pellegrin Luciana, Rivoira
Nadia. Rostagno Edda.
Il Signore aiuti questi giovani a non dimenticare mai la promessa solenne ed impegnativa che hanno fatto e li accompagni nella
loro vita cristiana al servizio della Chiesa e
dei fratelli.
La Corale ha dato il suo valido contributo
partecipando ai Culti della Settimana Santa
con il solito impegno e con Lesecuzione di
ottimi cori di circostanza.
Un particolare ringraziamento ai valenti coralisti delLEssen che, in occasione della Confermazione dei Catecumeni, hanno cantato un
inno a più voci che è stato molto apprezzato.
— La visita a comunità evangeliche fuori
delle Valli, programmata fra le varie attività
della nostra Corale, si è concretizzata nei giorni di sabato 18 e domenica 19 aprile a Bologna con un incontro con i fratelli metodisti.
11 prof. F. Rivoir. organizzatore della gita,
ha diretto con vera maestria il Concerto per
coro ed organo tenuto il sabato sera nel Tempio di Via Venezian alla presenza di un pubblico numeroso e competente.
I lunghi applausi e le parole di compiacimento espresse da un membro del Consiglio di
Chiesa e dal Pastore Benecchi hanno detto
ai nostri bravi coralisti l’apprezzamento sincero dei fratelli bolognesi.
Sono stati due giorni di vera comunione
fraterna durante i quali abbiamo tutti avuto
modo di constatare che i vincoli tra valdesi e
metodisti non esistono solo sulla carta, ma
sono una realtà viva e benefica.
Ringraziamo di cuore i fratelli metodisti
per rottima accoglienza e per lo spiccato sensj di ospitalità che li ha portati a mettere a
nostra completa disposizione non solo i locali
della Chiesa e diverse abitazioni di privati coi
quali abbiamo potuto intrattenerci in fraterna
conversazione, ma anche ad offrirci una abbondante cena con le immancabili lasagne al
forno.
È stato un incontro positivo che contribuirà
certamente a mantenere ed a rafforzare i vincoli di amicizia tra le due comunità evangeliche.
L’invito a restituirci la visita a San Giovanni è stato da loro accettato e noi li aspettiamo con gioia per restituire l’accoglienza che
ci hanno fatto in maniera così accurata e
cordiale. d. g.
I lettori ci scrivono
Precisazioni
Un lettore, da Taranto:
Signor direttore.
Ho letto nel n. 14 del 2 aprile 1971
Larticolo di Inda Ade. Presenza luterana
nella Penisola e ho da fare due precisazioni sulle seguenti notizie riportate in
detto articolo :
1) (( Nella dottrina di Lutero il punto
rivoluzionario è quello del libero esame :
ogni credente, e non solo il clero, può in
ici pi-clare i lesti sacri ».
Se Lutero ammise il libero esame è
perché sganciò, per così dire, l’interpretazìone della Bibbia da un magistero che si
ritiene ancora oggi infallibile e perciò ammise nei confronti della Chiesa Cattolica
che i testi sacri si potevano ben interpretare all’infuori di essa. Però rimane il fatto che la Bibbia non può essere interpretata con la formula : a Secondo me la
Bibbia dice così » altrimenti « ogni credente » si arrogherà il diritto di fondare
una nuova chiesa e da qui il sorgere di
numerose « sette e falsi dottori che prendono tutti il Santo nome per coprire e difendere le loro diaboliche dottrine » e « soffocare il nostro Evangelo e la nostra pura
dottrina » (Luterò, dal « Grande Catechismo » cap. 3 : Il Padre Nostro 1“ domanda). Invece cc ogni credente » deve esser come i discepoli di Berea i quali esaminavano le Scritture « per vedere se le
cose stavano così » (Atti 17: 11) e tale
atteggiamento dovette usare Lutero nei
confronti del Cattolicesimo quando esaminò la Bibbia « per vedere se le cose stavano così ».
2) « I sacramenti sono da Lutero portati a tre ».
Chi ha letto, come me. il Piccolo e
il Grande Catechismo di Lutero sa che sono costituiti da cinque punti: 1) I Dieci
Comandamenti: 2) Il Simbolo degli Apostoli: 3) Il Padre Nostro; 4) Il Battesimo;
5) Il Sacramento dell’Altare (La Santa Cena). Questi cinque punti Lutero li ha considerati elementi essenziali del Catechismo
e se a questi cinque punti aggiunse la Confessione è perché egli stimò la seconda
parte della confessione privata : l’assoluzione. un'opera di Dio, che consola il credente e non reputò necessaria la prima parte: la enumerazione dei peccati, che considerò un'opera umana ed un supplizio infernale. Secondo Lutero la Confessione
non è stato, in seno al Cattolicesimo, un
punto di dottrina dello stesso valore degli
altri cinque. Perciò i sacramenti, « .senza
i quali un cristiano non può essere tale »,
sono per Lutero due: il Battesimo e la
Santa Cena.
Grazie e fraterni saluti in Cristo. Suo
Trento Ferretti
La ringraziamo per le Sue precisazioni,
opportune perché permettono di chiarire
meglio alcune cose.
1) Libero esame. L'espressione era effettivamente poco adatta: non si trova sotto la penna di Lutero, ed esprime piuttosto una posizione contro la quale Lutero,
come poi gli altri Riformatori hanno combattuto. nelle sue due versioni, quella razionalista degli umanisti e quella spiritualista degli ‘‘illuminati^*: gli uni e gli altri
sottolineavano le funzioni dell'uomo e, deliberatamente o inconsciamente, la sua centralità, mentre, per i Riformatori la libertà
che contava era quella di Dio. di Cristo,
della sua parola, per la quale i “pensieri”
e le “ispirazioni” degli uomini autonomi
costituivano una minaccia. Nella sua forma storica classica il libero esame non costituisce dunque una posizione protestante.
ma anzi anti-protestante. V. Subilia ha dedicato su « Protestantesimo » (3/1955,
p. 97 ss.) un lucido articolo a chiarire la
questione e a vanificare l’accusa che da
parte cattolica ci viene spesso rivolta ingiustamente (almeno per quanto riguarda
i principi dottrinali); egli cita ad es. questo sintetico giudizio di 0. Weber: « La
lotta dei Riformatori contro la Chiesa romana e contro gli illuminati si rivolge
sui due fronti contro l’autocrazia », cioè
contro l'uomo — istituzione ecclesiastica
0 individuo “ispirato” — che decide, che
fa dei suoi pensieri la norma, che è rutonomo, di fronte alla Scrittura ridotta a oggetto. Detto questo — e no?i era inutile
chiarirlo — bisogna però dire altrettanto
chiaramente che la frase della nostra collaboratrice intendeva semplicemente riecheggiare la parola di Lutero alla Dieta
di Worms, da noi citata nel n. scorso: « Se
non sarò convinto mediante la testimonianza della Scrittura e chiare ragioni —
poiché non credo né al papa né ai concìli
da soli, poiché è evidente che hanno errato e sì contraddicono — io sono vinto
nella mia coscienza e prigioniero della parola di Dio. Perciò non posso né voglio ritirarmi, poiché non è sicuro né salutare
fare alcunché contro la coscienza ». E G.
Miegge commentava (anche questa, una
citazione da noi pubblicata nel n. scorso):
« ...la coscienza che, forte della propria
convinzione, osa anche andare contro l’autorità e la tradizione. Lutero non intendeva opporre orgogliosamente la sua opinione
personale alla dottrina della Chiesa : egli
sapeva di poter sbagliare, come tutti gli uomini. Ma era anche sicuro di aver raggiunto le sue posizioni per mezzo dello studio
assiduo e appassionato della Bibbia, che era
per lui la suprema autorità spirituale; e si
sentiva legato da quella autorità nella sua
coscienza, finché fosse persuaso del contrario »; e ancora: « La forza, la dignità
del protestante è nella importanza di una
coscienza seriamente educata dalla Bibbia;
e diciamo pure : educata con l’aiuto degli
insegnamenti, dell'esempio di altre coscienze cristiane, nella comunione della Chiesa » del presente e del passato. Questo e
non altro si voleva dire.
2) 1 sacramenti secondo Lutero. Il
pensiero del Riformatore ha conosciuto
un'evoluzione e indubbiamente oggi le
Chiese luterane hanno due soli sacramenti,
come quelle riformate (e pare si proceda,
fra loro, verso la piena intercomunione).
Tuttavia nello scritto Sulla cattività babilonese della Chiesa /uno dei tre grandi
scritti riformatori del 1520, anno decisivo)
Lutero parla ancora della penitenza come
di un sacramento, dedicandovi un paragrafo; mentre agli altri sacramenti romani
(matrimonio, ordinazione, ecc.) egli contesta violentemente il carattere sacramentale, riguardo alla penitenza si limita a
combattere la distorsione ecclesiastico-giuridica dell'annuncio liberatore delTEvangelo del perdono. G. Miegge (in: HeussiMiegge. Sommario di storia del cristianesimo,C/audiaua. Torino I960, p. 163) scrive al riguardo: « La penitenza (cioè la
confessione e l'assoluzione, che Lutero
considera ancora come un sacramento) è
data per la consolazione delle anime turbate, e non per esercitare il dominio sulla
coscienza», cioè nel “sacramento” (parola
ambigua e non biblica della quale dovremo liberarci) sottolinea l annuncio del
1 Evangelo. Più problematico V. Vinay. La
Riforma protestante. 1970. p. 63: « Lutero
lasciava sussistere soltanto due sacramenti. cioè il battesimo e la santa cena, con
qualche incertezza riguardo alla penitenza ».
Forse queste precisazioni sono state utili
a tutti: grazie, dunque, fraternamente
Gino Conte
Domenica 9 maggio, ore 15; nel Tempio di Villar Perosa.
Domenica 16 maggio, ore 15: nel Tempio di Bobbio Pellica.
Prova degli inni d’insieme: ore 14,15
nei locali che saranno tempestivamente
indicati dai Pastori delle Comunità
ospitanti.
Il pubblico è cordialmente invitato.
La Commissione del Canto Sacro
“Primavera 1971,,
Una bella assemblea canora di bambini delle scuole domenicali evangeliche di Torino e dintorni si è riunita nella chiesa battista di Lucento
Pinerolo
Domenica 4 apriie, alle ore 21, ha avuto
luogo nel tempio il concerto della Corale della Chiesa della Risurrezione di Essen (Germania). Un buon numero di fratelli ed amici ha
accolto con gioia questi nostri giovani fratelli
in fede ed ha apprezzato il repertorio di canti
e inni eseguiti con bravura e diretti dalla Signora Ursula von den Busch. A tutti i coralisli ed alla loro direttrice il nostro ringraziamento di cuore per il messaggio che hanno voluto portarci.
Ai culti della Domenica delle Palme e di
Pasqua vi è stata una larga partecipazione di
fratelli; il culto liturgico serale del giovedì è
stato presieduto dagli anziani Fornerone e Rivoìra.
Una breve assemblea di chiesa tenutasi il
18 corr. ha nominato quali revisori dei conti
i fratelli: Giancarlo Griot, Elio Grill, Carlo
Giai.
11 gruppo dei catecumeni del IV anno, accompagnato dal pastore Giorgio Tourn, ha
trascorso una giornata di riflessione in vista
della confermazione, ad Angrogna Serre. Ha
partecipato al cullo e all’assemblea della comunità locale ed ha brevemente visitato i
luoghi storici.
Si ricorda a tutti i membri della comunità
che la chiusura del nostro anno finanziario è
fissata per il 30 aprile. Per quella data dovrebbero essere versate tutte le contribuzioni
annue.
Si prega di restituire il foglio di impegno
per l’anno 1971-72, che inizia a maggio.
Matrimoni : Gallian Albino-Miegge Rosanna.
Funerali : Rogebreg Harriette in Nordstrom,
Long Elisa.
La Chiesa battista di via Viterbo 119 ha
ospitato domenica 25 aprile alcune scuole domenicali di Torino e della sua cintura per lo
svolgimento dell’annuale festa di canto interdenominazionale. Il numero dei partecipanti è
risultato anche quest’anno abbastanza elevato,
nonostante i rappresentanti delle scuole domenicale presenti abbiano lamentato la mancanza di alcuni ragazzi per motivi di salute:
un po’ per questo, un po’ per altri motivi non
hanno potuto partecipare alla festa in forma
ufficiale le scuole domenicali di via Rosta,
via Virle, via Susa, via Nomaglio e via Caluso.
La formula organizzativa della manifestazione è stata identica a quella degli anni scorsi : esecuzione degli inni presentati dalle singole scuole domenicali inframezzati, a mo’ di
diversivo, da tre canti di insieme. Sono invece
state presenti le scuole domenicali di Rivoli,
di corso Oddone, di Lucento, di Venaria, e
Pianezza riunite in un unico coro, di corso
Vittorio, del Lingotto e di Regina Margherita.
La festa vera e propria si è svolta nel Tempio, ma le prove, dirette dalla signora Sara
Giolitto Gottardi. che ne hanno preceduto
di mezz’ora l’inizio, hanno avuto luogo in un
locale attiguo. Il pastore Mollica, della chiesa
ospitante, ha formulato a tutti i presenti il
benvenuto suo e della comunità che rappresenta e, invocata la presenza di Dìo, ha ricordato la necessità di una completa consacrazione a Lui : questo tema è poi stato ripreso più tardi da un inno d’insieme cc Prendi o
Dio la vita mia ». Sauro Gottardi, ideatore e
organizzatore della manifestazione, giunta quest’anno alla sua sesta edizione consecutiva, ha
ringraziato Dio per aver ancora una volta permesso la realizzazione di questo incontro ed ha
illustrato i due scopi principali che le scuole
domenicali si prefiggono con la festa di canto :
innanzitutto lodare Dio, secondo quanto scritto
nel Salmo 100, ed in secondo luogo offrire ai
bambini Lopportunità che raramente hanno di
potersi riunire con dei coetanei di altre deno
lllllilllillllllllllllllllllllllllllUllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllll.llllllllllllltllllllllllllllllllllllllllllliMIII
A TORRE PELLICE
Attivi i catecumeni aii'etto deiia confermazione
(( Consapevoli del sacrificio di Cristo che ci
salva dalla morte e ci perdona i nostri peccati, consapevoli dell’amore di Dio che opera
in noi e può farci rinascere nuove creature,
chiediamo oggi la conferma del nostro battesimo e la partecipazione alla S. Cena come atto di fede e di riconoscenza e non già in
base alle nostre opere. Desideriamo impegnarci nel servire Dio, leggere la sua Parola e frequentare i Culti, affinché la Confermazione non resti un atto sterile, affinché non
sia una meta ma un punto di partenza ».
Questa è la domanda e la promessa scritta
da due giovani confermate e letta la Domenica delle Palme, durante il culto dell’8 Aprile, con la confermazione di 21 catecumeni. I
giovani stessi hanno presieduto la liturgìa e
l’annuncio evangelico del Culto diretto dal
Past. Rostagno è stato svolto sul testo : Atti
2 ; 38-39 « Ravvedetevi, e ciascuno di voi sia
battezzato nel nome di Gesù Cristo, e riceverete il dono dello Spirito Santo, Poiché per voi
è la promessa per i vostri figlioli e per quanti il Signore Iddio nostro ne chiamerà ».
Ci rallegriamo vivamente dell’impegno dei
neo-confermati che vogliono consacrare il loro
tempo libero e le loro capacità al servizio della Chiesa e del prossimo.
Le sofferenze, l’abbandono, l’ultima cena, la
morte, la resurrezione di Cristo, sono stati oggetto di meditazione profonda e consapevole
nei vari culti con S. Cena aU’Ospedale Valdese
e nel tempio. Troviamo il testo della
predicazione di giovedì sera 8 Aprile in
Luca 14: 23: 24; di venerdì mattina in Gio19; 4-7; di venerdì sera in Giov. 12: 24-26.
Il testo del Culto di Pasqua presieduto dal
Past. Sonelli si trova in Col. 3; 9-11: «Non
mentite gli uni agli altri, giacché avete svestito l’uomo vecchio con i suoi atti e rivestito il nuovo che si va rinnovando in conoscenza ad immagine di Colui che l’ha creato.
Qui non v’è Greco e Giudeo, circoncisione e
incirconcìsione, barbaro, scita, schiavo, libero
ma Cristo è ogni cosa e in tutti ». I confermati
hanno preso parte per la prima volta alla mensa del Signore con tutta la Comunità che li
ha accolti con gioia.
La Corale, diretta dal M.o Corsani, ha partecipato attivamente ai Culti della Settimana
Santa, cantando un inno di Händel: «Finché
confido nel mio Signore, nessun timore mi
turberà»; gl’inni: 219, 221 della nuova raccolta e un coro di Bach: « Jésus triomphe de
D mort, nous fêtons sa victoire ».
Il coro giovanile dell'Unione dei Coppieri
ha Cantato « Veglia al mattino » dì Sibelius e
« 0 Volto insanguinalo, disfatto dal dolor » di
Bach durante il Culto del Venerdì Santo, la
sera.
Gli stessi giovani, hanno presieduto la liturgia del Culto della Gioventù la Domenica
7 Marzo col Past. Marco Ayassot, segretario
della Commissione Distrettuale in visita alla
nostra Comunità. Essi non si sono limitati a
leggere dei brani ma li hanno preparali insieme. neH’ìntento di dare un autentito messaggio alla Comunità.
Hanno cantato in coro e a-solo l’inno 143:
« Con ferver Maestro buono » e il Salmo 23 ;
« L’Eterno è il solo mio Pastor, di nulla mancherò ». Alla fine di Marzo hanno avuto la
loro serata ricreativa, per due sere consecutive,
alla presenza di numeroso pubblico; nei vari
intermezzi un organino elettrico e una chitarra hanno dato un tono moderno veramente
simpatico con le loro canzoni. Queste serate
Serata “Pro Ospedale”
Venerdì sera 30 aprile, alle ore 21 nell'Aula
Magna del Collegio Valdese, la Filodrammatica Valdese dì Angrogna reciterà la commedia
in dialetto piemontese « La scola di mari ».
II provento della serata sarà devoluto, per
espresso desiderio degli attori, all’Ospedale Valdese dì Torre Pellice ove da tempo sono in
corso opere di rinnovamento, di ammodernamento. dì restauro molto impegnative dal
punto di vista finanziario.
Mentre invitiamo il pubblico di Torre Pellice a partecipare numeroso a questa .serata,
esprimiamo la nostra viva gratitudine agli amici Angrognini per il loro pensiero e la loro
collaborazione fraterni.
per la C.I.O.V. : il Presidente:
E. Aime, pastore
RINGRAZIAMENTO
La famiglia del compianto
Guido Alberto Paschetto
commossa per la grande dimostrazione di simpatia, ringrazia il dott.
Kos; il pastore Marco Ayassot; i parenti ; i vicini di casa, che furono
larghi di aiuto nella lunga malattia
del loro caro.
Prarostino, 14 aprile 1971.
mmazioni per vivere una esperienza comune.
Questo aspetto non è certo da sottovalutare
perché sono proprio i bambini quelli a cui ci
si deve rivolgere per una concreta realizzazione deH’ecumenismo.
Gli inni prescelti dai vari gruppi per la
festa di quest’anno vertevano tutti sul tema
della lode e dell’esultanza, della lode a Dio,
oppure erano degli spirituals tratti dal repartorio del canzoniere di Agape. Alcune scuole
domenicali si sono avvalse dell'accompagnamento musicale di una o più chitarre per impreziosire la propria esecuzione. La gara di
quiz biblici, disputata a metà della festa per
spezzare il programma e svagare i bambini,
ha suscitato il consueto entusiasmo e si è conclusa senza vinti né vincitori, avendo tutti i
partecipanti ricevuto un premio.
Alcuni gruppi, e precisamente cinque dei
sette presenti, si sono esibiti una seconda volta, cantando però un coro diverso dal precedente. Gli inni di insieme, cantati non solo
dai bambini, ma da tutti gli adulti presenti,
sono stati accompagnati all’organo da A. Actis.
La manifestazione si è conclusa con una
preghiera di ringraziamento del pastore Mollica, subito seguita dall’esecuzione di « Gloria
al Padre ». La festa è nel complesso ben riuscita, sia per il nutrito numero dei canti presentati, sia perché la loro esecuzione, molto
curata dalle direttrici dei cori, alle quali il
pubblico ha sovente tributato la propria riconoscenza con calorosi applausi, si è sempre
mantenuta su un livello assai elevato: d’altronde non ci si è certo riuniti per ascoltare
del bel canto e tanto meno per stabilire una
graduatoria. E’ infatti tradizione che le feste
di canto si concludano senza premiazioni né
encomi di nessun genere, se si eccettuano gli
applausi del pubblico, per evitare di creare
agonismi chiaramente fuori luogo. Unico neo
della riunione l’eccessiva lunghezza, oltre tre
ore, che ha determinato nei bambini, specie
quando si sono ricordati che li attendeva una
merenda, uno stato di impazienza che non ne
ha tuttavia minimamente turbato il buon andamento. Daniele Garrone
IIIIIIIIIHIIIIIIIIIIIIIIIIIIIilllllilllllllinilllllllllllllillllllllll
Comunità Valdesi di
Angrogna - S. Giovanni - Torre Pellice
sono organizzate a scopo benefico e ringraziamo vivamente tutti coloro che hanno incoraggiato i giovani con la loro presenza e le loro
offerte.
Nell’assemblea di Chiesa del 20 Febbraio si
è parlato della situazione finanziaria e dei
matrimoni misti. Grave è il problema finanziario per il grande numero di coloro che da anni non contribuiscono, oppure lo fanno in
misura inadeguata. L’Assemblea si è resa conto della gravità del problema sui matrimoni
misti e della necessità di risolverlo nella fedeltà al Signore.
Il 3 aprile sono giunti in mezzo a noi i coristi della Corale Giovanile del Tempio della
Risurrezione di Essen (Germania) e malgrado
le lunghe ore di viaggio, erano partiti da Firenze nelle prime ore del mattino, la sera
stessa ci hanno offerto un magnifico concerto,
nel Tempio. Li abbiamo accolti con gioia nel
salone della Foresteria con un gruppo della
nostra Corale e alcuni membri della Comunità, offrendo loro un piccolo rinfresco e cantando tutti insieme allegramente con l’accompagnamento della indispensabile chitarra di
Carlo Arnoulet.
È terminato il secondo e il terzo corso di
aggiornamento teologico con lo svolgimento
dei seguenti temi : Peccato e carne (Universalità del peccato - La conoscenza di Dio e la
legge scrìtta nei cuori - La legge e il peccato Colpa e castigo); La grazia (Il riscatto, la giustificazione, la riconciliazione - Significato dell’espiazione - La Fede).
Siamo lieti di annunciare che il IV Corso
sarà tenuto nel mese di maggio dal Past. G.
Tourn sull'argomento: «La Predestinazione
e libertà in Paolo e nella teologia protestante
da Lutero a Barth ».
Lina Varese
Corso di aggiornamento
biblico - teologico
«La predestinazione»
Torre Pellice - Casa Unionista
Mercoledì 5 Maggio alle ore 21
Il concetto di predestinazione nella Sacra
Scrittura (ricerca biblica del fondamento
della nozione di predestinazione).
Mercoledì 12 Maggio alle ore 21
La predestinazione nel pensiero della Chiesa (ricerca storico-teologica sui momenti
rilevanti nell’evoluzione della dottrina della predestinazione).
Mercoledì 19 Maggio alle ore 21
La predestinazione nel pensiero teologico
moderno (il pensiero di Carlo Barth e di
altri teologi moderni).
Mercoledì 26 Maggio alle ore 21
Predestinazione e libertà (dibattito a livello di attualità sulla contraddizione effettiva o apparente dei due termini. Riflessi
in sede etico-pedagogica).
Le lezioni saranno tenute dal Past. Giorgio
Tourn di Pinerolo e avranno luogo nella sala
della Caso Unionista di Torre Pellice.
Il corso è aperto a tutti coloro che sono interessati e si propone di costituire un utile
contributo alla chiarificazione di uno dei temi più importanti e anche dei più controversi nel pensiero teologico. Le lezioni, tenute, a
livello non accademico in modo da essere accessibili a tutti, saranno ogni volta seguite da
un pubblico dibattito.
AVV4SI ECONOMICI
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bambini, per un lavoro domestico in una
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6
pag. 6
I NOSTRI GIORNI
UOMINI, FATTI, SITUAZIONI
La nuova Unione araba
E quella che, a seguito degli accordi di Bengasi dei giorni scorsi, ha visto federarsi Egitto, Siria e Libia. Il
nome assunto da questo nuovo patto
è « Unione delle repubbliche arabe ».
La scelta stessa di questo nome dice
che viene esclusa ogni monarchia (vedi Giordania e Arabia Saudita). Sarà
comunque difficile un allargamento
della lega, perché, fra gli stati del
Maghreb, la Tunisia e il Marocco seguono una politica filo-occidentale e
l’Algeria tende a contrastare all’Egitto
la egemonìa sul mondo mussulmano.
Anche il Sudan all’ultimo momento
si è autoescluso, dopo un improvviso
abboccamento moscovita, asserendo
che i suoi « problemi interni » non gli
consentivano, almeno per il momento,
di aderire alla nuova federazione.
Questa unione non è la prima in
campo arabo, anzi, per la precisione,
si tratta della sesta iniziativa del genere in meno di quindici anni. Di tutte le precedenti, solo l’unione SiriaEgitto durò circa quattro anni, fino al
settembre 1961. Tutte le altre hanno
avuto durata e consistenza effimere.
Tra i commenti, più o meno diplomatici, più o meno sinceri, da segnalare la reazione degli ambienti diplomatici del Libano, dove si ritiene che
il rigetto di ogni trattato e di ogni negoziato con Israele, preannunciato
dalla dichiarazione tripartita di Bengasi, costituisce un « errore tattico »
perché esso dà agli israeliani un prezioso alibi per rifiutare il ritiro delle
truppe dai territori occupati. Ci pare
in effetti trattarsi di un circolo vizioso e che invece l’intransigente e irrazionale atteggiamento di Israele nel
non voler evacuare i territori occupati e nel volerne occupare definitivamente alcuni sia stata a sua volta
l’origine della nuova federazione araba. Le prospettive di una soluzione
politica della crisi paiono di nuovo allontanarsi dopo qualche recente schiarita.
Il quarto punto della dichiarazione
tripartita precisa che la Federazione
avrà una sola bandiera, un solo esercito, un’unica capitale e un inno nazionale comune. Peraltro, i firmatari
dell’accordo di Bengasi hanno anche
specificato che ogni stato membro è
tenuto a rispettare gli accordi avvenuti con terzi paesi. La cosa pare anche applicarsi ai contratti di forniture di armi e di aerei « Mirage » tra
Francia e Libia, coll’impegno di quest’ultima a non adoperarli contro
Israele. Ma anche senza Mirages, la
Libia può portare all’Egitto in guerra
il potente aiuto delle sue vaste risorse finanziarie.
Atene, quattro anni dopo
Ricorre in questo periodo il quarto
anniversario del colpo di stato dei colonnelli greci. Fu infatti alla fine di aprile del 1967 che gli uomini e i mezzi
blindati di Pattakos assicurarono il
potere alla classe militare, senza colpo ferire. Ma gli orrori vennero subito dopo, cogli arresti in massa, colle
torture, colle deportazioni.
Purtroppo si deve constatare come,
a pochi anni di distanza, l’indignazione del mondo si stia progressivamente spegnendo, analogamente alla resistenza interna. Le cose, in fondo, non
vanno poi tanto male per la Grecia:
il turismo è sempre fiorente (ai visitatori — fra cui numerosi italiani —
interessano di più le rovine antiche
che non quelle recenti), il ritiro dal
Consiglio d’Europa ha isolato assai relativamente il regime che, anzi, da una
parte si trova perfettamente a suo
agio sotto 1’« ombrello » della Nato e
dall’altra ha intensificato i rapporti coi
sovietici.
Le reiterate promesse di un graduale ritorno alla democrazia rimangono
lettera morta, e c’era da dubitarne?
Quando mai una dittatura dopo aver
« salvato la patria » si ritira per cedere il passo alle istituzioni popolari c
democratiche?
Peraltro i militari al potere — molto astutamente — hanno elaborato
delle leggi istituzionali miranti a creare un regime che acquisti le parvenze
di costituzionalità e di parlamentarismo con una specie di finta opposizione. Il mantenimento della legge marziale servirebbe comunque a « scoraggiare » qualsiasi reale azione contro
il regime. Si tratta però di proposte
che la stragrande maggioranza del
mondo politico greco respinge.
Qra i giornali, i libri e gli spettacoli
godono di una certa libertà: si vendono le opere di Marx e di Lenin e si
rappresenta Brecht — come informa
un servizio su L'Unità del 21 aprile —
i campi di concentramento sono stati
smobilitati.
Ma dietro la facciata di questa « benevola » tolleranza ci sono 450 prigionieri politici, ci sono centinaia di insegnanti allontanati dalle loro cattedre, c’è la spietata vigilanza della polizia, c’è la censura inflessibile su spettacoli e opere avverse al regime, ci
Direttore responsabile; Gino Conte
sono dei giornalisti in carcere, rei di
aver pubblicato la lettera di un ex
ministro il quale chiedeva la costituzione di un governo di unità nazionale.
La “dinastia,, Duvalier
Mentre parliamo di dittatura, ricordiamo che nei giorni scorsi è morto
a Port-au^Prince François "Doc" Duvalier, il tiranno di Ilaìti. Più fortunato dei suoi predecessori — 23 sono
morti assassinati — è spirato nel suo
letto, dopo quattordici anni di dittatura, lasciando una pesante eredità di
orrori e di miseria. Essa comprende
anche il figlio ventenne, Jean Claude,
per la cui nomina a successore il padre aveva fatto abbassare il limite di
età da 40 a 20 anni.
Nel corso della feroce dittatura 10
mila persone sono state assassinate
per le strade dai « tonton-macoutes »,
la famigerata polizia non ufficiale, o
torturati a morte. Il 90 per cento della popolazione, quasi tutta negra, è
analfabeta, il 50% è disoccupato. Il
reddito prò capite ammonta a 60 mila lire anne. Vi è un medico ogni 15
mila persone e la mortalità nel primo
anno di vita raggiunge il 345 per mille.
Il figlio pare senz'altro un degno
successore del padre, infatti, nel corso del giuramento da lui prestato in
occasione della sua elezione di presidente a vita egli ha detto che avrebbe
« continuato l’opera del dottor Duvalier colla stessa energia inflessibile e
colla stessa intransigenza ».
Il miglior commento che ci pare di
poter fare su questa sciagurata "dinastìa" è il riportare qui appresso la blasfema preghiera (già apparsa qualche
numero fa, in francese su questo giornale) inserita nel "catechismo della
rivoluzione" haitiano:
« Nostro Doc che stai per la vita al
Palazzo nazionale, che il tuo Nome sia
benedetto dalle generazioni presenti e
future, che la tua Volontà sia fatta a
Port-au-Prince come in provincia; dacci oggi la nostra nuova Haiti; non
perdonare mai le offese dei senza patria che sputano ogni giorno sul nostro Paese... ».
Roberto Peyrot
Una scelta difficile
ISRAELE - PALESTINA
Echi della settimana
a cura di Tullio Viola
Reg. al Tribunale di Pinerolo
N. 175 - 8/7/1960
Tip. Subalpina s.p.a. - Torre Pellice (Torino)
UNA GRANDE
CONFEDERAZIONE?
« Il presidente del Congresso ebraico mondiale, Nahum Goldmann, ha
consacrato tutta la sua esistenza alla
difesa della causa del sionismo e
a quella delle comunità ebraiche nel
mondo intero ». « Le Monde » del 20
aprile 1971 riporta alcuni estratti della
sua « Autobiografia » (da poco pubblicata a Parigi, edit. Fayard), di notevole interesse. Da tali estratti riportiamo, a nostra volta, quanto segue.
« Mi sento in obbligo di spiegare come io mi configuro la soluzione del
conflitto arabo-israeliano. Prima di tutto devo ripetere che Israele, in quanto
territorio isolato nel mezzo d’un oceano arabo, non può continuare ad esistere. Da un punto di vista politico e
realista, un tale isolamento non può
esser mantenuto, perché, alla lunga, esso falserebbe la ragion d'essere d’Israele e renderebbe impossibile a questo Stato l'adempimento per il quale
è stato creato: essere il centro di un
popolo ed il fattore essenziale della
sua sopravvivenza. Da questa premessa (...) discendono le idee che io volli
sottomettere a Dean Acheson, per ottenere che il governo americano accetti
il piano di spartizione: bisognerebbe
prendere in considerazione l’opportunità che Israele s’integri in una confederazione del M. Oriente, partecipando a questa in posizione di perfetta parità. La Lega Araba, oggi esistente, è
un'assurdità nel mondo attuale, perché
è uria federazione fondata su basi razziali. Ma le confederazioni e le grandi
strutture statali non possono oggi funzionare che su delle basi geo-politiche:
poiché dunque il M. Oriente non è popolato esclusivamente da Arabi, è evidente la differenza fra una confederazione del M. Oriente ed una federazione araba.
Una vera confederazione di Stati lascerebbe ad Israele la sua autonomia
in quasi tutti i campi, in particolare in
quello dell'immigrazione, ma sottometterebbe l'economia e la politica alle
finalità generali della confederazione:
e questo praticamente equivarrebbe
ad ammettere che la superiorità araba,
nei problemi di politica estera, sarebbe ineluttabile.
Nei suoi rapporti con la maggioranza araba, Israele infatti dovrebbe accettare l'idea dell’accordo, e non potrebbe perseguire una politica sua che
si trovasse in opposizione dichiarata
con le tendenze ufficiali del mondo
arabo. Chi vedesse, in questo, un attentato contro la sovranità israeliana,
non dovrebbe dimenticare che la stessa critica potrebbe rivolgersi a quasi
tutti gli Stati che non siano altro che
delle parti di grandi blocchi o di strutture geo-politiche. Del resto, Israele
sarebbe per la prima volta membro di
una grande confederazione mondiale e
beneficierebbe delle possibilità d’influenza che oggi, nell'isolamento della
sua situazione politica, gli sono vietate ».
I CENTO FIORI
Commentando l’episodio della
« partita a ping-pong », curiosamente
sopraggiunto ad aprire forse nuove
possibilità di rapporti politici fra la
Cina Popolare e gli USA, Robert Escarpit (su « Le Monde » del 20.4.’71) osserva in tono scherzoso:
« In questa tardiva primavera, ecco
che nuovamente sbocciano, davanti agli
occhi stupiti degli Americani, i cento
fiori della gentilezza cinese. Dove dunque se n'erano nascosti i semi durante
il lungo inverno?
Il giardino della pace è il più bello
che vi sia, ma i fiori più smaglianti vi
sono i più caduchi: di stagione in stagione bisogna ricominciare la semina.
Non si potrebbe piantarvi una vegetazione magari più austera, ma più duratura, e soprattutto tale che i suoi
frutti abbiano infine qualche probabi
lità di mantenere la promessa dei
fiori? ».
LA RIVOLTA DI CEYLON
•ir Essa sernbra, sebbene in modo non
del tutto chiaro, essere d’ispirazione
maoista. Ciò spiega il fatto che tutte
le grandi potenze, tranne la Cina Popolare, hanno mandato aiuti militari al
governo di Colombo. « Secondo fonti
inglesi ben informate, e più precisamente secondo i corrispondenti diplomatici dei giornali londinesi "Daily Telegraph” e "Guardian", l'Unione Sovietica passerebbe al governo di Colombo
degli elicotteri e dei caccia MIG-17 insieme coi loro piloti e il personale di
servizio, per combattere l’insurrezione
"gauchista” a fianco delle forz^ dell’ordine. Il corrispondente del "Daily Telegraph” scrive che un primo gruppo di
tecnici sovietici è già arrivato a Ceylon. Soldati indiani, che presidiano anche vari punti strategici dell’isola, fra
i quali Vaeroporto: principale, ne assicurano la protezione.
Elicotteri “Alouette" di fabbricazione francese, appartenenti alle aeronautiche indiana e pakistana (?!), sono già
utilizzati per lottare contro i focolai
di guerriglia nell’isola. (...) Il governo
di Colombo ha intanto riaffermato (lunedì 19.4) resistenza di “buoni rapporti” fra Ceylon e la Cina Popolare, e negato che Pechino partecipi in qualsiasi modo all’insurrezione. Le autorità
hanno anche smentito che degli insorti siano stati fucilati nell’esercito senza processo (contrariamente a quanto
era stato affermato un giorno prinm
da un colonnello) ».
(Da «Le Monde» del 21.4.’71).
Non avevamo chiaro prima della lettura del recente libro della Claudiana
chi avesse il maggior numero di colpe
neH’im'zio del conflitto medio-orientale.
Il « maggior numero », poiché è chiaro
che colpe ce ne sono da tutte le parti;
dell'« inizio », poiché l’accusa di antisemitismo a chi ritiene che Israele abbia
maggiori colpe della continuazione è
ormai talmente ridicola che quasi nemmeno i più accesi fautori di Tel-Aviv
osano sostenerla.
'Del resto la complessità della questione, in cui ci sono almeno quattro
categorie di contendenti: Israele, gli
Stati Arabi, gli Arabi Palestinesi, le superpotenze che aizzano e sostengono in
vario modo gli altri contendenti, o almeno i primi due, fa sì che un giudizio
sereno sia impossibile allo stato attuale dell’informazione di cui possiamo
disporre.
Non è che il libro della Claudiana
abbia risolto i nostri dubbi. Guido Tubini presenta il punto di vista di chi
è filo-israeliano. Vera Pegna e Leo Visco-Gilardi ripubblicano il materiale
raccolto per una « scheda » in Gioventù
Evangelica, n. 4 del 1970, coi necessari
aggiornamenti. Le due parti del volume sono, dunque, eterogenee, perché la
seconda non era, inizialmente, un’arringa in favore degli arabi, anche se
il punto di vista degli autori — di cui
una di origine ebraica — è in parte
allineato su posizioni delle sinistre politiche occidentali. La « scheda » si proponeva, infatti, di dare un’informazione elementare e succinta dei problemi
e non di orientare l’opinione dei lettori
in senso antisionista.
Ciò detto, sarebbe lungo riassumere
le argomentazioni dei due punti di vista. Del primo si può considerare valida la necessità di arrivare ad una soluzione politica del conflitto, senza illudersi di tornare a situazioni passate,
poiché la storia, per quanto spiacevole
possa essere, non si cancella. Tuttavia,
quale soluzione politica? Non ci sembra che Guido Fubini delinei in modo
sufficiente ampio e convincente una soluzione politica che risolva in maniera
accettabile il problema dei profughi, ad
esempio. Nella seconda parte sono messi in luce i limiti e gli inganni del « Piano Rogers », generico nelle cose che afferma, subdolo nella formulazione dei
punti più controversi ( « ritiro degli
Israeliani dai territori occupati », da
tutti; oppure « da territori », da alcuni?). Questo dimostra come una solu
zione politica sia forse altrettanto difficile quanto un impossibile ritorno a
situazioni passate, che, poi, non sonO'
viste allo stesso modo dagli storici e
dai politici.
Il libro non risolve i dubbi, abbiamo'
detto. Questo non comporta automaticamente un disimpegno. La lucida prefazione di Aldo Comba orienta il lettore dubbioso assai più del confronto'
tra opinioni diverse offerto dal libro.
Il primo impegno richiesto ai credenti
e il riconoscimento delle proprie colpe
innanzitutto verso Israele, che nessun
paese occidentale si e offerto di ospitare. Si è pensato di « scaricare » gli
ebrei in Uganda, in Patagonia, ma non
nei paesi « cristiani », anche se oggi si
sostiene Israele come stato — e °non
solo come popolo — anche in base a
considerazioni teologiche. In secondo
luogo i cristiani devono riconoscere le
loro colpe verso gli arabi palestinesi,
che non sono stati interpellati prima di
mandare gli ebrei nelle loro terre.
Questo riconoscimento di colpa « implica un provvisorio aiuto al più debole ». C’è chi sta sempre col più forte,
ma i credenti hanno la vocazione di
stare col più debole: in Russia con gli
ebrei; in Palestina con gli arabi. Questo
vuol dire, però, non solo e non tanto
stare dalla parte opposta a Israele, ma
soprattutto dalla parte opposta alle due
superpotenze che usano i paesi e soprattutto le popolazioni medio-orientali
come pedine del loro gioco politico ed
economico.
Una, scelta di questo genere è difficile, corne tutte le scelte provvisorie. È
molto più facile considerare il nostroagire come definitivo e le nostre idee
come universali e giuste in ogni tempo e in ogni luogo. Ma l’Evangelo ci
chiede una scelta diversa.
M. C. Tron
Guido Fubini - Vera Pegna - Leo ViscoGilardi: Israele - Palestina: una scelta diversa. Collana « nostro tempo »,
Claudiana, Torino 1970, pagg 171
L. 1.600. • V BB ‘ ,
A cura deH’Editrice Claudiana e della Libreria Internazionale « Hellas » di Torino, due
degli autori del libro Israele-Palestina, una
scelta diversa. Guido Fubini e Vera Pegna
s’incontreranno prossimamente con il pubblico torinese per un dibattito sull’opera. L'incontro si terrà presso la Libreria Hellas, in
viOsBertola 6, mercoledì 5 maggio alle ore
iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiimiiiiiiiiiiiMimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimMiiiiiiiiiiiiiinim
l'EKD e i carcerati della Repubblica Federale Tedesca
(segue da pag 1)
una confessione di fede! Per il suo valore, ne riportiamo il testo.
SCOPI DELL’ESECUZIONE
DELLE PENE DETENTIVE
1) La pena detentiva viene eseguita
quando il eondannato deve risponde
iiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
A LUSERNA SAN GIOVANNI
Incontri sulla storia contemporanea
Con rincontro di sabato 24 aprile, si sono
conclusi i seminari di studio sulla storia contemporanea organizzati dall’Assessorato Istruzione del Comune di Luserna S. Giovanni, in
collaborazione con la Direzione didattica di
Torre Pellice.
Si è trattato dì una nuova formula di celebrazione del XXV Aprile al di fuori di ogni
retorica. Per tre sabati successivi, hanno svolto le relazioni introduttive personalità nel campo degli studi storici e della scuola : il 3 aprile, il prof. Guido Quazza, preside della Facoltà di Magistero nell’Università di Torino; il
17 aprile, il prof. Guido Petter, ordinario di
psicologia dell’età evolutiva nell’Università di
Padova; il 24 aprile, il prof. Giorgio Rochat,
incaricato di storia nelPUniversità di Milano
e membro del Comitato dell’Istituto per la
Storia del Movimento di Liberazione in Italia.
Le relazioni sono state seguite da un folto
pubblico, costituito da insegnanti dei vari ordini dì scuola, da studenti e da persone impegnate nel campo amministrativo, scolastico e
sociale.
Il prof. Quazza, ailronlnndo il tema del Fascismo e Resistenza nella scuola d^oggi^ ha dimostrato come sia possibile ancora attualment#
essere « fascisti » nelle strutture scolastk^e e
sociali in genere. La diretta esperienza dell’oratore ha servito a documentare questa
nuova forma di autoritarismo e a far prendere coscienza della necessità di un sincero
impegno da parte dì tutti, in campo sociale.
Con la relazione su II ragazzo e la storia
contemporanea, il prof. Petter si è soiTermato
sulla psicologia del fanciullo e del ragazzo, suggerendo nuove modalità di insegnamento della storia adatte alla mentalità ed alla maturità psicologica del ragazzo.
Infine, il prof. Rochat ha presentato l’argoinento della Storia contemporanea nei libri di
testo, servendosi di un’inchiesta svolta dall’Istituto presso cui lavora. I dati dell’inchiesta dimostrano con quale e quanta reticenza
gli editori e gli autori affrontino il problema
della Resistenza, anche a livello di scuola superiore.
I seminari si sono conclusi con i lavori di
gruppo e la discussione. E’ emersa l’esigenza
— dichiarata in un documento finale — dì
sensibilizzare insegnanti e studenti al problema di un nuovo insegnamento della storia
delle scuole elementari e medie. Da molte
parti, è stata richiesta una revisione dei programmi e dei metodi fino ad ora seguiti. La
revisione comporta a sua volta un aggiornamento sistematico, sotto i vari punti di vista,
del personale docente allo scopo dì avere una
visione unitaria, concreta del problema.
Roberto Eynard
llllllllllllllllllllllllllillllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllin
I protestanti danesi
e il Mercato Comune
(segue da pag. 2)
tedesca. L’espansione tedesca, popolare
ed economica, spaventa; e se si guarda all’Europa lo si fa sempre, geograficamente parlando, attraverso la Germania. Lo stesso vale per la Chiesa e
per la teologia. La dipendenza dalla teologia tedesca, incontestabilmente assai
forte, è un fatto, ma si è purtuttavia
riusciti — fatto non trascurabile —,
grazie a Grundtvig e a Kierkegaard
fra gli altri, a trasformarla in una riflessione specificamente danese.
È un segno indicativo? Pensiamo di
sì. Se un modo di essere è davvero radicato in un popolo e nelle sue istituzioni, compresa la Chiesa, i fondamenti
non saranno scossi dall’oggi all’indomani. L’adesione al Mercato comune
non significherà necessariamente la
morte di un carattere culturale. L’integrazione europea darà piuttosto un
nuovo slancio nel quale ci si renderà
meglio conto della propria eredità spirituale, affin di farne una base per ricevere ciò che le altre nazioni porteranno.
re di un crimine commesso, con la
perdita della libertà.
2) L’esecuzione deve corrispondere alla dignità dell’uomo. Deve risvegliare e rafforzare nel detenuto la volontà e la capacità di rispondere personalmente, in modo che in avvenire
egli possa condurre una vita ordinata,
conforme alle leggi.
3) I fondamenti in base ai quali devono essere regolati il lavoro e il tempo libero, nel corso dell’esecuzione,
sono principalmente i seguenti:
a) un lavoro economicamente utile e produttivo;
b) informazione, consiglio, formazione e promozione in vista di un’attività che metta il detenuto in condizione di inserirsi nella società;
c) occupazione ragionevole del
tempo libero, sopratutto sulla linea
dell’istruzione per gli adulti e dello
sport ;
d) un collegamento con il mondo
esterno che stimoli il detenuto.
4) Il detenuto deve poter trascorrere la notte da solo.
5) Qualora la cosa giovi al compito che l’esecuzione della pena si prefìgge 0 faciliti il passaggio del detenuto alla libertà, l’esecuzione può essere praticata in forme elastiche o
anche libere.
6) Il personale, coloro che sono incaricati della cura d’anime e i collaboratori volontari collaborano nello
adempiere a questo compito. Essi devono essere adatti e formati a tale
scopo.
Questo documento, il cui contenuto
veniva illustrato attraverso ampie indicazioni aggiuntive, rimane una testimonianza di come l’EKD si sforza oggi di
essere fedele al proprio mandato anche
in questo campo particolare.
Le sarà dato di stimolare in questo
modo altre Chiese cristiane, anche al
di fuori della Germania, affinché riflettano anch’esse in modo nuovo sui problemi accennati, prendano posizione al
riguardo e si sforzino di operare nel
mondo secolarizzato?
Ai.bert Krebs