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BUYCHNIS RIVISTA DI STvDI RELIGIOSI EDITA DALLA FACOLTÀ DELLA 5CVO= LA TEOLOGICA BATTISTA DI ROMA
MARZO-APRILE 1912
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REDAZIONE
Prof. Lodovico Paschetto, Redattore Capo jP Via Crescenzio 2, ^Roma. ?
D. G. Whittinghill, 7%. 2>., Redattore per V Estero •
Via Delfini 16, Rpma
eP
Si pubblica aliatine di ogni mese pari in fascicoli di almeno 64 pagine.
SOMMARIO :
Redazione : introduzione.
Giovanni Pascoli: Il prossimo (Traduzione)
Licurgo Cappelletti : Giovanni Huss e Girolamo da Praga.
Giovanni E. Meille : L'Islam moderno.
Giovanni Luzzi : L'opera spenceriana.
Giosuè Salatiello : Il misticismo di Caterina da Siena.
Angelo Gambaro : Crisi contemporanea..
Alfredo Tagliatatela : Il sogno di venerdì santo e il sognò di Pasqua.
Ernesto^Rutill : Cipriano di Cartagine e il suo concettò di Chiesa.
D. G.; Whlttingbill : « Tu es Petrus ».
NOTE E COMMENTI :
Ugo Della Seta : L’ anima religiosa di Giuseppe Mazzini.
Ernesto Rutili x Giovanni Pascoli.
Salmastro: I.'on. Murri e Tanticlericalismo.
G. Adami x Upton Sinclair.
TRA'.LIBRI E RIVISTE: Un libro in regalo.
Antico Testamento: Il salmo 68 (P.C.)
Nuovo Testamento: Lo scopo della venula di Cristo (P. C.).
Filosofia e Religione: Il materialismo storico (Enrico Meynier). — William James (G. Nesi). — La Fede ed il pensiero moderno (M. F.). —Il genio religioso (G. N.).
Storia del Cristianesimo: Giuliano l’Apostata (P. Chiminelli) — L'ora decisiva delle missioni Cristiane (IL P. Piggott). — storici e biografici (L. Jordan).
/dorale : Morale e religione (M. F.).
Polemica x Intorno al battesimo (O. Co-corda). — La Bibbia e il Protestantesimo (A. Fasulo)
Notizie.
Illustrazioni x Giovanni Huss (da una stampa boema). — Il supplizio di G. Huss (da un quadro boemo). - Bosfioro'. un pìccolo cimitero d’una sella mussulmana (tot. L. Paschetto). — Damasco: convento di Dervisci (fot. T. André). — Caterina da Siena (fot. Alinari). — Sogno di venerdì Santo. — Ritrailo di G. Mazzini.
Copertina, disegni e fregi di Paolo A.
Paschetto.
N. B. Degli articoli firmati sono responsabili i singoli autori.
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nostra prima nota, nella prima pagina del fascicolo inaugurale di /?/-ìychnìSy rivelava la nostra preoccupazione di nome.
il nome strano è già
divenuto’ famigliare ai più, un’ altra nostra preoccupazione dev'essere rivelata dalla prima di queste brevi note con cui, continuando l’opera iniziata, incominciamo il secondo fascicolo : esprimere la nostra viva riconoscenza a tutte le gentili persone che hanno voluto manifestarci la loro adesione piena di ammirazione e simpatia, rivolgendoci sinceri augiirii per il buon successo della Rivista. Desideriamo in modo particolare dire quanto abbiamo apprezzato i sentimenti delicati di tante persone cortesi, che, pur non condividendo le nostre particolari vedute, hanno trovato beile parole di incoragg'amento e di solidarietà.
È un fatto : esistono — nella nostra Italia — anime sanamente e profondamente religiose che riconoscono alla religione un reale valore di forza morale ispiratrice e purificatrice; E cercano di stringersi in famiglia per forti
ficarsi nei sentimenti comuni di fede, d'amore e nella speranza. Essendo religiose, per esperienza personale c per le crisi della propria coscienza e del proprio spirito, sanno il valore della tolleranza, e, odiando il mostro dell’ intolleranza dei molti pretesi infallibili, rispettano le convinzioni altrui, ricercando attraverso molteplici differenze il fondo comune di fede e di ideale che esiste nelle coscienze sinceramente religiose.
Molte di queste anime hanno salutato gioiosamente Bilychnis, e siamo stati commossi dalle parole di qualcuno che ci ha scritto :
« Io non sarò mai con voi — quanto alle vostre particolari convinzioni ; ma pur domando di poter collaborare con voi ; la nota di sincerità cui avete intonato l’opera vostra è ciò che mi attrae e sento di poter stringermi a voi sebbene diviso da voi — e deciso a non rinunziare alle mie personali convinzioni ».
Saremmo tentati di raccogliere qui in un bel mazzo i lusinghieri giudizi intorno alla Rivista espressi pontanea-rnente da amici vecchi e nuovi ; ma rinunziamo al piacere d’intrattenerci a
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INTRODUZIONE
gustar le lodi che non crediamo ancor meritate. Mettiamoci piuttosto al lavoro con rinnovato ardore, chè non siamo soddisfatti.
Dopo il lieto principio, sentiamo più che mai il bisogno dell’ aiuto e della collaborazione di quanti hanno approvato il nostro proposito : vogliamo fare assegnamento sulle promesse di molti valorosi studiosi e scrittori. Il campo è sconfinato : c’ è posto per tutti.... Noi personalmente contiamo poco, ma pur qualcosa vogliamo fare, ora che abbiam cominciato; gli amici, che, volonterosamente, insieme con noi, hanno messa la mano all' aratro.... inviandoci studi o promettendocene, non sono di coloro che si volgono indietro.
E, fidenti, battiamo la nostra via.
Via lunga? difficile? sassosa? con siepi e spine?
Non importa : ci bastano i fiori che crescono fra le spine, la vista del bel quadro che ci è dinanzi e la dolce compagnia degli amici che voglion battere la via con noi.
Via!
« Ho cominciato con tre piccoli racconti che cambiarono il mondo ». Così scriveva il nostro Pascoli nella prefazione alla sua bella Antologia « Fior da Fiore », pubblicata dal Sandron di Palermo per le scuole secondarie inferiori. I tre racconti sono tre divine parabole di Gesù : Il buon samaritano — Lazzaro — Il figliuol prodigo. E il Pascoli aggiunge : « A capo di questo libro stiano, come una benedizione, queste tre divine parabole, che insegnano l’amore del prossimo, la pazienza della sventura, il perdono del peccato ».
Bilychnis, ricordando il Poeta, riproduce il primo dei « tre piccoli racconti che cambiarono il mondo » — come fu da Lui amorosamente tradotto e commentato.
II capitolo del ch.mo Prof L. Cappelletti di Firenze ci prepara al pensiero commovente della celebrazione de! 5. centenario del martirio di Giovanni Huss (1) (1415 - 1915), mentre fa correre il pensiero di noi Italiani al febbraio passato e al prossimo maggio, i mesi dei roghi di due nostri martiri, il Bruno e il Savonarola.
Se’ Caterina fosse vissuta in altri tempi, forse avrebbe anche lei salito il patibolo, a somiglianza di fra Girolamo Savonarola, di Giordano Bruno e di tutti gii altri oscuri martiri del pensiero...
Sì, perchè il suo misticismo non è da uguagliarsi all’ascetismo di certi altri santi.,... che divennero tali mandando alla morte le vittime della loro intransigenza. Il misticismo di Caterina, nonostante le sue esagerazioni, s’estrinsecava beneficamente in forma pratica con atteggiamenti e azioni di protesta fiera, veemente contro l'ipocrisia e la corruzione dei « nuovi Farisei ». Di questa edificante manifestazione di misticismo nella santa senese scrive con intelletto d’amore il prof. Giosuè Sala-tiello di Palermo.
L’illustre orientalista D.r Montet, rettore dell’ Università di Ginevra e il nostro amico dott. G. E. Meille ci fan gustare interessanti informazioni sulla propaganda, l’ortodossia e l’eresia nell’ Islam, promettendoci, per altri fascicoli, notizie sul culto dei Santi e sulla riforma nell’IsIam, sull’avvenire dei popoli musulmani. —
Il prof. Giovanni Luzzi c’ intrattiene sull’opera di Spencer — il filo(«) Ringraziamo il Sig. lóza Novotny’ di Praga che ha provveduto ai nostro artista il materiale per le illustrazioni riguardanti Huss.
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sofo di Derby — trattando l’argomento da un punto di vista che lo conduce alla conclusione che, « tutto ben considerato » non può apparire tanto irragionevole « se nei paesi evangelici dove vive e aleggia e opera lo Spirito di Cristo, si ritien per fermo che l’insegnamento del profeta di Nazaret relativamente a Dio, al problema della vita, alla origine e al destino delle cose, è ancora quello che meglio del « ritmo evolutivo » del filosofo di Derby, risponde ai bisogni dell’ intelletto, del cuore e della coscienza dell’uomo ».
Il Sogno del Tagliatatela c’ invita a ripiegarci un po’ su noi medesimi e riflettere, non sulle cose... e sui casi degli altri, ma su noi : tu su te, io su me. Le cose intorno a noi attirano tutta la nostra attenzione, tanto e così del continuo, che quando ci accade di fermarci a considerare su noi, ci sembra d’ esserci addormentati e di sognare.
Sogliamo pure... e spesso e sogni che scuotano I' anima nostra e la facciati pensare, piangere e sperare.
Quando in un paese le anime scosse che pensano, piangono e sperano sono molte, benedetto quel paese ! Crisi edilizie, industriali, agricole, politiche... interessanti e degne di studio. Ma crisi d’anime, crisi morali, spirituali e religiose.... sono sintomi di risvegli fecondi,
profezie di avvenire più bello. Il dott. Angelo Gambaro vuole attirare in questo campo il nostro pensiero, con le pagine eh’ egli ci ha inviate per questo e altri fascicoli.
Due studi riguardanti le origini e i primi secoli della storia del Cristianesimo, completano la prima parte di questo fascicolo. Alla domanda: — Quale posizione creò Gesù a Pietro quando gli rivolse le famose e tarito discusse parole Tu es Petrus? risponde il Dott. Whittinghill, e all’ altra questione interessantissima: — « Quale fu il concetto dei primi Padri riguardo la Chiesa ? » risponde il Dott. Rutili con uno studio su Cipriano di Cartagine.
Dedichiamo anche in questo fascicolo alcune pagine ad articoli di commento : « Inneggiare a Mazzini e sorridere, contemporaneamente, di un olimpico compatimento, innanzi al problema religioso, sono manifestazioni inconciliabili...» (Ugo Della Seta). Il Pascoli fu credente? (Rutili) e mentre il Minocchi sulla Tribuna critica 1’ anticlericalismo del Murri, il nostro Salmastro su quell’anticlericalismo scrive alcune note piene di buon senso.
Oltre la rubrica abbondante di recensioni, ne apriamo una nuova « Notizie », che desideriamo alimentare diligentemente in avvenire.
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IL PROSSIMO.
(Dall'Evang. di Luca. X. 29-37),
zo morto.
E per am>eniura
Cui ? il mio prossimo ?
E Gesù rispose, e disse : — Eu un uomo che da Gerusalemme scendeva a Gerico, e cadde nei masnadieri, che lo spogliarono e lo percossero, poi se ne andarono, lasciandolo che era mczun sacerdote (i) veniva giù per
quella strada e lo vide e passò via.
E cosi anche un ¡.evita, imbattutosi a quel luogo, venne e vide c passò via.
Ora un di Samaria (2) che faceva viaggio, venne a lui, e vedutolo, gli si mosse il cuore ; e si appressò e gli fasciò le ferite, versandovi sopra olio e vino ; e fattolo salire sul proprio giumento, lo condusse all' albergo e ne ebbe cura.
E il domani usci, e cavati due denarii. li diede al-l’albergatore, e gli disse: Abbi cura di lui ; c ciò che spenderai di più, io le lo renderò al mio ritorno ».
Chi dunque di questi tre ti paté sia stato prossimo di colui che s‘ imbattè nei masnadieri ?
E quegli (3) rispose: — Chi con lui usò pietà.
E Gesù adunque gli disse : — Va, e fa anche tu così.
Trad. di Giovanni Pascoli.
(1) I sacerdoti e i Leviti avevano, sopra gli altri, 1* obbligo di soccorrere i miseri.
(2) Quelli di Samaria erano odiali, come e più che stranieri, «lai Giudei.
(3) Era un legista, che lo aveva interrogato j«er tentarlo.
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Giovanni Huss e Girolamo da Praga.(i) 2
Imperatore Carlo IV regnava ancora in Boemia, allorché nell’anno 1373 nasceva in quel regno, e precisamente nel borgo di Hussinetz, Giovanni Huss. Questo fanciullo, destinato ad essere la causa principale di una scossa profonda, non solo nel proprio paese, ma anche in tutta la Germania, era, come Lutero, figlio di onesti contadini, i quali non risparmiarono sacrificio alcuno per la sua e
ducazione : gente buona e semplice, che ad altro non pensava che ad assicurare a questo figliuolo un bell’ avvenire, facendolo bene istruire nelle lettere sacre e profane, senza pensare che stavano preparando una vittima per il sacrificio.
Huss terminò i suoi studi a Praschatitz, città prossima al suo luogo di nascita ; e, in seguito, sua madre, rimasta vedova, lo condusse ella medesima a Praga, perchè frequentasse i corsi di quella celebre università.
Poco sappiamo intorno alla gioventù di Giovanni Huss. È cosa nota però che egli manifestò di buon’ ora una fervente pietà e una grande disposizione a quell’ entusiasmo, che fa divini i sacrifizi. Una sera d’inverno, mentre leggeva, presso il caminetto, la vita di S. Lorenzo, la sua immaginazione si esaltò al racconto delle sofferenze di quel martire, e pose la mano sul fuoco. Sorpreso dai suoi condiscepoli, e interrogato da uno di essi, così rispose: « Volevo sapere qual parte dei tormenti di quel sant’ uomo io sarei capace di sopportare » (2).
Possedeva uno spirito elevato, una parola facile e persuasiva ed una moralità esemplare. « Giovanni Huss — ha scritto il gesuita Balbino, che non gli era naturalmente favorevole — era più sottile che eloquente ; ma la modestia e la severità de' suoi costumi, la sua vita austera ed irreprensibile, il suo volto
(1) Siamo lieti di poter pubblicare per gentile concessione dell’autore, prof. Licurgo Cappelletti e degli Editori F.lli Bocca, alcune pagine di un volume che vedrà la luce in questi giorni. Esse costituiscono il cap. Vili del libro 1 d’ un importante lavoro sulla Riforma.
Riparleremo dell’ opera completa (voi. di circa 600 pag. con 30 illustrazioni in fototipia) nel prossimo fascicolo. Oggi pubblichiamo questa primizia ringraziando vivamente Autore ed Editore d’ averci favorito le bozze.
RED.
(2) De Bonnbchose, Les Rifomtafaurs avani la Riforma (XV siede) etc. Paris, 1846, pagg. 108-109.
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pallido e melanconico, la sua grande dolcezza e la sua affabilità con tutti, anche vèrso i più umili, persuadevano assai più di una grande eloquenza » (i).
Giovanni riuscì splendidamente nei suoi studi. Divenne Baccelliere delle Arti, e, giunto all’età di 23 anni, fu nominato Arlium Magister, e cominciò a dare delle conferenze su vari soggetti nella Università. Divenne sacerdote, e in breve fu nominato lettore della stessa Università e, poco dopo, confessore della regina Sofia. Aveva già lette le opere filosofiche di Wicleff, ma non ancora le sue opere teologiche ; ed era tanto devoto alla chiesa romana che, durante il giubileo di Praga nell’anno 1393, egli diede i suoi quattro ultimi groschen al confessore, e prese parte alla processione per ottenere 1’ assoluzione promessa.
La celebrità di Huss data dal tempo in cui venne fondata in Praga la cappella di Bettelemme (casa del pane), da un pio commerciante di quella città per nome Kreutz, e da un consigliere del re, Giovanni di Mahlheim. Essi desideravano farvi distribuire il vero pane di vita ; e siccome nessuno meglio di Giovanni Huss sembrava adatto a ciò, egli fu ascritto a questa, cappèlla nella qualità di predicatore (an. 1402).
In questo stesso anno, un giovine boemo era tornato da un viaggio in Inghilterra, ed aveva portato seco da Oxford le opere di Wicleff. Le presentò a Giovanni Huss perchè le leggesse ; questi, dopo averle lette, ne provò un senso di grande meraviglia, perchè le opinioni espresse da Wicleff gli sembrarono troppo ardite, e perciò non rimase affatto convinto. Ma poco tempo dopo, un gran numero di esemplari delle opere suddette furon portate in Boemia, e Huss, rileggendole, modificò alquanto i suoi giudizi ; pur tuttavia, una rivoluzione religiosa era allora assai lontana dal suo pensiero, perchè, se da un lato gli scandali della Curia romana rivoltavano la sua anima pietosa, da un altro, ogni violenta rottura ripugnava al suo spirito dolce e modesto (2).
Diverse circostanze favorirono allora in Boemia il libero movimento dello spirito umano; La celebre università di Praga aveva fatto di questa città un gran centro d’istruzione : uomini intelligenti, colti ed arditi vi affluirono da tutte le parti della Germania. Venceslao, re di Boemia, era stato spogliato della di--gnità imperiale, a causa dei suoi vizi, dalla Dieta di Francoforte : irritato per questa deposizione, ne serbava rancore al Papa, il quale 1’ aveva approvata. Indifferente, d’altronde, a ogni progresso intellettuale, egli tollerava quel movimento non perchè simpatizzasse coi novatori, ma per una specie d’ animosità
(1) Balbinus, Epitome histórica Rerutn Bohemiarum, Praga 1677» pag. 43*■
(2) Vedi S. Van Muyden, Jean Huss, Wicleff et Jérome de Prague, ou trois Réfor-moteurs avant la Réforme. Lausanne, G. Bride), edit., 1847» pag. 26.
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verso la Curia romana. La regina Sofia, invece, proteggeva liberamente i primi e specialmente il suo confessore, Giovanni Huss.
Sedevano allora sulla Cattedra di San Pietro due papi : Angelo Correr, veneziano, che stava a Rimini, ed aveva preso il nome di Gregorio XII ; e Pietro De Luna, spaglinolo, che aveva assunto il nome di Benedetto XIII, ed abitava in Saragozza.
I cronisti del tempo ci danno un’idea del disturbo di mente, delle calamità e dei guai, che ebbero origine da questo scisma. Regnava 1' anarchia in tutta 1' Europa, e ogni piccolo Stato era il teatro di guerre e di rapine. Le recriminazioni, che reciprocamente si scagliavano i due pontefici (veramente, il solo Pietro De Luna viene considerato dagli storici come antipapa) producevano una ben trista impressione in tutta la cristianità.
Correva l’anno 1407. In questo tempo era arcivescovo di Praga un prelato, per nome Sbinko, uomo di caràttere pusillanime, e pochissimo colto ; tant’ è vero che, per metterlo in ridicolo, erasi sparsa fra il popolo una poesia, che diceva così :
Sbinko, il quale sa appena compitare,
Perseguita con rabbia l' eresia : Degli eretici i libri fa bruciare. Senza dentro saper cosa ci sia.
Sbinko era però molto zelante per i privilegi della Chiesa ; ma il suo era uno zelo che sapeva piegarsi alle circostanze: la prudenza dell’uomo di corte modificava in Sbinko i principi assoluti del dignitario ecclesiastico, e il suo modo d’ agire, riguardo ai fautori dell’ eresia, ora era violento, ora moderato, secondo il favore o l’indifferenza che eglino trovavano nella corte del re Venceslao.
Alcuni mesi prima dell’apertura del Concilio di Pisa (1), Giovanni Huss aveva invitato il popolo a sottrarsi all’ autorità del papa Gregorio XII ; allora E arcivescovo, che era una creatura di questo pontefice, interdisse Huss, proibendogli di adempiere ai suoi doveri ecclesiastici.
Intanto il Concilio di Pisa, il quale erasi costituito « come congresso cristiano e come concilio ecumenico legittimo, rappresentante vero della Chiesa visibile » (2). aveva il 5 di giugno del 1409, pronunciato la sentenza, colla qùàlerBenedetto XIII e Gregorio XII, scismatici ed eretici, erano incorsi nell’anatema, e deposti da tutti gli uffici ecclesiastici. Quindi il Concilio procedette ad eleggere un papa universale ; e, astrettivi dalla volontà dell’ assemblea, i ....—.
6) Questo' Conciliò fu adunato il 25 novembre del 1409.
(2) Gregoroviùs, Stòria di Roma nel Medio Evo, t. Ili, pag. 499.
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GIOVANNI HUSS E GIROLAMO DÀ PRAGA 129
cardinali s’impegnarono con giuramento che chiunque di loro fosse uscito pontefice dal conclave, non scioglierebbe il Concilio, se prima questo non avesse compiuta la riforma della Chiesa. Il cardinale Baldassarre Cossa, napoletano, il quale, sebbene anelasse al papato, vedeva non essere ancor giunto per sè il momento opportuno, preferì intanto di essere il protettore di un papa di transizione; laonde propose a pontefice il cardinale Pietro Filargo di Candià, settantenne, uomo di puri costumi e di fiacca volontà, il quale, il 17 giugno, fu eletto sotto il nome di Alessandro V.
L’arcivescovo Sbinko, sebbene si fosse mostrato fautore di Gregorio XII, fu costretto a riconoscere per papa Alessandro V, cosicché una prima riconciliazione avvenne fra lui e Giovanni Huss, la quale non era affatto sincera. In questo tempo scoppiò nel seno della Università di Praga un funesto litigio, al quale Huss prese parte, e trionfò : ma questo suo trionfo gli divenne fatale, perchè gli suscitò contro una miriade di nemici.
Il 20 dicembre del 1409, il pontefice Alessandro V pubblicò una bolla contro le dottrine di Wicleff, senza però inveire nè contro Wicleff nè contro Huss. Il ricorso al papa èra stato inviato dall’ arcivescovo Sbinko, che erasi fatto forte dell’ appoggio della Università, la quale aveva condannate 45 di quelle eretiche proposizioni. La bolla pontificia proibiva espressamente di predicare nelle cappelle particolari la dottrina di Wicleff : dava facoltà all’ arcivescovo di perseguitare i contravventori come eretici, coll’ assistenza del braccio secolare, e a sopprimere, con tutti quéi mezzi che erano in suo potere, i libri di Wiclefì. Huss rispose : « Da Alessandro male informato io mi appello ad Alessandro bene informato ».
L’ arcivescovo stimò opportuno d’interdire Huss ; ma questi, senza curarsi della interdizione, continuò le sue prediche ; e l’indignazione de’ suoi partigiani divenne tale, che Gerolamo da Fraga, amico intimo di Huss, bruciò ai piedi di una forca la bolla papale, che prometteva delle indulgenze a coloro, i quali assisterebbero il papa nelle suè lotte contro Ladislao re di Napoli.
Nel 1410 moriva il papa Alessandro V, e gli succedeva il cardinale Baldassarre Cossa, il quale prese il nome di Giovanni XXIII. Questi, nel 1412, lanciò la scomunica contro Giovanni Huss, e mise l’interdetto nella città di Praga. Allóra Huss si ritirò nel suo paese natale, Hussinetz, dove continuò a predicare le sue dottrine al Concilio di Costanza fi).
Il 16 novembre del 1414 si aprì questa famosa assemblea, alla quale fu dato il nome di « Stati generali della Cristianità ». Dicesi che convenissero in
(1) Vedi Ph. Le Bas, Histoire d'Attentarne, Paris, Didot, 1838, t. II, pag. 54.
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Costanza circa 50,000 stranieri, ; e il Le Bas cita uno scrittore contemporaneo, secondo il quale, per il servizio del Concilio (sic) intervennero nella suddetta città 346 commedianti e settecento cortigiane. Il Concilio era presieduto dallo stesso papa Giovanni XXIII. Questi sperava che l’abdicazione forzata dei suoi due rivali, Gregorio XII e Benedetto XIII, Io lascerebbe solo possessore della cattedra di San Pietro. Ma ben tosto egli si spaventò per 1’ arditezza dei Padri del Concilio, i quali, per distruggere l'influenza del Papa avevan deciso che la votazione avverrebbe per nazione (inglese, francese, tedesca, italiana e spagnuola), e che i semplici sacerdoti, i dottori, e anche i principi o i loro ambasciatori, avrebbero diritto al voto; sicché Giovanni XXHI cercò di fuggire da Costanza, dove egli non era più libero.
Ma, per raggiungere il suo intento, il Papa gettò gli occhi su Federigo d’ Austria, nemico personale dell’ imperatore Sigismondo e genero del re Roberto. Federigo possedeva nei dintorni di Costanza parecchie piazze forti, le quali potevano offrire al papa un asilo sicuro. Per conseguenza, Giovanni promise a Federigo di nominarlo Gonfaloniere di Santa Chiesa, con 6000 ducati di pensione all' anno. Il 20 di marzo del 14x5, Federigo, per distrarre la pubblica attenzione, diede fuori della città un gran torneo ; e mentre che il popolo e i membri del Concilio assistevano a questa festa, il papa, travestito da palafreniere, uscì dalla città, e si ritirò a Sciaffusa. II duca, che era impegnato nella lizza, prolungò il combattimento fino a che il papa fosse in luogo sicuro ; quindi cessato il torneo, corse a raggiungerlo.
Intanto il Concilio, sotto la protezione e la presidenza dell’ imperatore Sigismondo, continuava i suoi lavori, e si dichiarava il rappresentante della Chiesa militante, e superiore' allo stesso pontefice. Il 29 maggio fu pronunziata la deposizione di Giovanni XXIII; poco dopo, Gregorio XII abdicava da sé stesso alla tiara; non rimaneva dunque che l’antipapa Benedetto XIII, il quale fu dal Concilio deposto nel 1417. L’8 di novembre di questo medesimo anno, i ventitré cardinali, presenti al Concilio si raccolsero in conclave ; e, tre giorni dopo, ricorrendo la festa di San Martino, elessero a voti unanimi il nuovo pontefice nella persona del cardinale Ottone Colonna, che assunse il nome di Martino V. Il nuovo papa, nell’ anno seguente, chiuse il Conciliò di Costanza ; promise che, entro cinque anni ne avrebbe radunato un altro in Pavia, e il io di maggio partì per l’Italia.
Ed ora torniamo a Giovanni Huss. Quando fu radunato il Concilio,. l’imperatore Sigismondo, desiderando di soffocare 1’ eresia in Boemia, dov* egli un giorno doveva regnare, ordinò ad Huss di recarsi a Costanza per rispondere alle accuse portate contro di lui. Quegli si dichiarò pronto ad obbedire ; ma il re Venceslao e gli Stati di Boemia non vollero lasciarlo partire senza aver pie-
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(Da una stampa boema)
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so prima le necessarie precauzioni per la sua sicurezza. Tre signori, cioè Vcn-ceslao di Duba, Giovanni di Chlum ed Enrico di Latzemback, furono inviati presso Fimperatore per sollecitare un salvacondotto. Sigismondo Spedì il salvacondotto a Spira, il 18 ottobre del 1414, e-nominò gli stessi signori commissari per accompagnare Huss. 11 3 novembre giunsero tutti e quattro a Costanza. Huss ebbe ospitalità presso una povera vedova, che egli paragonò a quella di Sarepta. che aveva raccolto il profeta Elia. I baroni Giovanni Chlum ed Enrico di Latzemback notificarono l’arrivo di Huss al papa, dichiarandogli che egli era munito di un salvacondotto dell’ imperatore. Giovanni XXIII io accolse amorevolmente, e rispose : « Quand’ anche Giovanni Huss avesse ucciso un mio proprio fratello, io impedirei energicamente che gli venisse fatto alcun male durante il tempo del suo soggiorno a Costanza ». Il papa fece anche di più : sospese temporaneamente la scomunica lanciata contro di lui. Ma, poco tempo dopo, due accaniti nemici di Huss, cioè Stefano Palecz, professore di teologia e Michele de Causis, già predicatore a Praga, presentarono ai cardinali alcuni passi estratti dagli scritti di Huss, i quali attaccavano, nel modo più positivo, l’autorità del sommo pontefice. Veramente, fino allora, non era stata ben conosciuta nè dal Papa nè dal Sacro Collegio la dottrina di quell’ ardito riformatore ; immaginiamoci dunque quanta fu l’indignazione di Giovanni XXIII! e siccome Huss predicava quella sua dottrina perfino nella casa dove abitava, il papa lo fece arrestare il 28 novembre del 1414. Appena Enrico di Latzemback e Giovanni Chlum conobbero F arresto di Huss, si recarono dal Papa, pregandolo di volersi ricordare della promessa, che loro aveva fatta, di rispettare cioè la libertà e la vita di Giovanni Huss. 11 Papa rispose loro — indicando i cardinali ed i vescovi lì presenti — queste parole : « Perchè venite ad incolpar me ? non vedete che io stesso sono in loro potere? » Giovanni XXIII, e noi lo abbiamo già veduto, diceva la verità.
Appena F imperatore Sigismondo seppe che il salvacondotto, che egli aveva dato ad Huss, era stato violato dal papa e dai cardinali, divenne furibondo : scrisse subito al suo ambasciatore presso il Concilio di Costanza in questi termini : « Liberate immediatamente Giovanni Huss ; e, se occorre, spezzate la porca della sua prigione ».
Ma quest’ ordine non venne eseguito, ed Huss rimase prigioniero.
Quando si seppe a Praga che Giovanni Huss era stato incarcerato, la città fu tutta in movimento ; numerose proteste furon coperte di firme ; parecchi potenti signori e baroni scrissero all’ imperatore, ricordandogli gli attestati di ortodossia rilasciati a Giovanni Huss dai prelati di Praga, e i salvacondotti a lui dati dallo stesso Sigismondo.
Ma i nemici di Huss non intèndevano di lasciare là loro prèda. Essi cir-
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cuirono l’imperatore in modo che questi non potè resistere alle loro pressioni; di più seppero profittare de’ suoi pregiudizi, della sua cieca devozione, non che del suo zèlo per 1’ estinzione dello scisma, e lo persuasero che la parola da lui data ad Huss non aveva alcun valore senza 1’ approvazione del Concilio. Sigismondo cercò di difendere l’infelice ; ma finalmente, non senza un ultimo tentativo di resistenza, abbandonò Huss al proprio destino. Questa sua condiscendenza all’ odio e all’ intolleranza dei Padri del Concilio fece pessima impressione in tutto quanto il regno di Boemia ; e l’affetto, che le popolazioni sentivano per lui, si cambiò in odio e in disprezzo.
La prigione, dov’ era rinchiuso Giovanni Huss, era situata sulla riva del Reno. In essa penetrava l’immondizia delle fogne, talché il misero prigioniero fu còlto dal, tifo, e parve ne dovesse morire. Ma dopo un mese di sofferenze, guarì. Condotto di nuovo dinanzi al Concilio, gli fu domandato se egli avesse scritto le opere, che gli venivano attribuite. Rispose affermativamente ; e, mentre difendeva l’opera sua, fece un’allusione alla Bibbia. Allora si scatenò una vera tempesta : i Padri lo tempestarono di domande ; ed egli rimase muto. « Egli ha perduto la favella » uno gridò ; ma Huss gli rispose : « Taccio, perchè non posso farmi udire in mezzo a tanto rumore ».
Un altro giorno, essendo stato invitato a ritrattare ciò che aveva scritto, egli disse che, se facesse ciò, offenderebbe quelle semplici anime, a cui aveva predicato il Vangelo, e soggiunse : « Preferirei piuttosto di esser gittato in mare con una macina al collo».
Mentre Giovanni Huss era prigioniero del Concilio, il suo intimo e affezionato amico, Girolamo da Praga, giungeva a Costanza per difendere la causa di Huss dinanzi al Concilio. Egli vi giunse il 4 d’ aprile ; ma, essendosi mescolato fra la folla senza farsi conoscere, intese delle parole sinistre, cioè che Giovanni Huss non verrebbe ammesso alla presenza dèi Concilio, e che uscirebbe dalla prigione soltanto per andare alla morte. Tale fu il terrore che lo invase, che fuggì precipitosamente, nel timore di essere egli pure arrestato. Ed infatti appena fu nota la sua presenza in Costanza, venne dato ordine di procedere al suo arresto ; ma egli era di già partito. Giunto a Umberligen, scrisse due lettere, una all’ imperatore e 1’ altra al Concilio, colle quali chiedeva un salvacondotto per recarsi di nuovo a Costanza, facendo osservare che egli vi si era recato prima di sua spontanea volontà senza che alcuno glielo avesse ordinato, come a Giovanni Huss. Il Concilio accordò il salvacondotto, il quale era compilato in termini tali da potersi violare colla massima facilità.
Mentre Girolamo attraversava la Germania per recarsi al Concilio, alcuni ufficiali di Giovanni di Baviera, conte palatino e principe di Saltzbach, s’impadronirono di lui nella Città di Hirschau, donde fu subito condotto a Saltzbach,
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¡4.4 BlLYCHNiS
ed ivi imprigionato. Pochi giorni dopo venne F ordine d’inviare il prigioniero a Costanza.
Appena giunto in questa città, Girolamo fu condotto dinanzi ai Padri del Concilio. Interrogato, rispose trionfalmente con una dialettica meravigliosa. Ciò inasprì i suoi giudici, i quali non si erano certo immaginati di trovarsi di fronte ad un uomo di tanto valore. Avendo alcuni gridato : « Al fuoco ! al fuoco ! » Girolamo rispose : « Se voi desiderate la mia morte, sia fatta la volontà del Signore ! » Fu ricondotto in prigione, dove cadile gravemente malato. Guarì aiich’ egli come Giovanni Huss ; entrambi erano ormai destinati al supplizio.
Gli amici di Huss, intanto facevano quanto era in loro potere, perchè e-gli fosse umanamente trattato. L’ arresto e la prigionia di Girolamo da Praga gli cagionarono un gran dolore; egli prevedeva che il suo discepolo ed amico non sarebbe uscito vivo dagli artigli de’ suoi implacabili nemici.
Dopo aver passato sei mesi in prigione, Huss fu condotto di nuovo dinanzi al Concilio. I suoi giudici si sforzarono di persuaderlo a fare la sua sottomissione, che in tal modo avrebbe salva la vita e recuperata la libertà. Un dottore gii disse : « Se il Concilio vi dicesse che voi avete un occhio solo dovreste convenire che è vero ». Huss rispose : « Finché il Signore mi manterrà nella pienezza delle mie facoltà fisiche ed intellettuali, io non dirò mai una cosa simile, neppure se tutto il mondo me lo comandasse, perchè in questo modo ferirei la mia coscienza ».
Nei giorni seguenti Giovanni Huss fu interrogato nuovamente ; ma, nono-stanti le astuzie dei suoi giudici per fargli dire il contrario di ciò che pensava egli rimase incrollabile nelle sue opinioni.
Il 6 di luglio del 1415, quindicesima seduta del Concilio, fu pronunziata la sentenza contro Giovanni Huss. Essa ordinava che gli scritti dell’ eresiarca fossero abbruciati ; che egli medesimo, come manifesto ed ostinato eretico, venisse degradato e consegnato al braccio secolare. Huss, il quale aveva ascoltato in ginocchio la propria condanna, dopo essere, stato spogliato, colle solite cerimonie, della qualità di sacerdote, fu dall’ imperatore consegnato all’ Elettore Palatino, perchè questi facesse subire al colpevole la pena ordinaria dell’ eresia.
Mentre lo spogliavano, uno dei suoi giudici gli tolse il calice, dicendo : « O maledetto Giuda che, dopo avere abbandonato i consigli della pace, hai preso parte al sinedrio dei Giudei, noi ti togliamo questo calice pieno del sangue di Gesù Cristo ». Huss gli rispose : « Spero per la misericordia di Dio, che quest’oggi stesso berrò del suo calice nel suo regno, e fra cento anni voi risponderete di ciò che ora fate dinanzi a Dio e dinanzi a -me ».
L’Elettore, dopo essersi spogliato delle sue vesti principesche, condusse
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IL SUPPLIZIO DI G. IIUSS
(Da un quadro boemo)
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Huss in una piazza fuori della città dove era stato drizzato il rogo. Legato al palo, alzando gli occhi al cielo, esclamò : « In manus luas, Domine, commendo spiritum meum ! » Il paziente non cessò di protestare della sua religiosità ; le fiamme lo avvolsero ed egli morì coraggiosamente e senza ostentazione (i). Aveva circa 45 anni.
Appena si conobbe a Praga la condanna e la morte di Huss, la moltitudine esasperata corse in folla alla cappella di Bettelemme ; e 1’ uomo, che il Concilio aveva condannato come eretico, fu dai suoi concittadini venerato come un martire e come un Santo. Ed al popolo si unirono pure i baroni e i grandi del reame ; i quali, ponendo la mano sull’elsa della spada, giurarono di vendicare colui, che veniva da tutti riguardato come l’apostolo della Boemia. Si radunarono pure i dottori dell’ Università di Praga, i quali, invasi da un giusto sdegno, protestarono dinanzi a tutta 1’ Europa contro l’iniqua sentenza, che aveva condannato un uomo pio, dotto e caritatevole. I baroni inviarono al Concilio una lettera vibrata e fiera, la quale portava in calce 54 firme degli uomini più insigni della monarchia. Dopo aver fatto gli elogi di Giovanni Huss e di Girolamo da Praga, che dai Padri del Concilio era stato fatto arrestare ed imprigionare, i baroni terminavano la loro lettera con queste parole : « Noi dichiariamo inoltre che, non ostanti tutti gli umani decreti, sosterremo sempre i predicatori umili, devoti e fedeli, che annunzieranno la parola del Nostro Signor Gesù Cristo ; noi li difenderemo e li proteggeremo senza timore alcuno, pronti, se occorre, a spargere tutto il nostro sangue per essi ».
Quando la lettera dei baroni pervenne al Concilio, i Padri ne furono impressionati ; e cominciarono a discutere se fosse conveniente, o no, di processare e condannare Girolamo da Praga. E lo avrebbero volentieri inviato ai supplizio se non avessero temuto che alle minacce dei baroni tenesse dietro una terribile vendetta ; cosicché cercarono un pretèsto per essere dispensati dal punire 1’ amico e discepolo di Huss, facendo in modo che egli rinnegasse le sue opinioni religiose. La fragilità umana ebbe il sopravvento : Girolamo fu invaso dal terrore e firmò una ritrattazione, quindi ad alta voce disse che sarebbe sempre vissuto nella fede della Religione cattolica, apostolica e romana. Non ostante questa sua dichiarazione, lo condussero di nuovo in carcere, ma vi fu trattato con meno
(x) Vedi Schoki.i., Corso di Storia degli Stati europei, t. VII, pagg. 194 e segg. — « I carnefici fecero a brani le abbrustolite sue carni ; tutto, fino le vesti, fu ridotto in cenere o gittate nel Reno, perchè ai presenti Boemi non avanzasse reliquia del predicatore di Bettelemme. Ma, secondo dice Enea Silvio Piccolomini (poi Papa Pio II), questi si gettarono sui terreno ancor fumante della terribile arsione, e razzolando qualche po’ di cenere, come cosa santa, eccitatrice di ben altri cimenti ». P. Tosti, Storia del Concilio di Costanza. Napoli, 1853, t. Il, p. 59.
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GIOVANNI HUSS E GIROLAMO DA PRAGA
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rigore di prima. Tutti speravano che, entro pochi giorni, Girolamo riacquisterebbe la libertà. Ma in quel tempo vennero dalla Boemia alcuni frati, i quali portarono nuove accuse contro Girolamo ; allora i suoi nemici domandarono che si rivedesse il processo ; il Concilio si divise in due partiti : i più saggi fecero notare che l’accusato aveva obbedito al Concilio, e insistettero perchè fosse messo in libertà ; ma la maggioranza sostenne il contrario ; allora i Cardinali chiesero di essere esonerati dall’ ufficio di Commissari nel processo di Girolamo da Praga. Vennero quindi eletti dei Commissari nuovi, fra i quali il patriarca di Costantinopoli, che fu uno dei persecutori più ardenti di Giovanni Huss.
Girolamo allora capì che, per salvare la propria vita, sarebbe stato costretto a mentire più oltre e a divenire spergiuro ; la sua coscienza si rivoltò, 1’ amore della verità ebbe il sopravvento sull’amor della vita, onde risolvette di rimanere fermo e costante nelle proprie opinioni. Sulle prime rifiutò di rispondere ai suoi nuovi giudici, e chiese di essere udito in una pubblica udienza. Ciò gli venne accordato ; ed egli fu condotto nella Chiesa cattedrale, dov’ era adunato il Concilio. I nuovi commissari, ad istigazione de’ suoi nemici, produssero contro di lui 107 capi d’ accusa. La trama era stata ordita in un modo am piissimo, ed era impossibile che Girolamo potesse sfuggire alla condanna. Egli chiese di pronunziare un discorso, ossia un’ autodifesa, ma gli venne impedito, perchè quei Padri volevano che rispondesse brevemente e categoricamene alle insidiose domande, che essi gli rivolgevano. Il misero tentò di difendersi ; ma gli fu imposto di tacere. Però alcuni Commissari, vergognandosi di questo modo di procedere, così sleale ed iniquo, ottennero che Girolamo si difendesse con ampia libertà. Ed infatti, il 26 di maggio del 1416, egli potè liberamente parlare. La sua arringa fu veramente splendida, piena di pietà e di dottrina ; ed i suoi nemici stessi ne. rimasero commossi (1). Ma ormai la sua sorte era decisa.
Il cardinale di Firenze, che forse desiderava salvarlo, cercò di persuaderlo a fare una solenne ritrattazione dei suoi errori ; ma egli pur rispondendo con dolcezza, rifiutò di sottoscrivere un atto che lo avrebbe disonorato agli occhi di Dio e degli uomini.... Il 30 di maggio, Girolamo comparve di nuovo dinanzi ai suoi giudici. Il vescovo di Lodi pronunzio contro di lui una terribile requisitoria ; terminata la quale, 1’ accusato rispose poche e nobili parole.
Il patriarca di Costantinopoli lesse la sentenza, nella quale l’infelice discepolo di Huss era qualificato coi nomi di eretico, recidivo e scomunicato, e come
(1) Il Poggio Fiorentino, che vi era presente, scrive: « È incredibile come Girolamo allegasse delle ragioni così valide e pronunziasse parole così convincenti a.sostegno delle proprie opinioni ».
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tale veniva abbandonato al braccio secolare, « per ricevere il giusto premio a un così grande delitto ! »
Il giorno dopo fu eseguita la sentenza. Nel tragitto dalla cattedrale al luogo del supplizio, Girolamo recitò il Credo, cogli occhi rivolti al Cielo ; quindi intonò le litanie. Giunto dinanzi al rogo, i carnefici lo legarono al palo, e poi diedero fuoco alle legna che lo circondavano. Avvolto dalle fiamme, il misero continuava ancora a pregare. Quando fu morto, furono gettati sul rogo tutti gli effetti, che avevano a lui appartenuto (i).
Si supplizio di Girolamo da Praga fu non solo un atto di grande ingiustizia, ma di una raffinata iniquità. Egli e Giovanni Huss prepararono, col loro martirio, la via al grande movimento religioso del secolo XVI.
LICURGO CAPPELLETTI.
(i) Tosti, op. cil., t. Il, pag. 103-
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K IBI L'ISLAM MODERNO,
Premetto due brevi osservazioni, i. Il presente lavoro non ha alcuna pretesa all’ originalità : è lavoro di compilazione e di traduzione ; ho consultato varie tra le opere sull’ Islamismo apparse più di recente in Italia e fuori d’Italia ; mi sono valso in modo speciale delle sei Conferenze tenute nel 1910 al « Collegio di Francia » dal, mio illustre amico il dotto orientalista prof. E. Montet (1), rettore dell’ Università ¿fi Ginevra. 2. Io intendo studiare obbiettivamente, dal punto di vista strettamente religioso l’Islam moderno. Non si troveranno dunque in questo scritto le solite rifritture su Maometto e sulle Crociate, sulle Uri e sul Ramadan ecc. colle conseguenti inevitabili apologie del Cristianesimo. A me sembra tempo e danaro sprecati ristampare per l’ennesima volta ciò che trovasi in qualunque mediocre enciclopedia generale : in qualsiasi discreto manuale di Storia delle religioni.
Vorrei parlare invece di cose meno note, cioè della Propaganda islamica, dell’ Ortodossia mussulmana e delle sue deformazioni, del culto dei Santi, delle Confraternite, dei tentativi di Riforma nell’ Islam, terminando con alcune considerazioni sull’ Avvenire della religione e dei popoli mussulmani.
!• La propaganda islamica»
L’ Islam conta oggi, in cifra tonda, 250 milioni di seguaci. I rapidissimi progressi del maomettismo nei primi secoli della sua storia sono noti, e note ne sono pure le cause : cause religiose e cause d'ordine politico, economico e sociale. Il moto espansivo dell’ Islam continua anche oggi, ed è provocato dalle medesime cause.
/. Cause religiose. — Esistono tra i maomettani come tra i cristiani dei « missionari » ? No. Ma in ogni mussulmano c’ è la stoffa di un missionario, specie se questo mussulmano vive in un paese pagano.
Allora, mentre egli bada ai suoi affari e ai suoi traffici, fa il propagandista e cerca — per mezzo delle carovane che commerciano tra i popoli feticisti — di estendere la potenza dell’ Islam. Certi maomettani hanno creato dei villaggi che hanno poi popolato con dei convertiti condotti dal di fuori. Altre volte es(1) Il D.r Edouard Montet ci scriveva da Atene in data 3 aprile 1912: Monsieur le Directeur,
J’ ai reçu votre lettre et votre Revue au moment de mon départ pour Athènes. Je vous en remercie vivement ; je suis en train de lire avec le plus grand intérêt la revue dont vous m’ avez fait hommage.
Je suis tout’ à fait d’accord avec vous pour 1' usage que M. Meille a bien voulu faire de mon volume.
Veuillez croire à mes meilleurs sentiments.
E. MONTET.
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si hanno approfittato della carestia che desolava una regione — come tra i Wanyikas sulla costa dello Zanzibar — per presentare la loro religione sotto la veste della carità e della beneficenza. Altre volte si sono valsi, per propagare le loro dottrine, della liberazione degli schiavi : ciò avvenne per esempio nel-1’ Uadai. Una carovana di schiavi originari dell’ Uadai essendo stata saccheggiata dai nomadi delle frontiere di Tripoli e di Egitto, Sidi Mohammed ben Ali es Senussi li fece comprare, diede loro, nella sua zàuia, l’istruzione necessaria, li liberò, e alcuni anni dopo, avendoli riconosciuti atti per 1’ opera missionaria, li rimandò nella loro patria per spargervi 1’Islam.
Nei paesi civili e tra i popoli colti, i mussulmani agiscono molto diversamente.'Si sforzano, per mezzo della loro cultura superiore e della loro scienza, di conquistare le persone influenti e quindi agiscono per loro mezzo sull’ opinione pubblica. Essi fanno abili concessioni alle abitudini locali, a certi pregiudizi religiosi e alle solennità del culto pagano. Così in Gina, i mussulmani non costruiscono moschee più alte degli altri templi ; non edificano minareti ; e raccomandano invece ai loro seguaci di partecipare alle feste popolari le quali hanno sempre un carattere religioso nazionale. I mussulmani che esercitano funzioni pubbliche compiono le cerimonie religiose fissate dalle leggi cinesi. Discutendo coi dotti, essi presentano l’Islamismo come la religione primitiva, conforme alle tradizioni degli antenati, libera soltanto dalle superfetazioni e dalle pretese novità di cui 1’ avrebbe coperta il Confucianismo.
Un altro efficacissimo mezzo di propaganda è la scuola. Di solito, allorquando i maomettani penetrano e si stabiliscono in una regione nuova, la loro prima cura è di costruire una moschea e di annettervi una scuola. L’Islamismo si propaga pure per mezzo del matrimonio.
Il mussulmano sposa facilmente persone appartenenti ad una razza diversa dalla sua. Però in Gina, se un mussulmano sposa volentieri una donna del paese, egli ha cura di non dare le sue figliuole in moglie a dei Cinesi che non siano mussulmani.
E ancora l’Islamismo si propaga mediante la compra di bambini pagani che sono poi educati nella religione del Profeta. Si sono visti in Cina dei mussulmani comprare sino a 10.000 fanciulli durante una carestia che devastava lo Chan-Tong.
2. Cause politiche economiche e sociali dei progressi mussulmani. — Già vi abbiamo accennato trattando delle cause religiose, perchè nell’ Islam ogni cosa riveste un carattere religioso. Facciamo qui alcune osservazioni generali.
a) L’Islam, in una vasta regione dov’ esso attualmente si estende, cioè in Africa, rappresenta uno stato sociale ed economico superiore. L’Islam, come il Cristianesimo, costituisce un tipo di civiltà, civiltà che ha raggiunto il suo apogeo in un tempo ormai passato, ma che non ha mai cessato di esistere. Questa civiltà, in molti ambienti africani dov’ essa è penetrata, si è manifestata superiore alla civiltà indigena tanto dal punto di vista amministrativo e sociale che dal punto di vista intellettuale, morale e religioso.
b) L’Islam possiede una notevolissima facoltà di adattamento al genio dei popoli africani (le popolazioni negre). Alcune delle sue istituzioni — la poligamia, la schiavitù, la semplicità di vita — sono identiche alle istituzioni che sono essenziali per lo stato sociale delle popolazioni negre.
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c) Per quanto riguarda specialmente 1’ Africa occorre insistere particolarmente sulla ragione politica. Poiché l’Islam rappresenta, è in sè stesso, una organizzazione politica e amministrativa, è facile comprendere che delle tribù intere abbiano accettato la religione offerta loro da mussulmani venuti di fuori e che recava loro una forza preziosa per sussistere come Stati indipendenti 0 come organizzazioni sociali viventi e prospere. Questo interesse politico è stato profondamente scosso dalle conquiste delle Potenze europee. La penetrazione europea in Africa ha prodotto, a seconda delle regioni, oppure l’arresto nel progredire dell’IsIam, oppure il mantenimento delle religioni feticiste, oppure la regressione dall’ Islam al feticismo ; ciò sempre pel medesimo movente : la conservazione dei diritti e dei privilegi della razza.
Però là causa più attiva della propaganda moderna dell’ Islam potrebbe essere così definita : la reazione provocata dalla attività, religiosa delle missioni cristiane e dall' attività politica delle oisliane nazioni. (1)
Passiamo brevemente in rassegna questa duplice reazione.
A. La reazione all' attività politica europea.
Le circostanze medesime che hanno provocato l’indebolimento politico del-l’Islam hanno fortificato la sua potenza religiosa. La religione mussulmana sta conquistando alla sua fede i popoli primitivi dell’ Asia Centrale e dell’ Africa Centrale proprio ora che queste popolazioni diventano suddite delle nazioni cristiane! Questi progressi religiosi sono appunto dovuti non ad un risveglio della vita religiosa maomettana ma all’ attività colonizzatrice europea. Col far regnar la pace, coll’ aprire la strada al commercio per mezzo della navigazione e delle strade ferrate, 1’ Europa ha dato all’ Islam l’opportunità di entrare liberamente in rapporto con popoli che, sino ad ora, gli era difficile o impossibile di raggiungere.
L’ Africa orientale — nell’ interno della quale gli Europei possono penetrare soltanto servendosi degli indigeni della costa, che sono mussulmani — è l’esempio più caratteristico di questa regola generale che, dovunque vanno gli Europei (cristiani), i mussulmani li accompagnano o li seguono, e coi mussulmani l’IsIam.
Ciò che l’Islam ha perso dal punto di vista politico egli spera riguadagnarlo dai punto di vista religioso : in questo modo le vittorie politiche dei popoli cristiani risvegliano e fortificano la potenza religiosa dell' Islam.
Si parla molto oggi del Panislamismo. Per render possibile il Panislamismo bisognava che fossero soddisfatte due condizioni.
1. Che fossero stabilite comunicazioni più rapide tra i vari paesi mussulmani.
2. Che cessassero, o per lo meno si attutissero, le divisioni intestine del-l’Islam.
Queste due condizioni sono state soddisfatte appunto inseguito all’ intervento politico e industriale degli Europei (cristiani).
(1) Vedi un notevole scritto di K. Axenfeld pubblicato nella Rivista Foi et Vie del 15 febbraio e 1. marzo 1912 e tre articoli pubblicati nella rivista Coenobium di Novembre-Dicembre 19x1.
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BILYC1INIS
Sono gli europei (cristiani) che hanno aperte le porte e creato i mezzi di comunicazione tra i vari paesi dell’ Islam.
Ed è di fronte all’ invasione europea che l’Islam è riuscito a trionfare delle sue divisioni e a realizzare una unità interna quale non s’ era più verifi-ta dai tempi del Profeta.
Caso tipico è quello del conflitto acuto scoppiato anni sono tra i capi dei Senussi e la sublime Porta e sul qua|0 i nostri uomini politici, che vogliono astrarre dal fattore religioso anche.... in paesi mussulmani, avevano tanto contato. I progressi dei francesi nel sud tunisino e la presa di Tripoli hanno messo termine come per incanto al grave dissenso e gli avversari si sono uniti per difendere 1’ Islam contro gli europei cioè contro i cristiani.
B. — Ixi reazione all' attività missionaria cristiana.
L’ opera delle missioni cristiane favorisce il risveglio dell’ Islam provocando una reazione religiosa mussulmana in opposizione all’ attività religiosa cristiana.
I mussulmani cominciano a sentire — e coloro che lo sentono maggiormente sono, conte i panislamisti, tra i progressisti dell’ Islam — i mussulmani cominciano a sentire che la loro fede è minacciata dalle missioni cristiane, per quanto queste missioni sieno ancora deboli e scarse di risultati. E più saranno forti e prospere le missioni cristiane tra i mussulmani più questa reazione religiosa dell’ Islam sarà vivace e generale.
Ciò è affermato con forza dall’ Axenfeld, direttore della missione di Berlino. E la cosa si. capisce molto bene quando si pensi alla differenza enorme che corre tra le religioni pagane e la religione maomettana.
I pagani sono dotati di una recettività profonda c crescente per 1’ Evangelo I »orche, di fronte ad esso, il paganesimo perde poco per volta la sua potenza d’ attrazione ; quindi una chiesa cristiana indigena diventa a poco a poco, nei paesi pagani, lo strumento potente che occorre per 1’ espansione cristiana.
L’ Islam invece deriva in gran parte dalla religione rivelata ; il leone del deserto arabo s’è abbeverato alle fonti sacre di Gerusalemme. A questa religione così sicura di sè stessa e della salvezza che pretende arrecare è molto più difficile presentare la salvezza autentica e completa posseduta dal cristianesimo.
Nei paesi mussulmani la chiesa cristiana si trova davanti alle responsabilità e alle difficoltà più gravi eh’essa abbia mai incontrato nella sua storia. Le società missionarie che, senza badare ai maomettani, si sono occupate unicamente dei pagani, devono oggi fare i conti con 1’ Islam perchè — nei pochi casi in cui non le aveva precedute — esso è venuto loro dietro con incredibile audacia.
II. & Mussulmani ortodossi Mussulmani scismatici
Mussulmani eretici.
Il credo ortodosso mussulmano è oltre ogni dire semplice : fede nel Dio unico e nella missione unica di Maometto. La gran massa dei mussulmani è ortodossa.
Questa estrema semplicità dottrinale è però apparente soltanto. In realtà le credenze dei maomettani sono assai più complicate. Essi credono ai demoni
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e agli angeli e alla loro azione malefica e benefica. Credono all’ intervento miracoloso dei santi, credono ad una vita futura (cielo e inferno) concepita con imagirii grossolanamente materiali.
Maometto fu un grande genio religioso ma non fu un teologo. La teologia si sviluppò più tardi sulla base del Corano e delle hadith ossia tradizioni.
Il Corano è considerato coinè libro d’ ispirazione divina, nel senso più rigoroso e più assoluto del termine. L’ ortodosso mussulmano, secondo la definizione più recente (i) è « colui che ritiene per vero nel suo cuore e che dichiara fermamente colle labbra » ciò che il Profeta ha annunziato.
Se consultiamo il Corano, ciò che il Profeta ha annunciato si trova riassunto nei due passi Stirate II, 285 e Stirate IV, 135. Sulla base di questi passi, gli articoli della fede mussulmana sono dunque :
Dio, gl' Inviati o Apostoli di Dio (primo fra tutti Maometto), gli Angeli, i libri rivelati (primo fra tutti il Corano), il giorno dell’ ultimo giudici©.
La teologia mussulmana si è incaricata di spiegare ciascuno di questi articoli. Fra i 41 attributi di Dio ve n’è uno, l’ultimo, l’attributo detto di possibilità (djawàz) che presenta un interesse speciale. Dio può fare o non fare tutto ciò che è possibile. Questo attributo è distinto da quello di forza (kudrah) e da quello di potenza (kaun, kàdiran). In virtù dell’ attributo di possibilità, è possibile a Dio di fare il bene e il male, di rendere credente o incredulo, savio o ignorante ecc. Tutto è tra le mani di Dio, tutte le azioni umane, buone o c^V*.ve. sono creazioni di Dio. L'idea di Dio si confonde con quella di possibilità illimitata. In questo attributo divino è compresa la negazione del libero arbitrio e 1’ affermazione del fatalismo : dottrine professate da quasi tutti i mussulmani.
Ben è vero che si potrebbero citare in favore del libero arbitrio alcuni passi del Corano, particolarmente Surate XXXIII, 72 e Surate VII, 171 ; ma la tradizione si è pronunziata nel senso della predestinazione.
La predestinazione suppone la nozione del peccato. Le due parole usate di solito per indicare il peccato KhatV ah e Uhm corrispondono alle due parole ebraiche che significano mancanza e colpa, termini di cui appunto si serve l’Antico Testamento per esprimere 1* idea di peccato. In quanto ai peccati stessi, 1 mussulmani li classificano in grandi (kabirah) e piccoli (sctirah). I grandi peccati sono quelli che conducono all’ inferno, se non avviene il pentimento : omicidio, furto, adulterio, usura, uso del vino, falsa testimonianza. I piccoli peccati sono quelli prodotti dalle debolezze umane, e, corrispondono press’ a poco ai peccati veniali del cattolicesimo romano.
L’ uomo è salvato dal suo stato di peccato per mezzo della fede in Dio e in Maometto, per mezzo del pentimento, e per mezzo delle buone opere. Lo aiutano in questo lavoro di redenzione personale gli angeli e i santi.
Dio, sin dalle origini, ha mandato agli uomini dei profeti e degli apostoli per recar loro la verità. I principali di questi inviati divini sono Adamo, Idrls (Enoc), Abramo, Noè, Mosè, Gesù, Hùd, Salili, e finalmente Maometto, il più grande di tutti, il rivelatore definitivo la cui legge non sarà abolita fino al giorno in cui apparirà il Màhdi, cioè il Messia mussulmano dell’ avvenire.
(x) M. Hartmann, Der Ulani p. 69,
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Da questi messaggeri divini sono stati recati agli uomini i libri rivelati. Vi sono anzitutto i ioo libri dei Profeti : io mandati a Adamo, 50 a Set, 30 a Idrìs e io ad Àbramo. Poi la Legge di Mosè, il Salterio di Davide, 1’ Evangelo di Gesù e il Corano di Maometto.
Non mi fermo sulle dottrine escatologiche dell’ Islam : esse costituiscono la parte più nota della religione mussulmana (1). Come pure non mi dilungo sulle pratiche rituali maomettane : tutti ne hanno sentito parlare ; esse si riducono a cinque principali :
Le abluzioni (tahàrat)
La preghiera (salàt)
L’ elemosina (zakàt)
Il digiuno del Ramadan
II pellegrinaggio alla Mecca;
In quanto alla guerra santa 0 djihàd, cioè alla guerra contro gl’ infedeli, essa teoricamente è un dovere per lo Stato mussulmano (2).
E veniamo alle adulterazioni 0 deformazioni dell' Islam.
Pei rendersene conto basta recarsi al Marocco, in Algeria, in Tripolitania negli ambienti berberi.
Il Berbero convertito all’ Islam è sempre stato un discepolo del Profeta di qualità inferiore. Lo dimostrano le persistenti superstizioni locali: alberi-feticci, rami di ginestre legati per allontanare i cattivi spiriti, karkor o mucchi di pietre dai molteplici significati religiosi. Lo dimostrano il culto di antichi santi, d’ origine pagana, che sono stati islamizzati, certi racconti più o meno leggendari ecc. ecc.
Tra i Berberi meritano una particolare menzione i Tuareg. Essi praticano un islamismo ridotto alle cinque preghiere quotidiane e fanno le abluzioni rituali con la sabbia anche allorquando vanno errando lungo il corso di qualche fiume. Nel Sudan occidentale i Tuareg portano dei versetti del Corano rinchiusi in piccoli sacchi di cuoio. Il numero di questi amuleti varia a seconda della ricchezza dell’ individuo, perchè bisogna pagarli caro ai marabuti che ne fanno il commercio. Certi amuleti sono stati venduti per venti vacche, cioè per 1600 lire italiane. Per scacciare gli spiriti malefici, i Tuareg ricorrono come i negri feticisti, alla musica e pagano per questo speciali artisti indigeni.
Nell’ UadaT e nel Darfur troviamo alcune feroci tribù che — per quanto
(1) Non sono rari i teologi mussulmani che hanno cercato di spiritualizzare il paradiso di Maometto : I frutti, le acque fresche, gli alberi, i fiori, i profumi, le uri — essi dicono — sono altrettante idee, altrettanti concetti immaginosi che gli eletti si creano per la loro soddisfazione, senza che tutte codeste creazioni abbiano nulla di materiale. Nel Corano difalti si legge : « Ecco i frutti di cui altravolta ci nutrimmo, ma essi non ne avranno che l’apparenza ».
Ma il prof. Montet — che pure è largo di simpatia per la religione di Maometto — dichiara : « Questi testi sui quali molto si è discusso, sono presi alla lettera, bisogna bene riconoscerlo, dall’ immensa maggioranza dei mussulmani ».
(2) Non è il caso di dilungarci qui su questa quistione. Notiamo solo che — se il principio islamico della guerra santa è iniquo — la condotta del mussulmano combattente colle armi per la sua fede religiosa è logica ; mentre la guerra santa invocata da molti cristiani è invece la negazione dei principi fondamentali della dottrina di Gesù.
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n/-\c«vrxnz^ <p<rt* Prof' Pasch«’‘o)
BOSFORO — Piccolo cimitero d’ una sella mussulmana.
DAMASCO — Convenio di Dervisci (Fot. del Dot», t. André. Firenze)
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L* ISLAM MODERNO
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mussulmane fanatiche — sono state accusate da vari esploratori di crudeltà inaudite e persino di antropofagia.
Deformazioni deli’ islamismo possono anche considerarsi quelle concessioni agli usi locali cui abbiamo accennato parlando della propaganda dell’IsIam in Cina.
Altre deformazioni gravi ha subito il maomettismo professato dai Malesi. Gli abitanti dell’ isola di Giava non si fanno scrupolo — in barba al Corano — di rappresentare in vari modi la figura umana ; ne risulta che il feticismo mantiene i suoi diritti. Essi hanno anche degli alberi - feticci ai quali appendono degli ex-voto.
Ma non esistono soltanto nell’ Islam moderno delle deformazioni ; s’incontrano pure in esso lo scisma, V eresia, le sette.
Un celebre scrittore mussulmano, Chahrastàni (morto nel 1153 dell’ era cristiana) ha scritto un’ opera intitolata : « Libro delle sette religiose e delle scuole filosofiche » nel quale descrive le origini e le dottrine di tutti i partiti religiosi e filosofici del suo tempo. Di sètte propriamente religiose egli ne conta 73. Ai giorni nostri questo numero è forse scemato; ma esistono pur sempre nell’ Islam il grande scisma del Sci’ ismo e due sette eretiche di cui diremo qui brevemente.
Lo scisma persiano noto col nome di Sci' ismo ha avuto per origine delle ragióni nazionali e politiche piuttosto che delle ragioni religiose.
Secondo gli Sci’ iti il primo successore di Maometto avrebbe dovuto essere Ali, cugino e genero del Profeta. Invece a Maometto successero Abu - Bekr, Omar, Otman, e fu solo dopo Otman che Ali venne innalzato al grado di Califfo, per soccombere del resto poco dopo sotto il pugnale degli assassini. Tutti i successori di Ali morirono di morte violenta, cosicché gli eredi legittimi della corona e della tiara mussulmane furono spogliati a profitto di usurpatori. Orbene, i Persiani, vinti e schiacciati dagli Arabi, si sono schierati, per mezzo dello scisma Sci’ ita, dalla parte degli Alidi vinti e schiacciati. La religione dei persiani ha dunque un marcatissimo colore politico e nazionale ; lo Sci’ ismo non è nè una eresia nè una setta.
La cosa è assai diversa per 1’ Uahàbismo e l'Ibàdismo.
L’ Uahàbismo è una setta fondata da Mohamed ibn ’Abdu - ’1 - Uahàb che nacque nel 1691 in Arabia. Sdegnato a motivo delle molteplici superstizioni dei suoi correligionari, ei si convinse della necessità di riformare l’Islam. Gli Uahàbiti si chiamano essi stessi Unitari e trattano chiunque non appartiene al loro gruppo di muscrik « colui che dà degli associati a Dio ». Sono dunque monoteisti nel senso più assoluto e rigoroso del termine. Essi hanno cercato nel secolo scorso di fondare un impero nel centro dell’ Arabia, ma non vi sono riusciti. La setta sta attualmente deperendo.
Gli Ibàdisli trovansi in gruppi numerosi in Algeria, in Tunisia, in Tripo-litania (al Djebel Nefusa). Essi sono i puritani dell’ Islam. Per essi 1’ amore del lusso è un gravissimo peccato. Non solo il vino e 1’ alcool, ma il tabacco, la musica, la danza, i giuochi sono da loro considerati come empietà. Tra loro non è tollerato il celibato.
GIOVANNI E. MEILLE.
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L’OPERA SPENCERIANA
ia pur detto subito, senza restrizioni mentali e con sensi di grande ammirazione. Herbert Spencer ha lasciato al proprio paese e alia repubblica delle lettere e delle scienze 1’ eredità di mi nome che sarà per lungo tempo ricordato siccome quello di un uomo ch’ebbe una vita intemerata, una coscienza onesta, un carattere nobile ed alto, un intellètto poderoso e una straordinaria influenza sul pensiero scientifico dell’ età sua.
Ciò posto, domandiamoci : Qual è il pensiero centrale, qual’ è ia nota tematica di tutta quanta l’opera spenceriana?
Il compito che lo Spencer s’impose, fu questo : Scoprire le leggi per le quali da uno stato nebuloso diffuso, la materia è venuta man mano crescendo in concentrazione ed in complessità fino a diventare il mondo qual è adesso. Lo Spencer, che il Darwin chiamò « il nostro grande filosofo », fu il filosofo della evoluzione ; ed è a lui che si deve la formula dèlia legge : « La evoluzione è una integrazione della materia e una concomitante dispersione di movimento durante la quale la materia passa da una omogeneità indefinita, incoerente, ad una eterogeneità definita, coerente, mentre il movimento conservato subisce una trasformazione a cotesta parallela. » E i suoi volumi hanno per iscopo di tracciare l’applicazione di cotesta legge a tutti quanti i fenomeni dell’ universo : astronomici, geologici, biologici, psicologici, sociologici. Così è che il sistema dello Spencer diventa un sistema gigantesco, una vera e propria « Somma laica », come ben 1’ ha chiamato Achille Loria. In cotesta « Somma Laica » 1’ ultima parola della astronomia, della geologia, della biologia, della psicologia, della sociologia è strappata dall’ atmosfera della fede e ricondotta a un primo principio sperimentale che si può riassumer così : A base della scala, la materia inorganica ; poi, la vita organica nel mondo vegetale ; poi, la vita animale e la vita senziente; poi, passando per tutte le gradazioni di cotesta vita - insetti, pesci, rettili, uccelli, inanimali - all’ uomo, che dal cannibalismo preistorico sale alle forme più libere e più delicate della vita ; e sale e sale, destinato coni’ è (perchè anche lo Spencer ha la sua escatologia) a quell’ universo nuovo che, nel modo eh’ei ben non sa, dovrà uscire dalle ceneri dell’universo attuale. E codesto principio, codesto Potere non « sapientemente tutte le cose regge e governa », come diceano i nostri buoni trecentisti, ma fatalmente tutto dirige e fatalmente tutto migliora, e rende superfluo ogni intervento dell’ uomo.
E’ l’ascoso Potere che senza concorso d’ opera d’ uomo trascina 1’ universo alla volta del palio. « Studiate le leggi dell’ evoluzione » dice lo Spencer ne’ suoi « Data of Ethics ». « cercate di afferrare lo scopo verso il quale tende il Potere che si manifesta nella evoluzione ; e siccome la evoluzione ha mirato e mira alla forma più alta della vita, ne consegue che il conformarsi a que’ principi che conducono a cotesta forma superiore di vita, è affrettare il giorno della perfezione delle cose. » Tutto ciò che 1’ uomo potrebbe escogitare o tentare
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l’opera spenceriaxa
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di propria iniziativa, indipendentemente da cotesti principi, sarebbe inutile, se combinasse esattamente con cotesti principi ; e se con essi non combinasse sarebbe dannoso, in quanto cercherebbe di ritardare il conseguimento dello scopo a cui mira la evoluzione. E appunto in base alla fede nella onnipotenza di co-testo fatale evoluzionismo, che è per lui un « ritmo evolutivo », lo Spencer combatte la legislazione sociale, il movimento operaio, c tutto ciò che nella società moderna tende a riparare i guai che son la triste eredità di un non lieto passato; ed è sempre la cieca fede in cotesto cieco e ascoso Potere, che spiega gli anatemi che sonano come tante note stridule e discordanti nelle ultime opere del grande filosofo.
Ed è in codesta sua critica che, come ha detto Achille Loria, sta « i! solo grande errore della vita del filosofo ». Io direi piuttosto : « In codesta sua critica sta uno de’ grandi errori del filosofo ». « Egli non vide » dice il Loria « le antinomie fatali che si sprigionano dagli irrazionali ingranaggi della e-voluzione, e che vanno seminando sull’ impetuoso suo corso miriadi di vittime. Egli non avvertì la funzione civile e riparatrice dell’opera umana, la quale sola può attenuare i disastri dello sviluppo immanente delle cose. Potente investigatore della lotta per 1’ esistenza ne’ campi della biologia, non intese le singolarità della lotta sociale, le quali accordano il più delle volte il trionfo agli esseri più abbietti c degeneri, di cui 1’ ascensione medesima della specie richiederebbe la disfatta c lo sterminio. Avversario nobilissimo delle ingerenze del potere là dove esso è effettivamente patrono della nequizia, non si peritò di protendere le proprie avversioni alle forme più salutari della disciplina sociale. Or è a questo punto che il nostro ossequio alla parola del Maestro si arresta, che il nostro dissidio s’inizia. » (i)
Nonostante i suoi punti deboli, la « Somma laica » dello Spencer è ai dì nostri un fenomeno interessante. Con tutto il poco gusto che 1’ età nostra ha per la metafisica, non vi fu forse mai età che quanto la nostra si affaccendasse intorno a delle teorie generali dell’ universo. Come mai ? Una delle cause di co-testo fatto sta senza dubbio in questo sentimento, che anche la scienza moderna ha fatto non poco per generare : che, cioè, una grande unità pervade tutti quanti gli ordini della esistenza. L’ingenuo politeismo del buon tempo antico allorquando ogni poggio ed ogni fontana possedevano la loro speciale divinità non è oramai più possibile, oggi, con le nozioni che abbiamo dell' universo. Da pertutto questa grande verità comincia ad imporsi allo spirito umano : che qualunque altra cosa possa essere 1' universo, è un fatto eh' esso è uno ; che un u-nico ordine di leggi tiene assieme il tutto ; che un’ unica armonia lo pervade ; quindi, lo sforzo che veggiam da tante parti fatto per assorgere a un punto, d’onde le cose possano essere abbracciate, afferrate nella loro ineffabile unità. E tale fu lo sforzo dello Spencer. A neh’ egli a modo suo, tentò di riassumere
(I) « Herbert Spencer » di Achille Loria nel Marzocco, Anno Vili, N. si. io dicembre 1903. Firenze.
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tutto quello che è, o che è Stato, o che sarà, tutti i fenomeni esistenti nella natura, nella storia, nell’ intelletto, in un ordine definitivo di poche formule. E la mente umana che si fa tanto più ardita quanto più progredisce in conoscenza, e spera, se non di arrivare a una soluzione finale degli ultimi misteri della sua esistenza, di ridurre almeno completamente sotto il proprio dominio quel tanto eh’è da lei conosciuto.
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In religione, lo Spencer fu un agnostico ; e forse, ne’ tempi nostri, il più illustre fra i rappresentanti dello agnosticismo.
Che cosa sia lo agnosticismo, lesciamolo dire al Prof. Huxley, che fu l’inventore della parola : « L’ agnosticismo non è un credo ; è un metodo, 1’ essenza del quale consiste nella rigorosa applicazione di un singolo principio......
Positivamente, codesto principio può essere espresso così : In materie che si riferiscono all’ intelletto, seguite la vostra ragione fin dove essa vi conduce, senza riguardo ad alcun’ altra considerazione. E negativamente : In materie che si riferiscono all’ intelletto, non dite mai che queste o quest’ altre conclusioni sono certe, quando non siano dimostrate o dimostrabili. Questa io reputo essere la fede agnostica, la quale darà all’ uomo che la ritiene pura e immacolata, di guardare a fronte aita, in faccia, 1’ universo, qualunque Cosa l’avvenire possa tenere in serbo per lui. » (i)
L’ agnosticismo dello Spencer non è però originale ; è, come d’altronde egli Stesso ha più volte candidamente ammesso, una derivazione dello agnosticismo dello Hamilton e del Mansel ; e servì allo Spencer come una specie di, mi si permetta 1’ espressione, « domicilio coatto » in cui poter confinare tutti quanti i problemi metafisici, allo scopo di arrivare a costruire, con un minor numero d’inpedimenti, il suo sistema filosofico a base di evoluzione naturale. Per salvare la sua dottrina della evoluzione naturale da ogni collisione coi presupposti della fede, ei pose la dottrina della inconoscibilità dell’ Assoluto come un muro di separazione tra la filosofia e la religione ; e stimò, così facendo, d’ aver conclusa tra la filosofia e la religione una pace eterna. Cotesta pace fu ella veramente conclusa ? Non solo non fu conclusa ; ma lo Spencer, dice il Ptleiderer, con cotesto suo modo non fece altro che privare la religione del suo contenuto, e privare il proprio sistema filosofico de’ suoi principi più importanti ed essenziali.
Ne’ suoi « Primi principi », lo Spencer ragiona così : Siccome la religione ha sempre avuto una grande importanza nella storia della umanità e ha potuto resistere agli attacchi della scienza, è un fatto che deve contenere un elemento di verità. Ma le religioni che pretenden esser vere, son varie; e anche la scienza può legittimamente aver codesta stessa pretensione ; quindi, siccome la verità è una, converrà che cerchiamo la verità in quello che le varie religioni hanno a comune fra di loro e con la scienza. Ma codesto elemento comune non può essere un concetto definito dell’ Assoluto o della causa prima del mondo ;
(r) Agnosticism. Nineteenth Century, febbr. 1889.
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chè gli è precisamente su cotesto punto che le opinióni divergono ; e in ognuna delle tre principali teorie — Ateismo, Panteismo e Teismo — si addimostra la impossibilità di una soddisfacente soluzione che non contradica a se stessa. Che ne consegue ? Ne consegue che Dio, 1’ Assoluto, l’Incondizionato, non può esser da noi conosciuto, e riman per noi un grande mistero, come del resto tutte quante le religioni più o meno riconoscono che sia. La differenza sta tutta qui : Le religioni considerano cotesto mistero come soltanto relativo : il filosofo invece, lo considera come assoluto. La scienza e la religione sono qui d’ accordo; chè la scienza nulla conosce circa le idee più universali di forza e materia di spazio e tempo ; ella può soltanto arrivare a conoscere le cose, paragonandole con delle altre che a coteste somiglino ; ed è perciò appunto eh’ ella è incapace di conoscer 1’Assoluto, perchè 1’Assoluto non si può con alcun che d’altro pa-paragonare.
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Con la sua teoria dell’ Assoluto lo Spencer si stacca dallo Hamilton. Il concetto dell’ Assoluto, per lo Hamilton, è concetto puramente negativo : per lo Spencer, invece, è concetto eminentemente positivo. Non é, cioè semplicemente 1’ I-gnóto che sorpassa ogni nostro intelletto ; è una « Causa » ignota, sì, ma positiva; è un Assoluto che ha la sostanzialità, la causalità, l’eternità, la immutabilità per predicati. E’ la Forza misteriosa che non muta mai in mezzo al continuo mutare delle varie forme in cui si manifesta; è la immutabil Forza universale, la realtà assoluta, la ragione ultima di tutto ciò che è relativo e fenomenale. L’universo intero ha la sua spiegazione nell’attività di codesta Forza assoluta, che si esplica ritmicamente per via di attrazione e di repulsione, d’integrazione e di disintegrazione, di evoluzione e di dissoluzione. I fenomeni della natura e della vita del pensiero stanno tutti quanti sotto le stesse leggi generali della materia, del movimento e della forza ; materia, movimento e forza, che non sono che de’ simboli di quell’ assoluta Realtà o di quella Forza, che in se stessa nessuno può arrivare a conoscere.
Codesto evoluzionismo agnostico è chiaro che non è altro, in realtà, se non un panteismo materialistico ; chè se il principio supremo d’ogni cosa non è che « forza » la quale manifesta se stessa in varie attività, è evidente che siffatta teoria non ci porta molto più in là del materialismo. Affrettiamoci però a notarlo ; cotesto Assoluto, che, negativo nello Hamilton, nello Spencer diventa non solo positivo, ma nel sistema di .lui acquista il corredo di attributi di sostanzialità, di causalità, di eternità e d’ immutabilità, accenna ad un qualcosa di più alto ancora, a cui forse lo Spencer avrebbe finito con l’assorgere, se non fosse stato così avviluppato nelle reti del suo ritmo evolutivo.
E quanto dogmatismo in mezzo alla negazione spenceriana del dogmatismo ! Considerate bene codesti attributi. L’Assoluto, dice lo Spencer, ha questi e questi altri attributi. L’Assoluto, continua egli, manca di questi e di questi altri attributi. Ma tutto codesto non è egli puramente arbitrario? E con qual ragione assegna egli all’Assoluto degli attributi metafisici e dinamici e gli nega degli attributi intellettuali ed etici? Considerando che questi secondi sono di un ordine più alto di quello a cui appartengono i primi, si direbbe anzi che son
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questi appunto gli attributi che meglio si addirebbero all’Assoluto. E quel eh’è più strano ancora si è questo. Proprio nel tempo in cui la Dogmatica cristiana raccomanda ai teologi di rinunziare all’affermazione trascendentale degli attributi come la si soleva fare per lo passato, e di confinarsi a pensare alla Divinità movendo da un punto di vista esclusivamente antropologico, proprio, dico, in cotesto tempo, lo Spencer va librandosi sulle ali della speculazione per dare al suo « Assoluto inconoscibile » degli attributi trascendentali che, evidentemente, sono troppo scarsi per i requisiti della religione, ma anche troppo abbondanti per la difesa della sua « Nescienti» ».
Lo Spencer domanda per il suo Inconoscibile un culto religioso. Ma cotesto culto è una impossibilità per il cuore umano. Egli è ben vero che ogni religione contiene un elemento di mistero, in quanto che la intelligenza finita non può essere la misura dell’infinito ; ma una religione che sia tutta quanta un mistero, è una nozione assurda e impossibile, e non sarebbe altro che l’apoteosi della ignoranza. L’omaggio che noi rendiamo all* Essere in cui « sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza » e tutta l'inesauribile ricchezza dello sconfinato dominio della Verità, non ha nulla che fare col muto stupore della ignoranza o della schiacciante paura del sovranaturale che troviamo nell’adoratore de’ feticci, la cui religione è quel che v’ha di più vicino alla religione dell’ Inconoscibile.
E ancora: E’ egli proprio vero quel che lo Spencer afferma circa le relazioni che passano fra Religione e Scienza? Il Flint, nella sua magistrale opera sull’ Agnosticismo, per esempio, lo contesta. La religione, dice lo Spencer, ha sempre avuto per proprio oggetto l’inconoscibile; e la Scienza, il Conoscibile. E questo affermando, lo Spencer rappresenta la religione come sempre intenta a spogliarsi d’ogni conoscenza immaginaria, fino al punto che non le riman piu conoscenza di cui disfarsi; mentre la scienza è sempre stata intenta a liberarsi da tutto ciò ch’era immaginario e oggetto di congettura, per familiarizzarsi sempre più e più largamente e intimamente con ciò che è fenomenale ed empirico. I fatti adeguatamente ed imparzialmente studiati, afferma il Flint, non soltanto non corroborano, ma contradicono cotesto generalizzare dello Spencer. Quel che la storia realmente ed ampiamente dimostra si è che tanto la scienza quanto la religione hanno progredito nel medesimo modo. Ambedue, lentamente forse, ma, tutto considerato, sicuramente, hanno imparato a correggere i loro errori e ad accrescere sempre più il patrimonio delle conoscenze a loro proprie. Nè l'una nè l’altra ha cominciato od ha finito con la supposizione che il Potere o la Forza che l’universo manifesta, sia del tutto inconoscibile. Conoscenza e fede, religione e scienza, non stanno fra loro in relazioni antitetiche, ma son cose intimamente affini, in quanto che procedono da una identica sorgente, sono nutrite da un medesimo alimento da alto, e tendono agli stessi fini divini.
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Un fenomeno sintomatico. — Nel dicembre del 1903, ai funerali dello Spencer fu notata una certa tal quale indifferenza del popolo inglese per la ceriino-
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nia ; indifferenza eh’ era espressione non certo di mancanza di stima e di rispetto per il grande estinto, ma piuttosto di mancanza di entusiasmo per le sue teorie. E i nostri giornali ne dissero di tutti i colori ; dissero che l’Inghilterra morale e intellettuale era da un lato troppo materialista e terre - à - terre, e da un altro troppo teologica e bigotta per apprezzare, ammirare e sentire la filosofia positivista; che in Inghilterra, fra l'officina e la Chiesa non c’era posto per 1*Ateneo filosofico. Ma affermare che fra l’officina e la Chiesa non c’è posto in Inghilterra per l’Ateneo filosofico, e che la mancanza d’entusiamo per i funerali dello Spencer s’avesse a spiegare con codeste altre ragioni, non era davvero dir delle cose serie e sensate. La ragione ultima di cotesta mancanza d'entusiasmo stava ben altrove; stava nel fatto che in Inghilterra il vero pensiero cristiano è più evoluto che da noi, e che il forte pensiero scientifico vi drizza le vele verso lo spiritualismo, e non si accontenta più delle affermazioni del filosofo che noi, con uno de’ soliti nostri secentismi, abbiati) chiamato nientemeno che «l’anima pensante del secolo XIX».
Io domando a cotest’anima pensante: — « Dimmi, com’è che vive e palpita questa immensità dei tutto ?....» E il filosofo : — « Forza impersonale » risponde: — «E sai tu dirmi che cosa ella sia questa « Forza impersonale?... » — « Inconoscibile. » — «E che cos’è mai questa nostalgia del divino che m’agita e mi rende insoddisfatto di tutto quello che a me dintorno si muove, e che s’ acqueta soltanto allorché il Cristo mi sussurra : « Là dove io sono anche tu Sarai ?... » E il filosofo : — «Un rudere di superstizione le cui origini stanno nelle ingenue fantasie del selvaggio primitivo». — «E chi la regola dunque tutta quanta questa vita multiforme dell’universo ?... » — « La legge della evoluzione». — « Ma e il mio w, e queste mie facoltà, queste mie morali energie, nella soluzione del gran problema etico del mondo, poiché anche tu mi dici che esiste per il mondo un problema etico, non han dunque missione alcuna ?... » — « Alcuna ; la legge dell’ evoluzione ha in sé una influenza fatalmente miglioratrice, che rende inutile ogni opera tua. »
Ora, tutto ben considerato, non mi par poi tanto irragionevole se nei paesi evangelici dove vive e aleggia e opera lo Spirito di Cristo, si ritien per fermo che l’insegnamento del profeta di Nazaret relativamente a Dio, al problema della vita, alla origine ed al destino delle cose, è ancora quello che meglio del « ritmo evolutivo » del filosofo di Derby, risponde ai bisogni dell’intelletto, del cuore e della coscienza dell’uomo.
GIOVANNI LUZZI.
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Il eMisticismo di Caterina, da Siena.
li stati mistici dell’ anima non sono comprensibili e analizzabili facilmente, dice un moderno psicologo, il James, perchè per essi necessiterebbe un’ osservazione subiettiva ; il che già osservava Angelo da Foligno a proposito della vergine senese. Ma ogni scritto di un mistico, ogni notizia, benché minima può valere come documento psicologico, e l’introspezione stessa Straordinaria, che questi spiriti grandi esercitavano su se stessi, può sovente servirei di lume e di guida sicura, alla ricerca della verità attraverso le tenebre, che hanno accumulate la malafede e la fantasia dei credenti intorno a questi
esseri, che vengono dall’ alto e tendono in alto. Ecco quindi l’oggetto del mio modesto lavoro, ricercare cioè negli scritti della Benincasa il sentimento mistico, che li ha ispirati, conservando la mente e il cuore scevri da ogni pregiudizio e da ogni passione, e dimenticando ciò che hanno scritto della donna misteriosa i suoi numerosi biografi, da Raimondo da Capua a Nicolò Tommaseo.
Non a torto il Gerson chiamava lo stato mistico una percezione sperimentale della divinità. Tralasciando tutte le divisioni, che i teologi mistici fanno di questi stati psichici - isterici, accennerò alla più diffusa teoria di Santa Teresa, esposta nel suo castello dell' anima. Teresa Sanchez de Cepeda, che sotto il'rispetto mistico - letterario è per gli Spagnuoli ciò che la Benincasa è per gl’ italiani, divide questo raptus animi extra sensus in quattro stadi : la quiete, l’unione, l’estasi, lo sposalizio spirituale ; tra le quali divisioni ammette degli stadi intermedi.
Caterina da Siena, anima pura, spirito contemplativo, nell’ opera sua non ricerca le quisquilie scolastiche : anche in ciò mostra il genio della sua gente. Ella, amante appassionata del divino Gesù, ha meditato sulla sua passione e sui misteri della sua incarnazione, del suo Sangue preziosissimo, che si trasmuta quotidianamente sull’ altare, ripetendo infinite volte quell’ atto di amore Sublime di mutarsi da essenza divina a fango terreno. La sintesi di questi pochi elementi di fede non è grave ; la sua mente non si perde quindi in discussioni teologiche, abbraccia con facilità, rendendolo sempre più omogeneo, quello spirito religioso, che aleggia intorno al suo cuore. E la sua anima semplice si slancia a Cristo Gesù dall’ intimo del cuore ; da queste preghiere emotive l’anima cade in un’ o-bliosa quiete, in un mare omogeneo di luce, dove Dio solo è ; in una pace senza confini esulta la preghiera tutta avvolta dal fascino di quella divina Luce.
La teologia, o meglio la psicologia di Teresa di Gesù, dà per sintomi del primo stato cioè della quiete, un intorpidimento, diciamo così, di coscienza, causato da un rallentamento di circolazione, da un offuscamento d’ ogni facoltà, accompagnato da una debolezza di respiro. In questo stato 1’ anima è assorbita in Dio, ma presto si risveglia e, inquieta, cerca la preghiera per 1’ adorazione del-
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S. CATERINA — particolare del quadro (Fot. f.IIì Alinari)
"Santa Barbara e altre Sauté » di Matteo di
Giovanni di Bartolo (Siena. Chiesa di S. Domenico)
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IL MISTICISMO DI CATERINA DA SIENA 153
V Oggetto infinito, là paròla di carità e di fede per la conversione del prossimo. E 1’ Oggetto intanto sfugge a ogni immagine, come un sogno assai dolce e lontano ; onde in alcuni passi dei poeti mistici si sente solo un’ armonia indefinita, imprecisa. Il Novalis, per esempio, voleva una poesia tutta suono, che nulla e-sprimesse di concreto ; il Verlaine, il ritmo « sans ríen qui pése, ou qui pose ».
Angelo da Foligno, dopo le sue estasi, esclamava, rivolgendosi a frate Arnaldo, che scriveva ciò che egli dettava : « tutto ciò che ho detto è niente ■ non ho senso, io non posso parlare ». Questa stessa confessione d’impossibilità a manifestare con la parola i misteri mirabili dello spirito si trova infinite volte negli scritti di San Giovanni della Croce (1), di Teresa di Gesù, di Caterina da Siena (2).
Mirabilmente dùnque la mistica Teresa, spirito acuto, che solo può competere nello studio psicologico con Agostino di Tegesta, caratterizza lo stato mistico.
In questo primo stato si ritrovava spesso Caterina, scrivendo a re e a governatori, a peccatori e a discepoli : in Lei rimanevano svegli 1’ anelito del Sangue di Cristo e la parola di fede per la Sua missione domenicana.
Il secondo stadio dell’anima in ascensione è V unione : in questo l’anima e sveglia rispetto a Dio, ma addormentata rispetto a tutte le cose della terra e a se stessa; nessun potere intellettivo o volitivo palpita in lei, perde Io spirito ogni coscienza di sè sotto l’occhio di Dio che lo tormenta, non comprende quello che gli accade d intorno, e il corpo intorpidito non può agire. Quando 1’ anima rinviene sente la certezza che Dio è entrato in essa ed essa in Dio.
I.' eslasi produce l’assorbimento di ogni facoltà in Dio, essa è ì’inebriamento piu sottile dello spirito in un monoideismo subliminale. L' anima, fu detto si consuma tutta per inabissarsi in Dio : non s’ agita in essa più la ’vita sua’ ma quella dell’ oggetto contemplato, la divinità. In quell’ istante la bocca confusamente parla e benedice, allora prorompe quell’ impeto umano subcosciente di passione, impregnata da quella luce di estasi, che potremo ritrovare in mólte lettere di Caterina, dove la visione e l’ardore del sangue di Cristo raggiungono il culmine del parossismo. A questo stadio s’ aggiunge la visione istantanea ; il rammarico di questa visione fuggita è sovente espresso dai mistici come un dolore acerbissimo, che loro vieta la meravigliosa estasi. « Stentando muoio per desiderio », esclama là vergine, rapita in estasi. E' 1’ ora delle stimmate e di tutte le strane aberrazioni.
i ip M /luarto stadio detto da santa Teresa « Sposalizio Spirituale, » è la vittoria dell anima, che ha vinto la carne e il mondo esteriore ed è riunita, assorbita totalmente ed m eterno, in Dio. Gl’ impetuosi rapimenti sono rari ; l’anima « soccombe sotto gli sforzi delle divine strette, e i baci dello Sposo suo non la fanno piu tramortire.... e gusta tra le sue braccia i piaceri delle intimità coniugali » (3). Strano linguaggio ! Esso dimostra a vive tinte il sensualismo spirituale dell ardente spagnuola, détta la regina delle isteriche.
(i) Nòtte Oscura I, n, cap. XVII.
(2) Nicolò Tommaseo — Lettera 219, voi. III. (3)8. Teresa -- Il Castello dell’ anima.
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Quest’ estasi sacra, come rileva anche un altro grande mistico, Francesco di Sales, è attaccata all’ intelletto e alla volontà, anzi in Caterina 1- estasi si attacca così forte alla volontà da soggiogarla, spezzando ogni altro volere che non sia quello di unirsi a Cristo Signore.
I psicologi moderni riducono gli stati mistici sopradetti ad un solo, cioè all’ esaltazione del sentimento religioso. Il Ribot, benemerito di questi studi (i), giudica che lo stato di coscienza in questi spiriti malati corrisponde ad un monoideismo e ad uno stato puramente affettivo, che si risolve in un’ incoscienza totale. Egli intravide pure in questo stato anormale un lato positivo, 1’ assorbimento dell’ intelligenza, di quella facoltà, che costituisce l’elemento intellettuale, nel sentimento religioso esaltato (poiché, secondo la sua opinione, l’estasi è una forma acuta d’ipertrofia dell’ attenzione, di cui è forma cronica l’idea fissa) e uno negativo, 1’ annientamento della volontà. In Santa Caterina, differentemente dai quietisti si mostra più spesso questo secondo elemento del fenomeno psichico : ella ha negato la sua volontà, 1’ ha mortificata pur volendo il predominio dell’ amore di Dio ; tutta la sua vita s’intensifica in quest’ ardore spirituale. Nella Benincasa 1’ io è caduto, e tutta la sua personalità è ridotta all’ ebbrezza fuggevole, estatica del sangue di Cristo, che le cade incosciamente sotto la penna, in ogni lettera.
Ma quest’ estasi, per le condizioni necessarie alla vita fisiologica, non può durare lungo tempo ; allora ritorna quotidiano e più crudo il tragico dualismo, pur rimanendo sempre propulsori d’ogni azione i concetti della fede. Santa Caterina, come si può dedurre da alcune sue lettere e dalle notizie criticamente accertate intorno alla sua vita, sentiva semplicemente attacchi di catalessia, durante i quali le idee religiose dominanti, o comunicate qualche volta nel momento stesso dell’ attaccò, (come avvenne nel fenomeno delle stimmate, presente frate Raimondo), davano a tutto il corpo un’ attitudine armoniosa ed espressiva.
Dopo gli ultimi studi sull’ io del Fanet, dell’ Azam e del Binet, oltre alla coscienza personale, si deve ammettere anche 1’ altra, così detta, subliminale ; perciò, quando ho detto che in Caterina la coscienza è annientata, alludevo alla coscienza personale, non alla subliminale, che viene favorita ed accresciuta dall'estinzione della prima. La coscienza dunque subliminale è formata dall’ immenso cumulo di elementi psichici subcoscienti, che non affiorano al limitare della coscienza riflessa.
Frutto di questo isterismo di Caterina fu quella perpetua verginità di cuore, quel perpetuo rifiorire di pura fede, quell’ aumento di energie vitali nel corpo così cagionevole, benché avesse appena oltrepassato le trenta primavere. La coscienza subliminale opera lentamente e Suggerisce, laddove la coscienza personale riproduce le visioni, le parole interiori ; i così detti dal Myers messaggi subliminali si portano alla soglia della coscienza e diventano motori di virtù, di santi desidèri, di generose risoluzioni.
Ora, lasciando 1’ esteriorità, penetriamo nell’ intimo del cuore della vergine
(x) Th. Ribot, Maladies de la Volonté-et psycologie de 1’attention — Logique des sentiments — Psycologie des sentiments — Alcan, 1896 — Hdffding, Ethik Lipsia Reisland. ’ ’
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Il misticismo di Caterina da siena
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suora : esso è un tempio, dolce nella sua tristezza, un santuario pieno di silenzio e d’ amore. Ella aspira alla quiete misteriosa della cella, quando sente I’ anima sua disfarsi lentamente, e la bocca sfiorata dalle labbra invisibili dello spirito di « Gesù dolce, di Gesù amore e suo Sposo celeste ». È l’intima poesia della ricerca d un solo bene, nella solitudine mestamente luminosa, in una dedizione senza fine :
« Silenzio : e pur qualcuno al fianco mio cammina ».
Sei tu, dolce Gesù, sei tu, esclama, nella illusione di vedersi sanguinare il cuore e le estremità. E’ l’aspirazione, divenuta delirio: Ella sente intorno a sè e in sè un Essere che vibra e attira : sotto quell’ impulso d’illusione, dovuto a condizioni patologiche delle sue funzioni cerebrali, è nata qualche sua strana lettera. Vive allora nella gioia misteriosa, nella trepidazione deliziosa, che noi non possiamo tutta comprendere.
Queste ragioni psichico - patologiche riusciranno sempre più a palesarci la sincerità e la schiettezza del suo linguaggio epistolare. Ella sente così il suo corpo errare per la terra con la missione della carità, dell’amore e dell’esortazione-sente, rifugiata nei più acuti dolori, nelle più desolate mortificazioni, nella più spaventevole solitudine, il suo spirito che parla col dolce Gesù ; in questi colloqui, m quest’ ascesi al suo grande Fine tutto è dimenticato, il mondo della realta e della carne, ogni pensiero terreno, ogni affezione naturale : la varietà è morta, solo un mare immensamente esteso, lúgubremente lucente, leggermente commosso e tremolante s’apre all'orizzonte della mistica creatura, nella voluttuosa illusione d’ un’ alba, in cui assetata l’anima si annega. Perduto è allora finanche il sentimento del suo corpo , pieno di letame, tanta è la purezza interiore dell anima sua. Ella però non è ignara del fango del mondo ; il suo linguaggio è libero, senza esagerazioni e senza reticenze ; nella forza sincera del suo cuore vergine, tutto ella dice, a tutti parla, fino alla meretrice, esortandola a sorgere dal suo stato d’ abiezione, di tutto ragiona, anche dei piaceri coniugali, anche della circoncisione, come una colomba, che trasvola sul fango senza macchiarsi le bianchissime ali : non vive rinchiusa, anzi, per l’indole stessa del-ordine religioso a cui appartiene, viaggia, libera, in Italia e fuori, fra tante otte e tanti odi accaniti ; conosce tutti gli allettamenti, tutte le gioie, tutt- le lascivie della vita, rimproverandole, in maniera speciale, nelle lettere alla perfida ed immonda regina Giovanna di Napoli. Non era, dunque, in pericolo la sua purezza ? No, moralmente parlando ; perchè la giovane suora, anche in quegli istanti pericolosi, in quelle circostanze difficili, viveva d’una solitudine interna e non abbandonava mai il colloquio quotidiano, amoroso coll’ anima sua e col Re dell anima sua. Caterina era portata dalla corrente del mondo esteriore, si aggirava sola soletta nella folla, come nella solitudine purissima dell’ asceta moderno che ascolta solitario, in una piazza rumorosa, gaia e fremente di piaceri, una soave ouverture di Bach.
La sua missione politica è tutta una missione d’ amore. Ella ingnora « gli accorgimenti e le coperte vie » dell’arte diplomatica, e parla a tutti, senza ambagi, il linguaggio della certezza che sente in sè. Cristiana convinta, rimprovera
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i Fiorentini ribelli al papa, perchè questi è considerato da lei come padre della cristianità, cui come a genitore .non si deve togliere rispetto, e verso cui non è lecito alzare le mani. Se non per pregarlo ùmilmente. La forza della sua dialettica, la sua logica di popolana è nella sua fede, che si erge, come una vetta altissima, nella sua mente, al disopra delle bassezze della vita ; il sub vigore straordinario ha origine dall’ abbondanza di quel che sente nel cuore.
Nell’ umiltà che la riveste è la ragione delle vittorie ; la sua forza finale è nella sua pietà, e il tutto è sempre accresciuto dal buon senso, che non manca alla figlia del pòpolo senese, ispiratrice di governi, buon senso che è una virtù genuina dell' arguta gente toscana. A Lei furono affidate difficili missioni, per le quali oggi richiederebbesi volpino naso diplomatico, laddove nel trecento bastava la santità della vita, perchè una religiosa venisse richiamata dal convento alla gloria del mondo ; tanto allora potevano Sugli animi rozzi, ma pieni di fede, i supertiziosi richiami di missioni divine e di apostolati miracolosi.
La Benincasa non conosce le sottigliezze stereotipate della scolastica, le insulse ed aride metafisicherie, vere fasciature dello spirito libero, nè sa le inestricabili spire del sillogismo e del sofisma, in cui si avvolge il misticismo di Scoto Erigete, di Bonaventura da Bagnorea e di quel gigante, legato ad Aristotele come Prometeo allo scoglio, Tommaso d’ Aquino. La morale della vergine di Fontebranda è semplice e genuina ; essa consiste nella sua pietà, nel fondo buono del suo cuore generoso. Ella smaschera così gli egoisti, gl’ ipocriti, i malvagi, anche quando li riconosce adorni di mitre, di zucchetti rossi, violacei e paonazzi ; non riconosce santi, madonne, ordini angelici e serafici, parla poco del culto esterno, delle preghiere vocali e non conosce quasi il Dio del mondo fittizio della chiesa ufficiale : innanzi ai suoi occhi, assetati d’amore infinito, c’ è una sola, unica visione : un crocifisso sanguinante, che si solleva sulla purezza dei sensi attutiti, ma non vinti, e la sua voluttà, la superstite forza della sua carnalità si espande in un desiderio accesissimo di morire annegata in quel Sangue prezioso.
Scrivendo Ella opera incosciamente ; non conosce tutto il valore di certe espressioni, direi, senza molti dubbi, che l’indovina appena :■ e però tutto quello che c’ è di strano, d’ evidente, di smagliante, di barocco nel suo stile è tutto esf)ic$s'vaìncnle sincero. Si esprime chiaramente; ha una specie di frasario epistolare e se ne serve ; a chiunque scriva, rimane sempre avvolta in una certa serenità, in una calma imperturbabile, come se parlasse a se ’stessa ; il principio e la fine delle numerose sue lettere sono quasi sempre « Gesù dolce, Gesù Amore » : ha sempre vivo e presente alla sua coscienza il sentimento della propria piccolezza e il pensiero della grandezza infinita dell’ oggetto del suo amore purissimo, il Sangue preziosissimo dèi Redentore.
Il Dialogo è opera minore della Senese; in esso vengono svolti in quattro petizioni quei princìpi morali e civili, che informarono la scrittrice celebre delle lettere e la donna politica. Giosia Semlero dice di quest’ opera : « I Dialoghi di codesta vergine, in sei trattati distribuiti, contengono divina ed ammirevole sapienza in prò della vita spirituale » (1). Il Dialogo si svolge tra 1’ a(1) Il Gigli pubblicò in Roma nell’anno 1717, in quattro volumi, le opere della nostra autrice ; il Secondo volume contiene il così detto Vocabolario Catcriniano (ai nostri
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mma e Dio, a cui essa propone quattro domande, e dal quale riceve quattro risposte. La prima chiede in qual modo si possa conoscere la verità ; la seconda che Iddio buono sia misericordioso con la sua Chiesa, riformandone i corrotti costumi, la terza postula il bène di tutto il mondo e la pace perpetua tra i popoli ribelli alla Chiesa ; là quarta finalmente rivolge alla Provvidenza calda preghiera, affinchè sia a tutti tenera madre ; accenna ancora ad un caso ignoto della sua vita, senza però precisarlo. Non sono questi i princìpi, che nella vita e nelle opere trovano un’ applicazione completamente fedele e rigorosa ?
Da ciò appare manifesto, come là vergine Benincasa non si perdette mai nelle esagerazioni e nelle astruserie, che formeranno la delizia di Giovanni Ruy-sbroek, di Molinos e di Madama Guyon, delizia, che finì tragicamente per il povero Molinos e che tante amarezze arrecò alla mistica donna francese.
Se Caterina fosse vissuta in altri tempi, forse avrebbe anche lei salito il patibolo, a somiglianza di fra Girolamo Savonarola, di Giordano Bruno e di tutti gli altri oscuri martiri del pensièro. Certo se avesse tenuto ai nostri giorni quel linguaggio, così dritto e schietto, contro gli alti papaveri, « i fiori puzzolènti del giardino della Chiesa » come ella dice, non avrebbe, con tutta la sua santità, deprecati dal suo capo di figlia ribelle e feroce anticlericale, i fulmini, oramai spenti, del Geova del Vaticano. Ella, infatti, terribilmente stigmatizzò, come Dante, chierici e prelati, liberamente parlò del Papato, ma non cessò mai d’ essere una fervente Domenicana in difesa delle somme chiavi. Accusava e rimproverava acremente « i principi dei nuovi farisei » perchè il suo cuore di figlia, sensibilissima all’onore della sua famiglia spirituale, sanguinava e fremeva di dolore alla vista dei disordini, della corruzione, che dilagava nella casa del << babbo suo dolce », ma la sua fede le imponeva il rispetto al papa e ai ministri della Chiesa, e certo fu sempre coerente a tale dottrina.
Se la scolastica impose la logica e la dialettica, la mistica richiese purità e semplicità, fuoco di carità, d’ amore : tutto ciò fu impresso particolarmente nelle opere della verginella di Siena c lo scorgiamo riflesso in tutte le pagine che sembrano accese da un poetico furore, da una energia d’immagini, piene di grazia e di soavità. La sua prosa schietta, ingenua, soave, a tratto veemente, addolcita da quella malinconia feminile di giovane isterica, che traluce, come chiarore di alba, nel puro eloquio del trecento, riflette ogni pensiero, ogni sentimento della vergine donna. Onde a buon dritto i psicologi possono affermare, che nella vita psichica stati subcoscienti o incoscienti non esistono, se o-gni moto patologico anormale dell'organismo è intuito così completamente da un intelligenza artistica superiore.
Le lettere di Caterina da Siena equivalgono alla sua biografia, una biogragiorni fu ripubblicato dal Fanfani — Firenze x886. Vedasi anche la monografia del Prof. Manfredo Vanni — Girolamo Gigli - Firenze 1882), dove curò « di alfabeticamente di-sPor,e • ,orn?e Pardcolari dèi dire, la sua congiunzione, le maniere e le frasi proprie ueiia pia autrice ». Il suo fu un lavoro di odio e di sarcasmo, segnatamente alla voce : rronuncta. Il libro suscitò un vero tumulto per le ingiurie contro la Crusca, contro Fi-re,,^e e. 1 ,u dato alle fiamme e posto all’ indice ! 11 Gigli fu poi costretto a ritrattarsi, dichiarando « di avere scritto e parlato non per amore di verità, ma per passione e per dar gusto ai libertini ».
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fia tanto più preziosa, in quanto ci parlano di quei fatti, di quegli impercettibili aneliti dell’ anima, di quegli esaltamenti, che sfuggono alla storia, ma non alla quotidiana, sincera introspezione.
La Benincasa scrisse nel dialetto senese come il Bianco, anch’ egli da Siena, die trasfuse nei suoi laudesi il medesimo simbolismo spirituale, che qua e là fa capolino nelle lettere della nostra scrittrice, simbolismo e sensualismo derivato dalla poesia popolare, in cui tanto s’inebriava Caterina. Il Bianco da Siena e Caterina da Siena : quale strana somiglianza in questa dolce coppia, che si annichilò nell’ estasi ! Bellissima Caterina, il Bianco, come dice Feo Beicari (1) « giovane bellissimo e delicato » : come la santa, anche il poeta dell’ esaltamento mistico, mentre veniva cantando « gittava uno splendore grandissimo e lucidissimo per la faccia che pareva una cosa di paradiso. Si trasumanavano, morivano nell’ estasi gioiosa :
« Gesù toccami ’1 core — col tuo spirito santo —- si eh' io t’ ami tanto — eh’ io muoia per tuo amore. »
Caterina ebbe anche una numerosa scuola, e che cosa potesse insegnare ce lo attestano chiaramente le lettere scritte ai molti suoi discepoli, umili e potenti. Leggiamo quelle scritte ai difensori e al capitano del popolo della sua città, ai Priori di Firenze, agli Anziani di Lucca, alla regina Giovanna, ai signori di Volterra e di Foligno, ai re di Francia e d’ Ungheria : in quegli scritti risplende il suo sapere, tutto il suo insegnamento spirituale ; tra quelle dispute vane che fervevano nelle nuove Università e negli Studi, una specie di pragmatismo religioso era il grande insegnamento della suora. Le donne più di tutte corsero assetete a bere le acque, che scaturivano trasparenti e fresce dalla sorgente vergine di Fontebranda, ad apprendere i salutari insegnamenti della vita spirituale ; non sono forse le donne più atte a quel pietismo, a quegli attacchi isterici ? Non sono le anime più malate, più debolmente sentimentali, più dolci e pronte all’illusione, all’allucinazione, alla soavità di cuore e alla fede?
E per tali discepoli nel capitolo ottavo del suo Dialogo Caterina prega, rivolta al Signore suo « Io ti addimando, specialmente per tutti coloro, i quali mi hai dato, che io ami di singolare amore, i quali hai fatti una cosa con meco. Perocché essi saranno il mio refrigerio per gloria e loda del nome tuo, vedendoli correre per la dolce e dritta via, schietti e morti ad ogni loro volontà e parere, e senza alcun giudizio o scandalo o mormorazione del prossimo loro. E pregoti, dolcissimo Amore, che ninno me ne sia tolto dalle mani dal dimoino infernale, si che nell’ ultimo giungano a te, Padre Eterno, fine loro ».
Un altro confronto dobbiamo fare, prima di porre termine alla presente ricerca, tra Caterina ed un altro Domenicano, che, fiorito anch’ egli nella dolce terra di Toscana, fu signore del pennello e trasfuse nei dipinti quel medesimo ardore che Caterina nei suoi scritti. Altri studieranno le attinenze profonde, che vi sono tra la pittura del secolo XIV e il misticismo : a noi sembra impossibile che si comprenda a fondo il concetto ispiratore delle superbe tele e dei preziosi affreschi del nostro medioevo, senza lo studio profondo della dottrina
(1) Feo Beicari — Vita del Beato Giovanni Colombini — Prose edite ed inedite, raccolte e pubblicate da O. Gigli. Roma 1843-44. 5 voli.
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mistica dominante. Da molti stòrici dell’ arte si dà il nome di scuola pittorica mistica a quella che espresse col magistero dei colori quei medesimi sentimenti espressi da altri col ritmo e con la parola, e, trascendendo 1’ umanità, creò dei tipi di assoluta bellezza, quale nel cuore di Caterina 1’ espressione della forma sublime del suo divin Maestro.
Dalle tavolozze dei chiostri ridenti e dilettevoli d’una pace infinita, nelle solitudini delle nude e linde cellette, questi pittori spiritualizzavano la vita e il naturalismo già inoltrato di Masaccio e di Masolino, di Gentile da Fabriano e del Pisanello.
L’ ordine stesso, che si onorò di Caterina, s’illuminò pure, quasi nel medesimo tempo, di colui che più genialmente rappresentò lo spirito religioso del trecento. Fra Giovanni da Fiesole si rinchiuse in alcuni tipi di rappresentazioni come Caterina, avvinta dal tipo astratto del suo Amore divino ; quello che Caterina espresse nelle Lettere e nel Dialogo, egli rese con egual fervore, o forse con più candore, nei suoi dipinti. Mai anima semplice e tempra ardente di artista s’innamorò così soavemente della Divinità ; egli, lungi dalle varietà sentimentali e passionali, curò soprattutto il fervore dell’ estasi, e astraendo dall’ u-mano, creò visioni divine, celestiali. Le sue tavole di colori vivacissimi a fondo d’ oro, pure come una lauda popolare, aristocratiche come una miniatura, paiono i ricami d’ un temperamento straordinario, ardentissimo. Questa sua maniera deriva forse da Giotto, dall’ arte del minio, dall’ Orcagna ? Noi non entreremo ih discussioni, paghi di avere estaticamente ammirato i finissimi suoi lavori, che adornano le gallerie fiorentine. E innanzi all’ incoronazione della vergine (1) il tripudio del colore e della luce riproduce mirabilmente il trionfo della Madre di Gesù, quale doveva apparire al mistico del trecento toscano, sia Caterina, sia 1’ Angelico. C’ è nello sfondo luce simbolica, visione e rapimento, risuonano le trombe angeliche, argentee, e le mandòle paiono intonare una melopea lontana e nostalgica. Le anime dei purificati sono intente alla più fervida preghiera, alla dedizione dello spirito, abbandonato all’ ala magica del canto e della meditazione. In quella schiera è Caterina, Teresa, Brigida di Svezia, la signora Guyon. Tutto il dipinto è il poema colorato, smagliante, animato dell’ e-stasi, è 1’ espressione del rapimento di tutto il creato nella fiumana della luce divina e della trasumanazione di tutte le malinconiche creature, che amano infinitamente Dìo, consumandosi in isteriche Voglie di gioie celesti.
Questa mente fervida di Domenicano, assetato di fede e di solitudine, seppe supremamente esprimere, col magistero del colore e con la soavissima espressione dell’ arte sua, l’incorporea venustà dei Serafini, simboli cristiani della sovrumana, ineffabile bellezza, come la Benincasa seppe, col magistero della parola, grecamente fine e con la forza .delia fede sua sincera, rendere immortali artisticamente i frutti, già religiosamente immortali, della sua carità e deljsuo ardore purissimo.
Palermo, Aprile 1912
PROF. GIOSUÈ SALATIELLO.
(1) Galleria degli Uffizi. Firenze
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I. Crisi contemporanea : insufficienza della scienza e dei portati della Rivoluzione francese. — IL Ricerca affannosa dell' " ubi consistam „ — IIL Sintomi di nuovi indirizzi religiosi. — IV. Attitudine moderna di fronte al cattolicesimo. — V. Crisi interna di questo e ragione del sorgere del modernismo.
N seguito all’evoluzione politica, intellettuale ed economica del inondo contemporaneo, in seguito a ciò che si chiama lo spirito moderno, una grande crisi religiosa che colpisce le chiese, le ortodossie e le forme del culto, s’ è prodotta un po’ dappertutto — (i). Si verifica nella chiesa luterana, nell’anglicana, nella russa, nelle vecchie sinagoghe dei giudei, e persino tra i mussulmani ; ma in nessuna religióne positiva assume forme così acute e caratteri così dramatici, in nessuna appare così gravida di futuro e così interessante per là storia della civiltà e dei paesi d’ Europa come nella cattolica romana.
Essa è parte della grande crisi generale, attestata da oratori e pubblicisti, che infierisce sul mondo contemporaneo investendone ogni istituto e aggruppamento è attività sociale : la famiglia, il matrimonio, la vita economica, la scuola, la cultura, la politica, la vita militare, il liberalismo, il socialismo e via dicendo. Poiché per una fatale legge di consenso che possiamo costatare nella storia ih base al carattere solidale delle nostre facoltà, quando lo spirito umano è in moto, tutto ciò che da lui proviene come da centro di unità subisce più o meno presto secondo le circostanze l’impressione della sua spinta. Ora del malessere diffuso, dello squilibrio di cui abbiamo un indice eloquente nell’ anarchia del pensiero e dell’ opinione, la ragione sembra essere che tutti gli elementi materiali e morali delia nostra civiltà non camminano di pari passo verso una condizione migliore (2). Dopo la scoperta del metodo di osservazione, la scienza ha tanto camminato e con le sue applicazioni, ognora rinnovate, all’ indagine intellettuale e alla vita pratica ha così rapidamente e così a fondo trasformato il nostro ambiente, che non abbiain saputo rispondere con una formazione personale adeguata alle nuove esigenze, acquistare le capacità, richieste dai nuovi progressi, compiere insomma altrettanto presto le evoluzioni di mente e di carattere che ci avrebbero permesso di avvantaggiarci, senza urti troppo dolorosi, di quei subitanei cambiamenti. Ad aggravare la situazione è intervenuta la Rivoluzione francese. Se col vangelo dell* 89 risvegliò là coscienza de’ popoli e ài suono della marsigliese aprì una larga breccia nelle mura di un passato opprimente, nondimeno abbattendo i vecchi ideali ha spalancato la porta a istinti la Cui violenta espansione è il pericolo che incombe, nuova spada di Damocle, alla storia contemporanea ; e ha
(1) A. Loisy « L’Evangile et l'Eglise » 4.me edition, 1908, p. 274.
(2) Cfr. Paul Bureau « La Crise morale des temps nouveaux », Paris,Bloud, 1908, p. 9.
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reso più aspra e decisa la divisione della società in due parti contendenti e irreconciliabili : i figli dello spirilo nuovo e i figli della tradizione (i), i cui eccessi e le cui esagerazioni dovevano portare un seme funesto di disordine e di sofferenza.
Dietro il duplice impulso della scienza e del soffio partito dalla Rivoluzione I’ umanità inebbnata della visione di nuovi cieli e di nuova terra da conquistare si accinse a perseguire il sogno luminoso della propria palingenesi. Il suo ottimismo cilestrino, sempre sordo alle querule voci dei custodi dei sepolcri, volentieri si apre alle seduzioni degli araldi entusiasti dell’ avvenire. Quindi abbandonatasi al moto turbinoso di un progresso senza confini, essa credette di poter in breve inaugurare l’età dell’oro, che i poeti cantando avevano collocato alle origini. Ma come, or sono due millenni, fu delusa la sua fervida attesa dèi regno di Dio in terra e del ritorno del Messia sulle nubi, così ora vede sempre più allontanarsi il miraggio di quell’età felice. In partei è vero, ha attuato i preziosi valori della libertà e della democrazia, ha sollevato la dignità degli individui e le condizioni degli umili, ha innovato idee e costumi, tendenze e aspirazioni, ha arricchito il suo patrimonio intellettuale ed economico, ha reso la vita del-l’uomo più comoda e dolce, meglio guarentita contro i rischi e le -sorprese, meno soggetta all’ influenza di cause perturbatrici che altre volte la dominavano e troppo spesso la schiacciavano. Pure tutti i successi dell’ intelligenza e del lavoro non tolgono che noi ora ci sentiamo nella più penosa incertezza, nell’indecisione più malsicura intorno a ciò che maggiormente importa all’ uomo.
IL Sotto le fosforescenze dei vantaggi ottenuti un fremito corre per gli spiriti un agitazione indicibile li coglie : è lo scoramento che dà la sproporzione tra i risultati dell attività molteplice e i postulati della coscienza intima, il senso oscuro j ? mancanza dl <lue,,a <h virtù eh’ è indispensabile per la sussistenza dell ordine nuovo; è l’affanno di non trovar l’asse su cui insistere nella vertiginosa evoluzione che mai non posa, la sete insoddisfatta di un ideale che pare sfuggire man mano che si va innanzi ; è 1’ assillò di aspirazioni ognora più esigenti, e il disgusto di vedere inappagati i più profondi bisogni, cui non son riusciti a soffocare i baccanali del materialismo in filosofia, dell’utilitarismo in inorale, del naturalismo in arte. Ora 1’ umanità si trova a una svolta terribile della sua stona. Nello stordiménto di mille voci diverse, mentre si va spezzando 1 involucro di un passato ormai spento per sempre, e tutto riconosce e tutto cambia e tutto si trasforma, e le brezze dell’avvenire le carezzano la fronte, essa non sa orientarsi. Gli allargati orizzonti del sapere, il rinnovamento radicale delle scienze, la creazione di nuove, le recano, con la consapevolezza d’ un più vasto mistero, un più squisito tormento : e dai gorghi del suo rapido divenire ribalza piu angoscioso l’eterno problema del suo destino.
Quando una civiltà dal cumulo delie sue conquiste e dallo splendore de’ suoi trionfi non è cosi distratta da non sentire la vanità e insufficienza propria <11 fronte al tragico dell esistenza e all’enimma del cosmo,. la via di Damasco non sembra dover essere lontana. Perciò si è avuta la rinascita dell’ idealismo che parve addurre le promesse di una bella aurora. Nobili spiriti, che « in mezzo al trambusto e frastuono nascente si sentono sempre più a disagio, pieni della inquietudine d una lunga vigilia, incerti di ciò che debban credere o fare, desi(i) Tolgo la denominazione dall'op. cit. del Bureau, p. 127 e p. 185.
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derosi di vivere senza riuscire a trovare o simulare una ragione di vivere >> (i) proclamano la necessità di appoggiare la vita morale degli individui e dei popoli a una fede, quando non si risolvano essi stessi a domandare a una religione positiva quella pace e quell’ equilibrio spirituale che le soluzioni escogitate dal-l’intelletto sono incapaci di recare. Allo stesso motivo si riconducono le preoccupazioni morali e certe vaghe aspirazioni religiose che si notano presso alcuni rappresentanti del socialismo, nel quale del resto le origini materialistiche ed atee non impediscono di scorgere un’ alta portata etica, poiché esso in fondo è una protesta appassionata contro l’iniquità e un tentativo gigantesco di costituire il globo nella giustizia.
III. Ma le apparenze non ingannino i seguaci della fede tradizionale, confortati da questi sintomi a intonare il peana della vittoria. E’ passato, certo, il periodo in cui dominava l’indifferenza assoluta, sprezzante per ogni cosa o idea religiosa : indifferenza che s' era fatta generale tra noi e in Francia nelle classi colte, tra gli uomini di mondo e di studio, pei quali anche la negazione o la discussióne di qualche soggetto religioso era considerata di cattivo gusto. Tuttavia se l’insoddisfazione dei progressi ottenuti e un più manifesto emergere di necessità impellenti dello spirito riaffacciano all' anima contemporanea il problema religioso che si voleva soppresso, 1’ atteggiamento generale è ben lontano dall’essere favorevole ai vecchi credo, o almeno alla loro veste dottrinale, liturgica e sociale ricevuta dai secoli (2). Come accettare, per esempio, quali regole di fede e di vita religiosa le verità del cristianesimo giunte a noi con forinole e concetti che sono 1’ espressione genuina di una metafìsica cui oggi è negato ogni valore oggettivo, e che non rispondono più al linguaggio comune, nè al modo comune di concepire le cose? Il rivolgimento prodottosi nel pensiero filosofico in seguito al progredire delle scienze positive e sperimentali, la critica spietatamente esercitata su tutta quanta 1’ eredità del passato, le risultanze delle esplorazioni fatte nelle foreste delle grandi religioni han condotto ad accogliere di fronte a queste una concezione prammatistica, di cui qualcuno avverti un saggio persino in Gesù e in Gotamo Buddha (3). Ciò spiega perche molti oggi, specialmente nel mondo istruito, se usano certi riguardi verso gli antichi templi che accolsero, insieme con le volute dell’incenso, le preghiere, i sospiri, le lagrime dell’umanità dolorante sul suo cammino che sale, si guardano bene dall’entrarvi. Cogliendo nel flusso della storia le manifestazioni religiose, essi vedono nell’ edificio maestoso d’ oggi la rovina di domani, che i nepoti segnaleranno ai loro figli con la stessa pietà con cui si guarda agli strati geologici delle epoche antiche. Il Renan ha dato 1' esempio : e a poca distanza da lui, Marco Guyau ha formulato il programma di molti contemporanei dichiarando che bisogna sforzarsi di liberare completamente lo spirilo dalie pastoie delle chiese, per facilitare l’avvento di un sentimento religioso più puro, pili delicato, più efficace.
IV. Che sorte dunque riserva quest’attitudine al cattolicismo? Già disse Enrico Heine, in uno di quei briosi magnifici articoli che costituiscono 1’ opera sua
(1) Arturo Graf « Per una fede ». Milano, Treves, 1906, p. 3-4.
(2) Significativa è la recisa affermazione del Graf a p. 55 dell’opuscolo citato.
(0) Cfr. il detto di ¿Gesù: rò cdfl^arov òux ròv «vOqioxov èyév&co, xai ovx ó 6ià tò Gdflfìarov. (Marco. II, 27). — Quanto al Bouddha, si ricordi la sua famosa parabola della zattera. (Gfr. Discorsi di Gotamo Buddha), Bari Laterza, III, P. 2. disc. 22.
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« De r Allemagne » (1), che se è vero che 1’ umanità è nella sua gioventù, il cristianesimo appare come una delle sue pili generose illusioni di collegio, come una divina epopea della sua adolescenza ; e che, come il poeta viene bandito dalla repubblica di Platone, così esso va condotto fuori della società fatta adulta. Il giudizio dello scettico poeta tedesco, se lo restringiamo alle specificazioni nelle quali il cristianesimo ci è stato trasmesso, può non differire sostanzialmente dal pensiero comune ai dì nostri. Tanto più la sua attualità resta incolume, quando lo si applica a quella forma storica di cristianesimo che è determinata dal cat-tolicismo romano. Questo, o meglio la sua ortodossia, dichiarando guerra a tutta la vita moderna e rivolgendo costantemente lo sguardo e le braccia a un tempo passato di cui si preoccupa di ristabilir nel presente un bagaglio scaduto di credenze, di idee, d’istituzioni. si è messo fuori di tutti gli interessi vitali delle numerose popolazioni della cui esistenza ha nominalmente l’investitura. Si può dire che in tutta la storia moderna non v’ è una nobile iniziativa, un movimento di libertà, un tentativo di rivendicazioni sociali, uno sforzo di progresso scientifico, che non abbia trovato nella chiesa, eccetto rarissimi casi, un nemico pronto a far il viso dell’ armi, se non sempre a scagliare il fulmine dell’ anatema (2). Pertanto è sfuggita alla sua direzione la civiltà ; la quale sciolta così da ogni schiavitù ieratica e forte della triplice autonomia della scienza, della coscienza e della società civile c politica, corre senza un attimo di requie verso i suoi destini. Che se la chiesa si risolve a seguirne il corso, ciò fa molto in ritardc, solo trascinata per forza dall’ Idea trionfante, e con limitazioni e riserve d’ ogni genere; poiché in pari tempo si rifiuta a far getto delle sue tradizioni. La sua filosofia, dal carattere essenzialmente statico e dall’ impronta visibile di sei secoli fa, osserva con rigore il sesto comandamento verso il pensiero moderno, di cui vuole ignorare il rigoglioso sviluppo, e continua a chiedere alla teologia il permesso di pensare. La sua teologia si muove lungi dai fatti sul sentiero delle cervellotiche e incontrollabili deduzioni e vorrebbe vincolare la salvezza eterna a forinole che esaminate da vicino si scoprono come radicalmente vuote di significato intelligibile. La sua storia è un tessuto di pie menzogne, un’abile manipolazione di fatti e di dati a vantaggio di audaci pretese, vere sfide gettate alla ragione; il suo Olimpo non meno incoerente e fantastico, per quanto piti puro, di quello pagano ; i suoi riti non meno magici delle pratiche di altre religioni, nè le sue superstizioni meno grossolane. La sua disciplina di cui è centro un’ autorità ipertrofizzata, soffoca ogni libero slancio, ogni vera intimità di pensiero e di sentimento operoso, e felice di fare il deserto per chiamarlo pace e di fare il silenzio per chiamarlo unità della fede, attende a ottenere « 1’ uniformila militare di una moltitudine il cui dovere sia quello di non possedere alcuna idea per proprio conto, ma di accettare quella del proprio condottiere come la cera riceve l’impronta di un sigillo » (3). Nè si tien paga a voler sottomettere la scienza ai controllo della sua dottrina e l’intelligenza e la coscienza individuale alla sua direzione di chiesa infallibile, ma si arroga pure la facoltà di sottoporre le leggi degli Stati e gli stati stessi al giudizio del suo capo supremo.
Questa condizione di cose, resa più evidente e aggravata per un complesso di cause, spiega come tutto ciò che riguarda la chiesa vada assumendo, nella
li) Cito dall’ ediz. « Bibliopolis » di Parigi. i$io, pag. 69 del toni. I.
(2) Si veggano le Opere del Draper, del WMte, del Lefranc, dell’ Houtin.
(3) Giorgio Tyrrell. « Medioevalismo » Roma, 1908, p. 13.
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opinione dei più, il significato di oscurantismo, di servaggio, di morte. La gente colta ormai le passa vicino senza nemmeno farle l’onore di un attacco, avendo 1’ aria di considerarla come una quantità trascurabile nel movimento degli studi, o solo centellinandole l’elemosina di quella simpatia che non si nega alle specie che tendono a scomparire e ai monumenti dèi panteon e dei musei.
V. Nelle file stesse dei cattolici, molti son tentati di pensare che si voglia ridere della loro ragione e abusare della loro confidenza e finiscono per abbandonare la loro antica educatrice. Gli uomini son ridotti a piccolo numero, e donne van diminuendo lentamente, e la gioventù cresce vie piu refrattaria all educazione religiosa. Le defezioni sono tante, che più non si contano : il loro numero va crescendo, anche nel clero. E parallelamente a questo esodo continuo, spesso silenzioso, cova e rogge nelle masse 1’odio e la rivolta. Il popolo che >g>lo.ra la funzione materna esercitata dalla chiesa nelle ore piu fosche della sua stona, come già al suo invito si lanciava nelle più fantastiche crociate, cosi oggi ag i accenti infiammati de’ suoi detrattori sorge contro di lei. Pochi, solo pochi sono rimasti veramente fedeli, e questa minoranza offre anch’essa i sintomi della decadenza e dell’ agonia. Per essa la religione, fredda osservanza delle forinole e dei precetti tradizionali, muto ossequio alla lettera delia fede, non e piu lorza direttrice della vita. .
Lo spettacolo è tremendo : e 1' averlo colto in tutta la sua tragicità ha messo sulle labbra del Loisyle melanconiche parole : « Il cattolicismo in certi paesi dell’Europa occidentale non è più, sotto molti rispetti, che una grande facciata, una cattedrale dove il trono del vescovo e gli stalli dei canonici sono ancora occupati, ma le cui navale sono quasi vuote di fedeli » (i). E prima di lui aveva detto Paolo Sabalier, il penetrante biografo di S. Francesco : « I distretti senza vie e senza scuole saranno gli ultimi baluardi della chiesa, e i nostri discendenti vedranno rinnovarsi il fenomeno che segnò la fine della civiltà pagana, quando la parola paganus (paesano) prese il significato di pagano. Alla fine del XX secolo, il vocabolo « paesano » diverrà sinonimo di cattolico » (2).
Non è quindi più il tempo di dormire sul morbido origliere di una eredita indiscussa, come fa un pusillus grex che, senza curarsi dei crucci e delle domande dell’ anima contemporanea, si culla nell’ illusione superba e ingenua di possedere tutta e sola là verità, rilasciando gentilmente agli altri la patente di errore. Mentre il libero pensiero porta gli ultimi sacramenti a un Dio che muore, è ignomignoso che i suoi adoratori rimangano nella stanza attigua senza rendersi conto della gravità del momento nè preoccuparsi di quel che succede. Quando, secondo la frase di S. Paolo, la creazione geme, quando un ordine di cose e d’idee si mostra esaurito, non è lecito di soffrire in silenzio. Così pensa un eletto manipolo di volenterosi in seno al cattolicismo stesso, e sia per espandere le proprie energie oltre i chiusi cancelli in una direzione più luminosa e feconda, sia per dare razionale testimonianza della propria fede e preparare la conquista della società anticattolica, affronta la crisi della chiesa, la studia in tutta la sua ampiezza, e cerca di superarla felicemente. Per tal modo nasce e si afferma il modernismo, esponente insieme e sforzo risolutivo di quella crisi.
DOTT. ANGELO GAMBARO.
(r) A. Loisy « A propos d’histoire des religions ». Paris. E. Nourry, 1911, p. iso-fa) P. Sabotar « Separation des Eglises et de l’Etat ». Paris, 1906. p. LXXXIV.
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III
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a croce era distesa per terra e tre uomini, dei quali non vedevo che le spalle, vi inchiodavano, stando accovacciati, Gesù. Gli occhi vitrei. le labbra bianche, il Maestro dava segno di soffrire atrocemente.
Io sentivo i colpi secchi dei tre martelli e trasaliva come se mi battessero sul cuore. Feci
per lanciarmi contro i tre carnefici e arrestare l’infame opera che stavano consumando, ma non potei. Come talora ci avviene di sentire nei sogni, tutto il mio corpo era rotto e senza forza.
Provai a gridare — e voleva gridare le più potenti parole che mai impedirono la consumazione di un misfatto — ma, la lingua paralizzata, non mi uscì dalla strozza che un rantolo di bestia ferita.
Nondimeno uno dei tre uomini, colui che inchiodava la màno destra, udì e si volse a guardarmi.
Grande Iddio ! lo riconobbi. Era il peccato che commisi a vent’ anni, l’abbominevole peccato che è la vergogna della mia gioventù..... Mi guardò, mi fissò intensamente con l’espressione di meraviglia e di scherno onde guarderebbe al padrone delirante un servo che volesse dirgli : — Tu stesso mi mandasti a compiere quest’ opera ; che ti salta ora in mente ? diventi matto ? ma io, non sono matto io ; io continuerò a fare ciò che debbo fare.
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Oh la spietata eloquenza di quello sguardo!...
Egli si rivolse al suo lavoro è continuò a battere...
Ma poteva io tacere? poteva rassegnarmi all’opera infame?... Gridai di nuovo, e allora si volse a me il secondo personaggio, colui che inchiodava la mano sinistra.... Si volse e mi guardò... Ed io lo riconobbi : era il pensiero delittuoso che di tempo in tempo attraversa la mia mente, il nefando pensiero che non ho mai tradotto in azione, ma che senza che io lo chiami, senza che l’aspetti, penetra sovente in me come un rettile e striscia lungo tut-wl’ anima mia. *
Mi guardò anche lui, ed il suo sguardo penetrante disse la stessa cosa del primo uomo : « Tu 1’ hai voluto ! » Indi, crollato il capo, si rivolse al suo lavoro e continuò a battere più forte e spedito come per ricuperare i pochi momenti perduti.
Allora mi prese un furioso desiderio di sapere chi fosse il terzo uomo che, tutto intento alla sua opera, batteva pesantemente sul chiodo confitto nei piedi : e lo chiamai, lo apostrofai, lo insultai....
Ma egli non si mosse. 'Putto intento alla sua opera pareva che non avesse neppure udita la mia voce.
Gridai più forte, disperatamente.... Non si mosse e continuò a battere....
Allora temetti eh’ egli fosse il peccato della mia vecchiezza, il peccato che avrei commesso negli anni che mi restavano a vivere.... e un sudore freddo in’ imperlò la fronte e desiderai di morire e singhiozzai.... e mi svegliai ....................................
Gesù era risorto.
Rotolata da un lato del sepolcro stava la pietra. Dall’ altro lato giacevano tre uomini, tutti e tre bocconi, si che io non potevo vedére il loro viso.
M’ accostai e chinatomi sul primo ne sollevai la testa.... Gran-
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IL SOGNO DI VENERDÌ SANTO E IL SOGNO DI PASQUA ibi)
de Iddio! Era uno dei tre che avevano inchiodato il Maestro sulla croce. Era il peccato della mia giovinezza.
Lo chiamai, lo toccai, lo scossi.... non dette segno di vita ; gli posi una mano sul cuore — era morto.
M’accostai al secondo e lo guardai in faccia. Era l’altro! E-ra il nefando pensiero che visita la mia anima. Ebbi paura che la mia voce lo svegliasse, che il mio tocco lo richiamasse in vita, e non parlai, non lo toccai ; ma appressatomi alle sue nari ascoltai ansiosamente.... Benedetto Iddio, era morto.
Allora accorsi al terzo che non aveva potuto conoscere nel giorno della crocefissione quando inchiodava tutto intentò i piedi del Maestro.... Ah finalmente era in mio potere! finalmente lo a-vrei guardato in faccia il malvagio ; lo avrei conosciuto 1’ empio che crocifiggeva il Cristo di Dio, che maltrattava il figliuolo, che seviziava 1’ Unigenito, che gli fermava i piedi perchè non camminasse più tra gli uomini, che lo riduceva all’impotenza, che osava, il miserabile, tramutare in una cosa morta Colui che è la Vita....
M’accostai, lo rivoltai e lo guardai in faccia....
Grande Iddio ! Era il mio Sistema di Teologia.
ALFREDO TAGLIALATELA
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Cipriano di Cartagine
e il suo concetto di Chiesa
L terzo secolo dell’ E. V. segna un rivolgimento profondo nella Chiesa Cristiana. Fino allora fra persecuzioni terribili e feroci rappresaglie essa aveva rappresentato precipuamente, ciò che in realtà era il puro concetto di Cristo, un movimento morale, opposto alla flàccida decadènza dei costumi .pagani (i), per una tutela gelosa della dignità umana ed una elevazione spirituale degli uomini di
cui era affermata da Gesù là fratellanza, e la figliolanza da Dio. Da ciò veniva di conseguenza nei cristiani primitivi più che 1’ occuparsi di speculazioni metafisiche, lo studiarsi di porre in pratica la nuova legge morale e di sentirla profondamente in se stessi, in attesa del prossimo avvento della fine del mondo e del regno di Dio. Per questo la propaganda delle idee nuove era stata così rapida ed efficace e si era così potentemente affermata in tutto il mondo romano, che precisamente nella prima metà del HI. secolo, Tertulliano poteva asserire che il Cristianesimo era penetrato in ogni ceto, dalla Corte imperiale ai più bassi stati sociali, e che il mondo si meravigliava ormai di sentirsi tutto cristiano.
Ma passate le prime prove, ed affermatosi lo spirito del Cristo come movimento di così piena vitalità, per fatale legge storica anche nella novella Chiesa le questioni dottrinarie e le divergenze sui punti fondamentali del credere, -che erano cominciate ad. apparire anche nei primi due secoli, scoppiarono con violenza straordinaria e presero il sopravvento; e fu un succedersi ed un contrastarsi, nella Chiesa stessa, di opposte tendenze e di dottrine le più disparate, altre nell’ ordine puramente speculativo col formarsi dei dogmi, altre anche di ordine pràtico sulla disciplina interna e sui riti.
Parecchi di questi movimenti provocarono scissioni profonde e durevoli e valsero a staccare parte dei Cristiani e spesso intiere province ecclesiastiche dall’ unità della fede. Vari moti però poterono allora pacificamente risolversi dopo gravi ed aspri dibattiti, o si vennero estinguendo naturalmente, fra quelli
(i) Su questa decadenza, cfr. G. Ferrerò: Grandezza e decadenza di Rama, voli. 3-4-5.
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CIPRIANO DI CARTAGINE E IL SUO CONCETTO DI CHIESA 171
in special modo che non versavano su punti ritenuti come fondamentali nella dottrina, ma che avevano a pretesto questioni pratiche e rituali.
Fra questi ultimi può essere qualificato il movimento che ebbe a principale e potente campione il Vescovo di Cartagine, Tascio Cecilio Cipriano, intorno alla famosa vertenza se dovessero o no essere ribattezzati coloro che venivano alla Chiesa dopo aver ricevuto il battesimo in altre sette le cui dottrine erano riconosciute come ereticali.
Cipriano è fra le più spiccate figure dell’antica Chiesa. Carattere energico e combattivo, rigido ed angoloso contro gli avversari delle sue idee, dialettico potente e scrittore poderoso, ebbe grandissima influenza non solo sull’episcopato africano del suo tempo, ma.anche su molte altre chiese che a lui si rivolgevano per direzione e per consiglio.
Allo studio del concetto di chiesa che aveva il vescovo di Cartagine e delle sue divergenze con il vescovo di Roma, sono dedicate queste brevi pagine.
L’ uso di ribattezzar gli eretici che venivano alla grande Chiesa non era esclusivo della chiesa d’ Africa, ma era diffuso in Asia Minore, nella Siria, ad Antiochia ed altrove. L’ Africa vantava in questo una tradizione abbastanza antica, confermata verso il 220 in un numeroso concilio tenuto a Cartagine sotto Agrippino (1).
(1) S. Agostino (De Baptismo. I. Ili, c. 12) crede di potere stabilire che dopo Agrippino vescovo di Cartagine, 1’ uso di ribattezzare gli eretici, non sempre sia stato continuato fino a Cipriano, che anzi questi dovette di conseguenza richiamare quel decreto in vigore e confermarlo con i vari concili africani.
« Coeleruw, dice S. Agostino, si pernianebat ab Agrippino usque ad Cyprianum con-« suetudo baptizandi ab haereticis veniente*, ut quid facta lune a Cypriano hac de re con-« silia ? Ut quid fubaiano dicil non se reni novam facere ani repenlinam sed ab Agrippino « inslitiitam ? Cur enim Jubajanus de novitate turbarelur si ab Agrippino usque ad Cypria-« num hoc lenebai Ecclesia? Cur denique tot ejus collegae in Concilio dixerunt ralioneni « et verUalem consuetudini praeponendatn, hoc non potine dixerunt eos qui aliud facere 1 vellcnt et conira veritateni et consueliidineni facere? ». Veramente le ragioni di S. Agostino non ci sembrano troppo Concludenti. Perchè furono fatti i concili se già vi era la consuetudine? È un pò ingenua la domanda, quando piuttosto che ricorrere alla supposizione di volere introdursi un nuovo rito, si pensi che i concili potevano esser tenuti, per confermare una creduta verità, di fronte al presunto errore delle altre chiese, che facilmente, per le comunicazioni più facili, e per le relazioni continue, avrebbe potuto insinuarsi nella chiesa africana. Intorno poi all’argomento che cerca desumere dalla let-
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Ma a Roma ed in altri luoghi era invece ritenuto valido il battesimo conferito dagli eretici. Per lungo tempo non sorsero contestazioni, forse perchè le varie comunità cristiane avevano da pensare a ben altro che ad accapigliarsi per qualche diversità di rituale. L’ urto fra le due. costumanze avvenne al tempo di Cipriano, il quale assunse gagliardamente la difesa della tradizione della chiesa africana contro le concessioni, com’ egli le chiamava, all’ eresia ed all’ errore, portando nella lotta quasi uno speciale antagonismo contro il vescovo di Roma.
Morti Cornelio e Lucio pontefici romani, con cui Cipriano era legato da vincoli speciali di venerazione e di amicizia, coi quali si era mantenuto in continua comunicazione, suggerendo ad essi fraternamente la condotta da seguire nelle lotte ereticali, specialmente contro Novaziano e Novato, e tenendoli informati di quanto di notevole avveniva nella chiesa d’ Africa, saliva al pontificato di Roma, nell’ aprile dèi 255, Giulio Stefano, figlio di Giulio Romano.
Poco prima doveva essersi riunito il concilio orientale d’Iconio il quale, come quello di Sinnada, aveva creduto dover confermare l’uso di ribattezzar gli eretici. Le deliberazioni del concilio furono comunicate, come era il costume, ai vescovi delle altre province. Fu allora che Stefano, iniziando il suo pontificato, pensò di sovrapporre 1’ uso della chiesa romana all’ altro che credeva necessario il nuovo battesimo, e scrisse a questo scopo una lettera a Firmiliano di Cesarea ed agli altri vescovi intervenuti al concilio d’Iconio, nella quale minacciò di staccarsi dalla loro comunione se avessero insistito nel voler ribattezzar gli eretici.
Nel tempo stesso 18 vescovi di Numidia, che forse avevano avuto sentore delle pretese di Roma, credettero opportuno domandare il parere su questa ditera a Giubaiano, essa, ben considerata, testimonia proprio il contrario, perchè dopo che Cipriano vi ha detto : « non nova aut repentina haec res est » di ribattezzar gli eretici, aggiunge che ciò fu stabilito già da Agrippino e dà un concilio da questi convocato, e che d’allora le moltitudini di eretici che ritornarono alla chiesa, fino ad oggi non han trovato nulla a ridire su questo rito, ma ragionevolmente e volentieri vi si son sottoposte. La novità per cui si turbava Giubaiano, non era d’ altra parte, il dover ribattezzar gli eretici, che anzi la ragione del turbamento è espressa nella stessa lettera scrittagli da Cipriano e consiste nel fatto che Giubaiano, ha visto i seguaci di Novaziano, ribattezzare ancora quelli che attiravano dalla chiesa cattolica ; « Sciens enim unum esse bap-tistna hoc sibi vendicai ». Del resto 1’ opinione di Giubaiano, anche presa nel senso, secondo cui la cita S. Agostino, non avrebbe valore grande forse avendo avuto origine dalla conoscenza del costume della chiesa romana. I vescovi finalmente dissero « la ragione e la verità essere da preporsi alla consuetudine ». Ciò è vero. Ma quale consuetudine ? Non ci vuol molto per comprendere trattarsi di quella della chiesa romana, e a cui si riferiva appunto Stefano papa, quando scriveva a Cipriano : « Nihil innovetur nisi quod traditum est ».
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CIPRIANO DI CARTAGINE E IL SUO CONCETTO DÌ CHIESA 1/3
vergenza disciplinare al concilio radunatosi a Cartagine nel 255. Vi fu confermato, come il solo legittimo, l’uso della chiesa africana, ed in tal senso fu risposto ai vescovi numidi (1). Che il dubbio di questi e di altri fosse dipeso dall’ atteggiamento di papa Stefano, sembra comprovarlo la lettera. Sulla stessa questione Cipriano scrisse pochi giorni dòpo a Quinto, un vescovo della Mauritania (2), in cui senza che se ne faccia il nome, si accenna non troppo benevolmente a Stefano. Ad ogni modo bisognava ormai affrontare direttamente il vivo della questione. Per questo, nel concilio seguente, tenuto con ogni probabilità nella primavera del 256, Cipriano scrisse a Stefano, a nome suo e dei vescovi adunati, una lettera (3) in cui volle dimostrare come 1’ uso della chiesa d’ A-frica fosse il solo che potesse essere approvato dalla Chiesa universale.
A Roma, la lettera di Cipriano, che in verità non era troppo gentile, rinfocolò le ire che già esistevano verso di lui e si giunse a trattarlo da falso cristiano.
La cosa deve avere molto appassionato la chiesa dell’ Africa se consideriamo che mentre al primo concilio intervennero 32 vescovi (4) nel secondò furono 71 (5). Prima della convocazione del nuovo sinodo, giunse la risposta di Stefano, la quale non che non approvare le decisioni del concilio diceva duramente « nihil inno-velur nisi quod traditum est » dichiarandosi, per tradizione ricevuta costantemente nella Chiesa, per la validità del battesimo anche conferito dagli eretici. Ciò apparisce dalla lettera di Cipriano a Giubaiano, nella quale mentre si rammemora il secondo concilio, ed è una vera risposta al vescovo di Roma, non si parla affatto di questa terza adunanza che doveva riuscire ancora più solenne delle altre. Difatti ebbe luogo al 1. di settembre dello stesso anno in Cartagine, presenti 87 vescovi dell’ Africa, Numidia e Mauritania. Ed in essa venne nuovamente confermata la tradizione africana. La sentenza di Cipriano, ultima negli atti del congresso, può riassumere tutte le altre « meam sententiam pienissime exprimit epistilio quae ad Jubajanum Collegam nostrum scripta est, haereticos secundum Evangelicam et Apostolica™, contestationem adversarios Christi et anti-christos appellatos, quando ad Ecclesiam venerint unico Ecclesiae Baptismo baplizan-dos esse ut passini fieri de advcrsariis amici et de antichristis Christiani » (6).
(1) Ep. 70, ad Januarium et coeteros episcopos Numidiae.
(2) Ep. qit ad Quintum.
(3) Ep- 72(4) Epist. ad lubaianutn : introduzione.
(5) M
(6) Sententiae cpiscop. Concita Cartbaginiensis. — Per comodo dei lettori che non avessero pratica con la lingua latina, darò o nel testo o in nota la traduzione italiana
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1/4 BILYCHNIS
È questo un punto capitale, su cui ritorneremo quando parleremo del concetto di autorità nella Chiesa, quale l’aveva Cipriano. Egli non fece alcun conto della lettera di Papa Stefano in materia di disciplina ecclesiastica stretta-mente connessa al dogma, ed il vescovo di Roma troncò ogni rapporto con i vescovi d’ Africa e con quelli dell’ Asia minore, che neppur essi vollero piegarsi alla sua imposizione. Questo stato di cose durò sino alla morte di Stefano (2 agosto 257), a cui succedette Sisto II, che non insistette nelle pretese del suo predecessore, riprese a corrispondere con Cipriano e con Firmiliano di Cesarea, e lasciò che 1’ uso di ribattezzar gli eretici continuasse indisturbato. Nella Siria era ancor praticato nel IV secolo, e gli africani non lo abbandonarono che dopo il concilio di Arles, nel 314.
Nel mese stesso in cui Stefano moriva, Cipriano veniva tratto in arresto (30 agosto). Un anno dopo, il 13 settembre 258, veniva condannato alla decapitazione, reo di esser cristiano.
Quella che fin qui esponemmo è più che altro una pagina di storia. Se tutti più o meno la conoscono, non tutti forse .si rendono ben conto della Causa dell' atteggiamento di Cipriano nella questione de rebaptizandis haereticis. Ed essa deve ricercarsi, più che in altro, nel suo amore per V Unità della Chiesa. « Egli — cito il Bardenhewer (1), — vive e si muove nell’ idea dell’ una chiesa cattolica, e non a torto fu detto che su questa idea è fondato e si manifesta in ultima espressione quasi tutto il contenuto dogmatico delle sue opere ». Anche quando tenacemente lottava contro Stefano, aveva di mira il fine precipuo della unità da conservarsi nella Chiesa e ciò anche S. Girolamo riconobbe quando scriveva : « Conatus est beatile Cyprianus lacus contritos fugere, nec bibere de aqua aliena et idcirco haerelicorum baptisma reprobane, ad Stephanum tum Ro-rnanae Urbis episcopum, super kac re Africanam Synodum direxit, sed eiiis co-nafus frustra fuil » (2). Ciò che lo ha diretto nella multiforme esplicazione
dei passi citati nel loro testo originale. Ecco la versione delle parole ora riportale — •* Il mio parere è dichiarato appieno nella lettera inviata al nostro collega Giubaiano : gli eretici, chiamati dall’Evangelo e dagli Apostoli nemici di Cristo ed anticristi, quando vogliono entrar nella Chiesa devono essere ribattezzati coll’ unico Battesimo della Chiesa, perchè abbiano a divenire da avversari amici, da anticristi cristiani ».
(1) Patrologia : Voi. I. pag. 51-52 (ed. italiana).
(2) Dialogo « conira luciferianos ». « Il beato Cipriano cercò di sfuggire ai lacci insidiosi, e di non bere acqua inquinata e perciò riprovando il battesimo degli eretici, inviò a Stefano, allora vescovo di Roma, il concilio d’Affrica tenuto a questo proposito, ma i suoi sforzi riuscirono a nulla ».
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CIPRIANO DI CARTAGINE E li. SUO CONCETTÒ DI CHIESA 1/5
della sua attività di vescovo, e nelle varie questioni, delle quali egli dovette occuparsi, sia per il proprio gregge, sia come capo riconosciuto dalla chiesa africana, è sempre questa idea. Ed egli amorosamente ritorna spesso su questo concetto quasi voglia indicare egli stesso la fine del proprio lavoro e premunirsi contro obbiezioni altrui.
Per questo, nel trattato che viene sotto il titolo « De Unitale Ecclesiae », egli non cerca che illustrare la necessità di questa unità, specialmente con varie figure tolte dalla Scrittura, paragonando l’unione dei fedeli, alla veste inconsu-tile e non scissa di Cristo ; a Raab alla quale fu detto « Patrem tuum et ma-tremi tuam, et fratres luos, et totani domum patrie lui colliges ad teipsam in domum tuam, et crii ; omnis qui exieril ostiurn domus tuae foras, reus sibi crii; (i) all’Agnello pasquale, che dev’essere mangiato in una casa sola.
Perchè questa unità rimanga perfetta, perchè nulla valga a sminuirla naturalmente è necessario, che i fedeli « in domo Dei, in Ecclesia Chrisli unanimes habitent » — coabitino unanimi nella casa di Dio, cioè nella Chiesa di Cristo (2).
Vero è che a coloro che escono dalla porta di Raab, che cioè cercano di scindere con eresie e con errori il seno della chiesa, Cipriano applica il dettò di Giovanni « Ex nobis exierunt, sed non fuerunt ex nobis, si enim fuissenl ex nobis, mansissent utique nobiscum » (3). Però quelle parole non potevano applicarsi se non a coloro che facendo parte della chiesa visibile, uniti alla comunione dei fedeli, pure invisibilmente e cioè nell’ interno dello spirito non facevano parte della chiesa. Ed ecco il concetto integro della chiesa stessa visibile ed invisibile. Siccome ciò che apparisce all’ esterno, la Chiesa visibile, è quella di cui le genti giudicano, ecco la necessità dell’ unione anche esterna della chiesa. Dall’ esagerazione di questo principio è 1’ origine vera delle dottrine sostenute da Cipriano. L’ eccesso è da fuggirsi in ciò anche più del difetto, e la giusta misura mancava invece al vescovo di Cartagine. Egli in, ogni benigna concessione della Chiesa, in ogni veduta larga dal iato dogmatico o disciplinare, vedeva una decadenza della Chiesa stessa, uno stender le mani all’ eresia, insomma una cessióne dei propri diritti, ed egli appunto scriveva della Chiesa: « Ut suo jure cedat pericu-losum est » — è ben periglioso che ceda alcunché dei suoi diritti.
Però, quasi ad attutire gli urti che da questa sua speciale visione dei diritti della Chiesa, naturalmente si sarebbero dovuti verificare nella parte docente della Chiesa stessa (vedremo poi quale concetto avesse della somma
(i) Josue, II, 18-19. « Riunirai presso di te in tua casa tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli e quanti fan parte della casa di tuo padre e vi rimarranno : se alcuno porrà piede fuori della porta della tua dimora, il suo sangue ricada su di lui ».
(2) De Unitale Ecclesiae.
(3) d Joannis 2. « Sono usciti di fra noi, ma non eran dei nostri : perchè se fossero stati dei nostri, sarebbero restati con noi ».
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di autorità, e in chi e come dovesse risiedere), e ad evitare rotture che non sarebbero mancate, ritorna come un motivo favorito, nelle varie opere, la dimostrazione della necessità di accordo, di carità reciproca. E ne dava un esempio egli stesso, benché con intonazione un po’ dubbia, quando, dopo la lettera di Papa Stefano di cui abbiamo parlato più sopra, scriveva a Giubaiano una lettera feroce contro lo stesso Stefano, che però chiudeva con le parole : « Serualur a nobis palienler et firmiter charitas animi, coltegli henos, vinculum /idei, et concordia. sacerdotii. Propter hoc etiam libellum de bono palienliae conscripsimus » (i). Allo stesso fine egli pubblicò anche 1’ opuscolo : « De Livore et Odio ».
Nonostante che, come sopra notammo, Cipriano avesse connine la distinzione tra Chiesa invisibile e visibile, pure anche parlando di questa eccede parecchio, come se la Chiesa visibile fosse in realtà, ciò che dovrebbe essere, un’ accolta di santi. Forse partendo da questo concetto, egli, scrivendo al Papa Cornelio, diceva che la Chiesa « non deve in alcun modo esser giudicata da coloro che ne son fuori ».
All’ unità esterna della Chiesa deve far raffronto 1’ unità interna, sia intèndendo col nome di Chiesa, i fedeli che sono in vita, sia e più e meglio, questi insieme a coloro che dormono il sonno della pace.
In questo punto la dottrina di S. Cipriano è molto più determinata. Egli inségna apertamente la comunione dei santi. Nel paradiso, egli esclama, « magnus nos charorum numerus expectal, parentum fralrum filiorum: frequens nos et copiosa tiorba desiderai, jam de sua immortalitate secura et adhuc de nostra salute sol licita » (2).
Delle oblazioni e dei sacrifici per i defunti parla solo incidentalmente in una lettera (3), ove dimostra chiaramente che la Chi sa aveva allora il costume di far preghiere speciali per i trapassati.
Ritornando a ciò che già dicevamo, Cipriano è il véro paladino dell’unità della chiesa. Unità interna ed unità esterna. La prima che è data dalla adesione ad un unico principio ; la seconda, che si ottiene mediante la dedizione assoluta agli ordinamenti della gerarchia ecclesiastica.
Un altro indice dell’ idea di unità della chiesa quale la concepiva S. Cipriano possiamo riscontrarlo nel suo rigorismo di moralista. In un’ epoca di defezioni
(1) Epist. ad /ubaianum. « Con pazienza e fermezza nei conserviamo la carità nel cuore, l’onore dell’ istituto, il vincolo della fede, e la concordia del sacerdozio. Per questo abbiamo pure scritto un libriccino sulla bontà della pazienza ».
(2) De mortalitale : sub. finem. « Nel paradiso ci attende un gran numero dei nostri cari, genitori, fratelli, figli : ci aspetta con desiderio una moltitudine già in possesso dell’ immortalità ma tuttavia sollecita per la nostra salvezza ».
(3) Epist. presbylcris et diaconibus et plebi Furnis consistentibus.
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continue per il timore di persecuzioni, per le novità pericolose che cercavano introdursi nella dottrina della chiesa, e per tutte le cause di costume, di ambiente che non erano poche, è facile comprendere come, secondo molti, una nota di rigore dovesse entrare nella morale della chiesa cristiana. Un’altra causa deve aggiungersi alle accennate per spiegare questo fatto, molto comune nei primi secoli e prolungatosi anche oltre gli inizi della scienza teologica, e questa causa deve riscontrarsi nella credenza diffusa della fine prossima del mondo. Anche Cipriano credeva vicina la dissoluzione generale del creato, ed egli stesso scriveva : « Mundus ecce mutai et labilur et ruinam sui non jam senectute rerum sed fine testa-tur. » Ecco che il mondo ruina e precipita, e dimostra il suo Sfacelo non già per la vecchiezza delle cose ma per la loro fine (i).
Spesso anche parla del giudizio estremo come di cosa vicina « Hostis nobis praenunciatur et ostcnditur » (2) « Christi dio appropinquabit adventus » (3) « Scire enim debelis et prò certo credere ac tenere, pressurae diem super caput esse coe-pisse, et occasum sacculi atque Antichristi tempus appropinquasse » (4). In altro luogo nel librò ad Demetrianum egli grida « Coeterum retro est iudicii dies » ed appoggia le sue parole ai passi scritturali, che dicono imminente questo giorno. È naturale che il sopravvenire del « dies irae » generasse un timore grande e che di conseguenza si cercasse ridonare ai costumi una rigidità speciale.
Ma senza pur ricorrere a questa determinante specifica, dobbiamo riconoscere che generalmente tale rigorismo era come una necessità ingenita, come un preservativo da un rilassamento che purtroppo doveva notarsi nella società cristiana. Ciò spiegherebbe come ad essa fossero inclini quasi tutti gli scrittori ecclesiastici di quell’ epoca, e come disgraziatamente da un eccesso di questo avessero avuto origine anche eresie formali come quella dei montanisti che determinò la caduta di Tertulliano. Dal rigorismo stesso di questo è informato quello di Cipriano suo discepolo, che anche nella questione de Rebaptizandis aveva seguito gl’insegnamenti del maestro (5). Del resto è nota la dipendenza frequente di Cipriano da Tertulliano (6), e come le opere di questo fossero la sua lettura quotidiana (7).
(La fine al prossimo fascicolo)
ERNESTO RUTILI.
(1) De Morlatitate.
(2) Cyprianus, Liberalis, Catedonius eie. Cornelio fratri.
(3) Epis. 58, dd Lucium.
(4) Epist. ad plebem Thibari Consisientem.
($) Tertulliano, De baptismo. e. r$
(6) S. Girolamo: Bpisb. 84
(7) S. Girolamo, De viris illustribus, 33.
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* TU ES PETRUS „
« Tu es Petrus, et super haue pe-tram aedificabo Ecclesiam meant t et portae inferi non praevalebunt adversus earn ». Matteo, 16 : x8, 19.
UESTE famose parole rivolte da Cristo a S. Pietro in un momento critico del Cristianesimo formeranno la base d’un nostro umile lavoro d’ esegesi1 2 che speriamo non riuscirà nè inopportuno nè inutile. Non pretendiamo di portare un contributo molto nuovo in questa quistione così dibattuta da secoli fra i competenti di tutte le confessioni ; desideriamo studiare questo passo spassionatamente e senza preconcetti teologici per vedere di formarci ' un' idea più giusta circa il reale significato dell’ enigmatica promessa fatta da Cristo al suo apostolo Pietro.
Pel nostro studio abbiamo consultato parecchi scrittori ed in special modo vogliamo riconoscere il nostro debito verso l'insigne teologo e predicatore americano Broadus, « vir doctissimus » (1).
In quanto al testo greco ci troviamo su terreno solido, giacché i quattro testi migliori, cioè quelli dèi Tischendorf, ' del Westcott e Hort, dèi Nestle (Protestanti) e quello dei Tauchnitz (Cattolico) sono d'accordo. Neppure le antiche versioni dimostrano varianti, salvo in particolari di pochissima importanza. Abbiamo dunque una riproduzione autentica delle parole di Cristo, e non possiamo assolutamente ammettere che questo detto abbia avuto origine fra i giudeo-cristiani, desiderosi di opporre l’autorità di Pietro a quella di Paolo.
Nei versetti precèdenti è riferita la confessione che Pietro — grazie ad una speciale rivelazione divina — fece della messianità e della divinità di Cristo. Cristo si rallegra con Pietro di quella sua confessione dichiarandolo « benedetto », perchè stimato degno di così grande onore. Il Signore, sollevato dà queste parole di Pietro, gli fa a sua volta una dichiarazione di capitale importanza per 1’ avvenire delia Chiesa e del regno dei cieli.
In essa sono quattro cose da considerarsi : 1) la pietra, 2) la Chiesa, 3) le porte dell’ Ades e 4) le chiavi del regno, ed il legare e lo sciogliere.
« Tu sei Pietro » (2) (où si Ilérpog). Il pronome « tu », essendo espresso e non
(1) Vedi Gregory, Prolegomena. Vol. III. Nov. Test, grasce del Tischendorf, p. 1266.
(2) Le citazioni in italiano sono secondo la traduzione del Martini e quelle greche secondo il testo del Nestle.
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sottinteso nella forma verbale, ha un significato enfatico : Cristo sta per dire qualche cosa di somma importanza a Pietro. E questa non è la prima volta che Pietro sente tale nome (confrontare Mat. io, 2: apwro; Sipcov ó Àeyóp8vo$ Ilérpo;), come alcuni critici dicono, volendo mettere in contraddizione Matteo con Giovanni. Colui che aveva già dato questo nome ad uno degli apostoli favoriti, lo adopera ora in un senso speciale (Giov. I, 42 : ov ztapOqq] Ki)<pag — 6 é(?R-veverai Ilérpoc;).
I. La u pietra
« Sopra questa pietra » (feti Tavq] ti] è una frase che ha dato molto da fare ai commentatori di ogni confessione, e specialmente a coloro che hanno delle teorie da sostenere. Ma giacché « Pietro » vuole dire « pietra », il significato naturale di « sopra questa pietra » sarebbe « sopra le », cioè « su Pietro ». Probabilmente nessun teologo di fama oggi troverebbe un altro significato, se dai seguaci del sistema papale questo passo non fosse stato torto a a vantaggio della loro teoria riguardante il primato di Pietro.
Ma il fatto che v’ ha chi tira delle conclusioni ingiustificate dall' interpretazione naturale del passo non dovrebbe certo spingerci ad attenerci ad interpretazioni diverse da quella. Ve ne sono infatti due altre: 1) quella di coloro pei quali la pietra è Cristo, 2) e quella di coloro pei quali la pietra rappresenta la confessione o la fede di Pietro. Vale la pena di prendere in considerazione le obbiezioni che si fanno al senso naturale del passo. Alcuni scrittori asseriscono che un giuoco di parole, come questo « tu sei Pietro, e sopra questa pietra » (IlétQOS... àérpa) sarebbe indegno del divino maestro. Ma ad ogni modo vi è
indubbiamente un giuoco di parole, e se si volesse intendere per « pietra >> Cristo, la stonatura diverrebbe peggiore. Del resto questo non è il solo caso in cui Cristo usa un giuoco di parole (1); la paronomasia è comune tanto nel V. T. quanto nel N. T. e specialmente nelle epistole paoline.
E’ vero che « pietra» viene spesso applicata a Dio nelle altre scritture e mai ad uomo, salvo in due casi — qui ed in Luca (22 : 34) dove Cristo vuole mettere in rilievo la vergognosa caduta di Pietro, la cui condotta non fu certo simile a « roccia ». A questo punto è da notarsi che gli scritti ebraici parlano ora di Abramo, ora dei patriarchi, come di pietre sopra le quali Iddio pose le fondamenta del mondo.
Taluni insistono sulla distinzione da farsi fra le parole greche itétpoc e aérpa, sostenendo che se « pietra » significasse Pietro, si dovrebbe adoperare o jiérpo; o aétpa tutte e due le volte. Dicono pure che Jtétpog significa un sasso o frammento, mentre nécQU. è la massa rocciosa, la roccia. Ma, secondo il Broa-dus, questa distinzione è quasi sempre limitata alla poesia, mentre in prosa la parola di solito adoperata è lit/ios (Àiilog). E si osservi inoltre che neppure questa distinzione si verifica unifórmente (2). Cristo stesso viene chiamato lilhos (XiOov £d>vta) nella prima lettera di Pietro (Cap. 2, 4). Inoltre, se Iléroog fosse
(1) Vedi esempi in Winer, ? 68: Blass, $ 82; Robertson e Bonaccorsi, cap. 25.
(2) Vedi Lessico di Liddeil e Scott e quello di Schenkel e Ambrosoli.
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stato usato tutte e due le volte da Matteo nel greco, la frase vorrebbe dire « Tu sei Pietro e sopra questo Pietro » escludendo il giuoco di parole; e non sarebbe stato ragionevole se Matteo avesse scritto «. Tu sei stèrpa » (femminile) quando ha sempre adoperato la forma maschile del nome (Stpcov llérpog). Ma si potrebbe rispondere a quest’ obbiezione in un altro modo più sicuro. Gesù indubbiamente si espresse in Arainaico, lingua che non si presta a questa distinzione. Il Peschilo (Aramaico occidentale) così traduce : « Tu sei Kipho e sopra questo Kipho » (i). L’ Aramaico orientale, parlato in Palestina al tempo di Cristo, doveva certo dire similmente : « Tu sei Kepha e sopra questo Kepha ». La stessa ambiguità si trova in francese : « Tu es Pierre et sur cette pierre ».
Si prenda nota che Cristo non poteva alludere a se stesso parlando della jrétoa perchè egli era l'architetto. Sarebbe un’ immagine assai confusa quella contenuta in simili parole : Io edificherò....... io sono la pietra sopra la quale io edificherò.
Però molti, specialmente Protestanti, non sono disposti ad ammettere la interpretazione naturale e logica di questo passo, secondo cui la pietra sarebbe Pietro, perchè ci vedono una concessione alle pretese della Chiesa Romana. Ma vediamo.
I primi Padri che sono per la Chiesa Romana un’ autorità non vanno affatto d’ accordo riguardi, queste parole di Cristo. Crisostomo, commentando sari raùtfl rfj arstpq;, dice : « sopra questa pietra, cioè sulla fede della sua Confessione ». Nei suoi scritti egli spesso dà quest’ interpretazione e mai un' altra.
Ecco altre sue chiare parole : « non disse sopra Pietro, perchè non fu fondata sopra F uomo, ma sopra la sua fede. ». La medesima interpretazione fu data dai suoi con temporanei, Gregorio di Nissa ed Isidoro di Pelusio, dal Padre latino Ilario e dai Padri greci Teodoreto, Teofane, Teofilatte e Giovanni di Damasco. Probabilmente questi Padri s’ erano accorti della tendenza in altri a pervertire il senso naturale per sostenere le pretese allora crescenti del vescovo romano. Agostino non sapeva decidersi fra due interpretazioni eh’ egli espose nei suoi diversi scritti. (2)
Da ciò che abbiamo detto sopra si vede che il Cattolico che vuole fondare la Chiesa sopra Pietro solo dovrebbe farlo senza 1’ aiuto di Agostino, di Crisostomo ed altri Padri. Anzi dovrebbe farlo contro le loro opinioni.
Ma dato che jrétpa voglia dire Pietro, vediamo quanto rimane da provare per stabilire le pretese papali :
1) si deve dimostrare che Pietro solo fu il fondatore del Cristianesimo. Per questo non c’ è un’ ombra di prova nella Bibbia, salvo 1’ espressione chiaramente figurativa del passo in questione. Al contrario Paolo (Efesini 2,20) presenta gli apostoli ed i profeti come fondamento della Chiesa (’sjtoizoSopii-démg fóci rw OeusXiw rwv ’artooróZiov xaì jrpocpqrojv). Nè la storia raccontali) Confrontare Buxtorf, citato dal Broadus.
(2) Il Broadus a questo punto fa la seguente nota: « Stìer dice che Lannoy, dottore della Sorbona, dopo aver esaminato accuratamente 77 citazioni di Padri e di scrittori ecclesiastici, trovò 17 scrittori che interpretano « pietra » con Pietro, 44 con fede e 16 con Cristo stesso. Ma tali statistiche hanno poco valore ammenoché non le si possano verificare.
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ta negli Atti e nella epistole può servire a sostenere una tale teoria. Negli Atti (cap. 15) Luca non dice che Pietro agì indipendentemente, nè che fu considerato supreme, benché fosse senza dubbio uno dei leaders. Fu infatti Giacomo, fratello di Gesù, che propose il compromesso accettato dagli altri. Fu lui che presiedette il Concilio di Gerusalemme, come pastore di quella Chiesa. Nella lettera ai Galati, scritta nel 57, Paolo, nominando tre colonne della chiesa, pone Giacomo prima di Pietro. Nella stessa lettera si narra del pubblico rimprovero rivolto da Paolo a Pietro per la sua condotta poco coerènte davanti ai Giudei. La promessa riguardo il legare e lo sciogliere fatta a Pietro nel nostro passo viene ripetuta a tulli gli apostoli nel cap. 18, 18, e probabilmente dovrebbe intendersi come riguardante le chiese locali (1). Nel vangèlo di Giovanni (20, 22) la medesima promessa è fatta ai dieci apostoli ed agli altri (Luca).
Questo passo che è considerato da molti, specialmente Cattolici, come il detto più importante che Cristo abbia mai pronunziato (2), viene omesso — cosa stranissima — da Marco (il figlio spirituale di Pietro) e da Luca ! Eppure tutti e due gli evangelisti ricordano ciò che precede e segue le importanti parole di Cristo, riferite da Matteo. L’ argomento del silenzio deve essere adoperato con gran prudenza, è vero ; ma qui certo non può non esser notato.
2) Si deve provare non solo che Pietro fu il solo fondatore del Cristianesimo, ma che fu anche il vicegerente di Dio ed il sovrano di tutti i Cristiani. Colla possibile eccezione di questo passo, nessuna scrittura biblica insegna una tale dottrina. D’ altra parte l’insegnamento generale del rèsto del N. T. è assolutamente contrario ad una simile idea. Una delle regole fondamentali del-l’interpretazione biblica è che una parte delle Scritture non deve contraddire l’insegnamento esplicito contenuto in altre p rti, come sarebbe il caso se dovessero intendersi queste parole di Cristo secondo l’interpretazione della Chiesa Romana.
Neppure i Padri che accettano Pietro come capo della Chiesa accennano minimamente ad una posizione o ad un potere simili a quelli di cui il Papa oggi gode.
« Gesù promette quindi immediatamente e direttamente a Pietro un primato non solo d’ onore ma ancora di giurisdizione su tutta quanta la Chiesa. Pietro sarà il capo ed il pastore di tutti i fedeli, il vicario del Principe dei pastori » (3). Queste sono parole ardite che mancano di qualsiasi fondamento biblico e razionale.
3) Si deve dimostrare che questa supposta autorità di Pietro fu trasmissibile. Del che non esiste alcuna testimonianza biblica nè storica (ecclesiastica o profana). E’ d’altronde assurdo supporre che la pietra angolare possa essere rimossa ogni tanto per dare luogo ad un’ altra come succede quando il Papa muore ed un altro ne prende il posto.
4) Si deve dimostrare pure che Pietro visse e morì a Roma, il che è probabile ma non certo, e che Pietro e non Paolo sia stato il fondatore della chiesa di Roma. Di questo non c’è alcuna prova. Anzi si sa che a Roma esisteva(r) Così credono il lì teck ed il Keim. citati dai Broadus.
(2) La bella cupola di Michelangelo in S. Pietro reca questo famoso passo in mosaici.
(3) Così il P. Sales nel suo N. T. commentato, voi. 1. p. 74.
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no diversi gruppi di Cristiani nell' anno 58 quando Paolo scrisse la sua lettera ai convertiti (iella capitale. E’ certo che alcuni di questi furono convertiti da Paolo nei suoi viaggi missionari in Asia Minore e nell' Europa Orientale. E’ probabile che altri fossero stati convertiti a Gerusalemme il giorno della Pentecoste, e che tornando a casa abbiano fatto propaganda dei loro nuovi princìpi. Se Pietro fu il fondatore della chiesa romana, come si spiega il fatto che Paolo non fa mai menzione del suo nome nella lettera ài Romani, riè nelle altre cinque da lui scritte da Roma durante gli anni 62 o 63, quando Pietro e l’opera sua avrebbero dovuto essere ben noti? Il Duchesne non ammette affatto che Pietro abbia fondata la chiesa romana; dice anzi esplicitamente che Paolo, quando giunse a Roma vi trovo la chiesa già costituita. Ed aggiunge : « Calcoli troppo poco fondati per raccogliere il suffragio della storia, conducono a Roma 1’ apostolo Pietro fin dai primi anni di Claudio (42) o sotto Caligola » (39) (1). Queste parole escludono che Pietro sia stato il fondatore. L’ Harnack è dello stesso parere. Ricordiamo qui che tanto Ireneo quanto Eusebio ritengono che Lino sia stato il primo vescovo di Roma.
5) Si deve inoltre dimostrare che questa supposta autorità trasmissibile di Pietro sia stata realmente trasmessa al personaggio principale della chiesa di Roma. A sostegno di questa teoria non esiste alcuna prova, all’ infuori d’ una tarda tradizione, con la quale sta però in contrasto, la storia delle chiese primitive, come quelle di Antiochia, di Gerusalemme, di Alessandria, di Cartagine e di Costantinopoli, che esercitavano una influenza tanto estesa quanto quella della chiesa di Roma. Leggendo la lettera di Clemente alla chiesa di Corinto non si può non riconoscere la vasta influenza della chiesa di Roma — cosa tanto naturale trovandosi nella capitale —; ma d’ altra parte non vi si rinviene il minimo accenno alla sua supremazia o autorità sulle altre chiese. Si noti che 1’ apostolo Giovanni, secondo la teoria papale (2), avrebbe dovuto sottomettersi all’autorità del vescovo di Roma, dopo la morte di Pietro. Si può dire lo stesso degli altri apostoli che sopravvissero a S. Pietro.
6) E finalmente si deve provare ancora una cosa: che ciò che Pietro avrebbe deciso per la chiesa visibile di Roma fosse applicabile alla chiesa invisibile, e che dovesse applicarsi dappertutto ed in tulli i tempi malgrado le cambiate condizioni delia società, dal tempo di Pietro in poi, fino al presente (3). La storia ecclesiastica c’ insegna che il contrario si è spesso verificato. La chiesa Romana permette in un paese ciò che proibisce in un altro ; insegna in certe nazioni ciò che ripudia in altre e via dicendo. Non ha dessa canonizzato le proprie vittime (4) ? Non hanno i papi annullato in alcuni casi 1’ opera dei predecessori, e non si sono contraddetti molte volte nei loro decreti ?
(1) Duchesne, Storia della chiesa antica », Voi. I, p. 34.
(2) Chi ammette una tale teoria dovrebbe trovare un posto nella linea della successione apostolica per i papi scismatici, eretici, fallibili, e anche scellerati : ricordiamo alcuni nomi :... Liberio, Marcellino, Sisto IV. Innocenzo Vili, Alessandro VI, Gregorio XIII......
(3) Vedi : Plvmmer *s, « An exegelical Commentar? On lite Gospel accordine lo, S. Matthew », p. 231.
(4) Per esempio Giovanna d’ Arco.
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Molti valenti esegeti a stento riconoscono il significato naturale del nostro testo per tema di concedere troppo a coloro che ritengono la teoria papale. Ma la verità non può nuocere a nessuna teoria basata sulle sacre scritture. Sono le conclusioni infondate dedotte da questo passo che hanno fatto molto male alla fede cristiana. Che la « pietra » qua sia Pietro non è contraddetto dal fatto che i testi sacri usano altre immagini tolte dalla stessa figura. Nella prima lettera ai Corinti (3 : io). Paolo si chiama « savio architetto » ed altri dottori vengono designati come « edificatori ». Scrive da Roma agli Efesini (2 : 19) lina lettera in cui chiama e apostoli e profeti pietre fondamentali, mentre Cristo viene presentato come la pietra angolare. Così pure Giovanni nell’ Apocalissi dichiara che i nomi dei dodici apostoli sono scolpiti sulle fondamenta delle mura della' città santa, col che in un certo senso gli apostoli vengono presentati come /’ intiero fondamento. Pietro nella sua prima lettera (2 : 4-7) chiama tutti i cristiani « pietre vive » (ÀiOot mentre Cristo viene designato come « capo del cantone ». Nel passo che stiamo studiando Cristo è 1’ architetto e gli apostoli tutti quanti sono il fondamento della chiesa, essendo essi rappresentati da Pietro, il quale parla per gli altri ed è riconosciuto come leader fra di loro. Ciò risulta dal fatto che egli sta in capo a tutte le quattro liste degli apostoli ricordate nel Nuovo Testamento (i). I Sinottici presentano sempre Pietro come uno dei tre apostoli favoriti di Cristo. Nella storia delia chiesa primitiva narrata da Luca negli Atti, Pietro occupa la maggiore attenzione dello scrittore nei primi dodici capitoli. Si noti pure che Pietro, secondo quella narrazione, fu stimato degno di ricevere una rivelazione speciale «la Dio riguardo la salvezza dei Gentili, e fu lui che dovette per il primo proclamare il vangelo a loro nelle persone di Cornelio e suoi famigliar!. Prese parte importante al Concilio di Gerusalemme, dove, secondo Paolo (Galati 2 : 9), furono reputati colonne della Chiesa Giacomo, Pietro e Giovanni. Nel giorno della Pentecoste, per mezzo del discorso di Pietro, tre mila persone furono convertite.
Ma in tutto questo non c’ e nulla che ci permetta di intravedere che Pietro avesse una supremazia sugli altri. Anzi, c’ è il contrario. Egli è semplicemente il primus inter pares. Dal momento della confessione i discepoli principiano a contendere fra di loro per il primato (Mai., 18 : 1 ; Luca, 22 : 24). Questo significa che essi non riconobbero allatto il primato di Pietro, come non lo riconobbe Cristo stesso nella sua risposta a loro. Più tardi, dopò l’ascensione di Cristo, Pietro, insieme con Giovanni, fu mandato dagli altri apostoli {Alti, 8 : 14) in Samaria affinchè i nuovi convertiti ricevessero lo Spirito Santo. Di più, questi stessi apostoli, insieme con i fratelli della chiesa di Gerusalemme, chiesero un resoconto a Pietro del suo operato in Samaria, specialmente riguardo l'ammissione di Cornelio nella chiesa, il che egli fece senza protesta {Atti, 11: 1-18). Questi atti di sottomissione da parte .di Pietro non sono essi contro il principio della sua supremazia ? Se si volesse dare alle parole di Cristo un significato speciale al riguardo di Pietro, si dovrebbe intenderlo in un senso morate (2). Cristo vuole dire che gli apostoli sono il fondamento sopra il quale
(1) Vedi Matteo, 10: 2 ; Marco, 3: 16 ; Luca, 6: 14 ; Atti, i : 13.
(2) Vedi F. Lichtenberger, Encyclopedie des Sciences Eeligieuses, T. IV, p. 277 : « Quant au *enì vavq) rfi TtérQg..... il ne peni s’appliquer ni à la foi, ni à la confession
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Egli edificherà la chiesa, e Pietro viene indicato in un modo speciale, per cagione del suo nome significativo che attesta la sua indole adattarla sua prontezza alla testimonianza e all’ azione, e la sua capacità ad essere il leader riconosciuto da tutti.
Che stèrpa voglia dire Pietro è sostenuto dai seguenti Padri: Origene, Cipriano, Basilio, Gregorio Naz., Ambrogio, Girolamo, Cirillo Aless. ed altri e dai Cattolici in generale. Questi esegeti protestanti sono della stessa opinione : Beza, Bengel, Doddridge, Mc Knight, Fritzsche, Bleek, Meyer, De Wette, Alford, Steir, Keim, Grimm, Weiss, Geikie, Farrar, Mansel, Gloog (1), Sanday, Hort, Chase (2), Lightfoot, Vincent, Broadus, Zahn e Daniel Vòlter.
Riassumendo: noi riteniamo che, nell’interpretazione. del famoso passo « tu es Petrus Piebo sia là « pietra » ; ma non possiamo seguire i teologi cattolici che da questa interpretazione deducono tutto il sistema della supremazia papale, basato sulla pretesa supremazia di Pietro ; sistema che, per esser da noi accettato, dovrebbe venir sostenuto — come abbiamo visto —- dalle seguenti prove : 1) che Pietro fu il solo fondatore del cristianesimo, 2) che fu il vicegerente di Dio e sovrano di tutti i cristiani, 3) che la sua supposta autorità fu trasmissibile, 4) che visse e morì a Roma, 5) che la sua autorità fu realmente trasmessa, e finalmente 6) che ciò che Pietro decise, per la chiesa visibile fosse applicabile alla chiesa invisibile e che dovesse applicarsi dappertutto ed in tutti i tempi malgrado le cambiate condizioni della società.
D. G. WHITTINGHILL. '
de 1’ apôtre comme 1’ ont prétendu certains commentateurs protestants plus préoccupés de combattre la primauté de Pierre que d’être fidèles au texte. On ne peut, d’ailleurs, méconnaître, dans les récits évangéliques, une sorte de primauté, toute morale (sottoli-neamo noi). de. Pierre, qui résultait de la nature de son tempérament et du rôle qu’ il jouait parmi ses compagnons d’apostolat; mais aucun privilège spécial n’est attaché à cette primauté, et il n’est question nulle part de successeurs éventuels qui l’auraient également en partage ».
(1) Fin qui citali dal Broadus.
(2) Vedi « Hastings Bible Dictionary », parola « Church ».
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GIUSEPPE MAZZINI
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U anima religiosa di Giuseppe Mazzini,
no è esprimibile ;
LTRECHè un grande pensatore, dei molteplici aspetti del problema umano, indagante, alla luce de’ più alti principi, il problema religioso, Mazzini, anzitutto e sovratutto, fu una grande anima religiosa.
Difficile, dal punto di vista psicologico, è determinare, con precisione, che cosa sia la religiosità. È dessa uno stato d’ animo che davvero quanto più profóndo, tanto inc
esso sfugge a qualsiasi esteriore formalismo, a qualsiasi più rigida classificazione di riti o di dogmi.
Sentire, più che riconoscere, sino a farne il primo vitale alimento, la suprema realtà dello Spirito. Vivere, quasi esclusivamente, della più ricca vita interiore, pur senza fare dell’io un egoistico mezzo d’isolamento dal mondo che ci circonda. Amare, amare anzi, intensamente, sino a trasfondere il proprio essere negli altri esseri, sia nell’ universa natura, sia negli animali e nelle piante, e negli altri uomini, sovratutto, amando e rispettando, in tutti, 1’ Uomo, senza distinzione di razza, di nazione, di religione, di classe. Avere una fede e a questa, nella suprema virtù del carattere, uniformare, costantemente, le azioni ; fare anzi di tale fede non una semplice divisa teorica, ma uri’ attiva milizia, pel perfezionamento, pel bene proprio e altrui. Elevare se stesso, quanto più è possibile, moralmente e intellettualmente, riconoscendo, come supremo limite, 1’ Infinito; come suprema certezza, il Mistero. Cogliere, attraverso il transitorio, 1’ Eterno e sentire, al di sopra di sè, al di sopra della universa natura, trascendente e immanente al tempo istesso, una suprema e perenne Forza creatrice, sentire Dio insomma, ecco, molto approssimativamente, come potrebbe essere descritto lo stato di religiosità.
E in tal senso, una delle anime più profondamente religiose fu certo quella
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di Giuseppe Mazzini : anima di sensitiva che, sino alla lagrima, si commoveva ad una sinfonia di Beethoven ; che deviava il passo per non calpestare, col piede, una formica ; che reclinava, devotamente, i ginocchi, innanzi al mistero della notte stellata.
L’astronomia, per Mazzini, come là musica, era uno studio « altamente religioso e purificatore dell’ anima ».
E perchè anima profondamente religiosa, Mazzini, come filosofo, intuì tutta la importanza del problema religioso.
Dopo la congiura, sorda, del silenzio, non son pochi, oggi, ad inchinarsi innanzi alla figura dell’Apostolo, del Patriota, del Moralista; però non pochi sono anche coloro che, in nome di un male inteso libero pensiero — oh ineffabile semplicismo di certi pensatori ! — credono ingrandirne ancor più la figura ponendo nell’ ombra quanto invece costituisce il lato più luminoso della sua dottrina. E quando mai s’ onora un pensatore, ignorando, obliando o deformando i principi più vitali del suo pensiero ?
Là verità è che somma importanza assegnò il Mazzini al problema religioso. Questo problema, com’egli stesso scrisse, stette sempre « all’ultima radice » della sua ànima ; fu argomento che rimase sempre « in cima di tutti i suoi pensieri » ; per lui esso era la fonte da cui, limpidi e fecondi, sgorgavano tutti gli altri principi riflettenti il problema filosofico, il problema storico, il problema etico ed estetico : Togliete il principio religioso e tutto 1’ edificio mazziniano, per mancanza di base, crolla.
Inneggiare a Mazzini e sorridere, contemporaneamente, di un olimpico compatimento, innanzi al problema religioso, sono manifestazioni inconciliabili, per la contradizione che noi consente.
E mai, come oggi, a spegnere il melenso sorriso che, al solo nominare la parola « religione », serpeggia sul labbro di certi semi-dotti positivisti, materialisti e naturalisti, mai come oggi, rese più autorevoli dall’ innegabile risveglio degli studi religiosi, tornano più significative le parole che, nel 1871, sull’ orlo della fossa. Mazzini dirigeva ai giovani.
« A voi giovani — scriveva — che mi siete ignoti benché io vi sappia numerosi in Italia, io non intendo parlare oggi della questione religiosa, base ad ogni altra ; studiatela, è debito vostro, non nei frizzi, più o meno arguti, dei francesi di cent’ anni addietro o in un frammento di scienza, che non oltrepassa una sola serie d’effetti più o meno esattamente osservati ; ma nella filosofia della storia che quei francesi ignoravano e che sola può additarvi nel suo svolgimento pratico la Legge della Vita ; nella fisiologia della scienza che sola risale alle cagioni e interpreta, coordinandoli, i fatti ; nella tradizione dei grandi del Pensiero, nelle conseguenze morali delle nostre e delle altrui affermazioni e poi decidete ».
Superato il problema religioso ? Superato Mazzini ?
Bisogna dapprima superare, nel nostro interno, 1’ anelito a rispondere alla duplice domanda che, perenne, ci volge il Mistero. Donde veniamo ; che cosa
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ed a qual fine siamo ; dove andremo. Sino a che l’Iside, impenetrabile, non sarà disvelata, tutte le anime assetate d’Ideale alla prima domanda risponderanno : Dio ; e alla seconda che la nostra vita, qui, sulla terra, è missione ; e alla terza che codesta vita trascende la esistenza terrena, primo principio della vita dello Spirito essendo la immortalità.
« In ogni epoca 1’ uomo chiederà alla Tradizione e alla Coscienza, d’ onde viva, a qual fine, per qual via migliore quel fine possa raggiungersi ; coni ’ei debba sciogliere a sè stesso il problema delle condizioni finite dell’ esistenza terrestre e del concetto dell’ infinito e d’ un ideale superiore a’ suoi mezzi che s’ agita dentro lui ».
Suprema legge del Cosmo, e quindi valida per quante sono le manifestazioni dello Spirito, è per Mazzini la legge del Progresso, la evoluzione infinita. Avere applicato codesta legge alla vita religiosa, è certo uno de' suoi principali meriti, come pensatore. Eppure quanti, ancor oggi, velatamente, se non più apertamente, vi scorgono il germe dell’ eresia !
Nella vita millenaria dell’ umanità, ogni religione è la sintesi più alta della civiltà, in una data epoca. Le Religioni passano, la Religione rimane ; questo afferma Mazzini. Passano, in quanto, ogni religione, compiuta la sua missione,
Jasc’ar libero il varco, in rispondenza ai nuovi tempi, a nuovi principi religiosi — e vana sarebbe la lotta delle tradizioni contro il Verbo della nuova vita — '> rimane, in quanto non solo il sentimento religioso, per sè stesso, è inestinguibile, ma in quanto l’evoluzione, oltreché con la affermazione di nuovi principi, si manifesta anche come più larga interpretazione e più ampia applicazione di quei principi morali che costituiscono 1’ essenza delle religioni anteriori e che sono il patrimonio spirituale ormai acquisito, indelebilmente, per l’umanità. Nella vita religiosa, come in quella sociale, non v’ha, per Mazzini, soluzione di continuità. Attraverso i inilleni, un anello invisibile congiunge le varie credenze, quasi colonne di un Tempio più vasto e più solenne.
E qui sta. la differenza tra il deismo mazziniano e il deismo tradizionale. Anche Mazzini, è vero, nessun intermediario ammette tra la propria coscienza e la Divinità ; però mentre i più noti seguaci del deismo disconoscevano il valore etico, spirituale delle religioni storiche e positive, tutte, semplicisticamente, considerandole, come figlie dell’ impostura, Mazzini invece il suo deismo considera come termine ultimo della evoluzione religiosa.
Mazzini, in altri termini, come deista, è, si, al di fuori del Cristianesimo, ma non contro il cristianesimo. Egli critica, è vero, inesorabilmente e trionfalmente, l’etica cristiana, nella sua interpretazione tradizionale, chiesastica; però è del pari vero che a codesta etica, a conferire maggiore autorità ai suoi prin-C1P1> egli contrappone le più pure, le più semplici massime del Vangelo. Una delle caratteristiche della nuova epoca religiosa sarà anzi, per lui, una più larga interpretazione ed una più vasta applicazione di non pochi principi, ancora fraintesi, del Cristianesimo. In Gesù, d’ altra parte, ricordiamolo, egli saluta non solo il Fondatore di una nuova religione, della religione succeduta alle credenze
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orientali e al paganesimo, ma bensì anche il Precursore della futura religione dello Spirito, l’Annunciatore dei giorni nuovissimi.
Volete davvero che lo spirito del Vangelo, senza farisaiche interpretazioni, ravvivi, purificandola, la coscienza del popolo? Non sembri paradossale il consiglio: diffondete, fate leggere Mazzini.
E leggendolo i più apprenderanno che essere religiosi non significa essere iscritti, più o meno sinceramente ad una data confessione religiosa; nè tanto meno assistere alla celebrazione di cèrti riti ; nè meno ancora, per motivi molte volte egoistici, mormorare, più o meno meccanicamente, una preghiera. Questa della fede, per quanto degna di tutto il rispetto, è la parte esteriore, formale. Come Dio stesso, che perennemente crea; come la vita del Cosmo, che è evoluzione continua, così la religione, riassumendo la definizione della Vita, deve essere, nei nuovi tempi, missione, azione. Non s’intende con ciò disconoscere il valore intimo e spirituale della preghiera ; solo si afferma che i buoni pensieri, i buoni sentimenti, scompagnati dalle buone opere, sono sterili, infecondi'.
La più santa preghiera, scrive Mazzini, è l’azione. Voi non vi salverete, se non salvando. Dio non vi domanderà che cosa avete fatto dell’ anima vostra, ma bensì che avete fatto delle anime che vi diede a sorelle.
La fede di Mazzini è dunque una fede di Vita, che bandisce tutte le rinunzie contra natura, tutte le ascetiche e mistiche genuflessioni. Egli, alta la fronte, vuole l’uomo conscio di sè, conscio della sua dignità e della sua spiritualità e pronto sempre, come attestazione appunto del suo spirito religioso, ad ingaggiare la lotta pel Bene contro il male, per la Verità contro la menzogna, pel Diritto contro l’ingiusto. La parola rassegnazione non deve esistere. Pur sulle rovine, còl sorriso sul labbro, bisogna sapere intonare l’inno della fede e della speranza.
E qui sta il segreto della grande influenza educatrice, del possente fascino esercitato dalla parola di Mazzini.
Ninno più di Mazzini sentì, nella propria anima, l’urto lacerante tra l’ideale e la realtà; come tutti i grandi idealisti egli ebbe nausea, non rare volte, degli uomini gretti e piccini, che gii si affollavano dintorno; però ninno al pari di lui, costante, sincera, profonda, ebbe la fede nel progresso dell’ umanità, ebbe fede nella universale redenzione.
Mazzinianismo e pessimismo sono due concezioni antitetiche della vita. Ecco perchè nella parola inspirata dell’Apostolo le anime doloranti vi troveranno il conforto e la speranza; le elastiche coscienze vi apprenderanno che suprema virtù è il carattere; gli spiriti scettici e inquieti si convinceranno che fra tutti i beni, un solo, veramente, è necessario, spiritualmente, per vivere: la fede.
UGO DELLA SETA
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NOTE E COMMENTI i$g
Giovanni Pascoli,
All’ indomani della morte del dolce poeta, Antonio Graziadei l’illustre deputato d’ Imola, ne scriveva così :
« La scomparsa di Giovanni Pascoli segna una perdita irreparabile per l’Italia.
« Nato in uria terrà di violenze, colpito da queste in uno degli affetti più cari e nell’ età che di sè informa le altre, Giovanni Pascoli cantò la bellezza delle cose e dei sentimenti che i frettolosi chiamano « piccole » ; magnificò 1’ amore contro 1’ odio ; espresse in versi, spesso altissimi, la vanità delle nostre lotte ed il dolore che piega ed accomuna tutti gli umani.
« Le poesie in cui egli rivisse modernamente il mondo ellenico vinceranno, per la loro perfetta purezza, le ingiurie del tempo.
« Esempio mirabile, nella vita privata, di coerenza, di dignità e di lavoro, non appartenne definitivamente ad alcun partito, perchè tutti li superava ; non professò alcuna fede organizzata, perchè di ciascuna riassumeva l’essenza non caduca. Dai cattolici e dai pagani fu sperato, o temuto, credente. Fu invece cristiano, nel senso più alto della parola.
« Quelli fra noi che nella poesia formidabile di Giosuè Carducci videro rispecchiarsi un lato solo degli aspetti della vita, sentono perire con Giovanni Pascoli la parte migliore di sè stessi ».
Non credo Che elogio migliore e piti grande, e nel tempo stesso meritato, potesse farsi del poeta scomparso.
«Fu cristiano nel senso più alto della parola! » E’ vero. Io amo ricordare a me stesso, pensando al Pàscoli, le parole di Paolo : « Dio è amore », e quelle che Giovanni l’Evangelista ripeteva ai suoi discepoli : « Se avrete amato, avrete praticato tutta la legge divi
na ». E mi dico che se ciò risponde a verità, ben pochi forse han praticato e sentito la dottrina del Cristo come Giovanni Pascoli.
Che importa se non professò alcuna fede organizzata ? Non è forse vero che fra le strettoie e la inquadratura di un confessionalismo qualsiasi, spesso il formalismo soffoca lo spirito? E la fede, che è senso intimo che pervade 1’ anima e la eleva e la sublima, è troppo nobile perchè uno spirito superiore la possa concepire solo traverso la cerimonia. E Giovanni Pascoli la viveva invece la sua fede, c la proclamò nei suoi canti, magnificando contro 1’ odio l’amore, celebrando le umili cose, le piccole creature, perchè da esse, noi che ci diciamo grandi, apprendessimo che la vita vera non è la triste serie di egoismi, ma la pratica quotidiana delle umili virtù, la dolcezza e l’amore.
Già un altro poeta, secoli addietro, chiamava le creature tutte, sorelle, e benediceva e laudava il Signore per avercele donate, da frate sole a sora nostra morte corporale. Si chiamava Francesco d’ Assisi, « il Gesù italiano » secondo 1’ espressione del Pascoli.
Lo spirito poetico dell’ antico vate parve 1’ avesse ereditato colui che oggi piangiamo morto ; e se v’ ha poesia che rifletta 1’ anima e che, pur non essendo tutta interiore, dona allo spirito la prevalenza, è quella di G. Pascoli.
È per questo che, come scrive F. M. Martini, sulla Tribuna,
« Altri poeti — taluno maggiore, scomparvero dalla faccia della terra e furono pianti : ma nessuno andandosene trasse fuori con sì vivo strazio dal cuore d’ ogni superstite un piccolo essere che sembrava dovesse albergarvi per sempre.
« Non ce ne accorgevamo forse, ma c’ era. E in tutti parlava per tutti. Sapeva 1’ arte difficilissima di dire quel che bisogna per ogni contingenza della
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BILYCHNIS
vita : era per chi non avesse una madre, la voce della madre, per chi non avesse una sorella, un’ amico, la voce della sorella, la voce dell’ amico ».
Così unanime è stato il duolo, non ufficiale e di parata, ma sincero e profondo. Così le povere genti, che forse non conoscevano appieno la grandezza del poeta, ma conoscevano appieno l'uomo nella sua bontà, nella sua carità, nella sua dolcezza, i poveri contadini che non si commuovono per gli eventi più gravi han pianto stavolta vere lacrime ; si son mossi anche da paesi discosti, in pio pellegrinaggio, per dire ancora una volta, davanti alla salma dell’ uomo buono,. come 1’ opera sua non fu vana se, amando, seppe ispirare tanto amore.
E’ passato facendo del bene ed è morto benedetto, non da un rito a cui non credeva, ma dal fondo di mille e mille cuori specialmente di poveri e di umili con cui si compiacque e a cui disse la parola buona, seme fecondo che fruttificherà.
E la benedizione di questi cuori è certo la benedizione di Dio.
E. RUTILI.
U On. Motti e T anticleri-calismo.
Il pensare, come molti pensano, che Romolo Murri si sia aggrappato all’ anticlericalismo per trovare in esso politicamente, la propria ragion d’ essere - dopo venutegli a mancare altre forme d'attività pratica — e un far torto,
non tanto al nostro amico — contro il quale tutte le volgarità e tutte le ingiurie sono state inutilmente tentate, quanto ai primi elementi del buon senso.
Chè, infatti, il deputato di Montc-giorgio porta notoriamente nella vita pubblica tale contributo d’intelligenza e di cultura, ed ha di molti problemi sociali una concezione così profonda e originale, che in qualunque altro paese dove l’essere stato prete non è unica si ma gravissima ragione di demerito, egli sarebbe — oltre che uno dei cinquanta onorevoli onorati e alfabeti — anche un uomo rappresentativo le cui opinioni vanno seriamente ponderate e discusse.
La propaganda anticlericale non può che sminuire la personalità dei Murri ; ma all’ anticlericalismo, d’ altra parte, egli, seguendo (anche se suo malgrado) il naturale lentissimo evolversi della propria coscienza civile, al-1’ anticlericalismo doveva fatalmente arrivare.
Prego il lettore di non oppormi i... precedenti, se non vuol costringermi a ricorrere alle filodrammatiche rose di babbo Ardigò e a sciupare tempo e inchiostro in discussioni banali. Il Murri di oggi è senza dubbio diverso da quello di ieri, com’ è presumibile che sia domani diverso da quel eh’ è oggi. E’ un infortunio cui si espone chiunque si sforzi di metter d’accordo il proprio pensiero con le circostanze di un dato momento storico ; infortunio che certo non capita ai muli e ai piccoli che restai! sempre coerenti e sempre uguali a se stessi, tranne che nella muffa e nel pelame.
Ciò che a noi sommamente importa è di non trovare nel pensiero del Murri nessun « ritorno » equivoco, nessun pentimento sospetto ; le sue contradizioni sono più apparenti ed esteriori che sostanziali e rivelano fasi successive
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NOTE E COMMENTI
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di un medesimo sviluppo, ininterrotto, deciso, lungo una linea ascendente ; a noi importa appunto di constatare che ogni suo punto di guardatura — come gli direbbe l’amico Janni — si oppone o meglio si distingue dal precedente in quanto gli sovrasta e, quindi, lo comprende. Prima per il pontefice riformatore e liberale contro il conservatorismo gesuitico della Corte pontificia ; poi per la Chiesa contro là gerarchia e per la democrazia contro il dispotismo; infine per la libera « societas fìdelium » contro tutta la Chiesa ufficiale che, matrigna e non madre, scacciava insieme con lui dal suo seno i migliori suoi figli sempre e dovunque egli ha portato la dirittura della sua coscienza, 1’ onestà delle sue intenzioni e l’ardore del suo apostolato civile. Ed è avvenuto che, seguendo senza preconcette resistenze là via della sua graduale liberazione spirituale e ritrovando sempre meglio se medesimo nella pienezza di tutte le sue facoltà e capacità si è associato e in gran parte assimilato con altri elementi operosi della vita pubblica « profana », rinunciando a mano a mano alla nobile ambizione di una sua impresa personale e originale, perdendo quindi delle proprie qualità peculiari e caratteristiche, pur di contribuire utilmente, e umilmente, all’attuazione pratica del suo programma ideale, di pensatore e di uomo d’ azione, programma simile non mai identico a quello di altri pensatori e d’ altri pratici. Ed è pervenuto all’anticlericalismo, come tanti altri vi pervengono, ma per una via sua propria e personalissima, e nel suo anticlericalismo ha portato buona parte delle premesse filosofiche e religiose che furono per molti anni (e sono) la sostanza del suo pensiero e la ragione della sua esistenza.
Pretendere da lui altro genere di anticlericalismo — più formale più sem
plicista e... più volgare — è assurdo ; pretendere che egli non si preoccupi delle sorti di quella Chiesa — alla quale ha dato il fiducioso abbandono della sua giovinezza e l’entusiastica fede dei suoi anni migliori, alla quale ha sacrificato gran parte della sua vita e il suo stesso destino — per la buona ragione che ella è oggi sfruttata, tradita, vilipesa da farisei, è semplicemente grottesco ; pretendere che egli si appaghi ormai di presentare una « interrogazione » o un’ « interpellanza » su questo o quel particolare problema pratico, è un’ ingiuria alla sua intelligenza ; pretendere eh’ egli si affianchi o si afillii ad una qualsiasi « Giordano Bruno » o discenda (e bisogna discender di molto) a concionare in qualche sezione del cosidetto Libero Pensiero, è un’ ingiuria al suo carattere morale.
Quello del Murri, più che un programma anticlericale, è il programma dottrinale e pratico di una effettiva attuazione della libertà religiosa ; programma antitetico coi principi! della Chiesa ufficiale, in quanto questa tendendo all’ intolleranza e al dominio in nome di un principio religioso adulterato, nega e combatte ogni libertà costituzionale, e prima e più che ogni altra, la libertà di coscienza. Programma che implica per converso la esclusione di qualunque altra forma di intolleranza dogmatica, quale, ad esempio, degli anticlericali anti-religiosi, poiché se la lotta contro il clericalismo « parte da principi! filosofici ed etici che siano opposti a. quelli del Cristianesimo e volge quindi il suo sforzo non contro l’ecclesiasticismo (che è sconfinamento di una religione dal campo suo proprio, per interessi del clero) ma contro la concezione cristiana della vita, esso nega la libertà piena e- sincera di co-
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Bl LYCHNIS
scienza e di fede e viene ad includere uno degli elementi essenziali e costitutivi del clericalismo medesimo : l’intolleranza dogmatica, dalla quale si passa poi, in forme più o meno larvate, alla persecuzione religiosa ».
Il Murri intende all’opposto, e semplicemente, di ricondurre le religioni e il cattolicismo in particolare — in particolare perchè è appunto l’istituto tipicamente clericaloide ed anche perchè ci occupiamo dell’Italia cattolica — « al campo loro proprio, che è quello della intimità della coscienza e di una libera collaborazione degli associati dalla stessa fede ».
Siffatta dottrina — è ovvio — non sopprime le Chiese. Poiché nella nostra auspicata società laica « le Chiese esistono come associazioni libere fra gli uomini che credono di poter vicendevolmente giovarsi nella ricerca di Dio e di giovare a quelli dei quali è affidata ad essi 1’ educazione, finché custodiscono ed esplicano certi mezzi per destare e conservare e far più intense le emozioni religiose, mezzi introdotti dai profeti, dai santi, dalle coscienze che ebbero queste emozioni più intime e luminose, le Chiese han diritto di vivere e d’essere rispettate, non solo ma aiutate secondo l’importanza dei servigi che rendono ». « E in quanto la Chiesa Cattolica rende anche oggi c può rendere questi servigi, anche la Chiesa Cattolica va considerata e rispettata, appunto nei limiti di questi servigi reali che la tradizione religiosa, da essa custodita e trasmessa, rende alla coscienza popolare ».
Se noi protestanti volessimo ancora illuderci di poter produrre una corrente viva di pensiero nella vita pubblica italiana, sia pure in riguardo ad un particolare e modesto problema pratico dovremmo non fare nostro, che sarebbe superfluo, ma riconoscere come • lègittimamenie nostro il programma anticlericale del Murri e diffonderlo nel nostro piccolo mondo e propugnarlo e imporlo all’attenzione di tutti. Ma noi viviamo in Arcadia, e come non ci siamo accorti dell’ esistenza d’un periodico — dovuto all’ iniziativa di pochi illusi — il quale propugnava appunto l’anticlericalismo... non murriano ma sanamente liberale, e quindi non antireligioso, così resteremo indifferenti e impassibili alla propaganda dell’ onorevole scomunicato e lo lasceremo solo a subire le beffe di... liberi pensatori incoscienti e ignoranti e le calunnie di clericali sapientissimi.
Upton Sinclair.
Chi ha sentito parlare del romanzo « The Jungle » ? L’autore — 1’ americano Upton Sinclair — vi ha descritto gli orrori del commercio delle carni conservate, grande specialità di Chicago: orrori nella preparazione antigienica delle carni, orrori nel trattamento degli operai.
Dopo aver letto, alcuni anni or sono, The Jungle il presidente Roosevelt nominò una commissione d’inchiesta il cui rapporto condusse alla promulgazione di una nuova legge sull’ ispettorato del lavoro.
Il libro è ormai tradotto in diciassette lingue diverse. L’autore, a dire il vero, intendeva commuovere il pubblico esponendo le tristi condizioni degli operai piuttostochè turbarlo rivelandogli certi retroscena industriali ; egli intendeva — come egli dice — parlare al cuore piuttostochè allo stomaco dei suoi lettori ; ma, forse, la via dello stomaco è dopotutto la più diretta per giungere al cuore.
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NOTE E COMMENTI
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Upton Sinclair è socialista. Egli cominciò là sua carriera di scrittore a quindici anni e scrisse novelle socialiste prima di conoscere il socialismo. Egli à difatti uno strano temperamento di critico e di sognatore : critico perchè egli conosce molto bene le condizioni della vita moderna, sognatore perchè egli crede alla possibilità di ima esistenza assai più razionale e più bella dèli’ attuale.
Del suo socialismo egli ha tentato un’organizzazione pratica fondando la Helicom Hall Colony. Era un grande edifizio che aveva servito in altri tempi come scuola e dove la famiglia del Sinclair si stabili insieme ad alcune altre. Fu organizzata una specie di casa - famiglia - cooperativa.
C’ era un giardino d*infanzia per i bimbi ; gli uomini andavano al lavoro e le donne si dividevano le cure della casa. I pasti erano preparati in comune. La serata si passava nel grande salotto centrale, le persone presenti partecipando alla conversazione divisa in quattro gruppi : politica, filosofia, religione e arte. Questo tentativo pratico terminò bruscamente e quasi tragicamente quattro anni or sono: la casa bruciò e rimase distrutta sin dalle fonda-menta.
&
Il Sinclair •— che non ha ancora tren-t’anni — é stato in gioventù un attivo membro di chiesa. Egli ora sembra essersi un po’ allontanato dalla religione. « Mi pareva — die’ egli — d’ avere lutto il peso
della rigenerazione del mondo sulle spaile. Vedevo i mali della società e nessuno pareva badarci, neppure le chiese ». Così stando le cose, e le classi operaie essendo attualmente fuori dell’ influenza della religione organizzata, il Sinclair preconizza come tanti altri una nuova forma, una nuova manifestazione religiosa.
Egli pensa che le nuove visioni di vita che sono apparse agli uomini sono troppo grandi per essere incorporate in una qualsiasi forma di culto. Le menti più acute del nostro tempo stanno orientandosi verso un nuovo organismo fraterno il quale racchiuderà e realizzerà quelle nuove aspirazioni che attualmente stanno estrinsecandosi in ogni sorta di attività sociali.
L’autore di Jungle considera il militarismo come il male pili grave dell’ epoca nostra. Pe lui il militarismo e la guerra sono inseparabili dal capitalismo. Il più grande pericolo che minaccia il socialismo — die’ egli — è che il capitalismo suoni a raccolta i tamburi della guerra. Ogni uomo, e specialmente ogni cristiano, ha dunque il diritto e il dovere di protestare contro la guerra.
Upton Sinclair è attualmente in Inghilterra. Appena sbarcato egli ha dovuto sottoporsi ad una intervista per conto del grande settimanale di Londra The Christian Commonwealth, ed è questa intervista che ci ha fatto conoscere le idee del simpatico, giovanissimo e pur già noto scrittore americano.
G. ADAMI.
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Dei libri — di argomento religioso — che verranno inviati alla Redazione di BIL/YCHNIS in doppio e-semplare saranno pubblicate in questa rubrica accurate ed e-stese recensioni.
di San ¿Paolo, di Lord Lyttelton (adattato dal Dr. J. L. Campbell).
Chiunque fra i lettori di e ¿Bilychnis » desidera ricevere GRATIS una copia di questo Volume, non ha che da inviare prontamente il proprio nome e indirizzo - scritto chiaramente - all' editore Sig. ¿D. G. Whittinghitl, Via dei Delfini 16 ¿Roma.
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È uscito il volume « Cristianesimo c critica » contenente i seguenti scritti:
I. Gli errori dell' Ipercritica, del Dr. Franklin Johnson dell' Università di Chicago,
II. La nascita Verginale di Cristo, del Dr. James Crr, del Collegio della Chiesa Libera di Glasgow.
III. La testimonianza dell' esperienza cristiana, del Dr. E. Y. SVIul-lins, Presidente del Seminario Teol. ¿Batt. di Louidbille.
IV. Certezza ed importanza della risurrezione corporea di Cristo, del Dr. ¿R. <A. Torrey di ¿Pennsylvania.
V. Osservazioni sulla conversione
Il Salmo <3S.
Chi desidera avere il senso in modo abbastanza soddisfacente del famoso salmo 6S (nei LXX e Vulg. 67) che il Brustoli chiamò « il Montebianco dell’ esegesi » farà bene di leggere lo studio che ne fa il Prof. D.r Paul Riesslcr, nel 2. fascicolo (1912) della rivista « Theologische Quartalschrift ». In questo medesimo fascicolo viene esaurientemente discussa la quistione se vi siano o no state sacerdotesse del culto di Jahvéh, dal Prof. D.r Eberharter di Salzburg, il quale conclude negativamente.
Le donne più volte menzionate in relazione col servizio del tempio non erano per questo « sacerdotesse », erano addette a servizi di carattere non religioso.
P. Ci
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Lo scopo della venuta di Cristo
Nel I fascicolo (genn. 18-19x2) della Zeitschrift fiir Theologie und Kirche, pag. 1-30 il prof. D. Adolf Hamack di Berlino, pubblica uno studio interessantissimo sulle espressioni testuali di Gesù riguardo lo scopo della sua missione e delia sua venuta. — Troviamo infatti nella tradizione evangelica una serie di sentenze che’vengono introdotte con le espressioni : « sono venuto », « non sono venuto » (cioè : sono mandato), le quali contengono lo scopo di questa missione, di questa venuta. Queste espressioni meritano di essere accuratamente studiate: nei sinottici non sono numerose ; sono invece frequenti in Giovanni. — Gli otto passi seguenti sono discussi dall’ egregio A.
I. Mat. 10-34 e segg. = Lue. 12 -5«-53II. Marco 2-17 (cfr. Mat. 9- 13. Lue. 5-32)
III. Marco 10-45 (Mat. 20-28).
IV. Luca 12-49.
V. Luca 19 - io.
VI. Luca 9-35.
VII. Mat. 5-17.
Vili. Mat. 15-24.
Tutti questi passi non hanno varianti nella Tradizione, la loro forma precisa ne garantisce l’autenticità.
Questi otto passi dei sinottici, contengono poche parole, ma dicono molto : caratterizzano Gesù, la portata e il metodo del suo lavoro. Notisi prima di tutto l’annunzio : « Io sono venuto per salvare », che torna non meno di 4 volte negli otto passi (II- V - VI- Vili). — Per chi viene egli ? per i perduti (V, Vili), per i peccatori (II), egli li chiama (II) e li salva (V. VI), e la sua venuta vale soltanto per le pecore perdute della casa d’Israele (Vili). -- Non è qui menzionato il « Regno di Dio » ; però in fondo vi è compreso, poiché Gesù dice che"è venuto per chiamare i peccatori : li chiama prima a sé, per poi condurli nel regno di Dio.
Il 2. pensièro che troviamo nell’ annun
cio è questo : Io sono venuto per compiere la legge (ed i profeti) (VII). Gesù ha dun que un compito legislativo definitivo. — Secondo la sua propria testimonianza, to scopo della sua missione è di essere ad un tempo salvatore e legislatore. Le due funzioni si manifestano per mezzo dell’ amore, e dell’amore che serve (HI). I passi rimanenti (I - IV) in cui Gesù parla dello scopo della sua venuta, non hanno la medesima importanza dei precedenti, perchè in fondo non parlano dello scopo stesso delia venuta, bensì del modo in cui si compie.
il materialismo storico.
GIUSEPPE MOLTENI, II materialismo storico e la nuova storiografìa. — Saggio - Voi. di pag. 154 — Prezzo L. 1,50. —- Firenze. Libreria Editrice Fiorentina, 1912.
E questo il n. 4 della serie dei volumi costituenti la biblioteca della « Rivista di Filosofia neo - scolastica » pubblicata dalla Libre»ia Editrice Fiorentina. — li fine che si è proposto il Prof. Molteni in questo « saggio » è dei più commende-voli, in quanto si tratta di vedere nel rinnovamento degli studi storici fino a qual punto si deve favorire l’indirizzo impresso alla storiografia dalla scuola del materialismo storico. È noto quanta importanza dia all'economia il sistèma di Carlo Marx nella genesi e hello svolgimento dei fatti storici. Evidentemente qui salta agli occhi 1* esagerazione dei principi! della suddetta scuola. Ma, poiché il sistema marxista fu sottoposto ad un lavorio tale di critica e di discussioni che la concezione sua oramai si può considerare come
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BILYCHN’IS
compiuta,, lo studioso ha il compito di dedurne un indirizzo nuovo nella trattazione dei fatti storici che tenga nel debito conto le cause di natura economica e sociale.
Molto si discusse in Germania e fuori intorno al valore e ai limiti del materialismo storico: c mentre alcuni sono giunti alla conclusione che il Marx non intese il materialismo storico come un sistema filosofico, altri, invece, giudicano la concezione marxista come una vera filosofia elaborata da un monismo filosofico, il quale non sarebbe che un rifacimento della filosofia di Hegel. Queste due diverse interpretazione del Marxismo sono in Italia rappresentale rispettivamente da Benedetto Croce e da Giovanni Gentile. 11 primo contesta al Marx il titolo c il nome di filosofo nel senso ordinario della parola. mentre il Gentile vede nel marxismo un sistema di filosofia. Il nostro A. con molla erudizione discute la tesi del Croce, e giunge alla conclusione che la sua critica non è esauriente, poiché il materialismo storico è una filosofia della storia, conseguenza di una nuova intuizione del mondo. A primo aspetto si può dare ragione al Croce che nega un legame logico fra la filosofia dell' Idea e il materialismo storico, ma ciò non infirma la tesi che ammette il marxismo come una filosofia. E perciò, ha ragione I’ A. nell’ affermare che non si deve confondere il problema intorno ai rapporti fra Hegel e Marx e fra hegelismo e marxismo coll’altro della contenenza filosofica di quest'ultimo. I rapporti fra Hegel e Marx sono però innegabili. poiché l'uno c l’altro sono altamente idealisti nel concetto che si fanno dello Stalo; essendo quest'ultimo stato descritto da Federico Hegel come la radiane permanente e come la personificazione viverle dello spirito assoluto. E il Marx spesso adotta dell’ Hegel il linguaggio metafisico e le forinole astnise. Perciò il marxismo deve essere considerato come una filosofia della storia, poiché il matcrialismo storico è il sistema da lui posto a base di tutta la vita; è l’essere sociale come si esprime I' A., che determina la coscienza dell' uomo.
Ma quanto sia fallace questa scuola che sottopone la storia e ogni ideologia all' influenza immediata dell' interesse materiale e delle condizioni economiche. i’A. dimostra nel cap. Storiografia marxista. Così egli giustamente rimprovera al Mau-renbrecher di fare non della storia, ma dell’ apriorismo nel suo studio sul monoteismo ebraico, che viene spiegato come effetto soltanto della reazione esercitala dalle classi inferiori oppresse contro le classi ricche e dominanti, che professavano volentieri i molli e fastosi riti orientali, tutti politeisti. Lo stesso, aggiungiamo noi, si dica di coloro che vedono nella Riforma un movimento dovuto unicamente a cause economiche e nelle sètte eretiche del Medio Evo un altro moto dovuto al malcontento economico dell’epoca..
Però, come in ogni sistema, anche nel materialismo storico del Marx vi è del buono, purché non si eccedano i dovuti limiti come è riconosciuto da valorosi interpreti de! marxismo come il Bere lei n e il Labriola. Ed ecco quindi sorgere una nuova storiografia illustrata giada eminenti scrii-lori italia ni e stranieri, la quale trova nel nostro A. un difensore geniale c convinto, con una riserva però per la storia della Chiesa, (piando è narrata da un cattolico. — Di-falli i! Molteni. che è un credente cattolico, affermi che l'interpretazione economica della storia non potrà mai darci ragione piena dello svolgersi della Chies altra verso i tempi, e neppure della comparsa di coloro che hanno illustralo la storia del monachiSmo. Che se poi è vero che il Cristianesimo è anzitutto, come dice I’ A.. perfezione della vita individuale, e non consiste già solo nella creazione di nuovi domini, di nuovi santi, di nuovi miracoli, di nuovi pellegrinaggi, chi non vede che la Chiesa Cattolica che ha materializzato
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in parte notevole il Cristianesimo, è responsabile della falsa concezione che insigni scrittori hanno del Cristianesimo, che considerano in ciò che ha di esteriore, e di formale nella interpretazione cattolica dei medesimo?
Se si deve, come crediamo, attribuire una importanza ragionevole alla causa <-conomica nella spiegazione della storia, non dobbiamo negare tale importanza nel valutare le vicende del Cristianesimo attraverso i tempi. La (¡naie imp< danza non sopprimerà mai come d’altronde dice lo stesso A., la forza dello spirito.
ENRICO MEYNIER.
William James.
TH. FLORNOY, La philosophie de William James Saint - Blaise. Foyer solidariste 1911. (pp. 220. L. 2,50).
Non è certamente ignoto a chi legge il nome di William James. Anzi, appunto perchè il suo nome corre ormai sulla bocca di tutti, la filosofia di lui, popolare (come ebbe egli stesso a chiamarla), destinata non a dibattiti di private accademie, ma a suscitare un movimento di spiriti in tutto il campo degli studiosi, meritava una chiara, succinta, mirabile esposizione quale l’illustre psicologo di Ginevra — Teodoro Flour-nqy — poteva dare.
Il James ha scritto una quantità di libri, opuscoli, articoli di riviste, trattando di psicologia e di quelle questioni filosòfiche che ad essa sono maggiormente connesse. Da questi vari o numerosi scritti, con conoscènza profonda dell’ argomento, il F. ha tratto un’ esposizione sommaria che partendo dall’ esame dell’ uomo, delle sue attitudini di artista e di filosofo, del suo temperamento pragmatista, passa a toccare le più alte questioni metafìsiche nel senso in cui il James tentò di risolverle. Negazione del monismo e affermazione di un universo
pluralistico, risultante dall’ esistenza simultanea in ogni istante, d’una moltitudine di coscienze indipendenti (pag. 98), lichislico (nr/,q — sorte - fortuna mutevole) per cui ognuna di queste coscienze invece di trovarsi in uno stato immobile e sempre identico a se stesso, subisce un perpetuo cambiamento, passa attraverso una indefìnita pluralità di momenti (pag. 103) — modificazione perenne che si traduce poi, in morale, nel migliorismo (pag. 112).
I.’ esposizione si chiude con due capitoli interessantissimi sul teismo e la volontà di credere nei quali il Flournoy riassume il contributo originale e indimenticabile che la filosofia del James ha portato nel campo delle questioni religiose.
« La filosofia di William James riposa tutta intera nella sua psicologia. Egli iu probabilmente il più grande psicologo che sia mai esistito, nè si può sperare di vedente presto uno eguale » (pag. 189).
Solo fra qualche tempo si misurerà tutto il valore e la fecondità del suo metodo psicologico, come la solidità delia posizione che egli ha preso rompendo i legami tradizionali fra il vecchio razionalismo spiritualista da un lato e l’empirismo asso-ciazionista e atomistico, dall’altro (pag. 190).
G. NESI.
E,a fedo e il Pensiero Moderno,
WILLIAM TEMPLE, La Fede e il Pensiero Moderno — Casa Editrice « Cultura Moderna » — Mendrisio (Svizzera). 1912 — L. 2,50 — Pag. 140.
Edito dalla solerte casa Editrice « Cultura Moderna », è stato pubblicato questo piccolo volume. Piccolo pel numero delie pagine ; ma grande c poderoso per la elevatezza delle idee esposte, |>er un contenuto ammirevole e denso di pensiero più che non avvenga per molti volumi d’aspetto grave e solenne e correnti per la maggiore.
Ho cominciato a segnare con tratto bleu i periodi ed i brani che più mi parevano
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notevoli per limpidità e bellezza di concetti ; e, giunto all’ ultima pagina, mi sono accorto che non c’ era foglio il quale per un verso o per I’ altro non portasse il suo bravo tratto azzurro.
Invero, v’è mai accaduto di leggere tale scritto del «piale pensate poi: « potessi ricordarmi sempre, ed avere come in prima fila presenti allo spirito le idee che ho letto » ?
Orbene questo accade per tutto il libro del Tempie. Non è il caso di un lampo di pensiero, o di più lampi ; è una luce diffusa e continua per tutti i sei capitoli dell’ opera. Sei capitoli che corrispondono a sei conferenze, ciascuna delle quali tratta argomento diverso. Ma sia gli argomenti che la trattazione loro sono ordinati in modo che un’ lenità di pensiero corre da un capo all’altro dell’opera e ne costituisce per un verso un saggio mirabile di filosofia del cristianesimo, e per un altro verso un lavoro di a-pologetica, sano, vivace, elevato sempre, mai unilaterale.
L’ autore possiede i problemi filosofici della moderna coscienza in modo completo; e non c’ è preoccupazione di animo colto che egli non comprenda e non valuti con spirito di sincerità. D’altra parte il Tempie ha il sentimento ed il pensiero suoi sanamente informati al Vangelo de) Cristo. Da tutto ciò scaturisce un’armonica fusione di conoscenza c di giudizio per cui, dopo le prime pagine, il lettore si lascia trasportare per i meandri più intricati del ragionamento filosofico col sentimento di essere condotto da guida sicura.
I titoli delle sei conferenze che costituiscono il volume sono : basi della nostra fede in Dio ; rivelazione e fede ; le basi storiche del Cristianesimo ; la persona di Cristo ; 1’ espiazione ed il problema del male ; lo spirito, la Chièsa e la Vita Eterna. Dire quali sono le pagine migliori, se quelle dove si tratta della esperienza religiosa come prima base delia fede ; o quelle dove si mostra che la rivelazione è parte inte
grante di un’ esperienza religiosa capace di essere fondamento di fede ; oppure quelle dove, studiando le basi storiche del cristianesimo, si è messi in presenza del grande fatto di Cristo ; oppure ancora quelle dove è trattato il problema dei male nella sua triplice forma di male della intelligenza od erróre, di male del sentimento o dolóre, di male della coscienza o colpa ; oppure infine quelle dove si lumeggiano i problemi finali della vita eterna ; dire questo non mi pare possibile. Sono tutte belle e buone pagine ; valide ed utili per chi non crede ancora, e pure aspira verso un ideale elevate della vita ; valide ed utili pel credente che non è nella terribile e sconsolata condizione del credente soddisfatto. Valide per ¡quello a cagióne della serena e sicura visióne dei problemi filosofici ; valide per questo a cagione del forte sentimento dèi Cristo vivente che anima tutto il libro.
M. F.
Intorno all* origine dell* uomo.
AG. GEMELLI, Recenti scoperte e recenti teorìe nello studio dell’ origine dell’uomo. — Libreria Editrice Fiorentina — Firenze 1912, IV edizione riveduta ed aumentata — L 0,75.
È questo il primo d’una serie di volumetti d’un centinaio di pagine ciascuno, alla cui edizióne provvede la « Rivista di Filosofia Neo - Scolastica ».
Se dall’ alba si deve giudicare del meriggio, si può concludere che questo sarà buono, perchè l’alba nel caso attuale è senza esitazione davvero promettente. Non è il caso di parlare dell’ autore ; ò piuttosto no, è opportuno dirne qualche cosa; perchè, ricordando il polemista per Lourdes, potrebbe a molti sembrare di minor valore la critica esercitata sulle teorie a riguardo della origine dell’ uomo. Adunque 1* autore non è solo polemista religioso, ma è anche dotto conoscitore del movimento scientifico e della
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filosofia scientifica e parla con competenza dell’argomento da lui preso a trattare.
Che cosa pensare del problema della origine dell’uomo?
Molti non ci pensano affatto ; molti rigettano ogni affermazione che si presenti in nome della scienza sottratta alla tutela dell’ idea religiosa ; molti invece rigettano ormai del tutto quello che la rivelazione dice in proposito, per attenersi a quelle che sono dette le conclusioni della scienza.
il Gemelli che è un credente ed un dotto, fa quello che, a mio avviso, dovrebbe fare chiunque crede la sua fede in Cristo e nella Parola di Dio, insidiata dal pensiero scientifico.
In luogo di respingere questo senz’altro ; in luogo di accettarlo come cosa provata, tentando al tempo stesso di conciliare i testi sacri coi trattati scientifici, col ricorrere talvolta alle più strane fantasie, in luogo di questo si accosta alle teorie scientifiche, ne prende conoscenza, non dimenticando di impadronirsi dei dati di fatto coi quali possa giudicare le teorie stesse e quindi sottopone queste alla critica. Ciò facendo si trova che molte delle pretese teorie scientifiche sono ancora delle mere ipotesi accreditate più dal nome dell’ espositore di esse che dalla reale ed obbiettiva valutazione dei fatti.
Questo abbiamo diritto di fare ; questo anzi siamo in dovere di fare ; e questo fa con serenità il Gemelli, esaminando la teoria dello Haeckel, e poi quella dello Schwal-be, e poi quelle della derivazione scimmiesca indiretta e della derivazione da proto-mammali ; senza dimenticare un accenno alle teorie minori esposte da questo o quel-I’ autore;
1/autore del belio studio rimane, come ho detto, nel campo prettamente scientifico; e scientificamente conclude all’ insufficienza della evoluzione a spiegare 1’ organismo u-mano.
Libro utile a quanti si preoccupano delle quistioni sollevate dalla filosofia scientifica ; libro che rivela in parte il ritorno di molta gente di studio verso l’idealismo, dopo un paio di decenni di ubbriacatuta materialista. ’ M. F.
Il genio religioso.
TH. FLOURNOY — Le gènio religieux — Saint-Blaise, Foyer Solidariste, 1911 (Pag. 57 — L. 0,60).
Alla Federazione di studenti cristiani della Svizzera francese ed a quell’ ottima casa editrice di Saint - Blaise che ne è quasi il braccio destro, siamo già debitori di parecchi preziosi volumetti d’un valore incomparabile per chi s’interessi di questioni religiose.
Oltre il volume sulla filosofia del James che è, in fondo, l’elaborazione di una conferenza data sotto gli auspici delia predetta Associazione, il Flournoy ci olire questo o-puscolo die è una delie cose più simpatiche e più pregevoli che egli abbia scritte. Si tratta anche qui di una conferenza tenuta per rispondere ad un invito della Federazione studentesca. Ne viene ora pubblicata una nuova edizione che porta la tiratura della brochure a quattromila copie.
Non saprei come riassumere questa ammirabile conferenza, che meriterebbe d’essere riferita tutt’ intera.
Dopo aver precisato, da quel valente psicologo che egli è, quali sono i tratti caratteristici del genio religioso, il Flournoy, ponendosi fuori d’ogni definizione teolo-logica, rileva nella persona di Gesù, quale appare dagli Evangeli, alcuni tratti che, pur essendo di notevole importanza, vengono dall’ insegnamento tradizionale ecclesiastico lasciati un po’ nell’ ombra (Pag. 29).
Ecco come egli termina facendo sue le parole di Ch. Secretan : « Leggo sempre nel Cristianesimo il segreto dell’ universo, veggo nell’ assimilazione dell’ ànima a Cristo la salvezza dell' individuo.... penso sempre che 1'opera del Cristianesimo in noi consiste nel liberarci e non nell’asservirci » (Pag- 59)- G. N.
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BILYCHN1S
Giuliano 1* Apostata.
CORRADO BARBAGALLO, Giuliano 1‘ A-postata. Collezione « Profili » A. F.
Formiggini - Genova. — Pagg. 76,1. x —
Il lucido profilo di « Giuliano 1’ Apostata » del prof. Barbagallo à il merito speciale della novità di concezione. Da troppo tempo permaneva la figurazione fantastica d’ un Giuliano di maniera, esclusivamente intento ad una demolizione sistematica del Cristianesimo, dietro la scorta parziale della critica cattolica.
Quanto è diverso il Giuliano della Storia ! Nato in un periodo saturo di ardenti problemi militari, amministrativi e politici, egli era bene all’ altezza della sua missione storica per indugiarsi olimpicamente nella monomania d’ una rifioritura pagana.
Il Barbagallo à nettamente fatto balzare dal suo sfondo storico la forte personalità dell’ ultimo imperatore pagano. Egli analizza quell’ epoca a seconda dei problemi militari, amministrativi e religiosi che più la caratterizzano e poi, sul terreno positivo dei fatti, segue con intelletto d’amore il suo eroe nel geniale e vasto tentativo di soluzione portato a questi singoli problemi.
Il lettore, arrivato alla fine della bella monografia, subisce il fascino e sente di a-mare questo imperatore come una forte figura ideale.
Molto importante e sintetica è la narrazione del graduale decadere del Cristianesimo, in quel quarto secolo, quando, invaso da mania politica, volle imporsi allo Stato, determinando cosi tutta la reazione di questa sorvissuta anima pagana.
Nella lingua, nella divisione e nel contenuto, il profilo è elegantemente delineato come un cammeo antico.
P. CHIMINELLI
L’ora decisiva delle Missioni
Cristiane.
JOHN MOTT, L‘ Heure décisive des Missioni Chrétiennes. Voi. in 16. di pag. 395 con 20 tavole fuori testo. Edito dalla Associazione Missionaria Svizzera degli studenti. - Prezzo L. 3,50. (Saint-Blaise: Foyer Solidarisle, 1912).
Fa sempre piacere leggere un libro scritto da un competente in materia. Che John Mott sia tale nell’ argomento delle Missioni Cristiane contemporanee, è riconosciuto ormai dalla Cristianità intiera. Da più anni egli viaggia per tutto il mondo, con lo scopo di raccogliere i fatti della situazione, recando a tale impresa doni straordinarii di osservazione ed intelligenza, non che uno spirito infiammato di zelo per il regno del suo Signore. A lui più che a qualunque altro individuo fu dovuta la convocazione di quel Congresso Missionario in Edimburgo che negli ultimi secoli è stato senza dubbio il più gran fatto nella storia del Cristianesimo, e che segna un nuovo punto di partenza per la evangelizzazione del mondò. E, radunato il Congresso, non fu necessaria una votazione per assegnare a John Mott la Presidenza ; nè mai fu meglio giustificata da Presidente di Congresso la elezione fatta.
Ed il libro su indicato è degno dell’autore. Quando un maestro sommo in materia ed in stile ha di già condensato 1’ argomento che tratta, più difficile assai diviene il compito di chi volesse farne ulteriore riassunto. Eppure nel commendare a’ nostri lettori questo lavoro importante del Doti. Mott, non vorremmo limitarci a parole vaghe d’elogio. Proveremo invece di far loro bere qualche sorso di questa coppa in cui 1’ autore ha distillato tanta essenza di osservazione, esperienza e pensiero; ed in particolare di trarne qualche lezione per tutti coloro fra i lettori della Rivista, che s’interessano del trionfo del Regno di Cristo in questa nostra Italia.
In sostanza, il libro si divide in due parti. Nella prima si espongono i fatti stupendi che fanno del momento presente una « crisi decisiva » nella storia delle Missioni cristiane ; nella seconda si affilano e si lanciano gli appèlli che una Crisi siffatta rivolge alla fedeltà ed allo zelo delle Chiese che si nominano di Cristo, qualunque sia il nome aggiuntivo per cui si distinguono fra loro.
I fattori che aggravano 1’ attuale crisi di
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conseguenze così ingenti in bene o in male sono di tre categorie.
Prima vi sono quelli che derivano dal periodo di trasformazione clic tutte le nazioni non Cristiane stanno oggi traversando. I fatti raggruppati dall’ autore ad illustrazione di questo tema danno le vertigini. Quello che era il Giappone trent’ anni fa e quello che è oggi tutti sappiamo. E l’esempio del Giappone ha scosso tutto 1’ o-riente. La Cina si é svegliata dalla immobilità di quattro mila anni ; ed è andata a scuola presso le nazioni d' Occidente. Nelle Indie, a fianco dell’ agitazione politica, sta operandosi una rivoluzione sociale ed industriale. Comunque si voglia giudicare la Giovane Turchia, il fatto sta che anche là le vecchie catene sono spezzate. Per tutto il continente d'Africa dal Mediterraneo fino al Capo di Buona Speranza la Civiltà Europea stende la rete delle sue invenzioni, e vi è movimento di popoli. I piccoli Stati, come la Corea, il regno del Siam, perfino il Tibet e P Afganistan, sono trascinati nel solco degli Stati maggiori. Politicamente i popoli si svegliano, e si svegliano in un modo nuovo ; girano gli occhi attorno ed ecco nuovo cielo e nuova terra, in cui per tutto risplende un’ alba di libertà ; ne risulta una nuova coscienza di se stessi, sentono nel petto per la prima volta un palpito di ciò che per noi occidentali voglion dire le parole Nazionalità e Patriottismo. Ma il risveglio politico non è tutto, non è neppure la forza maggiore e più feconda del movimento. Più potente in sé e più pregna di conseguenze future è la nuova vita intellettuale. Ovunque in Oriente si dibatte la questione : Che cosa è questa scienza che ha dato agli occidentali il loro primato nell’industria, nel commercio, nelle armi di terra e di mare ? Ed alla domanda segue imperiosa la conclusione : Noi pure la vogliamo conquistare. Il Giappone ha di già sei milioni di scolari nei suoi istituti d’educazione. La Cina si avanza rapidamente verso un totale di cinquanta milioni. Le università della Gran Brettagna e degli Stati Uniti subiscono una vera invasione di studenti orientali, intenti tutti ad imparare l’educazione più avanzata dei popoli che finora han tenuto il dominio del mondo.
La seconda categoria de’ fattori della crisi abbraccia lutti quelli che danno a questo periodo di trasformazione un caràttere di plasticità. II movimento è in ¡stato d’ebollizione ; non si è ancora consolidalo nè in questa nè in quest’ altra forma. L’ha
rolla col passato ; quale sarà il nuovo avvenire non è ancora deciso. Politicamente è un periodo di esperimenti. Le catene delle antiche tirannie sono spezzate ; le liberate nazioni stanno provando le loro nuove istituzioni prima di farne la scelta. Religiosamente questo carattere di plasticità ha per coloro che s’interessano del Regno di Cristo un’ importanza che non è possibile esagerare. Che le superstizioni grossolane e fanciullesche del passato si reggano dinanzi a questo diluvio di cultura moderna non è neppure a pensarsi ; ma qual edificio di fede si ergerà sopra le loro rovine, P animo de’ popoli sta ancora architettando; anzi sarebbe più vicino alla verità forse il dire che sta discutendo se non sarebbe meglio portar via tutto e lasciar la piazza vuota.
Ma la crisi ha fattori d* una terza categoria, e questa la più fatidica di tutte. Forze rivali, di verità ed errore, e quindi nel lungo andare di vita o morte, stanno contendendo fra loro per impadronirsi di questo periodo di plasticità e cosi modellare secondo la propria indole la forma definitiva da prendersi da questo mondo in fusione. L’una di queste forze è quella delle Missioni Cristiane. E qui l’autore ci dà frutti preziosi della larga, se non unica conoscenza personale eh’ egli ha dei progressi odierni del Cristianesimo presso i popoli il cui avvenire si sta determinando. Nel Giappone, nella Cina, presso certe classi sociali d’immensa importanza nel-P India, in contrade vastissime dell’ Africa, le conquiste delle Missioni Cristiane nel-, I’ ultimo quarto di secolo sono tali da mettere in chiara evidenza due cose, l’una umana, P altra divina : che la religione di Cristo ha una pótenle attrazione per 1’ u-manità di ogni razza e specialmente per l’umanità in movimento di progresso, e che il Re risorto sta vigilando sulla crisi attuale e cooperando con effusioni potenti dello spirito suo dovunque la Chiesa si mostra fedele alla sua chiamata. Riassumendo il Sig. Moti scrive : « Chi guardi oggi il mondo non cristiano, vedrà, egli è vero, dei campi sterili e dei deserti, paesi e classi che rispondono poco ai lavoro missionario; ma sopra tutto quel mondo, preso nel suo insieme, egli vedrà alzarsi una marea crescente dello Spirito di Dio ». Vi sono però altre forze avversarie che contendono al Cristianesimo il sopravvento in questa crisi plastica delle nazioni. E impossibile in una breve recensione far altro che accennare ai fatti gravissimi esposti in questo punto dal
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nostro autore con ampiezza e con la sua Solita maestria. Vi è l’infame tradimento della morale cristiana di cui sono stati e sono tuttora, colpevoli, i rappresentanti delle nazioni cristiane nel campo del commercio e della politica. D’. influenza al pari avversaria sono i vizi che regnano ancora nelle nostre grandi città, e dei quali i visitatori non cristiani, c specialmente gli studenti ritornano in patria ad un tempo testimoni e vittime. Vi è la propaganda attivissima dell’ ateismo, o dell’ agnosticismo occidentale ; le statistiche date dal Signor Moti della diffusióne fatta nella Cina, nel-l'India, in Giappone e perfino nella Turchia delle opere dello Haeckel, del Huxley, dello Spencer e d’altri autori increduli, sono'impressionanti. Ma sopra tutto \i è lo spirito missionario risvegliato nelle religioni rivali. Alla testa di questo esercito anti-cristiano sta la religione sempre battagliera dei Profeta. Nel centro dell’ Asia, c dal levante al ponente del continente d’ Africa P Islamismo si spinge avanti per prevenire il Cristianesimo nella conquista dei popoli pagani. Vi è poi un neo-buddismo, un neo-induismo ed anche un neo-confucianismo che si son fatti anch’ essi missiónarii e che hanno un certo vantaggio sopra il cristianesimo, al meno in questo momento critico, nel poter appellarsi come religioni indigene e tradizionali a quel nuovo spirito di nazionalità che si sta svegliando nei popoli d* Oriente. Cosi se la marea missionaria cristiana monta da una parte, viene incontro ad essa una marea avversaria aneli’ essa montante e composta di molti elementi diversi fra loro, ma tutti uniti nell’ op|X>rre al cristianesimo una rivalità formidabile.
Tali essendo i fattori che costituiscono la crisi, quali sono gli appelli che una crisi tale rivolge, con potenza imperiosa, alia Chiesa di Cristo? Ecco il secondo argomento trattato nel libro magistrale de: Sig. Mott.
Innanzi tutto, bisogna comprendere che si traila d'una crisi. e, senza perdila di tempo occorre afferrarla. È questa la prima e l’ultima parola del nostro autore, coni’ era pure il pensiero dominante del gran Congresso Missionario di Edimburgo, ed è la lezione permanente lasciata dai Congresso medesimo. Il periodo di plasticità per cui sta passando il mondo non cristiano non durerà molto tempo. Cosi insegna la storia. Una nazione che volta strada, può avanzarsi per la nuova via a passi più o meno lenti, ma la scelta dell’ indirizzo è affare d’ una generazione. Le forze che fondono il vec
chiume del passato possono operare più o meno lentamente, ma lo stato di fusione trova ben presto la forma nuova, ed in essa si consolida. Molti indizi, secondo il Sig. Mott. danno a giudicare che 1’ opportunità attualmente offerta alla Chiesa Cristiana si chiuderà presto. La questione per esempio del predominio dell' Islamismo o del Cristianesimo nel centro dell’Asia e fra i popoli pagani Africani, sta ora decidendosi, ed a favore dell' Islamismo. E ciò è fatale, per 1’ evangelizzazione di quei pòpoli, perchè se convertire a Cristo un popolo pagano è difficile, cento volte di più lo è convertire a Cristo un popolo Maomettano. Similmente nella Cina e nel Giappone, là questióne se la nuova civiltà che si sta imparando nella scuola dell’ occidente, sarà una civiltà materialista ed ateista, o una civiltà impregnata delle possibilità dello spirito di Cristo, è questione che si deciderà da oggi a domani. Quindi la voce che tuona nella coscienza della Chiesa Cristiana è : Ora, o giammai !
Quali dunque sono le esigenze di questo momento fatale ? Praticamente, che cosa deve fare la Chiesa Cristiana per rispondere a questo appello, eh’ è pure la chiamata dei suo divin Capo e Signore ?
Qui pure il nostro autore dà consigli di grandissimo valore, e di qui possono trarre delle lezioni tutti coloro che s*interessano del trionfo del Regno di Cristo in Italia, il Signor Mott pensa al suo plastico mondo pagano, e scrive per le grandi Società Missionarie che si occupano di esso ; noi, nel leggere abbiamo pensato al nostro plastico popolo italiano, c vorremmo scrivere questa nostra ultima parola per coloro che si occupano della diffusione della conoscenza dell’Evangelo nella nostra patria.
i. Per il Sig. Mott cosa essenziale è che i Capi delle Società Missionarie si radunino e si consiglino fra loro. 11 loro operato attualmente è troppo sparpagliato, fatto troppo senza intendimento dalla parte degli uni di quello che fanno gli altri. Quindi 6 un’ opera troppo a pezzetti. Qui si accumulano operai ; là vi sono paesi, continenti, lasciati quasi in abbandono, Manca un piano dì campagna. Poi in molti rami dell’ opera le forze sono deboli, a confronto di quello che potrebbero essere, precisamente per questo stesso difetto d’intendimento. Quanto più, per esempio, potrebbesi fare per la preparazione di propagandisti indigeni, quanto più per mezzo della stampa, quanta maggior influenza non si potrebbe esercitare sull'educazione della gioventù, se ci fosse mag-
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giore unione e scambiévole intesa ! Se si vuol conquistare il mondo non Cristiano, bisogna, dice il nostro autore, che in tutto ciò si muti politica, assolutamente e subito.
2. Altro consiglio riguarda i Missionari stessi ed i loro coadiutori. Bisogna che siano all* altezza dei tempi. Questi popoli che si svegliano a nuova civiltà hanno ed avranno nuove esigenze intellettuali. Anzi a quelli che dominano la situazione non è la forza intellettiva che è mancata, neanche prima del risveglio, ma solo la libertà di adoprarla ; ora, rotti gli antichi ceppi, questa forza liberata sarà esigente nella sfera religiosa, come in qualunque altra. Hanno pure, questi stessi popoli, un passato antichissimo, con archivi storici, nomi gloriosi, gesta memorande, ed il risveglio di oggi vuol dire, fra le altre cose, nuovo orgoglio nazionale per tanti ricordi. A tali popoli, se il Missionario Cristiano dei nuovi tempi vuol presentarsi con qualche speranza di riescila, bisogna che abbia intelletto e coltura corrispondenti alle nuove esigenze.
3. E finalmente, bisogna tener conto del risvegliato sentimento di nazionalità e dell’ indole diversa delle razze umane. La religione divina di Gesù è religione mondiale. Nacque in Oriente e fece conquista di popoli orientali prima di divenire la religione dell’ Occidente. Ma il Cristianesimo occidentale sviluppava caratteri suoi propri, mentre il Cristianesimo orientale conservava i suoi. E vano sperare, anzi sarebbe follia desiderare, che il Cristianesimo se tornasse a far conquista del suo mondo antico, non pigliasse impronta dall’ indole Giapponese in Giappone, Cinese nella Cina, Indiana nel-l'India, e via discorrendo. N*è accetteranno mai questi forti popoli svegliati a coscienza di sé, una Chiesa Cristiana meno che indipendente ed autonoma. Ecco le nuove esigenze della situazione di cui è condizione sine qua non di riuscita, che l’opera Missionaria odierna e futura tenga conto, e vi si adatti. Alle Chiese nuove nascenti, istruzione, sorveglianza, disciplina, sovrintendenza ; ma alle stesse Chiese adolescenti man inano larghezza di autonoma, e sviluppo secondo la propria indole ; è questa la sola condizione per cui può sorgere e crescere fino alla venuta di Colui che deve venire, una Chiesa Cristiana Cattolica una della sola unità che valga, quella dello Spirito, diversa della diversità che non è altra che quella dei colori prismatici della bianca luce della verità in Cristo.
C hi in Italia ha orecchi da udire, oda.
H. P. PIGGOT.
Saggi Storici e Biografici.
BALDASSARE LABANCA, Saggi Storici e Biografici, - Palermo. Remo San-dron, 1911. Pag. Vili, 320, Lire 4.
A proposito di questo recente volume ci piace di riprodurre quanto segue dalla Bewiew of Theology and Philosophy edita in Edimburgo dal Prof. Allan Menzies, fascicolo di febbraio 1912.
« Ciò che si è proposto l’autore in questo suo nuovo libro, ha qualche cosa che attrae molto, e che. al medesimo tempo è di singolare eccitamento. Questo libro è un nuovo prodotto dell’entusiastico ardore letterario di un incessante, e pur infaticabile lavoratore. Il Professore Laban-ca ha già oltrepassato i suoi ottant’anni; tuttavia il suo interesse nelle questioni religiose e filosofiche è ancora vivo in modo straordinario, e la sua penna scorre facile e sicura come per il passato.
L*autore è un sincero amatore di libri, ed il suo diletto è quello di vivere in mezzo di essi; i quali sono rimasti i suoi piti sinceri e più fidi compagni, allorquando altri amici son venuti a mancargli inaspettatamente. Egli, quindi, farà sempre buon viso a nuovi libri, e ne moltiplicherà il loro numero finché sarà, in vita. Ma, vi ha di più; desideroso di indurre altri a valersi dèi medesimi benefizi che furono per lui tanto utili e dilettevoli insieme, ha fatto ultimamente un cara leristico dono al suo luogo natio, Agitone.
L’anno scorso la Biblioteca Baldas-sare Labanca, fondata e dotata da questo maestro di cuor generoso e di mente elevata. veniva aperta, sotto buoni auspici; e questa nascente raccolta di opere storiche, filosofiche, letterarie e religiose sarà in seguito opportunamente arricchita di altri volumi, acquistati dall’autore, o donati dai tanti amici del professore Labanca.
Tutti coloro i quali conoscono questo benefattore e le crisi che di quando in quando egli ha dovuto affrontare nel sue-
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cedersi di anni tempestosi, troveranno perfettamente giusta una delle prescrizioni da lui inserita nel « Regolamento » secondo il quale dev’essere amministrata la Biblioteca. « li re d’Italia, con R. Dec.eto, del 9 Febbraio 1911, ha ordinato che questa Biblioteca sia conservata sempre intatta (indisiurirata da qualsiasi. intromissione faziosa o. pari ¡già na), quale centro di studiose di'ricerche senza .alcun' ostacolo. In questo modo il donatore , crede di aver procacciato una fonte perenne, presso la (piale molti potranno acquistare l'impulso al sapere, con loro incalcolabile prolitto ed a maggiore. onore e vantaggio dello Stato.
Premesse le poche notizie sul Prof. Labanca, vengo al suo libro dei Saggi storici e biografici. Quésto libro consiste in una collezione di saggi, ciascuno dei quali;possiede un sapore gustoso, di qualità mollo attraente. Come suggerisce il titolo stesso del libro, gli scritti che contiene sono divisi in due gruppi. Il primo contiene una serie di Saggi Storici che sono in numero di sette. Il primo studia « La Vita Religiosa in Italia: il suo passato. presente e avvenire, h un esteso esame critico che rivela nell'autore un occhio penetrativo ed un animo spassionato. Nello scritto che segue, « l’Italia e la Chiesa di Roma attraverso i secoli * le previsioni dello scrittore sono chiare ed indipendenti, laddove i suoi commenti sono bene appropriati e taglienti. Il suo giudizio sul « Concilio Vaticano » è significativo. per la infallibilità papale in esso definita. La sua descrizione delle origini dell’ Università di Bologna, e quella intorno alle società segrete, conosciute col nome di « Carbonari,», sai anno lette con vero interesse.
Volgendoci poi ad esaminare la parte biografica del'libro, vi troviamo.diecfsag-gi che trattano rispettivamente di Cola di Rienzi. Savonarola, Carnesecchi. Bruno Gioberti, Rosmini, Cavour, Antonelli,
Pio IX. Leone Nili e Pio X. L’importanza di ciascuno di questi studi compenserà abbondantemente il lettore del tempo da lui speso intorno ad essi. L’ultimo della serie, cioè Pio X. sarà minutamente esaminato, da molti e vari critici, con sicure ed acute previsioni. Prese nel loro insieme, le varie, considerazioni che ci vengono qui presentate nei Saggi litografici sono assolutamente stringenti, vigorose ed assennale.
Devesi aggiungere che questo libro, col suo indice accurato, è una ristampa ; però è anche vero che questa è la prima volta che esso si presenta in lingua italiana, riunendo insieme, in una forma riveduta ed ampliata gli articoli Che il Professore Labanca ebbe l’incaricoonorevoledi scrivere per l'enciclopedia tedesca, intitolata Die lietigioii in Geschichle undGegenwart, Inoltre esso costituisce l’ultima pubblicazione della splendida Biblioteca Sandrondi Scienza e Lettere la quale ha ora raggiunto il suo cinquantesimo volume. La carta e la stampa del Libro sono di una notevole eccellenza; e da parte sua. l’autore ha avuto il lodevole pensiero di porre, alla fine di ciascun saggio, un elenco della migliore letteratura sul soggetto da lui trattalo. Questo libro, che ha tutto il diritto ad un posto nella Biblioteca Sandron, mostra da tulle le sue parli la gran cura che autore ed editore si sono data, perchè esso fosse studialo e pubblicato in modo degno c fuoi del constarne.
Oxford, Febbraio 1912.
LOUIS H. JORDAN.
Prossimamente :
Furio Lenzl - L’autocefalia della Chiesa di Salona.
F. Herman in ■ Sag^i sull’ iconografia cristiana medioevale (con illustrazioni).
Dante Vagì ieri - Che cosa è il paganesimo.
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Morale e Religione.
« Morale et Religion », di Ch. Werner — Foyer Solidariste — Saint - Blaise (Svizzera) — 1912 — L. 0,60.
È un opuscolo di 27 pagine che ha il suo buon posto nella collana delle eccellenti pubblicazioni del « Foyer Solidariste ».
Si tratta di una conferenza pronunciata dall’oratore che è professore all’ Università di Ginevra.
Prendendo le mosse dal nocciolo della filosofìa Kantiana, che la morale cioè ha la sua base nella ragione, il Werner svolge magistralmente questa tesi, che la morale e la religione hanno lo stesso fondamento; entrambe riposano sull’ordine intelligibile; entrambe suppongono la ragione, la libertà, lo Spirito.
M. F.
Intorno al Battesimo.
UGO JANNI, Zxz Chiesa e la Questione Rat-lista — (Raggio dot Ir ina le - polemico) Pag. 58. Prezzo 60 cent. — Presso r A. a S. Remo — /gir. (Secondo articolo).
Movente del lavoro del Janni è di « dimostrare la legittimità del pedobattismo della Chiesa e il carattere profondamente cristiano e spirituale eh’esso riveste». — Scopo di questo esame critico è invece di provare che il Pedobattismo non è legittimo
perchè non ha nessun fondamento biblico, quindi non riveste un carattere nè spirituale nè cristiano. A tal fine seguirò passo passo il ragionamento de) Sig. Janni, incominciando dalla Parte I del suo opuscolo, che tratta degli argomenti biblici dei Ballisti contro il battesimo dei pargoli e toccando pure alla prima Sezione della Parte seconda.
I — Il primo argomento dei Battisti è il Silenzio della Bibbia. — L’ A. vi risponde distinguendo tra due specie di affermazioni bibliche, le esplicite e le implicite, e dice che van tenute in conto non solo le prime ma pur le seconde sotto pena di mutilar la Bibbia, e cita ad esempio la preghiera : « È detto di pregare gli uni per gli altri », ma non è detto di pregare per i pargoli, eppure « non facendolo si mutila la Bibbia ». Osservo che 1’ esortazione a pregar gli uni per gli altri è diretta e si riferisce ai credenti, ma che il N. Testamento dice pure : « Pregate per tutti (gli) uomini », cioè per ogni sorta d’ uomini [I Tim. 2-1], quindi l’esempio della preghiera non calza. — L’A. aggiunge che confondere 1’ affermazione e-splicita con l’implicita è un grave equivoco e che perciò quando manca la prima, argomentare come se mancasse la seconda, è cadere nel sofisma, e conclude: « Il dibattito deve dunque trasportarsi sur un altro terreno. Il battesimo dei pargoli è esso implicitamente contenuto nella dottrina biblica del battesimo ? Se vi è implicitamente contenuto, allora esso è biblico senza bisogno di affermazione esplicita ».
Al che oppongo tre osservazioni: — a) Riconoscete dunque che non v’ha nella Bibbia nessuna affermazione esplicita circa il battesimo dei pargoli, cioè che il relativo silenzio della Bibbia è un fatto. Prendiamo atto di questa dichiarazione, b) Trasportando la questione dal terreno del testo su quello della dottrina, si esce dall’argomento battista del silenzio della Bibbia, e si apre la porta dell’ arbitrio ed alla fabbrica di mille teorie dottrinali spesso contrarie fra loro. c) Gli è grazie alla supposta presenza im-
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BILYCHKIS
plicita di certi elementi nelle dottrine che certi teologi negano i fatti più evidenti, e ad es. implicano magari nella dottrina della morte, la vita, il progresso spirituale, la salvezza e l’immortalità.
II — Il secondo argomento dei Battisti è quello degli Esempli biblici di Battesimo vale a dire che non vi sono nel N. Testamento esempli di pargoli battezzati.
L’A. risponde all’argomento come se il punto di fatto dal quale esso muove fosse incontestabile, « il che però, dice, non concediamo » ed aggiunge : « Non lo concediamo a cagione degli esempli di famiglie intere battezzate sulla fede di uno dei loro membri, che troviamo nel N. Testamento ». — Egli allude ai casi di Lidia, del carceriere di Filippi e di Stefana [Fat. ix-15, 31-34, 1. Cor. i-xój. — Ma chi non sa che la voce oikós significa non famiglia, ma casa, e che è tradotta dalla versione svizzera e da Darby maison, e dalla Revisione inglese household che significa mai-sonnie, e indica la gente di servizio ; - c che nel caso del carceriere è positivamente detto che gli apostoli gli annunziarono la Parola del Signore come pure a tulli coloro che erano di casa sua, e ch’egli fu nell’allegrezza con tulla la sua casa, avendo credulo Iddio. » — Evidentemente si tratta di adulti e se vi erano dei pargoli, siccome non potevano nè comprendere la predicazione, nè credere, sono esclusi dal battesimo.
HI — Il terzo argomento dei Battisti è la P'ede condizione « sine qua non ».
Qui l’A. non esamina i rapporti fra la Fede e il Catechismo, il che farà più oltre, ma si limita a criticare le prove bibliche presentate dai Battisti a sostegno della loro affermazione, e cita Mar. 16-16 che menziona la fede prima del battesimo, onde i Battisti concludono che deve ognora precederlo. L’ A. chiama ciò « bel salto.......
mortale per la logica ». Quindi fa un lungo ragionamento e dice che il v. 15 «Andate e predicate, etc. » è l’argomento principale del discorso di Gesù, che il v. 16 accenna
solo alle conseguenze di tale missione, che la fede ed il battesimo vi sono mentovati nell’ ordine logico e cronologico in cui stavano per seguirsi nella missione degli undici e che staccare la seconda parte del testo dalla prima e dare a quella un valore assoluto, è un arbitrio e costituisce una violenza contro il testo ». Secondo lui Gesù non pensa nè ad escludere nè ad affermare il battesimo dei pargoli dei futuri credenti e non si allaccia alla sua mente l’idea del-l’ordine tra la fede ed il battesimo, ma Egli pensa alla missione degli undici, ed accennando alla fede ed al battesimo, lo fa nell’ ordine relativo alle circostanze. Varcare i cancelli di questa relatività nella valutazione delle modalità del testo nella sua seconda parte non è fare dell’esègesi scientifica, ma è asservire l’esegesi a idee dottrinali preconcette ».
Ma tra l’ordine relativo alle circostanze, ossia 1’ ordine logico e cronologico in cui stavano per seguirsi nella missione apostolica, — e I’ ordine tra la fede e il battesimo, non vedo nè differenza nè antagonismo, anzi, lutto il ragionamento dell’ A. non distrugge il valore del fatto che il testo pone la fede prima del battesimo; cioè come condizione di esso. Del resto dovrò ritornare coll’A. sulle questioni dei rapporti tra 1 •. fede c il battesimo. Ma credo che sia qui il luogo di chiedere: « Perchè l’A. ha egli mentovata la sola fede come condizione « sine qua non ? », poiché i Battisti credono che vi sono parecchie altre condizioni « sino qua non » del Battesimo, per cui debbo indicarle :
1) L’interrogazione di una buona coscienza [I. Pie, 3-21]. — La voce epirothèma tradotta da Osterwald, Rilliet e Segond : impegno e voltata in domanda da Diodati, Guicciardini e Darby, significa propriamente interrogazione, e cosi vien resa dalia versione Svizzera e dalla Revisione Inglese. — È propriamente 1’ esame coscienzioso di un cuore onesto in vista del pentimento che in questo caso sarà sincero.
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2) Il Pentimento ed il Ravvedimento. — Il sostantivo metamileia non si trova nel N, T. ma il verbo metamélomai vi ricorre sei volte. Esso differisce da melanotó in ciò che questo indica un cambiamento di spirito e di cuore, mentre metamélomai e-sprime solo la tristezza di aver peccato, [Prendi] seguita o no dalla metanoia. In nessuno dei sei passi di cui sopra, metamè-tomai si applica al Battesimo, ma il suo compagno me lanoso ed il nome me là noia, che ricorrono 55 volle nel N. T., vi si applicano talvolta, come in Mat. 3-4, Mar. 1-4, Lue. 3-0. e Fat. 2-38, 13-24, 19-24- — Nella sua 2. parte, § 2, circa la relazione tra la fede ed il Battesimo l’A. scrive: « Affermiamo la esistenza di un rapporto tra il battesimo da una parte e il pentimento e la fede dall’ altra ». Orbene i Battisti considerano il pentimento come una condizione « sine qua non » del battesimo, e ciò a motivo dei passi che presentano il battesimo come semplicemente associato al ravvedi-'mento come nel caso del carceriere di Filippi.
La Confessione dei peccali. — I primi credenti che si facevano battezzare, confessavano i loro peccati [Mat. 3-6, Mar. 1-5], ed il battesimo stesso è la confessione dei peccato. Ecco perchè il battesimo è spesso presentato e raccomandato « in vista del perdono dei peccati » [Mat. 1-4, 3-3 ; Lue. 3-3 ; Fat. 2-38].
4) Una testimonianza di Fede. — Il credente che si fa battezzare testimonia la propria fede e rende testimonianza all’Evangelo. I-a sostanza e lo scopo di siffatta testimonianza è di dichiarare che Dio è verace e che Cristo è il salvatore. Nel passo dei tre testimoni [I. Gio. 5-7. 8], sono indicati i tre battesimi compendiati nella « dottrina dei battesimi » [Ebr. 6 2]. Si chiama generalmente il battesimo un pegno, errore grave che fa del battesimo un atto passivo. Certo il battesimo è un simbolo della morte e del risorgimento del credente con Cristo, ma è tale perchè è anzitutto una testimonianza di fede.
5) Un dovere di Giustizia. ¡1 battesimo è un atto di giustizia, e come tale è un giusto dovere. Lo attestano l’esempio e la parola di Gesù il quale, facendosi battezzare da Giovanni che lo tratteneva, disse : « Lascia fare al presente, perciocché cosi ci conviene adempiere ogni giustizia » [Mat. 3-’5]- Gesù non aveva bisogno di compiere quell’ atto di dovere per se stesso, giacche non aveva peccato, ma lo compì come nostro rappresentante e qual simbolo della propria morte per noi. Quanto più dunque dobbiamo compierlo noi !
6) Una giustificazione di Dio. — Parlando del battesimo di Giovanni, Gesù diceva: « Tutto il popolo che io ha udito, ed i pubblicani, giustificarono Iddio essendo stati battezzati del battesimo di Giovanni, ma i Farisei ed i Legisti annullarono contro se stessi il Consiglio di Dio, non essendo stati battezzati da Lui [Lue. 7-29, 30]. Vi sono tre modi di giustificare Iddio : li primo è la confessione del peccato : Ho peccalo contro di Te [e lo confesso] acciocché Tu sii [riconosciuto] giusto quando parli e puro quando giustifichi » [Salmo 51-4]- — Il secondo è la fede : « Colui che riceve la testimonianza di Cristo ha suggellato che è verace » [Giov. 3-33]. « Chi non crede a Dio lo fa mentitore, perchè non crede alla testimonianza che Dio rende al suo figlio » [I. Giov. 5-10]. — li terzo è il battesimo. Se il popolo Giudeo ed i pubblicani ricevendo il battesimo di Giovanni giustificarono Iddio, quanto più io giustificano i credenti cristiani ricevendo il battesimo in nome di Cristo ; e se i Farisei ed i Legisti, ricusando il battesimo di Giovanni, annullarono a loro danno il Consiglio di Dio, quanto più i credenti cristiani ricevendo il battesimo di Cristo confermano quel Consiglio in loro favore, e giustificheranno Iddio.
7) Una predicazione al mondo. — Sotto questo aspetto il battesimo rassomiglia alla S. Cena, sua sorella gemella, mediante la quale i credenti « annunziano la morte
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del Signore finché Egli venga » [I. Cor. n-26], il che implica pure la sua risurrezione. Il battesimo, simbolo della morte e del risorgimento del credente con Cristo, annunzia le stesse cose. Per cui è una predicazione al mondo, e lo é in due modi : in salvezza per coloro che crederanno ed in condannazione per coloro che periranno. Noè, il predicatore della giustizia, costruendo l’arca condannò il mondo [Ebri li -7]. Ora l'Arca era un tipo del battesimo [I Pie. 3-21], « il quale salva noi pure, mediante il risorgimento di Gesù Cristo,».
Tutti codesti atti sono per i Battisti, non solo qualifiche del Battesimo, ma pure condizioni « sine qua non » del medesimo. Certo ogni neofita non li apprezzerà e non li attuerà tutti ed appieno al momento, ma ciò non toglie che nella Parola ed in se stessi sono indispensabili al vero battesimo. Ora chiediamo se i neonati possono, non solo credere, ma pentirsi o ravvedersi, interrogar la loro coscienza, confessare i peccati, compiere un dovere di giustizia, testimoniar la fede, giustificare Iddio ed annunziare al mondo la morte, la risurrezione ed il Ritorno di Cristo. Basta porre la questione per risolverla in senso negativo e per dimostrare che P A. non ha compreso nè la dottrina battista eh’ egli vuol criticare, nè sopratutto la dottrina biblica del battesimo. — E siccome tutto il suo lavoro dipende da questa sua prima parte, potrei chiudere qui la mia rassegna, — ma per mostrare come P A. continua il suo ragionamento e quali altri argomenti oppone al concetto dei Battisti, come pure per soddisfare la legittima curiosità dei lettori, — sarà bene proseguire.
O. COCORDA.
La Bibbia e il Protestantesimo
V. FRANQUE, Jìibte et Protestanlisme, voi, di pag. 133, in 16, prezzo L. 2,50, Bloud & C. Ed., Place Saint - Sulpice, 7, Paris — 1911.
È un libro di polemica cattolica. L’ autore. commendatore dell’ ordine di S. Gre
gorio Magno, risponde, in una serie di otto lettere, alle obiezioni mossegli da una signorina protestante svizzera. Egli in fondo vuol dimostrare che la Chiesa cattolica è l’unica Chiesa cristiana, e promette di servirsi a tal uopo soltanto della Bibbia, benché però faccia delle riserve circa il valore della tradizione che, con argomentazioni molto stiracchiate, egli vorrebbe sostenere essere stata autorizzata dall’ esempio apostolico. Infatti, nella lettera introduttrice, diretta alla signorina svizzera di cui sopra —- la quale gli aveva chiesto di servirsi, come base delle sue risposte, della sola Bibbia — il Franque scrive che la stessa Bibbia è una tradizione, perchè Gesù non lasciò nessuno scritto agli Apostoli i quali, per 30 o 40 anni, predicarono senza avere i documenti scritti. Ma noi non riusciamo a vedere la tradizione in questo fatto : s’intende che quegli stessi Apostoli e discepoli primitivi, i quali erano i depositarli, diciamo così, della dottrina del Cristo, dovessero necessariamente predicare una dottrina che ancora non era stata scritta, dal momento eh’ essi stessi erano quelli che la dovevano scrivere. E poi per tradizione s*intende quel cumulo di dottrine e di credenze tramandate di padre in figlio attraverso i secoli, e quindi non si può parlare di tradizione nel caso degli Apostoli, i quali non avevano ricevuto dai padri la Buona Novella, ma 1’ avevano appresa personalmente dalle labbra del Maestro.
Il nostro autore, sempre al fine di sostenere che la tradizione è di base biblica, cita anche due passi del N. T., in uno dei quali però di tradizione non vi è che la radice verbale, nel testo latino, ma con un significato del tutto diverso : di pura e semplice trasmissione (cfr. 1. Cor XI -23 : « poiché io ho ricevuto dal Signore ciò che ancora ho dato [testo Jat. : tradidi] a voi »). Nel secondo (Giov. XXI - 25) non vi è neppure la più lontana idea di tradizione : infatti se Giovanni dice che vi sarebbero molte altre cose fatte da Gesù degne di
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essere ricordate, non vuol certo con queste parole autorizzare i credenti futuri a scrivere degli altri Vangeli o ad aggiungere altri fatti od insegnamenti in complemento di quelli già scritti. Eppure il Franque conclude con disinvoltura questa parte dicendo: « La tradilion est donc la base mime de la Rible ».
Ed in tutte le Lettere che costituiscono quest’ opera, la Bibbia è citata in codesto modo cervellotico che rivela nell’ autore o una mólto debole capacità esegetica o una molto debole buona volontà nell’ esercitarla. Porterò degli esempi in dimostrazione di quanto affermo :
Nella Lettera II, dove si parla de! papato, il Franque, per sostenere il primato di Pietro, oltre ai passo notissimo (Watt. XVI-iS-19) di cui ci occuperemo più sotto, cita altri passi come Giov. XXI -15-17 ~ dove Gesù risorto chiede a Pietro per tre volte consecutive : « Simon di Giona, mi ami tu ? « — e sostiene che con questa triplice domanda il Cristo volle mettere Pietro in una posizione preminente. Eppure nello stesso luogo ci è detto che Pietro « si attristò » per la triplice domanda ! Se fosse stato un onore egli certamente non si sarebbe rattristato.
Così pure, parlando del così detto primo concilio di Gerusalemme (Fatti XV-6- 21), il nostro autore afferma che in esso Pietro, avendo preso la parola per il primo, attestò con quest’ atto la sua autorità sugli altri. Ma allora, domandiamo noi, come va che la presidenza di questa prima assemblea fu tenuta da Giacomo, come inoppugnabilmente risulta dal contesto? S’ egli davvero fosse stato il capo della Chiesa la presidenza gli sarebbe spettata di diritto.
Nella Lettera III, l’autore basa il dogma della transustanziazione sul verbo essere usato da Gesù : « Questo ? il mio corpo ». Come se questo stesso verbo non fosse stato usato in altre locuzioni dal Cristo e non nel suo significato letterale ! (cfr. Giov. X-7; XV-1 e 5).
Nella medesima Lettera poi, alla fine, il Franque cita la. nota esclamazione paolina: « Non più io vivo, ma Cristo vive in me », volendo far credere che con queste parole P Apostolo alludesse all’aver mangiato là Cena ed all’ aver in questo modo introdotto materialmente il Cristo dentro di sé. È il non plus ultra !
Nella Lettera IV, dove tratta di Maria e di Giuseppe, l’autore sostiene naturalmente il dogma dell’ immacolata concezione di Maria, e porta tre argomenti che dimostrano su qual base vacillante codesto dogma si poggia. Infatti si tratta:
a) di un passo biblico citato a sproposito; b) di un altro passo del quale vien fatta un’ esegesi grossolanamente errata ; c) di una prova.... che non prova nulla.
Il primo passo si trova in Cantico IV-7: « Tu sei tutta bella, amica mia, e non vi è difetto alcuno in te ». Ma in questo passo non si allude allatto a Maria. In esso il Cantore loda la bellezza della sua sposa e non si capisce perchè queste parole dovrebbero riferirsi a Maria. Tutt’ al più, se vi si vuole vedere un simbolo, lo si può riferire alla Chiesa, non a Maria. Dunque il passo è citato a sproposito.
II secondo passo, dei quale è data un’esegesi grossolanamente errata, si trova in Genesi III-15, nel cosi detto proto • evan-gelo. Ivi lahve maledice il serpente e gli dice che la « progenie della donna » gli schiaccerà il capo. Il Franque sostiene che questa antichissima profezia si riferisce a Maria, ma evidentemente non ha studiato bene il passo. Perchè, leggendo il testo e-braico, non è possibile equivocare: la profezia si riferisce al « seme della donna » cioè al Messia promesso.
Per maggior chiarezza diamo la traduzione letterale del versetto 15 : « E inimicizia io porrò fra te e fra la donna, e fra il seme tuo e fra il seme di lei ;• esso ti schiaccerà il capo e tu ferirai il suo calcagno ». Il pronome esso nel testo è maschile (-*")• non femminile (/zi), e perciò non può
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riferirsi alla parola donna, ma a seme che è maschile nel testo (xérà). Quindi neppure questo passo può portarsi in lavoredell'imma-colata concezione di Maria.
Infine 1’ ultima prova in favore del dogma proclamato 1’8 dicembre 1854. il Franque la trova.... nei miracoli che si verificherebbero a Lourdes ! Non crediamo di doverci neppure soffermare di fronte ad un simile argomento.
I brevi saggi che qui abbiamo riportati ci sembrano sufficienti a dimostrare una verità sola e molto evidente : che cioè, per sostenere con la Bibbia alla mano la legittimità della pretesa della Chiesa romana di essere la soia Chiesa di Cristo, occorre stiracchiare : documenti primitivi, facendo di essi un’ esegesi assolutamente errata e contraria ai documenti medesimi.
Ed altri molti saggi esegetici del Franque noi avremmo potuto qui riportare per corroborare questa nostra asserzione, ma non lo abbiamo reputato necessario. Noteremo soltanto due altri punti importanti trattati dal Franque con debolezza non solo esegetica, ma anche critica e storica : il Papato e la Confessione.
Nella Lettera IL che tratta de! papato, si vuol dimostrare « d'une façon péremptoire » non solo che Pietro fu il primo papa — ed a tal proposito si citano i passi che noi già abbiamo esaminati più su, e quello notissimo (Malt. XVI- iS) « Tu sei Pietro... ccc. » — ma anche la legittimità del papato. Non ci fermiamo su questo punto intorno al quale la Rivista pubblica in altra parte uno speciale studio, e procediamo oltre.
Il Franque (Lettera /^asserisce con la massima sicurezza che « la nécessité de la confession sacramentelle resuite de la mission donnée par le Christ à ses apôtres, àe remettre les péchés ». Egli, in altri termini, ritiene comodamente per dimostrato ciò che invece avrebbe dovuto cominciare col dimostrare :
da dove risulta infatti che il potere di rimettere i peccati sia stato trasmesso ai sacerdoti, e ad essi soltanto? e da dove risulta che codesto supposto potere debba esercitarsi proprio per mezzo della confessione auricolare ? Tutto ciò il Franquc si guarda bene dal dircelo.
Ci limitiamo ora a portare qualche testimonianza primitiva che appieno comprova essere la confessione auricolare un istituto assolutamente sconosciuto alla Chiesa del tempo apostolico ed a quella dei secoli successivi. Innanzi tutto non esiste alcun passo biblico che accenni, neppure lontanamente, alla confessione auricolare. I testi generalmente addotti dai cattolici sono assolutamente negativi (cfr. Matt. HI - 6; Lue. V. - 14 ; Fatti XIX - 18 ; Giac. V - 16).
Inoltre gli scrittori primitivi nulla conobbero della confessione fatta ad un ufficiale della Chiesa. L’unica confessione conosciuta era quella pubblica, fatta ad alta voce innanzi a tutta la Chiesa, e quella fatta direttamente a Dio. Cosi Clemente Romano nella sua prima lettera ai Corinti - 52 afferma che Dio « non vuole da alcuno altra confessione che quella fatta a Lui » (oèSèv oè&zvò; xqì) ÌJetà pq rò» eiopoZoyeìoOai av*<7>).
Nella Didache, cap. IV - 14, vediamo che ìa confessione doveva esser fatta nella pubblica radunanza: « nell’assemblea-confesserai i tuoi peccali.... » non al sacerdote. Tertulliano anche ci dice che ai suoi tempi si praticava questa confessione pubblica in Africa (Tcrl. De poenil. cap. 9).
Concludiamo dunque. Il Franque nw (• riuscito nel suo intento ed anzi ha dimostrato a quali dolorosi contorcimenti esegetici devono ricorrere certi apologisti cattolici per difendere le dottrine della Chiesa romana.
ARISTARCO FASULO
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LETTERATURA
M RELIGIOSA «__ । - —।
Quando non morremo.
MARIO PALMARINI, Quando non morremo — Riccardo Quintieri. Editore Milano — L. 3,50.
L’ autore de Gli uccelli, il fortunato romanzo che fece dire ad Arturo Graf che non crédeva uno scrittore italiano potesse produrre un libro simile, si presenta al nostro pubblico con un nuovo lavoro da due anni più volle annunziato e tanto più atteso. E dobbiamo subito dirè che la lettura di questo libro ci è stata causa di profondo stupore.
Noi a mano a mano che andavamo leggendo i grandiosi avvenimenti che si seguono con impressionante crescendo in questo magico lavoro, ci domandavamo come un umorista, che Domenico Oliva, l’acuto critico, colloca col Fanzini e co! Pirandello Ira i primi d’Italia, abbia potuto così radicalmente cangiar genere e dettare un romanzo di sì largo respiro, così vasto c potente, in cui con uno stile antico e pur limpido è rappresentata tutta una profonda crisi sociale c religiosa.
Il romanzo si svolge nel 1936; in quel tempo l’A. immagina che il movimento modernista abbia, con lento ma efficace incremento, raggiunto anche le alte Autorità ecclesiastiche, mentre la Chiesa Ira il discredito generale, tra le inimicizie createsi con le suo irreducibili intransigenze, ha perduto ogni influenza sociale e morale. Intanto muore Leone XIV. succeduto a Pio X; la corrente modernista, che ha la maggioranza nel sacro Collegio, dopo aspre lolle riesce a fare eleggere un suo candidato che osa assumere il nome di Pietro li.
li nuovo papa comincia col benedire il popolo dal fi »estrone esterno de la Basilica di San Pietro, suscitando l’entusiasmo del popolo. Poi annunzia la sua elezione al vecchio Re Vittorio Emanuele con parole di caldo patriottismo, e lancia un motu-proprio — Il saluto alle genti — in cu: con una grandiosità di stile cinquecentesco e con un’altezza di spirilo ver mente divina, deplora gli orrori del vecchio' Papismo e promette al mondo una nuova era di pace e di solidarietà umana.
Il papa, circondalo subito da la culli-siasliea popolarità per il suo illuminato liberalismo, per la sua bontà, per la sua energia, intraprende coraggiosamente la riforma de la Chiesa. Le sue vedute sono ampie e veramente radicali : abolisce ogni carriera diplomatica a l’estero, licenzia le truppe. toglie il divieto del matrimonio ai sacerdoti, anzi proclama che il buon sacerdote deve aver subite le dure prove de la famiglia per poter intendere la lotta per la vita e i bisogni morali de i fedeli, semplifica i riti, restringe gl: ordini religiosi abolendo i voti perpetui, ed esce dal Valicano per stabilire la sua sede personale al Palazzo di Castel Gandolfo.
La notizia do la sua uscita dal Valicano. improvvisa e senza pompe, si diffonde subito per Roma ; il popolo accorre, ben presto una lolla innumerevole, acclamante circonda l'automobile bianca, la quale è costretta a rallentare la corsa e ad avanzare a stento Ira frago:ose ovazioni. A Piazza Venezia la folla è divenuta un vasto oceano umano plaudente. Ad un tratto si fa un profondo silenzio: il Papa ha fatto fermare la vettura, si è alzato in piedi, il popolo riverente si prostra, mentre Pietro II benedice il grande monumento de la terza Italia. Poi il popolo delirante sco.-pia in una nuova tempestosa ovazione.
Questo è un capitolo che fa passare un brivido di commozione.
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In contrapposto a questa grande figura di Pontefice, si erge la figura di Donna Simonetta Buontalenti Altieri, principessa Romana donna di alta mente, di grande cultuia. e divina bellezza.
Le sue immense dovizie e la squisitezza de la sua intelligenza ne Canno una vera regina a cui tutto il mondo politico e intellettuale italiano, in quella decadenza di costumi s’inchina e ubbidisco ciecamente. Ella è una vera pagana, vive paganamente e liberamente non solo come indirizzo interno spirituale, ma anche coinè vita interiore. Ella si è fatta fabbricare una villa pompeiana sul Gianicolo, ove accoglie in feste e orgie squisite i suoi amici.
Un giovine poeta vi è accolto che rifiuta il suo amore, e per il quale perciò, nella polente e bella signora, si accende un pazzo amore. Il poeta, un idealista, induce la Principessa scettica e irriverente ad assistere a la Benedizione che. Pietro II dà ai pellegrini venuti da lo Marche a piedi per vedere il Papa. Ella va e ne riceve una profonda impressione; il suo scetticismo in una crisi improvvisa, ma rigorosamente logica — inimitabile capitolo La voce che parla ! — cade come una maschera, e a poco a poco nasce in lei, non nata per il vizio e la volgarità, un'alta aspirazione a una vita nuova, ove la bontà, il vero Amore e una purezza di sentimenti le diano quella pace c quella stima di sè, che nessuna più rara voluttà ha potuto mai procurarle.
Allora con la sua indole impetuosa va dal Papa gli confessa i suoi crucci, i suoi dubbi, le sue povertà morali, e il
Padre illumina la sua anima e la sospinge a la fonie pura. Donna Simonetta diviene allora uno dei sostegni più potenti ed e-nergici del Pontefice, che come figlia l’ama e la soccorre.
Intanto i partiti estremi i socialisti — anarcoidi allora dominanti — organizzano terribili congiure contro il Papa liberale. che con le sue riforme rialza ai più alti fastigi la Chiesa e il sentimento religioso. Essi preferivano il Pacifismo gretto e cieco di una volta, che dava loro pretesto a un dominio brutale su le folle, le quali ora soltanto comprendono la viltà e la miseria morale de la dominazione demagogica.
Avvengono epiche e grandiose conflagrazioni. finché i nemici sono vinti e conquistati da la nobiltà e generosità del Pontefice.
Così il mondo, illuminato nuovamente dal più puro spirito cristiano, riprende gioiosamente la. nuova via versola immortalità.
In un ultimo capitolo che è veramente una canzone altissima. Donna Simonella innanzi all’incendio de la sua villa pompeiana, incendio che distrugge ogni traccia del suo passato, riceve il primo bacio d’amore dal poeta che fu l’angelo de la sua rigenerazione.
Noi consigliamo a tutti di leggere questo nuovo lavoro del Paimarini, che rappresenta non solo una lettura che vi ghermisce e vi tiene incatenati inesorabilmente, ma certamente il più maturo e artistico sogno di una vita nuova.
D. SCALERÀ.
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—¿Verso', la fine di febbraio è stata inaugurata la sede del nuovo Istillilo Biblico Pontificio, a Roma, in Piazza della Piletta, nel vecchio palazzo Muti Papazzurri. Il nuovo Istituto é arricchito di un museo biblico e di una grandiosa biblioteca specialista, il discorso inaugurale fu tenuto dal padre I^aminens che trattò di una. contraffazione araba del monoteismo biblico.
— Recentemente è stato messo all’indice il libro che il conte Tommaso Gallarati Scotti pubblicò due anni fa col titolo: Sloria dell' amor sacro c dell' amor profano. Che farà 1’ Autore ? si domandò da varie parli. Egli così si esprime in una lettera a Monsignor Boncinelli, resa di pubblica ragione dalla Perseveranza di Milano :
Monsignore,
Da varie parti si sono fatte delle supposizioni e sono state rivolte delle domande circa la condotta che io avrei tenuto dopo la condanna della mia storia dell’ Amor sacro e dell’ amor profano. Rispondo volentieri a lei che me lo chiede con sollecitudine, quale pastore di anime ed amico.
Di fronte al giudizio dell’ Indice che ha condannato un’opera d’arte senza precisarne gli errori e senza spiegazioni so di non avere altro obbligo che di tacere, ma rispondo poiché il mio silenzio è stato in
terpretato con un significato diverso dal pubblico ed affinchè non si possa confondere col silenzio indifferente ed ostile chi non vive nella chiesa : sono pronto a dire a chiunque desidera di saperlo che 1’ armonia che ho sempre protestata a viso aperto e con animo di cattolico verso la Chiesa, é sempre viva, e che pur tacendo, accetto la mia condanna.
Tommaso Gallarale-Scotli.
— La Tribuna del 12 aprile 1912 pubblica un articolo di Salvatore Minocchi intitolato : « Una nuova politica ecclesiastica L’accademia anticlericale dell’on. Murri. » Il Murri gli risponde nella Tribuna del 23 aprile
— Dalla relazione ministeriale al progetto di legge che autorizza lo stanziamento straordinario di L. 1.300,000 per vari urgenti lavori di scavo e di restauro in diverse parli d’Italia, si desume che agli scavi di Ostia verrà determinala complessivamente la cifra di circa 690,000 lire.
— Il io marzo si sono compiuti quaranta anni dalla morte di Giuseppe Mazzini. Il Giornale d’Italia dell’ n marzo pubblicava un articolo commemorativo : « Il credo di G. Mazzini ».
— Nei primi giorni di Aprile s* è radunato in Atene il XVI congresso degli
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orientalisti. La rappresentanza italiana saliva ad una quindicina di membri : tutti hanno presentato comunicazioni pregevoli. Il prof. De Gubematis fu eletto presidente onorario «lei congresso.
- È stato fondato recentemente a Roma l’Istituto Italiano di Numismatica. Segretario eletto è il nostro amico e collaboratore Sig. Furio Lenzi.
— L’ Inghilterra quest’anno celebra con entusiasmo il centenario della nascita del suo grande romanziere Carlo Dickens. Egli ha lasciato un’ opera d’ un’ intera purezza. È stato l’amico dei poveri, il difensore dell’ infanzia maltrattata, il flaggellatore dcl-l’ipocrisia, il nemico d’ogni oppressione. Il segreto delia sua ispirazione e del benefico influsso esercitato era nelle sue salde convinzioni cristiane. Ecco una frase del suo testamento : « Io rimetto l’anima mia alla misericordia di Dio pel nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo, ed esorto i miei cari figli a condursi secondo l’insegnamento del Nuovo Testamento, in uno spirito di libertà, senza prestar fede alle grette interpretazioni degli uomini su questo o quel punto ».
— AL C. Bone, missionario a Canton (Cina) scrive:... « Questa settimana tutti gli idoli dei templi più frequentati e più celebri sono stati tratti dai loro tetri rifugi e gettati fuori per essere decapitati. Il tempio di « Shing Won Min » protettore della città è stato invaso dall’ esercito rivoluzionario che voleva distruggere gl’ idoli. Siccome la decapitazione è il castigo legale in Cina, gl’ idoli furono condannati al taglio della testa, e la semenza fu eseguita nel cortile del tempio »...
— In una delle conferenze che il noto deputato francese Jaurès diede nei!’ autunno scorso nell’ Argentina, sostenendo che l’educazione dei puritani del XVII secolo fu dovuta alla Bibbia, continuò — secondo i! Corriere della Piata — parlando della « influenza viva, veemente, esaltante della
Bibbia, che fa traboccare i cuori, tremare le colline ; la Bibbia delle imagini grandiose e tragiche, delle rivendicazioni sociali, dei profeti che annunziano l’uguaglianza fraterna degli uomini, che conduce alla scomparsa della guerra tra i popoli, alla riconciliazione del leone e dell’ agnello, pascolanti nel medesimo pascolo...»
— Un Ebreo dell’india ha elargito la bella somma di 2 milioni per la fondazione di una università ebrea a Gerusalemme. Così il movimento Sionista cammina a grandi passi verso la rigenerazione e la riconquista della Palestina.
— Il Presidente dell’ Alleanza Mondiale Battista annunzia che lo Czar ha dato il permesso a detta Alleanza di fondare a Pietroburgo una Scuola Teologica Battista.
— Il Sig. W. S. Bennet, deputato di New York, afferma che in tutto il parlamento degli Stati Uniti non esiste che un solo ateo.
- li Sig. T. P. Morgan quando tornerà agli Stati Uniti — reduce dall’ Egitto — porterà seco una raccolta di manoscritti copti, di cui non esiste I* uguale al mondo. 1 manoscritti furono trovati nelle rovine di un monastero a Fayroum e furono pagati 2 milioni di lire ital. Sono in eccellente stato di conservazione, sebbene datino dal [X e X secolo. Contengono molti libri della Bibbia, vite di cenobiti e alti di martiri.
- icoo giovani dell’università di Pennsylvania sono iscritti a vari corsi per lo studio della Bibbia.
— Pochi anni fa nessuno studente mussulmano frequentava scuole cristiane in Persia. Oggi in una scuola di Teheran su 300 studenti 180 sono mussulmani ed in un’altra scuola femminile se ne contano 116 su 235.
— Le chiese evangeliche francesi ricevettero nel 1905 dallo Stato la somma di L. 2,007,000 ed esse stesse contribuirono L. 309,934 per le spese di culto. Dopo la separazione della Chiesa dallo Stato, nel 1911 accolsero senza alcun aiuto da parte dello Stato, la somma di L. 2,979,000.
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NOTIZIE
— Morì il 4 seti 1911 a Leiden il prof. G. Wildeboor di appena 56 anni. Nacque a Amsterdam il 1) seit. 1355 studiò a Leiden còtto Kuenen e Oort. Di appena 29 anni, nel 1884. fu chiamato ad insegnare all* Università di Groningen, ove rimase lino al 1907, anno in cui accettò la cattedra, di Ebraico e Archeologia all’università di Leiden, come successore del prof. Oort. il quale avendo raggiunti i 70 anni, secondo la legge olandese, aveva dovuto ritirarsi dalr insegnamento, e che tuttora sopravvive al valente discepolo.
Wi’debcer ò autore di numerosissime opere riguardanti specialmente la scienza dell’ A. T.
Cfr. Zeitschrift für die Attest. Wissenschaft, heft. 1, 1912).
P. C.
Scuoia Teologica battista, — Via ('reseco zio 2 — Roma. Corsi di Introduzione all' antico e al Nuovo Testamento — Esercizi i di esegesi sui testi ebraico e greco — Storia ecclesiastica — Storia dei dogmi — Storia delle Religioni — Archeologia cristiana — Omiletica — ecc.
Chi desidera informazioni si rivolga ai Direttore Dott. D. G. Whittin-ghili, Via Delfini 16 — Roma.
Riviste Italiane.
Cultura Moderna — (Mendrisio Svizzera) Nel fascicolo di Marzo - Aprile : /.<•• teologia delta Chiesa primitiva (C. v. Weizsacker) — Cai fatico e Romano (A. Harnaék).
La Rivista Cristiana — (Firenze, 15 piazza d* Azeglio).
Nel fascicolo di Marzo : II Padre Giacinto (U. Janni) — Breve corso inedito di Gastone Frommel (E. Comba) -Il diritto di proprietà fondiaria nella legislazione mosaico (G. E. Meille).
Battaglio d’Oggi — (Napoli, 2. S. Antonio a Tarsia).
Nel fascicolo di Marzo - Aprile : Dio continua a rivelarsi all’ Umanità? (N. Sòdcrblom) — lì lecito ai cattolici di pensare? (F. Mertens) — L* imperativo d‘una coscienza d'apostolo (G. Ro-stagno)’— Che cosa voleva Gesù? (O..
Feuerstein) — Mons. Duchesne e la sita storia (G. Ricci).
Rivista di Psicologia — (Prof. G. C. Ferrari. Imola-Bologna) — Nel fascicolo di Marzo-Aprile: Le emozioni e la vita del subcosciente (C. G. Ferrari) -Ricerche fisico • pedagogiche su compiti svolli da soldati (G. Sarfatti).
La Cultura Filosofica — (Prof. F. De Sar-lo, Piazza d’Azelio 15, Firenze). — Nel fascicolo di Gennaio-Febbraio : Milo e Religione nelle dottrine socio-psicologiche contemporanee (E. I^tmanna) — Morale e sociologia (G. Calò) — Per una filosofia della coscienza e della sensazione (F. De Sarto).
Riviste Francesi.
Revue do Teologie — et des questions religieuses (Montauban - Tarn-et-Gar-ronne). — Nel fascicolo di Marzo: Après la mort (A. Amai) — La seconde edition des odes de Salomon (C. Bruston) — Armand Sabatier (L. Perrier) — /.a plus ancienne inscription cananéenne connue (C. Bruston).
Riviste Tedesche*
Nella rivista Theologische Quartalsch-rifl (2. fascicolo, 1912) sono notevoli gli articoli di Weber su « la data e i lettori della lettera ai Galanti », di Merchich « sul Probabilismo », e di Zimmermann sulla « credenza nei demoni nel culto dei morti ». che è una interessante risposta al Padre Hubert Klug O. M. C., il quale aveva tentato di spiegare P uso della preghiera e dell’ acqua benedetta adoperate nella benedizione dei cimiteri, secondo il « Pontificale Romano » e il « Rituale Romano » col dire che la chiesa provvedeva con ciò a che i morti fossero onorati, e il loro corpo preservato dalla profanazione che potrebbe avvenire per mezzo di persone sospinte a ciò dal demonio.
Nel I fascicolo (gennaio 1912) d. Zeitschrift fùr Theologie und Kirche : i seguenti articoli importanti : L* opera di Cristo, (Pfarrer Lic. Dr. Rittelmeyer in Nürnberg); La posizione odierna della filosofia delta Religione, e il suo significato per la teologia (Prof. E. W. Mayer in Strassburg). / nuovi compiti della teologia evangelica (Prof. D. Willi. Herrmann in Marburg).
P. C.
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Libri pervenuti alla redazione. (Dì alcuni di essi pubblicheremo prossimamente le recensioni.
Jordan- Labanca, The study of religion in the Helian universities. Oxford, 1909.
A. Di Domenica, zi Christian Catechism. New Haven, 191a. Testo inglese e italiano — L. 6,25 la dozzina.
XI Nuovo Testamento, Edizione aduso de-glt studiosi, diviso in paragrafi c provvisto di largo margine per annotazioni — Indice cronologico — Indice delle materie — Indice di fede c controversia, — Una lira (rilegato) — Presso Tipog. « Il Risveglio » — Via Passalacqua, 10 bis — Torino.
Don Ferrante, /monologhi, con prefazione del Prof. Ercole Quadrelli, Catania, Tipogr. Giannetta, 1912 — L. 1.
Xy. Duzzatti, ha ¡iberia di Coscienza
di Scienza, Treves, Milano.
1909. (pagine 444 — prezzo
R. Murri, Delia Religione, della Chiesa e dello ATa/o, 1 reves, Milano, 1910 (pag. 328, prezzo L. 4).
**• Sabatier, L'orientation religieuse de ta Frati-ce actuelle,. Colin, Rue de Mézièrcs s. Paris — imi. — (pag. 320 - L. 3;jo).
R. Ruta, Storta dell' Arpa — Parte Prima — ricerche storiche. — Aversa, ditta A. Ruta, Corso Umb. I, 44.4$ — i9n. — (Pag. 161, con illustrazioni. L. 2,50).
G. del Vecchio, // sentimento giuridico. Roma, Bocca, 1908 — I.. 1,50.
B. Labancu, Gesù di Nazareth, Fonniggini ed., Genova. — (pag. 84 ■— !.. 1).
S. Boruatto, Catechismo Evangelico ; presso Fautore, P. S. Marco 109 — Venezia — (pag. 98 — !.. 0,40).
A. Di Domenica, Metodo Teorico -Pratico della lingua Inglese. — New Havcn, Confi. — George Street 301. — (Pag. 220 — rilegato L. 5).
Giorgio del Vecchio, H concetto della Natura e il principio del Diritto. Fili. Bocca, Torino (L. 5).
Carlo Romussi, Milano ne'suoi monumcntivoX.
I. (dalle origini all’anno 1000), con 52 tavole c 360 foto incisioni — Milano, Sonzogno, 19:2. — (pag. 423, L. io).
Iz. Mascheroni, Poesie e Prose edite e inedite. — Bergamo 1903 — (p. 428 — I.. 5)Atti dell* Ateneo di Scienze, lettere ed Arti in Bergamo: Contributi alta biografia di L. Mascheroni — Bergamo 1904 — (|>ag.
N. Turchi, Storia delle Religioni, Fili. Bocca, Torino — 1912. — (pag. 643 — L. 6).
T. Gallarati - Scotti, Amor sacro e amor profano — Trcves, Stilano. 1911.
Estratti :
Mario Barbano, La figura Morale di Giuseppe Mazzini (da « Battaglie d’ Oggi »).
B. Labanca, // Cristianesimo e il giudaismo in Roma (dalla - Rivista degli Studi Orientali ».)
F. Fornari. Di un antico tempio presso al Circo fiaminio (dai « Bull della Comm. arch. com. »)
D. Vaglieri. Monumenti repubblicani di Ostia (dal » Utili della Comm. arch. com. »)’
G. Avolio, La « Civiltà Cattolica » ed- il celibato de! clero, (da « Battaglie d’ Oggi »).
Prezzo d’abbonamento annuo: Per l’Italia L. 4,00, per l’Estero E. 6,00 - un fascìcolo separato Cm. 75, per l’estero L. 1,00.
Indirizzate corrispondenze, articoli ed abbonamenti al <&of. Lodovico Pa-scheiio, Via Crescenzio 2, 'pOcMc/l.
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